CEREBOTANI (Lonato).
Filosofo. Grice: “Ceere-botani is a genius, and I’m amused of his surname,
since a linguistic botanisit he surely was! His ‘prontuario del periodare
classico’ charmed everyone, including his ‘paesani’ of Brescia – the little bit
on Lago di Garda! There’s a stadium in his name! He also played with Morse,
which means he was a Griceian, since he was into the most efficient way of
‘transmit’ information! ‘quod-quod-libet, he called it, what Austin had as
Symbolo!” Presentato da Marconi. Linceo. Altre opere: “L’organismo e
l’estetica della lingua italiana classica” Inventa il teletopo-metro, l’auto-le-meteoro-metro,
il tele-spiralo-grafo, ecc. Il pan-tele-grafo-cerobotani o tele-grafo
fac-simile, cioè apparecchio a comunicare immediatamente e per via elettrica il
movimento di una penna scrivente o disegnante ad altre comunque distanti.
Emise idee sulla tele-grafia multipla. Fonda il Club elettro-tecnico, coll’intervento
della regia Legazione italiana. Inventa il tele-topo-metro, uno strumento che
serve misurare la distanza tra due punti. Altre opere: 'La tachimetria senza
stadia'. Fa costruire una stazione meteorological. Amico di Marconi. Riesce a
trasmettere La Divina Commedia a 600 km di distanza. Nel settore della
geodesia, inventa il teletopometro, un apparecchio che serve a misurare le
distanze fra due punti che sperimenta sulla marina da guerra. Inventa il nefo-metro,
per misurare le nubi. Costruzione di una stazione meteorologica automatizzata
nelle montagne del Caucaso. Questa stazione e dotata di strumentazione in grado
di comunicare le variazioni atmosferiche direttamente a Roma attraverso segnali
a radiofrequenza, ed era alimentata elettricamente con delle batterie che si
dovevano ricare ogni due o tre anni. Il teletopometro serve a misurare la
distanza tra un punto mobile ed un punto fisso. Il Santo Padre l’esegue la
misura della distanza tra la cupola della basilica di San Pietro e le stanze
papali. Il teletopometro fu usato a inizio secolo per eseguire i primi rilievi
topografici in Liguria, ed è stato soppiantato poi dal telemetro
monostatico. Inventore di un telegrafo a caratteri, che fu sperimentato
con successo tra Roma e Como. Inventa un ricevitore a caratteri senza filo, che
rende più docile il Coherer.Inventa una serie di strumenti per le miscurazioni,
come il autotelemetereografo e il tele-curvo-grafo. Inoltre, ha anche costruito
un pantelegrafo, ed è stato il primo a tentare una trasmissione radio inter-continentale,
esperimento che riuscì a Marconi. Il tele-autografo è uno strumento che sirve a
trasmettere un segno (disegno o scritto) a distanza. Costruì un teleautografo
che, con un penna, permetteva di comandare il moto di una penna ricevente,
comandata elettricamente. Grazie al suo apparecchio, riuscì a trasmettere un
segno a 600 chilometri di distanza. Il sistema di rilevazione della posizione
del pennino, e di comando, è completamente diverso da quello del pantelegrafo
Caselli. Nel settore della telefonia, inventa un selettore per una chiamata
individuale, per centralini telefonici e telegrafici inseriti in un circuito;
il 'Qui-Quo-Libet', oggi chiamato telegrafo stampante. il teletipografo, o
telefono scrivente, o telegrafo stampante. Il teletipografo è una macchina da
scrivere collegata ad un telegrafo, il quale a sua volta viene collegato ad una
ruota, il 'tipo', sul quale sono impresse le lettere dell'abecedario. In
trasmissione, l'operatore scrive sulla macchina da scrivere, e il telegrafo
invia una serie di impulsi elettrici che codificano il carattere inviato, come
nel codice morse. In ricezione, il telegrafo riceve gli impulsi, e, in base al
segno, comanda il 'tipo', con il quale viene stampato su carta il carattere
ricevuto. Lo stesso apparecchio è utilizzabile sia in ricezione che in
trasmissione, e sfrutta la normale linea telefonica. Questo strumento
permette di trasmettere un carattere alfanumerico ad una velocità di 450 segni
al minuto (più di 90 parole, come una normale macchina da scrivere dell'epoca),
e quindi tre volte superiore rispetto al codice morse. Usato per le
comunicazioni tra la Segreteria di Stato e gli uffici vaticani. Inventa
un orologio elettrico senza fili, capace di regolare il movimento di altri
orologi collegati con la stessa fonte d'energia. Studia la luce fredda.
La lampadina ad incandescenza sfrutta l'energia della corrente elettrica per
effetto Joule, mentre la luce fredda è luce generata sfruttando la corrente con
dei condensatori, in modo tale da eliminare il calore. Questo tipo di
illuminazione ha trovato impiego nelle lampade al neon. Lo stesso principio
della luce fredda è anche alla base della tele-visione. Altre opere: Direttorio
e Prontuario della Lingua Italiana. Dizionario biografico degli italiani UN
SAGGIO DELL’OPERA. Nervatura del periodare e dire classico italiano ( “I ( ) i.
ABBOZZI E LINEE I ) I l N DIRETTORIO E PRONTUARIO DELLA LINGUA ITALIANA sI:( 1
) NI ) ( ) ( i I, I S( H: I l 'I ( )1: I ANTICHI a) V 1, I ' ( ) N A “. 'I'
AI;. 'I'I l'. Vl. I; l 'I l'IN EI. I , l E i FROENAIO ( 'n i grande mov/r
, l'archi: o c', ''a / ) a italiana - (, e mesi da V /i ) i o / /i, le gio. a
m. ' - /Xivisione - . 1//a f, ggio in cem , l ’ abi/e, intangibile il valore
dimo, fra l ' - l ' 7 de /fo di scrittori gratissimi e figure rºt/or he, le
me/a/ore non sono la lingua - Voi : i stile senza la lingua - V)all'integrit. 1
del tessuto la psiche della lingua italiana - Via lingua italiana adopera al
risveglio del sopito genio italiano - Prima demolire e poi riedificare - L'una
e l'altra cosa dal Direttorio imp, ric a. miun senso da lingua, chi ct // ruga
a ſe la c/o cuzione può essere cosa convenzionale e arbitraria - . I mularne un
mom/i le//a ne va del /'intrinseco valore e della . ila importanza adunque e
valore ancora didattico del DIRETTORIO. Opportunissimo ad ogni pemma e gra -
devolissimo il PRONTUARIO l/aniera di la S (17 ) a 62. Sono agli
sgoccioli della povera vita mia, e sarebbe gran peccato se mancando questo uomo
mancasse anche quel po’ di bene che mi sono lavorato per la patria mia adorata.
sicura, un repertorio, l’archivio della sua bella lingua. Se niun’opera
dell'uomo può essere mai si conipletº e perfettº che non sia anche suscettibile
di modificazione e di ammenda, molto più devesi ciò affermare di un saggio
che vorrebbe aver cerche tutte le innumerevoli regioni e più riposte di una
lingua, e particolarmente di un saggio siffatto, il cui indirizzo. o dirò
meglio il cui voto Sarebbe di somministrare ordinatamente e con la scorta di
acconce riflessioni, le devizie, le grazie, e le pieghe tutre dell’italico
idioma. Sarebbe quindi temerità, milanteria a dargli nome di opera perfetta e
completa. Il modegi i.clo che per: in fronte, cioè, non altro che di semplice ABBOZZO
E DI LINEE vuole adunque temperare il malsuone che farebbe dirlo alla scoperta:
i) DIRETTORIO E PRONTUARIO. Uscito dall'aringo delle scuole, ove lo spirito
comincia sanamente a vedere, e prende triove forme, ed è avido di nuove cose,
ed agile e svelto si addestra ad imporare, lui tosto sollecito di lavorarmi mano
maro una certa maniera di altre tanti 'dde-Aic, un quante le discipli te nelle
quali l’ufficio mio portava che mi erudissi, e delle quali era vago. E così col
decorrere degli anni mi vennero riempiti parecchi vade-mrcum, sia delle Sacre
Scritture, sia della Morale e della dogmatica, e sia ancora delle cosidette
scienze esatte, della storia, di alcune lingue moderne e finalmente di una maniera
di scrivere dei nostri classici italiani, che mi º brava non solo diversa dalla
comune e vol gare d’oggidi, ma che mi piaceva e mi andava all’animo che nulla
più. Andò poi tanto nn , i 'anore, la delizia, la vigoria che veniva il sito
spirito dailo strid e ibri di quei gloriosi dei 300 e 500 che mi misi alla dura
di farini gia dentro terra, scandagliarne le ragioni ieg he, sapere dell’onde e
perchè di questo notevolissimo, sostanzialissirio divario, e presi subito a
sviscerarne tutti gli autori che quel l’Accademia slie il più bel fior ne coglie
i propone si come maestri di ;ingua ed ai quali dà nome di “classici”. II
l'ade-Meetini della linea italiana cresceva indi a dismisura, di che man in no
che si accumulava il materiale, anche l’aculeo della me, e venivº ogrori più
assottigliandosi, ghiotta come n'era, avi da vi più e brenese di elaborarsi
sicuri, costanti criteri qual che la m sria e lo stile del saggio classico si
fosse, mercè dei quali riconoscer ip os e I i s ! º º ci, sicuº, che giammai in
n saggio volgare e moderno. Sgom:onto e in caſi piacciº insieme a ripensare le
aspre fatiche Che con diuturnº i reità ho durate per anni ed ºnni, solo di
vederla a purtg di ragione e chiarirmi di quel tanto encomiato ma non mai
spiegato non so che. Stupendo, meraviglioso i tito quello che il lorno i.ll l I
l CAN/ A r ci lasciarono scritto un Varchi, un Bembo, un Cinonio, un
Corticelli, e molti altri. Sottili le disanime di un Bartoli, amplissime le
ricerche, gli si udi di un Gherardini, da sim fuor g . gr mi . Ai . le dissertazioni
di un Padre Cesari, ma dopo tutto ciò, dello scrivere classico non si è porta e
discussa altra cosa che gli accidenti e le apparenze dell’essere, non il suo
vero essere vitale, quidditativo, sostanziale. L'essere. ia ma, ura
dell’ELEGANZA si rii i ſino tuttavia og cilta, e cgili a loro hº e rºg, vi
i ce .re ch: i ganzo è al postutto un non so che. Ma è appunto questo non so
che che io voglio a tutt’uomo tor di mezzo, e farla intuire, non che sentire,
l'essenza, la quiddità immanente di quello che dicesi : Il ci º N / A.E
stimulato dall’ardore di questa idea tenacissima misi mano ad un lavoro arduo e
faticoso quanto niun’altro: mettere cioè a riscontro di tutti quegli infiniti
luoghi del 300 e 500 che più mi ferirono la medesima cosa detta mºdernar:ente. Riempiti
poi che mi vennero per siffatta guisa ben cento e cento fascicoli, e pºstº
luindi nenie a tute le più minuti circostanze del differire che fa il
linguaggio º di riº: d l 'ic : classico, mettendo di ogni luogo in rilievo
quelle voci, tutti quei momenti del logos, quelle curve, quelle pieghe, e
quella maniera di costrurre che è sol proprietà di ogni scrittura antica e
classica, di º cosa all’opposto niente cc:nsine º una cenna volgare e moderna
mi notai da prima di ogni penna classica, e di ogni stile, il mantene e
ripetersi inalterato, sia di un medesimo assetto e tornio periodale, sia di
certe singolarissime locuzioni: ci; mi sfuſi i denti qui.iti i s. a più i
ngo e la virtù 2 e di 3 ti - , ingr. l Ti s. “I e investigandone ad un tempo, e
quanto possibile acutamente, gli intimi rispetti e le più riposte correlazioni
logiche, mi vennero a non molto veduti e costantemente confermati tre ordini
distinti di quella cosa onde a mio senno di genera l’eleganza: e sono appunto
le parti della prima sezione di questo saggio. Cose di indole organica e che
più strettamente si rife riscotto al tessuto periodale: inversioni,
separazioni, compagini, locuzioni elittiche ecc. Parole e forni e notevoli, e
il cui retto uso adopera anche alla l'ila del DISCORSO e all'ossetto costruttivo.Verbi
e alcune altre voci generalmente note, ma dal cui retto uso alla elocuzione
garbo si deriva e vigoria. E' in 'b e º ci reggi e 1 in to gº e sº ort
che - - - - - - : - 'n - 1 v altri studi, altre sollecitudini me ne
impedivano, l’avrei già allora consegnato alle stampe, malgrado l’indole
del tempo che abborrisce dal cosidetto purismo. Era naturale che, compenetrato
come era di questo purismo, gli scritti che misi poi fuori intorno alle mie
elucubrazioni scientifiche º v-vºno essi pire ris mire del 300 e 500. A vedere
lo spirito al tutto singolare e diverso onde sono guidate le lettere d’oggidì,
basti ricordare come siano mal capitati i miei manoscritti, e come gli inca
ricari della stampa, non che loro andassero all’animo, ma neanche puº e re . p
v. i) , c gion di ssinpio, aveva scritto che quel litogo era oscuro che nulla
uscita vi si scorgea» (simile a : selle scura el la dii iita via era smarrita)
per la stampa si volle ritoccare e completare: a quel luogo era tanto oscuro
che.... ». E dove : i n sºn va che l in', se a condiscºndervi o se rimanerme ne
» (simile a : non Sap 'a che farsi. Se su 'i salisse o se si stesse, l3ecc.) iº
lo vidi inve: : : Inp. 1a così : non sapeva che cosa do vessi farc. Se vi
dovessi accondiscendere ecc. ). Dove: « nè questo già ner sancr farmi sl, al
viadon sss (tolto di peso dal Bartoli) si sta impò invece: nè questo già perchè
egli vi adoperasse sapere darmi o li dove ancora affermava di avere fatto a una
cosa a spasso », di « esserini pensato non so che di a arer cessato una mala
ventura º, di giºcº l'aiiiino a checchessia » ecc. ecc., oimè, dolente mè! che
invece mi freero dir el "vevo ! alla cosa al risseggio » che ci aveva
pensato di noti so che , che la mala l’entura era ceS Sgla o che aveva un’arimo
grande per ecc. . ! ! l: di questi pretesi titocchi ed ammende Sono
Sconciamente straziati e snaturati i miei manoscritti che si pubblicarono cella
mediazione di chi non aveva paia o di rivonica, i nº chi classici.E' quindi
agevole immaginare lo si to del mio animo (ora che fi palmente mi accingo a
pubblicarle queste mie fatiche giovanili) di frºnte all'indirizzo del mondo
linguistico d’oggidì. Forse si griderà al retrogrado, al pedante, che vuole
imporre cose vecchie e smesse, e rimettere sul mercato masserizie da rigattiere
e da cassoni. Ma ad enta di tutto ciò tri pensiero già ſin d’ora mi sorregge e
mi conforta, ed è che di questo saggio, quantunque in contrario sia per
seguirne, col l’immensa copia di esempi tolti dai saggi mastri, e di ogni forma
e di ogni stile, riun critico, per acre e spiacevole, potrà mai impugnarne il
lato DlMOSTRATIVO, che cioè il Glamiera di Scrivere degli antichi è gitelia che
ti si dimostre, ed è altra dalla comune e volgare dei mestri giorni. E qui
lascio la parola a nomi autorevolissimi, e prima a quell’entusiasta che fu del
300 e 500, l’abate Giuberti, il quale pieno di sdegno verso lo scrivere
moderno, lo dice, nel suo PRIMATO, senza una pietà al mondo. Pedestre,
terragnuolo, ermafrodita, evirato, senza nervo e colore, di mezza temperatura,
non si alza dal suolo e striscia per ordinario, allia e svolazza, non vola mai,
una fosca meteora, non un astro che scintilla. E più avanti si rifà all'affrontata,
e lo chiama scucito, sfibrato, spettinato, sregolato, scompaginato, rugginoso,
diluto, cascante, floscio, gretto, goffo, deforme, un bastardume: un intruglio,
un centone, un viluppo di brandelli, e ciarpe straniere, uno stile da fare
stomaco, spirito francese camuffato alla nostra le ecc. ecc. ), mentre, tutto
ammirazione e venerazione verso gli antichi prosegue e scrive: a Paiono talvolta
ritrarre gli aculei sentenziosi dei proverbi e le folgori dei profeti. Quanta
leggiadria e gentilezza non annidassero nel maschio petto di quegli uomini a
cui la schifiltà moderna dà il nome di barbari! In quella era vera coltura Ciò
che oggi chiamasi coltura è in molti piuttosto un'attillata barbarie. Anche il
laconico ma forbitissimo Gozzi lamenta che l'Italia non sa più come parli e
ognuno che scrive fa come vuole, una fiera dove corrono tutte le nazioni e dove
tutti i linguaggi si sentono. S’impa racchi a II n a I l m g II a S m 0 I I i C
a td e tr 0 Il Cd, S e Il I a a r red 0, S e n 1 a 0 n 0 re, St 0 p er di re S
e Il I d l ibertà e dà quindi sulla voce agli scrittorelli senza studio e
fatica necessaria ad acquistare un sicuro possedimento di quella lingua in cui
si scrive, i quali scrittorelli non avendola per infingardaggine curata mai,
atterriscono tutti col dire, che essa è inutile e col farsi beffe di chi vi li
a p er d II t 0 d e II tr 0 gli 0 C C h i. Il melodico e terso Salvini deplora
esso pure i traviamenti letterari dei suoi tempi, presagisce e nota. Guai alla
lingua italiana, quando sarà perduta affatto a quei primi padri la riverenza!
Darassi in una babilonia di stili e di favelle orribili, ognuno farà testo
nella lingua, inonderanno i solecismi e si farà un gergo e un mescuglio
barbarissimo. Chi non sa che il grande Davanzati, è una maestà, un portento in
opera di lingua? Ma ecco come alloguisce coloro che già ai suoi tempi facevano
a fidanza con lo studio e con l’uso della lingua. Fingete di vederla (la nostra
antica favella) dinanzi a voi quì comparire in figura di nobilissima donna,
maravigliosamente adornata, con la faccia in sè bella, quanto amorevole, ma
ferita sconciamente, e travolta le sue fattezze e tutta laida di fango, e che
ella vi dica piangendo e vergognando. Guai a me, che straziata sì m’hanno, come
voi, quì mi vedete, quelle mani straniere.
Io vi chieggo mercè. E ora sia lecito anche a me, sotto l’egida e fra le
trincee di questi valorosi, di dire brevemente quello che ne sento, ciò è
a dire chiarirci di alcune idee, ed anche discorrere l’opportunità ed il valore
non solo dimostrativo, ma anche didattico di questo DIRETTORIO. Asserendo che
nei dettati alla moderna non vi sento quella leggiadria, quel garbo, quel
candore, quel non so che di soprasensibile che regli antichi, non è già mia
intenzione di censurarne le alte concezioni e menomarne comechessia il valore e
la spigliatezza, e sia nella scelta e convenienza delle metafore e delle
immagini, sia nella vivacità e pompa delle descrizioni, e sia in questa o quella
cosa, che del resto, i cn è, vi , p v': c velli rs it:li no, ma che può essere
comune e sº bene neiie in altre lingue. Se l’essere, il valore di una lingua
dimorasse sol nei vocaboli e nelle figure rettoriche, cioè ièci traslati, nelle
metafore e nelle immagini, non sarebbe l'idioma, e ne andrebbe del carattere
non ch’altro e dell’estetica della lingua in quanto lingua le varie lingue
tornerebbero ad una, e renderebbero immagine di III la sola cantilena che sia
suonata ora con uno, ora così altro istrumento, differendo l’una dal l’altra
solo quanto può differire il suon di una tromba da quello di : 1) : l ri: ti:
.I e concezioni, il modo di pensare, la disposizione e l’ordine del le idee
sono di una persona che ne ha la lingua, non altro che il suo stile, cioè un
fatto suo individuale, una maniera di DISCORRERE secondo intende e sente. Come
non può essere che un uomo si cessi la sua individualità e ne prenda un’altra,
così sarebbe opera disperata chi si affidasse di pigliarsi lo stile d’altri. Ma
la cosa che negli ameni dettati degli antichi si impone alla nostra ammirazione
e vuol essere oggetto di considerazione e di stu si o, è l'intrinsec. e sei le
ferma sostanziale, c S nip e la medesima, di qualsivoglia stile, dalla quale
allo spirito più che al senso quella soavità viene cottel diletto che mal si
cercherebbe nella materialità delle voci, è la grazia, quel vago ascoso e
nudico onde ogni stile torna a quello che dicesi stile elegante: simile alla
luce che, mentre senza di essa ogni cosa è spenta e al senso della vista non è
solo che un suo raggio apparisca, la natura tutta subitamente risveglia, e alle
molteplici individualità del visibile dà vita e vigoria di ghºzzo infinito, la
lingua è rispetto allo stile quello che la luce, la forma sostanziale delle
cose, rispetto alle individualità. Comr l’origine e l’essere di tutte le
infinite individualità della luce, le quali sono perchè sono i sensi, è un
solo, oltre la barriera dei sensi e fuori di cifra, fuori della ragion di
quantità, fuori delle angustie delle individualità, e come al -
tresì la sostanza delle cose è costantemente e universalmente
una, inaccessibile ai sensi, e, come che essa pure non sia ai sensi
che per le sue individualità, cioè per quello che dicesi materia seconda,
specie od accidenti, ell’è tuttavia ben altra cosa che le infinite sue
individualità, così l’essenza della vera lingua non può essere che costantemente
UNA, un “non so che” di soprasensibile, quantunque ai sensi svariatissima nelle
sue individualità, che sono appunto quello che ha nome stile. Si parla di stile
più o meno elegante, più o meno piacevole, ma non si pon mente alla ragione
intrinseca di quel grato che per lo stile allo spirito si deriva, il quale, non
nella materialità dello stile, ma bensì nell’intima vitalità della lingua
essenzialmente dimora; simile al vago della bella natura, di cui più che il
senso lo spirito nostro si diletta, e che non dal sensibile si genera e dagli
accidenti, ma da quel l’occulto che ne è l’essenza vera, il principio di vita. E
poichè ci venne dato nei veri della natura, notisi ancora una acutissima
considerazione onde la natura stessa ci è maestra, che cioè come cosa qualsiasi
non può essere individualità di una forma sostanziale ove ne manchi la sostanza
(a cagion d’esempio individualità del l'oro, del legno. ove manchi la sostanza
dell’uno e dell’altro, individualità di un essere sia vegetale che animale ove
manchi la vita) così non solo non può essere lo stile di una lingua stile
elegante, ma addirittura non ci può essere stile veruno ove manchi la lingua.l:
ora si capirà anche meglio l’eff to di soc”:inzi. . he cioè la natura, la forma
sostanziale di una lingua, e più che di ogni altra della nostra cara lingua
italiana, nei cui visceri ogni cosa è vita, delizia, soa vità e pace, è ben
altra cosa della materialità dei vocaboli, sia nel proprio che nel traslato,
non altrimenti che di un ricamo, di un disegno il cui pregio agli occhi della
mente nulla si muta mutandosene la materia. Che monta all’estetica, al valore
architettonico, al concento delle linee di un monumento, di un edificio, l’essere
costruito più tosto con una che con altra pietra? Siano pur preziose le parti
organiche di un essere vivente quanto si vuole, che giova se vi manca la vita?
Di Apelle si narra che, invitato da un giovane pittore a dare il suo giudi zio
intorno all’effige della bella Elena, esclamasse. Non la hai saputo fare bella,
l'hai fatta ricca. Metto pegno che chi discorre queste pagine e non ha colºu' º
di lettere altro che moderna, gli nar di tre o mare, di sm morire, e poco si
tiene che non mi mandi con Dio e mi dia anche nonne di esaltato e di
sofisticone. Non meraviglio. Il medesimo sarebbe di chi è abituato alle cantilene
da villanzoni o solo alle canzonette da piazza e da trivio e
altri volesse di punto in bianco ringentilire il suo udito volgare e
bastardo, e recarlo per niun’altra via che tessendone gli elogi, a dilettarsi
delle grazie vereconde di un Pergolese, delle profondità pottoniche di un
Palestrina, di un Orlando di Lasso, dei portenti delle fughe di un Bach, delle
poderosità melodiche di un Beethoven, di un Heyden, di un Haendel: od anche di
chi non vede più là delle Sorde larve e Sozze di certe oleografie, più i degli
imbratti di un pennello pedestre e terragnuolo, ed altri ne deplorasse la
decadenza, lamentasse le turpitudini volgari e moderne a petto delle inarrivabili
sublimità degli antichi in opera di pittura e di scultura. Ah! siamo sinceri, e
confessiamo ch’è oggimai agonizzante la psiche del metafisico e dell’estetico,
e non che sopito il senno antico, ma anche il senso del genio e del bello che
irradia nelle opere dei nostri padri, è oggi a termini del più miserando
languore. Che altro ci rimane adunque se non di por mano a tutti quei mezzi che
adoperano, secondo scrivono l'8artoli, Costa, Casati, ed al tri molti, alla
riforma, ad una sostanziale elaborazione del pensiero, ridestando e rivocando a
vita l’originale candore, il sopito e per poco spento genio italiano è l’elaborato
mentale, soggiunge a tal uopo Giuberti, è di sì intimo messo inoculato al
linguaggio, che sarebbe violato e guasto il concetto, ove la parola mutasse, o
l'ariasse un nonnulla. Nè altri opponga che se la bisogna sta come qui si
afferma, e si tratti veramente di guasto vitale e sostanziale più che organico
del l’umana intelligenza, vano sia per essere ed inefficace ogni umano conato,
e che solo il miracolo di una nuova creazione potrebbe ripararvi. Ma non è
così, ed è la cosa appunto che vuolsi ora sanamente ponderare. Non è vero che
lo spirito eletto dei nostri padri, la mente italiana sia il tuttº esiint: e lo
dimostrano i dettati e le opere più recenti di quei chiari nomi che sulle orme
dei gloriosi antichi, e frutto di dittti i rime fºriche, riverberano il genio
antico. O l’indole dei tempi, o i periodi delle invenzioni e delle macchine,
che fanno del pensiero fantasia, o il grido della ribellione al soprasensibile,
onde è incatenata la mente, l’ontologico dilegua, è in onore e si prende lo
scettro del magistero didattico, la menzogna dell’essere, il mondo dei sensi,
l’individuo, la materia, o questa o qual altra mai si fosse cagione, la mente nostra
è oggimai avvizzita e recata a una ciarpa, a un intruglio, il senso del vero e
dell’estetico sciancato, evirato, l’imaginativa incespicata, aggrovigliata, e
non è quindi non solo a stupire, se la maestà e la virtù dell’italico idioma
non è più sulle penne dei moderni dettatori, ma se è altresì e tal mente soffocato
il senso del vero essere della lingua italiana, che ne è misconosciuta e
recata a vilipendio l’alta virtù, ignorato vergognosamente il sublime lavorio
che questa lingua privilegiata mirabilmente adopera negli aringhi della vita
intellettuale. Con queste mie calde parole parmi di avere toccato dove veramente
ci duole e penso che saranno poi tanto più autorevoli in quanto esse collimano
coll’enfatico sentire di un Davanzati, di un Bartoli, di un Bembo, di un
Varchi, di un Salvini, e ultimamente di un Mamiani, di un Giuberti, e perfino
di quell’ammiratore delle nostre glorie letterarie, il grande Goethe. Non si
pensi poi che con queste affermazioni io mi lusinghi di avere senza più
conquistato il favore e l’omaggio di chi è fuori dell’orbita di queste ai suoi
sensi inesplorate regioni. Nò, non ho altro in animo che di agitzzarne la voglio,
e che si mett meno ti volt, quegli argomenti con cui inoltrarci, ed esplorarle
queste opulentissime regioni.Considerando la profondità e la vastità dei miei
studi in opera di lingua, ripensando le trite disamine di quanto trovasi
scritto su questo materia e rifacendomi mi oi ist cei eri che mi sei elaborato
intorno a quello che costituisce il fascino dell’eleganza, non mi perito di
asserire che codesto mio DIRETTORIO sarà per essere appunto il saggio
desiderato, quella scorta sicurº ed unica, quella palestra nella giale
addestrerº: chi vi si ºccire con i i rivocare l'avito sentire, le occulte virtù
dell’italico idioma. Con un terreno vergine e di fresco dissodato è agevol cosa
farvi di buoni seminati, ed anche conseguire sana e coniosa messe. Ma se il
terreno è stracco, illanguidito, e per male erbe che vi crebbero im bastardito.
nulla giova il farvi ritrove seminagioni; gli è mestieri estir parne dapprima
la zizania, ucciderne i parassiti e non prima riseminarvi in sulla vanga che
non sia accuratamente purgato e risanato. Anche con un corpo ammalato di febbre
maligna e male in essere di visceri e di stomaco nulla approderebbero, anzi
guasterebbero, i corro boranti e le vivande, se mercè di opportuni farmaci non
sia stato prima guarito di ogni male e tornato perfettamente sano. E così è di
chi si disponesse a ricevere nuovi semi di quella lingua che egli non può nè sentire
nè ipperire perchè il suo senso, rigoglioso tuttavia di cesti e mºssº bestardº,
non può altro che sdegnare e ribellarsene, o di chi volesse nutrirsi di quei
cibi prelibati che gli ammaniscono le letture antiche e classiche, essendone lo
stomaco ricalcitrante, come quello che lº paciucche volgari e mederne hanno
viziato e guasto. Sarà dunque opportuno, chi veramente vuole rigenerare e
tornare t:sso e si misuoo Ioio top cluoulli, il lusi li op lºI033. Osloo
lº ::.looue liuis o oltu l ' ºssige il gp o ti lº si p ºsòssi pilºp ºliº ºpei
.l. It us el ' i' i ti - e ! ss outigui illuu.ioldsoul Oiesstv. Un li vº: i bl)
ºl! Sº! ).le daiºlº slioni i euuuo5 oliomb u lius sºli o i M o duº lºop i silos
gllep luo!. ilo Ao olloilo,S Ip lo33s o lo s ſ olt.loqt lº 0 ai i ti: osto
o.lilt: uou o 55eniull ouuuun, Ilop ollos e o uuuoò il AS o ºlsiiqo. OI -toni
civili lonn 'ouo; o il 9 AIR alloni si sn p op su o!! ). Il ti -Issºlº 3 atlº,
lui: ºtti.lo ol olodlu o l illoulillº ºa so Qrº uviu :I i poi il tt i tr.
ss Lt: lº), ci uo:t., e o isoluo5 eu o optAn.. ui, oggi, i 'ti i ti: : ti io lº
t:l lido su tre et 't i3: lIou 'Il 2005U )It is It ul it e sul i ti cieloiti i
lili è il trilos i luopll S i tit il sot! ti) º il lo, st 3, 8 l.it, º t ti
3llit 8 º A i el: tlii lp 't ult: ulti del 9 l lu ti iº - il so, si
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soli º in l It:ISS º o loti u - Rutp li ºt toº , ti o, i poi tu º 3 lt è
loM o.lgIl lli t..li) op. N..lo slp : 01S , clti, pu Sclip ci , i Ip º lossº
t'il pº 'it:5 s : i isl il pºp OiiSAS º al! Se oè , si va 1 otIº tifos . º ºlio
p : 0.it tios oso.I -05! A osio; op: i n.lip top t millus G, i tº o 3 As il il
3 osseti lap ei liti in el o Isoi cui il bis '09: loui.it o!!isso) ſi è is
'Glös tipicº -.10ul ti o º lill A i , 5 ti! Sii ! s ºu ( olis 10S il q.li i
ſiti allº guas iA liliti Il ci º ! A O, 0i) (ſili) i lº!a il p iù.tvi336 | Il
ſul SI, riu aus ottiliº I iosi pe.oſse.I l º d lp Girl: Iº tunio.lui uli olei è
eluoul el gu: A è tºiplit ; o tiri uſi :p 3iiiiSpo otto i p up:I o Aoati olsanb
Ip 3Juulo n.ISUS | E.li o illo5 luntti iiiis ol.Iodp e oilun W
o S.- “Si - Si – s S. S - S 2 s - s- S 2 s. Cose di indole organica
e che più strettamente si riferiscono al tessuto periodale Il grato e
l’efficacia del dire dimora assai volte più che nel valore dei vocaboli e delle
l gla o ini) tali lui,ppi: Rida A au ºi i tg ei p ..iiil I pil, ivi op oi il I
attº cul.o, ind oilºni -lallagui gi! A p ! .lvi 5i A º 3 op.It: ci.vt mt! pſ.
I; ii ti Iguas sº Aoin:il nr. - i s Istºnli a reput. 5 o islip i 51
o 3: Ss li Ili oipnlS ossenb oput ºss ºi i IIIess: lp Oliput ouvs 1: i su Ifil
si al c. 5 i .In 15i giri i rp :5ucu. li odita, uno º Iovi ouault: sti: è o
niti : ti; olio; Itzu Io ip a ol! Ilds OI aulluas Ip o piis lgido opuali ti
OIAi() .L.: St | (l Gisonb Ip guided uso 'ofoni dr5 lui ig.it, i Jr. sp: l o ,
aiuougers -ued eua3del loo eliricituo3 oood : oSod il mio zn glpo. I p o
puoizilouºp Ip riodo esami ottº oro:ni oirs e insis AIA e W ologIpo o
Soduco l oillouap bus Uieto n. . nip o Ies gipol.I riolle pº oluopeA lap
e Cisgiº Iap 5 i5sti p .s. p r , iº le p.It, i gol q -uoo 'oullios
opinismq Ons Iap oua.I.io II euil. Iddrp o Iri Ind otte! Ieri i pure
di vertiginosi cicli, e di un tempo oltre ogni misura, e di cui niun atto,
niuna parte potrebbe mai mutare senza guastarne l’equilibrio, la Pace. Lungi da
me la pazza ipotesi, la chimera del così detto equivalente meccanico, ma è pur
cosa ſi afes iter d’ogni dubbio che la vita, il principio semplice di un corpo
animale non è, e non può essere sorza i qualitative e ri e che gii è (are a ciò
di si intimo nesso coll’integrità del tessuto organico, che tanto sol che
intristisca questo f 12 f.f. º gt eii, i si.. i tiri i d . -, uf,3 giui tura o
cosa qualsiasi anche minima, non solo ne soffre l’organismo, ma talora si
spegne, è finita la vita stessa animale. E altrettale è appunto della bella,
delicatissima lingua nostra italiana. Ne va del valore intrinseco e della vita
non ch’altro, ove sia ignorato o male osservato il retto uso di certe
articolazioni e particelle, o o sia a la siruttura e la curva sconciata,
l’ordine dell’azione traviato, e l’occulto di certe voci previlegiate mal sentito
od esso pure ignorato. E qui non accade ch’io ne dica di più, che con queste
parole e coll’anzidetto ti è ora molto bene palese quello che il DIRETTORIO
vuol darti, ed anche come usarne rettamente ed utilmente. Non dovremo poi
starci contenti all’esserne soltanto risanati, del guasto sentire e dei torti
appetiti, ma saremo anche vaghi di avere a nostro piacere e commando e
avvenendo di trovarci sulla penna le grazie, le dovizie di questa lingua troppo
cara e più che aitre efficacissima e poderosa. Ed ecco che a tal uopo ti verrà
assai volte opportuno ed utilissimo il PRONTUARIO, che fa seguito al Dl RETTORIO,
e col quale si completa l’ardito torneo di questa mia palestra. Mentre col
DIRETTORIO, cioè collo studio assiduo sulle linee del medesimo, ti troverai la
mente uscire gagliarda e serena dai vincigli di una morbosa rigidità, e la
parola altresì più leggiadra nelle forme, e nei movimenti agile e destra, il
PRONTUARIO sarà per ogni penna vuoi da ringhiera, vuoi da pergamo, vuoi da
effemeridi, o che altro mai, fornitore, ove bisogni, di costrutti classici e di
un corredo di lingua proprio di quella cosa che altri venisse ragionando. Ed
ecco come ne userai. Ti farai a quella parola, verbo o sostantivo che hai sulla
penna, ed anche al nome di quel tema, cosa, luogo, fatto, forza, passione,
virtù, vizio, arte, disciplina onde prendi a ragionare, e il PRON TUARIO ti
darà tutto quello che ti bisogna, cemento grammaticale e materiale di lingua.
ii fornirà di ogni idea generale un copioso corredo di vocaboli e di modi di
dire con brevi istruzioni ed esempi che ti ammoniscano come e quando
rettamente adoperarli. Ti dirà quale verbo o predicato sia proprio o meglio convenga
a quel tal nome, cioè alla cosa di cui è nome, soggetto od oggetto che egli
sia, quale attributo all’uno e all’altro, quali epiteti, aggettivi od avverbi
deno tanti con proprietà di espressione la maniera o il grado di essere o di
agire. Ed anche ti dirà i nomi delle parti componenti ciò che ha parti, cioè a
dire come rettamente e con eletti vocaboli e propri denminare i componenti e le
attinenze di cosa qualsiasi. Ti fornirà da ultimo o più veramente vorrebbe
fornirti, e lo farà completamente quando sarà opera compiuta i vocaboli propri
di quella tal arte o professione, e così di puro ingegno come altresì di mano,
e degli affetti dell'animo, dell’esterno operare e del muoversi ed agire di
checchessia, e in ciascun argomento i particolari e propri modi di ragionarne,
usati nello scrivere che ne han fatto gli antichi, e dove questi ci mancano,
presi da quel che ne abbiamo in voce viva adope rati da maestri di buona
lingua. SAGGIO DIRETTORIO cioè ritagli di alcuni vapitoli delle sue
tre parti. S.- “Si - Si – s. S. S - S 2 s - s- S 2 s. Cose di indole organica e
che più strettamente si riferiscono al tessuto periodale. Il grato e l’efficacia
del dire dimora assai volte più che nel valore dei vocaboli e delle frasi,
in un certo spiro di virtù occulta, procedente vuoi da una singolare
disposizione e collocamento delle parole, vuoi da una certa forma
compaginativa, e vuoi finalmente da certi vezzi di finissimo intaglio, e di
raſſilature e tagli a corona. Ed ecco tracciati i quattro capi che ci
forniscono a larga mano il materiale di questa prima parte. Inversione e
separazione. Particelle e compagini a foggia ed uso classico. Virtù organica di
alcune altre voci. Locuzione elittica. Sel a aranzi o 1 , i cº II , N
cºrsi o 1 , i SEC.) NI) : ) ( ; I, I ANTI ('I I I SC'It I'l' To) RI E
('I, ASSI ("I Intendiamoci, non è del I per lui lo ch i l' igi I
lill e, ch' io voglia pur allegare esempi d’iperbuto. Non farei che ripeter
quello che ne hanno scritto ii ( il lio, il l'1 l . ll ( 1 li !li, il Zilli il
li, il Ct - il e tanti altri, i quali al postutto conchiudono che quegli
soltanto può giudicarne e servirsene rettamente che ha l’orecchio educato alla
scuola dei buoni scrittori. In opera di lettere e di estetica nè mi picco
di superiorità, nè mi darebbe mai l’animo di prolierirne giudizi, e nè anche di
elaborarne acute e sollili delinizioni con le ſa ad esempio il Tommaseo), e
molto meno di porgerne teorie e Ilorine da seguire. Uscirei dall’indole e scopo
di questo saggio, che è semplicemente quello di mostrare ordinatamente e con
grande copia di esempi il dicario che ella il linguaggio così dello classico e
quello di oggidi, ed anche di somministi al c. chi ne losse mai cugo, un modo
opportunissimo, collo studio cioè degli esempi, di rieccitare nei nostri pelli
lo spirito classico, e di tornare a quella forma di dire e di pensare che è la
le penne di quei grandi. Siavi di 11 11 I po' balo, che a litrios 1 a 1 lo
col vorrebbe prima far vedere come l'ordine inverso – L’INVERSIONE --, sia il
diritto o questo l’inverso, raccolgo solto questo capitolo, e Ini diviso
secondo un certo criterio buona copia di quel costrutti antichi, nei quali il
collocamento delle parole e l’accozzamento delle parti è altro dal colgare e
comune dei nostri giorni. Non è però il differire soltanto di un costrutto
antico, e come che egli sia, dal moderno, che ciecamente Ini Imuove ad
allegarlo e proporne lo studio, ma scelgo quelle maniere che sono più che altre
frequenti e più in uso appo i classici, e nelle quali il singolare costrutto è
qualità dirò così in lernet, e ormai al III sapore, ad il garbo che lº li a V
l'elolo a pezzi il dili al dolo. La sola TRASPOSIZIONE di questa o quella
particella p. es. non vi essere, non lo vedere, non vi rimanere, ecc. - a e ne,
la creslllla, per non o vi essere stata valevole gia sei anni che regnò (
doardo, la calca degli accorrenti allogava i vescovi e lav.: è necessario che
tu per niente a non rispondessi a persona, ma sempre acessi vista di non li
vedere e non ii udire l’irren: noi possiamo i ce le si avagali lettori di non
le motteggiare (gli al ll il a niere? a non vi prosperare? a non vi proteggere?
Segn.: si potrebbe a Ialun contenere di non se gli avventare egli stesso alla
vita? º Scull.: o una semplice inversione di parole umana cosa è aver
compassione degli allilli. Zali. . e me anche quel tanto a loro il vello il
fine, il li sono oggetto e materia di questo Caploio, ma quella trasposizionr e
inversione, onde al periodo, come si è detto, viene talora vaghezza ed anche
alla frase maggior forza e gravità: one che allore verullo, ch io mi sappia, le
abbia ma da quindi addiello rilevate, e messe in Vislia siccome prerogativa
dello scrivere antico e classico, lo è la cosa al punto che prendo io ora a
dimostrare, ma senza apparato e pompa veruna d lunghe e trite discussioni, e in
un forma semplice al possibile ed evidenlo. Ma prima di farmi a quest’opera
mia e di mostrare queste separazioni e dulle le altre cose di questo saggio
divisale in articoli, la mi di richiedere il le loro benevolo che gli piaccia di
rimanersi da ogni commento e giudizi sopra i singoli articoli, che a guardarli
lo singolo non sono allo che mini vie, ma di aver l’occhio a Illella gran massa
d'oro, della quale ogni articolo non vuol essere che una imponderabile
particella NON DER … CHE … MA in luogo di non perchè …ma … Ciò è a dire: il per
disgiunto dal clie e frammessovi l’oggetto o predicato. 1. ignal, o poco
pi illico irl cosl li e o per dar rassic , valido V. gl’illel'11lare clic
: non llll'olio cagione di ... lecchessia gl' Insulti e le Villalie che il ri
limiti gli lanciasse, ma il suo procedere indecoroso cec. esporrebbe il silo a
11 ello solo sopra cosi: non pºi clie ei mi dicesse insulto o rillania, ma
ecc. L'esperto il 1vece, o chi ha e sente le maniere antiche e classiche disgilige
il bell il l vigo assi Is e ci si non per insulto o rillania che ei mi i
licesse, il t.... Pochi esempi e basteranno a farlerle assaporare il
grato, ed anche inlerider e la relaliva il rip, rli - IliII1ento che niun
articolo, per esiguo, è cosa di sì poco momento che, a conserto di mille e
IIIille altre ond è forni ore codesto direttorio, non sia anch’esso un
argomento di vita, per quali lo II il loscopico, un umile virgulto di quell’albero
rigogliosissimo e poi il post che è il linguaggio classico. Signor mio,
io non vengo nella tua presenza per rendella ch’io attenda dell’ingiuria che nn
è stata ſul lat... ma... o 13occaccio. Nè questo già per saper d ai mi ch’egli
vi alopei disse che in quello s in arrimento non ci rimase al riso dai la
milo.... . l li..... smarri, ma pur di nsi per l'ergogna che per animi o che
gli bastasse a tanto, ſullosi cuore disse. Bartoli. Non opera ra per appello o
propensione che si sentisse a questa ed a quella cosa, ma pure a guida della
ragione e del placer di Ilio Cesari, Ed anche senza la correlazione di non e'
mai può talora aver luogo si alla disgi Illzi 11. Standosi adunque l’uggieri
nella camera, ed aspettando la donna, a rendo, o per la lice, durata o per cibo
saluto che nel nulla lo stresse, o forse per usanza, una grandissimo sole, gli
renne reali lui...... . I ; i carri . rispose che ben si ricordava che andalo
era ad albergare con la fante del maestro Mazzèo nella camera della quale area
bevuta acqua per gran se le ch'a rca a 13o crio.« e riponessegli l’anima sua
sicuramente in mano, chè ben potea farlo, per l'uomo santo e lollo che sapere:
lui 'Nsri e litrioli,Ed in generale, sempre che la cagione o non cagione. Il
1olivo, ocra sione di checchessia è l'oggetto stesso, non il rispellivo verbo,
si pºne primieramente quello a guida di per per cagione, per motivo,
quindi il relativo che e finalmente il verbo : sol per l'amore che io nutro per
le , non perchè io nutro ec e per i lucia le mia ch'io porto » ecc. ecc. Nolisi
da ultimo che la stessa forma per... che... può avere altresì forza di : per
quiet n lo ch . Al, i ciò sara : i i ben altro e più rile V al I ri-Si liti nel
[ . . lil. io il tv: i 1. ci zioni elillich r . Cilf: pronome relativo di
quello, questo, costui, tale, quanto, uno ecc. si disgiunge dalla voce cui si
attiene posponendolo al verbo e appar tenenza relativa al primo
inciso. a ... il sole è alto e la per lo i tignon, culi o cd ha tutte le
pietre asciulle: perchè tali parola 'slo lo sci di p ii , le ri sono che la mi
all in di tmzi li il solo l'abbia i ts ull, poi i n n . .. .. . I3oce. “ .
Quanti leggiadri gorani, li quali, non l'alli , ma Gallieno, Ip poci di li' o
li si illui puo di ri i no 1 li li all ' s NN, mi - la nullino lesinarono coi
lor per l en ll, con poter mi col ct mi ci che lº , la sera i 1 nºn lo appresso
nel l'alli o non lo conti on lli lo i passi li li a lo.e colui è più car o ai
ril , e più la mis, i se si un ali signori onorato con pl e mi gi o nolissimi i
cºsti letto, che poi il lom in roli parole dice, o a alli; 1 i cin (lo l i
gogna , l rol, il l mondo pi esºn le ed argomento assai , rielen le che le rii
li li la I l poi i lil si l anno nella leccia dei rizii i mise i rice'n li di
blu nel nulli . I 3 c.La speranza del per loro si è data a chi lo ruolo: e
colui l'ha per mio dono, che del suo peccato duole la l'odi.( nche di esse e il
conlessore nello in poi i la penitenza discreto. ll e alcuna cosa pruolº la re
o sos le me l'e' una persona, che non può l'alll rai o. IPassa V.Con questa
melajora e somma bi erità diciamo: uno aver dipinto 1) Anche la lingua
francese offre esempi di costruzione non guari dIsstmlle ; tel brllle au second
rang qui s'éclypse au premier. che dello o lalto ha cosa calzante per
l'appunto che non polea star me glio ». Davanzati. « Quando.... tal cosa verrà
ben falla che non si pensa . Dav. « Qualche gran fallo dee esser costui che
riballo mi putre o l?occ (coslui che.... dee essere. . .(Oggi si direbbe saper
di guerra o ragion di stato che fa lecito ciò che e utile. Il popolo la direbbe
un time in I)av. i gi ii) si | | il ll es .. si direbbe. E in colal guisa, non
senza grandissima utilità, per presto accorgi mento, fece coloro, rimane e
scherniti, che lui. Iogliendosi la penna, a rea il ('r('alli lo sch e l'm iro
so. I3 cc . E quello essere che era s'in aginò l?arſ. a 1)issele: non isl in
sti c. moglie mia, uomo tlcuno mai essere nostro amico, il quale la reggia on I
ro il nos/ I o cuoi e o, IP: Indolfini.co Colui non fate citt e Neri i tio. che
non rºtolo rirºre sul no e' lie / - di ilſilli. Quegli al bisogna di poco che
poco desidera ». Albertano. a 1 ssai son di quegli che a capital pena son
dannati, che non sono dai prigionieri con tanta guati liti sei riti . Rocc.a
Indò per questa selra gridando e chiamando a tal'ora tornando indietro, che elli
si crºllera in noi in zi di malare o lº scr.« E i ri si riduce rat no come a un
porto, in perocchè saperano che ('hristo ri remira, e non gli polerano andare
dietro in ogni luogo e ta lora crederano che fosse in un luogo, ch'egli era in
un altro ma vener, do in Iº e la mia. Cav. Solo Iddio sa i nostri occulti ed il
nostro fine, che il giudicio umano molto è fallace: che spesse volte tal cosa
ci parrà buona ch'è ria, e tal uomo ci pare rio ch'è buono Cav.rispose che
delle sue cose e ai nel suo rolere quel farne che più gli piacesse. Bocc. Propose
di rolere andare al mostra lo luogo, e di redere se ciò fosse rero che nel
sonno l'era pari lo . I3ore.a I)a Pietro martire a Solo quel lirario era che
già S. ( toslino futc, ct da Futu sfo mi al nicheo, suo maestro, a S. ( n
broſio: l'uno lullo fiori e legge rezze. l'altro frutti e saldezza , Dav.a l)i
I)icembre dicono che nulla nasce che si semini, pur semina o i zo, o fare in su
lui ranga. piselli e sul ri le fu mi . I)il V.a Quella potenza con ragione si
stima maggiore d'ogni altra, la quale con sussidio di minori mezzi può
conseguire più felice nºn lº il suo line o Segneri.a gitta l'ammo e tal pesce
li rerrà pigliato che ralfa il tributo per lite » (esari. ARTICOLO
(5 Due nomi, aggettivi od avverbi relativi ad un sol Soggetto 0 verb0 a)
Si separano frapponendovi il verbo. b) Anche il complemento indiretto
disgiungesi talora dal rispettivo diretto, pure frapponendovi i verbo. c)
Gli aggettivi si trovano talvolta framezzati dal sostantivo. \ l 1 g . .
. . l sl e silli, i - i scolla la, l I l: - Il l i pez, a il II iscir:
\l: : : ' s ." ; i viaggi chi blo s . . . . il liri . I
sing il il suº pensi li stili e li - si si i . II . Il li sºlº lirli resi i
vigli , sl 1 il II , Lici II l ' s l; in ºsservazioni. Vs sa sono
li al rialli , ss nel s', i rºssi , . maestri s , l. I li alll I
castigatori . I 3 . l: ln i ritiri il ' , con i tiri , l isp, N . . ll delle
sue cose era nel suº i , lei e quel farne cºl pari ai li pºrti ss i \
ella quale gran parte i ipoti di un de sui soldati \ l . i qui i rolli
per chi mi ieri sono, nel n. ilio alle donne stanno cli, agli ucnini, in
quanto, pii alle donne che ci il rion lui ii molto pati la rº e lungo, quando
si n : a 'sso si mossa la si l: Nali, lº si l ri'il miº l .l l ' i '', un
fiero i nº , l un forte . I 3, i . lº , i Trori i no, in luogo, le
loro i rom : mi stanchi. Il grossi piloti reni buoni .I)i ſanta ma i tiri lui e
di cosi nuova in i pieni ..... l3 o . E l appresso, questo non si lanci le la
rozza rocr' e rustica in con le il l e o il latili nel riclit NN, il ct oli
canto lire' i no mi tr Nl l o r , li suono, e nel cui calcoli e nelle cose
bellich cosi noti in come li lei i t. snc : lissim ſi l lira' il n. li mi
rilici e, in grandissimi ti i pomerili e con presti aliula nel lit... . I 3
c'e' I n uomo di scellerata vita e di corrotta, il quale lui chiamato le lo il
lla Alu Nsti e. lº ce.I' mi nella nostra città un grandioso in cui la nl e
ricco . l ore. A piè di una bellissima fontana e chiara, che nel giardino era,
a sluirsi se n'urnalò ». Bocc. Voi ordineremo onorevole compagnia di
buone donne, e anche di buoni uomini e forti, che li possano portare, e larci
cessare la gente ulosso. Cavalca. e questo addicenne che quanto è maggiore la
infermità e più puz zolenie, lanlo il medico, s' egli è buono, più s'appressa
all'inlermo, e di più si studia di guarirlo losſo. Cavalca. e (in cort disse
loro, il lil tulo come al rºssºro la re, e' eleggere atlcune buone persone e
fedeli che rendessero queste cose, sicchè. Cavalca. Essendosi tutto il bianco
vestimento e sottile loro appiccato alle ('t l'ni...... ». 13 ,:C.1ncora quegli
rampolli che sono occhiuli di molte e grosse gen me e spesse, impe occhè dore
sa di moltitudine delle gemme e spesse iri ſia l'abbondanza della genei a lira
rili. Cresc.« .... oltre al credere di chi non lo uli presto pati la loro val
ornato Giambillari.« Patira questo ignorante popolo e rozzo quelle lungherie, e
parere rallen le chi altra ra l il ll , un ali di uli I e . l): I V ill.1 rera
ad un'ora di sè stesso paura e della sua giovane la quale lullaria gli pur era
di reale e o lui oi so o del lupo si rangolare ... I3 cc « e oggi se fiore ho
di sapere e nome rie il più la rel si cl e lui gli ai 1 - ringhi, e roglio oggi
mai rimane mene o. I)avaliz.a Tu che di nascosta ch'ella era ed impercettibile.
la remule's li molti ' I rut / la bile il ricorut at i Neri Si.... , Stºgli.«
Non prima dir parola le rolle di correzione che dileguato si foss' ogni accusa
lorº. Sºgn.chi men riuſ ut I lui al lungo studio e sollecito da lui adoperarlo
in lui piccolo a rincere ogni pazioncello e Cesari.a Belli sono i fiori e
vezzosi; mi ai coni e dice il prorerbio, in mol no all In I l i non islam l),
no ... Silvi! i.a I greci panegirici ancora non ci amo mica una pura oziosa lode,
ed inutile ma..... . Salvini.a lalalore se questo spirito, di carità ma nca che
insieme le leniſti ed unite le irre in bici di ('ris lo blu / le e in orle qui
il li catal 'rc rºm ſono ut ſul rsi. S: il Villi.a lunque non li par questo
luogo buono, lorº iò si gran copia di erbe e si saporite, un fiume che mena i
più dolci pisciatelli di questi potesi ed assai, e alore non ci bazzica mollat
gen I e che ci possa i tr lui il miº r. I 'i l'el l/. NON … PRIMA … CHE .
. . . quando in luogo di : Il0ml . . . . prima che e quando a valore di : C0mle
prima . . . . ; come . . . . così . . II0Il Si toSto . . . . che . . . .;
appena . . . . che . il IIIala pcIld . . . . Che . . . ;Non selzi il l '
1 lo senso di co; il 'la li l' ' gl. , Inl \ 1 Il Sºl la colla illica l 'Inghi
e prol di sci i tagli, il lis , rag olio logica, la Virli, il vigo e l'uso
vario e rello di questa e di cento e cento alle singolarissime strutture, molto
più che se vi sono per avventura esempi di una forli alcun poco diversa, sono
questi, esempi di autori non alili hi, ma che solari lo hanno scritto sulle
orme degli antichi Inºltre colle scril ( Il re del 300 e 500 colesto I)il el
Iorio è veramente, e senza eccezione vertina, il sicuro Direttorio, e appena
che vi si trovi un sol esempio, che colmi il III e con i radisca. Mello
ſui due periodoli di origine antica e classica, con parole quasi egli li SI 'I
Il III non... prima... che... , ma che l' Illo e l'all si ass: il live si . e
la sala si li va il rialli si sia Il pi IIs li sl : non.. primat. che.. , e sia
l'on.le dell'ulio e dell'altro sigllili : l : I - Non lo volle prima al
suo cospello che egli si fosse pentito e avesse le testato il sile) fallo
no. Non venne prima al suo cospello che egli nel cuore con punse e sl ,
il sl 1 , ſtillo Mentre il vago del primo periodello consiste
manifestamente nella separazione dei due incisi della forma avverbiale
demolante precedenza di tempo: prima
che: lasciando cioè il che solo al posto
suo e antiponendo il prima, cioè avanti il verbo del primo inciso ed accanto
alla rispettiva negazione e parlicella negativa, non o nè che ella sia: nel
secondo pe riodello la stessa forma : non... prima.. che.., indica invece
simultaneità di azione, è ormai ci ripagilialiva che il lilli il ra lingua, e
orna al 'il II ra: con e prima...; come... prima: come pill los lo..; poichè
prima..., con '... così: ecc. Noli Irli esſendo il considerazioni che,
più che le mie parole, ſi darà materia di senſirle, non che di falle, il grillo,
la spontaneità del costrutto, la morbidezza e soavità della curva, il velluto
negli esempi che quì li allego. SSEM L'I DI UN : Il0Il . . . . prima . . .
. Che . . . . ed anche senza la negazione, I)I UN : prima . . . che …in luogo
della forma volgare : Il0m . . . prima che; oppure: . . . . prima che
Delºrm inò di non prima mi torri e a lui il riglia che egli gli arresse
alloltrinali e costumi ali ai la licati e I), v. 12.perche' essa rc i goſ n.
Nani e le lissº, si esse il piu' recel et lui ci al ogni suo comando: ma prima
non potei e che l e onl , inola lo Iosse in Purgatorio ». Doce.Mouli, a cui
rullo, col ti l'a 1 / i ti al cio: in prima all I o le c', che ella s in ſegnò
li reale i lielli di tiro …dirò come una di queste sui ti 'ºssº, il cosi l mi 1
e si lil e si mostri - li , osse lui ll , il ſei no, l'unº su di lui ci ti i
prima al N. nl I e il I moi ll rull: con dolla che i lioli di rºsse con sei il
I .lasciano slal e i pensieri....... e gli e li : i in I so mi ci li. che prima
siamo sli acchi, che i libici mi disposto, e apparecchio lo le cose oppo lui ne
( ('un l'ºliº e li ill ci , la r il .Prima prelerirebbe cioe' ini, l be tullo
il mondo, che Idilio fosse lºslini onio di falsità pure in un primº lo Iºr (ii
rel. a nè prima ri formò che il di s. gueul, 13oce. perchè messosi in cammino prima
non si listelle che in Londra per rºmanº o. I 3 cc.« rolle non solo disporre,
ma intera nºn le conchiudere il patrºn letali, nè prima reslò li lire che non
utlisse: l'in l?elier cui ci ritmi le Segr. 13 Così coperse lui nuli di
lell'utilull ºrti, di lui con lolla nel le mi pio, quando non prima di parola
le rolle di correziose, che dileguato si fosse ogni accusa lo re ... Segri.«
('osì comerse la nudità della Santrilotti at. a lui sopraggiunta presso una
fonte, quando non prima rimprororare la rolle di disonestà, che rili ralo si
fosse ciascun apostolo . Segni. I 1 .« e rolera parlargli, se ne scusò Luigi
per non arene licenza, nè prima lo rolle ascoltare che il generale l'a resse a
ciò licenziato, di che il cardinale ne prese grandissima edificazione ». ( es.«
Quiri riposatisi alquanto, non prima a larola andarono, che sei canzonette cºn
tale furono o. I3o c. 15.a Prima sofferirebbe d'esser e squal lato che tal cosa
contro l'onor del suo signore nè in sè nè in altri consentisse , Doce. ESEMPI DELLE
FORMI E COMPAGINATIVE, DIMOSTRANTI CONTEMI L’ORA NEITA I)I AZIONE
Il0II prima . . . . . l Il0Il . . . . . . I10Il Si toSto . . . . . che . . .
ilppella il IIIilla perla . . . . . EI) ANCII E DELLE EQUIVALENTI :
C0mle primiù . . . . ; C0mle . . . . prima . . . . ; come piuttosto
poichè prima . . . . ; come - . . . così . . . slli il tille V lgi l'I e
ci li Nlo che su bilo, che, ci . I . Non prima e libri al boillu lo il gºl in
cesto in lei l a che la cugion, della noi lo lei mi isºli a mio n li a ppoi i
re . I 3 .Il ct c'Ncat e 5 in bella , per ogni sorta di tici ll e non li di
prima Nºli - di alo uno che gli li o I il sºlo se mio lo sta la a lola . Caro.
l. Il ct: l tesle in tilt ne reni ſono i pi ppo, e il so il 1 l po'. Ne' non
prima la l rila che gli l'ha . I lav …l doll, che sarà, io li promello cli gli
non ne senti il prima l' al re', che lei riti liti e li isl il l il c . l 1 l'
. Idilio. lisse, li Il 1 li lo i cui, e non elilu il n 1 l o di lirilli, lo che
ſli si coni in tal il pil irli, e lº ri.e non elil, e li rile, l'intillnerali
la mia sl i il che il reti lo si l irolse al l l . in on lui ma i Nplut mi, su
bilo il n 1 l l .Non prima al talli lo ri mi li a mo di ril lo i ti noi, che lo
slo, Nlton no ci ri li di lui. I l at col 1. se non lo sº e nelle di ''I I I
nosissimi al ligut . Segl. Nè prima il rule o che pi ruppero in lullo da
disperati, in gen il il ct o. Se gliL'isl, Nso ( io li ho li sui bocca in
lesina lo conferma l'orch è mor prima , l lorº letto: \ un renis/is. el modo
ricºnles plagotn mi rotn linells. che nel rersell seguente soggiunse su bilo: \
un quid dia i : a lei le mili il l cle su lislam lidi resl rat clona le mih l'
. Segli. Inzi non prima r han con le rila una grazia alquanto spesiosi, ch'essi
pretendono tosto che lui lo il dì roi li dobbiate e accompagnar ne' corteggi, e
apportar ne' cocchi, e servire nelle anticamere ». Segn. \ on rel lissº io º
non prima io roglio, cominciare a parlare, che il Santo P ofele I)a riele mi
toglie le parole di bocca ». Se gli. Non prima riule ro ossequiosi sol lorni
eIlersi i mari alle loro pianle'. e tributarie stemperarsi le murole ai loro
palali: non prima sperimentarne a loro pro luminosa la molle, ombrato il
giorno, rugiadose le pietre, fe conda la solitudine, non prima cominciarono a
debellare i popoli con la forza o a premerli con l'impero, che si ribellarono
arrogantemente dal culto del vero Dio ecc. . Segn. Non prima contemplò quiri
assisa la forma pubblica di giudizio ap prestatosi a condannarlo, non prima i
giudici apparsi nel tribunale, non prima gli (ircustlori uscesi sui l os/ri,
nºn prima il popolo concorso (t)) ol lalamente a mirarlo, che non potendo più
reggere alla rergogna, ristelle un poco, e di poi, tra lo furiosamente uno
stile, si diº la mortr. Segn. Troppo indegna cosa è il reale e che non prima
risolva usi quelli donna, quel cittadino, quel catrali, re, o ai rºslire con
maggior sempli cità, o a con rersare con maggior riserbo, o di ricere con
maggior rili ratezza, che subito cento male lingue si ci fu zzino al
molleggiarli . Segli Non prima l'innocente colomba uscì fuor del nido, che
diede fra le ugne di un rapace sparriere . Segn.IIa un ingegno diabolico e
pronto, un proceder ſardo, un pati lar grare, un arriso subito, un ritratta i
si in su l la II, che non gli c prima messo un lascio innanzi che r la I l o a
lui la sua riſortolot o. Caro. « Non si tosto poi la riſolse in mano, che
la fece di sorpe ritornar gut ». Sºgli. E appena ebbe letto le predelle
parole, che li subito sopra di loro renne una luce con la n la chiarezza, che
essendo il rore nelle oscuro e' si redeano innanzi chiaramente come di bello di
chi ti o . Cavill a. ()uiri appena ) il che ecco l'ar male degli Areni, i quali
quali lo pl in al riale ro i nostri, diede l o l u llo insieme in col mal e
latin li li li . I 3: l'1. Appena egli posò il piede in terra, che mentre si
mira col (l'ul ll ' 'n i . quiri l'inchiolarono.... . Si gn.E a mala pena e
libe apri la la bocca, che gii , o rinò misert nºn le . l'iore 17.Ed appena
erano le parole della sua risposta ſimile, che ella Nºn li il tempo del mar
Iorire esser renulo o Docr'.a .... e'l figliuolo essendo andato per il n calino
per lat (lolcit. appena era il ferro entrato nella carne un'oncia che il porco
cominciò a gridare i Sacchi.« Appena si sollera ra un leggiero, diletica nºn lo
di senso negli animi i di un lierna raſo, di un Franco, di un lemºdello, che in
con lui nºn le I lilli ignuoli correrano chi ad allui)arsi nei ghiacci chi... .
Segn.« Appena era comparsa nel campo la generose (iiudillo che l'atlli subito quasi
alla risſa di un insolito, lune, rintser lilli incitmlali a si gran beltà ».
Segn.Il ralen l'uomo senza più tranti andare, come prima chlie tempo questo
racconlò.... ). I3cc ('.a riri sicuro che come prima addormenta lo ſi fossi
saresti slalo (tm mazzalo) ». ROCC. a dore egli come prima ebbe agio fece
al messere grandissima festa ». Docc. -. E in altro luogo ripel e il 13 cc. la
stessissima frase: « Ella, come prima el be agio fece il Saladino, grandissima
festa »..... la qual cosa come prima si udi per la Lombardia, lolse laul (li
credi lo o, (iiamb. “e promellendogli ancora largamente di levarsi in
aiuto suo. come egli prima possº in campagna . (iianl).la cui poichè prima ne
in lese, si son li prende i si. che…) . 3il 'l. « L (quila come piuttosto
di ciò s'accorso'. enl , è lui la sol lo sopra e così s'andò la (iiore, e con
togli il caso, lo pregò che... ... l'iorenz. e quando egli ci sarà, io lo me è
e come tu mi senti, cosi il ia en li ai r in questa cassa e se i ra i cl clen I
ro . I3 cc. con le prima, lº sl he . Come lu gii, disceso cosi il lil o I russe
. I 3 ('.Come ti ſei rola il sen li tono cosi se ne scese o alla sl 1 di lui lº
ce Come ride corre e al pozzo. cosi ricorerò in casa e se i rossi le uli o 3 )
.... per le quali parole il mio marito incolla nºn le s'allo nºn lo e' ccme al
lorni en la lo il set le cosi tipi e l'uscio e riense ne dem l'o, º slots si
con m cco e questo non la lla mai e lº il S.Come io giunsi ed ecco sopi arreni,
l'irl ro 13ore 19 NOte e Aggi U1 1 m te all' articolo 8 12)
Simile alla coes-ruzione tedesca: nicht eher... als.... Il luogo di ehe oppure
bevor, che sta per l' itero prima che,13, Quel non, che li i lo I r . I s-li
alti - Ilpi , a 1 lie della sesso Segneri, è lorse scivolato di liti per
il la ai valori e i Segneri, ai quale sapeva male, pensº io, o gli veniva del
guasto e dello storp Io a dire : che udisse. 14, l'oni Ine!lte il lesto e
i i pr . e le 11 e le 1 di . . . II, 'il:lo all'ait , si rassolini, li, i lle
11. Il perdori sl il 1. l)llº I – Il re 1 il ll li si , gol i . 15 Il
Corticelli si l plico Ia, il il 1 , par. 1 , se qui con le e di ragione,
imperocchè rilerenido, lo stesso - Impio, osserva che la par ticci la prima con
la negativa ha la proprieta di significare talvolta infi nattanto che, e talvolta
subito che. I - Il ll il 1 , si l: i 1ei la se conda parte di questo Inedesimo
al tiroio S. Mia che li citato non prima fol mi da se S lo frase o modo
avverbiale colli e vorrebbe e valga infin tanto che, non so cui possa Ilia I
capire nella 'lini , che il grato sente e intende (lei II l 'ti er-e III l i
lill 1. Il nel significato di infintanto che, lira Ilei la s partiz le due lil
- la l l'avverbi , prima che, tra li l'11 | tendov -: o li e -il-sogllita o
leve sllssegllire. 16 Qil - o prima 1 e 1 : :l'i; 1: de l eher li di
piuttosto, più presto. Ma ad ogni modo, resta sempre il grafo della di
sgiunzione e trasposizione dell'inciso che, 1, Binda che i ll'en III al
clie fa r , ti ra questa o qllelia for Inti in coInfronto di un'altra clle III
i dl o con i lille e volgare, non è In lo avviso che questa sia sempre lilello
bilonia, e sia la sli: 1 ter addlr IIura. \ che i Inodi tos:o che, subito che
non solo a ragi m d' s III pi - II: il 1 li che non ne usasse quando ben torni,
anche il I recenti e cinque º to Simile a questo subito che, IIIa in Iorma piu
gaia e pil ſorte è il da te si o ratto che: . . . . . . . ed r si lev o ratto
Ch', la ci vide passarsi (l: V: l Int ( m. 18) Al che i Latini usarono ut
i greci o snello stesso siglli l'rim.1 di passare a l alti e altri tazi,
i no: voglio qui rimanermi di ºsservare che (Il testº : come.... così..... è
ben altra cosa della forma coin. parativa, p. es., del sieguente passo : nè sia
chi ne stupisca , perche come l'uomo è vissuto cosi generalmente muore. Notisi però
che di questa forili º comparativa ai buoni scrittori piu che il diretto:
come... così..., a: a Va assil I lll'ill Ilio l'assetto in V clso:
cosi... come...; che cosi in alti e non come l'ho citato lo trovi questo
inedesimo passo nel testo originale del pil dre Seglieri: li siti e li I tre
still list il per le cosi l'ul, irlo lilllore generali Irelle, come è vissuto
n.Assaporalo il grata di codesta lli versi rime anche negli eseIl pi se gllenti
:Queste sono le operazioni (le l' ill: Ino: all III: estrº l e, a Irl III
ollire ...., l - gli cosi Coni e lº, il 1 lt il ſil 1 l. - - - - - - e ce , aci
per i re cosi lo III: i glie loro come lo Ilge gli ed intelligenza il ogli i
sa, e pera º norevole I l Ill sa.... » l' 1:1 lo l Illi.Io potrei cercare lulla
Siena e Ilol Ve ne troverei illmo, che cosi II i s.esse belle come il si .La li
la dre, che le tl , l ire l: I 1:. ll ll l: I g il va Il ferirla, poi, le le
seppe Il rito Il . dI S. l a no esco con lido che cosi or: la p 1 l el l e
l'Isll st 11: l III , I | 1, come , Zi l', i Vrebbe potuto risal lia l' iller
IIl l: illo . ll , cosi i ns, come gli 1 ll dal V a ntl gli si gel1 o 1 pl il
1, rot! S si III in id) , Il Irgli ». I3: l .« . . . . . . ll I II li assi. Il
ril . ll I 1:1 e-1 r il pil sapere di V ( I, cosi II slla l la legg . . I
1st a 1 il ss 1 vs 1 1, come voi ora il I persl 1: i let ss. l la s. l '
. I 3: l . e … se li , V . - ti . . ll cosi !) il liti e In Il lidosi come il l
V el'elil e la V il si , 13a l .« A Ilzi cosi il ssista Idcl I o il V revole il
Il le :is eri come i 1:ì ll pil II: i n1 il Se tl.Se l'uomo la il sottil I geg.
l lo i teli e lo chiali o, il salda me noria, loli se li puo e l'1, i re: le
cosi - : S I lllll liti de Vizi, come li virtll , . lPass: l V .lº, il vero ,
li , cosi come lei, il ... - Illesi: da li ll. I l il l re i ti li . . -. I 3 ,
i .“ . - - - - il ilse la V I rl I si sa delle liti . . . . per le cosi
come, lisa V Vedula trielite : so - ei 1, si via tre il - i l: spegnere
per o!: ºr i li ll li i' l I l: il ct , lì 11 . - lo Il Vila : “i sa slla
i livi gli in stra quella cosa la qual e egli ha più cara, a flernlando che se
egli potesse, cosi come questo, ma lto pit volentieri gli mostreria il suo
cuore », l?occ. “e che cosi fosse servita cosi ei come se sua propria moglie «
I (lsse ». I3C) ( ('.« . . . . . rispose che così era il vero come quello Irti
le aveva detto ». Fioretti.« E son certo che cosi a V verrebbe come voi dite,
dove così a ndasse la e bisogna come avvisate ». I3 a .« Ma non illte:ldendº
essa che questa fosse così l'ultima come era sta e ta la prima ». Bocc.e Sio
Irli conoscessi cosi li pietre preziose, come i ini, sarei e buon gioielliere
». I.ib Motl.19; Ho annesso agli ani e li liti in li Il testo esempi di un come
. . . . e...., e sì per mostrare l'allal - ia, mie a 1 he per rilevar e la
diffe renza. A cenlla bellsl 1 il l Il s.o come. . . . e. . . . alla con impara
nella di dlle atti, Ina Vi senti al che la relazione | 11:1 lo di: in quel
mentre, in quella che... , precisamente al fora. . ., e qlla ido, di quando. .
. , tanto. . . .; di che ti sia l all o p III , l i rili pari le lilli e si ra
. , il 1 e l'allegato, gli esempi che seguono:e IO Ini leva diritto, e come i i
vole: l IIIa ridare chi fosse, e che a Vesse, ed e . , Iri esser I.: Inler 1 1:
v. I l sul l . 1 litot e 2 , 3oCome noi pro lia il e s II h , a e ge')till III:
I mie!'e V ( Ing Il i : ll' ! ! li , , ( si ri.Come pili i vecchia la V . AV
relIl mio tilt li in li iori - : l:di. l il bit. ll e pill ripostigli, e più si
cerebb il le s II - , e come piti adoperate e liti per ferite e ! ti ve nio,
poi io che si lo i come le vesciche, le quali come pili solo lo rientate, e pii
- empiono ,. (.ar .()sserverai lili -1 e si pllo talora sotſi' il lil re, ti:
nel I e torni bene, e punto illlia n soffra il senso. l'rima di
uscire di questo come, cli i lili: lelli voci re Illonti sulle penne degli alti
li, p la eliri per il III : il clii il 7 Zii e collettivita, di completare e
mette e qui il Vppenali ll l a rigor di ordine s: rebbe materia del capit , i
gli ºli, , , , il ll li - Il pi l'1 ol':i, sia di un semplice come, che, - : l
li a lli I chi, lui ora Iorzi di siccome, poscia che, conci ossia che, subito
che, li quale il . col. . . quale, precedute dalle voci modo, via ecc., e quali
(lo di che, di finchè ed anche di quanto n 1 modi: come spesso, come presso?) e
talora lillalrilen e di im, con, di qual maniera, guisa e simili, sia de 'I I
riport come che, a valore quali ido, di avvegnache, I: I: Ido li in qualunque
marie ra che, e talora anche di uli semplice come ( siccome. “e com'è Illisse
di verilo e'l freddo gra il le, V eg. ) io l'ill l'e ll 11 di que” bacherozzoli
o F, ronz. a Come villan che egli era il canili, di lilltalli, gli illò
della s lll'e a sulla testa sì piacevolmente che … Fier liz. I concia -si: chè
egli era villa li , cosi ſi celido come si lol la r llli Villa lì
lì. ti e come colui che pi col l lev:I | Il ra a V V a 9. l 3 ct'.
“.. . . . un giorno verso la sera elitrò li ei gia i dilio illi: gi valle hella
e vistosi, come quella che Ioriº ita era di vestiti riti di seta e
d'argelli avea intorno le piu nuove ed is;uisite legge che si lisa-ser ,
(iozzi a .... e com'e' vedeva i lºlirici in posi, novella illelite ridava
all'arle º Bart. e dissegli che come nona sonasse il chiamasse» Bocca Come la
donna udi ques.o levatasi in pie, comincio a dire....» Doce. E dire il
vero, com'e' l: rai, Ild ri. Illesla (til lido ilz:i di l)io il lin llc, l'e, è
lllli il n. St gli...... e com'ei Ill iIII per li re, lei scaccia la... ft III
l'il' li lllllg , si eliſ on I ); i V.a Questo animale, come sentirà l'odo e
del pesce, ilscira fuori e con il a ciera a mi: ng la rsi di Ill peso 1 il ni ,
Fiºrenz.“ - - - - - - come pervennero alla città di Gaza li l iuoli
inlerinarolio si gra veli elite d'ulio Inc. rilo e le el'a ll lisleri It I l (
il Val 1. Io voglio andare a trovar modo come il s 1 di qlla elitro » lº - e
segretamente deliberero io che si dovesse trovare ogni via e ogni modo, come
poi sistro la r 1:1 ril e (ies Il Cav.... e da quivi innanzi penso sempre modo
e via come e glieli potesse ll l':ll'e o li l el'. … che per certo se p
ssibili fosse ad avere pi e ebbe come i il V esse » i 3 . li Il l . . . . . l
Ebbe l: nuova come (ialobal era il is l il V . .... come ti se lui spesso ad
Ira . . I3llon: i ferrilli!):l, come il cºlessi I ea voi? Vlessere, dlle tl):17
/ :ll di ma lo » 13 . In Itlal I l 'lieri, i 11: il prezzo).Come è il V , si ro
Il le? e il V I l come li, il 'll ? e lº quale, di ſlal lo fila . e . . . e di
li a 1 lo come li - : -st :: Il a I.:i giova:le, plai lig il , l ' s - .
ll avev. a - la li paglia nei a selva sli tirrita, i ri . I come presso lo ss o
il Vlag : :l, i cui I l bilo: ll il si se...... l3 e . I ) Iss i llora l:
i giova il lº come i l so io : l italizi presso di di ver il berga l' ? » I 3 i
.Veduti e gli allegati i seri ini i lil 1 | li i lisi di tiri come il form la
selm plice, passiamo ora agli esempi del collip - come che, in quell'lls , e
val( il chilo (li: i rizi: (*) Notale queste forme: come avete mom e ?
com'è il vostro nome ? Vostro padre corn e ha nome ? Sono st m.lli alle
tedesche ed inglesi: Wie heissen Sie ? Wi e ist der Name ? What is the
name ? ecc.Usane anche tu, e la sera il francesismo : come vi chiamate? ecc. e
simili. Si che l'ha anche il Boccaccio questo chiamarsi in significato di aver
nome, ma ne us a tm maniera ben diversa e più leggiadra, che non fa il moderno.
Esempio. « Domandò Giosefo un buon uomo, il quale a capo del ponte si sedea,
come qui vi si chiamasse. Al quale il buon uom , rispose : M a sera qui si
chiama il ponte all'oca ». I) al qual esempio ognuno intende che quel si non è
particella pronominale riferita a quivi, qui, ma sta per gente, uomo, on, man
th ey the people - e qui si chia:n a vuol dire: qui la gente dice, qui si dice,
qui tutti chiamano, o cosa stmlle. Di esempi del modo aver nome in luogo di
chiamarsi abbonda ogni libro classico : “ Beata Margherita fu fi gli uola d'uno
ch'ebbe nome Teodosio, Il quale era Patriarca ed era gentile uomo e adorav gli
Idoli . . . “ Cav. , ed io non Glan noto, ma Giuffredi ho nome Bocc. ec . - Nel
tempo d'un Imperatore pietoso e santissimo, il quale ebbe nome Teodosio Iu un
senatore della città di Roma, il quale ebbe nome An tigo no, uomo di grande
affare, e molto congiunto al detto Imperatore . . . Tolse questi mog te, una
donna, la quale ave a nome Eufrasia, donna religiosa, e molto temente l ddlo n.
CaV. 33 a) L'avverbio come che non ha quel senso di perciocche nel
quale tanto frequentemente è in bocca d'alcuno. Il suo natural
significato e d'avvegnache, ancora che, ben che (Bar toli). Notisi però che
anche in questo senso trovasi il piu SOVC Ilte, l) Ull al principio del
periodo, ma entro a questo acconciamente innestato. In testa al periodo
prelerilai: quantunque, quantunque volte, benche, avve gnaCChe ecc. «
AVVisando che dell'acqua, come che ella gli piacesse poco, trovereb º be in
ogni parte » Fierenz. “ ......e sempre che presso gli veniva quinlo poica
( n mano, come e che poca forza l'avesse, la lontanaval o 13o . " .
. . .. . ed oltre a questo, come che io sia al titº, io sono inoltro, colite «
gli altri, e con le voi vedete, io : io, i s a I r; i vec li a Lioce. º .
. . . . . il quale, come che II lotto - ingegnassi di pir, r , salito
:ier, º al flat ol' della fede e l'isi d l'1, i ra Ilon III . Il tono liv
st 1. alore di hi a piena a V ºa la b rsa e li li rli dI - ii a lei le s III
sse » l?occ. a Ella ll ( lilediCa Il li l' ', conne che li l s , il lit: i
rito, se la ll I li « fallo llli crede. 1 e esser III , I » I 3 t .« L'ira in
fervelllissili lo Il rore accenti si r.: ; e come che e questo -C Vento 1: egli
iol 1, 1, 1 a VV 11: 1, 1: là con ni:: :: : : danni s'è nelle donne Veillllº º
Bocc. º . . . . . . si è adoperato i 111a Iliera di ri . . . , come cime
inolfi il Liegano, a ( ( Il dann, a lido d'errore il dire.... » I3: l'I.
« ...... e come che gran moja nel cuor fi nis e, º eriza n. il tar viso, in
braccio la pose al famigliare e dissegli: te . .... 13 cc. « I Inalla
cosa è aver rimp.issione d gli : Il Il ti; e ceme che il claso una a persona
stea bene, a colori e mass III, III e 11 e 'I l ' st , ' quali.... » 13
r. b) Anche per comunque, in qualunque maniera, e ad i era lui si desimo
come che, scrive Il I al I l l', - lizia Illi. Il sospet lo d'errore.In questo
caso pero e il come non il come che) l'avverbio risolv: toile lei sului
(le111enti: in qualunque maniera, e ii che li e la rispettiva . giunzione o
pronome realivo, congiuntivº: nella quale ecc. o Nuovi tormenti e nuovi
torinºlltilt i Mli V gg , Ill. l'I1 , come che io, « mli Inuova, E come che lo
li li V l il.... » l)a ille. « Come che questo sia stato o no.... o lorº. a
Come che in processi di tempo s'avvelisso . Docc. « Come che loro venisse fatto
» l?occ. « Ora come che la superbia si li renali, o per l'un modo, o per
l'al.ro...» Passavanti.« Ma come ch'ella li governi e volga l?rili lavora per
me non tol la « mai » Petrarca. c) Notevole anche il come che dei
seguenti esempi, nei quali sia il valore di un complice come i siccome, «
E come che il povero corvo fosse persona antica e di gran ripºrta « zione.....,
molti lo venivano a visitare, e come si usa, pil con le parole « che con fatti,
ognuno gli profferiva e aiuto e favore ». l'iel'eliz. 3 - - -
- - - m: disposi a non voler più la dimestichezza di lui e per non averne
ragione, nè sua lettera, nè sula 1 Imbasciata più volli ricevere; come che io e
l'elo, se li lu fosse perseverato,..... veggendolo io consu « Illare,
colli e si fa la neve al sole, il limito dll r , proponilla mt , si sarebbe a
piegato » Boce. I3mila però che il come che di questi ed allrl siiiiili
esempi senza nu Intero, 11 , li si vuol leggere i dlli filo e pr . llllll iare
con quell'accento che il comme che a valore il quantunque, benchè, che sarebbe
imbra il o troppo rincrescevole e noi ne aver sti a lei in senso, ma
profferirlo in guisa che il come risalti e recli egli solo l'impronta di
siccome, im perocchè. La congiunzione che non ha qui a far nulla col come, nè
sta ad al.ro ulfficio, oliº di semplice collg Illizione o nesso di puro OrnaIlento,
e la portersene all'he l'Il rialle e', 'Irle appllll. , fece, tra l'altri, e
assai si velli e il lºlere:lzuola. (AIPITI'() I,() I [.. Particelle
e compagini a foggia ed uso classico; avverloi, cioè, col ngiu 11 azioni
e voci il n go - I nera n lo è o li in iu 11 i valore altro cl neº rela a tivo,
1 r) a tu ltto i 1 n t rii msec », i1 in in nea 1 nerì te Clirò cosi, e il nero
1 i te al costruutto, con i lcº il gran to del tcsst 1to l crio la ale, il va
ago . lo il coro lit collega - 1T nel nto gli slo: nrtite i lec .
Ad alculle di sili. Il l Irella l. I li gi i tiri lici li nomine di 1 - pieno,
e ci sono ce le colali particel. . . . ess, proprie della lingua toscana, le
quali, oli e il 11 11 11 -si l i i s ll la III , il alla tela gl a - Intili: Ile,
clie pi l'eblo sl. 1' st 117 -s . l II l' - I lil a cle aggli Ingallo a -
l'orazione forza, grazil. ori a 111 mil . . . se li n . I ro. Il cerla maliva
pr - prietà di linguaggio ... C. rl Icelli. CIl mio ed altri. Ma vorrei
qui rilevare che codesti autori fanno appunto oggetto di particolare
osservazione le l ' Vlt i l (..l'.I l .E che non inati, o ti ifici o altro cile
di ornamento e di ripieno; men .re le l ' V l l I ( I, I l l. e 4 t ) , il V º
il N I, e le V ( ) ( 'I IN (i I, NIEI è VI ,E, di cui e parola in questo e in
altri capitoli del I)II E I'l'ORl(), sono argomento di studio da quindi
addietro al tutto igno rato e assai più rilevante che non sia cosa puramen le
ori:arm2miale, come quello che adopera all'origitial candore e alia NEI VA I V
del perio dare classic. NON SI (tanto) . . . CiiE NON . . . Per
squadernare che io faccia un libro, il derio di penna volgare o colta, a gran
pena ch'io vi Irovi pure il periodo a lornia e sll'ulltila clie negli esempi
che qui ſi allego. E dire ci clia è si bella, strella, evidente e di un garbo
tutto ilaliano ! L'ebbero a grado assai ed usarolila di Irequente
scrittori non pur del [recento ma e ti i cinquecento ed anche dei piu recenti,
– di età cioè, non di sonno e di ullura, ch'ella è antica e non invecchia
mai. ltisport pressa poi al 11 sl 1 o : per quanto... lulla via..., e
talora a 11 ne ai cori e tali vo: qui un lo... all.rellan lo.... Cili è però
mestieri di ben altri, i lilo a 1 il ri: il lique suscellibile sia dell'uno che
dell'altro 1 ggi il coinvºlte i Sy Pochi esempi, ma quanto basti ad
aguzzarlene l'appetito: .... e le giustizial to a sioni in calesine in
diverse lor pan li debbono a re e al rei si nun li, nè si l ruora alcuno
muri e o cosi bello e leggiadro, che ustio li', pur intenſe non luiuslidisca e
generi sazietà . Varchi. E dunqu su penso che l'osse un re libero di carila,
che non è si poco site noti avarizi, e , a lui pia, che li lle le cose ci
colle, onde ella di mld l'a, più te, e l'uni, e in . ch ella non la ceca se
medesima . Cavalca. .... m. a e la loro si alla lo alla mia che una
paroluzza si che la non si può dire, che fiori si senta o. liocc.
....pei e che mai uomo non mi vuol si sce, e lo parla e che egli non roglia la
sia pari udu e, e se ci cruene che... i 13ove..... Mi ss, i disse la donna, il
giovane con che alle il laccio non so, ma egli non e un casa uscio si serrate,
che come egli il tlocca non s a lui a ... I c.percio, che egli non c alcun si o
bito, al quale io non ardisca di da ciò cl, bisogna, ne si lui o o zolico che
io non annoi bidisca l'ºnº r, il il di ciò che io cori di litrº.il in ii ......
ancora che egli non loss mollo chiuti o il dì, ed egli s ci sº in sso il
cappuccio in util: li li occhi, non si seppe si , io ci o cali non posso
prestamente conosciuto dalla donna - lº no: si p co che oltre a diecimila
dobbre non calesse e lº ins, s. capelletto: Messer lo piale, non dil cosi, io
non mi onirs se ne tatto e le nè si spesso, che i sempre non mi i colºssi i sa,
i n i 'mente di lulli i miei in rili. che io mi ricordassi dal ci, ci e, a qui,
in lino a quello che con lº stilo mi sºnº i 80 t . ve mai enti e così ci rendo
cedrete coi, niuna spesa lalla si ſnºdº, è si s., lo sa, ne tanto magnifica,
che ella non sia di molli, per molli mancatinenti, biasimarla l' º '.e 1,i, il
re in guardi, che i cari sia le nulle si lº lui il li) con l rul 'lo alla fase
a degli uomini quanto l'ºrº ristº: niuna è si chiut l'ut (' eccci fetil e in la
quale non stia oscura, e sconosciutº sºlº l'u n'atrizia ». l', i licli il . - -
E la chi potremo noi lidire' più il vero, che da voi, il quale si"
riputato sion tanto spendente che in roi non slot onesta mºsso" " si
le massaie, tale che non dobbiale ºsserº reputato liberale? ». andolº. si eli,
a I, sperar mi ero cºſiº I)i quella ſera la gaietta pelle. ; del I n po , la
dolce slogionº, Ma non si, che paura non mi dºssº La rista che mi apparre di un
lºrº º l)ante. - - - - - i vini campo, fu mai si ben collirottº, che in esso º
orticº ". o alcun primo non si l'orossº mescolato fra l'erbe migliori º l'
iamme" « Non ci sarà tanto dolce la consolazinoe che prenderete del
sºlire,.... che egli non vi debba altresì essere utilissimo il al re... C -
sari. (29).« e dilellami di pensare di lei maggiormente, che reca maggio: virtù
e maggior ſortezza: e so bene ch'io non potrei tanto mensa, che più non ci
avesse da pensare a Caval a.«... e' l dimonio disse: Al mondo non è per cui lo
si gr. 1 nel , che I, lali, non gli perdoni, se si converte, ma qualunque uomo
si accal. . per I l pºnilºnso o per altro modo, se llio non gli ha misericordi,
si e ci rius I., Cavalca. non è si aspra e malatgerole che alcun pur non la
les, le i Cav.« non è si magro carallo che alla bietola non rigni in il 1 lo .
. S º . . . . . con piacere inci 'dibile del mio stillin , che son d se la trº
Sloi (), che per si la lo on i re non si l is 'n lor e il tr . . . . . ); . .
.a Io ne ho parecchi esempi ma per dir crro, non son cos: i ſissini: che non
possan ricevere latin lo accorcia in n 1 l in I pm la l . . . li « Qual luogo è
si sui grossi nto, che i c. coli non ti tra il ct 1 nel 1 : insidie alla loro
incut u lui one's là? , S gl, 30« un lento morire di dodici anni, per una
penosissimi a : i riti iii: nè tanto leggiera, che quasi sempre non isl ess, in
agonia. se tanto il re alle forze della sua carità, che sempi e non in licasse
i sei zio di Dio e delle anime n. 13a l'I.« Non istelle o però sempre quiri in
Tucuscima fermi si ciºe l'uno e l'altro non iscor esser tal rolla a seminatre e
mielere il lle tll re isole di quel contorno ». Bart.« Che se non è mai tanto
aspro dolore che il len per non lº distri li ed anco non lo annulli, perchè la
prudenza e la costati ai rom l dr G almer in itigare? ». Caro.a Secolo non però
tanto di rii li sterile che qualch . n e si ri; i non producesse ». Dav. - «
Sicchè bisogna guarda i ri da animo delittº ºlo. perchè alla osti, nazione non
è si difficile impresa che non riesca . Fiºr º.a V ero è nondimeno che in
questa pati (e di nasconi, si tl riti º gli renne fatto di conseguirlo si
interamente che ti º di quello, che fuor che agli occhi di Dio egli pensava
essere occill I, r; l uſ gli atll ri . nºn si palesasse ». Dart. – 38
– NOte all clrticolo 7. ?S) To II: Ilive e per i 1:1 1 : la .
. . . . Il Not so. . . . but that.... Es.: I noi so but that I l l:lve g ancd
at rva - sonº l'1: v. l . ll, Willls ver not so Il 1 l v d . . . A cºl
bu:i tinat i -li si stile t : 2!) ( );: non si u, le motº. . . . . ! ! (
r -, , e al I li e ! ::i ll l: llll rºl , l tall ll . . . . . . o si
pºte:to... o tre.... vi il lla - . v . l i non meno , , , cime VI, ina :
qui li a l. egi 12 linette i'a, la cosa e i'altra; I l V i l IV V :) 11 egua i
rincari e il pregio di virtù e in nuriero di lei le!. l . . . . ., l i i 30 (
). li è in ſo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . - ! i ; iprimo incis , l'
ri: Ni: in It:ogo è si s - :: cin e voi i pl: i non te ! , trici 1 e ti
. ARTICOLO 13 n0n Ciii . . . (anzi, ma . . .) l' vi l' non
rli slli gg ad Il col: il liso, ci chi si l i delle in circ venti li e ſi ha -
- il l e per le fornire e c i cl: ssi i : I l . E li ul: ssaggio
dei model i i non cli : « E vi la lo il tg ci li : . spicca il I l . non
v li e' viali ecc. il III il s lis . . l si gli e il solo cile
gialnili: li si riliv li i ll ' : 1' ll - : il lassiche, | Non sº, l l:
li lilai i ". I sici in l:il guisa, ma luitino, se lingua a que”
gloriosi. l:s il de vi: il re ciò e ,i lire : si oln in he uscir de
condo pari a me, pole a riti per il che | Il il colport Isse, lanlo è diverso
questo modo, non che dall'antico e lui si li l'ente sulla Appo i classici
vale a dunque quando non solo, (Illando non solo non. Il Bartoli e parecchi
altri sottili investigatori in opera di lingua appuntarono il Vocabolario che
definì il non che : Particella e crersalir. e di negazione, e corressero
aggiungendo: alcune role sì, alcune colte no ma e del si e del no niuna regola.
Io non pretendo crear regole; rife risco l'Osservato e se altri fai assene
regola, al sia di lui.Dico adunque che Dante. Doccaccio, Cavalca, 13a Ioli , di
altri li grande autorità dànno al non che senso di non solo non quando regge in
passato e talora anche il presente del modo congiuntivo: in altri casi vale
sempre o quasi sempre non solo.Il Cesari però adopera l'un per l'altro. Forse
ch'io inal , apponga o che il valoroso Cesari (lui sgarrasso? Non oserei
asseverarlo. Il ma od anzi del secondo inciso ordinariamente non ha luogo di
lando. vi è inversione di frase, e però il non che sussegue, non precede, come
si farebbe direttamente. Nè per questo torna al non che moderno, che la
relazione di non solo non e mai vi si sente ſul lavi, ed è lontano le mille
miglia di assumere il torto significato di siccome anche e ancora ( C('.Senza
inversione di frase può per altro il mal precedere l rrelativo non che, come
fecero, Boccaccio. Partoli e tant'altri senza rimerci. Loggi e dimmi se vi
ravvisi il non che moderno ! E' affare di ori ginal candore, integrità e vago
non pur della frase, ma del peri do ancora, che i moderni non curano affaſ (c,
lo bistrattano, e pare che i cciano a chi più lo strazia.(38). Non che io
faccia questo.... ma se roi mi dicesſe ch'io dirorassi nel fuoco, credendori io
piacere, mi sarebbe diletto ». Borc.« Non che la mattina, ma qualora il sole
era più alto..... ra si poteva (1 ntl (tre ). T30CC.a non che a roi ma a me han
contristati gli occhi ! ! ». Bocc. « Di qua, di là, di giù, di su li mena.
Nulla speranza li conforta mai, non che di posa, ma di minor pena ». Dante.a
Quanti leggiadri giovani, li quali non ch'altri, ma Gallieno, Ippo crate o
Esculapio arrieno giudicati sanissimi ..... ». Bocc.« Ed oltre a questo non che
alcuna donna, quando fu fatta (la legge ci prestasse giuramento, ma niuna ce ne
fù mai chiamata ». Rocc. (30). « Ma non che punto giovasse a rimetterlo in
miglior senno, che anzi ne riportò parole disconce e di non liere strapazzo ».
Bart. 40'. «... e da questa tanto generosa e salda risposta rimase il buon capi
tano si commosso e sì mutato nel cuore, che non che prunlo (tltro dicesse per
isrolgere il santo dal suo stabile proponimento, ma egli medesimo determinò di
rimanersi, e correr quella medesima fortuna che lui, nulla curando, nè la
perdita della sua mare, nè il pericolo della vita ». Bari. « ... e non che il
desse al ballesimo, ma da indi innanzi cominciò una sanguinosa persecuzione ». I2art.«
Sostenne (Socrate, con grandissimo animo la porertà. intanto che, non che egli
mai alcun richiedesse per bisogno il quale avesse ma ancora i doni da' grandi
uomini offeritegli ricusò m. Rocc. (Comm. sopra la Co media di
Dante). « Li quali piaceri lauto all' una parte ed all'altra
aggradirono, che non che l'un dall'alli o aspettasse l'essere in ritato a ciò,
anzi a doverci essºre si lot e cct in nl ro l'un atll al! I o, in rilanci. . l
occ.() la che il San lo ri in tre line di calci i giù a rompicollo in rati i
temi pi di ſtuciulli e il mal dl mi ma che di ragione, ballendo sopra dei sassi
a pil del nº iro, poi l' noi in all zza di reano º immaner imiranti, in ton che
la ni avvenisse il lor che anzi non mi andarono pur leg gri li ul, li si ºr a
nolo di Sai , i rol rol, della promessa, in risibile mi il lit ma il ct - sl n.
1 li s l alti i l . ll . I 3, l .Il Sult 1 io non che si mostrasse il till I N
l li li , l . . o si ritirasse in sè i cd 'simi per non lo si ut e r , i ma, ma
anzi con sembian Ie e modi d' ui a schiella ci ſia balili e il ct pi e l i tiri
i tiri in li, lui lo aggradira, fino a bere per man loro ..... l?arl. - - « l'
rciorch è c'illi era di sì l in Nsrl rilai, e li e non che egli l'ultrui on le
con giustizia vendicasse, anzi in limite con valup eroli , illà a lui fattene
Nosl e ne rai . I 3 cc.« .... e questo set persi sì con la meml, la e, che
quasi mini no, non che il sapesse, ma nè suspicat, a o lº c.Ma con ciò non che
li domasse che anzi maggio in ente gli inasprì : itl che.... ». I3:art.« Ma non
che cessasse con ciò la l. 1 , in e la suoi i rallelli, che anzi maggiormente
le crebbe a 13ari.a Le mie scrilure. e de nei passati, allora e poi le lemmi
occulle rinchiuse, le quali non che ella potess lega re nè ancora rederle º,
IP:ulldolf.« Ma, non che il corno nasca egli non se ne put e nº pedala nè ombra
o. l 31 t ('.a ... se ce li rai in corte di lotti si e' reale la scellerata e
lorda rila dº coi lipi, poi, non che , gli ºli ( il malco si juta la cris' il
mio, ma s', gli lossº cºn i si tro la sen-a fell , giudeo si ritornerebbe
l'oce.illiri o il rili , e scorallo, non che se ne adontasse. I remi il mulo
lui il ſì dal tempio per nascondersi doc, chessia de Cristo che lo minacciava ,
(es. 41).e nessun alito di le ter, di luci costume, nè di sentimento, non che
gentile ma nè un erno si è mai potuto appiccare in Intel srl rigºrio animo v (
s. Il salarmino cielo, non che gli altri, piorera a noi ", il ſiorno
ch'elli nacquero . Filoe. (ſ2.Non che polare è cosa perniciosissima salire
sopra i lrulli e scull picciarli molli anazzosi, o auando è nebbia che gli fa
sdºrnire º, l)av. (ppena el io a dissi di crederlo non che li scriverlo ».
Bocr'. 13', si r, tutti di tingere a tale alle ot, ch' minali ali alberi non
che a ritm-i le bicicl, o. Segn ( 1 ).« Tutto 'I I, in po di cita, che mi può
dare ancor let maltra, ſia pocº a rammemorare, non che a rendere all'Accademici
lo ſtraziº che io debbº ". T):) V.« I)i cosa, che egli roglia, ma io dico
si' rolesse l'asin nostro, non ch' altro, non gli sia detto di no ». Bocc.
(ſf).« Madonna, se voi mi date una camicia io mi ſtellerò nel fuoco non ch'
altro ». BOCC. « .... e sfacciati più ancor dell'antico Cam non dubitate
per beffa nudar chi dorme non che in ritare di molti a mirarne la nudità º ).
Sogn. « .1 dunque, come ha rerun di roi gran premura di assicurare l'eterna sua
salvazione, mentre passeranno i dì in lieri, non che le notti, senza che di ciò
mai ri ricorra alla mente un leggier fantasma ? ». Segn. (46). « ... non
sorrenendoli prima, per sommo loro dispregio neppur di un salmo, non che di
alcun più onorevole funerale ». Segn.« ... al sentirsi rimbombare quellº ch m !
nella mente, Don Abbondio non che pensare a trasgredire una tal legge si
pentiva anche dell'aver ciarlato con Perpetua ». Manzoni. (47). NOte e
Aggiunte all'Articolo 13. (38) Non sarai poi di si corta vista che
non ti avvegga di equivoca zione, a volere, come fanno certuni, sempre e non
altro vedere e inten dere che il ragionato modo non che, sol che si trovi un
che accanto alla particella non. Il seguente esempio ſe ne chiarisca: « Come,
disse il ge « loso, non dicesti così e cosi al prete che ti confesso? La donna
disse: « Non che egli te l'abbia ridello, Irla ogli basterebbe se tu fossi
stato « presente: Inai si che io gliele dissi: ». I3occ. Separa quel non dal
che, intendilo nel senso di non già che ecc., o altro di simile, e la frase è
chiarissima. Ma col senso (li nonche lì lì le cavi alcun costrutto. (39)
Traduci: non solamente niuna donna ci prestò giuramento. Ina. Poni mente costrutto
egualissimo dol seguente esempio: « Il re udendo « questo e rendendosi certo
che IRuggeri il ver disse, non solamente che « egli a peggio dover operare
procedesse, ma di ciò che fatto avea gl'in crebbe ». I30 ('. cioè: non
solamente non procedè a peggior operare, ma. . . . E chi dubitare a dunque che
in costrutli si fatti il non che ha senso di non solamente che, e l'uno e
l'altro, come che altra voce non segua che comunque il neghi, vaga e breve
forma avversativa e di ne gazione? Osserva come in molti degli esempi (e potrei
allegarne a centinaia) che fanno seguito a questo primo del Boccaccio il non
che ha senso di non solo non, o come a tutti codesti non che risponde un'im
perfetto o presente congiuntivo, il quale solo che al non che si sostituisca il
non solo non, torna al passato o presente indicativo. Ma quanto è migliore quel
costruito! Ammira stretta commessura e soavità di tornio! Traduci come
sopra: non solo non giovò, e così nei seguenti esempi.41) In questo esempio del
Cesari non vi senti forse quel vigore che nei precedenti. Vuoi saperlo? Manca
il ma od il che anzi come suol fare il Bar (li. Inseriscilo il fatti ed oti
leni subito un tornio COI'l'ettis simo, e al tutto col fornire a quello
costan.emente adoperato dal Bartoli e dal I3Occaccio.(2) Non t'illuda la
costruzione, il vertisei e trovi sempre il non che il discorso: o Non che gli
altri, ma il saturnino cielo pioveva a InOre ». E di siffatti modi a migliaia
ne troverai soluadernando i classici, di ogni età e di ogni sfile. (43) Inversione:
non che di scriverlo ma nè di crederlo. 44) Invers, come sopra, e così negli
esempi ( le seguono (5) Qui piacque al liocc. di esprimerlo il ma non ostante
l'inver. sione. Noterai di quesio e del seguente esempio la naniera non
ch'altro, la quale pare che andasse assai all'animo al nostro valente oratore
I3arbieri. L'ha sempre sulla penna e ben dieci o dodici volte la trovi in una
sola predica. Vale: non solo, checchessia d'altro che voi pensi nte, ma
perfino. . . .(6) Se ti sorge dubbio intorno al senso di quel non che, non hai
che a consultare il contes , e saprai subito se vale: siccome anche, oppure non
solo, l'arla di coloro che neppur lesti si sentono una a sol volta rapire
violentemente i pensieri a Dio ».(7) l'8occaccio, l)a Valnzali e lº arti li
avrebbero 'se, coerentemento all'ossorvato, costruita la frase un po'
diversamente. « Al sentirsi rim « bombaro (Illell'ehm' nella mente, l)on
\bbondio, non che pensasse a « trasgredire una tal leg e ma si pentiva persino
del'aver ciarlato con « IPerpetua ». I3ada veli' che non ho detto con ciò che
sia errato o men bello il poriodo del Vlanzoni. l'olga il cielo ch'io a ridisca
di censurare od appuntare comecchessia quelle troppo care, adora le
pagine. A RTICOLO 14. SE NON SE NON CHE SE NON FOSSE (che, giù)
forli e li dire costantemente risale dagli antichi e buoni scrittori, ed oggi
invece s degli sani enl e neglelle e al lullo smesse, se non che ad alcuni
oratori, specialmente da chiesa, pare di rammentarsene profferendo assai volle
un solenne se non che, ma a grande sproposito, e insignificato di ma che non l'
ha. (48;.40) Sulla penna a classici le dette forme hanno ben altro valore
e vo gliono dire: se non fosse stato che, a meno che, lollo che, salvo se,
salvo che, altrimenti che. Il Bartoli ragionando di questa ed altre
sorniglianti maniere, cui il periodo deve nesso, brevità e leggiadria | IIIa
italiana, soggiunge: (( ( “ ( ) - Inuti Ilie poi abbiano a servirvi, o sol per
cognizione o ancora, per uso ». Grazie dell'avvertimento, ma noi seguiremo più
che le parole il suo e Sempio. L' Asia del Bartoli è uno stupendo velluto
contesto e lavorato ad opera di ricami, Irapunti e compassi di così fa la
gioielli , º le sullò tali Nso e se non che ci lui lo sl 1 o, e ralsesi
del calore, ella ne ſacerat mille pezzi . Fiorenz.º (i rotn cosa è slitta col
slot. e se non che la lati della Iu, io non la ('re' le roi , . I 'i rel/.()nde
non è lui in pºi lati e in sè a lijello il non di rerlo, nè di colpa (trerne l
l'oppo; se non fosse già che atll li desse o all' uno o all'altro la cagione,
la quale....? ... Passav« Il miglior piacere, e 'l più sano è il ſitcºre
boccone, o quasi, peroc ch è tutte le menº brut clen I l o sl i rino, nel loro
luogo : se non fosse già che la persont a resse losso o asmat. o altro in ſei
mili, che lo facesse ambascia, o noja lo slar boccone . Passav.« E se non fosse
che egli temera del Zeppa egli arrebbe della alla moglie una gran rillatnici
così rinchiuso con e era ». I3oce.a e se non fosse ch'io non coglio
mostratrº.... io direi che dimani...». I 3 co.a e se non fosse ch' egli era
giovane, e sopra i remira il caldo, eſili arrebbe a rulo troppo a sostenere ».
Dolci -.« E arrei gridato, se non che egli, che ancor dentro non era, mi chiese
mercè per Dio e per roi ». Tocc.« E se non che di tutti un poco riene del
caprino, troppo sarebbe più piacevole il pianto loro ». Rocc. (49.« Cosa che
non fosse mai stata redula, non ri crederei io sapere in segnare, se ciò non
fosser già starnuti ». Rocc. (traduci: a meno che si trattasso di....).« Era la
terra per guastarsi se non fosserò i Lucchesi, che rennero in Firori: o yo. G.
Vill.« Se non fosse il soccorso, che il nostro Comune ri mandò così Sit bito.
la città di Rologna era perduta per la Chiesa . G. Vill.« Se non fosse il
rifugio della terra, pochi ne sarebbero scampali ». ( ; Vill. (5ſ) .« E se non
fosse che i Fiorentini ci mandarono inconta nºn le lorº ambasciatori, ....
Iologna era l'ulta guasta ». M. Vill.« ... e niuno seppe mai il fallo suo, se
non ch'ella il confessò in peni lenzia al prete, dicendo la cagione e 'l
processo del sito isriamento, e la grazia ricevuta m. Passav.« Queste nuove
cotanto felici fecero alzare al Saverio le mani al cielo, e piangere
d'allegrezza, poichè gli giunsero agli orecchi colà nella costa di Comorin, dore
laticara nelle opere che di sopra contammo: e se non che Tuiri (tre a presente
alla mano una troppa gran messe d'anime che rac cogliera, sarebbe incontamente
ilo a Celebes a farvi grande quella piccola cristiani di m. I3art. º
-..... baluardi non commessi come oggidi nelle nostre fortezze, con (tl di
cortina fra mezzo, ma srelli e isolati, se non quanto cerli pomli vanno (i con
il nicare il passo della gola dell'uno, a quella dell'altro ». Bart. Era
donna di gran nascimento e ricchissima, se non quanto i Bonzi l'acerano a poco
a poco smunta fino a spolparla ». Bart. 51). « E non sarebbe rimaso riro
capo di loro, se non che gilardo l'armi e gridando mercè, rende ono i legni
rinti e sè schiari ». I3art. ( .... e l'arrebbon linito, se non che un di
loro gridò che il serbassero (Il riscatto ». I3art. º - - - - - -. ri diò
in altra parte con la nla foga, che del tutto arenò : e se non che tagliarono
tosto da piè l'albero della rela maestra, agli spessi e gran colpi che dara,
coll'alzarsi e 'l calar della poppa mobile e ondeg giante, si aprira »
lºart. « Egli (un cerlo 13onzo tanto più infuriara e ne faceva con lulli
alle peggiori: finchè il re il mandò cacciare come un ribaldo fuori di palagio.
e disse: che se non che egli era in quell'abito di religioso, a poco si ter
rebbe di fargli spiccar la testa dal busto ». I3art. NOte
all'articolo 1 f. (48). Quante vol. e si vedono questi ora Iori riprender
fiato, mutar sembiante o proseguire, con vi quando più grave e quando più di
messa, e lentamente, articolando un solenne: Se non che! lo non so di ninno
scrittore antico e se del più recenti almeno puro e corre.to, che adoperasse
mai il se non che in quella forma e senso che in certi dettati o a dir meglio
imbratti moderni.(49). Da questi esempi del Boccaccio si vede che gli era
tutt'uno il se non che e il se non fosse che, ed usava indifferentemente l'un
per altro. (50). Pare che a G. Vill. sapesse meglio il costruito diretto e
senza la congiunzione che, il quale sol che s'inverta o s'inserisca un verbo
torlìa ( Vidolltelnonte all'anzidetto: « Se non fosse che 'l nostro Comune «
Imandò così sul [o il Soccorso occº. ».(51). Nota bella elissi: se non fosse
stato che i Bonzi la impoverirono a segno che . . . . oppure : a meno che ella
s'impoverì di tanto di quanto potevano sul suo cuore i Bonzi i quali la
smunsero fino a. . . . ARTICOLO 18. NON Stranissimo e fuor
d'ogni regola positiva, come che di buona, anzi ottima lega parve
all'autorevolissimo Bartoli l'uso di questa particella. « Però che, dicº egli,
considerandola secondo la natura e la forza che ha di negare e distruggere
quello a che s'appicca, pare che contradica, dove talvolta, se nulla opera.
Inaggiormente afferma; e sol un buon orecchio sa dirci quando vi stia bene e
quando no ». Così avvisa il Bartoli, e con lui ogni allro scrittore cui
occorse di ragionarne. Ma io non m'acquelai e volli non per tanto esaminarla e
stu diarvi dentro, e vederla a punta di ragione, intenderne cioè e discernerne
il come, quando e perchè. E non fu fatica inutile, parini anzi averla colta che
nulla più. Tre costantissime osservazioni mi vennero fatte che ogni caso
comprendono del non che non nega. Non oso erigerle a norma o regola di
eleganza. Menzionerolle e me ne passo. a). La congiunzione salvo, salvo
se, salvo che, a meno che e simili, e l'ammonizione altresì di guardia,
cautela, accortezza, vigilanza che cosa non si faccia, non si dica o l avvenga,
che poi dispiaccia o comunque metta male, è costantemente susseguita, –- simile
al se garder dei Francesi – dalla particella non. b, che, commessura di
comparazione risolvibile nel suo equiva. lente: di quello che, è susseguito dal
non sempre che nel primo inciso non vi abbia non od altra voce negativa o
comunque avversativa. In caso contrario non ha mai non che vi aderisca. – Appunto
come avviene del que dei Francesi, nesso comparativo or seguito or nò dal ne
senza il pas. – (55). c). L'inciso dipondente dai verbi: temere,
dubitare, sospettare, suspi care, ed anche dalle voci: per timore, paura, e
simili – espresse o sol tintese – il quale si governa comunemente a guida di
che o che non, solº reggosi e sta elegantemente senza il che pure a nodo o
tramezzo della particella non, ma sì che il soggetto tramezzi e l'una e
l'altro. Seguono gli esempi divisati, conformemente al ragionato, in tre
dif ferenti gruppi. « La casa mia non è troppo grande, e perciò esser non
vi si potrebbe salvo chi non volesse starvi a modo di mulolo, senza far mollo o
zillo alcuno ». BOCC. « salvo se i Bonzi non levassero popolo e li ci
allizzassero contro ». Bart. “ Una cosa vi ricordo, che cost, che io ei
dica. voi vi guardiate di non dire ad alcuna persona . Iº occ.º l'irºgli da
parte mia, che si guardi di non arer ll’oppo cre - dilo o di non credere
alle lavole di Giannotto , l3 cc. º l Ittºsto la rete, che coi diciate
bene i desideri l' Nl li, e guardatevi che non ri renisse nominato un po' il n
till I ..... . 13 , . « e sta bene accorto che egli non li l'ºnºs le luci
ni tdosso o locc. º e lì la loro lo luna in quello che la olerano più la
col e vole, che ('SSi medesimi non dimandavano , . 13,ce.“ Ma lullo al rinculi
addicenne che ella arrivato non avea ». Boce. º tºndo più animo che a sci co
non si appartenera , Bocc. º ... Se non ci chi è di rim alo e pli lori che non
s no io o l?art. ( .... che io ho l'oro lo donna da molto piu che tu non se',
che meglio mi ha conosciuto che tu non laces , 13( Compagni, non ci lui bale,
l'opera sia altrimenti che voi non pen Sale ». DOcc.« Se io vi polºssi più
esser la nu lui che a non sono, la ulo più ri strei, (1tl am lo più cara cosa,
che non son io mi i sensi. I ne mi rende le m. 130ce. « rispose che per più
spazio che non ha da l a iulino al cielo era fuoco ardente ». Passav.« Assai
volte già ne potete aver recluta i clico, delli e di scacchi troppo più cari che
io non sono . l o e... più assai ce n'erano, e li oppo più belle che queste non
sono ». IB ) c.« Voi m'ono ale assai più che non docerale una persona non cono
sciula e di sì poco alla re ci ne son io , ( aro.« Ma troppo altro gli incolse
che non avere di risalo . Ces. « Perchè dunque sì rall risluti ri, che gli
altri facciano la m lo bene di più che non ſale voi: e però inquiela, li
deriderli, disturbarli ? ». Segn. « Ben conosco per me medesimo la grave: sa
del mio pericolo mag giore ancor che non di le... ... Segm.« Forse a rete voi
li rido il rosli o pello la più frequenti percolimenti di pietra, che non
portare nel suo slam pali irolamo . Segn. l « Nelle donne è grandissimo tre
alimento il set persi guardare del prendersi dello amore di maggio e uomo ch'ella
non è o. Boce. « Dubitando non ella confessasse cosa, per la quale.... ».
lRocc. « .... temette non per isciagura gli renisse smarrita la via ». Boce. «
I)i che egli prese sospetto non così fosse come era ». 13occ. « Chi vuol fa, e
la cosa ancor non rielala, la fa con timore non ella si vieti ». Davanz.
"Forte temeva, non forse di questo alcun s'accorgesse ». Bocc. “ .... i
quali dubitavan forte non Ser Giappelletto gl'inganasse ». Boce. “ Di che
Alessandro si maravigliò ſorte e dubito non forse quegli da disonesto amore
preso, si moresse a così l'attamente toccarlo ». Doce. « ... sospettando non
Cesare gli togliesse lo stato ». Davanz.« Tenealo a bada (Cesare Ienea a bada
il Cardinal Polo ch' era ancora al lago di Garda) perchè le nozze di Filippo si
compiessero prima che ('gli arrivasse, temendo non la sua presenza le
intorbidasse ». I)avanz. « La quale udendo questo, temendo non lorse le donne
per troppa lrella tanto l'uscio sospignessero che s'aprisse..... ». I3occ.( 0r
questo gli dava lroppo gran pena: conciossiachè egli temeva non lorse egli
losse caduto in quella durezza di cuore.... ». Cesari. « tanto i santi sono
teneri e sfiduciati d'ogni lor desiderio, non forse la natura ne gabelli
qualche cosa sottº inteso: per timore che... o temendo mon....) ». Bart.« Ma
gli parve di soprastare alcun poco non forse la troppa sua sollecitudine gli
noiasse (tenendo non forse....) ». Cesari. « ... presso in che di letizia non
morì ». Barl. « Io temo non colui m'abbia ris lo ). I 30cc. - NOte
all'articolo 18, (55). A prova di quanto atºserisco non basta si
alleghino esempi col nom, questi confermano il primo caso, ma occorre anche
mostrare come il che del secondo inciso allora soltanto va senza il non che nel
primo inciso si trova un non o altra forma comunque avversativa.Eccone però un
saggio: « ..tutti presti, tutti pronti ad ogni vostro « piacere verranno nè più
(più tempo) staranno che a voi aggradi». Bocc. « Conservate il vostro, non
ispendete più che portino le vostre facoltà» Pandolf« .... nè avete voi più
desiderio di udirmi, che io ho di farvi mas Sai ». Pandolf.Alla parte 2.
articolo 11 si ragiona tra l'altre cose anche di questo che a valore di : di
quello che, e si allegano molti altri esempi con o senza non in conformità a
quello che qui mi avviso. E' poi tanto vero che, in locuzioni si fatte,
cotesto non l'una o l'altra volta ci deve essere, che ove al Boccaccio, non
sapeva buono (come che di ragion ci stesse, ma per suono forse men grato che
all'orecchio ne veniva) la seconda volta, no ! lasciava la prima avvegna che
non ci avesse luogo: « E chi negherà questo i contorto ) quantunque egli si «
sia, non molto più alle vaghe donne, che agli uomini, convenirsi dona « re?»
(In cambio di: molto più alle vaghe donne che non agli uomini...) CAPITOLO
III. Alcune altre voci il cui valore ed uso vario secol ndo lo
scriverc clegli arm tichi ed anche de 1 migliori nºn oderrni, reca a talora al
l'assetto di nuove e vaghe fornme, così che al periodo non nel no che alla
frase, e vicle I nza 1 ne vierne, garbo e sapore. Nel precedente capitolo
allegai ed illustrai maniere – particelle, compagini e tramezzi – di una forma
e ragione tulla interna, coesiva dirò così e inerente alla struttura e
nervatura del periodo. Ora vuolsi invece studiare e prelibare il grato di
tal'altre voci, le quali quantunque rechino un senso delerminato ed adoperino
sull'esteriore soltanto del pe riodo, son però tali e tal collocale che a
lasciarle, sostituirne altre o co munque tramutarle sconcerebbe e n'anderebbe
di quel candore ed ele ganza che è sol retaggio della lingua antica.Dada neh !
che nel commendare che farò questa e quella maniera, non è mia intenzione che
tu poi la usi a tutto pasto, come fanno certi scrittori i quali si danno l'aria
di purissimi imitatori del trecento, dove non ne sono, a dir il vero, che
odiosi conl raffattori e lo mettono così in discre dito anche ai meno avversi.
Questi colali non sanno far alll'o che infar cire i loro dettati di maniere
solo antiche e male accozzale.Tienlo ben mente, non è scrillo sì elegante che
non sia anche semi plice e spontaneo, nè può esser mai bellezza quella che si
distacca ed esce comechessia di euritmia.Più che la teoria siati adunque
criterio e guida un buon orecchio, conformato però – mercè di lungo studio e
severo - al ſorbito perio dare soavissimo e grave dei nostri classici.
ARTICOLO 4 MISSfil Delle novità che ci venite a raccontare! Chi non
sa degli italiani, per idiota che il vogliate, che la voce assai è altrettale
che molto ? Con buona pace vostra, risponderei a chiunque fosse quel benigno
che volesse mai censurarmi ed opporre ch'io ridico cose molissime, non è il
valore 4 soltanto, ma l'uso altresì di alcune voci e particelle,
anzi questo più che altro ch'io mi proposi di ragionare. Mai, sol rarissime volte,
leggendo un qualunque moderno di mezza inta mi venne scontrato l'avverbio ed
anche aggettivo assai al locato e si vago che negli esempi, fra mille e mille,
che quivi appresso.Quale aumentativo (sehr, ti s. very di aggettivo e di
avverbio, si che l'adopera e forse l roppo, anche il moderno, ma giammai, o
quasi mai. accoppiato a sostantivo, o sostantivo egli medesimo in ogni genere e
numero come che invarialbile.E quant'altri e più minuti scandagli restano
tuttavia a fare prima che e siamo rivocale e ristorale le avite bellezze
dell'italico periodare ! VIIro che piali e ciance! Sollecitiamo a che la via
lunga ne sospinge ». (71). E disse parole assai a Paganino le quali non
montarono un frullo ». l 30 (”.Ed assai n'e' uno che nella strada pubblica o di
dì o di molle lini a mo . l 3occº.senza le rostre parole, mi hanno gli effetti
assai dimostrato delia ros rai bene colenza n. 13 cc. . . .Spero di tre e assai
di buon lempo con le co . lioco. Entrati in ragionamento della valle delle
donne, assai di bene e di lode ne dissero o. I 3 ' ('.... applicò subito
l'animo a guadagna lo, e gli si dia a dire assai delle cose da farlo ra eredere
della sua cecità lioco. Il I occotccio l'usò delle volte assai . I 3arl. « ...
ed a Luigi non ebbe assai delle volte questo rispello riguardo) º. Cesari.«
Minuzzatolo e messori di buone spezie assai, ne fece un manicº retto troppo
buono ». Bocc.a La prima persecuzione ſu mossa alla Religione essendo anche
tiri assai degli apostoli ». Ces.« Nè vi stelle guari che egli ride assai da
discoslo ritornare il Car pignat con assai allegra faccia ». Fiorenz.In
compagnia di assai numero di soldati per andare di danni il l live) lo .
(iiamb.... la mia guardia ne prende, e si stretta la lenca, che forse assai sºn
di quegli, che a capital pena son dannati, che non sono da prigionieri con lan
la guardia serrati ». Bocr'. ()r chi sarebbe quella sì ci udele Ch'a rendo un
damerino si d'assai, Non direntasse dolce come il miele ? ». Lorenzo de' Medici
(73). E oltre a ciò rireggiamo (acciocch'io laccia, per mºno ºrgognº di noi, i
ghiottoni, i tarermieri e gli altri di simile lordura disonesti uomini assai, i
quali.... essendo buoni uomini repulati dagli ignoranti, (tl lim0mº di sì gran
legno son posti ». Bocº. t. A rispondere, assai ragioni vengono prontissime
». Bocc. « ..... nel quale erano perle mai simili non vedute, con altre care
pietre assai ). Bocc.« Assai sono li quali essendo stoltissimi, maestri si
lanno degli altri e castigatori ». Bocc.« ... dove molti dei nostri irali e
d'altre religioni trovai assai ). Bocc. « ... che assai faccenda ce ne
troveremº tuttavia ). Ces. NOte all'articolo 4 (71) Della
frase : essere assai a checchessia (per basilare a, . . .) che l'ha delle volte
assai e il Boccaccio e il Cav. e loro più scelti imitatori, parlerassi ad altro
luogo. (72) Nota il genitivo. La voce assai non è qui avverbio Ina
sostantivo oggetto, e va unito col complemento della vostra ecc. La forma
obbligua assai di, del . . . . suona talora Ineglio che la diretta. Osservala
negli esempi seguenti. Conf.: tanto tanto di... alquanto di...). (73).
Uomo d'assai significa valoroso. ARTICOLO 9 NUIIIII, NIENTE
NONNUlillſ, NUlill0, NIUN0 ecc. Negli esempi che senza più qui allego –
alcuni dei moltissimi che ho raccolto, e recanti ciascuno l'una o l'altra delle
proposte voci – vuolsi singolarmente notare: a) come le particelle
negativo niente, nullo, nulla, niuno escano ta lora, ed anche elegantemente dai
confini che il vocabolario loro inesora bilmente prescrive e si lasciano
governare, sol che l'orecchio e la cosa il consenta, a maniera di aggettivo e
sostantivo; b) come in nostra lingua il niente e il nulla, oppure non
nulla, (simili al rien dei francesi) si spendono per qualche cosa, e il niuno e
il nulla pur vagliano per alcuno. Alcuni Grammatici ne fecero regola ch'io
non so come a tanti e sì autorevoli esempi, che dimostrano il contrario, non
sia mai stata impu gnata e ripudiata. « Quando si usano, scrive tra l'altri il
Corticelli, per « via di dimandare, di ricercare, o di dubitare, oppure con la
negazione « o particella senza, hanno senso affermativo ... Sì che alcuni
esempi ve n ha, ma ve n'ha allresì in cui le delle voci affermano e tuttavia
non negazione, non senza non dubbio o dimanda comechessia. Leggili questi
esempi, intendili, assaporali, e sii certo che come il senso avrai libero e
sano, questo, più che niun'altra norma, ti guiderà sicuro alla scelta
convenevole di questa o quella voce ed anche in quella forma e ragione che nei
libri mastri di nostra lingua. .... invincibili dicendo i romani cui
nulla ſorza vincea ». Dav. .... si stava così a spellando senza piegare a
nulla parte ». a Inall'ulfizio naturale delle nozze nulla ricerca
impedimento all'eser cizio libero delle più nobili sue operazioni ».
Bart. « ... in tal modo che nullo più mai ardito fosse d'andare all'eremo
Cav. « Se nulla potenza a reste, bastava uno ad uccidermi ». Cav.
senza molti segni che si nolano, com' egli si ha niente indizio della cosa ,
l'iel'eliz. .... di subito si rivolse al sasso brancolando con le mani se
a cosa nessuna si potesse appigliare ». Cav. 1 llora disse la 13adessa :
se tu hai a disporre niun luo l'alto, o l'ºro se ruoi pensa e nulla di questa
tua fanciulla, pensanº losto, impercioc ch º.... ... (.av. Quando la mia
opinione resti denudata e senza ippoggio di ragion nessuna ...... o.
Martelli. Ed a ogni modo è, se non maggior brºne, minor male pendere in
questo caso, anzi nel troppo che nel poco, acciò transi più tosto alcuna cosa
che ne manchi nessuna e. Varchi. non intendo però di quella lunghezza
asiatica fastidiosa, della quale fu ripreso Galeno, ma di quella di Cicerone,
al quale non si poteri aggiungere cosa nessuna, come a Demostene cosa nessuna
lerare si po le ru m. Varchi. Se nulla ri cal della nostra amicizia abbia
le compassione alla mia miseria n. Fiorellº. tssaggiare qua e là un
nonnulla di... ». Bocc. a ... alla quale (allezioncella) mi sento
attaccato un nonnulla ». Ces. “ e se li hai nulla a lare con lei tornerai
domani e non ci far questa Seccaggine stanotte ». Bocc. « Ciascuno che ha
niente d'intendimento ». Passav. 82. « remuta meno l'acqua e gli uomini e il
cammello, affogarano di sºlº, º cºrcando d' intorno se niente d'acqua
trovassero, e non trovando t'enº, -1 mlonio..... ». Cav.“ Su bilanente corsi a
cercarmi il lato se niente (qualche cosa) v'avessi ». Docc. « Potrebb'egli
essere ch' io a ressi nulla ? o I3oce. “ Gli si fece incontro e salutandolo il
domandò s'egli si sentisse niente ). I30cc.( Come noi facciam nulla nulla, e
non hannº allro in bocca: quel l'allra lacera e quell'altra diceva.... ».
Fier.º ... º forſe nºn lº ſa resistenza al nemico, giammai in niun modo
acconsentendogli acciocchi il rinca, e poi del tuo sposo (G. c. possi essere
coron (tl (1, peroco lº 'gli il nemico e le bole, come ſu uno, a chi ardita in
en le se ne fa brile, e anche fori come leone a chi in nulla nulla gli con
sente ». Cav.« Non perciò a me si mostra ragione che nulla basli a derogare
l'autorità e la ſede o. I3ari.« ... e per sangue e per rilli d'animo superiore
ad ogni interesse, che punto nulla sentisse del basso, non che, come questo
dell'empio , Bart. « Mostrare se egli ralesse nulla ». I3occ.... ri potr questa
scusa legittima, scusa sa ria, o non piuttosto una scusa che se vai nulla
prorerebbe anche che non dovreste coltivare i ro stri poderi con lanta
diligenza, che non... ». Segn.« al quale io debbo quel poco ch'io raglio nel
predicare, se nulla raglio ». Segn.« Vecchi che, perdute le gambe, pare ram
sempre pronti, chi nulla nulla gli aizasse. a digrignar le gengive ». Manz.« Se
nulla può sull'animo rostro la voce della ragione, sia le religioso, perchè
religione e ragione è tutt'uno ». Tomm.« per la qual cosa furono tutte le
castella dei baroni tolte ad Ales sandro, nè alcun' altra rendita era che di
niente gli rispondesse » Rocc. (83). « Ed arrisandosi che fatto non gli
verrebbe se a Nuto ne dicesse niente, gli disse.... ». Docc.« Trorossi in
Milano niuno che contradicesse alla potestade ? ». No Vellino antico.« .... e
se egli ce n'è niuno che voglia metter su una cena a doverla dare... ». Bocc.«
... ma se nessuno di quelli che, o si burlassero del fatto tito, o... ». Fier.«
.... e dovunque sapeva che niuno cristiano adorasse Cristo, il fa ceva pigliare
e mettere in prigione.... ». Cav.« egli sarebbe necessario che tu li guardassi
da una cosa: e questo si è, che se nessuno ti domandasse di qualche cosa, che
lui per niente non rispondessi a persona, ma... ». Bocc. (84). NOte
all'articolo 9 S?, voleva ci lir qualche cosa, alcun che di . . . . . e
così il niente e nulla di tutti gli I tri es IIIp di Iu -! IIIedesimio gruppo
S3). Il niente d quest, i del s ..: 1: es n i I Il tv l':la a in
l'il llll tiltra II la lllera della si sºsi V , niente, ed i ll Il ..:ll (Ill.
ll ilìtelis IV, di negazi rile, si inile all'avverbi , punto del N. edente. Torna
sottoso pra alle forme; un menomc olle, in n in mo,do ive Iles Wegs, iIn gering
S[.(ºll ( (''.E spaurita e sbig || 1o per le pelle e per gli gravi tormenti che
e aveva veduti sostenere a per at ri nell'altra v .a, la rendogli i
parenti e gli amici carezze e le sta, non si ra! grava niente ». Pass. «
....il quale l'est e . Irle lº rili la si vide i pescatori adosso, salito
e a galla, senza Inlli versi niente, mostrando l'esser in ort , tu preso ».
Fier'.« Niente avevano sonno o pensiero d'andarsi a riposare in sul « letto,
niente , vevano voglia d'esser consola | I, quando vedevano, () a pensavano che
la infinita carita di I) o aveva dato il suo figliuolo a a patire tante pene e
tale morte senza niun peccatº o colpa sua». Cav Si avverſa, si rive il Pil
ti, che questo niente in sentimento di non) quando si usa senza il non si mette
piu comunemente avanti il verbo, e quando si unisce col non si pospone al
verbo. (84). No.a anche qui la maniera per niente in quel senso che nella
nota precedente. ARTICOLO 21 IIITRI (che) – filiIR0 (che) –
AllTRIMENTI (che) Quan! inque il significato e l'impiego di queste tre
voci a base di una medesima radice e a governo di un comune valore, poichè in
ognuna vi senti con prevalenza l'allributo allro cioè altra persona, allra
cosa, altro modo non sia cosa lanlo singolare e peregrina che anche una penna
volgare talvolta non ne usi, tuttavia la maniera di usarne appo i classici è sì
diversa e molteplice, e indi anche il vago e vario foggial' della frase sì
notevole e commendevole, che credo ſarò cosa non meno grata che utile a dirne
alcunchè partitamente, e profferirne di ciascuna e di ogni uso distintamente
alcuni esempi.a). Altri o altrui (non altro, che è fallo) posto assolutamente è
pronome, e suona quanto: allr'uomo, altra persona, un altro, uno, alcu mo,
chicchessia. Si trova appo i classici tanto in caso retto che obliquo. «
Molto dee indurre a dolore o al dispiacere del peccalo, considerando che
l'anima è lavata e purificata nel sangue di G. C'. e altri l'abbia im brattata
e lorda nella bruttura dei peccati ». Passav.« Per non fidarmi ad altri, io
medesimo tel son renulo a significare ». I30cc'.« Sentendo la reint, che lº
milia della sua morella, s'era (le liberala, e' che ad altri non resta rai (t
(lire .... ». I30cc. « Il che la donna non da lui, ma da altri sentì ). I30(''.
« ... in tanto che a senno di minima persona rolea fati e alcuna cosa, nè altri
far la colera a suo m. Bocc.« . ( ndiamo con esso lui a Itomai ad
impetrare....: ma ciò non si ritolº con altrui ragionare ». Bocc. « Oh quanto a
me tarda che altri qui giunga ! ». Dante. « Irrere pertugio dentro da la muda
La qual per me ha 'l litol della fame. E 'n che con rien che ancor ch'altri si
chiuda , Dante.« La confessione per la quale altri si rappresenta a quegli
che... ». Passa V.a ... non solamente i peccati veniali, ma esiandio i mortali
i quali altrui (tresse al lutto dimentica li ). Passa V.« Il secondo modo, come
si dee studiare, e cercare la divina sciens(1. si è innocentemente, cioè a
dire, che altrui riva santa mente ». L'assav. « Si restiemo una cotta, che non
si potea reslire senza aiuto di altri . Vill.« Non hanno altro mestiere che di
pescare altri perle, altri pesce p. 3a l't.a ... che per accorto e sottile
intelletto che altri abbia mai non ne giunge al chiaro ». Bart.« Quanto altri
più sa della lingua ben ripresa nelle sue radici lºnſo più va ritenuto in
condannare ». Bari. ... nè teme punto ciò che altri di lei dirà . Segn. ... e
partirane con quel disprezzo che altri fa delle cose sogge e della bruttura ».
Ces.« Egli mi pare, che niuna persona, la quale abbia alcun polso, º dore possa
andare, come noi abbiamo, ci sia rimast. altri che noi n. 13 del . Inverti e vi
riconosci il ragionato altri: Egli mi pare che altri clº noi ci sia rimaso, il
quale.... b). ll i clº, altro che vagliono entrambi fuor che, ma sì che
altri che non si riferisce che a persone e torna al dire: altruomo, qualunque
alla prºsolia che ..... ed altro che ad altra cosa qualsiasi. Questo altro,
(illº che, in significato di altrimenti, in altra maniera... che , ecc., è una
di quelle forme che andavano assai all'animo al valoroso Bartoli, e l'usa
Spessissimo in Inel miracolo di facondia che è la Storia dell'Asia. Ma os serva
come e con quanta grazia: Io non so potersi dire di ... altro che bene o.
E altrove: « Ma poichè º il videro felino di non conceder la disputa altro che
a questi patti, sel presero in pazienza ed accellarono . Traduci: non in altra
forma che. “ E ancora: « E perciocchè quivi non era per rimanere altro che inutil
mente, gli ispirò al cuore di andarsene al Meaco o, ecc. ecc. che ad allegarli
tutti codesti esempi non ne verrei a capo in parecchie centinaia di
migliaia. Al lllllo simile a questi luoghi del Bartoli è l'altro del
Bocc. : « non º avendo avuto in quello convif [o) cosa altro che laudevole o :
e altrove: ( AV ea grandissima vergogna, quando uno dei suoi strumenti fosse
altro che falso Irovalo ». Nè guari dissimile quel del Davanzati: « Con gente «
sì accagna, crudele e superba puoss'egli altro che mantener libertà o « morire
? ». ſar al Ira cosa). Bammento l'intercalare non chi alti o, di cui si è
ragionato al Capo Secondo - Articolo 13, e piacermi ancora menzionare il modo :
senz'altro..., che opplre, e talvolta anche rileglio : senza... altro che : «
senza amici altro che di mondo o invece di senza all i amici che... : « senza
famiglia allro che bastarda o, o senza affelli altro che brutali o ecc. .
IBart). Ed oltre a questo anche il seguente, gli alissimo: niuno, nessuno,
reruno... altro che.... : « aspirando a niun fine all ro che nobile ». «
Portatovi da mium stimolo di senso altro che puerile e rello o a...inteso a
rerum lavoro altro che di mente ». « ... I rallenendosi con niuna femmina altro
che onestissima ». I3ar[.. Segm. ecc. ecc. Nola qui l'allro a forma di averbio,
mentre congiunto al senza, niuno, reruno ecc. sarebbe ad uſicio di ag gettivo.
Chi legge e studia ne' classici le ritrae queste forme anche senza avvedersene.
« II vietare con semplici parole, senza autorità altro che « privata non si
direbbe propriamente divieto, ma sì quel di legge e di « decreto ». Tom.
c). Analoga a questº forma avverbiale altro che è l'altra, anche oggi nola e
continissima non altrimenti che.« Noi dimoriamo qui, al parer mio, non
altrimenti che se esser vo lessimo testimone di quanti corpi morti ci siano
alla sepoltura recati ». Doco.« Non gli concedè che si ritornasse altrimenti
che promettendo di ri « tornare altro volte a rivederlo ». I3art. (Cioè gli
concedè... non in altro modo che promettendo, oppure sì reramente che
promettesse. Conf. Cap. II. A rticolo 25).Ma nota da ultimo di questo
altrimenti (altrimenti che) un uso ben diverso delle forme che qui sopra: come
cioè la voce altrimenti in molte guisa ad altre collegata e con un
costrutto e commessura di ottima ra gione entro il periodo leggiadramente
contesta, sia talora altresì sol orna mento e tramezzo, non mai inutile e
superfluo, se pur non necessario, e non altro, a dirla col Corticelli, che pura
proprietà di lingua. Rinforza la negazione e vale in nessun altro modo. a
Della sua pelle senza ſorarla altrimenti se ne sarebbe potuto fare un bel
vaglio ». I30cc.« ... e pauroso della mercatanzia non s'impacciò d'investirne
altri menti i suoi danari, ma..... ». I3oce.« recita fino a un punto il contenuto
senza altramente leggerlo ». Caro. « I Siluri, oggi estinti, mostra Tacito nel
suo Agricola, che ri renis sero già di Spagna, e al guiscelo da molti segni,
che io non replico ora altrimenti non potendo per ria di quelli sapere quando
e' ri siano venuti ». Giambulari..... il nostro bene, la nostra rera felicità
non dipende altrimenti no, dall'amore che noi portiamo a persona, la quale all
rºllan lo ne porti a noi, ..... ». I3arbieri.« E' dunque mestieri fermamente
attenersi a quelle idee, a quelle speranze immutabili, che non sono l'opera
dell' uomo, che non dipendono altrimenti, da una opinione passeggera, che
rengono acconce a "ulli i bi sogni, che .... ». I3arbieri.« e senza tenere
altrimenti conto della sua obbliga la ſede.... ». Giall bulari.« E tanto basti
aver accennato di quelle, che per poco che sia, al niente che riliera il
saperlo, non può altramente che non sia troppo ». Ball « ... non aspettò
altrimenti che il disegno si colorisse ». Giamb. « ... non arendo altrimenti
che dargli si lerara il cornon da collo (iiamb.« Le sue cose e sè parimente,
senza sapere altrimenti chi egli si fosse rimise nelle sue mani ».
Bocc. un ful I e.tlsou e Iop olooos Ufonq lºp uomiios ilf ouuxupuoqqu
o.luluud lp onloAuslp o toluetu ºttº º ſullº I I ouu Auuuulo ot ouo. I touo A
olsenb ll I luttuº nId otor I allop luou ouulloAul lp ipotu itino le outleti
oli elzºti l' º l.zzoIl fu A ip otl.) os º trou olto.o un o o Iuliud lop
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el.IIIIIIop olilout -eoplollo.I n.InfII e III: lo esonb o lo s oliº o In VoI o
Iellios II, lo (s) osogssu Io e Iuº pop.Ieo I o UUIpsspn U IUP55oIo,I
-Iep eIes II e eu OIun Oo l-IoU I II epU IO “I UIop t Iu II5olo o IoA
-I.Ios OI Opuooos 'eooA u IIon I O unsenb pp e UIopssIULuo po auloIllla
Iuolzno oT sillessi, enalagge, anòfora, iperbate, tropi, metonimia,
iperbole, prolipsi catacresi eutimema, epicherema e va discorrendo.Lessi e
m'imparai i relativi saggi, assaporando a brevi tratti oi l'uno, or l'altro dei
più celebrati componimenti. E qui vi ammirarsi la Pura semplicità del Villani,
e là la nobile dolcezza del Giambulari e quando celebrarsi la faconda brevità
del l)avanzali, quando la rigida su blimità del Machiavelli. E or questo or
quello esaltarsi, e la severa ele ganza del Varchi, e l'abbondante gravità del
Guicciardini.Ma dopo tutto ciò, venendo ai fatti. falliva ogni prova. In opera
di eleganza, meno alcune frasi che a forza di udirle pil l' Ine ne ricordava e
le inseriva sforzatamente, e anche le più volte a sproposito, tra le ciarpe di
una dizione sempre mia e di un periodare sconveniente, avveniva di me quel che
di un gastronomo, il quale senza impararne altrimenti il me stiere e nulla
suppellettile avendo di cognizioni pratiche, pure al saggio di questo e quel
manicarello e mercè di un buon corredo di nomi, a. cesse professione d'arte
cucinaria.Quarle sconciature ! quanle ingrale dissonanze ! quanti piastricci
rincrescevoli ed insipidi! E non se ne può altrimenti. Il commettere ordire di
frasi e periodi più tosto ad una che ad altra foggia è cosa tutta soggettiva, è
affar di sentimento e vigor mentale. Il quale se guasto o Inal composto, ed il
linguaggio altresì. La ridice adunque, il midollo, non le foglie e i fiori si
vuole medicare, riformare, ringentilire, a volere che l'albero di selvatico e
malvagio risani, Trulli buoni renda e soavi. – Chiesto parecchie volle dai
Tedeschi, Francesi ed Inglesi del modo ond'io mi resi lo studio di lor ſavelle
proſi! Ievole a segno da reputarini si al parlare che allo scrivere un lor
connazionale, diei risposta che fa ap punto pel caso nostro. Perare la mia
mente, il mio pensiero ad eſligiarsi in delineamenti e forme straniere non
importa appo me l'accostare alla 'nia l'altrui favella, mettere a riscontro
l'una parola all'altra e violentare lue e più disparatissimi linguaggi, mercò
di contusioni e scontorcimenti, a combaciarsi l'uno all'altro, fatica da farla
i provetti ed investigatori delle ultime recondite ragioni filologiche, non via
ad imparare lingue fo. restiere: sistema orſo, le diosissimo, lunghissimo e mal
sici Iro. Il metodo delle sempiterno raduzioni è una bizzarria, un perditempo,
tortura delle menti, inutile, anzi esiziale. E' sempre il linguaggio a
conflitto col lin guaggio: non il concetto ad assisa dicevole e sua, e quindi
il parlare e scri vere insipido, barbaresco, a urti, a stropiccio, a
singhiozzi; indi il de turparsi della propria ed altrui favella; indi lo
studiare che si fa ben otto anni la lingua latina ed uscirne appena
balbuzienti, quando due anni – chi veramente slidiasse ed avesse alleli o da
ciò – basterebbero a farne poco men che un Cicerone. A dunque il ripeto, recare
il mio pen siero a riprodursi in effigie di altro idioma vale, a casa mia,
legare imme diatamente la parola all'idea, suscitare, a forza di leggere,
trascrivere e ripetere ad alta voce e pensatamente gl' idioſismi, le frasi più
elette, i per riodi più caratteristici ed anche lunghi tratti, un senso, cioè a
dire, im pressioni e senzazioni, pari alla natura ed indole di quel medesimo
idioma. ma sì che facendomi a quel linguaggio, le risento e al risentirsi
spontaneo scorre dalla lingua il linguaggio stesso. E' un fatto incontestabile.
Io ho memoria assai tapina, ho studiato sempre solo e senza guida, non ho mai
salto tradizioni, eppure, la mercè di un tal sistema, e a tirocinio di po
chissimo tempo mi son reso signore di alire lingue.Egli è il dunque per
convnizione di fatto ch'io dico e sostengo che ſilichè l' italiallo d'oggidì si
contenta di vederla soltanto ed ammirarla l'eleganza e non è punto del mondo
sollecito di recare a proprio sentire il caratteristico elegante e classico,
non gli verrà mai fatto per fantasti gare, lambicare, comporre e travagliarsi
ch ei faccia, di ritrarre il grato dei gloriosi antichi, ma il suo linguaggio
sarà sempre suo, ritratto sempre del suo sentire, del suo pensare. Egli è
mestiere di una radicale riforma. Noli erudi e dissertazioni, non indagini, non
rile analisi o scrutini filolo gici. Troppo presto. Lo ſaremo sul nostro quando
sapremo parlare. Ora lia li sll'o compito studiare accuratamente il magistero
del favellare periodare classico; decomporne le parti e quegli elementi
imprimerci che ne costituiscono il caratteristico e bello.I ritornando a d'ondo
il giusto sdegno, mi trasviò, dico che ad apprendere con sicuro profilo ed
anche usare convenientemente quella figura che si chiama con il nemici le
elissi, ci bisogna prelibare assen natamente, e leggere, e poi rileggere ancora
quegli esempi che in varie guisa la contengono, e ch' io li porgo, gentil
lettore, schierati in due di sliIl le classi e solo : I. Voci e il dtsi che
comporlot no , e licenza. II. l'articelle e il ct si cui si alliene il prete mi
esso. ("LASSE I. Voci e frasi che comportano reticenza
l: previlegio di alcune voci o parole, che hanno luogo nel discorso, e luttavia
non vi sono, di poterle, chiunque legge ed ascolta, agevolmente intendere, e
sentire, e lorse più che non si otterrebbe esprimendole. Molte di colali
reticenze sono in uso anche oggidì, e le ha il popolº continuamente in bocca, e
di queste non accade occupal selle. Ma ne sono alcune che il moderno
ordinariamente non usa, e solº pur quelle onde, a mio senno, vagamente si
abbellano e prendono sa pore e forza gli ameni dellali dei migliori
scrittori. Te ne offro, caro lettore, che mi lusingo di averlene ogginai
in vaghito, eletti e copiosi esempi, colli la maggior parte nell' Eden deli
ziosissimo del trecento e cinquecento, e che mi parve di ordinare lº articoli
recanti in fronte il segno di quella voce che secondo il sºntinº degli esperti
in opera di lettere, in qualche modo si omette, e va Pº intesa. Torno a
dire che non è l'assetto della collezione ch'io metto innanzi, e quello che io
ne sento– che non mi dà niente noja se ad altri non piace o se ne facesse anche
beffe – ma oggetto del mio lavoro è la Lingua degli antichi, e non altro che la
lingua. cioè il costruire e fraseggiar clas sico in quanto differisce dal volgare
e moderno, mostrato con esempi, e di tante e sì diverse forme, e di autori
colali e in numero tanti ! ARTICOLO 1. Ifilif; IMIlMENTE: (si bene; in
guisa ecc.) L' omettersi a suo tempo e luogo l'una o l'altra di queste
particelle dà alla frase un garbo che il profferirle non farebbe.Dove, quando e
come te lo diranno assai chiaramente gli esempi. (101). « ... e così
dicendo, con le pugna le quali aveva che parevan di ferro tutto il viso gli
ruppe ). Bocc. (Traduci: le quali aveva sì ialle). « Di ciò che... so io
grado alla ſottunu più che a voi, la quale ad ora vi colse in cammino che
bisogno ci ſi di renire a casa mia ». tale) Docc. « Diceva un chirie e un
sanctus che pareva un asino che ragliasse ». BOCC. (ad ora'
Alfermando sè, di spezial grazia da Dio, avere una donna per moglie, che lorse
in Italia ne losse un'altra ». I3occ.« Parti egli d'aver fatta cosa che i moli
ci abbian luogo? ». Bocc. « ... e andronno in parte, che mai nè a lui nè a te,
di me perverrà alcuna novella ). I30 cc.« E messa in terra parte della lor
gente, con balestra e bene armata, in parte la fecero andare, che...... ».
Bari. (102)« E guardi bene colui che avendo l'autorità di prosciogliere della
mag giore escomunicazione, assolvi altrui che non lasci della forma della
chiesa niente; però che gravemente peccherebbe ». Pass. (ass. altrui in guisa
che).« .... e tanto andò d'una in altra (parola), ch'egli si ſu accordato con
lei, e seco nella sua cella ne la menò, che niuna persona s'accorse ». Bocc.
(talmente - sì chetamente e furtivamente).« Costei è una bella giovane ed è qui
che niuna persona del mondo il sa ». Bocc. (in tal luogo e
maniera). “ ... Sere, andiamocene qui nella capanna che non ci vien
mai per Soma ». Bocc. (lal nascosta e sicura che,º pensando che in quelle
contrade non area luogo dove egli potesse stare nascoso che non fosse
conosciuto pensossi di iuggire ad alcuna isola rimola ». Cav. in guisa, sì
perfettamente .“ ... con inciò a gillar le lagrime che pareano nocciuole ».
Bocc. “ cºddº, l'ºppºsi la coscia e per lo dolor sentito, cominciò a mug ghiar
che pareva un leone ». Lo c.“ Dirºmulo nel viso quale è la molto secca terra, e
la scolorita co mºre ». Bocc. (103).« IIa roi adunque in parte la lortuna posto
che in cui discernere pole le quello che ancora giani ma non potesſe vedere ...
Bocc. E da indi innanzi penso sempre modo e via come ei glieli potesse lurare
». Fier. 104 .() h. non li ricordi della cosa dell'Aquila e dello Scarafaggio,
che non lui moli la più bello rende la ' o Fierenz. Iale, sì bene ordita, che...).
Egli allora con una superbia che mai la maggio e... ». Fierenz. (105). ... roi
l'a re le colta che niente meglio ... Ces. talmente, sì bene che...), \ on gli
bastando più l'animo di andare in procaccio, si condusse ad atto talora, che...
m. Fiel'eliz. (t ... ... e conchiuso di appiallargli un bel
figliuolo che non vedeva altro che lui n. Fiorenz un igliuolo, l'altrº ente
bello e caro, che non vedeva... . « Guarda come ciascun membro se la
rassomiglia, che egli non ne perde nulla . Fier. (in modo, il glisa, sì
perfettamente . « Per ciò bestemmia, che non par suo fallo . Malin. Se ne
scantona, che non par suo allo . Malm. - 1)ice le cose, che non par suo fatto
o. I 3el ll. lilli. « Se non fosse lo scrivere, sarebbe un modo di vivere che
non m'arrem mo bisogno, ed in rece sua serrirebbe il tener a mente ». Caro. (un
modo di vivere tale che ..).« E questo pensiero la innamorara sì l'orte di Dio,
che non si po - Irebbe dire, e ricrescevale l'odio di sè e della sua vita
passata, che con - - grande empito si sarebbe molla, s'ella tresse credulo che
piacesse a Dio o. º CaV. « ... che se io fossi serrata e rinchiusa tullo
di domane in prigione e tenuta ch' io non potessi andare a cercare di lui,
penso mi che immansi che fosse sera, io sarei trova la morla ». Cav. - «
... e andò la infermità montando che i medici il disfidaro (l'ebbero . per
disperato). Cavalca.- a Giunse alla porta e con una verghella. L'aperse che non
ebbe alcun - rilegno ». Dante (106), in modo, sì presto, sì facilmente. « Si
reslieno una cotta che non si potra reslire senza aiulo d'allri ». - Vill.
(Iale foggiata che...). NOte all'articolo 1, i101) Analizza un
po' la frase nostra lombarda: egli è afflitto come mai, e mille altre di
somiglianti, nelle quali vi senti oltre l'elissi di tale talmente, anche quella
de verbo essere che regge la frase: la quale omis sione è, tra l'altre cose,
oggetto di ossrvazione nel seguente articolo. (102) Guarda come ai valenti in
itatori del Trecento uscissero della penna spontanee le frasi e maniere dei loro
Inaestri.(103) Qui si è forse la voce quale che con leggiadria sta sola e cessa
la corrispondenza di tale. Simile all'allegato è quel del Petrarca : « Piaceni
a almen che i Iniei sospir sieni quali Spera il Tevere e l'Arno ». (caliz. 29).
(104) cioè quel tal modo acconcio e sicuro ; non un, nè il, la cui onis sione
dice assai piu che l'articolo non farebbe.(105) E' forma superlativa adoperata
spessissimo dai buoni scrittori. (106) E cosi dovrebbesi intendere, a In 1o
avviso, anche il secondo verso della Divina CUII, III edia: « Nel II mezzo del
cali Iilin di nostra vita -- Mi « ritrovai per una selva oscura – Che la
diritta via era sinarrita ». Cioè oscura tanto, a segno che.... E nºn dare a
quel che, senso, chi di poichè, perchè (Tomm.) e chi di per dove i Cinomio ed
altri). Con questo modo di sentire (tanto, si fattamente), è l'uomo che
pervenuto all'età delle tumultuanti passioni si trova coine in una selva tale
oscura che non ne vede più uscita, Inentre col chè, perchè ne risulta un senso
al tutto opposto; quello che è causa diventa effetto. ARTICOLO
2. flilSSI DI UN VERB0, quando in maniera subordinata e quando a
SS0luta u). I no stesso verbo di due incisi o membri l'uno all'altro
comunque copulati, l'una o l'altra volta, si lace, ove nol vieti pericolo di
ambiguità o bisogno di precisione. (« Ti avrei rii a modo che alla Maddalena ».
Fior. – che avvenne alla Maddalena). Si sopprime il più nell'inciso
secondario, dipendente subsunto, il quale talvolta il primo luogo occupa e
tal'altra il secondo. Assai vaga e commendabilissima è l'ommissione, non pur
del verbo, ma e di sua appartenenza dopo un che pron.) nesso comparativo, il
cui membro principale suona, espresso o sottinteso; tale, così...., in quel
modo e grado, quel... che: ecc. (« avere in quell' onore che padre ». Bocc. –
cioè nel quale si ha o si deve avere un padre . Si osservi di più che ornettesi
talora tal verbo, che anche nel primo inciso è sottinteso (« Richiedersi un
uomo del saper che il Padre Nugnez » . Bart. – cioè a dire che sia del sapere
onde è il Padre Nugnez, opp.: fornito di quel... ond' è fornito). b).
Anche il verbo soggetto ad un che congiunzione (dass, als, ut, quam) ed al
quale risponda un modo – qualità o grado di azione – che sia più che il verbo
da avvertire e rilevare, si tralascia molte volte non senza leggiadria di frase
e sapor di stile. Il vescovo rispose che vo lentieri ». Bocc. – cioè che il
farebbe volentieri la qual cosa avviene non solo di un che a governo di altro
verbo (es.: disse, rispose che...), ma altresì del che correlativo di tale,
così, il più e « lºd egli con una Su perbia che mai la maggiore, Fier – che non
ebbe o non fu mai la mag giore). Gli esempi che li reco, disposti in
quell'ordine che dianzi, non solo vogliono dirti che è veramente crisi, ma anche
farlene sentire il grato e stimolarli allo studio assiduo ed elica e di questa
e mille altre somi glianti venustà. ... perchè egli chiama rimedii, quei
che gli atlli i Ncellerat lesse o. l)av. quei che gli altri chiamano a
rate ciri, ha questa tarola della penitenzia da quello mºdº da cui la navicella
dell'innocenza, cioè da Gesù Cristo e dallº Sltº Pº sione ». Passa V. « E
poichè non potevano sassi si colsero a gittar maledizioni e calun nie ». 13art.
e poichè non potevano gilla' sassi. ... se la faceva la maggior parte
dell'anno, all'ºstºsº (lell'Indie, con riso; e quando più sontuosamente, con un
pºco d'ºrlº condite sol di lor medesime n. 13arl. e... se la faceva tºll llli
lº d'erbe...) º 107): a punzecchiò un poco la donna e disse: ºdi l' quel
ch' io? ». Bocc. (quel che odo io). Io non so, disse... se a coi sia
intervenuto quello che a me, che tutto il dormire di questa notte m'è andato in
un sºgnº" continuo di...». Ces. e però re intervenuto quello che
(tll'eremila col suo con lo 0 n 0 º. lierell?. « I)eh, non..., che redi
che ho così rilla la ren Iurat les lè che non c'è persona ». lSocc. - - «
... sforzandosi tutto di di non parere quei dessi che dianzi, tanti oltraggi
gli dissero e così luidi : l)av. ierata del parto e daranti di linº renula,
quella reverenza gli fece che a Padre ». Bocc. « ... i quali tenevano il
Saverio in quell'amore che Padre, e in quella reverenza che santo ».
Bart. si tiene un santo). º indicasso di ufficio e nei lºdºsini
ierri che il re, inviato a... ». Barl. (ed essendo ºi medesimi ferri nei quali
era stato il re ). (nel quale si tiene un Padre..., nella quale “
... fare a modo che la madre al lº ºillo quando lo ſa bramare la pOppſl n.
Fioretti. « Ma di sè non curò punto più che se non bramasse di rivere, e
non le messe di morire ». Bar . di vivere). « ... stimerebbono le anime
del l'ill galorio rose quel che noi Spine: chiamerebbono rugiade quel che noi
solli . Segni. ºi Iliello che avrebbe curato se non braInasse “ ...
trendosi a credere che Tºllo a lor si convenga e non disdica Che alle altre .
I3occ. ... che si conviene e l 1 l I disdice alle altre..« E quelle medesime
forse hanno in India l'iti li e gl'ingegni che in lºlºgna: e in quello medesimo
pregio sono i lottolº roli costumi in Austro che in Aquilone » Bocc.« Come il
Paragone l'oro, così l'arrersi di dimostra chi è amico ». I 3 c'e'. “ Ed
intendi sanamente, Pietro, che io Non l'n minº, come l'alt e, ed ho voglia di
quel che l'altre ; sì che l'ºrch º io non me ne l) l'ocutc''i non cºndonº da
te, non è da di menº male , I3 cc'.“ - ºgli medesimo determinò di rimanersi e
Correre quella medesima fortuna che lui, nulla curando me la pºi dila della sua
mare, nè il pericol, della sua vita ». Bocc." Iº lº uomini della
condizione che essi, maestri e promotori del l' idolatria, altro non era da (t
Spell (Irsi ... I 3ar[.." l'Ili all'incontro era fermo di rimanersi al mi
e lesimo rischio che ºsi, parendogli la r da mercenaio, non da buon poi sloi
e', se at bbandonass la greggia... o. I3art. Se io piango ho di che o. I; rec.
di che | Iilliger . “ La ſan le piangeva forte come colei che arera di che ,
Boce. “ Le quali ſcortesie, molti si sforzano di fare, che benchè abbian di
che, sì mal far le sanno, che prima le l'anno assai più comperar che non
ragliano che ſale l'abbiano . I loce. (di che doversi sforzare a farle, º Dirò
quello ch' io avrò fatto e quel che no , Ifoc,« Voi l'avete colta che niente
meglio ». (les in maniera che meglio non si poteva cogliere).“ Di certo non lu
mai uomo innamorato così l'alcuna persona che ne facesse o sentisse quello che
Luigi per amore di Dio « Dice il Sere che gran mercè, e che... ». Il che
vi tiene obbligo di gran mercè). « E rispose a sè medesimo che mai no o
l'assav. “ ... e se di niente ri domandasse, non dite altro che quello
che vi ho detto. Messer Lambertuccio disse che volentieri e tirato fuori il
coltello... come la donna gl' impose così fece p. Bocc. - « Tornali a
Sacai, si ad una ono loro intorno tutti i cristiani a udire voda Lorenzo
che norelle recasse: ed egli a tutti, che felicissime: e contò...». I3: il
1.Prese una tal gentilezza e proprietà che mai la maggiore ». Ces. ... ri con
cerrebbe a lui lornare e sarebbe più geloso che mai ». l3 ('.llli 2 di Giugno
1S33 lu incorona la 1 nn 13olena con la maggior pompa che lei ma mai o. I
)av.Fracassata l'armalat. g) e mite le lilora di cadaveri, con più virtù e
lierezza che mai quasi ci esciutti di numero.... Dav. 108). ... godendo che
l'ossei o così vilipesi e br amando che peggio ». Fier. li e li avveri sso di
peggio .Vli repliche il lorse... V e di mente che si, ma... . Caro. ! Il rint
ºn li, come lo dimosissimo del noti li io, sarebbe quinci pus sotto dentro le l
a a predica e ad l abi e a Persiani, con quella riuscita che pochi mesi aranti
un lei ren le religioso dell'ordine di S. Francesco, e certi all il seco, li
aliili con stelle e mo) li la saraceni . Bart. N Ote all' alrticolo
2. 10) , I, I.issi, a lui lo rigore, sarebbe anz doppia: e quando la
faceva pI i sontuosame te, se la faceva con.Troppo ci sarebbe che dire se tutte
si adducessero le reticenze vaghe parimenti e vigorose di questo potentissimo
scrittore Guarda, per dirne pur qualche cosa, con quanta grazia . I 13artoli
adoperasse un altra eissi simile a questa che abbiam tra Irlano e, non qualche
volta soltanto, Irla soven , che due e tre la riscontri talora nella Imedesima
pagina, cd e quei 1 di una proposizione al pit ve li recati ad un solo mercè di
ll li V el'ho ( olillllle e generale, cioè in lire di valore lil delel'Illinato
essere fare, mettere, ecc.), che ! ., una sola volta ed a cui guida
reggonsi le altre voci di riol: liti il che, come, dove e della diversa azione
attri butiva: debboni prenderla alla scoperta contro de lºonzi, rivelare gli
rrendi e le andi or vizi, e metterne gli insegnamenti in dispregio e i costi
tini in abboninazione del popolo ». « Ciò farebbono levando popolo in
Funai come si era fatto in Amangucci, e mettendo le mer anzie de Pol togliesi
in preda, la nave a fuoco, e quanti v'avea di loro al taglio delle scimitarre o
invece dei gerundi predando, incendiando e tagliando) – I) in Sancio, come
padre comune, a tutti dava albergo, ( a tutti largamente di che sustentarsi
».10s Simile il modo nostro lombardo: contento, allegro, tristo, afflit , come
mai, che fu già menzionato alla nota 101. Anche la lingua te desca ci
somministra esempi non guari dissimili, ARTICOLO 12. I VERBI:
VOIERE, DOVERE, p0IERE (mögen, können. diirien) comportano
reticenza ove all'ombra di altra idea, verbo o qual altro sia si termine, sì
leggiadrati len le riparano che più grata ed eſlicace torna la loro parte
assenti, che non ſarebbero presenti. Come e in quanlc guisa e li chiaris
ono gli esempi. Non leggerli soltanto, ma studiali, assaporali e fil di
prenderne dilello. Egli è in questa maniera che il pensare e, per conseguente,
anche il dire prende a mano a mano quel tornio di azione, quelli Iorina al resi
di eleganza che nei dettati dei migliori scrittori. « E vede ra la
bruttura dei peccati suoi, e i demoni d' intorno ag gravando queste parole in molti
modi, vedendo ch ella non sapeva ancora che si rispondere ». Cav. che cosa
dovesse o polesse rispondere. « Qui ha questa cena e non saria chi mangiarla ».
Cav. chi potesse O volesse mangiarla). « Qui è buona cena e non è chi mangiarla
». I30cc. « ... ſecesi compagno..., per lasciar chi succedere ». Dav. « I)i
tanta santili che li dei nomi non al re ritmo a cui entrar dentro o. Fiorelli.
(non avevano persona in cui polessero entrare”.« Viene il demonio per
sospignerlo quindi giuso. Di che S. Francesc non avendo dove fuggire si rivolse
al sasso lo stucolando con le mani...». Cav. i non avendo luogo dove potesse
filggire .« Allora disse la liadessa: ligliuola mia, e non ci ha dove tu dorma:
ed ella disse: «lore coi dormi in ele, e io dormirò.... ». C: V.« ('h e la mia
rila acerba, Lagrimi a nolo II o rasse ove acquietarsi ». Pelr. « Non sapiendo
dove andarsi, se non come il suo ronzino stesso dore più gli parera ne la porta
ro ». 13 cc.« Non sapeva nè che mi fare, nè che mi dire se non che l'rale Ri
naldo nostro compare ci renne in quella ... I 3 t .« I)i Giusea, do ho io già
meco preso partito che farne, ma di te stillo Iddio, che io non so che farmi .
I 3 ('C'.« Imperocchè quello libro (l' ipocalisse è di grande solligliezza ad
intenderlo ). I3ll I. Corn. l)all I e.« E redendosi il leone ingiurialo lanlo,
e ſi rendo preso un ſolo slot di intra due, o dargli morte o perdonargli n.
Volg. Es p. (se dovesse dargli morte....). º Tullº la rila sua acra spesa
in lontanissimi pellegrinaggi, cer cºndo i luoghi santi del Giappone, doru nque
e, a qualche idolo o cerimonia con che prosciogliersi dai peccati a Bari.ln
lendi sºnº nºn lo, marito mio, che se io volessi far male, io tro l'ºri ben con
cui : che egli ci sono le ben leggiadri che mi amano, e co gliomini bene l'oro con
cui poterlo lare.Sr lossº un palagio, e l'osse e siandio lullo d'oro e
d'argento e bello quanto pil polºsso essere, e non fosse chi l' abitare e non
ci stesse per sonti, il n grande peccato sarebbe questo lº Giord.Perche ... chi
saperlo? chi ride nel secreto di Dio il perchè di que sto gore i nutrsi così '
. Cesari.e l.odulo sia lalello, se io non ho in casa per cui mandare a dire che
lui non si aspellato 13 non ho persona... per cui io possa mandare). E se ci
losso chi farli, per lullo dolorosi pianti udiremmo o. Dav. Il loroso qui i lo
mai alcun altro (19 .trasporta casi dove il vento... . Bari dove voleva il
vento). (110). ( atlandrini ... pºi c'e' lissimo librº srco medesimo d'esser
malato lilllo sºlo tra il latlo qli doni di nullò : Che fo ? l)isse lº uno: A
me pare, che tu torni a casa, e i lilli in sul lello . I clie dello io il re
?... A me pare l'ori i ba riare a .. .V (Ilen l uomo, io ho la più persone in
leso, che lui se sa essimo, º nelle cose al l si l i n olio e col nºi: e per
ciò io saprei colentieri da le, I tale delle l e l'afgi l il repuli la cerace,
o la giudaica o la saracena, o la cristiana loce. Vorrei sapereli a dalla per
la sua presto a dore fare ciò ch'ella gli comandasse ». I 3 (''. | | | .Ella
rimase lulla con lenta, pur e ch'ella polesse fa, e cosa che gia piacessº, e
rimase a pensa e con queste cose si facessero più presto mm e mi l ' . ( il V :
il n.\ 'il' atli Illes la dolorosa notal re lulli mori, e, e mirando or l' uno
or l'altro, non saprei qui al primo si piangesse o Cav. si dovesse piangere.
l?irollosi tutto a docet li orare modo come il giudeo il servisse, s' av risò
di lot rºlli una forza d'alcuna ragion colo, alla s. Bocc.a 1 me pai rebbe che
noi andassimo a cerca senza star più ». Bocc che noi li ll'emiro, dovremmo andare
.Ma se alcuno si moresse e dicesse: perchè non fu questo rivelat , ad 1 ml mio
innanzi che quel li atle morisse, che, come sorerenne all'uno, così avesse
sovvenuto all' all I o ” . Cav. avesse potuto.... . E fallo questo, gli disse:
quello che a me parrebbe che tu facessi sarebbe questo, che tu pigliassi di
molti pesci e ponessegli l'um dopo l'altro dalla bocca di questa lana sino al
buco della serpe.... ». Fierenz. a N on sapeva che farsi, se su vi salisse o se
si stesse ». Botc. (che ci si dovesse fare, se dovesse...).« Io non so quale io
mi dica ch' io faccia più, o il mio o il tuo pia cer, . I3, c. non saprei qual
dei due io debba, o mella conto ch' io faccia, se il lilio o il lli i piacere.a
Ond' io a lui: dimandal tu ancora Di quel che credi che a me satisfaccia: 'h'io
non potrei, tanta pietà mi accordi ». Dante. (mi vogliº, ini debba, o mi abbia
a sodisfare). « Nastagio udendo queste parole, tutto limido dire nulo....
cominciò ad aspettare quello che facesse il catraliere n. Docc. « E perciò
dunque proromper ('risto in eccessi a lui così disusati di maraviglia ? ».
Segn. (volle, dovette Cristo prorompere). NOte all'articolo
12. (109 ) Forma di grado superlativo, frequell Issillo -lilla penna i
classici e con lume alla lingua tedesca e inglese. (110) Negli esempi fin
qui allegati avrai osserva lo clic e una delle voci: chi, cui, che, dove, onde,
ove, se il soggetto, oggi 11 o o circost: i nz: principale cui - riferisce con
il lique l'azione del III do elit Iro. i 111) Gustalo, anche negli esempi
che a questo film Ilo segui o, quel congiuntivo che cessa l'all l'o, veri o ill
de si gllida. 'l'ori la loro is: I lente al : mögen, dirfen delle solite forme
tedesche. E dire che si è scritto e di scusso tanto intorno a quei facessimo
del l'assava iti. Non per opere « di giustizia che li oi facessimo » ( oè che
noi potessimo Irlai fare V . - sione del testo di S. Iº:nolo : « non ex
operibus ill-titi que facimus nos. E chi la disse scorrezion degli stampa [ori,
che e il rilugio ordinario degli ostinati; chi licenza del traduttore e chi
l'una e chi l'altra ( º belleria. Il Bartoli all'incontro, che se l'era il
trecento tornato, per così dire, in natura, sente in quel facessimo non il
fecimus e II è anche il face remus, che sta bene, dicegli, nell'italiano quel
che nel la Inal sone. rebbe; ma un non so che di elittico, come sarebbe a dire:
quantunque ne facessimo o altro di somigliarmi e. Vielle a dire in 1 nelllsi i
le cºllº, i militi che lion lo dica e nessuno, ch'io sappia, l'abbia mai deti'
, espressamente, in tale e simili costrutti vi è sempre clissi di uno dei verbi
potere, volere, dovere. ARTICOLO 13. Il'INDEfINITO DI UN
VERB0 obbligato ad uno dei verbi potere, role e, sapere, dovere, si trala
scia alcune volte, con un sapore e con un garbo ſullo italiano. L'oppostº del
ragionato all'articolo precedente: là questi verbi, non espressi,
erano sottintesi in un altro verbo; qui sono appunto questi medesimi verbi
che ne sottintendono un altro. Quando e come agli esempi. “ Ti orºlli ( o
di notti in ono onor quanti seppe ingegno e amore ». l3 cc. seppe o il mare e
Irovare Sºnº lºro non può l tono un cibo, ma desidera di variare ». Doce.
(non può soffrire . l: I tiri spesso rolle insicuri e si la cella rai no,
ma più a ranli, per la solenne guardia del geloso, non si poteva . I; ci
ma di più non si po teva fare).º ... non c'n li tlc mi cco in preconi nè in
prologhi. Quando volete cose Che io possa, but N lui il m con lo ... ( il
l' . lo era un asinaccio che non poteva la rila , Fiorenz. non poteva reggere).l'ºr
la qual cosa ci ri unº, che ci e scendo in lei a mor con linuamente, ed una
malinconici sopralli di aggiungendosi, la bella giovane, più non potendo, in
fermò ed eridem le mente di giorno in giorno, come la neve al sole, si
consumara o. I3 cc. pil non potendo reggere .Voi mi ſono aste e mi accarezza
sle allo, a assai più che non dove vate una persona non conosciula e di sì poco
a fare come son io o, Caro. che non doveva e onorare una persona, o fare con
una... . ... Spatccia la mente si lerò e come il meglio seppe, si resti al
buio...». I3 cc.« Il percosse Iddio in la parte che non potea meglio per
isrergo (/n (trlo ». Cesari, che li in pole a fare, accadere meglio.... .lºra
bassello di persona, e pieno e grasso quanto potea (quanto pol ea mai esserlo,
divenirlo .E già tra per lo gridare, e per lo piangere e per la paura, e per lo
lungo digiuno, era sì rinto che più a ranli non potea. ». Bocc. non po leva
andare, reggere, sostenero).('on gen le sì laccagna, crudele e superba puoss'
egli altro che man temere libertà o morire º v. l); V al 17.E tanto basti a rer
accennato di quelle che per poco che sia, al niente che riliera il saperlo, non
può altrimenti che non sia troppo ». Bari (non può essere, non può fare).« Ma
lulli erano a campar la vita, se potessero con la fuga o. Dav. (se potessero
mai farlo con).« Ora con quante più dimostrazioni di riverenza sapevano, di
nuovo l'imarbora ramo . I3art, la croce sapevano fare, esprimere, tributare). «
Adorni il meglio che sapevano ». Rart.« La lena m'era del polmon sì munta
Vell'andar su, ch'io non potea più oltre a Dante, Maniera comune ad altre
lingue).« l 'ea finalmente preso sì allo grado di perfezione che non si potea
più là ». Ces.« La natura della cosa porta così e non se ne può altro ». Ces.
(dire. fare altro). « ... se ne rennero in un pratello nel quale non vi
poteva d' alcuna parte il sole ». Bocc. (non poteva avere azione... -- Nolalo
anche negli esempi che seguono questo particolare uso del verbo potere, che è
bello, forte e tutto italiano). « La bottega dello speziale debbº essere
posta in luogo, dove non possano l'ºn li e solo o. I): I V. ( ... pendici
boscose, per i venti di tramontana che molto vi possono smaltate di così duro
ghiaccio... ». I;art. Segn. « ... in paese di terren magro e sil restro,
e in lornia la i là d'allis simi monti, onde il lreddo vi può eccessivamente: e
pur r è caro di Ie gne ». Bart. () [LASSE II. Voci e frasi cui si
attiene il pretermesso Meritano all'enzione in modo particolare e studio
quei costrulli che l'erario ad l Il senso che grammaticalmente non hanno, od è
altro, e ! all le avanza il malural valore delle parti onde si compongono. La
qual costi procede, io m'avviso, da un colal modo di significare, dirò così la
lente e lºroprio soltanto di questa o quella voce, alla quale, in tale lal all
ra forma ad perala e convenientemente collocata, viene una forza e indi alla
mente un' idea che il senso e l'intelletto subitamente appren dono, ma il
maniera assai più vaga ed evidente che non farebbe un se gno di valore letterale
ed esplicito. Le elissi della classe precedente erano quelle di certe
voci mani festamente pretermesse ed alle tuttavia a sol lin[endere. Ora vuolsi
al l' incontro allegare e proporre allo studio del giovane filologo molti
esempi di quelle voci le quali, non che si tralascino, ma stanno per più altre
dicono più assai che non faccia il material suono. ( ). ( ) A me sembra,
dirò col Gherardini, che, indirizzando la mente a ritrovar questi ascosi
concetti, si abbia a ritrarre dalla lettura un diletto ignoto a chi non penetra
più là dai lievi egni delle idee che l'autore intende
risvegliare. PreVengo che per non isparlire, più che non l'isogni, la
materta. pillºvelli di alcune menſi varle soltanto e rimandare il lettore ad
altro capitolo di altre ragionarne anche oltre i lerimini dell'Articolo e dire
di altri usi più notevoli. ARTICoLo 1. lascio le discussioni
intorno alla natura di questa particella, se sia O possa essere, secoli l g'
sci il lori, alla cosa che semplice preposizione, se si verili e il posto il
luogo di altre voci, e se finalmente, i saldi si ad i Ilicic, che di semplice
pi e posizione, si i lorº clip i cicli con i voti lolio, li a gli altri, il Ghe
rardini, da lui le ho idea pl e le press e soliti esa, o sia dessa all' in con
l'o, e così pare il mio, e lo ſcroll l: di Iroppe altre idee, torna a l lIn Se
gli e la l li se il l il si l radl Il l'ebbe sull' rogando il re parole, la con
i ponenti in ci o la sintesi e slenuandone Illindi il sapore e il vago di II li
ascosa vi li Islà: e comincio subito co; - l' addii re, prima di lillo, esempi
di un ct ad Iso ben diverso che di sem plice preposizione, e di un gol I loro,
di rina belli, virli cd elicacia, che non si potrebbe a pezza con la lunque al
ra v . e. ( )sserver: li : il come l'essere una al parlicella ora
articolata e ora no, iol è, con le dicono, allar di colli o di ſol ma sl l'iore
soltanto, ma adopera sull'essenziale valore e quiddi là del liscorso. Le frasi,
a cagion d'esempio: con lo scudo di pello: stendersi di un vento a poppa: pianura
di mare: quardare al concupiscenza, ecc. ecc. si scollcierebbero e guaste
rebbero non chi altro ad incorporare comunque l' articolo con un a co tale;
laddove altre coll'articolo, p. es.: male allo al camminare: virer.' all'
altrui mercede ecc. ecc., perderebbero lor sapore e forza sopprimen (l lo): lo)
come assai sovente colesl a risveglia nell'animo un senso che torna pressº a
poco ai modi: allo scopo, a fine di, ad elfello di, al hoe ul: in confronto,
per rispello a..., al rispello di..: in forma di.., in modo di... a guisa di..,
conforme, i clatira nºn le t... quanto d..: a lorsa di....ricorrendo a... con,
col mezzo: dopo, di lì a., a distanza, ad inter rallo, della durata di..:
intorno a: ecc. ecc.. e come talvolta li par che codosi a come acutamente
osserva il Gherardini, si continui alle ideº sottintese: inducendosi,
recandosi, nellendosi....... : guardando, ponendo mente: esposto, occupato,
inteso, raccomandato, solo posto ecc.Dopo gli esempi di un a che mi avviso
altra cosa che una semplice preposizione e voce cui si attiene evidentemente il
pretermesso, porrò, quasi a complemento di quello che parmi doversi dire
intorno all'uso antico e commendevole della particella a, altri esempi di un a
che, se pur è segno di semplice preposizione, non però a quel modo comune e
volgare d'oggidì. Si leggano e rileggano colesti esempi, ma attentamente,
assennata mente, ed ad alta voce, così cioè da gustarne il vago e sentirne
proprio la forza, il peregrino che lor viene dalla particella a, e gioverà a
render sene al tutto padroni, e ridirli e riſarne, occorrendo, de somiglianti,
ma sì che appariscano cosa naturale e tua, non opera di studio e d'artificio,
gioverà, dico, più assai che non ſarebbero vaghe teorie, mille sacciute
definizioni e divisioni, che in materia di eleganza guastano talora, non
che n'aiutino lo studio, ciò è a dire il pratico profitto. (138) « Mi
metterò la roba mia dello scarlatto a vedere se la briga lui si roll legrerà n.
13 cc. tafline di... opp. e sarò vago di.. .a Che senza dolerlene ad alcun tuo
parente, lasci fare a me a vedere se io posso raffrenare questo dia rolo
scatena lo m. Bocc.« Vè caghezza di preda, nè odio ch' io abbia con ra di roi,
mi i lºrº partir di Cipri a dovervi in mezzo mare con armata mano assali, c .
lioccº, º allo scopo di... aſlinchè vi dovessi.... .() ne's la cosa º perdonare
ai poreri quando errano, ed esot minuti e sè stessi a vedere se negli animi
suoi alcuno diſello per arren litrº nascoso si stesse ! ». Casa, Uff.a ()ra ci
raccomandiamo a questo Santo morello a vedere s' ('Ili lº niuna forza in mare
che ci faccia riare e l'ancore nostre , V. SS Pad. « I ccise un suo mimico, e
per camparsi dalle forze della Itaſſio nº si fuggì a franchigia in un monastero
». Barl.« ... disse che egli sarebbe a sepultura ricerulo in chiesa ». I3ocr'.
« ... or mi bacia ben mille volte a vedere se lui di rºm o . I3o e'.
«Spessissime volte io ho mangiato e bruto non a necessità, ma a volontà
sensuale ». San Bern. Tral. Cosc. Cioè: ho mangiato e bevutº non a fine di
soddisfare t....« Per quanto io posso, a guida mi l'accosto . l)alle. mi
accompa gno pronto a esserli guida,a Ver è ch'io dissi a lui, parlando a
giuoco: lo mi saprei lerar per l'aere a rolo . Dante. (a fine di pigliarini
giuoco.« Se tu studi nella continenzia, fa di abitare non a diletto ma a sanº
tade ». I)on Gio. Cell.« Leggi non solamente a consolazione e diletto degli
orecchi, mi con pensamento, intelletto e fatica d'animo . lºsop. Cod. Fars. «
onde se il frutto ti piace più che il fiore, cioè leggere il librº º trarne
ammaestramento....... guarda al line che importano le parole ». Esop. Cod.
Fars.E andando il leone, poco dopo queste cose, a diletto sprovveduta mente gli
renne dato nel laccio del cacciatore ». Pass. 139. ... nondimeno a cautela si
ordinò che.... ... Caro. « Io ro che l campo là do Sul (teini l omani a spasso
andiamo a risilare ». I'illci Luig. Morg. (a scopo a titolo, a modo di... ).
Caro figliuolo, se roi amarale avere a donna questa damigella. roi non lorº
rotte le nºr bargagno -. Vill. M. destinandola a esser vostra moglie.l 'endo...
una gru ammazza la.... quella mandò ad un suo buon cloco...... e sì gli mandò
dicendo che a cena l'arrostisse o Bo, c. Federigo andò a V inezia, e gillossi a
piedi del... Papa a miser - cordia , per ottenere, o implorando... Vill.
G.Molle colle si conduce l'uomo a ben fare a speranza di merito, od altro suo
rantaggio, più che per propria rirli o Nov. ant.« Chi potrebbe dire quanti già
a diletto lasciarono le proprie sedie, e alloga romsi nell'altrui? ».
I3oce.('osa ordinaria, dic 'egli, che chi è rivit lo dissolutamente a fidanza
della divina misericordia, morendo ne sconlidi ». I3art. 140). Maledello è da l
io ogni uomo che pecca a speranza ». Pass. (141). La speranza del perdono. Si è
data a chi la ruole: E colui l'ha per mio dono. Che del suo peccato duole: \ on
chi a speme peccar suole, Ch' io non faccia la rengianza la l'ond.Paolo,
sepulto rilmente in terra, risusciterà con gloria : roi, coi sepolcri de ma mi
ed esquisiti ed a trali, risusciterele a pena ». Vit. SS. IP: l d.Trasse di
prigione la della ln per il rice, e isposolla a moglie nella e il là ali
Patriot , Vill. (i. i trad. destillandola a esser moglie. E Maddalena, piena di
contrizione, si seri è l'uscio dietro e spo gliossi alla disciplina, diessi a
piatti nei e amarissimo mente i suoi peccati ». Caval.... e da rasi ne' piedi e
nelle gambe, e da casi nelle braccia, e lo gliera la cintola sua spianata la
fornita di spranghe, ch'ella solera por lare a vanità, e spogliarasi ignuda, e
batte casi con essa tutta dal capo (il piò, sicchè ella filatra lilla san Ilie
o, Caval.a I)i lui rimase uno figliuolo che ebbe non e' l rrigo, che 'l ſece
eleſſ gere a Re de Vomani ». Vill. (i. 142).I)ormendo in sieme... nel suo lello
piccolo a due, ma ben fornito ». Sacch. cioè fatto per servire a due
persone), Ed assai bene circonda la di donne e d'uomini, da tutti
conforta la al negare . I3 # 1 (3). a V elele com' io son gra ricciuola e
male alla al camminare ». Fier. a Rincorandolo al taglio ». I3occ. a
soffrire, a volersi permettere il taglio. “ Chi adunque s'interporrà a che
voi coll'anima non possiate a ro stri amici andare, e stare con loro, e
ragionare, e rallegrarsi e dolersi ? ». Boce. (ad impedire che..., opp. con
tale effetto che...):º 1 roi non sarebbe onore che vostro lignaggio andasse a
pover tade ». Nov. ant. (a languire nella povertà).“ ... di poi sempre meco
medesimo dedussi quei suoi deli, sentenz º ammonimenti a mio proposito ».
Pand.« ... e molti altri che a narrar li saria fastidio ». Giamb. a volerli
narrare, se si dovessero narrare, opp. facendosi a narrarli.« Vom prima
decaduti ri mirano a ril fortuna che los lo suonano a ritirata, a raccolta, se
non fors'anche a vergognosissima fuga . Segn. Sta ma nº, anzi che io qui
renissi, io trovati con la donna mia ir casa una femmina a stretto consiglio ».
I3 cc.« Chiamare, venire a parlamento.... o. I)av. – (osì dicesi : Suonare a
capitolo dei fra i).« Il santo fra le fu insieme col priore del luogo, e fallo
sonare a ca pitolo, alli irali raunali in quello mostrò Ser ('appellello essere
stato un s(1n lo so. E la C.« ('ongiurarsi alla rovina, alla morte di... ».
I3arl. (a conseguire la.. « ... e saranno solleciti a quello che da maggio i sa
, i loro coman dalo ». Pand. (a far quello). « I)i seta, d'oro e d'osli o
era coperto E dipinto a bellissime figure Alaiml. Gir. (con ornamento di...).«
Una coltre la corala a certi compassi di perle grossissime ». I3 cc. (a forma,
il maniera di..., col...).« ('ollirare a campagne di seminali e giardini di
delizie ». I3a (a modo..., in tal malliera... .« ('olesti luoi denti falli a
bischeri n. 3 cc. (a guisa di... a simili! Il dine di...).« Volendo ciascuno la
propria insegna, e ſu forza d'allargarsi in più colori, e quel medesimi in
dirersi modi formare a doghe, a sbarre a traverse, a onde, a scacchi, ed in
mille altre maniere o. I3orgh. V. « E quelle recchie loro col fazzoletto sul
riso a saltero.... V e contº elle ci ſan gli occhiacci torti ! ». I3uon Fier.
(144.« I pesci nolar redeam per lo lago a grandissime schiere ». Ioce. la modo
di..., – schaaren Weise, Zll...).« Venite a me ispesso, ma non venite a troppi
insieme che forse non sarebbe il meglio ». Sacch. (145).« ... renendo da me,
non renile a molti, ma a due o tre o. I3ocr'. (non molti insieme, ma due o tre
per volta).« E come gli parve tempo cominciò a mettere coperta nºn le ſanli in
Faenza a pochi insieme o Vill. (i.a Il conte vedendo che la Chiesa non gli
mandara da mari se non ti slenlo e a pochi insieme, le melle... ». Vill. (i.«
Le gocciole del sudore del sangue di G. C. che per tullo il suo lº nero corpo a
onde discorrevano in terra.... ». Med. Alb. Cr. ( Fºcerſili grande onore
regnendogli incontro a processione con molli armeggiatori o Vill. (i.“ Come da
più lelisia pinti e l ralli Alla liata quei che vanno a rºta, Lºran la voce e
l'allegrano gli alli: Cos... ». Dante, vanno in modo simile a ruota,( 0r chi se
lui che ruoi sedere a scranna? ». Dante. (sentenziare a lnodo che fa il
(iiudice in tribunale .« La licina prese a vero la parola e incontamente la
significò al Re di lºro ucit sito fra lello » (i Vill, per cosa simile, o
conforme al vero). “ Se io parlassi a lingua d'angelo e a lingua d'uomo, e non
avessi col rilà sì la I ei rom e la campana che si ball e o. (ir. S. Gir. in
modo sº. mille a Illello che puo mai fare un angelo ecc.,li gli amando la
nudità serrò la resle di (risto : voi, vestiti a seta, arcle perduto il
reslimento di Cristo - Vit. SS Pad. (146). Vom scºrre mai se non a suo senno ,
I ): ille, Conv. 147 . v I na gioranº... bella li a lull e l'alli
e... ma sopra ogni altra bizzarra, spiacevole e ril rosa intanto, che a senno
di niuna persona voleva fare al c'll not cost, nd” (il tri ſul l lut role ra a
suo , l 3 , .\ (ii resse l?omolo a senno suo. V una tecon ciò il popolo a
Religione e Divinità , . I ): V.lo roglio del I e di costui che renne lui di,
alel mio a mio senno, arri'. gnacchi non l'abbia merita lo . Pass, come mi pare
e piace). ... fallo a ress' io a senno del mio cane figliuolo e non egli del
rec chio padre ! . l)av.Dorma ri e da cantar l'usignuolo a suo senno liocc.
quanto e col le V Il le .Ma non si arendo con quei pesci caratlo a suo senno la
fame.... ». I I'.... l (t m lo c'h e a senno vostro io, lo debbo tre le l il 1
le pel contralatte no. (i il b.\ on ne corrò meno di li cºn l' ollo, come egli
me ne prestò e jam mene questo piacere, perchè io gli misi a suo senno e l'occ.
1 (S). e in somma si pose in cuore di colei e io e contrario a tutte quelle
cose. eh ella si dilella ra quando ella era rana: e questo lutto a senno e
volontà del suo maestro, e con e ci lui piacesse Cav.... e atmcora pensatrano
di domandati lo che modo e che rila t ressero a tenere, e ancora quello che
dovessero fare delle cose corporali, impe rocchè ogni cosa volerano che fosse a
suo senno e a sua volontà ». Cav. i 149). ... tutto quel rimanente di
pianura a mare n. 13art. 150). (posta vicina al mare, che si illiene al mare, e
anche piana come il mare . ('a mm e rut a tetto , ( la zzi. I Ncio
a strada . I3oe('. ... e se la collut ne' loro luoghi a mare l ro raramo
riso...., allora de lizia ramo ). I3arl. ... incontra un rento che le si
stende a poppa . l?art. I che sollia e spinge innanzi investendo soavemente la
poppa). « Portava a carne cilicio aspro . Cav. ſrad. a strazio di
viva carne “ ... faceva asprissima penitenza, portando a carne sacco
asprissimo e di sopra un rozzo vestimento o. Cav. “ ... negozi che non si
fanno tutta ria col notaio a cintola, ma con fede e lealtà di semplice parola .
liocc. (par che dica : col nolajo attaccato O appeso alla cintola . ma con
ballerano pianali, dove i nostri con iscudo a petto e spada in pugno,
sloccheggiarano quelle menº bront o. Dav. « Messa si prestamente una
delle robe del prete con un cappuccio grande a gote, ... si mise a sedere in
coro ... I ce che arrivava fino alle... o da coprirsi le gole) a La
moglie ne lece piccolo lamento a ciò che ella dovea fare ». Vill. G. a petto,
in confronto di... .« Ma io credo a rei rene dello pure assai. Aſſà sì, a
quello che porla il tempo, non a quello che ſulla ria rimarrebbe n. Ces.«
Troppo ci è da lungi a fatti miei, ma se più presso ci fosse.... .. Bocc. (per
rispetto, relativamente a... .« Ciò che daranti dello ſtremo, poco è a quello
che dire intendiamo ». I3 cc.« E tanto basti a rer accennato di quelle che per
poco che sia, al niente che riliera il saperlo, non può all rimenti che non sia
lroppo ». Bart. « Che è questa pena a quello che merita sti? ». I3occ.« Ma che
è a Dio la oll racola la superbia di un rerne ? ». Dav. « Dall' età di
Demostene a questa ci corre 400 anni, o poco più, che alla frale vita nostra
possono parere spazio lungo; ma alla natura de' secoli e all' eterno è un
batter di ciglia ». I)av. (15 l .« V ent'anni ! che spazio son dessi all'eterno
? tu se' ma la merce tanlessa se ruoi ch' io li baralli a quello o. l)av. (1 o
2 .« Ma lasciamo andare questa comparazione e simili, le quali sono piccole
all'altre spese, che si fanno soperchie ». Pandolf.« Le cacce, i parchi, le
conigliere, le colombaie, i boschi e i giardini che ri sono già inviati, sono
cose ordinarie, a quelle che si possono fare ». Caro.« Essendo conosciuta così
allera, Che tullo il mondo a sè le pſ rºot vile ». Ariosto. (cioè : tutto il
mondo, paragonato a sè, le parea vile). « Noi abbiam casa d'aranzo, alla
famiglia che siamo ». Cecch. « Domandò quanto egli dimorasse presso a
Parigi : a che gli ill risposto che forse a sei miglia ad un suo luogo ». Bocc.
(153). Ch'era presso alla città forse a due miglia ». Fioretti « Appresso delle
sue terre a tre giornate ». Sacch. « ... io vi era presso a men di dieci
braccia ». BOCC. Onde seguì a poco tempo che 'l predetto Irale non resse
all'Ordine e lorn Ossi (al secolo ! ». Vit. SS. Pad. “ Lo l'isloit
rispose, a lui parere gran fatto, ma dovendosi a pochi di lorni (tre redrebbe
chi di loro losse che dicesse il cero ». Sacch. “ Egli è la fantasina,
della quale io ho avuta a queste notti la maggior lºtti l'a che mi ti s'a rºsse
o lºocc. (intorno a queste...., in una o alcune delle scorse notti. (154).Forse
a otto dì alla sua promessa vicini . I3 cc. Fiam. lla nosli a lo desiderio
grandissimo e in certo modo certezza d'ac col lo..., non ostanti le cose delle
a questi giorni in contrario ». Caro. E a questo sci irri e toscano basta la
lezione delli rostri tre primi l'atmlº, l'ºl rarcati e l'occaccio, e di certi buoni
che hanno scritto a questi tempi ». Caro (circa, in lorno a questi tempi
« Il cui dilello a rendo il maestro redulo, disse a suoi parenti che dove un
osso lracido, il quale area nella gamba, non gli si carasse, a costui si con
renica del lullo o tagliare l’ulla la gamba o morire, ed a trargli l'osso
potrebbe guarire ». Boc ricorrendo al mezzo di... appigliandosi al partito
di...). (155).« A grave e crudel morte ti fa i ) morire o, Cav. di morte
cagionata da grave e crudel supplizio).c ... in un suo orlo che egli la cort ra
a sue mani , l?occ. A buone lanciate li ribullarano rovescioni giù dalle scale
». Bart. (a forza di..« ... aggrappandosi a mani e piedi su per greppi
inaccessibili ». Bart. ... miun alti o di sua grandezza aver avuto due nipoli a
un corpo : recandosi le cose ancor di fortuna a gloria ». Dav. (156).« Vi dico
che 'l cui rallo è mul rilo a latte d'asint... Ed ln l'ennero clº il puledro ſu
noi ricato a latte d'asina ». Nov. ant. 157).« Il Demonio tutto di pugne a
coltello i peccatori, e non gridano, e non s'agitano, e non si difendono, e non
se ne curano: ma lo sto sentiranno il duolo delle fedile, se non se ne medica
no ». Fra Gior (cioè : « punge cacciando mano a coltello ». Gherardini).
« I rrecarci in collo un fascio di legne, e rende alo a pane ed ad altre cose
da mangiare ». Fioretti. (gegen Brod., mediante permuta di...). a che parimente
l' uman sangue, anzi il cristiano, e le dirime cose a danari e renderano e
compra citno o l'80cc.« Qual colpa, qual giudicio, qual destino, Fastidire il
vicino Porero, e le fortune alflitte e sparte Perseguire, e 'n disparte Cercar
gente, e gradire Che sparga il sangue, e venda l'alma a prezzo ».
Petrarca, Non per vendere poi la sua scienza a minuto, come molti fanno o.
Bocc. Schiacciara noci, e rendera i gusci a ritaglio ». I ;occ. “
Vicere all'altrui mercede ». Giamb. (appoggiato, mercè dell'altrui.. . (158).
-º 1 ndando un dì a vela relocissimamente la mare... ». I;occ. (cioè : la nave
commessa a la vela. 159 .“ Malacca, tornata peggio che prima su gli sparenti e
su la diffi. denza era tutta a popolo ed a romore , l art. 160,“ ... e mise il
mare in così sforma la tempesta che quattro di e qual tro molti corsero perduti
a fortuna, senz'altro miglior governo che... , Bart. abbandonati alla fortuna, in
balia della.... ; 1 - « Non è sì magro cavallo che alla biada non
rigni un tratto ». Fie. renz. (che al Vedere la biada.« Non possiamo a certe
stravaganze tenerci di non le motteggiare . Caro. « E molte volle al fatto il
dir riem menu) p. I)alte. « Se tu non te ne al redessi ad altro, si le ne dei a
rivedere a questo, che noi siam sempre apparecchiate a ciò , Bocc.ſt Ma dimmi:
al tempo de dolci sospiri. A che e come concedette Amore Che conoscesſe i
dubbiosi desiri? ». I)ante. al vedere che cosa, facendo attenzione a che cosa .
« Conoscere all'abilo. alla furella , e simili. « La città si reggeva a
consoli o Vill. (i. (con governo di... . (161 . « La della città si resse gran
tempo a governo e signoria degli Impe r(Ilori di Roma ». Vill. G.« Se li vorrai
ricordare di qual patria lu sii nato, conoscerai che ella non si regge a
popolo, come ſacera già quella degli Ateniesi, ma è gorer nata da un signore
solo ». Varchi.« ("h e la città allora si reggesse a Consoli o con
l'autorità del suo con siglio o senato, lo dicono chiaramente gli
scrittori nostri » Bargh. Vin. Seguono altri esempi di un'a ad altro
valore che di semplice pre posizione e di usi assai diversi, ed in parte anche
noti. Non ne faccio serie distinte, che sarebbe troppo lungo, ma ne scelgo alcuni
e li di spongo qui alla meglio, l' un dopo l'altro. " " º
"gli º º º ninno che voglia metter su una cena a doverla dare a chi vince
». Bocc. la quale sia da darsi a chi " : lº º l'"ºn lºrº in su
un ronzino a vettura venendosene ». Docc. destinato a lirar la vel | I
ra”. “ ... con le note rele a chi più mi esalli , I; art. tale [llo, ad
hoc: chi pil...). Inler indire a morte o l'iel'eliz. º lº Iºsti a
baldanza del Signore si il batteo rillanamente... ». Bocc con lº e' Illanti da
compiacere all'ardire...).a l?ilo) ma ndo a d'onde mi era poi l'lilo... ...
Fier eliz. (al luogo onde). 1 cc (sotti nel castello... vicinissimo a dove ºggi
all blano 13asilea (iia il (al luogo dove.('on atmdò a pena della testa . I3 c.
(bel Todesstrafe). 1 ml e pare essere a campo, tanto cento viene su questo
letto » Sicch. Fr. esposto all'aria del campo.lº a mal rete in sino a Pisa a
questi freddi i ... Cecchi, (cioè esposto a | Iesi freddi lo i diesel villeº la
donna rimasti sola, racconciò il larselto da uomo a suo dorso , l30cc. (sì che
facesse pel suo dorso (162).“ Qualunque altro trilla la resse, quantunque il
tuo amore onest., slalo fosse, l'arrebbe egli a sè amata p) i loslo che a te .
l oce. (cioè : l'avrebbe egli ama la destinandola a sè per sposa, piuttosto che
cederla ti le o. (illerardilli .“ Ed il popolo tutto a grandi voci ringraziò
ladio . Vi ss Pad. (163, l'ill d.In abito di peregrini ben forniti a denari e
care gioie... ». Doec. cioè : il lallo, per quello che spella,
relativamente.... .1 Firenze il luglio e l'agosto si sta male a pesce, perchè
si arriva sempre i radicio e pazzolen le o. I Redi I e II. I 64 .l'ol re, in li
a prendere q. c. ad istanza, ad indotta di alcuno o. I3oce. I ): I V . I
3:ll'1. I tesla finalmente a mostrare come anche l' a copulativo e ad
ufficio di semplice particella prepositiva venisse allora adoperato dagli
autori classici il lima i maniera assai diversa che non si faccia comunemente e
volgarmente col linguaggio di oggidì ed è pur degna di osservazione e di
studio. « lo estimo, ch'egli sia gran senno a pigliarsi del bene, quando
Do menedio me manda altrui o. IBocc. (165). c ('he cosa è a ſarellare ed
a usar co' sa ri? ». I3oce. lo dico che è cosa commendevolissima a
mangiare e dormire con sobrieldì m. 13art. Giunto (un cervo) a una stalla
di buoi, entrò fra essi: de' qua'i buoi uno parlò al cerro lali parole: Questa
è cosa nuova e disusata a star con noi ». I sop. Cod. Fars. « Misericordia
si è a perdonare l'olese che sono fatte...., a consigliar chi dubilat, e
ammaestrare chi non sa m. Fior. Virl. A. M. « Mi si arricciano i capelli
a ricordarmi di quella orrenda entrata, e sola vittoria di Gallia o. Dav.
(166. « ... ed ultimamente per renne l'anello) alle mani ad uno, il quale
area figliuoli belli e virtuosi, e molto al padre loro obbedienti ».
Bocc. « 1 cciò che a mano di rile uomo la gentil giovane non renisse, si
dee credere che quello che arrenne, Egli Iddio per sua benignità per mettesse
». Bocc. (167. ... ed egli ricercò di more colmen le La basso che stesse
contento a dazi ordinari, senza metter muore angherie , (iial b. Ma
siccome noi reggiano l' appetito degli uomini a miun termine star contento...».
Bocc. (168. « ... e len negli ſarella infino a vendemia . I3occ.
(169. « L'ora ju a sospetto; la cagione presa per colpa: e la procura la
quiete le rò rumore ». DaV. « Da lui le parti si allolla cano allo no a
fidanza di sentirlo parlare . Bari. « Non ti nara rigliar se io le
dimesticamente ed a fidanza richiederò I3occ. (con conſidenza) (170. «
.....passalo a Mantova il cerno, il Padre lo tra millò a Casliglione a speranza
che l'aria ma lira e la bella postura del luogo lo risanatsse di... S. «
Non pensando che li mandassero a processione cerli re rsi con l' gli han manda
li p. Caro ( 17 l . « Era fornito l' altare a bellissimo disegno e con
molto splendore col (tlchè..... » IBarl. « Gli parlava a capo scoperto ed
occhi bassi ( es. « Arregnacchè a sua colpa la naricella sia fracassata e
rolla º l'assav. « Il peccato nº ha quegli che 'l ja, perocchè l la a
mala intenzione o I'l'. (iiol (l. « In due maniere sono perdule
l'orazioni dell'uomo: s'egli non le fot a buon cuore; o s'egli le fa, e non
perdona a colui che natº lº ". (i l'. S. Gir. a 1)unque loi lu
ricordanza al Sere! Fo bolo a Dio che mi vien voglia di darli un sergozzone n.
13, c. e Slot che lo : io li lai di medico re al mastro 13anco che è
molto mi o (1 mlico . Sacch. i 2;.Signor mio, io son presto a contessori ci il
vero, ma fatevi a ciascun che mi accusa dire quando e dove io gli tagliai la
borsa, ed io vi dirò quello cli e io ci ri ) la llo, e quel che no . 13 cc.
(173.l'ulte queste cose in lesi io gia i ceti a 1 e a uno ricchissimo padre e
lº la miglior rosli o di colo, l'alla loll.l clendo º l'ucidide l e lui e ad
Erodoto le sue storie, s'accese cla (I 'nº' Noi ci il bi: i ne' . Salvi i
li. I 4 . e l not figliol lat.... non essendo ci slui ma, e udendo a molti
cristiani.. -- mollo con nºi, la l e lui ci is list not leale.... . l
oce. i menduni o alibi due li fece pigliare a tre suoi servitori ». Bocc.
ll fece prende e a' suoi uomini ». Sacch.chiunque per le circostanti parli
passa ra rubar faceva a suoi soldati .. l) co.e appresso. Nè lece la rare e sl
i picciare alle schiave ». Bocc. .... Può e deve per sè dei irare a tutti
questi capi infiniti ed efficci - cissimi i corili rli , ( al . I 5 .a guisa
che la veggiamo a questi palloni Francesi ». Bocc. a quella guisa che far
veggiamo a coloro che per allogar sono, quatrº - clo prendono alcuna cosa . 13o
.Mollo a reali le donne riso del cattivello di Calandrino, e più n ci - ri e
libri ancora se slalo non fosse, che lo inci ebbe di vedergli torrº' ancora i
rapponi a coloro che lollo gli avevano il porco . Docc. I. , ol, ndo la r e nè
più nè meno che s'acesse ceduto fare al maestrº - ct tal, le .. . l i r.l mal
ripo' a gillossi alla mano di Paolo: la qual cosa (per la un tal e si relendo
quei ba) bat i prende e la mano di Paolo a quella bestia. - - - - alls Nero....
. A li apost. | | 6 .Sbigottiti per le pene e per li tra ci tormenti che avea
veduti Sos tº 7 ti, a peccatori li l': il ril Vlli .. . l'assveggendosi
guastati e a quelli che c'eran d'intorno... ». Boce. ... e ad infiniti ribaldi
con l'occhio me l'ho ceduto straziare (il mai ») I 3 , ( -.. goira, di qui e
beni che li reali gode) e a questi padri ». Ces : a ! Lasciarsi ingannare ad
una rana e slolla speranza ». Pass. (177). Lasciarsi colgere al piacere all rui
. Caro.Lasciarsi colge all'obbedienza del superiore , Ces. Lasciarsi rincor e'
a questa gente , l?art.Lasciarsi occi pare e vince e alla paura, per forma
che... ». C º Ed egli tutto fuoco lasciandosi tira e al suo usalo ferro e
d'alletto. - - - i . - - - - - - - - - 1 Ed io roglio
che lui gli conosca, acciocchè regga quanto discre º º men le tu li lasci agli
impeti dell'ira trasportare ». 130cc. t « V assene pregalo da suoi a
Chiassi, quiri vede cacciare ad un ca valiere una giovane, ed ucciderla, e
diroiarla da due cani o Doce. (178). « ILa giovane sentendosi toccare a:
- nºani di c li l il , il 1 le ella sor, i l tutte le cose amara..... senti i l
la erº nell'a mm , quanto, se ios se stata in Paradiso ». Bocc. 179). NO
te e Aggiti inte all'Articolo 1. :138) Gli esempi che ti allego,
divisati e ord. nati come meglio seppi, sono in numero Inolti e di Iliolte
forme e baster: illo; ma son ben pochi del resto, anzi pochissimi a quelli che
mi vennero a mano. Non ne ver rei a capo in parecchie centinaia di pagine se
Illſ e prendessi a recitare le proprietà, i privilegi, le perogative, gli usi
iroll eplici di cosi fatta particella, scandagliarne e discuterne le intime
ragioni logiche, erigerne teorie e apprestarne criteri; fallica, del restº, di
n. llli pro e per poco no civa. Ella è assai spesso elemento essenziale di Ip
idiotismo, o maniera di dire leggiadra e propria della lingua italia tra es.
fare a chi piu Iman gia, beve, grida, ecc., e come tali e non in par (Illi
luogo da ragionarne, si come quella che d'Illi si intimo, lodo si lega, o per
cosi dire si ſolide cogli altri elementi, che ad estrarla, appena la riconos i,
e vi si però sell irrle, gustarne ed apprezza ; II e la fa , zii, il ll - da sè
sola, Ina nel suo tutto; il che pili convenientemente ſaremo alla terza parte
di questo I)irettorio. I)i più l' a articolata ( III en , preti ess: a 1
in li od altre voci di II, la moltitudine sterminata di maniere avverbiali,
nelle quali quella medesima preposizione a, che talora il lica spartiſamente
disposizione: a uno a uno; a decine a decine ecc.; tal'altra del ta III do,
Iorma: andare a piedi, a cavallo; fare checchessia alla buona, alla carlona; a
poco a poco, a otta a otta; vesti a oro, drappo a fiorami ecc., e signi a 1:1,
ora, quan-- do imitazione: vestire alla francese ecc., e quando fisica e morale
disposi Ziolle: a viso aperto; a occhi chiusi; a malgrado ecc., lIiolti dei
quali nodi, cioè i meno noti e pur degni da inci Ilcarsi, si addiirra:ino,
corredati al solito di buona scelta di esempi, quando ratteremº degli avverbi o
for me avverbiali in particolare, (139). Nota il modo andare a diporto, a
diletto cioè a scopo di diletto ecc. Simile anche l'altro del Passavanti:
Guardare a concupiscenza cioè con appettito di rea concupiscenza. Cosi si
dovrebbe intendere anche il modo (divenuto) Volgaro : andare a spasso, cioè non
nel significato di an dare a passeggio, ma in quello di andare scrivere,
leggere ecc.) al scopo di svago, di diletto, di passo. al 10,. Ti aſiuc.:
( ull'allino, col intelizione che confidando e ricorrendo alla livina il seriº
rili: lle soglia poi la V V ed Incillo e perdono. I 1, l: la traduzione del
molo luogo: maledictus homo qui peccat in spe. Ma Ilia lil , e lº iu vaga e lo
I e la Irase italiana! Vi senti l'anilino 11 i - osl, illo e resi resi li ti so
a ore, il cliale, Vinto dalla pas sic, Ile, Inti Illit do pur spel I li ai li
la V Vt di Irle:lto e perdono continua Iel 1 , ne a 1 I test Illlarsi i pc .I ?
Nota la rase: eleggere a re, a maestro, a direttore, cioè ad uf I l i , (il ...
SIII il ricevere a servitore. l'elilella , che Griseida non I s se l'all 1' ,
ai loro presi, e per lui el' . ll v pendendo, ricevere mol \ -- a servidore ..
. l 3 , l 'Il sl, avere a maestro, a padre, a si giore , l Ne l il roll ,
il Sesil I allegri da poi che l'elobo lo a signore , l'av. S. Analoghi anche i
modi: avere ad o more ad orrore: ..... ed s, il fr. ta lite nostre sord, de
zze, ma n avrà ad crrore d'esser da noi i co, da 11 Segn.; avere, tenere;
a schifo, a vile; recarsi a vergogna; tenere, avere alcuno a savio, a folle: N
Il tr es. i tu a molto folle e la l... » e c. Sell. l'Isl.: avere a tale: « Mlo
- rand i poverta lolio Ila e l re r1 llezza l'eo, acciocchè noi il do vessli, i
a tale avere. » (ill 111. l.eli .: avere checchessia a misfatto: « A non «
minor misfatto aveano il lei e una pulce che un uomo » . Bart. avere a niente.
Anni 1 -1 a i l’aut re che il luno, per lui sia in istato di gran polenza,
prenda il dire di Villa il gelare e arrogantare i miseri e pic averli a
niente.» l'isp. Cod. Fars.| 13, l. a. arti , lata Ilo, di questo e del seguenti
esempi, dipendente lei il l l e V g . In - re: a portare, a dovere, a fare ecc.
o in a 1 l di sol: Igli, l , , sia il il logº dell’ull o dell'altro verbo (vd :
l'ast di Illi e ! ll I lil.S: il l V el sl at le porti li o le inonache. 115 C1
e fra l'era da cori veri e li molli alla volta. E' proprio il zii viel del I cd
si li. Ed an li a due, a tre e si traduce zu zwei, zu drei e .I 6 Simile: Sopra
vestito a bianco come neve , Vlirac. Madd., ed a 1 le l: i rinse notissimi la
vestire a lutto, a bruno: E vedrai mella morte l ' Illi. Il I | 'ltte vestite a
brum le li :lle l'el - , l'etrarca, \ mire - della quale si sedeva il la
limatrona tutta piena di lagrime vestita a bruno. , l'i . e z! modo, secondo,
rili e il senno suo. No alo anche lº : li es . I | i le segli no, lui e sto
mollo: la re checchessia a suo senno, a seiºno altrui . . che è bello e proprio
della Lingua italiana.1 - Si!! i :ll": lo misi a suo senno, a senno, a
talento di..., è l'altra a sua posta, a suo avviso, a posta di....... cºli e lo
ss 1 in do per il ri sultº all, pie o altri membri in sua volontà se iroli a
posta d'altri. IPal d lf. Conf. Parte II, Cap. III, Serie 3: Modi avverbiali a
governo di a.)l º Vl : si ro ( i valra pare che piu che il modo: a senno
piacesse ta lo 1 l'altro: a senno e volontà.150 l 'a d (Illesti esempi ha alcun
che di comune a tutti, ma non è - "Il pre il nº de into. Si infilo, gli
slalo, che è evidente e di un sapore che lo: si potrebbe dire. (151) Ha
ripetuto la nota frase di Dante: ....mill'all ni..., e l'Iti “tºo Sli zio
all'eterno, che un muover di ciglia Al cerchio che più tai di ill e leio è
tOrtO ». (152) Nota il costrutto: barattare a... Con il Premiº Ilari (153).
Senza entrare in discussioni nulili a chi, noi la filos list della lingua, ma
la lingua stessa si vuole ( Il racemente imparare, li II lºttº Illi alcuni
esempi di un a che si riferisce allo spazio sia di 1 li luogo e torna press'a
poco ai modi: indi, di li a, in capo a, Icntano, di stante tante ore, tanti
metri ecc. Le frasi dell'uso: oggi a otto; lettera di cambio a sei mesi lida
per sei mesi) e simili, sono modi di un a a quell'ilso e valore º il gli esempi
che quivi arreco.(154) Questo a è somigliantissimo all' a dei precedenti esempi
la to alla forma, non quanto al senso che manifesta Iriente è assai diverso. (
155 ) Questi esempi recano una che par significhi col mezzo, mercè di,
ricorrendo a ecc.(156) Nota qui anche la frase: recarsi a gloria. ( inf. V b .
Recare, Parte III).(157) Così dicessi: Quadro a olio, ad acquarello e va
dicendo. (158) L' a di questi eseIIIpi ha i rain (li: abbandonato a, appoggiato
a, in balia di ecc.( 159 ) Crinf. sotto Nave IP ultitario) - VIa niere propri
della Natiti a (160) Nota la bella frase: essere una città a popolo ed a
rumore, cioè in rivoluzione, in balia del popolo ecc. – E piaceni (Illi II, il
vantº le altre: andare a rumore Bart , levarsi a rumore, levar popolo Iº i rt.,
I)av. ecc. ecc.).(161) Mefferai a sacco anche questa frase: reggersi a re, a
consoli, a popolo ecc.(162) Simile anche l'altro, pure del Boccaccio: La donna
li fece a p. prestare panni stati del marito di lei, poco tempo davanti morto,
li ciuali « come vestiti s'ebbe, a suo dosso fatti parevano ».(163) Dicesi
anche, ed è notissimo. a bocca aperta, a struarcia gola, a braccia tese. « I)al
sommo d'una rovina si vede Ina donn:i..., la quale « avendo il figliuolo in
mano, lo geſta ad un suo... che sta nella strada « in punta di piedi a braccia
tese per ricevere il fanciullº o Vasari. (164) Prima di passare ad altro ti
piaccia altresì por In, nto, tra le altre molte che le son notissimo e non
accade occuparsene, alle maniere : essere a studiare, a giocare, a desinare, a
dormire, e nºn ho: trovare, ve dere, stare a giacere; porsi a sedere e simili;
il cui a, si bev, rifl 'fi, e si è quella semplice preposizione di vincolo o
relazioni o come: venire, andare, cominciare, disporsi a far checchessia, ma
necenna attualità di azione ed implica il senso delle parole: nello stato di,
occupato in, attento, inteso, dato, ridotto e simile. « Io mi credo che le
Suore sien l'uffe a dormire ». Bocc.: « Che Venerdì che viene, voi facci:lto sì
che M Iºa olo Trav orsari « e la moglie e la figliuola o tutte le don; e lor
parenti, e il l'e . In A i a piacerà qui sieno a desinare moco ». Rocc.: .
Venuta a dunque a con « fessarsi la donna allo abate, ed a piè posta glisi a
sedere... » Bocc. : « Costoro avendola veduli'a a sedere e cucire.... o IBC)
c.: . Altre stallino « a giacere, altre stanno ºrie », l)n mtc.; e Sfi:lmo :)
Inc it :) veder l:i gli ri: a Inostra ». Petr. ; e Veduti gli alberelli de
silli i colori, quale a giacere e quale sottº sopra, e penneli tutti git at qua
e là e le figure tutte il Illbrattate e gli isl , -: i bit , p lisò... » Sa
ll.: Si III osse correndo verso a la Cl re e trovandola a mungere e 1: i .... ,
( a : « I); pinse un re a ( sedere coll ol'e lli lilli gli lss II e V dl ialli.
- l am dei Incrdi: am Studie ren, am lesen, am spielen sein, e simili di alcune
provincie della Ger II l: l Ilia, e appllini o l'a del c : la lol V e In altri
casi l'a di un in finito soggetto a V el'lno, loli a m - Vlt ; tl , i dll re,
la zu.165 , l 'a di questi esempi st: l'a rti oli per altra preposizione
articolata e sappi ch'elli e V zzo 1, si a n a preporre talvolta all'infini,
o, a maniera di sostantivo e soggetto comunqil di una proposizione assolu
ta o dipendente, la preposizione a live e dell'articolo, ecc. (166 . Trad. lel
I l rilarini, e lui 'i gli 1 volta che mi avvenga il ricorda l'ini, so oft,
quoties recordor ecc.167 i Venire alle mani; a mano di alcuno e anche Iriodo
figurato i le significa: venire in potere d'alcuno.16S) Nota la frase: star
contento a qualche cosa. Cont. Contento, l'arte II, Capo V.).169) Simili i modi
andare a città Vo' in fino a città per alcuna « Irli:l vicelli la o lº si ...
per Vai l'll lno illo, cle andava « a città , l o in illera el tº :ca e vale i
nda, e per fatti suoi al capoluogo. Di un viaggiº (ore . ll e la sºsta di ll'i:
in altri , iº fa e non dicessi che va a città; andare a santo; . . ll v . l t .
ll li i possº andare a santo, e nè il niun bila il luogo ». Boc .; andare,
recare a marito – . ... e questa Il l:nti ! nº ll e lo o ire a marito, e le
festa bis lo fa a è apparecchiaio , Do ..: . . lo - a : a re dei di delle feste
che io recai « a marito » l 30 ..: essere a riva di ... e l ' , a riva di Reno
dllo est l' e citi » I), v.: menare a prigione l'a e il gºl al de ll cisiolle
di ri e Illiri... che ella si illlllo ne menarono a prigione, ma tutti li
misero al a taglio delle spade ». V ill. G. ecc. ecc.(170) Non lo scambiare con
l'a fidanza del primo gruppo di questo medesimo numero. Lo stesso dicas del In
lo seguente a speranza. i 17 1) I 'a di questi esempi sta evidentemente in
luogo di una delle pre posizioni: con, per, in, da.17?) Coi verbi: fare,
lasciare, vedere, udire e qualche altro simile, che reggono un'azione in
infinito, il sol getto operante di questa, osserva assennatamen e il
Fornaciari, si suole, per distinguerlo nettamolto dal l'oggetto, cºstruire
collo preposizione a, che corrisponde all'accusativo a - gente melle locuzioni
latine con jubeo, sino, video, andio ecc. – Messo to scalmanente si pone il
soggetto colla preposizione da, riguardandolo come semplice causa dell'azione.
Laddove a dire a esprimesi ancora il rispetto, l'ordine di moto, dirò così, a
chicchessia o checchessia hin, her), l'atten zione, il concorso positivo della
volontà, l'azione comunque diretta del soggetto principale verso l'agenl e, o,
come dice il Fornaciari, verso il soggetto operante, cui egli ſa fare, od al
cui ar o dire porge l'orecchio, volge lo sguardo ecc.Ed ora ritorna agli esempi
e sappi s'egli è indifferente e affare di garbo soltanto, con lo molti
asseriscono, e tra gli altri lo stesso IP. Cesari, il porre in sifatte
locuzioni l'a per da o viceversa. Trattandosi poi di
cosa dicevolissima se pur non necessaria ed opportuna all'interezza
e verità del discorso e tuttavia dai moderni niente osservata, parvelli di
allegarle un buon numero, e ciò all'effetto di toglierne il mal vezzo se Inai
bi sognasse di riformarne il gusto.(173) Ognuno sa che il fare dei modi: far
portare, far lavorare, far medicare ecc. equivale ad ordin: re, coma Ildare che
si porti e , altro di somigliante. Ora vuoi vedere se quell'a lla sua forza e
il n vuºl essere scambiato col da: costruisci ( (il comandare, e il 1:1 l 'lie
chessia : chicchessia, sarà nè piu nè meno di colmal, dare a chicchessia 'io di
reatamente) che ei faccia ecce. quando il far fare che chi sia da l 1 es sia è
comandare che si faccia da chi li essia e -- la fa ! (sia cioè che il comando
venga da lui li et la III elte o - li sta r il till iſlie trasmesso).; 174) Se
avesse detto: udendo da.... sal ebbe stata , l'horen 1 e O ll ricevere
materiale involſrl)ti l'io, e aslla le cºlle a l' lel st sia che lo si ascolti,
sia che llo, con l at Inzi - nzi ; Il lil I l e i leti , udendo a, volle
precisamente significare l'an . zuhoren, l star o ce clio, tender l'11 di o,
l'udire ( oli attenzione e concorso li vol ! 11a. 175) Cioè: dee fare che da 11
, l I questi capi si derivi Quel deri vare è qui adoperato a forma di verbo
callsativo e sigla I a far deriva re (conf. parte II. Natura ed essere val o di
alcuni verbi e(176) Tra (luci: volge:ldo la vista, gli ardi li do a Illella ln
l lin, la ti: i le prendeva la mano di Paolo.177) Sostituisci l'al fine
permettere e saprai li ferenza da a. (178) Questo esempio ci porge ma era di
altre osservazio i cle non fanno qui. Conf. Natura ed essere vario di alcuni
verbi ci l'arte II . (179) Il Gherardini spiega cosi: La giovane sentendosi ti
recare venuta o pervenuta alle madri di colui occ.; pare al Gherardini di
sentire il quell' alle mani, la voglia altresi che aveva di pervenire a...180)
Nota differenza tra la frase: sentir dello scemo e l'altra: sentir di scemo in
checchessia, cioè aver difetto, ecc. Conſ. Verbo Sentire, l': i e III).181)
Nota la questa frase far del...., simile alla precede le sentire, ave re
del...), che è Imaniera bellissima e nostro.º 182) E altrove: « Come state
dello stomaco ? » cioè per rispetto in fatto di...., in quanto a... A
RTICOLO ! ! Cilf (cong.) Prima di farmi all'oggetto da trattarsi,
piaceni premettere cosa la quale non li verrà si strana e Irivola che non ſi
sia anche il lile e a grado altresì d'averla udita. “ (lº è prontone, dice
il vocabolario, ma è anche congiunzione di frequentissimo uso dipendente
di verbo, da avverlio, e da comparativi; º coll'accento sta per poiché, perchè
- l' “osi la pensano granai e filºlogi che l'urolio e che sono, nè
sa prei º solº cui cadesse in animo di contraddirvi. l' olga il cielo
ch'io ººº º lilli di tenerla a leva, ma a censore di sì tillo, autorevole
magistero º il falli , che in omaggio a al do Irina pongo qui il chº, S! "
ºn liti il tonº, o il la sa cli, il ragionato estè. Ma se li pur in mia i a V ,
e - - irº che questo che di frequentis sillo liso. I pendente ci v.
l - Si p. ssa :ili le intendere o sentire tuttavia pronone, cioè lº chº,
nè più nè meno, del precendente numero A lizi, diro 'll 'i'i, lº sll sl tit ,
ti ma il rale di semplificare e vedere il lill lo tiri I l ss , , - i gºl
. . . . l III di strano ch'io abbio di concepire, io non so e A cdr e sentire
nella voce che, adope , sola o al I e di altra voce, Se non il pl o non e' e
non altro mai che il promonte, | Il lido in una, quando in altra forma.
l' essi i S \ ºpi ilarli poi di questa ini era l' intendere e sentire,
ti Pºi lui appressº i monti e pon i no e l'intrinseco valore Virli
sillclica di Irla i - l\ ini: gli orsi, chi ben la consi deri, in altre
voci pron nera' i ritmi le gi annuali ali:l'irroli cinque differenti manici e
di un colal che cong. | i l. I l a sla al riti il che vo non , sale . I3
cc. 2a Mio fratello è pil dello che pio . :3a ... che vºli che li
cosi rilla la ventilra che non è persona , Boc . ſa « Non era ancora arriva lo
che io e gi i partito .. ;)a lº si pensava che ingannando i l i crilin
fosse appresso al tutto signore n. Vill. (i. Questi esempi reali,
il che dei casi nellovati dal Vocabolario, e che ippo i Cirali ma ci addini in
asi rigorosamente congiunzione. Ma se ci testo che la fa il resì, e li si sv: r
al guisa, da pronome (v. numero precedente, e il qui il lice cilalo che
comporta decomposizione in una ad altra gilisa dello stessº i rom ne, chi ini
viola di riguardarlo, senza inello con le pronoln e sen| Irlie al suolo i
rispellivi elementi? Il che del primo esempio lesla in me il senso dei modi: di
quello che, di quella cosa la quale. Quel del secondo vale, a mio intendere,
quanto le voci: di ciò di questa cosa il verbo del secondo incis , virtù di
elissi, omesso . ll Ierzo lo riconosci agevolmente quale il che del numero
precedente, solo che nell'avverbio così ſi intenda l'equivalente: in tal modo.
Anche il quarlo lo ravvisi evidentemente pronome framellendovi la voce allora
che va lui forse sol ſintesa, ed i cro che la frase torna subito all'altra: in
quell'ora, in quel tempo nel quale ecc. Più malagevole a concepirsi pronomi
pare, a prima giunta, il che del quinto caso, nè mi basterebbe l'animo di
asserirne la possibilità se testimonianze ai lorevolissime non li vi
confortassero. Come infatti ri guardarlo questo, stesso che quale pari ella ad
ollicio di pura e semplice congiunzione e punto capace di virtù
pronominale, se non vi è paro' a cui congiungersi, non un congiuntivo od
indicativo che sia comunque obbligato al che, ma un indefinito? Eppure ant'è.
Proprio il verbo del citato esempio, ch'io voltai al congiuntivo, il Villani e
lo mette all'inde finito, ed eccolo nella sua originale integrità : « E si
pensava che, in “ gannando i Fiorentini, e venendo della città al suo
intendimento, es. sere appresso, al tutto Signore ».l'erchè parini da
ragionarla così: Se quello stesso che, cui noi avremº Ilio obbligalo un
congiuntivo od indicativo, sì come nodo, il ppoggio tramezzo di questo ed altro
verbo, appio i classici rinviensi Ialora susse. guito dall' indefinito, che a
nostro modo di intendere mol palirebbe a - solutamente, egli è pur gioco forza
che quegli antichi, usando egualmente ol l'uno ol' l'altro modo, avessero di un
colal che alla apprensione, allro senso che di semplice appoggio di tramezzo
che si voglia.l) e molti esempi che, oltre l'allegato, mi vennero qua e la
scontrati le tre poligo (Illi alcuni pochi. l eggili allentarne le e di rini se
io mi li In apponga.« Manifesta cosa è che, come le cose temporali sono
transitorio nortali, così in sè e fuor di sè essere piene di noia . I3
cc. \ - giamo che poichè i buoi alcuna parte del giorno hanno faticato, solo il
giogo ristrelli, quegli essere dal giogo alle viali , I3oce. -– a Si ve dova
della sua speranza privare, nella quale portava che, se I lor « misda non
la prendeva, ſeriamente doverla avere egli n. Bocc. i E parendo loro che quanto
più si stellava, venire il maggior indegna « zione dei Fiorentini.... ». Vill.
– ( Proposto s'avea al lutto nell'animo che, se necessario caso l'avesse
rilenillo, di rinunciare l'Iſlicio ... Vill. – « Seco deliberarono che, come prima
tempo si vedessero, di rubarlo o Bocc. -– « Pirro per partito aveva preso che,
se ella a lui ritornasse, ci fare altra risposta n. Bocc. – « .... la
precedente novella ini lira a « dover simili nelle ragionare d'Il geloso,
estimando che ciò che si a fa loro dalle lor donne, e massimamente quando senza
cagione inge «losiscono, esser bel ſalto m. I3 cc. – ecc. ecc. ecc.
Costruzione stranissima, e al nostro orecchio per poco errata, quali lo a
colesto che ogni altro flicio si disdica che di semplice congiunzione, I
'allo invece pronorme, recalo - con inque si opponga il rigido gramina - tico –
a valore di ciò, o questa cosa, e la sintassi è chiarissima, logico il
nesso, e l'orecchio pienamente soddisfatto. E quanti altri luoghi piani ci
vengono ed evidenti mercè di sì fa II: interpretazione, senza la quale
stranissimi li credi ed anche errali. Ti basti, per ogni altro, il seguente del
Boccaccio: « E lui come po a rai mostrare questo che ſi affermi ? Disse lo
Scalza: Che il mostrerò « per sì fatta ragione, che non che lui, ma costui che
il niega dirà che i « dica il vero ». – E che ha mai qui a fare quel che se noi
vale questo, questa cosa ?Ella è pur cosa degna di osservazione che altre
lingue ancora a dir perano ad officio o valor di congiunzione quella stessa
voce che è all'esi pronome, e pronome non pur relativo, ma anche dimostrativo,
cioè: oi tos. quod, que, dass (anticamente anche das si scriveva dass , lh tl
ecc. ecc. Talchè io mi figuro che quegli antichi della prima scuola,
dicendo, a cagion d'esempio: comandò ch'ei studiasse – er befahl, dass er
sl il dieren sollte. – ecc., volessero dire, oppur suonasse loro quanto: collan
lº questa cosa (dasº: studiasse »: ed anche nei medi composti di che ed
altra voce – ll'eposizione od altri i - intendessero tuttavia e vi
sentissero non altro le il proliome, orti relativo, ora dimostrativo. 239
. Neh! lo ripeto, è una mia opinione e resti lì.lº riprendendo ora il filo del
nostro assunto, dico che il che cong.; ha virtù dirò così concentrativa e
Irovasi nei libri mastri di nostra lingua assai solvente. - I di
comparazione e recante senso di : di quello che - l . il significa di affinchè,
sinchè, prima che, senza che, Ne m on, jlto i cºllº e sillili. . llpl calo a
lil:inlera e valore dell'avverbio di tempo: quando.... quando, alcuna
rolla... alcuna rolla, di quando in quando ch'è, ch'è ed anche parle....
ma le. Il che, per dacchè 210 , poichè, posciacchè, perchè 241 poi che
(242) è notissimo e comunissimo, nè porla il pregio di ragionarne.
\ iuno dice a trovarsi, il quale meglio nè più acconciamente ser risse al limit
la rolul dl mi m signor e, che se i ri rut ella , l?occ lo non coglio che
lui ne I l a rl pii la coscienza che ne bisogni o. I 3 (' '. \ orella non
quali i meno di pericoli in sè contenente che la mar l a lui li I tu roll (t ).
I 3 cc . ... che io non so il no ben mesce e ch'io set ppia informare ».
Bocc. lº migliori ol) e le dando che li sali non e' di no.... . lSocc. \ on le
doti più dolore che la si abbia . l occ. ( n si era la cosa cºn il lut ut
lanto che non illi in en li si curatra degli uomini che morire no che ora si
cui e're bbe di capre l occ. \ on li molea renir molto più ni di doll in,
nè di speranza, nè d'autorità, nè di gloria, che di già s'a rºsse acquista lo .
Caro. « I fallo i sono poco solleciti, e prima cercano l'utile loro che
del padrone . Pandolf. che quello del.... . a I)arano rista di non tener
più con lo di lui, che si facessero cogli allri ». Ces. ... io ri a cillà
e poi lo queste cose a Se) lontcorri, che m' (tilli di non so che mi ha ſallo
richiedere . I3 cc. allinchè mi aiuti a questo ggello ch'è.... . (i uan
da ra d'intorno dove porre si potesse che uddosso non gli mc rigasse ».
Bocc. « ... gli menarono innanzi una sua nipol e ch c'ra rimasta, di
sºlli' anni, ch are rai nomi e Maria, e lasciatron gliela che egli la gol'ºrnd
Ssº Comº gli paresse . Cav. a ... recatasi per mano la slanga dell'uscio
non restò di ballºrni che per isl racco la slanga le calde di mano o l'ierenz.
(243). ... precetto che non parlisse che non me lo pagasse ». Caro.
« ... juggì via e non riposò mai che egli ebbe ritrovato Riondello
Bocc. (( ... nè mai ristette ch'ella ebbe tutto acconcio ed
ordinato p). ROCC. - non si ricordò di dire alla fante che tanto aspettasse che
Fede l g0 l'emisse ». Bocc. ... si pensò di dovere per quello pertugio i
tante volte gualare che ella redrebbe il giorane in atto di polergli parlare ».
Docc. - “ Ma fermamente lui non mi scapperai dalle mani, che io non ti
paghi sì delle opere lue, che mai di niun uomo farai beife, che di me non ti
ricordi ». Doce. 244;. º sempre gli (al rilano mancherà qualche cosa mai
ſi farellerà che non ti rechi spesa . I'and. (( ... “ Von posso
passare per la strada che non mi regga additare o I;oce. “ ... e l 'nsò non
potere alcuna di queste li e, più l' ma che l'altra lodarº, che il Saladino non
a resse la sua intenzione ». Bocc.« Mai la sera non rimetterete a riposare che
prima non abbiate fatto ſes(tmº della coscienza n. [3art.Giarda le adunque
quelle grelole che sono sotto l'abbeveratoio della rostra gabbia, che per la
molla acqua che ci si versa sopra sono im fradiciale in modo che voi non ri da
rete su due roll e col becco che voi le spezzerete e farete una buca sì grande
che re ne potrete andare a vostro bell'agio ». Fierenz.« ... non canterà
stanotte il gallo due volte, che lui ben tre alla fila arrai negato di
conoscermi ed esser de' miei o. ( es. 2 . .« E questo è il riro della fortezza
al tutto inespugnabile ad ogni altra forza che d'assedio e di fame o filorchè, se
non. I art. « I)onolle che in gioie e che in ratsella nºn li d' o o e al
di rien lo e che in danari, quello che ralse meglio d'altre decimila dobbre o.
I3oce. « Questo regnò anni trentaselle, che re dei lomani, e che impera
loro n. I)a V. « I'(Il li ch' è ch' è Ne m (t lo) l'i n. l): I V. «
Fu ascolto con giubilo unirersale e m' ebbe in ricompensat, che in danari e che
in roba, un ricco presente ). I3art. NOte all'articolo 11,
239) Alle congiunzioni perchè, sicchè, fuorchè, affinchè, che se, poi chè, dopo
che ecc. rispollidono le le lesclle lielle quali il che rendesi tra - dotto ora
vo () was ed ora da 0 den – coll1 razioni ( riduzioni di was e das, e sono:
warum, darum, so dass, ausserdem, damit wofern, nach dem. ecc. , 240).
Dalla prima volta in poi che io risposi alla vostra non vi ho pIù Scrillo ».
Calo. . Essendo limiti i due anni che Luigi era entrato « lella compagnia ».
Ces.241 Nè solo per l'enim, etenim, mam, ma anche per l'eo quod, e cur; « Vlla
prima giunta mi fece un cappello che io non l'avessi aspettato ». Caro.Disse:
Beatrice, l da di l)io vero Chè non soccorri quei, che ti amò alto Che
Ilsi io per te della V o!gare s ll el l ' » - I), i lite. 242). Nota per o
costruzione fuori della quale il che per poichè, dopo chè lì lì la lr 1:1 i lu
go: tuttº si disarmo e cenato che egli ebbe se ne e andò a ripos lire ». Fier.
- è poi che egli ebbe cenato - e ... ci condurrà alla stanza della serpe, dove
condotto che sarà, io ti prometto ch'egli lloli ne sentirà prima l'od re, i lle
da naturale istinto forzato, e le torrà la vita ». Fierenzuola. Ci si dl lano e
compito ch'io ebbi; e gua rito ch'io fui; e letto ch'egli ebbe: e discesi cine
noi fummo ecc. ecc. 243 Vlla pari e I V rti . S è par li di tl: la costruzione
nolì guari dis simile a quella di questo e dei tre seguenti esempi; potendo
differire l'una dall'altra solo in ciò: che, ve in quella la V ore prima è
espressa, in que sta può essere soltintesa. Ma sia che quest , che si trovi ad
ufficio di finchè, sia che si senta nel periodo l' omissione della voce prima,
è sem pre vero che a questo che si attiene alcunchè di sentito e non espresso.
21 ). Il primo che vale: finchè, prima che; il second : senza che, Nota anche i
tre seglie , nei quali il che ha evidentemente senso di senza che,2 (5). Fallo
futuro presente il verbo reſto da' che e il costrutto è unum et idem che il pre
edeinte del F. e enzuola. (illarda l' erenz: e non vi da rete su due volte col
be , che voi le spezzeret ( n Ces N ºn canterà sta notte il gallo dlle volte
che lui ben 1 l'e negllera 1 dl conosce l'Illi. A RTICOLO 12
CHI In questo e nel segui le n il loro li porgo una maniera di dire, che
il lis; Izzo grammi, i lico (listi prova add ril lilla e se lendola se ne
slrignº gli vien del concio e si con loro e, per il la col l?arloli, più che
non fanno i cedri troll (Iula ndo sentono il tutor , Vla 1, il s o di lui. Chi
-a all'epos lo e sente il ... , e la virtù che viene alla frase per l'elissi di
alcune parti del dl scorso ci si allengono a certe voci ecc., non che
intenderla questa In Iniera per l la ed in quel pregio che un vezzo assai
grazioso Il ll garbo sl l' .E sappi alunque che anche la particella chi la
quale bene adoperata, dice il Puoti, dà molta grazia al discorso – simile alla
poch'anzi ragionata che, ha lal virtù sulla penna a valorosi nostri classici,
ch. dice altro e più che non dica il letteral suono della voce. Tien luogo
quando dei casi obliqui a vario rispetto, cioè senza il segnacaso di, a, da,
per, con, che, e quando di chiunque, chicchessia, ed anche di se chicchessia,
se all ri muti ecc.Mlal però si potrebbe stabilire quando il segnacaso e quando
altra roce sia da sottintendersi, che le più volte l'una e l'altra spiegazione
egualmente 1a. « I biloni cosl III li, scrive l'Alamanni, mal si ponno il 11 a
parare chi troppo invecchia , ciò è a dire, soggiunge certo lale, da chi troppo
invecchia. E son con lui. Ma chi mi vieta d'intenderla anche così : se altri,
se l'uomo, o quando l'uomo l roppo invecchia, o in allra sì fatta guisa ? « Ma
qualunque spiegazione piaccia, l'asta andar d' cordo su questo che il chi (son
parole del Fornaciari per proprietà º i « lingua si usa spesso ed eleganlelneri
le cosi in certi modo assoluto. « Di rado avverrà di potere le proprietà delle
lingue in I lilli i luoghi « spiegare a puntino nel modo stesso ».Sentilo
questo chi e gustalo negli esempi del Trecento ed anche del simpatico nostro
Manzoni. o « ... la casa mia non è troppo grande, e perciò essº non ci si
por trebbe, salvo chi non volesse star a modo di mulolo, senso la r moll o
zitto alcuno ». I30( C.« Molto da dolersene è e da piangerne... chi ha punto di
sentimento, o di conoscimento, o zelo delle anime o. Passa V.« ... e con tutto
ciò non si potevano difendere da lui, chi in lui si scontrava solo: e per paura
di questo lupo e cºn nºi o ſi lan lo che nºs suno era ardilo d'uscir fuori
della terra n. Fiorelli.« E non è da farsene maraviglia, chi pensasse lo
sterminato bene ch'elleno portavano alla persona sua . Cav.Sì come veder si può
chi ben riguarda... ». Dante (CoirV. . « Quinci si van, chi vuol andar per pace
». Danle. potransi far più forti piantamenti, chi vorrà...». Cresc. « Sì come
la candela luce, chi ben la cela ». I3 l'un. « Come pienamente si legge per
Lucano Poeta, chi le storie 'orri cercare ». G. Vill.« Sì come per lo dello suo
trallalo si può reale e', e intendo re, chi º di sottile intelletto ». G.
Vill.« Furonri sventuratamente sconfitti, e così arrien e chi è in rºllº di
fortuna ». G. Vill.« Da volar sopra 'I Ciel gli area dal'ali Per le cose
mortali, lº son scala al Fattor, chi ben le slima ». Pelr. (per chi, a chi, se
allli mai « Invoco lei (la SS. Vergine, che ben sempre rispose Chi la chitml )
con ſede ». Petr.« I quali trionfando degli animi dei pazzi cittadini, la
misera città variamente lacerarono, con acerba ricordazione di quelli inlºlici
secoli liſt con non minor gioia, chi queste cose andrà considerando, della
tran (I lillità dei presenti ». Scipione Ammir. Stor ſior. - Le quali lui le
cose sono esempi rarissimi di gran povertà, umiltà cd (in negamento di sè
medesimo, chi pensa che talora per mantenere una di Iºsle loro ragioni,
sogliono i mondani nellere a sbaraglio ogni aver loro, e la loro anche la vita
un duello ... Ces.º V ºcchi che, perdule le zanne, parcram sempre pronti, chi
nulla nulla gli dissasse, a digi ignar le gengive.....; o, Manzoni.('osì il
lurore contro costui il ricario , che si sarebbe scatenato peggio, chi l'avesse
preso con le brusche e non gli avesse voluto conce der nulla, o a con quella
promessa di soddisfazione, con quell' osso in bocca s'acque la ra un poco e...
». Manz. ARTICOLO 20 Sf (C0mg.) Anche la particella se vuoi
qual congiunzione sospensiva e condizio nale, vuoi qual desideraliva, è appo i
classici una di quelle voci previ legiale sotto cºlli ripari in parole, ossia aggiunti,
laciuli talora o non completamente espressi. Il che avviene di un se. – a
. recante senso :ì così, e in certa forma di gi Iran lenlo, volo e simili: lo
esprimente ricerca, indagini ecc. soppresso e si linteso il verbo che lo
precede: per ve: dei e, per sentire, osservare e va dicendo. Non
misteri della lingua al dunque, non licenze degli scrittori come sano
sentenziare alcuni (i rammatici dall'orecchio volgare e guasto, (246) | ma
virtù e proprietà delle particelle, onde cioè la ragione intrinseca di cerle
contrazioni e maniere si relle e vigorose, le quali sien pur strane e niente
intese a pochi sperli, ma a chi sa di lingua, non altro sono, all'incontro, che
vezzi e gioie. l;oce. Così l dio mi dea bene, con l'egli è vero, ch'io mi
veniva ...). Se Dio mi aiuti, io non l'utri ei mai credulo o. I 30cc'.a se
m'aiuti Iddio, tu se' pore o, ma egli sarebbe mercè che tu fossi | Se Dio
mi dea bene, che io mi i re mira a slitr con le co un pezzo . molto più
o. l occ. a se Dio mi salvi, di così alle ſemine non si vorrebbe aver
miseri cordia ). I 3 cc'. « I), h, se Iddio ti dea buona ventura, diccelo
come tu la guada gnasti ». Bocc. « Subilamente corsi a cercarmi il
lato se niente r'avessi ». (per sentire se). Bocc.« ... l'un degli asini, che
grandissima se le arera, tratto il capo del capestro, era uscito della stalla
ed ogni cosa andava fiutando, se forse trovasse dell'acqua ». Bocc.« ... s'egli
è pur così, ruolsi realer ria, se noi sappiamo di riaverlo » Bocc.« Cercando
d'intorno se niente d'acqua trovassero ». V. SS. PIP. « ... brancolando con le
mani, se a cosa nessuna si potesse appi gliare ». (per vedere, per sentire
se.... . Cav.« Corse per tutta la città se per centura la polesse trovare ».
Cav. « Lesse come Libona area lallo gillar l'arte, se egli avrebbe mai tanti
danari clie..., e colali scempiaggini e canità da increscere buona mente di lui
». (per sapere, scoprire se...). DaV.« Venite qua, guardate bene... Toccale i
polsi se han molo tasta º il cuore se palpita ». (per sentire...). Segn.
(247). NOte all'articolo 20 (246). Uno di questi cotali poi
ch'ebbe ragionato della sinchisi, con fusione di costruzione nel periodo e
dell'anacoluthon, che è quando, lice egli, si pone qualche cosa in aria, e
senza filo di costruzione, e intendeva appunto di parlare degli esempi di
questo numero, del precedente e di al tri che ragioneremo, riprende fiato e
soggiunge : a l)i queste figure non « mancano esempi e nei latini e le lorstri
allt l'i, ma non si vogliallo a imitare, essendo anzi errori che mo. Sono |
Igure, scrisse il valent'll In « inventate per iscusare i falli, nei quali sono
talvolta incorsi per una la « fiacchezza anche i più celebri autori ». –-
Cavalca, Boccaccio, Dante, l'e trarca ecc. ecc. ecc., che duraste gli alli e i
decellºni in escogitare e ci Ill porre gl'immortali nostri libri, e vi si
udiaste di l: rlo più chiaramente e leggiadramente che per voi si potesse,
solleci'i, sopra tutto, di dare alla vaga, tersa precisa vostra lingua un
tornio ed una forma facile ad un tempo, decorosa ed elegante, siatene pur grati
agli acliti a sservatori della posterità che a guardarne noi poco sperti vostri
lettori scopersero ne vorstri componimenti i solecisilli, le magagne, gli
scerpelloni nei quali voi pure, e quel che più monta, tutti ad un modo, con
tutto lo studio e saper vostra, portatevelo pur in pace, talvolta
incorreste!.... (247) Alcune volte l'omissione di per vedere, per sapere
e simili la luogo molto leggiadramente anche senza la soggiuntiva se. « Ed è
lecito º il nrola d'usare queste sorte negli olſi i temporali a cui prima
tocchi « la volta: come si fa degli ufficiali della città... ». Pass. cioè per
sapere, per stabilire ecc.) ARTICOLO 24 VENIRE l)el Vario uso
e valore così del verbo venire come di molti altri se n parlerà alla distesa
nella III." Parle di questo Direttorio. Quello che ora piacermi
merilovare è una certa forma di dire, bella, brevissima ed evidente in cui il
verbo reni e non è quell'ausiliare comu I missili o con le guidasi e lorº la
passivº in qualsiasi verbo transitivo-attivo, e che tien luogo dell'ausilia e
essere, ma è al arnese mercò cui l'azione transiliva-alliva volge ad altro
rispello, prende un ordine, dirò così, in verso e ci fa l'effetto di cosa che
dall'oggetto soppravvenga al soggetto o di azione emessa indipendente nelle dal
concorso di mente e volontà del soggetto, sì che il sol parli ipio aiutato dal
verbo venire semplifica e t duce ad una parola le voci: a crenire ad alcuno lo
lui la mente, impensatla mente che.... (286i. Intendila questa bella maniera
nei pochi esempi che ti allego. E' tutta italiana e classica, nè so di altra
lingua che ne appresti un'altret tale. Solo coi verbi così del li dei netti dei
l alini, parmi di sentire alcun che di somigliante. Ma lasciamo ora questa
cosa, che troppo vi sarebbe che dire, ed anche a ragionarlo e discuterne poco o
nulla rimonterebbe; e passiamo subito agli esempi. « ... e venutogli
guardato là dove questo Messer sedea e... il renne considerando ». I3occ. e
essendo avvenuto ch'egli vide... . « A queste la rete che coi diciale bene e
pienamente i desideri ro stri: e guardatevi che non vi venisse nominato un per
un altro: e come delli li arrete elle si parliranno o l'occ. (che per mala
ventura non tv venisse di nominare).a Credetlimi, quando presi la penna, dovervi
scrivere una convene role lettera : ed egli mi venne scritto presso che un
libro ». Bocc. (ma trovo all'incontro di avervi scrillo.« ... spacciatamente si
levò e, come il meglio seppe, si restì al buio, e credendosi tor certi veli
piegati, li quali in capo portano, le venner tolte le brache (li.... m. 130cc.«
La prima cosa che venne lor presa per cercare lu la bisaccia ».
Bocc. « ... le quali i bisaccie, son si somiglianti l'una all'altra
che spesse volte mi vien presa l'una per l'altra ». Bocc.« Fornito il suo
ragiona e disse a Simone: melliti più dentro mare, e gilla le reti a vedere se
nulla ti venisse pigliato ». Ces.« V atti al mare, gilla l'anno, ti verrà
pigliato un pesce sbarragli la bocca e ci troverai lal monela che raglia il
tributo per due o. Ces. « ... così andando si venne scontrato in quei due suoi
compagni ». I30 c.a ... facendovi qua e là nola, quelle bellezze nelle quali ci
venisse scontrato ). ( ( S.« Perchè io entrando in ragionamento con lui delle
cose di que paesi, per arrentura mi venne ricordato Lelio . Filoc.Fu un giorno
al suo Padre lui lo ama ricalo d' un grave sospetto: cioè che cercando la
propria coscienza con ogni possibile diligenza, non gli veniva trovato mai
nulla che a suo parere, arrivasse a peccato re miale ... gianni mai avvertiva
ch'egli sapesse miai trovare... . Ces.« ... gli venne per ventura posto il piè
sopra una tavola, la quale dalla conti apposta parte scom)illa dal li a
ricello, con lui insieme se n'andò quindi giuso ». (avvenne ch'egli perse per
ventura il piè....). Bocc. « ... venne questa cosa sentita al Fontarrigo ».
Bocc.« I ll imamente essendo ciascun sollecito venne al giovane veduta una ria
da potere alla sua donna occultissimamente andare ». Bocc. a Mira lavoro di
tribulazioni e d'affanni che ti dee venir adoperato nell'anima...». Bart, che
ti avverà di dovere anche a tuo malgrado ado perare..... (287).
NOte all'articolo 24 (286). IRecasi, la mercè di un sil fatto
costruito, ogni verbo a quella cotal proprietà che è sol privilegio di alcuni,
i quali senza mutarne altri menti la voce si trasformiano d'uno in altro es -
ºre; e dresi p. es. perdere alcuno irreparabilmente fare che altri rovilli,
spari-ra) e perdere, altre si, checchessia (cioè rimanerne privo, sì che il
primo d ce azione diretta, il secondo quella che non dal sºggetto all'oggettº,
ma oggettivamente in relazione al soggetto intervielle Conf. Natura e essere di
alcuni verbi et . IParte II.). (287)Che tu dei adoperare -offrire) non
solo è inen bello e languido, Intl am(:lle inesatto e lìoll V ( l'O). N. ll Vi
-(ºlti l'idea della le cessità dell'atto, indipendentemente dal concorso della
volontà. : Tra. Dizioni e forme notevoli e il cui retto uso adopera anche
alla vita e all'assetto C0Struttivo Le cose che abbiamo vedute ſin qui
sono senza dubbio gran parte di quello oride il costruirre classico è altro dal
volgare e moderno. Ma non si starà contento a questo solo, chi desidera
istruirsi davvero ed è veramente vago di riformare il suo dire e conformarlo a
quello dei clas sici, recarlo cioè a quel candor di coricelli, Vigor di
espressioni e tornio di periodo che è sol proprietà della lingua degli
antichi. E però, prima di passare alla Parte il I., la quale somministra
ordi natamente il correlazi. I1 e coesione con certi verbi e voci previlegiate
un copiosissimo corredo di lingua, e le dizioni più elette dell'italico idioma
piaceni mentovare collettivamente alcuni altri capi nei quali il moderno non
sempre s'accorda coll'antico º dai quali la costruzione italiana prende talora
sapore e leggiadria. Natura ecl essere vario «li alcu 11 n i vo rl ,i,
suscettibili cioè di vario foggiare riflessivo o irriflessivo, coll'affisso o
scenza, e capaci di Cloppia ragioi i ce li agire O Cli valore a cloppio orcli 1
ne cº rispetto, tra 1 1sitivo e il n transitivo, attivo e I neutro.
Intendo qui di offrirli, o mio le! I re, partite serie di esempi che i mostrino
quasi in azione corle proprietà e passioni di alcuni verbi, negli
accompagnamenti che prendono, nei casi che reggono e Irelle lalicelle che in cellano
o rigellano 13arloli, e come essi prendano or un essere ed or un allro, e
diventino quel che vuol siano chi gli ado pera, puri alliri o puri neutri, o
neutri passivi o assoluti. Ho detto negli accompagnamenti che prendono, avuto
cioè riguardo al vario ordine dell'azione, non al vario messo o rispello in che
sta ogni verbo, e in ogni lingua, col suo corredo; chè non si vogliono qui
riprodurre tutte quelle inſi nite categorie, classi, divisioni e suddivisioni
che fecero e fanno tuttavia grammatici e linguisti: il lime, del resto, e in
Filosofia utilissime, ma non mai a far di leggiadria, sapore ed eleganza. Di
que verbi poi, il cui governo, sulla penna e lingua a classici, relativamente
al loro oggetti, dipendenza e corredo si discosta come chessia, o è altro che
il volgare e comune d'oggidì, ed anche dell'uso e valore vario di molti altri
verbi, si dirà alla dislesa nella Parte III., ove, lra l'altre cose, si ragiona
in proprio delle convenienze grammaticali e concordanze reciproche.NEUTR [
ASSOLUTI, CIO È VERBI coMUNQUE RECIPROCI o RIFLESSIVI – NEUTRI PASSIVI, ATTI V
I PIt() NOMINA LI () TRANSITIVI PASSIVI – A IDOPERATI ASS() LUTAMENTE
Sono alcuni verbi che nelle menti e sulle penne de Imigliori nostri scrittori
si trasformano assai voli e dallo esser loro comune e volgare e tornano di
attivi prol li il trali, o trailsitivi passivi, neutri assoluti, liberi da ogni
affisso o particella. Piaceni fornirtene un elet o saggio: per lui del
rest o, anzi pochissimi al gran numero che potrei allegare. Studiali, intendili
e senti il garbo, il sapore, la forza che viene alla frase dall'uso dicevole e
giusto di una tal malliera e striltli. ACCIECARE - « In prima si commette
in occulto, poi l'uomo accieca, in e tanto che pecca manifestamente e fa
faccia, e non si vergogna » Cavalca. Al)I)Ol.ORARE – « Or lorniamo a
Maria Maddalena, ch'era illella ca a Imera e addolorava sopra i suoi peccati ».
Cavalca. Al FONDARE andare a fondo) – « E più galee delle sue affondarono
in « Inare con le genti ». Vill.- - v. - - - - - - - « ....più volte si
videro su l'affondare, e poichè non potevano dar volta, « gran che fare ebbero
a una litenersi e torcere finchè.... » Bart. AGGHIACCIARE – «Come fa l'uomo che
spaventato agghiaccia » I)ante. « Ghiacciò il mare...., fu grande freddura e ghiacciò
l'Arno » Vlil. ALZARE - ABBASSARE – « Ma già innalzando il solo, parve a tutti
di « ritornare ». Bocc. – Simile al to rise degli inglesi -- il cui causativo
to raise).SCInarido al continuo per la ci là tutte le campane delle chiese,
infillo che non alzò l'acqua.. .. ». Vill.L'altezza del corso del fiume, che
per lo detto ring rgamento era to nuta, abbassò e cesso la piena dell'acqua ».
Vill. – Equivalente dl sinkem tedesco e to sink inglese – attivo senken, to
sink).« Poichè il sole cornincia abbassare e allentare il caldo.... » Cresc.
ANNEGARE - AFFOGARE – e Mescolansi le compagnie con l'acqua ora « a petto e ora
a gola; perduto il fondo, sbaraglia i si, annegano » I)a V.« Mal credendo che
un legno si lacero potesse esser sicuro, mentre faceva tant'acqua e le
pareva di continui annegare ». I3art. « Alla guisa che far veggiamo a
coloro che per affogare solº quan « do prendºno alcuna cosa.... » Bocc.
APPIGLIARE – e Sugano l'umor del campo, e non lasciano esser nu « triti i
sogni nè debitamente vivere e appigliare ». Cresc. APPRESSARE – « Più e più
appressando in ver la sponda Fuggelni er « ror ». I): lillte. «
Quando il cinquecentesimo anno appressa ». I)ante APRIRE – « La terra
aperse non molto da poi... – qui non ti conto con, e « la terra aperse ». I) il
tam.ARRATBBIARE – « ..... per quanto ne arrabbiassero i demoni, mai però
a non ardirono più a valti che ... » Bart. « ...ed all'uscio della casa, la
donna che arrabbiava, lato vi delle Ina lli, « il mallClò oltre.... » I20 cc.
»« ...nel soddisfare alle loro passi il arrabbiano, sinºni: no, sono infe. «
lici ». Cosa riASSALIRE – «Il fante di Rinaldo veggendolo assalire, come
cattivo, mi ha « cosa al suo aiuto adoperò » Bocc. (cioè: veggendolo che era
assalit , lui essere assalito).ASSII)ER ARE – « ...assiderarono tutta la notte,
senza pallini la ascill « garsi, senza fuoco, ignudi, infranti ». I):
v.ASSOTIGLIARE - INGROSSARE - - . Il collo digrada va sottile, e nel ven « tre
ingrossava, e poi assotigliava, digradando con ragione ſino alla « punta della
coda ». Vill. Parla di certa serpe di fuoco apparsa in aria). ATTENERE –
« .... lanciato da banda tutt'o ciò che attiene a costumi ». Bart.
ATTENTARE – « ... desidera ido e nº n attentando a fare imprese e ho a
non fanno, che non attentano di fare gli altri ». Bocc. BISOGNARE –- Questo
verbo mi darà ina) eria da ragionare le più ava lli). « Come costoro ebbero
udito questo, non bisognò più avanti ». B c. – Il Bartoli guarda come l'ha egli
pure identica la stessa frase . I « Bonzi come riseppero di quel
così vituperevole cacciamento, non « bisognò più avanti, perchè si inettessero
tutti a rumore ». – E qui dagli ai puristi, ai trecentisti, quando un Bartoli
non solo ne parlava con sommo rispetto, ma di loro da vizi e studiosamente si
arricchiva. CALMARE – « .... il vento calmò e un altro 1; e scosse e le
dava alla nave « appunto per poppa ». Bal'. COMPUNGERE – e Forte nel cuor
per la pietà compunsi ». Dittain. (.()NCIARE i maltrattare – E la fa
Iligiia di casi vellendo costoro cosi a conciare, corsero a (iesti cori
gri a n pianto, e sl gli si inginº celli:ì rono « a piedi, e dissero: Signore,
la Maddalena e caduta in terra e pare « limorta e... ». Cavalca.Il Puoti nota
che li el vocabolario noi e registrato questo verbo in forma neutra, come ve lº
si qui adoperato, CONFONDERE – « .... onde se si messo nel pianto
confondo, maraviglia non « è ». Dittam. CONTIA ISTARE - Allora, vedendola
la badessa e si contristare, disse « a lei : or che t'è addivenuto, figliu la
mia Fufragia, perchè così a crudelinelli e piangi e contristi ? » (
avalca. CONVERTIRE - Si prop, sero di convertire alla fede di Cristo ».
Vill. DEGNARE - «... nè v'è uomo, benchè povero, che degni far servizio
della « sua persona ». Bari. Simile al daigner dei francesi). I
)EI,IZIARIE a .... e se talvolta le llloghi a mare trovava llo ad avere « un
uovo di testuggini e alcun poco di pesce allora deliziavano ». Bari.
IDILETTA IXE - Vergognisi chi le reglia in virtude e diletta in lus « suria ».
Nov. Ant. DIMAGRARE - INGRASSARE - I primi quindici di dimagrano e negli
a altri quindici di ingrassano ». Cresc. a Ingrassando e arricchendo
indebitamente.... ». Vill. I) ISFARE a E di vero inali ſul lis fatta nè
disfarà in eterno, se non al di « del giudizio ». Vill. DOLERE – . E cortamente
di lui tanto dolsi quanto donna del far di « buon marito ». I)itta in« La
speranza del perdono si è data a chi la vuole. E colui l'ha per a mio dono, Che
del suo per rat, duole ». Jac. Tod. ESALTARE – « Della detta pugna esaltò
si esaltò il capitano di Mela a no, e il re Giovanni abbassò . Vill.a IDC lla
sopra detta vittoria la città di Firenze esaltò molto ». Vill. FENDERE -
Vnche se ne fanno convenevolmente taglieri, e bossoli, « i quali radissime
volte fendono ». Cresc.GLORIARE - – ... pensomi che l'ºmºnima sua fosse tratta
a quella beata a contemplazione di vedere Gesù, Figliuolo, suo carissimo,
così gio a riare, attorniato dagli angeli suoi, i quali così volentieri gli
face « vano festa con somma letizia ». Cav. Traduci: colmo, circondato di gloria).IMPICCARE
- – Di questo verbo, otlre a molti altri di egual forma enatura, si è il senso
passivo assoluto (non per riflessione si ggettiva cioè, ma d'altronde) di cui è
capace, e senz'altrimenti variarla – simile al vapulo dei latini – la forma
attiva. Pare però che solo l'infinito di tali verbi abbia il privilegio di
ricevere un cotal senso passivo.« Fu condannato ad impiccare ». Vill. I cioè ad
essere impiccato). « La battaglia fu ordinata, e le forche ritte, e 'l
figliuolo messovisi a « piè per impiccare ». Vill. – Conf. più avanti
sbranare. INCHINARE (far riverenza a... } – « E voleseIni al Maestro, o quei mi
fe a segno Ch' io stessi cheto ed inchinassi ad esso ». Dante. INEBRIARE
– « I)ando loro lle celli) a beccare, Sillbito inebriano e lloll « possono
volare ». Cresc. « Egli giuocava ed oltre a ciò inebriava alcuna volta ». Bocc.
INERPICARE – « All'alba scassano i fossi, riempiendoli di fascine, inerpi «
Cano Sll lo steccato.... » I)a VINFERMARE (anmmalare) – a.... E da questo
discorse un uso che niuna « donna infermando, non curava d'avere a suoi servigi
un uomo..... Ol Che.... » BOCC'.« Egli è alcuna persona, la quale ha in casa un
suo servo, il quale inferma gravemente.... ». BOCc. « Avvenne che per soverchio
di noia infermò . Bocc. « Avvenne che il detto Patriarca ammalò a Imorte ».
Vill. « infermare, ammalare a morte ». Bocc. Vill. Caval ecc. « La povera donna
cadde tramortita e ammalò gravemente ». Gozzi. INFINGARIDIRE – « Non badavano
n.ITe faccende pubbliche, e insegna « vano a cavalieri Romani infingardire ».
I)av. (Conf. Pigrizia Pron tuario).INFRACIDARE – « Infracidinsi l'ossa di
quella persona che fa cose de « gne di confusione e di vergogna. Lo
infradicidare dell'ossa signifl « Ca..... ». Passa V.« Il nutrimento dei frutti
infracida leggermente, perocchè la natura « non l'ordinò, nè produsse ad altro
fine, se non accio hè infracidas « se ». Cresc.INNAMORARE – « Concede alle
anime che di lei innamorano agevolezza « di Volare in cielo ». Fioretti.
INVII,IRE - RINVELIRE – « Ma poichè si vide ferito invili sì forte... ». Part.«
....la quale (merce) allora appunto rinvili che egli non la voler ». Rart. « Il
ladro surpreso nel fallo invilisce ». Vill. LAMENTARE – « Una donna in pianto
scapigliata e scinta o forte ia « mentando.... ». NOV. Ant. e Giusto duol certo
a lamentar mi mena ». Potrarca. LAVARE – « ... prestamonto lo menai a lavare ».
Firenz. LEVARE – « Io sono costumato di levare a provedere le stelle ». Nov.
aInt. « Ma vedendolo furioso levare per batter e glie... » BC ( c.
º llll'altra volta la ino MARAVIGLIARE – L'anime... maravigliando
doventare sinorte ». Dante. « Con tutto il maravigliare n'eran lietissimi
Mll I,TI l?ILIC.ARE – « Mla cldo e l'a llie lìte : « adosso in aggiore »,
lºore. « I)ebb no alunque studiare i padri come ». Fia Ill.
multiplichi e con clue Iniestier ed uso s'allmeriti, e divenga
fortunata ſilli. - . . . . . que rime 1tlti i cresce a io e
moltip Il lonte ». I)av. l'ENTIIAE – « SI cl, e pentendo e per
lollando l)allte. « Assolver non si può li noli si sieme puossi ».
l)ante. « (.lli (li trolls PROVARE -- La Marza car, vellla cert: quali a Inosca
dello Iara ca l'ovello dl lilll'allle o lo Provan benissimo alla ril nei
luoglli caldi Prontuario . I? AFFIXEI)I).ARE IN IS(..VI.l) \ I RIE ( tale a
lui a contro il Sallesi ». V Ill. al s'affr, tti si s old fa di
pentire ». la calca gli multiplicava ognora a ſalniglia, ! ».
lPall.lol licheranno llaraviglio -:1 fo, l'a ll vita Ne
pentire e llSciIlllllo ». V ,iere iil l'laln. la ll
pero in sul nero e - apore ». l):) V. (. . ll noso aleli f.
Pianta - a è quasi sempre d ' e a ed e leggieri a pesarla, e tosto
raffredda e io sto riscalda . Cresc. « I Fiorentini si tennero forte gravati, e
il riscaldarono nell'i gue: ra IRIIP AI : AIRE L'inglese to repaire ( on
I. lo stesso verbo, IParte Il I . « Nella quale Fiesole º gran parte riparavano
dei suoi seguaci ». Amet. « Come vide correre al pozzo, corsi ricoverò in casa
e sorrossi dentro ». I30 ('. « .... tutta la lla V e dis armi: i ta
dalle opere in m te, mal nu:i:a e dalla tempesta, e.. aver bisogno
di ricoverare a Mºnla ca e Iulvi a sverl):n l'e ». 13:art. ROVINARE
- Piuttosto vuoi rovinar colla caparbietà tua, che esaltati a col buon
consiglio di chi li vuol bene ». l 'ieronz. a Mentre che io rovinava e li
è col reva precipitosamente a fiacca collo) o in basso loco, Dinanzi agli
occhi mi si fu offerto Chi per lungo si a lenzio parea fioco ».
Dallite. a L'altissima scimmia del tempio di S. lteparata ſu da un
fulmino , il a tanta furia percossa, le gran parte di quel M:I (
Ini:n volli. e Rovinò g il mister, mente da un lalzo della montagna
». a l'asst, l' illla volta sull traileo che Il tº t. (A') fatto ».
Segn. pilona lo rovino ). l3,) i t. rovinare... non è
gradi a lºietro aveva gia preso la china giù rovinando... se non che...
» Cesari. e Clio non rovini , lli vi i l i lil: r. :i bali: l'i slli
trabocchetti, i 'l:º a sopra saldisini p.I vini : i I, lov Ilie troverete
? . Segn. SALI) AIRE - It.A MI Al AIR(i IN AIRI. I rite g randi non è mal
trovato - e a saldino in ventiquattr'ore e che perfettamente rammarginino ».
Red. SBANI)ARE -- .... le ( -a coiiil ritte isselli iti, perchè al grido
a del st ) Ve li sbandarono , l . . . SI3I(r()TTI I º I. – La li ill:1 -
1/: pll'1 o sbigottire, con voce assai piace vele rie, ose.... » I3oce.
SRR.AN ARF - Illvii “i i sll Ille. la do iº la annata di lui ad un e
desinare, l: qual , v. d. ll -t: IIIedesima giovane sbranare ». B.)cc. Aggiungi
i modi : mandare o menare chicchessia ad annegare, a uc cidere, e simili, ci e
ad essere annegato, ucciso Indi a quattro dl, col ta:nto -piarne, scope, ta, fu
mandata uccidere , I3a t. ccc., cliº li son frequentissimi in tutti i lor
li bilogia il guai del trecento e cinque ei to; e li segi :iti a bella cosa a
vedere: dura a sof frire; – « Case vaghissime a vedere, comodissime ad abitare
». 3:1 rt. Demonia crribili a vedere ). V |!! - V si lt l'1, l'ille, elle mi
racolo furono a riguardare ». I3 ... solº i maravigliose e pau rose a
riguardare ». Vili. ... l: Il l: -:1 e l'il 1:1 i lt , il N' - a stagio
gravosa a comportare, che per lo loro piu' volte gli venne dosi dºri di ll 1
le; - l . I3 , . . . . . . . . Forl II ( ll dire che abbia Illo cºntinua in mt
boscº 1, scrivi il 13 arioli, IIIa Il li sempre si agevoli e piare a intendere
che i 1: pia in di . . . .i e, v. altri si av veng: i il : l II; 1 - il 1 l ' I
- I riti l' ignII llo. I ' ' ncere poi di troppo ilt! - In ant III:I: 1 re, che
amp ma , o creda po tersi mai trovare un verbo :itti, o chi in qui, sta o simile
gui-, non siasi talora uscito a riche in significazione assolut: niente
passiva. E s che i rutissimili (.ss e v. 11 ri . di lirl II i qual . In Forli'
ciarl, .le .::i: dimi ed altri la intendono e - i ga: o l Iversalme , sarei tº
itato il rigil:i ril: i re corri ti 'i : 1:1, li i leli iti :itti vi si getti :
l II l de' verbi: fare, lasciare, vedere, udire. Ho veduto, udito, lasciato...
a mare liare, biasimare... Tizio a Sempronio - rubare, prendere, por tare,
lavorare e il na cosa a chicchessia o checchessia.Mlal, l . Io: Ilo il cli: no
i lil I la 'ti i lil Il di al front i rili e Inl Itt e il :ì il tro: i :l ll 1
: i : li si . I l it ,Vli sia però lecito di osservare le villa di irolti
esempi in cui il soggetto i porant e il preposizione a ion piò cssere l'i cells
itivo a rentrº dei lati; li, e li : : lì il ve li vi ttiva, a tri menti che -
orcendo e guar 1:1 dollo la sintassi: e bast, per tutti il - guente del Boern
cio : Va -- e l og: 1o di suoi a Chiassi, qui ivi a vede cacciare i d uli i
Vallicº: il nº . io va ti ucciderla e divorarla a da due cani ». Si di: • i :)
I cacciare, 'l'uccidere e divorare che l'l1:ì. Il no di mi li ssi: -si V . , (
belle sta, il lil:) di scorretto: velt e-ser i: i ti li lì i rivali, il lill
cavalli ºre ed eserla cioè: e la stessa essere ) u ( Isa e divorata da due
cani. Qual'1 do invece s'oncordanza sarebbe e sconnessione troppo rincrescevole
e male ancora si atterrebbero le parti al loro tutto, se si volesse riguar
(lare il cacciare quale verbo di significazione, noi Imeno che di fur ma,
attivo, il cui soggetto, cioe', cavalliere accusativo agente, ed og gettº , una
giovane. Ed oltra ciò si ponga mente a quel che segue, che e appunto il
suallegato esempio: Illvita i suoi parenti ecc. , Qiii è omessa o sottintesa la
ra tisa dell'aziº alle o l a o da, e però lo sbranare di senso non altro che
assoluto passivo. Ma e non e egli forse quel medesimo cacciare, uccidere e
divorare del periodo precedente? SI) IRI 'CIRE - « Esse Ildo essi li oli
gular sopra Majolica, sentirono la nave a sdrucire » I30 ('. SERIRARE
rinchiudere ecc. , Olm! che dolore ti venne quando tu il vede sti serrare là
dentro, fra le mani dei lupi rapaci, che desideravano di velldicarsi di lui ».
Caval.E pensonni che questo ti fosse si gravide il dolore di vederlo così
rinchiudere e con lui non potere essere alcuno di voi, che quello del la morte
non fu maggiore. » Caval.Allora una delle suore, la quale vide visibilmiente
gittare lnel poz u ( e zo, gridando forte.... » Cava! Tra due
l: essere gittata (lal dellº - lli , nel pozzº ). SM V I, I'IRE - - « (..il
iarolo a smaltire ». Cres . STANCARE a E avvenendomi così piu volte, e io
pure volendº mi me - a tere per entrare, stancai, sicchè io rimasi tutta rotta
del corpo... ». Ca.Val.STRANGOLARE - Aveva ad un'ora di se stesso paura o della
giovane, « la quale gli pare, vedere o da orso o da lupo strangolare. » Boce.
TEI)IARE - Alquanti cominciarono a tediare e a dire.... » Fier. TIRARIRE i
tirare) -- . E come a messagger che porta uliv . Tragge la gente « per udir novelle,
E di calcar nessun si mostra schivo... » Dante. a () ( corso lor l'asilmondo,
il quale con un gran last me in mano al « rumor traeva. » I30 ('C'.º . . . . .
il topo che nelle sue branche era stato, riconosciuta la voce del « leone,
trasse al suo rumore, e ricordandosi di tanta grazia ....» Voi gar. di Esopo. a
Maravigliando pur trassi a lei. » I)ittani. « Vide ontrare un topo per la
fenestrella, che trasse all'odore. » Nov. V nt.« E la fama di questa opera di
santa Marta s'incominciò a spandore e per tutte le contrade d'intorno, e per
tutta la Giudea di questo modo a ch'ella teneva, sicchè tutti gl'infermi e
poveri traevano a Betania, « e chi non poteva venire si faceva recare, e vi si
riducevano come a « un porto. » Cavalca. e Un piovºnº i grillorando a
scacchi, vincendo il compagno, suona a a martello per mostrare a chi trae come
ha dato scaccontato, o quan ti do gli ºrde la casa i lillllo Vi trae. »
Sacchi,« ... tutto quasi ad un fine tiravano assai crudele. » Bocc. –
Nota la questa frase: tirare ad un fine, per aver la mira ecc. Anche del vento
del mare ecc. di cesi che tira, v. gr. violentissimamente a ll e beccio ». I3a
1 t.Per nº lì tornare a 1', dire le stesse cose, vi piaccia qui di por mente ad
altre II1:ì il lere che si ill bllo: le e dell'ils . Tirare da uno e cioè sol
Ili gliarlo); tirar via un lavoro, tirar giù un lavoro cioè non badare che a
finirlo in fretta, anche st; pazza idol ; tirar giù di una persona (dirne male
se, za Ibla discrezione al III ndo ,: tirare al peggiore: a Egli 1tlti io che
ſi evin (i i lil I::lco tirava al peggiore ». Da V.; ecc. « Ari ippò
l'insegna e trasse : : - la il I grida 'I l ... » I)av. “ . . . . . . e
scorrendo per le vie s'intoppano negli alimbasciatori, che udito « il l ril 1g
( 111 di (i e II, 1 lli , a llll traevano, e svillaneggianli...» I)a V « ....
la vaghezza di ricolº oscere i gran personaggi, sicche in calca la « gelite -
ll al trarre il vederli. , ( es. l ri. TI IRB.ARE – . Il cielo e lill!) io :i
turbare. » Nov All. VERGOGNARE - SVERGOGNA IRE .... a qual cosa -oste no, per
lui, li a sia il lo, temendo e vergognado ». 13ocr'.« Allor: il crav: lo tilt ,
svergrgnò ». I v. Esoi). Conf. Disonorare, svergognare – Prontuario). V(
)I,(iERE - V ( ) I, I AI? E . ()r volge, sign( l' In 1 , l'ill decimo allllo,
Ch'io a fili sommessº, al di-. go ». I'et: Noto e 'n ulso anche og
gi(lì, ma chi pensa e vi sento Ina i 'a fol'Irla assoluta ?) a Noril lan'lo III
oltr a voiger pr . In queste ruote. , I)ante. « Il tifone voltò e preso altra
via, la burrasca subito rallentò...» I3:art SERI E I | I. VERBI
RIFILESSI VI o con L'AFFisso, AvveC NAcri è superfluo, o NoN NE CESSARIO
ALL'INTEGRITA DEL SENSO, L' posto di quello le si è vedi o lestè. Egli è
un colal vezzo de gli scrittori, oggi rarissimo e per pc o smesso, render
reciproci alcuni verli : he (li la III l'a ll l solo. I 'alliss , mi li,
ci, si. : Il paglia verbo si rive il Ft il naciari , a come forse meglio
lirebbesi, riflessivo, ha virli al l'a di concenl ' ::: l'azione nel si ggello,
quasi come quella sperie di cerbo medio greco che i grai lilli alici dicono sul
biellivo . Nella Serie IV seguente ragioni: Isi di alcuni verbi, il cui
soggellº non è agente, ma causa dell'azione d'allronde. E come altretta i mi
parer ble da riguardare i pronominali di questa serie: pensarsi, sedersi.
cominciarsi, entrarsi, morirsi, ecc. ecc. volendosi esprimere azione che il
soggetto non solo fa, ma si fa fare: e però, per esempio, mi penso, voler dire:
faccio me o a me pensare, o faccio sì che io penso: mi vede, chec chessia, mi
entro, mi comincio, mi muoio V. g. di cordoglio, di crepa cuore, ecc. ecc.,
significare: faccio mie vedere, entrare, cominciare, morire. e, che è lo
stesso, faccio si che io vegg , entro ecc. E quanti più altri co. strutti e
modi, che misteri della lingua si appellano, ci verrebbero piani e ne
sentiremino la ragione intrinseca e logica, l'original candore, se l' genio
studiassimo e l'indole della lingua, la natura cioè dei verbi, l'ordine
dell'azione, il vero, non storto valore delle frasi ecc.! Sturdiali i
seguenti esempi, e saprai come e con quanta grazia. V V EIASI
Sapete ormai che a far vi avete se la sua vita vi è cara.» lo c. AVVIS ARSI – .
.... la qual cosa veggendo, troppº s'avvisarono ciò che « era e ..... »
IBO ( ('. e perchè... s'avvisò troppo bene con lo dovesse fare a... » Boer, «
Ma io vi ricordo che ella e piu malagevole cosa a fare che voi per avvelt Ilvo
lli v'avvisate. » l Bo .CAMPARSI - - « Appena si campano le dºnne con gli occhi
adosso; che a farebbero sdlmenti a te gli anni e quasi rimandate?» I)av.
( ()NTINI AI? SI e ... liguarda ll do Emilia sembianti le fe”, che a grado li
fossitº, che essa i coloro che detto a Veano, dicendo si continuasse». I3 cc.
I) I BITARSI - « e saravvi, mi dubito, condannato in perpetuo. » Caro. EN'ITIRA
IRSI «E grillingtºndo alla terra, in vendo l'entrata, senza uccision a vi
S'entrarono o. Vill. a Ruperto vi s'entrò dentro. » Vill. l'SSERSI - « ... e
messosi la via tra piedi non ristette, si fu a casa di «lei ed entrato
disse.... » B i .Sempiterne si son le mºzzate, le ferite, i vermi crudi, le
stati ran. « golose ecc. ) I):) Vanz.“ In ogni parte dov le noi ci siamo, con
eguali leggi siamo dalla a lla tll ril trattati. » Boi ('.“ Io mi sono stato,
da echè..., il più del tempo a Frascati. » Caro. l'AIRSI - e Che monta a te
quello che i grandissimi re si facciamo?» Boce. “ Divano º sta di non tener più
conto di lui che si facessero cogli nl « tiri. » (esari.MORIRSI – « Finalmente,
dopo due anni, fra le lupo si mori di vecchiaia». Fioretti. « ... e così
morendosi in poco d'ora, mostrò quanto ciascun uomo sia « mal Infol InatO.....»
SCglì. NEGARSI – « E' il vero che l'amore, il quale io vi porto, è di
tanti forzi « che io non so come io mi vi nieghi cosa. Tra luci: che io faccia
al lile, « induca me a negare a voi cosa ecc. , che voi vogliate che io faccia
º BOCC. PARTIRSI (v. Dividere – IProntuario, – ... dell'isola non si
parti ». I3ocr'. PENSARSI – (Conf. Pensare - IParte III,. – SoInigliantissimo
il sich denken dei tedeschi. – Pensarsi è una specie di pensiero, una
fol'Inil d'induzione, d'imaginazi lie, d'invenzi Ile. Nel pensarsi e
sovellle ll il iImaginamento o supposizione non tutta conforme al vero; nel cre
dersi è il silnile, Ina Ilon talnto. -- Solº parole del Tollll I laseo. Le Spa
- lo per quel che valgono. Io dico che pensare viale formar giudizi, e pen
sarsi, un imaginarsi pensando, un farsi o formarsi pellsieri relativa IIlente a
checchessia.« Quale la vita loro in cattività si fosse ciascun sel può pensare
». BOCC.« La sera ripensandosi di quello che egli aveva fatto il dì... ».
Fioretti « ...mi disse Parole per le quali io mi pensai Che qual Voi siete tal
« gente venisse ». I)ante.“ . . . . . sappiellolo che nella casa, la quale era
allato alla slla, a Veva « alcun giovane e bello e piacevole, si pensò
(Traduci: si fece, si recò a pellsare, escºgitare) Se per lugio alcuno fosse
nel Inllro...». Bocc. º . . . . . . e si pensò il buon uomo che ora era tempo
d'andare .... ». Bocc. SPERARSI –- «... e sperandosi che di giorno in giorno
tra il figliuolo e 'l « padre dovesse esser pace.... ». Bocc.USCIRSI – « ....io
vi voglio mostrar la via per la quale voi possiate « uscirvi di prigione ».
Fier.« S'usci di casa costei e venne dove usavano gli altri Inerendaliti
». TBocc. SERIE IV. VERBI CAUSATIVI, cioè INTRANSITIVI o NEUTRI – siA si
MPLICI, si A PASSIVI – I&I,CATI AID USO E FORZA TRANSITIVA. Alcuni
grammatici non la guardano tanto da presso e mettono in fascio liransitivi e
intransitici, o transitivi di fallo e di apparenza soltanto, dando nome di attivi
transitivi o di azione transitiva (imperfetta, come dicono essi) a certi verbi
di lor natura neutri e però sempre intransitivaper Iliesto sol che loro
risponde nell'oggetto in cui, per cui, su cui, od a ºi º è o si riferisce
l'azione, non un caso obliquo, come vorrebbe il natura messo o rispello, ma,
per certo lui il vezzo di lingua o tornio di frase, l'accusativo o caso rel.. -
ll che avviene, vi i per elissi di I lº svela is o preposizione espri mente
"in dell'azione, rispetto aila i stanza o termine cui si ri "sº, lº
sºnº : . io h Fei io se stesso, e la sua donna comini c'Io ct piange e .
I 3 º li, o solº a se stesso...: .... cominciò º ſi correre il regno
saccheggiando I; I. io è il dire pel regno: ( Ma pure ingendo di
non aver posto mente alle sue parole passeggiò º due o tre volte il giardino,
sempre ril, inava (iozzi: « venivano il giorno cerli pescatori al lago di
Ghiandaia per pescarlo ». Fier., º Tristo chi vi per cui rimando aliora le
solita te libiche pianure ' . Stroc chi; e ci si dicesi : nº l'11tri il
liti in se', nel I e le scale, il monte, ecc.: rotſionati e discorre e un jail!
; liti ti un pº' irolo: andai e una riu. – ... la via che ad andare abbiamo . I
ce. passati e il fiume: passare ll no con il coltello dare ad una donna in uno
stocco per inezze il pelo e passarla dall'altra parte I, centi si, desinarsi
qualche ºsº, ecc. ecc. , vuoi per rili li erla p i licelli, preposizione, o
altro aderente al verbo con piani e ai per - con i re un paese: obe dire - ob -
audire il padre, la madr : riandare un lavoro, la vita ecc. – (ili cominciò a
spiana e quella grand'ella, qual gli pareva che fosse riandare l'ulta da capo
la sua vita . I; il I. , n. ll per reva azione di rella che dal soggello
agente Irapassi all'oggetto paziente. Ma lo è di verbi si illi e li vuolsi o li
ragionare. Nella Serie II. allegai ai verbi al liri-pi o nominali che sulla
penna a classici ci si pre sellli II l ' il lillili il neutri se in plici, la
cui azione, cioè transitiva e ri Ilessi sul soggello li a emoli si rel: il
lasitiva, non più emessa. lira il rimanente e inerente al soggello. Qui invece
mi pongo alcuni altri neitli i di lor nallira. In alli al sl 1 il lei e altresì
il cagionars, altronde della rispelliva azi si rie, si gg i è riori : hi la fa,
ma a chi la la lare. Nolissimo, a cagi li d'esempio, il doppio uso del verbo
Non ci re. l)i esi: la campana, l'isl 1 lu meri lo suona, lila allresì e bene:
io suono, ed anche: io suono la campana, il cembalo ecc. Il primo è neutro in
Iran silivo: l'azione del sil riare, ni: ridar lu ri suono, aderente al seg.
gello, del sogg l sogge! I ci: il si rondo e il lerzo invece non è verbo che
dica azione chi si s Io, il cli: i ar . vale: io laccio sonare io faccio sì che
un isl 1 Imen lo renda silon Vl tried sino modo spiegasi il III zionare al livo
dei verbi qui soll shie ali: e il di p. es. cessare chec chessia torna a
questo : fare che una cosa essi, linisca. (*) I, a lingua tedesca è ricca
pi assai che l' Italiana, francese ed inglese di tal maniera neutri intransitivi.
Lasciando stare il gran vantaggio che ha di collegare a nodo di una sol voce
qualsivoglia verbo con la rispettiva dipendente preposizione sia dell'oggetto
diretto che indiretto o complemento, gran numero di verbi neutri (che, spogli
di ogni affisso, reggono un caso obbliquo, o l'accusatlvo con preposizione, e
però d'ordine e rispetto indiretto relativamente al loro corredo) trasforma ad
altro rispetto e indole quasi transitiva attiva, premettendo ed affigen dovi la
particella be, Es : den Rath be folgen (den Rath folgen): dem Herrn bedienen
(dem IIerrn dienen ; einen Freund beschenken ; don Feind bedrohen ; Etwas
bezweifeln Etwas be sorgen; Jemand behelfen, beweisen, befallen, belasten ecc.
ecc.Si che di alcuni anche il Vocabolario ne riconosce l'uso attivo, ma li pºne
accanto tal altro verbo che risponde bensì al senso della cosa, ini non n è
l'equivalente letterale e non ſi mostra come il suo valor ma lui l'ale,
l'azione neutra resta lullaria, avveglia che dipendente e soggetta a chi la ſa
fare. Dice p. es. che cessare, attivo, vale rimuovere, sospendere, sºlirſtrº
ecc. e ne convengo quanto al senso, ma non quanto alla ra. gione intrinseca e
letterale della parola, secondo la quale il cessare non è propriamente azion
transitiva del soggetto che cessa, v. gr. un pericolo come sarebbe il dirsi
rimuovere un pericolo ecc., ma egli è sempre azion leutra della cosa che cessa.
Si è il pericolo che cessa, e il cessarlo non è, a rigor di frase, un rimuover!
, che si Iacria, ma vale far sì che il pericolo, comunque non abbia più luogo.
Il qual modo far fare, onde spiegasi la forza transitiva di cui è capace il
verbo neutro, vuolsi applicato a qua lunque altro che comechessia il
comporti. NI3. – Si fa qui menzione di quei verbi soltanto il cui uso
alliro - causaliro – il V Vegnachè ordinariamente assoluti o costruiti neutral
mente – è virtù, è particolarità antica e classica. Di allri molli, dei quali
una tal proprietà è tuttavia comune di generalmente nola, non accade or
cuparcene. Nostro compito è richiamare a vita le smarrite o poco nole hellezze,
proprietà, virtù e dovizie dell'avilo, italico idioma. (*) Di tal fatta
verbi è ricchissima fra tutte l'altre viventi) la lingua inglese. E per
menzionartene alcuni eccoti : to fall (cadere e far cadere, to drop (cader giù,
gocciolare e far cadere o gocciolare, to drink (ubriacarsi e far......), to fly
(volare e far.....), to sink (calare, andar giù e far.....), to wave
(ondeggiare e far.....), to fire, to well, to play, to please ecc. –. Nella
lingua tedesca, invece, si è mercè di una piccola alterazione che il verbo di
neutro si rende nel modo esposto attivo : Steigen (ascendere), steigern (far
ascendere) ; folgen-folgern; nahen - nahern (e anche nahen cucire); sinken - se
nicen ; trinken – tranken , dringen - drāngen; schwanken - schwänken ; erharten
- erhärten ; erkranken - krānken; fallen - fallen , stiche In - stechen ;
schwimmen - schwemmen ; springen - sprengen ; wiegen - wagen ; einschlafen -
einschläfern ; liegen - legen ; sitzen - setzen ; stehen - stellen ; rauchen -
rauchern ; abprallen - ab prelien ; fliessen - flössen ; schwallen - schwelten
, lauten - làuten ; (es lautet so...., es wird geleutet) ecc. ecc. Io non
so di niun grammatico o filologo il quale parlasse mai od accennasse a coteste
verbali analogie, rispetti e relazioni etimologiche. E quanti, a cagion
d'esempio – non esclusi Ollendorf, Filippi e Fornaciarl –, s'ingegnano per
molte altre vie e a tutto lor potere, e per dichiarazioni e per esempi, di
mostrare e far capace il lor discepolo dell'uso e valore, l'un dal l'altro
assai diverso, di clascuno dei surri feriti verbi stellen, setzen, legen,
quando una parola soltanto basterebbe e farebbe più assai; dicendo cloè che ll
son verbi causitivi : stellen di stehen, setzen di sitzen, e legen di
liegen. S'io lavorassi o dettassi comunque una grammatica, distinguerei
quattro gran classi di verbi : I.a – Attivi transitivi – lo anno.
L'azione transitiva è mia. II.a – . Attivi causativi. – lo guariseo alcuno, io
risano, io suono, io cesso ecc. – Mio l'atto causativo, ma non gli
l'azione stessa del guarire ecc. III.a – Meutri relativi. – Io corro (una
via), io piango (alcuno) ecc. (Conf Il ragionato testè).IV.a – Meutri assoluti.
– io vivo, io dormo, ecc. Il dire: vivere una vita. tranquilla, dormire un
sonno dolce, placido ecc. non toglie al vivere, al dormire la sua forza neutra
assoluta, ma é sol modo elegante che torna nè più nè meno all'altro: vivere,
dor mire placidamente, e pºrò altro non è l' accusativo che un verbale o simile
spiegativo dell'a zione o qualità del soggetto, non già vero accusativo od
oggetto paziente. “ Dormito hai, bella donna, un breve sonno. ,
Petrarca.CESSARE – « ...da troppo più erano in lorze, ma il Saverio ne cessò
ogni pericolo ». Bari.« ...e cominciò a sperare - e nza sia per clie, ed al
quallo a cessare il desiderio (lell: l III olt . l 3o t .Così a dilnque, l la
sua pr inta e si riazzevol risposta, Chichibio cessò la mala ventura e la
il 1 ossi col sito - . . . ». Bove. E se pure i liti e li rig . Vi volesse
soprarſi lº cessatelo con pazienza e sopp rti / i 'le. .. .. l'a ll
dollini. Eglino si l vera lo sotto i rii il l i s'1-s . . . . . .it , livºr
cessare la neve e la notte e le sov l instil V a . l ore 11 i. Cristo
pregò il lº; i dr . lle cessasse il calice le! l -- i il di lui ».
( la Val. e l'el terna li slla voli e, lil cessossi e la lº tissi da FI l
elize ». V ll I.: s cessarsi di q. c. 1 - lei tºls e, rilla nerselle. ( :) |
Astenersi lº l'a lt 1 l:ì i l . La terra fu cessata dai livelli lº stilt la c.
l . « l'el cessare i pesi d llllo si, it : i cl l - e gli stessi , con la
Illiato ». ( es: ali. « Per cessare ogni vista di tiri, la gran le zza s.
Cesari. CONVENIRE. - indi convenuto, le ini, e il dizi: io, che è participio
non del neutro, ma del call sativo ccn venire, e si n 1 l I a chi è fatto
con venire o gli fu intimato di convenire« Questa (l'anima , dinanzi da sè, il
Clti i lu lu parte del mondo, può a convenire chi le aggrada » (iitll .a Chi
conviene altrui il giustizia di pi st Ilnolli ». (iiulo. « I)ilmalizi a gillsto
gill di 1 , i : i - o sia le convenuto ». Bo c. cioè siate stato chi: Irlat , (
1:111 o vi è lll' '.CIRESCERE - « Questo luovo tono di vita, crebbe in lui lo
studio della Virtuſ ». Cesari.E indi a poche linee torna a in ora la stessa
frase : . Questa piena de « di alzi alle crebbe il lui lo stll dio della Virt
il il segno... ». « E crebbono assai l: l 'ilt: i (li tºis: l ... V Ill.E
questo pellsiero la illlia Ino a va sì forte di l io: che lì lì si potrebbe a
dire, e ricrescevale l'odio di sè e della sulla vita passata, che con grande
empito si sarebbe morta s'ella avesse ci eduto che piacesse più a I)io». Ca
Valca. Il testo li rincrescevale, ma niuno degli intelli gellti dubitò mai
ch'egli sia altrº tale che ricrescevale, il quale sta qui non in significato
neutro, come nota qualche espositore, ma cau sativo retto da pensiero, il
quale non solo la innamorava ecc. ma adoperava ad accrescere vie più l'odio di
sè e c. Noterai qui anche l'altro causativo: si sarebbe morta. E chi dubitarne
se da quel che segue chiaro, a parisce che per lei sola si rimase che d'odio
non morì ? DERIVARE. - « .... cºme il giardino con fare il solco deriva l'acqua
alle piante, così.... ». Segn.« ....che può e deve per sè, senza ch'io e litri
in queste vane dispute, « derivare (il folgern dei tedeschi) a tutti questi
capi infiniti ed effica cissimi con forti ». Caro.FALLIRE – « Ma il barbaro
amore questa promessa falli ». Rart. « Guarda in che li fidi ! Risposi: nel
Signor che mai fallito Non ha « promessa a clli si fida in llli ». IPetr.«
Onori avevano grandissimi e sfolgorantissimi; come altresì fallendo il loro
voto, erano seppellite vive ». Cesari.Nola qui le frasi: fallire il colpo,
alli, e la ria. Fallire neutro, vale : li tallº all'e, V Cnil lilello - le lire
e - V el sagi li ''I raro, commellere fallo, andare a vuolo - si leiler n
: - la debolezza vostra per conto della « carlie è maggiore che non crediale,
ed a passi folli la lena vi fallirà o. Cesari. – « Sentendosi il marchese agli
sll'eli e pallendogli tutti i pal a lili da scioglierne... . . ( es. \ i rolli:
il falli la speranza ». I liv. Ml. (Conſ. Dilello ecc. Pi ritira iFINIRE –– a
Per cessare il pericolo o finir la vergogna dell'essere sl Iriale sullla bºcca
dei suoi 1 ratelli.... ». Bart. « Chiedeva lo riposo per interce e di non
morire in quelle fatiche, a Ina finire, con il pi di viver , si duro soldo o
l)av.« Finite i peccati.... Io vi prega v. 1 che finiste le oscenità dei teatri
». Ceskani.« III camera dell'ill fºr III o, (Ill: Indo peggiori, gli albarelli
e le alilpolle « Inoltiplicano e l'apuzzano e lui aggravano e finiscono». l)av.
– IPoni niente triplice rispe:to o ti e differenti maniere del verbo finire: a)
- a ... di sollecitarlo non finiva glanina i p. Bocc. – Finire di vivere O
finire Selz'altro: a Mall vive il do 11 ll IIi erit:i Ilo di bell finire ).
Passa V. b) - « Un lavoro di grande artista dagli altri si giudica terminato «
quand'egli illon l'ha all ra finito a suo inodo ». Grassi,c) - Finire la
vergogna, finire le oscenità, finire un infermo, come sopra. –- Nel primo modo
è neutro, 11el secondo attivo tra lisitivo, nel terzo attivo
('allSativo.FUGGIRE – (Conf. Fuggire - Parte III. Chi avea cose rare o
mercanzie « le fuggia in chiese e in luoghi religiosi si ll ' ». Vill.
MANCARE - « Questa asprezza delle grida era Imaggiore che dell'arme « per
attrarre l'aiuto a quella parte di quei dentro, e mancarlo ov'era e l'agguato
». Vill.« Nè a lui basta l'avermi mancato la sua difensione e l'osserni il v -
a cato, ch'egli rsi ride della Inia rovina ». Fiorenz« Mancare ad alcuno il
proprio soccorso ». (iillb. A on f. ll - i vari di questo verbo - Parte III
. MONTAIRE a ..... e così in poco d'ora si mutò la falla co fortuna ai
Fio. « rentini, che in prima con falso viso di felicità li avea lusingati e «
montati in tanta pompa e vittoria ». Vill.Anche i francosi dà mmo nl loro il
rallsitivo monter va l'il'e altresì i rall - sitivo. I tedeschi mutano steigen
in steigern, e gli inglesi to rise I'm to raise. MORIRE – Nei preteriti)
a Messere, fammi diritto di quegli che a torto « m'ha morto lo figliuolo ».
Bocc.« Tutti gli altri, coll'arme in mano, uccidendo, l'illmo presso dell'altro
a furono morti ». Bart.)lss 13 rullo plaliani e ite: Velestlla? l?ispose
Caliandrillº: oimè si! ella m'ha morto o lº i . - - - - - e ln , il
i gl I l va 1, l. (.li la lill Il lesti nostri Pontefici e Sa cerlot, º hanno
morto questo Gesù Nazzareno, per cui... » Cavalca. , Vedi un altrº º semplo dei
Cava a s. ti o Crescere,. Mista l'o di illma: la pel lidinº la super bla
era il veleno che avea morto l'umana natura ». ( es.Fu incarcerato ed a ghiado
di coltello, morto ». Dav. Avendovi morto la ſua 11 l o elito | I solle
.... » l)a V. Fra l III olti isl lel verbi, morire le ultra linelli e il
toreno: e Morire di alcuno e lº i loro esser:le l'i: la morato, morire v. gr.
d, uno scoglio, di una spiaggia i fili : I l a tºrto e lº iallo el'a lln
sentiero s gli Imbo. ( .li e in liesse il 1 l la n o della lacca Là ove piu .
he a mezzo muore il lembo ». l)ante.l'ASS ARI. Conf. Passare - p.lli III. (i la
Iri Irla i lioli fu qui ponte, Il 1. lo si lui e passo slli li e spille
Illit lillique... » e l'rego un ge:11: le li i portasse a a.ti a riva di un
fiume. Quegli, , per natural cort sia, o per che pur gi a lesse dell'anima,
volen e tieri il compla llli e passo llo ». Bart.I mi: rilla I e i soldat , ,
lire il v vien le lunghe navigaziºni passa vano il tempo e la noia giocando
illrsieme alle carte ». Bart. - Passare il tempo, frase notissima e volgare,
non vale adunque, rigo rosamente parlando, trascorrerlo zubringen) come
comunemente si crede, Ina sì rimuoverlo, scacciarlo, farselo passare (sich die
Zeit Ver tre ben , cioe parsa lo in senso causativo. Se così non fosse come il
lig e vi: e la noia? I a noia non si trascorre, ma si rimuove di Zeit Ilind di
I.: ll e W . Il vertreiben, non zul rilmgeilm), MI: il l?o, le o, moli e
l'altri, con i fertili e la cla scudo al mio pensiero. ') po . . er detto che
alla donna conviene talvolta di Inorrarsi in ma 'I: onla e gravi i 1:1, se
questa la nuovi ragionamenti non è rimossa - :: - il l ' :: : il cli, degli
innamorati il lilini i lorº avviene. Essi, se :I l il 1 : Irri li vezza il I l
' - I ' , gli i filigge, lì:almn Ino di , di illl :: 1:1 re a da passare quelle
». l 'r erni . .I )i , he lo n vedi che codesto passare e il rimuovere sopra
detto. I 'I l ? I)I.I E Tinete eum qui potest animi: In et corpus perdere
in gehell ma li ig: tris , Vlath. : ' '| ... Il cui numero la loi , scritto
essendo completo, ed egli tolse di I lil : do e lo ebbe perduto senza
riparo » Cesari, Perdidit I)eus II emoria III: Iddio ha perduta, cioè
distrutta, la nº e Ilioria dei sll per l'i ll Illini ». l'assia V. (!) È
ben altra cosa il dire perdere checchessia – cioè rimanerne privo – e dire:
perdere uno, perderne l'avere, la riputazione ecc. Quì perdere denota
azione diretta di volontà che fa che altri si perda, rovini; quando nel primo
modo è cosa che, indipendentemente dalla mente e volontà del soggetto, al
soggetto co me clessia avviene. A gli esperti del Breviario romano
ricordo la bella discussione di S. Agostino intorno al doppio senso
dell'espressione: perdet eam del noto eflato di G. C.: qui amat animam suam
perdet eam, cioè o l'uno, o l'altro: colui che ama veramente la sua anima,
perchè sia beata l'IOVERE - NEVICARE - TONARE – Sue beltà piovon fiammelle di e
fuoco alimate d'uno spirito gentile ». Dante (Convito).a .... e però dico che
la belta di quella piove fiammelle di fuoco ». Dante altrove Conv.)« Il
Saturnino cielo, non che gli altri, pioveva amore il giorno che a e ili
nacquero ». Filocolo.Sospira e suda all'opra di Vulca 'lo, IPer rinfrescar
l'aspre saette il Giove, Il quale , tuona, rnevica, or piove ». Petr.Questo e i
precedenti esempi in strano chi la o non esser certi verbi, che si chiami lo
illip I somali, si rigi il sili, elle lilli che non siano slali Ialora
adoperati - e lo si può ſulla via anche a maniera di al livi, sia retti
solamente Vegge il la cagi li che il lato priore ». l)ante: Innanzi che la
ballaglia si comincli - si porre una piccola acqua ». Vill. Pio rele, o Jian
ne, e li o in lei il voraci le possessioni . Segn. Quando il giali (ii ve
lona Pell. e par el l e il libe che squarciata « lona , l anti , sia reggeri li
ricorsi il II Il caso. Nè pol rassi perciò mai lidariri i re di errore il dire
come elletri e le till illegali : le stelle pio rono in luenze: i nu voli pio
con sassi, e c. SOLAZZARE - Non avvali pe: ne, Irla di pipistrello era
lor inodo, e e quelle solazzava, - che ti venti si trovean da ello ».
Dante TIR.ASTI I,I. ARE e \l trastullare i fanciulli ill el le;l p.
13ocr'. VENIRE - - - E l' ste detta fu quasi tutta se la raſsi e venuta
al niente senza colpa dei nermi. I n. Vill. nell'eternità, darà
opera che sia perduta, eloè resa inerme, la farà perdere nel tempo: oppure:
colui che ama la sua anima nel tempo la perderà nell'eterno.Quanto all'uso di
perdere a maniera assoluta ti è forse noto, ma non ti verrà discaro un qualche
esempio: « . . . Essere tutto della persona perduto e rattratto » Bocc. « . . .
e mise il mare in così sformata tempesta che quattro dì e qnattro notti corsero
per « duti a fortuna senz'altro inlglior governo che . . . » Bart.“ Guarda come
ciascun membro se le rassomiglia ch'egli non ne perde nulla , Fler. Nota ancora
gli usi: andar perduto di checchessia o dietro a chicchessia i perdersi
d'animo; amare perdutamente ecc. ecc.CAPITOLO III. Voci e rnaniere il
noleclinabili Non sarà certo alcuno, per ignaro e poco sperto in opera di
lingua - il quale leggendo e studiando nel clasisci non s'avvegga che anche nel
l'uso di certe voci o maniere indeclinabili - oltre a quelle che ad altro
oggetto l'agiolai ed illustra i più sopra - consiste talora il vago e l'effica
cia del discorso, e vi è molte volte diversità tra l'antico e il model'In..
Anche a queste forme vuolsi adunque por mente, e farne oggetto di | esame e di
studio. Le dispongo a ordine di classi o serie sol per divisarne comunque la
materia, non per logica ragione che me ne richiegga. Assapora, studia e sappi
quando e con le usarne, discretamente cioè e con lo senno, sì che alla frase
lorni garbo e naturalezza, non mai al fetta la e l'ill ('l'eso e vole
ricercatezza.Ti verranno anche qui, come al rove, scontrati esempi già addot.i.
Se il ripetere lalora annoia, in opera di forma al tutto didattica torna anzi -
utile e grato, e vale qui più che in altre discipline il noto proverbio: Re
petita iuvant. SERI E I. MIA NIERE A VVER BIALI o I o RM : IN C: EN
FIRA I, E Albo PERATE FREQUENTE M ENTE I) A I ( I, A Ssl ('I A I) Fs l' RIM l.
1: E l I, GI: A l M ( N ) ( E SU'PERLATIVO 1) I QU' ALITA, AzioNE, o Cosv Ql A
LSI Asl. Le quali tornano solo sopra alle volgari: immensamente:
incompare: bilmente; inesprimibilmente, assoluta non le : onnina nºn lo nel
modo mi. glio e, possibile ecc. ecc. COMI E ME(il,I(); II, MIlGI.I ()
('ll E. ....; CI IE NIENTE MEGLIO; CIll: NUl.l.A l'III'; ECC. ECC. - – -
Spacciatamente si levò e, come il meglio seppe, si a vestì al bllio ». 13 , c
.« Senza liti, la cura e prestamente come si potè il meglio... » Boc . .
- “ . . . . . riprese animo, e cominciò come il meglio seppe..... » Bocc. . “ .
. . . . . a dorni il meglio che sapevano m. Bart.“ . . . . . tutti pomposamente
in armi dorate e in vestimenti i più ricchi a e gai che per ciascun si
possa ». Bart.AI, « Voi l'avete colta che niente meglio» . Cos. « ....
con quella modestia che io potea la maggiore ». Fierenz. Inv. costr. con quella
maggior modestia ch'io potea. ) - - POSSIBILE; QUANTO PUO' ESSERE;
AL TI "ITO; IN TUTTO; ECC. « .... purissinra l'aria ed asciutta e secca al
possibile ». Bocc.« Vi terrò sermone di nel quale io sarò parco al possibile ».
Cesari, º . . . . . pregandolo di porgere, quanto per lui si potesse, alcuni
subitº, « ed efficace l'ilno (lio ». Balt. e Luigi ne fu lieto quanto potea
essere, ma.... . » Ces. « E però al tutto è da levarsi di qui ». Bocc. « () che
il prete fosse al tutto ignorante, che non si pesse discernere i peccati. o
fare l'assoluzione..... » Passav.a Fortezza al tutto illespugnabile ad ogni
altra forza che d'assedio « () (li fa II le o. B:ì rt.« Si pose in cuore e
determinò al tutto di visitarlo personalmente ». Fi , retti.a Malvagia femmina.
io so ciò che tu gli dicesti, e convien del tutto l'io sappia...... »
Boce. “ . . . . . non ha bisogno delle 11 i lodi ſi è cll'io l'a lti le
lodi slle e e però Inc le taccio in tutto ». i l IIll). PIU' CHE ALTRA
COSA; QUANTO NII N ALTIA(); ecc. « Assai più che a altra femmina dolente,
a casa se ne tornò ». I3o . e Lo scolare più che altro uomo lieto, al tempo
impostogli andò alla a casa della donna.... » Boc ('. “ . . . . . il che
voi, meglio che altro uomo ch'io vidi mai, sapete fare con a Vostro sºllino e
col V ( Stre ll ( Vello ». I30 ('.a Vergine madre, figlia del tuo Figlio,
l'Ilile ed alta più che crea a tura, Te: Irlino fisso d'eterni i collisiglio....
» I)allte.« .... d'altezza d'allirno e di sottili avvedimenti quanto niun'altra
dalla « I):ltº Ira dotata ». Bocc.« Più tosto si richiede onostà e modestia, la
quale fu in lei quanto a in alcuna altra ». IPandolf.a ... la rendi (Malacca j,
collo industrie della sua carita e coll la virtù e dei miracoli, illustre
quanto mi un'altra ». Bart. PER COS.A I)EI, MONI)(); C()I, AI, MIA (i (i
I()R... l)EI, MONI)(); II, ME GI,IO IDEL MONDO: PUNTO DEL MONI)();
SENZA.... AI, MONI)(); ecc. – a .... e quantulinque in contrario avesse della
vita di lei udito, per a cosa del mondo nol volea credere ». lºoc ('. ---
(Simile la fraso del l'uso : per tutto l'oro del mondo – nicht um die ganze
Welt) « Alla maggior fatica del mondo rotta la calca, là pervennero dove... »
Bo( ('.« Alla maggior fatica del mondo gliel trassero di mano, così rabbuf a
fat () o mal concio d'Olm l' orº ». Fior.a Io gli ho ragionato di voi, e vuol
vi il meglio del mondo ». Rocc.« Punto del mondo iron potea posare ne di, nè
notte ». Bocc. « Ne la Inella Vano senza una fatica al mondo ». Fiel'enz.
A CHIEI)ERIE \ I, IN( il \: \I. I)I SC) I PR A: ( ( ) MIE I)I( ) VEI, I)ICA:
....E' I N.A FAV ()I..A \ I)IIXE; Sl: NZ A VIISI IN A: ec . . . .... ed a
chiedere « a lingua sapeva onorare cui nell'alimo gli capeva che il valesse ».
l30 cc. « Il popolazzi, . . asso, st L. e ti emend al di sopra, ridicolo,
impau e rito ». I ): v.... un catarro che li accolla io questi gi il 'ni come
Dio vel dica». Caro. « .... colle l'a II lilli , fierall 'i! te è una favola a
dire . Flereinz. « La giovane, la quale senza misura della partita di Martuccio
era stata dolente, ti derido illi e il li :iltri . sser. In rto,
lungamente pialise ». Doce. SERIE II, AVVERBI I) I TEMl PO
Ass v I I REQUEN I I VI po I ( I. AssicI E D AI MoloERNI RARE VOI,TE EI) AN('l
I E S (' ) N V ENI ENTF VI l .N l'F, A l)() l'ERATI. Solº, e ben si vel .
io il amezzi e talora anche vºi per sè insignIl lill. I l l sentire e del
pensare rivelano assa i volle, chi li Is I l s , che di gentil e di fino. Ad
intendere a che li gli oli | lesl Iraniere avverbiali siano cosa da non dove si
l rais li tre pas e il por nelle alla sconve nienza di allre voci che venissero
sul gale, per quanto equivalenti c (lell'lls . I , A I PI? I VI \
(.( )S \ \loid 'il: 1 o, e st . In tla prima cosa che faceva, clle dI va, che
li l' I, le ill e I e I blie i . ( olf. Al llla si Sel ie . I - il I l I so:
volte, i vi si va via , la prima cosa a visit to il corpo di l l lo so S. Z
:lolo º lº i :li. ( n'egli era a levati , la prima cosa spendº via il
rile, i ora zione mentale . » l3: l 't. ( o s.VI.I. \ l'IRI MI V di primo in
alto il prima giunti (.lle lisogli a sciolla Il 1 Se la l - i lrn 1. ll il I
alla prima acconsentono º , l):n V ( in tilt to li alla prima ti sti lou, i l:t
lizione ... o V ill I ) \ Iº lº I M.A ... Illando l'alto livlio Vl sse da prima
quelle cose a bello. » I ): l.llto.« Lasso che male accorto lui da prima ! »
l'elr. Parla dei primi istanti dell'amor sul .)IN PRIMA – « In prima si
commette in occulto, poi l'uomo accieca in « tanto che pecca manifestamente ».
Caval. « Io voglio in prima andare a Roma ». Bocc. DI PRESENTE
subitamente incontamente). Matteo Villani elle questa forma di di e
continuo alla penna, e per quanto a me ne paia, non mai usata a significare il
ro che su bila mente: nel qual senso la rove ete nel primo libro della sua
Cronica delle vol, allilelio cinquanta. I3artoli. Ma non inferire la ciò che
sia inal Isa! anche il senso di : al presente. L'ha il Caro, il Lasca, il
Segneri e noi, altri: « Ma forse che di presente non v'è l'Ics Iso?
Segn di presente e gli cadde li Iurore ». I3ore. a ... tutte le Imadri
che avessero fºr ll illlli ferirli gli o tav: l'1 , l . detto monastero e la
badessa li piglia va e pi Vagli llel mezzo del a chiesa...., e di presente
erano saniati d'ogni info, Irlita. , Cav. ... e poi le fece il segno della
Santa Croce nella sua fronte. All ra « il demonio incominciò di presente a
gridare e... » ( a V.Se l'andò di presente alla madre e contolle tutta
l'ambasciatº. » Nov. Ant. Le illimicizie. In riali trascono di presente. » (ia
la teo. a \ppena avvisato da lui questo peso l'intrepidimento, di presente º so
ne riscosso ». CesI)I TIRATTO – a ...il domandò se..., ed egli di tratto rispo-
di si. ( -. I) \ INI)I INNANZI – « E da indi innanzi si guardò di Inai piti. .
» I3o: . a Chianrossi da indi innanzi non più... Ila.... » (iia lill).l'EIR
INNANZI – « ....o tennero per innanzi Messer Betto sottile ed iniel: a dellte
cavaliere. » Boicº a...o fatene per innanzi vºstro piacere. » Rocc. I).A ORA
INNANZI - « ...da ora innanzi spenderemo la nostra diligenza « in cose... »
Bart. « In fede buona, discio, io voglio da ora innanzi credere come il
re, e cioè in nulla ». Da V.– Così dicessi: da oggi a 20, 30 ....dì: Mi
seguiterai da oggi a venti di º. Vit. S. Girol.DA QUELL'ORA INNANZI – . E da
quell'ora innanzi gli pºrtò sempre « onore e river olza. » Fioret. I) I
MOLTI MESI INNANZI. . . . ... con le collli cl) o l or Ill ort , l':n ve: i rii
a molti mesi inmanzi. » Rocc.DA QUINDI ADDIETRO. A te, corpo mio, sia pena e
vergog vi e « confusione la tua mala vita che ti hai fatta da quindi
addietro, se a tu ci vivessi conto migliaia d'anni. » Cav. DI POCO
Inolfo) TEMPO VV VNTI. . . Di poco tempo avanti a marito a vomiltºn lº..... »
IBoc ('. DA POI IN QI A CIIE.... - - « Da poi in qua ch'io servo a stia
Vltezza a non ebbi mai motivo di querelarmi. » POI AD UN GRAN TEMPO per
buona pozza di poi - , senza che a poi ad un gran tempo non poteva mai
andare per via che... » Fioret.- IPOS(.I.A A NON MIOLTO) : IP()SCIA \ I) l E,
TRE... ANNI. – . ...benchè il « perfido, che convertito non dalla verita, lira
dall'interesse, si era illdotto non ti d essere, lila a filigersi cristiano,
poscia a non molto apostasse. » I3 irt.A lui al che si deve la conversione
cleposcia a due anni si ſè di... e d'InCli: sllo forlin. o I 3: i rt.l'OI. – v.
Poi in significato di poichè, congiunzione, Serio 5.) « tue giorni poi lo i
lidir no rel: ma la detti (iialma. » I)a V.a Le mie scritture e dei miei
passati allora e poi le tenni occulte, e e l'inchillse, le quali non chi
e la potesse leggere, nè anche vedere ». IPalld()|f.DI POI, I).AIPPOI postea,
la liber. dal au I e - Il giorno di poi a che Curiazio Materno lo sse il
suo Cat ne... » I)av. Fecesi questo primo ufficio a mano e di poi se ne fù
borsa. » Cron. M () l'(ºll. - S'arrende Cappiali , si lv ro a
dappoi la rocca, -aivo - a l'avel e o V Ill. l) A IPOI CI IE...: POI CIIE
.. posi ea quan Ne furono assai allegri, « da poi che l'ebbe il signor Tav
rit. a E molti enºni , quasi me razionali, poi che pasciuti erano be; le
e il giorno, la molte alle lor , a se, senza al il correggimento di pa store,
si tornav: lo satolli. I3 ) . r . « Quale i fioretti dal lot il no gelo ,
li lati e chiusi, poi che il sol r e l'imbianca si drizzi in tu! ti : pe: ti il
loro stel . . » l)a nte. - Poi che innalzai un co pit 'e riglia vidi il
maestro di color che saillmo se dor tra la fil sofi a larniglia o l)ante.
IN QUEI, TANTO in quel frattempo i 17 w is henº « Quando -: ti o a un colore
e quando sotto un'altrº allungava sempre la cosa, e secre e tamente in
quel tanto attendeva a In tte, si in I tinto. , (iiaml). I F. I I I V () I TIC:
\SS \ I I) ELI E V () I 'TE. Non a quella chiesa che.... a ma alla più vi in:
le più volte il portavano. Doce. .... ed a Luigi non ebbe assai delle volte
questo riguardo ». Cos. I N MIFIDESIMO. - Gelò in un medesimo per timore e
avampò per a rabbia ». I3art. IN (*) Nota uso altro del comune
d'oggidi. « Da poi o di poi, scrive il Bartoli, sono avverbi | - « di
tempo come il poste a dei lattni: non così dopo, che è preposizione e vale
post, nè riceve « dopo sè la particella che, come i due primi. Perciò i
professori di questa lingua condannano « chi stravolta e confonde l'uso di
queste voci facendo valere l'avverbio per preposizione, e « questa per quello
che è quando si dice : da poi desinare, o dopo che avrò destinato ; da
poi « la colonna, da poi mille anni, dovendosi dire dopo desinare, da poi
che avrò desinato, - « dopo la colonna, dopo mille anni.. ... Due testi son
prodotti da un osservatore in prova di « quello ch'egli credette che in
essi la particella dopo abbia forza d'avverbio di tempo: ma, « o 1o mal veggio,
o egli in ciò non vide bene, però che poco dopo e picciolo spazio dopo, « che
leggiam nel Filocolo (e ve ne ha d'altre opere esempi in moltitudine) sono
altrettanto che « dire dopo poco e dopo picciolo spazio: nè perciò che dopo si
posponga per leggiadria « perde il proprio suo essere di preposizione,
cambiando natura solo perciò che muta luogo. » (Torto e diritto),TUTTO A UN
TEMPO. –- Si vide egli una volta venire innanzi quel « figliuolo
scialaquatore che tutto a un tempo illil izzito di freddo e e smunto di farne,
a gr. ll fatica poi i più reggere lo spirito lli sulle a labbra ». Segn.AI) I
NA; AI) ( N () R V. - I. - lio, e il riº lite illl collo ad una le l gi che e
l'azioliali . (iiillo.E fatto questo al padre - i ti e, con i ti o dino li
avere ad un'ora a cio che in sei mesi gi loves - e dal re ». I3 cc.a Tu puoi
quali lo ti vogli ad un'ora piacere a Dio ed al tuo signore ». l3a) ( .FII ad
un'ora l: ti inta II: i r; V Igli, e il ti: i ta a rieg l'ezza solº l'appli - ,
ch, a pena sapeva che ſi rs dovesse Bar!.a S'io avessi mille cuori in corpo,
credo, tutti scoppierebbero a e un'ora ». ( a vill.....e lo slle - rel. l: elie
l l' il, clli ' lei i 'o che ella fosse spira 1:1, a un'ora piangevano i
figlill lo e la IIIa - dl e o. (..i Val.AI) () IR.A: A TEVI IP() ZIl re e lit,
Zeit, frilli - e il ' . .... il III la ll (lſ) ll ll (le' suoi quanto al ra i
vos- li Illi. : I 'a via e se ad ora giunger e potesse d'elitro rvi . l?oce.Io
so grado alla ſor . I: I: pi oi, la III: ll ad ora vi colse In a cammino che
bis 2: o vi Ill di ve la mia piccola ci sa . Bocc. . – Quell'ad ora, se il il
ring oliato al (.: p. Locuzioni e lillich e, pilò al 11 le sigllifici:'e': in u
il trio mi cºn lo ſtile - e i l Zeit Ve! llia! 1 llissell.ALI,()R \, CI IE....
- MIo -s . ( r , l il all ora che - guardali do voi egli crederebbe º li voi
sapete l'in - ll - ci , Bocc. - - Allora che e il coin: sto li ai l'ora che,
cioe a quell'olti nella quale. Vu, i vederlo? « .... cominciò a rilere e disse:
(iiot ſo a che ora, verº e il di qua allo 'n oltr i di noi in fo: - ti re, che
mai voluto moll t'avesse, credi ti cºllo e gli ori (le -se che tu fo: - i il ln
igli r di « pi:itore del miº endo, con le ti - \ clii (iioti o prestamen! e
rispose: a Messore, e ved, i cllo e: i il ''t l 'oblio allora che.... . . .,
col Ile sopri). AI.I,()R \ \ I, I.() R . . . . E allora allora ve: i cori in 1
il to a venire ill a torno alle gote il poco di lanuggine ». Fierenz. « Se la
Irla il giò allora allora in sl1: pro - ilza ». Fiºr liz. « .... fil percosso
da un accidente di filºiosissima gocciola, la quale allora allora i 'a in atto
di sopraffarlo e co- Il lorº ndosi... ». Segn. CIII E' CHIE E'. a ... fatti
ch'è ch'è solº l'1 t . . ri o. I ):) v. CIIE..., CIIE parte.... parte ()
e - o re : ni) che re dei rom inni e che a imperatore ». Dav.QI ANDO..., QI
VNI)(). Quando sotto lº col re prº testo e quando a sotto il li
filtro.... ». I3: i rt « Quando a piè, quando a cavallo, º eco il che il destrº
gli vi lliva ». T30C ('.l'N POCO.... I N AI.TIRO (un po o orn, il poco di noi -
Intanto ecco a (Illi, cianº i l un poco e ci:n nci i un altro..... noi siamo a
.. ». Cos. I)I CORTO, DI POCO. I)I FIRESC( ) ( id) , l di corto si attºri il tv
l e a quindi a mezzo anno seguì . I3art.« I più furono dei grandi, che di nuovo
eran stati rubelli, rimessi in a Firenze di poco ». Vill.a ....mercecchè questo
era timore di uno che aveva di poco cominciato « a peccare ». Segn.a .. . forma
generica di teli fare che sul l usa l'e il demonio a riguada a gnarsi quei che
l'ha di fresco lasciato per darsi a 1)io ». Segn. A (i IRANI)E ()IR.A. - . Va,
figli la mira, e clla Ina queste mie suore, che a ti aiutillo, e fatelo buono
assai l'unguento e domattina il lande ete a a grande ora, si colme tll la i
detl () ». ( a V.Si parla dell'unguento col quale la Maddalena di ve:a ungere
il corpo del Maestro suo nel . ionumento. E adunque fuori di dubbio ( le la
frase a grande ora è altretta le cli a buon'ora. Ma il valoroso Cesari nota
questo modo nei dia gli di S. (i regol io, e gli pare clie signi! Ichi anzi
l'opposto, cioe' tardi, ad ora avanzata.I PRIMI A ( III: A (i I? AN VI \ I I IN(
) - ... ll e il colpagno prima che a a gran mattino, chiamandolo e scotendo o
per farlo lisen Ire del sonno, se º le avviole». I 3:art.A I, I NOi ( ), V IP
() (.() A NI) \ I I : I ) ( ) l ' ( ) I, I N ( , ( ) V Nl) \ IRI .. A V Vlsa:
l.losi o cle a lungo andare o per lorº o per il litore le converrebbe venire a
dovere i piaceri di Pericoli fare, con altezza d'animo seco pro pose....
». I3 cc. e .... (ºd In questo con 1 il tar lì , ll la lollo la pezza a vanti e
le perso la se ne avvedesse l'ul e a lungo andare, essendo un giorno il Zeppa
il casa, Spinelloccio venne a chiamarlo ». Borc. Così si dilra fatica a
difenderlo, ma spero che a lungo andare la verità verra pur sopra . Caro.« Chi
si vergogna di apparire malvagio è facile a lungo andare che all ora si
vergoglli di essere tale o. Segl). I)ev'egli telider sull'uditorio le
masse deila divina parola, senza restarsi per stanchezza di lati, che a lungo
andare gli succeda, o sºlldol' di fronte.... ». Segn.e Dopo lungo andare,
vincendo le naturali opportunità il mio piacere, soavemente m'a (ld l'Inel tai
o, Borº. Si dostò il silo mal illnore, e che a poco andare livelltò l'ov
(ºllo, fl'e lesia, rabbia ». Giuberti. Non so però di millm altro
scrittore e li ll sasse mai il modo a poco andare il luogo dell'altrº, a non
lungo andare. V me pare di sentire nell'a lungo andare dei citati esempi non
tanto il significato di dopo lungo tempo, quanto quello di continuando su quel
tenore, andando avanti cosi, il quale significato mal si cercherebbe nel modo:
a poco andare.IPrima di passare ad altro ti piaccia, o luon lettore, notare di
questo andare un altro uso avverbiale bollissimo ad andare d'alcuno, e si
gnifica: conforme alla durata del tempo che impiega quel tale a fare un
determinato cammino a l)icosi che, ad andare di corrieri, sono sel e
ovvero otto giornate; ma elli vi peliaro ad andare più di due mesi ».
Mold. Vit G. C. NON MOLTO STANTE; POCO STANTE. . . . . . perchè..... non
molto stante partorì un bel figliuolo maschio ». Bocc.“ E il buon pastore
vegliava sopra le pecore sue; e io nni stava allora “ presso a lui e piangeva
di cuore, imperocchè io vedeva bene a che partito e ci conveniva venire. E poco
stante e disse... ». Cav. “ ... dissº; e poco stante - e ne vide il buon esito
». Bart.IN POCO ID OR A -- E cosi in poco d'ora si mutò la fallace fortuna ».
Vill. .... quandº le si coinil: i) a cambiare il sereno in torbido e 'l vento
I'l'ospel'evole in coli'; il rio e si font , che in poco d'ora ruppe un'or
ribile tempesta . Barte così i lorendosi in poco d'ora, irrostrò quanto ciascun
uo, lo sia sempre Inal in Ioriato, di ciò che passi nell'intimo di se stesso ».
Segn. SEMPRE ( il E. , 2 ni , olta ch ....: per tutto il tempo che ...; -
so . It als...: so l' Ilge :ils . . sempre che p -so gli veniva, quanto poteri
“ll In: i fo: zii li i vesse, la lont: in: va ». I 30 ....ti fa l'ſ, con
il iº lira? I ra che tu io da uno li ricorderai. Sempre che l Il 'I viverili.
(I e Il III lili , , lº e - Add II e le forme avverbiali, bisognerebbe
compi l'opera e porre Iri al mi allri modi di In li e costruire il to italiano,
dai quali ap prendere le lo Izi li varie ri la livinnelli e il tempi , e corre
cioè accell li: l' e il I e II limiti e il quando di un fallo, e con le
esprimere la durata di checchessia. I cori e lo spazio di lempo decorso. o la
decorrere da un prelisso le minº, e come gli aggiunti, le circostanze per
rispello al pre semle, al passato e al ſul tiro, ecc. e c. Ma questo lo vedrai
nel Prontuario s: II , la parola Tempo. AVVERBI I I Morbo A : UII A Ioi
A, oi: v. SEMPLICE E e RA AR ricolATA (*) A I3U ()N.A FEI)E ( red 1. ll
Il lllll III a buona fede llo la Cagioli della a ai 1 l' - Il I la lorº ita .
ll I)1 , ». (.a V. Di buona fede, con bucna fede in buona fede solo i
nodi, loli si lo dl f. ſei eliti dall' Ilegato, ma anche diversi fra di
loro: Semplice uomo e di buona fede o V ill. Il pr, ritente ritrovisi in buona
fede » a 'I'utti gli il milli del boilo enti lorº porta i con buona fede
ci è con le alta o. 'I Irl. A ſ;I ()NA EQI ITA' -. il suº - gliore si
ptio a buona equità lo le: ( o ri lilllari cari l ' s ll lo » lºt) ,Sill','': a
buon diritto li lil I l di ragione; a Sotto nome di Ghibellino occupa
questo patrimonio, che di ragione s'a spetta il Guelfo ». Salv. (*) Conf.
Particella A, Cep. I v.A ROTTA – ... In zzando in un tratto il bel discorso di
suo fratello, e si parti a rotta ». Fier. cioe pieno di mal talento, stizzito
,tutto veleno ecc).In tal guisa scrivendo a rotta se ne compilerebbero i grossi
volumi. ( es. Simili le frasi scrivere in borra, borrevolmente ---
abboracciare un libro. I)av - Caro - Gillb. A I) ()V EIRE - ( osa fatta a
dovere overnarsi a dovere » A FII) \NZA - Non ti maraviglia e se lo te
dimesticamente ed a fidanza a rielli e del do o. IBoc .A FI RORE: A FURIA -
Quando il rumore contro il re si levò nella terra, il popolo a furore
corse alla prigione a Bari. e Temevano gli uomni li lt il:giurio ed esso (i ('.
lº sostoli ho gran dissime essendo dannato così ingiustamente ( a furore di
popolo ». Cav. ci è abband intito, dato in preda... ) a Carlo v'andò
coll'esſere to, a furia ». l, l'll i. A SI º V VIENI () .. . prende questo
servo e quello per lo braccio: Te, ficcal qui. Fuggono a spavento, di lino nel
luine: rimas() al blli ggiIrlai della morte, con due colpi si sventra ». Da V.A
(.() I 'SO I. \ NCI VI'() .... volmita le sue bestemmie in una foga di ben nove
versi a corso lanciato, senza il fiatar di mezzo ». Ces. \ SI, A SCI (): \ I 'I
V ( ( A ( () I.I,() Cori ele, precipitarsi a slascio, a fiacca collo v.
Correre, IProntuario).e due schiere di lenici a fiaccacollo, della selva nel
piano e del a piano nella selva si fuggirono in intro a Dav.E gia so: i
gialliti dove il fossi on firma l'resso alla terra, e la fin tanto forte.
Ognilli a fiaccacollo VI ruina: Chè 'l ponte è alzato e si in chiuse le porte
». Bern.A SGORGO; A RIBOCCO . ... fonti... le quali doccia no a sgorgo per dar
a bere e saziare a ribocco i slloi V ml: nfi di Villo dolce ». Medit. del |
Vlb. (lollº ( l' ) ( (º A ( IR AN I 'IN A a.... ll'el a tanta la grande gol
to che vi veniva, che a a gran pena vi capeva » Cav.A (( i RAN) E ATIC V .... (
con le luci tanto confitte dentro di quelli e occhi) che a fatica vi si
vedevano ». (iiamb. a I)i cento mila, a gran fatica un solo ». Segn. Traduce il
noto effato di S. (ii l'olio in co : Vix (lo con tull) l Il till I lolls
lllllls ». )a Quel figliuolo scialacquatore che tutto a un tempo intirizzito di
freddo e smunto di fame a gran fatica potea più reggere lo spirito in e sulle
labbra ». Segn.a Quella povera vedova, la quale vi avea a gran fatica riposti
due soli piccoli ... » Segm. duo minuta). ... a fatica poterono le
insegne campare dalle folate del vento ». Dav. ()ttone, contro alla dignità
dello imperio, si rizzò in sul letto e con e preghi e lagrime gli raffronò a fatica
». Dav.« A fatica, risposi io, gli ha potuti per un grosso nuovo cacciar di a
mail a un pescatore ». Fir. As. \ MAI O STENTO a mala pena) - .... e a
malo stento si tonno ch'ella nol a fe ( o o. Iº nt ('.A GRANDE AGIO -- a ...
tanto che a grande agio vi potea metter la mano « e il braccio ».
Bocc. A TORTO – « Messer, fa IIIIII diritto, di quegli che a torto In'ha
morto a lo figliuolo ». I30cc. .A NI IN PARTITO; A NI UN IP. \ I Tt
) egli a niun partito s'indl Isse a coin a piacermelo ». Dart. (Conf.
Partito, parte III . « E certaIllelìte se ciò non fosse, il clitori, li li
credo i già che Irli sarei « contentato a patto veruno (li comparire stamane su
questo pulpito ». Segn.– Keilles Wegs, un keine il Preis. - Simile l'altro
avverbio dell'uso e classico : per niun verso, per niente , v. Serie
seguente). A CREDENZA (senza proposito, non serialmente e daddovero) – .
E' a debbono essere da sei o sette anni che un brigante di quei lilli ha
a tolto a litigar III eco a credienza e Vieille alla volta lnia ard Itamente ».
Car().« Sicchè lion ( 1 edo far I)io bravate a credenza quandº i lºg 'i a
fferma a che repentina succedera la morte ai mormoratori ». Segn. A
BALl).ANZA -- a ...e questi a baldanza del Signore si il batteo villana
III e ille.... » Bo(:('. – « Che a dirlo latilio, soggiunge il Cesari, non si
direbbe più breve di a questo : I) Inini patrocini fretllesi . A MAN
SALVA senza tiri re di punizione o vendetta ecc.; impunemente) a ....e
quello con tutta la ciurma ebbero a man salva ). I3oce « Senza che al ll no, o
marinaio o altri se l'acci orgesse, una galea di corsari sopra venne, la quale
tutti a man salva gli prese ed andò a Via ». RO( ('.« E perchè tante diligenze
? non potea egli averlo a man salva ovun a que volesse? » Segn. (parla del fratricidio
di Caino). A MIA POSTA; A TI"A, A SI' A POSTA; ecc. – Somiglia
all'altro mento vato sotto A, Cap. IV: a suo senno; e significa gosì in
disgrosso: con for Ine all'ordino posto, secºndo aggrada ecc.« Io non posso far
caldo e freddo a mia posta, come tu forse vorresti». BOCC.« .... mi disse che
tu avevi (Illinci una vignetta che tu tenevi a tua posta ).a ... Ma quell'altro
magnanimo, a cui posta Restato In'era, non mutò aspetto ». Dante al cui
ordine). Lascia pur dire il mondo a sua posta » Caro. aspettava solza mandarsi
a lui dinunziando od entrare a sua posta, come avrebbe potuto ». Ces.... del
resto se volesse andarsene, facesse pure a sua posta ». Ces. Il tempo è cosa
nostra..., e a nostra posta sarà d'altrui, e quando Vorremo ritornerà nostra ».
IPandolf. Farassi, disse Malerno, altra volta a tua posta ». Dav. Non si doe a
posta d'alcuni milensi levare a mariti le loro consorti de beni e del mali, e
lasciare questo fra le sesso scompagnato in preda alle vanità sue e alle voglie
aliene ». Dav.« ... ma lascia dire e tien gli orecchi chiusi, Non ti piccar di
ciò, sta pure al quia; Gracchi a sua posta, tu non le dar bere ». Malm.
(r (l\ A \ \ A .A V - Oltre
agli altri significati della V o posta, olre i son noti o del l'uso, nota anche
quello di agguato, e però la frase: stare in posta. – Si pºsero il cuore di
trovare quest'agnolo e di sapere se egli sa pesse Volare: e piu notti stettero
in posta ». Doce. MIIC), A SI () AVVISO zza e chiarita, che a suo º
avviso a Vanzi va per sette a rili la bellezza del sole ». Cav. (il II).A –
Vennono i Magi a guida della stella , V it. SS. PP. " ... (Illi,
l'alt alllll III e lo gliti li l'Israel a guida della colonna ». Vit. SS IPI
. SECOND A - Venendº giù a seconda di l iilline eri in un grosso al e bero
attraversato il l leti o le! ! util, a ( -1)ITO: A MISNAI) ITO per i pp, li o
Illiile ()Inbre Ilio e St l'OI Il Ill I e il Il l a dito ... I l liteINDOTTA -
Scrive e in a indotta di un qualche amico ». Giub. TENI () NE; A RILEN l'() co.
l l:: Fal e clle clessi:i, opei a re, lavorare a tentone; il nºda ,
procedere a rilento. SI PI? () lº() SI 'I'( ) - Fra - della era te a
sproposito, gramma t ( a 1 rbitraria... , Mla lizl3 Al RI)()SS(): \ BISI) ()SS(
) I .el l. Ville a cavallo senza sella e guarni Il lent : fig. alla peggio,
alla buona, alla carlona.“ ... titlito è Irleglio, il dicit re lº tºga rozza e
a bardosso che in cotta las Iva da Irie reti I ce .. l): V. . . . . .
tilt. I3rotier .... E ogni liofil Ill se le scolla, Veggendogli una cupola a bisdos
« So )). Bll roll.I II)()SS() Non un sol l'eroerin º ome in l'annonia, nè
soldati veg º gentisi pit | rti seri ti a ridosso, ma molti a viso aperto
alzavan « le Voci ». l)a V .Ridosso, sost. vale: renaio lasciato il secco dalle
acque. –- Cavalcare a ridosso è lo stesso che cavalcare a bisdosso.RANI) A \
RANDA (appresso, rasente, ed anche a mala pena, per l'ap punto). Dal tedesco
Rand margine, orlo, estremità....« ... A randa a randa, cioè risente rasente la
rena, coiè tanto at costo a e tanto rasente che non si poteva andar più là un
minino che, a IBl1t. « Quivi fermammo i piedi a randa a randa ». l)ante.
« ...era apparita l'alba a randa a randa ». Morg. « ...e poi gli mise in bocca
l'na gocciola d'acqua a randa a randa » Segr. Fior. IBACIO (al rozzo, all'uggia
º contrario di: a solatio. « I susini simiani nelle orti, lungo i muri, a bacio
fanno bene. Dav. (.()NTR VILI ,l ME (che ll ) m l'i( ove il llllll (º il
dirittll l':ì \ Qlla dro a con trallume – faro che li ossi:ì a
contrallume. SPRAZZO (sparso di mil utissime macchie l'anºni a sprazzo,
lavorati a sprazzo.SEST'A misuratamente, precisamente, per l'appunto) -- I)a
sesta, com passo. Nota il modo: colle seste. Parlare celle seste, cioè
parlare cal colato, misurato, compassato. « ...e menandogli un gran colpo
che passò a sesta per la commettitura « dell'osso, gli spiccammo il braccio »
Bocc.A SCHIANCIO – Da schiancire – schrag treffen, schief Schlagen. «
Tagliandolo a schiancio in giu dall'urna parte, salvo il Imidollo... » Pallad.
Fobbr.« Le sue pertiche del salcio, si ricidano rotondamente, o almeno li n «
molto a schiancio ». Cl.A SGHEMBO: A SGIIIMBESCI() / di traverso, obliquamente,
– «Sull'elirio a sgembo giunse il colpo crudo . Bern. Orl. « ...campi divisati
Per piano, a pl Imbo, a sghembo ». Bllº lì. Fier. « Capito al pizzicagnol,
chieggo un pezzo di salsiciotto, ed ei Inel ta grlia a sghembo ». Buon. Fiei'.
« ... Se non che a sghembo la lancia lo prese ». Morg. « Pare ogni palco
appunto un cataletti IRestato, come dire, in Iºlel a Galestro. Che la natura
fece per l'Ispetto, Ed ogni tetto a sghimbescio « Il Il canestro... » Alleg. –
Tagliare, lavorare, operare, camminare a sghimbescio. A MICCINO a poco a poco,
a poco per volta) – Fare a miccino, collº all Imare con gran risparmio; dare a
miccino; parlare a miccino.« ... E' un dare a miccin la ciccia a putt I, Vccio
ch'ella moli fila cia poi « lor male ». Fil', rim.« ... Senza chè qui fra noi
I)el buon si debbe far sempre a miccino ». Alleg.« Favellare a spizzico, a
spilluzzico, a spicchio e a miccino a è dir poco e adagio per n In dir poco e
male ». Varch.A GHIAIDO – « Fu incarcerato ed a ghiado morto » (cioè di
coltello). l)a V. A M AI, OCCHIO – « Antonio, mirando quel dischetto a mal
occhio, dice « va e pensa Va infrì sè stesso: ond'è... » Cº V. A SOLO A SOLO; A
TU PER TU a quattrocchi, da solo a solo). « I)esidero di fa Vollare a solo a
solo )). V. S. (i. l3. « ...mangiare un poco con lui a solo a solo ». Rini.
Ant. « E' mio marito, e non è ragionevole ch'io Ini p inga a colitenderla a
seco a tu per tu v. Varch.« A tu per tu d'ordinario indica, se non contesa,
almeno un non s . che di lì (r)) amichevole o di riottoso ». Tomln).A IOSA – a
Idiotismi lombardi a iosa, frasi adoperate a sproposito, « periodi
sgangherati.... » Mlalz.– Simili: a ufo, a macco, a diluvio, a masse, a larga
mano, ad usura, a oltranza, a gola, a buona misura ecc. e Iddio renderà al
bonda lito a mente, a buona misura, tormento e pena a coloro che fanno la
su « perbia». Passav. – Retribuet abundanter facientibus superbiam. Sai:Il
A GUISA CIIE...: A MODO CIIE..., DI... – « A guisa che far veggiamo a h a
questi palloni francesi.... ». Rocc. i a ... schiccherare a guisa che fa la
lumaca ». Bocc. ti « Fare a modo che la madre al fanciullo quando lo fa bramaro
la « poppa ». Fioretti. « F: l'( a modo che alla Maddalol)a.... »
Fioretti. - - - - - entrò in una siepe molto folta, la quale molti pruni
e arboscel « li avevano acconcio a modo d'un covacciolo o d'una capannetta ».
Fior.A PEZZA: A GRAN PEZZA di gran lunga, di lunga mano, a dilungo )« Iddio la
IIIa lì dato 1 elill, a lille desll'i: - i lol prendo, per avvell « tura S III
lile a pezza li rl III i ti l'lleri ». lSucc. « Tu non la pareggi a gran pezza
». l 3 a ... che Villce a pezza le forze il ii il II alla natura ». Ces. « ...
che a pezza li in poterono i no, l'1 :li a liostrº ». Giuli. ...al qual peso
pollai e gli a gran pezza lo! I SI se lliva sufficien a te n. Ces. ET - A buona
pezza, a pezza sia al 1 ora per: da un pezzo. Il Corticelli lo fa altresì
avverbio di tempo a vu i tre, º io e a dire col significato di: a lungo andare
, indi a gran tempo e . :: il l: l V a Illel lil - go della Nov. .º in cui il
13o a clo, il ricolllla lir di Tebaldo, l'e putato uccisº dal 1. l re: ti
sºlo i clie : l i vº: lo ſtesso, dice: l' 1. l e I edeva no all or I e II la lr
e 11 , se i vi ebber iatto a pezza i in li e a lilolto l'Irl | o s, il 1 o l
-se che lor e lì i rio « chi fosse stato l'll (iso .Pezza per tratto di teli e
ti In e te l: il sito dai classici: ...a e le quali, quando a lei i i nip . . -
rido e la buona pezza di mot a te.... , l 3 , . \ V , l: do ss 1 di buona
pezza di notte e il ogpl I lioli o il l ' Illi: e... l . . . . ed i: questo con
I lilla rotto una buona pezza iva il l i soli: si ll il V . . desse º lº) .
Erano a buona pezza pia . Il l ... » lº . A I) II, l'NG ( ) ...lila po . I sa –
1, piti il V ".go, a dilungo le pi Vinci e ill « gannò ». l)a V.A (..ATA
FASCI () Fa cela di voi gli l a catafascio ». l 'a taff. Io non fu mai.
lle solo di gloria Vago, lº vivi , a raso e scrivo a Ca « tafascio ». Vlatt.
Fraliz. l.ibli ( i rte a catafascio. \ I,I, I S.ANZA ( )ltre i cliest . :
se si lal::lo ba nelletti regali... ll !) e inoln Ine: l'e, all'usanza
(li (1:la, di co- e dl gla il valore, ll lì.... ». Calo. « .... se la faceva la
maggi . parte le 'a nero, all'usanza dell'Indie, e con l'iso, e quando pit
sontuosa ine:lie oil... » Bart. ALI, I SAT(); AI, SOI, IT() .... lle
resta V a dl di rilli all'usato di strane « tentel)llate ». Fiel'.« ... e ne
rinfocola V a l'iberio, per ll è al solito lllllga lllente in lui a V a
vampati, ne uscisse o saette il rov in se . l)av.“ . . . . . non ga e al
solito, Irla cori tlc it to . .. e co; i visi, benchè a ce on e ci ai ln
(stizia, pil V ( ralli elite cagles lli... . l):ì V. AI, CONTINU ( ) Sonando
al continuo, per la città tutte le campane. .. » V ill. AI, TUTTO - Conf.
Tutto, Cap. III e l'elisorili che Marta s'inginoc a chiò a piedi di lei e
disse: Madre dolcissima, al tutto sono appa a recchiata d'ubbidire, chi io
sento n. ll'admin la mia che l vostro par « lare Imi conforta ». (.a V.
AI, CERTO – - a Se....., al Certo i denloni ne farebbero, gran rumore ».
Iºart. AI.I.A SCOPERTA – . .... potè poi mettersi con lui alla scoperta
in più a ragionamenti. » Bart.Al, DIRITTO – « Il Sole..... feriva alla scoperta
ed al diritto sopra il te « nero e delicato colpo di costei. » Bocc.ALLA
DISPERATA – « ....nnellare d'attorno bastonate alla disperata. » BaI l.ALLA
SPIEGATA – « .... appunto culme la nave... sulla quale tornò non e potesse
levar mille fasci di lettere, che dicessero alla spiegata quan a to egli veniva
a raccontare. » Bart. ALLA SPICCIOLATA – . Tagliare a pezzi alla spicciolata. »
l)av. – Andare alla spicciolata o spicciolati vale: andare pochi per volta e
non ilì Ordinanza: l'O( o dopo si Inossero gli altri bravi e discesero «
spicciolati, per non parere una compagnia. » Manz.ALLA SPARTITA – . Le varie
scienze brancate non hanno più alcun « Vincolo coinline che insieme le c' III
ponga e le organizzi; si no a ce « fali, vivono alla spartita e tenzonano fra
di loro. iub. ALLA STAGI,IATA – Andare alla stagliata per la via più corta i :
« .... E vanno giorno e inotte alla stagliata. Non creder sempre per la a
calpestata ». Morg.ALLA DISTESA – « Ben è vero che quella grandine di
concettini e di « figure non continua cosi alla distesa per tutta l'opera ».
Manz. ALLA 1)IROTTA – Piovere alla dirotta. « Che lavorio non si pigli alla
dirotta per alcuna cupidità, ma piut « tosto per servizio dello spirito ». Ca
V.ALLA SCAPESTRATA senza ritegno, – « Ruzzando..... troppo alla sca «
pestrata..... ». Bocc.a Correndo alla scapestrata e senza ordine niuno, cadono
nell' ag a guato ». M. V. – Simili, all'impensata; all'improvviso; alla spensie
rata; alla sciammanata – « Mi diletta oltre Imodo quel vostro scrivere a alla
sciammanata cioè scomposto, se llcito, o, Caro; a fanfara – “ . . . . . non
usavano i vecchi nostri far le cose a fanfara ». Allegri; alla carlona; alla
rinfusa; alla sbracata; alla cieca; a mosca cieca; a chius'occhi – . Negligolza
dc lettori che passa lo il vizio, a chius'occni» V ill. ecc. ecc. ALL'
AVVENANTE (a proporzione, a ragguaglio ... dispensavanº loro a oltrate
all'avvenante ». DaV. a .... e fece fare... le monete dell'argento
all'avvenante ». G. V. ALLA MEN TRISTA (a farla bucina) – . Passato il
quarto di, Lorenzo, se a condo il consertato, non ritornò; talcli è già altri
il farºvano molti, « altri, alla men trista, prigione ». Bart.« Stava in gran
dubbio di sè, certamente credendo che il re, alla men « trista, il
disgrazierebbe ». I3art. ALLA CIIINA – « ... i piaceri sono monti di
ghiaccio, dove i giovani cor. « rOIlU alla china ». I)a V. ALI,A BRUNA –
« Uscire di casa, ritornare, il sene alla bruna , i di notte « tempo ).PA RTE
TERZA Verbi e alcune altre voci generalmente note, ma dal cui retto uso
all'elocuzione garbo ne deriva e vigoria (APITOLO I. Verloi di
particolare osserva , Aio1 ne non quanto all'ordine dell'azione, che se
ne è parlato alla Parte ll º Cap. 2º, ma quanto alla varia maniera di usarne,
così cioè da risultarne ora un senso e ora un'altro, e quando una frase più che
altra concellosa eſlicare e chiara, e quando Ina forma di dire piacevolis ima.
In assello di espressioni elegantissime, nulla comuni ad altre lingue e al
tutto con forini all'indole, all'original candore dell'italico litigliaggio.Uno
dei capi che formano il carattere di una lingua è, senza dubbio, l'uso
frequente e vario di certi verbi previleggiati, onde quel tal linguaggio prende
una piega, una forma che lo distingue da ogni altro, reca un'im pronta decisa e
sua, e rivela l'indole, la natura della nazione che lo parla I; sli a entra al
to do, io ſo, lo gri, i sel. I pul, lo li arr, lo li hº to trill, lo shall ecc.
ecc. degli inglesi: al bringen, Schlagen, selsºn, lath rºm ziehen, reissen,
allen, hallen e er . l i l des hi: al lati e doti lºrº mºtivº quel gal dler,
falloir, aller, ceni, e crc. d . I rili esi.Niuno per fermo potrà mai farsi a
credere di saperlo l'inglese, il tedesco, il francese se non conosce appieno
l'uso molteplice di cotali verbi. Ma e dovrà poi dirsi che noi italiani
conosciamo l'italiano, lo par liano, lo scriviamo, quando molti usi e
vaghissimi di alcuni verbi sºli º gli scrittori nostri del trecento e
cinquecento e loro valenti imitatori, o ci sono al tutto ignoti, o non vi badiamo
gran fallo, fuggono al sensº º quel ch'è peggio, non pigliano al rina ſatiri di
apprenderli ?Mentre nel Prontuario trovarsi in diversi luoghi. “ioè quando sºlº
una parola e quando sotto un'altra, l'uso e il significato altresì diversodi
ognuno il ſitº si re bi, in questo Capitolo sono invece raccolti in pro prio,
ci si il li del is fli e, iro, i molti sensi e gli usi inoll piici di questi si
illli i crli. \' scopo poi il liv sarne in qualche non lo la I al ria, i
, li i di li 'il ſole e portata loro, due orditi (listi, ci :V ci li pi li, si
incli di più ampia sv al l: VitaliiD. llli i cºrti non si li prºnti, il che
anche di questi, cioè dei 'oro Ilso l g.gior grazia e vigoria. Il dis( ºr sor.
- S 1 º Verbi più notevoli, ciò è a dire rigogliosi e fecondi
di più ampia e svariata vitalità, e sono: andat e, dare, fare, prendere,
levare, met tere, recare, portare. it jutlatre, sentire, stare, tornare,
venire. Arm ci are Noli II l via di etill irli qll il I agioli
alimenti e andarmene in discus si ti sul come e ind , che a fil e ass. I li II
e i di ºrgan, a il più delle volte a lin, ia, gialli rina approda e laio a
anche trilore; imperocchè allo si ling r . a p. l si la fatica con (edio e
danno di chi legge e li in pro º cli il lr Iriesi e gli anni in istu diare,
raccogliere, e vergar car lei e per passi di quanto scrisserº grammatici e il
logi rh , e li arreco subito alcuni sempi colti li i migliori libri di Ilarsi i
lingua, dai quali potrai di leg gieri a ndere l'uso vario e vagilissimi del vei
bo andare: e metto anche pegno che pur leggendoli nel tendovi un po' di studio,
saprai senza scandagliarne altrimenti le rip. ste ragioni il logiche,
convenevolmente imitarli e rifarne, occorrerlo, d aitrella!. ... e son
cerlissimo che cosi a cre' l e blu conto coi dile, dove così andasse la bisogna
come a risale: ma lla andrà all imenti . Boce. (410). Manda vanglisi di Ilona e
d'Italia gli aguzzamenti dell'appelile; le poste correrano dall'uno all'altro
mare: se n'andavano in banchetti i grandi delle città: rovinavansi esse
cillà.... . Dav. ll .(neste cose belle dicerano in pubblico: ma in sè
discorrera ciascuno: questa colonia in piano potersi pigliare con assalti e di
molte col medesim , a dire e più licenza di rubare: aspettando il giorno se
n'andrieno in ae cordi e lagrime: un poco di gloria rana e pietà pagherieno lor
fatiche º sangite ». Da V.“ . Somiglianº si può dire anche il genio e la natura
degli abitatori I tillo va in delizie e in piaceri di musiche e di odori e di
n. 13al l “ Lo ingegno di Verone degli anni teneri se n'andò in di pignºre, in
tagliare, cantare, cavalcare ». Dav. “ .... lullo il dormire di questo
molte m'è andato in un sognar continua di nomi, cerbi crc. ). ( es. “ ...
e per non andare in troppe parole ... Se in. Che fama andrebbe al lui mi
i secoli di ieri e I;a, 2 ... ºbbºlo per rili poi ci li ti resi nel l' u tutti
e ne andò gran timore per lullo, il regno . I al I. I tempi vanno u mi irli , N
ſi i St ! ! 1. l’ulla la città di isti i patiti ne andava a rumore I3. I 413 ,
... la gen I e andò a fil di spada q io ti l ne volle l'ira e il giorno ... l
ralosi il pool ogni cosa andava a ruba . (0 utndo questa cili, la l 'dei lgo in
presa, andatoci a ruba ogni CoSa ... . . . . . . . .ln questi mutnici e si li
sº quel luogo il quale andò a ruba ed a Sa CC0 . I .Ma º non crei propri iani e
il liri i titoli I e il I il enci si che face rain , i monaci qualche li ha o
di quelli in blio che, le quali miseramente anda vano a ruba T, il lil. º
mi ios li si i 'le, che li ci mi i ssis si incli il non irresi ſtiamº mai
andando me la vita?In queste cose l'isogna andar cauto; ma lo si e va il capo
cantis sino.... \ :. A chi con in el l e così i ti e mi isl 1 il
ris va la vita pºi giustizia i a ... e giudicò che e' lusse al pi p si
andassene G che volesse dire che egli ci ſi presto al gni suo placer . Fi,
l'. ... vi andasse anche la vita, io sono e sarò si mpre al l ostro pit (
e re ... Ci s a I', il lil, i cl e ne andrebbe dell'onor stuo ... . . . (
: l', n. a E se n'andasse il collo, sempre il rero son per dir li
Sacchi. () ual delle due ri pa; lunque più con i nerole: che ne vada
l'onor vostre, orrei o che ne vada l'onor divino? Si, si. r ho inteso : ne vada
pur , (lile. ne ratula l'onor divino. pl i cli, sull' isl il nostro .
Segli a Sim il cosa diceran quel di Tci n. eh il pm a rosso le ren d'Ital
e andrebbe a male se la V era si spirl issa'.... . I ... ma in vano
andaremo i pri, gli i? . « Lo stral rolò: con lo sl rale un volo Subito
mi sci. che vada il colpo a vôto o l'iissi).Allora domanda consiglio di
tua salute quando vedi le cose del mondo andarti molto prospere, e fa ragione
che tu se' alto allora a sdruc. ciolare ». Mar lili. V es . º I) il nulla
º quando Ma io ride che li detti lei Sacerdole andavano a quel medesimo ch'egli
intendea... Sal Isl. Ortando la cosa fosse andata per lo contrario....
... Fier. (416). “ ( r se li tºsle i tgton son in mileste. Se le tocchi
con mano, s' elle ti vanno, con chi intoli.... . I 3el ll . i na circºla
dirà: quell'uomo mi gol in una fanciulla saggia: quel l'uomo mi andrebbe. Son
molte le cose che la bano al gusto e che non vanno (tl e il roll le re . l'orn
Ill. () irando tlcuno o non intende, o non ruol intende e alcuna ragio ne
chi della gli Nict. Nuole dire : ella non mi va, non mi entra, non mi ralsa,
non mi rape, non mi quadra, e il re parole così lalle o. Varchi. ...
l'ira e li cruccio, il 'nendo, andava disposto di lui li rituperosa mente
morire 13 cc. (418).... ma non che la nl o di rivenisse di loro, che anzi non
ne andarono pur leggermente offesi ... I3arl. « Quanto all i più sa della
lingua ben app s. nelle sue radici, lanto più va ritenuto in condannare ».
Bart.... e da principio va ritenuto lipoi comincia a poco a poco ad arricinarsi
alle pristino compagni. Si gri i 19« .... se prorar lo potesse, andrebbe
asciolta ». Ariosto. a Le trecce d'or, che dorruen fare il sole. D'invidia
molta ir pieno , IE A1 at li fre'don ne va poco contento IPull . Mi l' .«
Perchè lal, che qui grande ha sugli Argiri Tutti possanza, e a cui l' (cheo
s'inchina, N'andrà, per mio pensar, molto sdegnoso ». Monli. « ... nè però fu
tale La pena, ch'al delitto andasse eguale ». Ariosto, « Si potrebbe indovinare
che noi andassimo facendo e forse farlo essi all res) n. 130cc.« Concediamo che
spendiale in Noren li con rili, in allegrie e, quel che anco conceduto non
andrebbe in men che onesti amori o Menz. pros. () uesto ſarà il mestier come va
fatto . Mtilln).a Le ragioni contrarie, a roler che sieno bene e pienamente
rifiutate. vanno con chiarezza e con fedeltà esposte . Salv.e dunque non va
segnato mai in principio d'alcuna parola quesi 3 segno . Salv. a ...
acciocchè resti si potesse e forni di cavalcatura cd andare orrevole . I 3 o .
( 20 . ... o Nseri utili al loro i I3oluzi: con unº º l'andarsene rasi
barba e ca pegli ». Bari « Von area cominciato nella religione ad andar
dispetto e vilmente ». vestire alla buona, cienciosanielle . Fior. Ces.« ...
perocchè il rigore toglie la con lidenza: e dove questa lor manchi andranno con
voi copertamente, che appunto è quello di che il demonio si varrà m.
Bart. Con lor più lunga via con rien ch'io vada . Petr. (421 . « ... io
vi porterò gran parte della ria, che ad andare abbiamo, a carallo . Bocr'.a ...
ma la bestia voleva pur andare a suo cammino . Continuare, proseguire. Fier.«
... e dove..... da niuna parte il loro cammino a sè vietato sentono ii fiumi,
riposa la mente le lor umide bellezze menando seco, pura º cheta se ne
vanno la lor via . I 3 : Illo. ... Lu (lor lco se n'andò al suo viaggio ... l'
1 r. ... Ma lasciandoli gridare balassi a ir pel fatto tuo v. Fior. 122,. ...
ed ella colal salratichella, facendo rista di non avvedersene, andava pur
oltre in contegno ». Bocc. « ... un vento sempre intavolato per poppa e
così fresco che anda vano a più di cento miglia al giorno . Bart. a Siale
in procinto di rela, che non andrà a due anni che di costà chiamerò molli uli
roi n. 13arl. (23 . - -« Tulli i cristiani di quel poi lo iurono intorno al l'.
Cosimo, a pre garlo con lagrime che non frammettesse troppo a campar la vita, chè
il perderla andava a momenti ... Ilari.a ... Ma poco tempo andrà che l'uoi
ricini Faranno sì che lu potrai c'hiosarlo ... T)il rile.« ... e costoro si
levarono tutti smar il talendo questa parola: poco andò che noi reulen mo....».
(.av.« Essendo già la metà della notte andata, non s'era ancor potuto
Telmullalo adultorm en la re . I30cc .« Ouesla notte che è andata, si sognai
ciò che l'è apparito ». Stor. S. Ells [ach. « () uei area poco andare ad esser
morto . Pelr. Si notino Jin (il men le le ini (iniere : son..... anni e
va per...... : « Io la persi, son quattro anni finiti e va per cinque,
quant'è da settembre in qua n. 13occ. a Signor mio, son questi 1)ebili
premi a chi l'ado di e cole? Che sola senza te già un anno resti, E e va per l'altro,
e ancor non te ne duole? ». Ariosto. Vada questo per quello: « ...
e non credo errare ad aggiugne di mio oi namenti e forze a'concetti di Cornelio
alcune colte vada per quando io lo peggioro ». Dav. Andar del pari con... :
42.1 ..- - - - - ma i fatti non andaron del pari con le promesse o. Bocc. -
Bart. Ncn andavano in lui del pari la gagliarda del corpo e la genero sità
dello spirito . I3art. - Basti Germanico privilegiare che in consiglio dal
senato, non un con le da giudice si conosca della sua morte, del resto vada del
pari I)aV. Andare a chi più..... « .... perciò dove il fatto andava a chi più
può in forze e in armi, i cristiani di quelle spiagge quasi sempre i rstarano
al di sotto . Bart. I t 425 . Note al verbo Andare 41()
Similmente di resi con le vanno l la cellule? N lì so come vada questa cosa.
Come va la sanita? Gli affari non vanno bene, 4 1 1 - - Nota la frase
andarsene in chechessia, e io è a dire: distrug gersi dietro a cherchessia,
perdersi, ma -sare il tempo, non far altro che.... i 12) - L'andare di
qui sto e del seguenti i senipi e al ufficio pressa poco di essere,
correre, trovarsi, mettere, soggiacere e Ma è chiaro che -arebbe guasta la
frase, non le andarne d l grato, a voler mettere un di questi verbi al luogo di
andare.i 13) – Maniera bellissima. Simile le seguenti: andare a ferro, a fuoco,
a sacco, a ruba; andare a fil di spada, e vale essere in preda, abbandonato
a... ecc. Frasi, del rost, che a tradurle in altre lingue converrebbe dire:
uccidere, consumare incendiando, rubando ecc. o che altro di somigliante, – «
L' andare a ruba, osserva il Tommaseo, affermasi di tutte o quasi tutte « le
cose in un luogo co; tenute, quando l'essere rubato può riferirsi ad a una o
poche ( se tra moltissime ». Mi par di poter asserire con sicu rezza che ne
anche il tedesco idi Ima si apprestarci un modo simile a questo andare a...., o
altra frase che torni se ttosopra il medesimo. 11) – L'andare chechessia di
questo e del seguenti esempi significa: trattarsi di ....; essere in pericolo,
esposto a perdere; avvenire, seguire che chessia ecc. Leggili, intendili, che è
maniera vaghissima e nostra. (415) - Ognuno vede che l'andare di questi esempi
andare a male, andare a vuoto, andare in vano, andar bene, andare a chechessia,
andare per lo contrario )val quanto: riuscire, battere, cogliere, tornare e
simili. 416 – Significa: non riuscire, riuscire altrimenti che il concetto
avviso, riuscire nel contrario. Bocc.417 – E' il Zusagen, anstehen affarsi dei
tedeschi. Simile a questo andare è l'entrare dei modi: mi entra. ci entro;
questo non mi entrerà mai, ecc. e significa, l'uno e l'altro: capacitare,
appagare, sodisfare. 418 – Andare, coniugato con certi partecipi pass.
Ovvero con certi ag gettivi, piglia talvolta il valore del verbo essere,
conservando però seni pre l'idea di una cotale progressione e continuazione
nella cosa di che Si tratta, (andar disposto di...; aridar ornato di...;
andarne offeso, andar ne contento; andar metto da una colpa ecc.) e tal'altra
fa l'ufficio del ge rundio passivo de' latini, e vale: dover essere, voler
essere, doversi ecc. (Gheraldini); - - Quel tal delitto va punito; quell'atto
caritatevole va pre miato e Cc 419 – Nota la questa frase andar
ritenuto, guarda i si da. . , proceder con riserbo ecc.120 – Anche l'andare di
questi esempi, accompagnato da altra voce agg. partic. o avverb.) che ne
indica il modo, e ad ufficio del verbo essere, o meglio di contenersi, di
portarsi, governarsi, procedere e va dicendo.421 – Pon mente costruzione o
maniera di connettersi delle par le che si attengono a cotesto andare (andare
una via, andare a suo cammi mo, andare oltre, andare a tante miglia ecc.) Il
quale la senso di percor rere, proseguire, seguitare, il suo viaggio e
simili,422 – I nbekil Inl Inert seilles VV egs gehell SI Inile a Illmina l'e al
V lag gio suo: « Ma poichè i regni e gli stati camminano sempre al viaggio loro
a e dove prima furono diritti indirizzati, non fla Inal li or an . Il a passo
». Giamb.423 – Andare, parlandosi di tempo, indica lo scorrere, il trapassare
del tempo, e la durata del tempo impiegato in checchessia. Nota costruzione
andare a ..... – Ricordo qui il modo avverbiale, affine a questa forma di dire,
a lungo, a poco andare ecc. v. lProntuario, Tempo - avv.) Un altro lISO molº.
In alto dissimile, di llll a ndare, cioè, il sºlliso di passare ecc., è quello
della nota frase: « ma lasciamo ora andare questo: « quando e dove potrem noi
essere insieme ?» Doce.424 – Questa maniera è simile all'altra già addotta:
andar eguale, andar vilmente, copertamente ecc. ma è forma di un assetto
singolare e va però notata a parte.425 – Chi non ha le belle ma Iliere
italialle Ilon uscirebbe dalla forma comune: trattasi di ..... a perciò dove
non trattavasi che di chi prevaleva in forze....... NoDare Il suo valore,
dirò così, naturale e comune all'equivalente di altre lin gue (dare - latino,
geben, to give, donner ecc.) è quello di trasferire una cosa da sè in all'ul,
consegnarla, renderla e simili. Ma poni mente va ghissimi altri usi ed
efficacissimi di un colal verbo, assai diversi dall'or dinario di altre lingue,
inoll plici e ſanti che appena se ne potrebbe rac C () l'l'( il mul) el'
. Gli esempi che allego contengono quei costi utli e quelle maniere, ch .
mi parvero meno note oggidì ti volgari, cioè, e a poco sperti), ma opportu
nissimi e ancora a sapersi, chi vuole impararla daddovvero la lingua ita liana
e usarne l'el talmente Metto prima alcuni esempi di un dare quasi
assoluto, cioè adoperato. per elissi od altro, senza l'oggellº e il mal i ra di
assoluto cec. Poi altri i un delel'inilla lo costrullo, egliali di lornia, non
di significato i dare im, mel: dare del: dare per mezzo a ecc. Seguono undi
alcune maniere di un dare ti forma transitiva, e inallelle all i nodi o Irasi
antiche e dell'uso. Il sole e alto e dà per lo Inugnone entro, ed ha
tutte le pietre ra st it ltte- o lºo . . .37. " . . . . . . Sono
posti i primi, quando lo veggano li ella vernata già secco, a levar la scure e
dargli alla cieca tra capo e collo, tra tronco e rami ». Segn. “ . . . .
. . e ancora raddoppia V. Il dolore e il piant e davasi nel petto e diceva: or
II lisera.... ». (a V. a l)icoti, Signore, ch'io loll lo virt tl da clò,
e tll il sai. E davasi nel petto e piangeva sì forte che pareva che il
cuore se le spezzasse in corpo , ( :) V.“ . . . . . e gittato il cappuccio per
le ra e dandogli tuttavia forte.... ». Boce. « Un muletto di Libia avendo
scorto nel fiume l'imagine del suo corpo e meravigliato di sua grandezza e
bellezza, dati i crini al vento volle cor rore come il cavallo ». Adriani.
“ . . . . . ( con questa tenzone il porco, uscito lorº tra le brache, corre per
ulo androne e l'altro porco dietroli, e dànno su per una scala.... Torello
levatosi e 'l figliuolo dicono: o imiè! Inale in lobiamo fatto. Dànno su per la
scala dietro ai porci, là dove il sangue per tutto zampillava. Giunti in sala,
caccia di quà, caccia di là, e quello ferito dà in una scanceria (scº sinº tra
bicchieri ed orciuoli per forma e per modo che pochi ve ne rimasero Salvi ».
Sacc. (438). a Su, andiamo, diss'ella, ma sei mi dà nelle unghie lo
concerò io come ei merita ». I):) V. « Non prima l'innocente colomba uscì
fuori del mido, che diede fra le ugne di un rapace sparviero ». Segn. e
Poichè si diede nel sangue e che "a nominanza era rovina, si attese a cose
più sagge ». Dav.a Lorenzo de' Medici a uno che voleva dar nel sangue, ricordò
che gli agiamenti a Filenze si vuota: no di notte ». Da V.La prima e ben
grailde II al I vigº.ia che dava loro negli occhi si era Che uomini di quel
conto.... ». Bart.« .... raccogliere alla rintlls i ciò che dà alle mani ».
Macchiav. E come e vedeva i nemici in posa, nuovamente ridava all'ar. Ino ».
Bart.« Il colore del tuo abit dà che si fornaio ». Cav. 'Inostra, appalesa –
verriith).Diamo che a casa vostra nulla deloba arrecare di pregiudizio l'iniIni
cizia divina. Diamo che col malvagi conquistamenti voi la dobbiate eter 11are.
Diamo i le le lobbiate a l escere credito, aggiuli:go le autorità, a qlli stare
a dereilza: vi pal' però che vi torlli ( olllo di farlo? ». Segll. Coil ed la
II 10, assentianro) t439 .« Per la qual cosa la confida:izi dentro le dava pe:
lo fermi o li e la pure si convertirebbe . Cav. i 10« Non mi dà il cuore di
venire il cilielli o con sl potlºrosi nellli i n. Segn. 441 .E vi dà il cuore
di lasciarveli sta, e nel Purgatoriº piu lungamente?» egn « La mia coscienza
non mi dà di piacere a Dio ». I3ari. S IVARE IN NEI.: a Essere
venuti quatti quattº pe; tl a getto di mare per noi dare in chi gli pettoreggi.
cacci e prema... . I)av. gerathen).Il sali o, facendo intramesse al ra .
colito, dava in affettuose preglio re ». Bart. prorompeva .a Ma su, fingiamo
che abbiate tiato in amici di lor natura piu libera li.... ». Sogindovrà egli
dura una gr ali fatica per mandarla a live) o a r Inter e in uno scoglio, o ad arenar
lolle secche, o a dare nei corsari ». Da V. « Allora Sonzio fece dar ma corni,
nelle trombe: piantare scale, salire al bastione.... ». Giali) b.“ . . . . . i
quali, quanto prima videro i nostri, diedero tutto insieme in corna e tamburi e
grida disso! la ntissimi e all'usanza dei barbari ». B: rt. a l'erò qualvolta
voi scorgerete alcune persone che volentieri in luo gli tali convengono a
trastullarsi, dite pur senza rischio di dare in temerità, dite che ...... ».
Segm.« Allora il Bonzo, dato in un rider sboccato, volse le spalle ai Padri
C..... ». Barf. (442). T).AIRE I)I l NA (()SA IN, PER..... : a ... e,
dato dei remi in acqua, si rili se' , al ritornare ». BO . a ... comandò che
de' remi dessero in acqua ed andasser via ». lRocc. a Se...., io gli darei tale
talmente) di questo ciotto nelle calcagna, che cgli si ricorderebbe forse
un mese di questa beffa, e il dir le parole e l'aprirsi e 'l dar del
ciotto nel calcagno a Calandrino fu tutt'uno ». Bocc.“ . . . . . e
inginocchiavansegli dinanzi e dicevanº: Ave rex Judeorum, pro fetizza chi li
percuote; e davangli delle canne in sul capo, tanto clie le Spille gli si
ficcari no insino al cervello ». Cav. « ... le dicevano l'altro suore: e
verrà a 1 e Eufragia e daratti del ba stone. E in Illantille lite che la ll dl
va ricordare Eufragia, cessava il dia Volo (li tol'Illentarla a. (.a V. “
. . . . . poscia a se ne disino die di un coltello per niezzo il ventre e....
». l)a V. « Cielò ll llll Inedesimo per timore e avvampo per rabbia, e
dato barba ramente di un'asta per mezzo il petto a quell'infelice lo squartò ».
Bari. « .... Si chè, (Itlillido venne l origine e diede della lancia per
lo costato e si a perse il cuore del corpo di Cl isto, il s a ligu, li us i
fuori tutto ». Cav. « ... vi possono dar su di spugna liberamente i pittori
sopra un qua dro, ». Segn. A 13. |) \ IR PEIR A | EZZO) (l, li...
(alla e mi l un ct, ct mi scot ciertt . - - - - - ond'è conseguentemente il
dare che la lino per mezzo a tutte le l"il bill leriº ». Bari. «
.... le altre filsto dessero per mezzo delle nellll ll , il V Ve!ltandº i
fuoclli e ſerell (lo (l'ast:) o (li Ill ( Selletta ». l 3ii l'1.“ . . . . . Inl
egli la diede per mezzo alla si apestrata e senza ragione ». I):av. • I)
AIR V ( )I, I'E: a Tu dai tali volte per lo letto, che .... » lº i c dimen trsi
. a Messa la chiave nella toppa, dandovi da quattro a cinque volte, l'aper se
e....» (i Ozzi I ) \ E SI () I RIPI E I) \ N NI IN... e simili Dava ilì
ogni cosa storpi e danni al lilli li I); v. « Solo coſa li scioperati che noi:
sanno la l' altro e le illeli:ì 'e la font ini, e e dare storpi e danni
nella fama altrui. » Ces. l .Alt E I E SPALLE collar le spalle o
I)all'aiuto di l)io e dal vostro, gentilissime don me, nel cluale io
sperº. armato, e di buona pazienza, con esso pro ederò avanti, dando le
spalle a questo vento (della mormoraziolie e lasciandol soffiare »
Roce. I) \ IRE STIR A MAZZATE : e .... i quali cavalli in quel terren il
sangue loro e di loto molliccio. davano stramazzate e sprangavan calci. , Dav.
DARE PIRES\ a, di... (dal pretesto, motivo: dare appicco - reranlassen, « Vero
e che queste osservazioni .... daranno presa al lettore svagato e
malevolo d'affibbiarmi un altro bottone che però non mi farà troppo noia avell
(lo l'occhiello. » (iiub,DARE CARICA AD UNO DI Q. C. : «.....lo Volle seco....,
lo colmo di onori e linalmente gli die carica di VI i eri. » Balt. DAI
BRIGA (sich michts aus Eturas muchen): « Ne anco Imi dà molta briga se, per
compiacere a un amico, ho dato da dire u molti curiosi. » Caro. I)AR NOIA
A... Ed accordatisi insieme d'aver per giudice Piero Fiorentino, in casa
cui lano, ed andatiseme a lui e tutti gli altri appresso per vedere
perdere lo Scalza e dargli noia, ogni cosa detta gli raccontarono. »
Boce. DARE GRAN VISTA) (sich schòn, gul ausnehmen -- onde vistoso): «
Tutto va in delizie, in piaceri di musiche e d'odori, di portar la Vita con
grazia, di vestire abiti che dànno gran vista. » Part. appariscenti, I)
ARSI IN (ERIE(.(XIIESSIA, A ( III ( CHIESSI A (applicarsi, abbandonarsi
t...): e Calalndrilio, Veggendo che.... si diede in sul bere. » Boce. .
si diede allo studio e della filosofia e della teologia. » Bocc. I ).AIRE
NEL MIC), NEI TU ( ) In mein Fach einschlagen –- in casa mia, nella mia bev (t
:a Voi date proprio nel mio : l entrare in discussione intorno a questo [ . lll
tr. » ( es. - I 3:ì l'1. l3 . I ) \RI ( III: IRII) I 13 E (da e male riut
dal ridere : e Diè tanto che ridere a tutta la compagnia, che illlllo v'era a
cui non di lessero le lnascelle. » Boi ('. I) AIVE I MOLTO BENE I) A
MANGIARE ecc. a A te sta ora darmi ben da mangiare, ed io darò a te ben da
bere. » Bocc. a Dar molto ben da far colazione. » Fiel'. I ) \ IX I ) I
CC) LIP( ). I ) I CC)ZZ( ) (in... ('('('. : - - Si scagliano di anci , il verso
lui e Vanillo a dar di colpo sopra i di rupi del fondo, dove s'infrangono. »
Bart. “ . . . . . e V: Illasi a dar di cozzo in una ville. n Bart.
I).AIRE | ) I SIP.VI.I.A : º Adoperò la sua Madre, che già conosceva assai
disposta, a dargli di spalla n. a S. Luigi per indurre il Padre a...). Ces. I)
A IRE I)I SCI() (CC). I )l.I.I l IRIETICC) ecc. l) Al l I)I IR E, l)| ( (
)NT E e il lilolo) di “ . . . . . Se mi avesse l'o (ld lIo so clic m'avrebber
dato di sciocco il vulu l'e che l'oratore sia di necessità legista e filosofo
». I)av.benche gli tolgon ) ogni appiglio di darmi dell'eretico e del miscre
dellte. » Giul).Non vi do di signorie, per le, quando scrivo a certi uomini che
sono uomini daddovero, soglio sempre parlare piu voleliti ri a essi medesimi che
a certe loro terze persone in astratto. » Caro.« Augusto si trovò questo
vocabolo di sovranita per non darsi di re, nè di dittatore. e pur III ostrarsi
con qualche nome il maggiore. » Da V. I ) AIRE AI)l)| | | | | ( ) ( ilira
si, in limorirsi, sbigollirsi Sich u b Schrecken a Vinti dal timor della morte,
davano addietro e rinnegavano ». Bart. I) AIA NE' IRI LI , l vale sulla
e', i lazzare, r. Scherza) e, saltare, Prontuario): « Ora è ben tempo, soz I,
I)a stare allegramente, E dar ne' rulli e saltare e cantare l'er questo
rovinevolo accidente. Buon. l'ier DARE VDOSSO VI I NO, VI) ( N V Cosv
(investirlo con parole e con jalli - angrºijen, sich re g 1 e il n. 444 )
: con le fa un ser it , che, vedendo l' - le sue l e al cosi il gulal
dia. Colì a ver le bagaglie abbandonate, non quello investe ma dà adosso a
quelle e fallì ( Sllo bolt Ill ( n. l)il V. I ) \ IR E AI ) ( SSC) \ I )
( N I \ V ( ) IR ) significa : alle mele ri con assiduità). I ) \ I RI SI
| .I.A V ( ) ( l V | ) \ I,( il N ( ) : Diasi pur sulla voce al presuntuoso che
sale - ha o ha i ed io di... » IDa V. « Io conosco un auto e a cui per questo
peccato si diede più volte sulla voce e, sventurata nel. e, n loro profilo. »
(iiill).IIa i sentito come mi ha dato sulla voce, con le so avessi detto
qualche sproposito? Io non ne n solo la tio caso punto ». Mlanz. – E' Vgnese l
r r l le ricorda a Lucia (lulei ripiglio sgarbato della signora i
15) I) AIRE A VISI) EIR l, l) \ I l A ( IRI,I ) Il RI : « ....e dato a
vedere al padre una domenica dopo mangiare, che andar voleva alla
perdonanza.... » Bocc. « Fra Alberto dà a vedere ad una donna che l'agnolo
Gabriello è di lei Innamorato ». Bocc. Conf Far vista, far sembiante, far
veduto - sotto fare). 1)ARLA TRA CAPO E COLLO (sentenziare di chicchessia o
checchessia senza pietà, senza alcun riguardo, con poco senno ecc.) –
l)Ali DI MANO, DAR DI PIGLIO : « ... die di mano al coltello e sì
l'uccise ». Pass. “ Noi per questo, dato di mano alla rivestita ampolla,
col marchio.... ce l'andammo.... ». Alleg. « Lo duca mio allor mi
die di piglio, E con parole e con mani e con enni, Riverenti mi fà le gambe e
il ciglio ». Dante. « ... i più severi centurioni dànno di piglio
all'armi, montano a cavallo... » IDaV. « Draghignozzo anch'ei volle
dar di piglio ». I)ante. DARE I TRATTI (essere allo stremo della vita: «
.... braino che ella, che nelle sue mani dava i tratti e boccheggiava,
nelle mie basisse, spirasse e intrafatto perisse ». Dav. « ... e incominciò ad
entrare nel passo della morte e dare i tratti ». Cav. 446). Note al verbo
Dare 437 – ll dare di questi primi esempi torna sottosopra ai verbi: bat
lere, percuotere, arrivare, colpire, cogliere ecc. Prova, recalo in altre
lingue, p. es. in tedesco, e non lo potrai far meglio che usando le voci
proprie: schlagen, elnschlagen, klopfen, gera then ecc. ecc. 438 – Dànno
su per una scala è lo stesso che: fuggono, si diſilano. Dare o darla è spesso
verbo di moto, nota il Fornacciari, e ac cenna per lo più a un moto violento e
quasi di urto. 439 – In questo caso anche il tedesco adopera il suo geben
(zu geben); anzi è la forma di dire ordinaria questo: vir geben zu, per:
concediamo, accordiamo ecc. 440) – E' appunto l'einreden ed anche l'eingeben
dei tedeschi. 441) – Simile anche il modo: dar l'animo (Conf animo, Parte III).
442) – Aggiungi le maniere consimili: dare in vacillamenti, in ver
tigini, in frenesie (Segn.); lare in escandescenze; dar nelle gi relle, nei
rulli; dar nel ge mio ecc.443 – Anche il modo: dar di morso a.... va annoverato
qui: « E lu darai di morso al calcagno di lei io. Ces. (Et tu insidia
beris...). 444 – « Dare adosso ad alcuno, figuratamente, vale anche
nuocergli COi detti, co Cattivi il flizi ... (il) el'ardini. – Simile al detto:
l'agliar le legne addosso ad uno. – « Tal ti loda in presenza che lontano
Di darti addosso bene spesso gode o. Leopardi. – Nota altri modi con questa
voce addosso: andare addosso a mimici - I bav : l are un processo addosso ad
alcuno (Bart. - DaV.) ecc. 445 – I)are sulla voce è un riprendere, biasimare,
censurare, chia rnando all'ordine per vie indirette, per certi segni, avvisi,
ml Ila/CCe GCC. 446) – Dicesi anche: fare i tratti, e pare che
significhi, anche questo, dare i tralli; cioè agonizzare: ... e la Madre e
tutte le altre stettero chete, in silenzio, mentre Gesù faceva i tratti e pas (
sava di questa vita o º av Fare Lascio le dissertazioni intorno a
questo verbo, e mi faccio subito agli esempi, non trascritti dalla Crusca e
d'altri Vocabolari, come fanno ecelli compilatori di grammatiche e dizionari
dei quali tutti, quando presi a lavorare questo libro, io non avea nozione
alcuna –, ma colti, al solito, nei migliori autori, lilli da me diligentemente
cerchi e stu diosamente analizzali e sviscerali. A maggior chiarezza di
idee e ad agevolarne alche meglio lo studio. distinguerello sei ordini
liere di lare: la - che sta per quali il tre altro verbo dianzi menzionato. IIº
- aggiunto ad un indefinito sì come vezzo od ornamento di frase (il pianger che
faceva, che vede a fare ecc .IIIa - a valore di esse e o così che potrebbe
stare anche essere (esser ll lile, esser buono eI Va - ad uso di varia
significazione, cioè in luogo e forza di uno dei verbi: giudicare, ripulare,
ottenere, conseguire, importare, fare in modo, passare, renire (parlandosi di piante).Va
- pronominale farsi) e col significato di inoltrarsi, sporgersi, af facciarsi e
simili.VIº - finalmente, ad usi diversi e come parte di questa e quella frase,
cioè a connubio di altre voci e di un significato inseparabile dal medesimo.
(449). --- -- I. « ..... onde ella amava piu te e l'amore tuo,
ch'ella non faceva sè me desitna. » CaV. (450)« l?el lo co.municare ille,iorire
s'avventava ai suoi, loll all l'illelit I che fac cia il fut.co alle cose
urtte. » l3o .- - - - - che io ho trovato dolllla (la III lto più che tu non
se, che li leglio m'ha conosciuto che tu non facesti. » 130cc.« Il cuore non
altrimenti che faccia la neve al sole, in acqua si risolves se.... ». Bocc. «
.... le dice che se ne guardi; eila noi fa e avvienle. » I3 a « Quantunque
quivi così muoiono i lavoratori come qui fanno i cittad. (
Figliuolo, Messer (ieri non ti manda a me. Il che raffermando piu volte il
falinigliare, nè potendo altra risposta a Vele, 1o 11 , in (ieri e sl gli li
dis se: – Tornavi e digli che si fo ci re: che ti mando . – Il
lamigliare, torna a to, disse: –Cisti, per certo Messer (ieri mi manda pure a
te. Al quale Ci - sti rispose: – Per certo, figliuol, non fa ci e, non mi ti
manda, o Bocc. « I)i spettacoli e d'ogni maniera divagamenti non potea
pur patir di sen tirsene dir parola e partivane coli quel disprezzo che altri
fa delle cose Sozze e della Dl'll tll ra. » ( es. a .... e percio' che
amore merita più tºsto diletto che afflizione a lungº andare, con molto
maggior piacere, della presente materia parlando, obbe dirò la Reina, che della
precedente non feci il IRe. » Bocc.a non meno la grazia ( i a Inor del Soldano
acquistò i l suo bene adope rare, che quella del (..italano avesse fatto, i 13
.'I'll ci il celll quasi coine se noi non conoscessimo I l 3 a 1 con i collle
fac ci tu. ) Bocc. a .... li quali per avventura voi non conoscete come
fa egli. » Bocc. Itil V Vedeti oggi Ill:li e torna ll II 1 , coiile tll escº l'
- le Vi, e non fa l' far beffe di I e ti chi conosce i filo di tllo come
fo io. , B º a Tu diventerai molto migliore e piu costumirato e piti da
bent la che qui e non faresti. » Bocc. a ... e nol credevano ancor
fermamente, nè forse avrebbe fatto a pezza (indi i lì0m molto), se ll : l
caso a V Velllllo 11oIl 1 sse ch'e lor cllia l' elli fosse stato l' ll
cciso ». 130cc. e prega V: i lil. Inolf ( ll II, il III trite ch'ella di V --
andare il lil 1 l 'a sua, com'ella prima faceva, e molto piu..... m ( il
V. a Quivi pensò di trovare altra maniera al suo malvagio, ad perare, che
a fatto non avea il: altra parte. » Bocc. Ed ecco venire in camicia il
Fontarrigo, i quale per torre i panni come a fatto avea i dalmari,
veniva..... l3o a ... non v'è oggina , chi ad un amicº, terreno non creda pil
di quello, che faccia a I)io. » Segn. a I)avano vista di non tener più
conto di lui, che si facessero degli al a tri. » Balºt. Ces. « Ma
veggiamo forse che Tebaldo meritò questi cose? certo non fece: voi
medesimi già confessato l'avete. l 3o . a Niuna cosa è al mondo che a lui
dispiaccia, colme fai tu. ) 13 r. 151 a .... ilſſuale non altrimenti gli lol
corpi cali di li nascondeva che fareb be una vermiglia rosa un softil
vetro o Bocc. « Come suol far bene spesso molti altri, non m'ingannava. ,
Fier. 1t)Non potendo egli per le sue malattie intendere agii studi quanto
face vano gli a Irl, º d egi I l Istora Va Illesi e il 'dite coll ..... »
(.es. a Dio tranquillasi assai piu ti sto che in li fan l'onde di turbata
peschie a ra al posar (l, vei iti. » Salv. a Amatemi coln, io fo Vol.
(io/ zi. ) ! e Cosi l i poppavano colti i madre avrebber fatto ».
lSocc. S'io mi conoscessi così di lieti e preziose, ci rime io fo
d'uomini, sarei blloli gioielliere. I ,il Vlati II. Ed era si gri il de
il percuotere che facevano il Sielli e le lololar, , che slavi, la V il 110 Il
loro o il il iie l relli.Nel fuggir ch'egli Assi i lill ta faceva lie, una
foltissi Irla sei vil, gii in cell le ll ' la g 1, l. 1 Isg, i Zl: 1. S -
li.l'el Issa i cori e se li 1 , l su tv li intendere e del guardare, ch'egli i'
leva ch'esso facesse le ,i di 1 min. 13 , .()n l'e ( olls gli ::. in l. ii dare
che fanno per mezzº a tutte le ribal (l, l' e.....! I3: il t.Qlle rigoglio dal
scperchiar che fanno le linesse de gli il ll ' ( ssell (lo 'll - I ll . (
..:Per esaminar che facesse egli in desino, ogni azion sua..., con quella
Sotlill-siIrla a ' ll ratezza º le farebbe ! l ... I l di pill roso e maie a
milm:a “ to........ !! ( sali 1,3; - Il III ore il plli ſi te
e il martellar che faceva il povero cuor di l.u cia.! Mla liz.pero che tro) po
lisa: il si logorava a disciplina del santo, la l'ecò il pit l i-erlo, si illo
e Irl) Il lt , il battersi che facevano con alcune a discipi ille, o il de ci
si ill si Vºle, tl a V a Ill quella dei santo.... Dari. a ... al Illale il
saporito bere che a Cisti vedea fare, sete avea generato ». I 3 mcc.« I)a
(Illel ol'l'el' che gli viddero fare il lla volta (ll ... I3:l rt. colll'elera
il d a loro, per venir me: io dissecar che questo faccia, non perciò se lº svil
I llia. . ll : :lzi... » 13 arb.I l piangere che lo l il re in teneriti fino
alle la grini e vedevamo fare al mostro fratello, ci reco ad altri pensieri, e
avremlino a condisceso, se non clie.. .... a I3: l l'1. Ne I llli loro a
spe, e ne vide i gli eletti, quando nel darsi che fecero per lo mezzo dei
barbari, mist ro tale sp: vento... ». Iºart. il l. Il liv fa l la teli per
atissima stagione di pri Il l: i ver, l . . I 3: l ... . . . ll vi fa
lin'. I l la derisi e greve º I ai t. )l re a ciò al spiaggia di Malacca fanno
venti freschissimi, o l'art. l'etiche, a ragione di tr Inn ti che vi fanno
spessi e gagliardi, esse « (case) non abbiano il mio volte sopra al chi. »
l?art.a Ben so che per te farebbe di lasciare il vincoli e li poso della carne
a e alrdarne a Cristo ». C: Vali. . io -il ebbe il lile).e Niente ha i sapor di
biada e perciò tu non ti fai a me, nè io mi foa te ». Fav. Esop.« Non fa per te
lo star tra gente allegra, Vedova sconsolata in veste negra ». Petr.Fanno pei
gran disegni e mutazi e Ilori e da la dare ove la posa piu ti rovina clie la
tern rità. » I)ava zMa perchè nell'acqua chiara ! ! - i lig lio la l et le ia V
gg li : la torbida fà per chi gli vilol piglia ' , III: ng ſare. l)avanz.
Noli può fare li Ill re : I l e - - al 1ori la lol ( III il tal11:1. Sºg
Il ..-e egli dice , N 1 il por io può fare ch'ei rion si p it , e
se n'esce ri le 'le, quell'avel tº Inlito gii accresce il dl! . » Da V. in
quanto piu' alie d ' Iº che agli uomini, l' I, olto parlare e ling o
quando senza esso si possa fare si disdl Bo 155 l Ia' tll a Irli in olii
o li or fan sedici anni, i l .. . ( l Slla V a 56 IV. a Suo cimitero di
Illelia part la lino ( 1 Epi :ll'o ti 111 i su: i seglia - e ci, (le
l'anima col corpo morta fanno. » l)a 1; e I epili i go, suppongo io, giII
il 1 a 1 Ma il popolo che vuol ci ala e il faceva chiari at ali adozio e, a I)
avanz « L'anſica III e Imoria fa il torri pi di icato dal... , I): v.a La tua
loquela ti fa mi i lifesto manifesti rien! Di qui la riobi! pa tria nati. Alla
quale lo sa lui troppo mio' si o I): inte . i s'ipno , ti appalesa – verráth
dich.a I), Pietro in ritiro a Solo quel divario era oli e la S. Vg -tillo
faceva da Fausto Manicheo si primo mi:i stro : S. \ mily g io. L'uno tilt 'tori
e leggerezze, l'a lt) o frutti e -: il lezz' o I): V. Lc fo partito per di qltà
». Fier. a Dunque hai tu fatto lui bevit re. e V. , o di siti - 'e gli dai
taccia) Colli i clie ha il ll ll gli fa l'i . . . . . . . 11: li l 3 , i ll l
1:1, Illeſ le co; to fa lrlestitºri E questo fa cli: i lio: e Itil, i ni li
stili lo i libri li . ( s. i Mla poi li è 11 11 si | lo fare i lic lºl -
1 , ' - ri - i l. 1 , , , l a dio alcuno, nè posso - I gri e 'a e l' a i
'tr... ll ' Ina - - a ledir Cadmo e chiunque fosse altri di quelle teste
matte che ritrovarono a questa maledizione dello scrivere . » Caro ottenere,
fare a meno) « Mentre che.... io non poteva fare ch'io non mi doleSSì
almaramente. » Fieren. rate che al nostro ritorno la cena sia in essere.
» Caro fate in modo, procurate) I)eh se vi cal di me, fate che noi se ne
ineniamo una colassù di queste papere. » Borg.e perciò una canzone fa che tu ne
dici qual più ti piace. » Bocc. l'areva che non ti l'i sole, il la a
Sinigaglia avesse fatto la state. » lºo: . passaio, trascorso (ono fatto fù ii
(li chiaro verso la si dl lizzò. , Bocc. | - Il sul far della lotte e presso
della torricella nascoso. » Bocc. 157) l'altra urla de l'en li colli
l?olna li.... Susilli non se lº cura; fanno per tutto, purchè grasso vi sia. »
I)avanz. Colne ogni altro frutto tra piantasi il noce : fa per tutto
viene adagio: dura assai: appirasi agevole: la ombra nociva, onde egli lla il
nome, o Da V. 458) V . . Il quale come egli vide fattoglisi incontro gli
die lel viso un gran punzone. » Boc i 150. « Onde non è mai raviglia, che
la llclo, la lit I anni al presso come si e det to, vider co'a ll no della
compagli 1.1, gli si facesero tutti incontro a domall darlo del loro padre, e
se v'era speranza di mai piu rivederlo ». Bartoli. « Chi volesse cimi ( 1 lt;
lr sl lol a V i rl facessesi innanzi a l):ì V . « Ma ancora aspettano di dirle
altro, e fannosi innanzi, e mettonle un cotale pensiero. » Caval.a e allora si
leva rollo costoro, e il maledetto Giuda si fece innanzi, e ba (“iolla) e
disse. » ( a val. a Ver me si fece ed io aver lui mi fei ». l)a lite, Non posso
farmi nè ad uscio, nè a finestra nè uscir di casa, che egli incontamente non mi
si pari innanzi ». Bocc.« in vista tutta sonnachiosa, fattasi alla fenestra,
proverbiosamente disse: chi picchia laggiù? » Bocc.« Fattoni in capo della
scala vidi e sentii tutto ciò che passò tra loro. » Bocc.« Spinelloccio è
andato a disinare stamane con un suo amico, ed ha la a donna sua asciata sola,
fatti alla fenestra, e chiamala, e dì che venga a « dosillal' coll (esso lì oi
». ROC Cº.« Fattosi alquanto per lo mare, il quale era tranquillo, e per gli
capelli a presolo, con tutta la cassa il tirò in terra. » Boce,a li contemplava
dalla riva in lotta con le onde, perchè da oli passion « Inosso fattosi
alquanto per lo IImare, dopo Illolto affaticarsi, li l aggiullse, a li prese
entrambi per le vesti e tirolli a terra. » Bart. « Così senz'altro dire,
la buona quaglia starnazzando l'ali per ia gabbia con più empito che poteva
fece tanto rumore che il padrone senti, e fattosi e alla fenestra cacciò via lo
sparviere. » Fi( l'enz. « E facendomi dal primo dico.... ». Ces.
460). a Fatevi con Dio, e di Iile non fate ragione. » Sarch. COllſ. l' 1
rte I. Ca po III.) a Fannosi a credere, che da purita d'animo proceda il
non saper tra le « dolllle, e co' valelnt'uomini favellare. » Bo -. 161« Il che
se la natura avesse voluto, come elle si fanno a credere, per al tro Inodo in
Vrebbe lorº limitato il cinguettare . Bocc.« facendosi a credere che quello a
lºr si convenga e non di sºli a che al e le all re. » IBO(''.« I vestimenti,
gli ol'namenti e le caliere piene di superflue delicatezze, le quali le donne
si fanno a credere essere al ben vivere opportune o Bocc. « Ma questo io mi fo
a credere che fu un giuoco, l'n tranello, un lavoro « l)i quel malvagio |
risto!.... » Buonar.e Pognano il torto a tua gente, la quale molestando i paesi
pacifici, si a fa ad uccidire uomini, bruciare templi, sparare donne, sforzare
vergini!...» Lett. Pap. Nic. « Chiunque si farà a considerare quanto ..... !! ,
( l'ulse: i « La vide in capo della scala farsi ad aspettarlo. ) Bocc.
VI. FARE COL SENNO, COLL' UMILTA' (e simili. 462). (rl lidogllerra ebbe morire
ed in sua vita. Fece col senno assai e con la « spada. » IDante« Fd ella
incontalmente lasciò quella risposta, e prese conforto e disse: e io farò come
la Cananea, coll'umiltà e coll'improtitudine e colla perseve « ranza, pure per
avere da lui misericordia, perocchè m'è detto ch'egli è tut « to benigno e
misericordioso. » Cavalca. F VIR SENNO (53). « Senno non fai se llor: lla
i telli ſi gli Idi. » l)ittaln. « Meglio di beffare altri li Vi glla rderete, e
fareste gran senno. Bocc. Fl\l8 RAGIONE (che..., di..., con...I. Ma io fo
ragione che i nessi tornassero tutti affrettati, e dissero: ve « duto abbiamo
che questo maestro è testè passato per cotale contrada... » Cavalca i 464)«
Allora domanda consiglio di tua salute quando vedi le cose del mondo « andarti
molto prospere, e fa ragione che tu se' atto allora a sdrucciolare. » Martin
Vesc.rai: e Ora per non i petere.... io fo ragione di non tenere un
disteso ragiona lIlCl1to. » CCsari. « E peroc he.... fece seco ragione di
rimandarmelo ». Ces. « Ma volentieri farei un poco ragione con esso teco, per
saper di che tu e ti rammarichi. o lº intenderIileia con..,« E pero a te,
siccome a Savio,... ti convien confortare, e far ragione che Inal ve lli: a 11
mln l'avessi, e lº si lalia a indare. » I30 c. 465)« E - I fate ragione, che
pe: quellito egli potra, Sara Selmpre il primo a a rovesciare sopra di voi la
sua colpa o Segn.lº co; i forni 1 e lo ch sll edette allo sventurato Saulle
fate pur ragio « me, l tito:i, che avveni del bri a tutti i peccatori. » Segn.«
E in esso luoco, fate ragione che il Signore venga a purificar quelle anime,
quasi lentro un cro, illolo terribilissimo, finchè depongono tutta « l'antica storia.
» Segn.E pensonni che Gesti i Marta disse: fa ragione che tu mi vedessi in a
ferino, come si mo . -toro, hº giacciono qui entro, e in così gran Drsogno, «
pensa quello che li fa resti a ine, e fa a loro ». Cav.« E però dico che i
lutti l sua sollecitudine pose di far bene l'ufficio, che a le era dato di lui,
il quai ella vedeva che tanto gli piaceva, che poneva in sè la p rsona e l'era
se: vita. Ed ella cosi faceva ragione di non partirsi a da lui punto; e qua:ldo
serviva il povero e l'infermo pareva a lei servire Cri e sto nella sua persona,
o ( v. a E fa ragione ch'i' ti sia sempre allato ». l)ante. \ V EI ) l I
( ) - – I VIR SEM1 I \ V IS I \ \ V IS | | | ) | --- l' A | 31.VN Tl.
.... , ella a tal - i vitiche1ia, facendo vista di non avvedersene anda va i
colti e in colite- io. Boa l l' allora fe vista di : andare a dire all'allergo
che egli non fosse atteso a en I, p. I d p moltº ragionamenti, postisi a cena,
e splendida In nte li riti , va i se viti, astutamente quella menò per lunga
fila al l: il l - lll'a. » l oe l'appa ma i ti r; parevano molto religiosi e
molto costumati, e gran vista facevano di cosi essere ». Cavalca (66).l'il,
l'io li in voi i 1. ll scostarsi da Itolina, e ogni anno faceva le vi « sto li
voler visit lº serviti e le provincie. Mettevasi a ordine. Ineve vasi,
fermavasi, o, ivi in inet , orire la ti gallo, onde di evano gallopiè. »
l):n V:ll 17. a E fatto prima sembiante il sere la Ninetti messa in un sacco,
doverla a qu . te t - il. 1. Inizzerare, se la rimeno alla sua sorel a
l:n. » i 3 t . E quando i s rso i litro fecero sembiante di meravigliarsi
forte. » H3 ) .. Fatto adunque sembiante d' , li conoscerlo, gli si pose a
sedere a pie a di. . I8o .« Quindi vicini di terzi levatosi, essendo gia
l'uscio della casa aperto, a facendo sembiante gli vs si a' tr Inde se ne salì
in casa e desinò. » Boceº -. ... e cosl ad Andreuccio fecero veduto l'avviso
lol' . » Pocº. 'diedero a vedere, a conoscere) 467, FARE AI L'AI TALENA,
ALI ..\ IP.AI.I.A, A I.I.E (..AIRTE, AI .I E ( I ) I, TELLATE, A SASSI, AL MAGI
IO, (e simili). a e per vilificarsi faceva al giudo dell'altalena. » Fioretti.
« QuiVi si fa al pallone, alla pillotta. » Lippi 468) « Noi abbialno carte a
fare alla basetta. » Cant. Carli. « IDicesi che c'era un tratto un certo tempione,
che si trovava un paio di si gran tempiali, che facendo alle pugna con chiunque
si fosse..., non si a poteva mai tanto riparare che ogni pugno non lo
investisse nelle tempia. » Caro.« Siccome, se tu fossi nato ill (il e ia, dove
e corrottºv le esercitar l'a rti a In e cora giocose, e gli Iddii ti avesſero
fatto nerboruto coine Nicostrato, iº non « patirei che quei braccioni nati a
combattere si perdessimo in fare a sassi a o al maglio, così ora dalle
accademie e dalle scene ti richiaino a giudizi, e alle cause, alle vere
battaglie . Dav.« E' facevano al tocco, per li avea a Inter: 1 primo di loro.
IBllonerotti. (469) FARE A CIII PIU'....: FAIRE A FARE CII ECCIIESSIA a
gara – um die W ette). « i quali con altri magistrati fanno a chi più adula. »
I)av. « Ma lldendosi allora ()tone e Vitelio, con iscellerate all'Illi, fare
delle cose) umane a chi più tira.... ». I)a V.a che è quanto dire che più di
mille e mille lingue fanno continuamen a te a chi più squarcia il buon noi, e
degli innocenti. » Giul).« Vennero subito gran guantiere colme di dolci, che
filro presentati pri « ma alla sposina, e dopo al parenti. Mentre alcune
monache facevano a a rubarsela, e altre complimentavan la IIIadre, altre il
principino, la bindes sa fece pregare il pricipe che..... Manz. ſ'.ARE A
FII) ANZA, V SI( U IRTA' con..... a perdonatemi s'io fo così a fidanza con voi.
Bocc. « Coloro che fanno a sicurtà colle riputazioni e per sin colle vite, non
solo (le” cittadini, ma.... » (iilib. FARE ALLE PEGGIORI con i contenersi,
governarsi nel modo peggiore) « Augusto senza dubbio inizio l'I: neilla a fare
alle peggiori con Agrip a pina. » Dav. « Egli tanto più il 1 furiava, e
facea con tutti alle peggiori, fin lì è il re il a Inandò cacciare come
il Il ril):I l I liori li pii l:ì gi . » I3:urt.FARE A MICCINO : consumare, od
altro, con gran risparmio. Miccino vale pochino e a muccino a poco a poco.
170) FARE A SAPEI? E a crerti, e, ammonire e simili. « E quando tu la
intenda altrimenti, io ti fo a sapere da parte sua ch'egli « Sala tanto (Illa
Into e ispetta a Sua Maesta. » Fier. FARE DEI. SAVIO, DEL SUPERBO -
I)I.IL PAZZO -- DEL BUON COMPAGNO –- DELl. UOMO e simili da sl l'aria... den
gelehrten spielen ecc).Allora il corvo, che tacea del savio e dell'astuto prese
carico sopra di e - d'esserne (il re... o lº le reliz.« Il che udendo la
testuggine e volendo far del superbo anzi del pazzo, « senza rico: darsi dei e
aminionizioni datele, plena di vanagloria disse.. » Fier. « .. . . Volelrd ,
far dell'uomo essendo lo stie, Illalrdano llla e e rovinano « non stilainelli
e. . » Fiel'.« Ho fatto tanto del buon compagno che me – il lio acquistati
tutti. » Caro. FARl, \, FARSEI, A CON contentarsi.... stai con lento
a....). e Domandò come Silv: la facesse, quello che fosse della moglie e.. »
Fier. « Se la faceva la miaggior parte dell'itino all'usanza dell'Indie con
riso; e e quando piu sontuosamenie con in poi , d'erbe condite sol di ior mede
« Sime. » I3art. FAIRE I ,i ,( ) V . . l) il liut ) Ni lºrº in l. FARE
ILE BELLE PAROLE e simili. « acconciarsi le parole in locca. » l80 parlare
lorbito, in quinci e quin di ecc.)« Ed ella, facendo le belle parole,
rispondeva che le era a grado assai, ma « la dimora, l'eta, l'ufficio.... e º
no pur cose (la polmderarsi.. » Fier. FAI? FORZA AI ) A I CI NO) – FAIR
FC) I Z \ l)l Q. C. I 'ARE I)i FORZA ci avvisò di fargli una forza da al ll ma
l agioli colorata. » Bocc. « Colnili ciò a gridar forte: Aiuto, aiuto, che
conte d'Anguersa mi vuol far forza. » Bocc. , il « La reina faceva ai giudici
forza dell'appello. » Dav. « sa tanto ben ciurmare che incorrendo in
contumacia, turbando posses a sioni, e facendo di forza, la cagion gliene
comporta.... » Bocc. F AR M1 T TO AI) ALCUNO (v. Parlare Proml.). 'FAR FALLO A
abjallen). a donne le quali per denari a lor mariti facessero fallo. » Bocc.F A
R CONTO DI... CHE (daraui gefasst sein, sich cturas u oill be mer ken –
bedenken ecc.).« Si addestrino a vincere il demonio in altrui, trionfali dolo
ill lor stessi, a e faccian conto che i pericoli passati son minori di
quelli che sopravver « ranno. » Bart. e sappiamo che...., e sian
prevenuti che....., e ponderino bene che....) a Dunque dovrò starmene
tutto l'inverno tra questi geli e durare si lun « ga fatica...? Fa tuo
conto. » Gozzi a Le saranno adunque, ripigliava il ragazzo, candele? Fa tuo
conto, diceva il padre, le sono appunto candele. » Gozzi. FAR
BISOGNO A. Q. C. a e le nozze e ciò che a festa bisogno fa e
apparecchiato. » Hocc. FARE AI) ALCUNO SEI? VIZIO IDI SUE I3ISOGNA Bocc.
I)av. I3art., I ARE CEFF ( ) .472 . a farebbe ceffo a questa
fiorentilliera che cosi le propri la nostre appe. con barbarisino goffo e
sllo e cellsll rel'ebbe così. I a V . l'ARE ACQUA a Cercar di al III la
sorgente ove farvi buon acqua. I3art. Fier. a poi ripigliò: forse il dite perche
quella nave qui una volta fè acqua. » l3al rt. 473; I AI? CARNIE :
I n di ch'ella acquiia, era ita a far carne. » Fier. º e Ini venne veduto
quell'iniquit so giovane colla spada ignuda per ogni canto far carne, e gia
giacerne i suoi piedi tre, tutti imbrodolati di sangue, che ancor davano i trat
..... » Fierenz. | FARF II. TOMC) Conf. Cadere Pront.. FAR CERA (da
Kairen). “ lo indusse a....., a far gran cera. » I)av. FAR GREPPO quel
raggrinzar la bocca che fanno i bambini quando vogliono cominciare a piangere)
Crusca (474)FAR GESU' congiunger le mani in atto di preghiera – vive in Toscana
FARCI II, CAP() .- FAI? E TANT ( )Farci il capo vale averci pensato tanto o
pen-acchiato o provatosi di pensarci, che nºn se ne intenda più nulla, nè anco
le cose chiare e che si vedevano alla bella prima.Fare tanto di capo vale
sentirsi stordito o da pensieri noiosi o da mal CSS el'e o da rumori.M'avete
fatto tanto di capo, dicesi ad un uomo parolajo ancor che ne in parli a voce
alta, purchè coºfonda ed uggisca la mente. Così Tommaseo, Gherardini, ed altri.
FARSI RELI.O:“ . . . . . . che se ne fa bello per aver tradito le tre legioni
smembrate ». Dav. l'AIRSI LARGO allargarsi, agevolarsi la strada – avere i
mezzi di farci rispettare e di avanzare presto nella via che prendiamo.) «
Coloro che per le corti colla virtù e colla fedeltà si fanno far largo ».
Iºierenz. « se non vi fate largo coi donare.... ». Cecchi. --- Farsi largo
colle chiacchere, coll'ingegno. -- C'è chi llell'ultimo altrui si fa largo
donando, chi domandando, chi piangendo, chi ridendo, chi co mandando, chi in
Inacciando, chi lo dando e via Via. \ V ER A FARE CO)N..... I)I a bella donna
con cui lo imperatore ebbe a fare ». Dav. che ho io a fare di tuo farsetto? »
l8oce, Note al verbo Fare 449, – Non curo di molti altri usi,
vi oi con uni ad altre lingue, vuoi notissimi e frequentissimi an ha oggi, p.
es. far lare nel doppio significato di ordinare di fare, e di cagionare di
fare fare apparecchiare checchessia anferlingen lassen – fare all'l'ossire
ullo – l'hre Arligkeiten mitchen mich erròthen – Lessing. fo0 Anche
il to do degli Inglesi ha tra gli altri molli, un uso pres. sochè eguale. Es.
The day techn J sau him ho looked belle lham he does nou'. fol - Quel
come lai lu sta per come dispiace a te. Nola inversione illicola di costrullo e
dell'ordine l'azione. 4,2, (iozzi chiude parecchie volte le sire lettere
così. 3 - Nola anche il secondo : che ſarebbe il fare cioè del primo
gruppo com'egli stà per un verbo del primo inciso sottinteso adoperando..., che
adopererebbe..... º, o per l'anzi detto esa m in tre: colla quale esaminerebbe
ecc. 4 , Per dimolare lo slalo di essere del tempo, dell'aria, del mare
sillili, o loperano i buoni scrillori assai sovente il verbo ſul re': come
latino i francesi il loro laire. – Guarda come, i , - Mlodo a lille
l'altro antic e dell'uso far senza (una cosa) ci è pol el sºl le limitinº l'e -
esser star bene senza.... ». fºſi - I granimalici li apprestano indi la
regola: « Fare stà per lº minare, compire, rattandosi di Iempo, e ad
esprimere quan lilì passa la lo mi trovo più semplice la formula che anche il
Tuesto caso il verbo far fa pel verbo essere,157) – Nota di questo gruppo le
maniere: lorº la state, l'autunno ecc. il farsi del dì, della notte ecc.
458) – Analoghi a questo fare sono i mºdi lar buona proºº, fa, gran prova,
provare. Conſ. Pianta. Pront. 459, – Metti a serbo i modi: idr si
incontro: larsi ºººoi farsi in nanzi...; larsi alla porta, alla fenestra: larsi
a credere e simili. 460) – Simile: « E iatlosi dalla in attina venne lo
raccontando... » Ces. - - - - - Dicesi anche: farsi dappiº, per cominciare dal
primo prin cipio. it:I – Pon mente al senso del pronominale farsi degli
esempi an tecgdenti, e ti sarà agevole intendere come il modo farsi a credere non
sia come melle qualche vocabolario, un credere a dirittura ma un accostarsi,
recarsi, darsi, inclinare a credere. Simile anche l'altro: larsi a fare
checchessia – cioè mettersi prendere a... 4( 2 – E' ingegnarsi,
studiarsi, faticare ecc., adoperando il senno, l'umiltà ecc. – Far colla cosa
sua . Non gli dar noia.... chè egli la colla cosa sua Cavalca pare che dica
sempli cernente adoperar del suo. 463) – Vale operare saviamente, metter
giudizio emendarsi. E' modo elittico, simile al precedente ma di significato
assai più ristretto e talora diverso. s 464) – Traſduci : mi penso, mi
arriso. Si adopera questo: far ragione che..., di..., a più altri usi e
significa quando supporre, repu tare, e quando stimar bene, opportuno ecc.;
mentre far ra gione con alcuno vale intendersela, fare i conti e simili.
465) – Far conto che, dicono i ...ombardi. Simile anche il seguente del
Segneri. 466) – Far vista, far le viste di ecc. è altrettale che fingere,
dare a vedere (v. Dare); sich stellem als ob....., Miene machem, sich den
Anschein, das Aussehen ſi bem. Pilò però significare anche semplicemente
sembrare, parere: « non facendo l'acqua alcuna a vista di dover ristare, presi
dal N. N. in prestanza due mar lelli. » Bocc. Anche il nodo detr vista (conf.
1)are) è usato dal Sacch. e dal Cesari (e lorse anche da altri che non ricordo)
: senso di lar rista, sich slellen ecc. « 1)avano vista di volervi « andare. »
Sacc. « I)avano rista di non tener più conto di lui « che si facessero degli
ºltri. » Ces. 468) – Nel traslato: fare alla palla dei quattrini vale
spendere senza riguardo.Si fa alla palla di checchessia quando avendone a josa,
non si bada a risparmio. Anche la frase: lare alla palla d'uno ha senso non
guari dissimile e vale traslullarsene, dargli la balta, prenderne giuoco, fare
a sicurlà de fatti suoi ecc. 467) – Questo modo far veduto pare che abbia
un doppio senso, e si usi tanto a significare far si che altri pegga o gli paja
di vedere, quanto dare a vedere, lar sembiante ecc. « le iè ve duto di uccldorli
» BOCC.Così pure dicesi : « far vedulo di commettere, di perpetrare ecc. In
questo senso usasi anche l'altro: far vedere. » venne un medico con un beverag
21, e lattogli reale e che per lotuſosta ICIulu. I « e lo 5 allop oddo.15 Un';
Iso, o IoitIt: otp lºp o puqquI I ouuº ollo IS.It All I lºp olioIA os IOI
o II.) BAIA ost.I I » – (3 li - ll T. -uui uu.o Idl I « mhop Imi lood
ºzuos e.lolu uluti ſoli al QuUIels e][0.Alu l ol[.) e Illo,I u Ip (IIIII
O]UIelo.) ( UIII º II ) o, pullo Iod pm bam api Ip osn, I o IIIssItini il o, o
od o lou il timbrº p Is.IopeAAO.Id Q olduioso 0.Illi, lot o I] Ioli manlaodm
oil al pm b uod mh.op, I le.I]tto toIIIUlis onl. I pi ln() eztl.).Io]Ilp
eloN - - (gli uol.opu or) p. I : ossa: I a 9.Iu 5IoA opotti lot ou. Il
sopo I oddiº o IliioosLI o IIo N . tºzuoloIA In I “uz.Io e Insn alu.I
-oUoS UII eoUIuisis (olduttoso ottil III liop) pc lol lp o. Di opotti II un
illup llp, mo:) Iols )llo, no!) loo oolpe, il Co, sopo II o II.) o | | Il I
Isti.Il '.I]od ( OloA [oſ [0, oluooo IlS sopueSu lost Oiolo le prof pl.oool I o
: OICI e ouuu è Iopulso.Id el ouo ez.Io] el º .it / l'Is Out oli ut: qui o
ostº.I | Ip Ici.I e “o.IoSuII.ilso,o un N (Io.I I o Io ti uli Iso, JUIO ))
o.Ioi II.I]s -oo Iap ouo o Iez loſs ottºz.it I lop Il pd to Il prato i pl II
IIenb eplau ooo ufos « lama luo pm ns. oi ml III o uso o il n.IIIIGI ) dd SS IA
( o.llitt.top non lº pztof l l lo Io : l UIonios o Ilop mz.tol ) un loo ollopns
Istº.Il flop “ps.iol pun o. pf pr.toi trof. II lod o e opuoguoo UION luppoI SS
)IA ( mr lo? oso).to.) o un ll fiopuo.rmi o e o Iel 5ueu e olotto; Ind lºttout
IIIonb oIopuolo.A » oso).Ioo o oIlluo3 opoUII UI! QUIolº II io.A.Al ' IoitII.I
so,o un o.I(Ittios o po “pzuol asoluoo pun otni ollout: Qn i S o,oo I luoloIA o
Inslui “o.Iol -od p osnque po osta,p o IoA).Ionº olle (Inp QoloIII ons IoToA In
olrmu5epuniº o olio;iuti.Ilso,o ol.In pur o ooºoooº I top ellione ulu.5oIUe,I
opuooos ole.A oum.o)p pm vs.tol pum olmi o pcaoſ 1D.I – Ily outloollll D
o 1 pp out.), lui lo o.tpll pd oII.) Ie IsooICI – () , luooo) glo e opuºluo,
“l.It ds-p o lred as ou5oAtto II opu0.oos o elp mld o oun opuello 5 l Is
o “eso.) eull UI! Il looo) lu o lº odopo.A o[U.A O.).ool / D olm, I –
(6), (o topo.to llbollmſ ollo ossols ol ooogl . lg olt, uouLIOppe otto
“llens o lo)s QUI o loq ooo I lo! [5 e Aup OlogIS Ital Ip o luouaol Ili
iFrenciere (Pigliare) sia lº cºsi di lºro - il mo: into a chi non ha mai
o l: lingua italiana – quello che si è mola , sin 'I I. ( Il les (il n ad ( SS
( l' \ i re cosi di questo cori li ai ri veri tra loro - r. 1 ,ºrticolarità di
della I i licli, e lassici, q o no in una º i il Zii, il colal girlo che non la
clin a pezza , ali di si ! "i sanno che cosa voglia di e prende, ma i I l
' s ci ii, alla l' hissimi, che ne usano i d , e , l in A , is simo e i I i di
classici del medesimi sono da Lilli il si e al ci a uno lors, ma li avºltº il
peregrino. Chi lo intende, a cargoli d'ese p . Il valore, ma i le poli 1 ai
linelli all'uso : bo i l'rende e dilello, prende i mali con ri. p, i lorº
con l i . . . . . . . . consolazione: prendere p , i ti ; i mal . . . . .
. . ) : i i 'ti li' li ti , prendler guardia. Sospello; lo : l ' s . . . . . .
. - losi, i di qualcuno e .: pt ºutlc i l preso ad atleti no bene, ci pass . p
pºi lº i dire: il fare clic li ssi, i pi nel I e il I i gio . . . . . . . . . .
. . EpptI re li. Il sol li : V g: li e lode. I re. E ci l si si | | | e
cose. e prei I l i s 1 si lilire e maniera li i pir . - di il
Italo. “ .... pil per istrazia, lo li, pr diletto pigliare i : l si
e Iſ) di Illesl e os º prendendo annni irazione. . . . . . il II l r chi alla
toll :I n. I) ,li ( 1 . (. . . a Ella d'altra parte o il I e - e clerlo ;
o secondo l' ill Iorli; i vi , i i miglior tempo del lo II e il -
mondi è mrendendo il li tl ( . Il li l , l . . . . . . . . . . si o di non
avvedersi di qll st . a Tu puoi di quindi v lere il 1 l - i N si - li
l Inattilla va tlitto solo, prendendo di porto i . (illata Hilaldo e I
liv . ri .I l ril, 1 , E molta ammiarzio i seco prendea, a Chè gli parea
ognun fiero e gagli E \ - jardo » l'ulc. Luigi Morg. a Ed ella Maddale: 1: il
corti. Il nte la s lo [Il ' , , , - -ti e prese confor. to e disse: io farò
come la Callanea ». Caval l. a Laonde ( gli diceva : Se io (Il test gli dis, la
di me e.... le mi metterà il odio, e cos l III li il l: l li , i « moll avrò ».
Bocc.a Bergamino dopo il Illanti ril, li ! I vi - ge:Idosi il lil IIIa l'', li
richie a - I prenderà g -dere a cosa, che a suo inestier
partenesse, ed oilr a ciò consumarsi nell'al bergo co' suoi cavalli e o suoi
fan incominciò a prendere malinconia: r ma pure aspettava, non la
endogli lie: far li partirsl . Bocc. « ... e nondimeno di queste parole di Gesù
presero un grande conforto nel . . ll or loro». (.a Valca.e Nol) Vi si l a 1 i
lil l e la coinsolazione li vo: prenderete le! Seilt il' .... che egli non vi
debba essere altresì utilissimo il vedere....». Cesari. Senza questo, i lus,
ira vºi li i ogni fatica, che ci si prenda intorno » Borg. « La seconda cosa
che e efll ace rimedio contro alla disperazione, si è la virtu deila e ilterza,
che la prendono vigo osaliment. col) folt:ì e sostit ss i v. «
Menagli questo cammielo e digli che ne prenda servizio ». Cavalca. a E voi
appresso con III e o insieme quel partito ne prenderemo che vi pal rà il
migliore ». Bo c.« Ora il n dl avendo gia lº l l: presa grande amistà con esso
loro, il tanto che lui si la l util Vallº li l l'o, - zia 'liente per lì è
Vedea no l el' fettamente in lei Cristo abitare; per la qual cosa di lei niuna
guardia o sospetto prende anc..... » ( . I v.: 1.« Di che la donna avvedendosi,
prese sdegno, e...» Bocc. « A \ onla I sta i presi - . 3 i ari. o Il re, o la
- sciarlo a B) c. 5? I V edi, a noi e presa compassion di te » I 3o
o??”. La buona Iellini il l Ill st V e del do, me le prese pietà ». 13o e. «
....subitamente il prese una vergogna tale che ella ebbe forza di fargli v II ,
il l l Il l3,Gran duolo mi prese al cor, quando io intesi ». Dante. a l 'Il
cavaliere la domandò, se ella ne togliesse a fare un altro : rispose « che nò ;
che non le era preso si ben di lei, che ella si dilettasse di farlo » IB() ('.«
Con la piacevolezza sua aveva - la sua donna presa, che ella non tro « vava
luogo....». Bocc. (fatto innamorare di sè). Prenderete subito tiltti a
Iuliilli il re i tº o di me... » l)a V, 'comince rete ,23).Il quale facendo
rumore, che molte strade d'Italia eran rotte, e non abitevoli per misleanza dei
conducenti e trascuranza dei magistrati, le prese a rassettare ». I)a V.sol per
onore di lui prendeva a condurre quella, per altro troppo mai - e gevole
impresa ». I3art. e voltosi al popolo prese a dire in questa guisa ».
l'8art. - .... stabilito com'egli fu nel trono, pigliò di modo a preseguitare i
Catto « liri che.... » Segm.« Ed ecco che ella medesima prese a trattar
di rimuovere dall'Imperio « Neron, suo figliuolo ». Segn. « Anzi cred'io,
che il rigetterebbe la se, ed in cambio di voler più protog e gerlo contro ogni
altro, lo prenderebbe egli il primo a perseguitar » Segm. E così in
piedi, prima di deporre ancor gli abiti di campagna, prende a a fare una
lunghissima dice ia.... o Seg . Ti piaccia ancora di por niente ad alcune
altre frasi nolevolissime oi verbo prendere ed anche i cerli usi del derivato
Pi esa. PI (ENI) Eli TERRA – di una mare, approdare, alle ra e PI ENI) Eli
MIARE – PI º ENI) I.I è IP()IAT ( ).In quel ritorno g.i avv (-lili, di prender
terra il C: la lorº. I3art. e così le rinaio, alle ore il ſos - Illor: li sta
gioli , prese mare e navigo... » I3:ì l't.Erano i quattro d'ottobre, quando i
nemici, preso terra, e ordinatisi in pit squarire, baldanz si | 1 o il 11ti --
lo ii il solº a li l e, si ill via l'olio al il 1 l l'olta rsi St .... ,
l il l'1. 1 | | | NI) EI? (..AS.A SI' A NZ V ſe i nati e slanza, cºn l
rai e ad albergo, slan zare, I 'I? I.NI ) ERE I IP.ASSI o Nimili ). 4 a
ci ritornò e presa casa nella via ... non vi li gitali di litorato le...
» Bocc. a colsero in gran numero chi a prendere i passi, e li ad avvisare
di lui per tutto il paese di cola fino al mare e l'art. a Floro s'ammacchiò;
vedendosi poi presi i passi dell'uscita succise Da V. « si spartirono chi
quà chi là, e in un tratto presero i passi ». Fiorenz. 1 l ? l .N1) EIRE
l'N SAI,T ( ). « e posta la mano sopra... prese un salto e lussi gittato da
l'aitra parte Docc. I RENDERE UN VOLTO, UN VSPETTO sereno, allegro,
soltre, giocondo, grare, terribile ecc. UN MI \SCIIIO ARI)Itli e simili lari.
('('N. ecc... l I (; LIAIA LA MIA LE - sbaglia r la struttlet. « Ma
io mi accapiglio teco, o Materno, che aver il ti la natura l'latitatº lº « su
la rocca dell'eloquenza tu la pigli male, hai cons - uito il megliº º il «
attieni al peggio ». l) V. 525. l'RENDERE Q. C. IN FESTA EI ) IN GABBC) –
PIGLIARE A GABBO. « Inteso il motto, è quello in festa ed in gabbo preso, mise
mano in al a tre lnovelle ». HOC ('. « Che non è impresa da pigliare a
gabbo Descriver fondo a tutto l'uni “ Verso Nè da lingua che chiami Mamma
o Babbo ». Dante. I ]RENI)ERE SC)N NO. “ Aveano ciascuno per suo letto un
ciliccio in terra ampio un gomito, e lungo ti e, e in questi cotale letto
prendeano un poco di sonno ). Cavalca. I 'RESA – Pretesto, molico,
Anlass, V eranlassung) AVER PRESA, 13UON V PRES \ V DIRE A FARE – opportunità,
ap picco, buon gitto o l)Al? PRESA A...... r. l)ai e . a Sesto Pompejo
con questo presa di minicare Marco Lepido lo disse da ! ! iellto, lmorto di
fame, vergogna di casa sua....». I)aV. FAR PRESA. a Sono imbarazzo da
leva l V la colli e le centine e l'arma dura quando la r vòlta ha fatto presa
». l)a V. Note al verbo Prendere 520 – E' il to take degli
inglesi nelle note forme: To take delight; to take pleasure; to take cold; to
take a turn; to take airs; to take a run; to take ship; to be taken ill; to
take up, ecc. ecc. 521 – Conf. voce Partito, Parte l Il. 522 –
Notalo bene l'uso e costruzione singolarissima di questo prendere. Torna quanto
al senso, pressapoco, all'appiglialºsi, apprendersi di una cosa ad un altra. «
Amor che al cor gentile ratto s'apprende » Dante – « E veggio il meglio, ed al
peggior m'appiglio ». Petr video meliora, proboque, deteriora se quor).
523 – li alla lettera il fangen (an lungen dei tedeschi. 524 – lnvece di
occupare ecc. Si dice anche « dell'occhio che prende un vasto ozzi onle ».
Bart. –- l)i una sedia, di un posto ven duto e simili, dicesi che è preso.
525 – Cioè in cambio di far l'ol'alore fai il poeta.ne rarr Le vere
Ha molti vaghissimi usi, e voglio si principalmente notare i seguenti: I
,EV AIRSI IN CONTI? ( )..... . Ma vedendolo furioso levare la r battere
un altra volta la moglie, leva º tiglisi allo incontro il ritennero, dicendo di
queste cose niuna colpa aver la do Illna.» BUcc. Coll dollnes a
placevolezza levatiglisi incontro, prese a garrirne lo e.... » I30 ('. “
La quale veggelidol venire, levatiglisi incontro, con grandissima festa il
l'it'eVotte. » BO C'('. LEV . A IRE I)I V. ANZI « E non pareva
potesse avere niti il 1 Imedi , pensando che quel corpo del Maestro suo le
fosse levato dinanzi, ch'ella nol potesse vedere, nè toccare; e gri(lº Va.....
» ('i Valt:a. LEV AIRIE I)'INN ANZI V..... .... Veduta la alterata,
e poi dirotta nel pianto, parve da levarlesi d'in manzi e fare il rimanente per
via di messaggio. » I)av.a Pensonni che Malia il 1 ori il ciava a ridere e a
Caltare, e a levarsi loro dinanzi a quei clie la riprendevanº duramente, e non
le stava a Illire, sicchè costoro riºna e Vallo con Vie n1:1ggior dolore.»
Cavalca. 600). I .I V VIRSI IN SU PI: I RI; I \, IN ( ( ) \ | IPI A | NZA
I ) I l NA COSA (Bart. ( es. ! (50 l . I ,EV VIXSI IN AI , I'( ) .
()h Imadre carissimi, noi ti levasti in alto, perchè tu lossi Inadre di cotale
figliuolo, e per lui.... anzi quanto era inaggi ºre la prosperità, tanto piu ti
profondasti in umiltà. Cavalca. 60? . I,I V VIRSI A VI ( ) IR E I ,I \
AIR IR l VI ( )| è l I (50.3. LEVAR MoltMORIO bisbiglio ecc. d. q. c. I E VAR
POPOLO (604) « E ben liè.... alti esi non line o ani: Ived va le I' 1to
l'lti l'll tºru si leverebbe a rumore. » l3:i l'1.leva losi il popolo a rumore,
andava ogni cosa a l ulba o Giamb. il popolo della citta di Modena si levò a
rumore gridando pace, e ('a ccia l'11e fuori la Signo; in e solº l: t . , V
ill. (i.“ Alqualiti discepoli s'avallo e (i lilda, e l'elison che alcuno di
loro lo riprende Vallo le iniglia lilelle, e ci lil e li aveva levato gran
mormorio del l'unguento intra tutta Itl lla g it sºli e i tutto indegnato per
la ver gogna e Ile a V ed i VllI:I ( I V: l' ipells lni le si levasse un gran
bisgiglio i le genti, e molti gri di V le liti Illi e sa, e il ti? han:no In
orto (ies Il Nazza l'en lo . . . ( :) V: . Salvo S i lº 'lzi non
levassero popolo, attizz: tssero contro. » I3a r . Ciò li rebl o I levando pc
polo il Fuli Ine si era latto ill Arnull gucci, e il bel tendo le rile: il
lizie d l'ortogliesi a ruba, l'1 nave a fuoco, e la li1 , V e allo li l al
t. LEVA IRI IN V VI \ | | | | VZI ( ) N E ſe i protra riq lui e
l'iello il palese illello, le . - -s . I lilt lil e i parvoli; e nel se greto
rise! V: lui l' , lo l ss , levi in ammirazione l'altissimi e menti. » VI )
l'ill. S. (il'. I l V V | | | | ( ( )N | | (50), ll el l e levare i
conti . lle : vev: i l)i V ( llll le ll ' o sospiro.... , Dari LEV
VIRSI IN COLI le reti di lei la e meller sulle spalle .... pastore, e li
e o per la l a sti, il liti e riti o vandola, la si a Ievò in collo e le elle l
'i g! ea zii e les", l'ass: v.ti ovò un pover Iº e mio obbi lido lato, ed
egli si levò in collo costui e portollo in lei in luogo, dove egli il servi sei
mesi e lasciò la pace e la a quiet, sia per anno del prossimi » ( vale a
I ,lº V V | RSI I ) \ SI | )| | RI, I ) \ I ) ) I ? \l ll l ... l) \ I .l.(i
(il l RE, l) \ SCIRI V l.IR l .. e simili. . La quale non altrimenti lo
se da dormir si levasse, soffiando inco Inilli i .... a l?o . LEV
Alt SI \ COIAS \ rale nellersi a fuggire relocemente, ed è bel modo di nostra
lingua .lº dicendo queste parole Antonio, quell'animale si levò a corsa, e
fuggi.» ( il Villt':l.Piacermi finalmente inclilovare alcune altre maniere più
notevoli a dell'ilso: LEVARSI IN PUNT A l)I PIEI)I. e e la madre
guata va se fosse irreali, i fattori il suo dolce figliuºlo, e per a chè
ella non era molto grande, e levossi in punta di piedi, guatò in mez « zo
degli armati, e Vlde il dolce Maestro legato colle mani di dietro sic Irle l:1
di o,.... » C: Va a. I ,EV Al? E l) \ I , SA ( IA ! ) l'() N | E l e il
re e la l I e Nilm o U.EV \ I ? E \ I, S.V (IR() I ()NTI: II. N ( ) \ | |
| | I.... 13 ( I l (rli I .EV AI? SI I)EI , VIENT( ) ; I3art. – LEVARE LA PIAN
I \ ali un edificio, di un terreno – I.E V AR MI I LIZIE – J.E \ AI? LA
LEPIRE – I E\ \ RSI AI ) IIRA, ecc. ecc. Note al Verbo Levare
600 - Questo le rarsi al in nanzi al l gli In vede, ma l' tirsi, andarsene ecc.
I bicesi al che le reti si dannan si clicchessia, o levarsi checchessia dagli
occhi e significa liberarsene, sgra varselle. lol'selo di dosso. . ( olle (
l'eslerà di darle, ella [ 1'0 verà sue scuse per le retrse lo d'innanzi. »
Fier.Si inile: le rarsi dagli occhi checchessiat: le rare cl i dosso. « Si
risolverono gli l'iorentini per bli . Inolo le rai si dagli occhi in alto e
Iale ostacolo e per millma) gilisti più confortarlo. a Stol'. Sonniſ. –- I)i le
rarlo mi l'ululosso Irli studiel'ò » L'occ. (01 - Simile: salire in
baldanza. « I)a si felice principio i litori salirono in tanta baldanza, come
nulla potesse durare innanzi alle loro armi » Barl. ( 2 - - ()sserva la
correlazione (li le rarsi in alto -– hoch lalren – e profondarsi in
umiltà. 603 -- Simile la frase: la r rumore di checchessia, indurre cioè
a tu nullo. dare, da discorrere, prorompere il disdegno ecc. « Il quale facendo
rumore che molte strade d'Italia erano rotte.... le prese a rasseſ are. »
I)av. 604 Piaceini ricordare anche il nodo: essere a popolo, a rumore ec'
('.605 – Simile: « lerare le partite, p. es. della coscienza con Dio. » I3: i
rt,N/lettere (Porre) fili a quegli degli prºl e lo sel degli inglesi isº
º lº gri, º l ' s ii del mettre dei fran i ' s I. Al ii l ' - I -
volgarissimi 629, nè la li si l sl i l pi. Ma sono alcuni
altri non corrono spedita reni e li - maniere poi di quo l | laii ( i l I
t . ! ! - l - l - ss la gran lunatica, sa l' i crº, ci: ci - il - i e il
vago della frase il sisl ei s ci , il ss; li il sia, è ad ufficio e valol
e º il signi lº i - s porli il suo proprio let i r, i - : i i no del
verbo con altre pa i . \ I soli linelle, che anzi li li ii
considerazioni e all is | | | i l ! l sl glº: i \ | | | | | |
| | | N A S. , VI A V , l SU ). ( All I I I I Rl, | N A | | | | | | | | | | | |
| | | | V | V ( il l V l l ' Simili. mise cinque mila fiorini d'oro contro
a mitic ' , i l . - , metter su una cena a lovella da re i .. . . l 3 -) : l l
. . i . - i i lo s; i ti sul metter de' pegni pegnº tra loro messo loro,
I , nºtito pegno i - i ; . - i l: i nei i ore il collo a tagliare, e i :
lessano che la Verità l); i V. : l l . , ( -. il \ | |
| | | | | | | | ll piatti lº t' ('. I mette ld , e più forte illli , Va'
. ( I t si - 11: - , -1; I l - e mai il tronco avrebbe i l: mettere I l
il 1 fi . . . . . . ( i In li vere - i rii e assai lo il sull mettere e
gel' moglia e o, Ces. 630)METTERE SIPAV EN I ( ) - VI I I I I I E \ N I \ I ( )
\ | | | | | | | | , A \ | | | | | . . AIETTERE A VIVIII RAZI( ) N . \ | | | | |
| | | | | N SI El ' ( ) e Nilli lli. Cadde e voltandosi i ra i ple li a
'a - e rite, messe tanto spavento e odio le i soldati si li filº roi o li
I ) : t: Ig it li , eſ . Quel giovane.... fu il primo a mettere in lino agli
altri. I3e: 1. ( ell. I ri vo:aggia li, confortarliQuando Agricola mise animo a
tre coorti Bavere e lui l ingi e di venire a alle Inalli con le spade ». Da V
63 Ali (III , i se mettevi l'amore tuo. F ( a Per la qual cosa, vedendola di
tanta buona f riliezza, sommo amore l'avea posto ». Bocr'. « Con quei ti:lti lo
avi In Irli d mirazione ». Salv. VI a ie . it - lo il I l s . : :: I l
lit: i mettono inella moltitudine am . a me, miser pensiero, .lon gli
voles - Il tel rili lpe, pari o all'alltica. l tirar « d ll rallle 11ttº ». I
)d V.i diedero a pensare, fecero sospet e den Verdacht erregten 63?
\IETTIEIR AI.E MI ETTEI E r. g. Il PEI I; I \ N( \ | | TT | | | | V .. STIt II)
A. muggli, i niggili. MI ETTEI MEZZI e simili. l?el ſ to loos o il fiel (
il V al mette ale , l ' ll I, II ig. Vlorg. (figura, a III, corre col gra
il V el . it: “ . . . . . . nel quale era e il ratto il diavolo, e -la s
a costei legati colle catene le malli e i piedi, e giti vi . . sº i e ai lo
schilli e strideva co' sl1 i denti, e crudeli mugghi e strida mettea, il 1: lit
, che chiunque l'udiiva spa. ve: lta Va ». Cavalca. Allora qllella
stridento , e mettendo grandi e crudeli ruggiti, lol telr1ente l'assilli.. . .
» ( a Val n. º il 'tli la milizia lioli nello che l'eta avea messo il pel
bianco ». Bart. .... per la qual cosa non gli valse il metter mezzi e
pregare . Cesari. \I ETTEI N E. VI V | E. \ | | | | | | | V | | ( i | | (
) \ | | | | | | | ( ( ) NT ( ). “ E (Ill si ciò fosse poco, come metteva
bene al suo interesse, ci si faceva girls ligia, dando ragione a chi se la
comperava . Bart. -L'esser bistrattato non e' in previlegio mio o....., ma di
tutti univer. saliente se onlo che il farlo gli metteva bene ». Giub."
l'elisa ggiInai e delibera a quale partito ti metta meglio appigliarti ,
('esari.11on perhè alla l'epillollica mettesse conto patire mali cittadini ».
l): v. nè i figliuoli, ma i rovinati; sovvertendo i cavilli dei cercatori
ogni casa ». DaV. \ | | | | | | | | | N N | ( ) M ET l'EItE IN ASSETTI , IN Alt
NESE – MIET I ERE IN ESSERE di far q. e. MIETTERE IN CAR I \ zu Pap er
bringen nel tre par ècril – lo sel clou n . e se l e la III e li e il
Ille, i nto Ittendeva a mettersi in punto ». Giamb. il pll'esso (Ill sto lilli
- misero in assetto di lar bella grande e lieta est: l . 13 , .l'ol le e- il
ribe dato o lille con Colpo del colle e del quando ,e che e si luroli messi in
arnese di cio che la eva l ' bisogno ». Fierenz. (si for I S il ('si il .... e
– l llla la si metteva in essere di baſ taglia . l 31 lt. l)a V.Irli la bisogno
mettere qui in carta ( o poi le ll leo I contorni delle co -1 l Ilia
l'ille..... o l8al t. V | | | | | | | | VV ( ) | , V \ | | | | | | | | V
I \ V ( V. lolla li l'al' e sl per ol li tºlti mettevan tavola il s si
.ora che l'usato si meteSser le tavole. . \ | | | | | | | V S | ; N
V ( \I | | | | | | | V l , A l' ( C ), Mll. l l'EIRE | N VV V | N | | | | V
, l le 'il l Illia di Illesle lol o l'agielli soglio li , i li; li il
mettere a sbaraglio le la Vita il , ( es. i vi G3 istelli, minacciava di met
ierlc a ferro e a fuoco, - t , sto lioli i l V lo i prigl n. o l8al l. 635
l lº sa e con lì io, e, a disposto a metter la vita in avventura, e lui e
il venil - , al site Ina ri . l'8art. esporsi al pe: i per i volo
li lo del l - l at si \ | | | | | | | | V | , N | | N | | | \ | | | | | |
| | V | | | | | | V \] | I'l'll è l: l"N I)l S( ( ) | | | )| | , I N SI |
| | ( \ | | | V | | V , , Nim ili. Se. ... I certo I (lelli rebl . . . .
. . . . . . ll tiro e, e ogni forza use ; per metterla al niente. I 3. l .(),
si va Il lino, si saprò mettervi a terra si reo pretesto. » Segn. N i letto i
ri; 1 , l'a! di di l: i ve: Irle fù per mettere la repubblica, se I rsſ o ll -i
( V V in discordie C armi civili. l) a V.dols e si li. ... . ll e il V e il
messo ( es al'e in su le cattiviià e risse. m l)a V.MIETTEIRIE (i UERRA,
CONFLITTI. discordia. dissapore, e va dicendo, tra cristiani, amici ecc. l)av.
Bari. Ces. METTER Por giù r. g. I \ P Al IRA, L'ALTERIGIA, UN PENSIEIRO,
UN AI3IT ( I )NE ecc. - e tanto che, posta giù la paura del l e- e dei i
atelli e lii - il colore in tal guisa si addimesticò cl io ne ma qui e son: le
qu'il 1 l III I Voll. 13 , a Pon giù l'alterigia e studi:iti di prendere
un viso ilare e gli vi e.» lº art . Pon giù i ferventi amori e lascia i
pensieri triatli o Bo MI ETTEI RE IN N ( )N CALE \ | | | | | | | E IN I 3
ASS( ) - MIE I TI lº l: l N S( ) )() - MIE IT EIRE IN I ( ) IRSl - \ | | | | |
| | I: IN IP AI ' ( )| .I. Per lilla di lina ho messo E. ll 1 II lite in
non cale ogli i l el-i ( . l ' ' 1 l'ill ('il.E chi, per esser salto virili
solº rosso, Spel a 4 ellenza: e sol lº l Ill Sto brama Che 'l sia di sir
grandezza il basso messo. 1)ante.« . .. mi par necessario definire prima e
mettere in sodo il sostanziale valore di alcune espressioni.... » I3art.Chi
farebbe i re votare i loro tesori, pr (Il ce ne Impi sotto la III i loro
popoli, e mettere in forse la loro maestà, se questa spera la non fosse? I 30
.e in altro non volle prender e I - i nº di lover'a mettere in parole se
lo delle sue galli; la', e.... » I3o MIETTERE IN V.JA con....
\li raftivella, cattivella, elia non sapeva ben, donne mie, che cosa è il mettere
in aja con gli scolari.» I; º cimentarsi, intrigarsi, avventurarsi a
voltº la fa r , voler l' il cºlle agli scolari, misura le sue forze cogli
- METTER MI VNO A o per q. c. “ .... e messo mano un di di noi per
un tagliente coltello, e nella logli un gran colpo...., gli spicca inno il
braccio. , Fiereni. e Messo mano ad un coltello, quellº apri nelle reni , Bo
3;I All. N l VI ( III ( S \ ( ) \ Q. C. - .... pose mente alla sl i
1: 1. I s e, ponete mente le carni mostre e lui è stallino. » I3 n. 1:.
Ponete mente atroci spasimi, lil: se l: in lenti e divili la li l: i les li Se
i 1. Ponete mente effetto i li e le e il via il cºsi della lor debolezza.
E \ | | | | | | | | | | | | ,( ( | | | SSI \ A SI N N ( ) | ) l...... (
3, , e gli misi a suo senno, e iroli - \ | | | | | | | S | A
N \ :3S \ | | | | | | RSl Al, l'ACElAE – \ | | | | | | | SI SI | | NZ | ( ) \ |
| | | | | RSI IN | A | è ( Il I ( C.llESSIA – MIET | | | RS | S ( | | | V ( ) |
| | \ | | | | | | | SI l N V V | V. dal si misero al ritornare.» Bocc. I
rimisero al ritornare. l 3 al E mettiamoci ai ritorno. 4 , N -- li siti, si s
Illal alle; te si posero al iacere. I 3: : 1. . . . . . . . i si metie
siienzio. l 3 l: i . () il l i VI inelli - la si mette al niego.» I ). l
.le sia l i lliesto. Meini . S'era messo in prestare Scpra castella , l in tre
loro entrate. » netiersi sulle volte e lo i leggi i ve. » l?ari. cioè,
tor isl l l: i veri il si per la via, l No!:l, si mise. » l 3o . \I
E I I I I I I I I I I V \ I | A PEIR VI CI N ) da e la sua vita per Nell'all
. \ | | | | | | | | | | V \ I I V. I V S \ NI | V . I l . SOS I \ NZE
ecc. Udas le ben ('' . . ll l in 1 m., 'il bis. Nel ' ' li l: osi e se
c'è bisogno, mettiamoci la vita. . ( i ll.(i e il ( ! ! ! , il III le pose la
sua vita per la nostra redenzione.» ( : v. l ' :l.« .... e lui beato che fu il
primo che ci mise la vita! » Cesari. « Però vi esorto a passarli travagli per
il lodo , le no, ci mettiate della sanità. » Cal O. MIETTERE SU UNC), c)
MIETTERI AI , l' N I ( ). « è istigare alcuno e stimul i r , a dov e dli
o la r il il na Inglilia o V Il a lania, dicendogli il modo, lil po-sd. (
del liti o lill la, o lil a. i litº , - - si chiama generalmente commettere
male i l a 'ti i liolo e ! Iltro, . . . . r Inti o al Ilici che sia imo. Val
li Nola gli appellativi: commellinale, un teco meco : « d'uli con
melli a male, il quale sotto spezie d'amicizia vada la riferendo i testi,
e ora a quelli si dice egli è un leco nero . Varchi. METTERSI AL TIEIRZ(
) I ( C. I )] .I , ( il V | ) \ (iN ( ). e Andavano dotto letti sto i rieg Li,
messi al terzo e alla metà ! ! gli: - dagno, a cercar le case, e le var i
ti Irer -- las, i a o l'edità colltro alla legge, i l): I V. Note
al Verbo Mettere - . 628 – Eccone un saggio : to set al monuſ li I
linellere il niente : lo .. set ad usork (porre in opera : to sel on llame li
eſtere a fuo- - co: lo sºt sail nel tere vela: lo set aside mettere da parte ,
- - " lo set one s self (imettersi a.... : so se lo m in l. ere giù
- lo se out (metter fuori, pubblica e lo pul dorn por gilt, nettere a
terra : lo put in u riling In Ilere in isc l'illput in mind mettere in alti ,
ricordare i to put a question; lo put to death ecc. ecc. 269 – Mettere in
abbandono: nelle e tulosso una cosa ecc., nellere le mani adosso, mettere sol
lo l'armi; mette i si in tla i mº; mºl tersi a correre: mettersi, porsi in
animo di 'jar checchessia: mettere in campo; ecc. ecc. i30 – lndi
l'appellativo messa, pallone o germoglio della pianta. « Quel rigòglio è pur
vago. I rallo e l'odio dal soperchia che fanno le mºsse degli alberi, essendo
il succhio ... Cesari.Analogo al mettere delle piante è l'altro modo: mettere
pr - sona, cioè crescere di corporali Ira. 631 – Si dice anche, con
valore di egual significato, dar animo. Il modo meltersi in animo di far 1. c.
vale proporsi di farla ». (5:32 (5.3.3 (3 (53,
(5.3(5 (5:3, io m'ho più volte messo in animo.... di volere con
questo nu ſolo provare se così è p. Bocc. Conſ. avanti Voce Animo. Neh!
questo metter pensiero non.... è ben altra cosa che il mettere in pensiero.
- Avrai avvertito differenza i ra il meller tarola (a, e metter la
tar'ola. Il primo è la r lanchetti, dal pranzi, il secondo ap parecchiar la
tavola. Sinile mettere a repentaglio - Giuberti adopera il verbo git lare
ecc. • Pronto al meno no cenno di gillare ad ogni sba l'uti/lio o. Noli
ricol (lo si allo stesso modo e valore siasi mai usata la rnia nelle e al
sacco: Giul), ed altri l'adoperano in senso dii ripio, 1 e, mette da parte, far
tesoro. « Debbo saper grado al Padre Curci che non abbia sdegnato di mettere a
sacco la lingua e lo stile delle mie opere . Giub. Melte mano in
checchessia o di lar checchessia significa co m in cicli di palla rue e c. Col
I Muno (al). 2. ( Se il m o l?a l'1 e I. Al clersi al ritorno re, e
simili, è il laniera elitica e vale accin gol si all'azione, all'ill, presa
del..... Mettersi o porsi, in ge le tale, e la r q. c. è all rolla e che il
cori linciare, apparecchiar si, porsi nello stato di farla. Si dice anche
mettersi coll'anima e col col lo t... ( Si mºlle con l'anima e col corpo al
dice al la r l ich '5 st . lºl'. (ii il d.Re care Sil primo significato è
il l di poi la e, si rire. Il talu, i (Illali cosi' io llllle di ſua coli n e o
di votarne il recai ed holl 1 e ... 13oº'. e con il significa i resi in li lig
Il al miele a recare d'una ill alil a liligi la v. ecc. Mia poli III lil
al li isl 1 l issi di quies era, e il I rili li alle 11 la Iliere: lº e' st e
il no, una cosa ci l 'c li ºss lat, a far lecci es . sia, recarsi a....... liele
Illilli il V e io i reati e sigilli, i ſilando condill re, ridurre, indul re, e
quando i riliire. I l ...., il V ( l e va dicendo). .. li Ille-t Il l: l
' 1 tl i i l: - i mini recasti. I3 o 20 I - I i ls ' il - l si l: recarsi a
condizione di privato. a ( a s. .... sol che esso si recasse a prender 11
glie. I3 . Vedi modo e sappi - , oli di l: parole il pil i recare al piacer
mio. 13o . II lis- 5000 fiori il loro i litro a 1000. . ll e io la sll, di
reche a rei a miei piaceri. I3o .il Vello già liledira: o gli animi d i s.it i
baroni, e recatigli alla vo glia sua.» (riallil,I ti: l l'orri i- di 1. I l s.
vel . l i r, casse la madre e prin cipi e..... a dover esser cori I lit '
( 1 - i Qllesti recando a suo proprio quel con il Villlierlo di I o Izi,
a poco si 1611 le clle coll..... » I Bill'1. - - l'eputaldo, considerando
sullo la r pri .. . e Ne recava a prestigio i miracoli, e la santità ad
ipocrisia. l?art. attribuiva, o aveva il conto di..... a recava la mia
rettitudine ad ipocrisia. (iiil lill). . niun altro l'olila 11 , di sua
grandezza il V e il V l Ito dlle lipot i il ll 1 i corpi, recandosi le cose
ancor di Iori il la a gloria. Da V.« . .. lle v'è uomo che legni di fir se
Vilio della slla persona che sel reche rebbono a viltà. » I3:1 rt.Mangiavanº i carne
il venerdi e il sabato, e come cosa orali ai passata e in usanza e comune, nè a
coscienza sel recavano, nè a vergogna. Bart. 52, « Non si recava a vergogna di
fare, bisognandolo, l'arbitro con lo dal la belti.... » Balt.« E dicesi nella
storia di Santa Marta che non sia niuno che creda ch'ella desse il corpo suo a
ſanta vergogna: chè quello unoli lo sarebbesollel to, le ll I ratello cogli
altri su i parenti e amici l'avrebbero e li al celata, impero, le se
l'avrebbero recato a vergogna.» Cavalca (528) E vi sara cli per contrario se la
rechi una carica a piacere, a premio, a riposo, e.... S - :).e generalmente o
il lancio, il ril ci rechiamo ad un genere di empietà e offesa a qualsivogia a
ilmale, quando egli non ci dà noia?» Segn. ll – e le : l le , Fi, al di l orlìa
1 di sl , ll la l'ott 1, e 11 in fillelllo d'in sse; li t. It con 1 l ils: l '
, no; i clle Vilì c'ere i - ilì molte haitaglie, ne recò a più alto principio
la cagiona e oltre - io ho veralmente era, i sse i ll , si era il V V ei
lilli , il vi: ill, 'i . I l i pic lo es reit , del re doll i – l . e/ se
\ , Va. l . ; le I) i l rist l li , a . l sei za niun risparmio, N
si | | | ( V.I RSI | N S . il strelto alla 1 si sta i ltto in se
mediesimo si recò, e con sembiante 1 a V e a 'e ll it l aºs i tre lisse
l3, i li. | R | ,( V | è SI IN VIA N ( ) | V | | Si VI \ N ( ) I RI ( AI
SI IN ( ( ) l.I.t ) ( | | | ( ( II ESSIA \ oi vi recherete in mano il
vostro coltello ignudo, e con un malviso e tilt to tu balo V e l'anall et g ti
per le sca', el a idrete dice: do; lo ſo lot , il l)i lle o il cog el'o . . . l
' ve. I 33llfli liti o recatosi in mano uno de' ciottoli elle 1 a volti a Vea,
disse: l)el V ed si -se egli teste nelle l e lil a Calandrino, e : ... o I 31 .
. .(olli e il li elobe Il., 1 , li lega i recatasi per mano la stanga
dell'uscio, lioni e sto prima di latte. Il 1 le pel si la stanga le raddo di
malmo.» I el l /.e recatosi suo sacco in collo riposo ni li che egli
ehloe vinto il ſolito.... 13: l'I. l: I VIRSI CO) I I ESE teme le
mani al petto, per riverenza, di rosione, piu'll . i let: Illesi , e
latto, recandosi cortese disse.... » Sacch. | V | | | IN | ,l ( I
Iſetti, il gran tempo, sia i mas osi, ci appare chiamo a recare in a luce o
all's Licht lo ingen). Giamb.r- a - li ECARSI UBBIA DI....... « Per
dilungarsi dal morto, e Iliggi l'ubbia e le seri prº si recava le « Inolti.»
Sacch. IRECARSI A MIENTE (Itidui si a memoria, sorreni e . a Và, e
non volere oggi mai piu pecca e. Recati a mente, e vedrai che.... a I Passa
V.Onde meglio è, sostenere la vergogna degli Iloii, Ini che quella di Dio, a
recandoci a mente (Illello che dice la Sci Itt il ra 11 l lilol della «
parlando in persona di coloro che il rollo di risori, cioe Sapienza, is
ll terril itoli le giusti; i (It.all.... » l?assa V. IRECARE IN I N )
nellere insieme, a comunanza, in cui molo, la re un fascio ecc. ). « Voi
siete ricchissili, i giovani, li lello e le llo, i soli io: il ve voi vogliate
a recare le vostre ricchezze in uno e in lar terzo possell: ore oli V oi insieme
e di quelle...., senz'alcun fallo mi da il cuor di la , e, le.. . . Bocc.
l? EC.Alº:SELA (o anche recarsi assoluta non le maniera elettica e ralle
offendersi, pigliare il traie, pigliare in offesa come falli a sè, o coll'a
blatiro della persona, o coll'espression della cagione ecc.. e recaronsi che
gli aretini avesso i loro rotta la pace, a V Ill. « Checchè egli l'abbia di III
detto, io no, voglio, che il vi rechiate, e se 11oli corile da uno ubbriaco. o
13 , la consideria oli le c, fatta vi da un ubbriaco). -in da 11 a V
I Nota al Verbo Recare 526 – Simili i modi: recare a fine, a
perfezione checchessia cioè ſi nirlo, perfezionarlo, recarsi a menſe, recare in
uso ecc. V. il presso.527 – Nota qui la frase: recarsi checchessia a coscienza,
ciºè lº ninrderne la conoscenza, e simili.52S – Così dicesi recarsi checchessia
a noia, a onore, a Ilºil, º lº rore ecc. cioè stimar nojos, ecc., reputa
il “ Mi liº una grande ingiuria a stili , mi di si p o giudizio che ll il
mi debba ripulare a farore, che li esser N. N. si degli di stºri verini ». Cal'
.F corta re Al l lano i rili Is , elellico di portarsi per portar rici.
Qui vogliº lisl rilenzi, il re alculli usi notevolissimi e ina niere assai fre
le li sºllia per il la ai classici quello che li li fa il moder li e poco
spello del pari tre latliano , cioè l'uso del verbo portare a va lore di
esigere, richiedere, in prorla e, comportare, sopportare e simili; e le
maniere: portati dolo e, poi, la r no a uli che chessia: portar osservan sot,
onore, ricerca sa, l ispello a lui li sssia, portar amore; portar pena: portar
per i lenza; portati pericolo di al'.... poi la r il pregio valer la pena :
portar opinione. I rl ( es. porla in pace checchessia: portarsi d'ai il no e
Val di elido () i noli e gli ºri Ilde - i tizi ile , lollo prº sstuma
oltre alla sua forza, e fa cia le imprese piu che non porta il sito potere? »
l'assav. e lº sta che i polelli ssilli dispor di lei, e se non quanto porta e
il dovere. » ( all'o.Nelle passioni l'a lliIl r. Il liti S.s: lite portar dov:
ebhe la sua lla il ril, lIl l . . ll la V , º l?a l'lo.Il segreto della
profondi - si lli: za di l) lo portava, che solamente dopo 10 secoli.... »
Cers.a Vennero le due g lov il lette il dile giallo) e di zºld º do bellissime
con due grandissimi piatelli d'argento in mano pieni di varii 1 litti secondo .
lle il 1 l ... loli portava. o lºMla io credo IV e ne dett pil re assai. A |fe
si a quello che porta il tempo, 11 le lilt:: via l il 1 l Ces. I :i
natura del l s i porta così e io, il - e lº può altro. » ( -. Non portavano
quelle idee che egli dovesse avere presto un numero « o d'i!) finite V
i.... . » (' -. Conservate il vostro, lion spendete piu che portino le vostre
facoltà, fuggite i vizi, seguitate la virtù. » Pandolfini. .... questa
volta parmi aver la cosa certa che il sogno portasse che... Ces. a
Portando egli di questi cosa grandissima noia, non sapendo che falsi,
propose di averne parere con mosse lo prele. » Bocc. So, i testimonio
dell'amore ch'egli vi portava e dell'animo che le neva di farvi grande.
Caro. l'ex donerà questa inia presunzione all'amore che le porto da fedel
solº Vito l'e. » (art). ... i quali del giovane portavano si gran dolore
che... » loce. « E bene bisognava ch'egli li fortificasse, chè da ivi a pochi di
avevano a a portare smisurato dolore. » Cavalca,« Di che il padre, e la madre
del giovane portavano si gran dolore e malinconia, che in aggiore non si siria
potuta portare.» 13o .« Ma Iddio, giusto riguardatore degli alti il merili, 'e
mobile Iemmina - conoscendo, e senza colpa penitenza portar de
l'al: ru pe cato, altra mente dispose. » Bocc. - « Percio' lì è
quando io gli dissi l'amore il quale io a costui portava, e la dimestichezza
che io aveva si o, Irli capo II li spaventa, (livelli loin l.... . I 3 ,
. le all o!' « E da quell'ora il li illzi gli pcrtò sempre onore e
riverenza. » Fioret I. E 11 lì è da falsene il raviglia. I lil pensisse
lo sterminato bene ch'el leno portavano alla persona sia o C i va. a. « E
se il confessore lo riprendesse dei suoi vizi, porti lo pazientemente: chè sono
inolti che, per essere tanto umili e gli isti, spesse volte si biasi mano
eglino stessi: ma se interviene, che altri gli riprenda, non lo portano
pazientemente, ma iº degli I no.... » Passav.« ....porterà espresso pericolo di
riceve e vergog :i e dal lillo. , (iia lill). a Sfirmiamo che pcrti
il pregio rilett : s tl dl Ill st luoghi. » Segn. a ... lion portava il
pregio ch V | V I rom pesi e il sonno per risponderº a III e, di cosa
massimamente chi lilla II, II i V a l o Ma sai che e' portatelo in pace.
» I 3 . « So tu ti porterai bene d'altrui, convien cli altri si porti di te, e
Fioretti.Ajutare L'aiutare dei pochi esempi che qui arreco non è
l'ordinario e comune di presta aiuto, socco so (ail lelen , ma si rassomiglia
al to help degli inglesi, nei costruiti fig.li lo help forucard, lo help of the
time, to help lo ecc. ecc., e dice cosa, in generale, che cresce altrui virtù,
o dà I nodo d'operare. Noterai ancora i nodi aiuta, e alcuno, aiutarsi da chec
chessia; aiutare uno di una cosa: aiuta, si al lar checchessia ecc. “
.... e che l'Inilia cantasse il na . il Zone dal Lillto di l)ione aiutata. »
Bocr'. (guidata, accompagnata .e Ritornò si notand piu da patira , le da forza
aiutato. » Docc. sorret to, sospinto j.Fa Itisi tirare a paiiscalini ed aiutati
dal mare, si accostarono al pic ciol legno. » Bocc. sorretti e sospinti .Ma
quel povero Iritto, per aver a con le tar troppi vervelli, e di varie e mature,
spacciata Iriente si inti e di l::i i : si iroli e forte aiutato di lavo a
recci e di concime. l):tv.« Al lllla lolloni - e al 12a lo! ese, e il lile! :l
ajutaio, lº rese nulov , con siglio. I 3 r . . . . . llQlle - le parti si posso
lo aiutare e collo balillage e co.i soppalli.» Fierenz 571).E se Illesio può
fare il senno per se Inedesimo, quanto maggiormente Il dee 1are chi dalla
opportunita , intendi necessita e aiutato o sospinto.» l30 c.Ajutava le parole
col piangere, col darsi delle mani nel viso e nel letto. Se n. aggiungeva
Virtti alle parole .Ma se il lla pl o la par li a lia del celerino per via di
medicina se ne a prenda, con lierà lo stomaco, e aiuterà la Virtu digestiva, e
farà buono il lito. » Cl es . . ll orrera a rinforzare, a ravvivare, a
promuovere). « Per fare ancora i vini piccanti, saporiti e dolci, aiuta assai,
dopo la prima sera, che siell 1messi... i grappoli inel tino. Soder Vit. (gi
va, adopera . Tuttavia, se la pers, ma fece quel cle eila potè, e non ci
commise ne e gligenza, e ledettesi a vel i- il mio confessore, la buona fede in
questo caso l'aiuta, e 'l sommo sacerdote lidio compie quello che mancò nel
de fettuoso prele, o Passav. A.IUTARE I) A CIll.CCIIESSIA, E ANCHE
DI CIIECCHESSIA. « Vedi la bestia, per cui io mi volsi, Ajutami da lei, famoso
saggio e Cln'ella mi fa tremar le vene e i polsi. » IDante,(difendimi da....
()ppure maniera clittica: aiutami a fuggire a difendermi da loi).« Or ov'è 'l
naso ch'avevi per odorare? Non ti potesſi dai vermi aiu « tare? » Jac. Tod.«
Anche ::lolto è da col Sidlerare e da Il 1t la Vigliare che, essendo solo,
tutti i 11 st.li idoli gittò il : tel l'a , e iº li ill la cosa gli poterono
luocere, nè da lui aiutarsi. » Caval. (life! 1tlersi . a Pero ('ll è : i
Frances lli non atavano li Romani dalle ingiurie de I,OIII e liardi e dei
Toscani; ne il Pap 1, ne la Chiesa l ' tiranni che lo perse a guic 11t). »
Vill. (i. 572 . e lo fo voto a Dio, l'ajutarmene al Sindacato. ioe
d'aiutarmi da que sta cosa al...., o di li, 1 l'ere, il ll'ajuto le l.... , Boc
.Io vò infino a città per a illla m a Vi enda, e porto queste cose a Ser a l
3olla corri d' (i inestre, o, c le m'ajuti di non so che nn ha fatto richiedere
per una comparigione.... il giull e del dificio. Bocc.a Sempre o poveri di Dio
[ile!!o che lo giadagnato ho partito per n mezzo, la lilia Ineta
col Veri e il l is tra Iletà dall do loro; e di ciò m'ha si il mio Creatore
aiutato, che io ho sempre di loelle ill me - glio fatti i fil 11 l inici. n 130
. e Alberſ o d'Arezzo era te ! 111 egio, le per delolto il quale gli era
addolmandato e mitra ragione: onde e si ra Intl lido a S. Franco che di ciò il
dovesse aiutare. » V ;1. SS. Tad. A.I l I'.Al ' SI A...... a ....
Ti o, ipo -olio rimasto dei lise le mie speranze: III lºt'e Voi, lìoll O sta
inte si g l al lilot I V , di rai VV i dervi, il V e il test i pillttosto a
prevaricare, e non vegognandovi, quasi clissi di al collo la lite ingorde,
indisciplina e, le quali allora si aiutano a darsi bei tempo, era pola 11do per
ogni piaggia, carola ndo per ogni prato, quando antivegg, no che gia sovrasta
procella , Segn. s'ingegnano, pro iº lo trachten, tàchent). Nota al
Verbo Aiutare 571 – Parla del seno delle donne che per parer più pieno si
può.... . 572 – Così l'ediz. fior.; – La Cro Sca e La stampa delle Soc. tip
. Class. ital. leggono un po' diversalmente: lion atavano (aiutat vano,
nè liberatrano i lio mani. S e ritire \' illo solillo al Isi pi ii e in
no comuni oggidì. Si ado lº' i ''l ct ''l Nºttso, il gºl l pprensione,
coscienza, notizia di chec lºssli, li guardi come il latº glise. Nota i nodi:
sentirsi, sentirsi (il capo...... ; Nºn li re dl il 1 l gelsi, avvertirlo , la
r sentire ad alcuno; N. il lir (le'l gli e' cio, li ul, l'', l'a mia l o ecc
scºni lir bene, mi alle di checchessia, e simili. lo soli i ll ella sento
di me. , Rocc. \ V e i tit Illa ira solº ai la lollia le quasi non si sentia. »
Bocc. ll (Illi, le si alte: il letta ogni parte del corpo loro avea
considerata, lls, el l -se deli a Illa, le chi ai? I n l'avesse pulito, non si
sarebbe sen tºto. » Bo se al 1 o l'avesse punto mi li ne avrebbe avuto il
senso). l) l'1 e le lla I d glli il test i e le ii senti al capo. » l3oce. I me
ne sento alla borsa. ( ... ll I. S. Bernardo di e li mi ni loro stupido e
che non si sente, è più di º ll I ligi la lla Salt l' 1 ss. l 1 no
li il senso li sè stessº, i. ( olli lel quale - la i vizio della super leia, e
non si sente, cade nel V Iz lo lella lissili la del' 1 a 1 ne, e I diio
palese il suo peccato, acciocchè la co . fusione e la nla li la lel
peccato brutto lo fa la risentire, che prima er: il sensibile , l ' s sv
. \ V e I talit ezza per l ' s lllite dell'allina, che della morte del si
sentia niente. ti i.a Il rumore dell' 1 al 1 : :: van ls li a grande, e quello
che più lor gr. l V il V a el . . ll e-- oteva no sapere, il l ossero stati coloro
che i pita la V e vallo. VI: ( li, il l Illa 'e liti e le atl a il no altro ne
calea li in aspettº i di li lov erlo in Ischia sentire, fatta armare una
fregata, S I \ i ll lito. (. . . l 3o . le: le [lli li elite, e con le
addormentato il sente, cosi apre l'uscio e vi sene dentro. o lºo ('. \la poi
che ella il senti tacer disse: o l?o « Non potrei sentir cosa alcu ma che mi
osse più grata, che ierl'esser le!la slla lollolla gl azil. » ( asil.si mise in
cuore, se alla giovane piacesse, di far che questa cosa avreb be per effetto; e
per interpositi persona sentito che a grado l'era, con lei si col venire di
doversi e in lui di IRoll la fuggire. » l'8o c. 529). IPer io hº se rigli' rdat
, v'av: ssi, non ti sento di sì grosso imgegno clle tll essi Illella , oliosi
ill to rose, che.... » l'80cc,I a giovane d'esser pil in terra che lº mare,
niente sentiva. » IBoce. (530). (ollo il tavola il solitº l'olio, così se le
scesero alla strada, o Doc C,e Senza farne alcuna cosa sentire al giov., III -
III Ise o il via a Bocc. “ E col mandato alla lor fa nie, le opi : ' viº, per
la quale quivi son trava, dimorasse, e gli 11 -e se a 1.1o v In Is-e, e loro il
facesse sentire, tiltlc e sette sl si vogliarono i l ent: i l el laglietto. »
I3o .\ Vvellº le 1:ll' 11 Ille cl, (.ri, e' o, ( Irlino al palo con un stio a
Inico a ce la I e e fatto lo sentire i (i la l.lole, compose con lui, che
quando un certo enno a esse, egli vi -- e troverebbe l'uscio aperto, La
fante d'altra parte lui nte di Ille- o si prend, fece sentire a Minghino clo
(iia corilino l:ori vi . ilava e gli dissi » Bocc. Venuſ o il dl si
alleint e l -sendosi a Vl: ddi le ha 11 ovata morta, III rono alcuni clie per
invidia e l dio h a l gli tto portavano, sul lita III ( )11 ( :il l)ll a
l'ebbero fatto sentire. » le non si ppiendo per il I | tergli presta mia
disposizion fargli sen tire più accornei:unc)lle cle per te. i ti collinettere
la voglio 13o . « Come il sapore del V Ilio vo clio, che per vecchiezza
sente d'amaro....» Sollec. I Pist. 03.Non era nel bilono investigator. l i
pieni a ve: la borsa, che di chi e di scemo nella fede sentisse. , I3o .a Io il
quale sento dello scemo a 17 i che lui, lei vi debbo esser caro.» Bocc. « Ed
oltr'a e io disse ti co- li questi - la bellezza, che lui un fa. s|ilio) ad Il
dire. Fl'ite \ Il melt, li costei sentiva dello scemo. » Bocc. 531,. Ttl
st -:) Vissililo, e riel; e se li I)io senti molto avanti. » I3t) 5.3 ?).
Vll'ill ontro chi, colli e tº. Sente si poco avanti lelle slle file desillo e
se, che di se goli si ricorda, nè sa qual si vivesse sotto gl'innullerabili
stati e che nel decorso dell'eternità ha mutati, segno è che.... » l' irrcllo
morl) sente molto avanti nelle regi lli delle bilolle e l'eanze.» (i
illlo. a S. Greg. S. Agost., S. Ambr., S Girol., che sono i quattro i
principali dottori (li Sa.'lta Chiesa, sentono tutti concordemente l'opposto. »
Segn. e Cerf:n ci sa è, che nè lileno i suoi ni: i levoli stessi ne sentono si
empia mente; anzi molti ancor de genili lo reputaron profeta di gran virtù.»
Segui. a I Jacobiti sollo ( l'isti a 'li...., londillelli) male della fede
cristiana Sen « tono. » IPºtl'. lloril. ill.e Della provvidenza degli Iddii
niente mi pare che voi sentiate. » Bocc. « Allora udi: direttamente senti, Se
bene intendi perchè la ripose Tra le sustanze. » Danſe (Par. 24.).e Ciascuno
studias-e sopra la questioni della vision º de Santi, e faces a sene a lui
relazione, secondo che ciascuno sentisse, o del pri) o del con a tro. » (i.
Vill.a Del suo pelo del cavallo) diversi uomini diverse cose sentirono: Ima s
pare a più. che baio scuro è da lodar sopra tutti. » Cresca Questo Inedesillo
pare che senta Santo Agostino, quando parla della « l'esul'l'eziolle di Cristo.
» Vled. Vit. (r. e Virtù, dice, è diritta niente di Dio sentire e
dirittamente tra gli uomini a vivere, e operare. » Caval. Conferisca gli
tutto quelio le ella sente, come farebbe a me proprio. » Casa. Nota al
Verbo Sentire 2!) Il V el'inchineri dei tedeschi: Analoga l'altra frase
(v. appresso): la c all rul sentire chi ce li ossia cioè operare fare in
modo che la non i via Venga il suo l'ecclli ecc. lo 0 lo che li on
s . Il ll grazie del 13 o accio ed altri), osservava qui il Valiolli, e ne sono
del III to pl Ivo, avrei detto: « La gio valle non si accorgeva se fosse il
lerra o in mal'e o, il che sarebbe dello gl . ss lallali e rile. Il lºoccaccio,
invece di dire: non si accorgeva , dice : nien l Neri li ai clie è molo di dire
più scello; e disponi le parole il selli e lo ſullo con molta mag gior
vaghezza. Zali ell ' e io li a Lib. I. 53 | Noli e ulivo re: Senli, di
scºm, o v. g. nella fede) vale nati l' aver diſello di..... ; e sentir dello
scemo è aver poco senno, aver la qualità di clil è scenio. Sentir dello
scemo stà da sè. e senti di scemio è predica o di checchessia. Analogo a
questo sentire è il sostantivo sentiva della nota fra se sentita di
guerra. 32 .... mia egli con miglior sen lite di guerra, si era
posto in ag gilato dietro alle spalle di una montagna, per rammezzal loro la
via, e cogliergli improvvisi. I 3art.Stare Lascio le definizioni, le
discussioni, lascio i numerazione di qlI clie cose che o tutti sanno o nulla
montano – che uscirei del mio assunto, e troppo vi sarebbe che dire a voler
anche sol accennare a lui ii i modi e forme particolari dell'uso di questo
verbo - , e mi starò contento ad ilculli esempi lei quali il verbo slare è ad
Iso, e ad Ilicio di un valore che lnai o quasi Inai nei costrulli di una
locazione moderna, cioè di chi solo sente e pensa moderna li crite.
Noterai le forme: slare checchessia ad alcuno, per convenirgli, osser gli
dicevole anstehen, zustehen, ed anche per costare: stare bene per com venire,
meritarc. esser ben disposto: stai si, stare per astenersi, rimanersi: slare
(di checchessia per alcuno, per non essere, non aver luogo per call sa di
alcullo: slare uno, due giorni ecc., per indugiare: stati si bene, ma le ecc.
per contenersi: slare, assolillimetile, per non mi i versi stati e di clie
chessia, per essere il ſiles' , ei lo slalo, condizioni e cec.: slal e a lot I
e cli ºcchessia, cioè il dicali e il l IIailili di azioli e le siglli ſi alo
del Vello che seglie ecc. ecc. I qui li II lotti per i clie oriev - olio
i 't alle donne stanno che i gli uomini, il quarto pit . Il ti line e le agli
il fil III l Iliolto par e la re e lui lg , si disdire. I3o .e E sev o volete
essere di quella legge - se il loro, a voi sta: Ina a valli lle.... , I 3 s -1
el l 1 l el Ill 'le) l .Sillito la vo' veller', s' , la dovessi la r per III:
li o lil II rini, che la a non mi stà. » I, rºll Zo di Mleclici. V el l l ll :
l: l s;ì l II e Il non mi Sta. » I 3 , . Bene non istà a lei il clillo. A
| V era la III gel'' (la ril - il sil 1 e il il ti ( Il'io Sollo, '1 : iStà
bene l'attelldere il d all1 , l' . » l 3 m . Frate, bene sta, io li e me li di
roteste cos Ill: ... , l o '. Frate, bene sta; baste: ebbe se egli li avesse
ricolta dal fallgo. » Do . S78. e Io non son ancilllla alla quale questi ill:
la III o almeniti stiamo oggi mai bene. , Bocc. -i al ddi allo).2ssendo egli
bianco º bi º 1 lo; e legg l'1 li o molto e standogli ben la V li il l30 ('.e
io potrei cercare luita Sie:a, e non ve ne troverei uno che così ini a stesse
bene e me quiesto. » Docc.« Avendo studiato a Parigi per saper la ragioli delle
rose e la cagio: a di esse, il che sta bene il gentile lloli 1 . . l 3o .« At
colleerò i fatti Vostri ( i miei il III: lliera e le Starà bene. » l'80 .
a La qualcosa veggendo Stecchi e Marchese cominciavano a dire che a la cosa
stava male. » l'8o c. a .... di che noi in ogni guisa stiam male se cosl
li lilllore.... » Bor ri troviamo a mal pallito).dis- l' ill V: e se avviso lui
Ilai non doversi la a veduto, avesse: ina pur niente perden a lov i Si Stette.
si aste i: il liss 1, il rio - a listelmell I30 ('C'. N isl , li lev si stava.
. l)av. N si s si s i s; i liss . . - Si stesse, e l'80 . lº l' 1: v. I l il
sitº Il le stessero. V ... :lle cessassero, si fer Il luss ( l ' , --
ero (i a noi o non istette per questo che egli passati alquanti di, non
gli r! Inovesse sin – li pirole l 3 . Per me non iStara -: i sia. » I 3,
cº. l' egali dolo, l e se per lei stesse di non venire al suo contado,
gliele si li, ſi iss , l 3 , . S!), . Senza troppo stare t a il
lino e il territo visto gli rispose. » Bocc. - il 1 , sich lange besinnen).l
ve: i IIIa pe: il nº te i ni ivi e no 1 po' Stare un giorno che li ssi . 3
,Siette al quanti l i renz. l i no in Stara molto i l:ì l's il 1. , l lel .
Stando pochi giorni.... l l as it giorni. Ne stette poi guari tempo e le si .
la Iltale della Illin molte ful lieta is: l BtNè sta poi grande spazio le elli,
si ni la Giustizia e la potenzia il I I ) I V - - , l sºl l e. . l 3
SS0'. l I e Ilio - li - Il d. si iellza stavasi innocentemente. » Ca \
si. .. li o 1 i vasi . lº, e lo statti pianamente fino all'i nia tol nata. .
liocc. (.l, polendo stare, via, - ius o è he mal suo grado a terra : i l
ier'.Compa il lato l'opera sta altrimenti che voi non pensate.» Bocc. L'opera
sta pur cosi, ti i sa. I l Vtloi, stare il II; eglio del miº lido. » lºt ,E
relet , porrete irrente le carni nostre come stanno.» Bocc. Staremo a
vedere , olle V i governel e le , Calo. Se volete chiarirvelle state ad udire.
» Se n.«Che dunque mi state a dire non aver voi punto i rotta di convertirvi.»
Segn. . « Non mi state a descriver di I lique il ll'Iliferi, caverne oscuro,
schifezze - º stomacose. » Segn. 881;. - lºra i liolli all'i lli li
col V e lo slal e' gran parte moli e dell' Is Ilo ſereno: STARE CONTENTO
A QUALCI E COSA con lei la serie - ed egli rice! cò almorevolmente. La
basso che stesse contento a dazi ordi a mari. » (iiali. - e Ma siccome
noi Veggiano l'appetito degli uomini a niun termine star e contento. »
Bo( C. « A me li li pare buono collli, il quale lo ista contento al suo
pro prio. » Palld. STAIRE SOPRA SE In ne halten SS2, a
Alquanto sopra sè stette e cominciò a pensare quello che la dovesse o Bo)
, Li Volse dire, senza pit | ns. vi clie e - e u ss (Il 1 l: proli: tt i
Vl a guardandolo fis , nel volto, per V del e se egli diceva la V cro, le
venner a Vedliti quegli occhi spal V n1 i ti...: stette sopra di se e li e però
disse: l'otrebbe esser clic... Fierenz. ST'.\ I º I, SU I,.... - - ST AIR
E SI | , ( il V V | | | | | | | | | ( ( I ( ). ( sillli | | | 3 ( - ST AIRIE SU
LA RIPI I \ZI( ) N E. SI I, IPI N I ( ) | | | | | A ( VV VI.I.E I? I A, I) EL (
( )N V EN I V ( ) I .I . - SI' A | ' I SU I. ( VNI) E c'e'. a Stavano
sempre sul contradirsi e difendere la propria lt - i « Inigliore. » Bart. e
Stalino Irti su la riputazione e gli ideg: « Messer lo corvo io lo paura che il
vostro star sull'onorevole non vi a faccia lIlarcire in questa prigione. »
Fierenz.a E stanno in ciò tanto sul punto della cavalleria che persona di Volgo
« è Inai alm Inc.-- a loro col Vogli. » Bart. : gli 1 il ri . , l3 l:
i. STAIRE A PETTO | ener fronte, reggere al paragone , « si scusò
col dire che non ave: gente di stargli a petto. » (iia Ilil). STAI? I, IN
FIEI)E a Pochi ne corruppe, gli altri stettero in fede. » l)av. SI \ RE
IN SOLI ECI l'UI) INE V. g. de lalli altrui prendersi briga, es serne lui lo premi
tra SI \ It I A Ll.( ( il crisi liti, elorca, la II nella liti...
reggersi secondo... ) l Il e no, le tuito, stava a legge ma umettana, gli
si ribellò... » Bart. S I \ I Rl l?I l l N ( ) / e mi e' e la llo su di
lui l Nilo partito – STAR BENE IN (i \\llº E forſe da la persona SI \ RE
IN CEIRV El.I ( ) (saldo alla pr 111 ss S I \ RE \ | I \ PIR ) \ A di Probe
bestelen – STAR SEN E NEI.I. \ SENI ENZ V NO a lire al visi – STARE I).AI
- I 'OCCIII ( ) ( A | | | V ( ). \la V to io, che gli stava
dall'occhio cattivo, non lo volle udil e....» l'occ. S | V | | | | N N | | | |
| SI' A | R| | N | | N | | N N l. ( o la base del 1 al pil e quasi ai li
o sta in puntelli il mondo.» Fier. si eI tto, le li se in esilio, p - e lo Io e
il ti: i piè Inail o, stava in tentenne. o l: le ( liz Si ponga nelle da
li Ilio all'uso del sosta livo slanza per slare, tral le mº) sl. in lui ſia i
c', lino e lo micilio e c. (il voll:i li in lato veri pla, endogli la
stanza, là g : i (oln e 1 I pia e in stanza in Ille ta i ltta? Fiel enz. E come
le g . a V e li palesse il partire, pur tenendo moli la troppa stanza gli osse
agio e di voli e l'avil o dilettº in tristizia, se n'andò. » l 31 .I ra gli
alti Vlo i l o, cavaliere celebratissimo, e primo perso maggio nella
dell'imperato e in petrò al padr e la stanza stabile nel . Mlea o, e per i o is
reti ministri se ne spedire al regie patenti. » Bart. IPensando voler fare
stanza il ga e continua fuor di Roma, e per la sei i re a l), il so solo ova
rinai il consolato,... » l)a V.Note al Verbo . Stare S7S – Questo bene
sla è maniera in personale e orna all'altra: ( ) - ſimamente, sono con voi,
siamo intesi, basta così ecc. ; oppure all'interiezione: capita, buono allè
ecc. – Simile il modo del l'uso : ben gli sta, cioè l'ha il ritata, e
simili. S79 – Conf. Rimanere – maniera eguale: rimane e per alcuno od -
una cosa dipendere da.... SSO – Alialogo a codesto slare è il sigili il
lo del trio(lo avverliale - poco slan le, non mollo slot n lº..... disse e poco
slante se ne - vide il buon esito . I3a rI. , se li il climpo del pari orire
ess torì un bel figliuolo maschi . I3 cc. SSI – Simile lo slare dei modi:
stare al campo è iè eſsser accani palo, – stare a buona spel al nsot. Pioli di
compassione il conforlò e gli disse che a buona speranza stesse, perciocchè
se.... Iddio il riporrebbe li onde lorº lina l'avea gillalo o. 13ore. ser
venuto; perchè dalla ma di e ijilala non molto stante, par- - CC (”. SS2
- - Esprime l'alto di chi si pone al pensiero, in dubbio, in so spetto. -- I
tiri la nel libblos , sostene e, sopraslaT corri a re Si lsi ci sia le
molle per lo nare a essere, divenire, diventare, lor 1 (tre il 90S , pºi
renire. ridurre, ripori e, iar ritornare, iar diventare lsali\ al lile. l
iuscii , l i londa e ed anche per essere di nuovo ciò che alli i ſo alla cosa
ci si innanzi ecc., finalmeno per andare a stare, prendere Nl ct mi s (t. ;)( !
) . l oggi, poli legali le lito, lo costruzione e l'ordine del l'azione,
e lo si liri, clie lori ci ſi poi accadendo cosa tua. lº a V v l It il il
I e torna uomo Ine tll esser solevi, e lì Olì fal far l ' I l3 . . .l'alto i a
| 11 he tutt , torno li sudole, e tutto trangosciava. » Ca valca 910,\ l spill
1, si rende l'ono alla Verità, e battez z.it tornarono non solamente cristiani,
ma predicatori di Cristo. » IBart. . La nl IV Coletta - I lista e torna in
aria. o Fr. Glord.l)el lle tornò in istatua di sale. » CeSari. I loro pompose
botteghe tornano a orciuoli e zolfanelli. » Sacc. di v si liti il collo il l
essere ... ..() il 1 ltra il ro lo ai la tornavano al buon ll mio forse tre e
mezzo. » Sacc.? E il V V elli, colle del buon cotto che a mezzo torna. » CreSc.
a S1, ll ' I g Ill la l effa iornò a vero. o l?art.a (i la , la Valle, le carni
i listinte ... Egli era tornato ossa e pelle nuda. » ( es: l l'.La caduta di
lºietro torno in fondamento piu solido del suo innalzarsi le lege poi. Ces.Ogni
vizio puo in grandissima noia tornare di colui che l'usa. » (ri doll dare
il.... l o C.A dunque le parole di Crist , tornavano a questa sentenza... »
Cesari, a tanto lo stropiccio on a qua calda che in lui ritornò lo
smarrito colore ed alqua lte delle perdute forze, e le e rivivere) Boce.a inſer
ma di gravissime ed i maldite infermità intanto che la purgatura del naso e le
lagrime degli occhi e il fra ido Ilmore che le usciva dagli lui, cºn le lido:
il terra in ontanelli e ritornava in vermini. » Cavalca. La qual cosa ti memdo
l'aolo, fuggi al deserto e quivi aspettando la fine della persecuzione, con le
piacque a l)io, che sa trarre d'ogni male belle, la necessità tornò in volontà,
e incominciossi a dilettare dello stato dell'eremo per amor di Dio, dove prima
era fuggito per paura mondana....» ( l'avalca. I , lu go studio
della volontaria servitude, la consuetudine avea tornata in natura. » Cavalca.
º sel l'eca un inferno) a casa, e con gran sollecitudine, e con ispesa il torna
nella prima Sanità. Io e. e la quale ſia inina, rapida Ilente consiln io
e tornò in cenere quel poco a che l'era rimasto, o ( es. le e divenir, .Ma il
Si Verio tormolle all'abito e al ritirarmento.... . I 3:1 I t. io e le ſei e
ritornare.“ Qil lio stesso ill, la I a bbona e Io e torno il vento in poppa.
onde sall'ite l'ancore, ripiglia o! I l vi i gio. 13ari. Ie e tornare, .... e
Sp 111a gli 1 11:1, V. , inza, i - II i cd 1 , tcrnò in amicizia i parenti i
degli ammazzati. » l?il l di t-se il l....... e dei suoi zii - lli di II lo
ristor. tornandogli in buono stato. Bocc. 911).a Tornato il re in istato e la
città come era in tranquillo.... » Bocc. i -e fosse stato il piacere a Dio di
tornarlo in istato, tutto .. s - si gulalaglia Va all i lede. » I 3art. No Il
Solalilei 11, avea tornato l'uomo nel primo stato. Il la a V vantaggian (loit
di 1 1 cippi pill dolli l'a Vea - Il bil II la .... (.esil loIII e di.... lIl
lla nella memoria tornato una novella.... » I3o c. Tacitarmente il tornarono
nell'ivello. , 13 , riposero a l'ill ('a la clle IIIali in casa tornatalaSi....
. I 30 . lIn giorno di salvato se lei lo costo: il la 'nzi alia chiesa di
S. ( i lill allo, a nella quale tornavano. I regim V allo I; ost l' V ( st Vo
Nll II lo , Ca Valca. a lº fa venire Simone, il quale torna in casa di Simone
coiaio. » Cavalca fatti Aspo-toli).a colmando il dile sll Zelli che il -
Itassero, e consider: ss l' in quale albergo tornava il vescovo che i veri
predirato a Cavalca. Simile al ragioni lo è il tornare delle frasi: II,
(.( )NT () T()IANA cioè non c'è errore i cl calici lo. I | Ierale: il collo si
riproduce bene, risulta esalto, riviene 912 . TORNAIR 13ENE esser utile,
di piacere...... « Coloro i quali sono grati perchè torna loro bene cosi,
non sono grati se a non quando e quanto torna ben loro. » Varchi.a Scrisse
quello che a suoi i teressi tornava bene di far l'edere. Bill I. e fatela
quando e come ben vi torna. , Bocc. l'( )lº N VIRE IN A ( ( ) N ( I ( ) \......
stal utile lºlºsa che se a Dio fosse piaciuto di prosperarla, tornava
mirabil mente in acconcio al desiderio del Palavi, e a grande utile alla Corona
a dl l'ortogallo. , Bart. l'( ) I N VI RE IN NI EN I E lil liti º
se assai, le ſtia li tutte in vento convertite tornarono in niente. . I ; )
-. l' )| | N VIRl V (il l ()| | | ( ( I | | | )| la Illal e sa
tornandogli alle orecchie. , Fier. Il testo la r o' e tornate agli orecchi
di.... » l?art. l' N VI E \ I ) | | | | V | VIRI e c. si pa rtl e
tornosSi stare in Verona, e (ii:alm! Note al Verbo Tornare !)()S
Sinile al tour ner dei francesi e più ancora al to turn degli in glesi: The
milk, the beer, the urine, le cream, ere g thing li (ul lunn ed sour. l he jeu
is going to turn christian. – l'his young mall first intended to study
Ihe lav, but after W :ards lle l urned Soldiel ecc. ecc. 909 l'illlo
simile anche in ciò all'inglese: lo turn in an inn, e va dicendo. 9 ()
Nolalo questo modo: tornare in sudore, lornare in aria, tor mare in sangue e
simili cioè diventare, convertirsi in.... !) | | Nola, la maniera :
tornare alcuno in islalo, in vita etc. Co testo tornare tiene alcuanto della
natura ed essere di quei ver lui che mi piadue di contrassegnare col nome di
causativi (Par le 2. Cap. 2. Serie 4. Ma è l'uso e la forma al tutto singolare
che vuolsi qui ancora notare. 912 – Tornar con lo simile a metter conto,
metter bene, metter: me glio - è altra cosa: « Non li torna con lo recare
all'anima tua un minimo pregiudizio º Segn.Vernire Olire alle cose
delle alla parte I. Cap. IV Classe II, noterai di que sto verbo i seguelli
usi:\ EN Il 3 E A.... V EN Il ' E IN.... : e il ct rich o V | N | | | | CI I
IE( CIIESSI \ ecc., per dire nire, la rsi, rialli rsi di..... lo ruoli e c'
Nini ill, sul Pil l'as tre rulen, su I l l'ots ka) mi mi ºn e le. gli il
II pe: a lo; i erano venuti a quattro, il le All - lls-ii e dtle ( e-il rl. ,
(iia lill). .... ades, a ndo i piti leggeri di cervello, il bril iati il
danari, preci pitosi i ga bligli, venne a tale che.... l)a Valz . e
assile la Itosi.... a patire la la lire, il s II', sei , con tutti gli altri st
Illi e disagil.clic ..., era gia venuto a un termine. lle il disagio non lo
olfendeva e dell'agio noi si ci a V a (riali W e il briligen dass...., 11 - :
dosi illeri, il venire a volte si furioso.... (i, allil, il (ſlale il tori, ea
lilelli e il nºt e V a 1 il 1 l l li do a V e 1 - o ti il to Il sito altri 11
venuto in povertà, il ire gli il li ri . :) V:llieri, c . I I I I I I I 1 ,
divenne a tania triSiizia e mia iin coinia il si volev l l I-; e il l . » l'
1-- I v. desiderosi vennero il 1 I l l: V . . le; e.... , I 3 , « ... sino a
tanto, he venuta discordia civile tra l ti: io e l'altro paese.... , (i 1,1
mil).« Tanto pili viene lor piacevole. Ili: i to li aggi e stata del salire e
dello slli (olti ro la gri V. Zza. » Bo ('. VIEN II? | IN ()| I. IN |)
ISIPI,I VZ |() N l e Nili i li V | N | | | | IN S( I R].ZI () (.() N. . V | N |
| | | | N | V \ | | (i i | V V | N | | | | V..... per renire, di l riraro.
venutasene in somno furore.... , l 3 , ('. calo il 1 alta trisi izia e il la;
iia a irli: i - I ne vengo in dispe razione. » Fit , l'.Veilezia turbata li .
Il testa per lita sarebbe venuta in qualche disor dine. » (ii: Il j).a M: la
Belcolo: e venne in screzio col Sero, i telli e li fa Vella....» Boc . « Non
ostante che tutti venuti fossero in famiglia, uniti che mai strabo - - ,
le oltre le spel ea. » I3 ge.Chi mi sta pagatore l'Io venga a dimani. » Bart.
Ces. Questa parola parve lol te olltraria alla donna, a quello a che di ve nire
intendeva. I 3 , . VENIRE AI) Al Ct N ) che che sia, conseguire,
meritare. – VENIR | N ( ()N ( I ) \ ENIRE I 3 EN E ad ai tirio per riuscire.
arrenir bene, al maltro all'attimo. VEN | | | V ( ( N SEI RT ( ) V l'Nllº I;
l'()N PUNTO). Nori gli potea venir molto polti tre li dottrina, ne di
speranza, nè di autorita nè li gio! a s'avesse acquistal n. » C aro.( Il le
veniva loro in concio di Il gere, ed essi ll facevano con lor sen e 11 . » I3:
i rt.Col forte le 'la falli e la ali lo si levar l'assedio e tutto venne bene.»
Dav. MI l'asciassero a pi: el e e bilo: empo per le foreste e discorrere a Irle
ben mi venisse. l' el'el./partiamo d . ordo li la sto la soro, il to he ognuno
possa fare della parte sua quello che ben gli viene. Fiorenz.ma per le ogni
cosa gli venisse a conserto, appena fu in porto che s'incontrò il l.... o IX I
l i.\ Iſili hè dove gl ii e venisse buon punto, al re lo mostrasse. »
lºart V ENIRE, VENIR A \ VN 'I per occo , e , v. occorrere, apparire, mo
strarsi, affacciarsi. - Aguzzato lo ingegno gli venne prestamente avanti
quello che dir do a vessº. » I Bot ( . « A rispondere assa glon vengono
prontissime. » Bocc. VIENIRE A l) ALCUN () ll. F AIR CIIECCHIESSIA
(loccare, Jemand die lei le kommel, . A te viene ora il dover dire. o
Boct'. VENIRE AI) ALCUNO DEI CENCIO VENIRE Pl ZZ0) – VENIRE DEl. CAPRINO
e simili - ed anche solo venire per venir fuori uscirne odore, esala l'e
ecc. E quando ella andava per via, sì forte le veniva del concio che
altro che torcere il muso non faceva, quasi puzzo le venisse, di chiunque ve «
desse o scontrasse. » Bot ('. 920). E se non che di tutti un poco vien
del caprino, troppo sarebbe più a piacevole il pianto loro. » Bove,
Dianzi io imbiancai miei veli col sulfo...., sì che ancora ne viene. » Lipp, \
ENIRE DELLE PIANTE per reni, su, mettere, crescere, « Quella che mezzaliani
ente - lo iglia, a liglia e viene. Cresc. VENIRE ALLA MIA, ALLA | UA.....
a Venuto s'è alla tua di condurmi oltre Imonti. » Vill e da hin bringen \
EN II? MI EN ) a chicchessia - gli ºli p. I l:i, i lobi o delle promessº
e simili) \ niti il partito il 1 e il l via lo venir meno al debito delle
loro promesse. I)a V. Risl - , si il ve: a 'I 111 ssa : l' 1 si lill la
le giova il 18 di:lli , al quale non intendeva venir meno. B si ti: 11 e
1 li della s la propria ssi , V EN II I \ ( ENI ) ( ). I ) I ( I,N | ) (
) , ....... e tll (l: ll II il l:lti S1 ll verrete sostenendo. I 3 i '. e
venutogli glia ridato la d . . . [ 1 - Vi - e se l a... ... il venne con
siderando. , I3 . Fi: no alla porta a S. Galio, il vennero lapidando. , (
ovale, e fattosi dall, Illia! til:: venna lor raccontando.... ( - I ri.
L'utilita dell'udi e le ville º si liti di ora in colloscere, e le nel venirli
stirpando.» Cers. la lo) l'o a salitificazioli ( poll istal Ile! llo!) il
Vel difetti, l'Il Note al Verbo Venire ecc. è, in Irli Is .
Il li sll l'e 'oli 920 - - V oniro (lel cºncio ll - [llella spiace
storcimenti e con l'azioni di viso e di p l'Stllil, - - - volezza o nausca che
al rila di ce:icio o cosa illilipsilica che gli verrisse vedi la. scillili, il
lills il 1. : -) () s 2". Altri verbi di particoiare osservazione,
del cui retto uso si adorna il discorso, ed anche l'idea prende talora maggior
grazia e vigoria; e sono: accadere, acconciare, adoperare, apporre, appostare,
appuntare, avvisare, bastare, confortare, cercare, conoscere, correre,
divisare, entrare, fitggire, guardare, investire, lasciare, mancare, mantenere,
menare, mattare, occorrere, occºrpare, ordinare, passare, pensare, perdonare,
procacciare, ragionare, rimanere, rispondere, riuscire, rompere, sapere
scusare, spedire, studiare, tenere, toccare, togliere, usare, itscire, vedere,
volere. Accaci e re Il suo significato con Ilie, e proprio, e lello
di arrenire per caso, inopina la mente, in lei venire, seguire ecc. Il lorno a
questo non accade esemplificare che e molissilio e dell'uso anche più che non
bisogni. Mla gli all i classici : l i al dissi i vagano il l sless , verbo
accadere, in un senso assai pil ial , o elill Icannelli e vario. Gli esempi li
diranno come alcune vo' e si rii ti: con il lotto, con il corso, ed altre con
cºn il '. venir in acconcio, caler a proposito, reni e ad uopo, loccare, di
parlenere, e si ilsi anche a sigilli al e, ora la r di mestieri, bisognare
ecc., ed ora preceduto dalla particella non non essere bisogno, nichl brauchem
ecc. ( cc. Conſ. Pall. I. Cap. III . E in ende ai ancora come un sifalto acca
dere si avvenga alla frase e acizi ci si direbbe sostituendo altra voce o
quello che egli pressapoco º similica. IPerche io ho compero un podero e
voglio o pagare, e fa ne ini, le altri a Iati i miei come accade, a Fiera Inz.
come si l: Il tali e il costanze, o collis bell Illi Vielle, ( c'e'. .
lolina illo...., e iº gli risposi a ogni osa come gli accadeva. » Fier. i cioè
colive.lientemente, adeguatamente, o come lui la V e ol)poi tullo', e
.... e accadendo ti serva di me, o l'iorenz. all'uopo, al bisogno). Io
potrei, per confortarla, venire per infinite alti e vie: ma non accade con una
donna di tanto intelletto entrare a discorrere sopra luoghi volgoli e comuni
della risoluzio. e. ( i ro, non ſa di mestieri, o Illegio, lo i è oli velici e,
dicevole, opportuali, i c. . Etl alla donna, a cui il ll , lº i io
li pi i lito, li : ()r elle s'aspetta? So correi qui non la grini accade. A io
sto conviene, fa d'uopo . Ma dell'Ilso di Inett l'It gelift zio insieme, come
nelle Real di Sl'ilari: I e di Ilioli i sigli i al rilan: e in alci e l'Italia
si vede, essendo ti- , olt: a 111 inta no e 1 li l 11o-tri, a noi non accade
tratta e o l?orgh. lon 1 . ( t, il gli si app:i: tiene a .... e a III e il rio
cadesse il ri; e il vi 11e di ei, avendo rigi a: il che '.... , Bo .. t .
. ss , - appar lesse, , i so, li i i ll io V Non dis-e: i a lizi
(ſt 1: Io la r cadde lº do il le? , ( es. o o se, a V . Vell veli : .- . ll ii
l' .... accada : il la di II lº - stieri..Fece cos e colla pr -: i o!!a spada
che non accade adorna le di l: I: ( e, p Cirle.... , ( : l 'o. i liti e, iroli
e le ossa ri . .Qll:) !ldo il rili di leit I e II li ſi l acca dcno altre ti
-si l: azioni. . (ri, Zzi. lion , li li la d'ltopt di.... . E lic, chi i :
istiani - li Iile ! I po a si'l citudine di sal º : : -i. ] il ce: i letti I l
accade, Sia il I l II toi, le cºl ltsinglliaIlio . è lI::l 'life-ti- iII: , S.
.. . .Ali, il non accade , i 1- I lii : i g male! » Sºgli. Iila: lor: i ti lit
li lit.... .N li accadrà, - . -i, li d'oro il 1 l izi l: i i sta il listino
giornal li le t in . i ! e col Salinis a.... l) ils IIiti in In.. Segm. non sara
bi - Ogil ( ....Non accade per ta: to i lie i t II li' li -so di lui l'in -
l'Ize. lol dl }ivi , i, l1 Il cli . . . . . ll 1: i ', - , Il li Sºg lì.Vi bast
ri e ai la s; e iº li mi l britto a o che fu commesso, mln . . . il mio lo; e
qlla ido, altri, il e o lo o ign ra lite. A olesse e spritri, o, avvis it, lo
amorevolmente che non accade. Segn, non con vie: -i - Vie . l .Il qui e disse
al detto Fed rigo: \ndate a trovare un certo giovane ore e fice che ha il III e
le velluto: quello vi servira li ti belli e gel o non e gli accade II io
disegno: ma poi li è voi non pen-iale che di tal piccola cosa io v e in fila
giro l ' ſ tiche. Inolto v lentieri vi l'iro Il m po o di di a segno. » Bell
Cell (non è bisogno che egli abbia, o io gli fa ria Il litio (lisegllo .A cc
orm ciare la ssi sºlº il ro - se e se li rai ii garbo e non so che di
eletto, ll Viºli alla II se la Iso i si litio di questo verbo. Guarda come, e
il lilli | is ssi I, elio che non là ordinariamente il Il 1 del'11 . Sgrill I l
pl plio, acconi da e, assellare, disporre accon cui mi cºn le mºlle e in buon
ordine al l inger, si richten, lo dress, allogare ssi i i ssa a conciati e le
gambe, le braccia, la testa, ll il ct col Not, il luci col tr . (. ll 1 l. ll .
. . . . di colecisti e cut ralli, uccelli, diamanti, l'ilari e ce : lesto
verbo, costrutti e maniere leggi: i dri, e li ill sigli il l più aplo e
figurato. Acconcio le braccia i li, l l io l'. (.lle si s .... e, a da l
idel e .. averla veduta quali lo s'acconciava la testa. (Illanta diligenza, con
qualita il ll Iel: l i - - , l SI | o! | i ti va, la V Via Va, intreccia Va,
ol' il via i l lil'Il sil i l i 11 il lo e le li li sappiamo acconciare le
camere, ne lar, in olte , sa le a . . si lati: lo sta si richieggono.» Bocc. E
e il tro i la si pe ll it lta, la quale molti pruni e al loscelli avevano
acconcio il modo di iolo o d'una capillnet a. » l'ioret, Racconciava , i le ,
(.es.E' e all'il: ci lire i diamanti non si possa lo acconciar soli, i
l': i , il l: -- l tra l ' o. » l8ell. Cell. i vz: ezioli e le lezza elle
e si veggo:lt il lili iE si acconci i lil, . . . . . . . . . i lor ronzini, e
il lesse l ' va ige, e lº \ sl e I I I I se li ve : ero a F l'elize. I 3 r . ri
è st l'illi, il ll(ili ni: elido . lle a vela l': i slis- gl tl , e g O\ el'll
Ssel:ì bene. Chi libio, acconcia la grù, la II - a filoco, e col sollecitudine
a cuo .VI esse l' . . . . . . preso, e per acconciar uccelli viene in notizia
al - .Acconcia il tuo i i possº esser tolto....; se l:ai d. ll: acconciali per
modo li si sappia sieno tuoi.... » Morell. ( 1. ( 1 , il\ vello a tu qll il
Coni e il figliuolo e la figliuola acconci, pensò di più a li le cliniora e il
l Inglilterra e lº allogati, i messi a posto”. Seglioli al time parlicola
i manici e usi diversi del verbo Vccon cia e conciare .ACCONCIARSI p. es. alla
mensa. Fior.: ed anche in significato di porsi a sedere, mettersi a giacere
acconcia mente, assellarsi ecc. . Si acconciò gentil IIlell, e i ti voi:
. Egli verrà la 1 Voi il 11a bestia nera e o li liti,... (Illa ndo a
costata vi salà e Voi allora Vi Salil Salso. e colli e slls , vi siete
acconcio, così a Irl) do e che se steste e ries . Vi rc II e IIiani a tito, se
:iza piu o ai la bestia. » I 30 ('. \ ( ( ( )N ( I \ ItSi esser
utcconcio ut, o li lati che ce li c'Nslal ciclot I lati si, russº gnarsi,
esser disposto. Il to, tppa i cech lato..... Io lo :l po-so acconciarmi a
l el I e re.... » l 3 , . \ (livelli le li I): 111 .. . a pl i ro a ... -
l'e. sospil i.... non pote; gli rendere la lei dili i donila: per i quali
cosa oli | il pazienza s'acconciò a scstenere l'aver perduto la -la pl es Inza
I 3 , .e Io non posso acconciarmi a perdere il fi l'io a file si cal . Cesari.
« Io mi sono acconcio a biasimar to I 11 che Asp) , gli lotli. » I): I V.
Io sono acconcio a voler vincere Il -: i cºnti. » I 3 . E come io sarò
acconcio, V -st ) e alla va º lº i . Non è ia carli e acconcia di
sostenere . r i ve l Fr. (ii in l. Quanto più se puro, piti se acccncio
di ricevere Iddio e Fr. Ci lo d. Quivi volti i navi in tiri ſia rico, in
acconcio di lavorarvi. » Bali. i la V l',1 : vi m a E ve le;
do l' Argilla i in concio di cavalcare. 13o (disposto, appa l' chi
lt).... i A( ( ( )N ( I \ RSI ctconciati e atlcino ( ( ) N ( I | I ( ( I
l ESSI A conciliarsi, (te cordarsi pacificatrsi . \lla fine...
s'acconciò col Fiore: il il li :lti i ( illelli (li l si allit, to: Il
ssi iI Vleli agli 1. o V ill. (i. Lo e pri: la II :ito il ole, per
racconciarlo con Messer :) lo li Valois. o Vill. (i. ... col quale entrata
in parole, con lui s'acconciò per servitore facen a dosi elli: II; il r
l: Fiºmille. » I 3 ( . Nola questa forma singolare: acconciarsi con
alcuno pºi se ritore. \CCONCI \ ItSI NEI I VNIMI ) capacitarsi. I 'carsi
a crede e persua tlersi. (ili ei trul. \lti Silli SI, V ii e ! :i 'li,
l'Isalli, e ci sia - acconciar nell'animo. ) aCCc: i ciar ine! l'aninno ,
l l3 - li V . I distinzione e \ ietti li ! I Ve!'l, l: (i iallllo.
(ieil. la melitoria e le |! l - , vi E acconciare nel mio animo, e
non ini parea lecita - l - e-- l - lº s; - li S liatori. » I
3: u. Lat. \ ( C )N ( I \ A Nl VI \ / i pati si alla no le col
ricevere l Set 1 e mi cºn li li il ciliotti lº si con ll li ecc. Vi
es . ( acconciasse i fatti dell'anima t: glla le, e l a li: il 1 e
il . . l l: l. sl a i (lisse 'lie egli susa, i l si che egli la voleva Z:
eri Vil. SS. I Pil (ll'. v( ( ( ) N ( I \ | RS | | | | | | A N | VI
\ il n. i da i falli dell'anima . ct no io rsi in ciò che riguar N
e ciate dell'anima Il n al! Si li: i pilli ! sto cle vi accon
- i lì piu al tempo, V ( ( ( ) N ( I \ N ( ) \ V | N V | | | | | | (il
('c'e'. F.1: e volesse stare a ctl i l'u . - I l a bottega. E
Vi , l Acconcio con Maestro , la rasse i . . . . l
acconciateli I tl. lillo , a io lì è inil \ l. ( N ( I \ I tl. VI (
Il N ) pr millo. Il tra Ilia I l . l i nºn lati lo ecc. su l ich len.
\ ii farò acconciare i l Illia lii º l i si tr . . . . . lle
tll ci vive: ai. » l 3o . ... Aloi li . m'acconciò questi ll e g le
I); o V el li o, o ( a ri . Sll : il l lilli 1 , l is s'. ll I Il 1
littl. I);l V. lliti sei lili la ll !! ll glie lo concierò l'eli io
lº \ IR E. I ESSI A IN A ( C ) N ( I ) li.... in vantaggio..., facen do cioè se
r , e checchè sia a suoi lini ecc. l?erg: lilino i lor:i, senza pil nl o
pensi e, quasi molto tempo pelsato a il V e -- e, subitamente in acconcio de'
fatti suoi disse questa novella. » lºoct'. ( \l) Eli li reni e, lo ma, I
N A l in 1 l propºsito, reni in luglio, rec. . Qui cade in acconcio , I , i : i
S. l l si i lºrº di ioso voli in ... , se iTorna in acconcio l i - . I l S. , ,
, i Nºi voi i 11 - i º se stiti - il re: il 1. º , a tra i -, z º di e,
dal e più acconcio ci veniva, i l ingrºssare il vo . Il V Ad
operare Per poco che al li sappia di Lingua, si accorge ben osſo che il
voi , di loperare dei seglie il I sei il pi è ai l i costi dei lorº il rio e
con illo ad ºgni pelli volgare. - No ai soli a l I I I I : alopei a e bene, ma
le o anche solo taloperai e, per lipo i lati si, gore, narsi, con le nei si;
alope) tre, operare, la r opei a con alcuno li e..... l 'pri ti e', operati e
che.... pºr lati sì, procacciatºre ci : e inali, il ciclopici ai ci ... per
conferi e, esser utile, gioca c', o con lo si i e oggi lo on influire. l
eggi a Iuo prò e al dile o al resi. V i lido col e si e-s, li iii , ol, i
quaie avea l adoperato per le a slie III: li I. , I o el1 I (verrichtei). a ll
re quariiunque adoperasse i º pr. a, an's Werk seizen). a Mi la V z1 : ve il nr
ad operaio i i il 1 il lil. . . 13:1 rl. Ne ſilesi , gia ch'egli vi
adici rosse. l - - -o sl 11:1, l'III e l11 Il 1:1 s ... , vis il l i | , , v –
i V , 'l 1 l il 1 Isse, Irlett -- ed egli il pil ct, i vi l -i, iniorino
ai i quali s'adoperava con l' it (... ss. (); il roli e il lil cli: a C0pera
l.ene o y I l a co; i do ci i ri! tura il - ii Is Izia, - li l ad opera male e
vizir - Viv | - li si diporta, Si ccntiene lº : 1 –- verfahri, vvandoli ,
iti).e .... li oli mi ero la gr. z ,: i Si - berte a deperare, che [ileia (i (
ri: la no tv e ! 1, governo di vita, ecc.)e il V , e le si illi, o il la il
lili, la liene, virtuosi, troppo modesti, le belle adoperando i lileil lido -
lo appregiati....» Dav. Col, iv. I l l ita 1! Il sºlfi . . niente ad opera
malamente, tutto fa bene, ogni - le glova, e il s Salvani non agit perperamº.
lo II el'o, il ri . . . . . . . . . . . - o, dove il confortar ti vogli, si
adoperare, e il e . . . . . . l: -, redo re al novelle, le soli i lilli 1 º te
ti -Cosi certante iº e Ari it – V ssc, adoperò colla famiglia. » ( i s. si
\'.v)lli: li : Il la l o i ri: le tv l In- ll It ! ! a, e tali o col Re adope
rarono. l'egi e 1 , il l / s la i3 (fecero sl, operarono in modo,
procacciarono).i lil:n le li so il il vi: ti ſia di m 1, operò con l'apa
Gregorio - , hº.... » (1 ialml). id.)ed egli, di e, operò talmente con Cesare,
s . ll e li perdonato il 1 l id.E tº it , adoperarc no gial l V el:a che... o
Bal t. ferirla ndo ll ma l operarono li, il 1 e Carlo, ripassata la Mosa si
torllasse llel rºg il s; I ( - i.... .... e farebbe opera li . it la liri º la
sc a lìoln n. » I) tv. id . Io vorrei che i 1, ne faceste opera di villa N .N.
» Caro (vi adopera sl pressoºl li º il colle per a sua gracilità Es ) vi
il dl -: ma , in egli era il s ii ei cui i valta - at , di si' nza, di
compagno, di luogo, gli sempre adoperar tanto e S: il riori, ch ... »
Cesari. che dunque a soste itali: rito dell'onore adoperano le ricchezze,
che la poverta non la ia molto piu i.lilalizi? Io :. il fluisce, conferisce,
giova , « Ma loll di Ilent la ceV a, che poteva, per rientrarle lnell'allini
: li la trielit parenti e li adoperare, si disperse, - Il 1 ne dove - sº, di
par la rl esso stesso, lº giovane, effettuare, procacciare). State alle
li e di buona v glia; che molto più adopera il valore e l'ardire dei pochi che
la inutilissimi i tumba ro, a, quando la fusse ben t infinita. » (iiamb
pro accia. . ol' 'Isre). Si moli da ultimo la maniera: in opei a li.... i
pel in fallo di.....) lonio ( i lissimo e di gran traffi o in cpera di
drapperie. » lºocº. e trovato le in opera di buon garbo, di de enza e di
dottrina Vill e va l'aspettativa, mi sentii i liar, al c il rilore. (i
illh.App orre Olll' ai valori e ieller. Il proprio i tggiungere, arroga e
poi so pi di Sel, il re la confusione del polso e PI 11 cipio tu del mal della il
tale, con le li N appi ne ........ l ( ) ll il l i lieti di appori e il 1 - i
gi li - - iulo. , p e iº le : li ra i sl: i lig il ' . . . di ripula 1 e'
accusa e, in colpare all riti di qualcosa, aldossati gliela, nel lase apporre
ad uno una cosa: l li il 1 i v. l i - gi; ella follia | I l il 1ale : cippo i
si Imparano Is , c live , l ' gi! I lag esempi. I rito 1 a l er . .
. agi 1 -- lei, e ora apporle questo per i- usi li - e. . Bo , .E- ii e il V o
cl II , l ' Irli i g IIIai sonº la mente io sven t 1 at ) ::: V , le la cui
marie e apposta al mio marito, la quale luorte io l it ti: B . .E le appeni tu
ad alcuni quello il 1 i il III col silio t'hai fatto e iiii? , 13 ,
(r, i 'lo: i -- : ci t st: l) il che mi apponete di coolnestare | e e lil iio
la c. 1, l Illa. . (i illl).E Ve; 111 e il rili lag ill: r. 1 lo si, e
s'appose, ( l'eli t loss ( sua 'Iloglie, ei sºlo a l'i! ). » Mallia ! 11.
l'att i l 'sti 1, lis - e li, il dr. Ino. l la illg. elier asse non ti apporre
sti a cento. . l):ì s'. Il 21 i liti, vi resti li li lilla i lorº le co; 1
o Corsi di relli i quei gr. ll li il mini, i l io l .go per certo che si
appor rebbcno. » - n. Inoli s': i galil; e) ebbe o Nota al Verbo
Apporre 5,3 I) a º nel segno. ragionando, è il pporsi, le collge lire, o
forcare il lasſo e piglia e il nel bo della cosa. Var cºlli.App ostare
(Dar posta, star a posta) ''sl - di chicchessia o si illeso, cioè
(lulalido si: s - , l .\ - è issa e il luogo e le tipo s'. Il V : - s ci
si s s' il ct ch ein dei tedeschi, l suo pit ) e', e in quel luºgo | | |
i rt (I sua posta, con I. Parte II ( I l . ll i , i', º i apposio c;uando
i lollio . si - i disse l'ogii quella :I - le glali lint re è e....
l'. I l l - l'avea apposiaia | 1 g l'allo. , (i azi. Appostato il piu ienebroso
tempo i l tacite, , lei , ioè nel quale il so: i s - l. : - , i lil a :. ll
sell on clie:almente . ll . :is: i ... . . . . . . . . .... ( si ll e lo
appostasse sull'ingresso del Campidoglio. ll mi - la al liri o di s in ital re,
di frecce e l Segì).I :: dove aveva appostato, l et al pullm: o ill sul villf
3e; n. l va o, lis- llo, i retto il colpo).VI it l'ill si Is sennaio. Si sta,
la Iat il asta illega vi lo, i . Apposta ove colpisca, on a o va l), l ' orlo
tutto gli l'avvenuta I l o ( il l .\ v . . . l l ego lº appostar gli Austriaci,
a . . . . . ti tasse il la a sul pi e-iudizio. » Botta te :I n lo lo i in loli
- li alidati i ti. le r data posta il l lie tiva e noi i vlt il cli'io il
vi trovi a Quel mal. Ieri in una siette due anni a posta d'un sold it . »
lo c.App urntare 'A | | | | | | | | | Il lo si ' i loli - li ai i .
riprei il l 'o r . tippli il latre il ct cosa al di la uno. l'l'ov l' . (
ppm ti litri e li e .... ii.... l'i: il 1 III e appuntiti e un colp , e | illlo
presi di illil: l. I gi i - t ' ' ) - ! . . . . . l; i si. -: i l
fu appuntai o V tº! :lli lo sono, i Padri - - , i : : : ' I in pirole. ,
I):ì v. I l . .. . I t'i .- I: - - I . , fi, i I l - I li. . I ): I
V , le liti, il li il .... -; l - . . . l is -si l i - i l. S: 1'
iot: vi si appunterà l l i' 13 º 1. E di li a coloro la II, il 1 ,
Ser Appuntini. , ( S. S l it 1: AppuntoSSi che s- i t
... , I ) l V. Appuntò coi detti l' 1 l i tutto ciò l: 1:1 Vl:
. S. 11 , l appuntò un ci: Ip o l: film inò il capit: o o | Ianti
lo ci illavº i . Avvisare (Avvisarsi - a v vi sco) Allego si
ripi non del verbo il livo a rristi e I tir e risapev. le. I vv . 1 i
re, I menſe, il quale in viso a chi og: g:iela i Il lº
1 . . i. s', i lice: i :l I l il altro, si al l o rimase agli
sciope::lti l 3 l: ali in lil ( : I )i, ci si lti liasin i d
il il; ºlio rilli - , , l ' il 's si t. e tt l'olarsi, ordilla) e
tº . i di l: colpire il l' - . ! ! !:ì 1 -, i ri'app lº ri:
sv ) I s II, V a 1 , gl, \ si appuntar noi l - I l ' ' il il i
il appuntare : eppur un apice, 'i - e tutto appuntano, a l
- i; - ! :) li ... la isso il pari pt Ito, e noi la r il
riso, il vell , I tivvisi , e. l' Ili. . issili i i -s ( l' i l'i:
l' " Il liti i ligi ri . . loli l'illoleri. Ira del leill ro assoluto, o prono
I l hº gli sli, le il valore simile al s'avis 1 e avis dei francesi li irri in
tutina i si. I ti sei sl, la si a : ci lei e co., il cili i so, se ben in
avviso, I l si ggi ci si po spelli in opera di lingua ed è a ' s i
cli l'oli gli esser :ili le liti e il prelibar l I l: ! . I si li :
al avigliosa gran ! . . . . . . v avviº arcno : lei, i - in esser
velenosa dive I il avvisava li ss e passa r . » Bocc. sup I l ..
li-:i avvisando - - iº l e dissoluti. » I30 ('. - i l avviso il s.se; desso. »
Bocc. lo avvisò i li i' alcuni luogo ebbro lo II : -i, si l e o lº .i l s ! I
1... ss, il ssetto, 1 ist e dolente se ne tornò ; s.l, avvisando - ti - r.
-I:It i ... , Bo ,li-s, E e Seco avviso illi Illa, i no ll doversi I ve -- l 3o
.avvisando i l e ella gii piacesse poco) trove s ii e lº .l I | tesi . ll e l:
e avvisò il vocabo l' . I ells l'e li it , S'avvisò a coluso
ss e trova: e di ... l . . . l ' ' , | 2, . I atto e deliberò I l e' s si
s i vi e - ssi di vole sapere - : ! ed avvisossi del modo nel quale ciò gli i i
l3, ... l , S ( avvisati - - In che Illes o così ti faccia? Saccº. I .V
-: i - . S'avviso il l li llll:n ſ l /a d'alt lº lì:a : i | . . . .E per ivi
set s'avvisò troppo bene, come egli - V. - ll ' : i .Il pil) , io si à il lia,
s'io ben m'avviso, rispetto ad un altra assai Il l: si Se; ll . Se
gli al riso al ris di un sinificato ill: i go sl , lº sllo di crisi i '.
: i l'avviso , le ''I I I Ilia della sua bellezza il V i 1 l in tºs ,
l \l: :lli il II lili il . V e e l o il sallo avviso. l): \ « Nè fù lungi
l'effel si o avviso. » B cc. « A cui 11 in era avviso , li fosse tempo da clan
, l ier. e li è già per -: per l'ill Ie 'il' gli vi ad pe risse, ci il qll 'lo
smarrimento non vi rimase avviso da tanto. » Bocc. 579, acc ol - rilentoe fatti
suoi avvisi accettò la proposta. I3 po; id I a ta li li le e l'i cosa.siccoli
le usanzi su l ess, le li fatti suoi avvisi, spedI. . 13 i fattl i s Il ri . al
li, .I)omi: i lidò il pilot se vi era avviso del I a lisca il lº i rt s si s
orgea a Apple la avvisato da lui questo peso il il p . In 11 e-cºit se
ne riscosso a Ces: l'i. Note al Verbo Avvisare 5, S - Nola il
linº al 1 al riso rsi li ti ma i sat. d i siti si il mal cosa, e vale la d ' a
lei la pens. Il ct, i | I l s rie, ci - ci) ruſ e rsone'. I )i si ti li hº i
risa e il noi cosa, per il rei tir lei, notarla. Appena arrisalo da lui questo
peso di ieri di I e di presente se ne riscosso ( esari,579 – Quanto è vago o
lorev | Iesſo il is gg si direbbe: Il - | perocchè a tali strette, non vi
fu empo li peli sare, escogitare, o che altro cli si limigliari i c. E a
stare Polli menſo doppio sensº di basſati e le seg: lili o il violi:
()nte sl'arle basta a me , cioè in è sul lirielli e li li li i lis alli: iº
basto a quest'arte ho mezzi e forza per..... le lili l: i lil, le liri, l' 17 e
il livalho ad imprendere... La prima è comunissima e volgare, le tre le chiali
con esempi. La seconda all'incontro è maniera eletti, e di quei pochi che
sentono un po' avanti nelle rose della lingulil. Anche il bastare della
frase buts/a r l'animo o Se vi basta l'ulmino di far che in accelli
offritenegli Caro Conf.. il Valli l nino - è al purito il bastare di
questa seconda lo ilzi lie, e indica pressa poi esser (l'animo da tanto,
giungere, per renire (l'unino a tanto, e vi dicendo.i la ro: ra . al its
bastiamo, a 13occ. 5S0). - i r re i al l i rbicati e cresciuti, i il bastiamo a
stir : l . bastere;li e. . 13 or sar hl) e ta . . . . . . n . . . .
. . risentirle una copia i ra i on v'avv a quivi dipintore, che a ta, nto
bastasse, I le dele (li. I 3; i 1. Note al Verbo Bastare )
Sſ) l'id è lo stesso lº il ci l dll e il vece, con le diremmo noi, il si delle
donne lo slot l'atl e l l'uso e l'arcolaio, non disse lui slot, Ilia è assai.
il so, orsi e rifigio di quelle che ama mio per i celi è all'all ssati
l'atto e 'l luso e l'arcolaio il di l': i Cercare E il cristalli
lil e I l nl 'l Nucl e il Salili i re, slidiare con il tenzione, I l is e, il
laga l' , col sill' 11 lt ll ſi asi: ci ce l un libro, cercar le di se ci I
citi una perso il ct - . l)i si il cc i col 1 e una città, una terra sigilli
passa ossei validi . . ei clo, la co . li oli al lilli e soli i pi:
( )li le!'a il e lilli e, V agli illi: il litigo studio, e 'l grande cercar lo
il volume. o l)il lte.i Lercol 3 al 1 , e , i li, li i e i buloi. » Caro
(ricercare una persona sig: i ii a il l e 1 i lie i ': li .\ clotto) etti si
-si il te: zo e alla metà del gua dagno, a cercar le case, e ieva l s : il 1:1,
e, per trovar e li godesse lasci lita C, alla l):l V .I 'e'.rso li corcarne la
divina voi omià i ll Zio, le altrui, o l'ior, n iºgge.a Cli ben cerca
tutto il vangelo forse non trovera che un siffatto acqui e sto di tanto pop lo
il solo un tratto in esse mila i lle sue prediche (i ( (Ill:llito il Sola
( [llesi a breve ( r; i t . e S. Iºietro, a (.. º rivolse ogli diligenza
- l' e di Illili i lile. ll i s loi a cercar della sa e nità. » Gianllo.
Elissi: cercar : utti i mezzi. Inet r . - mi premi per ria - V el' .a Sillitti
,.a Augusto cercò di successore il rasa slla. l)a A allA. - 1; 1: o lio. Indigo
per il Vere.... e si liliso coli - I li stili (l: iige: z a ricercare
falda a falda della Velità. » Fiel'eliz “ El a Ve lº io cerche molte
provincie cristiane, - per Lolibardia , a º al rallelo, lei passare º I II:
iti, i vs en le le ali da 1 lo di Melano a l'avia, ed essendo gia Vespl
o, si s litri l'olio in 1:1 e il il l Ilio. » Boc . Mla poi li è tutto il
ponente, i senza gia i ſalti :i, ebbe cercato, i 11 t l'ito il IIIa l'e s
ile 1 : : 1() , i V ess: il n 13 , . . « .... e pot; ei cercare tutta
Siena, e io ve li troverei uno che... , Boc . a A Vell dol' cercata iutta 'a .
li col e ssell gia stali o Ill l II li-i ill l'itori la re. o Fle: :lz.Tutta la
vita si fa a sposa l'i loliti li-simi pellegrinaggi, cercando i luoghi santi
del Giappone. I 3 art.« E con i grandi ravvolgime liti Filire i quali ora alla
ti inontrº la , ed ora all'opposta parte si aggira ricercandola la terra, quasi
per tutto..... » (iiil Illb. C confortare (sc e riferta re - Conf.
D is sua ciere. Pront.) (on)orla e alcuno a qualche cosa, che si faccia
q. c. ecc. e pel sili derlo, so Iarlo, in arlo, spirig, l' i lil e . S ºf I
larinel è l' p oslo. N i li per i recari e alcuni esempi. Ed issa i
beni a impa - , I li la trie e il torri li da tutti confortata al li gire, la
valuti il podesta V litta, il III lo col l Ilio Viso, e ce li saldi v e quello,
che egli a iei dotina li lasse B I 'oi del suo alti i lite ri o li li lo-
i' (Ill: el: otto lil ( st 1, assa preso di quivi, aveva in un io a
ccnfortar Pietro che s'andasse a letto per io che tempo ne a o l'o .e primi i
che di quivi si pr isson, a cio confortandogli il Podestà, i mi
odificarono il grillel statuto.... º lºFresco conforta la nipote che non si
specchi, se gli spiacevoli, come ll e A 1 , e ti º 1 ) : Ve lei lo i si. l o .I
testo ma i ti o confortati da lor parenti e amici, che riconosces se oli e voli
ſessare. » G. Vill.V e il nero, il V a 11 , l Il 1 confortarmelo che ubbidisse
al ri . o I): I V .Gcnforto tutti a lasciar . si sa – glie, l'orazioni e
comunioni Zulin ::lli li , Il l i. l)a V.s confortandomi al tornarmene a casa.
» Fiel' )nz. - I serio i silo il confortavano di temperarsi e di allentare l'in
i siti il sil i alti ( 'esa ri.Se io vi -si p a le!! come tu mi conforti,
l'anima mia a noi e le ai le li/ si e io ho dato la carne lli: i.... ( il V
.\la verido , sto o portata l'. I bias ial a ad Ell fragia, e a ciò per molte l
a io li confortata - l is - e s' i lisse i olte l'ag : ille, e coll a
Inaro pi: il Quai a voi li s oi . . he a cosi i lte cose m'inducete....
» C o noscere (FR i cc n cos cere) ( o mosco i NI ci li tra i
set. -il ii so se con noi il re de I cl., significa in l'ulci se il '.
'onosce il no , , , l 'ce lessic clu allro, è di s'ill il 1 I l , is . ('onosce
e o riconosce e una grazia, un ja col e la .... è lov e la, il I l il lirla a
... i liti rare di averla da..... - omose, e della morte e simili li il
no, vale riconoscerlo, dichiararlo eo li..... l?iu' , il N . . . . . . . . . .
l ' , l ' l?iconoscersi di una colpa, di un è liſossal l . s io mi
conoscessi cosi di pietre preziose, II e io ſo d'uomini, sarei il i vi ! lle e
º I, Il Matt.per quello ne mi dice lº ſietto che sa che si conosce cosi bene di
q: lesti pallºni sbia vati, e lº r.o i ll (º non si conoscono il l fſe 1
l punto d'architettura.... » ( es. \ , il donº la rispose: I o la o
si: Iddio, se io non conosco ancora lui da un altro. n l3 , l . V qui -
unità si conosce dal mondano lo spirito di Gesù Cristo. » ( si ri. a Opera da
dover far da Irlatti, il che si conoscon meglio le nere dalle bianche. » Boc .a
.... perchè levati quelli, la plebe irrilla oserebbe: e riconosceriensi po scia
i complici dagli amici, o l)av. « Dal tuo I (rdere e dalla i i la lo! lla
le Riconosce il grazi e l: i vi itti It . l):al 11 e . “ Basti G e Inalli
o privilegiare che in consiglio dal senato, non in corte º da giudice, si
conosca della sua morte, el r . -t val del pari. l)av. º .... e
riconoscendosi dell'ingiuria atta a questi frati. » l'ioretti, e Allora egli
riconoscendo la sua colpa, fece penitenza, e donandogli perdonº. » Vis. S. S.
IPad. Correre (Disc correre) I la molli e vari Isi e formarsi
di belle maniere. Nota le principali linello e Iri III li le seguelli esel
pi. e I | rall cesi a ºltrati delit corserc la terra senza il loll col
trasto. » Vill. 585). .... coli in id) :i correre il regno -a loggia il clo. »
IBartoli. Illustre predicatore che corre i puipiti d'Italia fra gli applausi le
do a voti » (iiillo.e I ( Ini di Ibi: o il r.) vi Il viate corsa questa
preminenza. » ( a l o. «... assai mi aggrada d', ssere co ei clic corra il
primo arringo. » Bocc. 5S6 . Me felice s potessi correre questo arringo i
velido aiutato l'opo la del « Vangelo. » Cesari.....egli II le lesiIII , del I
II lillò (li l'iri la liersi e correre la medesima for tuna che lui, nulla
curando, nè la perdita della slla nave, nè il pericolo della slla Vita. »
IBart.« Di sette lance che corse li rilppe cinqlle con allegrezza e
meraviglia (l'ogli tl 110. » ( 1 l'o. a .... queste ragioni mi conforta
ono a correre anch'io la mia lancia in questo al gºl nonto. » Cesari. a
Lasserò correr questo campo della poesia a voi altri Academici che siete
giovani. » Caro affendere a quella, dal e opera alla medesima).· I l II o tempo
correndo le luci la citt non perciò meno l sta inte . ontado. , Bo .si li live
sale e contagiosa fù l'infezione che fra loro corse quel l'a ll 3a l'1.tra gli
11 corre un intezione di febbri di ... - I pessima ragione, ll ... ( i vzi.
Nello st: 11 - che allora correva. (rilllo. I ) , l'eta di Demoste le : il
testa ci corre 400 anni o poco più...» Dav. 587). \ : corresse spazio di un
ora. l3 .Corre quest'isola in lungo sette miglia, e tre sole in largo. »
Bart. Pe o mezzo a l.it , l e sa l:ndia corre di itamente da Setten I una
catena di monti, e le sl - a da Call caso e scende a... » l 3: il I agii
occhi gli corse a -- . I3o elle gli SS E al cor mi corse ( ia i colli e
persona ſr. I l . . . l): i . ln - correva per l'animo e.... »
IBart. ( ( I il pericolo slle liner all tizie di gran avrebbo in
corso in mare. 13:1 I 1 S) ( N ( ) l) l. | 3 | | | ill). ( ( ) | | | | |
| | | | N V | | ( ). I | Sl.lº \ l/l ( ) l) l.... In questo a so dove
corre il servizio e l'invito d'un mio padrone. » Caro i . se son pi
ve lo disco , cre, usato a significatº: cºn lº ami e la scom e e, derira
e ecc. si lelle che nelal. Mii la- i ere e buon tempo per le foreste, e
discorrere cc me mi venisse, l'it''.e da questo discorse un uso quasi davanti
mai non usatº, che...» l'80C'e'. a io lo - i tiri la discorrimento per l'ulta
la casa º Bart. - mi - nza discorrere il fine, si lan io subito alla scurre e
misesi a pende, in li di quei ciuoli, o l e ºlz. Senza lºnsºlº al come sia
l'elobe : il data a lillire la cos:lº.Note al Verbo Correre 585 -
l' idoperato quasi al livamente, ma con significato più esteso, figurato, che
non farebbe a pezza un equivalente al letterale ('O l 'Cºm'e'.5Si - Notilla
Illesla frase: col rer l'arringo, e similmente le altre che seguono:
correr una lancia, con i ri il campo ecc. Si - Noli ſtesſo impersonali ci col
re. I corre di questi sei ripi, è del tempo e del luogo che, fila si scorrendo,
prende e traccia di ill pillo all'alli o dei lo spazio I: la determina la
linea.5SS –- Qui con lei e e ad uſiiclo di occurre e venire andare. Nola e
frasi correre al cuore, correr per l'animo, e simili.Sº Q1 slo Iriodo: cori ei
pericolo è con uno a molte al re lingue alie (i clah r lui ieri, ecc.
Divisare Senlio questo di risare nei pochi i serpi che ſi appresso: a
signi irare ci è mai rai o dimalamente a uscinander scizen dispore con ordine,
scomparti, e parli e ed i licli, pensati si arrivare ( cc. li loro l'illi
i i parlare i 'loli i c. v. gr., ho di risalo, mi son di risotto, per dillol:
l' 'i la propos, o, deliberato, deciso, non ad esprimere, come ſarebbe chi
selle e parla i alianamenſe, che si è pen safo, ha disegnato, arriserebbe
che..... a tenelidº, per la rino che la cosa -- e passa 1:1 con i giiela
avea egli di visata. » Fiel eliz.a .... ed appresso ciò, che i la' e il V sse,
il ritº e il silo reggimento due rasse gli divisò » a useiirald , setzte
. 13o e dagli scritti del salto trasse materia di comporre il sil: ingata Irla
tel', la II Il libro, Ill e li cºl bel ' : dillº diviso | Iti: la tra i cia
(leil;a l'olen zione del II loli (lo. » I3:ll'1. « .... ed e-sendo
: -s: i feriali lente dalla donna ri vili , le disse che cosi la resse l'il la
r la corre Melissa, divisasse. , l?o r. a .... la donna.... 1 i clonna
Ilula 1 e (iiosef Illello che vola via si la cessi da desinare. Egli il divisò,
e poi Illand fil ora lo ri:lli, toltinianielli e gli a cosa, e secondo l'ordine
dato, ti ovaron fatlo. , lo .Voi avete divisata la cosa assai bene, sicchè mi
vi pare compresa tutta e a Ilatelia dell'eleganza, o disposta, ordinati .
Ces.di ſilelle sole vivande divisò a sti i cuochi per lo convitto reale.» Bocc.
a Verall I e II la i lill. ll ora per te, da avarizia assalito fui: ma io la
via e o con gli el l istone, le tu li redesimo hai divisato.» m'hai fatto il
pil e B . . . Sl, ma i Ilie la sinagolarissili la differenza, ch'io sopra
vi divisava.» lei o lì a te il sito per le usa da vel un buon scrittore,
e si Il bo a al volgo. ( sl se la divisavan Ilie doti, i quali.... » Ball. si
elisavallo, avvisa vi 1 . .\l l'i mi diviso, le rimastis: Iuori quav dalla
soglia, vi mirino filgl ill: :ld . Segli Ini figli l'o).si che io mi diviso che
non a rilisse; o i miseri di alzar occhio, non li orli : l pil le.. Se gli.11
ilare un vocabolario d'un per il : Itti i vei bl, divisatevi le nature e le
proprietà di ciascuno. » Bart. do- ni di tal ne trarrazione, se non che troppo
a me lungo, e forse a li legge in si evole : ills in elole, divisar qui le
tante dispute chi egli ebbe.» 3:ì nºi.vestiti superbamente all'usanza, d'abiti
divisati a più maniere di colori, con i filisslilli - il milli ntl ...
Bart. Ermtrare Notevoli di questo verbo le manie e bellissime
a ENTRARE. MI ENTI VIRE IN CIIECCIIESSIA, ENTRARE A...., per cominciare,
prendere a latº e ecc. lºrin la che tu m'entri in altro, dimmi, -oli io
vivo o morto. » Sacch. Non m'entrate in preccnii, nè in prologhi. Quando volete
(lualche cosa che io possa, basta un centro. (art.lira non a 1 le con una donna
di tanto intelletto entrare e discorrere e sopra luoghi volgari e comuni della
consolazione. » Caro.I) una in altra parola entrammo ne fatti della fanciulla.»
Bocc. poichè io entrando in ragionamento con un delle cºse di quei
paesi, per avv. tu a mi venne ricordato Lelio. » Filoc. | EN l'It
Ali E \ All.SS \, ENTI VIRE \ I \ Vol. V, ENTRARE A MENSA c'Ca'. La
confessione generale che fa il prele quando entra a messa. » Pass.c ENTIRAI? E
IN TIM ( )I? E, IN ESI | ) EIRI ( ), IN PI.NSI EIRC), IN SC)SIPI, l' I ( ), e c
(t (lice nulo. entrata in timore - sei o III. Il cap tº re Ba 1 t. IP re
i 'clie a g, ilt i, \ l). go l'e . . . . . . l ... I mili: i le - -:llito Vivo:
e º dell'ill ia 1 1 : era r . ll - I ldei prossimi, entrarono in desiderio ci
si pre e, in ancora spo: desse li ll , l ' t”. tº ll tº si ri' o 1 .... 3 I l
Iin una settii malizia entrato, i vo i es - a l It I lilt il 1 e il
- d ENTIR ARl, ad alcuno Al Al I EV VI ( E per..... ed io v'entro
mallevadore per lui li l e se è le. llla III It . Fi ..Chi entra mallevadore,
entra pagatore. - - .: Ilss II: Il V tº I,N | | è A | I, I | |}I; | Rl, I
V | | è \ \ | ) \ | , l N ( ); | N I | | VI è E SA | VN I \. I; IRA \ I \ I )
I.....: - N | | | V | | | | N ( i | | ( ) SI \ e c. I ) | VI ( l N ( ) : EN V
IRE NEI . ( VIP ) \ I ) \ I ( il Nº in cig in cui si, clarsi ad intendere, osti
il dirsi (t ( red º l ' , Ils. ll lo) I | riti si illi -:1; Iz.l i i dis,
7 entrò una febbri cella, e l'inna se lei III omistero. . (la Valcº. I ,
qui ii a o o in a . I riti animi entrò smania nel Ilici; ve a lolli eti, dl e
Vil:1 . (li paz/ 1. l): i V. per la qual cosa disse che gli entrò si gran
paura º le calde il tºrº , e quasi tutto stupefatto, ſi angosciando e sud (lii
n non Kyrie eleison. » Cavalra. a Di che la Minetta accorgendosi, entro
di lui in tanta gelosia che ce li non poteva andare in pisso, l e ella
non ri - -- , l al! -- º ) l'ole e col cºl ll i lili ( : : 1
, il ... tl bol: Issº. I 3 a gli entrò nel capo li li dove li te: -- . . . lle
e-s; il vos - 1 - liotalmente vivere nella lor povertà. e 13 , . I, MI
ENTRA CI ENTIRO. (ne son persuaso, mi capacita. m i quali (t. mi ra
.Fuggire l Is: s e il re il sito proprio di partirsi I l il si alla I - -
llando di evitare una cosa, Nºn solº, º ssd i si la clie' ci essia, e sinii, e
quando con forma tran si vi o il sito va si' al re di li alligare, la luggire,
la r portar via ! I l sillili. N Ss , le Ieggi il 1 l I fuggire.» I 3 . «
Fuggendo la - i liz si i vas i: in entenne ºri e o Cavalca. N fuggire il i f.
sse a l?o . ( l III a - l: le fuggia in chiesa e in luoghi di re I : gl - , il
l V , il - ro c n una lettera che seco avea fuggita a quel li s Il
\lo, lisl ( r , , lº; i l 1. Si il paiolo, e vale l'ergiversare,
cer ir si l gi, scappa! Io, gelli e . v le lis lo stilli - e o il
modo di prendere il battesimo, egli con si t! lle astuzia se ne fuggiva in
parole, il ia i ghe giallo con promesse, l'... a lºrº rt. Guarciare
Pongo esempi di I guai dare ad al ro uso che il suo proprio di dirizzar la
vista verso il ciggello . Significa quando preservare, difen le re li ulem, bel
dilem , 'lalido cusl uli e, con sei retro', e lalora anche con siderati e poi
non le , gli ai lati bene, sta r bene in guai clic prendre garde), pone le
dire, in gri ma 1 si ecc. Dal qual errore desidera il no di guardare quei
che non hanno l'ngua la lilla.... n 13 . . .I lolio, il -- , ti guardi la
bocca, e ebl e II lili, li dirgliel , che gli si con lic Io ad imputridire. ,
Bart. Dalla stanza poi l ddio le guardi a ni. » (..) l' . Dagli amici mi guardi
Iddi , he da nemici mi guard'io.» , noto proverbio). Ill IIIesso l' 1 lgiolie e
il III lilliga III si ria guardato. . º Te, rarissili lo I rate, Ille, l la
guarda « diligelli e Illelite. » Fiol etiia li crisi fi, al IIIe: i la
guardavano il ritta Vi elit . Al fine di guardar la sua pºlvezza a l
'i: e che guardasse molto bene l Llls 1, ii le leſi i [ll: e
bedie:lte. e fedele: e p. io guarda li: i I lilllla pel solla senta giallllli:
. - sia II, il si n. 13 , S : l | | | | º io i ſoli posso credere,
le lil - te lo i « per io guarda quello che ti la li: e se l'11 e l: 3 onsidera,
poi i lr 1 lite . io lion ſarei a lili si alti guarda i ti piti di sl
latte cose in ragi, li I. I3 - li ii glia i Non accade esemplificare il
rito al moli li ll Is : (il Altl) Alt I.E FEST E cioe ossei reti e lui e quello
oli e presº i il lo ( il V ) \ I RI , V IN IP( ) ( | | | ( ) ( V | | | |
| N | I l its e il I ti q. c. con sler lo tsl - - nºn lo si ecc'. (
il VI I ) \ I V S( ) I I I I VI IN | E c'Na mi in tl e con il l . (i l ' A IRI)
\ I ? I. \ ( . \ VII.I ? \, e Nilm ili. Nolerai da illlllllo il ſigilli
il del s II lil e o si ri . . . . . . . . . . . . . . . . . . che guarda un all
ra: que!! piagge , le quali gt ai lava, l , l i b - lei li di qll illo,
o, l rivestire Il suo primo significa lo è quello di ill e il I ss di II
la cal . d'uno slalo, d'un beneficio ecc. il cili, VIII l iris I/ l il so
stalli ivo. In restitui a concessioni di dollli li \la di essi il li : li
ti in resli e il luindi 1 o, ( i l i rili – : l in resti e il mio i gl ii
li –: c in cºsti di liti i v . a enti e, d. l , poi , i - l – cioè
adoperarlo in compere o si assalirlo, all'olitarlo (ali fallen, ali in uno
scoglio, in una sceca – ci è 'i - gli sll'alidell, allf cilie Sand i . :
\ ( il suo in un anello investito, il c Valli era : 11 .... e i I os - ini; d)
l'investira altrimenti i lo; dal I ri, Iii: gli tv va, dato e s, li
ve:lli i l. it: l investire e il . I li, e la i si l aº, li è per
molto l , li e li si - ll s: i gli i il tisse, si lº ric:a li
ai tanto i parti e le ore li li : l . Io investisse nelle tempia. » Caro,
« .... liles is a so di il l I e spiaggi (ii Zeila: d, a dove investi e l
II , e l3:ll Lasciare Lascio gli isi più contini 60i e poligo al
solito alcune maniere fro quel ſenelle adopei al dai Classici, ma niente volgari
e poco note oggidì. | \ S( I \ V | R V | { l N ( l \S( I \ | | | | | | |
VI ( U N ( ) tra lo i veri a lasciate far me con lui, che voglio
conciarlo si Il riti e lº .l) Iss le , l io vi sºs l , lasciate far pur me, lì
e con l'io la troverò, os a bai ei , tanto bella e Vo: li I \ S( I
\ VN | ) \ | Rl, l. \SCI Vlt ST VIRE I a lasciati di dire, l'assare in
silenzio. A on ne parla ro”. \ on lire ecc.( ) a di: se ... [llo da pozzi sono
d [li, pull e, s lº elle lunga mate ria. Lasciamo andare, l'air (Illesto
e le ini, che, .. » Fr. (iiord. lºred. I rosl 1 Ile poi li e - le quai, lascio
andare. . Fr. (, i ..Ma lasciamo andare questa corn parazic ne, ; - al :
i re si s . ll - il 1 i l Io lascio andare e li I, to! i i se' st - e il top (
', - l l'oi. ll (lasciato andare - -- - lei la lr1 si rii i i li: i li: i I l g
il 1 li :i re S e il se i - \li - - -- li tit. º Slº. - l.: don 1, lasciamo
stare . . . . / es. a rl I 1. - se, o il piu' il 1 , i -: i in ' t :lti li'
les. I titºs « Lasciamo stare, l . . . . . ll II, i : : . - l l: Iss, l' , ' di
lt 11t . Il... » V ill.lo lascerò stare la rabbia : l . l s s i M. ss: -,
lazio: i re : re. I 3 . Mla oli e - - Il ti il V 11 i Lasciaria sia re ciº'egi
i t -to - a io | Il ! io. e. . l .... . . . .. .. ( ) 1: - - . Lasciamo stare
continuo (li I) io li li' l zi, 11 - di e 1 , il il : il: il , par i ( s; I l i
(50!) . - 1, V S( I \ I I \ N | ) \ | | | | N ( :( ) N S \ SS ( ). ( VI ( li si
di lui i lo - e ( ) , . ll lo un man rc vescio antia r gli gi i.ascia l s - . .
I) li ve li . I !, i i t - . e lasciato andare, – i l ss (i li lasciai
andare in paio di calci pi: l'i: l'. Vli lascio andare un si fatto tempi orie,
( li Il I p. e I3: il FI, r ,10. I , VS ( I \ | RSI \ N | ) \ | | | | | |
| V Sºs - - I V con lisce nel 'I e a.... Ne' in luti e lei i son ;
- la si lasciava andare al motteggiare. l . . . V ºsci .. ire in
dotaria il 1 : l ' il solº Irla li hit : l . . Il V l ( il l. Il tir , .
. . . . - : i li' si lascian andare alle vogl e le liti i : Segni,
Arist IR Nota al Verbo Lasciare (it), Q Ielo per es., a ce lo
valore elillico, di lasciar fare « Que s il 1 lili i dirlo io : liti Iddio non
lo lascia. » Fr. (i:ord io di pl el', mollere, lasciar di lire ecc. t di di
iroli scrivo se non la soli, rila: l'alli e parole la scio . l ' (il d . ed
alle la li lasciar scritto nel testamento..... clie. .... e la I Cina lasciò
che vi e' in non po\ esse lorro, moglie se del silo ligliaggio. VI il Pol. ecc.
ecc.\ di lascia i colli o alcuno | rascurarlo, non promilo verlo lasciati si
indiel I o al no si perarlo : lasciar di fare, ecc. ( il l . ( ''NN (I l ' ( )
mi e't le I e Iºl ll . soli , col nullissimi e del i ls e bassi era avelli a
crel II l . ( I ) S I l esso la I l : non che potesse.... oppure non
clima molti i se s'ella poli's e..... ll l il..... In generale questo
lasciatmo sloti e che, lasciar stati e checchessia ecc. è quando ſolº il di
livelli il che colliva i non clico, e quando significa mºlle', ', li
atletsciuti e ecc., si li alll a lasciar andare. ( I )!) \ ggiIl ligi alici
e li slo: "li si ispiri lascia lo stare il cli de' pitler nos li l.... l o
c.(, N , ivi , di ques'a ll'ast : la scia i trialo colpi, calci ecc. l .i
v s ital, e fa gr . Il colp . N/1 arm care I )ell'uso di mancati
e', e similmente di allire a forma transaliva (man tr . I i l etillo, il
soccorsº , Valli e all' ui la promessa ecc.) se n'è par la o alla I al I 2 Cap.
2 Seric . Il mancare dei seguenti esempi equivale ai nodi venir meno, ſar
di ſello di... l e star di lare, restar di essere e simili. Ma nota singolar
for lira e costi illo di un sì al incotro che non so se alcun moderno, il p co
sperto cioè ed ignaro delle occaille bellezze e proprietà di nostra li igili,
l'Isasse lnai. e anc , di questo lo endeva la Maddai e ma un grande
conſolio, che la mi irta di Gesù s'indugia , a pill tempo: nelle era certa non
poteva mancare che non morisse, ma quel chiavello, che l'era litto ºlel cºllo e
suo, lui penso la faceva spesse vol e riscuotere, e gittar degli amari sospiri.
» Cavalca (620) (Juan o a... vedete che il tempo mi e tolto, domani forse non
mangherò ch'io vi soddisfaccia. » l 3o . . 621).a Io non potei mancare ai molti
obblighi che li ti pareva avere con ºutta « la casa vostra. » Fiel ( liz venir
Illello .a L'aquilla... se n'andò da Giove e lo pregò.... Giove che si teneva
dae lei bell Sel Vit , nella [llisto il I (i:I lillili le, non le potè mancare.
. I Z. Onile ancor sindusse a e rito, che per lui si po teva II!aggiore,
pagandoli, i lile il - III - l I riti o 1 -: ni si evil, goli il e borsa di Dio
che rilai non gli mancava di quanto v' - - riti a me a lºro sllo e l'alt l'lli.
m I3a l't. non gli fa reva d fel! , li Note al Verbo Mancare ſi20 –
Proprio l'aus bleiben dei cdeschi. Ma i la bell il 1 o governo e ci si l IIZl
llº.621 – ( )sservo i li. di Illes , c del ese, il pi . l' Iso di ill
siſal o mancati e ai sbloiben) . I l personale. N/i a nte nere Si
Ils. I 1 A il l si i li isºl V : l che è il ' , e ci li ulissillo, I la ill: le
li soste il l ', i rºſſº' , si l' eſiſ, i c'; cli) e il clero e slm Ili. (i: la
rla i 'i ll ll 1'. - manu e nitori di un altra g Cstra l': I l
(.:I: . Mante:rere a pianta d'armi , i lil. a .... \ , - ri ) , l e l'i; e cli)
, a mantenersi, I te , I ? I l . ragioni colle quali essi mantengono la ior
causa. I3: r" non - ea mantenere sue ragicmi - ti li lo . . . . . i, li :
l 't a r . e semplice ( r se I e ! - . . . . a .... e per chi l'inge o iv h e
le la V [a fisica lo Tta mantener le proposizioni, i clie e gli 1, i i.
N/1 e ri a re Ne ad Ilico gli usi e le maniere più cara. Ieristiche,
frequietilissime 622, tippo i classici. I lilello, il sile, V (ilga
l'illelle. (ggiuli. \I EN VI I I VIA NI - All.N VIR I 3 VST ( N VTE – MI ENAIA
COLPI e simili. ll 1: V e menava l is lo le mani.» Da V. i Imei far le mani
le.... » (ii:lln), ( . I meitai :: in Ceip 3 , l ità ell .... Fi, Uilz. (
l' - er tulla la casa, gii -- menanrio d'attorno bastonate alla l sperata, e
ciò per rac i ' :: : l 'mena ti ma ceffata Il latita i lilla di mano I alla
spada e menò un fendente e lo tig iato un recellio. . l i
menandogli un gran colpo... \ | | N , \! I N VI: 'I SCI di un lago,
fiume...... – MENAIR \ N VI A [ . . . . . . \ l .N VI R | | | | | | | – Al I.N
A | è \ I \ V N '' i; i nne. I vant 2 figli di eli. - ! . ! . I I li i. pia di
ellite si - nema i piu dolci pesciatelli di questi paesi ed l . . ssa Iar
danno. 2 , Fierenz. I : i i li l è l'ozze, alla I ºne man o cro. S i vii ! ..l.
I l v . . . . . I menava tant'acqua :I pm i I l ergli o vetture e le quali neri
ino V I - I menava vermini. . ( a val n. ll e illlia dell ' , o di fuori
gliela "; l ., i menando marcia e vermini, e un puzzo intol
l si , il til - i lº': i \ | | N V | | Vlt ) ( i | | | | (52
Iliesti nel sima festa, per . . . . . . . . . . . . . . l e, g i | tesse la l
cha () rimis la i mera:ºsse incºglie, l' . ll di 1 l le (lulello lì ledesimo
Parsin:unda menasse Efigenia, Ill o Ormisda menasse Cassandra ». º . . .
» lº , \ | | N V 2, i v 11, 1, 1 : i menarlo il Saverio) con c ss; 13 i :
del pari. I 3' : Mlſ, N.VI è SMI-AN | E lie il Viglil I | . . . . l - ne
menava smanie, In il a il l: il b :ljat per poterla va le 13
c. t 11: me itava smanie . All.N.Al ' ( ) IR(i ( ) ( i LI ( ) (
li.. I) esi, it , l . : 1 :: il l nenare orgoglio. , I'l' se
Fi \ I f.N AIR E S | | | V ( i V | N A -, l lorº ! ! ! ! , i
. nmenava ovu: ii qua si ragiº e rovina, , ( 1:: Illi. \ | | N A
| ( i il li. ( º 'N. | 3 | ( ) N l i ce li ' NN / 1 - il lui lotto
1, per il miti i lui 'cr. l al 1 l. A | | N VI , IN | V | | | | | | “ Il
N V qui \] [ N \ ( il . . ! . i : l ' : :l IN | IM V Nl lemer a
pari ole. I ciance ecc. I nne maio il re i re giorni in parole i I
3 l . El! l i 11 il pi meno per lunga ſino I l .
i rmerava d'oggi in dimani. B: i (i:º: (52 \1 l a li e
on e o menava d'oggi in dimani. ( - i. i lo si si, l' . I I Ili
Note al Verbo Menare S i li cias si i. i issili li e v . " I
ri. E volgare, ed è a 11 le lis si , i lr 1 tl , mi e' mai rsu Il le , lilli il
la la niglia e fa gli menar su . Si h. Il menati e di questi li li. pare
il re tale che produrre, tre I ecati e º sil I lili. L'u rore mi dicere
le; la lini. Si rile: I rail al giudicati e al l una sl 1 e qui . N. Il cice gi
li all' al i sii isl l'allerile cli li il . I l sse e qiuali, atto alla
medesi ma stre'ſ ut , (iiill). N/lutare Tra r utare, perrr utare) S
li li ma alle li e oggidì, sulla : i la il alla liturnelite, le maniere: p, i
lati si o nº i lati e li ce li ssia lui il mi luogo, da una cosa cioè toglier
via, 'I si po' mi i lati e ulio ed una cosa al li li lu . I - ll 1,
i \ I) Iss l Suff: Inarco: ( ) 1); 13 i bel veduto, se egii liol
muta di là, i iS - opravvenga, replli o i mutarci di qui e andarne e. 13o
. il l e l'en veder lui mºnti iava mai gli occhi da lui. m ( S. I s VI
tramutò a Castiglione, a sp e .i , 1 'la, le col piedli nè con i llla,
ol' (luà, ol là si tra mutava piangendo, lº( - e il telº dove ci permutiamo?
» S - e si l ss e luoghi dove l'uomo si per N tre chicchessia del
suo proponimento, si l si º li ille, la Mlad l'o e la lºadessa si sse per lui
un modo la pole lel suo pl o poi, in cºn l . ll li l la ll al re dal monastero
. t i vi l I C c correre e di bisognare, far i sli, i i i s
I, - , il ll pal i lide si con i poli e ob, a Valli, incontro, e il 1 l ' ' ,
ci º l: in lei venire, il reen il ', reni e incontro a... –- vorkom men,
'n l I 'I ml , li mi cºn silli Ill.« Egli occorse al III si lillo il caso. I
gol so se ne voglia piuttosto dire « cl'udele che strallo. » Fiel elz.« Nella
prima apri lira di uº, il cccorse quei la parola ... » Flor. « Dopo molte
parole occorse di villa e l' a Bart.« Occorrendo le AIII e igo viene il servil
e V. E. In'è pirso, poi li è per so: la fida |a, scrivere.... » al V Vell :ldo
. VI: I ti: I.teneva la V [lli b. I servito ne l'a lllisto di (ialli e no: gli
occorrendo per allora luogo pit si le lis- c. ll -- sl ful (iioVe,
e le si Ilierle. Inoli le liote Iria Il 1 : e, a cltro da porvi le ll v a -1 e
ſa | | 0. » Fiel'eliz. lli ll V e' ('il logli il lil, il to ,. C c
cup a re E | 11 n . . . . i violsi : esse e occupato da un aſ
ſello, dalla rirti di cliccchessia. « ... I l l da grandissimo sito pi
qll st: giovalle, occupato. I 3o . « .... (Illasi da alcuna i timosità
(l, - occupato a V e so. «... e l: la Virtti di II la bev: 1 la occupato...
in lo ev ra Iliori , (iia Irl). Io lili Ss , il l)i , e l Il gla i ll I ssa Il
II li altra volta vi dissi, o il gi : : le pi e in molti i vi: occupato;
ch'io I lli sul pe: lo....» l': -- I v. C rci in are con
leggi: iri. I l gli allori clas prescrivere, nel loro in ordine III: il
liclle li (il lill li I o II l sici ti significa l'e ll ll st il colpº:
il lill . cliecchessia ecc. colli e ſil, e li li si lal iil I Il lil del ll .
sporre, s'abilire, di risati e, con l'ori e con clic li e ssia ali di mºlti l
', li ſu l e' N, la la ſi l'Irla : orolin (tre con atleti no, oralini rc in Nic
mi e che, con l' ('i . (º 'C.l ordinarono V eg::leil I e tiltti e
tre fos sero insieme, a e l: il l: st i ta.... lo . .... se crdinatc Cine
dovessero fare e dire.... . I 3 , . E st e, con lui ordinò d'avere ad illl'ora
rid) le si gli ºli , sOrdinò con lui, il V: i villi llles ( la li le lºssle le)
e, Il ll lºE l evano stimola [o, e siccome egl o avevano ordinato, i . Il
1 a 1 i lil a ze: \ are i suoi peccati....» ( v. l . E crdinarcino insieme
come elle love-sero uscire Il lo; i il 1/ Ca Val :i. E li si s . p le i s / iol
la; e? I doperarli in corsº lle - e il l . crdinare che niuno di lo; o per la I
lOrdinata il v lo s . I l Ilioto grigia : - tlil. » I) i v. Fassare
Nella Sez Io l' 1 l ' 2 ( p. 2 Sel e 1, solo allegali esempi il Il passati e ai
lo li li a usi il ct. I soglielli in sl ratio al 1 li : l ' si e li alie
e di questo verbo, note volissimo, e il I e Ilissili le s Illa pellia si
classici. lli : passa i tlc il no (t. «la banda di banda, puts sare olli
e, passati e i lorni in i lisci la l le puts Noire d'uno in ali o luogo,
passati al vino di bellezza, di sotp e, passa la bene, passar notissimi,
sola e simili. I l soli i pll'ic le solo alcli e oggi (lell' Is . I
: l : vi l le passò tra loro.» I ti it) Ml lit e passavanº il cºi si l: -
lì la le!!:i li ... o lº i. E o tiſi into le It V, e passan le
cose, o l'it l (',! l /. te lo do per te li o l la cosa fosse passata
colli e gliela aveva egli divis: ta.. o l'iter l/. Conto lo quanto
avea passato col l e Fierenz.« Le quali tutte Ccse passano su Inza a V - Vellg
11o. . » l'ier Iz. Deside. I va in il caso passa. 13 , . e - l III : : l
- l si l sia sempre mal i Irlato , il che passi , , ni III o li si s - .
, Sog Il. ()g! li cos: passo al contrario. l . I V. 6 , lº,':ls , ci; e le CCSe
il - passar bene. 13: 1. si III dialie i cvelle ci passiamo. , s - I 3 i
“. . i : -1 : l I l . I jel, lo ero il tie-t: -: i Ill 1: II i l: : se - ll Iss
di passarserie adita niente | 3 ll , st 1, s. ll 1 ( - Iº, io - , si S sa: i
lei | 1. l se ne passo. I 3 , ti i? I l bene passare. » ( : l V l. 1 :i. : l
'N. ll si It ... sll ( ! - I i s l e Ileli | , se ne passava. :I passo mene qui
ora brievemente. Vi SS. l' .lo a V ! ! ! ! ! It , passarmi al tutto di muover
parola.... (iiill . - Ma per che io ci , l ... - Za li Ire, mi pare di pc cr
passare - al pr - li e, vi li : l la lierli lie) - Ss ('ll lo 'll C ( i 1: Il 1
so di volersi del fallo commesso » da lui mansue lamente passare. I 3.ei e li i
1: o li passandosi paziente. Fior. E - l: l'agglia - se, io , Ill. Il lo ! ! !
! I V ( le , l si passava assai leggermente. -. l3 i . Il II III: 1. ll
bh , l' - rili i li li I e il ... Ma me ne voglio passare di leggieri. pe. ll
11 : - illili allilnali .... po; : quelli li ti Nolti i ricorsi i lorº li
: I ASS \ | | | | | | N ( ) IN VI , I E l va il l per passare ol: ti III lili.
. . . B i I) v e il 1 l si passare in Toscana. Ci si ri. - - - - - p, e vedendo
. . . . . . - ll I | , il de / Il l l io, s'ils - lli , del a - o e passò in
una gora i lì e il 1 l Z. I lanieliti passarono in icmulto. » l) i v . Iº V SS
\ I ? I, I ) I V l 'I V S it | 11:1 - ss: li gli 1:1 c'evade s'inti, e le
passavano in questa via; ma egli non gli all'anima di G. C.) si re -si l e. ( a
V al :i.Comiso, 1 la tila doll i i [llai - mi 1 , lo le tu di questa vita
passasti, stil a iº l ' , ill: l 3 a Dopo non guai i spaz , passo delia
presente vita. » I3 . Note al verbo Passare () () Il passo re
di Illesi i sei tipi e il rella le cle accadere, avvenire. in terreni e seguire
ecc. Al: sserva particola le cosl l’ullo e for ll lt l. (i Nola la testa
litanie a passare al contrario, cioè non riuscire, avvenire col il rari Iliello
- e il che la segue le passare bene', ci è l'illscire ('. (i 12 () uesto
passo rsi di una cosa si: il tal se passer de q. c. dei l'alicesi è di varia
significa i me. Vaio nºn arne parola, Illasi lºol forli al sl a pal la no,
lasciarlo correre, quasi lo fermarsi a pulirla: ora con le n la sene, li lasi
non fermar si a ll lov e o lillicoili, e si lili un gelien, il bergehen
ecc.) (i 1:3 Scilli ilel passa, si mansu e la mente, paziente mente, le
fermi cºn le e simili per non farne caso, proceder sen sul lig , l ' loli e il
rall e il till ' , loll dal Selle fastidio bliga (('c). (i i l'. Il
ſilenlissimo l'uso di passati e per parlirsi, andarsene da lIl 1 ll I go
. . ll ti i lo ) q c'h ('ll. Ferm sare Cerlamelle che a definirlo
sia, come la il Tommaseo, esercitare il pen sie o | Iasi clic il pensiero si
alll : cosa del pensare - sia come ſe c'ero già il lolli al rililologi, esser
conscio a sè delle proprie impressioni – quello che io mi dil ei più vera nelle
coscienza, non pensare, – non è Ian , facile e il rarvici e intendere il colme
dei diversi usi di questo ver bo. Deliniamolo all'incolillo con più semplicità,
e quello che veramente è, ſa e cioè giudizi con la mente, ed è subito manifesto
e piano (così pare a me il valore logico, la ragione il lº inseca dei
modi: a pensarla –- sinonimo di lenlellarla - , sovraslare inne hallen,
ille si elen , rallenere cioè la mente il riflessioni e considerazioni, sen za
conchillolere, risolvere o Vellire ad allo; lo pensare una cosa, cioè
indagarla, e Ncogitarla, cercarla e trovarla pensando:c) pensarsi,
immaginare pensando - fare sè o a sè pensare, ecc. – ed anche: d)
pensare, senza l'allisso e in modo assoluto, simile ai verbi della 2 Serie,
Parte 2 Cap. 2. Non parlo dei 111 di pari sa i cui l i na cosa, pensare
sopra i na cosa, di una cosa, che è l'uso ordinario del V b pelsare.
... era li a lui la pensava, l ... l) , V. lº da il di illi i 21 pcnso sempre
modo e via gli li p s- ll ril l'e. » Fiero lº y. e Con I liti o id) abbiamo
pensato un rimedio.... l Z E siccome a Veduto loli, . p; estini i ebbe pensato
quello che eri da la ! e, e il Salil il llo il disse. l 8, a pensò
un suo nuovo tratto il: 1 st z:1. o C sa li. a Oil:ia e la Viſ n loro il c i i
liv - I loss , . i: 1- li il Sel può pensare.» 13 , . E si pensò il bilo n uomo
che era l'elipo, d i rid: si me alla B colore. » I3 . Mi disse parole, le qll
al 1' mi pensai ( li II: il V oi i tal gelite e Vellisse. o l): l ' i te. «
Pensossi di ener modo, il quale il ddl esse.... o loce. « Sla tanto li me che
pensiamo sarà presto gilari o del Il lo. » Caro 533. a Illa 11 in si a Va - lo
s ... Il la la III e, pen a Sando forse, che si ill a rl) , , lov e l'll el',
e: Il lido, V ne sarebbe e quali l'un altro si vi -:ils pe:Isa: dosi, irrina -
ni ndosi . Fiereliz. Nota del verbo Pensare 533 -- trir den
kºn er l'ird balal tricole, gi / se in \1 dl , ( li lico come si è del [ . e
sta per ci pensiamo. Perci con a re (C coro ci cori a re)
Solio liolevoli sopra illlo i modi: per donare la rila ad alcuno, cioè
lasciargliela, non ſorgliella: perdonare, condonare ad alcuno di fare, cioè
accordargli, per le lere ecc., perlonare al jeri o al luoco e simili, slarsi.
rimanervi dal applicare il ferro, il fuoco ecc., e finalmente non perdonare a
denaro, a lot lica od all ro, cioè il sarne più che si può, senza riguardo ecc.
l o elli v - se perdonare la vita. o l'iere 12. ll I po V e le dosi di
III, lta p. egava il leone che lo la s Isse e perdonasse gli ia vita. V , l '
i' / II; di Es po. N perciorasse pietosamente la vita a Roma già - Il l
il I I I I I I e l Si l Perde maie, i, pcrdonate il lil, alle ricchezze,
le i:ì li all'ute, e il l i -, i isl al lilia? e . Ed a 'e la in
condonisi di recar lo ve / le pendenti agli a ol'eccl I. » Se ll.Che :lol V -
si ill o il litri interessi unani, io li Vi perdono ciºe arrischiate la I loa, che
avventulliate | lº ri lli: zio, il che li ss i sa , i ta, li l.. . » Segìn.
-col e gli ... oi , illi, e le e' ſù perdonato al ferro e al fuoco. (ii:Tilti i
1, non perdonando a memorie, magnificenze, librerie, spi: i lito, l I e I do la
V el - 1 , V . , – lla slal'e il nido. » I );l v . se polesle. ., 1 l l i
gia che perdonereste a denaro. . Segn. \ V e perdonato a fatiche a spese a
industrie, ed avrebbe tollerato di veder l illa del tri: 1 il pe: i - se poi li
fa render beata?» Fºro cacciare llo is o V al I e il I e il I l re
di pi curarsi, o procu 1 a 1 e ad al Illo che chi essi, i licl il sels ,
VII l essere illeso anche il I 1 (lo : di malati e il p o ti º lo gi la
di più l'allino di andare il procaccio, si e' li Is simile a quello del
p, r'alizi l'agi li lo stilope ti e' piu' al '. Si gli assi lilla nelle fare in
molo, ingegnarsi, inclusi i inti si o si riiii. (il è per or | , se |
-s,l, le to e ad i vi i procaccerebbe come i 'avesse.» l ' .frastaglia trieli:
e vi dico, i lle i procaccerò s. viza la , che voi di nostra e brigata si ete.
» I3 .Volla procacciar col papa che i voli llli d 1- elisasse. » l?o . « Il
llla e Veggendo la nave, sul tallenta in Irlaginò ciò che era, e coa Ina ndò ad
un de lalnigli, che si li/a. Il dilg 1 , procacciasse di su montarvi, e e
L, i lati . Itasse ciò che Vi 1 - - o lº . r a )ra si procaccia Viati.i:i
di avell are agli al s oli, ( ! elisol II: la Vellasse e loro IIIo o il
milmente, e co., lilolte lag rili . (ilValca.« Procacciante in atto di
mercatanzia. , lº . . ) - I tos , l l Ilsl rios , . a Procacciam di salir loria
che si abiti: (.li gia lo si pollici se il dl Il : l iode. » Dalì e.gli venne
illio va cile i litoria , i i' si della reli gione, si , ra ils it la', pro
cacciava tornare al regno. ( i : i i. E pensolini che la lon:.: 11 1 1 l vi
aveva del o i S. (iii) valli che - procacciasse d'andare i l leili, e Il 1:1
11 e disse loro, a dire i lic va ri-s . . . . . - il i: i lila i
lilla. E pensº irri ste e - 1 elle e - I sl11: rr, te.... procacciava di
favellare loro. ( il via l . e º pe; soli i clie il vºltº il rii ( - si VI: i
dolina, e li ci sse: Carissili. Ma il c. v ! le li li, V e lere chi e gli scril
I e F: i sei procacceranno che questo corpo sia ben guardato, e Irla. 1
ler: li li i di l: -- li si li li li sa l bl e 11est: i stanza li li l: - tra ,
( . I v Sſare .Procacciando d'aver libri i -1: l silt: l o (.es: l'i..... e
senili e procacciava in vero studio di accompagnarsi coi laici, e c. l e
perso le di l -si l III: ( Ragionare Notevole l'uso di Illesi i
verbo I I I I I I I I I rilisi iv livo, col caso l'ello ecc. 2, a val I e di
disco , ci e, se il pli e il di pi la re, emersi parla di di checchessia
ecc. e t - , la e 1 l , i -; tiri . I ll zza . ll (iesti ila -s , e per
ragionare con lui quello, lo delibe: il to Insiellº. , Cavalca, a IP Srla e le
m'ebbe ragionato questo l i l: i grilla li do vr ilse; a Per liò mi i ferº, del
veli il pil pro-lo. a l)a te.e forse mi sarebbe igev che ragionato m'avete, a
che Iriella : il rili al V Ita el l Ila. » I 3 .« Come il di Ill venili o ella
Inandò per Illi si sale e ragionato con lui a questo fatto. » Borc.« All
(li:llmo 11oi coll e-st, il il lºonia ad Impellare che..., ma ciò non si a
vuole con altrui ragionare. » lº cc.Collllll iarollo il ragionare di diverse novelle,
o Bocc. - .... insieme con il rarono a ragionare delle virtù di diverse
pietre.» Bocc. E' stato ragionato quello che il maginato, avea di
ragionare.» Bocc. Io gli ho gia ragionato di voi, e vlt lvi il meglio del
mondo. » Bocc. “ Se io sentirò ragionar di venderla, io vi dirò si e torrolla
per te.» Sacch. Nola da ultimo i nodi : entra e in ragionamento v.
Entrare: stare d'uno in all o ragiona nºn lo tre i tgionamento: cader nel
ragionare, i sul l tgionali e ecc. e .... e di questi ragionamenti in
aitri stili sul ſua, lo caddero in sul ra e gionare delle orazioni li gl: i
lori i l a l)io. » B cc. Rinn a ro e re Restare) (ill: il da
colli i lill li si l Ill li Ilsill', li , elillica nelle, il Voll)o rima nei '.
I in nºi sl, per cessare, lasciati li la re ecc., ed anche dicevano ri li di me
si, i 'sl di I Ni (li che lessi:i, il logo della folla ordinaria, asle lie
selle, non la re ecc.e Valli il picchiar si rimane. » l'80cc. l'er g . I li,
che nel e li li e di Ille, le i l onllo e le el o nido, si stoppal on i detti
art firi per il lo, che si rimase il detto sucno. V Ill.Per voi non rimase, il
st il dele, che egli non si il 1 les-e colle - lle 11 la Ili. l 36a Tull ti via
In li vo che per questo rimanga che voi non li ne facciate il pia e vostro. 13
i n i VV e il 1. pl te! is a, si tl al msci).Per questo non rimanga che li per
venil e il II lo al corpo sanlo tro Verò io le; l lodo. 13 , i .a Madonna, per
questo non rimanga la r il na notte o per dile, intallo che i pensi.... » Doc
.a IPercio hº, quando io gli dissi al collessore l'amore il quale io a a costi
li portava.... mi ero un rullo e in apo che ancor mi spaventa, di condomi, se
io non me ne rimanessi, io li'a il re in bocca del diavolo nel profondo de l'i
nferno. o lº e'.quanto pochI - n 1 lei che rimangonsi dalle colpe! » Segn. . ()
il -. o è mal I atto, e dei tll egli ve ne convien rimanere. » loce. - - - - -
ess idono da alcullio loda l rossiva e inos l'avallº tra i dolori, che, pure
per non dargli quella lanta noia, si rimanevano dalle sue lodi.» ( es. r
.... e oggi se ſiore ho di sapere, e nome, vien più da Volsi che dalli al a
ringhi e voglio oggiinai rimanermene; perchè que: codazzi, riverenze ea
corteggi a me sono con i bronzi e io iIII il gilli, e li riti li Il cast : li
o!' « contro a Illia voglia. o I)av.º per cinque anni era con Intlalileite nel
pt at , e li pil re: che se a ne potesse rimanere. » ( es: ri.a sfolzil Vasi di
oli dll l'1 e l: I); Vill: l 3 lit: i d i lilli olii i cºlori di - i lo a padre
che restasse di più opporre imp, dillio Io.... , ( es. “ .... ei percossº. Il
lin fascio di legno, e tratti ne II: il « e nocchieru o che vi fosse, non restò
mai di battermi. » Fie A. 537 Note al Verbo l?ipararsi o al clie
ripara i º il so, il II lil in qualche luogo, è rill Rimanere 536 –
Maliera elillica e vuoi dire che i lu solo di peso da lui se la costi non ebbe
effello, ma che per la ri', la da lui sarebbe anzi il V Venll : 1.537 – - Aggi
Iligi la frase : l in an rsi con alcuno, cioè resi il l'accor d . « e cosi gli
raccollò IIa lo si era rimasto col giudice .. lierellz. | | - Riparare
giarvisi, ricoverarvisi, prendervi stallizzi, il bergo o si riili. l ipoti e
rsi la checchessia, prenderne riparo, e di lenale sene, schermi il seno
ecc. e lº co-l facendo, riparandosi in casa di lil I rate! l la li
(Illivi ad Isllr: prestavano e ili pe: I lil. I d' I, ss MIli ci: Vd io e Il
rito, al V Vellino che (ºgli il [..'Irld). o I3 , ,« Nella quale , Fiesole,
gran parte riparavano le sito soldati. Aln . « Nella corte del quale il conto
alcuna vol 1, l gii ed il figliuolo, per a Ver (la Illa ligiare, molto si
riparavano. » I3o . « .... e avendo ll dito il nuovo riparo preso da lui.... »
I 3 c. « tempeste terribili con poco schermo dell'a! | a ripararsene, per cal
gione dei grandi spezza Irnelli i che vi la line, le cellule. .. . I a r .
FRispondere Si lis: per l en le e, l ali che si appr. pria ad usci,
finestre li ries si | I go ecc.Vi si st l'1, ed ali e loro entrate, , le quali
di gran vantaggio bene gli rispondevano. l'8 c.E ,si i si l:n linzi li o gli
rispon deva.... » I I.il rolliri to, di che gli rispondeva a stia p.'ol s olle,
o Ces. \ la ti tale sopra il maggior canal rispondea, e (Illindi s
( si d . io, e - ta la io el l altra parle dell'andit , I Gime r spondeva nei
cortile.. .. . Vl in 1/. ( : :llo iella (.li es , e a tinto dal lato che
rispendeva verso la casa parrocchiale , a in la I bitulo, il 1 bugi a :
il ii Il \ l: il la. Riuscire la I e di jiu il '..... in li le rispoliciere V.
g., di una fi I solº i di qualche logo. il ri si il V lente a che
il fatto riuscisse, l V e Illel inisero me li: i sliI l l: vi ll . e qui riusci
la fede di Il sºlte. lti . . . » l al [.. 5.3S l . . . .. il che riusciva º ;;
l'orto della sua casa. I leveliz. ! . . . ll le gabbia e gli altri o il certo
I, li sl re d'un palazzo che riescono sopra una bella pescaia di dettº Villa. »
l'itº l'eliz.E le 'tero a dove riuscire ad cdio e inimicizia Illani le 1:1, ed
il ( s. Note al Verbo Riuscire 5:'S -- Nota anche il modo :
riuscire nel contº aio (l?art. Fier. Ces: C' ('C'. IRorn pere assolti
alle il c. e di 1 , il I e pºi e' ipi di isl, scoppiati e, a Isbrerli li , re
nir fuori, mosl riti Ni, renire al 1 ll il 1 ot, la nulli) , il ſuo Srl, il l i
tic li e si il ( )sserva Colle. spia º la r la e i d g romper nelle I):ì
v. che il mare ſta il lo rompe la fortuna , si i º la ve .... » Bart. Ma :ì
colm pass ºli d'ºl - lo d lo c . lI l a zato a rompere in questo lamento. » (
il .... Si V ) ll 11 e - I | Il ri - Ci10 ruppe la più Sfornata tempesta. .. »
I3: it. . . . . ll si l il Iss ....... si ricco d'a ll sor, enti e pio a 'le.
verno rompe, i cli è noli ha pºi il l si 3 l rt. Al romper de' primi alberi 13:
e () li liseri e vili e le colle vele , il re i riposare, per lo irill ( o di
veli! rompete l il sit I'' | il ti» li: il tragi , l)a 1! ( Convit.« IP:lrla il
santo I)otlo e della penitenza, l silligli: il 7: che rcrmpono in mare . 5 (),
IPass. A 11aloghi al I o mi per e silciello, solo i lil (ii: l'olio di
chi ce li ºssidi I l - , di risi) di cui i ne sfr millili e le alli: il ri: (ii
Ili. l'uol li | redica o di persona e val lira hi:il di ogni vizi e delillo, si
bilo il l'il': rollo palla e se l'I l ºrº al l (t poi i lil si al I olla e . A
vizio di lussuria fui si rotta, ( ll iil I I : i ( il bi' -ilm o ill che
e' il ci li lo | 1:1 , . . ); I l ' e li o di po; con roito parlare disse a I
io - , i di loro chi sono pi posti a go . erno dei legni . li enz.
! , si parti :: rotta ». a MIozy Iºirellz. In t . . . .ti, i a crive a
rotta. si 1, ero i rossi V lillili ». CCS. Note al verbo
Rompere , 4ſ) Quando il discorso non è di na Il giro e si vuol sare la so
irriglianza del mal frigio si dice l o nº perc in m al '.Sapere Nola il
sale dei seguenli esempi, e osserva come sia usato a inves ce di conosce e, cioè
il lal luogo e follia che penna volgare inon sapere di lole la conosce e lo
elli in etile per saper lare, saper trovare, .. . . . . lill il sels l o
spiacevoli e cagionato da checches si se pºi li rion Nat per lu nº, se per
male, saper meglio, peggio e o il il I - sapeva ed il luogo della
donna, e la t o! : liss . 13 , . V sapete bene il legnaiuolo, Il
tale era l'area, dove noi I Ille- i le lel lmondo ». ... si il gialli
avi, le tl - e i llino da ni:aggiori miracoli, che lima losse, per ine sapevano
bene la sua infermità di prima, e tutta la gas. s tripli di gelle ( i val.i ( o
si º li elit: rl, impero che sapeva l'animo Stio ( a V alcºl.I ll (lº vi o li
sapendo la mala volontà di Alberto , (ii:alml). l'er certi ti metti da campi
che a gli sapea molto bene ». Balt. Non sapea aiIro bene o vantaggio che lolli
li Ino; i do ». Cosa ri. b) l urono oli ri quanti seppe ingegno e amore
». I o .Sappi s'ella :) : voi a 1 e e ingegliati di rilene) e la n. 13oce. Se
e- l si, val lsi ve lel via, se noi sappiamo, di riaverlo ». l 3oce. \ li i: it
: l . Il tº sappiate come stà ». I3 .V e li li io e sappi se con dolci parole
il piloi recare al piacer mio a. l 31 \ lorni il meglio che sapevamo l?o
l?art. a 'l'empi rirs delle cose che sanno buono alla bocca » (che piacciono,
il 1 ml, rano i gusto, vanno i versi, i l:llelli , l'iol'. a Nell'all
pero di chitidere o si arta la io, per riporlo, mi sapeva male e che una storia
cosi bella dove - se l'Iliialle'e lllt la via sconoscilla ». Manzoni.Note al
verbo Sapere 5 (1 – Lascio i 111 di : super gi atolo .... e noi ve lº
sappiamo grado quanto Dio vel dica ... Fierenz. --,saper di q. c. – ..... In li
li perciò che li lo sappiamo « d'armi, sono punto rimane selli. Il prolili id
arri, eggiar per poco. I3art. –, ed al ricli si generalmente noti ed all che
usati. Sc usare Scusare ad alcuno checchessia significa lui e per..... rale
rgli checcles sia. Scusa i si da un incarico. di un onore è l'alleli nen
dei ledeschi, dispen strNene, declinarlo. gli Scusava altresi tavolino da
scrivere , ( es. I) Io g! scusò .... ll Il gi! io lli: It i li (. Il lun
atto di III: rivºglio - a 11 in Ita . ll Ior- e la vi a a la fortezza
degli altri due , gli val-e, gli compe: so . I3: rt. :I III l st 1:1 - lli - ,
e o l il l: N velli re º il l il lii lutti, vo: ebbro piuttosto
scusarsi . I) , l:iz. .... e vi va parla gli uli (a: di: 1 e se ne scuso
I, pe . . . li : l ' li enza. Iº e prima lo volle as lta: e cli ..
. ( -. Sp e dire (Spacciare) Dicesi | III o spedire che
spacciati e negozi, alla ri e val - igarli, dar fine e in prestezza, dar loro
crimine od eseguirne lo ecc. I 'tillo e l'altro sti, per sbrigare. libera
e mandati in orina, distrug gere: li la lida che spacciare in tal senso è piu
forte ed incli e violente ed espresssivo talora più di spedil e.spot ist e il
ses, i ve: id I e, esilare presto, agevolmente non E spedirsi,
all'incolillo, il senso di Irellarsi, sbrogliarsi, sarà tal \ l igliore di
spacciati si.Sp li e lº si usi il ho io l in rial c. 1 | li la relole spacciare;
sicci lire - Il s s' , si e' li i I ispedire erti legozi . lle gli
erano assai l | 3: i t ( ) s Vli - s III Ill: ll spacciare l'Imundò Lui l
( - l a \ si essendo espediti, e partir dovendosi, Messer ( I
espedita; e le so, i1 il - ! i , i l 3 , lº 1, si l SI II il 1 e ia li e
si inseparabili, li ! Si va per ispedirsene lo sv. Il relit tº ai assa la primo
all'ultimo, N es 1 - oi i : Il mat . Seg Il. \ llllllll cosa, cioè alla dol. il
pot, i ni spedire e mi spedirò brevissima e la pill dolce dell'I latina, tanto
i vol a 1 e e V al cliI .. . . . In li spedito e "ri i colli li sa e la
col vento in poppa, o ll Illl), \ si vºli l e spedito in nel rito l'llo
delle fatiche, V sgombro, libero, franco di \ si lss 1 e 2 ti el: - S , (
Spacciato se ge il tº l l ) rls , l il s ol'l'eva. . » I): I V. spacciarsi la
qua le briga. o liocc. E dello spacciatamente se a divise o tra loro. »
l'ierenz. l est .l. I li : il li li di analoghi, con lo spaccia i nuove,
ſandonie, chiac li c', ': spot cicli ll mi lit l . la sci: lil el l Spetcciarsi
lºt' ....... si li util Napoli, il rils... . . . . . . Stu ci ia
re Stu ci I co N sl 1 la sl, slultati e di che ce li essa, il
checchessia, le studia e clicci li essa, i cºsse V so, il lendervi con
solle Ilic, pigli, il si al cloro c.a e convolſolo per lo fa rig . I
titti i panni i ' iosso gli stracciò : e sì a que sto fatto si studiava che
pull e una volta, dalla prima innanzi, non gli pote, Bionde'lo, dire una pa! o
1, mi doll::l lavo ler, li è qll sto fa -se o. I3ore. No:i lasciò il II
la 11: i si studiava, - - ll il ei lidi i maggiori bo-coni ». Pass. Forto
studiare il l re . ll - ll -si l ... I3 e “ Va (lo zel: i vezzosa li studi in
ben parere, 1 A v . lI I ſi per il Ver nonni e pregio di ie lezzi, -se la gli
ali a nſi an:ata: sper a chiati le molti mieli i pieni d'alloni : vi ss v.e Il
campo - I: il c hene studiaio I l i il to - - ( il v; l' . No ! I V il r! - a
te, ma studiate il passo , I): Il fe Analogo a questo studiati e e il -
si liv sl ulio le s - le I sei pi Sta per cultura, affezione, indistria,
premi di li solleci il ne. I bassi , si per 'o litig , e , oli! studio,
si ri-sezza dello el'r: i clivelli e le lissil II , e odori | ero III !E fi1g e
11 lo og Ili studio di V: la s i Z: st: si e n. ( il V: Il l.lº ! ) ll è lo studio
il "l: V ( " , 11 l 'I:I - tll (le, 'il rolls il tt (line avea t
riati il vo! I Si r I e II, l'i: 1. ll I-tri: l'si, lo si ll - l3llo lo
studio Vill. I l l'illll! ». lPl' , el'. lºrosſo si fa tl o studio di vita
perfetta e I l lito, veline ogni l in questa « :i va ilzi 11(lo ..... r. C -a
l'I.Questi pie: i l dicazione. ... crebbe r 'lii lo studio della vir' il n.
Bart. Ma per le egli i il la ſi va in ai li sºlo - e io, conferi la corsa e l e
s ii: i re, i quali i :ilm ira o di ſalito studio di perlezione, ne lo scoll
fortd) ». ( es: l'i.(ollsidera , a studiosamente III: le V irti - -in a livelli
e in larni il | il il 'Si a.... . i . i: l st il n; i ri'. Il te:i,
ed il 1 st ) : -, il 1 l l il 1 a e santi invidia, dall'uno il riprende i : -
il: zi, d ' 'ta, l o : la mi i suoi lidine di tie-fo, ed la carta li seguita
l'o si sfu diava ». ( a val. 1 bello slurli . in re o si riali ,
per ni. Slare di sl italio è ſl se elilli, il V ,le. - I li - ci del
liti.......Term e re ( Attero ere) Se lº ritieni disco rere il
conto e l'onde, che allo stringere va poi I che non per altro è così se non per
l is si, il re sul lo alcuni esempi i più notevoli fra i molti i 'i ll il 1 di
II lo nºi e vi gali ci o di operato e di varie significazioni - Il l l: i
clivel st Iori e cosi lilzi ille. N gli ese, il clie sogliolo: lº
I. I so di lenere per legge e, ritenere, in porta e portare, occupare, : lire,
ci si r , si ri:ll.I terrebbe - - l:lza non l'attelluasse U al tutto ! -s .....
, l 3 l:\ e V : l l'ill: il la terrebbe llll esel - i l): I V .I le llll :lollo
solo ne teneva mille di l . . . . Il il l lei sul i... (ii: Inl). stava di
.....)I i s tengcno, le : l li vuol divenir beato mo Bo, ritengono,
insegnano). - , s. . . . . . . . . . . . . -: teneva i li , i liatura di
quelli non si tor Ita 1 - lasse la lollo le arli ». l)av. (portava, il l , l .
S S. ,' ' A ripagne che tengono gran i - i loTe', se -: i e letto a filo il lo
». l ' , SS. ) l\l I l emete li - i l: l 3oce. Te', si . 'ls ll' Illol te lº
guarda Ito rov 1, appena gli amici ten riero I l l' ... I tl V . º li I
nel si e' isl e le st. a rl - la si river pillole di se ecc. E nctendosene
tenere, subita il file con le braccia aperte gli corse . N potendosene
tenere, il dolla Il lo se li gliese losse o forestiera. » Il lo il vide:
o, ſemnersi, o Nºvell anl. I si tennero, si llll'olio in Inghilterra.» Bocc.
(non sl arrestarono li : l .S - e li l silio, e si tiene e per il cosi è
adulatore di sè ss . , V º l'eli,3º di Tenersi, allen ci si il.. . attaccato,
legato, olbligato il per l'e, .. al c. aver fode, esser a L'eredità
s'aiteneva i mie, i lire pi stretto parente , Ambra. « I'( 'la, cals! e 1 , V
s'a tiene il ... , l 3a lr . Ere le d'Il 1o, la lo; i t'atticºne quasi nulla
Attenendosene S il li, gellolt Ztl....). Si vl it - : : l si . « E
pure con esse si forte o d si gran colpo quell'albero e con tenersi a tante
sarte, ll l'Int irli E' pi 1 , la volta gl si caricano sopra bufere di vi
1! .... , l?art SS6, ſ" I e Irla Iliere: i l: NEIt ( SCI(), IP ()I?
I \ I.N | | | V I \, e si lill. l'ingresso, non sto con l'altro 'co'. i
ſicali e le per rielar l' (Illa lo uscio ſi fù III' i l nut o? l . (. .
Il lilli lo il 1 ll 1 i gli :iltri i l ll il l Se Ml 17 Zeo vo) esse
venire, a lui g a Iri Iri: i porta gli -se tenuta. S'i ll. Lo Ialo a
Illore delle cose. Il 1 la tiene la intrata della pelli tºllzil. »
l3elti. Simile: TENEI? FA \ El.I. \ per i sloti e di pali la I e
cco MI , l' 13e! oli e veri e I l Is rezIo coi Sere. . (ennegli ſavella
illlino a V (“Il l'Ill III 1:1. » I3 r . l'ISN EIRE. VI I I NIEI E I. \
IPI: All.SS \ e simili per N S . I l ct i lui, mi e' lere in esecuzione,
al lendere la cosa pi o mi essa. E co-i v. illy i lo; p - attenuiC S
: MI i beni vi prego le vi ricordi il l: III e l attenermi la promessa.
I . l'ENEI E I) \ N VI CI N ) per stare per alcuno, a lei il c ecc.. e
anche l'ENI.IRE A I) \ I CI N . per esse gli diroto, allo zio ma lo e' ra
dicendo. Chi stupis e, li gºlia. In sella ma li la e per tenere da chi vin
cesse. n I):l V . a 'I'll .t: 'ls V - , cini | Cnea C 9 l l'uno, V ed I
ad un'altra donna tenere i s il 1 l (''le. » I 3 : . ch, coll'altro , l 3
. III, i ql el l . . . . I | Il t . Il I | NIEIR ( IREI)| NZ V, Sl
(il t El () il mat cosa, poi oss . (la e il secreto di ser lui i c.
1 li tr\la V e V ,i In 1 in la di tenerlomi credenza. » Bocc. Se lo ci º lº si
le ti li tenessi credenza, io ti direi un pensiero che l lo II v .. . . 3
. Il 1 s ii il va onle lo so tener segreto? » Boce. l'ENEIR E I) I. I)
El. per are le qualità di..... \li e l - - Fiesole ab in ritiro, E tiene ancor
del mcnte del macigno, I si fi; a per tuo ben far nemico, o I ): l ll
ta”. Tenendo egli del semplice e molto spesso atto e piano de Laudesi.» 3
m . I Per si s ZZ I l: l'ill orrore che tiene insieme del ri tirato
e del venerando, ( il ri . | | N EI ) \ VI , l N ( ) | N \ ( ( ) SA, lu'
i lat, i guardarla ('( ) )llº dolla, procu i ctta la ecc. Tengo da
te lite o lei lo 'I EN EIR (i It VN I \ \l I (il I \ I loss leben. I anche
di grand -- TENEIR SI (i N ( )| I \ S( ) | | | V. e sillili. il il l'ono
a spendere, tenendo gran il l'I) leggiando.... » - z: il l ll
dissima famiglia.... . . ontinua in lite corle, di mando ed I 3 ) . Illelle e
il laie, e tutti insieme li Ilenò se il gºl , l 'e ivi teneva signoria sopra di
loro. ...» | | (ºl (': l/. I EN EIt All NI E q c. S.Si Til lo) ll till al
pl. I Tienlo ben mente. Clie di tu di lui? » IPass, l'ENEIRE \ Vl Vlt |
El I ( ) per i cºſtiere alla pi ora. Se o elillirill I - o d'a i to, lo Il
varellol danaio, perciocchè I lill I l: e le terrebbe a nnartello, o lº s
. Silll I | \ / solisti , cli, li i rilio a ppa: eliza di vero, e poi
lo reggono al martello. I renzo Vledici, I | N | | | | V Iº Alì (
)] ,l. il grand slmo lolor punto, ve gelid si l ubare a costui, ed ora te
nersi a parole. » I3ore. SS8).TENEIRSI A POC ) CIIE o li... . per mancati e
poco, a un polo che..... l il pcco mi tengo e il 11 si l V : l ... l 3a
rt. a poco si terrebbe di fargli sp a r i: esla dal busto. » I)av. e Tull lossi
il giil l a poco si tenne che lol li la ndasse ill I)io. » I3ti l .Qll ('sli l'
1 l V il ll per lei l'8olizi a poco si tenne che non rompesse i trezzo le
parole in bocca al re. » 13ari. e a po22 si tenne ll Il 'l g . . lIl l: ss e ll
l: 1. ll lentº. » I3a l .\ III:il t 'ito si tenne , li ll i no! I lºo . po o II
lancò che). e non so a quello che io mi tengo che io li sego le reni. o loce.
S89) Liis lo i titoli lelier: teme i campo disp. Il re , e nel
parlamento; lemer cuslità: l 'ner con lo. le ne I e di metri les li tr. di
matri simil N . . ed all 'i lllolli le sollo I: fissilli ed il 1 l 'g: i
'li e le Isilli, Note al verbo Tenere S85 - Si inile ſi ſti,
slo, le nei c . ss it ella di Illi, Irla il clii : lento a dirvi. Ieri lo li |
| | | | | | . . l ..., ecc. I r; I li prelie. l 'il pollai, li li sl i ti ci l
e. Non voglio sollelizia I cle sia l al dlel' , Il si ſti e mi ero lei libri di
il . SS5º - Tè per lieni vasi spesso it is lil III e il liclio e
classiche. Si ginifica : prendi prende le simile il lencz dei francesi.
SS6 Vlialogo è il modo : esser tenuto ad alcuno, per essergli obbli galo ecc. e
di clic i sell e vi sat) ) le nu lo . I3 cc. SS - E' lei il ra cosa che
poi mi cºn le len ci ai miei le. Tener men le è la cli il lool e, ii l'l'ic
loli -i. I li N le lui li I Na'im . ( sil I lili. SSS -- Simile l'alli,
lene e a piuolo e la spella lunganielle, ed a li che tener a bala, cioè il ...
I per il lig , dal pascoli loil, lo parole ( t' '. ('. S80 – I radici: lo
si si il... o da qual cosa i , sia | ralleli. Il . obblig: il , che il...
E' il tenersi cl Ilia cos: ad un allla come sopra. Si si | or al l 'e ll il ',
il l 'I l l e', tipº partºnº re, spettare, riguardare, con c'e' li l ', mi lui
, l ' i', con il l ecc. (i II l la collo e il lido : Nella lira e bri It
i 'i: occo rit ... » Fie: enze. 892) e la \ e l'e lloln Inai in quelle cose che
a lui non l occano. , all el l Z S9.3le leggi il mio esse: oliill ill, e l: tl
e oli collºelntill lento di coloro, a cui toccano. . . . l. I 3 ) ,Qi lel il li
illli le l mondo si spenga di fall le, si lle l . ll i non ne tocchi una. . l o
. - TI (ccchera il va! ii , li ho perduto non hai. » Bocc. Eliorniti che li
toccano il III | orsoli 1. Giul, che non riguarda lo) ( )iles o ti togli il tº
it e toccò l'animo dello alate.» Bocc. Nill riso si v l .., liti ma les!: il
tocca, niun giuoco. » Bembo. rili on le li rilate e tocche s on III te. l) avE
pur i s l it toccavano i soliti dieci assi per un danario il giorno. » ve . . .
. . . . l):ì V . \ i le li si – li -se esser tocca. » rubata) BUcc.
Nola al re niti ie e ci si parlicola i del verbo loccare e suoi deri \ ai li :
l occo, locco line ( C VIRE I;l SSE, 13 VS N \ I l e simili, cioè
ricererle, guadagnarsele. S!) Si occo l: ve li e la sto male. » l'a! .
l.llig. º l:Il quale, il V e ilo dal canto leg 'i Vitellesi una buona piccata
toccato, l'Is - il l: i ti, , V al cell.I l toccarne il 1 , lº strappatella di
fullle, e fa - e peggio il loro a. m I.: si Stavano olle ſelleri li non
toccar qualche tentennatº. » Lase. | ( )( ( V | | | | | , I ( )| S( ). i
tcccatogli il polso, i' 1 , V o li s. Il: le... » l'8art g l Il losſ o, egli
non si risemi occandogli il polso e il settimº il lo trovandogli, tutti per
costante ell ss ( lilor | o » l 30''. I N A 13ESTI \ perchè cammini,
\ lid: V a ill: zi toccando l'asinello. , V S. ( , l .l'ARE AL TOCCO cioè
cedere a chi tocchi Sºſ, « E' facevano al tocco Per chi avea a morir
prima di loro. » Buonerotti. DARE UN TOCCO SOPRA UN ARGOMENTO dare un
cenno e passa oltre). I N A TOCCATINA I)I..... « Rizzasi in più con
gran prosopopea, Ed una toccatina di cappello.» Lippi. l'( ) ( ( C) I
)I.I.I.A (..AN II º VN V. Che li cºlli pa 11: l'o, un toc co. »
Vill l: I I'( )( ( AIRE I N I VV ( )| ? ( ). « Ne i pittori le sºno
ritoccare il lavoro a fresco, quando è sec o. » Bor. glini. Note al
verbo Toccare 892 – Si dico anche oggi, e col e gil: il forli la e
sigilili : mi locci, gli toccò di redere ecc. ecc. 893 – Simile il modo
volgare: tocca a me, locca e le ecc. No a dop pio significato della maniera
: tocca e al alcuno a la r che che sia. Vale cioè allo apparle nel si a lui il
lati lo Quel che loc a cara allora a lare a ('alone nel Senato, e di che veniva
pro « cisamente incaricato, si era la reiazione dell'operato da lui in
Africa..... » Salvini , che essergli forza il farlo . Se così ſia toccheran ni
a star e le Mlach. .306 . « Trovall a domi in prigione de l'Il cili, mi toccò a
navigare sul quo e sſo Irla l'e . Magal. Va l'. () per il . 894 – Si
costruisce non solo col caso olli | Io o l: l'ivo di chi le riceve - – toccare
tal alcu no basl 1 i le ec . li l: i col l'ello e loInilia livo, cioè ad Iso e
va' l' oli verbo neutro assolulo (Conf. Parte 2, Cap. 2 Serie 2 loccati e
alcuno delle busse, simile all'esempio di sopra : l occati sconſille crc. - -:
e dicesi anche elillicarnelle toccarne, se 17 il ro. (ili esempi che allego
sono citati anche dal (il era l'elilli. 895 -- Si ſa gillando uno o più
dita, e secondo, il convegno Se pari o dispari, contando a chi lo
cehi.Togliere (Torre) Il sil prillo e volgare si gli ſcalo è ſuello
di pigliare, le rar via. Ma guardi colli e le e vago I al I silli: i polli ai
classici, e notevole l'uso il liche il lal senso. Trovasi poi anche il
lill glisi sa che pare significhi l'opposto li loglie i ri la I e lo gli
hecclessia , e li on è altro, a mio il vviso, ci Il loglie i re Isiliv ,
cioè la re che al rilolga ecc. Ollil tit , il ... V e le cºlle il lempo
m'è tolto; lo illa!)i 1orse non li lall, ll : il ch'io vi soddisfa la l 3
Sº)Ilena i logli i dosso Iliel poi, l'esercito, il l aggiunse a Marsiglia,
togliendogli il tempo da.... , ( amb.No orre alcuno. » l)ante. (le il ſierº del
li i tolse. » l): ll e. « . .. che pole! ( ll gli abbia N ' i torrà si endere
questa roccia.» lº: i ll tºEl e o pit and: I mi tolse il rio, e lì in mi
impedi, mi vietò Ma lui li do, io mi tolsi di soi o al letto .. . I levenz. 900
Togliersi dal sonno e dal letto, e lº renz.per lo miglior loro e Illrolio, lo
zali a tormisi d'in su le spalle. » Fier. E per io hº il solo la so sl: i o non
li aveva tolto, che egli non con - scesse, llle slo sllo e Irl , l e ss. r . ll
rd venienza, si comio savio, a millno il palesava , 13o 90 |.... Irla I e il iv
si dissº: l) il nullle toi tu ricordanza per no al Sere? Io boto a l)i che mi
vien voglia di dirti un gran se - gozzole ». IB ) .e tolta buona licenza, se n.
a do. Fier senza la li complimenti, si prese a liberta...Se vogliamo tor via
che gente tillova i sopravvºlga reputo op portino di mill' arci li lill, ( and
l: le altrove. B 90?) Itender enn , Ianto che app, ma il potea o, chio, torre.
» l)ari e 903 e dal a rito il questa l'alti e toglien l'anda e la de e ratle. »
I)ante. si toglievano gli uni agli altri quel piccolo soccorso che loro
polevano di re i silli, o l?: il 1. 00.... o ad Illbra li do il vose o ai
proprio, o :i sperandovi con rili pro averi, o togliendovi il modo di fare
un'alimenda onorevole. » (iilllmer. mise o el ºnn i molato Cirio: le pe: dè la
sua liſl la lag iata, senza altro averle tolto, che alcun “ In ci si fa
la guisa i. e genia, poi, o dav:ì il i la llli gl bacio. » l?occ. (cioè dato)«
perchè or che difender non ti potrai conven per certo clie così morta a e Irle
tu se', io alcun bacio ti tolga. I 3 . . . io ti dia , Ili venga a Ito di
darſi). 905) Nola alla ora le bolle illalli, l ' : TOGLIERE ( )
TOlt It E | I. \ la checchessia, cioè preferire, con len larsi di..... ,
e Tiberio tolse a comparire in le; so I , a ! !', e o , e di ndere.... » I) i
V. « Vinco io le battaglie pil pericolo e pil dire e per la giustizi:i
tol « gono di morire. » I3: rt. a MI:ì io sono illttavia il di Ir i l:I l
orrei di bel patto a portare a i loro libri. » ( es. ll i. si ripuli e
ebbe o beati sº I ssa r , slie, l 1 l'ido io torrei di bel paſſo, d'esser qual
s'e di loro il pil abietto e pov . . . » ( a r . a Togliendo anzi per la
sempre tra i - llai, e li rili : r per quali mille. » I30, c. TOGLIERE A
far che che sia, cioè cominciare, intraprendere. « l Il cavalie e la
donna idò e ella ne togliesse a fare un'altro: rispo e º che nºi le era preso
si inen , l ui, ch', l: sl d let se li Ial lo.... , Sacch. a E debbono esser da
ci o e i lini , l III lo igani e di quei film ha tolto a liiigar II le . (
recl, liz I e V , l: il lil V III in : l di alle 11 e o ( a ro. a ciascuno
tolse a studiare l sprint re il e la parte del suo in e gigio. » (iiub.N il so,
III: Cºstro l?ier, Ill r l)i I l st: In: lov i lilla Inalarl a collin, Ch'io ho
tolto V ri-lotele a lodare, e l'8 l Il. r. 1 Il.Questo sci , o dello Sf i villa
ha telto a voler vincere d'astuzia le volpi. » Cecch. 'I'( )| RSI | )'I N
A ( ( )S \ T IRSI N V C s V, I) \ I PENSIEIRO.... rim (I morsi. Nn c / le re
90(5, Si tolse del tilt to di comparire i . a Cosi i miei avversari
si terranno giù dal pensiero di più rispondermi e e dalla speranza di vincere.
» (le-ari.T( )| | |? I | )I VITA -- 'I'( ) IR I)| | | | | | | V | | | | | | | |
| | | | VI ( ) NI)() ll ('ciulo l'o, a ()li re a cento inili , creatur il
mare si redo per cerlo . sser stati di a vita tolti, o lo . a Acciocchè
una medesimi la ola togliesse di terra i dile amalli I ed il lor e figliuolo. »
I30 . Vle o immaginati di voi s' ingerla a formi del mondo.» Label. «
vera niente io Illi fa i in V a Il , se i di terra mol tolgo. I 3 .
T()RSI I) AVANTI. a l?oichè gli si fu tolto davanti, pieno di trial tal
to n ebbe con gli altri a parole III olto disco lice.... » l?art. l' IRIRE I V
F VME – I V SET E ToItNE UNA SATOLIA (907. lei li l o, le i vi ve l e li
la volta con esso te o, pur per veder fare il forli Ille: Irla il l' e tormene
una satolla. » I3occ. Note al verbo (T cogliere, S!)!) - Nola
la lesia inti i ra: ii lempo m'è lollo: togliere il tempo (tel alle 11 il
lui.... 4)()() Tor I e, Torst, li dot... sigli ſi scostarsi dilungarsi
levarsi. 901 - VI li ra e il lic . . bella tanto, la quale torna al dire:
non gli a reci ſolo l'uso dell'intelle lo si che egli non conoscesse....,
od all' di s ti riglialle. !) º I 'io lo l via, ma il varo, vedere pren
loro modo e rut, ci si lal si ch . 903 - ci è ricco gel sole, i VV e li '
. 90 , cioè si prestavano. !)(lo - l li libilarle? Parla di lilla
slla alla la, ma non amalo, la Il le liti l'a si l): il re. !)()(i lº pro
isalire le ictu) gelo in lei l'edeschi. Simile il modo : p . I giù smettere Pon
gli i ſervenli amori, lascia i pensieri in atti I3 cc. 007 - Si riii: una
corpaccia la la ne, prenderne una buona si ll: l. l 'iel el Z. U
sare l sai e ad un luogo, ed anche usati e con alcuno, usare insieme'.
Rollo nraniero buonissime, di frequentissimo uso nei migliori libri di nostra
lingua. e sarebbe gran pc calo non farne conto e non volerne più usare, checchè
ne dica il l'on il laser, il quale assel is e che non sono della lin gua
parlata ecc. ecc. Significano i requentarlo, praticarvi, bazzicare, es ser
solito a l ora i si, al csson e', o l e molare e Pilegen; l mgang mil Jº il,
and pilºgan e . Notevole anche il modo : esse usato, esse uso di fare,
cioè aver l'a bil udine, esser solilo, non essere usatlo di checchessia, e
simili. (), a avvenne, che usando questa donna alla chiesa maggiore.... »
l'80ct'. a S'uscì di casa costei, e venne dove la usavano gli altri mercadanti.
» Bocc.« Le taverne e gli altri disonesti luoghi visitava volentieri e
usavagli. » Bocc.« ma pure accontatosi con una povera fon; Ili i clie molto
nella casa usava, non potendola ad altro in li! : la 1; i ''i corruppe.... »
Bocc. « .... io cercherei qui sta po- - ssi i li !. . . ciov e ne filmi, nè
ruine di piove me li potassolio tv utº assortº iacircncelli, e l'el che rei che
vi ſul - -. l':: : :) ) : l ' : - - « In quel tempo usavano relia coi ti
atia li. , Fioretti. « non colli e g ill', esse I, vi vi foc3e usato da molti
anni. , l 3' r . (ſ « Si (lio (le a Cl essi i gi ad usare « con coloro
che ri !!i e ! , ; - i dile tt - « Vallo. » PO ( ('.« .... il quale il più del
' t com . . . . . . . . i usava. » Bocc. « Quanto più uso con voi. lii i l' .«
Questi due giovani s II: usava: 2 insieme e pe tiello che ino « strassono, così
- al vario, o pi iri li.... Ave id si « adunque quesi a pl ( III essi il litº,
e l'insieme conti: uamente usando. » Bart. « senza che, con le era usata
di fare, li l -- : lì la lite. » Bo . a º miglii , l'i oli 1 e (l'1 I l
tº Sa: i erati 0. . « In quella cav, i 1, dove di piangersi e dolersi era
usa, si ra ornò » Bocr'. «Noi siano molto usati di far ria cr:::º, i s; » I30
. « Della quº: l' orizi in e non era usato i ( - a e que.li o n t e
li ti o 1 : i e i piu « di tali servigi non usati. » l': i Uscire
(915) (illal'da b l'1!si , e i ti: i usci) e di che che sia : ed aliche
uscii e s e 7 il l '. Uscir di mendicume – - Usai: cºi gaſ to selvatico
–- Uscir de' Cenci – Uscir del manico (916) S « Con la doſe - ll: il il
l:. i usci de panni ve « dovili -si. I 2 c. « Se io uscirò di mia natura
. l re li li alcuno, sianni qui e perdonato ». Da V.e dilungandosi di veder
costei olla gli usci dell'animo ». Bocc. - E benchè quelle bastona : in
avessero fatto uscir di passo, come a quegli che i trial, la rile: e li lti la
illo, vi invea fatto il callo ». Fier. e Mla usciamo di Papa Urisi, io e All
III: a un parti a clie mi diceste.» Tel'.l lo i tir i pi s v - e, si usci di
lui.» (par issi, an dl -- elle . . cs:i l'1.. Questa lilla s'incon, in Il 1 lo
ci Vi l ao e quando l'Aprile, ma in « Aprile finl- ed esce. » (i o d.Via ve: o
l' rola v . . . esº, ere li | ra! ti ». Cosari. e uscito poi della furia.... ,
t , i fillo. Nola alle ol a l: Il cosi la gºl l ' : l S( | | | | |
N ( VN V ( i N V (ii: l: l . l S( I | Rl, V | 3 V | | V ( V e si irrill a
Il [il 1 nº . . ! ! :: : sa: uscire non a bat e taglia, lo; i titi i ti i ) :
, e filiali nell' l'all ss : : I SCII? E al alcuno ( N I \ N VII I.
\ NIE, CON IVAI313UFFI, ( ( )N I \I IPI si, il i. a Ella m'usci con tºn
;, rºm r Gb: i to adesso ). BOCC. Note al verbo Uscire 915 – Collſ.
I liuscire. 916 – disine Iere i cos vi: Irasandare i termini del proprio cº
Silllll ( ( . t ('. N/ e clere E' elegante l'uso del vello redere per
gliardale, in luire, esaminare, scaldaglia e, investigal e, ( s.srl . . . .
llle: « Pre il lo non dove ero li ' t . . corsi stili alimente credere,
senza « vederne altro. 13 , l l lle, l'indagi, li º ) «.... di che l'altra
parte, che per avventura aveva più ragion che danaro, « fieramente sdegnata,
volle vedarla a punta d'armi, e farsi da se giustizia « con le sue mani ».
I3art. « Vedere il vero e il falso l ' pt: 11 i ti : i3a t. «
Avvisato di vedere de' fatti dell'i: II. . . . . . . . - itti « e.... ». Bari.«
.... Vola e Inill il 1 e a veder de' fatti dell'a inima sua e le - -
- « in altra religione pil di gºla o li. I |. « e vedi con lui
insieme i fatti nostri ). I . « Vedi modo, e si ppi se con lo! I le , pli i a º
il pi Inio». BOCC. « Tosto pone la querela; propone di rili o le " I
to I. vegga, l a. « mansi a furia i padr : per gl a Il cas . : : i I), i
. « S'egli è pur cosi, vuolsi veder via - 1 i sai io li lo.» I3
917. Fra i molti altri usi di questo verlo . I l I e voi li ricorderò
: AVER VIST.A con ulla rislut (t l'ºut , li lli il 1 l 3 ) . FAR VISTA I
AI R LI V ISTI, I A [ . \ EI ) ( I ) - I ) \ | R| V I STA – I)ARE A VEDERE I
Vedi sopra l)arr, Fare Note al verbo Vedere 917 – Notale
queste maniere, realer modo a ria se....: re ler l fatti dell'anima: senza
reale, ne all ro; reale, il re o, il falso, vederla a punta d'armi di r i co
. Volere Si usa a) per convenire, dore, si in vari modi, il più
cºll'allisso ed impersonalmente, sì al singolare che il plurale - : b per
essere per segui re una cosa, mancar poco che....: ( per opinati '. a rl'isti
e' Noterai da ultimo il modo voler bene. Il quale si adopera a siglliſi care
tanto amare germ ha ben che sta lenº, o cosa simile. 922 . « S'egli è pur
così, vuolsi veder via se noi ºppºlinº (i li: i Veio. I 3 ( . l «
E' opera si grande e malagevole che di io si vuole chiedere consiglio, º
Fior,« Andiam noi con esso lui a Roma ad impetrare dal santo Padre che..., « ma
ciò non si vuole con altri ragionare ». Bocc.«Se I)i() mi salvi, di così fatte
femmine non si vorrebbe aver misericordia». Rocc. (923). « Elle si vorrebbon
vive vive mettel llel fuoco ». BOCC. « Al combattere si vucI l en uscir
spedito, ma nel ritorno delle fatiche, a qual conforto più onesto che la
moglie? » Dav.« Comlare, egli non si vuol dire». Bccc. nº n convien che si
dica). « Questi lombardi cani non ci si vogliono più sostenere » Bocc. (non con
« vien, noi dobbiamo sostenerli.« Il beneficio si vuol fare con faccia l'ela,
non vi lana, nè dispettosa... ». IDa V.a .... e che insegnando egli la verita,
e la da chiunque si porga, vuol a prendersi e profittarne e si vuol prendere
Bart.a colme.... così l'animo quando è in lotta o o infetta, e di focose
libidini arde e languisce, con altre tali rimedi ferro e fuoco si vuole
attutare ». Segn. « Per 'rattat de Tai rl'iti usciti d'Arezzo volle ossel
tradito e tolto ai « Fiorentini il castello di Larel no . Vill, cioè fu per
essere, a un pelo cho....).« Pietro, veggendosi quo la via impedita, per la
quale sola si credeva « potere al suo desio pervenire, volte morir di dolore ».
Doce. (In fondi: le fu sì dolente che per poco ci me lova la vita). « Gli volle
dire che..... –- In:a.... ». Fiel'. « Pitagora ed altri vollero che esse
tutte procedessero dalle stelle ». Sacc. (a V Vista l'olio, ills e gla l'o; 1
). « Pa: ente nè attrico lascia o s'avea che ben gli volesse ».
Doce. « Vi vo' bene, perchè vo cli e il lla ln rinto Siele ». Bocc.
« V cali io voglio tutto il mio bene ». I3o . « Tra lol' 11oli Ill lin: i
lite o di ſe' liza. VI:ì d'accordo volevansi un ben « matto ». Malma lì
i. « Con le pugna ſul to il viso le ruppe, nè gli lasciò in capº un ca a pollo
e le ben gli volesse » l Note al verbo Volere 922 –-. \nche
il lo rill degli inglesi la usi pressoche eguali, oltre a molti altri che il
nostro colei e non ha, fra i quali singola rissimo è quello di far l'ufficio di
ausilia e alla formazione del tempo futuro di ogni altro i b – I rill come,
oppure I shall come – secondo cli l' –.923 – Come il verbo volere sia per
lorere, così pare che anche il verbo dovere abbia alcune volle senso di
colºre.« Richiese i chierici di là en! l'o che ad Abraaln (loressero dale « il
ballesimo ». I30cc,« e con molta riverenza mandò lºro galido la Madre sita che
le « dovesse piacere di veri e il tie l logo di ve egli era o. Ca valca.Trovo
inolta analogia dell'uli ell'altro, di testi verbi, ado perali in questa
follia, e il nigen dei tedeschi ed anche col to may degli inglesi, i quali veri
si costruiscono in guisa che non sapresti se meglio radurli rolere o dove
e.CAPITOLO II. Uso va a rio di alcune altre voci Olli i Verli di
illzi l'ecilali, si o alcune altre voci (animo, argomen lo, talalosso, lui
nolo, colpo, con lo iori und, l'onlc, latica, latto, mano, netto, pello, pºi i
lio, pati lo stomaco, cerso.... il cui uso frequente e vario è par li i lili di
elogi rii si rili il . Si lornali o con esse di molte e belle ma nici e e le
viene al discorso quel gri lo sapore, quel colorito, quella pu I A /a (li - il
cºllo e il la al telistica del linguaggio antico e classico. \len Ire le
palli elle e le voci in generale della Parte I. di questo Di i 'llo io, li li
sono che si ni vaghi, e adoperano più che altro all'assetto tegli in mi collosi
e non li alla si irl Il ct del lisco so, i vocaboli di que sla l'arte, ed il l
cie: la p . l rile, sºlo per sè, e precipuamente, for me cloculi e, con
l'icienti di lingua. Da quelle le compagini e la curva, da [lles e il salgle e
la polpa. Arm irro co (illarla come e in tranſ e guisa ne usano i
buoni scrittori. Suona press'a poco quando disposizione d'animo, condizione,
slalo di essere mo rale, e quando intenzione 926 , voglia, mi a. lalento, inclinazione
e simili. Son , poi nolev li i modi: a re e, anda) l'animo a...; patir l'animo;
essere, anal 1 e all'animo, la stati l'inimo: nelle e animo, acconciarsi nel
l'animo r. acconcia e Cap. pl cc : dole ne all'animo; dire l'animo ad uno
di....: rivolger per l'utnino; ecc. già d'e è di 16 a li, i veri l piu
animo che a servo non s'apparteneva, l lo la villa della se: vi in lizio il ...
» l 3o .... e se tu non li li cuell'animo che e tue parole dimostrano non
mi pas er di vana speranza ». l o . se dicessimo per correzione e
non per animo di disonorarlo ». Mae Struzzo. « Son testimonio dell'amore
ch'egli vi portava e dell'animo che teneva « di farvi grande.» Caro.« Con animo
di ienersi le liti e li ſale : l it il venisse miglior « fortuna ».
Gialnl). « Il valente uomo ſe e 1 og: i...., che giurerebbe Con animo di
' on oss. l : r. cosa : . « secondº, che lle.i'animo gli caºgai. º
. . . . . . parlit - i li fellone aniins r i pieno di mal i alCºllt ();.
« Così slibiti i la forza di « fargli Inllta: animo ». I . « IParii-si a
dillolti e i S : :i , . . . gra:idissimo animo, se « via gli durasse, e I - 1 ,
; s , di fare a Il « ( ora non Ini: - se. I3 ) . « Ed avendo l'animo al
di v . . . . . . . . gli 1 il gione, ed « Ogni giustizia dal lilla delle i i
ti. li li lo il suo lellsiel di « Spose.» IBO .« Non gli va l'animo ad 1 [ . a
dre. » l' Issa V. « Consigliata a mari a 1 si ebbe l'animo a at o . . .ite di
De « Voin, ma tols e Filippi, figlillo. , l: ( : V. , lº: V.« Tu badi ad l ? A
lizi ho sempre l'animo a casi vostri, e sempre « mai ruguino cose... » Anibl. «
Luigi non avea l'animo ch: a li, l i il i -. » ( es. « Se pure questo vi
è all'animo, i d a li. . r?S. Cesari. « Ed a Ile liento. Il lei lo va
all'animo (Ill si g ) della prima novella.» Cesari. « Egli che sapeva,
che io ero felimini, perchè per moglie mi prendeva, « se le femmine contro
all'animo gli erano.? , lº . « Se vi basta l'animo di ſei rail. l 'in . .
. . . . Il 1 li li . ) !!) (.:ll' ). « Non gli bastando pºi l'animo di 1 i si
Il dll -- e ad « atto talora....» l'itel ei 17.« E Irli basta l'animo di A ti .
. .. . l ie . liz. « Vi basta l'animo di I l Il « atterrirvi?» Sog n.« E mi
basta l'animo di 1 V il 1 ll - 1/.l il i 1. » Fiel'('ll Z. « A noi non dice
l'animo di pa . . . . . i da! . di ti liti libri e si lolloni.» Cesari.a se
avrete farne del'a paroli di Vill: il lidi : ) di potere, in que a sta
Quaresima, ancor piac º v', in se i mi dà l'animo ». Segn.« Ma vi dà l'animo in
Illi t Impo si lill, i . e 'I ! clie, è peggio si illl' « bolento e sì tetro,
quale si è l'ultimo della Vila, apparecchia i vi con Csame a distinto a tal
confessione....?» Se n.« nè di fare morire alcuno dei suoi lion gli pati mai
l'animo ». DaV.Il Ina le è ce ne ſiu cic ai l'anim 2. o C s. Part. Qì la
- i i , ' ' nette 1 - 3 ::inno : : i ri. » I3( 11v. Cell Qll'il. ll - oscia chè
così e Irli se rintuzzato l'attinº 5 si'C is r r;o. . . . . 9.30 « Qlla
lido, lili si rivolge per 3 a: rap ità ... » Fierenz. a rivoltandomi per
l'animo i : i uli. o l'ierenz Note alla voce Animo 92C, Simile al
n. inl degl ii i : la mind lo buy one. – IIa e yon di minal lo ti il 2 v 92i –
cioè secondo le g, i l va. W i, es il m su Mulh ucur. 92S -- FsNel ct ll a 1,
il ss. cc : i andar all'animo è sil lillio i : sè i ct g ci li chè a grado
l'era, di lui facesse ndr ) e a sangue quand'el li a noi ci ss a sangue, io la
voglio per disp. ll si o apacissimi di calun liare i lolloni º il lor
casi di reisi , Giub. , andare («Se l [llesl e l'agl il sol li a Il slo,
si troll ii ranno ». I3uonerotti ( ('('. 929 - - Sinili: Sich gel i due
n; sici : u n t then: cs dal in brigen: se latire l'orl . . . . Vlt i ti li I l
eguali sono le maniere: (la re', di e l'utilimio, il cui oi , i n i cldi il
cuore di Venire a il meno con si p del si li ti I. S gli. « E vi dà il cuore di
las, la veli slal e il l IP. Il gol l il lill gamelle? » Segn.); pali e l'
animo, sentirsela. Il teleti si co . e la (ſuale – inten zi Il senza l'agi o
vosli o n li li allilo di poter condurre » ( tiro a Se io non la riveggo i n
n't li do di descrivere.» Caro, S affidano di poter brava e lilli e di vincerla
colla provvi dellza . (iilll). .N 'isi singolare trasformia, i tre graduazione
delicatissima" di significati: Chi dice mai basta l'otti in indica con ciò
e di polere e di volere: chi dice non mi basta l'animo indica non già di non
volere ma di lì in pole Vli dà l'animo, il cuore', suona a un di presso: il
cºllº il ri: della, mi sento inclinato, avrei voglia, sarei vago ecc. l indoº l
. Iuantunque suppo sla, dall'idea di potere; non mi dà l'animo, torna a : non
mi sento punto inclinato, sento, provo i tignanza, avversione a fa re, a dire
ecc. Che se questi ri: 'lalanza venisse da senti mento di delicata e ſuità o di
colli issione, o di simile affet to e non per pura avversioni alla cosa stessa
da fare, da di ro ecc., allora esprimerolla assai meglio, che non farei con
l'una o l'altra di delle frasi, dicendo: non mi soffre l'animo, il cuòre (« Ad
Adamo non patì il cuore di contristar la suadonna » Ces. – «nè di far in rii e
alcuno dei suoi non gli pali mai l'animo ). Dav. – A on mi basta l'animo
esprime adun que impotenza: non mi dà l' animo ripiglianza in generale; non mi
solire il cuoi e lip glianza ri e del iva da un particolar Sentimento.930 –
Itintuzzare è lett. rivolgere a pil: Isi, ripiegare il filo – stumpi m(tellºn,
e il di la l lla in ſol :i, l in lui zzati l'anima , ci è di venire avverso.
Ilijuſſi e l'animo è il 'ril e addirittura, Argorn e nto «
Argomento è voce che ha molte significazioni, e tra esse quella « di istrumento
d'invenzione, di modo, d'auto, di provvedimento e si « mili ». Pedi 931,
« Qllivi : i foli era chi con i (Ilia 1 l di l:1, argomento, le sn la r . a
l'ile f. Ze l iv () : -- . » I3. . . .« I medici con grandiss mi argomenti e
con presti aiutandolo, appena a dopo alquan ) di tempo il poter no di nervi
gºla: ire ». B .« .... e fa la l la fra il l. 1, e gi. I l 'gli il i vi i suoi
altri argomenti fºnt li fa re, Illas gli y olesse ... - III: I rila vita e il
sentirne il o l'eV 0 0 l'e.... » I3 ('.« .... a zi, o che il natur :) del III:I
e no! p . Iss e, o le la ig it anza de' Inedicanº i non conosco -se di
clie si in vesse, e poi consigli il debito « argomento non vi prende- se
non - li te pi h I gilarivano, i pizi.... a Bocc. o presi e li argomenti per 13
« con quali argomenti di fila li II lit: i sl il ... ? l): V. « Gridò: fa
ſi che le giºrno, chi ci li' Ecco l'angel di Dio! piega le na ri! ()Inai vedrai
di si fatti uſi illi, V (li che sºlº gna gli argemcnti umi ini, Sì che remo non
vi lol li è nll: o Velo, chi le ali slle tra liti sl lo : alli. » I)alit
. « E d'onde debbono prendere cagi no e argomento di non pill l urt, ed
eglino più per callo.» l'assav. « .... il quale fermamen e ''avrebl ero
il riso, se un argomento non fosso « stato, il quale il March se subit Ilmente
prese..... » l . ll Il Illotivo, llli appicco.)Note alla voce Argomento
931 – « Le malattie delle femmine, prosegue il Redi, di molti argo menti della
fisica son bisognevoli. – Per lo che i medici han potuto dar generalmente nome
d'argomento a tutte quante le loro medicine. – Può dul que esse avvenuto che
essendo il serviziale il più frequente di tutti i medicamenti, sia
rimasto a esso serviziale il noir e di argomento. Può anche essere che sia
slalo chiamato ci go onlo perchè il serviziale è un aiuto che per poterlo usa e
vi è bisogno d'un argomento, cioè d'un istrumento, quale appai,lo il cannone
dei serviziati». Aci osso (A ci cossa re) Guarda come si
unisca a molte idee e ne renda più evidente l'ordine dell'azione verso chicchessia
o che cle sia s inili all'hin, her, hiniiber, hine in ecc. dei tedeschi .
« Escono i cani adosso al poverello ». I)ante, « Ella m'uscì con un gran
rabulff o adosso. » Boce. « Entra il l)iavolo adosso ad alcuni, e per la
lingua loro predice le cose « ch'egli sa.» Passa V. 933) « fa che tll gli
metti gli ul gli ioni adossº, sì che tu lo scuoi ». I)ante. « Oll - io
veggo porre mano adosso a tua persona senza riverenza, cer ta Inente il III io
dole, le cºlore - col piera.... » ( a Valca. « Non pensando che, se fosse
chi adosso o indosso gliene ponesse, un « asino ne porterebbe 'roppo piu che
alcuna di loro.» Doce. 1934) « por gli occhi a dosso ». 13 i c. «
Stammi adosso (amore e lpoler ch'ha 'n voi raccolto.» Petrarca. (935) «
Recarsi sopra di sè, e no.n appoggiarsi adosso altrui.» Casa. a 'I'll
rarogli gli occhi, e a impeto gli corsono adosso colle pietre.» Cavalca.
« No .l, altrimenti che ad un c. n 1 l estiere tutti qui ,i della contrada «
abbajano adosso.» B , c. « Avrebbe avuto mal giuoco a darmi adosso mentre
i padri mi levano « a cielo.» Giub.Gridare adosso ad uno Vil. di Cristo) –
darla adosso – Gridar la croce adosso a uno – Dandir la croce adosso a uno
(nodo vivo, cioè dirne il miglior male possibile, perseguitare. Formare, lare
altrui un processo adosso. (Bocc.) « Addossandosi a lei s'ella s'arresta.
I)an e. « A Celso adossava gli el'l'oli alf rili. » I)a Val)Z. Note alla
voce Adosso 933 – Così dicesi : avere il diavolo adosso Passav),
andare, correre adosso ad alcuno. – «Gli corsono adosso con le pietre. » Ca
Valca. 934 – Parla di soverchi ornamenti delle femmine. 935 – Stare
adosso, in generale significa insistere, importunare. E a ri ci co
(E a n ci i re) Un pajo di esempi, che ti anni niscano del valore ed uso
legittimo di questa voce. « Mi rallegro che abbiate ricuperato il bando
di casa vostra.» (decreto, pubblicità, ecc.). Caro« E per bando il popolo
ammoni, non queste esequie come l'altre del « divino Giulio scompigliassero ».
l)av.« fece ordinare bando la testa sopra chi fosse trovato reo di tanta bar «
bara ( l'Uldeltà.» I3art.« v'avea colà strettissimo divieto e bando la testa o
la prigione in vita, a a....» Bart.« Diede bando di male amministrata
repubblica a....» DaV. (940)“ . . . . . i liò i S 1: a li i vºli lº s ......
II. l. 1 la lo bandire per coià ir, lo, e al passato i tiri l o il si....
» B irl i : e- si io ev , e l.llis i in itine del fra tello la bardi, e l
l i. E 'lo, li - a, noi lo handiamo a ti: l ':17 Bandire la croca
adesso ad uno v addS80 . Note alla voce Bando () () I )al
band, gli che che sia al cicli uo, è condannarlo per giu dizio, caccia l da un
lu go e porlo a morte se vi ritorna. Testa (capo) I sei i modi
anche oggi con il missili:i e \ lgari ed accenno ai me ll , lsali (lal V.
lgo Far capo ad uno :) I lil I e i i ti to o : io » – Far capo in un
luogo ai da quivi, º l'in visi, fa: mia ss 1 – Mctter capo di un ſi li le : 1)
Inn l a t: o ti li(illi lava i tl, la la il li, e I ll (ill:belli la faceva
capo a lui. » Giov. V lll.I fr: ti.... v. lllero a l'i: l e, suggellº) . dºtti,
e fecer capo agli anziani del popolo. , (i. Vi!!.Così fa cia il l dl e della
famiglia, distingua le sue cose, e tengale a i l II odo che a lui sclo faccia n
capo, ed a lui i sien, ovdi l'ate....» l?andolfini, E l d -omi che quando il
Sig 1 e era l, ella città, continuamente si a torºla in allergo il più delle
volte a lima ig e qu' a era grande all'e « grezza e consolazione a tutti i suoi
divoti, ch . vi facevano capo.» Cavalca. « E i... Firenze facevano e ai le
dette fontane ad uno grande palagio, a che si cimiamava Termine, Caput aquae. »
G. V.« Quelli, che per con rada non usata camminano, qualora essi a parte «
venuti dove parimenti molte vie faccian capo, in qual più tosto sia da «
mettersi, stanno sul piè dui bit si, e sospesi.» B( Imbo. « Per lo
fiulrle del Nilo, e li fa i c' a l) I lili i : l in Egil [o, e mette capo « nel
nostro mare. » (i. Vill. Fare di suo capo º 1 a slo, - sulo mi do . - -
Dir.... far.... di miº, tuo, suo capo il 1 l il V , Iz« NCE, sapendo far d suo
capo . In Illini i sa del mio, il lo. , A.le. « Ma questa cosa I)inni li li on
li fece di suo capo, IIIa i- I is - e, i.i: la zi « al suo padre, e il suo p li
dlel l i l: nza. » V it. Plth .« Affel'Int) non di mio capo, III.) di s .it: te
de lla ll rati « ma d'alculli (le Teologi , li la vostra le lezza è lº l'aria
delle cose celesti. » Riel'el)Z. Farsi da capo. « Qui si dimostra che il
ift: - si e' qua « di riconfessarsi da capo. « Me-sala, qui si da capo
rifai! csi, disse: " I)av. l la ci sonº e lenti a Tirare
a capo – Venire a capo ondulr a fi; e, v ir, illa e il si le.. « Tiriamo crmai
a capo Gueata tela, o lº« Se io ve le vo! re, io non ne verrei a capo in
parecchi « Iniglia.» I3o e'. « Volendo e pil fla III It , i no - e e, o
ve le , sa o di troppº fatica, « e nº !) st 11 venire a capo. F: (iio: l:
li . « Iº gli 11 Il si verrebbe a capo il 1 le tl1te le co. (..» La l).
Ccrrer per lo capo a llar pe: la fa ta sia Entrar nel capo il lilaginarsi,
darsi ad intendere, sli, la rsi a credere, . E qll si o libi o Ini
corsero mille altre o per lo capo. Amle[.. a (i li entrò nel capo, ! , V :
seve, lie - -; il V t's - o - I lie a famente vivere nella lod povertà o I3o
. Farci il capo - fare tanto di capo V. Verli, Fare ( ip. I pala l'. I –
Venire in Capo arra (!. re, sll len e, illt ( ve : i re .“ Sicchè lene Inostrò
e trovò vi o illel elle V | olio li aveva s pitt , a cioè che in b ºve
l'ira di Dio gli verrebbe in capo. , Cav: a. « Mi lide ) d. l''i vos: a In te,
e farò li ffe e sche, n. di voi, qui nn lo a quello che ell: V . I vi
verrà in capo. » l' issava il 1.A capo erto, a capo chino – Andar a capo chino,
ecc. ecc. Si usa tanto letteralmente che metaforicamente, cioè a indicare
dipinta mente la franchezza, la baldanza o la umiliazione di alcuno. Ricordo da
ultimo alcuni del ti proverbiali: Cosa fatta capo ha (Dante l loc. G. Vill.),
Scambiare il capo pel rivagno, pigliare una cosa per un altra, Mangiare col
capo nel sacco vivere senza darsi pensiero, o briga di cosa, alcuna).
Note alla voce Testa 941 – Di sua testa non pare il medesimo. Significa:
giusta il suo proprio intendimento, senza altrui aiuto o consiglio.« Diedegli
certe scritture di sua testa compilate ». M. Vill. « Io non ardirei rispondere
di mia testa a sì grave quistio ( ne ». Dav.Non è da credere che scrivesse
questo particolare di sua a testa o Fierenz. A proposito di Ics'a lon
sala inutile far osservare alcuni usi di que sta voce al cui luogo non ſarebbe
capo. Sta a per persona: « Si levò una tramontana pericolosa che nelle secche
di Barberia la galea) percosse, nè ne scampò lesta ». Iº c.; b per l'estremità
della lunghezza di qua lunque si voglia cosa, con le : l'esta del ponte, della
camera, della tavola, della tela e simili: ( Egli ha allo in lesla d'una sua
gran pergola....» Caro; e per intelletto ingegno: o l'ira u no al suo tempo
ripulato astuto e di buona testa . M. Vill. di buon capo farebbe ridere).
Dicesi finalmente: senza testa non senza capo: Gridare a testa (ad alta voce);
Gridare in testa altrui garrirlo: fan e all' ui un gran rumore in testa (Doce);
far lesla (fermarsi, resistere, difendersi); tener testa, rifar testa ». G.
Vill. (v. I3attaglia, Prontuario). Cornto Sono noti e dell'uso i
modi: Conto aperto (od acceso), conto spento, conto corrente, conto a parte, a
buon conto, aver a conto una cosa, ricevere a conto, lar i conti con alcuno, la
r conto di che che sia (farne stima, averlo in pregio, farne assegnamento, far
capitale), domandarconto di una cosa, render conto, dar conto d'alcuna cosa
(darne avviso, notizia, e anche render ragione dell'operato , arere in buon
conto (in buon concetto), avere chi che sia o che che sia in conto di.....,
tener conto di checchessia, per averne cui i : « Non gli restarono altri
ninnici che i suoi figliuoli ecc. da tenerne conto Sogli. Si r., ed anche per
orenderne memoria, in Letraclit zieh en, il V e il considerazione : « senza
tenere altrimenti conto della sua obbliga la fede . (iiallo. ecc. ecc. Di
molti altri usi di questa voce niente volgari o meno comuni oggidì piaceni menzionare
i seguenti: Persona, uomo di conto ioè di stima, di 1 pillazione . « davagli in
commende i conveni a uomini di conto. » Dav. « In verità che io non sapeva di
essere un personaggio di tal contu, « che potessi turbare i sonni e stancar l'1
pelllia di un ministro.» Giul). Far conto che.... ), pensatsi, in Imagina
si, sal ersi, supporsi, darauf gefasst sein).« Si addestrino a vincere il
demonio in altrui trionfandolo in loro stessi, « e faccian conto che i pericoli
passati son minori di quelli che sopravver « rannO.» Bari.« Facciam conto, che
in campo alla pastura Un oro, sia costui, o un a cavallo.» Malrn.« I)unque
dovrò si armene tutto l'inverno tra questi geli, e durare sì « lunga
fatica?.... Fa tuo conto. » (iozzi.« Le sar i rillo a dll nelll.', ripiglia via
i ragazzi , i lidele? Fa tuo conto di a ceva il padre, le sono appunto candele.
, (iozzi. Metter conto, tornar conto es - or utio, tornar bene,
zutreffen). « A Gel'Irla Ilico mise conto voltare.» I): I V. « Non perchè alla
repubblica mettesse conto patire mali cittadini.» Dav. « In ragioli di Stato,
il conto lo l iornar IIIa i -, li ti si fa con un solo »I)a V. Levare i
conti. º nel cominciare a levare i conti che avea con Dio, cavò un lento
sc « spiro.» Bart.Fortuna liscio gli esempi nei quali questa voce è
adoperata a significare ora condizione, stato, essere a Ahi quanto è misera la
fortuna delle dollll .... lº . . col l'a tt con intento indeterminato, caso,
avventura e lasciaio ai re a beneficio i fortuna ». Fierenz.), e quando ven tu
rot, ct r r nini e il I , buono ed è talora anche l'opposto cioè disgrazia, av
rom in n le calli ro ecc. e le n lo [ili alcuni di un uso men comune, ci è il
sig li tre pi elle, lui asco di noti e, mare l'ortunoso e simili. Si crt
ti ma i ve: lt , A sì forte, e in petuoso, che - 1: Vili.l'ill st , s, il 1 l e
gran fortuna di pioggia gli sorprese.» (i. Viil.a \ Ife, in lio, io l a cos .
Il l tempestosa fortuna esser na º | :) » l . e Ond ei pi , e ne rive in
fortuna, l): nte. I.: fcrtuna - i lob pople:ì. » B art. li ria: e ci I l lo
rempe fortuna, si or endi colpi la batte (na V ('.... . I 3: l ' 1.e li i- e l'
In ill , sl - , mi ata la nipes: elle qualtro di e quattro molli corsero
perdutº a fortuna, senz' ' 'o miglior governo che....» Bart. N : \ e li coi
reva a fortuna il t :: il e o IBari, 950) \ ndo si seni fortuneggiando con
avvenimenti or prosperi or a V V e 'si. I 3a 1 t.I questo li lo si elli, la va
a il 1 l iltà fortuneggiando.» G. Vil. I bella , li in azione lei - i to Iri Il
re, quando più fortuneggia, per « alleggi: l' a la rca. » (oll. l'al'.
Note alla voce Fortuna !) ,( ) N Iala questa frase: correre a
Fortuna correre perduto a for i una, l he la sc itelle lo i rineggiare che ha
un uso e si niſi il lassi e giale, ci è ali birrasca, avventurarsi agli accidenti
forlilli si del mare e li i lamente, essere tra civili empeste.Faccia
(Fronte) Adduco esempi di faccia o fronte in senso analogo ai derivati
slac Ciato e sfrontato. I.i soli chiarissimili ed il e lell'uso. « Pure
di dal e il ci II la l1 lilli e li S. , . . . ll , l el taccia . « Con
qual faccia, s a ci: il I II , - l . Il lidi e « la fede?» (il lido (iiudl
('. « Adunque con (. . I faccia « add Llcile? ». (iil I l . a Ol' e
il 1 - le fronte il il 1 : ' ' , i - . . . . . . . . « Poi che l'uoli o
si º le vi! ll 1 o, fa callo º iro iile, i - - - a ratamente a ogni In . » ( IV
al a 95 « Hai | ll ll lla fronte cosi incallita, i lle ', il l i « di
doverti call Il bial'e il el Vis ? S, - il. . . . . l « Con faccia
tosta - e 17 i pi Va: ll 11 , Il). 9 , è « In prima si coniII e II in o Ill o.
I l tanto che i « manifeslainen e li faccia, e li ri . . « Quel che tu
in, l): a l ha fa coia, ( i, li i ll v o Lasca. Rilne. 9) i . « UOII10 Senza
faccia - Il v.i . . . . . . . . . . « Vede e 'a lliere: i iacul, e « rere
Iſlale . , Fl'. (1 o l'il. « Don Roi Igo 11 , l avrà faccia l: Note alla
voce Faccia Fronte 951 – Cioè diventa sfortunato, si ucciulo.... l
on li ha poi mol [i al li Ilsi e lo; i s'eri le sco perla, cioè aver bilona
fali i tºni i l I ( n le; Mostrare la fronte (slare al posto la r II on le pp
rsi : a prima onl, ecc. 952 – Un ragazzo ha faccia tosta, lº li ha ſron
le incalli lat. 953 – Far faccia vale prender il II e, a lei il pil i Far
crlr facce di olio in Toscana per la ri . ligure, e poi , i a dover dire o far
cose. Il li li llo ci livelli rili il l ' il . 954 – ci è chi noli la
senso di ver: liti e di 1 ss ('. 955 – non si ardirà a far.......
16Fatica (Faticare) Ricordo i modi poc'anzi addoti: senza una fatica al
mondo, alle mag gio) i folliche del mondo, di tr fatica, prender latica intorno
ad una cosa, a la lira il V V el l con ſali , i pºli , a gre , ai) alicarsi una
cosa (cioè alla lira si per i lilisla la ed i gi o alcuni esempi di un altro
uso men nol e mieille comune agli sci Il ri di oggi di cioè della voce fatica
il sigilili lo li li a raglio, per il latino sostenuto o lato, e dell'analogo
la licati e il no, una cosa, ciò è l raglia, lo, allige) lo tempestarlo alal, V
e voll e, i l ligar . E I: la turiſti e !). ll la ed ass: i n , e in
riini della persona, per la fatica il Irla . . . . . . . . . . l pa evano le
sue fattezze bel e is si lite , l ' , , , , , - ( il'er le . In le , i ai altro
pensare che di lui, e ogni altra cosi le v 1 - a eva grandissima fatica e per
dil 1 lite si l V a oli , il 1 l quali, essendo cia si - , i faticarono la
nave, dove la donna era, e' marinariLa loro si el e , e faticatº o ezia radio
gli ali inni de savi. » Amm. Ant. l ' Illal (iiii , e ora il mare, ora la
terra, cra il cielo di paura fatica Ill lo II e il I l fatigat .» S. Agost. C.
l). PRT atto Mi acio, i nodi dell'iso, che li li è fallo mio: si
fallo (di tal fatta di tal maniera : li fallo e Te! ivan n[ 9:50): in fallo, in
fatti: fatto sta che.....: in sul fallo in orielli- : iallo l'arme: uomo Vallo,
cavallo jallo, il lilla, biale. o si lili, latte e 9 l . e piacenti porre
alcuni esempi di un riso assai ſi ſui lil e il loro i cl siri e non comunemenie
osservato oggidi. (ilar la II Il nle iel , l a che va a mente, si adoperi que
sta voce alto il significa e il negozio, faccenda, affare, interesse, e ora
torerno della p rs not n 1 micr, ii , ' i cliessia e Nolerai le frasi: dire
ſare, esse e checchessia di lall prici, le falli suoi (cioè di me, di lui ecc):
andatr pei falli sui ri; a 1 e i lalli su i non potrer suo fallo (non mo strar
che si faccia a posſa essere fatto mio, fallo suo (cosa che appartie ne a
me.... : disporre ordinati e i lorº li suoi: entra e nei fatti altrui ecc.
Masopratutto porrai mente al vario uso del nodo gran fatto: non essere gran
fatto che....; parere gran fallo che...... essere clicchessia o chec chessia un
gran fatto ecc. « Noi abbiamo de' fatti suoi pessimo parli o alle milani.
» Borr. « Ed in questa guisa Bruno e Dil falli la II o, « traevano de'
fatti di Calandrino il III - « E se non era il g ... l in 1:1 lit , il 1
l i de' fatti - Il l III !! a dire.» Berni. « Mossi a col il pass oli del
fatto suo.... l « Come se egli - lo so , o de' fatti ric stri - I ' ' :
l. i l - li i ll it , l . . . « E mangiato, e bevuto, s'and:
i pe' fatti loro, B « Egli sarebbe necessario che ti l . Ia la ss da il: cosa,
e l: sto s « è, che se nessuno ſi domanda ss e di cosa , l ... , o la r . - del
fatto iuo..., a che tu per niente non rispoli il -si - . . . . . l: i si
v; st: (ii « non li vede l'e ( 11, Il li Ildil e. ll tº 1 - in 1 l 'i a
ir pel « fatto ſuo. » Fiert':1z. « Non lili da r no] , e , a pe fati i tuoi. VI
'In. « Chi fa i fatti suoi non si ill, i ti:I l 11 , l s . « Perseguitava una
val Int. a quia li i - « giungerli, on.le la line - li illa non ve li : l
rime tii a fatti suoi, l a - a comandò ad illlo scarafaggi l . . Flei ei
12. « Senza che paresse lor fatto, li colli, i cono a lorº, i lit: qi, lu
- « qll Csto Sllo Illari) o. » Fiere:la. « Se ne sta ritorna, che non par
suo fatto. Vi rili. « Dice le cose, che non par suo fatto. I3 i «
Renzo al suo posto, senza che paresse suso fatto la il clo « Inessun altro.»
Manzolli. « Il padre si lamenta del ſigilli lo, e si rie e di pin egli il
a fatto suo. , Cavalca.« Un solo anno stette e visse in questa º o , linellza
ed avendo tutti i « suoi fatti di votamente disposti, con grande part se ne
andò i (iesi ( ri « sto.» Cavalca.« Ed (rrdilla () in Egitto (ng li suo fatto,
- i : il l ... » I3 . . « ID'ulna in altra parol. I entrammo ne' fatti dell' :«
.... e sta bene accorto che egli non ti ponesse le mani adosso, per i « ch'egli
ti darebbe il mal di ed avresti guasti i fatti miei. Bo, c.« Troppo ci è da
lungi a fatti miei, ma se più presso ci fosse, bon tia dico che io vi verrei una
volta con esso teco pur per vedere a fare il tomo a quei linac lei ogni e lo
limºne una satolla o, Bocc. « Non sarà gran fatto ch'egli getti qualche
bottone, col qual io discopra il suo pens . ro.» Flei e la.- - - - - e 11 : -:
la gran fatto . ll al ti: o ce le cincischi.» Da Van. e le per esse -il), A di
I'll imo, non sarà forse gran fatto li a l loba l l ulmanità.» Segn. . .. . pe.
indos I di -s non è gran fatto, che per livore o innato vi doig: vedere in alti
io, li noli e conceduto acquistare a voi. Segn.« Pare a voi di tre gran fatie ,
l: i Cielo a voi debba costare qualche leggie di s. l ' It , i lil II l S
. In cli I), o vi debba º si º gran fatto oll i- ato, per un ossequio che
piu proi, il merile poi il re - l ni:il lil:i. Se n.e 11 il bis – il l gran ta!
to : Vi l e a, per lº....» Bart. « Nè avi il gran fatto : ' ' , p s a h si rai
slm litato dal pic a col le li , , l ' : l /Ed il la 1/ gran fatto in là, ella
arrivò ad una a certa ri; l:1. o lº . I fior enti i : il : i a
fiorini d'oro, senza a quelli li vi ii fit is ºn grati fa 11 o.» (i. V ill.(
gras, a to - I l ini l e.» I3o . E I. e illliamolata di me cli, ti pal ei gran
tetto, lº il l: i 1.1. I vig , l .( )il - , vi i : 1 - . . . sse, e cado: le
gran tolli, i loro i no , mºltº gra.: 1a!! 3. ( A , i tl ad. grandi e
sanliº. Note alla voce Fatto !)(,() si ,s , li oi i pi si nºi il
cli: li presente, sui biſamente, in mantinente si rii di 1, il calde nori o
nella piana el' i l. l'Iron , pi si..... e di fatto, e senza alcun
soggiorno tutti fu I no il pic i fi . Mi Vili. - (i \nche allo per
cosa falla. I rili, in pposizione a dello, è s illli bocc. di I lilli. - Che
mille volte al ſal'o il lir vien meno . Dalle. « I fatti son maschi e le li
role so' felimininº o ProV. ital.N/l a n co E' Voce Ilsalissimi, si, i 11
. I pelle molle Il lamiere, gran parte volgi il s - che ad al lI'e lillgue 961
, si go, il 1 - I l guidi, quelle tavia sulla lingua del p ' . ( il 1.
leggiadria od eccellenza di senſi nellº si i ... a no, la tale solo per certa analogia
ila mano, avuto cioè riguardo ai vari lilli i ti che iene la mano, a quello che
li, al per: per a signi cioè che Ilon V elig l srli. I -, - i . . l'l'ono
ll ( ficare potere, forza azione au il pri, tra i là di o l'uori lilli ,
soc corso, aiulo, banda, lutto ecc. « Acciocche a mano di si', il ri . .
. . . . . . . . . . . . non vertisse. I3o ('. « Venendo a mano il it - -
il II , le V elite e l'i « Stiano.» Vit. SS. I': l. « Molti dei quali lug
- I l . . . . . . . . . . . . . a mano de' nemici « uſ. Inini II lontani
pervennero. «I terno forte di II lilli i r . . . i t. 1, i ir: imam l
lilllico. » l?et l'. « La republic tilt i, in mano. Dav. « La
saliti del V sl l fi I l l i nº lla ntitº i l l3 ( '. « E quale le an a
-, i la mano a prestalica, io l'auto « rità dei prelati della sim mila ( li a.
il 1 l: Ali - oli?» PasSV. « Fare i voti in mano di.... , l 3:1 i t.
Cºs « Manda il la lizi una marmo l . . « I entulli, Vlt telli, l
.li ra: no ci º randi. I : l .. « far guardare a mano di soldati. I
« rifiorir la calunnia coi li la mano ri: di doppiezza. » Giub. « Carlo
con potente mano v V on gi al quantità di gente a rinata . « nè Inolo poi
con piccola mano di armati V, il 1 , a S. Iplone.... a lºoce. (Lett.) «
Sopra i detti fili si da lol : ill. it e s'ilm « ponga grossa i lile l'a
lt 1 : : e io i Irella mano « di terra, che s'è la [a di sotto. 13 Inv. (
e'!. () i « Andando egli per di la, molta mano l'Il III liri de la ri; in Iglia
l'incon « trarono.» Benibo. « ma.... fu loro adosso subitnmento una mano
di ribaldi....» l?art.di lini .... l) o lo veggia, e porgami la sua rºmano, -
1, li, i - ca. » V il SS. IPad. I is: i o, che tenevano mano al fatto, t
e del mondo.» Bocc. 965) \ qi te li- , e tenienc mano molti baroni del Regno.»
G. Vill. ! . (ii i e Isolmi e le Gesù mise mano & i serrano ine li
piu se e , più per ſette che mai avesse I t . l . ti l a, fere cenno
ch'esse (le pie i ! ! , l i º S rimise mano e disse que le parole che - il pi
su ro, e colli e gli entrò l. Ili, soggiunse e di Sese). VI: messo matto
in Alberto da Siena seguirò di dire di lui ll o lº I l ott . .. m Se
ntano in altre novelle. , Bocc. 966). i :ili º di .oli perdere lo stato suo,
mise mano , l s ... Il miº l 'ils li a l e E da', e , Vit. S. Giov. Batta.
I ss; Il li i lill I, il I . . ll mi venne a mano, l'infrascritta cosa.» Vit.
SS I .(olis derare oltre. ll he primi i gli venisse a mano.» Bocc. (967) li li
avendo il pri' il o la ello a mano lavorava con guinzagli di I l ( -: i ri.()
la d [.li mi viene ai le mani al lli i giovanetta, che mi piaccia...» Bocc. I
li pervenuta gli fosse. I 3 , > cade per mano, la gio ma no di cambi.»
I3occ. lt 'e llla l' e il I dil e che li cation [ra mano.» Ces. rss e il
dover lol dire, con lo costoſi alle mani Era il pi vo! Il no del mondo, e
le più nuove novelle avea per le mani, o lº e'.l'o-se va le e lo ill, e pretºre
dei sogni i qua l abbiamo fra le mani.» l', - li ttiallo). Se \ ( i, e li gli
ha fra mano ». l) il tam. \ Inzi mi prego il cast lo l l se io m'avessi a cuno
alle mani, e i la S . » l'8 eNoi abbiamo die ia | i sit i | -sino l'irtito alle
mani.» Bocc. ( : e quelli, che lo li pi Ili, d minare hanno alle mani.»
Galat. S. ll p il sier in o o d'i: lur e o amichevolmente o levargli la
mano, a e li, lo ſi l e , i sºli, Ina grado. » Nell. I. A. Com. (968)C 'i ll
nini innamorati bisogna lar come coi polledri: con essi ci v(( la
briglia, frusta e fil d'erba; o: i rile, i li, o a casfig rli, a
lusingarli; « altrimenti, se ci piglian la rinano la si o ti noi quel che
ben ioro torna.» Nelli. I. A. COnl. (( (( (( (t «
Non so...., nè a quale di i i il 1 l si ri le! V il gelo I.lligi dovesse
ceder la mano. » ( es. « Boezio pruova, che l'll in pole, il II ci ha
peggio, che l'uomo di bassa mano. » ( il V: il l.« Se tll II letti ll ! !: i
lil :) il il l il bassa mano l . I (', o lì (vl) è mai per roba, che ella vi p
. i, t : a Ilio. , (io l. Spor. « Anzi prova il va il V 'o sſ 1: laici e colle
persone di bassa mano. Ci s.« Non sieno di vite i ro? ( d alta, Ina -
Ierio di vi . . . i mezza rilano. l' « Ull chiassº lillo assai fuor di
mano. l t. « Torrestela voi fuor di mano i ve lo i si V elido; lo più vili. »
Pandorlf. « Luogo molto solingo e fuor di mano. I3) c. « E quello con lui
fa la ciurma ebbero a man salva. 13o c. sicuramente,
impuneInel1te). (( (t (I « Senza che al lillo , Iri: i
i , ga e 1 di Col - sari sopravvenne, la Ilta e tu ti a man salva - I pl - e el
andò via.» l?oce. « E perchè tante diligenze? 11 i poteri e gli averlo a
man salva ovunque volesse?.» Segn. parla del fratricidio di Cal no . «
Vedendo il caso Ill ! I limiti e li - . V - il era vinta della mano Nerone era
spacciat . » I)av.« Tutti studiava lisi di Ig Il: i rl I se non vincerli della
mano. » Cesari. « e il buon Gesù Maestro utili per il pa le, e ilppelo, e
così bene disse tulle le tavole, e lo ile dall'una mano e dall'altra a coloro
che gli erano più presso. » (. . V: il 1. 9ti!) « Va', gli disse dalla
mano dritta d ' s dica, ed egii andò dalla mano sinistra. Iº, re « Così
tornava per 'o cerchio t. 4 r . Da ogni mano, all'apposito punto.» Dante
Inf. 7, 32 970) « Così duo spirti, l'uno all'allro chili, «
Ragionava ll di Intº ivi a man dritta « Poi fer li visi, per dirmi,
supini.» Dante. l'urg. 14.'(o)upds popuSIs Inb) ooogI v'o.IlIO Qpunu II “lumi
ollop paol pp “u Au ICICIe II º oul o uutlop tº | I nuovi ed estro el l -
Il -IV » - 'lue AoN « ossip o :ppp) Non ſi pl), li our il pl), l' op.elp
outdooo!!) Iosso l\ » sslo I sl. Il l is o ollo llo, li eICI o zUIo, Iolel «
OI.).otº. I | ottili Il 1 ls 5 -opupuotu o “ollo)lo. o) n. il film l u n
t al I ti Ip (in on ott oss, il o » : IIus o otodlam oliil Ip le oumi in l
'oupu Inl. -0p3 uol.IIUISIS plssol.o.ool. III our li lp i pp o II. In po
'pso.o) on li tod o p oumul lo), ti : opoit | o olistino ti il litis oi
ri: - red o o Tupou Ituo) e olltils o u? o una o lo)). Il 2n ils . . . .
N (pupoIV) optio. Il sip I n. p oso.Iotti: o s -oI) Ip Isopu ellu.Il
'tele i cd in 51 | tell, il lil III o II l ' op opulooos II oz.Io un Ip Ipniri,
il ti mid o Iod : II o II: il onpoque ouuoi luis oumu lp tou, l oum il
trito.I lollflot ſpum il : uoſol) l) lt 1) II l lº fu i pup II t, l. 1 ,
l ' ul, N li pill) I -.0 l 'll 30 l) il pul) lt.)() () 'l l : il 2 l. N S I. W
N il p pli) II cºl l ’s ..o): I.).o: ls o “al IpUIoA Ip o Ille.it | | | |
| | te, Ip o netto e l our, il tool , pi). IOI QuoopUIo,oos Isso od li elil I
un ul . l I, pp .I : ) « oupul pl oood un lap. tifi oil o sotto ll op.
pddos uoi o! Io e,op is , l lo -ſim :(usu ) « oum il plm lui o il ulson
lì Ip o] Iod o [op e ti º lo utI UIou ott.Ia:S Ip oso - It?, Ilo) dolo) olim il
mo) molti i pl . ) : l o il lo ſi un lp : i -lad pl app :(Utlopl) oum lti li
lui il 'lo. I pps : s i lo) -ulo plm luput ollo. Il N :ol n. ll o in lui lo pu
Inl si .lol : :: - -souloootlo otIIIss.Io.A .Iod o letti i l o, on i lou , il
miti il : msoo mun oumu to. I p.), o) , mi : ps spel up it I pi : oss. I lupu
ol o toam :o)pſi.o) ll put , l . . ) :p) spel il lunni , l -IIu.IoqII o Insn pſ
up) o umi p) , p : s e -ed IuI I] Iolod lp output pluti il 1 ol ss (I -od)
oumtl ul .lo, m : In Ir) our li mi i nomi o l oil..I l 5, so uotp o[.Inq UIoN )
Tn1) o un mit ti , i no 1 o s - Ied II5o au » – ollu. I Il o v . Id e il pil un
omone: i -oq IIosnI.I n el IIIquº plssolo. ,ol.) un omi piu pitono i p i ns o
ai -nole uzUIos) olon lupul p : olio: rºns e o os “Il p . I ºIIe aolo)
oum.olm,p ou put il o al piu . l) o is i a i ) I ll , , 1 ) N N, i
: ls, - TeInzza) ' uo) lupu opm o.lu, , , losso : ss s IlTOUI e ouput ul
oumu lp o Ioi o is I, opIV -- o, epi in pu Intro3 o otto Inpulition i volti,
oros Ip II o un p on pu p . “mIIadno nun III olio novo Iorio ſi o IIIod s our
in un ou put np “oumtl p on pnti p : Io I Il tº - il vi:.) e p), il -issmu.out
o Issoptions o I , Ill.) o 5 - -1)ll,9lll :(o)uo III el.oIII).In n our li in e
ss « ouml5 ml o unl ſi u mu . . . . . . . . . . l IV fi , l ' li' in
:(IoI, I « IoIIIn IIfop oi 15 º oliº olpoul “olzIpn15 solo emb lp e los I, -on
T ) : opcIt II e a 1. o un triplº : It: [.Ied ſoup oi lotte o lesn po o li li
so I I I s | | | | Oue IAI eooA e le emoN !): ſi -
(i I :)(i967 – Questo venire a mano o alle mani significa capitare, occor
rerº, scontrarsi, non renire in potere come negli esempi del primo
gruppo. 968 – Lerare la mano ad alcuno significa sottrarsi all'obbedienza,
usurparne l'autorità, comandare in sua vece. (Gherardini). In senso analogo
dicesi pigliar la mano, cioè non curar più il fl'eno, ed anche guadagna la
mano. 969 – Nola singolare costruzione, l 970 - Ci è tanto da destra che
da sinistra. Dicesi anche (v. ap l'ºssº e con egual sigili caſo, ad ogni
mano, a mano de Sl r(t, a mano sinistra. N etto E' un agge livº e
significa pulito, se ilza macchia o lordura ed anche buono, senza risio o
magagna, leale, schietto. E però dicesi: coscenza nella. « () dignitosa
coscienza, e nella Colle l'è picciol fallo amaro Inol'so! » I alle º I l'allava
con nella coscienza ogni negoziuccio ». Fr. Giord. ; di mºlta rila a liv. M.:
animo nello, ed intero ». M. V. ecc. Ma si usa altresì a modo di avverbio, e
talora anche sostantivamente. Si notino tra l'altro, le forme seguenti:
Averla netta, andarne netto, passarla metta. « Non ebbono netta del tutto
l'avventurosa vi torla.» M. Vil. « Niuno ne andò così netto che non piangesse
qualcuno.» Dav. Uscirne netto opp. uscirne al pullo, in do toscano –
Farla netta 980) « Io mi credeva d'averla fatta netta di que la vesſa, e aveva
la se... » Fiel'enz. Coglierla netta. « Io non vo' che la colghino così
netta », Ambr. Giuocar netto (cioè con lealta, senza frode, ed anche andar
call'o, e simili) – Mettere in netto 981, --- Tagliar di netto, portar, gittar,
saltar, far chec chessia di netto i cioè con precisi rie, interamente affatto,
in un tratto), « E con -sa sospintolsi d'addosso, di netto col capo innanzi il
gettò ». Bocc.« E rimessa la briglia al suo giannetto, Come un pardo, saltovvi
su di « netto ». Malm.« Senza certa violenza pare non si possano recidere di
netto certe grandi | « quistioni ». Tomm. Il netto di una cosa il chiaro,
il fatto preciso). Note alla voce Netto 980 – Significa in generale
fare un male con garbo senza farsi scor gere. l)icesi anche larla pulita, farle
pulite. 981 – Meglio il modo lo scano: mettere al pulito.
Fetto L'uso della voce petto nel traslato non è oggidì sì noto e comune
che non sia profittevole proporne lo studio con alcuni esempi. E' dizione
eletta e si adopera a denotare l'interno dell'animo, la regione del cuore, la
stanza degli affetti e dei l ensieri, ed anche l'intero uomo, la sua persona,
la sua corporatura quasi fortezza e baluardo del suo essere. « Camminando
adunque l'abate al quale nulove cose si volgean per lo « petto del veduto
Alessandro ». I3o .« Non altrimenti che un giovanetto, quelle nel maturo petto
ricevo te ». 20 cc.« ()nde dì e notte si rinversa Il gran desio, per isfogare l
petto, Che for a Ina tien del variato aspetto ». lPetr.« Era con sì fatto
spavento questa tribulazione entrata ne' petti degli « uomini, e delle donne,
che l'un fratello l'altro abbandonava ». Bocc. « ....benchè tu non se' savio nè
fosti da quell'ora in quà, che tu ti la « Sciasti nel petto entrare il maligno
spirito della gelosia ». Bocc. « Ogni indugio, ogni vità disgombri il vostro
petto ». Fier. « E troppo mi dispiacciono alcuni mari'i, che si consigliano
colle mo « gli, nè sanno serbarsi nel petto alcun secreto ». Pandolf.« Ma pria
vorrei, che mettessi ad effetto Quella impresa per me, che, « come sai, Per
comandarti In'ho serbata in petto ». Bern. Orl . (985) « Se le prime
novelle li petti delle vaghe donne avean contristati, questa « ultima di Dioneo
le fece le tarili o ridere.... che » Boce, « Le miserie degli infelici
anni) l'i raccontate non che a Voi, donne, Ina « a me hanno già contristati gli
occhi e 'i petto ». Bocc. « Agli occhi miei ricominciò diletlo Tosto ch'i
uscii fuor dell'aura morta Che In'avea contristati gli occhi e 'l petto
». I)ante (986). º . . . . . ma i loro petti empire di far là da poter
disputare del bene... ». Da V. « Come innesterebbe principi di legge in petti
che.....? » Bart. « ... e luogo prestarvi da potere la sapienza dei
vostri petti, e la dottrina « e l'eloquenza diffondere ». D: V. « Arnol di I)
io, che avvampagli dentro al petto ». Seg Il. Avvampare il petto d'indignazi
(rnº ». Seg Il. « Ammollire gl'iniqui petti ». Barl. « E voi Cristian I ll , Il
avete petto (la la re un'egual protesta in 'Ocſe all « cora più scellerate, piu
sozze, piu abbori inevoli? » Segn. º ...... allora sì che Dio non potè
contenere l'ira nel petto.... ». Ces. « Ma son del cerchio, ove son gli
occhi casti Di Marzia tua, che n Vista ancor ti prega, O santo petto, che per
tua la tegni ». I)ante. Si notino da ultimo lo seguenti li laniere ,
Stare a petto. « Stettono arringati l'una schiera a petto all'altra buona pezza
». G. Vill. « facilissimo a risentirsi di ogni emulo, che pretenda di stargli a
petto ». Segn.« scusandosi col dire che non aveva gente di stargli a petto ».
GiaInb. Pigliare a petto checchessia (cioè impegnarsi in checchessia con
prelnura) – Mettere a petto confron a re A petto dirimpetto, a paragone, a com
parazione di). « ed avevanvi fatto a petto il Castello del Montale ». G. Vill.
« Egli non ha in questa terra medico che s'intenda d'orina d'asino, a « petto a
costui o. Boec. « Nè..... ma Volse a petto a lui se Inlorare un oro ». l)a V. «
Ma tutte l'allegrezze furono nulla a petto a quando vide la fanciulla » Bocc.«
Tutte le pene di questo mondo sono niente a petto che loro (i demoni) a vedere
». Vit. S. Girol. trad. a petto a questa cosa: vedere i demoni).Note alla voce
Petto 985 – Il tedesco nel parlar famigliare adopera anch'esso la nostra
voce petto e dice: Ich habe in petto ect. per esprimere anch'e gli che si serve
in pello o in animo di far checchessia. 986 – Nola eglalissima dizione di
I)anle e I3occaccio : Contristare gli occhi e 'l petto. Fartito (sost)
Il significato dell'uso, secondo il quale cioè ques'a voce è sulla boc ca di
tutti, è quello di palle, frazione ed anche di occasione parlandosi di
matrimonio o cosa simile. Ma è il sala da buoni scrittori anche diver samente,
a conserlo ci è di altre voci e ad esprimere molte altre idee, e piacemi di
allegarne alcuni esempi non avendole queste forme, secondo pare a ine, il
volgare linguaggio, e al che chi sa di lettere, non essendone per avventura ben
sicuro, leggi e vedrai come alcune volte questa voce partito ha senso di modo,
guisa, el al re di patto condizione, conven sione, accordo, stato, disposizione
d'animo, e lalora denota risoluzione, determinazione, tal altra termine,
pericolo, cimento ecc. ecc. e biasimarongii forte ciò, che egli voleva
fare; e d'altra parte fecero a dire a Giglinozzo Saullo, che a niun partito
attendesse alle parole di Pie o tro, perciocchè sel facesse, ma per amico, nè
per paren e l'avrebbe ». Boce. a Parendogli in ogni altra cosa si del
tutto esser divisato, che esser da « lei riconosciuta a niun partito credeva .
Doce. « Ma il mulo ora da questa parte della via, ed 'a da quella
attraver « sandosi, e lalvolta indietro tornando, per niun partito passar
volea.» Bocc. “ . . . . . . . . . . ma egli a niun partito s'indusse a
compiacerne io ». Bart. (990) « In verita, madol, na, di vol in'incresce,
che io vi veggio a questo partito a perder l'anima ». Boce. 991; a Noi
abbiamo da fatti suoi pessimo partito alle mani ». Bocc. a....chè in
verità vi dico che se ll dio mi mettesse al partito, piuttosto « elegger l la
povera Ionica di Paolo e ' Ineriti suoi, che le porpore del re co' « redini
suoi ». Cavalca (cioè mi desse la facolta di eleggere tra due cose
l'uma). « Di S.Gregorio si legge, che posto al partito per un piccolo suo
pec « cato, quale voleva innanzi, o essere sempre infermo o in avversità, o «
stare tre dì in purgatorio, elesse piuttosto d'ossere sempre infermo ». Ca
Valca. « E così tra l sì, e 'l no vinse il partito, che non gliel darebbe
». Nov. anl. « Ma a cagi n che di questo li stro partito n li l'Inter venisse
scandalo e alcuno, egli sarebbe liere - il 1 he tu ti guardassi da una cosa,
che...» Fie renZ.« Laonde egli si delllier , il tutto e pi UI | o di pigliarvi
su qualche « partito; ed ebbe : p ir, e con lIn – Imbe, o h el a dottore in
legge.» Fierenz. « Ma dei piu cattivi parti bisogna pigliare il migliore ».
Fierenz. « S'avvisò di voler prima vedere e li tosse, e p i prender partito ».
Borr. « E pc:nsando seco lei in lo, prese per partito di volere quesì a morte
». Bocc.« Prese per partito di voler e in tempo e -se e appresso ad Alfonso Re
« d'Ispagna ». Bocc. 99?« E sentivasi si forte il lo! ..e, l'e..a sl Imav i
pure lnorile, e non sa peva la Maddalena che partito pigliarsi ». (..aval
a. a Adunque a cosi fatto partito il folle amore di Rest Ignolie e l'ira
della Nilletta, se collº llls - el'o e il 1 ll 1 ll l n. 13 -. (( «
Ora approssima in dosi Impo cle (i e su lov, a noi in e per la salute Il Ost
l'ºl, e....... gli Srl ii) e F vedeva l'1-1 : mal partito, per blè 'll tta la «
gente credeva a llli.... . ( il 1 l. ſt a .... dell'anno li . ll
irl I e I e - il li fili l'a ll III lo. . lle al partito a m'ha recata che | Il
lill V li ». l 3 993 º . . . . . ed essi tutti e tre a Firenze, il veli
lo dirilenti, il to a qual partito gli a avesse lo sconcio spendere altra vi
lta recati, non ostante che in famiglia a tutti venuti fossero piu le mai
tralocchevolmente spendevano. » Bocc. « Per io chè se io veli di al II li
volessi, riglli ridando a che partito tll po a nesti l'anima Inia, la tua loli
lili basterebbe ». Bo . Si irolillo da Illino lº ſi rime: Mettere il
partito (904) « Pilato termè, ma pur, vola i dol liberare, lo ritenne, e fece
mettere il par e tito cui eglino volessero liberare in quella l'asqua, o (i sti
o 13:ll'abba ch'era « ladro ». Cavalca. Andare a partito Mandare a
partito Mettere il cervello a partito. « E poi quel, che per i consiglio si
vince - e, andava a partito ai consiglio « delle capitudini dell'alli maggiori
». G. Vill.« Con codesto tuo discorso tu II li hai messo il cervello a partito
». Fièrenz. « Coss oro han messomi il cervello a partito ». Amh. - - -Note alla
voce Partito 990 – A miun partito, per nium pa tito è modo avverbiale di
frequen tissimo uso, e vale in niun modo, per niun verso, a niun pat lo,
keinesu egs, un keinem Preis. 991 – cioè: con questa maniera di agire, su
questa ria, a tal termine, Slºtto, disposizione d'animo, e simili. Parla di una
che si con fessa e non è punto disposta a cessare i peccati. º2 - Nolale
queste maniere: prendere partito, pigliarvi su qualche partito, prendere per
partito. Coif. Verbo Prendere par. 1. Capitolo precedente. Simile quello del
proverbio: «Preso il par tito cessato l'aſalino, Palafſ – a partito preso è
forma av Verbiale e vale analogamello, le maniere sudelte, pensata mente, dele,
minalamente. « Per cogliere i nostri a partito pre No, e a V alllaggio loro o,
M. V ill. 993 - Era inferna. 994 – Non mi pare al lutto sino in
dell'altro: mettere, mandare a partito, cioè porre in deliberazione,
Fºarte Voglionsi notare di questa voce i nodi seguenti: Salutare,
dire, fare da parte di..., per parte di.... (995) « Con lieto Vir-o
salutatigli, lo ro a loro disposizione fe” malli Testa, e pre « gogli per parte
di tutti che.... » Bocc. « Signore, io mando a V. M. il signor Amalrile
Rucella, perchè le faccia a reverenza da parte mia ». C sn. « V. S. gli
dica da parte mia, che se non si fa forza, diventerà ipondria e co ». Red.
lett. Dalla parte di.... - - Dalla parte mia, sua... v:ale dal conto mio,
dal inio lato. Sono frasi quasi di modestia, o almeno di riserva. Tom.).
a Egli era dalla sua parte presſo i d V i), ch'ella irli comandasse ». I3',
cº.« Perchè noi dalla parte nostra saremo sempre e pronti e presti». Cas.
lett. Lasciar da parte – Porre da parte « Si pone o si mette da parte per
ripor itare, per serbare, per discernere , Tomm., ed anche per non farne conto,
non farne cap ale . « Ma lasciando questo da parte se io ci elº -si...... » H
(-Illb. 996 « Lasciando l' altre ragioni da parte una - la basti per tutte .
Borgh. Tosr. A questo do . . I nn l r noi, posti da parte tu! l i t . In di 1,
st i . Va: lli. Trar da parte a pmi te – Ghia mar da parte – Star da
parte in disp :te – Tener, fare a parte, Star da parte vale non
confondersi con altri. Tirar a parte è alline a lirar in disparte.
Si dirà : tener conto a parte, far cucina a parte ecc. e non altrimenti.
a Tratto Pirro da parte, quinto seppe il mie li , l' . IIIb:is glata gli fece
di l a Slla donna ». Bo , « Chiamate i altre (lo! llle da una par c... »l
3o . « Quello che già è passato si sta da parte tra le cose sicure ».
Varchi. a Tris - stando i in dispart ..... o I Piety'. a Cl teneva
il flz , li i parte , I3 r. ll ! Il. Prendere pigliare, terra re in
buona, in mala parte ecc. I) e lui lo :li e 1 : lt i tºv - '' i , ve: t 'i nt i
presi in mala parte, e non in buon grado, dl-so un inti , li' gli gli porgeva
colla le stri, l'a.tro colla a sinistra prendeva gli o. Salv. Note
alla voce Parte 995 – «Diremo: fategli una visita da parte mia, meglio
che a nome mio .» Tommaseo.906 – E' inaliera simile all'altra : lasciar sta i
c. V. Verloo Lasciare « Lasciar da parte è più scelto di lasciar da banda
. Tolim.Storna c co E' voce usatissima anche nel famigliare linguaggio, e
tanto nel pro prio che nel traslato, cioè per indignazione, commozione e
simili. Ricordo alcuni modi e l'asterà : Dare di stomaco il cibo
recello, i militarlo Fare, dire.... con istomaco. « Onde i veri padri con
grande stormaco ricorrono al senato ». I)av. « (..he da Ine si noill Illi, noi
con istomaco o. Call. Fare stomaco, venire a stomaco, avere a stomaco. «
I no stile da fare si omaco a tutti gli animi i livn contornati ». Giuber, 1. «
Non si lesse il testamento, per le al popolo non facesse stonaco l'in a giuria
e l'odio dell'aver i là ( p - o al ligliuolo il figliastro ». I) a V. « La
sofisteria, e l'incivili a li quest'uomo è venuta a stomaco alla gente ».
Caro.Fare sopra stomaco a male in cor) – Esser contra stomaco (contra voglia).«
Io vi dò questa commissione in al volentieri perchè so che v'è contra «
stomaco, come a me » (in o. n il vi v 1 a Versl .a Tengan per me e do i miuse,
conte di Virgilio, tra quelle sagre om « bre e fontane, fuori di solle il l cul
e e mi sta di far cose tutto di contra sto « maco, libero da ci rte lla e va
ill: e Irla ». I), i Vanz.« Mi lascio trasporta a questa a Iv: us inza, ancora
che gli voglia « Inale e lo faccia sopra stomaco ». ( il NA erso
Tutti sanno che ci sa è il re so in poesia, il verso sciolto ecc., il verso
degli uccelli Gli uccelli, su per gli verdi rami cantandº piacevoli versi, ne
davano agli orecchi testimonianza , l'occ. « E gli augelli incominciar lor
rersi .» Pelr. : ed è altresi comune ad ogni penna l'uso vario sia del la
preposizione verso, verso di..... l' 'No ! ) ..... che del sostant. verso per
banda o palle. « Questa è la cagione che ſa che gli scrittori
d'agricoltura concedono che per un verso le piante si pongono più presso che
per altro .» Vatt, Colt). E così va intesa la forma pure dell'uso: pigliare una
cosa per suo trerso.Verso per riga, linea, l'ha tra l'altri il Caro. «
Scrivetemi solo un rerso clie le V, slle cose valli lelle . Ma ciò non è
tullo. La v e rcrso, ed è quella delle forme qui appres so, si adopera alcol a
a sigllil: l'e : manici di modo, ria modus, ratio). Per Cgni verso –- Per
mium verso - andare per un medesimo, per un altro verso. \ niIn: ' di e tre i
ri . 11,1 per cgn, mai verso . Iº lº I. (.: s. Ne pilò per verso alcun l era -i
a el re li oi i to; a sfa l I mali . Varell. El'col.Andando la cosa Itta via
per un medesimo verso gli Is g : va pe: lo; za li: rtir di lllel il 1 g . . .
FI el'eliz. - e ( II), si vi: il 1 l' II it : i 1, se vanno verso . (ia!.
Si-t. l'er 1:1 r.- 'i . . v . . . . . . . . . . . . . . - verso i cui il non vi
fu mai ». I 3 l': 1. () rl. Trovar verso, ( ) ribe, II; s -. 1 ( orv . .
. - se i trovai 9 verSc 1Z. I 11:) . mi ri . ll It - ir: - si rl: . Mutar
verso. « I l in un li versa i Z. Andare a verei andargli al versc.
Q). l io. ... ci segui i aridare ai versi, - l'ill Il '11 l . . . . . ll :: V .
. . . .i i-silli i tii : il il 1 che lor non vannº a ver, i il lo « S: si
orz: v. li :: Isili andarle ai versa, e ! : I)1s, il l. - ir.A l?IPENI) ICE AI,
CAPIT() ILO SECONDO Di alcune parole ad uso e valore di voci e parti del
periodo collegative e talora anche integrative. E e n e – NA1 a 1 e
al 13 EN E. lasci º si va il riavvi i bio: giustamente, acconcia nºn le , con
la mente, l'ulo non le , sicuramente e ecc., ed anche le no le Irasi: ben bene,
il no per bene di garbo , la coro fallo per bene, or bene, bene sta, condurre a
bene a lilot line ecc..., e mi piace di offrir li al II li esempi in cui bene e
la cosa piu o meno riempiliva che l'ene il s. la sicci esce lo si e o , e tiene
alcuni poco del tedesco li li l. (5(i Ma egli Iul bene, qui intlin
[ue s elevatissili , proporzionato alla lama e Vita di Ill il s'e ll 11 l' e st
. l l ): l 11/.Nel l bene i l . . a l In, io che | o-s, ! ». ! 3:1 t.MI,a con i
ti I t'l spes- , a lirato? o, disse S 1 (i appelletto, contesto e vi dico io
bene, che io lo tiroll o spesso la II l3 , r.a Egli e qua un trialv lo uomo, le
trili i l: - l alo a l sa º il ben cento lior ºli d'olo a. lº . Ma se vi pi e,
io o le insegnero bene tutta n. Boc . Voi - i pete bene il legnaiuolo,
dirimpelto, al quale era l'area.» Bocr'. \ te sta ora dal ni ben da 11 g 1:1
re, ed io a te ben da bere». I 3 r. º lll gli da ra . Il mito lei e la la l
la.Si le, e visti di tratta e lui - tra i 1. I l incn ill - I l n; l)av: 'lz.
Bene i ll vel , che .... l o .Bene e vero, di vo tra Irle, se lº tibel i lido
li nº i lorº liti o, ben è vero a che quella grandine di coli e lini e di li
tir e il 1 o nlinua cosi alla distesa I r lil, a l'opie 1. ManzBene e il vel .
. . he il l e le : :i riti - nte d'Illi: lo za sull e iol e, e la a ! :ilta, il
ri il 1 e 1 il 1 l. I lirt 'nzi e, il vetl, i ver li ille, di lora a ple a rlo.
, ( art.e e appresso gli dimorava una serpa, la quale bene spesso gli divorava
i figliuoli poichè erano grandicelli ». Fi. I ciz.a vomita lo slla - Il perba
lº stermini: i i ben il V e V el - i :n corso a lanciato senza un l I l
tar di II lezzo ». ( es.b. M.Al.E. – Tulli sanno che male è predi alo di tutto
ciò che è coll trari, il bilono e al bene: in ſei mili, pena, Iorli, il , inisſallo,
danno di sgrazia, lenſazi ne dolorosa e c... Si li e al ra e volgarissime le
frasi : a rer a male, a malati e di male, a re e il malanno e l'uscio adosso
(lina di sgrazia dopo l'all ecc. ecc. Via li li so . I rile dei moderni o
volgari scril lo i c li si a la vo male, Isi Ina in ſilella forma, vuoi di
aggettivo, vuoi di avverbio, che nei seguirli i esempi. Leggili, rileggili e fa
di sentir - lie la forza e il l non so clie di vago e per gl II , che è il lilà
di così d'arti l'isl ic . (li el II zi, le elegi Ssic li . a .. . st V :
l III mal conceito fuoco. I 3 . «.... :) . Il coll mal viso - Il l I am li ri-
-e . l . « .... il rinai .. Se; (iappa letto i lic - i pm rai 1 , si , l ma le
agiato el' 1 ( -a del II lo; lidº , o. I 3 ) .maie agiato l' –, li la a gil: i
il .. 11 , l Inl , o male agiato esse, e male , pe . lli , a - io , e - :
: : a male i:n bocca si , vitili era, o e , l 3:1 . I 1 A. « c' 11
se l' ' , male : l e \ Il ..li , lili i lo nia? .... ( , l . Il n. volt': li la
III , i mal piglio , l .ll è lie: \ e le colli e iº sº io - , il V rºtale lili,
i . . » I el'eºlz.Il ragi la I ( l ai : le maie a lo)ia si convenesse . l . .
.chi v e iilipov rito: chi vi : ini: i il a , l . . i: ti : ti l i male
arrivati )). I .a do III', nd Indo pier lorº i val, l l' , l ' I mal degno n. 1
ss , loſ nig ill: I li .Voi sie ( o grilli vecchio ( pole le male durar fatica
, l ' , di liri a III nte, l'8 ('. e I, il III lo zi le : i riz liz li
mai -; l I e a :I III lil (i: /:1 e n. la t al I ): v. lll. “ . . . . .
rip, ta io a lor lui gli le male accozzate i - V a essere male in essere di d .
Il l ri, li -: li i l ' : . . l 3. l l'I. .... poi ho li ſu Io!Io avanti pre o
di mal talento i lo! « parole molto lis o eo. 13ar [.. e .... tutto pe o, se
male a me non ne pare .. l 3 l. e Onde pa , che male si a latino al vstro lº so
, si fa i lma iº e d'ill « si fa ». Si li.a e finalmente la gatta gli pose la
io a lica a iº -- , e non lo 's io i ri vare alla male abbandonata e sta ». ( i
22. Vi esort era il 10 al 1- e' di vi con più 1 ri') o quando ancor vi
conosca a l male in gambe ». Si . n. 8s. ( S : - I :ile i siti: il ma! -
be il s . . i: e i nº, lo re I ma le :nctiuisi o V i S:s lº i l: i
Note alle voci Bene - Male (iſ , 1 , di bello - con i | II e, e
lipiello di forza, è noto e volgi si li esel i pi e me ne passo: l' ' belle sei
il le li i l l'illmo all'allro ». 13 cc ( li l: ss e le liti in tv l' e la lle
legare in anella e... I V l'elol) cli, l V ! ss . 13 o .Noi la frase: esse i lr
me (ni le li alcuno: le pallel'elmo al i pi lo lingua (i, II, i posſo in
li si ma le ali a 1, del 13a l' oli, del Gozzi, e di tali li : ll is, del
13occaccio, e come i g, e l' ai c . Il riso le li ell'avili, la V eliti
el'Iluissero sponta e dalla lingia e dalla per le lo; e inalier e del glorioso
tre i º ( S Sla i bene, male in gambe è I l is li fissili ira, ma
l'ho volli a poi le pol chè si vegga quali male si ali ngano certi autori di gi
il nome, i rial: ci si ali i lalora certe frasi, l li trial lo scadille, snoss
, alli e, siccome appunto il male il disco so, e il li s'avv goli che pur
vivono nella lin gli col nulle. N/I a i l 'avverini , ma , el: vale
più che il latino unque n. e li il cli, sia con il il S. liv e il l li, lui li
i maestri di lin gli IPI Il v'ha del con la I - i : il 13 irl li, esempi, e non
| . lli al clic so, ci li e la leg ai la lil loro e la non si sia rolla
o. lº si rip; il lilli. I il silio il I ti: le e, già gran lenipo, stral
ci gidi (lelilli- e mai a V cl sels , l'in alcun len o, e d'in nessun empo; e lei
l'uno o dell'all ' , cliave e indizio non solo I! I lil si le lilla legil'i; il
cos! i le Alti i basta ad ill riderlo il si mai e cºsì dicasi delle molle
\ lo io e con i renda e allo studioso l . il li igil: clic ci
velisso Inai si lill egli allori fonti e mae l | | –– 281 –
stri di lingili ilaiii . Il II ci del e di averne senza più conseguito il 1
ello scultri, i si p . . si , Direttorio, al quale più che le definizio i
l sl 1: i il [.. assioli , lei relalvi e semi pi Ne li Ilo (ſi alcºli - anche
di qlles la mi ai -, i lili li diranno in Irla: 'e vi gie li ti li l . . i li'
ci li - Illia di II li ignaro delle classiche venisſà, lo si pel lo i c' rss ,
i indi, sia cli e Villga in al cºn l 'mi pi . . . . ll il 'Nsui le nip .
S . . . . . . . . . . . roll e li ll () . o per arren lui ci. i ! iº i l i cli,
si mi, ti se il l i . intellsivo della s . ssi ma mi tiro i si, a
Pe! l III list, 1 l g io, i tic, l l . si mai nascesse. . I 3 , i . C. ll
pill IIIa li e p. mai drappi ! -- dialli , IB, . m Coln in 1 il i i
il mai ! : esse MI, sl l'a ll il Ver mai . I 3 , . . “ . . .
. . i isl - se mai i piaccia , ti con i le itto i pal.11 st: Il lit - . . . .
più che mai i - a che VoIIIeri le spalle, a II . 13o . .E se egli avvi e che ti
mai vi Il « che..... » I30 . e I)isse Fer Ildo: () li mai . ll Ill 2 a I)i - se
il III lil SI, li Idilio V il . () Il l - - I l S I a mai, io sarò il III: gli
'Iri It , il l in I l . . 13 , .... l'av: elie | r in 1 e 3 - 1 r. ll più - che
mai lº . E venivasi li rila lirlo ! ! oppo, i ve lº ſi tº e ! - ll gian: mai :
, a connesse, e piang nel loi i riti , sop . . . . . . . . . . e sop a che n 1
- i poli ebbe dire . Cavill . a... ma per certo i test i lia la sez/ i l
che tu ci farai mai». . a Questo e i pili allo Stato li Itc 'igi ssi mai e lº I
l . le quali fili o no e primi clie - , e le sei mai : l ill). Fl: assalti i al
IIIa la... , l mai, i [.ra ti :lel cliore ». (iiil III l . e.... ed oli voi fel
ci, il litori - e il -1 V , il lill a fa rii mai santi! . Sºgli. a Ed è possibil
. che mai gli 11-: . « . . quali lo In'a ci r. , ma andr: il 1 : : i pi
che mai. - 1. « Mla l: Ve: i ti ti , i lil il gºl ! I mai e Cmpre. « Se i
II a i º I)isse Nicostra [o: Maisi, i pizi - li lo i vi " lº i l II
30 U. a credeva, º ile - egli dieci anni Sempre mai ! ll - , a che ella mai :i
cosi fatti novello : l il . a Corne, disse Terondo, dunque so io, io in l
? Diss il 1 Mai31. I 3 pt i'. derili ti far sempre mai il i. I lil
-Note alla voce IM ai 70 - Vive nei diale l'i: Come mai? ; è afflillo
come mai, ecc. ( li si voglia di si ill di gr. ss , ognun sel sa, ma gli
esempi più che le parole i cli, tris li rello so e vero significato della
voce lia, a |iliale og i è sl Irola o la le adolierala, che pur talvolta
non sè ne abºsi o ti liori si lasci li il 1 orla non disdirebbe. \li i e,
: i fia l' - . / lia la tll ci ! ll li Ill'ai». l 3oni e . . I voi, il te: i ia
questo ). l 'lei'.- - - - - | li i - li i si ve l fia il presente º il
tilli: i I ! : )st l': l 'li l'tl S. .. - 1:11 - I ll v;t , fin l v
. . l 3o . . le fia , 13 . Qui i fia ir: le l Sel lembre . Caro. l fia
.... . I v .I! ! - , l ia suggel che ogni uomo sganni ». Ces. Dante) \ i li -
lo ill go fia llº:i li fesl:i. , (iianl). ll ( : | | | l fia l e l'1 a 1
a: perchè - º la piovana - . . n Il re deila t rra ». l)av. ! , lil: il -
. . . . . . p le i, illi, e alle fia di loro, se l' - I no ll v i l il 1
li i :''i . I l ' l : i .... le St i t , i s . i mi
vo'il a sito dispe to lanni di chi fia la colpa? » Se ll. V et cine e gli
oli Illi i : l i tº vi N ſia mai vero, il l . Si i pil I: I: 1' i
rp - a io i vi prosperare? a non ºn l fia mai vero. » Segl). sul gio:
li l' osti i Ira d rupi scoscesi, che fia iera ſºnº la nºn la l e
in cima a titlei precipizii, a tracciare sì belle prede . Segni.
non oltri , he pli il ... ma hi l - ve..a sino alla fine, quegli fia salvo ».
Salviºli.N/1 e rc e Non in senso di mercede, che se l'ha pur questo, ma
in quello più co Illume e assai in list, il pp i classi, d'aiuto, di soccorsº,
di grazia, di cor lesia, di merito, di pietà, misericordia, compassione ecc.
vuolsi qui si diata la voce nei cº. I il quale non solo forma alla francese
merci, o all'in glese mºrcy, 111 i clide e ci III , Illasi ad III in do si
governa che nell'una e nell'all la lingua I e Iris a ragion d'esempio; merci, a
la merci de.... se ne tre il la III er i cie.. : grand mri ci 1)ieu merci; o
quest'altro: for mercy salvº': al lli e nºi ci o , e si o le medesime, cl e le
Isale comune menſe dei nostri classici. Eccone alcuni esempi. 4. a Marfe,
lºro gridava mercè per Dio; e quanto poteva sa - il1stava: ma... ». HOC ('.“ .
. . . . II e io ll li ll 'oi, i vostra mercè. lI loro de ll ' 'e volevate ».
I30 ('. .... di e il Si r. le gran mercè, e che... ». Bocr'. ()r ecco clle veli
le ( esil, e Lazzaro, gli andò incontro, e lil - sl tutto in to i ra, e ba io i
sºli i pit li, dicendo e grida i lo: gli Into e, mercede a te ril: e º si ro,
cli( ti - e' leg lì: i di V ( I lil alla casa dei servi Illo I. , ( a Valca 6;
a Voi la vostra mercè a vel e il ' Il lili Vito ed io voglio oliora i vori. o
I3 r. I Io pe ril o, il torn all i vostra mercè. , Borr. I 1 Dic mercè, e la
vostra, io li io, che io il - i lel', i vi .... : la II o II a dosi a el l te,
noi li per iniet e si i l i mercè di Dio, Irla consapevole della slia i
degnita. » lº i rt.a .... io lli soli, condotto per tl, to il viaggio senza slo
e felice le te. mercè del passo, dei sussidii, ecc. e , Caro.a E be: hi, quelle
bastonato i fili o non Ini avessero fallo liscir di a passo, con quegli che
oramai, la mercè di quel fanciullo, vi aveva fatto il callo. o Fierenz.« Non vi
par che sarebbero stati auda i, presi Intuosi, protervi, e in dºg li a di quel
perdono, che ri verono mercè la loro prontezza? Segiº.Questo e imbiò la in Egit
o II il Vlosè di I l e --as-In, il divoto Illo « ma o, mercè di una sola
predica dell'Ill lerno da lui - :llitti, Il lillitllll Ille « per accidente.»
Sogli. a e gran mercè vostra che peggio non abbia fa ſto. » Bo . Chiede il 1o
mercè a l)io per lo merito del pr omesso liberatore. Ces.Note alla voce
Mercè sserverai bella elissi, quand della preposizione per e quando del verbo
essere – virtù del resto e proprietà non esclusiva della V e nel cº, li
la collllllle all ora ad altre, v. gl'. grazia, ne il o, col 1, sia e c. buona
grazia costra : e tru vo, grazia d'Id duo, che io mi sono conserva lo ſtian lo
più posso... » Pandolf.: merito l'assicIllita dei vostri stildi, ecc. ecc. –
Conf. Elissi – IP: I l e l.N erai lili ancora come la c ligi inzione,
notissima, merce chè, non è che un composto di mercè e di che. « Non pote lono
essere preferiti, me cechº I ddio non si lascia adescar da doni . Seg.iti –
Mercè a, ed anche nei cede a, è modo di ringraziare proprio del la litiglia
italia, la.) - I fissi del segna as del non le I)i , dipendente da mercè ( tut
I simile al francese I)i i merci . La qual omissione però i li ha pºi il luogo
quando il no di l)io si posponga a mercè : Itri lire le velini dore ne è
l'Iddio e di questa gentil don li scali Io sono . I3, c. I li li ho bisogno di
sue cose, rei li la mercè di Ilio, e il l marito mio, io ho tante borse, e alle
cillole, ch'io V e l'alloghel ei elillo ». l?occ. Fºurnto E sl il .
e lui le avverlio viene la voce punto assai volte º : ri: i vi il ci ills e.
I e - n 11 lissili , lira gli eserº i pi li animi niscano quando e come me gli
Ils: il tre, si ch il per i clo, lerivi grazia e buon sapore di eleganza. I pil
con i col sos intivo soli : essere in punto in assello, in accon io il
precipilo, in istalo. grado e nelle re in punto (cioè all'ordine: nellere al
punto aizzare, cimentare con il lesia, l'uomro perchè fac cia.... in buon punto
opportunali e le at buon punto: al mal punto; dare nel punto: di punto in
bianco all'improvviso : di lui lo punto ecc. ecc. I vverbio ci fornisce:
a ln di che legano con maggior intelnsilà, li r es.: punto, punto; nè punlo nè
poco; punto nulla e qui tiene alquan Io del point dei francesi); b) un certo
grazioso riempitivo che torna ad a lui un lo; un nonnulla ecc. ecc. . . .
Le previsioni siano in punto a lor tempo.» Ci sa, Piuttosto tre cavalli buoni,
grassi e in punto, che qui il tro affannati e a Inale forniti.» IPandolf.« Navi
lornite di tutto punto, o Si Lerdonali. « In mal punto si ori emino il
mare ondoso.» Menzini. “ Dunque, ripiglio I rail all' inte (i riso, messo
cosi al punto.» Mla zoni, « Cosi già in punto d'ogni cosa bisognevol a
qil passaggio, prima di « Inettersi in mare, il dl IIIessa.» Bal'.. «
Alcuni di essi, parte torchi di mia e, pari opp. e-si da, e ritiche, ſu « l'oil
in punto di lasciarvi la vita. 13a I. .... coli 11el (i imporre
si sl: e- si va in te sul punto da i convenevole. ... e stalli
, il ciò tintº sul punto della Cavaileria che.... , 9 , i 3 art. ....
affinche', dove gli ne venisse Euan putil o al n o in strasse. o Bºri. º volea
dire, secondo - i no 11 i 1 , , , li : soli iti e litta a ce ngiura « era in
punto. l)av.« Cento e piu loliiiiii li quel lite, li i luro , i ti o al lav.o,
e , Inque « di le filsle e il Cat Ir furc no in punio di navigare i
IlilitIero, o l a v. e Miille navi, lurono las, i voli lº stalli 1 e ! il. . .
. in punto.» I)ava inz. le Illali e se li ril s gloiro, altri li a gr . -
era punto di rievolezza. Boce. « Punto Inoll I Il l: II le gital (ial s.
i «Qllegii che hº illio con il prat: 11 le li: Il to punto nè fiore. SI).
Se n. l'ist. « Punto del mcndo il 11 poi ea posare il ll. Il li otto. o I
i I ti. « All re ragioni di non punto men grave il il 1 , lizi.»
l?art. a e lei si riglia e li rvirill d . I 1111, si lire, i 1. I tigli:
il re - se le punto « nulla sentisse del bar -o il 1 e il 1 olii Illesi ,
l 'empio. , 13 art. a che punto ch'un tral, li. I o v sta a igi si trova
in l.1 o ſu il lie la lite « in boc. a. » Cal') « Moltº è la
plance. . .. . ll 1 11:1 punto di ieri interni o... l ' i -. « S Voi mi volete
punto di bene, il 1 e il v; 1 . . . . . B . . . Sc Il legna illolo e punto
abile. I ... Il D ... - il l .« Con l'e rabbuia punto, lo sl 1 l o il il i li.
« Ma no: percio che ino:o -aio i lil i : li , sa p.ti, i 3 malteschi, le
« pronti il d urlneggia 1 e l - la li: i « a finire lº ll'Illia delle illa', o
li co . . e. , li; . . . . . si l .l.i.« loli sara forse gl .lli la o, ll il Il
l il 'cloro. Cili punta 1 I li le « d'umanità.» Seg ll.a El io 1 orno a dirvi
co; i pl º tes, e del Si io che li punto confida « ll (ille Sile forza dov l'à
( il dere. » Stg , ()gni donna che punto bella 1 -se vol 1. l) I V. E nn la di
ea. ch'e g: ai le pericolo a.i II, II, scprasſare punto nella « immaginazione,
qua l.do gli vi .. li . a Ine: te l zza d'ill felillila, a pe: occhiº
soprastandovi punte ri le volle a l livi rie, ch'ezi , i lio un'anima « molto
in onda in castità, le ril ma ne per os - l II l i lilla.» ( 1 Valia. a (iò
sarebbe, da re a discutere la Legge di crisi la ni a Sriali lasci dolo a e a
Cicondono a quaii, ve ella pa in punti necevole al lo le pillol!: o a degi
strati, agevolmen e riuscirà d'indurre il (.ali - a Irla a disdire al Vil a
lela la grazia e col finarlo fuor del Giappone, a Bart.Note alla voce
Punto i – Punlo, nullat, un non nulla, niente, sono talvolta perfetti si
li lilli, e di till inedesillo, IIS , e ci si rilai ille. Conſ. Parle I. Cap.
3.7S Sinile: vesti di punto. I rili o di lui lo punto; armato (º ('tº.79 -–
Nola il modo : stare sul pil n lo le l con rene role, dell'onorevole, della cui
l'alleria ecc.St – ci è punto punto, li ill. ; II l Il significato di punto,
niente, un non nulla ecc. Il 1 si il 1 , il ppo gli antichi, e ha sli la nota
frase di Danie: Peli a orinai per le s'hai jior d'in gegno, Qual lo divenni!
SIII le litel del Manzoni: Ma di che i julo gli p lesse esser il Ila o al l:
che già brillo ricorre Va al fiasco per l'Irnell e i il cerv ello, il tale
circostanza, chi la lio di se uno lo dica . E i lichi il sito quale intensivo
di non : « I giovani e maggiori e le I compagni di Celso, non si s not guti o
no ! io e, anzi li i più i dirali contro la plebe....» l.iv. M. \nche il mica
dei Lombardi vuol essere qui menzio Ita' che li li è poi la lil I lilli: rido
che li in fosse già sulle I rili e al recello. . V | lale l'ill , rispose:
Signor mio non so gli nè mica, li è voi a che li li : ogni le, alzi vi dimenale
ben si, che ... ... l occ. e Vale le ali le illla nica, un miccino, Il lanlio,
l'idea, nè pun lo nè poco - a I greci panegirici ti l'ora li li el'alio mica
una pill', i vi -a lode ed inutile!....... Sal Villi.SI – Tra di lei quel
rialleschi: pl o lili il menar le mani. (schlagfertig, Tutto
l'referisco qui le lole Iorme avverbiali: lull'uno, lullo da vero, al lullo,
innanzi tullo, lui lo di, dai, per lullo, tu ll'ora ecc. ecc. il tui tut lo,
aggettivo o sostantivo che si voglia, è il variabile e sempre di un ge nere e
numero, e piaceni allegare esempi di un lullo avvel bio e pur de cliliabile o
si scel libile di genere e lllllllel' . Aggiunge energia, e vale
interamente, oli minaliente ecc. ma non sì identici, che sostille dosi questo a
quelli non ne soffra lalora il tornio e sconcio ne venga non meno alla Irase
che al periodo. Tiene alquanto del toul dei Francesi, come che troppo diverso,
che non è il francese, sia il governo ed uso del nostro lullo, e ben più vago.
Polmi mente sopra lill t virlù sintetica dei modi: tull'orecchi: l’ullo gambe;
tutto leggi: lullostoria; tutto musica ecc. e par che si dica: a tutta forza e
vigore, non alllo illeso che... immerso in..., non d'altro occupato che...,
anima e colpo abbandonato a... ecc. ecc. (85) « Io conosco assai
apertamente niun altra cosa che tutta buona dir po e t. 1 -i (li Illirlti li(Il
1 s'è l'Illi di costoro.» I3oce.a Qllel. e gge le fila li il carro di
tl’amon[ana gla l'olava, e l'allo tutto e loost let Ii di Illo: Illoli, di
frascilli....» I 30 cc.a delibera o li tollla! si ill It llia, tutto solotto si
mise ll call Illillo. » l 3o '. « Il fallig', io trovò la gent. l giovane tutta
[imida star las Stil. » I3(º . « Senza - I tal l' - , e sollecitata da suo ,
cosi tutta vaga cominciò a a parla ! e. . I3) .I)imo a lido il giov: in tutto
solº nella . orle del suo palagio, una ſe II lillell'i . . i l lo lill sill: l.
, IB ) . Tuito a piè fa - i loro il colli l o ! il 1 do disse.... » l 3 . o i
lut . In te la II : sua la Ilte ne ſei a spiare. ( trovo che Verºl Incli e I
giova e il 11 l'a trii n, dormiva tutto solo. , 86 Bocc. il qua e es-endo tutto
leggi e tutto antichita... » Bari. ....i-1 l'1 lis, ( llella e la i i, il ll
1tl i) la l la ll illli, s v l'Ve i gli ill le liri, tutto e il o li in
soli ordia. Dal t. Chiamò Mosè, e qui si tutto dolente del suo fallire: Su
diss'egli ch'io Il il 'l' Illi). , Se . ll.Io dovrei di file stamane esor farvi
con grand'ardore ad essere tutti zelo; l sl? SC : : 1.\l di Iliori tuttº animo,
tutti ardire, tutti baldanza, ma nel di dentro roll ovall-i o l'abb 1::. »
Sºgli.a MI , oli qua e . l e Iron al ro sonº parimer: e. ch'a ffelli di un
animo a tutt'orrore il quale per la 'pa già stimasi dato in preda a tutte le
più ſiel e ! Il re.» Sºgli. Note alla voce Tutto S, I ), ſu
Io ci ligi Illzioli e il vv e glachi, ben cºlli, solo o elemento di all i
spressione col lutto che, con tutto, tutto che, indeclinabi io o il rialliera
di agge livo con lullo che mi sia le amico; con I tilt a lui costi (t a mi ci
si darà ragione di parlarne più a V : Illi.Anche del modo elettico: tutto
quanto, tutti quanti, e dell'altro con il missili o : lutti e due, lu lli e l
re avremo occasione di ragio irare ad altro proposito. 86 -- Agiungi a
questi esempi del Boccaccio, le frasi anche oggi in Irs lop late al rilie volte
dai 'le si esso I;occaccio: esser tullo i , in Il lavoro: vino da bersi a lui
lo pasto: essere i ullo della pr i soli i perdillo e rall rallo, e simili.U n
tratto – Urna volta Non credo alla liri erra' o asserendo esser oggi
smessi, scordati e per | oro discº li si illi i lodi: un trillo, una volta in
quella forma e valore cli negli esempi il si a i cii noi 'Iali a volersi prendere
un tratto nel sigliific l una sola, e una colla spacciarlo per quel che su na
sareb be sl la hit si e da il crescerne buona mente di chi sell liss si p vi 1,
il i l di liligº la, e non ne vedesse più là. I modi una colla, un l al
lo le , i cser I i l n al di l l sch si : si h mail al n. Non mi 'mal her, guck
'mal hin, n un link in all ' . ( r .I e II si li primi o li allo; anzi ! :
allo, d'un tratto, dare il tratto; dare i tratti di olz en Zi pensare un
irrillo ecc. ecc. Si , non spettan quì, - , li o lo così in di grosso
l'ein Ilù ſiti il presº il nosli a cui la li li igl lill ('. N la
non l gni un tratto.» Sacch. i u;3a volta li . ri che tu n'a Vesti. » l80cc. :
i i Vo: 'rei una volta con esso i lì: lº; o li. » E ('. N un tratto a voi.... .
I 3 , c.I un iratº o . Vol. sse il Vesl il il re. » Fiere Z. il lb t i d si
facesse un tratto l'l V v tl le l V , e , le in: Va l'allino un tratto « non ci
si va a il t.a E 11 i mill ! - ! i l l anno grazia e mer º o un tratto dal
funesto letargo, il chav si g la lolla , i vv i, illuminato gli o chi ? lla
loro mente....» Barbieri. a cede per or . Fa1, del late che si sveg
Note alla voce Un tratto - Una volta S; - - e pensò un suo nuovo l
rallo da lei il re la sua costanza» (I30cc. 3art. (es. cioè cercò un altro tell
alivo, astuzia ecc. (Conſ. (.., p. 1. verbo Dare.Forte Forte è sos la
livo, agg IIIA ed avverbio. Oltre all'appellarsi forte un luogo qualunque for
Il calo, di esi, e bene: il forte di una persona la capaci i maggiore della si
essi , il Joi Ie di In'opera, di un componi niente, di un impresa, di II live
in Illo, di checchessia, cioè il fiore, il lierlo, il III rl , ecc. . Il l io
le lel (li 'al si e del lill loversi dei soldati ». ( esilli , ecc. Foi (e, e
chi liol - , è predica al l esi di persona o cosa che ha lº rlezzal, gaglia. I
clia, si l // , illle Isili, ecc.E fin III al I cºlli e Iri del I i l ero e se
il III lilo. Ma non si gra dilo e si cornuti oggi li è il forte avverbio, assai
li ute le sulla penna dei classici, in sºlis cioè di assai, lici a menſe,
gaglia, la mente, profonda nel te'. role'n la mente, ln tºni sui mi cºn te, tal
alla rocr', e clillo alle alicola ve . inenza d'animo, che lalillo anzi non lo
disgrazi, 1: Il che sa per gli buono, e gridi all'anticaglia, se ad altri anche
oggi piacesse mai di usarle. Per chè non ſi sia grave assaporarlo lic pochi
esempi, fra i moltissimi, che IIIi a º plesso, r le id , lilei e il III al II a
Telli, ci se, ed azioni il lamelle si convenga.a essendo assa i giova rie, e
lelli, e lo I. I lei s'innamorò si forte e il Podesta del paese, che pill ſita
le piu la non vedev . , 88 Bocr'. e Avell (lo V ( lll v . " ( il V ( , l:
i re, is l'all: lui (º littº « piacendogli, forte desiderava di aver , ma
pur non s'att | I vi li do e Irl:ì ll l: l ' ( ). » I3 ) . a e saputosi il fat
o forte fu biasimato.» Bocc. E biasimarongli ferte o li' gli voleva fare. » I3
Cornº che ci si liri o altro dormisse forte, ci illli cli . l 'i lei la stato
era, a 11 mln (lo l'1Iliv:ì a 11 ol': 1. o lºa I ca li presa forte la giov i
tre li ſi ill: lli. Bo . e ....o vede; dol dormir ſorte, di li rsa gli rasse
(Illa: li egli avea. » I3o r. a \ ndl e il rio, go!) risponde dogli il la
illl'o, cominciò più forte a chia a mare. » I3C) .commendolia forte, tanto nel
suo desio a cellulºil (lo-i, (Illanto da più a i rovava essere la reilla che la
sti i passatº - il la.... o I30 . a I)i Alessand o si meravigliò forte, e
illibitò noi foss ....» Bocc. E avendo la barba grande, o , ieri, e il vita,
gli par si forte esser bello e piacevole ch'egli s': 1 . Vis:I.... » I30 .e....
e quando ella a ridiva per via si forte le veniva del cencio che allro llo t r
ore il III Ilso l1 Il ſºl , Va.... » I3 . .a .... i quali dubitavan forte non S
(ii i ppel º lo gº ingannasse.» I3 c. « Questa parola parve forte contraria
alla donna, a quello a clie di ve a lil e intende va. » Pocº. a .... e
perchè mio marito non ci sia di che forſe mi grava, io ti saprò a b(an.... »
I20 ('. a .... per le quali - oso, messer o prete ne 'nvaghi si forte...
l'occ a Forte nel cuor noi la pietà compunsi.» Dittani.a .... ma poichè si vide
ferito invili si forte.» Bart. « ... Allora come a cose di sapore che pare a
loro aver forte dell'agro....» Bart, Note alla voce Forte NN Il
Cavalca idoi era anche l'avverbio fortemente e significa il gra su per la livº
di illi: azione. « E in questo tempo slalido ci si, e I Zzaro, in je' m ) ſorte
nºn le; [ueste due suore MI; il l: e Mlal a jo) le men le l'ut, al ramo,
perch'egli era così buono e perchè sapevano che Gesù mollo l'amava».
Troppo () lesta voce li rila alla memoria la pacifica contesa ch'io ebbi,
or è già l'anno, e l'ol Si fra ello intollio al cone letteral li e si, e l el'e
pi le del sacro leso : Mei ces tua magna gli is. Noli è il l al nimis che del
basi qui li adurre, sentenziava egli. ( º lesto mi mis è Il lal V e// li Ill 'e
lle lol la ad un massimo grado slip I lal V , che la llli gli i alla lia li li
ha. A li io, che quali (lo si ll alla di vedere il V el a pillºla di Iagione,
la voglio sempre spuntare nè nulla a Ilorilà si li li porti li al ere. Ials ,
falsissimo replicai. La lingua ila lialia l'ha sì bello e ſol le clic li il so
se all ra lingua possa mai fornircene il III colale. Ed è appli l'e lliv le le
italiano dello stesso minis, trop po onde forma si Vil: il cli Illi: i l: il V
( e un così fatto superlativo. ln pero lì è la voce li oppo sulla pena al
classici non significa soltanto il lellera' e minimis Ilia il minis all
resì lollo, assai – del citato luogo S9, a ch'io perciò li l'avviso non potersi
meglio tradurre che colla Iorma troppo più grande, che ecc. Al Boccaccio e ai
suoi valenti inni la Iori, andava all'animo assai la fºrma comparativa, la
quale poi tor la mercè della V e troppo ad un massimo grado di comparazione,
dirò così. superlativa. Leggi e dilnini s'io mal in'a ppoliga a
\-l-ai volte già ne potete aver veduli i dico de li re di scacchi troppo « più
cari che io non sono » Boce.« più assi li ve n'erano e troppo più belle che
queste non sono.» Boce,"IIa colui è troppo più malvaggio che non t'avvisi.»
Bocc. « Non pensaldo che, los- e chi addosso o indo-c o glieli e
polie-se, ull a: illo ne porterebbe troppo più che alculla di lei. , 90,
Bo e. « IlliSe lIlano ad una Vlt. troppo più dura e rigida della menata
pre Sente.» E0cc. « E se Inoll ('lle di tult i ll li lo o viene
citi l aprillo, iroppo sarebbe più piacevole il pianto loro. Bocc.
e Vi tl o V () la II , e tali ltto , le V a - troppo più cle tll la la
spesa. » Borg. Egli e' troppo più malvaggio e h - li ll s'a vvisa. » I 30 cc. E
Annibale l il troppo più accei io a l .Allti e, lle a suoi Cartaginesi Stato il
n era. E assai lostri con il i adill I si lio gla di troppo più splendida fama
stati al presso le nazio; li esl 1 in nee e le app lºsso ioi. » I3, c. « .... a
Badagi, che da troppo più erano in forze, numero e ardimento; Ina il Saverio la
cesso ogni per i lio. » I 3. l'i. « .... ed era la piu bella lei mi a, le
si rov a -- I l II onl , silvo la Vergine Maria, la quale era troppo più
bella di lei senza niuna compara zione, pill e cori raimlt ita'. » Cav al
1. e .... il giova il tilt o il 'li i lil III e col il III ( -s Si l' 11 le
alle sºle Iila li; e lo II , li e il V e --, pill lo i soglio d'es s-it rs',
mila anzi eg i pl egava lui a lioli a biorrirlo nè rifiut l 'lo, per occhè era
troppo maggior pecca (cre che forse egli mcn credeva. I3: i rt. 91 , e Ma to li
1:1 tii, Signori, I il III , che troppo ancor più alto con via li le Val SI. o
Segli. III' troppo altro gi ill ols e le :lo I, a . . . . livi- i lo. , (
- a li. a dimosti o che troppo più che alle pratiche e negoziati.... era
da repliare alle orazioni lºr Ille-to elietto da il latte a l)io. » ( s.
a N in sol: III e il I e tornò i llo II lo nel primo lato, lil:i, a V Valit: -
º in Indolo di troppo più doni, lo sll blin lo ... ( e il li. Note alla
voce Troppo 8) –. Troppo, il re al significato di soverchiamente, vale
anche mol lo, e questo significato s'incontra spessissimo ne buoni autori. (
orlicelli.90 – Parla dei soverchi ol'nalienti delle felillirile del suo tempo,
91 – L'ho preso questo esempio un po' più da lontano che non biso gliasso
al fallo nostro, come ho alſo gia più oltre volle assai, e ſarò sempre che ti
potrà tornare non solo in utile ma ed in piace re. Qui, a cagion d'esempio,
oltre a quello onde questo luogo vuol essere esempio, hassi al resì a gustare e
quel non che...., ma anzi, e quel non –- non credera (di cui al Cap. 2 Part.
I.).Là ºggi si griderebbe l'affellazione, oh! oh! egli è il purista dàgli
la bili e colali all'e ciance, chi alla Boccaccio e alla l)ante insegnasse mai
rile all'oro, il cloro e all'onde sia lic volmente da premettere il correla
livº li Illillo si voglia far emergere l'idea di colà, appunto colà, pro prio
lino a quel luogo ecc. l'icinsi clicccè si vogliano a me non dà l'animo
di partirmi da una sºlola iroppo più aulorevole e veneranda che la moderna a
pezza non è li potrai li li essere. l Irisi: più là che bello: più la v.
g. che l bruzzi ecc. ti mostrano corti e si governi, secondo sellire e sapore
classico, il comparativo del l'avverbi di luogo, di slalo e di invio: là e quà.
Non gia: più in là, più in quà. I ro: piu in là di ecc. Irra : pii là che
ecc. e in brieve grida lidosi a luogo, la logo, là pervennero ove il corp
, di S. Ai 1 Igo el:a i -1o. 13 , . (º A t'll il li ai lo cli, avanti ora
di Inangiare pervenne là dove l il bio: e el in. a i là onde r , il o se
al povero non ritornasse.» l'80cc. E Il lesto letto, in Il l to a l . . . . . .
- 11/a lista le colà pervenne ove Sep a leilltil a la la loli tra lº '.e coli
lei il sieri e niti 11 o il 1 : vi o, e presero il rallini in verso Alagna, là
e dove l'ietl o aveva certi anni , dei quali es - o mi l o si confidava.» Bocc.
Vli rispingeva là dove il sol ti º lì l'ite.Chi (Illin l e gli scelse la ll mi
e pianti, cotal si rilla ue subitamenſ e là onde l:i svolso. » I ): ll I e.lº
fa l l'ill lento ordina ono ins II, con le elle dovessero uscire fuori anzi di,
e a: la l e a Irio: il Calvario, là dov'era il mio lillimento. » Cavalca.
vuolsi cosi colà dove si pllo: e ( io e le si vllo, e... » l)ante.a li de ella
de sl 1 i lo, l III ell lo l'esser fedita; ma e ricordandº - i là dove era,
tutti i lis . ss 1-1, tel o del luogo, di quel tal Illuogo). 13 , Di lei
sil, la norò sì Iorſe che più quà nè più là non ve! va.» Boce, e l' (Ill: ll e II
lig.i: ci li h? Maso is º I la elle pill dl millanta, che tutta e lotte tali a.
l) is - e Cai: noi il 1 : I)lln Ills dee e ssel e più là che Abruzzi. Si
- lo, ine, rispose M - , si e avei ('. » lº . « avea preso -i alto grado di
perfezion , he non si potea più là. o Cesari. e V vº: lo pl o ede: p in là, ci
sia i cose , i veri :a il vedute che...» (.esi. .... . ll 1 più là li oli lo i
possibile a ridare. » (. . .Quello Il Boccaccio, il Passavi, il . il Pil
dl Iſi, il ( il Vilca, ed il valentissimo Dal loli, il mila i d. l II mila
serie di ira ori e discepoli della scuola tallica, Ilsa l'olio assai , e
i le stra, il guidi e poco grato al viziato nostro ore o il prosione
dimostrativo quello posto a glisi di 11 Il ro, ci si d . it -igi, i lic
la lino Illul lI d l Di esempi ve li ha a bizelle. Ne a I ero al ini e
piaceri di aggiunge e d in quello, in quella, pari alle lorni e avverl :
i : in quel menti o, nel menti e, in quel momento ecc. e si dis: quello
li n. - - id . v . . . . . vi i e quello li vi - e' ii 1 e l'Il l il e io vi -
ll 1 , v. . . . I3 .- : Itt - il 1 se. l ' a 1 il 1. l it ; l quello tl a Valli
I e (lo V ess, lil ('. : l o .lutti ; - i fri lis . quello li da N i e:: si iro
l'1 - , -1 . . » 3 ) .l'In/ li lis- I - - I, quel ch'io? » I3 . I - , quello le
1 , III -- il l sa io vi li essi. o lº ' . i 1:1 ! I, ve l i. -i potrei lo
Viºla e quello che noi a id:assino ſ: o ll il . » I 30 t . ... e io! I
si, a quell cche io mi tengo l i le sc ( l ' e 'li.» I3 . 92. o Seguiti rolio,
il sil, no, i ti l'e. sse) l da l . (III l 'o più a ll'Iva n , piu lui
iro il lit . 2' l'1 e va e le , i di 1 e ven re a quello, al quale dopo
lo I - ra l III antila li -si, er . , FIl colo. Itispos, il III ), gua a lile.
ll III i lII il 1 o quello clic pil III e il bis: - rizi - - I ..A questo II e
les, il II, II - Il to si It , l e il q"1ello che è det o a lI - l ... l'a
- sav 1:1ti.I, -era ril II- I 1 -i di quello che : ' ' Vt a la l .... »
Fioretti. E p. lito, ve li quello che i li' Inita col suo compagno »
'i e il v. I :: v. i : quello che i lr che , è.... » ( ,s In quella
cli ... , l . E le IRillall stro, col il l e, c in quella. I 3 . . QII,
il q: le! Io o clic si s la fa in quella a Che il 1 l vi le Cllº gir 1 m
-:1, III: qlla - là saltelli, a Vil'i, lo Mill it: il ri . f: l' . . it: l'. .
l): "ll . « In quel che si appiattò IIIi-ºr li denti« E quel di ace, il 1
o a b) allo a ll'ano e Pol sen portar quelle membra dolenti. I pante.
93) e con [aii ingegni...., che il ponte sarebbe mancato a lui sotto i
piedi « In quello clie e gli pas . . a. . Ces. Note alla voce
Quello !)2 () i la fa da relativo e ville: qual cosa: non so a quale cosa
io mi le fa, o che è lo stesso, non sò qual cosa mai ini | l'attenga | lo li li
lo se gli I e rolli ( ' Ill. V el'b , le nuºre . 93 – lº è) ssere che
colesto in quel vaglia non in quel momento, ma nell'uno di quei due che col
revano, il quale per istracco s'ap cli i non le segli le relil ( Inl
verbo le nei cº. U Corn Co (li li li si l - valol e del sostali
livo il rio? Che ha a far lui l eleganza? I tagione e Il li se no e loli più
là. Eppure alche uomo è al V re sulla penna a classici che alcune volte,
più che il l a essa pul e al grato velluto, al tornio e saper della II se.
(lsserva quanto è vago quell'uomo in senso di un e ualunque uomo, di
chicchessia, e in luogo della particella a verbo su. VIa avverli a ricola sul
gills o governo, costruzione. lº . . . . . ll III li ucnnc lo i ri: i V
li l: e cl’egli non voglia “ . . . . . pl il l n t il to in ebbe
con gli all i pm role irollo (lis once, e il l d'uomo . l 3 l i.e si e il II ll
e uomo in:li in quel e cose che a lui l 7( t , lo uamo il l im . it - l'alcuna
persona clie ne fa cesse e sei a -- quello le Luigi per il mio e di I)io
. Cesa l'i. « E nel vero l' 1 , a: per lo I e uom dice he io lº blo
essere a Imo:tº giudiruto. io no! oli in Is I niti i r. 13 .“ Fra sè
Inedesimo disse: ve mente è (Iliºli così magnifico comio uom « dice ».
Bocc. “ Non è rosa piu naturali ai li! I v.le e giusti e li Illel piacere e le
« uomo sente dall'esse; ama o la si oi ratelli . 94; Cesari. Note alla
voce Uomo 94 – Che cosa è l'ou dei fr: il cesi - e li li Il collll
al ci di home? ( il man dei [ d sch è altra cosa li ler Alain n il trio ? (ili
inglesi poi dicon , they, I he people say ( [ . he loria al nostro : la gelle
dice ecc. Fers o n a L' Iso odier 1 esſi voce è il rilalissili , e
non si ado pera in milli a 'I ro -iglili clie di II lil il genere, o, a dirla
coi fi losofi, d'essere si issisi e e rigi nev, le, ma si l rispello alla sua sussi
s ente individi la fila, e lo scili del l s e ido, di s la essenza o la lira.
Il male di elog: I: / Is e virili si che a ra vale colpo , e poi il ras e li li
| Il l: il no irla eziandi tii animale, l o al significa I " Il li h Ss 1,
c. ed il li inalmente ha senso di ver: i , n. ss II , il li do le app i ll'all
cesi l'aurun, per Non ti c'. )sservill e gli sla i li a presto. I
)elle frasi cl in 1: la III | I molte re persona crescere di corpora Ira : fare
di e in persona di... () le lil del a | Iel primo superbo in persona di lulli
gli allri, Isti: prolcl: : 1)i , isli in corde lilo e Passav. : far la persona
di.... li l: lle spielen, sostenere la parte. «I di quie Por ogi si che ſce, a
chi l il suo personaggio nella gloriosa e parsa la valli al I e I r!. 9, la la
persona adosso ad alcuno, soperchiarlo 96 : mettere in persona di alcuno
qualche cosa v. g. una r lidi :i, costi i lirl li di essi, 97 e .. ci sarà poi
la cril sio: e li i la rli id al l silo. Iº, i cºl logli -s e II l
bel fante della persona . l a IP o cle ella era lei a del c 'po, i giovane : 11
ol, issai, e destra a e atante della persona ». 13 , . . . . te, i bil 1 E
le iclè ella fosse contraffatta della persona.» B ita', e .... essere tutto
della persona perduto e rattratto.» loce, l'1 va: la lo- i mal disposto della
persona, e le, la inelite lion molto sallo.» ( 11:llillo,\bbiati i cavalli i ve
li lilli- al grande colpo, cioè persona.» V ol-: i rizzº / l':lli li .il se -
ll o chi a losso, e con grandissima af lº ziº e la persona di lui, e i silo i
siti mi onsiderand d'o culto alliore t . vt', ll tell it | º li li : ss e. . l
31 , ,la li e ti e i , till ia persona piglia e va i, senza lasciarle in capo -
, i periti, o oss - so , li i n e -se. I 3 , . .ed i a º s', 1 e la piu role
belle e ri che al dosso a l'una e ine, i viri della persona - i pareva che la
giovanetta, la qll ' , a pl p - o li -: i B , l stat 'i: si
val.etta....) S -- ti: . ss e i stesse persona, il 1 - si l qll il
il 1 1 1 o cava tv:ai. i cºllo persona se n'av v ( lº - e lº t. Io li n
.. .. . I , l l la ventura lestè, che non è pcrscina. 13 \ i i vi li Ilia
i persona.» l'8oce. Io e li ( s'o, che tu non facci liliale le a
lui ne a persona.» e al ll un altro Fio: etli. I la ll l'a cos l: e questo si
è, - - al lil. I - - - che se nessuno ti doni i -- 'I gira li cost, che
lui per niente non ri spondes ; a pcrscita, tra seri li essi vista di n.
1 l ele: è e noi li udire.» l3 . I | p. g v , se i persona come
fosse ivi, edl li non v il giov, il sillo º l'io etli. Ed ho da mio at oli ed
za, lº io lºn la possa dare a perscrma.» l'1 r, Ili.li i per ſuo - o il 1 :
ini: 1. ll il a persona del In illo. , Bocc. « E ' il l - tira perso ia mi li,
e ! i Zzo perdonato. » l 3o . I; rulli, a non salirà persona se : it 11
Note alla voce Persona ) , simili ma in tal caso spogliandosi il
principiº la lºrsonº di principe, e mescolandosi egualmente coi titºli di sè,
gºl l-l il tilar la gi al lezza, piglia un'altra grandezza, Castigl. Corle-
giallo. «Mi pareva appunto di scherzare ſuttavia fra le conver sazioni soli e
di Brusseles, e l'avia di far la persona di cor legiano il luogo di quella che
mi conviene fare ora di viaggia lo l'eo. I3C Ill. 96 - Lo stesso che la
re l'uomo adulosso al altrui, cioè cercar d'aſfe l'irl , col le minacce. E
volendosene al non so che esecuzione il lido ſilio a S. Giovanni a Irovar mio
fratello, e gli bastò l'animo di ſoli gli persona addosso, Illando egli
meritava d'esserne casi i g: l ' . ( a l . .il Diil (iherardini. Voci e maniere
. - 9' - l'orili, il francese sui la le te e il gosl o volgare in testa
d'al clino. (ili rilizio l'Abbadie per me lei le in persona d'un al ll o,
Calo. S e lºro orie di terza persona d'arri lo i lilli neri e
genitºri, che si riferisce | | sempre al soggello del verbo,
adoperandi si lui e lei negli altri casi. II o Irascritto di peso la
definizione che ne da la Crusca, e basterà. Come piacesse p i al Boccacci
re di all i trolli. In colal sè in In lo assolti, o e coll'i: definii , l
gicli e Illasi si ºss , V edilo, di con Io e mille che ve li ha, in
ſilesti p. chi esempi. a Per un cali o ambasciatori gli signifi ) sè i
ssº; il l ogni sll ' Illall « dal Il (). » I30 .“ 'ostili... dir. se, sè con
gli li ri ins me essere in questa opinione.» Iyoce. s “ Gli altri llitti, che alle
tavole e rallo, illli I sienne dissero, sè elier a quello che da Nico, uccio
era sta lo risp sto). Bo .Aiess. Il dr ) gli 'e il dè grazie del cori l to, i
sè a l og: li sll , collandin - In li o di -se esser presto. Boce.e loro, che
di queste co-a lui il rili, or -: van , , strillse a confes º - ll sè i sien:
con Folco esser il la mo: del a Maddale, la colpevoli. » I3o . “ . . . . - e
pel I i ll e le slla pit l il lill e liceva Ilo, sè aver a Vli, o e da lei, non
essere incor, di tanto tempi gri , il 1, che | i leta potesse es e Stºre
la crea llra. o loce. Questi e Quegli Si che lo scrittore il derll
, lo usa, e l'uno e l'all ' , posto assoluta nell le in senso di costui e
colui. Ma non la iſo a colifortarli all'uso quanto a mostrarlene sil vero uso e
legittimo piacermi riferirne qui alcuni esempi.oru I ond II o luotiIoluogtro
vito ottimisti es lllo ollo ofunifiiu o pil minl -la.os mlnuto un olo luou l.
In ott Insi non lº oALI sold o! Il lo Ieoo.A II I tuºi-Io v o ottussIssotti Ip
ons e 1.Il 'lo s : l'impolli o lo I II Is v.ll st ..ol. Il “odſuo ul lui opeo
li o outpur, ep li out optio o lo vº oppull o! Iº lº up.uºni; ios uº.In ln.
ezzotti Ip e I potti o.I | Il los . I volo “ol I pm Ilio. I l'i: i) a luito o
illu po olso outlolzilotti o esonl lo v Iloil Ip los il I _ e ne» \
:sºlº. I « opinpu u Aupututuop ou. 115amb Ip ) : IR il p to eve) op e idos il
ci lop o oulo “ollomb o. : ), ond is oli otti. I l III II e III Is l'otti o
solll V Aussu. I « usolt [..) Eleti o o si ) Il “1159mio l 'esoi II) l'Ilop º
oluto tuupu euro. oI tod el IIes tddl - riti ei lod otto Iss o IIIo lº I so.I )
e il V Il 5 UI ,i. S ) : IIoII. 113enb Ip o Io , lui il di lui se li ti os o
II. o Il s o II is º III o II , 1132mb VIII A 1) « ott zu.Il 113 onb I 'll A )
. l is tº lo 118omb e p . Io ſº i Is I V | o v N.« o in IRII ol o) toni tu III
o l on tº il 118anº il - IV l. 1: I 'l: i sanò “I I V r) « e ſu di
ni: I.I I I I Il 11;anb N N I I V l t, vi | l 'ItI A o « Us II . t: l ' I
l. ) A l: II. 18anb º il l il l: li I “I: I l l i n . I I I . .I ) \ I ? i.)
I vi: - st , l III! - - I II -Issluti Inl o II oul o 1139mb p I ogI sl
II-nd in euro a Ion A ott fops i samb 13 anò lIl ll o III ), i . I | III F III
l st ) ) somb o-s II s l . I olti (I e ssa: Il sanò olII trOI s sono o sanò uºi
In I tºl In A III o Noll - sanò o il III : -nIossº o ollo.I costi. Il
cºlson l olloni (i i l Is soulotte etti ln)soo “lm)o. Ind Itoli o in º.oo.A o
allo l o oum. Il I I I I I I I I | 11: Il i li osso il s II II l s
ri: o II. ii l' oil. ss I.) o VI i .I o III II . I | anbuntuoo ºpttodsI.I
15 o infossils o Iod opilenlo “Il q o se ti o in ouaq els ſolluſosutti -
o Ielofuſs illionh outoo soo o illel e il pr i ] N sempre e come gli
talenta, mercè che il saperne usare a dovere è già in dizio di buon gusto, e
mostra altitudine al concepire classico, e indi lo scrivere che altri fa vago
ed ornato.Ma usarne debitamente, e voglio di e il m a casaccio, storpiandone il
senso, o il maniere e concelli orestieri che ne l comportano. Perchè dirò
della voce guari – che vale molto, assai ! III o l'opposto del francese ſuºre o
fuºri's e il di il colllllllissimi i : non ha guarì, a significare non º gran
tempo, ed è sempre precedIIIa da particella negativa - quello che di ogni
altra onde presi a rallare, che cioè il verº mezzo, il più efficace, il piu'
sicuro, di rendersene veramente padroni, è quello di leggerne e rilegge le slli
di saniell e i molli e sei ripi, e le belle maniere di uri si fa l guai . e
cosi conseguirne un rello sentire, e riconoscervelo sì come palle del disco so
non decol a lira soltanto ma ed in regrativa altresì. a .... nè stette
guari che addormi itato ill. » Bocc. 6 nè stette guari che si vider i frutti il
rie- dei loro allorazzo. » Bari. inè vi stette guari ch'egli vi le as-: i la
dis, sl , ' t ) l'11 l: Il Cil l' « piglia con assai a.legra fa e a.» I ierenz.
.... non istette guari a tornare. » Fie: e ilz. e ...., il quale non istette
guari che i rap issò mori ; o lo e .... ed essendosene entrati in cani ra, non
istette guari che il Zeppa ornò, il (Illale con le a loli n. 1 - ell: l.... »
I30 .ti e credendola acqua da bere, a li ce:i postal:usi, tutta la bevve:
nè a stette guari, che il lì gl al S. ll :lo il prese e Ills- I l ltdori
nell' ato.» I30' ('. a ... ll è il ro i ti elideva, che da llli ( ssere
richiesta: il che non guari « stette che avvenire; ed irisieli le fil rollo ed
il ti: i Volta e l all 'a.» I30 ('. « .... di paese non guari al suo lo
litri :) . » I3:1 l'I. a Ella non fu guari con Gualtieri di mcrata, che
la ingr i vidò, ed al tempo « I rarº ori. » Bocc. « Il quale non durò
guari che, lavorando la povere, a costili venne un « sollllo sllbito e fiero
llella testa. » I 3, c. e Si mi isero in via nè guari più d'un miglio
ſull'olio al 1 la i clie....» Bart. e .... novella non guari meno di
pericoli in se . . ll I e nel II e che la narrata e di I .allretti. » I30
. « Dopo non guari di spazio,.... » Fier. « .... nè guari tempo
passò.... » I3 . a Fermila lire e, se tul il terrai guari in bocca, e gli ti
gli asterà quelli che : oli dallalo. o 6 , Bocc. « Essendo essi non guari
sopra Majolica, seni l'ono, la nave sdrucire. » lo c.Note alla voce
Guari ( - Nola II sto In lo leggiadro del I occaccio e suoi valenti imi
il li: non isl le quali i clie.... per dire: non andò a lungo; non l' Iss po; e
indi a I l in iſo, ecc. iti - l' illo dei litri casi nei quali la voce
guari non è a governo di ll ( ) ll t ) Il t '. N/1 c r ) ci ci li
del non lo al mondo aggiunto ad altra voce qualsiasi, non le " "lilli
ºli il III si p . I livi, è a nella livo e intensivo della stessa, " Sºlº
sºlº sºpra all'allo, incomparabile, qual che si voglia minimo, ; il t N.Nll) l
('C'. \li gli esempi soli si chiari ed i maestri di ogni età si
autorevoli che rebbe superi il rallenervici a lungo, e discorrerne più che
tanto. ºsserva l'ºl di II lire qualche cosa, a come l'occaccio, per esprimere
il mirino, ed anche a singolarità e superiorità assoluta di oggetto o sa
(ITalsiasi id per asse con più forza e più garbo che non farebbe un illi a V
cc, la II lillici a : con persona.... del mondo, e come quel gran il lacsl lo i
pera di lingua, che è l'eloquenlissimo 13artoli quasi lette l'alleli e lo
imitasse: lo come a 13 ccaccio, a Fiorenzuola, per tacere di il ri molli, si
possero i loro i nodi superalivi: punto del mondo, senza una la licet (tl
mondo, alla maggior ottico del mondo, e va dicendo – il lilali alla lelleria
dal Villellissillo ( esal I. Senl e al lillo del l rall cese non le, in :
le moins du monde, e simili. Ala non sarelli , sì vigliacchi di gridare per i
lesi o al gallicismo: o lon dovremmo dire più lº slo cle toscanismi si illi, i
nodi di I.inguadoca che i li oscilli si rass lirigliani ? a .... e 1
litto in se ined sillo si rodea, lo l tell lo del barattiero cosa del mondo
l'all ('. , l 3o t .a .... perchè Ferondo se stesso e la su i donna cominciò a
piagnere, le più nuove cose del mondo dicendo.... l 3 , c .E quantunque in
contrario avesse della vita di lei il dito buccinare, per cosa del mondo lol
Vole: i creilere. » l3 .benchè i cittadini non abbiano a fare cosa del mondo a
palagio.» I3'll [ .« Cominciò ad avere di lui il più bel tempo del mondo con
sue novelle.» 3 ('.« Costei è una bella giovane, ed è qui, che niuna
persona del mondo il « Sa.» I30 ( ('.a Io gli ho ragionato di voi e vuolvi il
meglio del mondo.» Dart. a Alla maggior fatica del mondo, l'otta la calca
là pervennero dove...» Dori'. a Punto del mondo non potea posare nè di, li è
noli e.» Fior« .... perciocchè io ebbi già un Ilio virillo, che al maggior
torto del mondo, non facea al ro che batter la moglie, sì che.....a presero il
volo e le l: Inen:I rollo senza una fatica al mondo.» Fier. a se li Inangio
senza una discrezione al limondo, o Fier, » I30 ('. a gente che
vuol conseguir la salute senza pigliarsi però un incomodo ill Inoli dC). » Seg
Il. « Alla maggior fatica del mondo gliel trassero di mano, si rabbuffato
e lnal con o com'era. » Fier. « Lo spirito di l)io il Irava si fortemente
in quei pii affetti, e con ſale unzione il saziava di sè, che alla maggior
fatica del mondo egli potea scol pir le parole e venirne al filo. ,
Cesari. ſr L'Opinione giornale , con la stessa serenita olimpica
con cui sentenzia che il quart'alto della Cecilia è il pitt bel quar alto del
teatro moderno, senza un riguardo al mondo a Cluel poveri drali li i clia il: i
no I re a 1 | i soli, SIIIeltisce a Ilo izia. » Il Fanfulla del 1875 .
!)!) Note alla voce Mondo 99 – Leggeva allora il Fanfulla, solo per
amor della lingua di quel giornale, che è buona, non bastarda come quella di
molli al ri. | N T E R M E Z Z O l)ETTI Sl:NTENZIE - - Bene è vero
che così lo studio di cer ti detti e sentenze come anche la Retorica sono ben
altra cosa delle intrinseche dovizie, degli scandagli linguistici di questa
nuova palestra, ma avuto riguardo all'assetto singolarissimo di alcuni effati
che, stu diando negli autori classici, più mi ferirono, e che non sono così ge
nerici e acconci ad ogni linguaggio, come sono ad esempio le così dette figure
retoriche, che non siano anche particolarità italiana e inerenti al carattere e
alla natura della lingua italiana, non mi pare iuor di luogo di compiere
l'opera e mettere qui alcuni di questi modi che, se con metafora, hanno anche
nome di gerghi e proverbi. l t . N. 1 l il miº cl. ii e il ct mi al
buio. l ' e' l lo sa il n 1 uct I tuolo li l'. I l ' il mio cºnci
li elolco'. Iº - appropria lo a uno che iene del semi I lice. l'ut I lo i
colle si sle la Nesla, allico sll lllllelo la misura. Slc re e il m li se
li diglllllare, Vlcºl l'1 si in capo l'alcolaio gli ribizzare,
fantasticare. l'atl e il III milita in all 'cati si im sul qual mquam –
darsi aria d'im li . l . I cºllo l'e' in sul quat mi qua mi - col
ridicola gl avità. Spacciati e il quinque mi voler farsi lenere il gran
fallo, \ 'il tr le cellula ne alla les la Scilli si allera o da qualche
impressio il 1, di dispei lo d'ali re ecc. li mpri e la scopa l si a Vila
disonesla. lo son litigliato a questa misura Ambra - esser fatto così, di
que s Iella la luna. lisse'r la Ilio lo bene o male, l'irla pºi punta
di lo) chella con grande affelazione, l'aitre e gracchiare come i cani e
ranocchi alla luna. Giub. – gri di I e il Vallo. Trorarsi nelle
secche a gola. Caro - esser povero. Mºller l'ali - a Tre Iarsi.Alzar le corna –
il super bile. Restare sull'a mm allona lo – l'Illia nel poveri. - Stare in
Apolline – Irlangiare lautamente inodo di lire del valo da una stanza
dedicata ad Apolline in cirl Lllo lillº laceva la illissili le celle.
Mangiare a ballisca i put - maligiare i piedi, il II elli. Esser al coniile mini
– il punto d . Il 1 l le. l scire il jislolo da dosso tl i no 13 i . logiici si
da il lalso sci spetto, cessare di ang. Isi il gli ill li li il l i gilli
il I, si spelli gri si ecc. E nodo basso. (i li fanno afa i beccalichi e
gli pizzo no i li, i i lati in to fai il l ll - calo, il fastidioso delle cose
pit s ti Isile. \ on Nat per cli Nº – Il ciglio del volgari esser li li
(li si . Esser nell'ol o di gola –- riccone, ricco di rili . Esser
innanzi con uno -- essergli il gri 7 , i vi Vlesser Al dighieri fu gi al ci
ladino e molto innanzi con il tessel (i: Viscolli Saccl. e Fui figlill il di
illi: i giallole e gelilli. I l lale e' il molto in mani si coll’ili per il I e
. ( a V. Torsi giù dal pensiero di fare . . . ( o mi mettersi a...
lasciò il cilli ri ma mi 'lendosi di I Dio e alla sua provvi le 12:1.....
Civ. ('ori e re boll len clo e II lilo cli, le legi , i l . ri ci , i Nº
but I lemulo . I)av. Sillili: ballo e il gri sil. lo, il lersela. Esser
in pie' e plando ( alba era in piè lenne la col ſole . l)av. 1 rer l'alli
più grandi clel nido illa / I s; l' Iss: li si illa col Cli/i 'le il cili si
riac | Ie. l'ut I e il loro o di ll (mc (l ci lidi ri . il II e il I l:
cos: 1. (iel I al I e il m (t mica , clic'I l o lut No il re i v . l il
li Is I l iss . aggi. Il gel (lalli al clarin . Mellere il pel bianco –-
e il III la mia vi: il l' ii a V messo il pel bianco . 13arl. Pagare di
moneta senza comio spacciar Iole. I , Ils, I)alle e il 1 l e I3 ccaccio
rili lo II e la loro e i lli li li Il selli Vallo si illl'allino che
spesso ne fa les r , il III: Iggio elica li col l mali e il del sl1 ,
clile. Tener a piuolo ( inf. tenere . l otre all rili il lettino
ſalgli il lates l' 1 all ss . Promelter Itoma e Toma – più di ciò che si
può ottenei e la mit le tel'. è luogo almeno. 1 mln usdtrº uno
indovinarlo, conoscerlo per quel che è. Fotr uno scilo m (l parlare a
lungo per indurre alcun a la c o non ſi l'e. Scoprir paese. Ma il 1/.
veli al chiaro di talche cosa. ('a calcare la capra in rerso il climo. I3
cc. Irovarsi in pericolo di i l'l': l ' , l ' ('. I malati sºnº col
cºlei ci ſoio. I3 cc, palli fischiandosele.– fog -- 'l): - ol,l DS .
l.los 1)llop ).Im. I “ollllooo oscio o il telos Oosol limp o idol pl
Ivan, 'oooº I 'º elodlid oolIdillos Ip : l'ol e ope, too util plo) lo m olmpoli
low up Au - In) on upl ls not o lo l cofi, li o plo) ul. D o plot lo. ol soli.
ll u n t pel lº lodo ! Il.I |llº, letto.Ils lod o luo5t. Il to All I lod
ollo Ato. ll still s'o.Il... [Illel ore -II All.) Iloio; il 2.It I.) II .Il
lod o letto iu'. Ooli llli lo l opoli ll o, p. 1 , :los.lop 5 º ) - ol. I ti
ll) 1)(l. p) ll . 1) / S ( p lo ) Spp uo.Iopul) olp lo) lo! I top oſ) p I loI –
l.ool o l. Il ll o l.oo, o o l o I : 0.I |llº, olt IIS - olto, o l. Ill) ll ſi
o p. ll l l ll olios o I Il d lºs o I o II ) : ossopu o il n. 1: s ).Ill) .Iod
o O)tºllo..)Il 0 [.lli | Il so,oll) ol, o ol . l p ou puo ul l tool pd l
olltilt il .lol - D) ll plcl . ) ol I. . . . ll N o Illy) li ll lo) lo IV
lUI.).llº A ( OIis Ol.top Is p Il l: sl) Ios il l o Il 7,top II (ls -l.I O
).IopUIodsl. I lli Iloit . . . . . . Ip ( o.lios III. Il l .Il vi:.) .
I.).I.).) olt: Il II “olon.A ottenb Oulla pu o.llp o Il sºl l: Il 15 IS ) pl
I.), m il plli) opos I DIS o]llottle Illllio II o III o III: VI .Il Dl I.),
p il 1. ll I – Dll.).))) ll plli) ledttii: s .l Il pl . . p il plp pso.o ol.) i
pm b l l), I l'Iss) I |.).)ol|.) In I e o luouletin).Iodi III oli ell.
Ilos ll mi pm ossopp o Ispº) ll o p.l.loS pNN Il l)llo li lop il pil ll I Dsl
(). I plo l pm N ))) I m, 0. I opomp l.) o, op o un ddl n. 1 p.).)o l “od.Ion
Il solº tu e otto Issolo. Il le i ti ).Il 1. l is lº) io. I p. 1) I p.ll.I.
elu.II) .I e o Ioli: mlpo il pil 1) l .I lo.tpllo3m ) ) ). ell.In letti e sulle
op ten . lº ziios l: 1: lsi I l:, I 5 o II. I | | | | | | Isenb oso.) ol
lº)lo.I e rozzo.Id | V : o il II o I pil V ol I., p. 1) 1) ll il d.ll' I pl
uopo, il plss. . . . . ) I pu to.I o | Ioli -o AIIo,oul IIIfo e opotuli o
luo.Id lo ve lo io l I l spl I lil Los ei leitilissi: prºo Impoutuo o senb
epito o on I e II li .tel li olo il 1 l . . . . ll o.lo) lo IV popd ns addez
ellop step (lo) . )))) il dl Nill o 1 pllo.). l e \ vi s o I e II º I - ºlns Il
pl ſild ou. m. p I Isti, d (Ioli .I l o Io te stili npd a IA QIo III “o.I lº
IIaq lp Isl: le ... ! I pun'I plio il pls ns il loI 'Ioi l occod ll o no) in
olon. I loro l out o n pm olto toll I pm.op..) un supp loſioli os– uodlo)s
upſilo N uomo io) ) – pnbon, p . ll lº un il dl pliol - - u, li updsfiniid uop
lo) un molosſ) olci - lon) li supi il oi p. ll ' ºllº IV op) o il lou pm b.o) l
i plso. I p.olpo i pl o od uto) ll oi pl). ſuo tolto a sp IV pun uoldo II -
orodns ll Po o in l ' loI lod oliſmo lo pnh.o o lo) lo IVmlnpoolpo Intti epp An
– mumpm10 in p.l lod ()) lo Il ll ).I.) p.l.' I oITuttI III ottonlaAu ozuos o
InluoAAu In II.Iossº a Ip – mlmſ illolo, il sºlº ! "l.l (uoſ Dil
pup)s.to.A up loſium IV) - m) lolloq Dl pudos ollo,lto. ll to, l' (uobollſ
lnplV sul u Il uoqnm.L uo uo) p.t lo 0 olp csmp 10 nml 0 1GI) – Dl-lod D
p.). oil o oufi pspl ol implodsy tuorlos dou).top!) tunc MoogI uo(I) – 0dnl ll
plp.tmnſ ul paoood pl oam (I o.It: Iso – onbop onp m. i tm)S vo) lo I l
Iolu .lnu 'ltoſi lotti lob.to IV) – o.pso.to pºllo,l o I.) olli), D.) Dlfium IV
oiltiºp o eso(Is Uztlos o.IO.I.Io o oli; io -tu! oil.olenb tºp Islu.loqll
– mſn.o pllop ollo. ll tod ouapssmd o outlos. l mld (lm):) A o Iedd e osi lo I
o lui ottio 5.It: III los IIIl regolº (Ideos e un “o5 old I un o.In.Ao.I
| – plo) o ſi o l.olmnb tod ll sn plo/v. ſi pl tm no. L i lums millim. ſi otto
op Is tr.lo.) Iº puoti in ſqu;Il pells optIo :o.Io s.It:puntuonº.oe.I o II.) o
sol) I d o III. I tessed Iod o . Il -opze.Ilslp lod Isoo Ilopulº)) eai luus lop
o Id e out s Iseill) : 1.I.ood I.If I “esInI ?lo Id utin lp e.I srl III o
II: I – .ooo I o in l uld lp olio lpold l I m/) p.1:) .ooo! I ouolfim. plums lp
o un atollm:I'ouoizu: un lp Is.Il luod – ottenso) osta Iop – oli luod und ll
amfium IV ro5.Ioi ole; o Inº Ilop osuos ll lpitI i lo! lo Io lop olzl.it:
A1: os Izi Il sod o Iop e Iru.lo Iui ol . -It! - l oro,oo! I II e il III | Io e
Aol 5 o [ tt . Ieri lo tel o - o.topro. of I lu um, -ol!) S ll plc) ſi mºllop
plumnl muon pun uo. luput al lm Il m lou ſi )lo I l soIAtop lollipº I o il
lossl.AA) - Iſſ.Il lº oil.oul e In.).ooo,oº o].Io.. n ...Iosso titill l'Ilodes -
ppo. pl uali olo,amp ll o, op todps – outp) todms 'oliloti in lito – o.Il D
opup.oul.Ilm mosul pl oulo. o impul loInbul “os III e IIIs a 5II o Im)um. pl/m
opII , sotto lo v o 5 e I º plo) tnam.L - I topi.oon o o oddº. Io ottes.I:II
.Ipaduti .Iopulo. In “of.In loIII: Ip o Ill.ols Ozzotti II (IIII!) “o.It:) ( p
lo) um. m / mons ml opuo.oos ouons ll lao.Il II5 (lo olim on.ipenlis e III.Id
nei rioti o Iſo.).on Ip e li s III3o Iod . I -Io(ſti IIA o noso etI - plo) una
pl ons pl opuo.o, is ouons ll o un pm im o il (InIr) e ions IoIIII.oti
Iq.lodins l oil.i ſi lod pu nu aºasi il Iollos ICI Iso:) o o Io od oris III
olio.Ar - o unopm ofli ſi lod i puo IV i trie.Io Ifr I 5o. elos-.InI e o.non ſi
ton eso.Il l'Iionſ la vi: - l I.),ol.) o, 1 m.)lum il tonº to, l' I.).Il V e
lipo.oo ll ſi opt odm ou up il lun.olui ! :..Ip Ions Is II-latile.Il l I op e
III ed otti).I ve IIoII o II o o olni sotto, oi i s .I. I o I.Ialoni ti:III a
oIodde.Il l oilo o Ie.Il sotit .Iod » – i loro lºſ oliodm ouum lui.nu. I
ouolfin.I n.Il .Iod o orifi-osICI o II love II li Io I o o lo IosnoLI a Io ns i
5o II.) eso.o Ip ol.I.) Io RI... ] I III o Ip Iso. Il n o In.oso) opo III
I – oliſm) l p los lop . () il 0.1 O) ſpi o N . I .IRSI Ind e J a o o-neidsip o
II lºso. lei in oso III IoAn – onl.).oo tollou o ond pum o. p. lug oosn
IIIIIIo I. - a.Teit v -o oltratuo.IoluI e III o IIIIp mld a IIIqm IositiI nid
IzIA Iop o In mezIo opleIII “Iuotze.IouI.Iotti IlunoIptII Ipo IV » – ddl
I on.o o mlfm) o lo pnfull pun a.taa V – III.Io:I – RIssoII o oli I.) e ossopp
ouogo mi fi li “ou upd ll tml ſip.I Izzotti In olnsuod Io Am mzttas
nsa.IdIIII In e Is.Inpſ IIn – noo! I rollo osul ruos polmſ ul tolla IV
IIIo o Iop o Iaisund IsInp nziros editrua o estInIII Iulo Ip -– o opms lou odm
o lo o imbum IVIpa e ansa – poi gere occasione – ansa lett. è maniglia, nel
figurato appicco, pretesto. Arei mantello a ogni acqua – esser
pronto al bene e al male, accu In dal si a togli 'osta. Arriluppar l rasche e
riole – inventa e se lalse. Mentre il rasli ello - predare, saccheggiare.
Gianl). Super di barcamenare – essere ac orto e destro nel condurre i negozi.
Mangiare a bertolotto - senza darsi briga o pensiero di dover poi pagare. Il
langiare a lla ecc.I?accoglie e i biocc . - ascoltare gli all rili discorsi per
poi rappol largli - da bloccolo, particella di lana spiccata dal vello. iellar
la broda adosso ad uno – Il colpa l'e. lºom per la cuccu ma li portuliare,
alloial e. l?idere agli angeli - l idel e per chè i dolo gii all'1. l?idere sol
lo rºm li o le ba)) sori dere di nascosº o con gioia li ali ziosa di cosa
che ad all ' , oli sia pia ere nè oliole e che palesa la tollell (le
l'el)))e. l'issi pissi ciò al lavato i pissi pissi d' A Iglisla . l)av. v
Vo I rinata dallo sl repllo che l'anno e labbra di chi lavella piano perchè :
il l 'i ll ll sell la . l)a V. ('olo il c un disegno ed egli lon dal lido
si sta al lina o indugio ai colorire il disegno suo . (ilan, b. : effel! lla e
ſulello che si era progettato. (''rcati e ai ſalula di ſalula V g. della
verilà lorse da Fallen, piega – scandagliare, investigail e, indagare.
(''rc at ) e della Notn il dl rivolse ogni diligenza sua e dei medici suoi di
cercati e della sanità ». l al . l'utre un laccio ſolise di 'as dei l si
compulo all'ingrosso, slagliare il ci lil , al tribuire al lavoreccio, un
valore così in massa senza calcolare per la inintità a ragion di elipo e ti
tanti è, fai tutto un moni .lasciar alcuno sul latº metico v. g. di andar
cercando... I3oce. I)ire a sor do .... ma se li la cavi di dosso io non li con
i radico. Non disse a sordo, che di subito codesto povero gli cavò la tunica di
«dosso ». Fiorelll. Prendere, pigliare, cercar lingua di...... Qllesli
andò e cercando lins gua di lui nella cillà....... » Bari. « Poscia mandalo da
ogni parte a prender lingua del vero ». I3arl.Fare del buon compagno - fare bus
na compagnia. IIo l'alto tanto del buon compagno, che ini gli ho guadagna i
fulli o. CaroFa alti ui tornar sulla testa la loro la mei e le Isar I. - farla
paga ('il l'il.Guardare, ridere sollecchi – di soppiatſo, alla sfuggita ecc. (V
on der Stºile (tm) schielem Valo sbirciaro ).Scaponire - vincere l'altrui
ostinazione. Dal pronominale incaponir si, osſimarsi in mºdo duro e
goffo.Sgarare – le I. vincer la gara è affine a scaponire, nella frase
sgarare un ragazzo, vincere cioè a forza un suo capriccio. Non lo scam biare
con sgarrare. (V. Errare - Pronſ). Sentire del guercio, sentir di scomo –- V .
Sentire.'A1'CI 't Old nu duu! OIoolpI.1 'BI (los!p [u optioutod) w' los to
Ossip o 'ozzl?IOdoºl H » - UZZou Ip u!A Q. o 110u 'ou JIt', o outu, o –
los o ossm () ' 'I.).»r's P.) 12“IU10! (l)ou?uu0s O! (Iool2CI It: 'U.111]utoA
tº II u – 1)oot.) m.)so nu m d.tv.).0n1; ) 'o IOIl.A IS JAOI) vr]
[toUUlt'.lo(III uu?put! - 1) tilll!), m.) 1)/ .).t.) 1.to.)S 'ou01Zu? Iop1st 10.)
t'ZUIJS - 0.o0.1.) .) op iſ.).Jo V '. D.)« » v, IBloJJIds 'd III) tºp tºt! Is
to t's Is oilo o] |n) up - opont) tot 1 m/oy.).yoſis '001 un) nu 1 op 11.)sm --
Izzo.I III III Isr).»! 0.10||otils!D - - loud, op - Ool/l), los o//mſ lp
orum.omputorit ºp ty.)s ) 'old UU10 |su (I - Oulu pm ! tto.1 dl 11)
1.).), do. t/S : 9IUA 'old U]SI115513.1 al.IU! 15u11:55 U.u oIJ U uit:
Ids -- O.tn)so.) ./l 1 v.10.1/12/ 'o1.IU UIoo tº los.IUUI5 Upt?Inn - DSO.) Dun
gs.tv.)./of/ '.I)! I 'Or]UJUI - putd] !! ) () [qtis 'out I tºp ! 11.1 | 11:
o.11: oo. I - Out of tºub 12 1//s,ºf mun t mel 'OssOpt: " ) 1 ]sorbt u| |
| |5.11:J 'ou!]1: | | | |11. | |lt: o.11:D - OUIL1. »It! |'t! ONN op D ! uit
1)(l ! ) to/ju1.1/S 0.1 n itt l! , 01.)sn,l D.1/ ).to/jult/N 'ZL11? IV 't
PZ -11,0.1.11 .). O ! | 150 l 1! ) | | | | | | | | | | | | |ollo Z) |O 14 l 12t
II 1.1) | 115. | | | | | | | | | |s. Lopo V | 911 01.10.11: | |Ilso 'Oum lll
lll Cºlo/s.) 'tt |! o III) lous Is , 111 .) 'out? Ao A1 o II.)
o.lolpIto.) - 1:] oII. 12u011 | 0.11.11: o III 1.) [1: " 1:ssop:( te
) 0111) til lll (7/0)N.) til ll 1.)," ) Boſn.I 1: ).to | | III II) ( silos
II! 0.) -)))N ll o.1 l/1) 1:|ON |l 12% | | |1.1 ||1: o.IJ.Al? | | |) -
O.).0ns ll l 1)/ '0.).) DN /l d 11)(I 'lol, | | | o IO It?.)sod III tº trul)
lll lp u 1) 1.).nl).) t ss .In Ill lod I]11 |0 | ol | | | | |rt | 1! »
" - IIIIIIls ,, ! 11.01un.ºop 'L11:11 tºp 5 : \ ou nu ºp 1 m.).jp. »
'ſ al l ' ().II.'s 11.11 » II tºt 11op (9.11p 1112111 ºp tot 12 (11: 111 ºp :
1: Ao. Ip 1 o/m.to it, fi /.nl ). 1) 1.).)nds II,7 o | » -10 A ollllll tern Ill
Vios tº \"An IIFo, t] too.” Ip 0115os! | 1 o Amº o.112.1 solid 1: Aolo.A »
UIou oq.todns o]tiotulp.In 112u trio otl) 115 pal n i1.10 | '' ,,IL1 | 1: is
110II 1: Is -sor op Kotlon III o In Lied rºtti III?looſ) 11:d 11: Oslo.'s!) | .
o IoTIII | |sol Istolov rºzilos Is Irºn LICIs op: \ » - t/m 1.) nofi
ol)ns in/s o In tomtof jod o I nl.) mods ', ' II, rs.It?,II). » 12ZI I. »s 't
II II !! A visso , 1110.) ost).) , 'I l ºp 11 f: [1: I. st: 1) u! iſ.)
p/lp non I.nl ) , 11 pun inlosm'I fjm/nl)S nu out. Inm noſ.nl / lo,n Z –
0,7 ml min 1) 10 l/10/0) dºn)' dat dpild tal 'nfin. 1.)s omp o omſifi.nl,
un 1m / 'l.In: 4 | 't OLIII » -oji I n Ilsnq oilo oIodus onnºl oil tot 1 ol
ozilot lop oIsº IIImºl orn: \ oIlonb Ip » nºu, IJ.).on III u?I nl)n1 m.tto) m
osso1)oni o IptºcI ('lul'S II rtloulon.In IIIIIssIntlood » Ip 1: 1.) tºol IJ0
te]II nrub II (),) . ) IIIoI5n.I opIes lp '127 IOJ lenb IIO.) I( ) » 'I InfoS
't Olso] -ord ooit Is pito) m 1a io)jou oIdus oI - o - o Ioll nſ|(In: - 10.1 lol
in dit ollo IV ooo optim: IIIA olte illustr! 15u eIssoipolulo allodsa
oInnoptieſ ºm - Onl In dtplosDT 'opond m tav ) I I I I Il.I. t: o
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elusi o II (1 ptt pil “eIollo.II on.A mlnq – oſinod III e II o riſpºl u
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pillso i tm l lo o psso l'on. 'I l I.) ſuoqmaſoo run II tap ) foll pdl – ma lo
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Infioso e vo vop Is otto. Il 5 l.lo il po “Ipnos Ip op IISIui Iod olose
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II ) , - o lund ll o Ippo) ln () arou alloo olmuuaſi l' opumnh (n.IlIn Iin Io o
olibri.nlm.nl) nso.) oa pl pp m II ro.Ino o non limp out il l pts No I.).ool.
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opoIV – ouol)fillo.mſ ul ott 1 V p impos 'vllob.ll, il ll Dul Ssn il
lolill L uo(I) o lo pſipd D.lluo o.topm,tollmut pulu. ll.) looo.) o lito.t.too
losso noti i plimd lp opuol losso lou I milſild l) il dſ II o Il pl) il 5
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llllllls ,o. lllullS lo! I Dl.ol)lli p.t.to) m opp.lli ons ll li o l.) e
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Dallon, o l.) Ollon h o, o la toil o lom p ll ſi o I.) ollonh lp pp roll l I.)
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o) ups m oampum ossOd lo IIOII otlo olopo.A o II.) » – oln.) O.Iones li oli ed
i pilo.Id – Olups o o ampu V roo nelll.) lens e lº slº.), i ti so I ep III lº
Ions I l I sè.A o II o I z-utellIA In p oil.oun po 'oion lode. In lons illie od
o Iupire ole.A o n.oI) Il n.roluntII I II..ms o epilo.o! A nſiti nunoIl lod p)
Il p o V » .).oogI pl/lo . m l), m)pum OUI.) oll) Ollion | In AO.I] ()
otI.).oo!.).Iod » – p) ll. m o impuyChi ha terra ha guerra. Giamb. Volpe
recchia non teme laccio. Fier. A buon intenditor poche parole – dal latino
intelligenti pauca. Così le intelligenze equilibrate e l'ele. Ma il tedesco
pedante: Gelehrten ist gul predigen. L'inglese fa lo spiritoso: rith a clerer
one word. Al fran cese è troppo una parola: è un home d'esprit un lemi mot.
Indi l'indole (ielle nazioni.Inran si pesca se l'ago non ha esca – , W e nicht
gut schmierl, faehrt nich l ſul\ on è il più bel messo che se stesso. Selbst
isl del Mann. \ iun bene senza pene. A cine Freud oline Leid).l'aga ben chi
paga lo slo - VV e rasch giebl, giebl doppellº. \ on scherzare collo so se non
ruoi essere morso. 'Mil grossen 11erren isl nich l ſul lv il Ncl en essen .()
gni santo ruol la sua candela. Ehi e le m Eh re gebili rl). l dl ct sino al
tiro but N lom tl i ro au) cinem gl o ben I lotz gehört e in I rober A e ill)i
quel che non li cale non di nè ben nè male. W as ist nicht ucciss, match t mich
nich I heiss . Il ledesco è limigliore dell'iltiliano.Più ricino è il mio dente
che nessun parente, leder ist sich sclbst der \ aechsle Nell'italiano, senti
l'uomo coscienle della individualità del Sll 'S.Stº l' .Dopo il bere ognun lice
il suo parere. Del V e in lisl die Zunge). Pal ere e non essere si è come lila)
e e non tessere.Chi di galla nasce, so ci piglia. Dic Ralze latess das Mausen
nicht'. (cqua che la cerni mºna. (com). Menare Stille VV asser sind tie'ſ. () /
mi legno ha il suo latº lo ogni ctgio ha il suo disagio. ('hi dell'altrui
prende le sue liber là rende, ('hi ha dentro fiele non può spillar miele. Dopo
il con len lo riene il lor men lo. ('hi parla semina, chi lace , accoglie
vergogna! snellere questa sen lenza che è losſ 'a e ricullissima, e si
sliluirvi la ledesca, malerialissima : Redeli isl Silber, Schweigheli isl (i
old .l grande molle gi andi lan le ne (i rosse i bel erſo dern grosse Mittel).
('ol mollo non sta bene, col poco si sostiene. Mi riclem hatell man (tl N, mi
il trºnig kon mi l man (tus).Morla la bestia, morto il veleno. Todle II und
beiszt nicht mehr). E' meglio esser capo di gallo che coda di leone.Non si può
cantare e portar la croce Gule Mirne zum bisen Spiel mi (tch e nº.Shºm (tco
digiuno non spregia cibo alcuno. Il un ger ist der beste Koch . Giuoco che li
oppo dura, di ren la seccatura.('hi li oppo l'assottiglia, la scarezza. Ill:
uscha, i machl schartig). Chi è bella in rista spesso dentro è Irisla. Fier
(Der schinste (piel li atl oil einem VV trim .La donna è come una castagna ch'è
bella di fuori e ha dentro la ma il magnat. l oce. I quali ino a quattrino si
fa il fiorino.Le fave nel nolaccio , il gran nel polveraccio. Dav. Chi è reo e
buono è lenulo può fare il male e non è credulo. Bocc. ('hi ha allar con Tosco
non ruol esser losco. Bocc.Alle giovani i buoni bocconi e alle vecchie gli
strangulioni. Docc. strangulione lett. è angina, infiammazione delle tonsili.
Chi lava la testa all'asino perde il ranno ed il sapone. Ciaballin rimanli al
cuoio Schuster bleil bei deinen Leislen). Mal fan coloro che voglion far
l'altrui mestiere. Fier. Qual guaina, tal coltello. Qual asino dà in parete, al
licere – a chi ſe la fa, fagliele, o se ſu non puoi, tienloli a mente linchè
lui possa, acciocchè qual asino dà in a parete la ricerca n. 13oce. Secondo la
misura che lati, misura lo sarai. Paga e di tal nome la quali furono le derra
le vendulº. Q ual proposta tal risposta. l?ender pan per focaccia - (i leiches
mit (, leichem rergellºn . Chi la la, l'aspetti. Chi altri tribola, sè non
posa. Chi offende s'offende. 1?l'overbi bellissimi, il [ichi e dell'Ilsci, «
che, dice il Meini, giovel'ob be rallimentar sempre, e più a chi l'igne ha più
lunghe ».A confortator non duole il capo – e dal confortare all'operare è gran
(le diffel'eliza e distanza, e dove l'uno è molto agevole, l'allro è somma
Inoli o malagevolo ). Bocc.Luigi Cerebotani. Keywords. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Cerebotani” – The Swimming-Pool Library.
CERETTI (Intra). Filosofo.
Grice: “I love Ceretti; and I wish Strawson would, too! Ceretti distinguishes
three stages in the development of a communication system. The first is very
primitive, obviously, and avoids the reference to ‘io’ and ‘tu’ as metaphysical
– ‘hic’ and ‘nunc’ will do. The second stage he says may be all that some
societies need – ‘green’ for this plant – The third stage involves the general
concept of ‘plant’ and this is where a soul-endowed entity (animal) can refer
to a plant or to an animal like himself or his companion – at this last stage,
Ceretti speaks of ‘soul’ (anima), and the affectations of the mind being what
is communicated – if that’s not Griceian, I do not know what is!” -- I suoi
genitori, Pietro e da Caterina Rabbaglietti, di condizioni agiate, lo
affidarono all'insegnamento privato di ecclesiastici e successivamente ai
docenti del seminario di Arona dove si distinse per il suo carattere
refrattario ai vecchi metodi didattici e ribelle alle rigide regole di
disciplina. Quasi al termine degli studi si appassiona all'approfondimento
della lingua latina e alla composizione di poesie che lo fecero conoscere come
poeta a braccio. Frequenta come alunno esterno un collegio di gesuiti a Novara
dove risulta primo in retorica tanto che il suo maestro lo spinse a comporre la
tragedia “Il duca di Guisa” sulla base della Storia delle guerre civili di Francia
di Davila. Soggiorna successivamente a Firenze dove ebbe modo di frequentare i
membri del gabinetto Vieusseux.
Dedicatosi agli studi scientifici e storico-filologici e soprattutto a
quelli filosofici, scrisse il poemetto incompiuto Eleonora da Toledo dove dà
prova di penetrazione psicologica dei personaggi e di abile descrizione
ambientale. Nello stesso periodo compose poesia a contenuto filosofico, il
romanzo “Ultime lettere di un profugo” sul modello foscoliano, e infine le
riflessioni “Pellegrinaggio in Italia”, nate a seguito di numerosi viaggi
avventurosi per l'Europa in compagnia di zingari e vagabondi, che gli permisero
di apprendere diverse lingue. Opere queste che mostrano la singolarità del suo
mondo spirituale profondamente diverso e in contrasto con quello degli
altri. Soggiorna nella villetta "La
Chaumière", presso Chambéry, dove lavora alla “Pellegrinaggio in Italia” dato
alla stampe a Intra con lo pseudonimo di Alessandro Goreni. Trasferitosi alle
Cascine a Firenze, pubblica “La idea circa la genesi e la natura della Forza”.
Adere all'hegelismo, di cui tenta una revisione in senso soggettivistico in una
grande opera in latino, “Pasaelogices Specimen”, che non riscosse alcun
successo di pubblico. Decide quindi non pubblicare più nulla. Tuttavia continua
a comporre una grande varietà di saggi filosofici. Si dedica esclusivamente
alle meditazioni filosofiche espresse in numerose opere tra le quali i “Sogni e
favole” (Torino), le Grullerie poetiche (Torino) e le Massime e dialoghi
(Torino). La sua opera è stata pressoché
sconosciuta. Solo Gentile gli ha assegnato un ruolo di rilievo in “Le origini
della filosofia contemporanea in Italia” (‘Ceretti e la corruzione dell'hegelismo’).
A lui oggi viene riconosciuta una certa influenza sul pensiero filosofico della
scuola torinese. e sulla formazione della filosofia di Martinetti. A lui è
dedicata la Biblioteca di Verbania. Dizionario Biografico degli Italianim Piero
Martinetti Pietro Ceretti. “La natura logica di tutte le cose” e pubblicata
presso la UTET di Torino. Gentile. Cfr. G. Colombo, La filosofia come soteriologia,
Milano, Vigorelli. Dizionario biografico
degli italiani, Opera Omnia D'Ercole, 15
voll., Torino, Vittore Alemanni, Ceretti. L'uomo, il poeta, il filosofo,
Hoepli, Pasquale D'Ercole, La filosofia della natura di Pietro Ceretti, UTET, Giuseppe
Colombo, La filosofia come soteriologia, Vita e Pensiero, Fiorenzo Ferrari, Il
filosofo di Intra. L'idealismo di Ceretti, in Verbanus, Vigorelli, Martinetti.
La metafisica civile di un filosofo dimenticato, Milano, Bruno Mondadori. L'uomo vuol essere consideralo come l’ultimo frutto, ossia
il massimo sviluppo psichico dell'animalità. Questo massimo sviluppo presuppone
necessariamente i prossimi animali dello sviluppo minore, e cosi via
discorrendo. L'uomo vuol essere, inoltre, considerato come il frutto più
recente dell'albero zoologico. E qui nasce oggidi rispetto all’uomo una
contestazione circa la sua produzione immediata o derivata da’ più prossimi
animali inferiori. Questa contestazione non può ammettersi dalla speculazione,
e neppure dalle discipline naturali empirico-induttive; ma la si agita sopra un
terreno affatto estraneo a quello della speculazione, e della scibilità
empirico-induttiva, fomentata da ogni sorta di passioni, partigiana di
religiosità, di moralità, e così via. È assurdo supporre che una specie si
tramuti in una nuova specie come tale; perocchè le specie sono mere distinzioni
teoriche del nostro intelletto. La natura, come disse un sommo naturalista, non
facit saltum; e conseguentemente la distinzione caratteristica che costituisce
le specie “Homo sapiens” non risulta se non in quanto si prendono in
considerazione termini sufficientemente lontani e si trascurano i termini
intermedii. Infatti, se noi consideriamo gli animali superiori dell'albero
zoologico, nei quali le differenze ci sono più sensibilmente manifeste,
troveremo che le specie si suddividono in razze differenti fra loro sotto varii
rapporti, e che le razze si suddividono in varietà differenti, e che dette
varietà si suddividono in varii individui pur differenti fra loro. Inoltre,
troveremo che queste differenze sono a noi tanto più evidentemente manifeste
quanto più si salga alto nell'albero zoologico, ed a noi più vicina sia la
specie che si prende a considerare. La vera trasformazione della specie perciò
non si deve investigare nelle specie come tali, ma piuttosto nei minimi termini
della specie, ossia nella variazione individuale del specimen. Questa
variazione, tuttochè lentissima, modifica col volgere dei secoli le specie,
così come la conchiglia microscopica, variando la propria natura, varia il
terreno che ne risulta. Gli agenti che effettuano la suddetta progressiva variazione
sono di tre ordini, vale a dire: planetarii, psichici, e spirituali. Questi
agenti sono progressivamente tanto più efficaci quanto più si concretano nella
efficacia spirituale. L’agenti del primo ordine planetario modifica
semplicemente il corpo e l’organismo, e indirettamente, ma assai lentamente, la
facoltà istintuale. E un agente puramente planetarii, p . es ., la natura del
suolo e dell'aria, ossia generalmente il clima, la condizione geografica e
topografica, e cosi via. L’agente planetario si possono chiamare elementare,
perocchè opera su tutta l'animalità senza distinzione veruna, e sono
presupposti dagli altri agenti succennati. Si può dire in tesi generale che gli
animali inferiori non subiscono modificazione se non lentissima, e molte specie
degli animali inferiori si sono spente, appunto perchè non hanno potuto subire
le modificazioni necessitate dalle progressive variazioni dell'aria e del suolo.
L’istinto delle specie animali inferiori e rigido e difficilmente modificabile,
appunto perchè e un istinti poco variato, che non puo neutralizzarsi fra se in
una ricca varietà di modificazione. L’agente del secondo ordine e psichico (e
no ‘psicologico’ ma veramente psichico), epperciò più intimo nell’organismo,
ossia più essenziale. Un agente psichico modifica l'animale nella sua intima facoltà,
ossia una attitudine, assai più facilmente e più profondamente che non gli agenti
naturali succennali. Questo secondo agente e nella sua essenzialità un maggiore
sviluppo del primo agente naturale plantario, epperciò si manifesta nella
generazione susseguente come una profonda modificazione dell’organismo e
dell’sstintualità. Questa modificazione non e più mera variazione giusta una
astratta affinità, per le quale, p. es ., una facoltà diventa minore di altra
facoltà, vale a dire, si manifesta come una pura variazione quantitativa
dell’istintualità. E una modificazione profonda che diventa la proprietà
caratteristica dell'animale (un tigre che tigrizza) e qualche volta e affatto
estranea e contra-dittoria o opposta, o contraria, alla facoltà della
generazione pre-esistente. Allora si dice che una nuove specie (Homo sapiens) e
venuta all'esistenza, e la vecchia si e spenta. La facoltà psichica si modifica
sulla base di un istinto più svariato, il quale si neutralizza appunto fra loro
tanto più facilmente quanto più svariati. L’istinto dell’animali inferiore e
tanto più fermo e rigido quanto meno molteplice
e svariato. Questa modificazione causata da un fattore psichico modifica il sistema
anatomico e fisiologico, perocchè non e possibile una modificazione psichica
sulla base d'una invariabilità anatomico-fisiologica. E una modificazione
profonde, la quale, se qualche volta poco modifica l'ordine anatomico-fisiologico
sensibilmente manifesto, e però effettuata piuttosto nell’elementi anatomico,
nel così detto ordine istologico. La modificazione psichica non spetta, come
quelle generali, ad una specie o ad una razza, ma sono più profonde
modificazioni dell’organismo e della corrispettiva istintualità. Essa rifletta
piuttosto la mera individualità animale, epperciò e variabile indefinitamente.
La condizione causale di questa modificazione e data dalla ciscostanza nella
quale versa un certo individuo animale. Cosi non è solo la varia natura
geografica e topografica del suolo e dell'aria in che vive, ma anche i varii
vegetabili e animali con che vive; perocchè dette varia condizione e
sufficiente a modificare l'anima (la psiche) dell'animale. Le delle varia
circostanza costringe un certo individuo a esercitare preferibilmente una certa
facoltà psichica, e per conseguenza a svilupparle preferibilmente. Data la ricca
molteplicità e varietà della facoltà istintuale proprie della specie di “Homo
sapiens”, questa facoltà variamente si combina e si neutralizza. L’istinto cosi
neutralizzato, ossia radicalmente variato, si trasmette alla generazione
veniente; e cosi le condizioni succennate, variando l’atttudini dell’anima
individuale, preparano il terreno alla più ricca e più profonda azione del fattore
veramente spirituale. Il fattore spirituale modifica quell’attitudine che
appartene non alla specie, ma all'individuo animale, ed e un fattore che non
più modifica l'anima senziente, ma lo spirito (animus, psiche, sofflo) ideante
dell’animale. Tuttochè questo fattore, nel su concreto sviluppo, appartene allo
spirito umano, pure gli animali superiori (p. es., una scimia antropomorfa)
possegge un certo quale esercizio equivoco e parziale del suddetto fattore.
Cosi la scimia impara dalla propria osservazione, epperciò gl’individui più
vecchi sono assai più scaltri e periti dei più giovani. È questa la ragione per
la quale l’animale non solamente si aggrega ma si organizza gerarchicamente
giusta un certi statuto di un sentimento comune. È importante che un individuo
animale possa profittare della proprie osservazione; perocchè dello profitto
provoca una maggiore perizia pratica, la quale dal più vecchio è partecipata al
più giovane e trasmessa alla generazione vegnente come una dialettica della
categoria istintuale che più tardi si sviluppe in una vera mentalità. La
categoria spirituale (spiritus, animus) funziona qui come sviluppata categoria
psichica (psiche), epperciò la lingua, il linguaggio e la communicazione, nel
suo amplo uso, vera sintesi e genesi manifesta della categoria spirituale,
arriva all’esistenza come linguaggio no planetario o naturale, ma puramente
psichico; o come linguaggio equivoco o misto, ossia psichico-spirituale; o come
linguaggio assolutamente o puramente spirituale o oggettivato (communicazione
proposizionale – la logica di tutte e cose). Qui non occorre accennare al terzo
ed ultimo stadio, ossia al linguaggio puramente o assolutamente spirituale,
proprietà *esclusiva* (alla Grice) dell'uomo o Homo sapiens sapiens, ma
solamente al primo stadio (psichico) e al secondo stadio (misto) del linguaggio
che nasce e si sviluppa nell’animalità sub-umana, pre-razionale. Il fattore
caratteristico di questa crisi, ossia lo sviluppo dell’anima senziente inter-soggetiva
nella spiritualità pensante proposizionale, è manifesto piuttosto dal
linguaggio ‘muto’ o il gesto di una emozione del corpo e principalmente di
quell’emozione della fisio-nomia. Quest’emozione formula un sistema
comunicativo, in quantochè manifesta una definita emozione intima con una certa
categoria, che, non essendo destinate alla mera soprevivenza o conservazione
dello specimen o della specie, non si puo chiamare semplicemente psichica,
ovverosia istintuale. L’animale sub-umano, p. es. , lussureggia per una mera
sensualità erotica – omo-erotica, come Socrate ed Alcibiade --, la quale non
può essere destinata in verun modo alla propagazione della specie dei Grecci!
Così pure due specimen giovani di animale giocano (la lotta greco-romana) colla
vivacità propria dell’età loro, la qualcosa può giovare, ma indirettamente,
all’educazione e destrezza corporale dell’individualità . Così il padre non
solo alimenta il suo figlio, ma l’educa e disciplina ad una pratica operazione
requisita dalla propria specie, locchè dimostra che l’ingenita istintualità non
puo bastare, ed abbisogna dell’ammaestramento dell’osservazione data a lui che
ha già vissuto praticamente nella vita. Il linguaggio misto, o equivoco, ossia
psichico-spirituale, è quel tale sistema di comunicazione che non consta semplicemente
di questo o quello gesto, il quale segna non solo una definita emozione
dell’animo, ma una certa anfi-bologica determinazione della ‘mente’ (mentatio,
mentare, mentire). Così, per es., il cane, alla presentazione d'una cosa che
altre volte fu nocivo, puo involuntariamente fuggire guaiolando. Il gesto segna
naturalmente la paura. Qui certo v’ha una psichica emozione provocata da una
simile cosa, ma quest’emozione del cane dev'essere legata alla *memoria* della *sensazione*
originaria, la quale memoria appunto costituisce una determinazione *equivoca*,
mista, psichica o mentale-spirituale. L’animale superiore possesse una facoltà che
incluse un svariatissimo repertorio di questo o quello segno o gesto, mediante
una modulazione combinatorial di questa equivoca determinazione. Quando l’animale
arriva definitivamente alla soggettivazione della propria coscienza, ossia al
suo “lo” distinto categoricamente dal “non-lo” (cfr. Grice, “Privazione e
negazione), entra categoricamente nella coscienza spirituale – del spirito
oggetivo. Questo passaggio costituisce la creazione o mutazione o trasmutazione
o trassustanzazione (metaeousia) dell’uomo, Homo sapiens sapiens, e solamente
questo passaggio colla propria manifestazione può segnare un soggetto umano che
puo attuare in inter-soggetivita con un altro soggeto umano. Qui l’”umanismo” si
manifesta categoricamente nel proprio caratteristico (la definita soggettivazione
del ‘ego’ come ‘ego’ e del ‘tu’ come ‘tu’), e si manifesta colla parola (parabola)
non certo col documento anatomico-fisiologico, che non puo bastare se non a
certa ampla generalità della distinzione o del genus animale. Prima di entrare
a caratterizzare questa crisi importantissima, ossia lo sviluppo dell’anima
nello spirito, dobbiamo assumere la speculazione retro-spettiva della coscienza
da un ordine uranico nel ordine planetario e nel ordine vegeto-animale. In un
ordine uranico, la coscienza procede verso un’individuazione dalla nebulosa al
cometa, al sole ed al pianeta. Il solo caratteristico essenziale dell'umanismo,
assai più caratteristico di quell’antichissima vaga definizione dell'uomo ragionevole,
animale rationale homo est, è senza dubbio la soggettivazione, e la manifestazione
di questa soggettivazione è fatta con l’inezzo spiritualmente formolato. Conformemente
a ciò, più innanzi, l’uomo (Homo sapiens sapiens) è designato anzi definito
come coscienza inter-soggettivata. Quest’individuazione, qualunque la si voglia
supporre, non può essere una soggettivazione; perocchè l'individuo (Erberto) non
si distingue dalla specie (Homo sapiens sapiens), e le varie specie dei corpi
celesti si confondono colle varie età di un solo individuo. Cosi pure,
speculando in un ordine generalissimo, una specie animale e una età
dell’animalità. Nella specie animale piu infima, l'individuo si distingue dalla
specie (una rosa piu bella dall’altra). Nella specie animale superiore, non solo lo specimen si distingue dalla
specie, ma anche il soggetto dallo specimen ė progressivamente distinto. Cosi,
p. es., il corpo di un animale consta d'innumerevoli individualità viventi aggregate
ed organizzate fra loro, le quali, svolgendosi dall’una in altra fase, costituiscono
l’organo (dell’organismo), l’apparecchio, e la funzione vitale dell’animale. Ma
la coscienza resuntiva di questo individuo vivente è nell’organismo
dell’animale concreto, e non negli animalcoli gregarii che lo costituiscono.
L'animale resuntivo della propria soggettività costituisce lo svolgimento del
senso del pensiero. Qui dobbiamo definire la distinzione del senso e del
pensiero. Il senso non può supporsi astratto dalla coscienza; perocchè in
questo caso sarebbe un senso che non sente (il senso non sente, l’animale
sente), ma può supporsi astratto dalla *co-scienza* del senso; perocchè la co-scienza
e il senso funzionano indistintamente. Finchè la co-scienza non si distingue
categoricamente dal proprio oggetto. E una co-scienza identica alla sua forma
esteriore, la quale è una sensibile esistenza. Quando però la co-scienza si
distingue categoricamente dal proprio oggetto, allora dice: “Io sono e
l'oggetto è” – “Io sono quello che sono, e l’oggetto quello che è, cioè l’ “lo”
e il “non-lo” (p. es., il tu) *siamo* due termini distinti in relazione
d’intersoggetivita. Quest’idea fondamentale che si percepisce un “lo”
(pirothood) è la soggettività; ossia, la nascita dello spirito. Nascita dello
spirito e nascita del pensiero, facendo consistere la spiritualità specialmente
in questo. A conferma di ciò, si noti, primamente, che in questo paragrafo ei
vuole fare appunto la distinzione di senso e pensiero; secondamente, che nel
susseguente paragrafo, parlando dei momenti dello spirito, vi accoglie il
principio sensitivo non come pura e semplice *sensazione*, ma come *sentimento*.
Sulla predetta distinzione, del resto, ritorno nei paragrafi susseguenti. Lo
spirito consta di tre fasi: il sentimento (aisthetikon), l’intelletto (noetikon)
ed il concetto – il A e B – concetto soggetto, concetto predicato). Lo spirito
nel sentimento è uno spirito immediato che poco si distingue dall’anima
senziente. Ma quest’anima senziente appartiene allo spirito, perocchè si *percepisce*
soggetto (un ‘lo’). Il sentimento consta di tre termini: l’attenzione (la
risposta ad un stimolo), la memoria (il riflesso condizionato), e l’imaginazione
(la risposta ipotetica o condizionale). La funzione più o meno complessa di
questi tre termini crea la *soggettività*, che lentamente si svolge dal
sensibile nel cogitabile (co-gitatum, cogito; ergo sum). L’attenzione deve funzionare
nello spirito esordiente, e cosi lo spirito deve *sentire* *che* il senso della
natura – ossia, l’istinto -- più non gli basta. Questo sentimento dell’insufficienza
del proprio istinto l’avverte *che* necessita osservare ed imparare la pratica
della vita. E la prima funzione della mentalità. Epperciò la lingua ariana
conserva più la traccia della parentela del concetto di “manere” e “mens” -- quasichè
pensare e fermarsi, ossia il soggeto ferma l’attenzione sopra un oggetto – che
puo essere un altro soggetto --, siano due operazioni molto affini. Veramente,
tuttochè sommamente dissomiglino queste operazioni, nella loro sensibile inanifestazione
esteriore s’identificano in un fatto comune, quello dell’arrestarsi – la
risposta ad un stimolo. La co-scienza che fissa l’attenzione sopra un oggetto
(che puo essere un altro soggetto), cerca nell’oggetto qualcosa *oltre* il sensibile
immediato, quando esso oggetto non sia la funzione di una mera sensazione immanente,
ma la funzione di una sensazione trascendente. Una seconda funzione del
sentimento è la memoria. Mediante la memoria, una sensazione o attenzione
presente si può risuscitare quando non sia più presente. La co-scienza
attentiva all'oggetto studia un oggetto esteriore ed abbisogna della presenza
di esso oggetto per osservarlo. Ma la memoria contiene e conserva in sè stessa
l’oggetto osservato (che puo essere il ‘lo’ – l’identita personale come memoria),
epperciò si costituisce in-dipendente dalla presenza del medesimo oggetto. Una
terza funzione del sentimento è la imaginazione. L'imaginazione non solo
conserva l’oggetto osservato, ma *crea* l'oggetto possibile che non ha osservato.
Questa funzione emancipa o libera la co-scienza, non solo, come la memoria,
dalla presenza dell’oggetto (s’ricorda o imagina un oggetto assente), ma anche
dalla sensibile esteriore realtà del medesimo oggetto, epperciò l’imaginazione
può liberamente crearsi una propria oggettività, alla Meinong. Questa facoltà
crea non solo l’oggetto composto (compesso combinato) di due oggetti (obble 1 e
obble 2) osservati, ossia non crea solo la mera composizione, addizione o
combinazione, ma puo creare un oggetto che non consta di questo o quello
elemento osservato, ma un oggetto radicalmente imaginario (un circolo quadrato,
un numero imaginario) , tuttochè le semplici categorie dello spirito e della
natura debbano necessariamente fornire all’imaginazione se stesse per possibilitare
questa creazione imaginativa o predittiva. Il passaggio dalla coscienza
senziente alla cogitante, ossia dalla bestia all’uomo, è pure una progressiva
distinzione della co-scienza in soggettiva ed intersoggetiva. Qui la distinzione
de soggetivita e intersoggetivita è una mera distinzione generale dell'”io” dal
“non-io” (il ‘tu’). L’ “io” si suppone vivente e pensante *altro* dal non-io
(il tu, in combinazione, il noi), in sè stesso parimenti vivente e pensante. La
natura si rivela come un *popolo*, popolazione, aggreggato, organismo sociale,
di piroti viventi e di pensanti , non si suppone ancora l'altro dal vivente-pensante,
ossia il non-vivente e il non-pensante. Si suppone semplicemente l’altro dal
moio lo vivente e pensante. Perciò la natura uranica, la terrestre,
stochiologica e minerale, la vegetabile o l’animale si suppone distinta dal mio
io, non però distinta dall’io generalmente parlando, ossia si suppone possedere
un loro io analogo a quello della mia co-scienza. Esaminate la radice, ossia
gli antichissimi elementi della comunicazione e troverete ogni dove segnata
l'universa natura (physis) come vivente e pensante analogicamente alla mia co-scienza.
Non vi troverete mai la natura morta colla sua forza cieca, governata da
necessità parimenti cieca, vale a dire, la natura della riflessione. Il
sentimento esplicito dalla mia co-scienza soggettiva può essere comunicato
dall'uno all'altro individuo. È questa comunicazione (o conversazione, nel
senso biblico) la prima proprietà per cui una idea cogitabile è distinta da una
mera sensazione per definizione non-condivisibile. Nessun sistema di
comunicazione puo fornire una sensazione, se questa non sia stata data dal
senso (il ‘dato del senso) come tale – nihil est in communicatione quo prius
non fuerit in sensu). Potrò, p. es., parlare in qualsivoglia modo di un oggetti
visibile. Ma un cieco nato non puo mai ne sentire ne comprendere che sia la
visibilità. Se un soggetto abbia un tempo posseduta la facoltà visiva puo,
parlando di un oggetto veduto, richiamarli alla memoria quasi visibilmente
presente, ma non puo mai fare che tale visione sostituisca la concreta visibile
realtà colla semplice imaginazione. La prima conseguenza della co-scienza
senziente che si sviluppa nella cogitante è che, siccome l’idea o concetto come
tale, ossia nella forma della co-scienza cogitante, può essere *trasmessa* (il
trasmesso) dal l'uno soggeto all'altro soggetto, non può essere trasmesso il
senso come tale, ossia nella forma della co-scienza senziente . Cosi un soggetto
è abilitato a sapere quello che non egli, ma l’altro soggetto ha percepito col
senso (“Una serpe!”), oppure quello che egli in altro tempo ha percepito col
senso, oppure indurre un’idea da quello che presentemente percepisce col senso.
Cosi, p. es., la pecora condotta al macello *vede* macellare la sua simile e fortunatamente
non solo *non* induce che sarà ella stessa macellala, ma anche non percepisce
che questa presente operazione segna un'uccisione; perocchè non possiede l'idea
o il concetto della morte. Cosi il soggetto pensante o intellettivo può sapere
quello che il senziente non può sapere, e questo sapere nasce dalla facoltà
cogitativa o concettuale, per la quale da una sensazione si astrae un’idea
generale o un concetto. Cosi, per es., il soggetto pensante vive nel passato
colla memoria, e nell'avvenire (possibile o reale) coll'imaginazione; il
soggetto senziente, o bestia, vive astrattamente nella sua sensazione presente.
In virtù della sensazione che non può essere indotta in un’idea, egli non
possiede, come il pensante, la distinzione di una natura predominante ed
insubordinabile al soggetto e di una natura subordinabile e passibile del
soggetto. Quest’idea prototipa della forza è un’idea cardinale dello spirito, è
stata il primo germe del sacro. Osservate il sacro e lo troverete Dio, non
perchè sommamente ragionevole, ma perchè onnipotente. Nella religione
spiritualmente più adulta rimane tultavia l'idea dell'onnipotenza, piuttosto
che quella della ragionevolezza, l’attributo eminentissimo del sacro. Mediante
questa passibilità il soggetto può sapere la prima volta di essere nato, di
essere stato lattante, di essere stato partorito, e cosi pure può sapere che
OGNI soggetto, nessuno eccettuato, non vissi oltre una certa mnassima età, ma
morirono in quella o prima di quella. Conseguentemente egli sa *che* il soggetto
non solo nasce (si genera) e muore (corruption), ma può nascere in varie
condizioni e morire in qualsivoglia momento della sua vita. La nozione della
nascita e della morte del soggetto è un fenomeno della co-scienza realizzato la
prima volta che la co-scienza senzienle si svolge nella pensante; perciò
sapientemente nella “Genesi” è detto che l’uomo (Adamo) prima di peccare, ossia
di gustare il frutto del bene e del male, non moriva, ed avendolo gustato dovrà
morire. Veramente la co-scienza senziente non può sapere di nascere e di
morire; perocchè questo sapere non si sa se non sia una nozione *trasmessa* (il
trasmesso) da un soggeto ad altro soggetto, ovvero un'idea indotta dal fatto
costante della morte. Questa crisi della co-scienza, ci manifesta che la co-scienza,
dalla sensazione svolgendosi nella mentalità , procede in un sistema di
distinzioni ideali o possibile o concettuali e astratte che non sono possibili
nella mera sensazione. La mentalità, che nasce dalla sensazione, è prototipicamente
*imitatrice* o inconica della sensazione, e porta seco nel suo sviluppo la *forma
logica* della sensazione stessa , che progressivamente si trasforma in quella
del pensiero. La mentalità è prototipicamente sentiment e funziona in tre caratteristiche
funzioni -- attenzione, memoria, ed imaginazione . Da queste tre prototipiche
funzioni del sentimento nascono tre forme rudimentali della mentalità. La
mentalità non più vive nell’immediata sensazione ma crea il conflato
temporaneo, e vive nella retrospettiva del passato, e nella prospettiva
dell'avvenire. Questo conflato temporaneo possibilita un'esistenza ideale oltre
l’immediato sensibile presente, e conseguentemente un'idealità inducibile dall'osservazione.
Da quest’osservazione nasce una seconda idea elementare della mentalità, cioè
d'una forza naturale che domina la nostra, e d'una forza subordinabile alla
nostra. Di qui la mentalità si esercita per subordinare le forze predominanti,
e da questa generale osservazione si percepisce come un fatto costante che l’uomo
nasce e muore, e finalmente che *io*, come uomo, ma no come persona, sono nato
e devo morire. L'idea della morte come necessità, tuttochè sembri un’idea
comunissima, è lungi dall'essere tale. La co-scienza primitiva, come quella di
certi selvaggi oggidi viventi, percepisce la morte come un fatto costante. Ma,
come la riſlessione, non arguisce punto che questo fatto, tuttochè costante, sia
necessario. Suppongono questi selvaggi che la natura umana o sovrumana abbia
sempre ucciso l’uomo. Ma suppongono parimenti che quest'uccisione non sia una
necessità, ma una sfortunata accidentalità. La co-scienza che dalla sensazione
si svolge nella mentalità si sistematizza in un sentimento pressochè comune
alla umanità. Il soggetto possiede la sua propria determinazione individuale. Ma
proprie determinazioni non affettano un sistema generale della co-scienza
umana, che perciò ſu chiamato senso comune. Mentre questo sistema generale
della co-scienza è pienamente uniforme al senso comune, il soggetto è un
soggetto comune e spiritualmente normale. Ma quando questo sistema si aliena
dal senso comune in on sistema d'idealità più misteriosa, e trascende con un
giudizio prestigioso i giudizi comuni degli uomini, allora si dice, che questo soggetto
è inspirato, ossia profetico, taumaturgico, e così via. Generalmente parlando,
questa co-scienza trascendente subordina la comune, come provano i varii
sacerdoti della primitiva religiosità
romana ed etrusca. Quando il soggetto si aliena dal senso comune senza
trascendere in un'idealità prestigiosa, ed esercita una pratica contradittoria o
contraria o opposta a sè stessa, ovvero incompatibile colle esigenze generali
della pratica oggettività, allora si dice che il soggetto è spiritualmente
ammalato, ovverosia demente. L'alienazione vuol essere accuratamente distinta,
se cioè sia alienazione dal mero senso comune ( in questo senso si può dire,
che tutti gli uomini grandi furono alienati), ovvero se sia una alienazione
dalle generali esigenze pratiche dell'oggettività naturale e spirituale (in
questo senso gli alienati sono coloro che comunemente si chiamano pazzi). La co-scienza
trascendentale, ossia la co-scienza dominata dall'idealismo, co-scienza
essenzialmente poetica, è il polo opposto della co-scienza dominata dalla
sensazione, co-scienza essenzialmente prosaica. A quella si devono tutte le
organizza zioni primitive dell'umanità , a questa si deve preferibilmente la
tecnica industrialità e la mercatura primitiva. Vedremo più oltre, che la
Coscienza umana progredisce sulla base di quest'opposizione archetipica della
sua storia. La funzione più essenziale e più generale della mentalità è la
comunicazione (il trasmesso). Il primo stadio del trasmesso è l'uso di una
radice designativa – de-segna – segna. Qui io non segno che una presentazione o
un modo di una presentazione, e sempre si riduce alle semplici categorie dello spazio
e del tempo. Il pronome personali non fu primitivamente io e tu, e così via,
categorie troppo metafisiche, per servire a questo primo stadio della lingua ,
ma, “qui”, “là” (Bradley, this, that, and th’other, thatness, thisness), ecc. ,
categorie dello spazio. Un sistema di comunicazione che consta di radici
semplicemente per la che io de-segno non può soddisfare alle esigenze più
generali della mentalità , epperciò da questo primo stadio si sviluppa, per
l'implicita esigenza della mentalità, il secondo stadio. Il secondo stadio
consta della combinazione di una radice con la che de-segno con una radice pre-dicativa,
ma tuttavia legate a una sensibile determinazione; cosi, p. es., per designare
un oggetto , si sceglie l'attributo sensibile più esplicito in quel l'oggetto,
p.es., il verde per designar la pianta, il bianco per designer la neve.
Quest’attributo sensibile, sendo necessariamente variabile o contingente
nell'oggetto, non può costituire una specie. In questo secondo stadio si
trovano molte lingue dei selvaggi o barbari, i quali scelgono un attributo
sensibile dell'oggetto per designarlo, e conseguentemente non possono arrivare
a formolare le specie o il genus o l’universale, ma semplicemente oggetti in
certe sensibili condizioni . Il terzo stadio usa la categoria propria della
mentalità esplicita, la categoria metafisica, per designare l'oggelto; come, p
. es . , define la pianta non l'individuo verde, ma l’individuo polare, i cui
poli cospirano alla luce ed all'acqua. Questa proprietà generica comprende ogni
pianta; perocchè la detta polarità è l'attributo cogitabile generale della
pianta. Il gesto è posseduto da ogni animale come inezzo psichico di movimenti
o di formalità; ma il gesto che caratterizza la soggettività è appunto il
trasmesso psichico che si svolse nella spirituale. La prima radice segna una
mera affezioni dell'anima e più tardi si svolse in un segnato meta-forico, per
rispondere all'esigenze della progressiva mentalità. Il rapporto fra il canale
fisico *espresso* dall'anima e l'anima esprimente (segnante) è quello stesso
rapporto, ma più complesso, per il quale un animale segna con un certo definite
gesto certa definite affezione della sua anima. L'uomo, sviluppando in sè
stesso la propria mentalità e l’inezzo per segnarla, si conobbe come specie
comune. Il primo sistema di comunicazione quasi naturale deve essere stato
pressochè identico in ogni umano, come ogni pecora bela, ogni cani abbaia ed
urla. Dovette essere un inezzo nato con lui e trasmesso senza il minimo bisogno
di convenzionalismo e di pratica convivenza per essere capita. La
communicazione è stata realmente uno degli argomenti più favoriti e più frequentemente
trattati dal filosofo, il quale la conosceva, ed a fondo, in molte forme
antiche ed in un numero ancora maggiore di forme moderne. Egli ne ha trattato,
infatti , in molte sue opere. Ne ha accennato nel primo volume della sua grande
opera, cioè Saggio circa la ragione
logica di tutte le cose “Prolegomeni,, Torino, pag. 43 e ss. ( confr. anche
ibid ., pag. 291 e susseguenti). Ne ha accennato anche nelle seguenti opere già
pubblicale in Torino, e cioè nella Proposta di riforma sociale, pag. 26 e seg.;
nella Introduzione alla cultura generale (facente parte del predetto vol.) ,
pag. 120 e seguenti. Ne parla poi in parecchie altre opere ancora inedite.
L'uomo che possedette questo sistema di communicazione visse nelle foreste in una
aggregazione o società piuttosto fortuita, poco dissimili da quelle dei
quadrumani, ma si armò per esercire la caccia e la pesca. La sua nudità lo
facea più fragile degli altri animali, epperciò ha dovuto sopperire a questa
nudità e debolezza colle armi artificiali, e sopratutto colla propria
scaltrezza. Questo primo stato dell'uomo vuol essere qui accennato come quello
dell'astratta soggettività abbandonata a sè stessa; perocchè l'uomo, cacciatore
o vivente dei prodotti naturali della terra e del mare, può vivere solitario.
Le aggregazioni o società di questi uomini sono mera accidentalità non necessità
dello stato proprio. In questo primo stato la soggettività nascente è caratteristicamente
manifestata dalla perversione di certi istinti essenzialissimi alla
conservazione del soggetto e della specie. Così, p. es., nessuna specie animale
s'alimenta del proprio simile, ma certi selvaggi mangiano indifferentemente i
loro nemici, amici, consanguinei, figliuoli, ed alimentano le donne, affinchè
ingrassino e siano buone a essere mangiate quando partoriscono più figliuoli da
mangiare. Quest’enorme perversione d’un istinto cosi radicale (l’affezione alla
progenitura) segna quanto sia profonda la crisi che svolge l'istintualità nella
mentalità. Sono certo che la quasi totalità de’ filosofi non sarà d'accordo su
questo puntoe riterrà l’associazione umana come una necessità e non già come un'accidentalità
. Ma l'autore, per la vita solitaria e un po' misantropica da lui fatta, è
stato come involontariamente tirato a generalizzare questo suo particolare
carattere. E una mentalita che si manifesta come un'orribile perversione
dell'istinto, ma è una mentalità volente, non un mero modo d'ingenita
istintualità. Questo titolo è quello, che nonostante la massima perversione,
può nobilitare l’uomo antropofago sopra la bestia istintualmente tutrice della
prole. Cosi pure, relativamente al soggetto individuo, l'uomo selvaggio o
barbaro in procinto di essere cattivato dai suoi nemici, può suicidarsi, la
bestia non mai (penguino?). L'istinto della propria conservazione individuale è
un istinto comune a tutti i viventi nella natura, come pure quello della
conservazione della propria specie non offre eccezione veruna nel regno della
natura. Le sole eccezioni a questo fenomeno generalissimo della vita si trovano
fra gli animali pensanti come il penguino. Tuttochè qui dobbiamo parlare del
soggetto della natura, astratto da qualsivoglia organizzazione necessitata
dalla sua condizione, abbiamo parlato di tre stadii caratteristici della
comunicazione, come quella che può essere comunicata da soggetto a soggett, senza
convenzione, indipendentemente dall'organizzazione sociale fra soggetti o dalla
nessuna organizzazione. La comunicazione appartiene cosi al soggetto solitario
(il Deutero-Esperanto di Grice ch’inventa al bagno) come al soggetto socievole,
e generalmente al soggetto solitario che profitta segnatamente delle occasioni
dell’amore. L’uomo solitario pratica qualche volta questo rapporto colla
femmina come un mero rapporto erotico occasionale. Abbandona la femmina alle
conseguenze della fecondità, non conosce i suoi figliuoli che sono allattati,
nudriti ed educati dalla madre. Ma la comunicazione, che persuase la copula
dell'amore, è la medesima colla quale la madre educa i suoi figliuoli. Cosi la
comunicazione può dirsi radicalmente una creazione della specie ed assume
dignità ed ha il suo svolgimento nella storia universa della spiritualità. Si
può dire in tesi generale che la comunicazione genera la storia nella sua più
semplice elementarità; e dallo svolgimento della lingua si conosce lo svolgimento
dell'umana mentalità e conseguentemente, delle gesta che ne sono conseguite. Nel 1884 mi furono mandati a casa, in Torino,
dal benemerito libraio Loescher tre grossissimi volumi intitolati Paselogices
Spe cimen Theoo editum . Intri, etc. Un filosofo di nome Teofilo Eleutero era a
tutti ignoto ; e non fu poca la mia mera viglia nel vedere come un'opera
filosofica così voluminosa, scritta e stampata in latino, avesse potuto
sfuggirmi; giacchè, come adesso ancora nella mia tarda età , specialmente
allora ho sempre seguito con vivo interesse il movimento filosofico . La
curiosità quindi di sapere chi egli fosse, e qual valore avesse, mi fe' tosto
gittare gli occhi sul primo volume che portava la designazione di Prolegomena,
e che, come subito vidi , era una Introduzione, o Propedeutica che voglia dirsi
, a tutta l'opera. La mia meraviglia crebbe dopo la lettura delle prime pagine
del volume, tanto più che ad essa si congiunse il sentimento del l'ammirazione:
sentimento che col proseguimento della lettura di venne un vero entusiasmo. Io
mi trovava dinanzi ad un hegeliano, e, per giunta, un hegeliano di alto ingegno
e di larghi propo siti: i quali propositi erano nientemeno che quelli di una
Riforma dell'hegelianismo mediante principii dell'hegelianismo stesso.
Comunicai la mia impressione e il mio entusiasmo al signor Loescher, il quale
m'informò che l'autore dell'opera era un intrese, di nome Pietro Ceretti ,
dalla cui figlia aveva ricevuto l'esemplare dell'opera che mandò a me per
prenderne conoscenza. L'impres sione e l'entusiamo potettero ancora, per mezzo
della figlia , essere comunicati al filosofo, che era già assai infermo e che
poco di poi morì della malattia che da parecchi anni lo travagliava, la
paralisi progressiva. Io continuai , naturalmente , a leggere e stu diare la
preziosa opera , ed è di essa che accennerò maggiormente in questo ricordo del
filosofo , essendo essa indubbiamente il maggior titolo del valore e della
posizione filosofica del medesimo. Senonchè, a render meno incompiuto il
ricordo, mi si conceda che rilevi alcuni altri particolari della sua complessa
personalità . Per cio che concerne biografia e bibliografia mi limiterò alle
poche notizie seguenti . Nato il 1823 , e assolti bene o male, anzi piuttosto
male che bene, i primi elementi della sua istruzione, cominciò a trarre qualche
profitto in un Collegio di Gesuiti a Novara , ove fu qualche tempo , uscendone
il 1840. È una singo lare circostanza questa, che un uomo che ebbe sempre uno
spirito non solo diverso, ma anche opposto a quello de' Gesuiti, avesse proprio
da questi avuto il primo impulso e il primo profitto agli studi Ma un profitto
maggiore e un vero inizio di studi serii IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 29 furon da
lui fatti a Firenze, ove si recò subito dopo, mettendosi in relazione cogli
uomini del famoso Gabinetto Viessieux e con sacrandosi tutto agli studî' di
lingue, lettere e scienze. Quanto a lingue, tra il tempo che fu a Firenze e gli
anni che immediatamente seguirono , ne apprese parecchie tra antiche e moderne,
allo scopo non solo di legger libri negli idiomi ori ginali, ma anche di
viaggiare, per prender diretta notizia di uo mini e cose. Infatti, cominciò
subito a viaggiare percorrendo in lungo e in largo non solo l'Italia, ma anche
la Svizzera, la Francia, la Germania , l'Olanda e l'Inghilterra. Gli studî che
fece nella prima giovinezza si allargarono e di vennero più intensi , quando
dopo i viaggi si ritirò nella nativa Intra, nella quale accanto agli studi
cominciò anche a scrivere opere di vario genere, segnatamente filosofiche.
Nella sua carriera di scrittore passò per varie fasi, che io ( nella mia opera
intitolata Notizia degli scritti e del pensiero filo sofico di Pietro Ceretti)
ho designate e descritte come fase poe tica , fase filosofica in genere ed
hegeliana in ispecie, fase di tran sizione, fase utopistica e riformativa della
società civile , e fase ultima del pensiero cerettiano, la quale è quella del
così detto si stema contemplativo. Ad ognuna di queste fasi corrispondono
opere, e non poche, che si muovono nell’orbita del pensiero cerettiano
gradatamente svolgentesi ed esprimentesi in essa. Le quali opere, se si consi
dera il complesso di esse tutte, costituiscono una massa addirittura ingente ,
che versa su tutte le parti dello scibile. Ceretti , infatti, fu un pensatore e
scrittore veramente universale. Tanto per dare una idea della predetta massa di
scritti , ricor derò innanzi tutto quelli che si riferiscono alla fase poetica,
la quale gli scaldò tanto la mente ed il cuore, che gli fe ' dire : Cari poeti,
voi dell'alma mia Foste il primo verissimo Messia . Ad essa appartengono le
opere poetiche (di genere romantico ): Eleonora di Toledo ; il Prometeo ; il
Pellegrinaggio in Italia ; le Poesie liriche : inoltre, queste altre (di genere
giocoso, satirico e filosofico e scritte anche in tempo posteriore alla
giovinezza) , le Avventure di Cecchino, e le Grullerie poetiche. A queste opere
scritte in versi se ne potrebbe aggiungere un'altra scritta in prosa e pur
facente parte di questa prima fase , cioè quella intitolata Ultime Lettere d'un
profugo e costituente un romanzo sul genere del Werther di Goethe e del Jacopo
Ortis di Foscolo. Questa prima fase nella quale la mente del Ceretti è ancora
incomposta ed in via di formazione – è caratterizzata dall'aspira zione di lui
ad incarnare in sè stesso i pensieri e i sentimenti de' grandi uomini del suo
tempo e di quello che immediatamente 30 COENOBIUM 1 lo precede. Il che egli
stesso riepiloga ed esprime dicendo : « In giovinezza io fui innamorato e
delirante alla Werther, patriota furibondo alla Jacopo Ortis, stravagante alla Byron
, dolorante alla Leopardi , misantropico alla Rousseau , satanico alla
Voltaire, ateo materialista alla La Mettrie, e finalmente miserabile alla mia
propria maniera » . Alla seconda fase, che contiene il pensiero filosofico più
emi nente e più compiuto del Ceretti , appartiene -- oltre ad un primo abbozzo
di opera intitolata Idea circa la genesi e la natura della Forza — la grande
opera latina predetta Pasælogices Specimen . Il pensiero filosofico di tal fase
ha il fondo hegeliano, ma però da lui riformato. Le ultime fasi del pensier
cerettiano costituiscono poi una ulteriore deviazione tanto dal pensiero
hegeliano in genere, quanto dall'istesso pensiero hegeliano da lui riformato ed
esposto in que st'ultima. Come prima deviazione e ad un tempo come transi zione
alle fasi susseguenti si possono considerare la Sinossi del l'Enciclopedia
speculativa ; le Considerazioni sul sistema della Na tura e dello Spirito ;
l'Insegnamento filosofico : le quali opere hanno ancora spiccatamente il
carattere di filosofia teoretica ed enciclopedica. La nota principale della
suddetta deviazione è che al Logo assoluto, il quale nella grande opera latina
diviene il principio cerettiano riformativo dell'Idea hegeliana, viene più de
terminatamente e accentuatamente sostituito il principio della Co scienza
assoluta, Coscienza, che , a dir vero, era già apparsa nella stessa opera
latina . Quale ulteriore deviazione , ma specificamente appartenenti alla fase
utopistica riformativa della società civile , vanno ricordate le opere intitolate
Sogni e favole e Proposta di una riforma civile . Oltre ad esse, vanno
ricordate anche queste altre , le quali però sono scritte in forma di romanzi,
cioè , i Viaggi utopistici ; l'Inconclu dente ; Don Simplicio ; Don Gregorio ;
il Protagonista , e qualche altra . La deviazione massima è in quegli altri
scritti , che rappre sentano più spiccatamente l'ultima fase , nella quale il
Ceretti per viene ad una specie di subbiettivismo nullistico, da lui designato,
come è detto , col nome di sistema contemplativo. I pensieri di quest'ultima
fase appaiono in parecchi altri scritti dell'ultimo tempo di sua vita , come
per esempio, per nominarne alcuni , nella Vita di Caramella e nelle Memorie
postume. Ma gli scritti mentovati delle diverse fasi , benchè già nuinerosi,
non costituiscono neppur gli scritti tutti del filosofo d'Intra, es sendovene
una quantità ancora notevole , che possono esser nomi nati scritti varii ed ai
quali appartengono: Biografie, Autobio grafie (tra queste , notevolissima, La
mia Celebrità ), Commedie, Novelle morali, ecc. e persino un Trattato
d'Astronomia e un Trattato di Medicina. Come vede il lettore , quella che io
chiamava una ingente IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 31 massa di scritti , e
versante sulla universalità dello scibile , non è una denominazione esagerata,
ma interamente reale. E ciò basti a dare una idea sommaria degli scritti del
filosofo intrese . Per cio che concerne il filosofo propriamente detto , egli
va considerato rispetto al corso della filosofia in genere ed al periodo
filosofico idealistico tedesco in ispecie , nel qual periodo si riat tacca alla
maggiore manifestazione speculativa del medesimo, che è la hegeliana. Egli si
apparecchiò a pigliare il suo posto in quest'ultima, con uno studio e
conoscenza non comune, primamente delle varie discipline dello scibile,
sopratutto di quelle concernenti la Storia universale e le Scienze positive e
naturali d'ogni specie ; seconda mente, di quelle attinenti alla filosofia
propriamente detta . Rispetto a quest'ultima, è veramente ammirabile l'opera
del nostro filosofo, che – dopo i suoi profondi studi sui filosofi delle
diverse età (non esclusa quella stessa della filosofia indiana ) e in genere
ne' testi originali de ' medesimi ne ha dato un saggio no tevolissimo egli
stesso nel primo volume della sua opera latina, cioè ne' mentovati Prolegomeni.
Ma nella Storia della filosofia uno de' periodi che egli più ha studiato e
conosciuto è il predetto periodo filosofico tedesco sì ne' filosofi massimi di
essa, come Kant, Fichte, Schelling ed Hegel , si ne' secondarii e pur
importanti del medesimo, come Herbart, Schopenhauer ed altri . In questo
periodo era naturale che quello che massimamente attraesse e legasse il suo
spirito fosse Giorgo Hegel , siccome quello che compendia in sè, primamente la
Storia filosofica generale e, in secondo luogo, lo stesso speciale periodo
tedesco. Hegel, in fatti, è da lui considerato come quello che ha raggiunta la
più alta forma di speculazione nella scienza filosofica, sopratutto nella
disciplina logica . Considerando il filosofo tedesco in tal modo, è naturale
che egli nel complesso ne accogliesse le idee e si riattaccasse a lui .
Senonchè, pur accogliendole, non le riteneva scevre di vizii o errori che
voglian dirsi . In conseguenza di ciò egli si propose da una parte , di
additare questi vizii , dall'altra, di correggerli . E la correzione, che
costituiva per lui una riformazione dell'hegelianismo, non è poi altro che la
filosofia cerettiana stessa , quale è conce pita ed esposta nella predetta
grande opera latina. Ciò posto , seguiamo ora tal pensiero filosofico
cerettiano ne suoi tratti fondamentali. Primamente, accogliendo l'hegelianismo
come la predetta su prema manifestazione della coscienza filosofica, ei
l'accoglie nel general fondo e pensiero del medesimo, fondo e pensiere, che ven
gono da lui riassunti ne' seguenti principii generali : 1 ° L'assoluto è l'Idea
; 2 ° l'Idea concreta è lo spirito ; 3° l'essenza concreta ed asso luta dello
Spirito è l'Idea logica. Inoltre, l'evoluzione dialettica del l'Idea , nella
quale evoluzione consiste il processo metodico di 32 CENOBIUM quest'ultima ,
avviene e deve avvenire secondo la Nozione, ossia secondo il Concetto , come
dice Hegel (dem Begriffe nach ). Rispetto a tali principii designati come
hegeliani non che come veri e inoppugnabili, e quindi da lui stesso accolti, va
però osservato, che di essi non può essere ritenuto come schiettamente e
veramente hegeliano il terzo ; giacchè, secondo Hegel, l'essenza concreta ed
assoluta dello Spirito non è l'Idea logica. Questa è per Hegel l’Idea pura e
semplice soltanto, e però immediata ed astratta , non ancora dialetticamente
esplicata e , mediante l'espli cazione, fatta concreta. L'essenza assoluta e
concreta dello Spirito è per lui invece l’Idea che da puramente e semplicemente
logica ( da Idea logica ) si è estrinsecata nella Natura (cioè si è fatta Idea
naturale o Natura) , e, attraverso di questa , è giunta a coscienza di sè,
ossia è divenuta spirituale , o, che vale lo stesso , è divenuta Spirito. In
altri termini, l'essenza concreta assoluta dello Spirito è la Coscienza
dell'Idea, ovvero è l'Idea conscia di sé, mentre l'Idea logica hegeliana è
ancora inconscia. Per cio che concerne i mancamenti e vizii della dottrina he
geliana, essi , secondo il Ceretti concernono l'evoluzione dialettica dell’Idea
, o , che vale lo stesso, concernono l'Idea nel suo pro cesso ( esplicazione)
dialettico. Un primo vizio generale in tale evoluzione è per lui quello che
nella logica hegeliana concerne il Prius e il Risultato dell'Idea. Notoriamente
per Hegel, benchè l'Idea sia , da una parte , il prin cipio universale
assoluto, e, dall'altra il principio iniziale dell'evo luzione dialettica
assoluta, principio iniziale che farebbe come il Prius ideale dialettico , pur
non di meno pel filosofo tedesco il vero Prius dell'Idea non è questo iniziale
, ma quello finale a cui l'Idea perviene come Risultato del processo dialettico
, risultato finale che è propriamente lo Spirito, ossia l'Idea pervenuta a co
scienza di sè. È per questo che Hegel sostiene che il vero Prius non è l'Idea
logica, ossia l'Idea pura ed estratta , ma lo Spirito, che è l'Idea che col
processo dialettico si è fatta veramente reale e concreta. Or questo Prius che
Hegel pensa e pone come vero è invece dal Ceretti ritenuto falso, perchè
pensato ed ottenuto secondo un procedimento dialettico prestigioso e sconforme
al vero ordine lo gico , che deve avere e seguire il Logo ( Logo che, come
tosto si vedrà , è il principio specifico assoluto cerettiano sostituito alla
Idea hegeliana) . Accanto a questo vizio generale , egli trova e addita vizii
particolari affettanti l'Idea come logica naturale e spi rituale. I vizii
spettanti all'Idea logica e al corrispondente processo dialettico sono tre e da
lui stesso brevemente indicati come segue: Il primo è che nell'esplicazione
dialettica dell'Idea logica la genesi di questa sia « una genesi della Nozione
dalla Non-Nozione » . Il secondo è che l'esplicazione dialettica dell' Idena
logica è piut tosto un'astratta esplicazione delle categorie, anzichè un
concreto IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 33 un ri immanente processo di esplicazione
ed implicazione. Il terzo è che il processo dialettico dell'Idea logica
hegeliana è piuttosto un Logo astratto astrattamente esplicantesi e
riassumentesi in sultato , anzichè la sanzione ( o affermazione) di sè stesso
nella con creta immanente ed assoluta verificazione della propria posizione,
dialettica e riassunzione ( 1 ) . Il primo de' tre vizii indicati, riproducendo
il mentovato ge neral vizio del Prius, ei lo determina meglio designandolo come
processo inconscio dell'Idea logica, processo che Hegel pensa appunto come
inconscio ed il Ceretti pensa e vuole invece come conscio. E può dirsi che su
tal coscienza dell'Idea logica poggia il punto cardinale della differenza
dell'Idea hegeliana dal Logo cerettiano. Quanto al vizio concernente l'Idea
naturale, esso è in grosso quello stesso dell'astrattezza, testè rilevato , o ,
che vale lo stesso , della non raggiunta realtà dell'Idea nel farsi naturale.
Infatti, dice egli , l'Idea logica , estrinsecandosi e divenendo Natura, rimane
in quello stato astratto e puramente e semplicemente ideale che ha come Idea
logica, e non giunge a veramente naturarsi, com'ei dice , cioè a farsi vera
realtà naturale. E finalmente, quanto allo Spirito , od Idea hegeliana
spirituale, il filosofo intrese vi trova il vizio di quella stessa
prestigiosità speculativa ( speculativa prestigiositas ), che ha trovata e
rilevata per la Logica. Ed osserva, per giunta, che il general vizio in nanzi
mentovato dell'Idea hegeliana, che cioè essa sia un Risul tato, diviene più
specifico nello Spirito, in quanto questo , conce pito da Hegel come l'Idea che
dal suo Esser-altro ( cioè dalla sua esistenza naturale ) ritorna a sè stessa ,
ha appunto il carattere speciale di essere un Risultato e non una realtà , a
dir cosi , ori ginaria. Accanto ai predetti vizii fondamentali concernenti
l'Idea nelle sue varie forme, logica , naturale e spirituale , ne rileva alcuni
altri secondarii; ma noi , limitandoci alla indicazione de ' fonda mentali,
passiamo ad indicare le corrispondenti emendazioni di essi . Preposto che alla
Idea hegeliana egli in genere sostituisce il Logo, principio universale ed
assoluto anch'esso, la prima generale emendazione, concernente il Prius ed il
Risultato dell'Idea innanzi esposti , è fatta dal Ceretti nel senso che il Logo
è oiginariamente conscio e non già tale per risultato. Rispetto ai tre vizii
dell'Idea logica propone come emendazione ( 1 ) Mi piace di riferire colle
stesse parole latine del Ceretti il predetto triplice vizio : cioè , «
Hegelianæ logicæ tractationis defectuositas, in exitu prolegome norum designata
, est primo, quatenus notionis a non-notione progenesis ; secundo, quatenus
categoriarum abstracta explicativ, potiusquam concreta explicationis et
implicationis immanens contraprocessuosilas ; tertio , quatenus abstractus er
plicativce dialectica logus in abstracta resumptione, potiusquam in concreta
positionis, dialectica et résumptionis immanente absoluta verificatione suun
ipsum sanciens » . Pasael. Spec. vol . II , p. 6 . CENOBIUM , Vol. III, Anno
II, Marzo - aprile 1908. 3 34 CENOBIUM e però riformazione, che il primo venga
emendato mediante il principio della generale coscienza logica della Nozione od
Idea hegeliana : il che importa che il Logo sia una Nozione ( Idea) che si
genera dalla Nozione stessa e non già dalla Non-nozione ( No zione inconscia) .
La emendazione di questo primo vizio coincide in grosso anche colla generale
emendazione predetta del Prius e del Risultato. La emendazione del secondo
vizio è dal nostro filosofo otte nuta col propugnare ed effettuare che la
genesi delle categorie logiche non avvenga secondo un processo astratto di sola
espli cazione , ma secondo un processo concreto di esplicazione ed im
plicazione insieme : nel qual processo concreto i momenti astratti di
esplicazione si negano come astrattamente tali ed affermano perciò la loro
unità . Il terzo finalmente viene emendato, pensando e determinando il Logo
assoluto in guisa che esso non rimanga un momento astratto di riassunzione (
risultato) , ma che divenga assoluta ed immanente affermazione (sanzione) di
tutto il corso esplicativo , costituendo così un processo e controprocesso, in
cui ogni mo mento è unità dell'astratto e del concreto. Quanto ai vizi relativi
all'Idea naturale hegeliana , la emenda zione ( stata già implicitamente
accennata nella critica fatta di essi ) consiste in quella che il Ceretti
appella la naturazione del Logo. E cioè, mentre Hegel concepisce la Natura siccome
l'Idea ritornante a sè stessa dal suo Esser- altro (dalla sua esternazione ed
alterazione) , il Ceretti invece pensa che la Natura non è sol tanto ciò , ma è
e dev'essere reale naturazione del Logo, ossia reale incarnazione ed
obbiettivazione del medesimo. E da ultimo, quanto all'emendazione del vizio
dell'Idea spi rituale, essa nel complesso è quella già rilevata nella critica
fatta del vizio , e consiste nel concepir la medesima, ossia lo Spirito ,
siccome Logo originariamente conscio e non divenente tale per risultato d'un
processo. Le predette generali e fondamentali emendazioni , accanto ad altre
subordinate e secondarie , son quelle che nella esposizione ed esecuzione delle
Idee filosofiche costituiscono la filosofia cerettiana riformativa della hegeliana
, e filosofia riformativa che forma il contenuto della più volte mentovata
grande opera del Ceretti , intitolata Saggio di Panlogica. Questo Saggio è
un'opera veramente colossale ed è l'enciclo pedia filosofica cerettiana ,
modellata sulla nota corrispondente En ciclopedia hegeliana ( Encyclopädie der
philosophischen duissen schaften) in tre volumi. Il Ceretti concepì la propria
Enciclopedia vasto disegno da assolversi in otto volumi : il primo (i
prolegomeni) come propedeutica a tutta l'opera, propedeutica che ad un tempo
contenesse in germe il pensiere della stessa Enciclopedia ; il secondo
contenente ( col nome di Esologia ) l'e sposizione della Logica e Metafisica ;
il terzo, il quarto , ed il una con un IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 35 quinto (
col nome di Essologia ) costituenti la trattazione ed espo sizione della
filosofia della Natura nelle sue tre parti della Mec canica, della Fisica e
della Biologia (od Organica) ; il sesto, il settimo e l'ottavo (col nome di
Sinautologia ) designati a trattare la Filosofia dello Spirito, distinta
anch'essa in tre parti denomi nate Antropologia, Antropopedeutica ed
Antroposofia . Di questa vasta concezione ed esecuzione il principio fonda
mentale ed assoluto è il Logo, che il lettore vede essere in fondo alla Esologia,
Essologia e Sinautologia : Logo che, come si è detto , in Ceretti piglia il
posto e la generale significazione del l'Idea di Hegel. Il Logo Cerettiano,
come quest'ultima, è l'uni versa ed assoluta realtà , e realtà con preminente
carattere ideale , comprendente in sè la realtà logica, la naturale e la
spirituale. Per tal carattere anche la filosofia cerettiana è idealismo ; tanto
più veramente assoluto , in quanto , non meno e forse ancor più dell'hegeliano,
abbraccia in sè in complessiva unità tutte le forme di Idealismo apparse nel
corso storico della filosofia, si in generale le antecedenti all'Idealismo
tedesco , si in modo più speciale quelle di quest'ultimo , cioè gli Idealismi
subbiettivi Kantiano e Fichtiano , l'Idealismo obbiettivo Schellinghiano , non
che lo stesso Idealismo assoluto Hegeliano. Questo carattere di universalità ed
assolutezza dell'Idealismo cerettiano è una delle cose più spiccanti , più
notevoli ed anche più rilevate dell'Enciclopedia filosofica del filosofo
intrese. Quanto al principio assoluto del Logo , va parimenti rilevato , che ,
per la natura conscia del medesimo innanzi additata, esso vien dal Ceretti
designato anche come puramente e semplicemente Coscienza : per modo che
Coscienza e Logo ricorrono quasi pro miscuamente nella Enciclopedia cerettiana
ed anche in altre opere posteriori) come espressive e determinative del
principio assoluto. È bene , inoltre, rilevare che tal principio assoluto e dal
nostro filosofo anche puramente e semplicemente detto l'Assoluto, il quale
corrisponde in tutto e per tutto al Logo e alla Coscienza consi derati come
assoluti . Ciò fa intendere come pel Ceretti l'elemento conscio costitui sce il
carattere essenziale del suo principio assoluto , ossia del suo Logo in tutto
il suo ambito , mentre per Hegel l'elemento conscio è caratteristico e
specifico dello Spirito propriamente detto, ossia dell'Idea giunta a coscienza
di sé . Ciò farà, d'altra parte, pari menti intendere come il filosofo intrese
ponga come riformativa dell'hegelianismo la proposizione : L'Assoluto è la
Coscienza . Per cio che concerne la designazione del principio assoluto, rilevo
ancora che, ad esprimere il predetto principio assoluto, egli adopera tante
altre volte anche le parole Idea, Nozione, persin Pensiere , come Hegel. Ma, se
le espressioni son varie, il senso e valore fondamentale del suo principio è
quello del Logo pen sato come Logo conscio o Coscienza (assoluta).
Conformemente a ciò ( e in grosso conformemente all'hegelia 36 CENOBIUM con
nismo) il Logo vien pensato nella sua intrinseca natura e nel suo processo
dialettico. Nella sua natura il Logo vien considerato in tre diverse forme di
esistenza, cioè, quale è in sè, quale è per sè, e quale è in sè e per sè. La
considerazione del Logo in sè stesso costituisce la predetta Esologia (da sis,
és, dentro e hópos) , ossia la dottrina logico- metafisica del Logo ; quella
del Logo fuori di sè costituisce la Essologia ( da few fuori, in latino
Exologia) , ossia la dottrina ( filosofica ) della Natura ; e quella del Logo in
sè e per sė, o come il Ceretti la dice , del Lago in sè e con sè, costituisce
la Sinautologia ( da suv e autos, con stesso ), ossia la dottrina dello Spirito
. Degno di rilievo è inoltre che il Logo in sè pel filosofo in trese è il Logo
nella sua Subbiettività, il Logo fuori di sè è il Logo nella sua Obbiettività,
e il Logo in sè e sè il Logo nella unità della sua Subbiettività e della sua
Obbiettività, ossia è il Logo subbiettivobiettivo, che è poi il Logo assoluto.
È bene parimenti rilevare che come il Logo per lui è per eccellenza il Logo
conscio , il quale è poi lo Spirito o la Coscienza , così si de signano
egualmente lo Spirito e la Coscienza nella loro Subbiettività, nella loro
Obbiettività, e nell'unità della Subbiettività e dell'Ob biettività. Il predetto
triplice modo di essere della natura del Logo soggiace ad un processo
esplicativo , che costituisce il pro cesso dialettico , appellato anche metodo
dialettico. Questo pro cesso metodico ha , tanto per Hegel quanto per Ceretti ,
tre mo menti anch'esso. Questi momenti, che il filosofo tedesco appella
comunemente dell'in sè , del per sè e dell'in sè e per sè , dando loro il
valore e significato di momento immediato o intellettivo ( della speculazione
dell'Idea ), di momento mediato o razionale negativo , e di momento immediato e
mediato insieme, o razionale positivo, vengono invece dal Ceretti appellati (
nel complesso però con valore e significato simili a quelli di Hegel) momenti
della Posizione, Riflessione e Concezione. La posizione , come la parola stessa
indica, ha il valore e significato di quella che comunemente ( in Fichte ,
Schelling ed Hegel) , ricorre come tesi , mentre la ri flessione ha significato
e valore di contraddizione ( opposizione, an titesi ) e la Concezione
significato e valore di conciliazione degli opposti, sintesi della tesi e
dall'antitesi. La triplicità delle forme di esistenza del Logo ( quelle di Eso
Jogo , Essologo e Sinautologo con le corrispondenti dottrine di Esologia,
Essologia e Sinantologia) costituisce per Ceretti i tre Cicli di quest'ultimo.
Cicli che , mentre son tre , pur ne costitui solo sotto triplice forma :
costituiscono cioè il Logo assoluto unitrino . Un altro punto pur degno di
rilievo e caratteristico è il modo come Ceretti determina la considerazione filosofica
o speculativa de tre Cicli . La considerazione del primo, ossia dell'Esologia ,
è per lui il pensiero del Pensiero ( cogitatio cogitationis) quella del scono
un IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 37 ma secondo o dell'Essologia è il Pensiero del
Pensato ( cogitatio cogi tatis ), e quella del terzo, o della Sinautologia, è
il Pensiero del Pensante ( cogitatio cogitantis ). Anche nell'hegelianismo il
Pensiero assoluto è identificato col l'Idea assoluta, in quella guisa che il
Ceretti identifica parimenti il Pensiero assoluto col Logo assoluto. Però nella
espressione e determinazione cerettiana la cosa ha un significato più
specifico, e propriamente questo , che cioè l'Esologia è la considerazione del
Pensiero in sè stesso , del pensiero puro hegeliano e potrei an che
soggiungere, della ragion pura kantiana ; l'Essologia è la considerazione del
Pensiero del Pensato , cioè del Pensiero non più in sè, puro ed astratto , del
Pensiero estrinsecato ( fatto per sè ) , obbiettivato ; e la Sinautologia la
considerazione del Pen siero del Pensante, cioè del pensiero come esistente ed
esercitan tesi nel subbietto pensante. Potrei dire che la predetta triplice
considerazione è quella del Pensiero puro e semplice, quella del Pensiero come
obbietto di sè medesimo ( estrinsecatosi fuori di sè nella Natura ), e quella
del Pensiero astratto ed operante come proprio subbietto ( nella Coscienza del
pensiero stesso o nello Spirito ) . Dopo le antecedenti generalità , passiamo a
considerare parte per parte il Logo nelle sue tre forme di esistenza nella
logico metafisica ( Esogia) , nella naturale ( Essologia) e nella spirituale (
Sinautologia ). La dottrina logico -metafisica, conformemente alla hegeliana, è
pur distinta in tre parti che anche per lui , come per Hegel , son quelle dell'Essere,
dell’Essenza e del Concetto : solo che queste nel filosofo tedesco si
susseguono nel modo indicato e nel filosofo intrese mutan posto , diventando
primo il Concetto , secondo l'Es sere e terzo l’Essenza . Questo mutamento di
posto nella serie porta poi naturalmente con sè un corrispondente mutamento nel
processo dialettico. Le dottrine di queste tre parti così spostate hanno in
Ceretti i nomi speciali di Prologia, Dialogia e Autologia . La prima con sidera
il Logo esologico, o logico -metafisico, nella astratta iden tità del Pensiero
, la seconda nella differenza di esso , e la terza nella unità sintetica
dell'identità e della differenza del Pensiero stesso. Non credo che il nostro
filosofo abbia avuto giusta ragione d'invertire l'ordine de' tre principii
fondamentali predetti . Ma, checchè sia di ciò , è bene di allegare la ragione
dell'invertimento da lui ritenuto razionale e necessario . La quale, a suo
credere , è che per il Logo conscio, o che vale lo stesso, per la Coscienza il
primo ( Prius) prologico ( cioè il primo con cui deve cominciar la logica) non
dev'essere nè indeterminato , come sono l'Essere di Hegel e di Rosmini, nè
determinato , come sono l'Io di Fichte e la predetta Ragione di Schelling , ma
dev'essere lo stesso Prius, nel quale sieno implicitamente contenute tanto la
indeterminazione 38 COENOBIUM quanto la determinazione. E un sì fatto Prius pel
Ceretti è la Proposizione, che è il primo ed iniziale momento della sua Pro
logia, il quale è più primitivo e più semplice del Giudizio che ne costituisce
il secondo, al quale poi segue il terzo unitivo de' due primi, che è il
Sillogismo. Quanto alla natura de suddetti momenti della Prologia, la
Proposizione è la immediata ed indistinta coscienza logica, la quale , appunto
per la sua indistinzione, non è nè subbiettiva nè obbiettiva . Il Giudizio
invece è la coscienza logica, che dalla indistinzione od indifferenza si
esplica e passa nella subbiettività ed obbiettività di sè medesima. E da ultimo
il Sillogismo è la subbiettività della coscienza logica , la cui attività
consiste nell'e splicare se stessa , esplicazione di sè stessa , che in fondo è
poi una obbiettivazione della subbiettività. Dato tal concetto generale de'
momenti della Prologia , il nostro autore passa a considerare e determinar
ciascuno in se medesimo, ed inoltre secondo il predetto processo metodico trico
tomico della Posizione , della Riflessione e della Concezione. Conformemente a
ciò , distingue la Proposizione in posta, ri flessa e concepita ; e in posto,
riflesso e concepito, distingue e de termina parimenti sì il Giudizio che il
Sillogismo. La trattazione ed esposizione di ciò è amplissima, specialmente
quella del Sillogismo ; ed è non solo amplissima, ma anche note volissima per
le molteplici determinazioni logiche ed ontologiche non che illustrazioni ed
applicazioni d'ogni genere alle diverse parti dello scibile e della stessa
realtà . La trattazione è di tanto interesse che è degnissima di esser presa da
ognuno in considerazione anche oggi alla distanza di una sessantina d'anni,
dacchè fu pensata ed esposta . Non potendo entrare nelle particolarità a far
intendere il pensiero cerettiano sì nella concezione de' momenti della predetta
Prologia sì nel passaggio da questa alla Dialogia, allegherò un luogo nel quale
l'autore lo riepiloga, e che è questo . « Il pen siero prologico ( 1 ) , uscito
(passato) dalla sua generalità formale ( cioè dalla proposizione) colla
particolarità formale della sua gene ralità ( cioè col giudizio) nell'unità
formale della sua generalità e della sua particolarità ( cioè nel sillogismo ),
si concepisce come sistema metodico della razionalità, ossia come forma
assoluta delle forme. La forma sillogistica delle forme pensabili insegna che
il pensiero è essenzialmente il sistema di sè, e non v'è sistema all'in fuori
del sistema del pensiero, poichè l'altro del pensiero non può essere fatto
(posto ) da altro che dal pensiero. Inoltre, insegna che il sistema assoluto
del pensiero è il sillogismo giudicativo della proposizione, perciò l'Assoluto
non può esser concepito altrimenti ( 1 ) Cosi a pag. 125 della Ragione Logica
di tutte le cose , vol . II Esologia , nella versione dal Latino di Carlo
Badini, Torino, 1890. IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 39 che nella forma
sillogistica ; questa concezione porta con sè la ne cessità logica di sè ,
poichè è la Nozione della Nozione. Il sillogi smo assoluto , come
prologico , non è più che la formalità ( la forma assoluta del Logo, la
quale invoca l'essenzialità assoluta di sè da esplicare in sè da sè stesso .
Quindi il sillogismo passa dalla sua subbiettività assoluta ad esplicare la sua
obbiettività im plicita assoluta ; questa obbiettività è la verità della
subbiettività sillogistica assoluta » . Ciò posto , quella che ora effettua il
passaggio e progresso dalla forma e dalla subbiettività del Pensiero alla
essenzialità ed obbiettività del medesimo è la Dialogia, che per eccellenza è
la dottrina delle categorie logiche del Pensiero. Corrispondendo la dottrina
dialogica cerettiana alle dottrine logiche hegeliane dell'Essere e dell'Essenza
prese insieme, ne segue che le categorie, onde qui è parola , sono in grosso
quelle che ricorrono nelle predette due dottrine hegeliane. Quanto al concetto
della categoria e alla funzione logica della categorizzazione, sono importanti
queste parole del filosofo intrese : « La categoria , dic'egli ( 1 ), è
propriamente la predicazione del Pensiere fondata dallo stesso pensiere come
necessaria ; e la cate gorizzazione del Pensiere è l'atto più nobile della
speculazione filo sofica e la più alta concezione dal Pensiere umano Nè meno im
portanti in proposito sono gli additamenti ch'egli fa intorno alla evoluzione
storica delle categorie presso i diversi filosofi e corri spondenti scuole che
spiccano intorno ad esse . Per cio che concerne le categorie trattate e
sviluppate nella Dialogia, le fondamentali son quelle dell'Essere,
dell’Essenza, e del l'Esistenza, come costituenti la triplicità dialogica per
eccellenza ; e da queste fondamentali se ne sviluppano altre costituenti mo .
menti subordinati, ma non meno importanti. L'Essere, infatti, è da prima il
Logo generale ed indeterminato (est Logus Conscentiæ generalis) , ma esso si
particolarizza e de termina in sè medesimo in ulteriori principii categorici.
Per esem pio, si distingue e particolarizza come qualitativo, quantitativo e
modale, sorgendo così le categorie della qualità, della quantità e della
modalità (misura ). Ed inoltre l'Essere nella sua stessa gene rità ( innanzi
alla predetta particolarizzazione dunque) è essere , non essere e divenire (
esse , non - esse , fieri); come, d'altra parte , le categorie della qualità,
quantità e modalità alla lor volta si distin guono e particolarizzano in altre.
Chi conosce la logica di Hegel vede subito nelle predette ca tegorie cerettiane
la simiglianza con le corrispondenti hegeliane ; ed è forse questa la parte ,
nella quale il Ceretti si tiene più da vicino a quello ; mentre in altre parti
vi sono non poche dissi miglianze. ( 1 ) Nel predetto citato volume della
Esologia , pag . 132 . 40 COENOBIUM ecc. Dall'Essere il processo dialogico
conduce alla seconda cate goria fondamentale predetta, cioè alla Essenza la
quale non è altro che la particolarizzazione dello stesso Essere ( Esse suam
absolutam particolaritatem adeptum est Essentia ). Ciò che si è detto avvenire
per la categoria fondamentale del l'Essere avviene anche per l’Essenza, che
cioè anche questa , alla sua volta distinguendosi e particolarizzandosi in sè
medesima, ne produce di ulteriori , come quelle del fondamento, della sostanza
, della materia , ecc. E quanto alla terza categoria fondamentale, cioè
l'Esistenza , essa è l'unità dell'Essere e dell'Essenza . Ognuno nella
Existentia riconosce l'Esse come particolarizzato ; ma d'altra parte, nella
particolarizzazione dell'Essere si specifica e manifesta anche l'E lemento
dell'Essenza, per forma che l'Esistenza risulta siccome una manifestazione
dell'Essenza ( Exsistentia est essentia manifesta ). E da ultimo l'Esistenza dà
anch'essa origine ad altre categorie subordinate , come realtà, necessità , La
terza parte della Logica ( o della Esologia ) cerettiana, cioè l'Autologia, si
fonda, sviluppa e sistematizza in tre categorie fon damentali, che son quelle
di Sapere, Volere, Agire, ( Scire, Velle, Agere ), le quali sono in
corrispondenza di quelle che ricorrono nella terza parte della Logica
hegeliana, e che sono l'Idea del conoscere (die Idee des Erkennens ), l'idea
del bene ( die Idee des Guten ) e l'Idea assoluta ( die absolute Idee ). Va
però osservato che il volere e l'agire che in Hegel si congiungono nella Idea
del Bene , e costituiscono la Idea pratica , in Ceretti appariscono, al
contrario , come momenti e categorie distinte . Questa terza parte della Logica
del Ceretti è una delle più belle e ad un tempo una di quelle in cui il Ceretti
è come più originale e più indipendente da Hegel . Il modo rome il filosofo
intrese vede la distinzione, la relazione e la unificazione del Sa pere, del
Volere e dell'Agire è qualche cosa di profondo, di stu pendo e di vero , e lo
si vede più chiaramente e più determina tamente di quel che possa vedersi nel,
pure grandissimo, filosofo tedesco . Ciò viene dal perchè i tre momenti, che in
Hegel sono come ancora implicati e inviluppati, in Ceretti ricorrono come più
sviluppati e ad un tempo più sistemati . Il pensiero cerettiano dell'Autologia
è ( secondo che lo espressi nella mia Notizia degli scritti del pensiere
filosofico del Ceretti) che « l'Assoluto è la Coscienza logica che si
sistematizza in se stessa , per quindi sistemarsi fuori di sè ( 1 ) allo scopo
finale di sistemarsi in sè e per sè come assoluta unità di sè stessa. L'Au
tologia costituisce un sillogismo assoluto ( cioè una connessa tri plicità
assoluta ), i cui termini sono i predetti di Sapere , Volere , Agire. Nella
Coscienza assoluta il Sapere è l'essere del Volere, ( 1 ) Nel Volere c'è ,
infatti, esterîorazione del Saputo. IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 41 il volere è
l'essenza del Sapere, l'agire è l'esistenza del Volere ; e tutti e tre insieme
costituiscono l'unitrinità della Coscienza » . Anche le tre predette categorie
si distinguono e particolariz zano in altre . Il Sapere si svolge ne ' momenti
subordinati (i quali son categorie anch'essi) di Sapere immediato, mediato,
assoluto ; il Volere si distingue e particolarizza alla sua volta nelle forme
ca tegoriche di Volere subbiettivo , obbiettivo e assoluto ; e l'Agire nelle
sue corrispondenti di Agire attuoso ( agire come atto puro e semplice ), Agire
volonteroso e Agire concettuale ( 1 ). Questo è in breve il concetto e disegno
della prima parte della grande opera enciclopedica del nostro filosofo . La
seconda parte, quella del Logo fuori di sè o del Logo nella sua obbiettivazione
, cioè la Filosofia della Natura, ha avuta una estesissima trattazione ; e
trattazione in cui il nostro filosofo si mostra non poco originale ed
indipendente rispetto alla corri spondente parte della Enciclopedia hegeliana.
Essa è per noi italiani tanto più importante, in quanto non vi è in Italia ,
neppure presso i nostri filosofi maggiori moderni, una sola opera che , prima
di questa del Ceretti , meriti il nome di filosofia della Natura nel senso
ampio, vero e moderno della parola. Io ho scritto su questa parte della grande
opera cerettiana tre lunghissime Introduzioni ai tre volumi che vi si
riferiscono, le quali, riunite insieme e pubblicate sotto il titolo di
Filosofia della Natura di Pietro Ceretti, formano un'opera di ben 487 pagine; e
in questa ho ampiamente chiarita e dimostrata la verità di tutto ciò . Quanto
al cenno che posso farne qui, specialmente a cagione della vastità di
trattazione che ha nel Ceretti , esso non può con sistere in altro se non nella
pura e semplice indicazione del di segno, della materia e dell'andamento della
trattazione stessa . Premessa la determinazione della posizione e del concetto
della filosofia della Natura nel Sistema panlogico , egli passa alla
considerazione di un punto importantissimo, quello cioè della evo luzione
storica della concezione filosofica della natura , evoluzione che, secondo lui
, passa per tre gradi e corrispondenti forme della coscienza filosofica , la
forma estetico-teologica ( o sentimentale) la forma empirico -matematica ( o
intellettiva e riflessiva ) e la forma speculativa propriamente detta ( o
concetturale) . E fa in propo sito una stupenda rassegna storica di queste
forme, giungendo all'ultima , ossia alla hegeliana, alla quale egli si
riattacca, ulterior mente sviluppandola e riformandola in ciò che ha di
difettivo . Procede quindi alla partizione della Filosofia della Natura,
dividendola come abbiam detto in Meccanica , Fisica e Biologia , conformemente
alla Natura distinta in sè stessa in meccanica , fi ( 1 ) Queste tre azioni (o
funzioni ) categoriche dell’Agire il Ceretti le designa come Agere actum, Agere
voluntatem e Agere notionem . 42 CENOBIUM sica e biotica ( vivente ). Carattere
costitutivo della Natura mecca nica è la quantità, della fisica la qualità, e
della vivente l'unità della quantità e della qualità, la quale unità è poi la
modalità o la misura della medesima. Quanto all'unità inscindibile delle tre
parti distinte e de' corrispondenti tre ' caratteri della natura , sono
notevoli e riassuntive queste parole del filosofo intrese . Cioè : Il
meccanismo é ove è la fisica ( la natura fisica ), e la fisica é ove è il
meccanismo ; e se vi sono il meccanismo e la fisica, vi è anche la natura
vivente » . Ad intendere meglio il rapporto ed il corrispondente concetto
filosofico delle predette tre parti e de ' tre predetti corrispondenti
caratteri , il nostro filosofo arreca un esempio illustrativo , che è bene di
riprodurre anche qui . « Il meccanismo, dic'egli , suppone necessariamente
l'esteriorità reciproca dei suoi termini ; quando questa esteriorità , passata
nella sua interiorità , nella sua unità in separabile, trascenda sé a sè
esteriore, non versa più in un piano ( campo) meccanico, il quale ammetta per
sè alcuna intrinsecazione qualitativa della esteriorità meccanica, ma versa
propriamente nella natura fisica del meccanismo ( in mechanismi physi ), la
quale è la quantità passata nella sua qualità che deve esplicarsi. Così , ad
esempio, in qualunque modo supponiamo il ferro, diviso, figurato, posto in
movimento, ecc. , esso non cessa di essere ferro. E quando per azioni esterne,
come ad esempio, per l'ossidazione, cessi di essere ferro, non consideriamo
tali azioni come meccaniche, perchè due modi della materia (l'ossigeno e il
ferro) sono divenuti un solo modo (neutrale), il quale non ammette più alcuna
coalterio rità esterna ( 1 ) di fattori (essenzialissima al meccanismo, ma è in
sè l'unità qualificata de' quanti , la natura fisica del meccanismo » . La
quale unità è poi la vita, ossia , quel « principio , com'ei dice , grazie al
quale l'alteriorità meccanica si neutralizza fisicamente , e la neutralità
fisica si alteriora ( si fa altra ) meccanicamente : il che , in quanto è nella
circoscrizione essologica ( naturale) , è la vita » . Ciò posto , egli ,
concependo la natura meccanica o il « mec canismo come il sistema della
quantità » , passa alla reale consi derazione e corrispondente sistemazione filosofica
di tutti i prin cipii (detti anche categorie naturali ) della medesima come
spazio , tempo, moto , ecc. Conformemente a ciò , concependo la natura fi sica
parimenti come il sistema della qualità » , svolge i principii o categorie
naturali di essa, come etere ( o materia eterea) , luce calore, magnetismo,
elettricità ecc. E s'intende che ciò che è detto della natura meccanica e della
fisica, va detto anche della natura sivente, della quale, come unità concreta
delle due antecedenti, si vvolgono, determinano e sistematizzano i
corrispondenti principii e momenti. Questi principii , coi relativi sistemi
vitali , sono nella loro generalità e progressività evolutiva la vita cosmica
od uranica, la vita geologica e la vita fito -zoologica. ( 1 ) Per questa
intende la predetta reciproca esteriorità de' termini . IL FILOSOFO PIETRO
CERETTI 43 La vastità di conoscenza delle discipline naturali non che la forza
speculativa ch'ei mostra nell'intenderne e collocarne i prin cipii nel suo
vasto disegno del Sistema pantologico sono tali da fare del Ceretti una delle
menti filosofiche più vaste e più profonde del nostro paese. Col terzo volume
della Filosofia della Natura, che è il quinto della grande opera panlogica,
questa rimase interrotta ; però se rimase interrotta, la iattura non è stata nè
intera nè irreparabile. Giacchè i cenni e relativi concetti riformativi anche
della terza parte del sistema panlogico già delineati primamente ne' Prole
gomeni, poscia qua e là considerati negli stessi quattro susseguenti volumi ,
son tali e tanti da potersi fare un concetto chiaro e de terminato anche di
esso. Ma, per giunta ed ulteriore integrazione di questa, l'autore ha lasciato
in italiano due opere (scritte dopo dell'opera latina) , che concernono proprio
questa terza parte, cioè le due già mentovate intitolate , l'una,
Considerazioni sopra il si stema generale dello spirito ecc. ( Torino 1885),
l'altra , Sinossi del l'enciclopedia speculativa ( Torino 1890, da me
pubblicata e con mie note ed introduzione) . Un brevissimo cenno anche di
questa terza parte è il seguente: Quanto al concetto , obbietto e partizione di
essa, rappresen tando la prima parte la subbiettività del Logo o della
Coscienza assoluta , e la seconda la obbiettività , questa terza rappresenta
l'assoluta unità delle medesime : assoluta unità , che vien cosi ad essere la
Coscienza subbiettiva obbiettivata e ad un tempo la Co scienza obbiettiva
subbiettivata. Or questa Coscienza risultata tale è ciò che il Ceretti (
conformemente ad Hegel) appella comune mente anche Spirito, il quale è appunto
l'obbietto di questa parte da lui denominata Sinautologia. Intanto , siccome lo
Spirito , benchè già sorgente nella stessa animalità , pur non giunge alla sua
reale manifestazione, esistenza e verità (1 ) se non nella umanità , così
divien questa lo speciale obbietto della Sinautologia. La quale perciò è dal
nostro filosofo , designata come speculante l'Uomo, primamente nella
Subbiettività secondamente nella Obbiettività, e in terzo luogo nella Assolu
tezza del medesimo : Assolutezza, che è l'unità della Subbiettività e
dell'Obbiettività. Di questa triplice considerazione, o meglio speculazione, la
prima costituisce ciò che egli chiama l'Antropolo gia, la seconda
l'Antropopedeutica, la terza, l'Antroposofia. I lettori che conoscono la
dottrina hegeliana vedranno tosto la simiglianza della dottrina cerettiana
colla dottrina hegeliana dello Spirito, distinta in quella di Spirito
subbiettivo, spirito ob biettivo e Spirito assoluto . Senonché, se c'è
simiglianza nella ge nerale concezione, c'è anche una notevole differenza nella
partico ( 1 ) L'uomo, dice il Ceretti , è la concreta verità dello Spirito (
Homo est spiritus concreta veritas ) . 44 CENOBIUM lare trattazione della
medesima. Per dire ancora qualche cosa della concezione e partizione cerettiana
della predetta Sinautologia rileverò che l'Antropologia considera l'Uomo come
Subbietto gene rale . E come tal Subbietto consiste dell'elemento fisico o
corporeo e dell'elemento metafisico ( come il Ceretti lo chiama) ossia ani mico
, così essa è primamente Psicofisiologia ; indi considera nel generale
subbietto umano l'elemento, dirò così specificamente umano, ossia la mente, ed
è Noologia ; in terzo luogo , la mente, o l'attività teoretica , si realizza
come attività pratica e allora l’An tropologia nel suo terzo momento è
Prasseologia o dottrina del l'azione (spirituale) . La Psicofisiologia, la
Noologia e la Prasseo logia hanno alla lor volta principii , ossia momenti
subordinati , e vengono anche questi considerati , accolti e sistemati nella An
tropologia L'Antropopedeutica, all'opposto della Antropologia che consi sidera
l'Uomo subbiettivo, considera l'Uomo obbiettivo, ossia l'uomo nella
obbiettivazione della propria subbiettività : la quale obbiettivazione
costituisce , primamente, la dialettica mondiale u mana e produce ciocchè si
appella la Storia ; è in secondo luogo « il Logo sistematico della dialettica
obbiettiva » , che in senso lato è ciocchè si appella la Didattica ; e in terzo
luogo è la « stessa obbiettività sistemata nel Subbietto » , che è quella che
si designa col nome di Diritto. Che anche queste tre parti
dell'Antropopedeutica (Storia, Di dattica, Diritto ), si sviluppino,
particolarizzino e sistematizzino in ulteriori sfere, attività , principii ,
ecc. , lo s'intende da sè ; e cosi viene assolta anche questa parte della
Sinautologia. E finalmente vien considerata e trattata l'ultima sfera di questa
, cioè l'Antroposofia, la quale ha che fare coll'Uomo considerato nella sua
assolutezza , ovvero nella sua Coscienza assoluta, e com prende la sua attività
artistica , religiosa e filosofica. L'Arte è la contemplazione e produzione del
bello, del buono e del vero me diante l'ispirazione estetica : la Religione e
l'apprensione, rivela zione e culto del divino, e tramezza la manifestazione
estetica e la concezione filosofica ; la Filosofia sviluppa la immediata ap
prensione religiosa nella mediata concezione del pensiero assoluto. La triplice
ed assoluta attività dello spirito , artistica , religiosa e filosofica costituisce
l'ultimo e supremo sillogismo del Logo as soluto o della Coscienza assoluta , e
con esso si chiude il Sistema panlogico. Tale è in nuce il vasto pensiere
filosofico cerettiano e la vasta esecuzione del medesimo. Per ciò che è
riferito in queste poche pagine rimando il let tore ai miei molteplici lavori
intorno al Ceretti, specialmente alla « Notizia degli scritti e del pensiere
filosofico » di Pietro Ceretti, non che alla « Filosofia della Natura » del
medesimo. E sog giungo e annunzio qui volentieri che intorno a quest'uomo, che
IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 45 ha occupato due decenni di studi della mia vita ,
son presso a finire l'ultima mia opera : opera che consiste in una estesa e par
ticolareggiata esposizione di tutto intero il suo Sistema panlogico , compresa
la Sinautologia. Ho forse speso intorno a lui più tempo di quel che conveniva
per i miei propri studî e lavori ; ma non me ne pento, non solo perchè egli è
stato di giovamento a questi stessi , ma specialmente perchè ho contribuito a
far conoscere un uomo, che fa onore grandissimo alla filosofia in genere e alla
filosofia italiana in ispecie. ‘Alessandro Goreni’. Pietro Ceretti. Keywords:
communication, convention, homo sapiens, pirothood, inter-subjective,
animality, animalness, soul, psichico, psychic, psychical versus psychological,
progression, pirotological progression. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Ceretti” – The Swimming-Pool Library.
CERONETTI (Torino).
Filosofo. Grice: “I like Ceronetti; he is a typicall Italaian philosopher; that
is, a typically anti-Oxonian one; he thinks, like Croce and de Santis did, that
philosophy is an infectious disease that some literary types catch! My
favourite of his tracts is “Diognene’s torch”! Genial!” Per essere io morto
all'Assoluto vivo come un innato parricida tra gente già di padre nata priva; pPer
aver detto all'Inaccessibile addio da un cortiletto senza luce vergogna vorrei
gridarmi ma resto muto. Tutto è dispersione, lacerazione, separazione, rotolare
di ruota senza carro, e questo ha nome esilio, o anche mondo. Di vasta
erudizione e di sensibilità umanistica, collabora con vari giornali. Tra le sue
opere più significative vanno ricordate le prose di Un viaggio in Italia e
Albergo Italia, due moderne descrizioni, moderne e direi dantesche, da cui vien
fuori tutto l'orrore del disastro italiano, e le raccolte di aforismi e
riflessioni Il silenzio del corpo e Pensieri del tè. Di rilievo la sua attività
di saggista (Marziale, Catullo, Giovenale, Orazio). Diede vita al teatro dei
Sensibili, allestendo in casa spettacoli di marionette. Le sue marionette
esordivano su un piccolo palcoscenico, nel tinello di casa Ceronetti, ad Albano
Laziale. Si consumavano tè, biscottini (i crumiri di Casale) e mele
cotte." Nel corso degli anni vi assisterono personalità quali
Montale,Piovene, e Fellini. Con la rappresentazione de La iena di San Giorgio,
I Sensibili divenne pubblico e itinerante. In Difesa della Luna, e altri
argomenti di miseria terrestre, suo saggio d'esordio critica il programma
spaziale da prospettive originali e poetiche. Il fondo Guido Ceronetti --
"il fondo senza fondo" -- raccoglie infatti un materiale ricchissimo
e vario: opere edite e inedite, manoscritti, quaderni di poesie e traduzioni,
lettere, appunti su svariate discipline, soggetti cinematografici e
radiofonici. Vi si trovano, inoltre, numerosi disegni di artisti (anche per I Sensibili),
opere grafiche, collage e cartoline. Con queste ultime fu allestita la mostra
intitolata Dalla buca del tempo: la cartolina racconta. Prese posizione a
favore dell'eutanasia, con la poesia La ballata dell'angelo ferito. Beneficiario
della legge Bacchelli, in quanto cittadino che ha illustrato la Patria e versante
in condizioni di necessità economica. Robbe-Grillet, Moravia e Ceronetti
al Premio letterario internazionale Mondello. Palermo Proposto dal controverso
critico e politico Sgarbi come senatore a vita a Napolitano, declina subito
l'invito. Attento alle tematiche ambientali, era noto per essere un acceso
sostenitore del vegetarismo e per una pratica di vita estremamente frugale,
quasi da moderno anacoreta. Solo un vero vegetariano è capace di vedere
le sardine come cadaveri e la loro scatola come una bara di latta. Un
mangiatore di carne (non mi sento di scrivere un carnivoro perché l'uomo non è
un carnivoro) neanche se lo chiudono nel frigorifero di una macelleria avrà la
sensazione di coabitare con dei cadaveri squartati. C'è come un velo sulla
retina dei non vegetariani, quasi un materializzarsi di un velo sull'anima, che
gli impedisce di vedere il cadavere, il pezzo di cadavere cotto, nel piatto di
carne o di pesce. Alcuni suoi articoli sull'immigrazione (disse che ha "un
carattere preciso di invasione territoriale, premessa sicura di guerra sociale
e religiosa") e il Meridione, pubblicati sui quotidiani La Stampa e Il
Foglio, furono tacciati di razzismo, così come scalpore fecero alcune posizioni
da lui espresse sull'omosessualità maschile, accusate di omofobia. In
precedenza sull'argomento si era attirato gli strali dei cattolici per aver
descritto don Bosco come un omosessuale represso. Intervistato nel per Radio Radicale Come articolista,
principalmente su La Stampa e il Corriere della Sera, si occupava spesso di
letteratura, arte, filosofia, costume e cronaca nera (ad esempio scrivendo sul
caso del delitto di Novi Ligure), analizzando il problema del male nel mondo
odierno in una prospettiva gnostica; al contrario giudicava noiosi i processi
di mafia. Notevoli discussioni suscitò, altresì, un suo intervento
giornalistico a difesa del capitano delle SS Erich Priebke (che visitò in
carcere e con cui ebbe uno scambio epistolare), condannato all'ergastolo per la
strage delle Fosse Ardeatine ma che fu soltanto un mero funzionario esecutore,
colpevole della "miseria di non essere un santo" (parafrasi del
saggio di Bloy La tristezza di non essere santi), e creato Mostro delle
Ardeatine, vittima di una giustizia dell'odio. Allo stesso modo, pur esprimendo
sempre la sua simpatia per gli ebrei e per Israele, per convinzioni personali e
la sua parentela acquisita con Giuliana Tedeschi, definì l'ergastolo inflitto a
Hess, al processo di Norimberga, come un crimine politico. La sua posizione
anticonformista pro-Priebke e pro-Hess fece scandalo essendo l'autore un noto
filosemita, con moglie e suocera (superstite di Auschwitz) ebree nonché
convinto filoisraeliano (scrisse articoli di fuoco contro Khomeini e il
terrorismo palestinese). Nel fu
insignito del premio "Inquieto dell'anno" a Finale Ligure. Ostile
al fascismo nella seconda guerra mondiale e al comunismo poi, ma anche
diffidente delle forme della democrazia, non prese mai parte politica attiva, a
parte un brevissimo periodo in cui ebbe la tessera del Partito Socialista dei
Lavoratori Italiani, fino al , quando intervenne al congresso dei Radicali
Italiani, movimento liberale e libertario, e altre volte ai microfoni di Radio
Radicale (era amico di Marco Pannella), anche se si considerava un
"conservatore" e patriota del Risorgimento (descrisse
l'Italia come «una democrazia strangolata sul nascere da tre poteri con il
verme totalitario, democristiano, comunista e sindacale»). Talvolta fu definito
come un "reazionario postmoderno". «Sono sempre stato anticomunista. Il
Mullah Omar e Osama Bin Laden sono modi dell'antiumano. Dietro di loro... l'ombra
di Lenin, inviato della Tenebra, fondatore imitabile dell'universo
concentrazionario, capostipite novecentesco di malvagie entità che non
finiscono di manifestarsi.» (Ti saluto mio secolo crudele) Nel propose in un articolo su la Repubblica, ispirandosi
al fenomeno delle assistenti sessuali per disabili, l'istituzione di un
"servizio erotico volontario" rivolto agli anziani senza che
dovessero rivolgersi a prostitute, per evitare "la barbarie di una
vecchiaia senza sesso". Fece uso di vari pseudonimi, tra i quali Mehmet
Gayuk, il filosofo ignoto (riferimento a Louis Claude de Saint-Martin, filosofo
così chiamato), Ugone di Certoit (quasi l'anagramma di Guido Ceronetti) e
Geremia Cassandri. Morì nella sua casa di Cetona (SI) dopo un breve
ricovero a causa di broncopolmonite. Come da disposizione testamentaria, dopo
tre giorni e una cerimonia religiosa a Cetona, fu sepolto sulle colline tra
Torino e il Monferrato, in una tomba a terra situata nel cimitero di Andezeno
(Torino), il paese di origine dei genitori. Disposizione da prendere. Non
voglio donne in calzoni ai miei funerali. Cacciatele via. Almeno in questa pur
insignificante occasione, ma per amore, siano insottanate come le ho sognate
sempre, nella vita.» Altre opere: “Difesa della luna e altri argomenti di
miseria terrestre” (Rusconi, Milano); “Aquilegia, illustrazioni di Erica Tedeschi,
Rusconi, Milano, con il titolo Aquilegia. Favola sommersa, Einaudi, Torino); La
carta è stanca” (Adelphi, Milano); La musa ulcerosa: scritti vari e inediti,
Rusconi, Milano); Il silenzio del corpo. Materiali per studio di medicina,
Adelphi, Milano); La vita apparente, Adelphi, Milano); Un viaggio in Italia, Einaudi,
Torino); Albergo Italia, Einaudi, Torino); Briciole di colonna. La Stampa,
Torino); Pensieri del tè, Adelphi, Milano); L'occhiale malinconico, Adelphi,
Milano); La pazienza dell'arrostito. Giornali e ricordi, Adelphi, Milano); D.D.
Deliri Disarmati, Einaudi, Torino); Tra pensieri, Adelphi, Milano); Cara
incertezza, Adelphi, Milano); Lo scrittore inesistente, La Stampa, Torino, Briciole
di colonna. Inutilità di scrivere, La Stampa, Torino, La fragilità del pensare.
Antologia filosofica personale Emanuela Muratori, BUR, Milano); La vera storia
di Rosa Vercesi e della sua amica Vittoria, Einaudi, Torino, N.U.E.D.D. Nuovi
Ultimi Esasperati Deliri Disarmati, Einaudi, Torino); Piccolo inferno torinese,
Einaudi, Torino); Oltre Chiasso. Collaborazioni ai giornali della Svizzera
italiana, Libreria dell'Orso, Pistoia, 2004, La lanterna del filosofo, Adelphi,
Milano); Centoventuno pensieri del Filosofo Ignoto, La Finestra editrice,
Lavis); Insetti senza frontiere, Adelphi, Milano); In un amore felice. Romanzo
in lingua italiana, Adelphi, Milano, , Ti saluto mio secolo crudele. Mistero e
sopravvivenza del XX secolo, illustrazioni Guido Ceronetti e Laura Fatini,
Einaudi, Torino, , L'occhio del barbagianni, Adelphi, Milano, , Tragico
tascabile, Adelphi, Milano, , Per le strade della Vergine, Adelphi, Milano, ,
Per non dimenticare la memoria, Adelphi, Milano, , Regie immaginarie, Einaudi,
Torino, Guido Ceronetti, Poesia Nuovi salmi. Psalterium primum, Pacini
Mariotti, Pisa); La ballata dell'infermiere, Alberto Tallone Editore,
Alpignano, Poesie, frammenti, poesie separate, Einaudi, Torino, 1968 Premio
Viareggio; Opera Prima; Poesie: Corbo e Fiore, Venezia); Poesie per vivere e
per non vivere, Einaudi, Torino, Storia d'amore ritrovata nella memoria e altri
versi, illustrazioni di Mimmo Paladino, Castiglioni & Corubolo, Verona); Compassioni
e disperazioni. Tutte le poesie, Einaudi, Torino, Disegnare poesia (con Carlo
Cattaneo), San Marco dei Giustiniani, Genova, Scavi e segnali. Poesie inedited,
Alberto Tallone, Alpignano, Andezeno, Alberto Tallone Editore, Alpignano, La
distanza. Poesie, Edizione riveduta e aggiornata dall'Autore, BUR, Milano, Preghiera
degli inclusi, Alberto Tallone Editore, Alpignano, senza data Francobollo,
Alberto Tallone Editore, Alpignano (sotto lo pseudonimo Mehmet Gayuk), Il
gineceo, Alberto Tallone, Alpignano, febbraio 1998; Adelphi, Milano, In
memoriam di Emanuela Muratori, Alberto Tallone, Alpignano, Messia, Tallone,
Alpignano, Adelphi, Milano, , [nella prima parte del libro] Tre ballate recuperate
dalle carte di Lugano, Alberto Tallone, Alpignano, Tre ballate popolari per il
Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone, Alpignano; Pensieri di calma a bordo di
un aereo che sta precipitando, Alberto Tallone, Alpignano; A Roma davanti al
Tulliano Notte del 3 dicembre 63 a. C., Alberto Tallone, Alpignano, Con
l'armata dell'Ebro morire oggi, Alberto Tallone, Alpignano; Invocazione al
Dottor Buddha perché venga e ci salvi, Alberto Tallone, Alpignano; Le ballate
dell'angelo ferito, Il Notes magico, Padova, Poemi del Gineceo, Adelphi,
Milano, , [riedizione de Il gineceo con
inediti e nuova prefazione] Sono fragile sparo poesia, Einaudi, Torino, ,
Drammaturgia Furori e poesia della Rivoluzione francese. Carte Segrete, Roma,
Alcuni esperimenti di circo e varietà. Teatro Stabile-Teatro dei
Sensibili, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Mystic Luna Park. Teatro
Stabile-Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Mystic Luna
Park. Spettacolo per marionette ideofore, ricordi figurativi di Giosetta
Fioroni, Becco Giallo, Oderzo, 1988 Viaggia viaggia, Rimbaud!, Il melangolo,
Genova, La iena di San Giorgio. Tragedia per marionette, Alberto Tallone, Einaudi,
Torino); Il volto (Ansiktet), Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone Editore,
Alpignano, Le marionette del Teatro dei Sensibili, Aragno, Torino [contiene: I
Misteri di Londra e Mystic Luna Park] Rosa Vercesi, un delitto a Torino negli
anni Trenta, Teatro Strehler-Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone, Alpignano, Rosa
Vercesi, illustrazioni di Federico Maggioni, Edizioni Corraini, Mantova;
Traduzioni e curatele Marziale, Epigrammi, introduzione di Concetto Marchesi,
Einaudi, Torino, II ed. riveduta, Einaudi, Torino; nuova edizione con un saggio
di G. Ceronetti, Einaudi, Torino; nuova ed. riveduta e nuova prefazione di G.
Ceronetti, La Finestra Editrice, Lavis, I Salmi, Einaudi, Torino; nuova ed.
riveduta, Einaudi, Torino; col titolo Il Libro dei Salmi, Adelphi, Milano,
1985, Catullo, Le poesie, Einaudi, Torino, Adelphi, Milano, . Maurice Blanchot,
Il libro a venire (Le Livre à venir), trad. G. Ceronetti e Guido Neri, Einaudi,
Torino; Il Saggiatore, Milano, . Qohelet o l'Ecclesiaste, Einaudi, Torino, Alberto
Tallone Editore, Alpignano, nuova traduzione ; Qohelet. Colui che prende la
parola, Adelphi, Milano, Decimo Giunio
Giovenale, Le Satire, Einaudi, Torino, La Finestra Editrice, Trento, Il Libro
di Giobbe, Adelphi, Milano, Premio Monselice di traduzione, nuova ed. riveduta,
Adelphi, Milano, Cantico dei cantici, Adelphi, Milano, Alberto Tallone Editore,
Alpignano, nuova versione riveduta, . Il Libro del Profeta Isaia, Adelphi,
Milano; nuova ed. riveduta e ampliata, Adelphi, Milano, Come un talismano.
Libro di traduzioni, Adelphi, Milano, 1986. Konstantinos Kavafis, Nel mese di
Athir, Edizioni dell'elefante, Roma. Konstantinos Kavafis, Tombe, Edizioni
dell'Elefante, Roma, Giovenale, Le donne. Satira sesta, Alberto Tallone
Editore, Alpignano, Nostradamus: annunciatore nel secolo 16. della Rivoluzione
che durerà dal 1789 al 1999 / profezie estratte dalle Centurie di Michel de
Nostredame, Alpignano, Alberto Tallone Editore, Tango delle capinere, Castiglioni
& Corubolo, Verona. Due versioni inedite da Shakespeare e da Céline, Cursi,
Pisa, Teatro dei sensibili, La rivoluzione sconosciuta. Pensieri in libertà per
ricordare. Una scelta di testi Guido Ceronetti, Tallone, Alpignano, col titolo
La rivoluzione sconosciuta, Adelphi, Milano, raccolta di 44 locandine teatrali
a fogli sciolti dalla mostra-spettacolo di Dogliani] Henry d'Ideville, Oggi,
Alberto Tallone, Alpignano, senza data. Constantinos Kavafis, Poesia, Alberto
Tallone, Alpignano, senza data Georges Séféris, Poesia, Alberto Tallone,
Alpignano, senza data. Sofocle, Edipo Tyrannos. Coro, Edizioni dell'Elefante,
Roma (con Cristina Chaumont) Sura 99. Al Zalzala (Il tremito della terra) dal
Corano, calligrafia di Mauro Zennaro, Edizioni dell'Elefante, Roma, Il Pater
noster. Matteo 6, calligrafia di Mauro Zennaro, Edizioni dell'Elefante, Roma, Léon
Bloy, Dagli ebrei la salvezza, con un saggio di G. Ceronetti, traduzione di
Ottavio Fatica e Eva Czerkl, Piccola Biblioteca n. 330, Adelphi, Milano, Giorni
di Kavafis. Poesie di Constantinos Kavafis, Officina Chimerea, Verona, Messia,
Alberto Tallone Editore, Alpignano; Adelphi, Milano, .nella seconda parte del
libro, Siamo fragili, Spariamo poesia. i poeti delle letture pubbliche del
Teatro dei Sensibili , Qiqajon, Magnano, 2003 Tito Lucrezio Caro, I terremoti.
De Rerum Natura. Alberto Tallone, Alpignano, Constantinos Kavafis, Un'ombra
fuggitiva di piacere, Adelphi, Milano, Trafitture di tenerezza. Poesia
tradotta, Einaudi, Torino, François Villon, I rimpianti della bella Elmiera,
Alberto Tallone Editore, Alpignano, . Orazio, Odi. Scelte e tradotte da Guido
Ceronetti, Adelphi, Milano, . Epistolari Guido Ceronetti e Giosetta Fioroni,
Amor di busta, Milano, Archinto, Due cuori una vigna. Lettere ad Arturo
Bersano, Prefazione di Ernesto Ferrero, Padova, Il Notes Magico, Guido
Ceronetti e Sergio Quinzio, Un tentativo di colmare l'abisso. Lettere, Milano,
Adelphi, . Spettacoli del Teatro dei Sensibili La Iena di San Giorgio. Tragedia
per marionette (allestito in appartamento), prodotto dal Teatro Stabile di
Torino, con Ariella Beddini, Simonetta Benozzo, Paola Roman e
Manuela Tamietti, regia di Egon Paszfory (Guido Ceronetti), scene e costumi di
Carlo Cattaneo Macbeth (spettacolo per marionette allestito in appartamento) Lo
Smemorato di Collegno (anni '70, spettacolo per marionette allestito in
appartamento) Diaboliche imprese, trionfi e cadute dell'ultimo Faust (spettacolo
per marionette allestito in appartamento); Fu interpretato al Festival di
Spoleto da Piera degli Esposti, Paolo Graziosi e Roberto Herlitzka, con la
regia, scene e costumi di Enrico Job I misteri di Londra (allestito in
appartamento); prodotto dal Teatro Stabile di Torino, regia di Manuela
Tamietti, con Patrizia Da Rold (Artemisia), Luca Mauceri (Baruk), Valeria Sacco
(Egeria), Erika Borroz (Remedios) e le marionette del Teatro dei Sensibili.
Furori e poesia della rivoluzione francese. Tragedia per marionette (allestito
in appartamento); al Teatro Flaiano di Roma con i burattini di Maria Signorelli
Omaggio a Luis Buñuel prodotto dal Teatro Stabile di Torino, Mystic Luna Park (prodotto
dal Teatro Stabile di Torino), spettacolo per marionette ideofore con Armida
(Nicoletta Bertorelli), Demetrio (Guido Ceronetti), Irina (Laura Bottacci),
Norma (Paola Roman), Yorick (Ciro Buttari) La rivoluzione sconosciuta,
mostra-spettacolo all'ex-convento dei carmelitani a Dogliani Viaggia
viaggia, Rimbaud! (prodotto dal Teatro Araldo di Torino, in occasione del
centenario della morte di Arthur Rimbaud), regia di Jeremy Cassandri (Guido
Ceronetti) con Melissa (Manuela Tamietti), Norma (Paola Roman), Francisco (Gian
Ruggero Manzoni), Yorik (Ciro Bùttari) e Zelda (Roberta Fornier) Per un pugno
di yogurt, collage di poesie Les papillons névrotiques (al Cafè Procope di
Torino) con la partecipazione di Corallina De Maria La carcassa circense, spettacolo
per marionette, azioni mimiche, cartelli, organo di Barberia con Rosanna
Gentili e Bartolo Incoronato Il volto, dedicato a Ingmar Bergman in occasione
dei suoi ottant'anni Ceronetti Circus ovvero Casse da vivo in esposizione
pubblica, letture di poesia, azioni sceniche mimiche e intermezzi musicali con
Elena Ubertalli e Giorgia Senesi M'illumino di tragico, collage di testi e
pantomime liriche; in tournée anche con il titolo I colori del tragico Rosa
Vercesi (prodotto dal Piccolo Teatro di Milano), con Paola Roman, Simonetta
Benozzo e Luca Mauceri Una mendicante cieca cantava l'amore (2006, prodotto dal
Piccolo Teatro di Milano) con Cecilia Broggini, Luca Maceri, Elena Ubertali e
Filippo Usellini Siamo fragili, spariamo poesia, collage di testi poetici,
ballate e canzoni Strada Nostro Santuario (prodotto dal Piccolo Teatro di
Milano) filastrocche, canzoni, ballate, azioni mimiche, happening e numeri di
repertorio popolare La pedana impaziente (), repertorio di marionette e azioni
sceniche mimiche Finale di teatro (, al Teatro Gobetti di Torino) con Fabio
Banfo, Luca Mauceri, Valeria Sacco, Eleni Molos, Filippo Usellini Pesciolini
fuor d'acqua (), con Luca Mauceri e Eleni Molos Quando il tiro si alzaIl sangue
d'Europa (prodotto dal Piccolo Teatro di Milano, in occasione del centenario
della prima guerra mondiale) con Eleni Molos, Elisa Bartoli, Filippo Usellini,
Luca Mauceri e Valeria Sacco Non solo Otello (al Teatro della Caduta di Torino)
Novant'anni di solitudine (, a Cetona in occasione dei novant'anni
dell'autore), con Luca Mauceri, Filippo Usellini, Eleni Molos, Valeria Sacco,
Fabio Banfo, Salvatore Ragusa e Elisa Bartoli Ceronettiade. Deliri e visioni di
Guido Ceronetti (, a Cetona in occasione dell'anniversario della nascita
dell'autore), con Luca Mauceri, Eleni Molos, Valeria Sacco, Filippo Usellini
Cataloghi di mostre L'Atelier dei Sensibili a Dogliani, Michela Pasquali,
Dogliani, Biblioteca civica Einaudi, (catalogo della mostra nell'ex Convento
dei Carmelitani a Dogliani). Dalla buca del tempo: la cartolina racconta. I
collages di cartoline d'epoca del Fondo Guido Ceronetti, cura di Diana Rüesch e
Marco Franciolli, Archivi di cultura contemporanea, Museo Cantonale d'Arte
Lugano, Poesia marionette e viaggi di Guido Ceronetti nelle visioni di Carlo
Cattaneo, Paolo Tesi e Maurizio Vivarelli, Comune di Pistoia, Dare gioia è un
mestiere duro: trent'anni più due di Teatro dei Sensibili di Guido Ceronetti,
Andrea Busto e Paola Roman, fotografie di Mario Monge, Marcovaldo, Nella gola
dell'Eone. Ti saluto mio secolo crudele. Immagini del XX secolo. Tutti i
collages di immagini dedicati al ventesimo dell'era da Guido Ceronetti, Il
melangolo, Genova, "Per le strade" di Guido Ceronetti, Omaggio allo
scrittore, Diana Rüesch e Karin Stefanski, Cartevive, Biblioteca cantonale,
Archivio Prezzolini-Fondo Ceronetti, Lugano, Opere audiovisive su Guido
Ceronetti I Misteri di Londra. Tragedia per marionette e attori, regia di
Manuela Tamietti, Teatro Stabile di Torino (riprese videografiche dello
spettacolo, Torino). Sulle rotte del sogno. Parole musiche storie, di Luca
Mauceri (cd e vinile EMA Records, Firenze ). Guido Ceronetti. Il Filosofo
Ignoto, film documentario di Francesco Fogliotti e Enrico Pertichini (Italia'),
prodotto con la collaborazione del Teatro dei Sensibili di Guido Ceronetti e
dei Cinecircoli giovanili socioculturali. Guido Ceronetti nei mass-media Cura
cinque Interviste Impossibili per la seconda rete radiofonica rai, in cui
"intervistò" Attila (Carmelo Bene), Auguste e Louis Lumière (Alfredo
Bianchini e Mario Scaccia), George Stephenson (Mario Scaccia), Jack Lo
Squartatore (Carmelo Bene) e Pellegrino Artusi (Mario Scaccia). Il cantautore
Vinicio Capossela, nella raccolta di brani dal vivo Nel niente sotto il
soleGrand tour, ha inserito come incipit della seconda traccia (Non
trattare)una registrazione di Guido Ceronetti che declama i primi versetti del
Qoelet. Note Ha usato per molti anni un
sigillo con scritto "In esilio" : Capossela intervista Ceronetti. 6
febbraio . Morto lo scrittore, in Corriere fiorentino, G. Ceronetti, Tra
pensieri, Adelphi, Milano, p.11 Paolo Di
Stefano, In morte. Raffaele La Capria, Ultimi viaggi nell'Italia perduta,
Mondadori, Milano, . Guido Ceronetti
morto, ripubblichiamo la sua ultima intervista al Fatto: “Sono un patriota
orfano di patria. Italia, regno della menzogna”
Nello Ajello, Ceronetti. Poesia in forma di marionette, La Repubblica, ricerca.repubblica/
repubblica/archivio/ repubblica ceronetti-poesia-in-forma-di-marionette.html Samantha, lo spazio e il signor Freud "Guido Ceronetti. L'inferno del
corpo", in Cioran, Esercizi di ammirazione, Adelphi, Milano, "Oggi una quantità delle mie carte è
partita per Lugano dove tutto entrerà a far partedegli archivi della Biblioteca
Cantonale." Per le strade della Vergine, Adelphi, Milano,«Urlate urlate
urlate urlate. / Non voglio lacrime. Urlate. Idolo e vittima di opachi riti/
Nutrita a forza in corpo che giace / Io Eluana grido per non darvi pace Diciassette
di coma che m'impietra Gli anni di stupro mio che non ha fine. Con Decreto del
Presidente della Repubblica (pubblicato nella G.U.) gli è stato infatti
attribuito un assegno straordinario vitalizio ai sensi della legge, l'aiuto
della legge Bacchellila Repubblica, in Archiviola Repubblica. Edizione,
"Il nostro meridionale è attaccato alla propria famiglia e nient'altro,
qualsiasi abbominio, qualsiasi sfacelo pubblico non arrivino a toccargli la
Famiglia non gli faranno il minimo solletico. Sono popoli incapaci di amare
disinteressatamente qualcosa perché bello, al di sopra dell'utile. La loro vera
patria la loro nostalgia prenoachide è il deserto e faticano da ubriachi a
ritrovarlo". La pazienza dell'arrostito, Adelphi, Milano, (comedonchisciotte. Org forum/
index.php?p=/discussion/ ceronetti-dal-mare-il- pericolo-senza-nome lessiconaturale/
migranti-e-prediche/)
(ilfoglio/preservativi/news/il-grande-pan-e-vivo) (ilfoglio/cultura/news/far-torto-o-patirlo) (ilfoglio/ preservativi/news/ deutschland-pressappoco-uber-alle,
Sugli sbarchi in Sicilia l'europeista Ceronetti dice, come altri non
oserebbero, che “hanno ormai un carattere preciso di invasione territoriale,
premessa sicura di guerra sociale e religiosa", Ceronetti, nel dolore si
nasconde una luce) Mario Andrea Rigoni,
Ma non bisogna confondere il nichilismo con il razzismo, Corriere della Sera, Guido
Almansi, Le leggende di Ceronetti, la Repubblica, L'innocente Priebke
L'invasione Africana; “Il male omosessuale” (Ceronetti dixit). Albergo Italia (Einaudi,
Torino), capitolo "Elementi per una anti-agiografia", Uno, cento, mille Ceronetti, Guido Ceronetti,
Priebke. Alcune domande intorno a un ergastolo, la Stampa Pietrangelo Buttafuoco, La pietas di
Ceronetti per Priebke, il Foglio, Sono sempre stato anticomunista, sempre, Forse,
subito dopo la guerra ho avuto una certa simpatia, però non mi sono iscritto al
partito il giorno dopo aver visto La corazzata Potëmkin, come innumerevoli
giovani. Antifascista non è neanche da dire, da quando ci si è risvegliati. Di
quel periodo non ho voglia di parlarne, ero tra i soliti ragazzini stupidoni
che andavano alle adunate, ma non c'è storia di anima o di pensiero o di
famiglia che riguardi il fascismo. I miei non erano fascisti né antifascisti,
erano bravi cittadini come tanti. (Corriere della sera). Si dice il responso
delle urne. Come se un popolo di cretini potesse fornire oracoli (Per le strade
della Vergine) la mia America: “Un
baluardo contro l’ideologia comunista” XIII
Congresso Radicali Italiani ilfoglio/preservativi/
prttttt-in-una-sigla-tutto-pannella- impenitente-ottimista-e-visionario (corriere/
cultura/guido-ceronetti-in-un-amore-felice
Chi era, fustigatore dei vizi degli italiani Riviste/ Su
“Cartevive” omaggio, reazionario postmoderno
CERONETTI: ‘METTIAMO FINE ALLA BARBARIE DELLA VECCHIAIA SENZA SESSO: PER
DISABILI E CARCERATI QUALCOSA SI È MOSSO MA PER I VECCHI MASCHI SI MUOVERÀ MAI
QUALCUNO? LA PROPOSTA: UN SERVIZIO EROTICO VOLONTARIO PER GLI OVER 70! Abiterò
per tre mesi al N. 4 di via Giolitti a Torino, per mettere in scena col Teatro
dei Sensibili La Iena di San Giorgio. Sulla porta metto quest'altro mio nome:
Geremia Cassandri. La pazienza dell'arrostito. Giornale e ricordi, Milano,
Adelphi, Premio letterario Viareggio-Rèpaci, su premioletterario
viareggiorepaci. I VINCITORI DEL PREMIO “MONSELICE” PER LA TRADUZIONE ,
su biblioteca monselice, Alberto Roncaccia, Guido Ceronetti. Critica e
poetica (Bulzoni, Roma) Emil Cioran, Esercizi di ammirazione ( Adelphi, Milano,
Guido Ceronetti. L'inferno del corpo) Giosetta Fioroni, Marionettista. Guido
Ceronetti e il Teatro dei Sensibili secondo l'alchimia figurativa (Corraini,
Mantova) Giovanni Marinangeli, Guido Ceronetti. Il veggente di Cetona
(Fondazione Alce Nero, Isola del Piano) Fabrizio Ceccardi, Il Teatro dei
Sensibili (Corraini, Mantova) Andrea De Alberti, Il Teatro dei Sensibili di
Guido Ceronetti (Junior, Bergamo) Marco Albertazzi, Fiorenza Lipparini, La luce
nella carne. La poesia (La Finestra Editrice, Lavis) Masetti, A. Scarsella, M.
Vercesi , Pareti di carta. Scritti su Guido Ceronetti (Tre Lune, Mantova), Ortese,
Le piccole persone (Adelphi, Milano). Lattuada, Frammenti di una luce
incontaminata in Guido Ceronetti, La Finestra Editrice, Lavis, Emil Cioran Gnosticismo moderno. Ma io diffido dell'amore universale Guido
Ceronetti, la Repubblica, Archivio. L’ultimo bardo gnostico che cantava il
dolore per la bellezza perduta. Morto il più irregolare degli scrittori
italiani. Ernesto Ferrero, La Stampa, V D M Vincitori del Premio Grinzane
Cavour per la narrativa italiana V D M Vincitori del Premio "Città di
Monselice" per la traduzione letteraria V D M Vincitori del Premio Flaiano
per la narrative. Guido Ceronetti. Keywords: la lantern di Diogene, poesia latina,
Catullo, Marziale, Orazio, Giovenale, il filosofo ignoto, la pazienza del … --.
Aforismi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ceronetti” – The Swimming-Pool
Library.
CERRONI (Lodi).
Filosofo. Grice: “I like Cerroni; he is very Italian: what other philosopher –
surely not at Oxford – would philosoophise on the precocity of Italian
identity? But his more general philosophical explorations may interest the
Oxonian who is not into “Italian studies”! – My favourites are his “Logic and
Society,” which reminds me of my “Logic and Conversation.” Then he has a
‘dialectiics of feelings,’ which is what all my philosophy of communication is
about; he has also philosophised on anti-contractualist philosophers like
Benjamin Constant --!” Studia a Roma con Albertelli e si laurea in Filosofia
del diritto. Ottenne la libera docenza in Filosofia del diritto e
l'incarico di Storia delle dottrine economiche e di Storia delle dottrine
politiche all'Lecce. Divenne professore di ruolo di Filosofia della
politica e ha insegnato a Salerno e all'Istituto Universitario Orientale di
Napoli. Ha insegnato per piùdi venti anni Scienza della politica nella Facoltà
di Sociologia dell'Università "La Sapienza" di Roma. Sempre
all'Università "La Sapienza" di Roma, era stato nominato professore emerito. Macerata
gli conferisce la laurea honoris causa in Scienze politiche. Altre opere:
“Problemi attuali di storia dell'agricoltura dell'U.R.S.S.” (Milano : Ed.
Centro Per La Storia Del Movimento Contadino); “Il sistema elettorale
sovietico” (Roma: Tip. dell'Orso); “Legge sull'ordinamento giudiziario
dell'U.R.S.S.” (Roma : Ed. Associazione Italia-U.R.S.S, sezione giuridica (Tip.
Sagra, Soc. arti grafiche riproduzioni artistiche) Recenti studi sovietici su
problemi di teoria del diritto” Bologna); Sul carattere dei movimenti contadini
in Russia nei secoli 17. e 18.” (Milano : Movimento Operaio); Studi sovietici
di diritto Internazionale : A cura della sezione giuridica della associazione
Italia-urss. [presentazione di Umberto Cerroni, Roma : Tip. Martore e Rotolo); La
dottrina sovietica e il nuovo codice penale dell'URSS / Umberto Cerroni.S.l. (Bologna
: STEB) Poeti sovietici d'oggi, Roma : Tip. Studio Tipografico, Per lo sviluppo
degli studi storici sulla Russia, Bologna : STEB); Diritto ed economia : rilevanza
del concetto marxiano di lavoro per una teoria positiva del diritto / Umberto
Cerroni.Milano : Giuffrè); Idealismo e statalismo nella moderna filosofia
tedesca, Milano : Giuffrè); Individuo e persona nella democrazia / Umberto Cerroni.Milano
: Giuffrè); “Il problema politico nello Stato moderno / Umberto Cerroni.Milano
: Giuffrè); Diritto e sociologia / Umberto Cerroni. Kelsen e Marx / Umberto
Cerroni.Milano : Giuffrè); L'etica dei solitari / Umberto Cerroni.Milano :
Giuffrè); Lenin e il problema della democrazia moderna : saggi e studi (Roma :
NAVA) Parlamento e società / Umberto Cerroni. Edizioni giuridiche del lavoro); La
prospettiva del comunismo / K. Marx, F. Engels, V.I. Lenin Roma : Editori
Riuniti); Ritorno di Jhering: Edizioni giuridiche del lavoro, (Città di
Castello : Unione arti grafiche) Sulla storicità della distinzione tra diritto
privato e diritto pubblico Milano : Giuffrè); La critica di Marx alla filosofia
hegeliana del diritto pubblico / Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); La filosofia
politica di Giovanni Gentile / Umberto Cerroni. (Novara : Tip. Stella Alpina)
La nuova codificazione penale sovietica / Umberto Cerroni. Edizioni giuridiche
del lavoro); Concezione normativa e concezione sociologica del diritto moderno
/ Umberto Cerroni.S.l. : Edizioni giuridiche del lavoro); Diritto e rapporto
economico / Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); Kant e la fondazione della
categoria giuridica / Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); Marx e il diritto
moderno / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Teorie sovietiche del
diritto / Stucka ...(et al.) ; Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); Saggi /
Benjamin Constant ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Samonà e Savelli); Il
diritto e la storia / Umberto Cerroni. Le origini del socialismo in Russia /
Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Il pensiero politico dalle origini ai
nostri giorni / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti, 1966 Un ouvrage recent
sur Marx et le droit : Umberto Cerroni , Marx e il diritto moderno, Rome, par
Michel Villey.[Paris] : Sirey); Che cos'è la proprietà ?, o, Ricerche sul
principio del diritto e del governo : prima memoria, Pierre-Joseph Proudhon ;
prefazione, cronologia, Umberto
Cerroni.Bari : Laterza); Considerazioni sullo stato delle scienze sociali :
relazioni sugli aspetti generali / Umberto Cerroni.[Milano : Centro nazionale
di prevenzione e difesa sociale, (Milano
: Tipografia Ferrari) La funzione rivoluzionaria del diritto e dello stato” (Torino
: Einaudi); Il pensiero politico dalle origini ai nostri giorni” (Roma, Editori
Riuniti); La rivoluzione giacobina / Maximilien Robespierre ; Umberto
Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Discorso sull'economia politica e frammenti
politici / Rousseau” (Bari : Laterza); La libertà dei moderni” (Bari : De
Donato); Metodologia e scienza sociale” (Lecce : Milella); Problemi della
legalità socialista nelle recenti discussioni sovietiche / Umberto Cerroni.Milano
: A. Giuffrè); “Sulla natura della politica : utopia e compromesso” (Milano :
Giuffrè); Considerazioni sullo stato delle scienze sociali”; Il metodo
dell'analisi sociale di Lenin” (Bari : Adriatica); Il pensiero giuridico
sovietico” (Roma : Editori Riuniti); La
questione ebraica” (Roma : Editori Riuniti); La società industriale e la
condizione dell'uomo” (Lecce : ITES); “Sul metodo delle scienze sociali: una
risposta” (Milano : Giuffrè); Principi di politica / Benjamin Constant ; Roma :
Editori Riuniti); Strade per la libertà” (Roma : Newton Compton); Tecnica e
libertà : conferenza tenuta al Lions club di Bari (Padova : Grafiche Erredici)
Tecnica e libertà / Umberto Cerroni.Bari : De Donato); Lavoro salariato e
capitale / Appunti sul salario e appendice di F. Engels ; Introduzione, cura e
note filologiche di Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton italiana,La societa industriale
e le trasformazioni della famiglia / U. Cerroni.Milano : Giuffrè); Salario,
prezzo e profitto / Karl Marx ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Newton
Compton); Stato e rivoluzione / Vladimir I. Lenin ; introduzione di Umberto
Cerroni.Roma : Newton Compton italiana); Teoria della crisi sociale in Marx :
Una reinterpretazione / Umberto Cerroni.Bari : De Donato); Strade per la
libertà / Bertrand Russell ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Newton
compton italiana); Discorso sull'economia politica e frammenti politici /
Rousseau ; traduzione di Celestino E. Spada ; prefazione di Umberto Cerroni.Bari
: Laterza); Caratteristiche del romanticismo economico / V. I. Lenin ;
prefazione di Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Kant e la fondazione
della categoria giuridica / Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); La libertà dei
moderni / Umberto Cerroni.Bari : De Donato); Marx e il diritto moderno /
Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Il pensiero di Marx / Antologia
Umberto Cerroni , con la collaborazione di Oreste Massari e Anna Maria Nassisi.Roma
: Editori Riuniti); Il pensiero politico dalle origini ai nostri giorni /
Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Saggio sui privilegi : che cosa e il
Terzo stato? / Emmanuel-Joseph Sieyes ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma :
Editori Riuniti); Lo sviluppo del capitalismo in Russia; Lenin ; introduzione
di Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); In memoria del manifesto dei
comunisti / Antonio Labriola ; Manifesto del partito comunista / Marx-Engels ;
introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton); La libertà dei moderni
/ Umberto Cerroni.2. ed.Bari : De Donato); Teoria politica e socialismo; Roma);
Il pensiero di Marx / antologia Umberto Cerroni ; con la collaborazione di
Oreste e Anna Maria Nassisi. 2. ed.Roma : Editori Riuniti); Teoria della crisi
sociale in Marx : una reinterpretazione (Bari : De Donato); Teoria politica e
socialismo” (Roma : Ed.Riuniti); Lavoro salariato e capitale / Karl Marx ; con
appunti sul salario e appendice di F. Engels ; introduzione, cura e note
filologiche di Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton); Marx e il diritto
moderno / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Il marxismo e l'analisi del
presente / Umberto Cerroni. Politica ed economia); Societa civile e stato
politico in Hegel” (Bari : De Donato); Salario, prezzo e profitto” (Karl Marx”
(Roma : Newton Compton italiana); Il lavoro di un anno : almanacco, Umberto
Cerroni.Bari : De Donato); Il pensiero di Marx / Karl Marx ; Roma : Editori
Riuniti); Il pensiero politico : dalle origini ai nostri giorni” (Roma :
Editori Riuniti); Il rapporto uomo-donna nella civiltà borghese, ed.Roma : Ed.
Riuniti); Scienza e potere / scritti di U. Cerroni ... <et al.>.Milano :
Feltrinelli); Stato e rivoluzione / Vladimir I. Lenin” (Roma : Newton Compton);
Lo sviluppo del capitalismo in Russia” (Roma : Editori Riuniti); La teoria
generale del diritto e il marxismo / Evgenij Bronislavovic Pasukanis ; con un
saggio introduttivo di Umberto Cerroni.Bari : De Donato); Introduzione alla
scienza sociale, Roma : Editori Riuniti); Lavoro salariato e capitale / Karl
Marx ; con appunti sul salario e appendice di F. Engels ; introduzione, cura e
note filologiche di Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton, Materialismo storico
e scienza / Umberto Cerroni.Lecce : Milella); Il rapporto uomo-donna nella
civilta borghese / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti, Salario, prezzo e
profitto / Karl Marx ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton); Sulla
storicità dell'eros : note metodologiche / Umberto Cerroni, Annarita Buttafuoco);
Crisi ideale e transizione al socialismo / Umberto Cerroni.Roma : Editori
Riuniti); Scritti economici / V. I. Lenin ; Umberto Cerroni.Roma : Editori
Riuniti); Stato e rivoluzione / Vladimir I. Lenin ; introduzione di Umberto
Cerroni.- Roma : Newton Compton); Carte della crisi : taccuino
politico-filosofico / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti, Crisi del
marxismo? / Umberto Cerroni ; intervista di Roberto Romani.Roma : Editori
Riuniti); Critica al programma di Gotha e testi sulla tradizione democratica al
socialismo / Karl Marx ; Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti, Due tattiche
della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica / V. I. Lenin ; Umberto
Cerroni.Roma : Editori Riuniti, In memoria del manifesto / Antonio Labriola ;
introduzione di Umberto Cerroni.2. ed.Roma : Newton Compton Editori); Che cos'è
la proprietà ? : o ricerche sul principio del diritto e del governo : prima
memoria, Pierre-Joseph Proudhon ; prefazione, cronologia, biografia Umberto Cerroni.
3. ed.Roma ; Bari : Laterza, Lavoro salariato e capitale / Karl Marx ; con
appunti sul salario e appendice di F. Engels ; introduzione ... di Umberto Cerroni.Roma
: Newton Compton); Lessico gramsciano / Umberto Cerroni.Roma : Editori
Riuniti); La prospettiva del comunismo, K. Marx, F. Engels, V. I. Lenin ;
Umberto Cerroni.Roma : Editori riuniti); La questione ebraica e altri scritti
giovanili / Karl Marx ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Editori
riuniti); Saggio sui privilegi : che cosa e il terzo stato? Emmanuel-Joseph
Sieyes ; introduzione di Umberto Cerroni : traduzione di Roberto Giannotti.Roma
: Editori Riuniti, Strade per la liberta, Bertrand Russell ; introduzione di
Umberto Cerroni ; traduzione di Pietro Stampa.Roma : Newton Compton); Teoria
del partito politico (Roma : Editori Riuniti, I giovani e il socialismo, K.
Marx, F. Engels, V. I. Lenin, A. Gramsci ; Umberto Cerroni.Roma : Editori
Riuniti); Introduzione alla scienza sociale, Roma; Storia del marxismo /
Predrag Vranicki ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti, Quasi
una vita... e anche meno, poesie di Italo Evangelisti ; prefazione di Umberto Cerroni”
(Milano ; Roma); “Che cosa fanno oggi i filosofi? Milano); “Logica e società :
pensare dopo Marx” (Milano : Bompiani, La democrazia come problema della
società di massa; Principi di politica” (Roma : Editori Riuniti); “Critica
della filosofia hegeliana del diritto pubblico” (Roma : Editori Riuniti); Il
pensiero di Marx : antologia, con la collaborazione di Oreste Massari e Anna
Maria Nassisi.III. ed. Roma : Editori Riuniti, Scritti economici” (Roma :
Editori Riuniti); Teoria della società di massa” (Roma : Editori Riuniti); La
rivoluzione giacobina” (Roma : Editori riuniti, Politica : metodo, teorie,
processi, soggetti, istituzioni e categorie / Umberto Cerroni.Roma : NIS); La
politica post-classica : studi sulle teorie contemporanee” (Taviano : Lit.
Graphosette) Urss e Cina : le riforme economiche” Centro studi paesi socialisti
della Fondazione Gramsci.Milano : F. Angeli, stampa, Che cosa è il terzo stato
con il Saggio sui privilege” (Roma : Editori Riuniti, Democrazia e riforma
della politica : Lo Statuto del nuovo PCI / Umberto Cerroni.Roma : Partito
Comunista Italiano, Regole e valori nella democrazia : stato di diritto, stato
sociale, stato di cultura” Roma : Ed. Riuniti, La cultura della democrazia /
Umberto Cerroni.Chieti : Metis, Che cosa e il Terzo Stato? / Emmanuel-Joseph
Sieyes ; Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti, La rivoluzione giacobina /
Maximilien Robespierre ; Umberto Cerroni ; traduzione di Fabrizio Fabbrini;
apparati biobibliografici di Grazia Farina.Pordenone : Studio Tesi, Manifesto
del partito comunista / Karl Marx, Friedrich Engels ; nella traduzione di
Antonio Labriola ; seguito da In memoria del manifesto dei comunisti di Antonio
Labriola ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma: TEN, Nazione/regione : i contributi regionali alla
costruzione dell'identità nazionale / Andrea Battistini, Umberto Cerroni ,
Michele Prospero.Cesena : Il ponte vecchio, L'ambiente fra cultura tecnica e
cultura umanistica : seminario svoltosi presso l'ANPA Umberto Cerroni ; A.
Albanesi, M. Maggi e L. Sisti.Roma : Anpa, [Novecento : almanacco del ventesimo
secolo, Cesena : Il ponte vecchio, Il pensiero politico italiano / Umberto Cerroni.Roma
: Newton Compton, Il pensiero politico del Novecento / Umberto Cerroni.Roma :
Tascabili economici Newton); “Le regole del metodo sociologico” (Roma : Editori
Riuniti, 1996 Regole e valori nella democrazia : Stato di diritto, Stato sociale,
Stato di cultura / Umberto Cerroni.Roma: Editori Riuniti, L'identità civile
degli italiani / Umberto Cerroni.Lecce : Manni, L'ulivo al governo : come
cambia l'Italia / interventi di U. Cerroni; Paola Piciacchia.Roma: Philos,
stampa Politica / Umberto Cerroni.Roma : Seam, Confronto italiano : atti degli
incontri di Cetona, Giovanni Bechelloni, Umberto Cerroni.Firenze : Ed. Regione
Toscana, stampa (Firenze : Centro Stampa Giunta regionale); “L'identità civile
degli italiani” (Lecce : Manni, Lo Stato democratico di diritto : modernità e
politica / Umberto Cerroni.Roma : Philos, stampa, Habeas mentem : Scuola e vita
civile :Umberto Cerroni.Rionero in Vulture (Pz) : Calice, Conoscenza e societa
complessa : per una teoria generale del sensibile” (Roma : Philos, Ricordo di
Marisa De Luca Cerroni / scritti di Umberto Cerroni ... et al.Lecce, stampa Confronto
italiano : atti degli incontri di Cetona, Giovanni Bechelloni (Firenze : Ed.
Regione Toscana, stampa (Centro Stampa
Giunta Regionale) Taccuino politico-filosofico / Umberto Cerroni.Roma : Philos,
Precocità e ritardo nell'identità italiana, Roma, Precocità e ritardo
nell'identità italiana, Roma : Meltemi, Taccuino politico-filosofico, Umberto
Cerroni.Lecce : Manni, Le radici culturali dell'Europa, Umberto Cerroni.Lecce
:Manni, Radici della civiltà europea, Lecce : Manni,Globalizzazione e
democrazia, Lecce : Manni, Taccuino politico-filosofico, Lecce, Taccuino
politico-filosofico Umberto Cerroni.San Cesario di Lecce : Manni, L'eretico
della sinistra : Bruno Rizzi elitista democratico” (Milano : F. Angeli, Taccuino politico-filosofico, Lecce; La
scienza e una curiosita: scritti in onore di Umberto Cerroni / Cosimo Perrotta
; con la collaborazione di Mariarosa Greco” (San Cesario di Lecce : Manni, Manifesto
del partito comunista / Karl Marx, Friedrich Engels ; nella traduzione di
Antonio Labriola ; seguito da In memoria del Manifesto dei comunisti di Antonio
Labriola” (Roma : Newton & Compton, Dialettica dei sentimenti : dialoghi di
psicosociologia / Umberto Cerroni , Alberta Rinaldi.San Cesario di Lecce :
Manni, [Taccuino politico-filosofico, Umberto Cerroni.[San Cesario di Lecce] :
Manni, Ricordi e riflessioni : un dialogo con Giuseppe Vagaggini / Umberto
Cerroni.Montepulciano : Le Balze. Umberto Cerroni. Keywords: categoria
giuridica, Trasimacco, Kelsen. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cerroni” – The
Swimming-Pool Library.
CERTANI (Bologna).
Filosofo. Grice: “I like Certani – but then in Italy they learn Hebrew at
school, whereas we at Clifton separated Montefiore from the rest!” Grice:
“Certani philosophised, like Kierkegaard later will, on ‘L’Abraamo,’ Insegna a
Bologna. Opere: “Conclusioni di filosofia” e di teologia. Insegna a Cesena, Brescia,
Milano e Bologna. Si laurea a Bologna. Altre opere: “Abramo: Caino ed Abele”
(Venezia); “Francesco Saverio” (Bologna, Ferrosi); “La verità vendicata; cioè
Bologna difesa dalle calunnie di Francesco Guicciardini. Osservazioni Istoriche
dell'Abate Giacomo Certani Canonico Dott. Teologo Colleg. Filosofo, e nell'Bologna
pubblico Professore di Filosofia morale. In Bologna per gli Eredi del Dozza); “Maria
Vergine Coronata. Descrizione, e dichiarazione della divota Solennità fatta in
Reggio per Prospero Vedrotti); “La Chiave del Paradiso; cioè, invito alla
Penitenza alle Cavalieri” (Bologna per Giacomo Monti); “Il Gerione Politico,
Riflessioni profittevoli alla vita civile, alle Repubbliche, e alle Monarchie”
(Milano, Compagnini); “S. Patrizio Canonico Regolare Lateranense Apostolo, e
Primate dell'Ibernia; descritta dall'Abate D. Giacomo Certani ec.” (Bologna
nella Stamperia Camerale); “L'Isacco ed il Giacobbe” (Bologna, per il Monti); “La
Santità Prodigiosa, Vita di S. Brigida Ibernese Canonichessa Regolare di
S.Agostino Scritta dall'Ab. D. Giacomo Certani Canonico Regolare Lateranense
Dott. Filosofo e Teologo Collegiato ec. per gli eredi di Antonio Pisarri); “La
Susanna in versi, notata da Lorenzo Legati: nel suo museo Cospiano al fol.117 e
la nota ancora Gregorio Leti nell'Italia Regnante parte III lib. II, pag. 118
ove parla di Questo soggetto. Oltre i sopraccennati ne parla ancora l'Orlandini
negli Scrittori Bolognesi ec. Giacomo Cerretani. Jacopo Certani. Giacomo
Certani. Keywords: Il cavaliere penitente; ossia, la chiave del paradiso,
chastita, maschile. Christian masculinity, Percival, The Holy Grail, the
knight-penant, cavalier penitente. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Certani” –
The Swimming-Pool Library.
CERUTI (Cremona).
Filosofo. Grice: “Ceruti is a good one – he has philosophised on solidarity –
and previously on altruism – these are VERY different concepts, as he notes –
but also on ‘vinculum,’ a nice Latin word for what I’m into! – “A Griceian at
heart!” -- Grice: “Only one T!”. Tra i
filosofi protagonisti dell'elaborazione del pensiero complesso, è uno dei
pionieri della ricerca contemporanea inter- e trans-disciplinare sui sistemi
complessi. La sua filosofia si produce all'intersezione di una pluralità
di domini di ricerca: epistemologia (filosofia e storia della scienza, storia
delle idee, noologia…), scienze della natura (fisica, biologia, cosmologia…),
scienze dell'uomo (antropologia, sociologia, psicologia, storia…), scienze
dell'organizzazione e del management. Si laurea in filosofia della scienza
con Geymonat con “L'epistemologia genetica di Piaget” nella quale, attraverso
l'analisi dell'epistemologia viene posto il problema del ruolo della biologia e
delle scienze del vivente, nelle varie articolazioni disciplinari, come
decisiva interfaccia fra le scienze fisico-chimiche e le scienze umane, in
grado di favorire processi di circolazione concettuale e di traduzione
reciproca fra vari e multiformi campi del sapere. Nei suoi studi ha affrontato
le questioni del significato filosofico ed epistemologico delle maggiori
rivoluzioni scientifiche del ventesimo secolo (teoria dei quanti, relatività,
teoria dei sistemi, biologia molecolare) focalizzando le sue ricerche sui temi
del cambiamento stilistico e delle relazioni fra stile e contenuto nella storia
delle idee, nonché dello statuto conoscitivo dei risultati innovativi connessi
alle rivoluzioni scientifiche. Una sintesi di queste ricerche è contenuta
nell'opera Disordine e costruzione. Un'interpretazione epistemologica di
Piaget. Assunto da Ginevra, presso la Facoltà di Psicologia e scienze dell'educazione
fondata da Piaget, in qualità di assistant, svolgendo ricerche nel gruppo di lavoro
coordinato da Munari. In questo periodo approfondisce le relazioni che
connettono l'opera di Piaget a vari modelli e approcci del contesto scientifico
a lui contemporaneo: alla termodinamica di non equilibrio di Prigogine, alle
ricerche sul concetto e sui processi di auto-organizzazione e autopoiesi,
all'embriologia di Waddington, ai nascenti dibattiti sul significato delle
ricerche della biologia molecolare. Il tema chiave di queste convergenze
disciplinari è la possibile delineazione di modelli generali del cambiamento,
nonché del ruolo della discontinuità in questi modelli. L'approfondimento dei
singoli filoni disciplinari gli consente di interrogarsi più estensivamente sul
significato profondo e complessivo dei cambiamenti paradigmatici delle scienze
alla fine del ventesimo secolo: dalla convergenza di varie discipline emerge la
prospettiva di una scienza nuova, caratterizzata da precise assunzioni
relativamente alla natura del cambiamento, alla relazione fra soggetto e mondo,
al ruolo del tempo, della storia e della narrazione negli approcci scientifici.
La nozione di complessità costituisce un'utile maniera sintetica di rapportarsi
con tali assunzioni. Per ricostruire queste novità del contesto scientifico,
imposta un programma di ricerca attorno al tema della epistemologia della
complessità, parte integrante del quale è stata a partire l'organizzazione di
convegni internazionali e di seminari, e la pubblicazione del volume La sfida
della complessità. Ricercatore associato presso il Centre d'Etudes
Transdisciplinaires, Sociolgie, Anthropologie, Politique diretto da Morin,
centro di ricerca associato al CNRS e all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences
Sociales di Parigi, presso il quale dirige l'unità di ricerca di filosofia
della scienza. In quegli anni approfondisce le problematiche dell'epistemologia
genetica e della cibernetica, pubblicando Il vincolo e la possibilità e La
danza che crea. Svolge inoltre ricerche sul ruolo giocato dalle scienze
evolutive e dalla teoria dell'evoluzione di tradizione darwiniana nel più
generale mutamento di prospettiva delle valenze cognitive e stilistiche del
contesto scientifico, focalizzandosi sulle conseguenze epistemologiche e filosofiche
dei modelli di cambiamento e delle relazioni fra continuità e discontinuità
conseguenti alla teoria degli equilibri punteggiati di Gould e Eldredge, ai
dibattiti sulle estinzioni di massa e sulle testimonianze paleontologiche, alle
nuove forme di collaborazione fra evoluzionismo e genetica, alle relazioni fra
approcci storici e approcci nomotetici nelle scienze del vivente. Ne deriva una
serie di ricerche compendiate nel volume Origini di storie, in cui il tema del
cambiamento discontinuo, e i connessi temi dell'evento, della contingenza e
della sensibilità alle condizioni iniziali, vengono discussi all'interno di un
ampio spettro disciplinare, che connette bio G. Bocchi, 1993), in cui il
tema del cambiamento discontinuo, e i connessi temi dell'evento, della
contingenza e della sensibilità alle condizioni iniziali, vengono discussi
all'interno di un ampio spettro disciplinare, che connette bioogia evolutiva,
cosmologia, fisica del caos, antropologia e storia delle idee. Gli
interrogativi sul modo in cui dallo studio del radicamento naturale delle
società umane possano scaturire nuovi strumenti di comprensione dei fenomeni
sociali e culturali della nostra specie lo portano a entrare in contatto con le
ricerche condotte in questi stessi anni dal Santa Fe Institute, volte
all'individuazione di leggi generali della complessità e di modelli generali
sul comportamento dei sistemi complessi. Una nuova linea di ricerca di
filosofia della scienza, che approfondisce a partire dalla metà degli anni
novanta, è lo studio dei modelli di cambiamento dell'evoluzione umana, in
relazione alla teoria degli equilibri punteggiati, alla visione discontinuista
della storia naturale, alle dinamiche ecologiche e ambientali. Una seconda
linea di ricerca epistemologica, strettamente interrelata alla prima, è lo
studio dell'importanza delle analisi genetiche per la ricostruzione
dell'evoluzione e della storia umane, sia dei tempi lunghi della storia delle
varie specie ominidi sia dei tempi medi della storia della nostra specie Homo sapiens.
A partire da Solidarietà o barbarie. L'Europa delle diversità contro la pulizia
etnica, imposta una serie di seminari e di ricerche di filosofia delle scienze
biologiche, evoluzionistiche e storiche sul tema dei confini e sulle identità
nazionali e culturali. Nel far ciò approfondisce una concezione evolutiva di
tali identità, consonante con la prospettiva epistemologica costruttivistica, e
convergente con i presupposti epistemologici, costruttivisti e
antiessenzialisti propri della tradizione evoluzionistica darwiniana. In queste
ricerche, viene affrontata anche la questione del significato della rivoluzione
darwiniana nell'intera storia della tradizione scientifica occidentale. Un
ulteriore studio dedicato a tali problematiche è il volume Educazione e globalizzazione,
che traccia un bilancio epistemologico degli intrecci disciplinari fra storia,
geografia, antropologia, scienze evolutive e naturali per comprendere il ruolo
della diversità culturale nella storia della specie umana e le radici profonde
degli attuali processi di globalizzazione. Insegna a Palermo, di Milano Bicocca,
di Bergamo e a Milano, dove attualmente insegna e ricopre la carica di
direttore del Dipartimento di Studi umanistici. Presidente della Società
Italiana di Logica e Filosofia delle Scienze. Preside della Facoltà di Scienze
della Formazione dell'Università degli studi di Milano Bicocca. Preside della
Facoltà di Scienze della Formazione dell'Bergamo. Direttore del Centro di
Ricerca sull'Antropologia e l'Epistemologia della Complessità che comprendeva
la Scuola di dottorato in Antropologia ed Epistemologia della Complessità a Bergamo.
Principali tematiche presenti negli studi di Ceruti: Antropologia Bioetica
costruttivismo (filosofia); Epistemologia; Epistemologia della complessità;
Epistemologia genetica; Evoluzionismo; Globalizzazione; Scienze cognitive;
Scienze della formazione; Teoria dei sistemi. Membro della Commissione
Nazionale di Bioetica della Presidenza del Consiglio dei ministri. Nominato,
dal Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni, Presidente della
Commissione incaricata di scrivere le nuove Indicazione per il Curricolo per la
Scuola dell'Infanzia e per il Primo Ciclo di Istruzione. Partecipa alla
fase di fondazione del Partito Democratico, venendo eletto all'Assemblea
costituente del partito e assumendo l'incarico di relatore della Commissione
incaricata di redigerne il Manifesto dei Valori. Alle elezioni politiche
italiane della XVI Legislatura eletto al Senato della Repubblica nelle liste
del Partito Democratico. È stato membro della Commissione permanente
(Istruzione pubblica, beni culturali), della Commissione parlamentare per
l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi e della
Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza. Non si è ripresentato
alle elezioni della XVII legislatura. Altre opere: “Il tempo della
complessità” (Raffaello Cortina Editore, Milano); “La fine dell'onniscienza” (Studium,
Roma); “La nostra Europa” (Raffaello Cortina Editore, Milano); “Organizzare l'altruismo”
(Laterza, Roma-Bari); “Una e molteplice: ripensare l'Europa” (Tropea, Milano);
“Il vincolo e la possibilità” (Feltrinelli, Milano); “Origini di storie”
(Feltrinelli, Milano); “La sfida della complessità” (Feltrinelli, Milano); “Le
due paci. Cristianesimo e morte di Dio nel mondo globalizzato” (Raffaello
Cortina Editore, Milano); “Educazione e globalizzazione, Raffaello Cortina
Editore, Milano); “Formare alla complessità, Carocci, Roma); “Le origini della
scrittura. Genealogie di un'invenzione, Bruno Mondadori Editore, Milano); “Le
radici prime dell'Europa: gli intrecci genetici, linguistici, storici” (Bruno
Mondadori Editore, Milano); “Epistemologia e psicoterapia, Raffaello Cortina
Editore, Milano); “Pensare la diversità. Per un'educazione alla complessità
umana, Meltemi, Roma); Evoluzione senza fondamenti” (Laterza, Roma-Bari);
“Solidarietà o barbarie: l’Europa delle diversità contro la pulizia etnica” (Raffaello
Cortina Editore, Milano, Prefazione di Edgar Morin, Il caso e la libertà,
Laterza, Roma-Bari); Evoluzione e conoscenza, Lubrina, Bergamo); “L'Europa
nell'era planetaria” (Sperling & Kupfer, Milano); “Turbare il futuro: un
nuovo inizio per la civiltà planetaria” (Moretti & Vitali, Bergamo); “Che
cos'è la conoscenza, Roma-Bari); “La danza che crea. Evoluzione e cognizione
nell'epistemologia genetica, Feltrinelli, Milano, Prefazione di Francisco
Varela, Lazlo E., Physis: abitare la terra, Feltrinelli, Milano); Dopo Piaget.
Aspetti teorici e prospettive per l'educazione, Edizioni Lavoro, Roma); Modi di
pensare postdarwiniani: saggio sul pluralismo evolutivo” (Dedalo, Bari); L'altro
Piaget. Strategie delle genesi, Emme Edizioni, Milano Bocchi G., Ceruti
M. Disordine e costruzione. Un'interpretazione epistemologica dell'opera di
Jean Piaget, Feltrinelli, Milano. Direttore delle riviste scientifiche:
La Casa di Dedalo (Casa Editrice Maccari, Parma); Oikos (Pierluigi Lubrina
Editore, Bergamo); Pluriverso (Rcs, Milano). mauroceruti. Pagina nel sito del Senato,
su senato. Ministero della Pubblica Istruzione, Nuove Indicazioni Nazionali per
il Curricolo, su pubblica.istruzione. Presidenza del Consiglio dei ministri,
Comitato Nazionale di Bioetica, su governo. Mauro Ceruti. Keywords: dal
semplice al complesso, complesso proposizionale, discover the simple elements,
philosophy as deconstructing the complex, solidarity, altruism, solideratieta,
altruismo, sistema complesso, sistema semplice, etimologia di ‘complesso’.
Filosofia della solidarieta, solidarieta: il semplice della solidarieta, il
semplice dell’altruismo, Butler, amore proprio, amore improprio, altruismo,
egoismo, self-love, other-love, benevolence, organizzare l’altruismo, abitare
la complessita, multiple e diverso, unico e multiple. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Ceruti” – The Swimming-Pool Library.
CERUTTI (Genova).
Filosofo. Grice: “Cerutti is into politics, like Hobbes, and it’s not
surprising he philosophised on ‘il leviatano,’ as the Italians call it – and
represent as a tortoise ridden by Jacob --,” -- “La globalizzazione dei diritti
umani dovrebbe avere il suo culmine con il riconoscimento del diritto che ha il
Genere Umano alla sopravvivenza» Insegna
a Firenze. La sua filosofia verte principalmente sul marxismo occidentale e la
"teoria critica" propria della Scuola di Francoforte da cui, tra
l'altro proviene. Lavora sulla filosofia politica delle relazioni
internazionali ed affari globali, seguendo due diverse tematiche: la teoria
delle sfide globali (armi nucleari e riscaldamento globale), e la questione
dell'identità “politica” (non sociale o culturale) degli europei in relazione
con la legittimazione dell'unione europea. Da ricordare la sua amicizia con Bobbio
del quale Cerutti stesso si ritiene allievo. Altre opere: “Storia e coscienza
di classe” (Milano); “Totalità, bisogni e organizzazione” (Firenze); “Marxismo
e politica. Saggi e interventi, Napoli); “Gli occhi sul mondo. Le relazioni
internazionali in prospettiva interdisciplinare, a cura di, Roma); “Sfide
globali per il Leviatano. Una filosofia politica delle armi nucleari e del
riscaldamento globale” (Milano, Vita e pensiero). Furio Cerutti. Keywords:
lotta di classe, Lukacks, Marx, unione europea, identita culturale, identita
sociale, identita politica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cerutti” – The
Swimming-Pool Library.
CERVI
CESA
CESARINI (Genzano di Roma).
Filosofo. Grice: “Cesarini was more of a warrior than a philosopher, but I also
fought in the North-Atlantic – in Italy, war trumps philosophy! He wrote a
philosophical story of the war of Velletri – and liked to dress up as one of
his ducal ancestors – a gentleman!” -- There are many philosophers with the
name Sforza Cesarini. Figlio del III duca Lorenzo Sforza Cesarini. Convinto
sostenitore del nuovo Regno d'Italia tanto da nascondere le armi degli insorti
nel suo palazzo. Per questo motivo, il papa confisca tutte le sua proprietà che
vennero loro restituite da Vittorio Emanuele II dopo il suo ingresso a Roma,
reso possibile dalla presa di Porta Pia, accompagnato dallo stesso filosofo in
veste di consigliere del re. Grice: “My mother loved him; but then every
Englishman loved the Kingdom of Italy, or rather, every Englishman hated the
Pope!” – Grice: “Sforza Cesarini should never be confused with Cesarini Sforza:
Sforza Cesarini is under “C”; Cesarini Sforza, the jurisprudential philosopher,
is under “S”. IV duca Sforza Cesarini. Francesco II Sforza Cesarini. Francesco
Sforza Cesarini. Sforza Cesarini. Cesarini. Keywords: “Letters of my father,
kingdom of Italy, anti-Popish, Palazzo di Roma. Patria, patriotism,
nazionalismo. Il nuovo regno d’Italia, Vittorio Emanuele II, Porta Pia. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Cesarini” – The Swimming-Pool Library.
CHERCHI. (Oschiri).
Filosofo. Grice: “Cherchi demonstrates that Jersey exists – if a philosopher is
from Jersey we wouldn’t call him English – neither would he! Cherchi is from
‘Sardinia,’ and he philosophises mainly about that – which is very fun! My favourite
of his tracts is one on the circle and the ellipse as it relates to Vinci’s
‘homo vitruviano.’ Anda a scuola al liceo Siotto Pintor a Cagliari. Placido
Cherchi studiò a Cagliari con Ernesto De Martino e Corrado Maltese,
interessandosi contemporaneamente di studi e problemi etno-antropologici e
storico artistici. Come autore di importanti lavori sul pensiero di Ernesto De
Martino e sui problemi dell'identità e della cultura sarda, fu un membro attivo
della Scuola antropologica di Cagliari, dovuta alla presenza all'Cagliari di
maestri come Ernesto de Martino e Alberto Mario Cirese, come pure di loro allievi
quali Clara Gallini, Giulio Angioni e lo stesso Cherchi. Morì nel
all'età di 74 anni a causa di un'emorragia cerebrale. Altre opere: “Paul
Klee teorico, De Donato, Bari); Sciola, percorsi materici, Stef, Cagliari); “Pittura
e mito in Giovanni Nonnis, Alfa, Quartu S.E.); Nivola, Ilisso, Nuoro); “Placido
Cherci, Ernesto De Martino: dalla crisi
della presenza alla comunità umana, Liguori, Napoli); “Il signore del limite:
tre variazioni critiche su Ernesto De Martino, Liguori, Napoli); “Il peso
dell'ombra: l'etnocentrismo critico di Ernesto De Martino e il problema
dell'autocoscienza culturale, Liguori, Napoli); “Etnos e apocalisse: mutamento
e crisi nella cultura sarda e in altre culture periferiche, Zonza, Sestu); “Manifesto
della gioventù eretica del comunitarismo e della Confederazione politica dei
circoli, organizzazione non-partitica dei sardi , coautori Francesco Masala ed
Eliseo Spiga, Zonza , Sestu); “Il recupero del significato: dall'utopia
all'identità nella cultura figurativa sarda, Zonza, Sestu); “Crais: su alcune
pieghe profonde dell'identità, Zonza, Sestu); “Il cerchio e l’ellisse.
Etnopsichiatria e antropologia religiosa in Ernesto De Martino: le dialettiche
risolventi dell’autocritica, Aìsara); “La riscrittura oltrepassante, Calimera,
Curumuny); “Per un’identità critica. Alcune incursioni auto-analitiche nel
mondo identitario dei sardi” (Arkadia. Silvano Tagliagambe: Giulio Angioni, Una scuola sarda di
antropologia?, in (Luciano Marrocu,
Francesco Bachis, Valeria Deplano), La Sardegna contemporanea. Idee, luoghi,
processi culturali, Roma, Donzelli, , 649-663
Addio a Placido Cherchi, il ricordo di Giulio Angioni: "Fu ideologo
del neo sardismo" Archiviato il 2 ottobre
in . Notizie.tiscali È morto
Placido Cherchi, vicepresidente della Fondazione Sardinia
Fondazionesardinia.eu Scuola
antropologica di Cagliari Ernesto de Martino
Giulio Angioni, In morte di Placido Cherchi, sito "il manifesto
sardo".il 6 ottobre . Roberto Carta, Che cosa è Placido Cherchi? Due o tre
cose, per decidere di essere sardi Po arregordai a Placido CherchiEnrico
Lobina, su enricolobina.org. Silvano Tagliagambe, L'eredità preziosa di Placido
Cherchi. Placido Cherchi. Keywords: filosofia sarda, etnos, etnicicita
italiana, sardegna non e parte d’Italia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Cerchi” – The Swimming-Pool Library.
CHIAPPELLI (Pistoia).
Filosofo. Grice: “One of my most recent reflections is on the distinction and
striking parallelisms I draw between the Athenian dialectic – best represented
in Raffaello’s “La scuola di Atene” at Rome – and the Oxonian dialectic – but
represented in those reeky meeting at the Philosophy Room at Merton – or
better, my Saturday mornings at St. John’s with Austin! Chiappelli provides us
with a most brilliant hermeneutic of the iconography in Raffaello’s painting –
Strawson tried to emulate him with some caricatures of Austin, Grice, and the
rest of the Play Group – but his doodlings ccouldn’t compare!” Figlio del
fisiologo Francesco Chiappelli, zio del pittore omonimo, si laurea in lettere e
filosofia all'istituto superiore di Firenze ed inizia la carriera universitaria
a Napoli, dove è stato titolare della cattedra di storia della filosofia e
incaricato dell'insegnamento di pedagogia e direttore dell'annesso museo. Ha
inoltre insegnato storia delle chiese a Pisa, Bologna e Firenze. È stato membro
della Società reale di Napoli, delle accademie dei Lincei di Roma, delle
scienze di Torino, pontaniana di Napoli e della Crusca di Firenze. Consigliere
comunale a Firenze è stato incaricato di una missione di ricerche e studi negli
archivi e biblioteche di Firenze sull'arte fiorentina del Rinascimento e membro
della commissione provinciale di Firenze per la conservazione dei monumenti e
delle opere d'arte. Altre opere: “Della interpretazione panteistica di Platone,
Firenze : Succ. Le Monnier); La dottrina della realtà del mondo esterno nella filosofia
moderna prima di Kant” (Firenze, Tip. dell'arte della stampa); “Studi di antica
letteratura cristiana, Torino, Loescher); “Darwinismo e socialismo, Roma,
Forzani e C. Tipografi del Senato); Saggi e note critiche, Bologna, Ditta
Nicola Zanichelli); “Il socialismo e il pensiero moderno, Firenze, Succ. Le
Monnier); “Giacomo Leopardi e la poesia della natura” (Roma, Società editrice
Dante Alighieri); “Leggendo e meditando. Pagine critiche di arte, letteratura e
scienza sociale, Roma, Società editrice Dante Alighieri); “Nuove pagine sul
cristianesimo antico, Firenze : succ. Le Monnier); “Pagine d'antica arte fiorentina,
Firenze, Lumachi); “Dalla critica al nuovo idealismo, Torino, Bocca); “Pagine
di critica letteraria, Firenze, Le Monnier); “Idee e figure moderne, 2 voll.,
Ancona, G. Puccini e figli). Dizionario biografico degli italiani. Crusca. Alessandro
Chiappelli. Keyword: Alcibiade, Gli Scipione, la dialettica romana, storia dela
filosofia romana, Cicero, ambassiata Carneade, Kant, neo-Kantianismo, external
world, internal world, the reality of the external world, iconography, detailed
ecphrasis of “La scuola di Atene” – dialettica ateniense, dialettica romana.
Grice: To Athens, via Rome. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Chiappelli” – The Swimming-Pool Library.
CHIAROMONTE (Rapolla).
Filosofo. Grice: “Problem with Chiaramonte is that he let things influence him
too much! My favourite is his tract on ‘silenzio e parola’ – where as he
explains, ‘parabola,’ as used by the Greeks meant conversazione, because among
primitive people, it is all about ‘comparison,’ and that is what a parabole is
– by comparison we may think of miaow-miaow and the bow-bow theory of
meaning!”. Esponente antifascista, appassionato di filosofia (fu discepolo di
Andrea Caffi) e di teatro, fondò con Ignazio Silone la rivista culturale
indipendente "Tempo Presente". Nacque a Rapolla, in
Basilicata, da Rocco e Anna Catarinella. Il padre, medico, si trasferì con la
famiglia a Roma, Sin dall'età di vent'anni si votò all'antifascismo, dopo una
breve parentesi fra le file fasciste, entrando a far parte della formazione
Giustizia e libertà e finendo esule a Parigi per evitare l'arresto della
polizia. Fu in Spagna, combattente repubblicano nella guerra civile
spagnola contro le armate franchiste nella pattuglia aerea di André Malraux (la
figura di Chiaromonte è adombrata in quella del personaggio dell'intellettuale
Giovanni Scali, del romanzo L'Espoir), poi abbandonò il fronte per contrasto
con i comunisti. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale, in seguito
all'invasione tedesca della Francia, riparò a New York, facendosi notare nel
gruppo dei cosiddetti New York Intellectuals. Fu propugnatore del
socialismo libertario che contrappose alle spinte trotzkiste della rivista
politics di Dwight Macdonald, a cui pure si legò in un sodalizio di amicizia e
di frequentazione intellettuale. Ebbe legami d'amicizia con filosofi come Hannah
Arendt e Albert Camus, e scrittori come George Orwell, e collaborò con Gaetano
Salvemini al settimanale italiano a New York, Italia libera. Tornato in
Italia una prima volta e una seconda, si sentì esule in patria, anche per il
suo rifiuto a sottostare ai compromessi che volevano la cultura strettamente
legata ai partiti politici; per un periodo tenne una rubrica di critica
teatrale sulla rivista Il Mondo fondata da Mario Pannunzio. Nel 1956,
assieme allo scrittore Ignazio Silone, fondò "Tempo presente",
rivista culturale indipendente, esperienza innovativa nell'Italia dell'epoca
che portò avanti, nonostante qualche dissapore con Silone, con grande
attenzione agli autori di notevole spessore che riempivano le pagine del
mensile. Le sue posizioni furono improntate all'anticomunismo ma, a
differenza di Silone, fu senz'altro più utopico; vicino alle posizioni di
Albert Camus, teorizzò «la normalità dell'esistenza umana contro l'automatismo
catastrofico della Storia». Nel testo La guerra fredda culturale. La Cia
e il mondo delle lettere e delle arti (Fazi editore) della storica e
giornalista inglese Frances Stonor Saunders, si sostiene che la rivista Tempo
presente sia stata finanziata dalla CIA: la Saunders ne individua i fondatori
come personaggi di punta del Congress for Cultural Freedom e principali
destinatari dei finanziamenti della CIA per attività culturali in Italia.
Dal gennaio 1967 e fino alla morte, intrattiene una fitta corrispondenza con
Melanie von Nagel Mussayassul, amichevolmente chiamata Muska, una monaca
benedettina, sul tema della verità. Opere La situazione drammatica,
Milano, Bompiani, The Paradox of History, Londra, Le Paradoxe de l'Histoire,
prefazione di Adam Michnik, introduzione di Marco Bresciani, Cahiers de l'Hôtel
de Galliffet, Credere e non credere,
Milano, Bompiani; Collana Intersezioni, Bologna, Il Mulino, Scritti sul teatro,
Introduzione di Mary McCarthy, Miriam Chiaromonte, Collana Saggi, Torino, Einaudi,
Scritti politici e civili, Miriam Chiaromonte, Introduzione di Leo Valiani, con
una testimonianza di Ignazio Silone, Milano, Bompiani, Il tarlo della coscienza
(The Worm of Consciousness and Other Essays, Prefazione di Mary McCarthy),
Miriam Chiaromonte, Collana Le occasioni, Bologna, Il Mulino, Silenzio e
parole: scritti filosofici e letterari, Milano, Rizzoli, Che cosa rimane,
Taccuini, Collana Saggi, Bologna, Il Mulino, Lettere agli amici di Bari, Schena,
Le verità inutili, S. Fedele, L'ancora del Mediterraneo, La rivolta
conformista. Scritti sui giovani e il 68, Una città, Forlì, Fra me e te la
verità. Lettere a Muska, W. Karpinski e C. Panizza, Una città, Forlì, Il tempo
della malafede e altri scritti, Vittorio Giacopini, Edizioni dell'Asino, Albert Camus-Nicola Chiaromonte,
Correspondance, Édition établie, présentée et annotée par Samantha Novello,
Collection Blanche, Paris, Gallimard, Dizionario Biografico degli Italiani. Simone
Turchetti, Libri: "Le attività culturali della Cia" Galileo, Cesare
Panizza, Nicola Chiaromonte. Una biografia. Presentazione di Paolo Marzotto,
prefazione di Paolo Soddu, Roma, Donzelli. Dizionario Biografico degli
Italiani, XXIV, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana Treccani, Filippo La Porta, Maestri irregolari,
Bollati Boringhieri. Gino Bianco, Nicola Chiaromonte e il tempo della malafede,
Lacaita, Manduria-Roma-Bari, Michele Strazza, Contro ogni conformismo. Nicola
Chiaromonte, in "Storia e Futuro", Filippo La Porta, Eretico
controvoglia. Nicola Chiaromonte, una vita tra giustizia e libertà, Bompiani. Bocca
di Magra Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Nicola
Chiaromonte Nicola Chiaromonte, su
TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Nicola Chiaromonte, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Nicola
Chiaromonte, . Fotografie e documenti di
Nicola Chiaromonte La cultura politica azionista. "Nuovo Partito
d'Azione". Il fondo librario Chiaromonte. Nicola Chiaromonte. Keywords:
parola, parabola. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chiaromonte” – The Swimming-Pool
Library.
CHIAVACCI (Foiano
della Chiana). Filosofo. Grice: “Chiavacci is a good one; Italians tend to
identify him with Miichelstaedter, but surely there is more to Chiavacci than
an exegesis of Michelstaedter (especially to refute Gentile’s) – my favourite
tracts are three: his ‘critique of poetical reason’ – a critique we were
lacking! --, his little treatise on ‘man’ – and his ‘reality’ and not
appearance, as Bradley would have it, but ‘illusion,’ which is related to Latin
‘ludus,’ game – His ‘philosophical studies’ cap it all!” Partecipe della
stagione neoidealista italiana, fu tra i più innovativi interpreti ed eredi
dell'attualismo gentiliano. Nato a Foiano in provincia di Arezzo da
Enrico Chiavacci e Annunziata Doni, ricevette l'istruzione primaria a Cortona,
e quella secondaria nel liceo di Iesi. Frequentò la facoltà di lettere del
Regio Istituto di Studi Superiori a Firenze, dove fu allievo di Guido Mazzoni,
e conobbe tra gli altri il poeta filosofo Carlo Michelstaedter, di cui divenne
grande amico, insieme ad Arangio-Ruiz, Cecchi, De Robertis, Lamanna, Facibeni.
Si laureò con una tesi sul Decameron di Boccaccio, e l'anno seguente ottenne
una cattedra di insegnamento per il ginnasio inferiore. Con l'entrata
dell'Italia nella prima guerra mondiale, Chiavacci combatté al fronte come
capitano di artiglieria. Tornato all'insegnamento, nell'immediato dopoguerra
vinse una cattedra per il ginnasio superiore, e iniziò nel contempo a
frequentare la facoltà di filosofia a Roma, dove incontrò Giovanni Gentile, col
quale si laureò con una tesi su Antonio Rosmini. Dal 1924 cominciò a
insegnare filosofia nei licei, e due anni dopo fu promosso a preside di varie
scuole, tra cui Siena dove nacque suo figlio Enrico. Divenne professore
universitario di pedagogia alla Scuola normale di Pisa, e insegnò filosofia
teoretica a Firenze, anche la cattedra di estetica. Entra a far parte
dell'Accademia Roveretana degli Agiati. Gli verranno quindi elargiti diversi
altri titoli accademici e riconoscimenti, come la medaglia d'oro ai benemeriti
della scuola, della cultura e dell'arte. L'idealismo: tra Gentile e
Michelstädter «Se mi domando [...] che cosa debba al pensiero filosofico di
Gentile, quale mi sembri essere il nucleo più vitale della sua dottrina, non
trovo, a voler tutto restringere in una parola, risposta più esatta di questa:
la dottrina dell'atto puro.» (Gaetano Chiavacci, L'eredità di Gentile, in
«Giornale di metafisica». La filosofia di Chiavacci si muove tra l'idealismo
attuale di Gentile da un lato, e l'anti-dialettica esistenziale di Carlo
Michelstaedter dall'altro, conciliati in un'ottica spiritualista
cristiana. Dell'attualismo gentiliano egli intende rivalutare la portata
atemporale dell'atto puro dello Spirito, a cui riconosce piena realtà, a
differenza dell'attualità concepita come un presente situato storicamente tra
un passato e un futuro illusori. Riappropriandosi al contempo del
criterio della persuasione di Michelstädter, Chiavacci ritiene che non si debba
a sua volta fare dell'atto una teoria, una filosofia panlogista staccata dalla
vita e dal suo stesso attuarsi, «perché deve essere essa la vita».
Gentile ha avuto il merito di elaborare una filosofia anti-intellettualistica
che non si esaurisce nel concetto, ma è autoconcetto, mostrando come il mondo
consista nell'autocoscienza dell'atto pensante, in cui vi è «assoluto possesso,
realtà attuale immanente al suo farsi». Egli tuttavia non avrebbe compreso
appieno le conseguenze di questo attuarsi dell'atto, e sarebbe rimasto a sua volta
dentro un "concetto" dell'autoconcetto, cioè in una forma di
mediazione logica, di costruzione intellettuale, in un logo astratto che supera
e smarrisce la «fonte della verità». L'atto invece, per Chiavacci,
proprio perché non può essere ridotto a fatto, cioè ad oggetto, è un atto «che
sfugge ad ogni metro di criterio preconcetto, e che, per comprenderlo, bisogna
rivivere dal di dentro». Tale consapevolezza interiore che «il soggetto
ha di sè senza oggettivarsi», è per Chiavacci fondamentalmente un'intuizione,
un sentimento, che permea la dialettica dell'atto pensante articolata nel
soggetto e nell'oggetto. Essa bensì è anche un processo mediato, da cui risulta
un logo "pensato" senza cui non si avrebbe coscienza formante della
sua stessa origine intuitiva, ma un pensato che resterebbe vuota astrazione,
«caput mortuum, se si distacca dalla sintesi di cui vuol rendere conto, da
quella sintesi che gli dà un contenuto vivo e sempre nuovo, e che è
l'intuizione costitutiva dell'attualità dell'io e che forse meglio si potrebbe
dire sensus sui». Essa è infine, negli esiti religiosi dell'ultimo
Chiavacci, essenzialmente fede. Opere Tesi di laurea: La Commedia nel
Decamerone (Iesi, tipografia Fiori) Il valore morale nel Rosmini (Firenze,
Vallecchi) Illusione e realtà. Saggio di filosofia come educazione (Firenze, La
Nuova Italia), concepita come una traduzione in forma propositiva del tema
della «persuasione» che era stata esposta nell'opera di Michelstaedter in
maniera indiretta e non sistematica come contrapposizione alla «rettorica».
Saggio sulla natura dell'uomo (Firenze, Sansoni), dove il conflitto
michelstädteriano tra illusione e realtà diventa quello tra natura e ragione
umana, superato dalla dialettica dell'atto spirituale. La ragione poetica
(Firenze, Sansoni), divisa in due parti: Il momento dell'Indifferenza, che
affronta il problema della discordanza tra natura e intelletto, ovvero tra
fatti e concetti, e tra questi e valori; e Il momento della libertà, che
assegna alla libera creatività di una ragione non logica ma poetica il
fondamento di quei valori, attraverso le dimensioni dell'arte e della
religione. Chiavacci ha inoltre curato l'edizione delle Opere di Michelstaedter
(Firenze, Sansoni), oltre a redigere, su richiesta di Gentile, la voce
"Michelstaedter" per l'Enciclopedia Italiana. A lui si devono
poi altri due saggi sul Rosmini: Filosofia e religione nella vita
spirituale di A. Rosmini (Milano, Bocca), e La filosofia politica di A. Rosmini
(Milano, Bocca). Postume Quid est veritas? Saggi filosofici, A.M. Chiavacci
Leonardi, introduzione di Eugenio Garin, Firenze, Olschki, GentileChiavacci.
Carteggio, Paolo Simoncelli, Firenze, Le Lettere. Roberto Grita, Gaetano
Chiavacci, su treccani. Antonio Russo, Gaetano Chiavacci, interprete di
Michelstaedter, Trieste. Così Chiavacci ricorderà il suo primo incontro con la
figura di Gentile: «Leggendo per la prima volta la Teoria generale dello
spirito, ebbi un lampo di luce, pel quale intravidi la possibilità di
comprender la vita, di potervi trovare quel valore senza del quale ogni altra
cosa non ha pregio» (da una lettera di Chiavacci a Gentile, cit. in
Gentile-Chiavacci: CarteggioSimoncelli, Firenze). Scheda su Gaetano
Chiavacci [collegamento interrotto], su agiati.org. Cit. anche in G. Chiavacci, Quid est veritas?
Saggi filosofici, A.M. Chiavacci Leonardi, Olschki. Gaetano Chiavacci, Il
pensiero di Carlo Michelstaedter, articolo sul «Giornale critico della
filosofia italiana». Chiavacci, Il centro della speculazione gentiliana:
l'attualità dell'atto, in «Giornale critico della filosofia italiana», Gaetano
Chiavacci, Il centro della speculazione gentiliana: l'attualità dell'atto, Gaetano
Chiavacci, Quid est veritas? Saggi filosofici, A. M. Chiavacci Leonardi,
Olschki, Gaetano Chiavacci, Quid est veritas? Saggi filosofici, Antonio Russo,
Gaetano Chiavacci interprete di Michelstaedter. Eugenio Garin, Introduzione a
G. Chiavacci, Quid est veritas? Saggi filosofici, Antonio Russo, Gaetano
Chiavacci interprete di Michelstaedter, Gaetano Chiavacci, su sapere. Gaetano Chiavacci, Michelstaedter Carlo, in
«Enciclopedia Italiana», Roma. Gustavo
Bontadini, Dall'attualismo al problematicismo, Brescia, La Scuola, Augusto
Guzzo, Gaetano Chiavacci: la "Ragione poetica", in «Giornale di
metafisica», Francesco Valentini, Recenti studi sull'attualismo, in «Rassegna
di filosofia», Antonio Testa,
Michelstaedter e i suoi critici, in «Rassegna di Filosofia», Gianfranco Morra,
La scuola gentiliana e l'eredità dell'attualismo, in «Teoresi», Vito A.
Bellezza, Gentile e l'attualismo nell'ultimo ventennio, in «Cultura e Scuola», Dario
Faucci, L'«attualismo» di Gaetano Chiavacci, in «Filosofia», Antimo Negri, Giovanni Gentile: sviluppi e
incidenza dell'attualismo, Firenze, La Nuova Italia, Antonio Russo, Gaetano
Chiavacci (1886-1969) interprete di Michelstaedter, Sergio Campailla, in La via della persuasione. Carlo
Michelstaedter un secolo dopo, Venezia, Marsilio, Attualismo (filosofia)
Giovanni Gentile Idealismo italiano Carlo Michelstaedter La Persuasione e la
Rettorica Enrico Chiavacci Gaetano
Chiavacci, in Dizionario biografico degli italiani. Gaetano Chiavacci.
Keyowords: critica della ragione poetica, illusion, allusion, ludo, la natura
dell’uomo, carteggio con Gentile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chiavacci”.
CHIOCCHETTI (Moena). Filosofo.
Grice: “I like Chiocchetti – a surname most Englishmen are unable to pronounce,
but cf. Chumley! – For one, he exapanded, alla Croce on Vico as proposing
‘espressione’ as prior to ‘communicazione,’ as I do – but he went further – he
studied the Latin-language author, and saint, Aquinas, and his ‘modi di
significare’ – Lastly, he expanded on ‘pragmatism’ as the term of abuse it MUST
be! Why are non-philosophers OBSESSED to keep miscalling me a ‘pragmaticist’
who is into ‘pragmatics’ – It’s totally anti-Oxonian – Oxford being the epitome
of aestheticism – to do so! Chiocchetti also played with the abused term,
‘scolastic’: he thought there are two scolastics: the palaeo-scolastici, or
scolastici simpiciter, and the ‘neo-scolastici,’ like his self! He wrote a
little tract on Gentile, who ungently threw it onto the wastepaper basket!” -- Emilio Chiocchetti (Moena) filosofo. Nato a
Moena, in Val di Fassa, vestì l'abito francescano nel 1896 e l'anno successivo
concluse gli studi secondari a Rovereto. Durante il corso di teologia si
appassionò agli studi biblici, anche se non gli venne concessa la possibilità
di approfondirli presso l'Istituto biblico francescano di Gerusalemme e la
Facoltà teologica di Vienna. Nel 1903 venne ordinato sacerdote. Fino al 1908 studiò filosofia a Roma presso
il Collegio internazionale di San Antonio. Tornò quindi a Rovereto per
insegnare filosofia presso il liceo interno all'Ordine dei Minori e iniziò
un'assidua collaborazione, su invito del padre Agostino Gemelli, alla Rivista
di filosofia neoscolastica fin dalla sua fondazione (1909). Tra il 1908 e il 1909 progettò uno studio
sistematico sulla filosofia di Henri Bergson, interrompendolo definitivamente
nel 1910 per approfondire ulteriormente la sua preparazione filosofica a
Lovanio, centro degli studi neoscolastici. Subito dopo si recò in Germania, a
Fulda, per ascoltare Konstantin Gutberlet, e successivamente a Vienna, dove
frequentò come uditore le lezioni di psicologia di Wilhelm Wundt. Tornato all'insegnamento
a Rovereto nel 1912, assunse la direzione della Rivista tridentina. Note
Chiocchetti, Emilio, su siusa.archivi.beniculturali. 20 marzo . G. Faustini, , Emilio Chiocchetti, Antonio
Rosmini e la cultura trentina: un filosofo ladino tra Trentino ed Europa,
Trento, Pancheri, 2008 G. Faustini, , Emilio Chiocchetti: un filosofo
francescano di fronte alle sfide del Novecento: antologia, scritti di filosofia
e cultura, Trento, Pancheri, 2006 Padre Emilio Chiocchetti un filosofo
francescano tra il Trentino e l'Europa: atti del seminario di studio promosso
dal Museo storico in Trento, svoltosi a Trento il 3 dicembre 2004,
"Archivio Trentino", 1, 2005,
101–215 S. Pietroforte, Storia di un'amicizia filosofica tra
neoscolastica, idealismo e modernismo: il carteggio Nardi-Chiocchetti
(1911-1949), Firenze, Sismel Edizioni del Galluzzo, 2004 R. Centi, Un filosofo
francescanoEmilio Chiocchetti, Trento, Gruppo culturale Civis, C. Coen,
Chiocchetti Emilio, in Dizionario biografico degli italiani, 25, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 1981 (Dizionario biografico degli italiani) G. Consolati, , diEmilio Chiocchetti filosofo trentino (Moena
1880-1951) rettore generale francescano e professore di storia della filosofia
moderna alla Università cattolica del S. Cuore, Trento, Saturnia, Emilio
Chiocchetti, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Emilio
Chiocchetti, su siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per
le Soprintendenze Archivistiche. Opere di Emilio Chiocchetti, . Pubblicazioni di Emilio Chiocchetti, su
Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de
l'Innovation. Emilio Chiocchetti. Keywords: Grice: “In Italy, just to know that
a philosopher has a religion orientation disqualifies as a philosopher, and
that is at it should. The keyword is: anti-Popish, Vico, Croce, estetica,
Aquino, Gentile, Neo-Scolastica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chiocchetti” –
The Swimming-Pool Library.
CHIODI: Grice: “I like
Chiodi; for one, he plays, somethings rather sneakily, with the Italian
language as Heidegger played with the German language: Heidegger is able to
play with Latinate versus Germanic words: tat (deed) versus fakt. The Italians
only have ‘fatto’ and this leads Chiodi to restrict ‘fatto’ to ‘tat’ and invent
‘effetto’ for ‘fakt!’ – “But other than that he was a genius!” -- Pietro Chiodi
(Corteno Golgi) filosofo. Figlio di
Annibale e Maria Romelli, frequentò le scuole elementari al paese natio e le
medie inferiori e superiori a Sondrio sotto la guida del prof. Credaro, che lo
avviò allo studio della filosofia. Dopo aver conseguito nel 1934 l'abilitazione
magistrale si trasferì a Torino, dove si laureò il 27 giugno 1938 in pedagogia
sotto la guida di Nicola Abbagnano. Nell'anno successivo ottenne la cattedra di
storia e filosofia del liceo classico Giuseppe Govone di Alba, dove insegnò per
18 anni. Qui entrò in contatto col professore di lettere Leonardo Cocito, del
quale divenne intimo amico, ed ebbe tra i suoi allievi lo scrittore Beppe
Fenoglio. Questi ricorderà più volte nei suoi scritti i due insegnanti, con i
loro nomi o con pseudonimi; Chiodi diventerà così, nel romanzo Il partigiano
Johnny, il personaggio di Monti. Grazie
ai suoi contatti con Cocito, fervente comunista e antifascista, Chiodi entrò,
Il 2 luglio 1944, a far parte di una formazione partigiana Giustizia e Libertà
col nome di battaglia di “Piero”. Il 18
agosto di quello stesso anno Chiodi venne catturato dalle SS italiane, assieme
ai suoi compagni, e deportato in un campo di prigionia a Bolzano, quindi a
Innsbruck. Aiutato dal comandante del lager e da un medico, ottenne il visto di
rimpatrio. Il 30 settembre alle ore 07:30 era alla stazione di Innsbruck
diretto a Verona. Il 3 ottobre, verso sera, giunse nell'albese. Qui riprese la
sua attività di partigiano, ora sotto il nome di battaglia di Valerio,
mettendosi a capo, nelle Langhe, di un battaglione della CIII Brigate Garibaldi
intitolato al suo collega Cocito, impiccato dai tedeschi a Carignano (località
pilone Virle) il 7 settembre 1944, insieme ad altri patrioti. Nel 1946 narrò la propria esperienza di
lotta, di prigionia e di guerra civile nel libro scritto in forma diaristica e
pubblicato dall'ANPI, Banditi, uno dei primi memoriali di deportati politici
italiani. Dopo la liberazione di Torino
nel 1945, Chiodi era tornato all'insegnamento ad Alba. Nel 1957 si trasferì
come insegnante al Liceo di Chieri e poi al Liceo Vittorio Alfieri del
capoluogo piemontese. Nel 1955 ottenne la libera docenza e dal 1963 fu incaricato
e poi titolare della cattedra di Filosofia della storia alla Facoltà di Lettere
e filosofia a Torino, insegnamento che ricoprì fino alla sua prematura morte
nel 1970, affiancandolo all'incarico di Pedagogia. Nel 1961, l'Accademia
Nazionale dei Lincei gli assegnò il premio del Ministero della Pubblica
Istruzione per la filosofia e nel 1964 gli fu conferito il Premio Bologna. Alla ristampa del 1961 di Banditi Chiodi
premise questa avvertenza, poi conservata nelle edizioni successive: «La
presente ristampa si rivolge particolarmente ai giovani, non già per far
rivivere nel loro animo gli odi del passato, ma affinché, guardando
consapevolmente ad esso, vengano in chiaro senza illusioni del futuro che li
attende se per qualunque ragione permetteranno che alcuni valoricome la libertà
nei rapporti politici, la giustizia nei rapporti economici e la tolleranza in
tutti i rapportisiano ancora una volta manomessi subdolamente o violentemente
da chicchessia». Raccolse grande stima
ed affetto tra suoi allievi, che ne conservano tuttora il ricordo di un grande
Maestro, limpido esempio di tolleranza e serenità di giudizio. Attività filosofica L'attività filosofica di
Pietro Chiodi si concentrò specialmente sull'Esistenzialismo, riletto in chiave
positiva. La maggior parte delle sue opere è dedicata a Martin Heidegger. Egli fu il primo traduttore in Italiano di
Essere e tempo, nel 1953, e il terzo in assoluto a realizzarne una versione in
un'altra lingua, dopo il giapponese e lo spagnolo. Proprio a Chiodi si deve la
definizione della terminologia heideggeriana in Italiano, divenuta poi abituale
tra gli studiosi. Valga un caso per tutti: la traduzione del tedesco Dasein con
l'italiano Esserci, capolavoro di sintesi ed efficacia, spesso e volentieri non
ancora raggiuntain questo specifico casoin altre lingue. Al filosofo tedesco
dedicò anche, ovviamente, diversi saggi: L'esistenzialismo di Heidegger (1947),
L'ultimo Heidegger (1952), Esistenzialismo e fenomenologia (1963). Fu, inoltre,
traduttore di L'essenza del fondamento (1952) e Sentieri interrotti (1968). A
Immanuel Kant dedicò, invece, La deduzione nell'opera di Kant (1961) e ne
tradusse nel 1967 la Critica della ragion pura e gli Scritti morali, usciti
nella sua versione nel 1970. È infine da ricordare il suo interesse per
Jean-Paul Sartre, del quale si occupò nel 1965 nell'opera Sartre e il
marxismo. L'esperienza partigiana rimase
sempre una pagina fondamentale nella vita di Pietro Chiodi, per cui il valore
della libertà occupò sempre il primo posto. Non è un caso che Fenoglio faccia
rivolgere da parte di Monti, nel Partigiano Johnny, proprio questo ammonimento
ai giovani partigiani di Alba: «Ragazziteniamo di vista la libertà». La sua
breve e unica opera narrativa, Banditi, ricca di valore non solo storico e morale
ma anche letterario, è stata definita da Davide Lajolo «Il libro più vivo, più
semplice, più reale di tutta la letteratura partigiana» (L'Unità, 10 ottobre
1946) e da Franco Fortini «quasi un capolavoro [...]. Ci sono dei tratti
straordinari, nel tragico come nel comico».
Opere Chiodi Pietro, Banditi, con introduzione di Gian Luigi Beccaria,
Torino, Einaudi, 2002 [1961],
978-88-06-16322-8. Chiodi Pietro, Esistenzialismo e filosofia
contemporanea, Giuseppe Cambiano, Pisa, Edizioni della Normale, 2007, 88-7642-194-7. Note Deportati Politici Italiani, su
restellistoria.altervista.org. Chiodi, Banditi, Torino, Einaudi, 1975V. , Conoscere la Resistenza, Milano, Unicopli,
1994132. Resistenza italiana Deportati
politici italiani Esistenzialismo Martin Heidegger Opere di Pietro Chiodi,
. Biografia di Chiodi nel sito
dell'Associazione nazionale partigiani d'Italia, su anpi. Centro Studi 'Beppe
Fenoglio'CHIODI Pietro, su centrostudibeppefenoglio. V D M Antifascismo
(1919-1943) Filosofia Filosofo del XX secoloPartigiani italiani 1915 1970 2
luglio 22 settembre Corteno Golgi TorinoBrigate Giustizia e LibertàDeportati
politici italiani. Keywords: nulla annhihila, Kant imperative, counsel of
prudence, rule of ability, practical reason, existentialism, Heidegger,
greatest philosopher, maxim universality, maxim universability.
CHITTI. (Citanova).
Filosofo. Grice: “I like Chitti; not so much for what he philosophised about –
law and law and law – but the way he corresponded with Say – a French
philosopher – on the lack of an adequate philosophical vocabulary in Italian to
express Aristotle’s principles of oeconomia!” Fervor, temperanza e, ingegno finissimo
fanno di lui uno di quegli filosofi che sono atti egualmente alla filosofia ed
all'azione. Figlio di Giuseppe, avvocato
e giudice alla Gran Corte Criminale di Reggio e di Saveria Barbaro, nativa di
Napoli. Partecipa a Napoli, col padre ed
i fratelli, alla rivoluzione. In seguito alla capitolazione del Forte Castel
Nuovo, ripara in Francia. A Parigi, termina gli studi giuridici e strinse
amicizia con molti patrioti del tempo.
Ferdinando I delle Due Sicilie Tornato a Napoli, esercita in città la
professione di avvocato e difese Casalnuovo (l'odierna Cittanova) contro la
feudataria del luogo, Maria Grimaldi-Serra, ultima principessa di Gerace,
davanti alla regia commissione feudale. Fattosi un nome come avvocato, dopo la
restaurazione ebbe la nomina di segretario generale al Ministero di Grazia e
Giustizia del Regno. A Napoli sposa la figlia
di Emanuele Hipman, un capo dipartimento di uno dei Ministeri del Regno. Fu
coinvolto nella rivolta contro Ferdinando I organizzata dai sottotenenti
Morelli e Silvati, fu quindi privato della carica ed esiliato. Passa un periodo
a Londra, e tenta di ritornare a Napoli, ma ebbe l'inibizione ufficiale a
rientrare nella capitale. Anda a Firenze e di lì a poco, chiamato da amici, si
recò a Bruxelles. In Belgio da lezioni
di diritto pubblico e di economia sociale, ottenne la carica di segretario
della Banca Fondiaria e si fece un nome. Il governo belga gli conferì la
licenza di professare Economia Sociale, e tenne quattro letture pubbliche nel
Museo di Bruxelles. Le sue quattro letture furono intitolate da lui stesso
«Corso di Economia sociale», compendio delle sue vaste vedute e della sua non
comune cultura sull'argomento. Pubblica altre opere ed in seguito alla fama
acquisita, il governo belga gli conferì la carica di Professore alla facoltà di
diritto dell'Bruxelles. In Belgio pubblica la maggior parte dei suoi lavori e
strinse amicizia con Gioberti, che lo definirà valente economico. Nonostante la
revoca dell'esilio, non torna a Napoli ma rimase in Belgio ancora per parecchi
anni fino a quando partì per il nuovo mondo.
In America, tenta varie imprese
commerciali, ma difficoltà sopravvenute gli fecero abbandonare presto i suoi
progetti e si stabilì a New York. Altre opere: “Trattato di economia politica o
semplice esposizione del modo col quale si formano, si distribuiscono e si
consumano le ricchezze; seguito da un'epitome dei principi fondamentali
dell'economia politica di Giovanni Battista Say” (Napoli, Stamperia del Ministero
della Segreteria di Stato). Ermenegildo Schiavo, Four centuries of
Italian-American history, Vigo Press. The New York Herald morning edition mercoledì.
New York Daily Times pag. 4 Daily Free
Democrat. The American almanac and repository of useful knowledge, Center for
Migration Studies Special Issue: Four Centuries of Italian American History Wiley
Online Library Vincenzo De Cristo, Prime
notizie sulla vita e sulle opere di Chitti Economista, Prem. Tip. e Lib.
Claudiana, Dizionario biografico degli italiani, 25, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Luigi Chitti. Keywords: economia sociale, economia politica,
l’economia filosofica d’Aristotele. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chitti” –
The Swimming-Pool Library.
Cicerone -- Ciceronian
implicaturum: Grice: “One has to be
careful: an Italian philosopher might argue that Cicerone ain’t Italian, but
Roman! – so the keywords: ‘filosofo italiano’ ‘filosofo romano’ – matter!”
Grice: “However, whatever the discussion, provided Cicerone IS discussed by
this or that undeniable *Italian* philosopher is enough to provide us with some
nice secondary literature!” – Grice: “As an example, I would mention the
two-volume of the ‘Storia della filosofia’ – if you check for the “Roman
chapter,” it’s mainly all about Cicerone – with some footnote to Lucrezio and
Aurelio!” – Grice: “Recall that Roman-Roman philosophy is pretty recent: due to
the embassy by the three Greek philosophers who arrived in Rome in 183 a. u.
c., and – philosophy then became the pastime of the leisurely class, notably
the Scipioni!” -- Marcus Tullius, Roman
statesman, orator, essayist, and letter writer. He was important not so much
for formulating individual philosophical arguments as for expositions of the
doctrines of the major schools of Hellenistic philosophy, and for, as he put
it, “teaching philosophy to speak Latin.” The significance of the latter can
hardly be overestimated. Cicero’s coinages helped shape the philosophical
vocabulary of the Latin-speaking West well into the early modern period. The
most characteristic feature of Cicero’s thought is his attempt to unify
philosophy and rhetoric. His first major trilogy, On the Orator, On the
Republic, and On the Laws, presents a vision of wise statesmen-philosophers
whose greatest achievement is guiding political affairs through rhetorical
persuasion rather than violence. Philosophy, Cicero argues, needs rhetoric to
effect its most important practical goals, while rhetoric is useless without
the psychological, moral, and logical justification provided by philosophy.
This combination of eloquence and philosophy constitutes what he calls
humanitas a coinage whose enduring
influence is attested in later revivals of humanism and it alone provides the foundation for
constitutional governments; it is acquired, moreover, only through broad
training in those subjects worthy of free citizens artes liberales. In
philosophy of education, this Ciceronian conception of a humane education
encompassing poetry, rhetoric, history, morals, and politics endured as an
ideal, especially for those convinced that instruction in the liberal
disciplines is essential for citizens if their rational autonomy is to be
expressed in ways that are culturally and politically beneficial. A major aim
of Cicero’s earlier works is to appropriate for Roman high culture one of
Greece’s most distinctive products, philosophical theory, and to demonstrate
Roman superiority. He thus insists that Rome’s laws and political institutions
successfully embody the best in Grecian political theory, whereas the Grecians
themselves were inadequate to the crucial task of putting their theories into
practice. Taking over the Stoic conception of the universe as a rational whole,
governed by divine reason, he argues that human societies must be grounded in
natural law. For Cicero, nature’s law possesses the characteristics of a legal
code; in particular, it is formulable in a comparatively extended set of rules
against which existing societal institutions can be measured. Indeed, since they
so closely mirror the requirements of nature, Roman laws and institutions
furnish a nearly perfect paradigm for human societies. Cicero’s overall theory,
if not its particular details, established a lasting framework for
anti-positivist theories of law and morality, including those of Aquinas,
Grotius, Suárez, and Locke. The final two years of his life saw the creation of
a series of dialogue-treatises that provide an encyclopedic survey of
Hellenistic philosophy. Cicero himself follows the moderate fallibilism of
Philo of Larissa and the New Academy. Holding that philosophy is a method and
not a set of dogmas, he endorses an attitude of systematic doubt. However,
unlike Cartesian doubt, Cicero’s does not extend to the real world behind
phenomena, since he does not envision the possibility of strict phenomenalism.
Nor does he believe that systematic doubt leads to radical skepticism about
knowledge. Although no infallible criterion for distinguishing true from false
impressions is available, some impressions, he argues, are more “persuasive”
probabile and can be relied on to guide action. In Academics he offers detailed
accounts of Hellenistic epistemological debates, steering a middle course
between dogmatism and radical skepticism. A similar strategy governs the rest
of his later writings. Cicero presents the views of the major schools, submits
them to criticism, and tentatively supports any positions he finds
“persuasive.” Three connected works, On Divination, On Fate, and On the Nature
of the Gods, survey Epicurean, Stoic, and Academic arguments about theology and
natural philosophy. Much of the treatment of religious thought and practice is
cool, witty, and skeptically detached
much in the manner of eighteenth-century philosophes who, along with
Hume, found much in Cicero to emulate. However, he concedes that Stoic
arguments for providence are “persuasive.” So too in ethics, he criticizes
Epicurean, Stoic, and Peripatetic doctrines in On Ends 45 and their views on
death, pain, irrational emotions, and happiChurch-Turing thesis Cicero, Marcus
Tullius 143 143 ness in Tusculan
Disputations 45. Yet, a final work, On Duties, offers a practical ethical
system based on Stoic principles. Although sometimes dismissed as the eclecticism
of an amateur, Cicero’s method of selectively choosing from what had become
authoritative professional systems often displays considerable reflectiveness
and originality. “Cicero = Tully” Grice:
“Actually, ‘Cicero’ and ‘Tully’ mean different things! ‘Cicero’ is more of a
description than a name!” La morte di Cicerone. Cicero proscribed by the
triumvirate. Cicero killed by Marco Antonio, one of the three ‘vires’, along
with Ottaviano. Cicero offered his hands, with which he had written the
Filippiche. His head and hands were displayed at the Senate. The Romans never
quite liked him because he was only a provincial nobility and never displayed
courage. Grice: “Most English gentlemen knew Cicero via the Macmillan’s Loeb
Classical Library, a book fit for the gentleman’s pocket! One at a time, since
there are quite a few volumes dedicated to Cicero! Mr Chips makes fun of the
revised pronounciation, /kikero/!” Grice: “Austin liked Cicero because he made
ordinary Latin into extraordinary philosophese!” Cicerone – Keywords: untranslatable,
signans/signatum, signans, signatum. Cicerone, Cicero = Tully. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Cicerone” – The Swimming-Pool Library.
cocconato: Grice: “I like Coconato – I used to
say that the first task for the historian of Italian philosophy, unless you are
a member of La Crusca, is to decide on the surname – I like Cocconato! He spent
some time in London, as I did – and he shows that the average Italian
philosopher is a nobleman, or vice versa!” – Grice: “Venturi revived Cocconato,
as did the re-issuing of his “Moral Discourses”!” -- “Manhood and unbelief” -- Alberto
Radicati, conte di Passerano e Cocconato (Torino), filosofo. Libero pensatore, fu
il «primo illuminista della penisola», secondo una definizione di Piero
Gobetti. Cocconato matura il suo pensiero anti-clericale nel clima
dell'anticurialismo sabaudo ben presente in alcuni settori della corte di
Vittorio Amedeo II, re di Sardegna. S'ignora tutto della sua prima formazione,
verosimilmente affidata a qualche ecclesiastico. Un infelice matrimonio
precoce, combinato dalle famiglie, lo coinvolge ventenne, e già due volte
padre, in una serie di penosi contrasti il cui significato travalica i conflitti
coniugali. Mentre a prendere le parti della moglie si mobilita il partito
devoto-clericale, Radicati trova sostegno a corte in chi appoggia il re sabaudo
nei suoi conflitti giurisdizionali con la Curia romana. Il
grottesco-ironico racconto della sua «conversion pubblicato a Londra e
ripubblicato con il titolo “A Comical and True Account of the Modern Cannibal's
Religion” induce a datare intorno agli anni venti il precipitare della crisi
della fede cattolica in cui il conte era stato cresciuto. Nell'opuscolo
autobiografico presenta la sua personale vicenda come un caso emblematico di
«uscita dalla minorità. Narra infatti come, a partire dal contrasto tra santoni
bianchi e santoni neri monaci cistercensi e quelli agostinianisui presunti
miracoli operati da un'immagine della Vergine, rinvenuta nel convento
agostiniano, avesse cominciato a vacillare in lui la fede e come, verso i
vent'anni, avesse cominciato anche in campo religioso “a far uso della mia
ragione.”Importante per la sua ulteriore maturazione intellettuale è il viaggio
compiuto nella Francia della "Reggenza" tin cui poté ampliare il
raggio delle sue conoscenze e forse procurarsi testi libertine come La Sagesse
di Charron, l'Hexameron rustique di Vayer o il Traité contre la Médisance di Brosse,
in cui ricorrono motivi che troveranno eco e sviluppo nelle sue opere. Il
suo scritto principaleI discorsi morali, storici e politici redatti su diretto
incarico di Vittorio Amedeo II nel mutato clima conseguente alla ratifica del
Concordato stipulato tra regno sabaudo e Benedetto XIII diverrà anche la
ragione vera del suo esilio. Il conte, che da un riacquisito potere
dell'Inquisizione a Torino deve temere per la sua libertà e per la sua stessa
incolumità, lascia segretamente il Piemonte per dirigersi a Londra, dovendo poi
subire per questa fuga non autorizzata dal sovrano il sequestro e la confisca
dei beni. A Londra pubblica con un discreto successo l'instant book che
ricostruisce i retroscena della recente abdicazione di Vittorio Amedeo II
mentre, al contempo, lavora alla stesura del più audace e radicale dei suoi
scritti, “La Dissertazione filosofica sulla morte,” che, tradotta da JMorgan,
uscirà dai torchi londinesi destando un enorme scandalo. Nella Dissertazione,
che gli costa anche l'esperienza delle carceri della tollerante Inghilterra di
Walpole, propugna il diritto al suicidio e all'eutanasia sullo sfondo di una
esplicita filosofia materialistica che scorge nel Deus sive Natura
spinoziano-tolandiano il suo unico grandioso orizzonte di senso. Nella sua
meditazione sulla morte e sulla liceità del suicidio si inserisce in un
dibattito che già Montesquieu aveva rilanciato nelle Lettere Persiane,
riprendendo una discussione inaugurata nel Seicento da Donne con il suo
Biothanatos. Interessato a proporre un progetto politico che esige come sua
prima tappa essenziale una riforma radicale della cristianità
occidentale, capace di affrancarla dal giogo clericale- o se si vuole, in
termini più neutri dal potere pastorale- la scelta del tema del diritto individuale
alla morte non è scelta casuale per quanto la meditazione sul suicidio non sia
priva di elementi autobiografici. Le chiese cristiane di ogni confessione
ritengono infatti un loro preciso dovere intervenire direttamente nella
gestione del trapasso a quella che esse, in base alla loro fede, considerano la
vera vita, quella ultraterrena. Del resto non solo il mondo cristiano, lo
stesso ebraismo e l'islam, finendo con il recepire come un dogma
l'interpretazione agostiniana del suicidio come omicidio di se stessi, per
secoli hanno considerato la morte volontaria come il più grave e irreparabile
dei peccati, suprema manifestazione di oltranza e ribellione alla volontà
divina, mentre le autorità statali, dal canto loro, si distinguevano per la
crudeltà inumana con cui trattavano i cadaveri dei suicidi e i beni dei loro
eredi. Se i Discorsi partivano dalla morale ricavata essenzialmente da
una lettura pauperistico-comunistica dei Vangeli che faceva di Cristo, al pari
di Licurgo, il grande critico dell'istituto familiare, nonché il fondatore di
una democrazia perfetta in cui non esiste né il mio, né il tuo»per poi
occuparsi di politica e concludersi in concrete proposte riformatrici, nella Dissertazione
filosofica fornisce una risposta alla legittimità del suicidio muovendo da una
concezione complessiva del mondo e dell'esistenza umana. Nonostante il suo
titolo, la Dissertazione filosofica sulla morte non rinnega affatto l'istanza
spinoziana che intende la filosofia quale gioiosa meditatio vitae, apertura mentale
a una possibile transizione da una condizione di servitù a una condizione di
più ampia libertà che è, simultaneamente, incremento della capacità del corpo
di comporsi e ricomporsi con altri corpi per realizzare la sua potenza e
ampliare la sua capacità di comprendere le cose. Definisce
l'individualità umana a partire dalle relazioni che essa intrattiene con il
tutto. Per quanto grandezze infinitesimali noi siamo materia della materia che
costituisce l'Universo nella sua indefinita immensità. La certezza che ci
resta, quando ci liberiamo dall'ignoranza in cui nasciamo e dagli idola tribus,
i pregiudizi con cui siamo allevati, è che noi siamo vicissitudini della
materia. La materia a cui pensa tuttavia nel suo esilio londinese e poi
olandese non è lo squalificato sostrato inerte che dai greci giunge fino a
Cartesio che, limitandosi a identificare materia ed estensione, continua ad
aspettarsi dal Dio creatore l'impulso motore e la creazione continua. Come per
il Toland delle Lettere a Serena e del Pantheisticon, la materia pensata dal
Radicati è la materia actuosa che reingloba nel meccanicismo moderno motivi
provenienti dal naturalismo rinascimentale a cui ineriscono direttamente
movimento e autoregolazione. L'universo è un mondo infinito in perpetuo
movimento: in esso nulla continua ad essere anche solo per un istante la stessa
cosa. Le continue alterazioni, successioni, rivoluzioni e trasmutazioni della
materia non incrementano né diminuiscono tuttavia il grande tutto, come nessuna
lettera dell'alfabeto si aggiunge o si perde per le infinite combinazioni e
trasposizioni di essa in tante diverse parole e linguaggi. La natura, mirabile
architetta sa sempre come utilizzare anche il minimo dei suoi atomi. La fine
della nostra individualità costituita dalla morte non è quindi fine assoluta,
perché niente si annichila nella materia e il principio vitale che ci
anima come non è nato con noi troverà sicuramente altre forme di esplicazione:
come la nostra nascita non è avvenuta dal nulla, non sarà nel nulla che ci dissolveremo.--
è estranea ogni forma di lirismo e, tuttavia, una concezione non lontana dalla
sua rifiorirà in una delle pagine finali di uno dei maggiori romanzi lirici
della modernità, nell'Hyperion di Hölderlin che fa dire alla sua eroina,
Diotima: “Noi moriamo per vivere: «Oh, certo, i miserabili che non conoscono se
non il ciarpame arrabattato dalle loro mani, che sono esclusivamente servi del
bisogno e disprezzano il genio e non ti venerano, o fanciullesca vita della
natura, a ragione possono temere la morte. Il loro giogo è diventato il loro
mondo, non conoscono niente di meglio della loro schiavitù: c'è forse da
stupirsi che temano la libertà divina che ci offre la morte? Io no! Io l'ho
sentita la vita della natura, più alta di tutti i pensierie anche se diverrò
una pianta, sarà poi così grande il danno? Io sarò. Come potrei mai svanire
dalla sfera della vita, in cui l'amore eterno che è partecipato a tutti,
riunifica le nature? come potrei mai sciogliere il vincolo che riunisce tutti
gli esseri?» Opere Antologia di scritti, in Dal Muratori al Cesarotti.
Politici ed economisti del primo Settecento, tomo V, F. Venturi, Milano-Napoli,
Ricciardi, Dodici discorsi morali, storici e politici, T. Cavallo, Sestri
Levante, Gammarò editori, Dissertazione filosofica sulla morte, T. Cavallo,
Pisa, Ets Vite parallele. Maometto e Mosè. Nazareno e Licurgo, T. Cavallo,
Sestri Levante, Gammarò editori, Discorsi morali, istorici e politici. Il
Nazareno e Licurgo messi in parallelo, introduzione di G. Ricuperati (check); edizione
e commento di D. Canestri, Torino, Nino Aragno Editore, Dissertazione
filosofica sulla morte, F. Ieva, Indiana, Milano Piero Gobetti, Risorgimento senza eroi. Studi
sul pensiero nel Risorgimento, Torino, anche in Opere completeSpriano, Torino,
Einaudi Franco Venturi, Adalberto Radicati di Passerano, Torino, Einaudi, Franco Venturi, Settecento riformatore, I,
Torino, Einaudi, Silvia Berti, Radicati
in Olanda. Nuovi documenti sulla sua conversione e su alcuni suoi manoscritti
inediti, in «Rivista Storica Italiana», S. Berti, Radicali ai margini:
materialismo, libero pensiero e diritto al suicidio in Radicati di Passerano,
in «Rivista Storica Italiana», J. I. Israel, Radical Enlightenment. Philosophy
and the Making of Modernity Oxford, Oxford University Press, passim Tomaso
Cavallo, Introduzione a A. Radicati, Dissertazione filosofica sulla morte,
Pisa, Ets, Tomaso Cavallo, Le divergenze parallele. Mosè, Maometto, Nazareno e
Licurgo: impostori e legislatori nell'opera di Alberto Radicati, introduzione
ad A. Radicati, Vite parallele. Maometto e Sosem. Nazareno e Licurgo, Sestri
Levante, Gammarò, Vincenzo Sorella, Un partigiano della ragione umana, in «I
Quaderni di Muscandia», G. Tarantino, “Alternative Hierarchies: Manhood and
Unbelief in Early Modern Europe, in Governing Masculinities: Regulating Selves
and Others in the Early Modern Period, ed. by S. Broomhall and Jacqueline Van
Gent, Ashgate, ,TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di storia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere, M. Cappitti, Le Vite Parallele di Alberto
Radicati su blog.carmillaonline. Se poca fortuna ebbe come uomo politico e
consigliere di monarchi, non diversa fu la sua sorte di filosofo; e la sua
filosofia che ha a tratti momenti di luce viva e che riuscirono a destare
interessi e preoccupazioni persino nelli liberi circoli, giacquero come cose
inanimate dopo la sua morte, come se questa le avesse private, come il loro
autore, di quello spirito vitale che le fa palpitare. E l'oblio scese su di
loro, crudele e inesorabile, facendo perdere la conoscenza di la sua filosofia.
Infatti il Saraceno pubblicando il « Manifesto» e le due « Lettere »
indirizzate, l'una a Vittorio Amedeo II, l'altra a Carlo Emanuele III e
premettendo alla sua edizione alcune notizie di carattere biografico e
bibliografico, limita, pur credendo di darne l'elenco completo la sua filosofia
a quelli saggi da lui pubblicate e a quell'altre contenute nel Recueil edito a
Rotterdam. Cat. del British Museum sotto il nome di Thomas Joseph Morgan, il
suo traduttore. Più la “History” edita a Londra. Da quel momento, per quei
pochissimi che del nostro s'interessarono, le parole del Saraceno furono
vangelo, e la filosofia dimenticata scomparvero definitivamente, come
non-esistente, dalla sua bibliografìa. La sensazione iniziale di una possibile
lacuna nell’elenco della sua filosofia, divenuta certezza in seguito ad alcune
notizie rinvenute nel carteggio diplomatico tra l’inviato piemontese a Londra e
la Corte di Torino, in cui era fatta la sua parola, mi determinò alla ricerca
di questa filosofia sperduta. Quasi del tutto infruttuose furono le ricerche in
Italia -- due sole lettere rinvenni all'Ai-, di Stato di Torino --. Fortunate
invece all'estero e precisamente alla Biblioteca Bodleiana di Oxford, al
British Museum di Londra, ed alla Staats Preusische Bibliothek di Berlino,
dimodoché tenendo conto dei nuovi materiali trovati, la sua filosofia risulta
in una elencazione definitive. Manifesto di A. I. R. di P. (Archivio R. di P.,
Castello di Passerano. Lettera del P. a Vittorio Amedeo II. Memoria rilasciata
al Marchese d'Aix. Lettera scritta dal conte A. R. di P. a S. M. il Re Vittorio
Amedeo lì inserviente di prefazione ai discorsi da lui compilati e che
intendeva dedicare alla prelodata Maestà sua. (Ardi. Stat. di Tor., Storia
della Real Casa, Cat. terza, Storie pari). Lettera alla Contes. di S.
Sebastiano. Lettera del P. a Vittorio Amedeo II. “Christianity set in a True
Light” in “XII Discourses Political and Historical. By a pagan philosopher newly
converted” (London. Printed for J. Peele at Lockes Head in Pater-noster-Row;
and sold by the Booksellers of London and Westminster). “The History of the Abdication
of Victor Amedeus II, Late King of Sardinia with his confinement in the Castle
of Rivole, Shewing the real Motives, which indue'd that Prince to resign the
Crown in Favour of his Son Charles Emanuel the present King, as also how be came
to repent of his Resignation with the secret Reasons that urg’d him to attempt
his Restauration. On a letter frorn the Marquis de T. . . a Piemonlais now at
the Court of Poland; to the Count de C. in London. Printed and sold by A. Dodd
without, Tempie-Bar; E. Mutt and E. Cooke, at the Royal. Dell'opera n. 9 ne fa
recentemente parola il NATALI, Milano. Royal Exchange ; and by the Booksellers
and Pamphletsellers of London and Westminster MDGCXXXII. “A phliosophical [sic]
dissertation upon death composed for the consolation of the unhappy, by a
friend to Truth” (London. Printed for and sold by W. Mears at the Lamb on Ludgate-Hill).
Lettera a S. M. il Re Carlo Emanuele III0 colla quale supplica la prelodata S.
M. di voler gradire la dedica della opera da lui composta e già presentata alla
fu S. M. il Re Vittorio Amedeo IIC . (Arch. Slato Torino - Storia Real Casa -
Cat. Ili - Storie particolari). Twelve discourses concerning Religion and
Governement, Inscribed to all lovers of Truth and Liberty by Albert Comte de
Passeran, Written by Royal Command, The second Edition” (London, printed for
the Booksellers, and at the Pamplet shops in London ad Westminster). Recueuil
de pieces curieuses sur les matieres les plus interessantes – Rotterdam, Chez
la Veuve Thomas Johnson et Fils - contenente: Dedica a Don Carlos; Factum d'A.
R. de P. parce quel on voit les motifs qui l'ont engagé a composer cet ouvrage.
Douze Discours Moraux, historiques et politiques, preceduti da una Declaration
de l'Auteur, Histoire abregée de la profession sacerdotal, ancienne et moderne
a la tres illustre et tres celèbre secte des esprit-forts par un Free-Thinker
Chrètien, Nazarenus et Licurgos mis en parallele par Lucius Sempronius
neophyte, Epitre à l'Empereur Trayan Auguste, Recit fìdelle et comique de la
religion des Cannibales modernes par Zelin Moslem, dans lequel l'auteur declare
les motifs qu'il eut de quitter celte abominable Idolatrie, traduit de l'Arabe
a Rome par M. Machiavel [sic] imprimeur de la Sacrée congregation de Propaganda
fide, con prefazione dell'editore. Projet facile, équitable et modeste, pour
rendre utile à la Nation un grand nombre de pauvres enfans, qui lui son
maintenant fort à charhe, traduit de l'Anglois. Sermon perché [sic] dans la
grande assamblé des Quakers par le fameux frere E. Elwall dit l'Inspirée, traduit
de l'Anglois a Londres, au depens de la Compagnie. La religion Muhammedane
comparée à la paienne de l'Indostan par Ali-Ebn-Ornar, Moslem epitre a
C.inknin, Bramili de Visa - pour traduit de l'Arabe. A Londres au depens de la
Compagnie. Notiamo, ora di queste opere le notizie e di caratteri più salienti.
Fu edita dal Saraceno, nell'opera più volte citata. Il testo rimane nella sua
grafia del tutto immutato, con le inconstanze di scrittura (et, ed; chino e
hanno) caratteristiche del filosofo; alquanto mutata è invece la punteggiatura,
e gli alinea, la prima più scorretta nel testo originale, i secondi inesistenti
nel MS., che corre tutto di seguito. Questa lettera con la quale comunica a
Vittorio Amedeo II il suo desiderio di fargli pervenire la cassetta e di cui
abbiamo notizia sia dalla lett. del March. d'Aix, sia dalla risposta del March,
del Borgo, che c'informa pure del suo contenuto, per quante ricerche abbia
fatte all'Arch. di Stato di Torino, non mi è stata possibile trovarla. Questa
Memoria inedita si trova all'Ardi, di Stato di Torino. Fu edita dal Saraceno ed
è una copia della lettera originale andata perduta. Delle lettere comprese
sotto questi due numeri abbiamo notizia da una lettera del Cav. Ossorio al March.
Del Borgo e dalla risposta del Del Borgo. Ma non mi è stato possibile poterle
rintracciare. Quest'operetta edita, in un elegante Vili0, dopo due anni di
soggiorno in Inghilterra, doveva nella mente dell'Autore essere composta di
dodici discorsi. Fu edita invece incompleta contenendo solamente un
“Preliminary discourse in wich the Author gives a particular account of his
conversion” e il Discourse I, “Of the Precepts and Life of Jesus Clirist”. Al
primo di essi corrisponde alquanto mutato nella forma e nell'estensione il
Recit, contenuto nel Recueil. Al secondo corrisponde invece esattamente il
Discorso I. Cfr. Twelve Discourses riprodotto poi integralmente dal Discours, Des
Preceptes et des Mrnurs de Jesus Christ, dei Douze Discours, moreaux ecc.editi
nel Becueil „. Ritornando al Preliminary discourse abbiamo detto che questo
discorso fu riprodotto nelle sue linee sostanziali dal Recit incluso nel
Recueil, ma molte varianti, e alcune di valore capitale sussistono fra i due
testi. Accenneremo, qui, da un punto di vista generale, le caratteristiche più
salienti dei due testi, e la maggior importanza che può avere, da un punto di
vista biografico, l'edizione inglese; e infatti, pur essendo quest'ultima
mancante dell'introduzione che troviamo nel testo di Rotterdam. L'imprimeur au
lecteur judicieux, e della apocrifa Bolla di Benedetto XtlI, le numerosissime
note esplicative, che svelano luoghi, nomi e date, la rendono di una importanza
capitale per la ricostruzione della vita del filosofo. Senza questa edizione,
corredata di note e di avvertimenti, veramente preziosi, sarebbe stato
impossibile, per qualsiasi biografo, fare risultare dal semplice testo le
notizie importantissime documentanti la conversione del filosofo al calvinismo.
L'assenza di note del Recit e l'espressione più attenuata, in taluni punti, del
testo inglese costituiscono i caratteri differenziali fra le due edizioni. I
titoli dei discorsi annunciati, ma non editi nellla Christianity sono i
seguenti: Discourse II: Of the Doctrine and Manners of the Apostles and
Primitive Christians. Discourse III: The Christian Religion to the Religion of
Nature itself. Discourse IV: What were the Causes of the Corruption of the
Christians. Discourse V. Of the Mischief done to Christianity by the great
Number of Churches and Ecclesiasticks. Discours VI. By what Means the Bishop of
Rome are become Souvereigns of that Capital of the world. Discourse VII: That
neither the spiritual nor temporal power of priests is authorized by the
Gospel. Discourse VIII. Of the claims, by which the Papal Monarchy has
maintained, continues to maintain and will maintain itself, as long as it can
make use of them. Discourse IX. Of the evils caused by priests to sovereigns
and their states. Discourse X: Of Natural right: Of the origin ond Nature of
Government. Discourse XI: Of Religion in General. That all authority Spiritual
as well as Temporal belongs, de jure, to the Sovereign; and how Ecclesiastical
Affair should be regulated. Discourse XII: Of the Advantage that will accrue to
Sovereigns and States, from the Observance of the Rules. Come si può presumere
dai titoli i discorsi mancanti non avrebbero dovuto essere altro che quelli
contenuti nei “Twelve Discourses” come di fatto prova il primo discorso
contenuto nella Christianity del tutto analogo al primo di quelli
contenut i nei “Twelve Discourses” cosa, del resto, ch e si può rilevar e
facilmente confrontando rispettivamente i titoli delle due edizioni, che, pur
essendo vi qualche tenue variante di espressione, sintettizzano reciprocamente
un analogo contenuto. Copia di questa edizione l'ho trovata soltanto al British
Museu m di Londra. Di quest’opera falsamente attribuita al Marchese Trivié o ad
un certo Lamberti ma che già il Saraceno ed il Carutti avevan o rivendicat a al
filosofo, furono fatte numerosissime edizioni. Citiamo quelle che abbiamo
potuto rintracciare e confrontar e con l'edizione inglese che possediamo. Anecdotes
de l'abdication du roy de Sardaigne Victor Amédée II, ou l'on trouve les vrais
motifs qui ont engagé ce prince a resigner la couronne en faveur de son fils
Charles-Emmanuel a présent roi de Sardaigne. Comment il s’en est repenti, avec
les raisons et les intrigues secretes qui l'ont porte à entreprendre son
rétablissement par le marquis de F*** piemontois, à present à la Gour de
Pologne; en forme de lettres écrite au comte de G*** a Londres. S. 1. in Vili. Histoire
de l'abdication de Victor Amédé e nel volumetto La politique des deux partis,
ou Recueil de pièces traduites de l'anglois de Bolingbroke et des Frère s
Walpole (la Haye). Con la stessa intitolazione: Génève contenente una seconda
lettera da Ghambery, probabilmente pur essa de filosofo. Histoire de
l'abdication de Victor Amédée, roi de Sardaigne, Paris, in 4°, erratament e
attribuiti dall'Oettinger ad un Lamberti non meglio identificato. L'Oettinger
dà una traduzione tedesca dell’Histoire edita a Francoforte. Histoire de
l'abdication de Victor Amédée roi de Sardaigne, et de sa detention au Ghateau
de Rivoli. Où l'on voit les veritables motifs qui obligerent ce prince
d'abdiquer la couronne en faveur de Charles-Emmanuel, son fils, et ceux qu'il
eut ensuite de s'en repentir et de vouloir la reprendre. Lettre écrite au Conte
de C*** a Londres, par le marquis de Trivié, qui est à présent à la Gour du roi
de Pologne, edita nel " Recueil de pièces qui regardent le gouvernement du
royaume d'Angleterre, et qui ont rapport aux affaires présentes de l'Europe,
traduit de l'Anglois, la Haye. Histoire de l'abdication de Victor Amédée, roi de
Sardaigne, Genève, pure attribuita dall'Oettinger al Lamberti. Cfr. OETTINGER,
Bibliographie biographique universale, Paris. Histoire de l'abdication de
Victor Amédée roi de Sardaigne etc. de sa detention au Ghateau de Rivoli et des
moyens qu'il s'est servi pour remonter sur le trone, à Turiu. De l'impremerie
Royal. Anecdotes de l'abdication du Roi de Sardaigne Victor Amédée II, Anecdotes de l'abdication du Roi de Sardaigne
Victor Amédée II. Edita sotto il nome di Marchese di Fleury che il Qnerard ritiene
pseudonimo di Marchese di Trivié. Histoire de l'abdication de Victor Amédée Roi
de Sardaigne ecc. De sa detention au Ghateau de Rivole, et des moyens dont il
s'est servi pour remonter sur le trone. Nouvelle édition sur celle de Turin de
1734-, a Londres, 1782. Non abbiamo creduto necessario per quanto il testo
inglese rappresenti il testo originale redatto dal P. di annotare le poche
varianti che esistono più di forma che di contenuto. N. 9 di questa operetta,
che ho trovato solamente al British Museum, catalogata sotto il nome di Thomas
Morgan (l'indicazione della bibliografia del B. M. è : " A philosophical
dissertation upon Death - Composed for the consolation of the Unhappy (By A.
Badicati Count di Passerano translated or edited by John, or rather Thomas
Morgan? era data notizia tanto dal Cav. Ossorio, che ne espone in brevissime
righe il contenuto e ci avverte che fu causa di prigionia per l'autore e il
traduttore, quanto dal Lilienthals, dal Kahl e dall'Henke (1). Completamente
dimenticata dai più recenti studiosi del R. compare citata dal Natali senza
indicazione nè di data nè di luogo di stampa. Secondo quanto afferma l'Ossorio,
l'operetta stesa in lingua italiana dal R. sarebbe stata tradotta da " un de
ses compagnons „ " en bon Anglois „ e sotto il nome di questo traduttore,
che si seppe più tardi essere, Thomas Morgan essa andò per alcun tempo. N. 10
fu edita dal Saraceno (4) ed è una copia della lettera originale andata
smarrita. La scoperta di questa nuova edizione, ricordata in alcune opere Cfr.
HENKE , op. cit. loco cit. LILIENTHALS , op. cit. loco cit. FREYTAG , op. cit.
loco cit. VOGT , op. cit. loco cit. BAUER : op. cit. loco cit., WAHIUS , op.
cit. loco cit. Cfr. NATALI: II settecento. Ove però compare come semplice
elencazione bibliografica, senza indicazione nè di luogo di stampa, nè di data.
quasi contemporanee, fa cadere l'affermazione che i " Discours „ siano
stati stampati per la prima volta a Rotterdam nel " Recueil „, e che
quindi sino al 1736 i " Discours „ medesimi siano rimasti manoscritti
nelle mani del R. Risulta invece, (poiché posto che esista la primissima
introvabile edizione in tutti i casi non la possiamo ammettere edita prima del
1733 per le ragioni stesse che giustificano l'edizione de! 1734) che il nostro
si decise a dare alle stampe i " Discours „ dopo aver visto che non
sarebbe mai riuscito a dedicarli a C. E. (3), e che di conseguenza dallo
stampare o no quanto aveva inviato a V. A. non sarebbe più dipesa la possibilità
di ritornare o meno in Piemonte. Comparve in tal modo l'edizione inglese dei
" Discours „, la quale messa in confronto con quella di Rotterdam ha dato
i seguenti risultati: Mancano nell'edizione inglese la " Dedica „ a Don
Carlos (sedizione Rotterdam pag. Ili a pag. X) e il " Factum „ fonte di
preziose notizie biografiche (edizione Rotterdam da pag. 1 a pag. 10). mentre
che la Declaration de Vauteur „ contenente i motivi che hanno spinto alla
compilazione dell'opera, e i criteri seguiti nel suo svolgimento, che
nell'edizione londinese occupa dieci pagine (V-XV) e che sotto riproduciamo è
ridotta nell'ediz. di Rot. ad una pagina e un terzo. TH E AUTHOR' S DECLARATION
. Tho' prefaces are quite out of fashion, I yet hope the benevolent reader will
forgive me for making a short declaration concerning the publication of this
work , as follows. BAUMGARTEN : Narichten von einer Ilallischen Bibliothec, ENGEL
: Bibliotheca selectissima seu catalogus librorum omni scientiarum genere
rarissimorum - BERNAE, TRINIUS : Freydenken Lexicon. - Leipzig, und Bemberg, Erster
Zugabe zu Freydenken Lexicon, Voi. I, pag. 1098 . MASCH I Beilriige zur
Geschichte merkwiirdiger Biicher, Wismar, SCHROCK : Cristliche
Kirchengeschichte seil deiReformation - Leipzig SCHLEGELS : Kirchengeschichte des 18 Jahrunderts,
Heidelberg. Il RENOUR D nel suo " Catalogne d'un Amateur citato dal QUERARD. Les supercheries
litteraires dévoillés, Paris, sotto il nome Ali-Ebn-Omar-Moslen) afferma
parlando del P: Il n'existe de son Recueil que deux exemplaires sur grand
papier, celui de la Bibliotheque du Roi, et le mien „ Di questa edizione,
probabilmente in foglio o in 4° grande, (" sur grand papier „) non siamo
però riusciti ad averne traccia nè notizia alcuna. Infatti la lettera
indirizzata dal P. a CARLO EMMANUEI.E rimase senza risposta. Cfr. lettera, cit.
In primis & ante omnia. I do declare that this Work was written at the
Command of a great PRINCE, who would be plainly inform'd of all the matters
contain'd in it : and as that PRINCE was then reputed to be one of the greatest
Politicians of his Age, I was oblig'd to proportionate my Labour to his
profound Capacity. So that if I have reveal'd some Religious or Civil Mystery,
which had generally been conceal'd, I have methink given a suffìcient Reason
for it: However, I have alter'd some Passages and soften'd some Expressions, to
make them more intelligible and more agreeable to the Reader. I do solemnly declare,
that in all this Work I had nothing in view but Truth, Equity, or Justice: In a
word, the Good of Mankind in general; and I flatter my self that all who shall
peruse it with candour, shall be convinced of the Rectitude of my Intentions. I
do declare, that I have kept dos e throughout this Work to the Doctrine and
Morality of our Saviour, occording to the best of my knowledge; and I hope I
have not advanc'd anything without good authorities. I do protest before GOD
and Men, that whatever is said in this Work concerning the Church or Clergy is
to be understood of the Popish Church and Clergy only (who really have long
since abandon'd and despis'd the most sacred Precepst of our Blessed LAWGIVER)
and not of any other church whatsoever; whose Clergy and Prelates being very
humble, vastly charitable, pious, and such utter Enemies to Grandeur and
Riches; may justly be stiled the true and only Imitators of Crist's Disciples,
and of those primitive good Prelates (*) instituted by the Apostles. (*) See
the 54th page of this Book, and you will fìnd what their duty was, and with
what Qualities they were endued. Item. I do declare, that I have not her e
opposed the superstitious Tenets of the Popish Church ; for this has been so
often done ever since the Reformation, and by so many Learned Divines, that it
would be vain to attempt it. Besides, Popish Princes little regard at this time
wha t is said against Transubstantiation, Purgatory, Confession, Invocation of
Saints, and such like; as (pag. X ) things, which ways affect their temporal
Interest : so, whethe r these opinions are well or ill-grounded ; whethe r they
spring from Heaven, or from Huma n Malice, 'tis no matter. But wer e they to
know how prejudicial the Popish Religion is to their AUTHORITY, and to the
WELFARE of their several Countries; they then would undoubtedly think upon the
proper Expedients to preserve themselves and their Subjects from Ruin ; and
this is wha t I have endeavour'd (pag. XI ) to make evident in the ensuing Work
. I tlierefore hope it will prove very beneficiai to such Princes, and even be
of some service to this Country, particularly at this time, whe n " the
Emissaries of Popery (as a worthy Divine (*) has observed) have increased their
Diligence in gaining Proselytes, and are now more industriously employ'd in
every Corner of our Metropolis than ha s been any time known in the present Age
„. (*) Dr. Clarke' s Sermons, pag. 18, LASTLY, ] declare that I have made
use of ali the Reason and Understanding 1 ara master of, to discover (pag. XII
) the TRUTH S contained in the sacred Writings, so hidden and involv'd in
Mysteries ; in order that by them TRUTH S I might procure my own Happiness and
that of others. I presume I have found them, and for that reason 1 now publish
them. But if I have unluckily fallen into any involuntary Error, as I know
myself not to be infallible. I earnestly entreat ali the orthodox and eminent
Divines of this happy Kingdom, to poiat them out to me, and to convince my
Reason by Reason itself, that I may both retract and avoid them. (pag. XIII )
And I farther beg of our SPIRITUAL DIRECTORS that in case they, f'avour me with
this salutary Advice, to do it not with Passion and Bitterness, but LAWGiVER ha
s expressly commend (*). For nothing is paser, worlliy, and more scandalous;
nay, mor e contrary to the very Principles of the Christian Religion, tlian to
rad, calumniate, to load with odious Appellations, and persecute those who
labour Day and Night to find out the TRUTH, buried as it is in the dark Abvss
of Errors and Superstitions. (*) Matth, XVtlI, 21, ete. AFTER having made this
plain Declaration, as I know myself to be wholly destituted of Freinds; I hope
that the ALIGHTY GOD, whose Powe r is above ali Huma n Artifice and Malice,
will protect me against those, that will certainly promote my Destruction, for
having openly espoused the Cause of TRUTH and EQUITY. Il Discorso I (Ediz .
lond . pag . 1-13 ; Ediz . Rot . pag . 15-26 ) è integralmente riprodotto nella
edizione olandese: uniche varianti sono le seguenti : Pag . 2 - in not a
Collins è qualificato : 0 great and goodman „ attribut i c h e mancan o
nell'Ediz . de l 1736 . Pag . 11 - manc a la not a sul ministr o Jurie u ch e
si trov a a pag . 2 4 dell'Edizion e di Rotterdam . Il Discors o II (Ediz .
lond . pag . 14-25 ; Ediz . Rot . pag . 27-37 ) è pur e ess o integralment e
riprodotto . Unich e varianti : pag . 21 - in not a su Bayl e (cfr. pag . 3 5
ediz . di Bot.) è aggiunt o " and 1 shall not be tought in the vrong for
vanking him withe Heliogabalus „. Pag . 24-25 , nota , dop o le parol e "
universally observed „ " généralement observées „ pag . 3 7 ediz . Rot.)
ch e no n si trov a nell'edizion e del 1736 : " I say universally
observed: for wer e there a Society or Republic, however great it might be,
that should be inclined to observe the Laws of Gbrist, it would be obliged for
their own preservation, to lay aside the laws of Christ, or suffer themselves
to be destroyed by following them. - In a word, a Society of true Christians,
wer e they as numerous as the whole Empire of China, could no more make head
against a single Infide], who had a mind to plunder them, than a hundred
thousand Rabbits could make head against a hungry Lion, that should fall
in among them. But if ali Men, without exception, were good Christians, it is
most sure they would be exceding happy. For, being without Ambition, Envy and
Revenge, nothing would be capable of di sturbing Iheir Quiet - Here on Gonsult
- Bayle's Pensées diverses chap. 141 - continuation des Pensées - Ghap. 123 -
124 „. Il Discorso III (Ediz. lond. pag. 26-52 ; Ediz. Rot. pag. 38-60) ò
invece del tutto diverso - Cfr. quindi il medesimo riportato in Appendice. Il
Discorso IV (Ediz. lond. pag. 53 72; Ediz. Rot. pag. 61-76) è quasi del tutto
riprodotto integralmente; però da pag. 63 (dopo le parole " le
gouvernement de leur Eepublique „, pag. 69 dell'ediz. di Rot.) il testo
prosegue con 2 pagine in più che qui appresso riproduciamo. But they wer e
never practised, for, if we carni fully examine the Epistles of the Apostles,
we shall find that in effect they ali agreed in acknowledging that the
Christian Religion wa s the best, but differed excedingly as to the Principles
of it For, Paul proposing to persuade Christians of the Trut h of that
Religion, and shew them wherein it consisted, says expressly, and in so many
words, that we ar e " not to boast of our good works, but of Faith alone
in Jesus Ghrist, for that good works ncither justify, nor save (*); but to him,
saith he, that worketh not, but believeth on him that justifieth the ungodly,
his Faith is counted for Righteousness (**) and shall save him „. James, on the
other hand, in a few words summing up the Essentials of Religion, and not
amusing himself with vain disputes, as Paul did, tells us; that " Faith
without good woorks will neither justify, nor save „ ; and gives us to'
understand that " good works will save us independent of Faith”This
Doctrine is highly just and reasonable, and more orthodox than Paul's. For wha
t avails it for a man to bellieve that Ghrist dieci to save him, so long as he
is cruel, covetous, revengful, and i*) Rom. IV. 5. (**) James II, etc. (***)
Rom III. 26, 27, 28. See also Gal lì. 16 {pag. 64) proud? were he not better
without that Belief, but good, charitable, and humble ? it is much better for a
man to be a Christian in practice without speculation, than to be a Christian
in speculation, without the practice; that is, it wer e better being a Savage,
who. tho' without any Religion, stili practised the duties of a true Christian,
who is resolved absolutely to obey none of the precepts of his Religion, tlio'
he firmly believes in its mysterles. This notion, so agreeable to the Justice
and Wisdom of God, and Intentions of Ghrist, would be of great advantage to
Society, wer e it put in practice. Now it is indisputable that the Apostles, by
building Religion upon various. and different foundations bave caused an
infinite numbe r of Quarrels and Schisms to spring up in the Christian
Gommon-wealth, by whieh it ha s been, and will ever be tome asunder most
assuredly, if it does not lay aside the mysterious, or incomprehensible
speeulations of Divinity, and frx wholly to those most holy and simple Tenets,
which Christ hath taught us, and are very easy to be observed, being the same
as those of Nature, as he himself has told us, saying: " Come unto me, ali
ye that labour, and are heavy laden, and I will give you Rest (*). Take my yoke
upon you, and learn of me, for I am meek, and lowly in heart, and ye shall find
rest unto (pag. 65) your Souls. For my yoke is easy, and my burden is light„,
and not grievous and insupportable, like that of cruel and ambitious men. (*)
Mat. Xt. 28, 29, 30. Il Discorso V (Ediz. lond. pag. 73-92; Ediz. Rot.) è
riprodotto integralmente. Notiamo soltanto che a pag. 80, in nota su S.
Cipriano dopo la parola " aucupari „, il testo segue: " Non in
Sacerdotibus Religio Devota, non Ministris fides integra, non in operibns
misericordia, non in moribus disciplina; sed ad decipienda corda simplicium
callide fraudes, circumveniendis fratribus subdolae voluntates - Cyprian de
Lapsis „, mentre è mutilo alla medesima parola “aucupari” nella Edizione di
Rotterdam. Il Discorso VI (Ediz. lond. pag. 93-124; Ediz. Rot. pag. 95-123) è
riprodotto nell'Edizione Olandese fedelmente. Il Discorso VII (Ediz. lond. ppg.
125-144; Ediz. Rot.) è riprodotto quasi del tutto integralmente. Uniche
varianti sono: Pag. 129 nota (dopo le parole " alors soni fausses „ pag.
128 Ediz. Rot.): " See what Bayle Says in his Pensées diverses, eh. 49, et
Contin. des Pensées diverses eh. 47. in arder to shew how ridiculous it is lo
enquire whant a thind is, before we have examined whether it really exist „.
Pag. 138 manca la nota della pag. 136 ediz. Rot. la parola “religion” è
tradotta nelle due ultime righe di pag. 139 dell'Edizione Rot. con "
Superstition „. Il Discorso Vili (Ediz. lond. pag. 145-164; Ediz. Rot.) è
riprodotto nell'Ediz. Olandese fedelmente. Il Discorso IX (Ediz. lond. pag. 165-188;
Ediz. Rot) è riprodotto quasi del tutto integralmente. Uniche varianti sono:
Pag. 166 manca la nota Ediz. Rot. Pag. 186 manca la nota " cependant ces
Emissaires „ di pag. 180 81 dell'Ediz. Rot. Il Discorso X (Ediz. lond.; Ediz.
Rot.) ha subito una restrizione nelle pagine 189 a 200 ridotte nell'Ediz. Olandese
a sole cinque; riproduciamo qui di seguito il testo inglese. By natural
right (ius naturale), I mean the faculty given by nature to each individual,
whereby each of them is forced or determined to act, according as he finds it
necessary for the preservation of his own being. All animals are forced by nature
to eat, drink, sleep, etc. Therefore it follows, that they eat, drink, and
sleep of natural and absolute right, when they stand in need of them. In the same
manner, fish being by nature determined to swim, and the greater to devour the
smaller, consequently they enjoy water by natural right, and the greater by the
same right devour the smaller. Thus, birds are determined by nature to fly, and
by consequence possess the air by natural right, and birds of prey by the same
right feed upon the tame. For it is most certain that Nature considered in the
general, has an unlimited right over every part of herself: that is, this right
extends as far as her power extends, so that every thing that she can do is
lawful for her to do. For the power of nature is the very same as that of God,
whose right is eternal, and consequently unalterable. Now as the power of nature
is the same with that of every individual who make up that Nature, without
exception, it follows, that the right of no one is limited, but extends as far
as the strength and industry that nature has bestowed on them; and as it is a
general law for all beings, that each of them in particular shall perpetuate
his kind, as far as lies in his power, without regarding anything save his own
preservation. it follows, that the natural right of every indivual is, to
subsist and act to that end according to the power which nature has given him.
In this state man is not to be distinguished from the rest of natural beings,
no more than the words, reason, or wisdom, and folly; virtue, and vice; honest,
and dishonest, just and unjust are, etc. Wherefore there is no difference
between the wise and the foolish, the virtuous and vicious; for every
individual has a right to act according to the laws of his constitution or organization.
that is, according as he is determined by nature to such and such a thing,
without being able to act otherwise. So that considering man under the empire
of nature, as unacquainted with what philosophers call reason, or virtue; and
not having acquired a habit of either, they have, I say, as much right to life
in pursuing the dictates of their appetite, as they have that live according to
the laws of reason, virtue, and justice, with which they have conneted their
ideas. That is, that, as he who is called wise in society has a right to do any
thing that is dictaded to him by reason, and to live according to the light of
it; so the ignorant and foolish man in the state of nature has a right to every
thing his appetite suggests, and to live according to its dictates. For,
according to the apostle’s opinion before the law, or in the natural state of
man, no man could sin. Rom. 4. V. 15. It is not then the business of that
reason, or justice, to regulate the right of nature, but of the desire or
strength of every individual. For, so far is nature from determining us to live
according to the law and rules of this reason, that, on the contrary, notwithstanding
education, and the penalties appointed in order to natural impulses. Such is
the power of nature. New as we are obliged, as far as in us lies, to preserve
our natural being, so we cannot do it but by acting in obedience to the laws of
appetite, since nature denies us the actual use of that reason, and none of us
are more obliged to live according to the rules of good sense, introduced among
us by the civilised part of mankind, than an ant is to live according to the
nature of an elephant. From whence it follows that, in the state of mere nature,
we have a lawful right (ius iudicatum) to all things whatever without
exception, because nature has given all to every man, and may use it without a
crime, if we can get it, whether by force, or cunning, by entreaties, or
threats, so far as to look any one as enemy, who hinders, or endeavours to
hinder us from satisfying our appetite. Therefore, by natural right, an animal
may wish for whatever he pleases, and do whatever is in his power to support
his own individual, or satisfy his inclination. However we are not to imagine
that so unlimited a liberty can produce any great disorder amongst animals of
the same kind, as many have thought, because nature has previded them
necessaries in abundance; upon which foot, they can have none, no, not thel esst
dissension among them, as I have Lions, Wolves with Wolves. Foxes with Foxes,
Eagles with Eagles, and so all other species who are in the state of nature. It
is to be owned indeed that *discord*, not con-cord, envy, and an implacable
hatred reign between one species and another. And this would in reality be a great
defect and imperfection in nature, if her wisdom consisted in making an animal
happy for ever. For, upon such a supposition, the pidgeon would have reason to
complain of nature for not bestowing upon him a sufficient strength to defend
himself against the eagle. A hare mìght make the same complaint as to a wolf;
and he again as to the lion. But each complaint would be unjust. For, Nature
granted an animal his life but for a certain limited time, which is an effect
of her infinite goodness, to the end that every being may succeed one another,
and enjoy her benefits. Which could never be, if an animal, once alive, were to
be immortal. Therefore, since he must necessarily die to make room for another,
it imports little whether he dies in this or that manner. Nay more, I insist
that a pidgeon that is the eagle's prey, and the wolf that is the lion’s, are
happier than the eagle or lion that have devoured them. For his death is
sudden, and his pain short, whereas the Eagle and Lion, languish and suffer
long before they die, if they die a natural death. Besides, a Lion or an Eagle
may at his death complain of nature's injustice, by making him the prey of
innumerable and invisihle animals, that lodge in their bones, and throughout
their whole bodies, which feeding upon the best and finest substance in
their blood, and wasting alt llieir animal spirit, kill him without mercy. For,
those invisible animals that kill not only a lion, but a man too, and every
beast that dies of a natural death has no more thought of the mischief they do in
feeding upon their blood, than a lion or a man when he kills another animals
for food without mercy, they having ali a power to do so by an absolute and
natural right. An animal therefore, far from complaining, tough constantly to
thank Nature for her infinite justice and goodnes to him, in giving them a
limited life only. For, had she created him immortal, she had shewed herself
exceeding cruel; considering we are all assured there is no condition of life,
however happy, but what at last grows rneasy and burthensom. As we see by
those, who having passed most of their time in the polite world, are desirous
of retiring, and leading a private life in the country; so he that lives in
solitude, often longs for the pleasures of the world; and lastly, he that has
long enjoyed bolli, grows tired and out of humour with them, and wishes for a new
life thro' death. Now since an animal is tired of life, he may be perpetually
diversifying his pleasure, considering the short date of his life; what would
it be, were they to live for ever, without ever varying the pleasures they (See
the account of the Strulbrugs in Gulliver's Travels. Part 3) had tasted in the
first fifty years of life? Nay, how justly might not they complain, who drag an
uneasy languishiug life from the infirmities to which they are subjects, or who
perpetually groan under the yoke of another animal, who makes himself no
uneasiness in making him miserable, in order to gratifiy his appetite? Every
animal therefore ought to look upon death as the most signal blessing he has
received from the hands of Nature, and as the effect of her incomparable
wisdom; Death putting an end to their pain, aud making them equal with his
tyrant. What I have been now saying ought to surprise no man, since Nature is
not confined within the bounds of reason, or the instinct of an animal; for the
word Nature, of which an animal is but as so much a small point, means an
infìnity of other things that relate to an eternal order, and that inviolable
law, which gives being, life, and motion to all things. So that what seems
ridiculous, unjust, or wicked to an animal, and above all to a man, appears
such only because we know things but in part, and because we cannot have an
exact idea of the ties and relations of nature, we not comprehending the immense
extent of her wisdom and power. Whence it preceeds, that what reason sets
before us as an evil, is far from it in regard to the order and laws of
universal nature, but only in regard to those of our own. This supreme natural
right, which every animal enjoy, exclude not moral good and evil, which is really
to be found in the state of nature. I call “morally good” any action of an
animal tending to the preservation and propagation of his own individual or his
species, for he is then performing their duty, by aiming at the end, proposed
by Nature in their Greation. On the contrary, I cali moral evil ali those
actions of Animals, that are either in the whole, or in part contrary to those
notions, or sensations that Nature has implanted in each of them, that they may
perceive and know what is proper for their subsistance, and for perpetuating
their Species as far as in them lies. Allwise Nature, the tender mother of ali
Animals, not satisfied with impressing on their mind those notions, has always
affixed a proporlional recompense to moral good, and a like punishment to moral
evil, to the end that ali Animals may chuse the one, and avoid the other with
pleasure. Not that she had any occasion to setlle such rewards and punishment
in order lo be obeyed; for, as she is Almighty, she well knew she should be
obeyed, as she is in fact by ali except one Species, which is Man. And it was
for them se appointed them, because knowing they had several cavities in their
brains fdled with animai spirits, which by a high fermentalion would so heat
their imagination, as to make them fall into a sort of madness, on Delirium. Nature,
I say, to bring them back from their wandring, has thought lil severely to
punisti them, whenever they swerve from their duty and act agreeably to the
false notions with whict that madnes inspires them, which notions tend to the
destruction of their own individuai, and to make their Species unhappy. I will
explain my self. It is well known, that ali Animals, except Man, act according
to the notions infused into them by Nature, commonly called Instinct, for
instance, knows its proper food, and the actions to be performed in order to
live in health, and perpetuate its Species. Consequently to these notions it
acts, by chusing at first such places as are agreable to it: some live in
Marchs, some in the Fields, some in the Plains, and others on Hills; some swim,
other crawl, and in short, some, called amphibious, live bo!h on Land, and in
Water. Ali these Animals perceive what they are to do in order to subsist
Wherefore they eat, drink, and make use of their females, when they have
occasion ; mor did, or do, any one of them ever force itself to eat, or drilli
or enjoy its females, when it was satisfied; nor did ever any of them ever
voluntarily refuse to eat, drink, or make use of their females, whenever Nature
required it; thus by denying themselves nothing necessary, and by never forcing
themselves to do what is beyond their strength, they lead a healthy and a happy
life. But this is not the case of Mankind. For, tho' they pretend to a greater
share of wisdom and reason than other Animals, their actions shew they have less
than the rest of them ; some thro' excessive folly eating and drinking when
they are neither hungry, nor dry, so far as lo bring distemper upon and
kill Ihemselves; and forcing themselves upon venereal pleasure when they are
exhausted, is so much as to destroy themselves : Others from a contrary
madness, denying themselves meat, and drink, and the enjoyment o' Women, and
dragging a miserable life, consume and pine away. Thus by not allowing Nature
what she absolutely requires, or forcing her beyond her strength, they are
guilty of real moral evil, from whence the Physical takes its rise, which
cruelly torments them their whole life time. Anolher madness, to which Mankind
are subject, is Avarice, which puts Men upon perpetually heaping up riches,
without making any use of them, for fear of wanting; so that the Miser not only
makes himself miserable, but greatly contributes to the misery of others. There
is stili another kind of madness, called ambition, that lords it over Man,
which puts most Men upon depriving themselves of what is really necessary to
life, for Ghimeras, that are entirely useless and superfluous to them. The ili
effects of this last folly have not stopped there, but produced the greatest
disorders amongst Men, and made theme more unhappy than alt other Animals. For,
it has happened, that some of them thinlcing themselves better than others,
have endeavoured to get above them, appropriate to themselves what belonged to
the rest by Naturai right, and make their companions their slaves. which by the
opposition they have found, has occasioned tumults, and civil Wars. These
different Phrensies that have taken possession of the minds of Men, and that
have in ali times scattered trouble and confusion amongst the race of Men, have
from time to time obliged wise Men (who made use of their reason in order to
preserve themselves from falling into that sad and terrible Delirium to which
they were liable) to admonish the rest with a view of reclaiming them from
their errore ; and those admonitions had sometimes so good an effect, that a
whole Nation perceiving anddetecting their Frenzy, voluntary submitted to the
decisions of those wise Men, and each Man, renouncing and disclaiming his
naturai right, promised obedience to them, upon condition that they on their
side should always endeavour to make that Nalion happy. This was the rise and
formation of Aristocratical Government. Da pag. 200 in poi (pag. 186 Ecliz.
1736) il test o corrispond e esattament e nelle du e edizioni; salvo le lievi
differenz a qui sott o notate . Pag . 207 - i puntin i di quest a edizione son
o son o sostituiti nell'edizione olandes e (pag. 102) " le coeur de Nobles
en àrbitraire ou absolu „. Pag . 22 3 : mancano le ultime due righe del testo
di pag. 20 6 ediz. Rol . 11 Discorso XI (Ediz. lond. pag . 224-248 ; Ediz .
Rot.) Titolo : "Wherein it is proveci that religion was introduced into
Society by legislatore, in order to give a sanction to their laivs; and that
consequenty ali sacred and civil authority belong de jure to the Prince „.
Le pagine 224 e 236 costituiscono, in confronto dell'edizione olandese, una
parte del tutto nuova, e corrispondente alla prima parte del titolo, che
difatli non si trova nell'Ediz. Rot. Diamo un breve riassunto di queste pagine,
che non parve necessario trascrivere integralmente. Il R. così comincia: My
design then in this Discourse is to make Princes sensible that Religion was
institued by legislators, in order to give strength and credit to their Laws,
and that Sovereign Princes, having the administration of civil Laws, ought by
consequence too have that of Religion; and thereby 1 propose tvvo benefits. Tho
first to Princes, by joining the sacred and civil authority in one, and the
second, to the People, by rescuing the from the Tiranny of Priests. This then
is what the most celebrated Historians teli us concerning the Establishment of
Religions „. A dimostrazione di questa tesi, l'intera pagina è dedicata ad una
di citazione Diodoro Siculo, libr. I pag. 49, Ediz. Han.; l'inter pag. 227 ad
una citazione di Strabone, Geograph. libr. 16 pag. 524, ecc.; indi dicendo di
non voler citare anche Plutarco, Polibio, Erodoto e Livio, il R. procede a
citare " a Zaeloux and Leavned Jew „ cioè Flav. Joseph, contra Appion.
libr. 2, pag. 1071 - Edit. 1634, in fol., e " a very candid popish Priest
„ (pag. 230-235) è cioè Gharron, of Widson, book 2 eh. 5. In nota a pag. 235,
così meglio identifica il Gharron : " Ile was Canon and Master of the
School of the Church of Bordeaux - He lived in Montagne's time, and ivas his intimate
freind - See Bayle's Did. Artide, Charron „. E con tutte queste citazioni la
dimostrazione è raggiunta: " Wherefore 1 may be allowed to say without any
impietg, that lleligion might be subject to the Prince, to Religion „ (pag.
235). Dopo di che da pag. 236 a 248 continua con la seconda parte, che
corrisposde all'intero Disc. XI dell'Ediz. Rot. Unica differenza è che la nota
a pag. " See in the life of Peter, late Czar of Moscow how be wisely
reduced the high Priest's exorbitant authority io his own power „ è estesa nel
testo a pag. 211 dell'Ediz. di Rotterdam. " Enfin chacun fait toutes les
autres nouveautéz „. Il Discorso XII (pag. 249-271 Ediz. lond.; Ediz. Rot. pag.
211-238) è riprodotto integralmente, ed unica differenza è data dalla mancanza
a pag. 259 della esistente nell'Ediz. di Rot. a pag. 228. N. 12: Abbiamo già
parlato a proposito del N. 11 degli scritti " a-b-c „ contenuti nel "
Recueil „ ed a proposito del N. 7 dello scritto " f „ ed abbiamo notato
come la loro prima comparsa, eccettuato per il " b „, sia avvenuta in
lingua inglese, e quali cambiamenti abbiano subito nella loro ultima redazione
francese. Notiamo invece per le operette " d „, " e „ che il
testo dato dal " Recueil „ deve presumibilmente essere l'unico lasciato
dal P. ; nè infatti abbiamo trovato di esse ediz. inglesi, anteriori o
posteriori al 1736, nè elementi o prove che suffraghino questa possibilità;
potrebbe essere presumibile che queste operette scritte dal R. ancora in
Inghilterra e forse già pronte per essere tradotte, siano rimaste a noi nel
loro testo originale per la fuga del P. in Olanda, oppure che compossle in
Olanda, non avendo più possibilità di trovare un traduttore, le abbia
conservate e poi edite nella loro lingua originale. Lo scritto " g „ è la
traduzione dell'operetta analoga dello Svvift: " A modest proposai for
preventnig the children of poor people in Ireland from beìng a burden to their
parents or country, and for making them beneficiai io the publick „ (1). Non
esiste tra le due edizioni alcuna differenza, che possano mutare lo spirito del
testo originale le due uniche varianti che abbiamo notato sono; l'introduzione
a pag. 369 del " Recueil „ della parole: " Gastigat ridendo mores „
immediatamente dopo il titolo, e omesso dall'originale; e la sostitutuzione
della parola " Spain „ del testo inglese, con la parola " Rome „
della versione del R. pure a pag. 369. Fu fatta nel 1749 a Londra una ristampa
di tutto il N. 12 (" Recueil de pieces curieuses sur le matieres les plus
interessantes par A. R. comte d. P. a Londre) ma dall'esame di questa nuova
ediz. posseduta dalla Bib. Querini-Stampalia di Venezia, è risultata
l'identità, persino negli errori di stampa coll'ediz. di Rotterdam. N. 13-14
formano nell'Ediz. originale un volume solo, senza titolo generale, con pagine
numerate progressivamente (da 1 a 47 il testo n. 13, da 49 a 104 il testo n.
14). L'attribuzione di paternità al R. del primo di questi opuscoli, e
convalidata non solo da quanto afferma il " Dictionary of National
Uography „ edito dal Leslie Stephen, il Querard ed il Barbier, ma dalla
rispondenza che questo opuscolo ha con il Discorso III dei " Twelve
discours „. Notiamo le principali variati: Pag. 2: " peché originai „
manca la nota del testo ing. Pag. 4-, nota 2: manca la cit. del testo ingl. ;
pag. 5, nota 1 e 3: manca il (1) Cfr. op. cit. in: The Works of Jonathan Swift,
London MDCCLX, V, IV, pag. 66-77 . (2) Cfr. Dictionary of national biography,
edited by LESLIE STEPHEN , sotto 'Elicali.’ Cfr . QUERAR D op . cit . Col .
1231 , T III. Cfr. BARBIER : Dictionaire des onorages anonymes etpseudonym.es -
Paris, 1827 > T . III . N . 16186 . commento e la cit. del testo
ingl.; pag. 8, nota. 1, mancal a cit. del testo ingl.; pag. 10: " vòtre
pere celeste „ manca la nota del testo ingl.; pag. 11, nota 2: manca la nota
del testo ingl.; pag. 12 nota 1: manca il lungo commento del testo ingl.; pag.
17 " ces Docteurs „ il testo ingl. ha “our Priest” e nota 2: manca la cit.
e il comrn. del testo ingl.; pag. 18 " vous dis-je mes Frères „ manca nel
testo ingl.; pag. 19 nota 1: manca la cit, del testo ingl.; pag. 21 nota 2:
manca la spiegaz. esistente nel testo ingl.; pag. 22: "et comment
auroit-il mieux „ manca la nota del testo ingl.; pag. 26: " Amerique „
manca la nota del testo ingl.; pag. 27 e 28 sino ad: " Enfiti temoin... „
mancano nel testo ingl.; pag. 32, nota 2: manca il lungo coni, del testo ingl.;
pag. 24 nota 2; manca la citaz. del testo ingl.; pag. 35: " les hommes
hereux „ manca nel testo ingl. la nota corrispondente; pag. 38 dopo le parole
" ... leur dependence „ manca quasi l'intera pagina 47 del testo ingl.;
pag. 40: " mes cheres Frères „ manca nel testo ingl.; pag. 4 nota 2 :
differisce dalla rispondente nel testo ingl.;: l'ultimo periodo (“l'esprit...
vrais Quakers”) manca nel testo ingl. In merito al N. 14 l'attribuzione di esso
al R., è affermata dal Querard (1) e dal Barbier (2) che svolgono lo pseudonimo
Ali-EbnOmar con il nome del R., è confermata dal fatto che a pag. 100
dell'operetta in una nota l'autore citando se stesso rinvia al " Discorso
Ili „ dei “Twelve Discourse” e tale attribuizione, per ambedue, N. 13 e 14,
sostengono pure lo Henke, il Lihienlhals, il Freytag (3). Anzi a proposito di
quest'ultimo che viene ad affermare che spesse volte l'opera n. 13 viene
seguita dalla n. 14 con un seguirsi di pagine progressivamente numerate (tale è
l'ediz. da noi esaminata), come facenti parli del " Recueil „ edito a
Londra e Rotterdam nel 1736, facciamo rilevare come ciò non risponda a verità.
A parte la confusione dell'ediz. londinese del “Recueil” con l'ediz. Olandese,
tanto nell'una che nell'altra non troviamo stampate le operette di cui si
tratta, nè infatti potevano essere incluse nell'ediz. del 1736 essendo venute
alla luce la prima volta nè nell'ediz. del 1749, che riproduce esattamente la
precedente, nè possiamo considerare questa ediz. dell'operette, che abbiamo
esaminata, come stralciata dal volume del 0 Recueil „ stante la
appariscente diversità dei caratteri di stampa. Come mai esse siano state edite
a Londra, mentre già da quattro anni almeno si trovava in Olanda, non siamo in
grado di dire: forse trovate fra le sue dopo la sua morte e fatte stampare da
qualche suo amico nella capitale inglese? e allora non perchè a Rotterdam dove
era già uscito per i tipi della Ved. Johnson il “Recueil” più volte citato?
Sono questi tutti interrogativi che ci poniamo senza avere la possibilità di
potere rispondere, per mancanza di documenti che giustifichino una ragione
piuttosto che un'altra; e questa è un'altra lacuna nella perfetta conoscenza
della vita del R. Cocconato. Keywords: implicature della morte. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Cocconato” – The Swimming-Pool Library.
CILIBERTO (Napoli).
Filosofo. Grice: “I like Cilberto; he philosophised on Machiavelli – in an
interesting way: confronting his ‘reason’ with the ‘irrational’; myself, I have
not explored the irrational, too much – but I suppose Strawson might implicate
that everything I say ON reason is an implicature on the irrational – Ciliberto
uses the vernacular for the ‘irratinal,’ to wit: pazzia!” – Uno dei massimi
esperti del pensiero di Bruno. Si laurea a Firenze sotto Garin con
“Machiavelli”. “Lessico Intellettuale Europeo”. Insegna a Trieste, Pisa.
Istituto di Studi sul Rinascimento, Firenze. Dal 1998 è presidente di I. R. I. S.
A. Associazione di Biblioteche Storico-Artistiche e Umanistiche di Firenze. Lince.
Al centro della sua filosofia sono tre problemi: il rinascimento con speciale
attenzione a Bruno e Machiavelli, la ‘tradizione’ no-analitica, no-continntale,
ma la ‘tradizione italiana’ (Gramsci, Croce, Gentile, Cantimori, Garin); e la
filosofia politica e in maniera specifica la crisi della democrazia
rappresentativa. Altre opere: “Il rinascimento. Storia di un dibattito” (Firenze,
La Nuova Italia); “Intellettuali e fascismo” (Bari, De Donato); “Lessico di
Bruno” (Roma, Edizioni dell'Ateneo & Bizzarri); “Come lavora Gramsci. Varianti
vichiane, Livorno); “Filosofia e politica nel Novecento italiano. Da Labriola a
«Società», Bari, De Donato); “La ruota del tempo. Interpretazione di Bruno,
Roma, Editori Riuniti); Bruno, Roma-Bari, Laterza); Bruno, Roma-Bari, Laterza);
“Umbra profunda” (Roma, Edizioni di Storia e Letteratura); “Implicatura in
chiaroscuro” Roma, Edizioni di Storia e Letteratura); “Il dialogo recitato” “Preliminari
a una nuova edizione del Bruno volgare, Firenze, Olschki); “La morte di
Atteone”(Roma, Edizioni di Storia e Letteratura); “I contrari”; “Disincanto e
utopia nel Rinascimento” (Roma, Edizioni di Storia e Letteratura); “Il teatro
della vita” (Milano, Mondadori); “Il laico” “Il libero” dell'Italia moderna,
Roma-Bari, Laterza); “Democrazia dispotica” – etimologia di dispotismo –
(Roma-Bari, Laterza); “Intellettuale nel Novecento, Roma-Bari, Laterza),
“Parola, immagine, concetto” (Edizioni della Normale, Pisa); “Croce e Gentile”
“La cultura italiana e l'Europa, (direzione) Istituto dell'Enciclopedia
italiana Treccani, . Rinascimento, Pisa, Edizioni della Normale; Il nuovo
Umanesimo, neo-classicismo, neo-umanesimo”, classicism, neo-classicismo come
ironia” (Roma-Bari, Laterza); “Pazzia e ragione” (Roma-Bari, Laterza); “Il
sapiente furore” (Collana gli Adelphi, Milano, Adelphi) Michele Ciliberto,
Lessico di Giordano Bruno. Michele Ciliberto. Keywords: intelletuale fascista,
lessico, lessico di Bruno, lessico di grice, lessico filosofico europeo, umbra
profunda, implicatura in chiaroscuro, i contrari, il laico, il libero,
despotismo, immagine e concetto, parola, immagine, e concetto, il pazzo, il
ragionato, istituto su studi sul rinascimento, la tradizione italiana, la
tradizione filosofica italiana, democrazia rappresentativa, concetto di
rappresentazione, Grice e Ciliberto sulla rappresentazione. Il primo ministro
britannico ripresenta suoi costituenti. Il barone della camera alta del
parlamento, parlamento ed implicamento, il team di cricket rippresenta
Inghilterra: fa per Inghilterra quello che Inghilterra non puo fare: gioccare
cricket. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ciliberto” – The Swimming-Pool
Library.
CIMATTI (Roma). Filosofo. Grice:
“I like Cimatti – for one, he develops a biological semiotics, and he takes
seriously the issue that man IS an animal -- -- and has thus philosophised on
animality!” Si laureato sotto Mauro con “La communicazion animale” -- Insegna
ad Arcavacata di Rende. Altre opere: “Linguaggio ed esperienza visive” (Rende,
Centro Editoriale e Librario); “La scimmia che si parla. Linguaggio,
autocoscienza e libertà nell'animale umano” (Bollati Boringhieri); “Nel segno
del cerchio. L'ontologia semiotica di Giorgio Prodi, Manifestolibri La mente
silenziosa. Come pensano gli animali non umani” (Editori Riuniti); “Mente e
linguaggio negli animali. Introduzione alla zoosemiotica cognitiva” (Carocci); Il
senso della mente. Per una critica del cognitivismo” (Bollati Boringhieri); “Mente,
segno e vita. Elementi di filosofia per Scienze della comunicazione,Carocci); “Il
volto e la parola. Per una psicologia dell'apparenza, Quodlibet, Il possibile ed il reale. Il sacro dopo la
morte di Dio” (Codice Edizioni); Bollettino Filosofico. Linguaggio ed emozioni”
(Aracne); Lingue, corpo, pensiero: le ricerche contemporanee” (Carocci); Naturalmente
comunisti. Politica, linguaggio ed economia” (Bruno Mondadori); “La vita che
verrà. Biopolitica per Homo sapiens, , ombre corte, Filosofia della
psicoanalisi. Un'introduzione in ventuno passi” (Quodlibet); Filosofia
dell'animalità (Laterza); “Corpo, linguaggio e psicoanalisi” (Quodlibet); “A
come Animale: voci per un bestiario dei sentimenti” (Bompiani); “Il taglio” “Linguaggio
e pulsione di morte, Quodlibet);
Filosofia del linguaggio: storia, autore, concetto” (Carocci); “Psicoanimot,
La psicoanalisi e l'animalità” (Graphe); “Lo sguardi animale” (Mimesis); “Per
una filosofia del reale” (Bollati Boringhieri); “La vita estrinseca”; “Dopo il
linguaggio” (Orthotes, Salerno); “Abbecedario del reale” (Quodlibet, Macerata);
“La fabbrica del ricordo (Il Mulino). Grice: “I share a lot with Cimatti; we
both believe that there’s a semiotic continuity, and more important that it’s
psi-transmission that matters: a pirot perceives that the a is b, and
communicates that the a is b to another pirot, who perceives the communicatum,
‘the a is b’ and comes to think that the other pirot thinks that the a is b – I
use ‘think’ as dummy. ‘accept’ may do, to cover willing, since it’s willing
that’s basic, though! Felice Cimatti. Keywords: homo sapiens, storia
innaturale, animale, bestia, linguaggio, segno, vita, zoosemiotica, prodi, corpo,
codice, mente, cognitivismo, comunicazione, animale, soglia semiotica,
mentalismo, storia innaturale, comunicazione giovenile, fundamenti naturali
della comunicazione, percezione e comunicazione, comunicazione come percezione
trasferita, psi-transfer. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cimatti” – The
Swimming-Pool Library.
CIONE (Napoli). Filosofo.
Grice: “I love Cione; my favourite is “The age of Daedalus – which reminds me
of Gilbert’s statuette and the Italian model who posed for him – the story of a
failure!” Grice: “But Cione philosophised on various other subjects as well,
such as Leibniz, and of course, Croce – in his case, first-hand knowledge! –
and mysticism, and Mussolini, and the rest of them – He thinks there is a
Neapolitan dialectic, and really is in love with his environs – his study of
‘romantic Naples’ reminds me of my rules of conversational etiquette! –
especially the illustrations involving gentleman-lady interaction!” Di tendenze
socialiste, e in un primo momento anti-fasciste, studia sotto Croce.
Perseguitato della prima ora dal fascismo, viene rinchiuso nel campo di
Colfiorito di Foligno e poi mandato al confino a Montemurro. Attratto dal nuovo
indirizzo espresso dal Manifesto di Verona, aderisce alla Repubblica Sociale
Italiana. Chiede e ottiene il consenso di Mussolini (il quale si rende
esplicitamente concorde) per la costituzione di una formazione politica
indipendente dal Partito Fascista Repubblicano, denominata in un primo momento
Raggruppamento Nazionale Repubblicano Socialista e, in seguito, Partito Repubblicano
Socialista Italiano. A tale formazione politica, su suggerimento dello stesso
Mussolini, sarà concessa anche la pubblicazione di un quotidiano L'Italia del
Popolo. Il Duce però non aveva nessuna fiducia né nell'uomo né nell'impresa,
tanto che durante una conversazione con l'ambasciatore Rudolf Rahn preoccupato
per una possibile apertura "a sinistra" del capo del fascismo ebbe a
dichiarare: «Per ingannare i nostri
avversari ho lasciato, non appena ho pensato che il nuovo fascismo in Italia
fosse abbastanza forte, che alcune contro-correnti dicessero la loro, tra
l’altro ho permesso che si formasse un gruppo di opposizione sotto la guida di
Cione. Non ha una gran testa, e non avrà successo. Ma la gente che ora sta
cercando di crearsi un alibi si raccoglierà intorno a lui e quindi sarà perduta
per il comitato di liberazione che è molto più pericoloso. Salvatosi dalle
epurazioni partigiane nel dopoguerra, si costruirà una carriera politica nell’Italia
repubblicana. Milita nel Fronte dell'Uomo Qualunque. Successivamente, quando il
partito di Giannini si sciolse, entra nel Movimento Sociale Italiano e venne
eletto consigliere e poi assessore della giunta di Achille Lauro. Si candida al
Senato con la lista della fiamma nel colleggio di Afragola ma non fu eletto.
Deluso dai missini, adiere alla democrazia cristiana, senza però svolgere una
militanza attiva nel partito. Negli ultimi anni di vita cercò di conciliare il
messaggio di papa Giovanni XXIII con le aperture di Nikita Kruscev oltre la
cortina di ferro. Altre opere: “Valdés: la sua vita e il suo pensiero religioso
con una completa della sua opere e degli
scritti intorno a lui” (Laterza editore); “Sanctis, Ed. Giuseppe Principato); “L'opera
filosofica, coautore Franco Laterza, Laterza editore); “Napoli romantica”
(Gruppo Editoriale Domus); “L'estetica di Sanctis” (Pennetti Casoni Editore);
“Da Sanctis al Novecento” (Garzanti); “Nazionalismo sociale” “l'idea
corporativa come interpretazione della storia” (Achille Celli Editore); “Napoli
e Malaparte” (Editore Pellerano-Del Gaudio); “Storia della repubblica sociale
italiana” (Ed. Latinità); “Croce, coll. "I Marmi", Longanesi);
“Crociana” (Fratelli Bocca); “Sanctis” (Montanino); “Questa Europa” (M. Mele);
“Fascino del mondo arabo: dal Marocco alla Persia, Cappelli Editore); “Croce”
(Loganesi); “Fede e ragione nella storia: filosofia della religione e storia
degli ideali religiosi dell'Occidente” (Cappelli Editore); “La Cina d'oggi,
Filippine, Formosa, Giappone” (Ceschina); “Leibniz” (Libreria scientifica
editrice); “Narrativa del Novecento, Istituto editoriale del Mezzogiorno); “L’eta
di Dedalo”; “Un viaggio elettorale, Bompiani). Dizionario Biografico degli
Italiani. Un ex allievo di Croce negli ultimi mesi di
Salò crea un "partito contro" su suggerimento del ministro
dell'Educazione Biggini di Silvio Bertoldi.Domenico Edmondo Cione. Keywords:
l’idea corporativa, corporativismo, storia del nazionalismo sociale, icaro, la
caduta d’icaro, icaro caduto, dedalo e la civilta greco-romana, corporativa,
principio corporativo, principio cooperative, corpotivismo, corporatismo,
corporativismo, ideale corporativo, conservative as corporativo, ugo spirito,
“pocca testa”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cione” – The Swimming-Pool
Library.
CIVITELLA (Montorio al Vomano). Filosofo.
Delfico-de-Civitella (under Ser Marco). (Montorio al Vomano). Filosofo. Grice:
“I love Delfico – while he wrote on Roman jurisprudence – Hart’s favourite
summer read! – mine is his (Delfico’s, not Hart’s) little thing on the
beautiful – we must remember that back in them days of Plato, ‘kallos,
‘pulchrum,’ or ‘bellum,’ is a diminutive of ‘bonus,,’ as in ‘bonello’ – the
point is important for for Platonists, love (that makes the world go round) is
desire for the ‘bello’ including the MORAL bello – so it is the key concept in
philosophy – and not as Sibley and Scruton narrowly conceive it!” Civitella è giustamente ritenuto il Nestore della letteratura
napoletano. Questo illustre autore di molte opere di storia e di una varietà di
soggetti interessanti, unisce ad una vasta istruzione una accuratissima e
profondissima conoscenza di ogni aspetto che interessa la sua terra; e
possiede, ad un'età così avanzata, l'ancor più raro merito di saper comunicare
le preziose esperienze acquisite con una amenità di maniere, una facilità e
semplicità di espressione che le rendono più apprezzate a quelli che le
ricevono. Figlio di Berardo e Margherita Civica, nacque nel castello feudale di
Leognano, in provincia di Teramo. Le origini della sua famiglia risalivano
almeno al secolo XVI quando Pir (o Pyr) Giovanni di Ser Marco, generalmente
riconosciuto come il capostipite della famiglia, cambia il proprio cognome in
“Delfico” e adotta il motto “eat in posteros Delphica Laurus”. Secondo alcuni,
e tra questi Luigi Savorini, il cognome originario era “de Civitella”.
All'interno della sua famiglia va individuato come Melchiorre III. Rimasto ben
presto orfano di madre, fu dapprima affidato ad ecclesiastici ed in seguito inviato
a Napoli, per il completamento degli
studi. Nella capitale del regno ebbe maestri insigni quali Genovesi per le
materie filosofiche per l'economia, Rossi per le materie letterarie, Ferrigno per
il diritto e Mazzocchi per l'archeologia. Nella città partenopea si
laureò in utroque iure sotto la direzione di Filangieri e redasse subito
diverse memorie per il governo. Ha già indossato l'abito ecclesiastico, ma se
ne spogliò subito per motivi di salute. Nella prima parte della vita si
dedica in particolare allo studio della giurisprudenza e dell'economia
politica, scrivendo numerosi trattati che esercitarono un grande influsso nel
miglioramento e l'abolizione di molti abusi. Con il ritorno in patria si
inizia un periodo fondamentale per la storia della città e dell'intero regno di
Napoli. Intorno a loro si riunisce un importante gruppo di filosofi che crea le
premesse per un profondo rinnovamento sociale, politico ed economico del
territorio in cui agiscono. Tra questi troviamo Cicconi, Comi, Lattanzi, Nardi,
Quartapelle, Tulli, Nolli, Orazio Delfico, il figlio di Giamberardino, che fu
allievo di Volta e Spallanzani, e l'altro nipote, Michitelli, che fu architetto
noto in tutto l'Abruzzo. Si appassiona al collezionismo, in particolare di
libri antichi e monete di epoca romana e pre-romana. Nominato presidente
del Consiglio Supremo di Pescara e poco dopo membro del governo provvisorio
della Repubblica Partenopea. Caduta la Repubblica Partenopea anda in
esilio per sette anni nella Repubblica di San Marino che gli riconobbe la cittadinanza.
Scrisse il saggio “Memorie storiche della Repubblica di San Marino”, prima
storia organica dell'antica repubblica. La Repubblica del Titano ha emesso una
serie di 12 francobolli e ha coniato una moneta d'argento dal valore nominale
di 5 euro per commemorare il filosofo e ricordarne la permanenza sul proprio
territorio. Sotto Giuseppe Bonaparte, nominato re di Napoli, entra a far
parte del Consiglio di Stato, ricoprendo varie cariche ministeriali.
Restaurato il governo borbonico, fu nominato presidente della commissione degli
archivi e successivamente Presidente della Reale Accademia delle
Scienze. Venne eletto deputato al Parlamento napoletano e fu chiamato alla
presidenza della Giunta provvisoria di governo. Si stabilì definitivamente a
Teramo. La famiglia di Melchiorre Delfico si estingue con Marina, sposata al
conte Gregorio De Filippis di Longano, ando origine all'attuale famiglia dei
conti De Filippis marchesi Delfico. La filosofia di Civitella si forge nel
fermento culturale del Secolo dei Lumi e del diritto naturale, le cui idee gius-naturalistiche
furono compiutamente esposte da un lato nell'opera di Locke, dall'altro in
quella di Rousseau, nelle quali i principi del diritto naturale erano
rappresentati dalle idee di libertà e di eguaglianza di tutti gli uomini. I
fermenti culturali del periodo assunsero una valenza rivoluzionaria e
contribuirono all'abbattimento di una struttura sociale logora ed invecchiata,
che si reggeva ancora ai capricci bizantini dell'autorità invadente.
Proprio tali tesi gius-naturalistiche furono gli strumenti a cui si richiamò
l'opera del Delfico, permeata dall'anti-curialismo, anti-Roma, dalla
compressione della feudalità, dall'anti-fiscalismo e soprattutto
dall'abbattimento del monopolio forense, ritenuto il baluardo principale del
regime. Ciò che caratterizza la sua visione politica è una nuova concezione
dello Stato, non più ispirato al predominio politico e svincolato dalle regole
della morale corrente. Come politico e come giurista, e eminentemente
pratico, così da poter essere ricordato come uno dei più illuminati riformatori
del suo tempo. Al suo nome sono intitolati a Teramo il Convitto
nazionale, il Liceo Classico e la Biblioteca provinciale che ha la propria sede
nel Palazzo Delfico. Numerosi i comuni che hanno intitolato strade a
filosofo. Altre a Teramo e alla frazione
di San Nicolò (nello stesso comune teramano), si segnalano Sant'Egidio alla
Vibrata, Penna Sant'Andrea e Roseto degli Abruzzi in provincia di Teramo;
Montesilvano, Pescara e Milano. È noto che esistono Logge massoniche
intestate a Civittella, ma ci si chiedeva se lui stesso fosse stato
massone. Questo interrogativo è stato posto da parecchi storici ma non
esisteva una risposta documentale. Esistono invece molte prove indiziarie
relative alla sua appartenenza alla Massoneria, per le quali rimandiamo
all'appendice del volume di Franco Eugeni, Carlo Forti, allievo di N. Fergola. I
principali indizi si possono così riassumere: I maestri ed amici di
Civitella, come Genovesi, Pagano, Filangeri, furono tutti noti massoni;
In un diario del curato Crocetti di Mosciano appaiono notizie di una Loggia
massonica esistente a Teramo. Assieme a Quartapelle, subisce due processi per miscredenza.
Promuove un movimento culturale detto '’La Rinascenza'’ di chiaro stampo
illuminista. Nella rinascenza militano tutti i filosofi del tempo: i Tulli, i
Quartapelle, Comi, Pradowski ed altri; La poesia di Pradowski sembra proprio la
descrizione di una Loggia. Manda il nipote Orazio Delfico, futuro Gran Maestro
della Carboneria teramana, a studiare a Pavia da Spallanzani, Volta e Mascheroni,
tre noti massoni del tempo. Perrone pubblica un saggio basato sulla
corrispondenza di Münter con noti massoni napoletani lo dà come sicuramente
massone, anche se "il suo nome non s'incontra nelle logge
razionaliste". Altre opere: “Saggio filosofico sul matrimonio” (s.n.tip.
ma Teramo, Consorti e Felcini); Memoria sul Tribunal della Grascia e sulle
leggi economiche nelle provincie confinanti del regno” (Napoli, presso Giuseppe
Maria Porcelli); “Riflessioni su la vendita de’ feudi” (Napoli, presso Giuseppe
Maria Porcelli); “Ricerche sul vero carattere della giurisprudenza romana e de'
suoi cultori” (Napoli, presso Giuseppe Maria Porcelli); Pensieri sulla Istoria
e su l'incertezza ed inutilità della medesima, Forlì, dai torchi dipartimentali
Roveri); “Nuove ricerche sul bello” (Napoli, presso Agnello Nobile); “Della
antica numismatica della città di Atri nel Piceno con un discorso preliminare
su le origini italiche” (Teramo, Angeletti). Dizionario biografico degli italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Il
Palazzo Dèlfico, Edigrafita Nico
Perrone, La Loggia della Philantropia. Un religioso danese a Napoli prima della
rivoluzione. Con la corrispondenza massonica e altri documenti, Palermo,
Sellerio, Giacinto Cantalamessa Carboni, Sulla vita e sugli scritti del
commendatore Malchiorre de' Marchesi Delfico, in Giornale arcadico di scienze,
lettere ed arti, Raffaele Liberatore,
Melchiorre Delfico. Necrologia, in Annali civili del Regno delle Due Sicilie,
Ristampato come Delfico (Melchiorre), in: De Tipaldo Biografia degli Italiani
illustri, Venezia, Ferdinando Mozzetti, Degli studii, delle opere e delle virtù
di Melchiorre Delfico, Teramo, Angeletti, Gregorio De Filippis-Delfico, Della
vita e delle opere, Teramo, Angeletti, Raffaele Aurini, Delfico Melchiorre, in:
Dizionario bibliografico della gente d'Abruzzo,
ITeramo, Ars et Labor, ora in Nuova edizione, Colledara (Teramo),
Andromeda editrice, Vincenzo Clemente, Rinascenza teramana e riformismo
napoletano, l'attività presso il Consiglio delle finanze, Roma, Edizioni di
storia e letteratura, Vincenzo Clemente, Dizionario biografico degli Italiani,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana, Donatella Striglioni ne' Tori,
L'inventario del Fondo Delfico. Archivio di Stato di Teramo, Teramo, Centro
abruzzese di ricerche storiche, Gabriele Carletti, Melchiorre Delfico. Riforme
politiche e riflessione teorica di un moderato meridionale, Pisa, Edizioni
ETS, Nico Perrone, La Loggia della
Philantropia. Un religioso danese a Napoli prima della rivoluzione, Palermo,
Sellerio. Treccani. Il dritto romano e sempre incerto ed arbitrario. Tale il
suo carattere, poichè sebbene non gli mancassero ancora degli altri nei, pure
quelle sole qualità (incertezza e arbitrarieta) sono bastanti per renderlo
mostruoso e deforme. E di esse specialmente imprendo a trattare, come quelle
che portarono a luce la vantata giurisprudenza romana. Ed accio questo
ordinatamente si vegga, fiaci opportuno il seguir la storia che della nascita e
de felici progressi di essa ci somministra i lumi i più importanti. Fra gli
innumerevoli doccumenti tal oggetto riguardanti, prescelgo quello di cui tutti
gli i filosofi si servirono, quasi di testo alle loro ricerche e commenti. Già
si vede che io parlo delle opera del giureconsulto Sesto Pomponio, della quale
si avvalsero i compilatori del dritto giustinianeo, rapportando nel titolo
dell’origine del dritto, tuttocid che il nomato giureconsulto aveva raccolto su
tal oggetto nel suo Manuale. E poichè Pomponio incomincia la storia del dritto
dai re di Roma, dello stesso momento conviene seguirlo. In questa prima epoca
abbastanza oscura non vi sarà pero materia di dispute, poichè Sesto Pomponio parlando
conformemente alla ragione ed alla storia dice che Roma da principio visse con
incerte lege gi e con dritto incerto e tutto dal regio arbitrio e governato. Ciocchè
si deve intendere per quella parte che appartene al capo dell’aristocrazia nella
qual forma Roma ebbe il suo incominciamento. Quindi Pomponio si espresse nelle
precise parole. Populus sine lege certa, sine jure cento primúm agere
instituit. Ne altrimenti doveva avvenire, poichè quella prima associazione
essendosi formata di gente malatta al vivere socievole, e non avendo ancora
positiva forma di società, doveva essere piuttosto regolata dalla forza del comando
che da un stabilimento positivo. Ciascuno sa che Romolo per accrescere il
numero de primi suoi compagni, prese l’espediente di aprire un asilo da era
retto ve s9 ) da che si puo comprendere quali fossero i primi fondatori di Roma.
I di lui favoriti furono i più valorosi briganti, e questi divennero i padri
della patria, i forti, i primi quiriti, e formarono il senato come una Dopo
questi primi tratti caratteristici relativi al le leggi Pomponio siegue a
raccontare tradizione, che essendo cresciuta in qualche modo la città, Romulo
divise il popolo in tante parti chiamate curie e col voto di esse prende. 9 va
cura delle pubbliche cose, e fece in seguito la legge che si chiama legge
curiata, come no , fecero ancora i re successivi, e tutte furono, raccolte da
Sesto Papirio, il quale visse al tempo di Tarquinio il superbo, e dal nome
dell'autore quella raccolta fu chiamato “dritto papiriano”. Non m'impegnerà nelle
dispute istoriche e critiche delle quali si occuparono gl' interpreti di Pomponio,
ma osservero che sebbene da principio parli dello stato informe di Roma e
dell’autorità regia non modificata dalle legge, fa dindi vedere come fu data
una forma, non una costituzione alla città nascente, e come dai re fu
promulgata la legge curiata. Per due secoli e mezzo in circirca; quanto duro la
regia signori , Roma non ebbe dunque che questa o quella legge occasionale, e
la società fu mantenuta più col governo che colle legge. Prima intanto di
passar oltre, e per la migliore intelligenza de’ tempi seguenti, non sarà
inutile il presentare in poche parole lo stato politico del popolo romano sotto
l’epoca dei re, e quale fosse l’indole della legislazione per tutto quel tempo.
E poichè di cose che non ebbero autori contemporanei o vicini, non è possibile
il ragionare con precisione ed esattezza; percio scortato dalla natura delle
circostanze e dalle tradizioni pervenutaci, m’ingegnero di esporle nell’aspetto
il più ragionevole. Fra l’oscurità delle origini romane possiamo rilevare che
quella società incomincia da un adu namento di persone appartenenti a vari
popoli non solo italici, ma greci e celtici ancora. Codesta tumultuaria
associazione avendo Romulo per capo visse da principio di prede e di rapine, gusto
che fece il perpetuo carattere della nazione, trasformato poi in quello di
conquiste, come gli avol toi comparsi a Romolo nel prendere gli auguri furono
poscia nobilitati in aquile vincitrici. In tale stato di cose non vi fu da principio
bisogno di leggi, la legge, poichè non vi era proprietà, essendochè Roma fu
fondata come Livio si esprime in fondo alieno, e le piccole private dispute
erano decise dalla volontà del capo, come presso tutti i popoli barbari, e
nelle società de’ briganti è sempre ava venuto. Avviene similmente che nel
formarsi tali associazioni, si gittino i fondamenti dell'aristocrazia , e così
avvenne di Roma. Il palagio di Romolo fu una succida capanna: il di lui trono
quattro zolle che lo rialzavano dal suolo. Il Senato fu la scelta de’
commilitoni o complici delle sue rapine. I patrizi quelli che poterono vantare
certezza di natali e qualche superiorità di ricchezze; e tutto il resto fu vile
plebe o volgo profano. Questa è la divisione naturale dell’aristocrazie
nascente. ‘Padre,’ ‘patrizio,’ ‘patrone’ furono nomi di versi appartenenti alle
stesse persone secondo i va. rj rapporti ne' quali erano considerati, o di
Senato consultivo, o di corpo aristocratico, o di superiorità immediata su le
divisioni della plebe, la quale che che ne dicano i tardi autori della storia
non ebbe alcuna parte di potere nè costituzionale nè amministrativo. Gli stessi
autori dai fatti fanno scorgere questa verità alla quale contrariano colle
parole. Festo il quale aveva trascritto le notizie dagli antichi autori,
parlando dell’origine delle clientele si esprime in termini rappresentativi
della verità, cioè come d’una divisione di gregge piuttosto che d'un popolo.
Patrocinia appellari capra sunt cum plebs distribuia est inter paires. Ne si
devono contare per un ordine intermedio di citetadini quegli equiri o celeri o i
fossuli nominati fin dai principi di Roma, poichè non appartenevano allo stato
politico ma al stato militare. Non è possibile il seguire i naturali progressi
di quella società nascente, e vedere come a poco a poco si andasse a
consolidare in quella forma nella quale da principio era stata abbozzata. Sotto
il re Numa vediamo i primi passi di qualche civilizzamento, lo stabilimento
della proprietà territoriale: la prima legge relativa alla religione ed al
delitto, lo stabilimento dei ministri e degli interpreti della divinità; ed in
somma un principio di governo teocratico, pel quale pare che sieno passate
tutte le nazioni prima di portare su le cose civili le considerazioni proprie
della ragione. Ma quello che specialmente riflettere dobbiamo è che sotto quel
re teosofo ebbero i primi principi le scienze ancora della legge e del politico
governo. Non si dee durar gran fatica per trovare de’ rapporti religiosi in
tutti gli atti umani e farli nascere ancora in un popolo quanto ignorante tanto
superstizioso. Così par che facesse Numa o per idea propria o per imitare i
stabilimenti della sua nazione o pel natural corso del sociale andamento; cosi
gitid i veri fondamenti di quell’aristocrazia sommamente poderosa poichè combina
nello stesso corpo gl’interessi del sacerdozio e dell’impero, o le due
aristocrazie, politica e sacerdotale. Su questo piano Roma crebbe
successivament sotto i re. L’aristocrazia fu sempre salda contro le regie
intraprese, e la storia ci mostra con quali mezzi crudeli e sacri seppe
sostenersi. Massacrarono Romolo e ne fecero un dio. (Cristo). Tale idea pero
del primo governo di Roma è stata generalmente sconosciuta, ed il primo per
quanto io sappia a darne l’idea fu il nostro Gian Battista Vico, il quale riunendo
alla multiplicità delle filologiche cognizioni la filosofia indagatrice delle
origini sociali, fra le tenebre della rimota antichità, e fra le favole e le
ricordanze degli antichi costumi seppe scoprire come un principio naturale politico,
che nel comune corso delle nazioni la società primitiva comincia sempre
dall’aristocrazia, la quale deve nascere dalla qualità delle circostanze,
dall’ignoranza de’ dritti, e della compagna superstizione. Le luminose tracce
di Vico furono poi seguite dal Duni e fermatosi particolarmente a considerare
il governo romano, dimostra che Roma nacque aristocratica, che il re none che il
capo dell’aristocrazia, che i soli patrizi ebbero la quarta di cittadini che
furono in perfetto stato di combinazione l’aristocrazia politica e l’aristocrazia
sacerdotale, e che il nome di ‘popolo’ ne’ primi tempi ai soli patrizi
appartenne, come quelli che soli godevano del dritto della cittadinanza (cives
polis), i quali poi furono gradatamente dalla plebe acquistati. Egli concilia
luminosamente la contradizione in cui par che cadesse il giureconsulto Pomponio
e fa vedere che il re non ha che una parte del governo o dell’amministrazione,
ma che la somma dell’autorità , la vera sovranità, il potere legislativo, il
dritto della pace e della guerra risedevano nel corpo de’ patrizi, come anche il
dritto di eliggersi il loro re o principe. Furono essi i depositari delle leggi
e delle medesime i (Duni Orig. del Citted. Romano . 1) ministri ed interpreti:
e siccome per un’eterna verità l’aristocrazia non si sostiene che sull’appoggio
della superstizione. Cosi dal corpo aristocratico si sceglievano i vari
sacerdozi, e fra essi il corpo de’ pontefici fu specialmente destinato a dar i
giudici alle divine cose ed umane. Quindi la conoscenza della legge e l’amministrazione
delle medesima fu un dritto esclusivo e divenne una dottrina arcana, conservata
con tutta la gelosia del mistero, dispensata solo a modo d’oracoli e
strettamente custodita nell’ordine de’ patrizi. Codesta emanazione della prima
teocratica idea non solo si conserva per quanto ebbe di durata il governo del
re ma per quanto visse la Roma. Una repubblica, colla sola differenza pero che
come crebbero le cognizioni ed i necessari riflessi della ragione, e da essi
nacquero i sentimenti di libertà e di eguaglianza, così quelle idee si andiedero
a poco a poco estenuando, finchè non ne rimasero che i soli simboli
commemorativi, o il nome senza la cosa, o le cose senz’alcuna effettiva in
Auenza. E necessaria questa breve esposizione, per cogoscere quale fosse lo
stato della legge, dell' am ministrazione giudiziaria e della giurisprudenza
ne’ primi tempi di Roma; e senza impegnarci nella particolari legge sotto il re
emanata dal senato regnante, possiamo con sicurezza affermare che la legge fu
minima, eventuale ed incerta, e che l’interpretazione delle medesine essendo
stato un dritto di corpo o di ordine affidato ad alcuni individui, possiamo dire
ancora che la giurisprudenza fu incerta, irregolare, arbitraria, e quale ad una
nazione anco sa ignorante e superstiziosa poteva solo convenire: e per
conseguenza esser stato pur vero ciocchè Pomponio scrisse, che sotto i re sine
lege Gerta , sine jure certo vissero i romani. Lascio agli ambiziosi di glorie
filologiche legali l’andar raggruzzolando I pochi superstiti frammenti della
legge regia, poichè i stessi antichi giure consulti ne fecero poco conto e le
lasciarono finalmente perire. Chi volesse però riconoscerle, troverebbe in esse
la conferma di quelle idea superstiziosa caratteristiche della prima aristocratiche
associazione. Espulso il re si crede comunemente che il governo di Roma
cangiasse d’aspetto e da quel momento si cominciano a contare gli eroi della
libertà. Ma chi - giudica senza prevenzione non vi troverà che gli eroi dell’aristocrazia
. Anche quessti parlano di libertà; della propria libera però non della liberta
pubblica, e per servirmi delle parole di Dionisio, della libertà propria e del
dominio su gli altri. Quindi Roma non vide alero cangiamento che di due re
invece di uno e la legge e l’amministrazione politica e civile rimasero nella
stessa condizione. L'incertezza fu seguita dell'incertezza; l’arbitrio
dall’arbitrio, ciocchè ci dà manifestamente ad intendere Pomponio dicendo:
Exactis deinde regibus . .ae . iterumque cæpic populus Romanus incerto magis
jure & consuetudine ali quam per latam legem, idque prope sexaginta annis
passus est. L’aristocrazia era stata alquanto abbassata dall;ultimo re, per cui
ebbe fine il suo governo, ma dopo la sya espulsione ritorno presto nel pria
miero vigore. Quindi gli effetti dovevano essere conseguenti, e tutta la storia
è una pruova dimostrativa. Infatti si sa che dall’anno fatale ai Tarquini, fino
al tempo della leggi decemvirale, il potere legislativo ed il potere giudiziario
furono privativi del corpo aristocratico. Troppo lungo sarebbe ora il seguire
tutta la serie de dibattimenti intervenuti fra i patrizi ed i plebei, quando
questi già stanchi dell’incertezza della leggi civile, della forma esclusiva di
governo, e della schiavitù nella quale erano tenuti, tentarono de’ mezzi per
alleviarsi in qualche modo dalle gravezze ond’erano oppressi. Ottenuto il tribunato
si avvidero ben presto che esso era troppo debole ostacolo contro la tirannia
de patrizi, la quale efforcivamente era annidata dentro la stessa legge e
fortificata dallo spirito di corpo (sprit du corps) , che fieramente la
difende. L’insurrezione, la secessione, soli mezzi che può escogitare un popolo
schiavo ancora dell'opinione, furono più volte ripetute; ma le loro domande erano
incerte, le loro querele generali, ed i loro desideri si riducevano ad essere
considerari come uomini e come cittadini: Ut hominum ut civium numero simus .
In questo stato compassionevole compresero finalmente che niun mezzo vi poteva
essere migliore per ottenere l’intento che quello di formarsi una legislazione
generale, poichè la sola legge puo stabilire la libertà e l’uguaglianza civile,
potevano esser riguardati come uomini cittadini. Strano ed arrogante sembra al patrizio
il desiderio della plebe, e strano parrà sempre al possessore del potere
arbitrario il desiderio del ristabilimento della legge e della giustizia.
Quindi il patrizio non lascia mezzo intentato per frastornare il plebeo dalla
lodevole intenzione e persuaderli che i patri costumi erano sufficienti e che
di nuova legge non vi era bisogno; mores patrios observandos, le ges ferre non
oportere. Furono intanto inutili le persuasioni , e lo stato infelice nel quale
il plebeo si trovava detta suo questo solo espediente. Non altrimenti che l’oracolo
consultato da Locresi sul modo di sedare le civiche discordie rispose loro:
fatevi la legge; i Romani plebei sentirono l’oracolo della ragione e della infelicità
nella qua Je gemevano. Vollero quindi la legge, ma ciascuno sa, come tutte le
arti aristocratiche furono messe in uso per ingannare quel popolo che spesso
riposava colla più buona fede sopra i suoi naturali e costanti nimici. Si sa come
i deputati i quali dovevano mandarsi in Atene e nelle altre Città della Grecia
e dell'Italia a raccorre la legge per la nascente regina del mondo, si occulta
rono in qualche luogo d'Italia , e la legge poi fu tirata dalle arche
pontificali e perchè nulla mancasse di
condimento aristocratico, si fecero poi impastare e disporre da quell’Ermodoro
esiliato da Efeso dal partito popolare. La storia relativa E 3 alla moeten alla
legge delle dodeci tavole se fosse trattata con quell’accuratezza che pur le
converrebbe, sarebbe un articolo sommamente istruttivo; ma questa ricerca
veramente politica è stata molto trascurata. Il popolo domanda una legge della
quale il console si dovesse servire e che non dovessero aver più in luogo di
una legge il capriccio o la privata autorità; non ipsos libidinem ac licentiam
pro lege habituros. Il patrizio risponde che di una nuova legge non fa mestieri,
e che bastavano la usanza, no la legge. Il popolo adduce ragioni, il patrizio
face parlare la religione, e questa spesso parla per bocca de buoi e di altri
animali, del linguaggio de quali si fa un merito d'essere interprete. I plebei
volevano che la legge si facessero dal popolo legitimamente e liberamente
congregato. Il patrizi sostiene che non vi sarebbero stata altra legge, che
quelle ch'essi stesse avrebbero fatte: darurum legem neminem, nisi ex parribus
ajebant. Il popolo vuole una legge di uguaglianza. Il patrizio le promette in
parole; sicuro di non essere nel fatto obbligati a mantener. Finalmente dopo
tante vicende le dieci tavole furono pubblicate e successivamente le altre due
come ci fa sapere la storia. La storia ci dice ancora che con esse ogni diritto
e resi uguali: omnibus summis infimisque jura æquasse: e ci dice ancora che il
popolo la esamino e la approvó solennemente. Ma la storia stessa ci dice che
quel bravo legislatore a anche più bravo tiranno; che sconvolsero tuttol'ordine
pubblico e secondo Livio nihil juris in civitate reliquerant, che per quella
legge ogni consuetudine aristocratica e conservata, che la vantata uguaglianza
resiò in parole; e che al primo momento di paragone il popolo riconobbe d'
essere stato ingannato. La favola dell’invio de’ deputati in Grecia è stata
pienamente scoverta da molti autori e specialmente dal Vico, da Bonamy e da
Duni: la favola d;essere state leggi di uguaglianza e di giustizia, la può
scoprire facilmente ognuno che voglia leggere con critica la storia •gli avanzi
di quelle leggi . La scovri ancora il E 4 po . (Vico : Scienza nuova; Bonamy, Memoir.
de litterar. de l' Accad. de Paris. Tom . XVIII; Duni : Dėl Cittad. Rom) popolo
, quando ritornato in cal ma dopo l’abolizione del decemvirato potè
tranquillamente esaminar la legge, ed invece di vederne tali che classificasse
la gente come uomini e come cittadini, non trova che una legge civile, una
legge criminale, una legge funeraria e una legge religiose, che punto o poco
l'interessavano. Per essere classificati per uomini o per cittadini vi
bisognavano una legge costituzionale che avessero ragguagliati i dritti, che li
avesse egualmente interessati alla cosa pubblica, che li avesse ammessi ai
suffragi. Niente di tutto questo; e la plebe resto delusa della sua troppo
malfondata speranza. Vedremo in seguito come seppe rinnovare le giu ste sue
pretenzioni ; ed in tanto senza voler fare l'analisi di que’miseri frammenti
delle leggi decein virali , è pur giusto portarvi uno sguardo generale per vedere
almeno, se meritano tutti gli elogi de' quali sono state ciecamente onorate
dagli antichi é da moderni ; ed osservare in seguito, se ne pro venissero
quegli effetti felici, ai quali produrre era no state destinate. Cicerone in
più luoghi esaltan dole sopra tutte le leggi conosciute , non è poi molto
felice nel darne le pruove ; così condanna Solone , per non aver imposto pera
al parricidio , supponendolo impossibile , o volendolo supporre talo tale per
onore dell'umana natura; ed elèva la seviezza della Romana legislazione per
aver saputo inventare una pena orribile e crudele. O singola , sem sapientiam !
esclama egli dopo aver lungamen: te ragionato con Logica forense. Tale fu la sa
viezza di que’ legislatori ne' varj rami di quelle leggi ; poichè se si
riguardano per la parte crimi nale esse furono Aristocratiche , ingiuste ,
severe , é crudeli. Se per la parte del dritto pubblico, del la quale
poch’indizi ci sono restati, andavano al la conservazione dell ' Aristocrazia :
se per quella della Religione e de' funerali, corrispondevano ai superstiziosi
concepimenti del tempo: se per ciò che riguarda l'ordine giudiziario, dovevano
esser ana loghe alle leggi ed all' usanze : se per la parte te stamentaria , è
facile il vedere, ch' esse contene yano la massima ingiustizia politica , per
conser vare in forza gli Aristocratici dritti : della stessa indole furono le
indegne leggi relative alla patria potestà ed alle altre relazioni domestiche
nelle quali sempre campeggia lo spirito di famiglia. In quanto al contratto, la
legge furono pur sempli ci , come devono essere in un popolo barbaro con pochi
rapporti civili; ma le usure d'ogni spe cie furono terribili. Chiunque vorrà
esaminar quel te leggi in buona fede , e misurarle secondo i vem ri rapporti
che le leggi devono avere colla natura e collo stato civile , troverà senza
fallo ingiusti ed irragionevoli gli encomj alle medesime attribui. ti . Ma
forse neppur in Roma si pensò tanto favo revolmente di esse, poichè col tempo
par che fos - sero del tutte néglette e dimenticate. Cicerone stesso riferisce
che al suo tempo neppure erano ben intese , e sebbene egli nell'infanzia le
avesse ap prese a memoria , era poi passato di moda tal co stume : discebamus
enim pueri XII. ut carmen ne cessarium , quas jam nemo discit. Ed in seguito al
riferir di Gellio erano cadute . in tale disprezzo ed obbllo, ch' erano derise
come fossero le leggi dei Fauni e degli Aborigeni . Si può trovar intanto
qualche motivo, pel quale si possono difendere gli antichi panegiristi delle
leggi decemvirali ; poichè per quanto fossero selvatiche quelle leggi , godevam
no pur dei dritti che danno l'opinione e l' anti chità; e paragonata la
giurisprudenz'antica a quel la degli ultimi tempi della Repubblica, il paragone
risultava in favore della prima. Ma che i Giure consulti moderni , e quelli
specialmente della setta degli eruditi riguardino ancora lo studio dei mi peri
frammenti superstiti come il più interessante per MC 75 per la conoscenza del
giusto, e rincariscano su gli elogj degli antichi, cið non può essere che
l'effetto d'un Letterario fanatismo Se Livio chiamo le leggi delle XII tavole
fonté ogni equità fu troppo credulo alle espressioni ed alle promesse
degl’iniqui decemviri. Qual nie fu infatti l’utilità pel popolo Romano? La
severa ed ingiusta costi tuzione non fu cangiata , e da quella vantata ugua
glianza la plebe neppure ottenne di acquistar la condizione desiderata . Per
quel principio Teocrático , di sopra accen nato , ciò che distingueva in tutti
gli effetti civili tanto pubblici che privati , il patrizio dal plebeo , era il
dritto degli Auspicj . Era questo dritto che dava la vera qualità di cittadino
negli affari sacri e ne'civili ; ed incominciando dal primo vincolo sociale ,
cioè dalle nozze ' , con i soli auspicj si produceva il connubio o nozze
solenni, dalle qua li derivava il carattere di padre di famiglia , la patria
potestà , e la facoltà di testare ; e questa specie di nozze era de' soli
patriz; ; poichè gli al tri ridotti al matrimonio civile o naturale senza prevj
auspicj non potevano godere delle stesse prerogative. Gli auspicj e
propriamente gli auspi cj maggiori poi erano i soli mezzi per aver drito 1 ( 76
) alle Magistrature , e far parte dell'ordine regnante dello stato. Or niun
cangiamento fu fatto da quel le vantate leggi su di un articolo tanto
importante in quella costituzione nella quale tutto era sacro ; e la Storia
c'insegna, quanto poi costasse di tran quillità alla Repubblica, il voler
introdurre in qual che modo l'uguaglianza. Sebbene si vänti l ' Oratoria e la
giurisprudenza de' tempi più antichi di Roma , pure si può asse rire , ch '
esse non avessero propriamente la loro origine che dopo la pubblicazione delle
XII tavole . Si crederà intanto che quel prezioso codice avendo acquistata due
qualità principali, cioè d'eso ser pubblico e generale, avesse resa ceria e
stabia le la legislazione. Autorizzato dal popolo , fisso nel foro e delle
curie , ciascuno doveva trovarvi la certezza de' giudizj , la sicurezza de'suoi
dritti la legittimità de' suoi dominj; ma su questa con seguenza ci fanno
nascer gran dubbj gli antichi Autori e molti fatti conosciuti. Convien sempre
ricordare che il principal carac tere delle prische Aristocrazie fu la
misteriosa cu stodia delle leggi o consuerudini, e della religione, ciocchè formava
il privilegio esclusivo, o la pri yatiya di quella sola sapienza che gode del
bujo & del ( 77. Det ZE = ; pro ice e della pubblica ignoranza . Ma codasta
sapienza Romana era fondata parte su l’ingiustizia , parte su l'errore : su
questo , perchè la loro scienza saa cra ed arcana non consisteva nel celare al
volgo i misteri della natura , l'origine della cose, l'enera gia della forza
motrice, la fecondazione dell’universo, ed altri tali idee nascoste ai profani
presso le altre nazioni : la loro scienza arcana si raggira va sul cantare o
cibarsi dei polli , sul volo degl uccelli, sull'andamento del fumo su i tremori
delle viscere , e simili cose , alle quali non pud appartener mai il nobile
titolo di scienza o sapien . ma quello solo di vane osservanze . L'errore poi
lo facevano servire all' ingiustizia , poichè con tali mezzi si mantenevano
nell'assoluta disposizio ne delle leggi , facendole servire alla conservazione
del preteso dritto del più forte, cioè alla soy version ne di tutte le idee del
giusto. Or poichè quelle leggi qualunque fossero erano pur pubblicate , una
parte della scienza arcana e dell' aristocratico potere sarebbe andato a
svanire , se non si fosse trovato un modo col quale si ae vesse potuto riparare
una perdita si grave. Ques sto si effetrul col conservare il potere giudiziario
Dell'ordine de' patrizj , e col rendere inutili le lege es za 7 bid SSO rvi ti
chi Tale Cu ne, ori ujo el gi ( 78 )* gi; se non fossero state avvalorate dalla
doro re condita sapienza . Essi dovevano spiegarne il sen so ; essi conoscere
qual dritto nasceva da una tal legge ; qual era l'azione che ne proveniva ,
quale il modo o la formola di proporla, quale l'eccezione che poteva impedirla
; e finanche si arrogarono come un mistero sapere i giorni ne' quali si poteva
amministrar la giustizia senza offendere i Numi . Ecco insomma la
giurisprudenza , ossia il mezzo di rendere inutile anzi dannoso alla società il
beneficio d'una Legislazione. Essa vanta un ori gine Aristocratica , un origine
che si confonde coll' errore , colla malizia , e colla prepotenza . Sebbene
dunque la giurisprudenza fosse nata su bito che vi furono leggi incerte ed
arbitrarie ; pu re non si confermd , estese e stabilì nelle forme , che dopo la
pubblicazione delle XII . tavole ; dopo questo prezioso compendio dei dritti
degli uomini e degli Dei. Pomponio conferma le mie parole. Dopo pubblicate (egli
dice) le leggi delle XII tavole, come naturalmente avvenir suole , s'incominciò
a desiderare per l'interpretazione delle medesime l'autorità de' giurisprudenti
, e le ne by cessarie dispute del foro. Tali dispute e tal drit » to non
scritto composto dai giurisperiti non ha s pes, 79 ) 9 ji però un nome proprio
come le altri parti del dritto , ma con pocabolo comune è chiamato dritto
civile. Quasi nel tempo medesimo da „ quelle stesse leggi si fecero nascere le
azioni, colle quali si doveva discettare a litigare : ed sacciò non fosse in
libertà di ciascuno il farne uso, si pensò a farle essere certe e solenni ' ; e
que „ sta parte del dritto fu denominata azioni della legge , o sia azioni
legittime E cosi quasi ad - un tempo nacquero queste ' tre specie di dritto
cioè leggi delle XII. tavole ; dritta çivile deriva „ to da esse; ed azioni
della legge, composte su i s dritti antecedenti , La scienza poi tanto delle »
leggi quanta dell'interpretazione , e delle azioni %, stesse era riservata al
collegio de Pontefici, quali in ogni anno destinavano persona che pre sedesse
ai privati affari o litigi ; e con questa , consuetudine visse il popolo per
cento anni in » circa , „ Quale orribile contradizione ! Appena pubblieata una
legislazione tanto vantata per la sua perfezione, fu trovata cosi
insufficiente, ch'eb be immediato bisogno di sostegni e di interpreta zioni . E
codesto fu il codice superiore a tutte le biblioteche de’ filosofi? Ogni parola
di Pomponio contiene una contradizione alle idee di leggi e le gis 80 )
gislazione che somministra il buon senso il più comune. Il dritto civile tanto
encomiato non fu altro dunque che il risultato delle interpretazioni de'Giu.
risprudenti e delle dispute forensi ? E qual razza di prudenti erano mai
quelli! Ciascuno sa che quella fu l’epoca della più crassa ignoranza; la spada,
la zappa, i polli e le usure erano le sole idee che fiorivano in quelle teste
leggislatrici . Ma poichè col progresso del tempo , e colla frequenza de'
giudizi qualunque fosse stato quel dritto con suetudinario poteva pur ridursi
in massime o in principj di giustizia , e cosi divenire di comune. intelligenza
e di un uso generale; si pensò il mo. do onde questo non avvenisse , e si
mantenessero sempre le leggi nel bujo e nell'incertezza . Ne cið era
sicuramente per una vanità dottorale , ma per conservare un potere ed una
leggislazione arbitra sia , qual era il grande scopo dell' ordine Aristo,
cratico . L'unico mezzo che essi viddero il più opportu 80, fu quello
d'inventare le azioni , cioè delle for mole colle quali non solo si doveva
agire o ecce pire in giudizio , ma secondo le quali si doveva no regolare i
contratti e gli altri atti civili , accið por ve far potessero avere un effetto
legale. Non bastò loro di aver la privativa de' giudizj ; poichè colle leg gi
certe difficilmente avrebbero potuto abusarne : bisogno dunque inventare un
nuovo dritto di esso e della nuova pratica una nuova legis lazione da surrogare
all'antica scienza mistica delle leggi, per tenerle sempre in quella severá cu
stodia, colla quale prima delle XII. tavole teneva no le antiche consuetudini .
E perchè non si man casse di venerazione a tale straordinario stabili . mento,
i Pontefici ne furono fatti depositarj egual mente e disponitori . Chi' può
trovare in questa specie di legistazione altro carattere che di una volontà
arbitraria diret ta non a dispensar giustizia , ma a conservare ľ Aristocratico
dispotismo , darà segno , di non aver avuto mai idea di ciocchè costituisce il
carattere delle leggi. Ma non si trattava già di fac leggi , si trattava solo
di tener il popolo in schia vitù : perchè se avendo già esso acquistato i drit
ti di privata cittadinanza avesse potuto godere anche quello d'Isonomia , cioè
dell' eguaglianza delle leggi , qual'era stato il suo intendimento nel
promuovere una pubblica leggislazione , avrebhe fatto un gran passo verso
quella libertà che tanto F ambiva , ma che più sentiva che conosceva . Escla .
md esso sovente contro quella specie di occulta o privala legislazione ,
dicendo, che la sua condizio de ea in questo assai peggiore di quella dei po
poli vinti ; essendogli negato il poter sapere cioc che riguardava i più comuni
affari çivili , e fino i giorni legali e feriali, ciocchè agli altri non era
Ignoto : segno sicuro che l'aristocrazia romana era inolto più feroce o severa
di quella delle altre città o popoli vicini. Il dottissimo Vico con gran
proprietà d' intelli genza penso che quel notissimo motto di Solone: conasciti,
fu piuttosto un précetto politico che mo rale . Pieno l'animo di tutti i
sentimenti della ve ra giustizia Solone ricorda va con quel motto all' oppresso
popolo di riconoscer se stesso , cioè di riconoscersi per uomini ed uguali ip
dritto a colo ro che li opprimevano. Il popolo Romano non eb be un Solone , che
gli desse così utili ricordi ; ne forse ne aveva bisogno , poichè abbastanza si
ri conosceva , ed agli insulti de'Patrizi rispondeva , che non erano fioalmente
essi ne discendenti do’ Dei , nè venu i giù dall' Empireo . Avrebbe perd avuto
bisogno di un Solone , per aver lidea d'una costituzione , senza la quale arrivo
si a distruge gero gere la maggior parte degli abusi del potere Ari „
stocratico, ma non giunse mai a formare una pere ferta Repubblica, fondata su i
veri rapporti sociali e su i dritti primitivi della Giustizia naturale e
positiva : per cui se Roma corse rapidamente alla grandezza dell'impero e delle
ricchezze, cadde an che presto nella voragine del disporismo . Ma ritornando a
quella Giurisprudenza che suc cedè immediatamente alle XII tavole, e che diede
nascita a quel nuovo dritto così stranamente am ministrato, dirò , che sebbene
da quanto semplice mente espone Pomponio, se ne possa giustamente fare il
carattere; pure ad esuberanza aggiungerd, che l’illustre Gravina , tuttochè
pieno d' entusiasmo per la Romana Giurisprudenza, non seppe nascon dere ,
quanto fosse infelice quella de' tempi de'qua. li abbiamo ragionato. Antiqua
jurisprudentia nun. cupatur quæ statim post latas leges XII. tabularum prodiit
: aspera quidem illa tenebricosa & tristis non tam in æquitate quan in
verborum superstitione fundata. Se il Gravina rinunciando ai pregiu dizj
Filologici, avesse voluto mettersi in grado Gray. de Ortu Tur. Civ. cap. 46. F
2 di giudicare giustamente , come riconobbe per tenebrosa l'antica
giurisprudenza , avrebbe ricono sciute per arbitrarie e maligne le successive
giuris prudenze dette media e nuova , ed avrebbe discon * fessato gl '
inopportuni encomj , che in generale yolle ad esse tributare . Per quanto perd
si è finora ragionato , non ho toccato che leggermente la nequizia della giuris
prudenza e della giustizia sacerdotale ; ma chiun que per poco abbia di buon
senso converrà meco, che una delle tristizie maggiori in fatto d' Ammi
nistrazione è il sottrarre le leggi del pubblico uso e conoscenza , e ridurle
per vile ambizione e su dicio interesse ad arcani misteriosi . Nascondere le
leggi, è nascondere la luce civile ', è precipitar gli uomini ne' vizj e nella
corruzione. Le leggi con molta proprietà e verità d'espressione si chiamano la
ragion civile , onde il celarle, il corromperle , val lo stesso che privare
gl'individui del corpo po litico di quella ragione che loro deve servir di
guida in tuui gli affari sociali. I patrizj giurispru. denti non lasciarono
mezzo per tenere il popolo nell'oscurità , poichè non solo coll' inventare le
azioni e farsene' una privativa di ordine, occultaro no le leggi e le
guastarono ; ma de' nuovi stabili men ( 85 ) menti anche s'impossessavano per
poterne disporre a loro talento. Livio n'è amplissimo testimone di cendo :
institutum etiam ab iisdem coss. ( cioè Lo Valerio e M. Orazio ) ut Senatusconsulta
in ædem Cereris ad ædiles plebis deferrentur , quia ante ato. bitrio Consulum
supprimebantur vitiabanturque. Non fu però sufficiente questa legge, come vedre
mo in altro luogo , e i giurisperiti seguitarono ad essere veri Monopolisti
delle leggi . Dobbiamo credere però che i più virtuosi Ro mani avessero a vile
codesto mestiere d'ingan no e di soverchieria ; e perciò . la storia ci pre
senta sempre con elogj coloro i quali quasi senz’intervallo tornando dai campi
di Marte cambiava no coglistrumenti rurali gli arnesi guerrieri , o coronavano
l'aratro di allori trionfali . Si sa che Roma allora e per alui secoli non
presentava al cuna occupazione che potesse allettare alla vita cittadinesca ,
la quale dalle belle arti , dalle scien ze, e dal prodotto da, esse spirito
sociale si rende solo piacevole ; perciò chi non amava l'intrigo, nè la vita
oziosa soffriva , in vece di darsi alla cabalistica (Livio) e viziosa
giurisprudenza , si riparava nella esercizio dell'agricoltura sempre
preferibile ad una mestiere cosi pernicioso. Infatti la storia ci pudo istruire
, mostrandoci , che la famiglia la più in festa allo Stato , la perpetua
persecutrice della li bertà popolare e della Giustizia pubblica fu una famiglia
di giurisprudenti. Tale fu la Claudia ; e sempre si è veduto che dove dottori e
forensi 80 no, la discordia prende il luogo della pace e della naturale
tranquillità . Ma ritorniamo a Pomponio . Egli ci dice che quella mistica
giurisprudenza si sostenne quasi per un secolo : la storia pero a gli altri autori
dicono , ch' ebbe una durata eguana le a quella della Repubblica , toltene
alcune diffe renze dalle quali non fu alterato il fondo del la cosa · Seguita
dindi Pomponio a racconta re , come quelle formole ed azioni , essendo ri ,
dotte in forma da Appio Claudio , cotal mistico libro gli fu involato da Gneo
Flavio figlio d'un libertino e scriba dello stesso Claudio : ed aver . , dolo
pubblicato e fattone un dono al popolo , » questo gli fu si grato , che lo fece
pervenire ad » esser Tribuno della plebe , Senatore , ed Edile „ Questo libro
contenente quelle azioni delle quali > si è già parlato , dal nome
dell'editore fu deno ( 87 ) Si po , mitato drino civile Flaviano , benchè egli
nulla » vi aggiungesse del suo. Nel crescere poi in Romi la popolazione e nel
multiplicarsi gli affari maticando alcune specie di formole , Sesto Elio non »
guari dopo compose nuove azioni e ne pubblico co un libro chiamato Dritto
Eliano , . trebbe" ragionevolmente pensare , che pubblicate le leggi e
resa publica la scienza arcana , il dritto cívile , le ' azioni, la pratica, e
le leggi stesse diven cassero di pubblica ragione; e che il popolo illua minato
su i principj legali , sulla condotta degli affari , sul modo di amministrar la
giustizia , . sulle ordine giudiziario , non avesse più bisogno della
maduduzione de' patriaj per distinguere il giusto , e sapere i mezzi
d'ottenerlo . Ma tuu ' al trimenti andiede la bisogna į poichè non volendo i
patrizj perdere per alcun modo la custodia e la dispensazione di quella
scienz'arcana , che forma va la base principale del loro ingiusto potere, tro*
varono il'modo , onde far rimaner il popolo de fuso . E come nelle sette se si
vengono a scopris se i segni mistici destinati al riconoscimento, pres stamente
si cangiano , e de ' nuovi si surrogano , onde sia salvo it mistero ; cost i
bravi Giurispe siti eseguirono , cost posero in salvo i pretesi F drica, dritti
dell' ordine , e conservarono il grande arcano della Giurisprudenza . Le
formole e le azioni furono cangiate , e forse in maggiori cifre involute onde
potessero rimanere ancora lungo tempo nascoste ed inintelligibili allo sguardo
plebeo . Ma ascoltiamone, Cicerone, il qua le ce ne dà il più distinto
divisamento ; Erant in In igna potentia qui consulebantur : a quibus etiam
dies, tamquam a Chaldæis petebantur. Inventus est scriba quidam Gn. Flavius qui
cornicum oculos con Fixerit , & singulis diebus ediscendos fastos populo
proposuerit & ab ipsis cauris
jurisconsultis coruin sapientiam compilarit . Itaque irati llli , quod sunt,
veriti , ne , dierum ratione, pervulgata & cognita șine sua opera lege
posset agi . notas quasdam com posuerunt, ut omnibus in rebus ipsi inieresseni Non
fu di alcun utile dunque l'aver trafitti gli oc chj a quelle cornacchie poichè
in breve tempo seppero rinnovarli e renderli migliori. Per quanto quindi
prosiegue , la Storia troviamo sempre costantemente e già pel corso di quattro
secoli gli stessi sentimenti , gli stessi principj , la 2 stes (Cic. pro Mur.) cha
stessa condotta". La Giurisprudenza fu latente , in çerta , arbitraria ,
ignota al popolo ,, e privativa del solo ordine paurizio sacerdotale, il quale
lungi da quella virtù che sola consiste nella beneficenza » da quella sapienza
che cerca il vero , per render lo di comune demanio ; da quella Giustizia trova
i principj nella ragione, e gli espansivi sens țimenti nel cuore ; da quella
naturale benevolenza e da quel sentimento di pietà, che distinguono l'uo mo
civilizzato ; da'veri sentimenti di patriotismą che non può essere mai
scompagnato dalla Giusti, zia ; , lungi dico da tutte queste qualità e gli Eroi
del Campidoglio non sembra che provassero altri sentimenti che quelli dettati
dallo spirito di corpo, sempre contrario, anzi distruttivo de' sentimenti so
ciali , dal vile interesse personale e pecuniario Fros, duttore di tutti i vizj
, e dall'abuso di un illegiti mo potere. E pure questi furono i patriarchi
della giurisprudenza ! Seguitando quindi Pompopio ad esporre i fonti del dritto
Romano ci accenna l'origine de' plebi. - . sciti e de' senatusconsulti, specie
di leggi dettate dal popolo o dal Senato , e delle quali in appressa, vedremo
gli effetti ee'l'l valore , e soggiunge , che » nel tempo stesso anche dai
Magistrati nacque » un' 1 el gobierno un' altra specie di dritto s poichè ,
tecid saw pessero i cittadini , di qual dritto i Magistrati in si sarebbero
serviti intorno ai varj oggetti di giudicatura , & perchè vi andassero
premuniti, pubblicarono degli editri , da quali si costitui il » Dritto
onorario , cost detto perchè proveniya dall'onor del Pretore , • E dopo aver
parlato finalmente dell'altra parte del dritto che nacque delle costituzioni
de' Principi , cost riepiloga tutti i fonti che costituiscono il 'dritto Romano
. ,, Nel la nostra Città dunque dice egli ) la legisla os zione è costituita del
dritto" o sia legge ; da » quello che propriamente si chiama Dritto civile
, che non è scritto , è consiste nella sola interpre mtazione de' prudenti :
dalle azioni della legge » le quali contengono le formole di agire; dai plebisciti
che furono fatti senza l'autorità del » Senato , dagli edini de'Magistrati,da'
quali nasce il dritto onorario ; dai Senatusconsulti costituiti dal Senato
senza legge particolare ; e finalmente , dalle costituzioni de' Principi , Ecco
tutta la Storia seguita , che Pomponio ci ha lasciata del dritto Romano, ed
intorno alla quale presso a poco gli autori tunti convengono . Abbiamo finora
voduto quale fosse il dritto é la C 91 ) fa giurisprudenza Romana prima è dopo
dello leggi decemvirali , e quindi come per quattro secoat li e più le leggi e
la Giurisprudenza avessero 1 caratteri d'irregolarità , d'incertezza e di
arbitrio i é non ostanteche la ragion popolare andasse ac quistando qualche
dritto su l'Aristocrazia , puro questa sostenuta dal Sacerdozio , qnantunque
per Necessità cedesse in qualche cosa de’dritti pubblici, fece perð ogni sforzo
per tener recondite le leggi , e sotto le chiavi del mistero tutto quello che
ri guardava l'anministrazione della giustizia. Conoba bero ben essi che nei
stati di qualunque sorte, quel If anno veramente il massimo di potere effettivo
cho possono disporre a loro modo delle leggi e della giu stizia , e che tanto
più diventa tale autorità effica cé , quanto più le leggi sono oscure incerte
ed ar bitrarie . Ma per vedere come questo continuassets e come la
Giurisprudenza seguitasse ad esser sem pre della stessa indole , prima di venir
a ragionia re de' plebisciti e de' senatusconsulti ch' ebbero di yerse fasi, ci
fermeremo ad esaminare quel dritto; cui si volle dare il titolo di onorario ,
ma che ves dremo' non essere stato degno di alcun onore. Se si volesse parlare
del la ridevolezza di quelle vantate formole , che costituivano la Romana Giurisprudenza
, ci porterebbe a perdita di tempo , ma se i Romani di buon senso e Cicerone
stesso le. deridevano e tenevano in altissimo disprezzo , cre do che dopo due
mille anni potremo far noi al- , trettanto , e chiunque non sia un’ vero divoto
, e cieco adoratore della Romana antichità e giurispru-, denza. Rifletterà
solamente , che quando di cose sem. , plicissime si vogliono far misteri ,
allora dovendo vi aver luogo l'arte d'imporre , le idee semplici si devono
involgere in un numero di parole non necessarie , e surrogare impropriamente le
imma gini e le finzioni alla semplicità e realità delle co se e delle idee :
specie di geroglifici che deve ace: compagnar sempre il mistero, e l'impostura
Siccome non è mio intendimento però di fare la Storia del governo civile di
Roma, mà solo indicare il corso infelice delle leggi e della giurisprudenza,
cosi non m'impegnerò nelle lunghe dispute e di bauimenti fra la plebe e i
patrizi, quando quella per acquistare i dritti di cittadinanza , e questi per
allontanarli , facevano tuttogiorno rimbombare de loro schiamazzi il foro
Romano; ma accennerò so , lamente ciocchè importa , per passare all'origine del
dritto onorario . La forza dell' opinione non aveva più molio. scevano valore
contro la forza reale ed effettiva ; per cuti essendo riusciti i plebei a
partecipare ad alcuni di quegli officj che fin allora erano stati privativi de
patrizi , come fu quello della questura e de' tria buni militari , non parve
foro di aversi assicuraii i sospirati dritti , se non ottenevano la massima
delle Magistrature , vale a dire il Consolato . E poichè già per lunga e
dolorosa esperienza cono che sempre col manto della Religio ne i patrizj
cercavano coprire le loro pretese , o tependone lungi il volgo profano ,
ailontanara lo da tutte le magistrature che de' sacri auspicj abbisognayano ;
così i plebei videro che per farsi strada al Consolato, si rendeva necessario l
' ardi mento di entrar ne' sacri pene trali , ed andar an che essi a studiare e
consultare un poco i libri Sibillini. Quindi fra le rogazioni che fecero cor
rendo alla fine il quarto secolo di Roma , furo no queste cose combinate ; cioè
che invece de' Duumviri addetti alle cose sacre si facessero de De. cemviri , e
che di questi cinqué patrizj fossero ed altrettanti plebei : e che nella nuova
elezione de Consoli l'uno fosse del loro ordine , e l'altro pae trizio . Invano
Appio Claudio montà in tribuna per fare non arringa ma una predica Teologica
contro le 94 et le nuove idee filosofiche sorte negli animi della plebe Romana
: invano ricorse alle idee teocrati che già fatte obsolete ; invano minacciò d
anate ma quel popolo , che potea far a lui più reali mi nacce : Roma ( diceva
egli ) fu fondata cogli au spicj: futiociò che vi è di pubblico , di privato ,
di sacro , di profano , in guerra , in pace , in cae sa e fuori , tutto doversi
cogli auspicj trattare : che i soli patrirj in esclusione de' plebei per
inveterato costuma godevano del dritto degli auspicj: che niun magistrato
plebeo fu mai creato cogli auspicjse che in fine canto era il creare i Consoli
dalla ple. be , quanto il rovesciare interamente la religione , ed incorrere
nell'ultima indignazione degli dei. Non ostantino però tante e si gravi
rimostranze Lucio Sestio nel 387. ottenne finalmente il conso lato . Se questo
colpo fosse doloroso a sostenere per i patrizi, è facile l'immaginare ; ma al
male già accaduto non potendo portare alcun riparo ef ficace , si rivolsero ad
escogitare qualche rinfranco , per non perdere intieramente quel privativo
potere che dipendeva dal consolato . Pensarono dunque sta ( 12 ) Lir. lib. YI.
cap. 36 mabilire una nuova Magistratura, che potesse con servare nell'ordine
patrizio l'amministrazione del da Giustizia, il potere giudiziario , e tuttociò
che riguarda l'esecuzione delle leggi civili. Quindi col pretesto che i Consoli
erano quasi sempre fuori di città alla testa degli eserciti , onde non poteva
no adempire agli ufficj della giudicatura , proposent to di stabilire un nuovo
magistrato che adempisse & questa parte dell'Amministrazione , e fu
ordinato che si traesse dai patrizj e si chiamasse Pretore . La pretura dunque
fu stabilita per conservare nell'ordine de' padri eutto il sistema giudiziario
o forense del quale avevano facto fin allora uno scempio cosi crudele . Le
leggi e la Giurispruden za seguitarono ad essere malversate , ma per poia chi
anni durd privativamente nelle mani de' patri zj la Pretura . Eccoci intanto al
tempo nel quale si pud fissare veramente l' epoca di quella Giuris prudenza che
passo di mano in mano fino agli ul. timi tempi ne' quali ebbero qualche
celebrità il no . me Romano e l'Impero . Questa parte del dritto , come testè
ci ha insegnato Pomponio , nacque da gli editti , che emanavano į Pretori
nell'entrare in esercizio della loro Magistratura , ed essa façeva il maggior
latifondio della Scienza forense . L'im para the S6 ) portanza dunque della
medesima ci merte nel do vere di portarvi sopra uno sguardo particolare ,
seguendola brevemente nel corso della Storia' , ve derne in qualche modo l' uso
, il carattere ; e gli effetti , Dopo lo stabilimento della pretura e della
comu nicazione a tat officio delle plebe , e più dopo ese guito il censo di
Fabio Massimo il governo di Roo ma perde la forma Aristocratica , benchè non ne
perdesse lo spirito ; ed io non ardirei dire col cos mune de' dotti , che si
trasformasse mai in quella forma costituzionale che si chiama Democrazia: La
libertà popolare fu molta , e qualche volta ecces siva a segno che degenerd' in
licenza , poichè essa non era limitata dalla legge ; ed il dritto de' suf
fraggj ed il potere legislativo non ebbero mai quel la regolarità ed uniformità
, che può rendere nel tempo stesso un popolo regnante e tranquillo . E non fu
mai tale il popolo Romano, poichè la for ma del suo governo non fu costituita
su d'un pia no antecedentemente ragionato nel quale dalla considerazione de'
varj rapporti sociali si fosse ri montato alla necessaria divisione del
pubblico po tere , e questo ripartito in modo che le varie par ti non si
potessero nuocere fra loro , e non si po tes. → toa 97 ) tessero riunire ; ma
per un nesso naturale tutte coordinatamente contribuissero al grande scopo
della perpetua conservazione sociale . Non avremo perciò quind' innanzi
frequente oco casione di parlare dei disordini dell' Aristocrazia patrizia o
sacerdotale , poichè gittati i semi del disordine e della corruzione , essi si
moltiplicarono dovunque trovarono suolo adattato alla facile germi nazione.
Llibertà produsse i suoi necessarj vantag ki , non però tutti quelli che
sarebbeo nati da una vera e legittima costituzione. Ma passiamo final mente a
vedere quale fosse stato il fato della Giu risprudenza in questo nuovo ordine
di cose. Fra i Scrittori che di proposito e più accurata , mente trattarono
degli editti pretorj sono da distin guere il celebre Giureconsulto Eineccio ed
il Sig. Bouchaud dell'Accademia delle Iscrizioni, i quali per trattare il più
compitamente che fosse possibile questo importantissimo articolo relativo alla
Storia politica ed alla Giurisprudenza Romana, non tralasciarono ricerca alcuna
conducente al loa G TO ( 1 ) Heinec. Hist. Edict. ( 12 ) Memor. de l'Accadem .
des Inscr. com. 72. ma 98 ) ro scopo . Trovarono che in Roma e per l'Impe , so
ancora non solo quelli che propriamente Man gistrati erano detti , ma diverse
altre cariche ed officj ancora che non avevano tal carattere , ebbe To pure il
dritto o il costume di fare degli edinti Quante che fossero adunque le
divisioni e suddi visioni del potere esecutivo o giudiziario , ed in quanti
diversi rapporti fossero esse costituite, pren dendo un tal dritto , ebbero
l'uso e la facoltà di straordinariamente comandare. Cosi , incominciando dai
Pontefici e dai Tribuni della plebe , nè gli uni nè gli altri Magistrati , e
passando ai Consoli e Pretori fino ai menomi Magistrati Civici tutti vol. lero
avere il dritto di far editti , e godere di quel. Ja parte di potere che in
tale facoltà o prerogativa era compresa . Fra tanti Magistrati perd che eb bero
o si arrogarono cotale autorità , gli editti di maggiore celebrità , e che
contribuirono a creare una nuova Giurisprudenza furono quelli de'Pretori.
Abbiamo già detto di sopra che dai patrizj fu inventata e fatia stabilire
questa nuova Magistraa tura a consolazione ed indennizzamento della per dita
che avevano fatta d'un Consolato passato al la plebe ; e quindi ottennero , che
il Pretore dal loro ordine dovesse essere prescelto Non durd mol , ( 99 molto
intanto questo, privilegio poichè la plebe veggendo di quale importanza fosse
la Pretura , non molti anni dopo cioè nel 417. volle anche para tecipare a tal
carica , mentre ancora era unica e non divisa nei due Pretori Urbano e
Peregrino ; ciocchè' avvenne circa un secolo dopo , cioè nel anno 510. Coll’andar
del tempo si multiplicarono maggiormente , ed oltre dei due mentovati e dei
Pretori Provinciali altri ve ne furono nella Città , de' quali alcuni erano
addetti a rami di cause para ticolari, Ricordandoci ora di ciocchè abbiamo
detto del la origine della Pretura , ciocchè ci viene attesta 10 da Livio e da
altri , cioè che essa fu surro gata al potere giudiziario, che i Consoli
esercita vano , si dovrebbe naturalmente pensare , che se i Pretori cagionarono
alterazione nell'antica Giu risprudenza , e ne fecero nascere una puova , çið
essere accaduto per effetto delle loro decisioni o decreti o sentenze , le
quali avessero per la loro giustizia meritata la conferma della pubblica auto
rità , e passate quindi in dritto consuetudinario Ma non fu certamente per tal
motivo , nè si po trebbe facilmente immaginare , che essi a priori fossero
autori di un nuovo dritto e d'una nuova Giu. 3 . G 2 ( 100 ) Giurisprudenza .
Eppure non fu altrimente : essen do essi semplici giudici o ministri di
giustizia , colla facoltà di fare degli editti seppero per tal modo usurpare
l'autorità Legislativa , che il dritto fu cangiato , e gli editti più che le
leggi furono osservati , e maggior uso ed autorità ebbero nel Foro . Ma se i
Pretori non erano altro che Giudici cioè Magistrati di Giustizia , il loro
officio era solo di applicare .la legge al caso particolare , o sia ve der i
rapporti fra la legge e ' l fatto del quale si di. sputava. Un Giudice non può
creare un dritto col le sue sentenze , poiché esse altro non sono che la
dichiarazione del dritto medesimo ; cioè che la legge nel caso proposto si
verifica per la tale azio ne o d'eccezione dedotta in giudizio. E se decidendo
, cioè esercitando l'attualità della Magistra tnra non può crear un dritto ,
molto meno dee cid poter fare per la sola qualità di Magistrato o in forza
della Magistratura. Gli editti pretorii dunque per i quali si alteravano , si
cangiavano le leggi , e se ne stabilivano delle altre temporarie , ci pre
sentano degli atti di autorità arbitraria , tempora ria , ed incerta che non
possono formar mai una parte del dritto , il quale può solo emanare dalla - potestà
legislativa , e dev'essere certo generale o perpetuo , fino a che non sia
abrogato dalla stessa autorità. Quando dunque in una carica siriuniscos no
contro tutti i principi della ragion pubblica quelle facoltà , che devono
essere divise da limiti insurmontabili , si può dire che tal carica contenga
almeno in potenza (come dicevano i Scolastici) i principj del disporisano , e
dispotico si può chia mar il Magistrato che l'esercita . Nel crearsi la Pretura
io voglio supporre che non s'intese produrre un mostro di tal fatta , ma come
codesta carica fu surrogata al potere giudi zionario che avevano prima i
Consoli , il quale era riunito al potere esecutivo , cosi' e per questo per
quel grado d'autorità che prendevano dall ' or dine da cui erano tratti , non
fu difficile il farvi passare di tali abusi . A considerar dunque giusta mente
la cosa non nacque nella Pretura tale abuso dal semplice potere giudiziario ,
ma da quello di far gli editti . In fatti se si va all'origine di que sto dritto
, ne troveremo la ragione: Edicimus (dicevano gli antichi) quod jubemtis fieri
: espres sione tanto generale , che potrebbe comprendere l'esecuzione di tutte
le potestà non esclusa la le gislativa ; e perciò fiequentemente le parole di G
leggi e di editti furono di uso promiscuo : Ma Papiniano è quello che più
nettamente ci ha la sciata la vera idea del dritto pretorio dicendo che fu
introdotto a pubblica utilità , per adjuvare supplire, e corriggere il drilio
civile . Jus prætorium adjuvandi, vel supplendi , vel corrigendi juris gratia
propter publicam utilitatem introducium : Ecco dunque la vera origine del drixco
Pretorio, e propriamente di quello che proveniva dal fare gli editti . Ajutare
intanto indica debolezza , supplire , mancanza, cor reggere , errori . Si dice
ch'è nell' ordine naturale delle idee di amministrazione , che quando al caso
non si trovi alcun stabilimento di dritto , alcuna legge scritta , la volontà
del Magistrato o di colo ro che governano supplisca a questo difetto che il
loro piacere tenga luogo di legge questa volontà sia giusta o ingiusta , utile
o noci va alla Repubblica ( 13) . Ma che altro è mai il Dispotismo , l'odio de'
popoli czualmente e de' buoni regnanti : Se le leggi mancano, bisogna far le ,
e non solo il Ministro di giustizia , ma niun Magistrato è mai autorizzato non
dico a fare alcu > o che na (13) Bouchaud Memoir. cit. tom. 72. ( 103 11 0 7
I na legge , ma nè a soccorrerle cadenti , nè a sup plirle difettose , nè a
correggerle erronee , nè ad interpretarle oscure · Lascio le tre prime condizio
ni o circostanze delle leggi , sopra le quali non pud cadere alcun dubbio , che
il restituirle in qualun que modo non possa spettare ad altri che al So vrano ;
ma in quanto all' interpretarle , . sopra di cui il probabilismo forense pare
che abbia stabia lita la sua autorità , rifletterò che l'interpetra re o
interpatrare da principio fu in Roma del so to ordine del patrizi , quando
tutti i poteri e spe cialmente il legislativo erano ristretti nell' ordine
"Aristocratico . Essi dunque che facevano le lega gi erano i soli che
potessero interpretarle , uno e l'altro potere era illegitimamente stabilico ed
abusivamente amministrato . Quando una leg ge è oscura , non vuol dir altro ,
che il non sa persi precisamente , ciocchè essa comandi o pre scriva ; lo
spiegarlo deve venir dunque dalla stes sa autorità , che l'ha emanata , sola
interprete le girima di se stessa . Ne i giudici dunque nè i giurisperiti
possono arrogarsi un autorità illegittima della quale è tan 10 facile l'abusare
; e percid gli ottimi legislatori e Giustiniano stesso ogn'interpretazione
proibiro G 4 ma l i 10 . ( 104 ) no . Le leggi bisognose di sussidj ed
interpretazio. ni indicano abbastanza i loro difetti , de' quali di sopra
abbiamo accennato il rimedio , ed il maggior male da esse prodotto fu d' aver
fatta nascere la Giurisprudenza , ed in seguito la corruzione della giustizia :
nel qual fatto osserva l ' Eineccio , che i Romani furono cogli Ebrei sotto lo
stesso paral lelo (14 ) Or l'autorità data ai Pretori cogli editti prova
visibilmente due punti: il primo che le leggi era no così incomplete , come
sono quelle dei popoli bara bari ; e che i Romani lo furono a tal segno , che
non seppero conoscere, quanto il confondere le po testà , ed il lasciar il
poter arbitrario ai Magistrati fosse contrario alla Giustizia ed ai principi di
ogni buon governo . Scuserò i pretori se ne abusarono, ma come scusare quel
modello delle Repubbliche, quella Repubblica stabilità su la virtù , e che con
nobbe più delle altre la libercà e l'uguaglianza ? Non togliamo a Roma gli
onori che merita. Essa fu la prima inventrice degli editti, essa fu la sola Re.
Heinec. De prohib. a Justin. interpret. facult. Cros bertan Repubblica per
quanto si sappia , che li avesse in costume. A vedere quale era il dritto
Pretorie lungi dal dover credere i Pretori Magistrati giudiziarj , do vremmo
anzi prenderli per riformatori o corret . tori delle leggi . Tali furono in
fatti , ma non per uno stabilimento autorizzato dalla potestà le gislativa : lo
furono solo per abuso , vergogno so ai costituenti di sì strana Magistratura ,
e fer nicioso sommamente al popolo soggetto. Se Roma avesse conosciuti i
difetti delle sue leggi , e l'in congruenza nella quale dovevano essere per la
dif ferenza de' tempi , e per i politici cangiamenti ; ed avesse voluto imitar
veramente le leggi ed i sta bilimenti di Atene , avrebbe trovato più oppor tuno
mezzo ' a correggere e modificare la sua bar bara legislazione . Ciascuno sa
che in Atene vera un Magistrato detto de’ tesmoreti , il quale propo neva
annualmente i cangiamenti o correzioni da farsi nelle leggi , e queste erano poi
approvate o riggettate dal potere legislativo . Non deve farci intanto molta
meraviglia che la pretura s' introducesse con tali abusi e tant' auto rità
straordinaria , se rifletteremo che quella. Magi stratura fu da principio
stabilita privativamente per l’ordine patrizio, il quale la conservò in suo
potere per trent'anni . Per sapere poi come quell'abusivo potere si esercitasse
, devo ricordare , che vi erano quattro specie di editti , cioè Repentina :
perpetuæ jurisdi fionis caussa : translaticia : nova . E senz' andar esponendo
il valore di ciascuno , ciocche fino alla sazietà da molti autori è stato
eseguito , mi ri stringerò ad alquante osservazioni più importanti. E
primamente dirò , che quelli editti i quali do vevano contenere il sistema
giudiziario attuale del la pretura , furono quelli appunto , da'quali deri
varono maggiori abusi , cioè quelli perpetuæ jufts dictionis causa , pei quali
il Pretore esponeva nell' albo le formole delle azioni , delle cauzioni, delle
eccezioni, secondo le quali avrebbe fatto giustizia. Or avendo veduto che la
Giurisprudenza anzi il dritto civile de' Romani in tali formole era com preso,
chi era autore delle formole, lo era in con seguenza del dritto medesimo.
Chiunque nell'agire in giudizio mancava a quelle formole per qualun que causa ,
cadeva dall ' azione , o rimaneva con inutile eccezione cioè perdeva la lite
anche che intrinsecamente avesse avuta dal canto suo la giustizia e la
disposizione delle leggi. Ecco dunque il Magistrato div enuto legislatore , ed
arbitrario it sistema di giudicare. Dobbiamo però credere , che tuttociò fosse
fatto senza principj , e che non aven do idee certe e generali de' principj del
driito , fa cessero gli editti ciascuno secondo le proprie co gnizioni ed idee:
poichè come le ultime deriva zioni e ramificazioni delle leggi si possono
ritrar tutte della retta ragione e dalle idee di giustizia universale, cosi se
i loro editti fossero derivati da tali fonti , non sarebbero stati prescrizioni
annua li , ma avrebbero avuta una continuazione o vera perpetuità. Nè ci faccia
illusione il nome di perpetuæ jurisdictionis , poichè quella perpetuità era
ristretta ad un sol anno . Il Pretore o Pretori che succede vano alla carica ,
avevano il dritto assoluto di proporre nel nuovo albo un nuovo sistema giudi
ziario , e cangiare a lor grado la formola ed i principj ; e sebbene questo non
si fosse fatto sem. pre nè in tutto, poichè spesso i succes'sori conser vavano
integralmente o parzialmente gli edirii an tecedenti , ciocchè diede il nome di
translatixj agli editti di tal indole , era sempre però in liber tà de' nuovi
Magistrati di farne di nuovo co nio , che perciò portarono il titolo di nova. Se
maggiori irregolarità , incertezze ; ed arbitrj . si possono portare nell'
ordine giudiziario e ne ! dritto , lo lascio giudicare agli amici della Giu
stizia e della ragione. La Giustizia dipendeva solo dal capriccio pretorio , e
gli attori in giudizio do vevano essere ben intrigati in variar le loro fora
mole , e su di esse disputare ed argumentare , per trarre le disposizioni o le
opinioni legali al loro partito. Questo portò col tempo , che fossero mol te le
azioni per lo stesso giudizio , ciocchè faceva un nuovo intrigo , ed accresceva
l'arbitrio de’ magistrati . Più anche dovette crescere quando i Pre tori furono
varj , e vi era in Roma quasi una po polazione di Magistrati , poichè ciascuno
a suo modo proponendo gli editri , quel ch'era giusto pres. so di uno , si
trovava ingiusto presso un altro . La morale pubblica e quella delle leggi
particolara mente era dunque così incerta, che non aveva per regola che le
opinioni o il capriccio, e si dilatava o ristringeva , allungava o accorciava
secondo le sublimi Teorie del probabile , le quali sorgono sem . pre dall'
arbitrio e dalla corruzione . Se il Pretore fosse stato uno solo , se l' Ammi
nistrazione giudiziaria fosse stata ristretta ad una sola specie di
Magistratura , non avrebbe potuto 1 dirs ( 109 ) diffondersi tanto l'incertezza
della Giustizia e la forza dell' arbitrio : ma gli ammiratori o visionarj della
Sapienza Romana , trovano ragioni sufficien ti per ogni disordine . Il
progressivo accrescimento della Città o della Repubblica porto secondo essi
multiplicità e varietà di affari , per cui si doveano coerentemente
multiplicare e variare le Magistra ture e le Giurisdizioni . Esempio pur croppo
fune stamente imitato nei vari stati di Europa '! Nel progresso delle Società
si aumenta è vero la po polazione o il numero degl' individui; ma non per
questo crescono i rapporti naturali e necessarj che essi hanno collo stato ,
col governo, e fra se stessi . Non crescendo i rapporui non devono multi
plicarsi e variarsi le leggi , le quali ne sono I espressione ; ne devono
quindi" crescere e di versificarsi in varj generi e classi i Magistrati
che ne sono i Ministri o dispensatori . Possono crescere in numero bensi ed in
divisioni , ma de vono essere costantemente della stessa specie e con i stessi
nomi. Quindi il dividere i giudizj crimi nali e civili in tante varietà ,
giurisdizioni , e le gislazioni differenti è il produrre volontariamente una
confusione , e multiplicare gli abusi dell'arbi crario potere : ciocchè però
non accade quando si vedono nettamente e con precisione i rapporti deb
cittadino . In questo caso, la legislazione sarà uni voca , generale, uniforme
; i limiti del potere giu diziario resteranno distintamente marcati ; e le
giurisdizioni , e le Maggistrature non saranno sta bilite e divise sopra
rapporti immaginarj e fattizj . Più , non nascerà pelle Magistrature quello
spirito di corpo per cui sono in continua contesa o guer. ra fra loro, e , per
conseguenza col governo o collo stato. Lo spirito di corpo è in ragion inver sa
della grandezza del corpo medesimo , onde più saranno piccoli , più avranno i
difetti della piccio lezza , più saranno capricciosi , irragionevoli , ed
abuseranno della forza e dei momenti favorevoli : . Un gran corpo di
Magistratura ben costituito e con venevolmente diviso , senza gelosia e senza
inte- , ressi contrarj avrà la dignità che deve aver la Magistratura , ma non
ne avrà le follie . Per quanto però fosse ampio ed esteso il dritto o potere
che i Pretori esercitavano , non sembro loro ad ogni caso sufficiente ; e
poichè delle cari che non limitate o mal circoscritte dalla legge si . passa
facilmente da abusi in abuşi , essi non fu sono contenti dover osservare i loro
stessi princi pį idee e sistemi per quella perpetuità annua , ma , pensarono
d'abbreviarne il termine a loro piacere Fenomeni di tal natura sono forse del
tutto nuo vi nella storia ! Una magistratura costituzional mente arbitraria ,
si arroga anche il dritto di can . giar quelle norme legali divenute leggi per
mezzo della pubblicazione , e farne delle nuove senza pre, vio esame , come, un
corpo leggislativo farebbe , ma di propria volontà e piacere come un Despota
potrebbe fare . Questo pur si faceva nel foro Ro mano , e spesso durante l'anno
della Pretura si vedeva quasi magicamente scomparir l'albo espo sto , ed un
altro a quello sostituito . Pensi chi vuole , che fosse quella una sublimità di
condos. ļa , o la surrogazione d' idee più giuste ed al paba blico vantaggiose;
io penserò cogli antichi , che i pretori, nol fecero per altro che per favore ,
per interesse e per altre tali cagioni , stimate ferite mortali per la
Giustizia . Cosi penso anche l'Ei neccio, il quale benchè impa stato di vecchia
giu risprudenza , pure abominò il dritto pretorio ed i più illegali abusi de'
Pretori . Si erano essi accom modati talmente a cotal giuoco, che portandolo,
ormai all'eccesso , e facendo vero scempio della giustizia , si svegliò
finalmente un'anima virtuo sa compassioneyole per la pubblica disgrazia, la qua
la en le tentò d'apportarvi riparo. Come infatti si pud vedere lo strazio che
della giustizia fanno gli stes si di lei sacerdoti , e non sentirsi l' animo
com mosso da pietà egualmente e da 'nobile disdegno. Paulo Emilio nudrito nelle
semplici idee di quella véra sapienza che accoppia i doveri alla beneficenza, e
l'umanità alla virtù , vedeva con orrore l ' amministrazione della giustizia
Romana tanto nel la Città quanto nelle più infelici provincie . Vede va
condannati gl'innocenti , i deboli oppressi , ed i Magistrati impuniti ; e
questo' nell'epoca la più memorevole della Romana virtù . Sdegnò egli (co me
rapporta Plutarco ) i studii che la nobile gio venid coltivava ai suoi tempi
per giungere alle cariche : quindi non comparve mai nel foro , o a piatire
innanzi ai Magistrati , o ad umiliarsi al po polo per ambizione ; ma corse
libero la strada del la gloria e superò tutti i suoi contemporanei in virtù ed
in valore . Nè vi vuol meno d’un tal carattere per attaccare i pregiudizj
potenti , gli abu. 81 interessati , ed i sistemi di corruzione . Essendo infani
pervenuto al Consolato non fu tardo a proporre le sue idee ajutatrici, e quali
che fossero le generali opposizioni trionfo su la pub- . blica corruttela ,
stabilendo, che i Pretori non potesssero cambiare più i loro Editri = V. K.
Apria lis . Fasccs penes Æmilium S. C. factum est , uti prætores ex suis
perpetuis edictis jus dice teni. Paulo Emilio fu in dovere di partir subi . to
per la Macedonia , dove ebbe più durevoli trion fi su i lontani nimici , che
quelli ottenuti su i ne mici che Roma aveva dentro delle sue mura. Que. sii
fecero infatii rimaner invalida la legge ; e non è raro che i nimici del bene
pubblico riescano con mezzi di vittoria più efficaci. Da quest'anno cha fu il
585 di Roma i Pretori seguirono ad imbal danzire alle spese della Giustizia , e
di quell' equirà medesima , che tanto vantavano nei loro editri a nella loro
giudicatura . La Repubblica sempre in disordini correva già al suo termine per
i vizi della casuale costituzio ne ; ma tra i disordini , la Giurisprudenza
pretoria era giunta ad un punto insopportabile . A nulla valevano le accuse
contro de ' Magistrati , poiché i mezzi di salvarsi erano molto conosciuti .
Quello però a cui un Console non potè riuscire con ef fetto susseguente ,
riuscì un virtuoso Tribuno della plebe, con tuttocchè fosse stato contrariato
dai suoi compagni . Questi fu C. Cornelio Silla il quale o tocco dai stessi
sentimenti di Paulo Emilio, o scan H 1drlezzato specialmente dalle depredazioni
di Verre e de' simili a lui , fra le altre utili leggi , propose la
rinnovazione del Senatoconsulto per moderare la smodata cupidigia de' Pretori.
Livio e Dion Cassio ed altri autori ci attestano in que' tempi non solo la
sfrenatezza pretoria , « ma il grand' interesse de nobili specialmente a
conservarsene il possesso; per cui la proposta del Tribuno eccitd tumulto tale
ne' Comizj , che i fasci Consolari andiedero in pezzi , ed i sassi facendosi
sentire più delle vo ci , convenne dimettere, o posporre la lodevole im, presa
ad altro tempo più tranquillo . Infatti secon do Asconio Pediano la legge passò
= Multis 12 mon invitis quæ res tum gratiam ambitiosis Prætoribus, qui varie
jus dicere assueverunt , sustit lit. Gli oppositori della legge non avendo
potuto impedirla , rivolsero lo sdegno loro contro l'autore accusandolo di
Fellonia , e Cornelio fu debitore della sua salvezza alla facondia di Cice.
rone : Troppo tardi perd pel popolo Romano vena ne quel beneficio ; la
Repubblica era già spirante i disordini irreparabili , ed apparecchiati i ferri
per le Ascon . in Orat. pro Cond . le nuove catene . Roma non godè mai della
liber ' tà , non seppe conoscerla , nè conobbe mai i moa menti favorevoli , ne'
quali avrebbe potuta ren : derla eterna , Se colla Repubblica però fini la
grande autorità de' Pretori , e se nuova Legislazione , nuova Giu risprudenza e
nuovo metodo giu diziario furono introdotti dal Dispotismo; la legislazione, la
Give risprudenza , l' ordine giadiziario restarono perd perpetuamente infetti
dagli usi o d'abusi, che l'ar te Pretoria figlia della vecchia Giurisprudenza
in trodotti y aveva . Nuove parole ' , nuove azioni , nuovi atti legittimi
ingombrava no le leggi e la giurisprudenza ; ma quello che poi fu il colmo
dell' abuso , ridicolo per se stesso, e tristo assai per gli effetti, fu l'aver
inventato un nuovo metoda di considerar in giudizio gli oggetti , .i rapporti e
le azioni ; in sostanza le finzioni legali : Anche questo bel ritrovato lo
dobbiamo alla Romana intelligenza . Senz'averè molta perizia nella Giuris.
prudenza , basta la più semplice ragione per ve dere , che tali invenzioni
furono i sussidi dell'igno tanza ed i sostegni della ingiustizia. Si possono
perdonare ai Romani ; ma come perdonare a que' moderni Giureconsuli , i quali
ancora dalla Ro se 1 mulea feccia pretendono far sacri libamenti alla
Giustizia? Tale fu l’Alteserra, il quale offerendo al Sig. de Lamoignon l'opera
de Fictionibus Juris , così s'espresse = quid enim aliud istæ fictiones , quam
juris remedia et jurisprudenium supulua IC , qui bus difficiliores casus
expediuntur , et aurræ claves quibus Jurisprudentiæ secreta aperiuntur ? = e
peg gio altrove . Tale fu l'Eineccio ancora il quale nel la Dissertazione, De
Jurisprudentia Heuremarica versd gran copia d'erudizione per giustificare le
finzioni legali , e farne vedere la bellezza e l'im portanza. Chi sarà vago di
conoscere quelle auree chiavi della Giurisprudenza , potrà consultare i cita ti
autori e la maggior parte de' Giureconsulti erų - diti . lo aggiungero soltanto
, che esse ebbero ori gine da ignoranza o da malizia. Per la prima av. venne ,
che nei progressi della civilizzazione can giandosi gli antichị barbarựci modi
de' tesçamen tị , de contratti , de’ litigj , credettero quasi che fosse
cangiata la realità , e chiamarono finzioni i modi che a queli furono surrogati
. Per la secon da, le finzioni s'introdussero in fraude delle leggi, per
eludere le loro prescrizioni, e per estenderle a que'casi, de'quali non avevano
espressamente par Jato. Origini entrambe poco degne della Giustizia dottissimo
Vico portando le sue perspicaci osservazioni su quelle strane usanze e
richiamando, le ai loro principi, chiamò il vecchio dritto . Roma- , no un
Poema serio , poichè le immagini si erano Sosti uite alla realità , e non si
erano trovate poi espressioni più semplici e più adattate . „ In con „, fum tà
di tali nature ( dice il lodato autore ) l'antica Giurisprudenza tutia fu
Poetica , la qua . le fingeva i farti non facii , i non fatti, fatti, na y ti
gli non nati ancora , mori i viventi , i morti vivere nelle loro giacenti
eredilà : introdusse tan , te maschere vane senza subjenti , che si dissero , »
jura imaginaria ; ragioni favoleggiate da fanta e riponeva tutta la sua
riputazione in rim „ trovare sì fatte favole , che alle leggi serbassero y la
gravità , ed ai fatti somministrassero la ragio talche tutte le finzioni
dell’antica Giurism prudenza furono verità mascherate, e le formo , s le colle
quali parlavano le leggi , per le loro circoscrit te misure di tante e tali
parole , nè più, nè meno, nè altre si dissero carmina. Ed altrove ragionando
della Giurisprudenza Eroica ciod . H 3 bara sia : 99 he : (Vico Princ. della
Scien. Nuo.) barbara de' Romani , la paragona a quella della se . conda
barbarie , dicendo , Cost a tempi barbari ,, ritornati la riputazion de'
dottori era di trovar , cautele intorno a contratti , o ultime volontà red in
saper formare domande di ragioni ed ar ticoli, che era appunto il cavere e de
jure respon . dere de’ romani giureconsulti. Da tuttociò si rileva, che sebbene
la RomanaRepub . blica progredisse in quanto allo stato politico verso la
libertà , ed in quanto ai costumi verso la civiliz zazione, in quanto alle
leggi però ad alla Giurisprus , denza i Romani erano rimasti in quello stato
poetico, o barbaro , che caracterizza i primi passi sociali o lo stato (dirò
cost) di necessaria Aristocrazia. Se di ciò si voglia indagar la cagione , si
troverà facilmente ne' tardi progressi che fecero i Romani nel perfezionamento
dello spirito o della Ragione ; poichè da questo solo possono essere migliorate
le : costituzioni , le leggi politiche , e le civili . Mi dispenso volentieri,
è credo ragionevolmente, di andar ragionando di tutte le novità, che i Pre cori
introdussero nel dritto , se da quanto si è detto finora , la Giurisprudenza
pretoria resta ab bastanza caratterizzata ; e chi volesse meglio istruir sene ,
può ricorrere agli autori che ne favellano. Se qualcuno sarà preventivamente
infatuato del'no me di Roma , vi troverà cose maravigliose e pelle grine ,
compiangerà l'attuale barbarie , e gemerà su le ruine del Campidoglio : ma se
sarà una persona ragionevole e senza prevenzione , riderà di molte fole ,
compiangerà coloro che ne sono restati illu si , e farà voti sinceri, accið
tali memorie indegno di uomini ragionevoli passino ' nell ' obblio . Volendo
dunque giudicare con principi di ra gione non adombrata dall'ammirazione e dai
pre giudizi della infanzia , dovremo dire , che i Preto - ri poterono essere
buoni o cattivi , come in tuli gl ' impieghi sociali accader suole ; e che
perciò molti di essi si servirono in bene delle loro pre rogative ', riducendo
all' equità , o sia alla giusti zia accompagnata all'umanità , le leggi troppo
se vere. o barbare che allora esistevano . Ma dall' al tra banda dovremo pur
confessare , che la maggior parte de pretori si abbandonarono ciecamente ai
nobili istinti di tesaurizzare e signoreggiare , per cui , più che ministri o
sacerdoti furono conculca tori della Giustizia . Riconosceremo nel tempo stes
50 , che questo nacque , dal non essere stata limi ta e legittimamente
circonscritta la di loro autori tà o potere ; e per questo d'ogni arbitrio
abusan н 4 do 1 do resero l'ordine de' giudizj arbitrario , la Giurise prudenza
equivoca ed incerta' , e fecero nascere una nuova specie di dritto , che tali
qualità tutte in se comprendeva ; e sebbene non autenticato da alcun atto del
potere legislativo , divenne . pure . un dritto consuetudinario più esteso e
più usato delle leggi , e durò con perpetua continuità insiem . me colla
Repubblica e coll' Impero Romano . Non ci lasciamo dunque illudere dalla tanto
vantata eruiià pretoria : l'equià ve a fu solo de' buoni , e quella specie di
equità può solo valutarsi do ve la legislazione non è nè rispettabile nè
giusta. Considerando le antiche azioni della leg gé , gli atti legittimi , e le
finzioni legali , ci com parirà molto giusto che Giustiniano le chiami favo le cioè
azioni Drammariche, poichè in sostanza erano delle vere scene che si
rappresentavano innan zi ai Magistrati . Cosi tutte le azioni che si face Justin
. In proem instit. = ur liccat vom bis prima legum cunabula non ab antiquis
fabulis discere , sed ab imperiali splendore appetere, A cotal intrinseco
difetto della Romana Repub . blica non parmi che si pensasse gianımai a pora,
tar un vero rimedio . , per cui la vantata libertà che senza leggi non nasce
,nè si può sostenere, non sedè mai lieta su le sponde del Tevere , e fuggi .
finalmente di mezzo a un popolo , che non la co nobbe , e non fu mai degno
d'adorarla . Il latte della lupa si perpetuò nelle vene de' Romani , ne quina 7
vano per æs & libram , le rivindicazioni, le cré zioni , le manomissioni , le
nunciazioni di nuove opere , le usutpazioni , le licitazioni , le antestazio lé
elezioni & c. non solo erano faite conceptis verbis , dalle quali non si
poteva trascendere , me con azioni e rappresentanze particolari , che rende.
vanò comiche le processure giudiziarie . Questo però non significa altro , se
non che, nei tempi d'ignorana ga si sostituisce il linguaggio d'azione all'
espres sione naturale delle idee e de sentimenti ; e percið i simboli , i
geroglifici, le gesticolazioni furono nei tempi barbari il supplemento della
lingua parlata é divennero poi il linguaggio rituale solenne e sacro ; in che
principalmente consisteya la Giurisprudonza Romana quindi conobbero mai i
sentimenti di sociabilità , i piaceri della società , le regole che
all'adempimen to di essi prescrive la Natura . Perciò e per effet to della loro
barbarie ed ignoranza , si disputò , si discusse , si combatte , si decise
sempre sopra idee particolari, nè mai seppero elevarsi a generalizza re i
principi , che la ragione ci mostra per la buo na' costituzione de corpi
sociali, Dai campi ai Co. mizj era quasi continuo l alternativo passaggio
maquanto furono felici colla forza o colla frode altrettanto infelici furono
nell'uso della ragione . Essi non ebbero mai sentimenti univoci , e se la plebe
fu qualche volta superiore di fatto, l’aristocrazia conservò sempre la sua
condotta , ne seppero far cessare il nome di plebe , che vergo gnosamen te li
caratterizzava , e distingueva pre giudizievolmente il cittadino dal cittadino
. Dell uguaglianza non ebbero mai la vera idea , e quindi non poterono averla
della libertà , che sola per quella sussiste , ed il vantato censo , non diro
quello di Seryio Tullio , ma quello stesso della Res pubblica non fu una
invenzione sublime. Se cotali riflessioni potranno sembrare ad alcuno superflue
in rapporto al soggetto della Giurispru denza Romana , rispondero , che tali
non sono poic ( 123. Det poichè quando si parla delle leggi , convien neces
sariamente avere le giuste idee del popolo che ne fu l'autore , dei suoi
sentimenti , e della forma e condizione del potere legislativo. Or potrà
sembrare strano il dire , che Roma era formata quasi di due stati l'uno
nell'altro , e che il potere legislativo fosse diviso in due corpi o anche in
tre , e che poi quelle leggi fossero di un uso generale . E pure tal fu di Roma
nel tempo in cui fu più celebre e risplendente . $' egli è vero, che nella
undecima delle dodici tavole fosse contenuto il Dritto pubblico de' Ro mani ,
dobbiamo pur riconoscere che fu la più negletta e la meno rammentata , poichè i
fram menti o le quisquilie che di essa ci rimangono sono le più meschine . E
quantunque io sia nell' idea , che quella tavola non contenesse che i prin
cipali dritti dell' Aristocrazia , qual' era appunto la legge de'cornubj, tanto
detestata dalla plebe , e ro versciata vittoriosamente da Canulejo ; pure in un
frammento rimastoci , troviamo quale avrebbe dovuto esser il vero stabilimento
del dritto Legisla tivo , cioè QUOD POSTREMUM POPULUS JUSSIT ID JUS RATUM E $
TO. Ma se vogliamo seguire, la ragioneyole interpretazione del Vico e del Duni,
la parola popolo non fu ivi presa nel senso proprio ; e nel significato
generale, per esprimere la collezio ne di tutti gl'individui componenti lo
stato , ma di quelli soli che godevano il dritto , e meritava no il vero nome
di Cittadini , quali erano i soli Patrizj. Quando poi la plebe gradatamente
venne a partecipare alle qualità civiche , la parola po . " polo divenne
generale , e non essendovi più di visione privilegiata d'ordini nello stato ,
ma solo di classi , ciocchè la cennata legge prescriveva , passò ad essere nel
suo vero uso e valore , cioè , a far , sì che legge si chiamasse , ctocchè
l'intiero popolo avea prescritto e comandato . Se tale è però il principio
costitutivo delle Rear pubbliche, e secondo il Gravina il più convenien te
ancora alla natura umana , vi devono esse re delle regole , accið lespressione
della volon tà generale sia certa legittima libera ed uguale , onde ciascun
cittadino senta essere una parte in tegrante del Sovrano , dello Stato , e
della Patria : Tali sono le leggi costitu zionali , che riguardano il dritto
del suffragio , o la maniera di communi care la propria volontà al corpo
sociale , e fare che la volontà pubblica sia realmente il risultato del. le volontà
particolari. Il Dritto di suffragio costi tui yang tuisce dunque principalmente
la qualità di cittadi. no , e il modo di darlo , forina quasi una misura di
graduazione del Cittadino mede simo . cioè che tanto più si è Gittadino ,
quanto più il dritto del suffragio è libero ed uguale . Troppo lungi mi
porterebbe l'andare esaminan do particolarinence colla Storia , come questo
drit to si stabilisse in Roma: , cioè nella formazione casuale di quella
Repubblica , alla quale contribul molto più la natura o il corso naturale delle
sa cietà , che i priacipj d'intelligenza e di ragione . Dirò solo , che quel
popolo sempre rozzo ed ignorante fu tanto lontano dal conoscere l'importanza di
queste idee , che şi conteniò di essere con vocato al suon d'un corno di bue
alle grandi Assemblee de' Çomizj; e mandra od ovile fu chiamato quel luogo,
dove si radunava , per compir l'atto il più degno , il più glorioso p er
un popolo , cioè il dar leggi a se stesso . Ma cotai nomi ed usanze erano
avanzi dell'antico stato Aristocrațico ; e pa stori e mandre sono correlativi
necessarj. Delle tre maniere intanto nelle quali si diedero į suf ( 18) Dionys.
Antiqu. Romanarum lib. z. ( 126 e i suffragj, quella de' Comizj tributi si può
dire che fondasse veramente la libertà o la potestà del po polo , giacchè i
Comizj delle Curie furono obblia ti , nè ebbero in effetto il potere
legislativo ; ed i Comizj centuriati davano la preferenza o la pre ponderanza
alle ricchezze . Vi fu inoltre il Senato, il quale sebbene non avesse altro dritto
, che di esaminare o consultare , si arrogo pure in parte il potere legislativo
. O la Nazione dunque radu nata per Tribd , o essa stessa convocata per Cen
turie , o il Senato ebbero o in dritto o in fatto l'esercizio del potere
legislativo . Le risoluzioni per tribù dette plebisciti , non ottennero che
dopo molte contese la vera for za di leggi , cioè di obbligare tutti i cittadi
ni , giacchè da principio non obbligavano che la plebe soltanto . Tanto è vero
che i Patrizi si cre devano un altro popolo un altra Nazione ; che quelle leggi
nelle quali non avevano potuto far prevalere, le loro idee e le loro volontà ,
per mol to tempo non le fecero valere per leggi. L'auto rità de'
Senatusconsulti fu meramente abusiva , poichè nè per le leggi Decemvirali ne per
al cun stabilimento posteriore, il Senato da se solo aveva in alcun modo la
potestà legislasiva. ( 127 ) el 3 2 tiva . Quelle risoluzioni però che
portarono parti colarmente il nome proprio di leggi, furono le de cisioni dei
Comizi centuriati , delle quali non oc corre ripetere nè il metodo nelle
proposizioni , nè quello della convocazione , nè quello delle deci sioni .
Tuttocið fu vario nel corso della Repubbli. ca , e si può trovare presso mille
autori , che del governo Romano anno ragionato . Ho voluto solo ricordare
queste poche notizia per mostrare , come il potere legislativo fu stabie lito
in Roma sotto varie forme, le quali influivano di molto su la realità , e come
il dritto di suffra . gio, non fu lo stesso nè uguale nei diversi comizi. Nei
centuriati la qualità di Cittadino era misus rata su le ricchezze , e non si
può dire , che fosa se la volontà del maggior numero de' cittadini , che
rappresentasse la volontà generale , come don vrebb' essere per natura . Și sa
ancora quanti abu si vi s'introdussero per farle essere le decisioni del minor
numero , e spesso la quarta o quinta parte del popolo aveva già decretata la
legge, men tre la volontà di tutti gli altri rimaneva inutile e , delusa . Che
quello fosse un sistema meraviglioso lo potranno dir solamente gli Entusiasti ,
ma non chi nel giudicare suol prendere per guida la ragione : Dirò di più , e
ciò fu contro i principi di ogni regolare amministrazione , che quei comizj
oltre al potere legislativo si arrogarono ancora la facoltà governativa' , ed
in molte occasioni simil mente il potere giudiziario ; ciocchè indica , qua le
idea essi avessero di un vero ' e buon Politico sistema . Fu sicuramente un
effetto delle distinzioni sco lastiche dell' antica Roma il dire , che i
Tribuni del popolo non fossero Magistrati , perchè non avevano nè imperio nè
dritto di vocazione, nè giu risdizione , nè auspicj , ma in verità se non erano
magistrati nominali , lo erano in effetto , ed eser citavano un potere
amplissimo su la plebe , sul Senato , e sopra tutta la Repubblica : ad es si
apparteneva il convocare i comizj tributi i quali secondo me formavano il vero
corpo le gislativo , se in essi il dritto del suffragio ap parteneva egualmente
ed integralınente ad ogni . cittadino . Il Cittadino vi figurava come Citra
dino libero , e non era il rango o la ricchezza , che davano la preponderanza .
E pure questa par te della legislazione non meritò mai il nome di legge , come
l'ebbero le risoluzioni de'Comizj cen turiati . lo non decido pai se al paragone
le leggi Orno proposte dại Tribuni fossero più giuste ed utili allo stato , che
quelle proposte nei Comizj centu riati dai Magistrati maggiori . Possiamo però
ri Aettere , che tutte le leggi riguardanti la costitu zione politica , o
relative alla libertà ed al lo stato popolare , le quali si possono chiamare
leggi di Umanità e di Giustizia uni versale , furono tutte o quasi tutte
proposte dai Tribuni . Nè si pud dubitare che esse fossero leggi necessarie,
poi che erano le leggi naturali della libertà , e quindi necessarie e
costituzionali per un popolo che voleva essere libero , Nè è da imputar loro
che non fos sero migliori ; giacchè la mancanza d'idee e di buone cognizioni
era comune ai patrizi ed ai ple bei . Lo stesso Cicerone contuttoche fosse
Aristo cratichissimo , non potè far a meno , di con fessare , che se si
avessero voluti annoverare i misfatti de' Consoli, non sarebbero stati pochi ,
ma che toline i due Gracchi , non si potevano contare altri Tribuni perniciosi.
Infatti, e varj plebisci ti furono salutarissimi alla Repubbiica , e le leggi
an. (Do Leg.)anche civili dai Tribuni promosse furono effettiva. mente a
pubblico vantaggio . La maggior parte però delle leggi , dei plebisciti, e de'
Senatusconsulti furono una specie di leggi volanti o temporarie , essendo per
lo più pro mosse per occasioni particolari ; ¢ sebbene si procurasse di dare ad
esse tutta l'autenticità so. lenne , non si riducevano però in un corpo , che
avesse l'autorità d'un codice di legislazione ; ne io credo, che ad uso
pubblico sempre s' incidesse ro in ' tavole o lamine di bronzo , come pur ci vo
. gliono far credere alcuni autori antichi . Sono in dotto a pensar cosi da
varie testimonianze , e spes cialmente da una di Cicerone . Possiamo da esse
raccogliere , che quando le leggi furono una scienza arcana de' Patrizj e de'
Pontefici , si conservaro no e custodirono con gelosia e con mistero, trat
tandosi quasi della loro proprietà più preziosa , e proprietà come abbiamo
veduto molto dispo nibile . Il tempio prima di Cerere par che fosa se a ciò
destinato, e poi il pubblico Erario , accid i Consoli'o i Senatori non le
corrompessero o in volassero; ma quando le leggi divennero di ragion pubblica ,
gli antichi curatori non le curarono più , e funne generalmente negletta la
custodia Al ( 131 ) si . Almeno cosi ci attesta Cicerone , assicurandoci , che
per saperle , o per conoscerle , bisognava far capo dai Portieri e dai Copisti
= Legum custodiam nullam habemus : itaque hæ leges sunt , quæ apparia tores
nostri volunt ; a librariis petimus ; pubblicis literis consignaram memoriam
publicam nullam ha bemus . Græci hoc diligentius , apud quos xquaquaames
creantur : nec hi solum literas ( nam id quidem een iam apud majores nostros
erat , sed etiam facta hominùm obsesvabant , ad legesque revocabant. E la credė
egli così necessaria , che nel suo Co dice , legislazione stabilisce appunto
nell'Erario la conservazione o custodia pubblica delle leggi Forse però i
Romani si avvidero, che le loro leggi non meritavano tale attenzione ed onore.
Ho avver che Tacito caratterizzò con molto favore le leggi Decemvirali , non
perchè meritas sero elogj di equità e di giustizia , ma perchè, al meno in
apparenza , avevano avuta una certa re golarità di formazione e di
pubblicazione ; ed a causa delle leggi posteriori , prive di tali qualità .
Qualunque fossero in facti le regole per convocare I 2 i co tito di sopra , 1
(Cic. de leg.)i comizi, per dare i suffra gj, per creare le leggi oltre la
viziosa costituzione , è da credere ancora , che il disordine e la confusione
sempre vi avesse ro luogo , e spesso vi avesse parte la violenza, la cerruzione
, e tutti quegl' inconvenienti soliti a nascere da personalità , da privato
interesse , e da spirito di vendetta . Cosi di fatti c'indica Tacito dicendo
compositæ duodecim tabulæ , finis omnis æqui juris : nam sequuræ leges , etsi
aliquando in maleficos ex delicto , sæpius tamen dissentione ordi hun , et
adipiscendi inlicitos honores, aut pe'len di claros viros, aliaque ob prava ,
per vim taie sunt . ( 20) Questo fatto finalmente mette il colmo, a quan to
abbiamo detto della irregolarità ed incertezza di quelle Leggi, che meritarono
tanti encomiatori . Le espressioni della volontà generale d ' un popolo libero
e giusto , avrebbero veramente meritate P adorazione , e l'accettazione della
posterità , se stabilite secondo i principj della Natura e della ra. gione ci
avessero presentato un archetipo degno d'imitazione . Ma colla scorta della
Storia , e sce vri (Tac. Annal.) ba ia di 10 18 tie 1 vri della infantile
prevenzione tutt'altro abbia - mo trovato . Se Dionigi d' Alicarnasso ci presen
" ta Romolo come un legislatore Filosofo , ed in struito della storia
degli alui stati ; la storia vera ce lo presenta come capo di un' Aristocrazia
pri mitiva , cioè barbara e feroce , la quale risorin - geva nel suo ordine,
tutte le qualità di uomo e di cittadino : ma la storia del primo Regno e de gli
alııi successivi è quasi tutta incerta simbolica e favolosa , come si potrebbe
provare su le poche tracce , che non sfuggono ai critici indagatori del le
origini civili . In tutto quel tratto di an ni altro non veggiamo in risultato
, che dopo una prima aggregazione di forti e di deboli, senza altre leggi che
le consuetudini Aristocratiche , si co minciò a dare una forma alla nascenie
società. Il re videro , che il loro potere era un nulla , se invece di esser
capi de'patrizj , nol divenivano del la plebe o del popolo ; ma Romulo scompar
ve per diventar Quirino ne' cieli , Servio fu tru cidato , ed il secondo
Tarquinio espulso . In tanta incertezza di cose , come i storici assai
posteriori parlarono dei tempi passati colle idee dei tempi loro , così si aprì
la strada a credere , che le stes. se parole corrispondessero alle stesse idee
in epo che di is ble che assai differenti e lontane; quindi i scrittori suse
seguenti si tormentarono prima lo spirito in tante ricerche , e poi si
distillarono il cervello per con cordare le contradizioni, che ad ogni passo
incon travano fra le idee prima formatesi , ed i fatti che poi trovavano nella
Storia. Quindi tante ricerche e tante dispute inopportune e difficili per la
man canza di monumenti , ed inutili affatto ai progres si della ragione. La legge
regia però non meri tando alcuna particolare attenzione, importava so lo al
nostro assunto il vedere , che l' incertezza delle leggi cominciò col nome
Romano , e porta rono questa marca vergognosa in tutte le epoche, e in tutta la
durata della Repubblica . Tali poi furono anche il dritto civile , le azioni
legitime , gli Editri de' pretori o sia il dritto onorario, e finalmente le
leggi propriamente dette , le quali sempre più confusero e resero incerto il drit
, to e le leggi antecedenti. Parmi dunque poter drittamente dai fatti con
chiudere , che le leggi e la Giurisprudenza Roma na furono immeritevoli di
quelle lodi colle quali sono state esaltate , ed indegne di reggere un po polo
qualunque , mancando di quelle qualità che poteyano renderle pregey oli e sacre
, cioè collo stabilire la regola eterna della giustizia, render P urmo suddito
di esse , e non dipendente dall' arbitrio; ciocchè positivamente distingue la
libertà del dispotismo , qualunque sia del resto la forma o la costituzione
sociale . Se le specolazioni de' politici si fossero fermate principalmente su
quest'articolo , avrebbero facil mente ravvisato , che Roma non cadde oppressa
della sua grandezza , poichè per gli edifici mate riali o politici è essa anzi
una cagione di resi stenza e di durata. Cadde quella mole immensa per mancanza
di base , e per difetto di Architettum ia . La base della Società è sempre la Giustizia
tanto nella legge e nel principio, quanto dell'amministrazione ed esecuzicne di
esse. Che poi l'ossa tura politica fosse mal congegnata ed un prodotto
progressivo del caso , credo averlo di sopra abba stanza dichiarato. La
giustizia di Roma fir in principio quale può essere nella barbarie; d'indi qua
le suol' essere nell'amministrazione arbitraria; e fi nalmente quale dev'essere
nell’anarchia , nella confusione della legge e nella generale corruzione. Dell'
origine dell'idea che abbiamo della Bellezza. Il Bello della Natura. Il Bello
dell'arte , ossia della imitazione e del Bello ideale. La grazia. Il sublime.
Il bello morale. Il gusto. Il carattere del bello. L’espressione. Lo stile e la
regola del bello. Opere complete (Teramo, Fabbri). Indizi di morale. Il
metodo della morale. Il sentimento morale. L’origine del sentimento morale. Lo
sviluppo del sentiment morale. Divisione della morale. La libertà civile.
L’eguaglianza. La proprietà. Lo vviluppo della morale nella diada sociale. Il
senso morale. Il dovere morale. L’obbligazione morale. L’amor proprio (l’amore
proprio – Butler – self-love). La virtù. La benevolenza – la benevolenza
conversazionale. La giustizia. L’educazione. La felicità. La passione. Note
agli "Indizj di Morale" di G. Pannella Ricerche sul vero carattere
della giurisprudenza romana. La giurisprudenza romana dal tempo de' re
fino all'estinzione della repubblica. Sequela dei carattere della
giurisprudenza romana sotto gl'imperatori. I cultori della giurisprudenza. L’amministrazione
della giustizia. Memorie storiche della Repubblica di S. Marino. La
Situazione corografica della Repubblica di SAMMARINO e dei varii nomi dati
successivamente al capoluogo dello Stato. L’origine della Repubblica di S.
Marino, e prime sue memorie fino al secolo decimosecondo. Le memorie di S.
Marino nel secolo decimosecondo, e nel seguente. Proseguimento delle memorie
istoriche per tutto il secolo decimoquarto. Proseguimento delle memorie per
rutto il secolo decimoquinto. Proseguimento delle memorie per tutto il secolo
decimosesto. Proseguimento delle memorie pel secolo decimosettimo. Sequela del
secolo decimottavo. Il governo politico della Repubblica di San Marino. Diplomi
ed altri monumenti citati nell'opera. L’istoria, la sua incertezza ed
inutilità. Ai dotti e agli studiosi delle scienze della natura. L’origine
naturale della storia e dei progressi ed abusi della medesima. La storica
incertezza. L’autorità degli storici contemporanei del cavalier Tiraboschi. L’inutilità
della storia e dei pregiudizi derivati dalla medesima. Verificazione degli
antecedenti principj con esempi tratti dalla storia della romana repubblica. I
bello. Ai giovani educati. L'origine dell'idea che abbiamo del bello. Il
bello della natura. Il bello dell'arte, ossia della imitazione e del bello
ideale. La grazia. Il sublime. Il bello morale. Il gusto. Il carattere del
bello. L’espressione. Lo stile e la regola del bello. L’antica Numismatica
della città di Atri nel Piceno con alcuni opuscoli su le origini
italiche. Alla reale accademia ercolanese di archeologia e a S. E.
reverendissima monsignor Rosini presidente della medesima e della R. Società
Borbonica di Napoli. Le origini italiche. Le antiche monete della città di Atri
nel Piceno. I pelasgi e I tirreni. Rischiaramenti ed alcune osservazioni fatte
sull' opera della Numismatica atriana. Lettera a S. E. il sig. conte D.
Giuseppe Zurlo. Antologia di Firenze. Articolo di G. Micali. Biblioteca
Italiana. La Numismatica atriana ed agli altri opuscoli. AL. Sorricchio. Saggio
istorico delle ragioni dei sovrani di Napoli sopra la città di Ascoli d'Abruzzo
oggi nella Marca. Saggio filosofico sul matrimonio. Lo stabilimento della
milizia Provinciale. La coltivazione del riso nella Provincia di Teramo. Elogio
del marchese D. Francescantonio Grimaldi . Il tribunal della Grascia e sulle
leggi economiche nelle, provincie confinanti del regno. La necessità di rendere
uniformi i pesi e le misure del regno. Il tavoliere di Puglia e su la necessità
di abolire il sistema doganale presente e non darsi luogo ad alcuna temporanea
riforma. La vendita dei feudi umiliate a S. R. M. La tassa fondiaria.
L’istruzione pubblica. La sensibilità imitativa considerata come il principio
fisico della sociabilità della specie e del civilizzamento dei popoli e delle nazioni
lette nella Reale Accademia delle scienze. La perfettibilità organica
considerata come il principio fisico dell’educazione con alcune vedute sulla
medesima letta nella R. Borbonica Accademia delle scienze. La perfettibilità
organica considerata come il Principio fisico dell'educazione letta nella Reale
Accademia delle scienze. Alcuni mezzi economici per supplire agli attuali
bisogni dello stato. L’importanza di far precedere le cognizioni fisiologiche
allo studio della filosofia intellettuale. Lo stabilimenti di umanità e di
pubblica beneficenza. L’organizzazione dei tribunal. Un porto da costruirsi
alla foce del fiume Pescara. A Berardo Quartapelle. A S. E. il sig. Duca di
Cantalupo. Al Cav. sig. Pasquale Liberatore. Ai Capitani Reggenti la Repubblica
di S. Marino. Al marchese Luigi Dragonetti (Aquila). Al signor Roberto Betti
(Napoli). A Giacinto Cantalamessa Carboni in Ascoli. A Giuseppe M. Giovene
(Molfetta). Ad Alberto Fortis. A Bernardino Delfico. Al Sig. Abate D. Cataldo
Jannelli. Saggio di lettere indirizzate a Melchiorre Delfico Gaetano Filangieri
a M. Delfico Pietro Borghesi a M. Delfico F. Neumann a monsieur l'Abbé Fortis.
Spallanzani all'abate Fortis. Al medesimo Fortis in Napoli ..... pag. 138
Spallanzani a M. Delfico ..... pag. 140 Luigi Grimaldi a M. Delfico .....
pag. 141 Toaldo a M. Delfico ..... pag. 142 Spannocchi a M. Delfico
..... pag. 143 V. Comi a B. Q. [Berardo Quartapelle] ..... pag. 148
Michele Torcia a G. Berardino Delfico ..... pag. 148 Gaspare Mollo a M.
Delfico ..... pag. 151 Alessandro Carli ..... pag. 152 F. Mùnter a
M. Delfico ..... pag. 154 Mùnter a Delfico in Napoli ..... pag. 159
Mùnter a M. Delfico ..... pag. 160 Filippo Mazzocchi a M. Delfico .....
pag. 163 Gazola a M. Delfico ..... pag. 163 Giuseppe Micali a M.
Delfico ..... pag. 170 L'abate Bertola a G. Bernardino Delfico ..... pag.
178 Il medesimo a M. Delfico ..... pag. 179 L. Brugnatelli a M.
Delfico ..... pag. 179 Antonino Anutos a M. Delfico ..... pag. 180
Gio. Andrea Fontana a M. Delfico . Il Duca di Cantalupo a M. Delfico ..... pag.
183 Giuseppe Palmieri a M. Delfico ..... pag. 180 Tommaso Gargallo
a M. Delfico in Teramo ..... pag. 190 Giuseppe M. Galante a M. Delfico
..... pag. 194 Giovanni C. Amaduzzi a M. Delfico ..... pag. 194
Mattia Ab. Zarillo a M. Delfico ..... pag. 195 Giuseppe M. Giovene a M.
Delfico ..... pag. 197 C. Amoretti a M. Delfico . Francesco Soave a M.
Delfico ..... pag. 203 Giovanni Acton a M. Delfico (Teramo) ..... pag.
205 Fortis a M. Delfico ..... pag. 205 Pietro Zannoni a M. Delfico
..... pag. 206 Bossi a M. Delfico ..... pag. 206 Tommaso Frantoni a
M. Delfico ..... pag. 209 Daniele Felici a M. Delfico ..... pag.
209 G. Napoleone a. M. Delfico ..... pag. 212 G. Giacomo Trivulzio
a M. Delfico ..... pag. 212 G. Melzi a M. Delfico ..... pag. 223
San Severino a M. Delfico ..... pag. 23 Il duca di Sant'Arpino a M
Delfico ..... pag. 231 Tracy a M. Delfico . Antonio Canova a M. Delfico
..... pag. 240 Angelo Maria Ricci a M. Delfico ..... pag. 241
Donati Gioli a M. Delfico ..... pag. 243 Luigi Dragonetti a M. Delfico
..... pag. 243 Giuseppe Zurlo a M. Delfico ..... pag. 246 Michele
Arditi a M. Delfico ..... pag. 249 Antonio Orsini a M. Delfico ..... pag.
250 G. M. Burini a M. Delfico ..... pag. 251 Taranto a M. Delfico
..... pag. 252 Francesco Sorricchio a Delfico ..... pag. 252 L.
Cicognara a M. Delfico ..... pag. 258 F. Santangelo a M. Delfico .....
pag. 259 Sebastiano Ciampi a M. Delfico ..... pag. 260 Donato
Tommasi a M. Delfico ..... pag. 261 Il Duca di Laurenzana a M. Delfico
..... pag. 262 Giuseppe Grimaldi a M. Delfico ..... pag. 264 N.
Santangelo a M. Delfico ..... pag. 271 Lodovico Bianchini a M. D. .....
pag. 272 Carlo Filangieri a Melchiorre Delfico ..... pag. 272 G. B.
Niccolini a M. Delfico ..... pag. 274 Giuseppe Rangone a M. Delfico .....
pag. 276 Leopoldo Pilla a M. Delfico ..... pag. 278 Il Duca di
Gualtieri a M. Delfico ..... pag. 281 II Barone Poerio a M. Delfico .....
pag. 283 Leopoldo Armaroli a M. Delfico ..... pag. 283 G. Neroni a
Leopoldo Armaroli ..... pag. 286 Francesco Fuoco a M. Delfico ..... pag.
287 Giuseppe Micali a Gregorio de Filippis ..... pag. 288 Aggiunta
agli opuscoli. Fiera franca in Pescara ..... pag. 293 Al sig. Pasquale
Borelli ..... pag. 307 Al sig. Antonio Orsini ..... pag. 313 Al
sig. Conte Armaroli ..... pag. 315 Alessandro Volta a Orazio Delfico
..... pag. 317 Rapporto sull' Italia inviato a Napoleone, e attribuito a
M. Delfico . Piemonte . Liguria . Regno D' Italia . Toscana ..... pag. 326
Stati Romani ..... pag. 327 Napoli . Memoria per la conservazione e
riproduzione dei boschi nella provincia di Teramo ..... pag. 335 Discorso
del Cav. Comm. Gian Berardino Delfico letto in occasione del solenne giuramento
prestato a S. M. Giuseppe Napoleone Re di Napoli e Sicilia dalla Città e
Provincia di Teramo ..... pag. 363 La famiglia e le opere di Melchiorre
Delfico . I titoli nobiliari . Episodi della vita del Delfico . Opere ignorate
del Delfico . Il contenuto delle opere . Catalogo per materia delle opere di M.
Delfico . Lettere del Delfico e al Delfico . La Repubblica di S. Marino in
onore di M. Delfico . M. Delfico a Gaspero Selvaggio . A Paolo D' Ambrosio M.
Delfico. Il teramano Melchiorre Delfico (1744-1835) è uno dei più cosmopoliti e
al tempo stesso dei più autenticamente provinciali tra i riformatori
meridionali della seconda metà del Settecento (1). Durante il suo primo
soggiorno a Napoli, interrotto dopo tredici anni nel 1768 perché malato di
emottisi, il giovane intellettuale abruzzese segue le lezioni di Antonio
Genovesi e frequenta il gruppo che si riunisce attorno alla cattedra dell'abate
(2), che dal 1754 al 1769 costituisce il fulcro del movimento riformatore
meridionale. Sarà questa scuola composta da Longano, Galanti, Palmieri,
Grimaldi, Filangieri, Pagano ed altri, ad imprimere una «benefica scossa» (3)
alla cultura napoletana e avviare negli anni successivi un serrato e articolato
dibattito sui problemi più urgenti del Regno, suggerendo le linee di un
possibile rinnovamento della società civile che non di rado contrasteranno con
l'angusta politica del governo borbonico (4). È soprattutto dalla
rilettura del genovesiano Discorso sopra il vero fine delle lettere e delle
scienze (5), considerato il manifesto dell'illuminismo napoletano, in cui viene
rivendicato un uso pratico del sapere, che Delfico matura una nuova concezione
della cultura e dell'intellettuale, la cui attività sia, come diceva Genovesi,
«più pratica che teoria» (6), e la convinzione della necessità di un impegno
politico più diretto. Un atteggiamento anticuriale e giurisdizionalistico, di
ascendenza giannoniana (7) e di eredità genovesiana (8), egli manifesta nei due
lavori, con i quali inaugura nel 1768 la sua attività di scrittore, in difesa
dei diritti del Regno di Napoli sui territori di Benevento, dal 1077 sotto il
dominio pontificio, e di Ascoli Piceno, anch'esso dal 1266 annesso allo Stato
ecclesiastico (9). Nelle due Memorie denuncia le tendenze temporali
dell'autorità ecclesiastica, dimostrando «false o insussistenti» le pretese
giurisdizionali del pontefice su quei possedimenti, ottenuti non già per
legittimi diritti di sovranità, ma con l'usurpazione, titolo «vergognoso»
perché «prodotto per dolo o per frode» (10). Sebbene notevole sia stata
l'influenza di Genovesi sul movimento illuminista meridionale, non tutte le
molteplici espressioni della cultura riformistica degli anni Settanta e Ottanta
possono essere ricondotte alla sola riflessione del pensatore salernitano.
Anche per i rappresentanti della corrente «più provinciale», «più tecnica e
descrittiva»(11) della scuola genovesiana, l'insegnamento del Maestro non
sempre costituirà l'unica matrice culturale. Lo stesso Delfico, sebbene
riconosca il suo debito nei confronti dell'abate, non trova in lui il pensatore
che la «propria ragione gli faceva desiderare» (12), bensì il pubblicista che
ricerca e analizza i mali economici e sociali della sua terra. «La fortuna però
- scriverà più tardi - avendomi fatto pervenir nelle mani le immortali opere di
Loke [sic] e di Condillac, parve che il mio spirito prendesse una nuova
modificazione, e quindi una inclinazione pel vero, ed un gusto particolare per
i morali sentimenti» (13). Già nel Saggio filosofico sul matrimonio,
apparso a Teramo nel 1774, alcuni anni dopo il suo ritorno in provincia,
s'intravede l'orientamento filosofico dello scrittore abruzzese basato su una
visione tutta empiristica e sensistica dei rapporti umani, che indurrà la
Congregazione del Sant'Uffizio a porre l'opuscolo nell'Index librorum prohibitorum
il 19 gennaio 1776. L'opera è una vera e propria esaltazione sia dello stato
coniugale che dell'amore, inteso come desiderio, come piacere fisico ma
soprattutto morale. In polemica con Rousseau, Delfico considera il vincolo
matrimoniale una fonte continua «di sensazioni e di sentimenti aggradevoli»
(14) e sostiene, richiamandosi a Hume, che esso debba essere il più possibile
completo e duraturo. La critica del celibato e più ancora del libertinaggio è
l'occasione per un'attenta disamina della condizione della donna, di cui
sostiene l'emancipazione e la rivalutazione nella famiglia e nella società,
fino a rivendicare una legislazione sulla parità dei diritti e dei doveri fra i
sessi. Del 1775 sono gli Indizi di morale, interrotti per ordine dell'assessore
Pietro Paolillo che ne dispone il sequestro mentre sono ancora in corso di
stampa, i quali «svelano assai più a fondo e gl'ideali politici del Delfico e
la sua cultura» (15). Sul piano filosofico infatti essi segnano una piena
adesione all'empirismo e al sensismo di Locke e Condillac. Dalle idee
filosofiche dei due pensatori il Teramano non si discosterà più, restando sino
alla fine legato alla dottrina sensistica. Confesserà molti anni dopo ad un
amico: «Dopoché il mio spirito soffrì la modificazione dal Trattato delle
sensazioni, non l'ho turbato più perché mi vi sono trovato comodo, non
trascurando però le successive osservazioni le quali hanno potuto migliorarlo»
(16). Egli riconosce alla morale il fondamento empirico proprio delle scienze
fisiche e riconduce l'origine dei sentimenti morali alle sensazioni. Poiché è
nella società che gli uomini acquisiscono le prime nozioni di moralità e le
loro azioni diventano utili o dannose, ne consegue che la sfera delle loro idee
e con essa quella delle loro attività si dilatano soprattutto in quelle forme
politiche in cui maggiormente cresce la possibilità di comprensione della
qualità degli oggetti e gli individui sono messi nelle condizioni che meglio
permettono la individuazione dell'amor proprio. «È nel passaggio
dall'Aristocrazia allo stato popolare», scrive, che «le nazioni godono del
colmo della virtù» e «nasce quella gara di Eroismo che è difficile a trovarsi
nelle Monarchie» e che si verifica ogni qualvolta «l'interesse di tutti i
particolari va a riunirsi col pubblico»(17) e i cittadini partecipano
maggiormente alla sovranità e al potere. L'affermazione non si concreta
in una scelta della democrazia come forma di governo, né in una rivendicazione
di ordinamenti politici alternativi a quelli in cui si incarna la monarchia
borbonica. L'allusione alla repubblica resta in lui vaga, sottintesa e comunque
priva di un reale contenuto politico-istituzionale, mentre egli non nasconde la
propria simpatia per il despotisme éclairé (18). Vi è, da parte sua, una svalutazione
della politica in quanto problema teorico, a favore di un impegno politico più
immediatamente finalizzato alla soluzione di questioni politiche contingenti.
Suo obiettivo principale è il perseguimento del bene pubblico, realizzato
attraverso un'avveduta e coraggiosa politica di riforme. Un processo di
trasformazione che miri innanzitutto all'uguaglianza politica e che non ha
niente a che vedere con la «fatale» comunione dei beni, fomite di disordini e
di eterne contese. Il problema dell'uguaglianza, di cui le garanzie politiche
costituiscono una imprescindibile componente, consente a Delfico di condurre a
fondo l'attacco contro la struttura feudale della società napoletana, in cui
ancora assai diffusa e radicata è l'ineguaglianza sia essa generata dall'abuso
del potere che da quello delle ricchezze. «Conosciuti i mali che provengono
dall'ineguaglianza - afferma a conclusione del capitolo sulla proprietà - deve
essere un canone politico quello di ravvicinare gli estremi, e non dar luogo ad
altre ricompense che a quelle del merito personale e dell'industria» (19). Al
contrario, il persistere dell'ineguaglianza non fa che produrre «lusso e
corruzione» ed aggravare la già precaria condizione dei più miserevoli, privati
della loro stessa dignità perché costretti a mercanteggiare persino «la vita,
l'onore, la stima, la virtù, ed i più sacrosanti doveri» (20). Dopo il
sequestro degli Indizi di morale e la messa all'«Indice» del Saggio filosofico,
Delfico incorre in un nuovo spiacevole episodio con le autorità provinciali.
Soprattutto a causa del vescovo Pirelli e dell'assessore Giacinto Dragonetti,
con cui pure aveva avuto rapporti di amicizia, è ingiustamente inquisito e
condannato per la fuga di certe monache dal monastero di S. Matteo di Teramo
(21). L'exequatur del Tribunale del capoluogo abruzzese (5 febbraio 1778) con
il conseguente ordine di carcerazione, emesso nei confronti suoi e di altri
«lajci seduttori» (22) presunti responsabili dell'insubordinazione, lo
costringono ad allontanarsi dalla città e a recarsi a Napoli, dove rimarrà
circa tre anni, fino alla conclusione della vicenda giudiziaria, giunta con
l'indulto regio del 17 giugno 1780. Questo secondo soggiorno partenopeo,
avvenuto a dieci anni di distanza dalla fine del primo, si rivela assai fecondo
per lo scrittore teramano che ha l'occasione di rinsaldare i legami con
gli ambienti riformatori della capitale e stringere rapporti con vari esponenti
della cultura, quali tra gli altri i fratelli Di Gennaro e Grimaldi,
Filangieri, Pagano, Torcia e Fortis. È anche il periodo in cui egli matura
l'idea che la provincia possa imprimere, attraverso la denuncia dei mali
prodotti dal sistema feudale, un nuovo e maggiore impulso alla politica
governativa ed avverte la necessità di una ridefinizione del rapporto tra
capitale e province, tra i centri periferici più sani e dinamici e quella
Napoli corrotta ed inerte dalla quale tutti attendono una politica di
riforme. Ritornato a Teramo, Delfico pubblica nel 1782 il Discorso sullo
stabilimento della milizia provinciale, che gli varrà, l'anno successivo (20
giugno 1783), la nomina ad Assessore militare della sua provincia. Lo scritto,
dedicato all'amico Filangieri, inaugura un'intensa stagione che vede
l'illuminista abruzzese farsi promotore di numerose riforme. Nel Discorso la
questione militare acquista rilevanza politica, avendo intuito l'Autore
l'importanza che una buona costituzione militare poteva assumere per la vita di
uno Stato. Criticando lo «spirito di corpo» dei militari, quel «sentimento
dissociale» che li porta a disprezzare la vita civile e che fa di loro una
classe di privilegiati distinta dal corpo sociale, egli mira a riqualificare il
ruolo del soldato all'interno della società, non soltanto in tema di sicurezza,
ma anche, soprattutto, di progresso civile, riunendo, sull'esempio di Rousseau,
la qualità di soldato a quella di cittadino (23), così che i due termini
diventino sinonimi fra loro. Ad alimentare la fiducia nei primi anni
Ottanta che si potesse realizzare sul piano legislativo e amministrativo quanto
si veniva sostenendo su quello dottrinario, contribuirono sia la istituzione
della Reale Accademia di Scienze e Belle Lettere (che però tradì presto le
attese suscitate) che quella del Supremo Consiglio delle Finanze. Sorto nel
1782, il Consiglio si prefiggeva di riformare gli antichi e perniciosi abusi
del sistema e di restituire l'abbattuto vigore alla Nazione promuovendo i
canali della ricchezza dei sudditi e dello Stato. Ad esso Delfico vorrebbe
sottoporre la sua Memoria sulla coltivazione del riso nella provincia di
Teramo, pubblicata a Napoli nel 1783. Considerato «forse il più limpido e
ragionato» (24) dei numerosi suoi scritti economici di quegli anni, il testo è
una dura requisitoria contro il persistere di pesanti imposizioni feudali e di
certi abusi economici e politici, responsabili di mantenere tale coltivazione
in uno stato di sottosviluppo (25). La risposta delficina è in favore di un
ammodernamento della tecnica di produzione e della rimozione di tutti gli
ostacoli, compresi i controlli e le restrizioni governative, che impediscono la
realizzazione di un'economia di mercato. Nell'estate dell'83 Delfico è di
nuovo a Napoli, dove si fermerà fino alla fine dell'anno. Ma non sarà questa
una permanenza piacevole. All'entusiasmo iniziale, infatti, subentrerà presto
un sentimento di profonda amarezza per l'andamento della vita politica della
capitale. Egli prende coscienza della incapacità dello Stato di dar vita ad un
programma organico di risanamento dell'economia del Paese, messa di nuovo a
dura prova dal terribile terremoto calabrese della primavera del 1783. La
condotta della corte borbonica gli appare quanto mai improvvisata e piena di
incertezze e di contraddizioni. Ritornato a Teramo è raggiunto, nel
febbraio del 1784, dalla notizia della scomparsa dell'amico Francescantonio
Grimaldi, cui dedica, come ultimo tributo, un Elogio (26) che ne rievoca il
pensiero e il valore. Dopo un rapido excursus delle opere giovanili (27), lo
scrittore abruzzese si sofferma sulle Riflessioni sopra l'ineguaglianza tra gli
uomini, pubblicate a Napoli in tre volumi tra il 1779 e il 1780. In esse
l'Autore confuta le tesi roussoiane sull'uguaglianza tra gli
uomini, correggendo quei «paradossi», scrive Delfico, che «fra molte vere
e nobili osservazioni» (28) sono racchiusi nel Discours sur l'origine de
l'inégalité. Contrariamente al Ginevrino, che ritiene l'ineguaglianza essere
«presque nulle dans l'Etat de Nature» (29), Grimaldi ne afferma il principio
dell'origine naturale, smentendo quanti sostenevano che gli uomini nascono
eguali. Una particolare attenzione rivolge infine all'ultimo incompiuto lavoro
di Grimaldi, gli Annali del Regno di Napoli. Sin da ora emerge chiara in lui
l'idea di una storia non più concepita come piacevole passatempo per «gli
oziosi e gli annojati», ma in funzione «d'un utile presente» (30) per l'umanità
e, in particolare, per la nazione per la quale si scrive. Ciò che interessa non
è più il nudo racconto di fatti isolati o di particolarità legate a circostanze
del momento, bensì la conoscenza delle cause che stanno dietro i fenomeni e la
vita morale delle nazioni. Alla fine di giugno del 1785 Delfico si
trasferisce di nuovo a Napoli, dove si trattiene, salvo una breve parentesi
nella città natale nell'estate dell'86, fino alla metà del 1788. Risale a
questo periodo l'incontro con il danese, di origine tedesca, Friedrich Münter,
venuto in Italia nell'autunno del 1784 con l'incarico di propagandare l'Ordine
degli Illuminati di Baviera (31). A Münter, con il quale visiterà assieme a
Filangieri e allo storico tedesco Heeren le rovine di Pestum, egli si legherà
da profonda amicizia, di cui è testimonianza una corrispondenza più che
trentennale (32), accomunati dalla passione per l'archeologia e, soprattutto,
per la numismatica. A Napoli Delfico pubblica nel 1785 la Memoria sul
Tribunal della Grascia (33), considerata, assieme a pochi altri testi, «il
vangelo del liberismo napoletano» (34) dell'epoca. Lo scritto sferra un attacco
contro il «terribile mostro» del Tribunale della Grascia, istituito lungo il
confine tra l'Abruzzo e lo Stato pontificio e simile per alcuni versi a quello
«più odioso dell'inquisizione», che impedisce ai due Stati pacifici di
scambiarsi liberamente i prodotti, fomentando dovunque corruzione e violenza e lasciando
quelle popolazioni in «un languore di dissoluzione» (35). Vi è nella Memoria
l'affermazione del principio della libertà di commercio e dell'abolizione del
sistema protezionistico, a proposito del quale vengono fatti i nomi di Verri,
Genovesi, Filangieri e del celebre Smith, di cui il Teramano è uno dei primi in
Italia a citare La ricchezza delle nazioni. Nel 1788 vede la luce il
Discorso sul Tavoliere di Puglia (36) in cui Delfico rivendica, dopo un'aspra
requisitoria contro le concentrazioni latifondiste e il mantenimento delle
rendite, la divisione di quelle terre in favore dei contadini e un diverso
ruolo dell'agricoltura, non più limitata e subordinata alla pastorizia. In un
Paese così «infelicemente» amministrato, dove regna una troppo marcata
diseguaglianza e una «ripugnante ed infelice» contrapposizione tra ricchi e
poveri, l'aumento dei proprietari è un obiettivo che risponde non soltanto a
criteri di giustizia sociale, ma anche ad una necessità dello Stato. Tutti «i
più savj governi - scrive - distinsero sempre la classe dei proprietarj, come
quella che dava il vero carattere di cittadino» (37). La proprietà infatti è il
primo e più saldo principio della società, poiché crea nei proprietari «sempre
affezione» nei confronti dello Stato, a cui essi chiedono di riconoscere e
tutelare i loro diritti, interessati come sono, più di ogni altra classe, al
buon funzionamento delle sue istituzioni e alla corretta applicazione delle sue
leggi. Della parte settentrionale della Puglia l'illuminista abruzzese si era
occupato una prima volta nel 1784 nella pur breve ma incisiva ricognizione
geografico-economica del tratto costiero «desolato» che va dal Fortore al
Tronto (38), in cui denunciava le gravi «avarie» commesse dai governanti con la
creazione di continue dogane che, ostacolando il libero scambio dei prodotti
tra quelle popolazioni, finiva per immiserirle sempre più. Si coglie in
questi scritti non soltanto la totale adesione di Delfico al liberismo, ma
anche la sua piena consapevolezza del ruolo che lo Stato è chiamato a svolgere
in favore di un sistema economico imperniato sulla libertà di scambio. Un
rapporto, quello tra Stato ed economia di mercato, che egli affronta anche
nella Memoria sulla libertà di commercio della fine degli anni Ottanta (39), in
cui esalta il principio del laissez-faire contro le regolamentazioni e i
vincoli del sistema mercantile. Il rifiuto di «ogni coazione economica» si
fonda sulla convinzione che la libertà (di produzione, di consumo, di
commercio, di concorrenza) favorisca un progresso e uno sviluppo economico tali
da recare benefici sia ai privati cittadini che allo Stato stesso. È solo
attraverso la rimozione di tutti i controlli governativi che ostacolano
l'allargamento del mercato e impediscono che le attività economiche si svolgano
nei modi loro naturali che la scienza economica riesce a far fronte al suo
duplice compito di mantenimento dello Stato e di accrescimento della ricchezza
e del benessere individuali. In quest'ultimo soggiorno napoletano prima
dello scoppio della rivoluzione francese, Delfico si attiva non poco, presso le
Segreterie della capitale, per sollecitare iniziative e soluzioni di problemi
riguardanti le provincie del Regno. Ma le sue istanze non sempre trovano il
riscontro desiderato (40). Ciò non fa che accrescere in lui un sentimento di
sfiducia nell'azione riformatrice del governo. Un'insofferenza, quella nei
confronti del potere politico partenopeo, che lo porterà nell'estate del 1788
ad allontanarsi da un ambiente dove gli era diventato penoso vivere, non prima
però di aver presentato a Ferdinando IV il suo ultimo lavoro, Memoria per la
vendita de' beni dello Stato d'Atri (41). Nello scritto condanna la
giurisdizione feudale in nome dei principi roussoiani di indivisibilità e
inalienabilità della sovranità fino a ritenere qualsiasi forma di alienazione o
di usurpazione della sovranità stessa «non solo un atto nullo, ma anche
ingiusto» (42). La notizia della rivoluzione francese raggiunge Delfico
lontano dal Regno napoletano, mentre si trova nel Nord Italia, dove si era
recato nel novembre del 1788 per accompagnare a Pavia il nipote Orazio che
studiava Scienze naturali sotto la guida di Volta e Spallanzani. Durante il suo
soggiorno ha modo di frequentare gli ambienti riformatori milanesi ed entrare
in contatto con Beccaria, il filosofo e pedagogista Francesco Soave, i fratelli
Verri, Parini, il giurista senese Giovanni Bonaventura Spannocchi, lo studioso
di scienze agrarie ed economiche Carlo Amoretti ed altri ancora, con alcuni dei
quali manterrà un rapporto di amicizia. Sugli avvenimenti francesi non gli è
difficile tenersi informato. È lecito credere anzi che, oltre a seguire, egli
guardi con simpatia a quanto sta accadendo oltralpe. La rapidità e la
determinazione con cui si conduce l'attacco contro l'Ancien Régime lo spingono
a ritenere che la rivoluzione di Francia favorisca il progetto riformatore e
rappresenti «un esempio favorevole per i Principi savj» (43) affinché non
indugino più sulla strada delle riforme. Rianimato da queste speranze,
nel dicembre del 1789, dopo aver fatto da poco ritorno nella sua città natale
(44), Delfico si trasferisce a Napoli, dove dà alle stampe, nell'estate del
1790, le Riflessioni su la vendita dei feudi (45) in cui, ispirandosi al
dibattito costituzionale d'oltralpe, conduce un attacco più diretto ed
esplicito contro il sistema feudale e la giurisdizione baronale in particolare.
Nel 1791 pubblica le Ricerche sul vero carattere della giurisprudenza romana e
de' suoi cultori (46), che rappresentano «la più forte manifestazione del
pensiero illuministico italiano nei confronti del diritto romano» (47), cui
viene negato ogni valore. Ad emergere è l'idea di un sistema legislativo nuovo,
«uguale ed uniforme per tutti gl'individui» che, a differenza di quello vigente,
troppo legato alla tradizione romana, risulti più inerente «all'indole delle
nazioni e dei governi presenti» (48). Sull'esempio di quanto accade in Francia,
lo scrittore abruzzese rivendica, accanto ad una legislazione stabile e
regolare, una legittima costituzione che ne sia il presupposto e ne costituisca
il necessario fondamento. Il sistema politico che egli predilige si fonda
sull'uguaglianza delle leggi, sulla divisione dei poteri, sul conferimento
dell'autorità legislativa al popolo, sulla rappresentanza politica senza
restrizioni di rango o di censo e sul decentramento dell'amministrazione della
giustizia attraverso lo stabilimento di magistrature locali e
provinciali. Da una soluzione di tipo monarchico-costituzionale Delfico
non si allontanerà mai. Alla politica illuminata del sovrano restano per lui
legate le condizioni di cambiamento della società meridionale. Nonostante
tuttavia la sua predilezione per la monarchia, a partire dalla seconda metà del
1791 si ravvisa nel Teramano un conflitto tra l'ottimismo generato dalle
vicende francesi, che lo spinge a credere ancora nell'intesa tra dinastia
borbonica e intellettuali, e il crescente scetticismo nei confronti della
volontà governativa di attuare un programma di rinnovamento. Deluso, decide di abbandonare
la capitale dove si sorprende sempre più spesso «scontentissimo». Il
rientro a Teramo, nel dicembre del 1791, segna la fine di un periodo di grande
impegno politico e letterario, al termine del quale egli vede svanire la
possibilità che la rivoluzione francese imprima un nuovo impulso alla politica
del governo napoletano. È, questo, un periodo di grande sconcerto e delusione
per quanti, come Delfico, avvertono i limiti della politica ferdinandea. Alla
fine del 1793 la consapevolezza che la grande stagione riformistica sia
definitivamente conclusa è radicata nel suo animo. Essa segna l'inizio di una
lunga interruzione della sua attività di scrittore, a conferma di come egli
ritenesse allora non solo vano ma addirittura pericoloso farsi sostenitore di
una politica di rinnovamento del Regno borbonico. La sfiducia diverrà pressoché
totale durante il soggiorno nella capitale partenopea tra la primavera e
l'autunno 1794. A Napoli s'imbatte in una città in preda alla più forte
«agitazione». È l'epoca della scoperta della congiura giacobina che porta
all'arresto e alla condanna di numerosi patrioti ed esponenti giacobini.
Coinvolto è pure l'amico e concittadino Troiano Odazi (49) che egli considera
innocente e spera invano venga presto scagionato. L'accentuarsi del
carattere reazionario della politica napoletana non determina tuttavia in
Delfico, come in altri illuministi, il passaggio «da regalista in giacobino»
(50) o repubblicano, anche perché egli, a differenza di molti di loro, non vede
più nella Francia del '93-'94 concretarsi i suoi ideali riformistici.
L'avversione per gli eccessi rivoluzionari lo porta ad anticipare un modulo
storiografico che avrà fortuna negli anni successivi: la contrapposizione tra
una prima fase della rivoluzione, l'89, con le sue idee di libertà e di
uguaglianza, ed una fase successiva, il '93, caratterizzata da «tanti
orrori». Alla fine di ottobre del 1795 Delfico lascia di nuovo l'Abruzzo
per compiere un secondo viaggio fuori del Regno, dapprima a Roma, restandovi
per circa un mese, quindi in Toscana dove rimane fino alla primavera successiva
ed ha modo di rivedere gli amici Giovanni Fantoni e Giuseppe Micali e legarsi
al nobile fiorentino Neri Corsini e all'uomo di Stato francese André-François
Miot (51). A spingerlo verso il Granducato è una certa simpatia politica per
quello Stato, suscitata dalla mitezza del suo governo e dalla libertà che
ancora vi regnava. Ritornato a Teramo agli inizi di maggio del 1796, lo
raggiungono le notizie dell'avanzata francese in Piemonte e in Lombardia.
Nessun dubbio nutre sulle mire espansionistiche di Napoleone, di cui disapprova
non solo le condizioni gravose imposte alle città occupate, ma anche le
innumerevoli requisizioni, ruberie e saccheggi dei suoi soldati. Nella
seconda metà del 1796 si riaccende nello scrittore teramano l'interesse per la
Grande Nation, in quanto vede delinearsi nella vita politica del Direttorio la
possibilità per la Francia di riprendere e consolidare quel processo di
trasformazione avviato negli anni precedenti la parentesi giacobina; interesse
che si manifesta anche attraverso il desiderio, mai realizzato, di compiere un
viaggio transalpino (52). Ciò nonostante, appare poco probabile una sua
partecipazione al concorso indetto dall'Amministrazione generale della Lombardia
il 6 vendemmiaio anno V della Repubblica francese (27 settembre 1796) sul
quesito Quale dei Governi liberi meglio convenga alla felicità d'Italia, di cui
risulterà vincitore il piacentino Melchiorre Gioia (53). Immutato è
invece il giudizio sulla corte napoletana. Nonostante infatti nel corso del '97
egli accenni ad una ripresa di dialogo con il governo borbonico (54), non
scorge alcun cambiamento nella sua politica. Sempre più, inoltre, dovrà
guardarsi dalla gelosia dei suoi nemici, soprattutto nel 1798, quando verrà
nominato portolano della città di Teramo, con responsabilità amministrative di
rilievo. La situazione si aggraverà nell'estate di quell'anno, allorché alle
trepidazioni per una probabile invasione straniera si uniranno quelle per il susseguirsi
di infondate accuse di giacobinismo costruite ai suoi danni da parte di anonimi
concittadini. Già nel 1793 era stato costretto a dare formale prova del suo
lealismo monarchico in seguito a delazioni da parte di alcuni «malevoli di
Napoli fra quali il Vescovo in unione colla magistratura» (55). Sempre più si
alimenta il sospetto di una sua cospirazione antimonarchica, tanto che il 27
settembre 1798 è tratto in arresto, nel proprio palazzo, assieme a tutta la
famiglia (56). Liberato l'11 dicembre successivo dall'arrivo a Teramo delle
truppe francesi (57), è dapprima posto a capo della Municipalità della città e
successivamente nominato presidente dell'Amministrazione Centrale dell'Alto
Abruzzo. Il 12 gennaio 1799 è chiamato a presiedere a Pescara il Supremo
Consiglio (58), l'organo politico più importante esistente in Abruzzo, che
avrebbe dovuto fungere da raccordo tra il comando francese e i due nuovi
organismi repubblicani - i Dipartimenti dell'Alto e del Basso Abruzzo - in cui
il generale Duhesme, con il proclama del 28 dicembre 1798, aveva diviso il
territorio regionale. Non vi è dubbio che la collaborazione di Delfico
con i Francesi, per quanto piena e convinta, vada vista come il tentativo di
reinserirsi nel giro di quella politica attiva, nella quale egli da sempre
confida. Tale partecipazione, tuttavia, non segna il passaggio dello scrittore
teramano dalla prospettiva monarchico-riformistica a quella
repubblicano-giacobina (59), dal momento che l'esperienza non provoca quella
vera e propria «lacerazione» e «rottura» nella sua biografia intellettuale che
è stata riscontrata invece nei riformisti meridionali passati alla rivoluzione
(60). Tensioni ideali e finalità pratiche continuano ad essere, anche durante
la parentesi repubblicana, le stesse che lo hanno animato in tante battaglie
del passato. Persino il Piano di una amministrazione provvisoria di giustizia
pei Tribunali dei Dipartimenti e Giudici dei Cantoni (61) del 24 piovoso anno
VII (12 febbraio 1799), l'atto legislativo più importante del Consiglio Supremo
pescarese col quale viene introdotto un nuovo ordinamento giudiziario e in cui
maggiore è l'istanza egualitaria, non sembra discostarsi da certi suoi principi
e aspirazioni precedentemente espressi. Il Piano, che si inserisce fra i provvedimenti
di riforma del sistema giudiziario adottati dalla Repubblica napoletana,
sanciva, in nome delle idee di libertà e di eguaglianza, il decentramento
dell'autorità giudiziaria, prevedendo un giudice per ogni capoluogo di cantone
e un tribunale per ogni capoluogo di dipartimento; l'amministrazione gratuita
della giustizia e la corresponsione di uno stipendio ai giudici e a tutti
coloro che collaboravano all'attività giudiziaria; l'assistenza gratuita ai
poveri; la «prontezza» e «l'imparzialità» dei giudici nell'applicazione delle
norme; l'abolizione della carcerazione per debiti, a meno che non venisse
provata la «frode» del debitore; il controllo dell'attività giudiziaria nonché
la possibilità di ricorrere in appello. Volentieri egli si sarebbe portato
nella capitale partenopea dove, il 23 gennaio 1799, era stato nominato membro
del Governo Provvisorio dal comandante in capo Championnet. Ma a Napoli Delfico
non potrà recarsi mai a causa delle insorgenze antifrancesi. Di qui il
rammarico per non poter partecipare all'attività legislativa del Governo
Provvisorio a cui muove l'accusa di aver non solo «abbandonato» ma addirittura
«obliato» le province abruzzesi, lasciando che ovunque si verificassero «le più
ferali tragedie» ad opera di briganti e di scorribande antifrancesi (62). Non è
da escludere a questo punto che proprio durante il periodo pescarese Delfico
abbia elaborato, secondo una prassi piuttosto diffusa in Italia nel triennio
rivoluzionario, una Tavola dei Dritti e dei Doveri dell'uomo e del Cittadino
(63). Il testo, che si ispira alle Dichiarazioni francesi dei diritti del 1789,
del 1793 e del 1795, proclama l'uguaglianza davanti alla legge; riconosce i
diritti inalienabili di libertà, sicurezza, proprietà, resistenza
all'oppressione e i doveri inviolabili di subordinazione, benevolenza,
giustizia e obbedienza alle leggi. Fa risiedere la sovranità nella Nazione, cui
spetta, attraverso i suoi rappresentanti, emanare le leggi, stabilire le
imposizioni, cambiare la costituzione e il governo. Ammette la possibilità di
armarsi contro ogni forma di manifesta violenza e di tirannia e non esclude il
ricorso all'insurrezione, ma solo in casi estremi, mentre condanna le rivolte e
i perturbatori dell'ordine pubblico, per odio forse delle sommosse che si
stavano verificando agli inizi del '99 e di quanti sobillavano le masse contro
le nuove istituzioni. Il 28 aprile 1799, di fronte al crescente stato di
abbandono delle province abruzzesi e alla partenza dei Francesi da Teramo,
Delfico preferisce, prima ancora della caduta della Repubblica napoletana,
lasciare Pescara e sotto il falso nome di Carlo Cauti riparare via mare nelle
Marche, per poi raggiungere nel settembre successivo San Marino (64). Nella
piccola Repubblica rimarrà fino al 1806, quando Giuseppe Bonaparte, divenuto re
di Napoli, in giugno lo chiamerà al suo fianco con la carica di consigliere di
Stato. Durante il soggiorno sammarinese Delfico si interrogherà a lungo
sulla «tempestosa crisi» di fine secolo di cui, come Cuoco (65), critica l'«immatura
ed intempestiva» manifestazione, come pure il metodo rivoluzionario, ritenuto
«distruttivo» (66). La confusione dei princìpi, l'eccesso di passioni assieme a
mal fondati calcoli avevano fatto nascere delle idee politiche così «mostruose»
che per i loro intrinseci difetti non avevano potuto a lungo sopravvivere. Fu
la Francia, afferma, a far sorgere dei canoni politici «falsi e irregolari».
L'Italia, «abbagliata ed attonita - scrive - non ebbe tempo a riflettere, che
le confuse proclamazioni di libertà, benché le provenissero da quella nazione
che aveva prodotti i più grandi filosofi politici del secolo, Montesquieu,
Rousseau, Sieyès, pure non aveva mai essa veduta la libertà in propria casa,
mai ne aveva avuta la pratica né la finezza del senso e il gusto per
conoscerla, così non poteva avere le forze intellettuali e le qualità morali
per effettuare una tale palingenesia» (67). Dal ripensamento della
vicenda rivoluzionaria Delfico trae l'indicazione della necessità di un
recupero della tradizione storica nazionale: «Se si fosse consultata la storia
d'Italia con qualche diligenza, si sarebbe trovato, che lo spirito di ragione e
di moderazione fece dell'Italia il soggiorno o la sede della libertà nei secoli
più remoti» (68). A questo senso di moderazione l'Italia deve continuamente
richiamarsi e gli eventi recenti ed i fatti antichi devono persuaderla, che non
vi è altro mezzo alla sua tranquillità e alla sua felicità. La critica
delficina dell'esperienza rivoluzionaria si risolve, in definitiva, nella ricerca
di una linea politica saggia e realistica che non miri alle magiche
trasformazioni ma proceda per «proporzionate graduazioni» alla realizzazione di
un programma costituzionale a cui è lecito aspirare. Tutta l'attenzione è
rivolta alla individuazione di modi civili più adatti e convenienti all'umana
convivenza i quali, più che nelle forme politiche stereotipe, egli ritiene
realizzabili, riprendendo una definizione vichiana, nei governi umani, di cui
proprio il piccolo Stato di San Marino, nonostante il suo processo di
incivilimento avesse subìto arresti ed involuzioni, rappresentava un modello
politico reale che, in modo non utopistico, «mostrava non essere impossibile
alla specie umana una tal forma di società» (69). Dalla piccola
Repubblica Delfico uscirà diverse volte per riordinare la biblioteca pubblica
della vicina Rimini, dove trascorrerà alcuni mesi nella casa del marchese
Giovanni Maria Belmonte, la cui amicizia risaliva al 1784, o per andare a
Bologna dal suo amico Alberto Fortis, in quel tempo prefetto della biblioteca
nazionale della città. Da gennaio ad aprile del 1803 soggiornerà ad Ascoli
Piceno dal fratello Giamberardino. Nel 1804 si porterà a Milano per seguire la
stampa del suo libro sulla storia di San Marino. Nel capoluogo lombardo, dove sarà
l'ispiratore della ristampa dei Principj della legislazione universale di Georg
Ludwig Schmidt d'Avenstein, rivedrà Vincenzo Cuoco e stringerà nuove amicizie,
tra cui quelle con Giuseppe Bossi, Pietro Custodi e Francesco Saverio Salfi.
Ma, soprattutto, si legherà a Gian Giacomo Trivulzio, a Leopoldo Cicognara,
grazie al quale entrerà in contatto con il celebre scultore Antonio Canova, e a
sua moglie Massimiliana Cislago, donna assai colta e amica di Melchiorre
Cesarotti, con il quale resterà, come con gli altri, in corrispondenza. Infine,
dall'autunno all'inverno di quello stesso anno si fermerà di nuovo ad Ascoli,
da suo fratello. È, quello sammarinese, un periodo in cui Delfico, fuori
dalla vita politica attiva, riprende gli studi e pubblica le Memorie storiche
della Repubblica di S. Marino e l'opera sua più famosa, Pensieri su l'istoria e
sull'incertezza ed inutilità della medesima che, usciti a Forlì nel 1808,
vedono in poco tempo altre due edizioni (70). Lo studio della storia in stretta
relazione con la realtà presente, già ricorrente negli scritti giovanili, trova
nelle Memorie storiche diretta applicazione. Nonostante, infatti, l'Autore
dichiari, nelle battute iniziali della prefazione, di non essere nell'opinione
di coloro i quali riguardano la storia come «maestra della vita e dispensatrice
della civile sapienza» (71), in realtà poi egli, attraverso una ricerca
diligente e vasta, scrive una vera storia. In essa indaga le ragioni del «mito»
di San Marino, di come cioè un piccolo stato abbia mantenuto nel tempo la
propria libertas e serbato l'antica e prediletta forma repubblicana, tanto da
assurgere a modello politico agli inizi del Seicento con Traiano Boccalini,
Lodovico Zuccolo e Matteo Valli. Sotto tale aspetto dunque scrivere la storia
della piccola Repubblica era tutt'altro che inutile, perché essa avrebbe
mostrato le vicende di un popolo che poteva costituire «un esempio degno
d'imitazione» (72). Questa «rivalutazione» dell'esperienza storica (73) appare
quanto meno strana in un pensatore considerato da alcuni l'espressione più
radicale dell'antistoricismo italiano (74). Nei Pensieri Delfico affronta
il problema della conoscenza storica in tutta la sua interezza ed estensione,
per stabilire «se la scienza di ciò che fu, debba preferirsi a quella
dell'esistenza» (75). Con quest'opera esprime l'esigenza, già manifestata
nell'Elogio al Grimaldi, di una storia utile, che indaghi e interroghi il
passato in funzione del presente. Ma perché questo avvenga è necessario ideare
un nuovo modo di fare storia. Alla tradizione storiografica, infatti, egli
rimprovera l'uso di sistemi metodologici inadeguati e parziali che sarebbe la
causa della mancata conoscenza del passato. Come e più di Fontenelle, Voltaire,
d'Alembert, Rousseau, Condorcet, Volney, delle cui Leçons d'histoire (76)
risente la stesura dei Pensieri (77), nega che le ricostruzioni dei fatti fino
ad allora condotte siano state in grado di riprodurre fedelmente la verità
storica. E se priva di certezza, la storia non presenta alcuna vera utilità per
il genere umano. Egli si pone principalmente il problema della manière d'écrire
l'histoire, proprio della storiografia illuministica. A tal fine, denuncia
deficienze e manchevolezze che ancora permangono negli studi storici e lamenta
che la proliferazione incontrollata degli stessi abbia dato luogo ad una loro
stagnazione piuttosto che a un ripensamento critico dei principi e dei criteri
della pratica storiografica. Occorre distogliere l'analisi storica dal proporre
il «secco e nudo racconto» di pochi avvenimenti, per indurla a valutare le
circostanze nel loro complesso, ad indicare i rapporti che intercorrono tra gli
effetti e le loro cause. Essa dovrebbe consistere in un'esposizione analitica
di fatti gli uni dipendenti dagli altri, per scorgere come dai primi e più
semplici siamo gradatamente giunti alle attuali positive cognizioni, di modo
che «mostrandoci i due estremi c'indicherebbe più facilmente la strada da
percorrere, per andare in cerca delle altre verità desiderose di venire alla
luce» (78). Così concepita, l'indagine storica permetterebbe di recuperare
positivamente l'eredità del passato, che cesserebbe di appartenere alla memoria
per divenire una componente integrante del processo storico contemporaneo. Una
convinzione, questa, che trova conferma in un successivo scritto delficino del
1824, Discorso preliminare su le origini italiche (79), in cui viene ribadita
l'opportunità di interrogare il passato e «registrare i fatti del tempo» in
funzione dei bisogni presenti. Quest'azione di cerniera tra il tempo andato e
quello avvenire rappresenta l'aspetto più interessante della storia. Essa la
pone su un piano di parità con le altre scienze a cui l'accomuna il merito di
protendere al miglioramento fisico e morale dell'uomo. Ma perché la ricerca storica
possa adempiere a queste funzioni conoscitive si richiede che essa sia «qual
non esiste», cioè una disciplina nuova, ancora intentata, che Delfico chiama
anche «storia delle scienze». Le cognizioni storiche perdono allora il
carattere di sterile nozionismo, che hanno sempre avuto, e acquistano un valore
intrinseco: «Sobriamente conoscendo quel che fu», afferma a conclusione della
sua opera, «potremo facilitarci la strada a saper ampiamente quel che è»
(80). Un atteggiamento polemico egli assume anche nei confronti delle
mitologie la cui origine sarebbe dovuta a superstizione, ad ignoranza o ad
incapacità di fornire una spiegazione razionale a fenomeni naturali. È il caso
degli incantatori di serpenti e del loro presunto potere antiofidico, contro
cui egli insorge in una Lettera di poche pagine, senza titolo, inserita a guisa
di nota nel VI tomo degli Annali del Regno di Napoli di Francescantonio
Grimaldi (81) e rimasta a lungo sconosciuta agli studiosi (82). La
dissertazione, che si colloca nel filone della letteratura illuministica di
confutazione delle superstizioni, è una dura requisitoria contro gli
«impostori» serpari, i quali spacciano per miracoli e portenti ciò che in
realtà non avrebbe nulla di prestigioso ma sarebbe solo il risultato o di una conoscenza
particolare delle caratteristiche dei serpenti o di effetti naturali. Una
diversa considerazione, invece, egli ha dei cosiddetti «favoleggiatori». Come
il «virtuoso» Socrate e il «divino» Platone, Delfico tiene in grande
considerazione il racconto allegorico. Quando ancora lo spirito umano, afferma
nel Discorso sulle favole esopiane del 1792 (83), non aveva maturato le
sensazioni e le esperienze necessarie per poter generalizzare le idee ed
esprimerle con precisione e proprietà di linguaggio, fu naturale che i primi
pensieri morali, il sentimento di giustizia, le nozioni di bene e di male e
molti altri concetti fossero acquisiti attraverso gli apologhi, che divennero
così «la morale dell'infanzia dell'umanità». La loro utilità non verrebbe meno
neppure nei tempi moderni dal momento che gli apologhi, se convenientemente
scelti, possono giovare non soltanto ai giovani ma anche a quella parte del
popolo che, ancora vittima dell'«errore» e del «pregiudizio», si trova in uno
stato «più infelice» (84) di quello dei secoli remoti. Il ritorno a
Napoli dei Francesi, nel febbraio del 1806, viene salutato come l'inizio di una
nuova stagione politica. Esso rappresenta per lo scrittore teramano
quell'inversione di rotta che «era ormai tempo che si facesse» (85) e che lo
induce a riportarsi, nel giugno di quell'anno, dopo sette anni di esilio
sammarinese, nella capitale partenopea dove farà parte, per quasi un decennio,
della nuova amministrazione francese. Nell'età napoleonica egli intravede la
possibilità di un recupero di quello «spirito di ragione e di moderazione», a
cui riteneva necessario ricondurre la politica dopo la crisi di fine secolo e
che costituiva l'unica via possibile di sviluppo, sia contro gli eccessi dei
rivoluzionari, sia contro le intemperanze dei reazionari. Nominato da
Giuseppe Bonaparte consigliere di Stato (3 giugno 1806), Delfico viene
assegnato alla sezione delle Finanze, per poi passare nel 1809 alla presidenza
della sezione dell'Interno, divenendo uno dei quattro presidenti del Consiglio
di Stato. Regge più volte ad interim il ministero dell'Interno, facendo parte
delle Commissioni per le lauree, per le pensioni, per le riforme del Codice
civile, per la procedura delle cause feudali in Cassazione, per la riforma
della pubblica istruzione, per la ripartizione dei demani, per la vendita dei
beni dello Stato. Presidente della Commissione degli Archivi generali del
Regno, nominato commendatore dell'ordine delle Due Sicilie, nel 1815 viene
insignito da Gioacchino Murat del titolo di Barone (86). I numerosi
incarichi di responsabilità non lo distolgono dalla tensione intellettuale,
tutta incentrata sullo studio della fisiologia e di altre fisiche cognizioni.
Evidente appare il suo debito nei confronti di Pierre-Jean-Georges Cabanis
(1757-1808), sostenitore della sensibilità fisica quale fondamento
dell'attività umana. Delle teorie dei Rapports du physique et du moral de
l'homme (1802), l'opera più importante del filosofo francese, risentono
soprattutto le Ricerche su la sensibilità imitativa considerata come il
principio fisico della sociabilità della specie e del civilizzamento dei popoli
e delle Nazioni del 1813 (87) e la Memoria su la perfettibilità organica
considerata come il principio fisico dell'educazione con alcune vedute sulla
medesima del 1814, cui segue, l'anno successivo, la Seconda memoria (88). Del
1818 sono, infine, le Nuove ricerche sul Bello (89), pubblicate a Napoli da
Agnello Nobile. Con la restaurazione dei Borboni, nel 1815, Delfico
dirada il suo impegno nella vita politica. Ciò nonostante, all'indomani dello
scoppio insurrezionale del 1820, Ferdinando I gli affida l'incarico di tradurre
la Costituzione spagnola del 1812 e subito dopo, il 9 luglio 1820, lo nomina
(assieme ad altri 14) membro della Giunta provvisoria di governo, chiamata a
sostituire il Parlamento fino al suo insediamento. Successivamente sarà uno
degli 89 deputati di quel Parlamento che, costituitosi il 1° ottobre 1820,
vivrà solo fino al marzo 1821, quando Ferdinando I chiederà l'intervento
austriaco per porre fine all'esperienza costituzionale e dar vita ad un nuovo
governo reazionario. Deluso, decide di allontanarsi definitivamente dagli
ambienti governativi. Dopo il crollo del dominio francese in Italia, egli
teme non soltanto la rivalsa delle forze reazionarie ma anche (soprattutto) che
si interrompa quel processo di sviluppo economico e di trasformazione sociale,
avviato dai Napoleonidi (90), che lentamente stava facendo risorgere il Paese.
Nell'azione di ripristino dell'antico, che si svolge all'insegna della
ricomposizione della vecchia alleanza tra trono e altare, il Teramano vede
profilarsi la minaccia di rendere il mondo «stazionario» se non addirittura di
farlo a grandi passi o salti «retrogradare». Un'ipotesi resa, a suo avviso,
ancora più probabile da letture ideologicamente distorte di grandi autori, non
ultimo Niccolò Machiavelli, che alimentano l'esistenza di pregiudizi dei quali
ci si serve per sostenere fini politici particolari. Questo clima è per Delfico
l'occasione (o forse soltanto il pretesto) per una rilettura del «gran politico
pensatore», di cui in gioventù aveva subìto qualche influenza. Scrive così,
agli inizi degli anni venti dell'Ottocento, le Osservazioni sopra alcune
dottrine politiche del Segretario fiorentino (91), nate dall'esigenza di
confrontarsi con Machiavelli intorno ad alcuni temi, come la religione, la
libertà, il problema costituzionale, l'uguaglianza, per smascherare alcuni
pregiudizi che si sarebbero formati sotto la sua «potente autorità» (92), senza
tuttavia tralasciare alcune sue verità che potrebbero risultare ancora utili
per le civili società. Da questo confronto fuoriescono talora divergenze più o
meno accentuate o giudizi critici, ma anche affinità e valutazioni
positive. Dell'«illustre autore» Delfico sottolinea il realismo politico
e l'aderenza alla realtà effettuale. Egli guarda il Principe non come
un'astratta speculazione politica, bensì come uno scritto d'occasione
contenente una particolare proposta operativa, in relazione ad un obiettivo
politico contingente, qual è la rigenerazione dell'Italia. Senza farne a tutti
i costi un precorritore del Risorgimento o un assertore dell'unità nazionale,
secondo un'interpretazione del Fiorentino allora assai diffusa, egli ammira in
lui la «viva passione», la disperata ricerca di soluzioni politiche capaci di
porre fine alla grave crisi della società italiana del Cinquecento. Ma la
condizione di immobilismo e di decadenza politica e civile dell'Italia, per la
quale Machiavelli suggerisce la soluzione del Valentino quale liberatore degli
Stati italiani, non porta lo scrittore teramano a condividere interamente tutte
le tesi del Segretario fiorentino: «Se si possono giustificare le sue
intenzioni, e la persona» afferma «questo non vale per le sue dottrine» (93).
Infatti, se da un lato egli comprende le preoccupazioni di Machiavelli e fa
proprie le sue speranze di una prossima rigenerazione, attuabile quest'ultima
solo attraverso mezzi eccezionali, dall'altro manifesta più di una perplessità
di fronte al suo realismo politico, non riuscendo di fatto ad accettare la
dissociazione machiavelliana tra etica e politica e il principio che «per
regnar tutto lice» (94). Divergenze emergono anche dal tentativo che
Delfico in seguito compie di ricondurre il pensiero machiavelliano ai tempi
presenti per poi valutarlo sulla base delle proprie convinzioni ed esperienze
storiche, politiche e culturali maturate tra il XVIII e il XIX secolo. Molte
sono tuttavia le idee del Fiorentino che considera ancora valide e attuali,
come l'identificazione dell'origine dei conflitti sociali con l'ineguaglianza
giuridica ed economica, l'assoluta inconciliabilità tra gli «umori» del popolo
e quelli dei grandi (95) o la condanna del ruolo antisociale dei
«gentiluomini», di quegli uomini cioè che, «oziosi», vivono dei proventi dei
loro ingenti possedimenti (96). Ma, soprattutto, riconosce a Machiavelli il
merito di aver legato la «questione militare» alla «questione politica», di
aver ritenuto la soluzione dell'una imprescindibile da quella dell'altra. Tale correlazione
presuppone ed implica un nuovo rapporto tra governanti e governati basato sul
reciproco impegno, da parte del popolo, di assicurare la propria «affezione»
allo Stato, così da garantirgli una maggiore stabilità; da parte dei governi,
di soddisfare le aspirazioni dei sudditi, migliorandone le condizioni. Lo
sviluppo di questo vincolo, che con assoluta originalità Delfico fa derivare
dal nesso tra dimensione militare e dialettica politica, è concepito
all'interno di una monarchia costituzionale, considerata la forma più
«conveniente all'Umanità ed ai veri bisogni sociali», la giusta soluzione tra
rivoluzione e reazione. L'emanazione di una carta costituzionale, di cui aveva
manifestato l'esigenza sin dai primi anni della rivoluzione francese, risponde
soprattutto all'esigenza di assicurare l'uguaglianza politica e la tutela dei
diritti individuali dei cittadini, garantendo loro la sicurezza reale e
personale. Nel maggio del 1822 Delfico torna a Teramo, ma nell'autunno
successivo si reca di nuovo a Napoli dove rimane per alcuni mesi, fino alla
primavera del 1823, quando lascia la Capitale per non farvi più ritorno. Nel
capoluogo abruzzese, dove trascorre il resto della sua vita, senza mai più
allontanarsi, l'anziano scrittore continua a studiare e a scrivere. Fra i
lavori di questi anni (alcuni dei quali ancora inediti e, di questi, molti non
terminati o soltanto abbozzati e frammentari) ricordiamo la memoria Della
importanza di far precedere le cognizioni fisiologiche allo studio della
filosofia intellettuale del 1823 (97), in cui ribadisce la sua concezione
materialistica della conoscenza e concepisce la ragione come strumento critico
e operativo, che non deve tuttavia ostinarsi ad indagare l'essenza delle cose e
tutto ciò che non può realmente conoscere ma rivolgersi alle cose utili e
necessarie al benessere e alla felicità del genere umano, e gli scritti sulla
numismatica pubblicati a Teramo dai tipi Ubaldo Angeletti nel 1824 con il
titolo Della antica Numismatica della città di Atri nel Piceno con un discorso
preliminare su le origini italiche (98). Non verrà meno neppure il suo
impegno riformatore che lo porterà ad interessarsi di Pescara in due scritti,
dal titolo Fiera franca in Pescara del 1823 e Breve cenno sul progetto di un
porto da costruirsi alla foce del fiume Pescara del 27 aprile 1825 (99), con i
quali si prefigge di rivitalizzare le attività produttive in questa zona ancora
poco sviluppata del Regno. Decisivo gli appare a tal proposito un rilancio del
commercio, considerato «la sola sorgente inesausta della ricchezza e floridezza
delle Provincie» (100), non senza però aver prima creato le condizioni e le
strutture necessarie per facilitarlo. Una di queste potrebbe essere la
realizzazione di un grande emporio o fiera franca, che non solo ridurrebbe
sensibilmente le frodi e il contrabbando, ma assicurerebbe un notevole afflusso
di merci, di provenienza anche straniera, senza l'imposizione di alcun dazio di
importazione, che eviterebbe ai negozianti, ai mercanti e a molti proprietari
abruzzesi di rivolgersi, non senza grave danno, ai mercati dello Stato
pontificio di Fermo, di Ascoli o a quello più grande e lontano di Senigallia.
Tutto ciò non farebbe che ripercuotersi favorevolmente sul commercio che
potrebbe così finalmente «divenir attivo» (101) e moltiplicare i capitali e far
nascere nuove attività economiche o migliorare e accrescere quelle
esistenti. La creazione di uno moderno scalo marittimo alla foce del
fiume Pescara costituisce l'oggetto della riflessione che Delfico conduce nel
Breve cenno. L'idea che il «mare anziché separare riavvicini le Nazioni fra
loro» (102), permettendo infinite comunicazioni tra i popoli, costituisce la
determinazione dalla quale lo scrittore teramano muove per sostenere l'utilità
che la creazione di un porto sicuro per i naviganti rivestirebbe per
l'incremento del commercio e per lo sviluppo economico in generale. La scelta
di Pescara quale centro di scalo portuale trova giustificazione nel fatto di
avere la cittadina adriatica il fiume con la foce più ampia e di essere «punto
centrale nel litorale degli Abruzzi», crocevia delle tre principali strade,
l'una diretta verso Napoli, le altre, entrambe costiere, in direzione la prima
verso lo stato pontificio, la seconda verso le province meridionali. Non solo,
ma sarebbe anche l'unico porto ad avvalersi di una «piazza forte» che
renderebbe sicuro il trasporto e la conservazione delle merci. Così il porto di
Pescara potrebbe riacquistare quell'importanza che aveva avuto un tempo quando
era conosciuto con il nome di Ostia Aterni e gli imperatori romani vi avevano
fatto confluire le tre strade, la Claudia, la Flaminia e la Frentana per
agevolarne gli scambi commerciali (103). A metà degli anni Venti un libro
anonimo, dal titolo La vérité sur les cent jours, principalement par rapport à
la renaissance projetée de l'Empire Romain, par un Citoyen de la Corse (H.
Tarlier, Bruxelles 1825), di cui uscirà nel 1829 una traduzione italiana
incompleta dal titolo Delle cause italiane nell'evasione dell'imperatore
Napoleone dall'Elba, con la falsa indicazione del luogo e dell'editore del
testo originale, riferisce di una congiura che sarebbe stata ordita nel 1814 da
alcuni italiani per affidare la corona d'Italia a Napoleone Bonaparte. Dei
presunti cospiratori, rimasti anonimi nel libro, l'Autore fa il nome soltanto
del conte Luigi Corvetto (1756-1821), «justement regardé comme un des meilleurs
jurisconsultes de Gênes» e di Melchiorre Delfico, «un des hommes les plus
vertueux de l'Italie», ritenendoli, erroneamente, entrambi deceduti. Al
Teramano viene anche attribuita la stesura di un Rapport adressé à S. M.
l'empereur Napoléon à l'île d'Elbe, par le principal émissaire en Italie,
datato Napoli 14 ottobre 1814 (104), sulle condizioni politiche e morali dei
vari Stati italiani, che sarebbe dovuto servire all'imperatore francese per
meglio valutare le possibilità di successo dell'impresa. Ma nessuna conferma in
proposito è mai venuta dalle carte delficine, né da successive ricerche, per
cui ancora oggi l'ipotesi di una partecipazione del Nostro al progetto resta
legata a quest'unica notizia. Nel 1829 Delfico pubblica la lettera
Della preferenza de' sessi (105) alla contessa Chiara Mucciarelli Simonetti in
cui riprende i temi della condizione ed emancipazione della donna affrontati in
gioventù nel Saggio filosofico sul matrimonio. Trascorre gli ultimi anni della
vita continuando a coltivare i suoi interessi intellettuali. A questo periodo
risalgono i suoi studi sulla scienza medica testimoniati da numerose pagine,
ancora inedite, conservate presso il «Fondo Delfico» della Biblioteca
Provinciale di Teramo, e la stesura di alcuni manoscritti di cui uno dal titolo
Sugli antichi confini del Regno e un altro dal titolo Sull'origine e i
progressi delle Società civili che invia al marchese aquilano Luigi Dragonetti,
il quale ne caldeggia la pubblicazione, ma invano perché il suo autore intende
«rivederlo» (106). Nel 1832 riceve la visita di Ferdinando II, in giro per le
regioni del Regno, e viene insignito, l'anno successivo, dell'onorificenza di
Commendatore dell'Ordine di Francesco I. Nel capoluogo abruzzese Delfico muore
il 21 giugno 1835. Dopo la notorietà di cui aveva goduto in vita, alla
sua morte Delfico cade in un lungo e ingiustificato oblio. Uscito grazie a
Giovanni Gentile (107) dal ristretto ambito locale, che lo aveva reso per tutto
l'Ottocento un autore sostanzialmente sconosciuto, e proiettato in una
dimensione più ampia, nazionale, Delfico è oggetto di una diversa
considerazione a partire dal secondo dopoguerra. Una rivalutazione che si
determina in coincidenza con il rinnovato interesse storiografico per la
cultura e la storia del Settecento e, in particolare, per alcune esperienze
intellettuali e politiche significative dell'illuminismo italiano (108). Merito
di questa storiografia è quello di aver ricondotto e legato il riformismo
delficino all'esperienza e al fervore culturale del movimento riformatore
napoletano della seconda metà del XVIII secolo. Una lettura che ha privilegiato
il Delfico «riformatore», la sua fase riformistica, contrapponendosi alle
rivisitazioni critiche precedenti, sia della storiografia neoidealistica che
del ventennio fascista (109). Di recente, nuove linee interpretative stanno
approfondendo altre fasi fondamentali della biografia intellettuale di Melchiorre
Delfico (alcune delle quali scarsamente scandagliate), come quella relativa al
decennio rivoluzionario 1789-1799 o quelle che contrassegnano la sua
evoluzione, agli inizi dell'Ottocento e durante gli anni della Restaurazione,
da riformatore nutrito dell'illuminismo napoletano a filosofo della storia e
della politica. _______________ (1) Era nato il 1° agosto 1744 in
un paesino vicino Teramo, Leognano, dove i genitori, Berardo e Margherita
Civico, si erano rifugiati durante l'invasione austriaca del Regno di Napoli.
Morirà a Teramo il 21 giugno 1835, all'età di novantun anni. Per le notizie
biografiche, la migliore fonte resta quella del nipote G. De Filippis-Delfico,
Della vita e delle opere di Melchiorre Delfico. Libri due, Angeletti, Teramo
1836, arricchita di un'elencazione degli scritti editi ed inediti del Nostro
(alcuni dei quali successivamente pubblicati), nonché di quelli non terminati e
dei frammenti. Rimasta incompiuta, l'opera continuò sul «Giornale abruzzese di
scienze lettere e arti», a. VI (1841), vol. XVIII, n. LIV, pp. 147-173
e a. VII (1843), vol. XXI, n. LXIII, pp. 129-153, col titolo Notizie
intorno alle opinioni filosofiche ed alle opere di Melchiorre Delfico e, sempre
sulla stessa rivista, a. VII (1843), vol. XXII, n. LXVI, pp. 163-171, col
titolo Notizie sulla vita e sulle opere di Melchiorre Delfico. (2) Molti
degli amici e dei discepoli del Genovesi furono abruzzesi. Fra loro ricordiamo,
oltre ai fratelli Giamberardino, Gianfilippo e Melchiorre Delfico, il teatino
Romualdo de Sterlich, Tommaso Maria Verri di Archi, Giuseppe De Sanctis di
Penne, l'aquilano Giacinto Dragonetti, Giovanni Alò di Roccaraso, il teramano
Giammichele Thaulero e Troiano Odazi di Atri, che nel 1781 successe al Maestro
nella cattedra di economia. Sulla presenza anche in Abruzzo di quello che è
stato definito il «partito genovesiano», cfr. G. De Lucia, Abruzzo
borbonico. Cultura, società, economia tra Sette e Ottocento, Cannarsa, Vasto
1984, pp. 23-31 e 46-49; U. Russo, Studi sul Settecento in Abruzzo, Solfanelli,
Chieti 1990, pp. 25-31 e 53-63. (3) F. Diaz, Dal movimento dei lumi al
movimento dei popoli, Il Mulino, Bologna 1986, p. 317. (4) Sul riformismo
borbonico, cfr. F. Valsecchi, Il riformismo borbonico in Italia, Bonacci, Roma
1990, pp. 103-155; I Borbone di Napoli e i Borbone di Spagna, a cura di
M. Di Pinto, Guida, Napoli 1985, vol. I; E. Chiosi, Il Regno dal 1734 al 1799,
in Storia del Mezzogiorno, vol. IV, t. II, Il Regno dagli Angioini ai Borboni,
Edizioni del Sole, Roma 1986, pp. 373-467, e la sintesi di a. M. Rao, Il
riformismo borbonico a Napoli, in Storia della società italiana, vol. 12, Il
secolo dei lumi e delle riforme, Teti, Milano 1989, pp. 215-290, e la
ricca bibliografia in essa contenuta. (5) Lo scritto, dedicato a Bartolomeo
Intieri e pubblicato assieme al Ragionamento sopra i mezzi più necessari per
far rifiorire l'agricoltura dell'abate Ubaldo Montelatici colla Relazione
dell'erba orobanche detta volgarmente succiamele e del modo di estirparla di
Pier-Antonio Micheli, uscì a Napoli nel 1753. (6) A. Genovesi, Lettere
accademiche su la questione se sieno più felici gl'ignoranti che gli scienziati
(Napoli 1764), Lettera XI, in Autobiografia, lettere e altri scritti, a cura di
G. Savarese, Feltrinelli, Milano 1962, p. 497. (7) Per una valutazione
dell'influenza di Pietro Giannone sulla cultura napoletana del XVIII secolo
oltre al lavoro sempre valido di L. Marini, Pietro Giannone e il giannonismo a
Napoli nel Settecento. Lo svolgimento della coscienza politica del ceto
intellettuale del regno, Laterza, Bari 1950, cfr. G. Ricuperati, L'esperienza
civile e religiosa di Pietro Giannone, Ricciardi, Milano-Napoli 1970; Pietro
Giannone e il suo tempo, a cura di R. Ajello, Jovene, Napoli 1980, 2 voll., sp.
il contributo di E. Chiosi, La tradizione giannoniana nella seconda metà del
Settecento, vol. II, pp. 744-780. (8) Sulla posizione di Genovesi nei
confronti dell'autorità temporale e dottrinale della Chiesa, cfr. E. Pii,
Antonio Genovesi. Dalla politica economica alla «politica civile», Olschki,
Firenze 1984, p. 158 sgg.; G. Galasso, La filosofia in soccorso de' governi. La
cultura napoletana del Settecento, Guida, Napoli 1989, p. 383 sgg. (9) Le
due Memorie, dal titolo Intorno a' dritti sovrani di Napoli sulla città di
Benevento e Saggio istorico delle ragioni dei Sovrani di Napoli sopra la città
d'Ascoli d'Abruzzo oggi nella Marca, furono commissionate a Delfico
dall'avvocato della Corona Ferdinando De Leon. Della prima, tuttora inedita,
esiste una copia autografa presso l'Archivio di Stato di Teramo, «Fondo
Delfico», b. 16, fasc. 178, dal titolo Del territorio beneventano. La seconda,
invece, fu pubblicata la prima volta su «La Rivista abruzzese di scienze e
lettere» nel 1890 (a. V, fasc. I, pp. 22-30; fasc. III-IV, pp. 142-168; fasc. V-VI,
pp. 248-261; fasc. VII, pp. 305-322 e fasc. VIII, pp. 358-365), preceduta dalle
Notizie di L. Volpicella sulle vicende del manoscritto. Il Saggio istorico è
stato riedito nelle Opere complete, vol. III, Fabbri, Teramo 1903, pp. 9-80. La
raccolta, che non esaurisce tutti gli scritti delficini (alcuni dei quali
pubblicati successivamente, altri ancora inediti), esce a Teramo dal 1901 al
1904, in quattro volumi, a cura di G. Pannella e L. Savorini. (10) M.
Delfico, Del territorio beneventano, cit., p. 17. (11) F. Venturi,
Introduzione ai Riformatori napoletani, t. V degli Illuministi italiani,
Ricciardi, Milano-Napoli 1962, p. XVI. (12) G. De Filippis-Delfico, Della
vita e delle opere di Melchiorre Delfico, cit., p. 11. (13) M. Delfico,
Memoria autobiografica, inedita, conservata presso la Biblioteca Provinciale di
Teramo, fondo «Manoscritti Delfico», Misc. 3, n. 846. (14) M. Delfico,
Saggio filosofico sul matrimonio, in Opere complete, cit., vol.
III, p. 126. (15) A. Garosci, San Marino. Mito e storiografia tra i
libertini e il Carducci, Edizioni di Comunità, Milano 1967, p. 167. (16)
Lettera di Delfico a Luigi Dragonetti del 10 luglio 1826, in Spigolature nel
carteggio letterario e politico del march. Luigi Dragonetti, a cura del
marchese G. Dragonetti suo figlio, Uffizio della Rassegna Nazionale, Firenze
1886, p. 122. La lettera è stata riedita nelle Opere complete, cit., vol. IV,
p. 54. (17) M. Delfico, Indizi di morale, in Opere complete, cit., vol.
I, p. 36. (18) Sull'ambiguità concettuale di tale espressione cfr. M.
Bazzoli, Il pensiero politico dell'assolutismo illuminato, La Nuova Italia,
Firenze 1986, pp. 1-24; L. Guerci, L'Europa del Settecento. Permanenze e
mutamenti, Utet, Torino 1988, pp. 501-508. (19) M. Delfico, Indizi di morale,
cit., pp. 48-49. (20) Ivi, p. 47. (21) Per una ricostruzione
dell'intera vicenda rinvio a V. Clemente, Rinascenza teramana e riformismo
napoletano (1777-1798). L'attività di Melchiorre Delfico presso il Consiglio
delle Finanze, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1981, pp. 71-85.
(22) L'espressione è ricorrente nella Relazione di Mons. Luigi Pirelli alla
Sacra Congregazione del Concilio del 14 febbraio 1778, in V. Clemente,
Rinascenza teramana e riformismo napoletano, cit., pp. 86-99. (23) Cfr.
M. Delfico, Discorso sullo stabilimento della milizia provinciale, in Opere
complete, cit., vol. III, pp. 164-165. (24) F. Venturi, Nota introduttiva
(a M. Delfico), in Riformatori napoletani, cit., p. 1168. (25) Favorevole
nel 1783 ad un più moderno sviluppo dell'attività risiera per una ripresa
economica della sua provincia, Delfico assumerà alcuni anni più tardi un
atteggiamento decisamente contrario alla risicoltura. Su tale mutamento, cfr.
V. Clemente, Cronache della defeudalizzazione in provincia di Teramo: le risaie
atriane (1734-1831), in «Itinerari», a. XXIV (1985), n. 1-2-3, pp.
21-154. (26) M. Delfico, Elogio del marchese D. Francescantonio Grimaldi,
presso Vincenzo Orsino, Napoli 1784, in Opere complete, cit., vol. III, pp.
222-260. (27) Delfico ammira soprattutto la Vita di Ansaldo Grimaldi
(Napoli 1769), poiché in essa l'Autore era riuscito a saldare la vicenda
dell'uomo di Stato genovese con la storia politica dello Stato stesso e a far
vedere come la mancanza di costituzioni e di leggi fondamentali tenesse lo
Stato «in continua rivoluzione» (Elogio del marchese D. Francescantonio
Grimaldi, cit., p. 235). (28) M. Delfico, Elogio del marchese D.
Francescantonio Grimaldi, cit., p. 245. (29) J.-J. Rousseau, Discours sur
l'origine et les fondements de l'inégalité parmi les hommes (1754), in Oeuvres
complètes, vol. III, Gallimard, Paris 1964, p. 193. (30) M.
Delfico, Elogio del marchese D. Francescantonio Grimaldi, cit., p. 253.
(31) Su tale associazione, fondata il 1° maggio 1776 ad Ingolstadt da Adam
Weishaupt, cfr. C. Francovich, Gli Illuminati di Baviera, in Storia della
massoneria in Italia dalle origini alla rivoluzione francese, La Nuova Italia,
Firenze 1974, pp. 309-334. (32) Alcune lettere sono state pubblicate nel
quarto volume delle Opere complete di Delfico, cit., pp. 154-162; altre sono
apparse nel primo volume di Aus dem Briefwechsel Friedrich Münters. Europäische
Beziehungen eines dänischen Gelehrten 1780-1830, herausgegeben von Ø.
Andreasen, Erster Teil, P. Haasse, Kopenhagen-Leipzig 1944, pp. 215-220. Due di
queste ultime sono state riprodotte in appendice al libro di A. Di Nardo,
Storia e scienza in Melchiorre Delfico. (Studi e ricerche), Libera Università
Abruzzese degli Studi «G. D'Annunzio», Facoltà di Lettere e Filosofia, Chieti
1978, pp. 154-155 e 157-160, il quale ha pubblicato altre lettere di Delfico a
Münter, assieme ad alcune lettere di Delfico alla sorella del Danese Federica
Brun (ivi, pp. 140-166). Altre, ancora inedite, sono conservate presso la
Biblioteca Provinciale di Teramo. (33) M. Delfico, Memoria sul Tribunal
della Grascia e sulle leggi economiche nelle provincie confinanti del Regno,
Porcelli, Napoli 1785, ora in Opere complete, cit., vol. III, pp.
265-323. (34) G. Solari, Studi su Francesco Mario Pagano, a cura di L.
Firpo, Giappichelli, Torino 1963, p. 201. Sullo stesso piano l'Autore pone
l'altro scritto di Delfico, Memoria sulla libertà del commercio, e l'opera
sull'Annona di Domenico Di Gennaro, duca di Cantalupo, pubblicata anonima a
Palermo nel 1783. (35) M. Delfico, Memoria sul Tribunal della Grascia,
cit., p. 279. (36) M. Delfico, Discorso sul Tavoliere di Puglia e su la
necessità di abolire il sistema doganale presente e non darsi luogo ad alcuna
temporanea riforma, Napoli 1788, ora in Opere complete, cit., vol. III, pp.
359-396. (37) M. Delfico, Discorso sul Tavoliere di Puglia, cit., p.
370. (38) Il testo è stato pubblicato da L. Tossini, Una lettera inedita
di Melchiorre Delfico a Michele Torcia, in «Nord e Sud», a. XXIV (1977), terza serie,
n. 31-32, pp. 191-199. La lettera è datata Teramo, 7 ottobre 1784. (39)
Scritta tra il 1789 e il 1790, su invito dell'Accademia di Padova agli
scrittori italiani di occuparsi del problema della libertà di commercio, la
Memoria fu stampata la prima volta nel 1805 a Milano, presso Destefanis, nel t.
XXXIX della raccolta Scrittori classici italiani di economia politica, a cura
di P. Custodi. L'opuscolo è stato recentemente riedito (De Petris, Teramo 1985)
con un'introduzione di M. Finoia. Sul problema Delfico tornerà alcuni anni dopo
con il Ragionamento su le carestie, in cui apporta alcune «modificazioni e
moderazioni» al principio della libertà assoluta e illimitata di commercio,
auspicando nel mercato l'intervento diretto dello Stato, cui riconosce il
compito di prevenire il «terribile flagello» delle carestie e di altri simili
avvenimenti. Il testo, letto il 1° dicembre 1818 nella Reale Accademia delle
Scienze di Napoli e pubblicato nel 1825 negli Atti dell'Accademia stessa (vol.
II, parte I, pp. 3-43), è stato riedito a Teramo nel 1985 assieme alla Memoria
sulla libertà del commercio. (40) Se, dopo varie insistenze, all'inizio
del 1788 ottiene, come aveva richiesto due anni prima nella Memoria per il
ristabilimento del Tribunale Collegiato nella Provincia di Teramo (in V.
Clemente, Rinascenza teramana e riformismo napoletano, cit., pp. 255-257), il
ripristino a Teramo di detto Tribunale, in luogo dei magistrati unici, più
agevolmente portati all'abuso del potere, non altrettanta fortuna incontreranno
invece le sue richieste sia di abolizione della servitù degli Stucchi, del
1786, sia di istituzione di una Università degli Studi a Teramo ad indirizzo
«fisico» ed orientamento laico, avanzata agli inizi di maggio del 1788. Sugli
sviluppi delle iniziative delficine si vedano R. Di Antonio, Stucchi e
Doganelle nel teramano, Libera Università Abruzzese degli Studi «G.
D'Annunzio», Facoltà di Scienze Politiche, Teramo 1978, pp. 7-24, la quale
pubblica in appendice la Memoria sugli Stucchi e le Memorie su di un nuovo sistema
per le Doganelle, e G. Carletti, Introduzione a M. Delfico, Una «piccola»
Università a Teramo, Quaderni dell'Università di Teramo, Teramo 1999, n. 6, pp.
3-7. (41) La Memoria è pubblicata in appendice al volume di a. M. Rao,
L'«amaro della feudalità». La devoluzione di Arnone e la questione feudale a
Napoli alla fine del '700, Guida, Napoli 1984, pp. 349-367. (42) M.
Delfico, Memoria per la vendita de' beni dello Stato d'Atri, cit., p.
354. (43) Memoria delficina, rimasta interrotta e tuttora inedita,
conservata presso la Biblioteca Provinciale di Teramo, fondo «Manoscritti
Delfico», Ined., n. 402. (44) In Lombardia Delfico si trattenne fino al
mese di giugno del 1789 per poi trasferirsi prima a Verona, dove rimase due
mesi, e in seguito a Vicenza, Padova, Venezia e Ferrara, finché nel novembre
del 1789 rientrò in patria. Su questo viaggio e sui legami di amicizia che ebbe
modo di stringere e di rinsaldare, cfr. G. De Filippis-Delfico, Della vita e
delle opere di Melchiorre Delfico, cit., p. 25 sgg. (45) Ora in Opere
complete, cit., vol. III, pp. 403-431. (46) L'opera, che provocò subito
«molto chiasso», sia per le reazioni della classe togata, sia per gli elogi che
ricevette da più parti, fu pubblicata a Napoli, presso Giuseppe Maria Porcelli,
nel 1791 e fu ristampata a Firenze nel 1796 e una terza volta di nuovo a Napoli
nel 1815. (47) C. Ghisalberti, La giurisprudenza romana nel pensiero di
Melchiorre Delfico, in «Rivista italiana per le scienze giuridiche», a. VIII
(1954), vol. VII, parte II, p. 432. (48) M. Delfico, Ricerche sul
vero carattere della giurisprudenza romana, in Opere complete, cit., vol. I,
pp. 225 e 105. (49) Troiano Odazi (1741-94), nativo di Atri, in provincia
di Teramo, fu tra i maggiori economisti napoletani della seconda metà del
Settecento. Allievo del Genovesi, nel 1768 ne curò l'edizione milanese Delle
lezioni di commercio o sia d'economia civile. Nominato nel 1779 professore di
Etica nel Reale convitto della Nunziatella, nell'ottobre del 1781 fu chiamato a
ricoprire la cattedra di Economia e Commercio che era stata del Genovesi e
rimasta vacante per diversi anni. Esponente della massoneria napoletana, fu
coinvolto nel fatti del '94. Arrestato, morì suicida nelle carceri della
Vicaria il 20 aprile di quell'anno. Sulla fine dell'Odazi, cfr. G. Beltrani,
Don Trojano Odazi. La prima vittima del processo politico del 1794 in Napoli,
in «Archivio storico per le province napoletane», a. XXI (1896), fasc. I, pp.
853-867. (50) B. Croce, La rivoluzione napoletana del 1799, Laterza, Bari
19264, p. 24. (51) Sulle tappe di questo viaggio, cfr. G. De
Filippis-Delfico, Della vita e delle opere di Melchiorre Delfico, cit., pp.
38-46. (52) Si veda la lettera di Delfico a Fortis del 9 gennaio 1797 da
Teramo, in M.G. Riccobono, Contributo per l'epistolario di Melchiorre Delfico,
in «Rassegna della letteratura italiana», a. 87 (1983), serie VIII, n. 3, p.
419. (53) L'ipotesi di una partecipazione al concorso origina da De
Filippis-Delfico, il quale riporta tra le opere delficine «non-terminate» (cfr.
Della vita e delle opere di Melchiorre Delfico, cit., p. 122), un opuscolo di
26 pagine privo di intestazione e da lui intitolato Sul quesito: Quale sia il
miglior de' governi per l'Italia?, anche se poi nessuna notizia, sia in merito
a questo testo sia relativa al concorso, fornisce nella ricostruzione
biografica dell'Autore. Su questo aspetto si veda G. Carletti, A proposito di
un'anonima dissertazione. Note sulla presunta partecipazione di Melchiorre
Delfico al concorso del 1796, in «Trimestre», a. XXXII (1999), n. 3-4, in corso
di pubblicazione. (54) Sono del 1797 le delficine Memoria per la Decima
imposta al Regno; Memoria intorno a' danni sofferti nella provincia di Teramo
dalla cattiva monetazione dello Stato pontificio, e de' mezzi opportuni da
ripararli ed infine Osservazioni su la nuova monetazione dello Stato papale per
rapporto al commercio delle provincie confinanti del Regno, ancora tutte
inedite. (55) Lettera di Delfico a Fortis del 7 novembre 1793, in M.G.
Riccobono, Contributo per l'epistolario di Melchiorre Delfico, cit., pp.
415-416. Il vescovo a cui allude è Luigi Maria Pirelli (1740-1820), nobile di
Ariano, religioso dell'Ordine dei Regolari teatini, vescovo di Teramo dal 1777
al 1804 e sin dal suo arrivo avverso alla famiglia Delfico. Nella Relazione
risponsiva alle accuse, del 18 dicembre 1793 (pubblicata da L. Tossini,
Autodifesa di un illuminista, in «Archivio storico per le province napoletane»,
terza serie, a. XVI (1977), pp. 86-97), egli era costretto a difendere la propria
reputazione dinanzi al Supremo Consiglio a causa di «vaghe» e «calunniose
imputazioni» di qualche delatore. La denuncia del '93, pur non avendo gravi
conseguenze, riuscì tuttavia ad impedire che Delfico succedesse al fratello
nella presidenza della Società Patriottica di Teramo. Nel 1794 una nuova
denuncia anonima era stata all'origine del rifiuto del Supremo Consiglio di
accogliere la richiesta del Teramano del titolo di conte. Non avrebbe ottenuto
il titolo neppure in seguito, ma con decreto del 25 marzo 1815 Gioacchino Murat
gli avrebbe conferito quello di barone. (56) Il pretesto è fornito da
alcune lettere «rivoluzionarie» sequestrate ad una loro domestica, da poco
licenziata, mentre faceva ritorno ad Ascoli Piceno. Interrogata, la donna avrebbe
affermato di averle ricevute da Alessio Tullj e da Eugenio Michitelli, entrambi
frequentatori di casa Delfico. Si veda in proposito la Memoria della
persecuzione subita dalla famiglia Delfico nel 1799, scritta presumibilmente da
Giamberardino Delfico «allo scopo - è precisato in un'annotazione - di ottenere
il dissequestro dei propri beni», dopo che, condannato dai Regi inquisitori nel
processo contro «i rei di Stato» e trasferito nell'agosto del 1800 nei castelli
di Puglia, era stato liberato in seguito all'indulto generale del 1° maggio
1801. Il testo è stato pubblicato da V. Clemente su «Storia e civiltà», a. IV
(1988), n. 4, pp. 368-385 e a. V (1989), n. 1-2, pp. 39-56. L'episodio che
portò all'arresto dei Delfico è a p. 375 sgg. (57) I Francesi, al comando
del generale Rusca, erano entrati in Abruzzo il 6 dicembre 1798. L'11 dicembre
in 1500 arrivarono a Teramo. Messe in fuga dai rivoltosi, le truppe francesi
riconquisteranno la città il 23 dicembre, per poi occupare Pescara, Sulmona e
Penne il 24 e Chieti il 25. Per una ricostruzione di queste vicende,
fondamentale resta l'opera di L. Coppa-Zuccari, L'invasione francese negli
Abruzzi, voll. I e II, Vecchioni, L'Aquila 1928, voll. III e IV, Tip. Consorzio
Nazionale, Roma 1939. Sull'arrivo e sulla permanenza dei Francesi a Teramo cfr.
anche le tre cronache del periodo rivoluzionario, A. De Jacobis, Cronaca degli
avvenimenti in Teramo ed altri luoghi d'Abruzzo 1777-1822 (in L. Coppa-Zuccari,
L'invasione francese negli Abruzzi, cit., vol. III, pp. 38-440); G. Tullj,
Minuta relazione dei fatti sanguinosi seguiti in Teramo dall'anno 1798 al 1814,
con postille e con la continuazione del canonico Niccola Palma (pubblicata da
V. Clemente col titolo Una cronaca inedita teramana (1798-1814), in «Storia e
Civiltà», a. IX (1993), n. 3-4, pp. 269-285; a. X (1994), n. 1-2, pp. 93-116 e
n. 3-4, pp. 148-172; a. XI (1995), n. 1-2, pp. 94-118 e n. 3-4, pp. 175-196; a.
XII (1996), n. 1-2, pp. 58-86 e n. 3-4, pp. 171- 195); C. Januarii, Avvenimenti
seguiti nel Teramano dal 1798 al 1809, Teramo 1999. (58) Il Consiglio, di
cui fecero parte, oltre a Delfico, i lancianesi Carlo Filippo De Berardinis e
Antonio Madonna, entrò in funzione subito dopo e svolse la sua attività non
oltre la fuga del suo presidente da Pescara avvenuta il 28 aprile successivo.
Cfr., in proposito, M. Battaglini, Abruzzo 1798-1799. Una repubblica giacobina,
in «Rassegna storica del Risorgimento», a. LXXV (1988), fasc. I, pp. 11-12, ora
in La Repubblica napoletana. Origini, nascita, struttura, Bonacci, Roma 1992,
pp. 188-189. Sull'esperienza pescarese di Delfico, cfr. anche F.
Masciangioli, Melchiorre Delfico e Pescara. Per una storia del rapporto tra
intellettuali ed esperienze giacobine in Abruzzo, in «Trimestre», a. XX (1987),
n. 1-2, pp. 41-69. (59) Sullo spirito di moderazione di Delfico,
interessato a trovare una mediazione tra eccessi rivoluzionari e intemperanze
reazionarie, cfr. G. Carletti, Melchiorre Delfico. Riforme politiche e
riflessione teorica di un moderato meridionale, ETS, Pisa 1996, p. 135 sgg.
(60) Cfr. G. Galasso, I giacobini meridionali, in «Rivista storica italiana», a
XCVI (1984), fasc. I, p. 78 sgg., ora in La filosofia in soccorso de' governi,
cit., p. 519 sgg. (61) Il testo è stato pubblicato da R. Persiani,
Alcuni ricordi politici nella massima parte abruzzesi al cadere del XVIII e
principio del XIX secolo con documenti e note, in «Rivista abruzzese di
scienze, lettere ed arti», a. XVII (1902), fasc. VII-VIII, pp. 435-439.
Senz'altro meno importante è l'altro atto a firma di Melchiorre Delfico,
Proclama sulla sicurezza pubblica del 15 ventoso anno VII (5 marzo 1799), con
il quale venivano fissate alcune disposizioni per combattere il vagabondaggio.
(Ivi, pp. 441-442). I due testi sono stati recentemente riediti assieme ad
altri scritti delficini da G. Carletti, La «Pescara» di Melchiorre Delfico,
Edizioni Tracce, Pescara 1999, pp. 51-55 e 57-58. (62) Cfr. la lettera di
Delfico al Governo Provvisorio, da Pescara, datata 7 germile an. 7 Rep. (27
marzo 1799), in Il Monitore Napoletano 1799, a cura di M. Battaglini, Guida,
Napoli 1974, pp. 695-696. Sulle insorgenze nella regione, cfr. R. Colapietra,
Le insorgenze di massa nell'Abruzzo in età moderna, in «Storia e politica», a.
XX (1981), fasc. 1, pp. 1-46, e il più recente volume Per una rilettura
socio-antropologica dell'Abruzzo giacobino e sanfedista, Edizioni Città del
Sole, Napoli 1995. (63) Per il testo cfr. G. Carletti, Melchiorre
Delfico, cit., pp. 138-139. (64) Sulla permanenza del Teramano nella
Repubblica sammarinese, cfr. F. Balsimelli, Melchiorre Delfico e la Repubblica
di San Marino, Arti Grafiche Della Balda, San Marino 1935. (65) Cfr. V.
Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, II ed. con
aggiunte dell'Autore, Dalla Tipografia di Francesco Sonzogno, Milano 1806, p.
96 sgg. (66) Si veda l'ormai nota Prefazione alle Memorie storiche della
Repubblica di S. Marino (Milano 1804), in Opere complete, cit., vol. I, pp.
249-250. (67) Ivi, p. 472. (68) Ibidem. (69) Ivi, p.
250. (70) Il libro, il cui titolo originale era Esame della Storia, e dei
suoi vantati pregi, vide la luce due anni dopo che Delfico l'aveva consegnato
alla stamperia Roveri e Casali. La seconda e la terza edizione uscirono a
Napoli nel 1809 e nel 1814. (71) M. Delfico, Memorie storiche della
Repubblica di S. Marino, cit., p. 249. (72) Ivi, p. 246. (73) Cfr.
M. Agrimi, La vicenda rivoluzionaria e le riflessioni sulla storia: Melchiorre
Delfico, in «Itinerari», a. XXIII (1984), n. 3, p. 94. (74) Cfr. G.
Gentile, Dal Genovesi al Galluppi, Edizioni della «Critica», Napoli 1903, p. 46
sgg., il quale afferma che nessuno prima di allora aveva negato la storia nel
modo assoluto del Teramano. Un estremo radicalismo nell'«antistoricismo»
delficino è stato rilevato anche da B. Croce, La storiografia in Italia dai
cominciamenti del secolo decimonono ai giorni nostri: 1. Il «secolo della
storia» e 2. Il nuovo pensiero storiografico, in «La Critica», a.
XIII (1915), rispettivamente fasc. I, pp. 16-18 e fasc. II, p. 95, poi
rielaborati nel volume Storia della storiografia italiana nel secolo
decimonono, Laterza, Bari 1921, e da G. De Ruggiero, Il pensiero politico
meridionale nei secoli XVIII e XIX, Laterza, Bari 1921, pp. 158-165.
(75) M. Delfico, Pensieri su l'istoria e sull'incertezza ed inutilità
della medesima, in Opere complete, cit., vol. II, p. 11. (76) Il
titolo per esteso dell'opera è Leçons d'histoire, prononcées à l'École Normale
en l'an III de la République française, par C.-F. Volney, chez J.A. Brosson,
Paris an VIII. (77) Sull'affinità di vedute dei due autori, cfr. C.
Rosso, De Volney à Melchiorre Delfico: l'histoire, une discipline aussi inutile
que dangereuse, in L'héritage des lumières: Volney et les idéologues, Presses
de l'Université, Angers 1988, pp. 345-356. (78) M. Delfico,
Pensieri su l'istoria e sull'incertezza ed inutilità della medesima, cit., p.
43. (79) Ora in Opere complete, cit., vol. II, pp. 307-325. (80) M.
Delfico, Pensieri su l'istoria e sull'incertezza ed inutilità della medesima,
cit., p. 174. (81) Porcelli, Napoli 1781, Epoca I, pp. 329-338. Grimaldi
si era rivolto all'amico teramano per avere notizie sull'esistenza nella
Marsica moderna di antiche costumanze di carattere ofidico e su eventuali
relazioni tra queste e i rituali moderni. La Lettera delficina venne ricordata
alle pp. 18-21 della recensione al volume di Grimaldi apparsa nel fascicolo del
febbraio 1784 del «Nuovo Giornale enciclopedico» per mano, molto probabilmente,
del suo principale estensore Alberto Fortis. (82) Per un esame critico del
testo, riprodotto in appendice, cfr. G. Profeta, Una ignorata dissertazione di
Melchiorre Delfico sugli incantatori di serpenti, in «Lares», a. XLV (1979), n.
1, pp. 5-53, ora anche nel volume Lupari incantatori di serpenti e santi
guaritori nella tradizione popolare abruzzese, Japadre, L'Aquila-Roma 1995, pp.
79-138. (83) Lo scritto, ideato e posto come prefazione alle ancora
inedite Favole morali di Alessio Tullj, è stato pubblicato da A. Marino, in
«Aprutium», a. IV (1986), n. 3, pp. 32-48. (84) M. Delfico, Discorso
sulle favole esopiane, cit., pp. 39-40. (85) Lettera di Delfico a Teresa
Onofri del 21 marzo 1806, in F. Balsimelli, Epistolario di Melchiorre Delfico.
Lettere sammarinesi, Arti grafiche Della Balda, San Marino 1934, p.
53. (86) Sull'attività del Teramano nell'amministrazione francese, cfr.
G. Palmieri, Melchiorre Delfico e il decennio francese (1806-1815), Edizioni
del Gallo Cedrone, L'Aquila 1986, il quale riproduce in appendice alcuni
scritti delficini del periodo; R. Feola, La monarchia amministrativa. Il
sistema del contenzioso nelle Sicilie, Jovene, Napoli 1985, pp. 125-135.
(87) Ora in Opere complete, cit., vol. III, pp. 471-497. (88) Ora
in Opere complete, cit., vol. III, rispettivamente pp. 501-528 e pp. 531-550.
(89) Ripubblicate nelle Opere complete, cit., vol. II, pp. 187-294, le Nuove
ricerche sul Bello sono state recentemente riedite a cura di A. Marroni,
Ediars, Pescara 1999. (90) Per un quadro d'insieme dell'attività
amministrativa e dell'opera legislativa dei Napoleonidi nel Regno napoletano,
oltre al volume, notevolmente arricchito e ampliato rispetto alla prima
edizione del 1941, di A. Valente, Gioacchino Murat e l'Italia meridionale,
Einaudi, Torino 1976, pp. 231-332, cfr. P. Villani, Il decennio francese, in
Storia del Mezzogiorno, vol. IV, t. II, Il Regno dagli Angioini ai Borboni,
cit., pp. 575-639. Spunti critici anche in Studi sul Regno di Napoli nel
decennio francese (1806-1815), a cura di A. Lepre, Liguori, Napoli 1985.
(91) Rimasto inedito, il testo finale è tuttora irreperito ma di esso si
conservano due stesure pubblicate da A. Marino, Scritti inediti di Melchiorre
Delfico, Solfanelli, Chieti 1986, rispettivamente pp. 19-42 e 59-79. (92)
M. Delfico, Osservazioni sopra alcune dottrine politiche del Segretario fiorentino,
cit., p. 20. (93) Ivi, p. 67. (94) Cfr. ivi, pp. 29 e 70.
(95) Cfr. N. Machiavelli, Istorie fiorentine, in Opere di Niccolò Machiavelli
Cittadino e Segretario fiorentino, Italia 1813, vol. I, lib. II, cap.
XII, p. 79. (96) Cfr. N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca
di Tito Livio, in Opere, cit., vol. III, lib. I, cap. LV, p. 159. (97)
Ora in Opere complete, cit., vol. III, pp. 567-588. (98) L'opera,
notevolmente ampliata, fu ristampata a Napoli nel 1826, per i tipi di Angelo
Trani, col titolo Dell'antica Numismatica della città di Atri nel Piceno con
alcuni opuscoli su le origini italiche, ora in Opere complete, cit., vol. II,
pp. 299-505. (99) Pubblicati nelle Opere complete, vol. IV, pp. 293-305 e
vol. III, pp. 631-644, i due testi sono stati riediti da G. Carletti, La
«Pescara» di Melchiorre Delfico, cit., rispettivamente pp. 23-36 e pp.
37-50. (100) M. Delfico, Breve cenno, cit., p. 37. (101) M.
Delfico, Fiera franca in Pescara, cit., p. 32. (102) M. Delfico, Breve
cenno, cit., p. 38. (103) Cfr. ivi, pp. 47-49. (104) Ora, tradotto,
in Opere complete, cit., vol. IV, pp. 325-333, col titolo Rapporto sull'Italia
inviato a Napoleone e attribuito a M. Delfico. (105) M. Delfico, Della
preferenza de' sessi. Lettera all'ornatissima signora contessa Chiara
Mucciarelli Simonetti del 12 marzo 1827, pubblicata a Siena nel 1829 ed ora in
Opere complete, cit., vol. IV, pp. 31-45. (106) Cfr. la lettera di
Delfico a Dragonetti dell'8 marzo 1834, in Spigolature nel carteggio letterario
e politico del march. Luigi Dragonetti, cit., p. 156. (107) Cfr. G.
Gentile, Dal Genovesi al Galluppi, cit., pp. 18-87. (108) Per un quadro
d'insieme di queste esperienze, cfr. il volume di D. Carpanetto - G.
Ricuperati, L'Italia del Settecento. Crisi, trasformazioni, lumi, Laterza,
Roma-Bari 1993, e la ricca bibliografia in esso contenuta. (109) Per una
ricognizione degli studi delficini, cfr. G. Carletti, Recuperi, oblii e
prospettive. Per una storia critica della storiografia delficina, in «Trimestre»,
a. XX (1987), n. 1-2, pp. 5-40. Il cavaliere Commendatore Melchiorre dei
Marchesi Deflico. Melchiorre III Delfico de Civitella. Melchiorre Delfico. Civitella.
Keywords: giurisprudenza romana, sul bello, estetico, sensus, il vero carattere
della giurisprudenza romana, suoi cultore, benevolanza conversazionale, giustizia
conversazionale, il principio di sensibilita imitativa, l’estetico,
l’imitazione della natura, l’espressione. La storia romana, incertezza e
unitilita – la giurisprudenza romana fino alla caduta della repubblica,
aristocrazia versus benevolenza, benevolenza conversazionale tra iguali. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Civitella” – The Swimming-Pool Library.
COCO (Umbriaco).
Filosofo. Grice: “Typically, while in the Italian North, Conte can play with
words, in the Italian South, Coco must work for the workers! Is conversation a
work? I think so – lavoro – In the ‘codice civile’ or rather the ‘codice’ of
the civil laws – there is a section on ‘lavoro’, and a title on ‘co-operativa’,
short for ‘cooperative society’ – This is all due to Coco – It sounds slightly
fascist, and he did write a little tract with ‘fascist’ in the subtitle! – Coco
is a performativist, so he understands that ius must ‘constitute’ and define:
so he goes on to analyse what I’ve been analysing too – what is to cooperate –
in a common task or ‘lavoro’ – what is ‘mutuality’ – what are the requirements
for mutuality, and so on – It’s not as legalese and boring as it sounds! And it
provides a framework for my pragmatics – since a lawyer, and especially a
Griceian one, can be VERY SMART! Coco is!” --
Dal punto di vista sistematico molto vicino alla visione del grundnorm,
teoria da Kelsen. Si laurea a Napoli. Sostituto
procuratore del Re a Cassino. La Regia Procura di Roma. Procuratore Generale
presso la Corte d'appello di Roma. Fondatore dell'Ufficio del Massimario.
Insegna a Roma. Noto soprattutto per aver partecipato ai lavori di stesura del
nuovo codice civile italiano nonché del codice di procedura civile, entrambi
entrati in vigore nel 1942. Si occupa prevalentemente della stesura di leggi in
materia del contratto, obbligazione, e diritto del lavoro. Altre opere: “Gli
eclettismi contemporanei e le lezioni di filosofia del diritto” (Lagonegro, M.
Tancredi & Figli); “La filosofia del diritto”; “Una quistione di diritto transitorio
in tema di farmacie” (Milano, Società Editrice Libraria); “Sull'ultimo
capoverso dell'art. 375 del codice penale” (Milano, Società Editrice Libraria);
“Luce di pensiero italico nelle tenebre della guerra” (Cassino, Soc. Tip. Ed.
Meridionale); “Per la tradizione giuridica italiana” (Milano, Società Editrice
Libraria); “Saggio filosofico sulla corporazione fascista” (Roma, Edizioni del
diritto del lavoro); “Sulla costituzione di parte civile delle associazioni
sindacali” (Roma, Edizioni del diritto del lavoro); “Corso di diritto inter-nazionale
(recensita da Santi Romano, seconda edizione riveduta ed ampliata, Padova,
CEDAM); “Intorno alla pre-giudiziale penale nel giudizio del lavoro” (Roma,
U.S.I.L.A.); “Raffaele Garofalo” (Napoli, SIEM); “Il contratto collettivo di lavoro
e la impresa cooperativa” (Roma); “Una inchiesta sulla criminalità” (Napoli,
SIEM). Annuario Camera dei fasci e delle corporazioni. Rivista penale. Rassegna
di dottrina, legislazione, giurisprudenza, Roma, Libreria del Littorio, Rivista
di diritto pubblico. La giustizia amministrativa, Roma, Società per la Rivista di diritto
pubblico e la Giustizia amministrativa, Una vita per il Diritto Giusto, La
giustizia penale. Rivista critica settimanale di giurisprudenza, dottrina e
legislazione, Società editoriale del periodico La giustizia penale, Tale
trasferimento avvenne per via di un suggerimento pervenutogli al Re dagli allora
procuratori presso la Corte d'appello di Napoli Salvatore Pagliano e Giacomo
Calabria. La giustizia tributaria.
Dottrina, giurisprudenza, legislazione, Città di Castello, Società tipografica
Leonardo da Vinci. Cfr. Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, Cfr. Gazzetta
Ufficiale del Regno d'Italia, La scuola positiva. Rivista di diritto e
procedura penale, Milano, Vallardi. Iniziò la sua
carriera a 24 anni e nel 1906 fu nominato pretore di Lagonegro. Quattro anni
dopo divenne pretore di Moliterno, per assumere in seguito le funzioni di
sostituto procuratore a Cassino. Venne trasferito a Roma presso la Procura.
Oltre vent’anni dopo, fu Presidente di sezione della Corte Suprema di
Cassazione, oltre che Professore di Filosofia del diritto. Dotato di una solidissima
dottrina e di un rigorosissimo lavoro applicativo, partecipa ai lavori per la stesura del nuovo
Codice Civile e del Codice di Procedura Civile. Cura vari aspetti
dell’allora nuova normativa: contratto, obbligazione, diritto del lavoro. Una
delle sue grandi doti fu quella di riuscire a non farsi condizionare dal regime
dell’epoca. Non accetta la candidatura in Parlamento offertagli dai suoi
conterranei della Calabria. “Una Vita per il diritto giusto” si lascia
leggere con piacere, in diversi passaggi si incontreranno i tratti che lo hanno
contraddistinto come uomo, come magistrato e giurista, troveremo,
inoltre, la sua attività di ricerca e di elaborazione teoretica, il tutto in un
arco temporale di oltre quarant’anni. Sotto il profilo sistematico si
accosta alla visione di Kelsen per quanto riguarda l’ordinamento e le
codificazioni, nonché, proprio per la ricerca e per l’identificazione di una
grande norma fondamentale (grundnorm). Dal punto di vista epistemologico,
rappresenta la condanna dell’ideologia e della prassi delle scomposizioni in
una galassia di frammenti superficialistici. Lo sguardo al pensiero Coco ci
consente anche di sottolineare la sua analisi critica, egli non si ferma alla
semplice stigmatizzazione della responsabilità oggettiva nei confronti del
singolo. Prende spunto da queste aberrazioni per sottolineare come
all’accanimento contro la condotta individuale della persona fisica non
corrispondesse eguale severità verso gli atti illeciti e dannosi della pubblica
amministrazione. Proprio negli anni ‘30 scrisse “la responsabilità della
pubblica amministrazione”. -- è stato anche filosofo e storico al tempo
stesso. Un’uomo molto impegnato nel suo lavoro che ci sembra doveroso
ricordare. Dal padre, persona di cultura, ricevette i primi
rudimenti di storia, letteratura, e filosofia, che si ritroveranno,
successivamente, in taluni suoi saggi filosofici su Aquino. Iniziò la
carriera giudiziaria a soli ventiquattro anni e ottenne la nomina a
Pretore di Lagonegro. Divenne Pretore di Moliterno, per assumere
successivamente le funzioni di Sostituto Procuratore del Re a Cassino.
Trasferito a Roma , presso quella Regia Procura , col viatico di rapporti oltremodo
favorevoli e lusinghieri dei Procuratori Generali Pagliano e
Calabria della Corte d’Appello di Napoli, dove vi
permarrà per passare alla Procura Generale presso la Corte d’Appello.
Ottenne la nomina a Procuratore Generale del Re presso la Corte d’Appello
di Cagliari, ma non ne assumerà di fatto la titolarità. Chiamato, invece, a
presiedere il Tribunale Supremo delle Acque, era Presidente di Sezione della
Corte Suprema di Cassazione. Il giornale “Il Tribunale”,
pubblicazione mensile edita a Roma, lo saluta a tale nomina. È della
nostra famiglia, di quell’aristocratica famiglia giornalistica, alla quale non
disdegna di appartenere, nonostante l’altissimo grado che ricopre
nell’ordine giudiziario, oggi lieti di salutarlo, insieme con quello forense,
Presidente di Sezione della Suprema Corte. Noi lo abbiamo visto nella Corte di
Cassazione sin dagli anni ormai lontani della sua felice unificazione. E
stato, infatti, tra i fondatori e promotori di quell’Ufficio del Massimario che
raccoglie il vasto e prezioso materiale giurisprudenziale della Suprema
Corte. Non appena conseguita la promozione al grado IV°; ha ricoperto la carica
di Consigliere, partecipando attivamente alla funzione giudiziaria di così
eminente consesso. Ci asterremo, di proposito, da ogni aggettivazione che non
sarebbe di buon gusto né riuscirebbe gradita al nostro Amico e collaboratore;
non possiamo, peraltro, esimerci dal ricordare fra le benemerenze e il titolo
di Professore di Filosofia del Diritto nella Scuola di Perfezionamento
di Diritto Penale né l’altro, per noi particolarmente caro, di Redattore
Capo della Rivista di Diritto Pubblico. La recente nomina,
se indubbiamente costituisce un nuovo riconoscimento dei meriti di così
eletto Magistrato, rappresenta però un onere, che si aggiunge all’onore di così
ambita carica. Ma l’accoglierà di buon grado, assolvendo
anche dal nuovo seggio presidenziale le delicate funzioni giudiziarie,
alle quali porta il valido contributo della sua competenza, ma soprattutto
una grande serenità ed equanimità. Riguardo ai meriti illustrati
dall’articolo dell’epoca, c’è da dire che il suo cursus honorum non è stato
caratterizzato soltanto da solidissima dottrina e da rigorosissimo lavoro
applicativo, ma anche dalla partecipazione costante all’evoluzione dell’ordine
giudiziario, e tappa importante in tale attività, fu la Sua nomina a membro del
Consiglio Superiore della Magistratura, ossia dell’organo politico e
politico-amministrativo, anche se in base alla legislazione dell’epoca il
Consiglio Superiore della Magistratura non aveva ancora il potere e
l’importanza che la Costituzione e la successiva normativa di attuazione gli
diedero. Ancora, circa la indicata fondazione del Massimario civile della
Corte di Cassazione Unificata va detto che Lui effettivamente fu tra i
principali ideatori; era, quello, un periodo di grandi innovazioni, perchè
all’atto dell’Unità d’Italia, oltre alla Corte di Cassazione di Torino
esistevano quella di Firenze nonchè le due Corti Supreme di Giustizia di Napoli
e di Palermo (che assunsero anch’esse la denominazione di Corte di
Cassazione). Con la legge, vennero soppresse le Corti sopra indicate, mentre
quella di Roma fu trasformata in Corte di Cassazione del Regno. Fu titolare
dell’insegnamento di Filosofia del Diritto presso la Scuola di Perfezionamento
in Diritto Penale dell’Università di Roma “La Sapienza”. In questo ambito,
svolse attività accademica per quel periodo che vide la Scuola annoverare i
più bei nomi della dottrina penalistica italiana, le cui teorie risultano,
ancora oggi, alla base della trattatistica più importante. Altro aspetto
rilevante della sua eccezionale figura di giurista, come si rileva da un saggio
del nipote dell’alto Magistrato, che porta con orgoglio lo stesso nome, il
Professore Nicola Coco, dell’Università di Roma “La Sapienza”, è costituito dal
coerente riferimento alla legalità, cioè allo stato e all’ordinamento
giuridico quali unica garanzia di contratto sociale. Per questo, il periodo che
va dal primo dopoguerra all’ avvento del fascismo,
costituisce una parentesi temporale di efficace e prorompente
elaborazione delle basi di quel diritto del lavoro e sindacale, o “giuslavorismo”,
costituendo davvero una novità assoluta nelle scienze giuridiche del tempo.
Così, quando si verificheranno gravissime crisi socio0economiche che metteranno
a rischio l’assetto della produzione, la politica e i sindacati troveranno i
loro punti d’incontro nel noto Statuto del Lavoratori, una ri-edizione
aggiornata delle linee guida tracciate, agli inizi del “secolo breve”, dai
primi “giuslavoristi”, tra i quali appunto Coco. Altro aspetto qualificante
del giurista è l’aver concorso alla stesura del Codice Civile, ai cui lavori
preparatori, dai Ministri Solmi e Grandi (che è il sottoscrittore anche del
Codice di Procedura Civile, emanato anch’esso, furono chiamate le più
belle e fertili menti di magistrati e giuristi. Cura vari aspetti della normativa
(il contratto, l’obbligazione, diritto del lavoro), tant’è, che nell’imminenza
della promulgazione, il Ministro Dino Grandi gli inviò una lettera personale di
ringraziamento per il prezioso contributo offerto per il Codice. L’ultima parte
della sua vita coincide con l’immane conflitto mondiale, con
la guerra civile e con la scia di vendette e iniquità che ne conseguirono. Dopo
la fuga del Re e la costituzione della Repubblica Sociale Italiana, viene
invitato ad assumere la Presidenza della Corte di Cassazione trasferitasi a
Brescia e fors’anche la carica di Ministro Guardasigilli, ma egli fermamente
rifiuta. Ebbene, nonostante tale ferma presa di posizione nei confronti del
regime fascista, sulla base di taluni articoli che aveva scritto su “Il
Messaggero” di Pio Perrone, di commento a leggi e questioni giuridiche di alto
livello, ovviamente di epoca fascista, l’occhiuta Commissione di epurazione,
su decine di articoli scritti in una pluridecennale collaborazione, ne scova
qualcuno che suona come apologetico del Fascismo. Nulla di più falso, quando
era nota a tutti la dirittura morale del magistrato integerrimo, del quale va
appena ricordato, ammesso ve ne fosse bisogno, che la sorella del Duce,
Edvige Mussolini, gli fece pervenire sollecitazioni per una causa che la interessava.
Ebbene, Coco procedette secondo coscienza, quindi non nel modo auspicato dalla
sorella del Duce! L’epurazione ingiusta, nella quale probabilmente influirono
anche motivazioni non occulte di gelosia e invidia da parte di taluni,
soprattutto per il fatto che per meriti poteva benissimo aspirare alle
funzioni di Primo Presidente della Suprema Corte, ne mina rapidamente le
condizioni di salute. Negli ultimi mesi non volle proporre ricorso contro i
provvedimenti che lo avevano colpito e rifiuta cortesemente anche una
candidatura in Parlamento, per le elezioni, che i conterranei di Calabria gli
avevano offerto con affetto e riconoscenza. Spira serenamente, non mancando
nel suo testamento di perdonare cristianamente quanti gli avevano provocato
tanto immeritato dolore. Codice Civile. Del Lavoro. Delle societa cooperative e
della mutue assicuratrici, delle societa cooperative – disposizione generali –
cooperative a mutualita prevalente. Articoli: societa cooperative; societa
cooperative a mutualita prevalente, criterio per la definizione della
prevalenza, requisiti delle cooperative a mutualita prevalente. Del Lavoro. Nicola Coco. Keywords:
cooperativa, impresa cooperativa, luce di pensiero italico nelle tenebre della
guerra, giurisprudenza romana, giurisprudenza italiana, eccletismi, filosofia
dell’atto, corporazione, contratto e cooperazione, codice civile italiano, codice
di procedura civile italiano, la tradizione giuridica italiana, associazione,
sindaco, Kelsen, grundnorm, legalita, nipote: Nicola Coco, ordine giuridico,
unica garanzia del contratto sociale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Coco” –
The Swimming-Pool Library.
CODRONCHI – (Imola).
Filosofo. Grice: “One would underestimate Codronchi if it were not for the fact
that he wrote a smartest little tracts on the two ways I see conversation as:
‘game’ and ‘contract.’ In “Logic and conversation’ I do confess to having been
attracted for a while to a ‘quasi-contractualist’ approach to conversation alla
Grice (i. e., G. R. Grice) – and I’m not sure the reason I give there for
rejecting the view is valid, or strong enough! As for ‘games’ – of course
conversation is a game – but I never took that too seriously – perhaps because
Austin was obsessed with games and rules of games – and the subject was worn
out for me – when Hintikka came along all he did was talk about ‘dialogue
games’! – I do use ‘game’ terminology – and cf. ‘contract bridge!” – such as
‘conversational move,’ ‘converaational rule’ of the ‘conversational game’ – and
conversational ‘players’ – “Only this or that ‘move’ will be appropriate’, and
so on.” Appartenente alla nobiltà, dopo la laurea prosegue gli studi
approfondendo la filosofia spinto dal padre. In seguito entra alla corte del
regno di Napoli, prima con Ferdinando I e poi con Giuseppe Bonaparte, da cui
ottiene la nomina a consigliere di stato. Le sue saggi più celebri sono “Etica”
e “Il contratto”, in cui affronta con semplicità l'argomento del calcolo delle
probabilità. Distingue in tre classi di contratto. Contratto epistemico: C’e un
contratto nel quale è noto il rapporto tra eventi favorevoli e contrari.
Contratto empirico. C’e un secondo contrato nel quale il rapporto tra un evento
favoravole e un evento contrario è fondato sull'esperienza. Contratto misto
Finalmente, c’e un terzo tipo di contratto nel quale il rapporto tra un evento
favoravole e un evento contrario si basa su una legge sicura e in parte
sull'esperienza. For a time, I was attracted by the
idea that observance of the CP and the maxims, in a talk exchange, could be
thought of as a quasi-contractual matter, with parallels outside the realm of
discourse. If you pass by when I am struggling with my stranded car, I no doubt
have some degree of expectation that you will offer help, but once you join me
in tinkering under the hood, my expectations become stronger and take more
specific forms (in the absence of indications that you are merely an
incompetent meddler); and talk exchanges seemed to me to exhibit,
characteristically, certain features that jointly distinguish cooperative
transactions: 1. The participants have some common immediate aim, like getting
a car mended; their ultimate aims may, of course, be independent and even in
conflict-each may want to get the car mended in order to drive off, leaving the
other stranded. In characteristic talk exchanges, there is a common aim even
if, as in an over-the-wall chat, it is a second-order one, namely, that each
party should, for the time being, identify himself with the transitory
conversational interests of the other. 2. The contributions of the participants
.should be dovetailed, mutually dependent. 3. There is some sort of
understanding (which may be explicit but which is often tacit) that, otl1er
things being equal, the transaction should continue in appropriate style unless
both parties are agreeable that it should terminate. You do not just shove off
or start doing something else. SAGGIO FILOSOFICO SUI CONTRATTI E GIOCHI
D'AZZARDO DEL CAVALIERE NICCOLA CODRONCHI. Sor's incerta vagatur , Fertque
refertque vices . Lucan. FIRENZE PER GAETANO CAMBIAGI STAMPATOR GRAND. CON
APPROVAZIONE. ALL’ALTEZZA REALE DI PIETRO LEOPOLDO PRINCIPE REALE D'UNGHERIA E
DI BOEMIA ARCIDUCA D'AUSTRIA GRANDUCA DI TOSCANA &c. &c. & c. 1 NICCOLA
CODRONCHI. Questa operetta che sottopone il contratti d’azzardo o aleatorio
all'esame della filosofia per fissare, quant'è possibile i I dati onde non
discordino dalla giustizia, dovea bene essere umiliata, a VOI, che pieno del le
verità della prima, avete consacrati tanti pensieri ad assi curare, e stabilir
la seconda; onde può dirsi che il vostro trono è il punto più luminoso della
loro unione, che sola può formare la felicità degli stati. Posta questa mia fatica,
se non è degna dipresentarsi all'illuminatissima vostra mente, non dispiacere
al vostro cuore, che non sdegnerà di riconoscere in esta una significazione dei
sentimenti del mio, penetrato del la più viva gratitudine al vostro real
patrocinio, e alle copiose beneficenze, auspici sotto de’ quali è nata, e
condotta alla luce, e ai quali desidero con tutto lo spirito che sempre più
raccomandi l'autore. Non avvi forſe negli uomini un sentimento più costante e
universale del desiderio di arricchire. L'uomo tende incessantemente a
procacciarsi, ed assicurarsi i mezzi necessari a sostenere e a rendere
tranquilla e comoda la vita. La natura, che ha voluto che ciò concorra alla sua
felicità alla quale con tanta forza lo stimola, gli ha inserito di sua mano nel
petto questo vivissimo ardore; acciocchè se dalla propria industria riconosce
egli il sostentamento e gli agi della vita, riconosca però dalle provvide mani
di lei l'eccitamento e l'efficacia di questa industria medesima. Questa fiamma
sempre operosa accende talvolta un cuore angusto che non ha altro oggetto che
se medesimo, o un piccolo e ristretto sistema di persone. Talvolta pero trionfa
sovranamente in un animo generoso, a che stima di se minori tutte le mire che
non sian vaste e sublimi. Patria, nazione, pubblica felicità, interessi
dell’uman genere ecco i grandi oggetti, che egli ha sempre davanti; ed ecco
intorno a che si aggirano i lumi del politico pensatore; ecco ciò che forma le
vigilie dell’uom’di stato. Quindi è che sempre nuove vie si spianano al
commercio, nuovi mezzi si studiano per facilitarlo, nuovi metodi si ritrovano
per dilatarlo. Questo ardore medesimo ha fatto sì, che gli uomini vadano sempre
inventando un nuovo contratto, o ai ritrovati già prima diano nuove sempre e
più estese forme. Chi avrebbe mai detto nei primi tempi delle nascenti civili
società, quando altro contratto non conoscevasi che quello di dare i grassi capi
dell’armento in cambio degli scelti frutti del campo, che vi sarebbero stati un
giorno uomini, che avrebbero ridotte a contratto non solo una cosa esistente,
sicura, e da esli ben conosciuta, ma la cosa non esistenti ancora, le incerta,
la soggetta al caso, la sconosciute? O chi persuaderebbe alle numerose carovane
dei mori che vanno nel fondo dell’Affrica a far coi negri il cambio del sale
colla polvere d’or , che sonvi e lecici, e un vantaggioso contratto, che si
appoggia solamente all’aleatorio pericoloso e al bizzarro capriccio della
fortuna? Il moro che mette il suo sale in un mucchio e lo va sminuendo, se gli
pare che il negro con cui commercia, non abbia ammassata in sufficiente
quantità l'a preziosa polvere; riderà di coloro che si espongono a gravi
perdite delle loro sostanze affidandole all'incertezza della sorte. Eppure, e
vi e questo contratti aleatorio, e puo esser ridotti a quella uguaglianza che
dopo determinati, o dalle leggi, o dalla consuetudine i prezzo della cosa è
necessaria a render giusto qualunque contratto. A fissare il limite e il grado
di uguaglianza in tale contratto aleatorio giova maravigliosamente
quell’utilissima scienza che arditamente calcola le probabilità e si rende
soggetti, per così dire, i sempre vari accidenti della fortuna. Questa scienza
è stata chiamata finora aritmetica politica perchè è stata ordinata soltanto a
ricercare l’utilità e la miglior sorte a 2 del commercio e di chi lo esercita,
e ad apprestare dei nuovi dati a chi veglia alla pubblica felicità . Ma io
crederò di potere con parità di ragione chiamarla “aritmetica del giusto” ed
asserire che se il gran principio che fra il certo presente e l'incerto
avvenire trovasi una vera proporzione è stato quel seme fecondo che ha
germogliato al pubblico bene, è quello ancora che dee produr nulla meno la
sicurezza e la tranquillità nell’animo di chi sulle tracce dell’onesto e del giusto
voglia istituire tale contratto. Non farà però inutil cosa se io cercherò di
spogliare della austerità e difficoltà del calcolo una sì vantaggiosa teoria e
di ridurla a principi generali e semplici, facendo su di essi opportunamente
alcune riflessioni ed applicandone le regole al contratto aleatorio, che verrò
con la chiarezza e brevità maggiore che a me sia possibile investigando. Mi
lusingherò quindi di aver sempre pronta una misura, più o meno esatta, a norma
che eſli più o meno ne siano suscettibili, che ne determini l’uguaglianza, é
una bilancia che ne pesi l'equità e la giustizia. Contratto aleatorio io chiamo
quel contratto nel quale si fa acquisto di un diritto, o vogliam dire di una speranza
(res sperata – emptio spei, emptio rei separatae), il buon esito della quale è
affidato all’incertezza della sorte (cfr. Grice, “Intenzione e incertezza”). E
quì si osservi che si può nel medesimo contratto considerare l’aleatorio
relativamente ad ambedue i contraenti. (parola chiave: “ambedue i contraenti”).
Quello, il quale talvolta per far guadagno di una tenue somma di denaro (a) ma
certa, vende la speranza incerta di un gran guadagno, sottopone all'aleatorio
tutto quel di più che avendo buon esito la ceduta speranza, supera la tenue
somma in cui la cambio. L'uguaglianza che dopo fissato dalla legge o dalla
consuetudine il prezzo della cosa ricercasa nel contratti perchè sia giusto, vi
è ſempre, quando esaminata la cosa che ne forma l'oggetto, ritrovisi in (a).
Vedasi più sotto ove si parla del contratto di alii curazione un vero senso
egualmente pregevole ciò che danno nel contratto e reciprocamente ricevono ambedue
i contraenti. Or chi non vede che l'avere un diritto o una speranza è molto più
valutabile che il non averla? E se ciò è vero, è manifeſso che questa speranza
puo dirsi avere un vero e real prezzo nel commercio degli uomini. Ma siccome
tuttociò che ha prezzo pui avere un prezzo diverso, questa speranza ha
anch'essa la sua diversita e puo per conseguen prezzo calcolarsi in guisa da poterne
trovare il *rapporto* a quello per cui alcuno desideri di farne acquistom che è
quanto dire potrà ridursi ad una vera uguaglianza. Stabiliscasi adunque
l’incontrastabile fondamenza il suo tale TEOREMA. Nel contratto aleatorio vi
puo essere essere quella uguaglianza, che gli caratterizzi per giusti . ng Too
vorrei potere esporre con la maggior precisione e chiarezza la serie delle idee
che conducono a fissare il canone per cui si puo in un contratto aleatorio rinvenire
l'uguaglianza di cui si parla. Il soggetto è molto arduo e per esporlo nel dovuto
lume e farne poi l'opportuna applicazione è neceſſario fare di tratto in tratto
molte importanti osservazioni che o sviluppino il principio fondamentale o
vagliano a dilucidarlo. E prima di tutto io intendo sempre per nome di prezzo
tutto quello o sia certo e determinato, o sia incerto anch'esso o per l'evento
la quantità che si espone per far l’acquisto di una speranza. Premio io chiamo
quello per cui ottenere si espone il prezzo così definite. Conviene pero
osservare che per nome di premio si può intendere , e l'oggetto solo a cui si
aspira e il medeſimo più il prezzo che si è o esposto o sborsato per
acquistarne la speranza. Ciò ben'inteso parmi che per rintracciare questa
uguaglianza sia d'uopo conoscere i o per 8 la diversa speranza. Di due elementi
viene egli composto. Tanto è più stimabile una speranza quanto ha un'oggetto
più pregevole; e questo è ciò che io intendo per valore intrinseco; ma tanto
anche è più stimabile per altra parte quanto è più probabile che ha un esito
favorevole, e questo col nome di estrinseco valore vuolsi significare. La
probabilità è maggiore o minore secondo che è maggiore o minore il numero di
casi favorevoli all'evento rispetto al numero de' sinistri; di modo che se si facesse
una tavola che gradatamente, e per serie e sprimeſle questi rapporti si avrebbe
una vera tavola delle probabilità. Conſiderando però ciascun evento
separatamente e senza rapporto ad altri; la probabilità che esso liegua, vien
espressa dal *rapporto* del numero de’ casi a lui favorevoli alla somma dei favorevoli
insieme e de’ contrari. Poichè se sianvi in un urna 10 palle bianche e 10 nere;
per definire la probabilità dell'estrazione di una palla Bianca fa d' uopo
conſiderare le 10 bianche in massa colle nere; giacchè in massa sono quando si
fa l'estrazione dall'urna. L'istesso avviene di ciascun evento che sia
l’oggetto di una speranza; giacchè deve distaccarsi dalla massa che è il cumulo
degli eventi favorevoli e dei sinistri che stan raccolti nell’urna sovrana
regolatrice della umana vicenda. Se dato un prezzo con cui si voglia fare
acquisto di una speranza, il numero dei casi favorevoli al buon esito sia
uguale a quello dei sinistri, è troppo chiaro che a volere la ricercata
uguaglianza e necessario che il valore intrinseco della speranza o sia
dell'oggetto della medesima, sia *doppio* del prezzo che si espone per
acquistarlo; poichè in tal guisa la metà del valore intrinseco resta compensata
dal prezzo che si è pagato; l'altra metà, che sola è un vero guadagno è uguale
al prezzo medesimo che si è espoſto all'aleatorio; e così deve essere essendo
nel caso nostro uguale la probabilità del buon esito e dell’infausto. E non
altro appunto significa quella regola infallibile secondo la quale è sempre 10
il valore (a) dell’aspettativa, quando in ugual numero siano i casi favorevoli
all’esito bramato e i sinistri. Che se si accresca il numero de’ casi sinistri;
siccome scema percið il valore estrinſeco della speranza, converrà che si
accresca *proporzionatamente* l’intrinseco accrescendo il valore dell’oggetto
medesimo. Per maggior chiarezza di cio suppongasi il prezzo con cui si compra
la speranza uguale ad un dato numero e suppongasi il numero dei casi favorevoli
uguale a quello dei sinistri. In questo caso la probabilità del buon esito e
uguale a quella dell'infausto e la speranza si elide col timore, e per
conseguenza il suo valore estrinſeco puo considerarsi = 0; verrà dunque in
confronto il solo prezzo col premio; che però queste due quantità dovranno eſſere
uguali, benchè il valore intrinſeco della speranza, o sia il premio medesimo
preso in una più estesa significazione 111 (a) L’aspettativa non è altro che il
grado di probabilità che uno ha di ottenere un’intento fortuito. II sia doppio
del prezzo, poichè una metà del premio medesimo non si può chiamare lucro,
restando compensata col prezzo già sbor fato ed esposto all’aleatorio.
Stabilito adunque questo caso, come per punto fisso dal quale si parte la serie
dei valori, è chiaro ugualmente che se il numero dei sinistri casi sia maggiore
o minore di quello dei favorevoli, di tanto la probabilità del buon esito a
fronte della probabilità dell'infausto farà a proporzione maggiore o minore di
zero nel formare il valore totale della speranza; lo che non altro significa, se
non che ad avere l'uguaglianza necessaria converrà che a proporzione l'oggetto
della speranza superi nel primo caso il prezzo con cui si acquista e nel
secondo sia ad esso inferiore, e quindi li puo universalmente stabilire. Nel
secondo teorema, i valori delle speranze sono in ragion composta del valore
intrinseco dell’oggetto o cosa o reale sperato (res sperata), o dell’spettativa.
Ne terzo teorema, nel contratto aleatorio allora visarà l'us 1. Il contratto
aleatorio allora vi sarà l'uguaglianza quando il prezzo che espone uno de
contraenti stia al premio, come il numero dei casi favorevoli a lui, alla ſomma
dei favorevoli e dei contrari. Notisi che quì per premio s’intende non solo la
porzione che si lucra, ma di più il prezzo istesso che si è aleatorio,
aleatato. E siccome, per quanti siano i prezzi dei contraenti, deve verificarsi
in ciascun prezzo questo rapporto al premio, ne verrà che i prezzi staranno fra
di loro come il numero dei casi favorevoli ad uno dei contraenti di viso per la
somma de favorevoli e de’ contrari al numero de favorevoli a quello con cui si
istituisce il paragone, diviso anch’esso per la somma dei favorevoli e dei
contrari: e così dicasi di quanti siano i contraenti. Da questo teorema si
deduce il seguente corollario. Nel contratto aleatorio allora vi sarà
l'uguaglianza quando i prezzi dei contraenti ſtiano fra di loro , come i numeri
dei caſi ri ſpettivamente favorevoli . Dagli enunciati Teoremi chiaramente ap
pariſce, che per bene applicarli agl' indivi dui caſi, è neceſſario eſaminare
maturamente , qual ſia il vero valore del prezzo con cui ſi compra la ſperanza
; quali ſiano i veri caſi favorevoli, e ſiniſtri; e fiflarne il numero con
quella eſattezza che convenga alla naturą del contratto in queſtione.
Conſiderando at ; tentamente la natura e le leggi dei diverſi contratti di
azzardo , mi è parſo che preſen tino una facile e natural diviſione , per la
quale in tre ſeparate, e diſtinte claſſi li pof ſono comodamente diſtribuire.
Imperciocchè dalla loro diverſa natura , e dalle diverſe leg gi che gli
coſtituiſcono , ne naſce una diverſa maniera di fiſſare i rapporti del numero
dei caſi favorevoli, a quello dei ſiniſtri . A tre fi poſſono in fatti ridurre
i metodi per fillare 1 14 gli accennati rapporti, e quindi collocare in una di
tre diſtinte claſli ciaſcun contratto di azzardo . Primo metodo è quello per
mezzo del quale conſiderata la natura , e le leggi del contrat to rilevaſi il
ricercato rapporto dal numero delle cauſe e delle ragioni, che poſſono in
fluire ſul buon eſito della ſperanza , numero determinabile , e ragioni certe ,
e ſicure . Il ſecondo è quello nel quale per la natura del contratto , non ſi
può fondare il rapporto , ſe non che ſulla ſperienza , e ſulle oſſerva zioni
eſatte perd , e molte volte replicate ; e ſopra cagioni incerte , e
variabiliffime per le quali il numero dei caſi favorevoli e dei fi niſtri, non
può mai eſſer certo , determinato , e ſicuro . Terzo metodo è quello per cui ſi
appoggia la indicata proporzione , parte alla conſiderazione di leggi certe e
ſicure , e par te alla ſperienza del paſſato , e a circoſtanze incerte ', e di
numero indefinito . Nei contratti adunque della prima fpecie , conoſciutene le
leggi, fiffato il numero delle cauſe che poſſono influire ſull'oggetto del 1 4
13 contratto , ed eſaminate le diverſe maniere nelle quali poſſono combinarſi,
ſi avrà un eſatta ed infallibile notizia del rapporto dei caſi favorevoli ai
finiftri . La ſcienza delle combinazioni , e permu tazioni è ſtata nel noſtro
ſecolo così illuſtra ta , e dall ’ Ugenio , e dal Bernullio , e dal Moivre, ed
è così vaſta ed eſteſa , che vo lendo io trattarne a lungo, non potrei per
l'una parte non oſcurare ciò che è ſtato detto con tanta preciſione, e
ſicurezza, e non fa prei per l'altra accennar poche coſe , che non laſciaffero
un neceffario deſiderio di molte più , intorno alle quali l'intertenermi ,
oltre paſſerebbe di gran lunga il fine, e l'idea di queſto faggio ; e tanto più
, che ſenza la fe verità del calcolo più aſtruſo non ſi potreb bero per
avventura trattare tutti i caſi par ticolari . Nel venire però eſaminando la na
tura dei diverſi contratti, ed applicando ad effi li ſtabiliti Teoremi , ſi
vedranno di trat to in tratto i principj di queſta ſcienza ſvi luppati , ed
indicata la maniera di applicarli ad alcuni caſi particolari, ſiccome con l'uſo
! 16 rétto , e ſicuro del calcolo ſi poſſono adattare a tutti i caſi i più
compoſti, ed aſtruſi . Il gioco di pura ſorte è certamente uno dei contratti
che alla prima claſſe debbonſi riferire . Mi è noto quanto ha ſcritto il cele
bre Giacomo Bernulli , per dare le regole ficure onde fiſſare nei giochi di
fortuna il numero dei caſi favorevoli e dei contrari , i vantaggi reſpettivi
dei giocatori , e il pre mio che può uno eligere, dopo incominciato il gioco
per ritirarſi ſenza rinunziare alla miglior condizione , in cui l'hanno già
poſto alcuni colpi favorevoli . So che eſſendo la probabilità , o ſemplice, o
compoſta , ne ha queſto gran Matematico ridotta la miſura all'interſezione di
una linea retta con una curva logaritmica , o di queſta con una pa rabolica , e
così ſucceſſivamente aſcendendo alle curve dei gradi più alti . Ma laſciando da
parte i profondi calcoli , e i miſteri della fublime Geometria , i quali però
ben pene trati ſcuoprono il profondo e inventore in gegno di queſto grand' uomo
, piacemi in quella vece di eſaminare ſemplicemente ſen 17 za di effi la natura
e le leggi del gioco , per riconoſcere ſecondo l'accennato metodo , come ſi
poſſa in eſſo e dare e ſcoprire l'u guaglianza fra i giocatori , e in tal guiſa
applicare a queſto contratto gli enunciati univerſali Teoremi . Il gioco di
pura ſorte è una ſpecie di con tratto , nel quale due o più perſone, dopo di
aver convenuto di certe leggi, e condizio ni , ſi diſputano un premio , che ſi
rilaſcia a chi ſarà più felice , per rapporto a certi acci denti l'effetto dei
quali non dipende per ve run modo dalla loro induſtria . E quì cade in acconcio
fare una rifleſſione comune a tutti i contratti di azzardo . Il dire che una
coſa accada caſualmente , non altro ſignifica, ſe non che la cagione ne è
a noi ſconoſciuta ; e che non vi abbiamo alcuna volontaria influenza . Per
altro quan do fiegue in natura un determinato effetto , qualunque ſiaſi, è
certo che neceſſariamente dovea ſeguire . Che due dadi gettati ſu di una tavola
, ſcoprano piuttoſto un numero , che un altro ; noi ne ignoriamo la cagione b
18 nell'atto ſteſſo che ne ſegue per le noſtre mani medeſime il tratto . E perd
ugualmente vero , che dato quel tal moto alla mano che gli getta , dato quel
tal grado d'impeto , e non più nè meno , data la mole dei medefi mi , e il
piano ſu cui ſi aggirano , devono neceſſariamente preſentar quel tal dato nu
mero e non altro . Così dicaſi dei giochi di carte le combinazioni delle quali
dipendono dalla diverſa maniera di meſcolarle , e di dividerle alzandone una
parte di eſſe fovra il reſtante ; anzi pure non ſolo del gioco , ma dicaſi,
come ſi avvertì di tutti i contratti di azzardo , e generalmente di qualunque
evento fortuito ( a ), (a) Non ſolo ne' contratti ove ciò che ſi perde o che ſi
guadagna è riducibile ad una miſura diſtinta in gradi coſtanti ed eſattamente marcati
, ma anche in tutto il tenore di una vita diretta a un fine fpe rato ma incerto
ha luogo il prezzo ed il premio . Le fatiche , gl'incomodi , le priyazioni dei
piaceri formano il primo . Nella gloria , nell'autorità , negli onori , nelle
ricchezze è ripoſto il ſecondo , che molte volte defrauda le meglio fondate
ſperanze , o almeno ad effe perfettamente non corriſponde; onde può dirlig . 19
Varie ſono le ſpecie principali dei giochi di pura ſorte , ſiccome varie ſono
le maniere di diſputarſi il premio.O due giocatori eſpon gono all'eſito della
forte le loro reſpective porzioni di depoſito con la legge che deb baſi tutto a
quello rilaſciare, il quale felice mente s'incontra prima dell'altro in un fa
vorevole accidente , che ambi ſi ſono propoſti d'incontrare ; o a quello , che
in ugual nu mero di faggi, ſotto le medeſime leggi , di pendentemente dalle
medeſime condizioni , 6 2 che così in queſte ſecrete e non ftipulate
aſpettative come in quelle per cui s'inſtituiſcono e ſi celebrano i
contratti,domina ugualmente quella inſtabile divinità creata dall'ignoranza
della conneſſione delle cagioni delle coſe , e del compleſſo delle circoſtanze
necef ſarie ai fortuiti eventi , ma che in tutti i caſi ſuol chiamarſi
ugualmente Saevo laeta negotio Et ludum inſolentem ludere pertinax . Biſogna
però rammentarſi ſempre che le parole che eſprimono gli attributi della fortuna
, o del caſo , quando ſono uſate dal Filoſofo , hanno un fenſo di verſo da
quello in cui le uſa il Poeta che simboleg gia , e il volgo che non ragiona .
<< tro , così dire nega incontra quelle combinazioni che preſen tano una
maggior ſomma di quegli elementi ond'è compoſto il gioco , e alla quale è at
taccata la vincita del medeſimo. Oppure il contratto del gioco è tale che un
ſolo dei giocatori s'impegna in un dato numero di ſaggi, e ſotto certe
condizioni , d'incontrare un dato favorevole accidente o ſemplice ſia di altri
' compoſto , e quale non incontran do , la ſorte s'intende aver deciſo per l'al
la ſperanza di cui per tiva , non ha altro oggetto che l'eſito infe lice delle
mire dell'avverſario , non obbli gandoſi intanto a tentare poſitivamente ve run
colpo di gioco . Nei priini due caſi egli è chiaro che devo no i giocatori
azzardare una egual fomma, o prezzo , altrimenti reſterebbe manifeſtamente
tolta di mezzo la neceſſaria uguaglianza . E' chiaro che allora il prezzo con
cui ſi acquiſta la ſperanza è eguale alla metà del valore dell' oggetto ;
poichè il primo altro non è che la porzione di depoſito di uno dei giocatori e
il ſecondo è la ſomma delle due porzioni 2 1 uguali componenti il
totaledepoſito .Ma co me trovare in queſto caſo il numero dei caſi favorevoli
uguale a quello dei ſiniſtri come pure eſige la ſtabilita Teoria ? E certamente
ſe fi conſiderino i caſi favorevoli , ei con trarj diſtintamente in ciaſcuno
dei giocatori ; non ſi potrà fiſſare nè ragione di uguaglianza nè altra
qualunque . E' queſta una evidente verità , ſe ben ſi conſiderino le leggi di
queſto gioco , per le quali dipendendo la ſorte di un giocatore , non dai ſuoi colpi
ſolamente ma da quelli ancora dell'avverſario , i ter mini della proporzione
ſaranno ſempre rela tivi , e per conſeguenza variabili . Eſaminata però più
maturamente la natura del gioco di cui ſi tratta , fi dee riflettere , che il
nu mero dei caſi favorevoli a un giocatore , è compoſto non ſolo dei caſi
propizi a lui di rettamente , ma dei caſi altresì all'avverſario contrarj ; e
al contrario il numero dei finiſtri , altro non è che la ſomma degl'infauſti a
lui , e dei favorevoli all'avverſario . Ma quando fi giochi con condizioni
eguali , queſte due fomme fono eguali : dunque anche in queſto 22 caſo può
reſtare verificato il canone della ſtabilita proporzione , e i prezzi ſtare fra
loro come i caſi favorevoli ai finiſtri . Da ciò ne ſegue , che ſe due giocatori
proponganſi di incontrare la medeſima favo revole combinazione o la medeſima
ſomma di accidenti ; ma che uno voglia far più ſaggi del gioco , o cercar con
più mezzi quelle combinazioni che preſentino maggior ſomma degli elementi del
gioco , nella guiſa di ſopra accennata ; l'altro in tal caſo dovrà eſami nare
di quanto il numero delle combinazioni a ſe favorevoli reſti fuperato dalle
ſiniſtre , ed eligere che la porzione di depoſito dell' avverſario ſuperi in
tal proporzione quella che egli conferiſce nel gioco . Sia concertato per
eſempio , che abbia il premio del gioco quello che fa più numeri con i dadi ,
ed uno voglia gettarli più volte , o in ugual numero di volte gittarne un mag
gior numero , è manifeſto , che dalla natura , e dalle leggi di queſto gioco ,
ſi potrà con le note regole delle combinazioni ricavare in che proporzione
debba egli eſporre all'az 23 zardo ſomma maggiore . Che ſe poi trattiſi della
ſeconda ſpecie di ſopra accennata , che è allor.quando uno ſolo dei giocatori
ſi eſpone ad incontrare una o più favorevoli combinazioni , in un dato numero
di faggi, e ſotto certe leggi , e l'altro guadagna full infauſto eſito
dell'avverſario , ſenza tentare egli di per ſe alcuna forte di gioco , è più
difficile allora , ed è più operoſo il fiſſare gli opportuni termini della
noſtra proporzione . L'intenzione e l'oggetto dei giocatori in tal caſo può
eſſere di eſporre all'azzardo una ugual porzione , o di eſporla diverſa . Nel
primo caſo il giocatore che intraprende , e faminata la natura del gioco , e le
leggi chę a lui propone l'avverſario , potrà ricavarne il numero dei caſi
favorevoli e quello dei ſiniſtri, e dimandare quelle condizioni nelle quali
queſti due numeri ſi uguaglino: nel ſe condo conviene che dimandi quelle condi
zioni nelle quali , il numero dei favorevoli caſi, ſuperi tanto quello dei
contrari , di quan to la ſua porzione di depoſito ſupera quella dell'altro , o
al contrario . Intraprende uno 14 di gettare un dado in maniera che ſi ſcuopra
la faccia la quale moſtra il numero 6. Se lo deve fare in una ſol volta ,
ſiccome ha cin que combinazioni contrarie , e una ſola fa vorevole , converrà ,
che l'altro azzardi una ſomma cinque volte maggiore , altrimente la proporzione
reſta alterata . Che ſe trattiſi di azzardare una fomma eguale da entrambi i
giocatori , e ſi voglia più volte ricominciare , erinovare il gioco , converrà
oflervare quanti tratti di dado ſiano neceſſarj per fare che il numero dei caſi
favorevoli , ſia uguale a quel lo dei contrarj , del che , e relativamente al noſtro
addotto caſo , e ai fimili , ne da una eſtefa tavola il gran Bernulli alla
propoſizio ne X. del libro primo del ſuo trattato inti tolato ars conje
&tandi; ove dimoſtra un ingan no che in fiſſare queſta proporzione è facile
a pigliarſi da chi eſamini queſta ſpecie di gioco ſulla prima apparenza , ſenza
internarſi profondamente nelle fue leggi . Diffi, quan do fi voglia più volte
ricominciare , e rino vare il gioco , per le ragioni addotte dal Ber nulli nel
loco citato ; giacchè fe non ſi ri 25 novi ſucceſſivamente , egli è evidente
che chi deve con un ſol dado ſcoprire la faccia del numero 6. per eſempio , ed
azzardare una ſomma eguale a quella dell'avverſario , do vrà chiedere di
gettare il dado tre volte ; e cid col patto che non s'intendano in queſto numero
compreſe quelle volte in cui ſi vol taſſe di nuovo una medeſima faccia del dado
già ſtata ſcoperta . Ciò che ſi è detto di due giocatori, dicaſi di più , e ſi
conſiderino diſtintamente tutti i contratti che fa ciaſcuno dei giocatori , e
l'azzardo a cui eſpone ciaſcuno la depoſitata porzione , e ſi vedrà che non
reſta punto terata la noſtra teoria , benchè coll’eſporre una determinata ſomma
ſi poſſa guadagnare la medeſima moltiplicata per il numero dei giocatori ( a )
. Anzi è regola univerſale in tutti i caſi compleſſi di gioco , ridurli ai ſem
plici dei quali è compoſto , ed eſaminare in ciaſcuno di effi le ſovra
ſtabilite maſſime. Dalle medeſime troppo chiaro appariſce (a) Vedi il
Corollario del Teorema III . 26 che i vantaggi , che ha in alcuni giochi il
banchiere , per eſempio nel faraone quello dei doppietti, quello dell'ultima
carta , ed altri che ha ſecondo i vari uſi dei paeſi ove giocaſi tolgono
l'uguaglianza , perchè tur bano la fiſſata da noi proporzione; poichè nei caſi
medeſimi nei quali il premio che dà il banchiere è uguale alla ſomma azzardata
dal puntatore, il numero dei caſi favorevoli al primo è maggiore del numero dei
favo revoli al ſecondo ; o in ugual numero di caſi favorevoli il ſecondo
azzarda più del primo . Si pretende nonoſtante , che ſe ſi conſideri, non la
relazione che ha ciaſcun giocatore in particolare al banchiere ma bensì tutto
il ſiſtema del gioco , vi ſiano molti rifleſſi che giuſtifichino queſto
vantaggio di condizione . Una ſplendida ſomma ſottopone egli alla cie ca ſorte
, e ſi obbliga di laſciarla ſempre in pericolo . Il puntatore per lo contrario
può voltar le ſpalle ſdegnoſo a quella avverſa for tuna , che tenta in vano di
placare ; o aven dola provata propizia può aſſicurare i ſuoi doni dalla
capriccioſa ſua volubilità . Oltre 1 1 27 di ciò la ineguaglianza delle ſomme
eſpoſte dai vari giocatori , delle quali alcune per dendo può il banchiere
rimanere ftremo , ed eſauſto , ſenza ſperanza di tirar profitto dalla
incoſtanza della fortuna ; le altre ſe vin ce appena gli recano un tenuiſſimo
guada gno ; la non leggiere fatica per ultimo del banchiere medeſimo poſſono
baſtevolmente render leciti i vantaggi che egli ha nel liſte ma del gioco . Io
preſcindo dall' eſaminare quale , e quanta conſiderazione eſigano le accennate
circoſtanze . Due coſe ſolo aſſeri ſco . E che alcune di queſte ſono quantità
non già coſtanti ma variabiliſſime, eſſendo relative a circoſtanze facilmente
alterabili; e che conſiderato il gioco in ciaſcuno a par te dei puntatori
relativamente al banchiere , come par certamente debbaſi conſiderare, la
alterazione della proporzione ſtabilita è mol to notabile in iſvantaggio dei
primi , e in manifeſta utilità del ſecondo . Non voglio perd omettere , che
eſſendo ſta ta eſaminata con eſatto calcolo la ſerie dei vantaggi del banchiere
per ogni pofta fem 1 28 plice , cominciando dalla ſuppoſizione che vi ſiano 52.
carte fino a quella che ve ne ſia no quattro due delle quali ſiano dell'iſteſſa
figura, ſi è rilevato che la media , è il 5 . per 100. Ma in tutto un giro
quando l'avi dità dei giocatori fa che per mezzo dei pa roli o delle paci la
forza del gioco ſi traſporti almeno verſo l'ultime 24. carte , allora la media
diventa il 9. incirca per 100. Ep pure le circoſtanze che eſigono compenſa
zione non variano in modo da efigere que Ita differenza ( a ) . Non ſi ha
dunque nell'attuale ſiſtema del faraone la vera maniera di trovare la com
penſazione delli ſvantaggi del banchiere . Bi ſognerà dunque per ottenerla , o
fiſſare il nu mero delle pofte: 0 por dei termini ſopra , e fotto de' quali non
poſſa ſalire o ribaſſarſi la poſta : 0 tentar di fiſſare più che fia poſſibile
una ſomma relativa alle diverſe poſte la quale (a) Si noti che il vantaggio di
ſopra indicato del ban chiere ſi ripete tante volte quante poite fi fanno ,
onde ſi vede in un ſol giro quanto ſia enorme ed ecceffivo . 29 effendo un di
più della poſta medeſima, ma conoſciuto , non altererà le giuſte proporzioni
fra il prezzo ed il premio : o diſperare per ultimo di poter mai annoverare fra
i con tratti giuſti il gioco del faraone. Sogliono comunemente dalle fagge
leggi vietarſi i giochi di pura ſorte, come quelli che per una certa fatalità
luſinghiera , ſi uſur pano il tempo dovuto alle pubbliche cure , alle dotte
occupazioni , ed al domeſtico reg gimento delle famiglie , alle quali recano sì
di frequente irreparabile ruina ; che non è già sì di rado, che una carta di
gioco , o un ſol colpo di dado decida della defolazione, e dell' inopia di
molti infelici . Si aggiunge a queſto , che la dura legge del biſogno , e la
ſevera faccia dell'avverſa fortuna dettano all'inaſprito giocatore le arti meno
oneſte , e i mezzi più indiretti nel gio co medeſimo ; talchè ſi verificano di
troppo i celebri verſi di Madama Deshouliers . Le deſir de gagner qui nuit &jour
occupe Eft un dangereux aiguillon ; 1 1 1 1 30 Souvent quoique l'eſprit,
quoique le coeur foit bon , On commence paretre dupe , On finit par etre fripon
. E quanto il gioco di pura ſorte ſia ſtato ſempre deteſtato lo conoſcerà chi
oſſervi le Leggi Romane al tit. De aleatoribus , e nei digeſti, e nel codice ,
e legga i dotti commenti degl' interpreti sù i medeſimi, e vedrà che ſi è
ſempre riguardata come oggetto di compal ſione e di orrore la miſera condizione
di que gl’incauti quos praeceps alea nudat . Io però e nel gioco , e in tutti i
contratti di azzardo eſamino la giuſtizia per rapporto ſoltanto alla ſovra
eſpoſta neceſſaria ugua glianza , preſcindendo affatto da qualunque carattere
che poſſa rendere i medeſimi, o conformi, o oppoſti alle provide leggi , e ai
retti coſtumi. Similiſſima al gioco è un'altra ſpecie di contratti d'azzardo ,
che chiamaſi comune mente il lotto de go. numeri ; cinque dei quali ſi
eſtraggono da un vaſo , e decidono della ſorte di chi ſulla ſperanza , che
eſcano 31 dall'urna miniſtra della fortuna , azzarda una data ſomma di denaro .
Troppo ſon note le leggi di queſto contratto , e troppo è facile il conoſcerne
e combinarne gli accidenti , per poter francamente aſſerire che non vi è forſe
contratto di azzardo nel quale , e più nota bilmente e più ſolennemente la
ſtabilita pro porzione reſti alterata . Sempliciſſimi elemen ti formano il
ſiſtema di queſto contratto , e una ſuperficialiſfima cognizione di calcolo è
baſtevole per far conoſcere , che ſebbene una tenue ſomma di denaro può
cambiarſi in una ſplendida maſſa di oro , pure a fronte di un caſo favorevole
ve ne ſono tanti dei ſiniſtri, che rieſce aſſai più ſuperata la probabilità di
gua dagnare da quella di perdere , che non la ſomma azzardata dal promeſſo
premio per ricco e grande che poſſa parere . Per ſalvare la giuſtizia di queſto
gioco , non giova il dire , che conſentendo i gioca tori con piena e perfetta
libertà a queſta diſuguaglianza, queſto baſta per rendere le gitima quella
convenzione , che ſarebbe al trimenti tanto leſiva . Queſto argomento pro * 32
verebbe troppo in genere di contratti , e per ciò deve conſiderarſi di neſſun
vigore. Sareb be queſta maſſima l'appoggio di moltilli mi contratti ingiuſti, e
la difeſa di infiniti illeciti guadagni . Oltre di ciò la maggior parte di
quelli che giocano al lotto neppure ardiſce di ſoſpet tare , che ſiavi a loro
ſvantaggio una sì di chiarata ſproporzione; anzi moltiſſimi rin graziano come
generoſa e prodiga quella mano che premia i vincitori , come ſe foſſe un
gratuito dono ciò che non è ſe non una piccola parte di un debito . Più ſolida
difeſa potrebbe recarſi riflettendo doverſi in queſto contratto dal padrone del
lotto impiegare molti miniſtri, e fare molte e gravi ſpeſe, per lo che può
eſigere ragionevolmente un riſarcimento ; ma tutto ciò ancora non baſta a
rendere giuſto queſto contratto fe ad altri termini e ad altre maſſime non ſia
ridotto . Troppo anche più enorme era la diſugua glianza , prima che con lo
ſtabilito aumento foſſe migliorata la condizione dei giocatori ; condizione
però , che tuttora è aſſai inferio re a quella del padrone del lotto . / 33 Quì
però fa d'uopo dileguare un inganno comune a moltiſſimi che hanno le vedute
corte , e limitate dalla prima ſuperficie delle coſe . Altro è l'aſferire , che
il lotto conſide rato ſemplicemente come un contratto è in giuſto ; altro è il
dire che un Principe giuſto non poſſa ammetterlo nel ſuo ſtato , e debba
toglierlo affatto , e ſradicarlo come un mal nato germe della rovina di tanti
ſconſigliati . Il lotto può conſiderarſi come un tributo , che viene impoſto a
chi ſpontaneamente con fente di pagarlo ; cangiandoſi così in vantag gioſo al
pubblico , ciò che potrebbe eſſer tan to pernicioſo al privato . Non ſi può
deſcri vere l'ardore che muove ciaſcuno a cercare in queſta guiſa un propizio
ſguardo della for te ; nè ſi può immaginare quanto ſia pungen . te lo ſtimolo
che ſpinge, e inquieta chi ri fiette che con una tenue ſomma di denaro , che
azzardi , può guadagnare di che ſoſten tare una languente e numeroſa famiglia ,
o pur talora dilatare i confini del proprio luf ſo , o accreſcer anco tal volta
un nuovo peſo agl’inoperoſi forzieri . Quindi è che tanti , e 34 tanti ſi
affollano a tentare nel lotto la ſorte (a ). Penetrati dall'idea, e ſedotti
dalla luſinga di ( a) Non può negarſi per altro , che riccome tutte le cofe
hanno un grado di valore e di eſtimazione ri Spettiva che naſce dall' uſo che
può o vuol farne chi ne è padrone : può conſiderarſi ſotto l'iſteſſo aſpetto
anche il denaro . Oltre il ſuo valor generale che na. ſce dal rapporto che egli
ha alla maſſa delle coſe che ſono in commercio , può dirſi che un altro egli ne
abbia privato e ſpeſſo mutabile , che naſce dalla qualità e quantità
deibiſogni, o reali , o di opinione che à nelle date particolari circoſtanze, chi
lo poſſiede; Può darli adunque che ciò che ſi azzarda al lotto , levato da una
gran quantità , fia una piccola por zione di eſſa , relativamente ſuperflua;
onde il ſuo valore ſia ſtimato sì tenue a fronte di una ſomma ragguardevole che
rappreſenta un gran numero di comodi e di piaceri benchè fperabile ſolo per un
piccoliſſimo grado di probabilità , che detto valore nella eſtimazione di chi
lo gioca ſia conſiderato come zero , o come una quantità più o meno ad eſſo
approf. fimante , formandoſi perciò , per così dire , una nuova e riſpettiva
proporzione, ſecondo la quale il vantaggio molte volte ſarebbe dalla ſua parte
. Queſto ſe non baſta , come ognun yede manifeſtamente , a render giuſto il
contratto ſerve a render qualche ragione del traſporto , che hanno a tentar la
forte in queſto gioco tanti che pur ne fanno ben conoſcere le condizioni , e
calcolar le ſperanze . 35 quel bene che ſperano , non penſano a mi. ſurare i
gradi della ſperanza medeſima; e il molto oro che già poſſeggono col penſiero ,
getta ſugli occhi loro un lampo che abbaglia talvolta anche il più ſaggio
filoſofo , e il più freddo calcolatore. Quindi un tale impeto non conoſce freno
che poſſa reggerlo , e non legge che poſſa vincerlo . Se un Principe tol ga dal
proprio ſtato queſto oggetto dei co muni voti , la ſconſigliata avidità ad onta
delle più fagge leggi, e deludendo le più ve glianti ſollecitudini ſi
precipiterà in altri ſtati, che ſi arricchiranno a ſpeſe di quello onde il
lotto ſia proibito ed eſcluſo . Unſaggio Principe adunque che può far ar gine a
queſto torrente , accid non sbocchi al di fuori; deve procurare che ſi ſcarichi
tutto a pubblico vantaggio , e che quella porzione di ſoſtanze che fagrificano
follemente alla loro avidità i membri del corpo di cui egli è il capo circoli
per il medeſimo, e poichè i pri vati ſi eſpongono a riſentire dello ſvantaggio
, neſſun nocumento però ne venga alla Repub blica . Così facendo il faggio
Principe , e non 1 36 fi attira la taccia di ingiuſto , e merita tutta la lode
di prudente , di politico , di difenſore e cuſtode della pubblica felicità . Di
queſta verità ne conoſcono per una fe lice eſperienza il frutto in più ſpecial
maniera quei popoli , che hanno la ſorte di eſſere go vernati da Principi umani
e benefici, che per l'uſo che fanno del loro erario , anzichè pof ſeſſori , ſe
ne moſtrano piuttoſto amminiſtra tori a pubblico e generale vantaggio . Havvi
un'altra ſpecie di lotti nei quali non è un ſolo il premio , nè un ſolo il
colpo fa vorevole della forte , ma molti ſono i premi , come molti e vari i
caſi propizi ; e ſecondo l'ordine dell'eſtrazione dei numeri dall'ur na , o
ſecondo altre leggi convenute in pri ma ſi decide del maggiore , o minor premio
. Tale è il lotto che ſi è fatto in Spagna per la coſtruzione del canale di
Murcia , nella quale occaſione ſiccome ha fatta luminoſa comparſa la vaſtità ,
e penetrazione di ſpirito di chi ha ideato il progetto della grand'ope ſi è
diſtinta non meno la finezza , e il di ſcernimento di chi ha regolato il metodo
di ra ; . 2 37 accumulare le gravi ſomme di denaro neceſ fario ad un sì
grandioſo diſpendio . In queſto contratto come nei ſimili ad eſſo biſogna
conſiderare , che varie ſono le ſperanze e molte , perchè vari e molti ſono i
premi , e che la ſomma di tutti reſta come venduta a quelli che hanno comprati
i viglietti . Sicco me queſti hanno sborſato un ugual prezzo , così devono
avere fra loro ugual numero di caſi favorevoli e finiftri relativamente ai di
verſi, o maggiori o minori premi ; quali eſſendo per lo più vitalizj,
l'uguaglianza fra gli azionarj e il padron dell'impreſa dipen de dalle regole ,
ſecondo le quali ſi ſtabiliſce la giuſtiza dei vitalizj . Ma non ſi troverà mai
eſatta queſta uguaglianza , poichè una parte notabile del denaro che
contribuiſcono gli azionarj , non già nel numero o nel valore dei premi ſi
impiega , ma ſi deſtina alle ſpeſe delle ideate opere ſontuoſe . In queſto di
Murcia però così ſono ſtati bilanciati i di ritti degli azzionarj , e ſono
ſtati così grada tamente formati i premi , e in tal numero , e così bene è
ſtata regolata l'economia di 38 1 1 queſta sì grandioſa impreſa, che forſe non
vi è ſtato mai un'altro lotto , in cui ſiaſi nel tempo iſteffo meglio
aſſicurata la ſomma ne ceſſaria alla deſtinata opera , e ſia ſtata me no
alterata la proporzione a ſvantaggio de gli azzionarj. Troppo ſon note le
lotterie , che con al tro nome chiamanſi dai Franceſi Blanques perchè io
impieghi molto tempo in eſami nare le qualità , e i caratteri di tale contrat
to . Dall'economo del gioco ſi mette in un vaſo un certo numero di viglietti ,
dei quali alcuni ſon bianchi ed altri neri , e ſi vende il diritto di eſtrarne
uno il quale ſe è nero apporta a chi lo eſtraſſe il guadagno di un premio del
valore che è notato ful viglietto medefimo . Ognun vede , che accið ſiavi ugua
glianza convien ricorrere alla regola mede ſima, che ſi è data pei lotti che ſi
fanno per grandioſe opere pubbliche, avuta anche quì in conſiderazione la
fatica , e il diſpendio dell'economo del gioco , e riflettendo che in queſto
caſo i premi non ſono vitalizj. Queſto è un contratto della natura di quello
che dai 39 Latini chiamavaſi olla fortunae . In fimil guiſa Auguſto dilettavaſi
al riferir di Svetonio di compartir doni ai ſuoi cortigiani, chiaman do così la
forte ad eſſer miniſtra della ſua beneficenza . Talora un ſolo è il premio che
ſi diſputa fra quelli che giocano alla lotteria , e allora ſe il premio non è
denaro ma un altra coſa qualunque che abbia prezzo , ſi giuſtifica più
facilmente, giuſta l'opinione del Barbeirac , la notata diſuguaglianza : e l'economo
del gioco può vendere non ſolo tanti viglietti quanti corriſpondono al valore
del premio , ma ancora in maggior numero anche di quello che altronde eſiger
pud e l'opera ſua , e il diſpendio , quando ve n'abbia . Queſti lotti fi
riducono , dice il citato au tore ad una ſpecie di compra , che ſi fa in comune
, a condizione che la ſorte decida a chi debba appartenere la coſa comprata .
Se ſiavi adunque dell'alterazione nella propor zione , ſi potrà conſiderare
come ſe fi foſſe comprata la coſa ad un prezzo un poco più alto del corrente ;
penſando che ciaſcuno tra 40 1 ! fcuri queſto di più che in altra fpecie di con
tratto gli parrebbe forſe notabile, ſulla ſpe ranza di guadagnare il premio più
o meno fondata a proporzione che uno ha comprata maggiore , o minor quantità di
viglietti . Queſta mallima, che non è certamente di ri goroſa giuſtizia , non
ſi potrebbe eſtendere perfettamente a quei lotti nei quali , e molti e di vario
prezzo ſono i viglierti, e molti e di vario valore i premi ; a tutti quelli in
ſomma, nei quali non ſia aſſolutamente u guale la condizione dei ſingoli
poſſeſſori di ciaſcun viglietto , benchè lo ſia riſpettiva mente . Prima di
paſſare ad altri contratti giovami riflettere , che anche quando il padron del
gioco , o qualunque altro che ne abbia di ritto pretende , che ſiano valutate
le ſue fa tiche e il ſuo difpendio , non tanto ſi può dire che v'intervenga una
compenſazione ; quanto che ſi verifica di fatto a tutto rigore la noſtra
proporzione , giacchè quel di più che fi paga , non è a titolo di compra della
ſperanza , ma bensì a titolo dell'altrui di 41 ſpendio , e fatica ; e per
conſeguenza eſſendo una quantità eſtranea alla detta proporzione non la può in
verun modo alterare . Si poſſono ridurre ad un contratto d'az zardo appartenente
a queſta claſſe le ſorti ancora propriamente dette . La ſorte, dice
l'elegantiſſimo ſcrittore della ſtoria degl'ora coli , è l'effetto dell'azzardo
, e come la deci fione , o l'oracolo della fortuna ; ma le ſorti fono gli
ſtrumenti di cui uno pud valerſi per ſapere qual ſia queſta deciſione . Le
ſorti ſono ſtate in uſo preſſo i più antichi popoli ; e la forte s'interrogava
, o col gettare i dadi colle proprie mani, o col gettarli da un urna : e ai
caratteri , ed alle parole che ſu i dadi erano ſegnate, corriſpondevano alcune
tavole che ne contenevano la ſpiegazione. Altre molte erano le maniere di
tentare la ſorte , e di a ſcoltarne gli oracoli . E' incredibile poi quan iti ,
e quanto gravi affari ſi regolaſſero a ta lento di queſta cieca divinità . Baſta
leggere gli autori che trattano dei voti che ſi offe rivano a Preneſte , e ad
Anzio , e che parlano diffuſamente delle forti Omeriche , e Virgi 41 liane . I
verſi dell'immortale Epico Greco , nei quali dipinge con sì vivi tratti
l'impeto , e il furore dell'indomito Achille , ritrovati a caſo nell'aprire
l'lliade, erano talvolta la fola innocente cagione della rovina delle più
floride città , e della deſolazione d'intiere Provincie. E ſe per lo contrario
, aprendo i libri della divina Eneide s'incontravano gli amabili colori coi
quali ſi dipinge la man fuetudine e la pietà del figlio d' Anchiſe , gli animi
tutti non reſpiravan che pace , e quei pochi verſi baſtavano per dar fine alle
guerre più ſanguinoſe . Aleſſandro Severo , ſalito al foglio dei Ce fari ,
credette di averne avuto un preſagio , quando privato ancora , anzi odioſo
all'Im peratore Eliogabalo , aprendo nel Tempio di Preneſte l'Eneide di
Virgilio , s'incontrò in quel tratto , ove queſto gran Poeta eſalta le virtù e
piange i'immatura morte di Marcel lo , e preciſamente gli ſi preſentarono
quelle parole fi qua fata aſpera rumpas Tu Marcellus eris . Ma io non parlo
propriamente di queſte forti, e confeſſo anzi eſſere le medeſime uno dei
monumenti più ſolenni dell'umana fol lìa . Io quì parlo delle ſorti, che
chiamanlı elettive , diviſorie , attributorie , e ſimili delle quali brevemente
eſporrò la natura e le qua lità , ed applicherò alle medeſime i più volte
enunciati Teoremi . Due , o più perſone han diritto ad una coſa medeſima;
eſaminato il valore del lor diritto lo trovano uguale; non vogliono gettare ,
nè tempo , nè denaro in ſuſcitare queſtioni ; aſcoltano anzi ſentimenti più
miti , e commettono alla ſorte la deci fione dell'affare, anzichè affidarlo
alle lun ghe , e diſaſtroſe vie dei Tribunali . Conſe gnano i loro nomi
all'urna diſpenſatrice della forte , e quello è giudicato favorito dalla me
deſima, del quale vien eſtratto il nome; e vien dichiarato pacifico , e ſolo
padrone di quella coſa alla quale avea con gli altri ugual diritto . Che ſia
lecito commettere in talguiſa alla ſorte un affare dubbioſo o controverſo non
v'ha dubbio alcuno , giacchè non vi è ra gione per cui non polfa uno obbligarſi
ſotto una condizione tale , che il purificarſi la mede fima dipenda
dall'incerto , e vario evento della forte . Ora ſe i diritti ſono uguali , ſe
quanti fono i concorrenti tanti ſono i nomi che ſi conſegnano all'urna , ecco
che i prezzi che vengono rappreſentati dai diritti che ſi az zardano , ſtaran
fra loro come i numeri dei caſi favorevoli ad uno , al numero dei caſi
favorevoli a ciaſcuno degli altri riſpettiva mente ; ed ecco ſalvata
l'uguaglianza di pro porzione fra i favorevoli, e ſiniſtri caſi, e fra i
riſpettivi prezzi della ſperanza , la ſomma dei quali è l'oggetto della
medeſima nel caſo di cui ſi tratta . L'iſteſſo può dirſi a proporzione , quando
uno abbia un diritto , per eſempio doppio di quello degli altri ; e baſterà che
in tal caſo due volte ſi affidi il ſuo nome all' urna fata le ; e così dicaſi
di altri ſimili caſi . E di fatto queſto contratto a farne una giuſta analiſi
ſi riduce ad un gioco di pura forte, in cui molti depoſitando ugual por zione
un ſolo guadagna tutte le porzioni de poſitate, del quale ſi è di ſopra parlato
; e ſi 45 è detto , che uno depoſitando maggior por zione , pud eſigere a
proporzione condizioni più vantaggioſe . L'iſteſſe maſſime regolar denno le
ſorti elettive che ſi uſano , quando molti avendo un privato diritto ad eſſere
eletti a qualche onorifica o autorevole dignità, troncano ogni ſorgente di
diſcordanza col tentare la forte , L'iſteſſo dicaſi delle ſorti diviſorie, e di
quan te altre poſſono immaginarſi, che tutte ſi ap poggiano ai medeſimi
fondamenti, e in tutte nel modo iſteſſo ſi trova la proporzione che coſtituiſce
l'uguaglianza fra i contraenti , Fin quì fi è parlato di quei contratti che
alla prima delle ſopra indicate claſſi appar tengono . In effi fra la ſperanza
che ſi acqui ſta , e il prezzo con cui ſi acquiſta ſi può fif fare un eſatta ,
inalterabile , e matematica proporzione. Note fono tutte le cagioni che poſſono
aver rapporto al favorevole o triſto evento della ſorte , ſi conoſcono tutti
gli ele menti dei quali ſi formano le varie combi nazioni, e ſi fanno
perfettamente tutti i modi 46 diverſi per mezzo dei quali queſte fi forma no .
E' queſto forſe l'unico caſo al quale ſi poſſa applicare lo ſpiritoſo Emblema
del ce lebre Moivre, rappreſentante la ruota della fortuna, e ſopra di eſla una
ſemicirconferen za di cerchio , che con le ſue diviſioni ſerve a regolare quei
capriccioſi giri , che ſono l'og getto di tanti voti, e la cagione di tante vi
cende dei mortali . Chi intraprende queſti contratti pud , direi quafi, venire
alle preſe con la ſorte , e conoſcendone la forza e l'ar mi bilanciare il
deſtino della lotta fatale . Non è così certamente nei contratti che alla
ſeconda claſſe ſi riferiſcono , ne' quali il rapporto neceſſario a formare
l'uguaglianza fra i contraenti , ſi appoggia alla ſola ſperien za del paſſato,
e a cagioni incerte , e varia : biliffime. lo ſo bene che ſi ſono pur trovati
dei Filoſofi che hanno francamente aſſerite due coſe . La prima, che nelle
umane vicen de che colpi chiamanſi della ſorte, e a noi pajono fortunoſi e
irregolari, ſiavi un ordine coſtante , eun'originale diſegno per cui dirette da
una provida mano che lor dà moto ſecon 47 1 do certe invariate leggi, eſcano a
ſuo tempo ad agire in queſto sì ben congegnato ſiſtema del Mondo . La ſeconda ,
che l'irregolarità , che non agli eventi medeſimi e alle vicende , ma alle
noſtre cortę vedute deveſi attribuire , ſcom parirà finalmente , e replicate
l'eſperienze fi vedrà quella conneſſione che ora ci è inco gnita , e ſi
conoſceranno i fottiliſſimi punti nei quali ſi uniſcono i tanti fili, che
regolano con sì bella armonia l'intero univerſo . Da queſte due propoſizioni argomentano
, che dunque dopo un dato tempo , ſiccome cre ſcendo il numero delle ſperienze,
queſte ci danno regola per conoſcere ſempre più la probabilità di un evento ,
che anch'eſſa va ſempre aumentando a miſura che ſe ne co noſce la regolarità,
arriverà un giorno queſta probabilità a cangiarſi in certezza . Ecco ciò che
aſſeriſcono con molta ſicu rezza alcuni Filoſofi, alla teſta dei quali è
l'incomparabile Moivre più altero di aver rintracciato ne' ſuoi intimi
penetrali l'ordine della natura , e di averle ſtrappato queſto ſe 43 creto ,
che non fu già il ſuo celebre concit tadino di aver conoſciuti, e indicati i
rego lari moti e le orbite dei pianeti per gl'im menſi ſpazi del cielo . Egli è
veriſſimo che la gran macchina dell univerſo ricevè dalle mani creatrici quel
grande impulſo , che poi la mantiene in moto coſtantemente , e dal quale come
da prima cagione derivano tutti i più piccoli moti della medeſima , benchè
immediatamente prodotti dalle ſottiliſſime e varie molle che la com pongono , e
le dan forza . Ad eſſo ſi riferiſce ugualmente un'auretta leggiera che diſſipa
per la ſelva poche aride foglie, e un procel loſo vento che ſull'immenſo Oceano
di ſperde e rompe una flotta ſuperba di mille vele . Le grandi vedute di un
politico illumi nato , che formano il ſoſtegno e la forza del Trono , non ſono
agli occhi dell' Onni potente niente più luminoſe delle ignobili e ſconoſciute
cure di un ſelvaggio , dirette ſoltanto a ſoſtentare la propria vita , e a
difenderſi dall'ingiuria delle ſtagioni . Che poi l'Eterna mente che tutto sà e
49 za , o del tutto regola , abbia voluto che fra i varj eventi che inteflono
la ſerie delle umane vicende , e che ſon chiamati in più ſtretto ſenſo
fortunoſi ſiavi un rapporto più che un altro , un tal'ordine e non un altro , queſto
è quello che io credo non poterſi ſcopriregiam mai . Che dopo un certo periodo
ricompa riſca di nuovo l'iſteſſo evento , chedopo certe rivoluzioni torni
l'iſteſla ſerie di coſe, ridon da egli forſe in maggior lode o della fapien
potere eterno , e ſovrano ? Nell'immenſo vortice della divinità fi pers dono le
idee , che noi abbiamo di ordine , e conneſſione . O non vi è relativamente
agli occhi divini ordine e regola ; o non potiam noi conoſcere in che conſiſta
; o tutto deve dirſi averla ugualmente . Chi vede inſieme col preſente ſiſtema
di coſe infiniti altri pof fibili , vede un punto che non è ſuſcettibile di
quei rapporti, che ſono idee relative a vedute limitate e finite ; o ne vede
infiniti altri , per cagion dei quali pud agli occhi ſuoi parer regolato tutto
ciò che noi chiameremmo forſe diſordine, e confuſione, d 50 Ma non è forſe
neppur vero eſſere più van taggioſo all'uomo che ſiavi di fatto nelle umane
vicende queſta regolarità . Fra le infinite vedute , che l'occhio im menſo ha
preſenti per il vantaggio delle ſue creature , chi ſaprà dire quale abbia
fillata a preferenza dell'altre ? Se un Sovrano cela ai ſuoi popoli i diſegni
che forma, e le impreſe che và maturando, queſta condotta è diretta a tenergli
nella dovuta ſommiſſione , e ad allontanarne l'orgoglio : e ſe un padre , ben
chè benefico fa l'iſteſſo co'propri figli, non lo fa ad altro oggetto , che ad
animarne la cieca confidenza che è uno dei più vivaci alimenti di un reciproco
amore . Non vi è dunque argomento che comprovi queſta preteſa regolarità degli
eventi che ſi fogliono chiamare fortuiti , e caſuali. Ma ſe ancor foſſevi, io
ben non veggo ſu che fondamento ſi aſſeriſca , che agli occhi mortali eziandío
dovrà una volta comparir chiara , e ſvanire per conſeguenza quella ap parente irregolarità
che alla ſcarſezza delle noſtre notizie , e alla mancanza di eſperien ze , in
tale ipoteſi deveſi attribuire . SI Quando ſi vuol fiſſare la contingibilità di
un evento , oſſervar dennoſi ogni volta ch ' ei compariſce , le circoſtanze che
lo accom pagnano , e l'intervallo di tempo che paſſa fra le diverſe ſue
apparizioni . Quanto più creſceranno di numero le oſſervazioni, tanto più potrà
conoſcerſi in quali circoſtanze ed in qual tempo debba arrivare . Da queſto ap
punto argomentano gl ' indicati filoſofi, che ciaſcuna ofſervazione è diretta a
ſcemare un grado della diſtanza che corre fralla irrego larità dipendente a
ſenſo loro dalle noſtre corte vedute , e la regolarità che eſiſte di fatti
nell'originale diſegno, e lega inſieme ed u niſce ſotto certe leggi tutte le
varie vicende . Replicando adunque le eſperienze , rinovan do le offervazioni,
ſi potrà arrivare a render nulla affatto queſta diſtanza ; e a ſquarciare del
tutto quel velo che cela ai noſtri occhi queſta bella regolarità . Di fatto ſoggiungono
, che altro è la cer tezza ſe non un tutto di cui la probabilità è una parte ?
Creſcendo adunque queſta per mezzo delle oſſervazioni, potrà arrivare al 1 گرí
grado di confonderſi col ſuo tutto : ed ecco fiſſata la certezza di quegli
eventi , che ſi fo no ſempre creduti giochi , e capricci di una irregolare
fortuna . E' egli per altro evidente queſto diſcorſo ? Potrebb'egli un animo ,
che non voglia ar renderſi ad altra forza , che a quella della ve rità ,
dubitare ancora di ciò medeſimo che uomini di grande ingegno hanno tenuto per
certo ? E prima di tutto nel formare la tavola dei tempi nei quali ricompariſce
l'evento medeſimo , convien riflettere di non notare ſe non quelle volte ,
nelle quali ſi moſtra ri veſtito delle medeſime circoſtanze . Se così è , e ſe
queſte ſono preſſo che infinite , e in finitamente variabili , ne verrà per
conſeguen za che quella rivoluzione che dee ricondur l'iſteſſo evento farà sì
vaſta , e il circolo che la rappreſenta sì ampio , che o non ſi potran no da
chi oſſerva congiungere oſſervazioni sì diſparate e rimote , o sì poche ſe ne
po tranno fare , e la probabilità creſcerà sì len tamente da non potere giammai
arrivare al 53 grado di confonderſi con la certezza . Tra= laſcio di oſſervare
che un evento può com parire a noi accompagnato dalle medeſime circoſtanze, ed
eſſervi nulladimeno tanta va rietà , che ſe foſle da noi ben conoſciuta fa
rebbe sì che a tutt'altra ſerie da quella di cui ſi fanno le oſſervazioni,
dovrebbeſi ri chiamare . Si conſideri ora ſeriamente qua lunque di queſti
eventi che fortuiti chiamat ſogliamo, da quante cauſe poſſa provenire , e
queſte in quante maniere poſſano combi narſi ; e vedremo , ſe per quante ſi
vogliano replicate ſperienze ſi potrà giammai arrivare ad argomentare dalle
circoſtanze che altre volte fi videro accompagnare un evento , la eſiſtenza del
medeſimo . Quelle ragioni medeſime che immediata mente influiſcono ſugli eventi
fortuiti hanno conneſſione con vari ordini di cauſe più o meno rimote , che
innumerabili ſono ancor eſſe , e capaci di innumerabili gradi di alte razione .
E quì potrei ricorrere a tante fiſiche teorie , le quali dimoſtrano , che un
gran fe nomeno può avere la ſua prima ſorgente , tam 54 lora sì rimota che per
infiniti giri , e tortuoſi fentieri appena ſi può rintracciare ; talvolta sì
piccola , che dopo averla conoſciuta , ap pena ſi può credere che da eſſa
derivi . E la ragione , e la immaginazione vanno in queſto caſo d'accordo a
preſentare al pen fiero l'enormiſſima ſproporzione che correrà ſempre fra un
gran numero di offervazioni quali peraltro non potranno eſſere moltiſſi me , (
ſe vogliano porſi in calcolo quelle ſolo che fimiliſſime ſono , è relative ad
oggetti ſimili ) e l'immenſo vortice fra cui fi aggi ra ľ apparente
irregolarità . Di quì deriva , che a rigore parlando dubitar deveſi di quella
maſſima , che la probabilità di queſti eventi arriverà una volta a cangiarſi in
cer tezza . E quì fa d'uopo riflettere , che la proba bilità , e la certezza
ſono due atti eſſenzial mente fra loro diverſi , come dicono i meta fiſici, e
che fralla maſſima probabilità che arrivi un evento , e la certezza , vi è di
mez zo una ſerie infinita di poflibili. Il timore di errare che ſi coinpone con
la maſſiına pro . 55 babilità e viene eſcluſo dalla minima cer tezza , è una barriera
inſuperabile, per cui non ſi poſſono giammai fra loro confon dere , ed è quello
appunto che le rende ( ſia mi lecito uſare un termine di matematica trattando
di una materia nella quale ſe n'è fatto uſo con tanto profitto ) quantità in
commenſurabili . Le prime oſſervazioni che fi fanno intorno a un determinato
evento , non poſſono dargli che un grado di pro babilità così piccolo riſpetto
al vortice im menſo della irregolarità , e all' infinita ſe rie dei poſſibili
dall'evento medeſimo di verſi , che queſto grado pud conſiderarſi co me un
infiniteſimo . Siccome adunque per trasformare un infiniteſimo in una quantità
finita deveſi queſto moltiplicare per l'in finito , così queſto grado di
probabilità do vrebbe ricevere infiniti aumenti per mezzo di infinite
oflervazioni, prima che ſi poſſa chiamare ridotto al carattere della cer tezza
. Parlo di caſi nei quali la ſerie dei poſſibili, che è di mezzo fralla
probabilità e la cer 56 2 ! tezza , è compoſta di cauſe , che ogn'uno fa eſſere
non immaginate ma vere , e poterſi in infinite maniere combinare . Poche
oſſervazioni baſtano al filoſofo per render certe , o almeno eſcludenti un pru
dente dubbio , alcune ſempliciſſime leggi della natura , dove tanto è lontano
che ſi co noſca effervi infinite altre cagioni poſſibili , che anzi per
argomenti preſi dai principi delle ſcienze ſi deduce non eſſervi luogo a
ſoſpettare che altre ve ne ſiano . E' ben diverſo il caſo noftro ove trattaſi
degli eventi che danno occaſione ai contratti di azzardo ; e riguardo a quali ſi
pretende ſolo di mettere in diffidenza la maſſima che promette che ſi abbia a
cangiare in una aſſo luta e rigoroſa certezza , quella che è mera probabilità ,
e forſe capace di creſcer ſolo pochi gradi . Che non pud fare l'amor di ſiſtema
? Lo ſpirito calcolatore avvezzo a portar lume ai più aſtruſi miſteri della
geometria , e ad ana lizzare le coſtanti leggi della natura col più felice
ſucceſſo , ſi lancia ardito dal gabinetto $ 7 di un filoſofo , e prefume di
porre in mano ai mortali un filo che ſegni la traccia co ſtante degli eventi
più incerti , e di aſſoggets tare alla ſua eſattezza ed uniformità , quan to
v'ha di più vario , e mutabile . Non ſolo hanno cercato alcuni di ſcoprire
un'ordine conoſciuto dai naufragi, un'ordi ne riſpettato dai morbi , e dalla
ineſorabil morte ; ma hanno fperato di poterlo tro vare anche in quegli eventi
che più dipen dono da cauſe morali e libere , le quali agi ſcono certamente ,
non perchè così voglia un ordine e non un'altro , ma perchè così vo glion eſſe
, e non altrimenti . Si è perfino tro vato chi ha propoſto le tavole
degl'incendii , delle cadute fatali da un precipizio , e di molti altri ſimili
fortunofi accidenti come ſe ſi poteſſe ſcuoprire anche in eſſi a ſuo tempo
regola , ed ordine . Per quanto poſſa nei caſi dipendenti da fi fiche cauſe
trovarſi una conneſſione fralle me deſime per lunga ſerie concatenate , in
guiſa che debbano in un dato tempo produrre un effetto più che un'altro ; non
ſi potrà mai dire 1 1 . $$ altrettanto quando vi abbia luogo una libera volontà
che non ſiegue ordine , o conneſ fione , e che può produrre un'atto ſenza rap
porto a verun' altro che abbia altre volte prodotto , o che ſia per produrre in
appreſſo . E ſe è vero , che negli eventi , e nei caſi preſi in compleſſo di
tutte le loro circoſtanze , e in quelli ſpecialmente che ſono il ſoggetto dei
contratti di cui parliamo , qualche o più proſſima, o più rimota influenza vi
hanno le cauſe morali ; che ſi può egli penſare di più ſtravagante che il
volergli ridurre eſattamen te a regola e pretendere di cangiare la pro babilità
in certezza ? E chi fu mai che tentaffe di ordinare le diſperſe, e confuſe
foglie , che contenevano le riſpoſte ſull'avvenire, della fatidica Sacer
dotella di Cuma ? Ma quand'anche gli argomenti da me ad dotti non provaſſero
l'impoſſibilità di arriva re dopo un lunghiſſimo corſo di anni a can giare in
qualche certezza la probabilità, pro vano almeno , che per noi , e per ben mol
te generazioni queſta farà una ſterile ricer 59 ca ; giacchè per molti , e
molti ſecoli, ( ac cordando anche più di quello certamente , che ſi può ) non
ſi potrà vincere quel diſordi ne , e irregolarità almeno apparente , che of
ſervaſi nelle umane vicende , e che in ſomma il limite delle medeſime è tanto
diſcoſto , che pud conſiderarſi come infinitamente diſtante . Dal fin quì detto
per altro non ſi può ra gionevolmente inferire , che dunque dal com mercio
degli uomini ſi debbano eſcludere i contratti di azzardo che appartengono alla
ſeconda delle ſopra indicate clafli . Per provare la verità di queſta
aſſerzione convien fiſſare due maſſime conformi alla ragione , e che ſe non
erro ſono il fonda mento al quale ſi appoggia la giuſtizia di queſti contratti.
Queſta uguaglianza fra i contraenti che è sì neceſſaria a render giuſti i
contratti è un termine vago , e che non ha affiffa alcuna idea , ſe allo ſtato
di natura vogliam rimon tare . Il prezzo delle coſe introdotto o dalla legge ,
o dalla conſuetudine che imitatrice della legge la vince di autorità , ecco ciò
che 60 ha chiamata l' uguaglianza a preſiedere ai contratti . Alla ſocietà
dunque , e alle fire maſſime deveſi attribuire . Si eſamini pero lo ſpirito
della ſocietà, e ſi vedrà che nelle ſue maſſime generali non ſi devono
comprendere quei caſi che è dello ſpirito della medeſima l'eſcludergli, e l'
eccettuarli . Si riduce al lora la queſtione, ad eſaminare ſe ſiano utili alla
ſocietà i contratti in queſtione; e ſe nelle bilance del pubblico bene ſia di
maggior mo mento il vantaggio che recano , o la preciſa offervanza di quella
perfetta uguaglianza ne contratti, che è tanto neceſſaria generalmen te alla
quiete , e felicità degli individui , e al buon ſiſtema, e conſervazione di
queſto cor po morale , e politico . Pochi elementi , e poche idee ſciolgono il
problema . Induſtria eccitata , commercio invigorito , circolazione ampliata .
Vantaggi fono queſti generalmente procurati da tali contratti ben regolati ,
come ſi può ben co noſcere da chi ne eſamini lo ſpirito , e le conſeguenze .
Daqueſto argomento riceve gran forza un 61 ſecondo rifleflo . In queſti
contratti non ſi può avere fra i contraenti una perfetta ugua glianza di
condizione , perchè non ſi può eſattamente miſurare la loro forte . Ma ciò che
manca a queſta giuſta miſura è con une ad entrambi . Ad entrambi è egualme ite
i gnoto per chi debba eſſere il vantaggio , e per chi il diſcapito , potendo
ugualmente nel caſo noſtro , e l'uno , e l'altro a ciaſcun di loro arrivare ; e
queſto medeſimo forma una ſpecie di ſorte uguale , la quale pud ſupplire a
quanto manca alla perfetta uguaglianza . Diſli alla perfetta uguaglianza ,
perchè le maſſime ſopra eſpoſte ed impugnate , vacil lano ſoltanto , perchè
oltrepaſſano certi li miti , dentro dei quali rinchiuſe provano moltiſſimo,
rapporto alla uguaglianza che deve eſſere nei contratti della ſeconda claſſe .
Inteſe le maſſime con la dovuta moderazio ne , è veriſſimo che eſtraendo da
un'urna ove ſiano alla rinfufa molti viglietti bianchi e molti neri , quante
più eſtrazioni fi anderan no facendo , tanto più creſcerà la conoſcen za del
rapporto che hanno fra loro : è verif fimo che le oſſervazioni ſegnate in
tavole danno ai giovani la prudenza dei vecchi : ed è incontraſtabile che
quanto più ſpeſſo ac caderà in natura un evento , tanto più ſi po tranno
attrappare le circoſtanze che lo ac compagnano , e farà meno irragionevole l'in
duzione che dalla eſiſtenza di queſte, ſi farà della futura eſiſtenza di quello
. Si potrà dun que avere un qualche dato per eſaminare la probabilità di
un'evento , e proporzionargli il prezzo con cui ſe ne acquiſti la ſperanza .
Per formare una ſerie dei diverſi gradi di tale probabilità gioverà eſaminare
un qualche contratto in ſpecie, e fiffare i punti dai quali la ſerie ſi parte ;
poichè non ſi potrebbe con tanta facilità fare una giuſta analiſi, o alme no
egualmente chiara , ſe fi conſideraſſero le idee in aſtratto , e ſenza
applicarle ad un de terminato ſoggetto . Fra tutti i contratti che ridur ſi
poſſono a queſta ſeconda claſſe parmi che meriti di eſ ſere diſtintamente
eſaminata l'aſſicurazione , Efla è un contratto per cui uno dei contraenti ſi
obbliga a riparare tutti i danni che può un 63 . altro ſoffrire nelle ſue merci
per naufragio , o altre convenute cagioni ; e queſti ſi obbli ga a pagarli una
determinata mercede in com penſo del pericolo al quale volontariamente ſi
eſpone. 1 Fiorentini che avendo già eſteſo il loro commercio per tutto il
Levante aveano fatto conoſcere a tutto il mondo quello ſpirito di lo devole
induſtria, e fagacità, che forma il nerbo e la floridezza di uno ſtato , e che
fu ſempre del loro carattere , furon quelli che riduſſero a certe leggi queſto
contratto, e gli diedero for ma e credito . Inſegnarono così alle altre na
zioni commercianti a tirarne quel profitto , che il profondo , ed illuminato
Melon aſſe riſce dover eſſere sì ampio per uno ſtato che abbondi di eſperti, ed
avveduti aſſicuratori. Di fatto alla Repubblica Fiorentina deb bonſi i primi
capitoli di aſſicurazione che furono diſteſi negli anni 1523. , e 1525. A
queſti ſucceſſero negli anni 1563. , e 1570. le ordinazioni di Olanda . Non è
ſtata queſta l'unica occafionein cui abbiano, gareggiato in fatto di commercio
64 queſte due nazioni , la prima delle quali ha faputo ſempre profittar
pienamente delle fe lici fue circoſtanze , e la ſeconda compenſare ognora in
mille modi i danni della infelice ſua ſituazione; e inſultar quaſi alla natura
di ayerla in eſſa collocata . Gli ſcrittori che hanno trattato di queſto
contratto lo diſtinguono in due ſpecie. La prima chiamano eſſi aſſicurazione
propria mente detta , ed è quando le merci che ne ſono l'oggetto appartengono
di fatto a quello che ne chiede l'aſſicurazione ; e queſto è ciò che intendono
ſotto il nome di riſico dell' aſſicurato ; ed inoltre ſono eſſe realmente ſog
gette a pericolo , o com'eſſi dicono a ſiniſtro . Per la validità di queſto
contratto ricercaſi la coeſiſtenza del riſico , e del ſiniſtro ; ed è quanto
dire , che l'aſſicuratore non deve pa gare la ſicurtà , nè l'aſſicurato la
mercede , ſe le merci avean corſo già il loro deſtino quan do fi ftipulò il
contratto , o ſe non apparten gono all'aſſicurato . Per maggior comodo poi , e
dilatazione di commercio fu introdotto il contratto di affi 65 curazione ſulle
merci o proprie , ma non nella ſomma che ſi afferiſce , e che cade ſotto l'aſſi
curazione : o appartenenti affatto ad altra perſona . In queſto contratto il
fondamento conſiſte nella fola eventualità dell'azione; e ſi può in eſſo
ravviſare un'apparenza di Scommeſſa della quale però gli mancano ſe condo molti
, alcuni caratteri . Anche in queſta ſeconda ſpecie comunemente ricer caſi, che
le merci ſiano in pericolo ancora quando ſi fa il contratto ; benchè in alcune
piazze ſi ſoſtenga anche nel caſo che le merci aveſſero già corſa la loro forte
quando ſi ſti puld il contratto , purchè però queſto non foſſe a notizia dei
contraenti . Per ridurre pertanto in qualche vero ſenſo il contratto di
aſſicurazione alla Teoria ſopra eſpoſta regolatrice della uguaglianza neceſ
faria nei contratti di azzardo , fa d'uopo con ſiderare due fatta di caufe che
influir poſſono full'evento incerto , che ne forma l'oggetto . Altre ſono le
cauſe fiſiche che per un puro meccanico impulſo della materia agiſcono in
dipendentemente da qualunque libera deter 66 minazione di una cauſa ſeconda ;
il mare cioè più o meno ſparſo di pericoli , agitato da vortici , terribile per
gli ſcogli ; il vento che tormenta più un ſeno di mare che un altro , e domina
più in una ſtagione, che in un altra ; la qualità del naviglio , più o me no
capace di reſiſtere agli urti , e di inſul tare gli Aquiloni ; e finili altre
che a que ſte ridur ſi ponno , anzi con queſte confon derſi . Più incerte
affai, e più indocili all'eſat tezza del calcolo ſono quelle cagioni che mo
rali ſi chiamano , perchè o conſiſtenti nella libera determinazione di un ente
creato , o da quella dipendenti almeno mediatamente . La deſtrezza, e la buona
fede del capitano : l'abilità dei marinari e dei piloti : il nume ro , e la
gagliardìa dell'equipaggio : la mag giore o minor frequenza dei pirati che infi
diano fraudolenti, e poi attaccano rapaci ; o dei nemici armatori che
appoggiano le fan guinoſe loro infeſtazioni ai tremendi diritti della guerra ,
ſono o le uniche , o le più con ſiderabili di queſte cauſe morali . 67 i Se il
fondare un calcolo eſatto ſulle fiſiche cagioni ſuaccennate è impoſſibile: il
fondarlo che ſi accoſti all'eſattezza difficiliſſimo : lo ſarà molto più
l'appoggiarlo alle cauſe morali che non agiſcono per una conneſſione di mo
vimenti , e d'impulſi che l'un l'altro fiſie guano neceſſariamente; ma che
operano per una mera libera determinazione , che per qualunque congettura la
più apparentemente probabile non ſi può preſagire; poichè anche preſa può ſul
momento abbandonarſi , per cangiarla in una affatto diverſa , e talora dia
metralmente oppoſta, e contraria . Un canone perd univerſaliſſimo, e da non
preterirſi giammai in queſto contratto , parmi quello di non conſiderare
neſſuna cauſa , o fiſica , o morale , ſeparatamente o iſolata dalle altre ; ma
di oſſervare l'influenza reci proca che hanno tutte le cauſe l'una ſopra
dell'altra , e quella non meno che hanno ſulle morali ; e l'iſteſſo dicaſi di
queſte rapporto alle fiſiche . Il momento di ciaſcuna cauſa ſi altera a miſura
che diverſamente è combi nata , o temperata colle altre . e 2 68 Per conoſcere
però quanto poſſano queſte cagioni , e ſingolarmente preſe , e in complef ſo ,
è neceſſaria una lunga ſperienza . In queſto contratto , per caſi ſiniſtri non
ſi intendono già tutte quelle combinazioni , che realmente poſſono funeſtare
l'aſſicuratore , e perder la nave , nè per favorevoli quelle che ſalva dai
naufragi, e dalle oſtili violenze , la confe gnano al ſoſpirato porto . Fatta
una tavola di accurate , e frequenti oſſervazioni , e conoſciuto quante volte
in parità di circoſtanze ſiaſi perduta la nave , e quante ſia giunta
felicemente al deſiato fuo termine ; la ſomma delle prime rappreſenta la ſomma
dei caſi ſiniſtri ; e quella delle ſe conde ſi tiene per il numero dei
favorevoli ; e ſu queſti dati ſi forma la proporzione da noi ſtabilita nel III.
Teorema . Queſta è la ſpecifica differenza che paſſa fra i contratti del primo
genere , e queſti che al ſecondo appartengono . Nei primi entrano in calcolo
tutti quanti i poſſibili caſi e fini ſtri, e favorevoli, perchè ſi fanno tutti
, e ſe ne conoſce perfettamente il numero ; noi 1 69 ſecondi fi calcolano
quelli ſoltanto , che dopo una lunga ſperienza ſi ſono oſſervati ; reſtan done
non compreſi nel calcolo tanti altri pof ſibili , i quali perd dopo molte e
molte oſler vazioni fi fuppongono in proporzione di no tati . La proporzione ſi
accoſta tanto più al vero , quanti più ſono i caſi oſſervati, come appunto
accade nell'urna che contiene un ignoto numero di palle bianche e nere : delle
quali con tanto minor pericolo di errore ſi può fiffare la proporzione , quanto
più copioſa ſe ne è fatta l'eſtrazione. In una parola , nei primi è incerto
l'eſito della ſorte ; nei ſecondi è incerto anche ciò che può determinarlo .
Rariſſimi però ſono i caſi che ſieno riveſtiti perfettamente delle medefine
circoſtanze . Fa d'uopo adunque per formare la propor zione ricorrere alle
diverſe tavole , ove ſono notate le circoſtanze preſe ſeparatamente; e
conſiderarle come tanti elementi dei quali ſono compoſti i dati della
proporzione . Scioglie una nave dal Porto , e veleggia per un mare tranquillo ,
e placido ; queſta circoſtanza è un fondamento della propor 70 zione da
ſtabilirſi fra il valor delle merci , e il prezzo dell'aſſicurazione; e la
tavola delle navigazioni fatte in queſto mare lo additerà preciſamente. Ma fe
queſta nave corra un pericolo di pirati , o di nemici che le altre navi facendo
il medeſimo viaggio non avevan corſo giammai , nel formare la proporzione vi
entra anche queſto elemento , la di cui forza ſi miſura dalla tavola di altre
naviga zioni benchè fatte in altri mari , e ſi compone il minor pericolo che ha
queſta veleggiando per un mare tranquillo ; col pericolo che cor ſer altre per
la ſola oſtile infeſtazione. Vaglia queſto per eſempio delle proporzioni com
poſte di varj elementi , il valor dei quali ſia regiſtrato in diverſe tavole ,
non obliando giammai nel combinarli la forza che acqui ſtano dalla reciproca
loro influenza . Ma può talvolta non eſſervi l'eſperienza baſtante a far
conoſcere i gradi di probabi lità dell'eſito lieto , o infauſto . Monta per la
prima volta un vaſcello un Capitano, che non ha mai per l'avanti governato
naviglio alcuno: infeſta i mari una turma di corſari 1 1 71 sbucati da qualche
ſcoglio che alzava prima una barriera alla fanguinaria loro rapacità e dei
quali ignoraſi per anco il numero , ed il valore , o a meglio dire la violenza
della eſecrabile loro ſete dell'oro e del ſangue ; chi potrà miſurare i gradi
dell'influenza che ha ſull'eſito felice la prụdenza e la deſtrezza del primo ,
e ſull’infauſto l'ardire , e la forza dei ſecondi ? In tal caſo per quanto
vogliaſi dare un va lore anche a queſte circoſtanze nuove ; fon dandolo ſu
qualche piuttoſto appreſa , che conoſciuta ſomiglianza ad altri caſi; egli è
certo però che ſenza una più volte ripetu ta eſperienza, non può fiffarſi una
propor zione di cui ſi calcolino i gradi , e ſi nume rino i valori ; e ſenza di
eſſa non ſi può for mare una ſerie che ſerva di norma all'u guaglianza
ricercata in tali contratti. Tutto alla fine ci conduce a riflettere , che una
e fatta proporzione nei contratti del ſecondo genere non può ſperarſi giammai ;
che in molti caſi ſi potrà avere meño lontana dall' eſattezza ; in altri ſi
troverà dalla medeſima 72 più rimota , come dal fin qui detto chiara mente
appariſce . Ma forſe gli aſſicuratori interrogano que ſte tavole , formano
calcoli , e ſciolgon pro blemi ? Il filoſofo che ſcortato dalla ragione fino ai
loro principi eſamina le azioni degli uomini e le bilancia , conoſce che queſti
cal coli ſono neceſſarj a ridurre i contratti all' uguaglianza e comprende che
queſta tanto più ſi otterrà facilmente , quanto più ſiano frequenti queſte
tavole , e numeroſi i caſi che ad eſſe , come a indicatrici della ſorte ſono af
fidati; l'aſſicuratore poi accorto ed illumi nato le conſulta , o le deſidera ;
l'indotto , e meno avveduto ha preſente, almeno in con fuſo la maggiore , o
minor frequenza de' fini ſtri nelle date circoſtanze ſeguiti , e ſu queſto
implicito calcolo forma il ſuo giudicio più o meno eſatto , e non ſi affida
totalmente alla cieca all'arbitrio dell'incerta forte . In queſto contratto il
prezzo che eſpone l'aſſicuratore , è il valore delle merci , che egli ſi mette
in azzardo di dover pagare all' aſſicurato ; quello dell'aſſicurato è la merce:
1 73 de che egli paga all'aſſicuratore in compenſo di queſto azzardo medeſimo .
Ma ſiccome fatto il contratto di aſſicura zione , l'aſſicurato deve in
qualunque evento pagare all'aſſicuratore la convenuta merce de , pare a prima
viſta che per l'aſſicurato non ſiavi azzardo alcuno ; poichè dal punto dello
ſtabilito contratto è deciſa la ſua forte ; o a dir meglio riguardo a lui nel
ſuo con tratto non ha luogo alcuno la forte . Baſta però una giuſta rifleſſione
ſulla natura di tal contratto , per vedere che anche per l'aſſicu rato vi è
l'eſito favorevole della ſorte ſicco meancora l'infauſto . Caſo favorevole può
chiamarſi quello che rende il contraente pago , e contento di aver fatto il
contratto ; talmente che ſe aveſſe pre veduto l'eſito , conſultando ſolo il ſuo
van taggio , l'avrebbe nonoſtante fatto , anzi con tanto maggiore alacrità .
Per lo contrario infauſto può dirſi quello che in qualche modo gli dà occaſione
di pentimento , in guiſa che ſe aveſſe previſto l'eſito avrebbe omeſſo di fare
il contratto. Ora quantunque 74 l'aſſicurato , fatto il contratto ſia già
ſicuro di dover pagare la mercede , qualunque ſia l'evento ; quando però la
nave giunga a ſal vamento , è in caſo di pentirſi del ſuo con tratto ; poichè
ſe non lo aveſſe fatto , e avreb be avuta ſalva la nave , e non avrebbe fof
ferto il diſpendio della ſtabilita mercede . In queſto ſolo ſenſo , e non in
altro , che ſareb be troppo contrario all'umanità , poichè ſi riſolverebbe in
compiacerſi dell'altrui dan no , che neppur ridonda in proprio vantaggio , ſi
pud intendere ſiniſtro per l'aſſicurato il caſo del ſalvamento della nave ; e
in queſto ſolo può ridurſi il contratto al carattere di una vera ſcommeſſa , di
cui è eſſenziale ſe condo alcuni , che l'avvenimento favorevole ad uno dei
contraenti , ſia per l'altro infau ſto , e ſiniſtro . Conchiuſo il contratto ,
l'al ficurato che ha ſentimenti di umanità , deſi dera che ſi falvi la nave ,
ma falvata la nave vorrebbe non aver fatto il contratto . Quello che non ſi può
in modo alcuno ri durre a calcolo , ſi è nella perdita di una na ve , la
minore, o maggior quantità di merci , ! 75 che ritoglier ſi potranno
all'ingordigia dell onde , e ritrarre al lido ; lo che ſuccede mol te volte , e
fa che non debbanſi tutti i cafi ſiniſtri giudicare di un carattere egualmente
dannoſo ; ma diverſi , a miſura , che più o meno delle aſſicurate merci , ſi
perde , e ro vinafi . Il poter prevedere , e calcolare in a vanti tal quantità
influirebbe molto a deter minare la mercede che l'aſſicurato promet te . Ma chi
potrà mai calcolare le tante cauſe che poſſono influire ſopra un sì variabile
ac cidente ? Forſe l'aſſicurato avrà all'ingroſſo preſente queſta varietà di
combinazioni ; ma potrà egli dare ai loro effetti un giuſto valore ? I principj
fin'ora eſpoſti regolatori di que Ito contratto , quando ha per oggetto merci
affidate al pericoloſo traſporto di mare , pof ſono facilmente adattarſi alle
merci traſpor tate per terra ; anzi alle merci , o ſituate nei magazzini , o in
altra maniera cuſtodite . Tutto ciò che può eſſer ſoggetto ad un fatal
accidente , e per quello perire , o deteriorarſi , fi fa eſſere oggetto di
queſto contratto . Anzi il guaſto di un incendio divoratore , le ruine 70 di un
turbine procellofo che abbatte caſe , porta la deſolazione per le campagne , la
vio lenta incurſione di rapaci aſſaſſini, o le ru berie affidate al ſegreto e
alle tenebre della notte dalle timide mani infidiatrici , ed altri pericoli di
tal fatta , che a prevederli biſogne rebbe nulla meno che lo ſpirito di
divinazio ne , ſomminiſtrano in alcuni paeſi occaſione di venire alle mani con
la ſorte , ſenza che nè l'una parte nè l'altra poſſa mai, neppure all'in groſſo
e colla maggiore ineſattezza , miſurarla . Un'altro contratto non meno
intereſſante , e che appartiene a queſta ſeconda claſſe ſi è quello che
chiamaſi vitalizio . Gli uomini non contenti di affidare la loro forte a tante
, e sì varie combinazioni che alterano , e modificano sì ſtranamente gli ef
Teri inanimati ; hanno voluto che ella dipen da anche dalla vita dei loro
ſimili , ed hanno fatto sì che un uomo debba ftimarſi infelice ſe un altro gode
per lungo tempo sì prezioſo dono del cielo . La vita iſteſſa è venuta tal volta
in bilancia con un tenuiſſimo guadagno . Il vitalizio altro non è che l'annuo
inte 77 ! reſſe di un capitale collocato a fondo per duto . Chi colloca in tal
guiſa il ſuo capitale lo fa ad oggetto di ritrarne un profitto mag giore di
quello che riſerbandoſene il dominio potea ſperare. Suol eſſere comune queſto
con tratto e a coloro che non avendo perſone congiunte con ſtretto vincolo di
ſangue o di amicizia , o che non curando le veci dell' uno , o dell' altra ,
non hanno nulla che gli ritragga dal provvederſi i mezzi di ſodisfare anche a
quei biſogni che ſono figli del più molle, e faſtoſo luſſo ; e a quegl'
infelici, che ſenza queſto compenſo condur dovrebbero i triſti loro giorni in
ſeno all'inopia, e allo ſqual lore . Il vantaggio di liberarſi da tante fre
quenti , e penoſe cure della domeſtica eco nomia luſinga molto , ed è talor
neceſſario , a chi trovandoſi in un'età cadente , accom pagnata per lo più da
una infaufta dote di mali, vedrebbe da mercenarie mani rapaci diſperſi, e
lacerati i ſuoi fondi , rendergli un frutto di gran lunga inferiore a quello
che potrebbe ritrarne perchè diviſo con tanci domeſtici fti pendiati
uſurpatori. 78 Quello poi che ſi carica di pagare un frutto maggiore dell'ordinario
ha per oggetto non folo di fare in un colpo l'acquiſto di una ragguardevole
ſomma , ma di vedere la vita di quello a cui lo paga non oltrepaſſare un tal
corſo di anni che la rendita ecceſſiva af forbiſca il capitale , e la ſomma
degli inte reſſi ordinarj , che egli ne ha ritratti . Aipri mo arride la ſorte
fe ſopravviva un tal nu mero di anni che fatta la ſomına delle an nuali rendite
vitalizie , queſta ſuperi il fondo perduto e di più le rendite ordinarie del
medeſimo . Favoriſce il ſecondo ſe la morte fi affretti a troncare prima di tal
termine i giorni dell'altro . Ecco lo ſpirito di queſto contratto . Per
rintracciare nel medeſimo la neceſſaria uguaglianza , e per verificare i noſtri
teore mi è neceſſario riflettere , che sborſato il ca pitale che ſi perde , e
fiſſata la rendita mag giore dell'ordinaria , vi ſarà un certo nume ro di anni
, per il corſo dei quali ſopravi vendo , la ſomma degli ecceſſi della rendita
vitalizia full' ordinaria uguaglierà il capita 6 79 le . Se quello adunque che
perde il fondo foſſe ſicuro di ſopravivere un tal corſo d'an ni , non potrebbe
eſiger di più di queſta de terminata rendita vitalizia . Ma ſiccome quel lo che
dà a vitalizio non è ſicuro di vivere un determinato numero d'anni ; per poter
rendere eguali le condizioni dei contraenti , è neceſſario fiſſare un tal
numero d'anni , che la probabilità di ſopravivere ſia uguale a quella di
premorire , e che al caſo che uno ſopraviva o due o tre anni , o qualunque
altro numero , ſi poſſa con ugual probabilità contrapporre il caſo che muoja un
egual nu, mero d'anni prima . Quando dunque ſi tratta di formare un vitalizio ,
conviene eſaminare quanto abbia ſopraviſſuto un gran numero di perſone , per
eſempio mille , all'età di quello che vuol farlo . La ſomma di tutti gli anni che
tali perſone hanno ſopraviſſuto di viſa per il numero delle medeſime , dà un
numero , che ſi chiama l'età media . Trovato queſto , ſi ſuppone che chi fa il
vitalizio deb ba ſopravivere fino a tal termine , e ſi fa il diſcorſo che ſi è
detto di ſopra , quando ſi è 80 fatta l'ipoteſi che uno foſſe ſicuro di vivere
nè più nè meno un determinato numero d'anni . Nel fiſſare la media ſi ſono
conſide rati gli eventi che poſſono favorire il caſo della ſopravivenza eguali
in numero a quelli che vi ſi oppongono ; uguaglianza che ſi ac coſterà tanto
più al vero quanto ſarà mag giore il numero delle vite dalle quali ſi ri cava
la media . Ecco dunque, come in queſto caſo la ſpe ranza può dirſi uguale al
timore , e per con ſeguenza può aver luogo l'azzardo ſenza op porſi alla
giuſtizia , ed ecco finalmente ridot to il contratto ai termini dei noſtri
teore mi . La ſomma del capitale più le rendite ordinarie , che è il prezzo
eſpoſto da chi perde il fondo , deve ſtare alla ſomma delle rendite vitalizie
che formano il prezzo eſpoſto dall' altro contraente , come il numero dei cafi
favorevoli al primo , al numero dei caſi fa vorevoli al ſecondo ; i quali
ſupponendoſi moralmente uguali per l'accennata ragione , ne ſegue che la ſomma
del capitale , e delle rendite vitalizie dovrà eſſere eguale alla fom 81 ma del
capitale , e delle rendite ordinarie computando tal ſomma fino al termine del
la vita media , che per ipoteſi ſi dà ſtabilito per l'indicato calcolo . Si
ridurrà dunque l'uguaglianza di queſto contratto a diſtribui re per detto
numero d'anni queſta ſomma ; o ſia a rendere anche più ſemplice l'eſpreſ fione
, ſi tratterà di aggiungere alle annue rendite ordinarie il capitale
diſtribuito per detto numero d'anni . E'evidente che per rendere in queſto
contratto le condizioni più eguali convien pigliare un grandiſſimo nu mero di
vite per formar la media . E quì ſi oſſervi che ſe poteſſe la probabilità della
du rata di una vita fino a un dato numero d'an ni cangiarſi in certezza ,
ſarebbe tolto affatto l'uſo di queſto contratto : lo che dee dirſi di tutti i
contratti di azzardo . Si penſa a can giare la probabilità degli eventi in
certezza . Se queſto ſi otteneſſe ſarebbe affatto bandita quella cieca divinità
alla quale ſi abbando nano gli uomini per formarne un ramo di commercio .
Vogliamo adunque miſurar la forte , non eſpellerla . f 82 Tanto più farà facile
in queſto contratto fiſſare la media , quanto più ſaranno ridotte a claſſi
diſtinte le perſone delle quali ſi ſom mano le età . Qualità di profeſſione,
carattere di temperamento , indole di clima , eligono ſeparate oſſervazioni .
In fatti, ſiccome per cali favorevoli s'intendono quelli per i quali ſi
prolungano le vite , per contrari quelli che le abbreviano ; e i ſecondi , nel
fillarſi l'età media vengono conſiderati moralmente ugua li di numero ai primi
; queſta uguaglianza ſarà più vicina alla vera , quanto maggiore ſarà la parità
di circoſtanze . Se abbiaſi però riguardo non ſolo alle an nue rendite
vitalizie , ma al frutto delle me deſime, potendoſi eſſe, e il frutto loro
cangia re ſucceſſivamente in forte fruttifera ; fic come quello che paga
l'annua rendita vita lizia paga un frutto maggiore di quello che ritrae ; dovrà
a proporzione ſcemarſi l'ecceſſo della rendita vitalizia ſull'ordinaria .
Queſto però non ſi oppone alla verità del teorema terzo ; poichè in tal caſo il
prezzo che eſpo ne quello che paga la rendita vitalizia non ܪ 83
farà più quell'ecceſſo della rendita vitalizia ſull' ordinaria , che naſcerebbe
dalla fillata proporzione ; ma ſarà un ecceſſo tanto mino re , quanto è la
differenza del frutto della rendita vitalizia conſiderato ſucceſſivamente , e
per ferie cangiato in forte fruttifera , dal frutto della rendita ordinaria
conſiderata nell'iſteſſa maniera , e così cangiandoſi pro porzionalmente le
eſpreſſioni dei due prezzi , non ſi cangerà l'analogia . Non farà difficile il
perſuaderſi dell'indi cata differenza fe fi conſideri, che chiamata la ſorte
totale per eſempio A , e una di lei porzione C , alla quale corriſponda l'annuo
frutto B , ſarà la ſerie delle annue rate d'in tereſſe o ſia di ciò che ſi deve
ogni anno nella ipoteſi che il frutto ſi cangi in forte , eſpreſſa dalla
ſeguente formola . (C + B ) A ,( B ) A ( C ( C + B С N o ſia eſprimendo per Nil
numero degli anni ſcorſi dal primo (C + B) À laddove quando il N frutto non ſi
cangia in ſorte fi avrà una ſe C_A f 2 84 rie aritmetica il di cui primo numero
cor riſpondente al primo anno farà il capitale col frutto ; il ſecondo il
capitale col doppio del primo frutto ; il terzo il capitale col tri plo del
primo frutto . Il valore adunque del frutto del primo anno ſarà la differenza
dei termini di queſta ſerie . Siccome poi nel caſo dell'ultima ipoteſi , tanto
la rendita ordiną ria , quanto la vitalizia ſi cangiano in forte; fatte le due
ſerie di potenze ſecondo la eſpo fta formula , e ridotte ai termini individui
del caſo di cui ſi cerca , ſi conoſcerà il valore della ricercata differenza .
Richiaminſi però a queſto contratto i prin cipj ſtabiliti in quello
dell'aſſicurazione, e ſi abbia in viſta che per caſi favorevoli , altro non
s'intende , che il numero di quelle per ſone che in parità di circoſtanze hanno
ſo pravviſſuto un dato numero d'anni , per ſi niſtri poi il numero di quelle
che ſono man cate prima ; che queſta parità di circoſtanze vien compoſta talora
da molti elementi il valore de'quali dev'eſſere prima a parte no tato ; e che
la vita dell'uomo dipendendo da 85 cagioni fiſiche e morali , fa di meſtieri
riflet tere al diverſo loro carattere , e alla recipro ca influenza delle
medeſime. Lodevolilimo però è l'uſo di far le tavole , o regiſtri, nei quali ſi
notino la naſcita , la morte , e gli altri accidenti della vita umana ; poichè
queſte ſole appreſtano il fondamento ſu cui ſi appoggiano tanti vantaggioſi con
tratti ; ed elle ſole danno la miſura delle forti, e delle aſpettative dei
contraenti . Sarebbe in conſeguenza deſiderabile che ciaſcun medico regiſtraſſe
privatamente le qualità , e gli accidenti dellemalattie che egli tratta ;
ſiccome quelle del temperamento di ciaſcun malato , che egli libera , o che non
può ritrarre dalle prepotenti fauci di morte . Queſte ridotte in ſiſtema, e
reſe pubbliche riſparmierebbero molte volte la pena di com binarne molte
formate da indotti oſſervatori , anzi fovente farebbero neceſſarie ; poichè
l'imperito regiſtratore omettendo tutte le circoſtanze , o alcuna almeno delle
eſſenziali , rende inutili le ſue oſſervazioni, e appreſta piuttoſto occaſione
all'altrui errore , o irri fleſſione . 86 Benchè e da quali tavole ſi potrà mai
rica vare la giuſta miſura della vita d'un uomo ? Quot non ſunt caufae , dice
S'graveſand intro duft. ad Phil. a quibus vita hominis pendet ? Una di queſte
tavole forſe la più eccel lente , perchè ricavata da regiſtri d'interi regni e
provincie , è quella di Pietro Süſmlich da lui intitolata : La divina
providenza nelle vicende dell'umana ſpecie , dimoſtrata dall'or dine delle
naſcite , morti e moltiplicazioni . Celebre è anche quella di Hocdſon fatta
appunto per fillare le annue penſioni vitali žie , e dedotta dai cataloghi di
mortalità di Londra . Gl’Italiani forſe ſono quelli che hanno traſcurato
fin'ora più dell'altre nazioni queſti importanti regiſtri. Oh ſe lo ſpirito
d'indu ſtria , e di curioſità , che non è l'ultimo pre gio di queſta nazione ſe
l'intendeſſe ſempre con la vera , ed utile filoſofia ! Sono ſtate fatte
oſſervazioni meteorologiche , ed ulti mamente l'aſtronomo di Padova il chiariſ
fimo S: Toaldo ha dato alla luce un libro nel quale ſono regiſtrate le
oſſervazioni fatte 87 í per un lungo corſo d'anni . Più palpabile però , per
ſervirmi di una eſpreſſione di un fommo Filoſofo , e più immediata ſarebbe
l'utilità delle tavole di cui ſi parla . Vi è tutta la ragione di aſpettarla
grandiſſima, dalla aſſiduità , ed efficacia dei noſtri Italiani oſſervatori. Il
preſagio comincia ad avve raríi felicemente . Già dai regiſtri delle na ſcite ,
che la noſtra fanta religione rende neceffari, ſonoſi ricavate delle
conſeguenze ſull'articolo della popolazione : ficcome dalle oſſervazioni delle
frequenti morti dei bambi ni , ſi è preſa occaſione di rintracciarne la cauſa ,
e d'indagare la maniera di ſalvare queſti teneri germi , che sì facilmente foc
combono anche ad un leggiero urto , e ad una tenue ſcoſſa . Al genere dei
vitalizj appartiene quella convenzione , che dal ſuo oggetto chiamaſi: la dote
della figlia . Un provido padre sborfa una determinata ſomma di denaro con la
condizione che fe una tal figlia di freſco natagli manchi prima dell'età nubile
, la sborſata ſomma cada in 88 proprietà di quello che l'ha ricevuta ; ma ſe la
figlia arrivi all'età nubile riceva eſſa da queſto una ſomma proporzionata
agl'intereſſi decorſi del denaro , e al pericolo in cui ella è ſtata di morire
in tal intervallo , e di per der così la ſomma dal padre sborſata . Dovrà in
tal contratto rifletterſi che il prez zo , che sborſa il padre per la figlia è
uguale alla fomma più le rendite ordinarie fino all anno prefiffo ; quello che
azzarda l'altro è l'ecceſſo della dote ſopra la sborfata ſomma , e i frutti
ordinari: ecceſſo che fi deve per l'incertezza della vita . Deve dunque come il
numero dei caſi favorevoli alla vita della figlia fino alprefillo termine , ſta
ai ſiniſtri (a) , o fia ai favorevoli all'altro ; così ſtare la ſom ma sborſata
dal padre , più le rendite ordi narie , all'ecceſſo della dote che ſi dovrà
alla figlia in caſo di ſopravvivenza ſulla ſomma sborſata più le rendite
ordinarie . Havvi un'altro contratto per cui un par ticolare, che vuol comprare
una conſidera ( a) Anche in queſto contratto i caſi favorevoli , e i finiftri
s'intendono come fi dille parlando de' vitalizji 89 bile carica ; per non
privare della ſomma ne ceſſaria a tal acquiſto una famiglia a lui ca ra che la
ſua morte potrebbe mettere in braccio alla deſolazione, e all'inopia ; fi fa
aſſicurare la propria vita per un dato corſo di anni , pagando , o una ſomma, o
un'an nua penſione all'aſſicuratore , che ſi obbliga all'incontro di pagare
agli eredi di lui la ſom ma ſpeſa nell'acquiſto della carica , ſe egli muoja
prima del termine ſtabilito . La eva luazione della vita , si in queſto , come
in tutti gli altri caſi ſi ricava dalle non mai ab baſtanza commendate tavole .
Si oſſervi, che in queſto contratto quello che riceve la ſoin ma o l'annua
penſione, trova vantaggio nella prolungazione della vita di chi la sborſa , al
contrario di ciò che accade nei vitalizj , e negli altri contratti ad eſſi
analoghi . Nel for mare adunque la proporzione cangian nome fra loro i caſi che
nei vitalizj ſi chiamano favorevoli, o ſiniſtri; del reſto non vi è dif ferenza
veruna . E' queſto un contratto di cui tanto meno importa trattenerſi ad eſami
nare i dettagli quanto importa più alla feli 1 $ 1 1 1 1 1 go cità di uno ſtato
che non poſſa mai trovarſi occaſione d'iſtituirlo . Diaſi però in quella vece
una rapida oc chiata a quello che dal nome del ſuo inven tore chiamaſi Tontina
. Non differiſce que fto dal vitalizio , ſe non in ciò che ove in quello la
rendita annua ceſſa alla morte di colui , che collocò il ſuo capitale a fondo
per duto ; in queſto ſi diſtribuiſce nei ſuperſtiti che appartengono alla medeſiına
claſſe , e che hanno fatto un ſimile contratto col padro ne della tontina .
L'ultimo però di ciaſcu na claſſe conſolida ſul ſuo capo tutte le ren dite che
ſi pagavano a quegli che gli ſono premorti nella ſua claffe . A formare le
diverſe claſli dà norma la diverſa età . E' celebre la Vedova di un Chirurgo di
Parigi la quale morì in età di 90. anni , e godeva 35000, lire di annua
penlione frutto di uno sborſo di 600, lire . Dalle tavole di mortalità ſi è
ricavata la formula che eſprime in un dato numero di vite coetanee quanti anni
ſia per durare la più lunga . Da ciò il padrone della tontina pud co 91 lui il
pagare a o il noſcere per quanti anni dovrà pagare le ren dite ; poichè per il
ſovra eſpoſto carattere di tal contratto , val lo ſteſſo per ciaſcuno la ſua
penſione col diritto di ac creſcere , che hanno quelliche ſopravvivono , pagare
la fomma di tutte a quella vita che durerà più dell'altre . Potrà per conſe
guenza fiſſare il valore di queſte annue pen ſioni . Si è in oltre trovata la
formola che eſpri me , dato qualunque numero di vite coetanee , il tempo in cui
uno , o due , o più manche ranno , la formola per il caſo che più perſo ne
comprino un annualità da dividerſi fra loro mentre vivono , da dividerſi poi
dopo la mor te di qualcuno di loro ugualmente fra i ſo praviventi, e da
ricadere finalmente tutta all'ultimo ſuperſtite da goderſi durante la ſua vita
; e queſta ancora dà lume agli azionari ſulla contribuzione che devono
preſtare. E faminate queſte formole , ed avuto in conſi derazione il metodo
tenuto nel fiſſare la pro porzione per i vitalizj , ſi ritrova facilmente la
medeſima anche per le contine . 92 1 1 E' oltre ogni credere benemerito dell'u“
manità il gran inatematico Abramo Moivre , che ha trovate , e applicate le
anzidette , e molte altre formole , che ſi trovano nella incomparabile ſua
opera intitolata la dot trina degli azzardi . Io non le ho riportate perchè il
far ciò e troppo lungo ſarebbe , e devierebbe dallo ſcopo fin da principio pro
poſtomi. Benchè peraltro l'unico mio oggetto nell’ eſaminare i contratti
d'azzardo ſia quello di fiſſare i principj sù cui ſi fonda l'uguaglianza perchè
ſian giuſti ; voglio rammentare , che i più illuminati politici hanno deteſtato
l'a buſo di queſte pubbliche rendite , come ap punto ſono le tontine , ed altre
di fomi gliante natura . E' troppo chiaro che queſte tendono a ſoffocare i
germi dell'induſtria , e ad appreſtare alla parte ozioſa , e indolente della
ſocietà armi ſempre nuove per oppri inere la porzione che co'ſuoi ſudori dà
moto , ed anima al ben eſſere dello ſtato ; oltre di che ſi oppongono alla
propagazione , allet tando eſſe a ſituarſi in uno ſtato nel quale il 1 I 93
generar figli ſarebbe un'accreſcere il numero degl’infelici . En fin je ne me
plaindrai plus De l'etoile qui me domine ; Il me reſte encore cent ecus Que je
vais mettre a la Tontine : O la charmante invention ! Sans avoir du Dieu Mars
eſſuyé le orages , Sans avoir fatiguè la cour de mes hom mages , Je ferai ſur
l'etat , & j'aurai penſion . Così cantò un elegante Poeta Franceſe in
tendendo così di far la ſatira delle tontine ; e pare di fatto che il Poeta
potrebbe ora viver quieto ſu queſto articolo eſſendo eſſe molto ſcemate , e
andate in diſuſo , benchè non così gli altri contratti del genere di cui
parliamo . Ma d'altra parte eſſendo utiliſſimo, e tal volta neceſſario al ben
dello ſtato il poter ſollecitamente raccogliere una grandioſa ſomma di denaro ,
ſenza imporre perciò nuo ve contribuzioni; ed effendovi talora molti cittadini
, le circoſtanze dei quali rendono ad eſſi neceſſario il ſoccorſo di queſte pen
94 . fioni vitalizie ſi potrebbero forſe ritrovare provvedimenti opportuni ,
per fare un eſame regolato dell'età , e delle circoſtanze di quelli che
doveſſero eſſere ammeſſi alla compra delle azioni , e con i neceſſari
regolamentipreveni re gl ' inganni , che in queſto articolo intereſ fante
poteſſero deludere le pubbliche vedute . 1 1 1 1 . 1 Per eſaminare i contratti
della terza claſſe ne quali il rapporto su cui ſi fonda l ' ugua glianza fra i
contraenti ſi appoggia in parte alla conſiderazione di leggi certe , e ſicure ,
e in parte alla ſperienza del paſſato , e a cir coſtanze incerte e di numero
indeterminato , ſi ripigli l'eſempio dell'urna , nella quale ab biavi un
determinato numero , per eſempio di go. palle . Se la ſperanza dell'eſito
felice è affidata all'eſtrazione di una palla ; per la natura di tal contratto
, o gioco che voglia chiamarſi, e per le ſue leggi, il numero dei caſi
favorevoli ai ſiniſtri farà come 1. 89,0 ſia chiamando il numero totale m farà
il mu mero dei caſi favorevoli ai ſiniſtri come 1 : m - 1 e per conſeguenza
l'aſpettativa del buon'eſito farà = mo ſia -112 95 Ma ſe ſia vero che la palla
alla quale è affidata la ſperanza eſca più frequentemente dall'urna che
qualunque altra , e l'ecceſſo di tal frequenza ſu quella delle altre ſia Þ ; il
numero dei caſi favorevoli non ſarà più i ma bensì 1 Xp ; e quello dei ſiniſtri
eſſendo m = 1 , la probabilità della ſperata eſtrazione farà Xp L'addotto
eſempio è la norma coſtante di tutti i contratti che poſſano mai cadere for to
queſta terza claſſe , come comprendenti le condizioni che ne formano il
carattere . Di fatti la probabilità dell'eſtrazione della palla fatale dipende
dalle leggi del contratto certe , e ficure che danno il rapporto di e dalla
ſperienza , ed oſſervazione delle fre quenti eſtrazioni della medeſima, che
danno l'ecceſſo di p ſulla frequenza dell'eſtrazione dell'altre palle nell'
urna rinchiuſe , la quale i XP fa che l'aſpettativa diventi I : m ; 112 Non è
neceſſario che io offervi che per quanto ſiaſi oſſervato queſto ecceſſo p , non
96 dimeno non è ſicuro e certo che piuttoſto eſca tal palla , di quello che ne
eſca un'al tra . E queſta è una di quelle circoſtanze che io chiamo incerte e
variabili . Che ſe ſi trattaſſe di paragonare la pro babilità dell'eſtrazione
fra due palle , ſicco rapporto che naſce dalle leggi certe e ſicure è lo ſteſſo
per tutte due , eſſendo in me il I tutte due ſi dovrebbe attendere ſolamen in
te la diverſa frequenza dell' eſtrazione di queſte due palle . A queſto eſempio
ſi poſſono ridurre fpe cialmente le offervazioni dei giocatori di lotto , e di
quelli che ſi travagliano in oſſer vare quali carte ſi moſtrino più ſovente, o
quali facce del volubil dado , ad avvicendare nell'agitato cuore dei giocatori
la gioja e la triſtezza. Ben' è vero però che per quanto fiano replicate le
eſperienze , in moltiſſimi caſi non apparendo neppure in confuſo una minima
conneſſione di tal frequenza con una vera cauſa da cui derivi , non potranno
giam mai meritare che le abbia in viſta , chi ra 97 giona ſu dati veri , e non
fa caſo di mere e vaganti accidentalità . Se ſi aveſſe a queſte riguardo ,
molti di quei contratti, che nella prima claſſe ho eſa minati , a queſta terza
dovrebbonſi riferire . Ma io per le indicate ragioni , a quella ſola nei ſuoi
veri termini inteſa giudico i mede ſimi appartenere . Anche in tali caſi perd
vi ſono inolti che credono doverſi fare ſcrupo lofo conto dell'oſſervazioni, e
per queſta ra gione ancora approverebbero la mia diviſio ne ; eſſendo queſta
terza claſſe da me confi derata in modo che può , ſe vogliaſi, compren dere le
medeſime, anche quando non appa riſca la ſopra indicata conneſſione . Che ſe il
numero delle offervazioni ſia grande , e i riſultati coſtanti , ed abbiavi qual
che conneſſione fra l'eſito della ſperanza , ed una cauſa dalla quale poſla
derivare tal frequenza di oſſervazioni, allora non v'ha dubbio che ſiamo nel
caſo che caratterizza queſta terza claſſe , e la diſtingue dalle altre . Vi
ſono in fatti molti giochi , nei quali l'eſito fortunato dipende in parte dalla
pro g . 98 pizia ſorte , e in parte deveſi alla propria in duſtria o deſtrezza
nel combinare gli elemen ti del gioco , e rendergli coſpiranti al termi ne a
cui ſta anneſſo il guadagno del premio deſiderato . L'induſtria però di un
giocatore pud conſiſtere o nella ſola avvedutezza e pre ciſione nell'oſſervare
l'eſito delle varie coin binazioni del gioco , che ſi vanno ſuccefliva mente
preſentando , e la replicata ſperienza delle quali porge la norma ai caſi
avvenire ; o nella deſtrezza maggiore di combinare gli accidenti medeſimi del
gioco , di dedurre , di ſcuoprire gli artificj dell'avverſario ; e in
qualſivoglia di queſti due aſpetti ſi ravviſi l'induſtria , è ſempre vero che i
giochi che di effa , e della forte ſi chiamano miſli, hanno un filo non
traſcurabile per cui ſi attengono alla terza clafle dei contratti di azzardo ,
In un gioco miſto è molto difficile che tornino per appunto le medeſime
circoſtan ze ; e quindi è che le oſſervazioni ad e {To re lative ſono della
natura di quelle dei con tratti alla ſeconda claſſe appartenenti ; in certe
cioè , e incapaci di rendere indubitato 99 e ſicuro l'evento , ma fiſabili
quanto baſta per formarne un calcolo che miſuri l ' ugua glianza , acciò il
contratto ſia giuſto . Ma ſiccome in queſti giochi medeſimi vi ſono dati ſicuri
dipendenti dalle loro leggi inva riabili ; quindi è che eſſi appartengono alla
terza claſſe , perchè regolati in parte da tali leggi, e in parte da cagioni
incerte e inde terminate , e dalla ſola ſperienza . Siccome però poſſono eſſere
o molte o poche le com binazioni che conducono all'eſito medeſimo, a miſura che
queſte ſono in maggiore o mi nor numero , prevale nei giochi miſti l'in duſtria
o la ſorte . Inoltre la deſtrezza di combinare , di de durre , di rammentarſi
gli elementi delle com binazioni che ſono uſcite ſucceſſivamente dalla malla
totale delle medeſime nel decorſo del gioco , è variabile , come può ognuno of
ſervare, quanto è variabile la tranquillità d'a nimo neceſſaria , la perfetta
diſpoſizione di ſa lute , e per conſeguenza l'agilità degli ſpiriti,
l'elaſticità delle fibre ; in una parola l'atti vità neceſſaria per ben
riuſcire in qualunque 100 impreſa richiegga applicazione di mente , e
attuazione di fantasia . Conſiderate queſte come cauſe incerte ed indeterminate
, e che ſi poſſono ſoltanto dopo un lungo corſo di oſſervazioni fatte giocando
col medeſimo avverſario ridurre a calcolo , e quanto alla loro frequenza , e
quanto al grado d'influenza ſull'eſito del gioco ; ecco anche in ciò un motivo
per cui il fiſſare l’u guaglianza fra i giocatori nei giochi miſti, dipende, e
dalle invariate e ſicure leggi del gioco , e da circoſtanze incerte , e indeter
minate , Certo è che nei giochi miſti l'induſtria sà tirar profitto dai colpi
della ſorte , e il gioca tore avveduto , dice la Bruyere , imita in queſto un
gran generale , e un abile politico . Al valore del primo , e alle vedute del
ſe condo è miniſtra la forte . Arrivano entrambi francamente al loro intento
per quelle ſtrade medeſime che aperſe il caſo ; e che là metton capo , ove
forſe non gli avrebber condotti i mezzi più maturati , e i piùmeditatiprogetti
. Nei giochi miſti deve farſi la rifleſſione IOI medeſima di cui ſi parlò
trattando dei giochi di puro azzardo . O i giocatori tentano con eguali
condizioni l'evento medeſimo ; o un folo tenta la ſorte del gioco , e l'altro
ſta ozioſo ſpettatore , e riduce la ſua ſperanza unicamente all'infauſto eſito
dell'avverſario . Nel primo caſo ſiccome il numero dei caſi favorevoli e dei
ſiniſtri dipendente dalle leggi del gioco , è l'iſteſſo per ambidue , ſi riduce
a calcolo l'eſperienza ed induſtria , la quale ſi oſſerva nelle medeſime
circoſtanze quante volte abbia ſaputo ridurre a buon termine il gioco ; calcolo
che ſi fonda ſopra oſſervazioni molto difficili, e incerte . Giacchè farebbe d'
uopo che ſi foſſe ſempre giocato col mede fimo avverſario ; eſſendo la
deſtrezza , e abi lità di un giocatore affatto relativa a quella
dell'avverſario ; e potendoſi queſto rapporto variare ogni giorno , o reſtar
coſtante ſecondo i progrelli , o uguali, o proporzionali , o di verſi, che
l'uno , o l'altro facciano nel gio co . E' vero però non meno , che trattandoſi
di rapporti , poſſono in qualche modo gio vare le offervazioni fatte
dell'abilità di un 102 giocatore riſpetto ad un terzo all'induſtria del quale è
noto qual proporzione abbia quella dell'avverſario . Nel ſecondo caſo poi
l'induſtria non è più riſpettiva , ma aſſoluta ; e fi riduce a calcolo con
l'offervare , nelle medeſime combina zioni , o in non molto diffimili per la
natura del gioco , quante volte l'avverſario abbia ottenuto quell'intento che
ſi era propoſto , fotto le date condizioni; e quante volte non abbia toccato il
termine al quale per otte nere il premio dovea pervenire . Generalmente adunque
ficcome il numero dei caſi favorevoli e de'ſiniſtri è dipendente in parte dalle
leggi del gioco , in parte dalle oſſervazioni, che miſurano la riſpettiva , e
afloluta induſtria , converrà diſtinguere , e calcolare queſti due elementi
componenti la ſomma dei caſi favorevoli , e ſiniſtri; e formare poi la
proporzione eſpoſta nel Teo rema III.', e nel Corollario . Se non due , ina più
ſiano i giocatori , ſi rammenti la regola di ridurre i caſi compleſſi ai
ſemplici componenti , e di eſaminare in 103 ciaſcuno a parte le ſtabilite
maſſime. Sarebbe un ripetere il già detto ; ſe io voleſſi ram mentare i
principj ſtabiliti nei contratti della prima claſſe , e in quelli della feconda
. Bafli l'avvertire che in queſti della terza claſſe ove trattaſi dei caſi
favorevoli o ſiniſtri, in quanto dipendono dalle leggi certe e ſicure del
contratto , convien ricorrere ai priini ; ove poi fia queſtione di offervazioni
, e di cauſe indeterminate , conviene eſaminare i ſecondi ; non omettendo mai
di riflettere quanta alterazione poſſa produrre l'influenza degli uni , ſu gli
altri , e la varia loro com binazione . Stabilite così le leggi ſulla ſcorta
delle quali ſi giunge a fiſſare la ricercata ugua glianza in qualunque claſſe
di contratti di azzardo ; non devo diffimulare , che uno dei più grandi
Filoſofi il Signor d'Alembert ha preteſo di abbattere il calcolo delle pro
babilità quanto alla ſua applicazione agli ac cidenti umani . Accid , dic '
egli , queſto cal colo foſſe applicabile , ſarebbe neceſſario , che tutti i
caſi che ſono ugualmente poſlibili ma 104 tematicamente parlando, lo foſſero
anche di fiſica poſſibilità. Sarebbe dunque neceſſario , che gettata infinite
volte in alto una moneta , ſopra una faccia della quale vi ſia impreſſa una
marca , per eſempio palle , e ſull' altra una diverſa , per eſempio croce ,
foſſe ugual mente poſſibile che ſi ſcopriſſe ſempre palle , o croce ; e che ſi
ſcopriſſero alternativamente queſte due diverſe marche . Ma benchè ciò ſia
ugualmente poſſibile matematicamente parlando , non lo è fiſicamente . E queſta
di verſità appunto è quella che fa sì, che il cal colo matematico delle
probabilità , non è applicabile ai caſi fiſici . Anzi non ſi potrà mai fiſſare
il numero delle volte per il quale duri la poſſibilità fiſica di ſcoprirſi
ſempre l'iſtella faccia della moneta , e il limite ol tre il quale non paſſi
queſta fiſica poſlibilità , durante però ſempre oltre ogni limnite com'è
certiſſimo , ed oltre qualunque aſſegnabile numero di getti , la matematica
poſſibilità del continuo ſcoprirſi della medeſima faccia . : Lo prova con una
inafſima che egli ſtabi liſce per certa : che non è in natura , che un 1 1 1
IOS 1 effetto ſia ſempre, e coſtantemente il mede fino ; ſiccome non è in
natura che tutti gli alberi , ſi raſſomiglino fra loro . Queſta maf ſima lo
induce ad argomentare che la pro babilità di una combinazione, nella quale il
medeſimo effetto ſi ſuppone accader più vol te , in parità di circoſtanze è
tanto più pic cola , quanto queſto numero di volte è più grande , di modo tale
che quando queſto è maſſimo, la probabilità è aſſolutamente nulla , o quaſi
nulla ; e all'incontro quando queſto numero è aſſai piccolo la probabilità non
ne reſta che poco , o punto diminuita per queſto riguardo . Adduce egli
moltiſſimi eſempi compro vanti la ſua aſſerzione, e conclude che i re ſultati
della teoria dei probabili , quand'anche ſiano fuori di ogni queſtione
nell'aftrazion geometrica , ſono ſuſcettibili di molta reſtri zione quando i
medeſimi ſi applicano alla natura . Alle ragioni però ingegnoſiſſime di un si
grand' uomo converrà adunque arrenderſi , e diſperare della cauſa del noſtro
calcolo dei probabili ? 1 106 1 Parmi che ben'inteſi i noſtri principj co me
ſono ſtati da noi ſtabiliti, o non ſiano at taccati da tali oppoſte difficoltà
, o le mede fime reftino ſciolte . Prima di tutto ſi oflervi che noi trattiamo
ſolo di calcolare i gradi di probabilità nei caſi nei quali ſi ſuppone po terſi
efla rinvenire . Se diaſi dunque un caſo , che non cada in modo alcuno forto la
cate goria dei fiſicamente poflibili , e che per con ſeguenza nè il minimo
grado abbia di proba bilità ; io dirò che queſto non è oggetto delle mie teorie
; ma non concederò mai che per queſto non ſi poſſano eſſe applicare perfet
tainente ai caſi , che ſiano di fatto filica mente poſſibili. Per conoſcere poi
quali ſiano i caſi o le combinazioni fiſicamente poſſibili nel ſenſo del Sig.
d'Alembert, è neceſſaria una fre quente e replicata oflervazione . Che ſia
fiſicamente impoſibiie ( ſe pure ſi può uſar queſto termine ) che una moneta
moſtri un inaſſimo o un infinito numero di volte la ſtella faccia , donde ſi
ricava , fe non dall'avere offervato che una tale con 107 tinuazione dello
ſcoprimento medeſimo non accade , ma che al contrario ſi vanno alter nando , e
cangiando di tanto in tanto le facce della moneta ? Benchè non può dirſi a
rigore fiſicamente impoſſibile il caſo in cui per un infinito numero di getti
ſi paleſi ſempre l'iſteſſa fac cia , a meno che non vi ſia nella moneta qualche
fiſica e meccanica cagione che ciò non permetta . Se ſi concedeſſe ancora (
benchè non ſo quanto ſia dimoſtrato ) che ſia fiſicamente impoſſibile, che ſi
dia un albero perfetta mente ſimile ad un altro , non che , come fi contenta di
dire il Sig. d'Alembert , che ſi raſſomiglino tutti gli alberi fra di loro ; non
correrebbe la parità , per dedurne che nel caſo di un infinito numero di getti
di una moneta , l'uniforme ſcoprimento di una fac cia della medeſima ſia
fiſicamente impoſſi bile . Poichè vi corre una notabiliflima di ſparità . Tutte
le combinazioni le quali fanno , che una coſa non ſia fimile all'altra , danno
tanti ios riſultati fra loro diverſi. Dalle diverſe com binazioni infinite che
faran caufa che l'ala bero A non ſia perfettamente ſimile all'albe+ ro B ,
naſceranno tanti alberi fra loro diverſi ; o altri corpi dei quali ſi conoſcerà
la diffe renza . Ma dalle diverſe combinazioni che poſſono fare che non venga
infinite volte di ſeguito la faccia palle della moneta ; non ne poſſono venire
che riſultati affatto ſimili , cioè croce ; poichè ogni volta che non ſi ſcopra
palle , ſi ſcoprirà croce . Queſto prova che le combinazioni che ſono contrarie
alla per fetta ſomiglianza di due coſe , formano infi niti rapporti , infiniti
riſultati dei medeſimi, infinite diverſe compoſizioni di parti dipen denti da infinite
meccaniche direzioni delle particelle della materia di infinite poſſibili
diverſe velocità , figure ec.: coſe tutte che nel caſo noftro non ſi verificano
. Di fatto gli elementi che formano la com binazione , che per infinito numero
di volte preſenta palle , ſono tutti ſimili fra di loro , ed hanno fra di loro
un folo invariato rap porto . Di modo che ſe ſi ſupponeſſe mutato 109 l'ordine
col quale eſce prima la infinita ſerie di palle, e ſi ricominciaſſe il getto ,
e ritor naſſe di nuovo a ſcuoprirſi infinite volte la faccia che preſenta palle
, ne verrebbe un or dine fimiliſfimo al primo , potendoſi dire , che l'iſteſla
relazione ha il primo ſcoprimento di palle al milleſimo, che ha il ſecondo al
cen teſimo , e così dicaſi di tutti . Talmentechè a rigor parlando , non ſi può
dire , che fra queſti getti vi ſia ordine che formi fra effi un rapporto
piuttoſto che un altro . Non così degli elementi che formano un dato fiore , o
albero ; eſſendo combinabili fra di loro con infinite varietà di ſopra ac cennate
. Gli elementi fiſici adunque delle combinazioni nel caſo della moneta ſono
ſempliciſſimi, laddove nell'eſempio addotto dal Sig. d'Alembert fono infiniti,
dal che ne viene , che la parità non corre ; e dalla fiſica impoſſibilità ( ſe
fi ammetta ) di trovare mol te , o anche due coſe fra loro ſimili ; non ne
viene la fiſica impoſſibilità che una monetan gettata in aria infinite volte
moſtri ſempre l' iſtefla faccia . 110 1 La diſparità compariſce più chiara , fe
li rifletta che qualunque vedendo in un dato ſpazio tutte le particelle più
minute compo nenti i corpi ; e riflettendo alle variazioni poſſibili della
velocità , e della figura delle medeſime; e vedendone in un ſimile ſpazio un
altro ſimile numero , avrebbe ſubito infe rita l'impoſſibilità di una combinazione
ta le , che ne riſultaſſero due alberi ſimili . Laddove vedendo una moneta , e
ſapendo che ſi deve gettare in aria infinite volte , non avrebbe avuta una
fiſica ragione di preſagire che non ſi ſarebbe un infinito numero di volte
ſcoperta l'iſteſſa faccia , e di credere tal combinazione fiſicamente
impoſſibile , come la pretende , fondato ſulle addotte ri fleſſioni , il Sig.
d'Alembert . In una parola della impoſſibilità ( ſe tal vo glia chiamarſi )
della ſomiglianza di due al beri ſe ne può addurre a colpo d'occhio una fiſica
meccanica ragione ; lo che non può dirſi dello ſcoprimento della faccia di una
moneta . Lo ſteſſo a proporzione dicaſi delle diverſe , III combinazioni delle
lettere che formano la parola Conſtantinopolitanenfibus. Chi attribuirà al caſo
, dice d'Alembert , che ſi combinino in modo tante lettere che formino queſta
pa rola ? chi vorrà crederlo poſſibile ? Dunque conchiude egli ſarà ugualmente
impoſſibile il continuo per infinite volte ſcoprimento della faccia medeſima di
una moneta . Queſto eſempio è molto ſimile a quello dei due al beri fimili ; e
ſi riſponde anche a queſto , che ciaſcuna lettera può variare rapporto a tutte
le altre , e che ciaſcun riſultato ſarà diverſo . La Luna , aggiunge il Ch.
Filoſofo , gira attorno al ſuo alle in un tempo preciſamente uguale a quello
che ella impiega nel deſcri vere la ſua orbita intorno alla terra ; e queſta
eguaglianza di tempo produce ammirazione , e ſi vuol cercare qual n'è la
cagione . Se il rapporto dei due tempi foſſe quello di due numeri preſi
all'azzardo , per eſempio di 21 : 33 , niſſuno non ne ſarebbe ſorpreſo , e non
ſe ne ricercherebbe la cagione ; e pure il rap porto di uguaglianza è
matematicamente و II2 parlando ugualmente poſſibile , che quello di 21:33 ;
perchè dunque ſi cerca una cagione del primo , che non ſi cercherebbe del ſe
condo ? Lo ſteſſo dicaſi della ſituazione dei pianeti e del rapporto che ha la
zona nella quale fono rinchiuſe le orbite loro , alla sfera . Per chè ſi
conchiude egli che queſto non è effet to del caſo ? perchè queſta combinazione
, benchè matematicamente poſſibile al par dell'altre , ſi riguarda .come
effetto di un diſegno , e di una regolarità ? E non ſi crederà poi , che il
ſolo caſo non può pro durre quella combinazione per la quale la moneta ſcopra
infinite volte di ſeguito fem pre palle; e non ſi crederà queſta fiſicamente
impoſſibile , benchè abbia una matematica poſſibilità eguale a quella delle
altre combi nazioni ? Ma io riſpondo , che di fatto le com binazioni dei citati
eſempi hanno avuta una fiſica poſſibilità uguale a quella di tutte l'al tre
combinazioni ; che non vi è forſe argo mento che provi che il caſo non le
aveſle po tute produrre ; ma che anche ſe ſi vogliono LI3 fiſicamente
impoſſibili al ſolo caſo ; ciò è per chè ſon compoſte di elementi infinitamente
variabili ; lo che appariſce a chi ſi faccia di propofito a conſiderare le
diverſe cagioni , e le diverſe poſſibili combinazioni, che poſſon far sì che i
tempi dei due giri lunari non ſia no uguali ; e che la zona delle orbite plane
tarie abbia alla sfera un rapporto diverſo da quello che ora ha infatti;
cagioni tutte fi fiche , e meccaniche . Di più dico , che l'uguaglianza dei
corſi della luna intanto a noi fa impreſſione, in quanto che il rapporto di
uguaglianza è quello al quale ſi fogliono riferire tutti gli altri; e tutta la
differenza che fra eſſo , e gli altri paffa , non è che metafiſica ; e nulla po
ne di fiſico per cui tal combinazione debba eſſere più difficile dell'altre .
Lo ſteſſo dicaſi della parola Coſtantinopoli tanenſibus . Queſta combinazione
di lettere fa ſpecie a noi che intendiamo il ſenſo della parola , e che al
ſuono della medeſima abbia mo legataunidea ; non così a un Turco idio ta il
quale non col nome di Coſtantinopli b 114 ma con quello di Stamboul è avvezzo a
no minare la ſuperba metropoli dell'Impero Ot tomano . Non contento Monſieur
d'Alembert degli eſempi addotti in conferma della ſua aſſer zione , l'appoggia
ad altre due rifleſſioni. Si fa che la durata media della vita di un uomo ,
contando dal giorno della ſua naſcita è all'incirca di 27 anni ; ſi è pure
conoſciuto per mezzo delle oſſervazioni, che la durata media delle ſucceſſive
generazioni più ome no è di 32 anni ; finalmente ſi è provato per tutte le
liſte della durata dei regni di ciaſcu na parte d'Europa , che la durata media
di ciaſcun regno è di circa a 20 in 22 anni . Si può dunque dic' egli ,
ſcoinmettere non ſolo con vantaggio ma a gioco ſicuro che 100. fanciulli nati
nel medeſimo tempo non vive- , ranno che 27 anni l ' un' per l'altro; che 20
generazioni non dureranno più di 640 anni in circa ; che 20 Re ſucceſſivi non
viveran no che intorno a 420 anni . Una combina zione adunque che non daſſe
intorno a 27 . anni la durata media della vita dell'uomo, IIS pigliandone cento
a eſaminare , o non dalle di 32 anni la durata media di 100 fuccef five
generazioni ; oppure portaſſe che 20 Re ſucceſſivi regnaſſero , o molto più , o
molto meno di 420 anni , non ſarebbe fiſicamente poſſibile ; eppure lo ſarebbe
matematicamen te parlando . Dal che riſulta che vi ſono al cune combinazioni
matematicamente pofli bili , che ſi denno eſcludere, quando eſſe fo no
contrarie all'ordine coſtante della natu ra . Dunque la combinazione in cui , o
infi nite volte , o un gran numero veniſſe ſcoperta ſempre la medeſima faccia
della moneta , benchè di matematica poſſibilità uguale a quella di qualunque
altra combinazione , dev’ eſſere rigettata . E' nell'ordine naturale , ché un
banchiere di faraone , che ha dei caſi favorevoli più che dei ſiniſtri ſi
arricchiſca coll'andar del tempo . Di fatti ſi oſſerva coſtantemente , che non
vi è banchiere , che non accumuli groſſe fomme di denaro . Queſto prova , che
quelle combinazioni , che hanno più caſi contrari che favorevoli , ſono alla
fine di un certo b 2 116 tempo, meno fiſicamente poſſibili che le al tre ;
quantunque matematicamente parlando tutte le combinazioni ſiano ugualmente pof
ſibili . Dunque conclude egli , la combina zione , la quale preſenti
ſucceſſivamente per un gran numero di volte ſempre la ſteſſa fac cia della
moneta dev'eſſere eſcluſa . Per riſpondere a queſti due eſempi parmi che prima
di tutto ſi poſſa negare la fiſica impoſſibilità , che con tanta franchezza ſi
af feriſce della durata media della vita di un' uomo diverſa dallo ſpazio di
circa 27 anni. Ed io ſono ben perſuaſo che eſaminando il caſo della vita di
molte centinaja d' uomini ſe ne troveranno di quelle , o aſſai maggiori , o
aiſai minori dello ſpazio di 27 anni ; dun que tale combinazione non fi deve
ſcartare come fiſicamente impoſſibile. L'iſteſſo dicafi di quella , per cui un
banchiere in vece di arricchire ſi vedeſſe dal gioco medeſimo ri dotto all'
inopia ; caſo che non è poi sì in frequente ad accadere . Dicafi piuttoſto che
l'una , e l'altra di queſte combinazioni con tenute nei due eſempi addotti dal
chiarilli 117 mo d'Alemberţ ſono molto difficili, e tanto più , quanto
l'ecceſſo dei caſi contrarj alle combinazioni medeſime ſupera il numero dei
favorevoli ; lo che conviene appunto con li da me ſtabiliti principj . Venendo
poi al caſo noſtro dico , che fo no varie , e moltiſſime in numero le cauſe
vere , e fiſiche che influiſcono ſulla vita degli uomini . Ma trattandoſi del
getto della mo neta , non vi ſono principj fiſici diverſi, e tali , che ſi
debba in vigor deị medeſimi pre dire piuttoſto una , che l'altra delle combi
nazioni , che a rigor parlando non ſono che due , come più ſopra ſi è offeryato
. L'ordine delle umane coſe , e le fifiche qualità , e coſtituzioni dell'uomo,
e delle ca gioni che lo poſſono privar di vita , ſon con ſultati nel primo caſo
; nel ſecondo nulla hav: vi di fiſico che ſi poſſa conſultare a formare il
preſagio . Dunque fi pud predire , che ioo o maggior numero di uomini avranno
preſi inſieme un corſo di vita uguale a quello di altri 100 uomini ; benchè
prima di aver faţte le offervazioni non ſi poſſa cal corſo file 1 b 3 118 ſare;
così prima di aver’anche fatte le oſſer vazioni, conoſciuto il ſiſtema del
gioco del faraone ſi può predire che un numero molto maggiore farà quello dei
banchieri che arric chiſcono , che non ſarà quello degli altri che ſi rovinano
. E ciò perchè veramente vi ſono delle intrinſeche cagioni che portano a for
mare queſto preſagio , e cagioni che naſcono dal ſiſtema del gioco . Ma chi sà
dire qual fi fica ragione addur voglia uno , che vedendo gettarall'aria una
moneta , aſſeriſca che è fiſicamente impoſſibile, che o per un maſſi mo , o
anche infinito numero di volte , pre ſenti ſempre la ſteſſa faccia ? Varie
poſſono eſſere le maniere di gettare in alto la moneta . Si può gettare a una
gran de altezza , e a una piccola ; con poca forza , e con molta ; con tale
direzione che la baſe faccia angolo retto con l'orizzonte ; o che lo faccia
obliquo ; oppure in modo che ſia ad eſlo parallela . Si può anche gettare in ma
niera che ſomigli quaſi il laſciarla cadere leggermente da un punto fiſſo .
Fermiamoci ad eſaminare queſt' ultima ipoteſi; e ſi ve 1 1 119 1 drà , che
laſciandola in tal modo cadere , ſpecialmente a piccola altezza , anche in
finite volte , non vi è ragione di preſagire , che non poſſa eſſere coſtante lo
ſcoprimen to della faccia medeſima . La impoffiſibilità di queſto uniforme
ſcoprimento , la inten de egli il Signor d'Alembert in queſto ca ſo , o negli
altri caſi ? Se la intende in queſto caſo , come dunque ſi verifica , che il
ſolo or dine della natura renda impoſſibile queſto u niforme ſcoprimento ? Se
poi non la intende in queſto caſo , come dunque ſi verifica uni verſalinente la
ſua maſſima ? Ma io aſſeriſco eſſere più conforme allo ſpirito delle ragioni
del Sig. d'Alembert , che anzi egli intenda di queſto ſolo caſo in cui non
altro appunto , che un non sò quale fatal ordine della natu ra ,potrebbe
cagionare la preteſa variazione . Che ſe pure ſi trattaſſe degli altri caſi ,
dico che nonoſtante la variabilità delle combina zionidell'impeto ,dell'altezza
, della direzio ne ; queſte non poſſono valutarſi in modo da rendere
fiſicamente impoſſibile l ' uniforme ſcoprimento; poichè gli effetti di queſte
va 120 riabili combinazioni, non ſono che due ; o lo ſcoprimento di palle, o lo
ſcoprimento di croce ; e non ogni variazione , e combinazione di tali cauſe
influiſce a diverſificare gli ef fetti: come peraltro ſuccede negli eſempi ad
dotti dal Sig. d'Alembert , nei quali trattan doſi di rapporto , o di diverſa
conſociazione di parti , ognun vede , che ogni variazione influiſce a produrre
un effetto diverſo . O ſi riſguardi adunque la diverſità negli effetti ; e
negli addotti eſempi, queſti ſono in finiti, nel caſo noftro non ſon che due
non potendoſi voltare , che palle , o croce ; o ſi ri guardi la diverſità nelle
cagioni che tali ef fetti producono; e negli addotti eſempi, ſo no anch'eſſe
infinite , giacchè ogni minima variazione influiſce come nuova cauſa ; nel caſo
della moneta non è così , potendoſi dare moltiſſime combinazioni di forza ,
altezza , direzione, che producano ſempre l'iſteſſo effetto ; potendoſi anche
dare che in infiniti getti , o in un numero aſſai grande , ſi man tenga
l'iſteſſa direzione , benchè obliqua; l'iſteſſa altezza benchè grande;
l'iſteſſo im 1 1 pero , benchè forte; oppure che fi muti ad ogni getto . Parmi
adunque che e queſti ultimi e gli altri addotti eſempi, o non combinano con
quello della moneta ; o al più provano una no tabile difficoltà nella
combinazione che pre ſenti ſempre l ' ifteffa faccia della moneta ; verità che
ſi accorda perfettamente con gli eſpoſti principj; poichè le oſſervazioni me
deſime ce lo fanno conoſcere ,ed io ſuppon go nell' applicargli, il caſo
probabile , e con la ſcorta dei medeſimi ne cerco il grado di probabilità ; dal
che ne viene che la teo rìa non è applicabile ai caſi ove o neſſuna o quaſi
neſſuna probabilità del buon eſito appariſca , per poterne formare la propor
zione . . Quando poi cominci il numero in cui non ſia ſperabile un
continuodiſcoprimento di una fola faccia della moneta , le oſſervazioni, e non
altro , poſſono moſtrarlo ; quelle oſſer vazioni io dico , che io medeſimo ho
prefe per ſcorta in moltiſſimi caſi appartenenti alla materia dei contratti di
azzardo. 122 } E' poi tanto evidente che la propoſizione del Sig. d'Alembert
non atterra l'uſo del calcolo delle probabilità , che anzi in qual che caſo ſe
ne poſſono tirare delle conſeguen ze , che lo conferinano . Chi gettando un
dado intraprende di ſcuo prire per eſempio il 6 non vorrà gettarlo una ſol
volta , quando debba azzardare una fom ma eguale a quella che azzarda
l'avverſario ; ma vorrà gettarlo più volte . La ſua ſperan za è ,che non
voltandoſi ſempre l'iſtello nu mero che al primo tratto ſi ſcuopre, e che può
non eſſere il 6 , arrivi in più volte a vol tarſi anche il 6 ; altrimenti ſe
non fcopren doſi alla prima il 6 ſi doveſſe ſempre ſcopri re in tutti i tratti
ſucceſſivi quel numero che ſi ſcopre il primo , la ſua perdita ſarebbe ſicura .
La ſperanza dunque di queſto gio catore acquiſta tanto maggior fondamento
quanto più è vero che ſia impoſſibile che ſi volti ſempre quel numero che alla
prima fi ſcoprì; impoſſibilità , che reſta compreſa nel la impugnata opinione
del Sig. d'Alembert . Stabiliti i principj regolatori dell' ugua 123 glianza
nei contratti d'azzardo , e difeſane l'applicazione non reſta che a deſiderare
, che uomini di ſublime ingegno , e di pro fondo ſapere ſi applichino in gran
numero ad eſtendere ſempre più l'uſo di una dottri na sì utile . Quanto a me ,
mi pare di aver ottenuto il mio intento , ſe poſſo luſingarmi di aver formate
ed eſpoſte idee giuſte, e chia in un articolo per una parte sì arduo , e per
l'altra sì intereſſante.
CODRONCHI
(NrcoLA), na cque in Imola il 2o aprile 1751 ed alla patria e al casato
accrebbe lu stro e decoro: perchè già rapida-, mente corsi gli studii delle
amene lettere e della eloquenza sotto la disciplina de' Gesuiti, e con pub
blico saggio nelle materie di filo sofia sperimentatosi non ancora compiuti gli
anni 16, potè dallo stesso genitore nelle matematiche, delle quali era egli
peritissimo, essere ammaestrato. E col magi stero di quella scienza sublime,
illuminando la mente già ordinata a diritti giudizii e scorto da pre cetti
delibati dalla scuola non fal libile degli antichi esemplari, com formò la
scrittura alla altezza del pensiero, alla cultura dello spirito ed al candore
dell'animo : nè i gravi studii della giurisprudenza cui tennesi in Roma
applicato (insegnatore monsignor Giovan nardi concittadino di lui, e fiore de
giureconsulti) gli tolse di col tivare la poetica, alla quale senti vasi per
tal guisa inclinato, che poco oltre il terzo lustro di età bastò a dettare
alcuni componi menti i quali resi pubblici con le stampe trovarono grazia e
lode somma ne cultissimi di quel tem pi, e sì pure in Arcadia alla cui
accademia appartenne col nome pastorale di Cratino. E sono ne gli scritti di
lui altri saggi in tal genere di lettere che a migliori poeti, onde la città di
Santerno si onora, il pareggiano: che se come ne sono degni verranno presen
tati al pubblico giudizio, ben si farà manifesto aver egli con arte maestra
saputi attingere da cia scuno de più valenti Imolesi quei modi sceltissimi onde
le loro ope re di bella luce risplendono mel l'italiano parnaso. Il carme in
fat to robusto e nervoso tal come u sciva dalla penna di Antonio Zam pieri, e
castigato ad un tempo ed elegante, quale il vedi in Camil lo, muove nel
Codronchi con quella spontanea e nobile sempli cità che t'invaghisce nel Canti;
282 e si abbella di quelle grazie ed e leganze di che lo Zappi infioriva le
soavi e dolci sue rime. Tornato in Imola venne decorato della cro ce di Santo
Stefano, e nella Imole se accademia degli Industriosi di cui fu socio si mostrò
erudito ed elegante oratore e poeta: d'indi a non molto passato per le caro
vame a Pisa ebbe colà lezioni di pubblico diritto da quell'alto spi rito del
Lampredi, che il tenne in istima d'ingegnoso e di colto, e che lo ebbe sempre
carissimo. Quindi il magnanimo gran duca Leopoldo gli conferì la carica di
ispettore delle carovane, e ad un tempo la cattedra di etica; intor no a che
compose un trattato qua si corso di lezioni, degno per fer mo di essere fatto
di pubblica ra gione: ed a quel principe intitolò il Codronchi una eloquente e
dot ta Orazione composta eletta, per incarico da lui avutone, al capito lo
de'cavalieri Circa l'origine, le leggi ed i fasti dell'ordine, che fu
pubblicata il 1779, pel Cam biagi in Firenze, dai torchi del quale uscì nel
seguente anno 1785 altro grave e prezioso libro col titolo di Saggio sui
contratti e giochi d'azzardo, ove risplende la dottrina di pubblico economista
e di filosofo; ed ove la materia gravissima, e che diresti poter so lo
dimostrarsi col soccorso del cal colo, per la chiara sposizione pia ma e facile
si mostra alla intelli genza comune, Corse intanto tal fama del sa pere di lui
alla corte di Ferdinan. do di Napoli, che con reale decre to del 25 novembre
1787, il no minò membro del supremo consi glio di Finanze; nel qual tempo venne
ad egual carica eletto quel sommo ingegno di Gaetano Filan gieri, cui il
Codronchi fu poi sempre stretto con vincoli di re ciproca stima e di amicizia
tene rissima. E ben di questo è prova il pa rere dal Filangieri proposto al re
intorno all'enfiteusi del così no mato Tavoliere di Puglia che leg gesi negli
opuscoli di lui pubbli cati pel Silvestri in Milano il 1818. ove egli da
maestro discorre ciò che con grave senno e sapere a veva il suo collega
consigliere Codronchi proposto , quando a questo fine per sovrano volere eb be
a recarsi in queHa provincia. Del quale importantissimo servi gio ebbe onore da
maestrati quivi preposti alla agraria economia che con parole di lode il
provvedimen to del principe ed il nome del be nemerito consigliere in latina e
pigrafe eternarono; e n'ebbe dal monarca eziandio meritato pre mio: imperciocchè
gli di grado di consigliere effettivo con voto, e di sopraintendente alle
dogane ed alle zecche del regno; nel che adoperò a maniera, che sommo vantaggio
m'ebbe lo stato per la retta amministrazione di quegli ufficii, ed a lui
vennero per mol te lettere di mano della stessa regnante Carolina
onorevolissime lodi. Seguì il Codronchi la real corte a Palermo quando dovè
colà ri fuggirsi nel 1798 : e con essa lei tornò al suo impiego in Napoli nel
seguente anno 1799. Salito al trono il re Giuseppe, volse tosto gli sguardi ad
esso lui come a spec chio di sapiente reggimento e di non comune interesse, e
gli confe rì la carica di consiglier di stato, di cavaliere del nuovo ordine
del le due Sicilie da esso lui istitui to: ma la mal ferma salute che gli vietò
continuare a quel monarca i suoi servigi, e che il tolse a quel regno ove
lasciò fama durabile del suo merito, procacciò alla patria il conforto di
vederlo tornare fra' suoi concittadini de quali era de siderio e delizia : e
ben l'ebbero eglino zelantissimo della pubblica 283 morale, e civile istruzione
dei giovani a quali col più potente dei precetti, l'esempio, era di bel la
guida e di stimolo; e per l'im portante buon regime delle acque operoso; e di
quant'altro poteva interessare il pubblico vantaggio studiosissimo: nè
mancavano ai mendici dalla mano benefica di lui generosi soccorsi i quali seppe
providamente elargire, anzichè ad alimento dell'ozio, a meritato sollievo della
vera indigenza. Illi bato del costume e per la esqui sita erudizione della quale
era for nito nella sociale consuetudine piacentissimo, con la serena calma del
giusto vide giungere l'ora e strema del vivere, che a suoi cari ed alla patria
il rapì nel giorno 15 novembre 1818, in età di an mi 67: e della acerba morte
di lui amaramente si dolse l'universale della città desolato per la perdita
irreparabile di quest'uomo chia rissimo nel quale si ammirarono congiunte a
sapere profondo in o gni maniera di scienze e di lette re, integrità di vita e
dovizioso corredo di ogni bella virtù. Nicola Codronchi. Keywords: contratto,
tre tipi di contratto, contratto epistemico, contratto empirico, contratto
misto. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Codronchi” – The Swimming-Pool Library.
COLAZZA: (Roma). Filosofo. Grice:
“Having gone to Clifton, I love Colazza – he is into ‘iniziazione’ – specially
in the equites of ancient Rome, but not much different from mine!” Di una
famiglia dell'alta borghesia romana, e istruito agli studi umanistici e si laurea
a Roma. Cultore dell'esoterismo e delle dottrine massoniche e teosofiche. Fonda
il club antroposofico in Italia. Dall'incontro con l'antroposofia Colazza
apprese l'esigenza di seguire pratiche spirituali di concentrazione adatte al
contesto occidentale, coltivando in particolare la «via del pensiero cosciente». Altre opere: Dell’iniziazione (Tilopa); La
magia del noi di Ur (Edizioni Mediterranee). Evola e l'esperienza del Gruppo di
Ur. A strong
anthroposophical influence came from Giovanni Colazza and Duke Giovanni Colonna
di Cesard . Close to the group , which adopted the name UR , were Guiliano
Kremmerz ( 1861-1939 ) , founder of the Fraternity of Myriam. Sedute spiritiche
che si svolgevano in casa dell'amico Giovanni Colazza, e che talvolta si
protraevano sino all'alba. SPUNTI DALLA CONFERENZA TENUTA IN ROMA CIRCA IL TEMA
DELL’INIZIAZIONE. VENERAZIONE E CALMA INTERIORE”. Il saggio l’Iniziazione mi fu
consigliato da Steiner in francese a Piazza Spagna, come un saggio importante, da
tenere sempre presente come guida.
L’uomo così come nella vita quotidiana serve a poco o niente per il mondo
dello spirito. Siguo Steiner più o meno il saggio, aggiungendo poi altri insegnamenti
estremamente utili per ottenere reali risultati. La nostra persona, di cui
siamo coscienti, è solo un riflesso del nostro ‘noi’. È molto utile per giungere
alla conoscenza del nascosto ‘noi’, distinguere e separare in noi il pensare
che p, il sentire che p e il volere che p. Cita l’aneddoto di Eurialo e Niso,
che viveno nell’illusione di essere il suo ‘noi’ contingente. L’esoterismo e facile,
se si conforta sempre donandoci personali indicazioni, circa gli esercizi e la
pratica esoterica. Ma ora, invece dobbiamo cercare fedelmente e scrupolosamente
quello che possiamo accogliere e applicare a noi stessi. Si dice che è importantissimo cominciare
sviluppando il sentimento di ‘venerare’. Non bisogna fraintendere il concetto
di “venerazione” con uno stato di esaltazione interiore dovuto all’insegnamento
che il tutor ci può dare e che noi accettiamo per co-ercizione intellettuale o
sentimentale o per atto di fede: ma non è assolutamente questo. Il fatto da
riconoscere è questo. Il calore dell’anima è vita stessa per l’anima.
L’accogliere freddamente contenuti spirituali, ci riempie soltanto il ‘noi’ di
nozioni, senza far penetrare la forza dello spirito. La venerazione e il calore
di nostre anime sono l’attività di nostre anime stesse. Bisogna aprirsi a tali
rivelazioni della psicologia filosofica come dottrina dell’anima, con
atteggiamento di venerazione. I meravigliosi quadri circa l’evoluzione del
cosmo devono risvegliare in noi ammirazione, meraviglia e riconoscenza per la
gerarchia. Tale stato di nostre anime
destano in noi questo calore, la venerazione per co-esseri e fatti spirituali,
ai quali siamo debitori. Astenersi dalla
critica e dal giudizio, cercare di cogliere nell’altro non il difetto, ma la
qualità migliore, incoraggiare ciò che vi è di meglio. Il biasimo è energia
perduta. Il sentimento positivo e buono e per le nostre anime come la qualità
dell’aria che inspirando mettiamo in circolo nel corpo. Più è pura, più saremo
sani. Il godimento rappresenta una lezione per l’uomo quanto il dolore,
soltanto che è più difficile leggervi dentro. Non bisogna fermarsi alla
sensazione del piacere, ma ricercare nel godimento il contenuto più elevato da
cui promana, che ne è l’artefice e il senso, ma la sua essenza più intima.
Occorre coltivare momenti di raccoglimento, lavorando sui ricordi: rievocare
immagini mnemoniche di fatti passati, o della giornata trascorsa ricercando
nelle nostre anime l’eco di ciò che aleggia in quelle passate percezioni.
Bisogna passare in rassegna gli eventi con meticolosa analisi, oggettivarli,
senza applicare alcuna speculazione né alcun giudizio; osservare tutte le
concatenazioni, semplicemente contemplarle in modo neutro, lasciando che siano
esse a svelarci qualcosa. Noi dobbiamo fare il silenzio. Tale lavoro equivale
ad anticipare ciò che avviene nel sonno, quando la gerarchia penetrando nel
nostro corpo astrale e nel ‘noi’, inseriscono i loro giudizi. L’impazienza è un
perdere energie. Il tono generale della preparazione è quello di una ri-educazione
su nuove basi, della vita di pensiero e di sentimento, tramite speciali
esercizi. Bisogna entrare nel ritmo della ripetizione, senza lasciare che la
nostra natura inferiore si ribelli, rifuggendo gli esercizi. La noia è un
grande nemico. ESERCIZIO DELLA PIANTA CHE APPASSISCE. Bisogna osservare una
pianta in pieno sviluppo afferrando tutti i dettagli; osservarla e riceverne
una percezione così chiara che, chiudendo gli occhi, possa rimanere come chiara
immagine interiore di fronte a noi. Esercitarsi con la forma esterna cercando
ad occhi chiusi di ricordarla, visualizzandola. Quando si riceve un’esperienza
non bisogna assolutamente tradurla in concetti con le parole: bensì mantenerla
in sé e coltivarla. PREPARAZIONE E ILLUMINAZIONE. Altra cosa importante da fare
è dirigere l’attenzione sul mondo dei suoni. Analizzare e realizzare la
differenza fra i suoni di origine minerale immota, e quelli di natura vegetale
o animale. Fra lo scroscio dell’acqua, il fruscio delle foglie nel vento, il
rotolare di una pietra e il rumore di una macchina vi è una diversa
manifestazione delle Forze cosmiche. Cessato il suono, dobbiamo prolungare in
noi il suo effetto, ma non attraverso l’udito, ma tramite l’orecchio
dell’anima, senza immaginare nulla: aspettare in Silenzio il sorgere di
qualcosa. Le potenze spirituali non si trovano e si lasciano trovare come
avviene nel mondo sensibile quando si va a monte di un effetto per ritrovarne
la causa: sono Esse a decidere per loro deliberazione, se è lecito o no farsi
percepire dal ricercatore. Sono Esse che devono e vogliono trovare l’uomo, solo
se posto in un determinato stato di accoglimento interiore. Le percezioni
immaginative si manifestano come impressioni interiori paragonabili ad
impressioni suscitate in noi da un dato colore fisico; la percezione
soprasensibile appare rivestita da un colore perché il suo contenuto animico è
affine a ciò che quel dato colore equivale corrispondentemente come
manifestazione animica. La percezione di un rosso osservato nel mondo fisico,
genera in noi un particolare sentimento, contenente qualità animiche: l’Entità
che ci appare immaginativamente se ha in sé del rosso, significa che contiene
in lei delle qualità e dei contenuti animici affini a ciò che nel mondo fisico
ci appare come rosso. E’ un grave errore ritenere che ci si deva attendere nel
mondo spirituale come una “ripetizione” più sottile delle forme del mondo
fisico. Lo spirituale ha qualità totalmente dissimili dal fisico. Bisogna
sviluppare sempre più simpatia e compassione verso gli uomini e gli animali e
sensibilità per la bellezza della natura. IL NON VEDERE RISULTATI DURANTE IL
TIROCINIO. Spesso il discepolo non si avvede degli effetti e dei risultati derivanti
dagli esercizi occulti. Ciò è dovuto al perché si tende a guardare fisso in una
direzione, attendendosi di ricevere qualcosa solo da quella direzione, senza
accorgersi che ciò che invece è arrivato, promanava a noi da un’altra
direzione. Vi sono due gravi ostacoli nella percezione immaginativa: presupporre
e attendersi in modo personale ciò deve avvenire; confondere le percezioni di
colore con le sensazioni di colore fisico, quasi cercando con gli occhi all’esterno,
ciò che invece può apparire solo interiormente. Le percezioni di colore o di
forma, non promanano dall’ente osservato, ma sorgono in noi, nascendo dalla
nostra interiorità. La conferma circa l’autenticità di aver avuto una vera
esperienza spirituale è confermata dall’avvertire in sé il sentimento di aver
come sperimentato uno stato già provato; non che l’immagine percepita ci è a
noi nota, ma che il sentimento provato durante l’esperienza è un qualcosa di
già vissuto, in un passato remotissimo (atlantideo o lemurico). È un primo passo verso il riconoscere in
coscienza il proprio primordiale passato, quando si era in completa unione con
il mondo spirituale. ESERCIZIO DEL SEME. Osservare con gli occhi fisici un
seme: forma, colore, peso, dimensioni, rapporti. Fatto ciò, occorre
interiorizzare l’immagine, astraendosi dalla percezione fisica del seme,
sforzandosi di visualizzarlo nel campo della propria coscienza, ad occhi
chiusi. Si pensi che in esso è virtualmente presente in potenza l’intera pianta:
vi è in lui un’Idea, una Legge naturale invisibile che lo governa, la quale
manifesterà in un futuro sulla Terra la pianta in lui ora nascostamente
contenuta. In lui dimora una potentissima forza vivente, che si cela alla
nostra vista, invisibilmente. Rappresentarsi poi il processo temporale, di
crescita in successione, nel triplice ritmo della sua costituzione:
radice, fusto, fogliame, fiori, frutto.
Non è importante curare i dettagli, ma sentire la forza di questa
manifestazione, la potenza creativa che si esprime nell’espansione dirompente
delle forze insite nel seme. Quel che noi sentiremo come potenzialità espansiva
è l’elemento invisibile del seme: la forza eterica. Il ritmo perenne del mondo
vegetale trascende il seme stesso come dato immediatamente sensibile e
percepibile. Ci si volga di nuovo al seme (aprendo gli occhi?) collegando ad
esso l’intero processo immaginativo delle potenziali forme di crescita,
dell’invisibile che è diventato visibile. La forza che ne risulterà si tradurrà
in noi come facoltà di visione: una specie di nube luminosa, una specie di
piccola fiamma di colore lilla-azzurro, aleggiante intorno al seme. Ciò è la
vivente forza vitale che edificherà la pianta. ESERCIZIO DELLA PIANTA. Osservare
una pianta in completo sviluppo, sforzandosi di vedere in essa
immaginativamente l’attuarsi del ciclo seme-pianta-fiore-frutto seme,
realizzando così un senso di perennità della vita vegetale, espressa nella
sintesi della forma della pianta stessa. In un certo senso, è come se dalla pianta-spazio
momentanea, si estraesse la pianta-tempo, ossia l’Idea totale o Essere di
specie vegetale a cui appartiene quella pianta. Pensare poi che vi sarà un
tempo in cui questa pianta non esisterà più, sarà scomparsa. Questa pianta
verrà annientata, ma non la sua specie: essa ha generato dei semi tramite i
quali, l’Idea della specie continua l’esistenza in altre piante. Senza
distogliersi dalla percezione spaziale fisica della pianta, bisogna sovrapporvi
l’immagine di ciò che ella sarà nel futuro, che avvizzisce e che appassisce,
disseccandosi, di quella realtà celata ai nostri occhi. La pianta morirà, ma
non morirà l’idea o la legge che l’ha generata e fatta agglomerare. Questo
trasportarsi nella dimensione delle potenzialità ora latenti, della pianta in
oggetto, produrrà in noi la visione di una fiamma. Un’indicazione personale che
voglio offrire, è di cercare di contemplare le forme, partendo da una diversa
prospettiva rispetto quella usuale. Se si osserva una pianta, solitamente il
fusto è perpendicolare all’asse degli occhi. Si provi a piegare la testa, in
modo che esso diventi parallelo all’asse degli occhi. Il modificare il modo
abituale di vedere, favorirà l’esperienza spirituale. L’obiettivo di questi
esercizi è di trascendere l’oggetto percepito per arrivare al suo contenuto
immaginativo. ESERCIZIO DELL’UOMO. Prendere in esame il ricordo di un evento in
cui abbiamo assistito alla trasfigurazione nei movimenti e nei gesti di un
individuo preda di un fortissimo desiderio. Sforzarsi di sentire in noi quel sentimento
di brama o desiderio. Pur sorgendo, trasferendo in noi tale sentimento, esso
deve rimanerci estraneo, tanto da poterlo osservare obiettivamente, senza
parteciparvi con sentimenti e pensieri. Appariranno diverse gamme di sfumature
di colori. Altro errore è di compiacersi inavvertitamente o di stupirsi
nell’attimo in cui si ha un’esperienza spirituale: si genera difatti un’onda
nel sentire che annega l’esperienza stessa. Altra qualità indispensabile da
sviluppare è il coraggio o intrepidezza. Certe esperienze spirituali, dalle
quali siamo ordinariamente protetti alla loro percezione, sono impossibili da
sostenere senza tale qualità. Aver fiducia nelle potenze spirituali, è come
aprire un varco ad esse verso di noi: se veramente desideriamo da loro un
aiuto, attraverso la fiducia in esse verremo soccorsi e sostenuti. LA DIETA
ESOTERICA. L’alcool è da evitare, anche durante i pasti e anche se assunto in
piccole quantità: esso immette nel sangue un elemento anti-Io che si oppone
all’autonomia dell’Io; una specie di neutralizzatore fisico dell’esperienza
spirituale. L’alcool limita, distorce o impedisce la possibilità di giungere ad
una percezione cosciente del mondo spirituale. Bisogna giungere a sentire
spontaneamente ripugnanza, un naturale disgusto verso la carne; essa contiene
sostanze che favoriscono l’irregolare autonomia di certe condizioni del corpo
astrale. Inoltre essa paralizza le forze contenute nel ricambio, le quali sono
di natura prettamente spirituale. I vegetali che si sviluppano sotto terra,
senza la luce solare, come funghi, legumi, sono meno indicati di altri che si
impregnano di luce solare, come i pomodori o le arance. GLI EFFETTI SUL CORPO
FISICO SUSCITATI DAGLI ESERCIZI. Tutti gli esercizi antroposofici, tendono a
realizzare una maggiore mobilità del corpo eterico: nell’antichità, per
ottenere questo ci si aiutava attraverso particolari tecniche di respirazione.
Oggigiorno, tali pratiche sono dannose: si realizzano difatti degli strappi fra
l’eterico e il fisico; se tuttavia se si verificasse qualche esperienza
spirituale, sarebbe priva di controllo, casuale. Le pratiche respiratorie sono
sconsigliabili. A seguito degli esercizi antroposofici, la respirazione assume
spontaneamente un nuovo ritmo. La mobilità del corpo eterico offre la
possibilità di percepire il proprio corpo fisico come un elemento estraneo. Si
possono, durante il tirocinio esoterico, avvertire delle trasformazioni che
possono, ma non devono venir interpretate come anomalie patologiche. Si può
avvertire, come non prima, il proprio sistema osseo interno come un peso.
Un’altra sensazione è sperimentare i propri muscoli come percorsi da correnti;
si sente scorrere qualcosa nel sistema muscolare, quale moto del corpo eterico.
Si può poi avere la sensazione che la nostra coscienza sia distesa e diffusa
non più solo nella testa, ma lungo tutto il sistema circolatorio, nel sangue
ove vi è il nostro noi. Si avverte poi il il centro del proprio essere nel
centro del cervello, mentre nella periferia di esso si percepisce la zona ove
opera e agisce la memoria rappresentativa. Il sistema nervoso comincia a
rendersi indipendente dalla corrente sanguigna. Si ha poi la percezione di
avvertire l’indipendenza e l’individualità dei singoli organi interni. Ciò vale
anche per gli organi di senso, che sembrano come “attaccati” al nostro essere.
I SENSI. Il tatto non è un senso, ma un urto contro il mondo esterno; tramite
gli altri sensi, evocando le relative percezioni di gusto, odore, suono e vista
per poi cancellarle ispirativamente, è possibile ritrovare la loro origine
spirituale. Il gusto è un organo di percezione dell’etere cosmico. L’olfatto fa
percepire l’etere vitale. L’udito è l’involuzione di un organo dell’epoca
lunare, allora predisposto per la percezione dell’armonia delle sfere. Il senso
del calore ci rimanda all’antico Saturno. La vista ci permette di percepire la
manifestazione dell’etere di luce. Un sintomo evidente dell’effetto degli
esercizi è sulla memoria: essa viene man mano a perdersi, per venir sostituita
da un’altra facoltà mnemonica non fondata come questa su ricordi visivi e
uditivi, ma su ricordi o immaginazioni eteriche. Il vero serbatoio della
memoria non è il cervello, ma il corpo eterico: qui ogni cosa viene registrata,
racchiusa e conservata. Procedendo dal presente a ritroso, rievocando stati
d’animo sperimentati, sarà possibile ritrovarvi eventi dimenticati. Nel
sentire, si risveglia la memoria. Occorre sviluppare presenza di Spirito:
abituarsi ad una grande autodeterminazione, imparando a decidere con immediatezza,
senza esitazioni. Occorre poi di decidere responsabilmente di non tradire il
mondo spirituale, una volta conseguite le facoltà iniziatiche. Il comunicare
insegnamenti a qualcuno che non ne sia preparato, significa assumersi anche la
responsabilità karmica delle eventuali conseguenze, circa il buono o cattivo
uso che questi ne farà. Lo stare in segreto non deve significare darsi arie
misteriose, ma solo non voler nuocere ad altri. Tutto ciò che ci porta alla
nostalgia del nostro passato, è una tentazione luciferica. Bisogna cessare di
contare i giorni, i mesi e gli anni trascorsi senza risultati nella disciplina.
La parola chiave è “Pazienza”. L’impazienza rappresenta un ostacolo: il mondo
spirituale per potersi rivelare, per aprirsi un varco, ha bisogno di trovare
nel discepolo calma attesa, per potervisi riversare. MITEZZA E SILENZIO. Le
potenze spirituali sono in continuo fermento, in perenne attesa per poter
essere accolte dall’uomo, purché trovino le giuste condizioni che glielo
consentano: esse, datrici di Amore eterno e altruista, trepidano nella fremente
attesa di poter riabbracciare i loro fratelli minori. Più che anelare di
muoversi incontro a loro, è più giusto intendere che la via giusta è sapersi
aprire ad esse. Esse possono riversarsi in noi solo se trovano purezza
interiore; esse sono sempre pronte, dai limiti della nostra coscienza, a
connettersi con noi. Sono soltanto i veli della personalità soggettiva,
l’irrequietezza, i timori, gli impulsi inferiori, a impedire loro di
avvicinarsi. Ogni sforzo nel guardare o udire fisico, ogni reazione istintiva,
paralizza i sensi spirituali. Bisogna rinunciare alla suscettibilità e alla
collericità: tacitare le passioni e i desideri. Bisogna svincolarsi dalla forza
del desiderio, che impedisce la percezione dello Spirito. Padronanza di sé:
dominio dei sentimenti che sorgono spontaneamente in noi. È consigliabile nei
rapporti con gli altri, non la durezza, ma la mitezza. La durezza erige una
barriera invalicabile, spezzando un’ulteriore comunicazione. Mitezza e silenzio:
positività e astensione dalla critica. Si consiglia di ritirarsi ogni tanto
dall’ambiente della vita di tutti i giorni, per raccogliersi e meditare in
mezzo alla Natura. Il rumore della vita quotidiana, può impedire il
manifestarsi degli effetti degli esercizi. Il discepolo mano a mano si libera
così della vita istintiva e dei caratteri ereditari della sua razza e famiglia:
si svincola dall’azione delle entità spirituali corrispondenti. Occorre sempre
chiedersi se si è degni di questa libertà interiore che si vuole conseguire e
se si ritiene di avere le forze necessarie per sostenerla, affinché tale
libertà agisca positivamente e correttamente. LE sette CONDIZIONI PER LA
PREPARAZIONE ALLA VIA OCCULTA. La salute fisica è connessa al karma: molte
volte occorre chiedersi se non vi sia qualche cosa nel campo morale che gravi
sul fisico, da purificare o da espiare, che ne impedisca l’atteso
miglioramento. Per la salute del corpo occorre sopratutto coltivare la
chiarezza del pensare e del discernimento nelle impressioni ricevute dal mondo
esterno. Prima di parlare o di esporre una propria considerazione o
un’opinione, occorre stabilire con chiarezza il pensiero da formulare in
immagini: non è bene difatti cercare a tutta prima le parole idonee, ma soprattutto
la figura d’insieme da cui partire. È l’immagine che deve far scaturire
l’espressione dialettica. Sentirsi un arto della vita universale, una parte di
questa, superando ogni senso di separazione. La sostanza divina è solo
apparentemente e necessariamente ripartita nel cosmo: lo scopo finale
dell’evoluzione è comunque ricostituire un’unica entità spirituale. Bisogna
aspirare ad essere ciò che si vorrebbe gli altri fossero. 3- Si deve divenire
consapevoli che i pensieri e i sentimenti hanno la stessa valenza e importanza
che le proprie azioni: il movimento del pensiero e dei sentimenti è altrettanto
concreto quanto le azioni fisiche operate sul mondo esteriore. Ciò originerà
responsabilità per il circostante ambiente animico e fisico. I pensieri
permangono e si diffondono, comprendendo nei suoi effetti una moltitudine di
esseri. Operare secondo i puri impulsi dell’Io superiore, non dell’Io
inferiore. Si deve prendere coscienza che il corpo fisico, nel quale
solitamente ci s’identifica, è solo uno specchio, un arto dell’interiorità. Educarsi
al mantenimento di una decisione presa; il rinunciare è un cadere nel vuoto
dell’incoerenza e dell’indeterminatezza: è mancanza di forza dell’Io. Non
bisogna assolutamente mai, prendere decisioni o fissare regole, mentre ci si
trova travolti dall’onda di un moto passionale o di un impulso emotivo. Occorre
essere riconoscenti, grati al mondo esterno e allo Spirituale. Si deve
ricordare che nell’era di Saturno, “Tutto era Uomo”, e che solo grazie al frutto
del sacrificio di altri esseri spirituali e esseri fisici rimasti indietro nei
regni inferiori, è stato possibile configurare l’umanità attuale. Ringraziare
per il sostentamento giornaliero. Considerare la vita e agire in essa, secondo
la direzione enunciata nelle precedenti condizioni: dare un’impronta unitaria
ed equilibrata alla vita facendo in modo che le finalità delle proprie azioni
siano determinate dalle attitudini sopra descritte. Molte cose devono essere
abbandonate, e molte altre acquisite per porsi al servizio del divino. LA
POSTURA NELLA MEDITAZIONE. La terra è percorsa perpendicolarmente e
orizzontalmente da correnti, che possono favorire o ostacolare la meditazione.
Le correnti perpendicolari favoriscono: occorre pertanto avere la colonna
vertebrale verticale rispetto alla superficie terrestre. La posizione distesa,
supina, invece accoglie le correnti orizzontali dirette alle specie animali,
inducendo automaticamente ad un tipico stato semisognante. I FIORI DI LOTO. Il
corpo eterico è percorso da innumerevoli correnti che muovono in senso
longitudinale o circolare radiale. Durante la veglia, il corpo astrale rimane
connesso spazialmente al corpo fisico; quando si apre nel discepolo la
coscienza spirituale, il corpo astrale si espande in proporzione dello spazio
che può essere percepito, ossia diviene grande quanto il suo campo di
percezione. Non si parla diffusamente del loto a due petali, fra gli occhi,
perché esso è connesso con il risveglio di forze che appartengono alla
chiaroveggenza primitiva. Non vi è alcun cenno, per ragioni di sicurezza, del
loto della zona basale “kundalini” e del loto”1000 petali”, sul capo. In un lontano passato, i fiori di loto erano
attivi; poi lentamente hanno cessato di funzionare. Attualmente solo la loro
metà è attiva; con il lavoro interiore essi si ridestano, cominciando a
muoversi e ad illuminarsi. I centri a sedici, (laringe) dodici (cuore)e dieci
petali (stomaco), attivati, conferiscono la padronanza assoluta sull’Io inferiore.
IL LOTO A SEDICI PETALI (laringe). Gli esercizi della preparazione e dell’illuminazione
tendono ad attivare tale centro. Si tratta principalmente di lavorare nel campo
delle idee, curando la moralità nell’uso delle parole e la qualità di buon fine
delle proprie risoluzioni prese. Tale centro, attivato, conferisce la capacità
di entrare in comunicazione con altri Esseri tramite il pensiero (telepatia). Le
condizioni da realizzare sono otto, ciascuna equivalente ad ogni petalo
dormiente: Formarsi rappresentazioni il più fedeli possibili del mondo esterno,
prive di fantasia personale, eliminare l’impulsività, le reazioni dettate dall’emotività;
le parole usate in un discorso devono essere sempre rigorosamente connesse
all’argomento; ogni gesto e atto deve
essere sempre in piena coerenza alle idee e alle risoluzioni prese; organizzare,
pianificare concretamente la propria vita; verificare la saldezza, la moralità
e la giustezza delle proprie aspirazioni;
imparare ad osservare retrospettivamente gli eventi della vita; la giornaliera meditazione per interrogarsi
sulla propria fedeltà alla linea tracciata dalle sette condizioni precedenti. È
di vitale importanza sviluppare la veridicità; dire sempre la verità
promuovendo la perfetta corrispondenza fra mondo esteriore e mondo
interiore. A volte non è molto
altruistico dire la verità, ma lo scopo morale non evita il senso di giustezza.
Non mentire mai ai bambini e non fare loro mai promesse senza mantenerle. MORALITA’
E CONOSCENZA. Il loto a due petali, nel centro frontale, ha una particolarità:
anziché ruotare come gli altri, una volta attivato, esplica la sua azione
sporgendosi all’esterno, prolungandosi in direzione orizzontale in una forma a
due rami, con il compito di “portare fuori” il corpo eterico. Per mezzo di tale
centro, si formano sia le correnti eteriche che scendono verso la laringe e il
cuore, sia quelle che muovendosi verso le mani, costituiranno il vero e proprio
reticolo che renderà il corpo eterico, un intero organo di percezione. Bisogna suscitare un rispettoso silenzio
riguardo le proprie esperienze, sia con gli altri, sia con sé stessi: occorre
accoglierle così come si presentano, senza tradurle in rappresentazioni. Lo sviluppo dei Fiori di Loto tende a
trasformare tutto quello che, nascendo come natura istintiva, si presenta incoerente
e non ordinato in un volitivo campo d’azione per l’armonia delle forze
spirituali. IL LOTO. A duodice PETALI (cuore). Tale loto conferisce la
percezione delle “forme”. Come gli
altri, anche questo centro si sviluppa coltivando alcune qualità: le condizioni
da realizzare sono sei (i sei esercizi fondamentali), ciascuna equivalente ad
ogni petalo dormiente. Controllo del pensiero; connettere, partendo da un tema
o da un oggetto comune, vari pensieri in modo logico e conseguente,
distaccandosi così dall’usuale pensare automatico istintivo; in presenza di
persone che parlano in modo automatico, superficiale o poco logico, bisogna non
intervenire correggendole, ma comporre mentalmente la corrente dei pensieri
deformi e correggerli dentro di sé, interiormente senza esporli fuori di sé.
Controllo delle azioni; uniformare l’azione al pensiero, perdere l’automatismo
dato dagli istinti, prestando attenzione ai propri gesti, alle posture, ai
movimenti, in modo che non avvenga che le nostre azioni possano venire
determinate da impulsi inconsci non passati al vaglio cosciente del nostro
pensiero. Pratica della Perseveranza; perdere la volubilità, la lunaticità,
compiendo e portando sempre a termine le decisioni, gli obiettivi, i metodi,
gli esercizi o le determinazioni prese. Controllo della tolleranza; sviluppare
la conoscenza dei motivi e dei limiti di chi sbaglia, per giungere alla
comprensione degli errori altrui, onde sostituire l’istintivo impulso di
criticare o giudicare; occorre far nascere in sé il desiderio di voler essere
utili all’altro tramite consigli o considerazioni costruttive, non con giudizi
che bloccano la sua evoluzione. Pratica dell’obiettività o spregiudicatezza;
non respingere immediatamente qualcosa che ci venga detta, e parimenti non
rifiutarsi di rivalutare o riconsiderare cose da noi già appianate e
conosciute; Sviluppo dell’Imperturbabilità; equanimità, equilibrio degli
esercizi sopracitati; esercitarsi a controllare o sospendere le normali
reazioni emotive. Lo sviluppo dei fiori di Loto è una disciplina certamente
difficile, ma non impossibile. ESERCIZIO CONTRO L’APPRENSIONE. Un buon
esercizio è, durante la giornata, quando un pensiero particolarmente importante
ci assilla, ci dà apprensione, divenire capaci di sostituirlo con un’altro pensiero
completamente diverso, da noi prescelto. IL LOTO A diedici PETALI (Stomaco). Il
risveglio di tale centro consente di percepire negli altri le potenzialità
future e le capacità latenti di Esseri o Entità. Per il suo sviluppo non sono
state predisposte qualità particolari da sviluppare, ma piuttosto si tratta di
generare un equilibrio armonico, traendolo dall’intera condotta di Vita. Occorre considerare la totalità del proprio
mondo interiore: l’origine delle cosiddette idee spontanee, dei gusti personali,
dei sentimenti di simpatia e antipatia. Per la coscienza ordinaria, l’Origine
di tali suddette inclinazioni è ignota: esse risiedono nel corpo eterico, il
quale registra molte impressioni che sfuggono alla nostra coscienza. Per
divenire consapevoli delle cause che hanno originato tali inclinazioni occorre,
riandando indietro nel tempo, risvegliare interiormente il ricordo di ciò che
può averle determinate e sottilmente impresse in noi come tendenza del gusto,
dell’istintività, dell’avversione o simpatia. In tal modo si produce anche un
grande risveglio della memoria: ci si immette nella corrente della memoria
eterica. IL LOTO A sei PETALI (all’interno dell’addome). Tramite esso, si può entrare
in intimo contatto con esseri spirituali. Si sviluppa tramite l’armonica
cooperazione di corpo, anima e spirito. Deve sorgere la spontaneità del
pensare, del sentire e dell’agire immersi nello spirito: incedere senza
combattere. Non è bene limitarsi e insistere nel lottare duramente contro una
propria inclinazione o tendenza molto pronunciata; se tale difetto è così
preponderante, a volte lo si può solo dominare o controllare, ma non
annullarlo. Si consiglia piuttosto di nobilitare e sublimare le proprie
passioni e istinti, anziché procedere con fustigazioni tendenti al voler
tenerli a bada con lotte e rinunce. Occorre divenir capaci di sperimentare la
gioia di servire nello spirito e per lo spirito. ALCUNE PARTICOLARITA’ SUL
CORPO ETERICO E SUI CHAKRAS. L’intero corpo eterico è sempre in perenne
movimento: è percorso da correnti che si muovono continuamente, seguendo la
circolazione sanguigna. Il centro, o perno del corpo eterico è da localizzarsi
nel Loto del Cuore: tramite esso tutti i processi si trasmettono agli altri
centri, recando con sé ripercussioni della sua eventuale imperfezione. Esso è
un organo di natura Solare. Nella zona centrale della testa vi è un punto
specialissimo in cui corpo eterico e corpo fisico sono congiunti; qui
inizialmente si formano le correnti del corpo eterico. Prima di rendere operativo
il fiore a 12 petali, nel cuore, occorre predisporre un centro provvisorio
nella testa, per rendere possibile uno sviluppo interiore condotto in piena
coscienza. Successivamente, dopo aver raggiunto un giusto stadio di controllo
cosciente delle attività di pensiero, tale centro dovrà venir trasferito nella
sua vera sede, presso il Cuore. Gli esercizi di concentrazione e meditazione
hanno lo scopo di attivare tale centro nella testa, per poi far discendere
nella Laringe e poi nel Cuore l’attivazione. RIEPILOGO DELLE ESSENZIALI
FACOLTA’ DA SVILUPPARE. Facoltà di discernere il vero dal falso. Capacità di
valutare il giusto dallo sbagliato. I sei esercizi fondamentali. L’amore per la
libertà interiore. CONSIDERAZIONI SULLA VIA INIZIATICA. Durante il cammino
Iniziatico può capitare di avvertire una specie di senso di maturazione
interiore, di compimento; sentire di essere pronti per qualche cosa. E’ relativamente facile contemplare l’intero
cammino iniziatico attraverso un libro, difficile però realizzarlo con la
stessa continuità, puntualità, perseveranza e coerenza nella vita: nella vita
non è come nel libro, dove un passo viene descritto uno dopo l’altro; a seconda
delle occasioni e delle situazioni individuali ogni passo può svilupparsi prima
o dopo, in modo assolutamente non conseguente. L’ESPERIENZA DELL’ NOI’ E LA
“CONTINUITA’ DELLA COSCIENZA”. Il corpo eterico è di per sé, un principio spirituale:
è connaturato con il tempo, è fatto di sostanza temporale. L’uomo non ha
assolutamente alcun potere di interferire o di influenzare le forme pensiero,
di sentimento, di desideri o passioni da lui generate. Una volta emanate,
queste forme non possono più venire controllate. Durante lo sviluppo occulto,
in un primo momento, il sé superiore si pone di fronte al proprio mondo
inferiore, il suo Ego. Si ha la
percezione che tutto che era la nostra natura interiore, prende forme che
tendono a venirci addosso, incontro dal di fuori. Si verifica un rovesciamento
delle immagini, tipico del mondo astrale. Il praticare esercizi in modo non corretto,
disordinato o incosciente, senza essere sorretti da una solida base, potrebbe
causare la percezione di queste forme pensiero in forme ossessionanti ed
aggressive, quali animali o esseri orridi, traendone terrore e anche possessione.
Ciò è la percezione della propria anima: tale evento è però indispensabile e
necessario per la realizzazione del Sé superiore. E’ qui che comincia
l’esperienza dell’Io. La vera realizzazione del Sé superiore comincia quando,
si possa vedere la sua immagine. IL LOTO A due PETALI (Centro frontale). L’
esperienza immaginativa del Sé superiore viene attuata tramite il loto a 2
petali (fronte), il quale illumine gli enti e gli esseri spirituali. Lo sviluppo del Loto a due petali si consegue
tramite lo studio e la meditazione degli insegnamenti della scienza dello
spirito, in particolar modo ciò che concerne la gerarchia. Tale facoltà
rappresentativa, deve essere coltivata tramite l’immagine interiore dei quadri
immaginativi forniti dall’Antroposofia, inerenti all’azione interattiva,
passata, presente e futura della gerarchia nel cosmo, in tutto ciò che è
rintracciabile come loro impronta. L’intero quadro cosmico dovrebbe venir
sentito il più possibile come un panorama simultaneo. A poco a poco la realtà
spirituale si sostituirà all’immagine, venendo da questa evocata, facendo
apparire veri fatti e veri esseri spirituali. Tutti gli esercizi preparano
nella coscienza la sede atta ad accogliere la realtà spirituale da raggiungere:
costruiscono quasi la sua immagine, affinché questa possa poi diventare reale
esperienza. Si arriva poi alla conoscenza delle proprie ripetute vite terrene:
il karma. A questo punto l’anima si è congiunta con il Sè superiore, con la
sorgente del proprio essere. Da questo momento il discepolo non torna più
indietro perché, compenetrato dal Sé superiore, non sente più l’attrazione di
quanto gli è inferiore. LE COMUNICAZIONI AL RISVEGLIO. Durante la vita di
veglia, l’uomo si trova davanti ad un mondo incompleto, mentre durante il sonno
ha la possibilità di vivere nel mondo delle cause, in una completezza. La
coscienza di sonno senza sogni è una forma di conoscenza superiore; una facoltà
percettiva corrispondente a quella uditiva. I primi messaggi di quel mondo si
percepiscono come pronunciati da sé stessi a sé stessi. Si ha come la
sensazione di parlare a sé stessi, di rispondersi, quando in realtà parlano in
noi esseri spirituali. Tali sensazioni avvengono al mattino, nel risveglio:
sono cenni del progresso spirituale. Prima si sperimenta solo l’impressione di
aver ricevuto qualcosa, qualcosa che non si riesce a definire. Poi, i rapporti con gli esseri spirituali
assumono la caratteristica di domanda e risposta; si sente al risveglio una
voce interna donante luce e chiarezza alla propria vita interiore e alla vita
esteriore. Non è bene sforzarsi di ricordare le esperienze notturne di sogno,
ma lasciarle sorgere spontaneamente. A poco a poco queste sensazioni al
risveglio, questi messaggi diventeranno sempre più chiari, così da portare
nella vita di veglia tutte le esperienze della vita spirituale vissuta durante
la notte: si instaurerà la continuità fra lo stato di veglia e lo stato di
sonno senza sogni. Una volta stabilita, tale continuità di coscienza verrà
portata dal discepolo anche attraverso le porte della morte, e con essa la
stessa pienezza del ricordo nella vita fra morte e nuova nascita. Condizione
indispensabile per tale realizzazione è la pratica della concentrazione,
meditazione e contemplazione. Il discepolo potrà porre delle domande in
meditazione, durante lo stato di veglia: riceverà le risposte durante il sonno
senza sogni: ciò è l’inizio di un colloquio fra esseri spirituali. Il vero
scopo dell’Iniziazione consiste nell’instaurare la continuità della coscienza.
Ciò è una mèta assai lontana, ma dirigendosi verso di essa si possono cogliere
degli sprazzi di luce che indicano le tappe del cammino e ne danno la certezza.
LA SEPARAZIONE DEL PENSARE, SENTIRE E VOLERE. Tale realizzazione pone il discepolo
ad esperienze inevitabili, che sono dure e difficili; la liberazione delle tre
facoltà umane è assolutamente necessaria per lo sviluppo degli organi
spirituali. Sono tre i pericoli in cui si può incombere. Pericolo del Pensare:
divenire astratti teorici pensanti, distaccati dalla vita, freddi e
indifferenti nei confronti dell’esistenza, che trovano soddisfazione solo nel
proprio pensare in solitudine; Pericolo del Sentire: una natura sensuale può
sentirsi trasportata in un sentimento di devozione eccezionale, fanatica, in un
estremo godimento del contenuto della propria coscienza mistica; Pericolo del
Volere: divenire super-attivi, trovando appagamento solo nel modificare il
mondo esteriore, lasciandosi dominare e trasportare da altri. LA LIBERTA’E L’INDIVIDUALISMO
ETICO. Solitamente le tre forze dell’anima si esplicano in modo immediato,
istintivo con un loro habitus personale; il discepolo deve distaccarsi da tale
automatismo innato, predisposto in lui.
Il fatto di poter dominare le reazioni e i sentimenti conferisce a tutto
l’essere un senso di forza e di stabilità, poiché le emozioni non hanno
autorità sul suo equilibrio. L’equilibrio interiore si deve fondare su di una
nuova personalità morale, il quale deve conferire al discepolo la coscienza di
ciò che deve agli altri, di ciò che deve al mondo spirituale e a ciò a cui deve
la ragione della propria esistenza. La Libertà prevede che si sia superato
l’egoismo, che si sia raggiunto un tale grado di moralità e di equilibrio da
poter cominciare a vivere non più per sé stessi, ma per l’umanità.Il discepolo
diviene consapevole di dipendere dai mondi superiori, con la libera decisione
di servire la Causa degli esseri spirituali. Solo in tal modo si può parlare di
una Libertà pura e vera, che non porti danno a lui stesso e agli altri. IL
GUARDIANO DELLA SOGLIA. Solo dopo aver liberato pensare, sentire e volere è
possibile accedere all’esperienza del guardiano della soglia. LA SOGLIA. Il liberare
le facoltà dell’anima significa assumersi direttamente la responsabilità delle
proprie azioni. Avendo liberato il corpo eterico e il corpo astrale dagli
automatismi del pensare, sentire e volere, si avvicina l’esperienza del
guardiano della soglia: si rende obiettivamente visibile il grado a cui si è
pervenuti attraverso gli esercizi. Il guardiano diviene un essere indipendente,
al di fuori di noi. Mentre precedentemente si era intessuti con lui, ovvero con
ciò che rappresenta cosmicamente il nostro essere, ora si presenta
esteriormente la nostra interiorità. I propri moti interiori si traducono nella
figura esteriore di questo essere. Il guardiano si presenta all’improvviso,
appena i chakras cominciano ad attivarsi: è la prima esperienza soprasensibile.
Tale esperienza, può suscitare terrore. Molti, al cospetto del guardiano, che
palesa il grado di imperfezione e purezza da noi raggiunto sinora, riconoscono
la propria inadeguatezza, la propria immaturità nel sopportarne la visione,
quindi retrocedono. Si ravvisano le proprie limitazioni: i difetti assumono un
carattere obiettivo. Solitamente questo essere si presenta per la prima volta
al risveglio, la mattina, in un momento inaspettato, tanto da suscitare
terrore. SIMILITUDINE FRA SPECCHIO E GUARDIANO. Supponiamo che un uomo con il
viso deforme, pur sapendo di averlo non abbia mai potuto specchiarsi; quale
sarà la sua reazione di fronte allo specchio, quando per la prima volta vedrà
la sua deformità ? Prendere coscienza della propria figura interiore è
l’incontro con il guardiano: egli è noi, che ci appariamo all’esterno. IL
GUARDIANO E IL KARMA INDIVIDUALE. Nel guardiano appare il nostro karma; la sua
figura riassume il nostro passato vivente con tutte le cause di dolore e gioia.
Qualora si trovi la forza d’intrepidezza di guardare in volto il guardiano, da
quel momento ci si assume coscientemente la responsabilità di pagare i propri
debiti karmici, quasi andando incontro a questi. Ci si accorge che ogni
tentativo di evadere o di rimandare il pagamento del proprio karma, provoca un disastro
nell’ordinamento spirituale. Ogni mancanza si riflette assumendo forma
demoniaca. Occorre assolutamente a cagion di ciò, quali discepoli, superare il
sentimento della paura. Il coraggio di
affrontare il guardiano è contemporaneamente il coraggio di prendere il proprio
destino nelle proprie mani: dare coscientemente a sé stessi anche ciò che può
causare dolore, rinuncia, peso. Smettere di evitare la direzione di vita che
offre minore resistenza, per muoversi coscientemente incontro a quanto vi è di
più difficile e arduo. Rimandare significa sempre, ritrovare. Il guardiano
muterà di forma in modo direttamente proporzionale al nostro adempimento
karmico, sino ad assumere figure luminosissime nella misura in cui ci saremo
purificati. Fino al momento dell’incontro con il guardiano si ignorano quali e
quanti pesi portiamo nel nostro fardello karmico; dopo non si è più gli stessi
di prima, dopo aver visto la vera realtà spirituale di sé stessi. Non è più
possibile ingannare sé stessi. Finché non si vede e si conosce il proprio
karma, non si può dire di essere liberi; solo dopo aver allontanato la guida
delle Potenze del karma per prendere noi stessi la responsabile guida di tale
compito, solo allora si comprendono le parole. Il Cristo ci ha reso liberi. Ora
le forze del Cristo si sostituiscono a quelle del karma. LO SCOPO DELL’UOMO NEI
CONFRONTI DELLE GERARCHIE. Bisogna prender coscienza della missione dello spirito
di popolo nel quale si è intessuti, il quale conferisce stimoli e impulsi
animici che condizionano la nostra vita. Rinnegare il proprio ambiente
spirituale, nel quale si è scelto di vivere, è rinnegare la missione di un arcangelo.
Il riconoscimento delle intenzioni del proprio Spirito di popolo, e del motivo
che ci ha spinti ad incarnaci in tale atmosfera animica, deve portarci a
scorgere nel giusto modo cosa vuole dirci la sua forza spirituale, per cogliere
appieno la direzione verso la quale dobbiamo spingerci. L’amato deve associarsi
a quelle potenze spirituali che guidano sulla terra, nelle nazioni, gli uomini
inconsapevoli, verso la stessa mèta che egli cerca oggi lui stesso di
conseguire. Il mondo soprasensibile potrà continuare la sua strada soltanto se
vi saranno sulla terra esseri capaci di comprendere la direzione. La gerarchia attende
qualcosa dall’uomo. E’ la gerarchia umana che deve portare il senso spirituale
nella materia. Dopo la morte fisica tutto ciò che l’uomo ha sperimentato
durante la sua vita, in seguito alla dissoluzione del corpo eterico e
dell’astrale, viene consegnato al mondo spirituale: ciò diviene coscienza del mondo
spirituale. (leggenda dell’uomo che dà i nomi alle cose e il nome di “Adonai” a
Dio) L’uomo deve portare la coscienza al mondo spirituale, la forza risorgente.
Il superamento del mondo sensibile dovrà avvenire, ma i frutti dell’esperienza
e i risultati tramite essa conseguiti durante l’evoluzione dell’umano, saranno
incorporati dalle Gerarchie nei mondi spirituali. L’uomo nascendo e morendo
sulla Terra, genera i germi della vita dell’avvenire: offrendo un nutrimento
spirituale al cosmo intero, in modo direttamente proporzionale alle sue azioni
pure e feconde. IL GRANDE GUARDIANO DELLA SOGLIA. Tale incontro avviene solo
quando il discepolo, dopo aver già sperimentato le regioni spirituali inferiori
e stabilito una continuità della coscienza fra veglia e sonno, ha attuato in sé
la generazione di nuovi organi del pensare, sentire e volere. L’oltrepassare la
soglia del secondo guardiano significa stabilire la continuità della coscienza
fra la vita, la morte e la rinascita. La vera libertà è conoscere il proprio
karma senza alcun veloe adempiervi in coscienza. All’incontro con il secondo guardiano
si palesa una grande tentazione: quella di abbandonarsi alla beatitudine e al
godimento procurato dalla possibilità di accedere ai mondi spirituali.Tale
tentazione, anche se non detto esplicitamente, sembra essere indotta dagli Asura. L’unica cosa che può salvare l’uomo da tale
seduzione è sentire il dolore del mondo, il silenzio degli esseri umani nel
mondo spirituale. Questo tremendo dolore impedisce di accogliere il sentimento
egoistico della beatitudine; perché la gioia che egli ora ha, non è condivisa
da altri. Se si supera tale ostacolo la liberazione è completa: l’Iniziato
partecipa ora attivamente all’opera delle Gerarchie, nella liberazione di tutti
gli esseri sulla Terra. La decisione di collaborare con i mondi spirituali
porta finalmente l’uomo ad un piano in cui si può dire che la sua volontà ha
compiuto tutto ciò che le era stato prescritto dal Principio. Leo.
Breno. Kur. Giovanni Colazza. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Colazza” – The Swimming-Pool Library.
COLECCHI (Pescocostanzo).
Filosofo. Grice: “What I love about Colecchi is that while he was a bad
Kantian, he was an excellent Vicoian!” Studia ad Ortona, dove sube diverse
perquisizioni da parte dell'Inquisizione per la sua tacita simpatia verso gli
ideali rivoluzionari. Insegna alla Reale Accademia Militare della Nunziatella.
Venne mandato in missione in Russia, dove si dedica alla filosofia speculative.Al
ritorno, soggiorna a Königsberg, dove ebbe modo di conoscere l'opera di Kant.
Fu uno dei primi filosofi italiani a studiare Kant.Rientrato in Italia, fonda a
Napoli una scuola privata di filosofia ed ha tra i suoi allievi i fratelli
Spaventa, Sanctis, Settembrini e Caracciolo. Il suo merito principale fu quello
di essere, insieme a Galluppi, un assertore del criticismo kantiano in Italia. Altre opere: “Se la sola analisi sia un mezzo
d'invenzione, o s'inventi colla sintesi ancora?” La legge del pensiere;
L’analisi e la sintesi; La legge morale, La legge della ragione; “Se il
raziocinio sia essenzialmente diverso dalla intuizione”; “Se nell'invenzione
eserciti maggior influenza la sintesi o l'analisi; “Se li giudizi necessari
sieno solamente gli analitici”; “Se l’identità formale del raziocinio sia
valevole a convertire il raziocinio empirico in raziocinio misto?”; “Il
principio sul quale poggia il raziocinio quando classifica e quando istruisce”;
“Quistioni ideologiche”; “Se diasi una logica pura, ed una logica mista”; “Se
una idea soggettiva non altro sia che una idea di un rapporto, L’idea dello
spazio e l’idea del tempo; Il primo problema di filosofia: se la sensazione sia
esterna di sua natura, o tale diventa in forza del giudizio abituale? Alcune
quistioni le più importanti della filosofia; Psicologia, Logica applicata, Ideologia,
Frammento apologetico; in G. Gentile, Dal Genovesi al Galluppi. Ricerche
storiche, Edizioni della Critica, Napoli, e in Storia della filosofia italiana
dal Genovesi al Galluppi, Firenze; Tip. «All'insegna di Aldo Manuzio», Napoli); a
cura dell'Istituto italiano per gli studi filosofici, con introd. di F.
Tessitore, Procaccini, Napoli); E. Pessina, Quadro storico dei sistemi
filosofici, Milano); Necrologia in “Poliorama pittoresco” “Elogio funebre”; Spaventa,
Studi sopra la filosofia di Hegel, Torino; L. Settembrini, Lezioni di
letteratura italiana, Napoli; F. Fiorentino, Scritti vari di letteratura,
filosofia e critica, Napoli; A. De Nino, Briciole letterarie, I, Lanciano; Sanctis,
La lettereratura italiana nel secolo XIX, Napoli); Marchi, Il sistema
filosofico di Ottavio Colecchi (Tip. Sociale di A. Eliseo, L'Aquila); F.
Amodeo, Ottavio Colecchi, in «Atti della Accademia Pontaniana», Discussioni
biografiche e documenti inediti, Ravenna); L'istruzione pubblica e privata nel
Napoletano; Città di Castello, Colecchi filosofo e matematico: nuove notizie e
nuovi documenti, in «Rassegna abruzzese di storia e d'arte», Gentile, Storia
della filosofia italiana dal Genovesi al Galluppi, II, Milano); Pedagogisti ed educatori,
Milano); Capograssi, Nuovi documenti sull'accusa di ateismo ad Ottavio
Colecchi, in «Samnium», Romano, Un antagonista del Galluppi: Ottavio Colecchi,
in «Archivio storico per la Calabria e la Lucania», A. Cristallini, Ottavio
Colecchi, un filosofo da riscoprire, Padova, G. Oldrini, La cultura filosofica
napoletana dell'Ottocento, Bari; E. Garin, Storia della filosofia
italiana, III, Torino; F. Tessitore,
Colecchi e gli scettici, in Introduzione a Quistioni filosofiche, Napoli; G.
Cacciatore, Vico e Kant nella filosofia di Ottavio Colecchi, Centro di studi
vichiani; Io e Ottavio Colecchi. Narrazione biografica in forma di anamnesi,
Japadre Editore, L'Aquila-Roma; Dizionario Biografico degli Italiani. Dalla tomba della setta italica, tenendo dietro alle ori
gioi dell’antica lingua del Lazio – la lingua romana -- trasse fuori il Vico
que ste divine idee; aveva lello forse Bruno ancora, perchè un’ombra
d’idealismo copre spesso la sua filosofia, spezialmente nella “Scienza Nuova”,
dove l’uomo passa suo malgrado dalle selve allo stato civile per la sola
opera di una lupa (la lupa capitolina). Se non che l’uomo di Vico rimane nello
stesso stato in cui avealo lasciato Enea. Devono le divine idee rideslarsi
all'occasione delle sensazioni; njun tentativo per ravvicinare la sensazione
all’idea; dovrebbe ciò fare l’induzione, ma la ragione è sempre scontenta di
quanto scopre l’induzione. Non ancora siera mostrato Kant per conciliar insieme
la sensazione (sensus) e l'idea o concetto. Con questa filosofia, appoggiata
all’induzione, si dispose Vico a crear il “diritto universale” della nazione
del Lazio – la nazione romana. Ma preoccupalo sempre delle civili cose di Roma,
brillando sempre nel suo spirito l'immagine di Roma, si risolse in fine di
stabilire Roma come modello di civiltà. Il perchè nella storia, della
mitologia, nelle lingue, nel Blasone, e pe’ feudi pur anche del medio evo deesi
Roma ripelere,e la romana giurisprudenza diventar quel la di tutte le nazioni
del mondo. E come i fatti hanno a servir di occasione per ridestare la idea,
così il diritto di Roma, le XII Tavole, tutta la storia, tutta la mitologia
concorrer devono a risvegliar le idee del vero, del giusto, a dir breve
l’ideale dell’umanità per selta. Ond'è che metafisica, logica, morale, educazione,
politica, geografia, astronomia si abbozzano prima della religione de’ padri in
mezzo alle famiglie, e poscia in mezzo alla città di Roma; dove il senato si compone
degli stessi primi padri, riuniti in Ordini, per reprimere le ribellioni degli
ammutipali clienti. Di qui le lante critiche sulla storia positiva per
distruggerla. Sesostri e Tanai sono due simboli. La sapienza del poeta vera
immagine della sapienza o scienza del filosofo, L’Eneide confuse con la
sapienza dei romani. E tutto questo per via di etimologie stirale, di mili forzati,
di stranissime analogie. Egli è evidente che tal metodo d’interpretazione deesi
ridurre in fine ad una tortura , per isforzare tutt’imonumenti della storia e
delle favole a deporre in favore di un sistema. Siegue da questa osservazione
che quanlunque tutta la storia, tutta l’erudizione, per la potente sintesi di
Vico, pieghi sempre al modello di Roma, no di Koesingberga, e la sua civiltà a
poco a poco siasi spenta, fino a che passato il medio evo, col risorgimento delle
lettere e delle scienze, ricomioci il suo corso; può non pertanto rimaner il
dubbio che il popolo romano altro forse non sia che un fatto isolato. Essendo
si in effetto limitato il Vico al uomo del Lazio.Vico, dobbiamo pur dirlo a
Gloria d'Italia,Vico è di gran lunga superiore ad Herder, il quale nella sua
Storia dell'umanità ha parlato pur anche dell'origine e del progresso della
civiltà de'popolo romano. Imperocchè se Herder, amico del sensismo, vede l’uomo
del Lazio nella natura, e dalla formazione del cristallo, per una ben lunga
scala, va sino all'uomo che è la corona dell'organizzazione. Vico, seguace di
Platone e non d’Aristotele, con maggior discernimento del ministro protestante,
l’uomo nell’uomo stesso contempla. E se l'analisi di Herder vivamente rallegra
l'immaginazione, la sintesi di Vico sembra lalmente falla l'intelligenza
per, che il lettore, in onla del suo linguaggio enigmalico e della
strapezza delle analogie, viene attirato potentemente dalla magica forza della
sua filosofia. Niuno più originale di Vico, e pare che l’originalità
dell’italico ingegno siesi sventuratamente nel Vico spenta. De’ suoi principii
intanlo, per quel che riguarda il nostro assunto, egli è facile di raccorre,
che avendo le legge per iscopo di metter freno alla passione umana, e di render
l'uomo migliore; ben possono per esse la *forza*, l’*avarizia* e l’*ambizione* che
sono i tre vizi pe’ quali corre a trovarsi il genere umano, convertirsi in *valor
militare*, *prudente mercatanzia* e *savio governo*. La legislazione dunque,
considerando l’uomo qual é, se dirige ad usi migliori la passione, lo riforma e
trasmuta in quello che esser deve. La massima di Vico pertanto, ben lunga
dall’opporse alla legge morale, la conferm viemaggiormente e ne presuppone
l'esistenza. E qui credo far cosa grata a miei lettori, se da Vico stesso tolgo
le prove di questa mia assertiva. L’unico principio e fine del diritto è per
Vico la virtù del vero. E'chiama virtù del vero l’umana ragione (la vernunft di
Kant), la quale è virtù in quanto combatte con la cupidità -- è giustizia in
quanto regola e pondera la utilità. La utilità non e per sè stesse ne onesta nè
turpe; ma turpitudine è la sua ineguaglianza, onestà la sua eguaglianza. L’utilità
privata di un singolare individuo, o anche nazione o popolo di due uomini, è
labile, perchè finisce con l'individuo la diada dei due uomo o con la nazione;
ma l’eguaglianza delle utilità, che è figlia dell’onestà, non è cosa caduca, è
cosa immutabile ed eterna. Una cosa caduca non puo produrre l’immutabile, nè un
corpo dar nascimeoto a ciò che li trascende. Il sistema dunque dei futilitari utilitari,
con questi pochi molli del Vico, è distrutto. Ciò si conferma con quel celebre
detto di Pedio presso Ulpiano: quante volte una od altra cosa venne con la
legge introdotta è buona occasione supplire con la legge stessa le altre cose
che tendono alla stessa utilità. Una buona occasione adunque e alla divina
provvidenza l’umana debolezza e miseria, per le quali, secondo la loro stessa
spontaneità, ritrasse gli uomini dallo stato ferino e bestiale ad essere
socievoli, uguagliando tra loro le utilità, come chè ciò non avvenisse da principio
per intera onestà, ma per una parte di onestà. Or, la società è una *comunione*
di mutua utilità che interviene tra eguali. Si la socielà ineguale è tra un
padre (superiore) e un figlio (inferiore); tra la potesta civile e di soggetti
– l’eguale è tra fratelli Romolo e Remo o i dioscure – Castores (dual), o
Eurialo e Niso, i due amici, tra due cittadini. Di qui due spezie di giustizia
rellrice ed equatrice. L'eguaglianza delle utilità, con *geometrica* --
progressione geometrica -- misura determinata, è il subietto della giustizia
rettrice, della giustizia *distributive*, la quale mira alla dignità delle due persone.
L'eguaglianza poi delle utilità, fatta con *aritmetica* -- progression
aritmetica -- misura, è materia della giustizia equatrice, volgarmente detta
giustizia *commutativa*, la quale si rapporta al mio ed al tuo – al nostro --
-- ed ba luogo in ogni società eguale.
Nè o s t a p u n t o ( come crede Grozio , il quale dital L'occasione poi,
per la quale una cosa accade, non è cagione della cosa stessa, il che Grozio
non vide, trattando dell'origine del diritto; e pur doveva ia questa disamina
por mente ad una osservazione tanto importante che ne è il cardine. L' utilità
dunque non fu produttrice del diritto, come piacque al greco Epicuro, al
etrusco Machiavelli, ad Obbes, i quali intesero per utilità la cessazione o del
bisogno, o della violenza, o del timore; ma fu l'occasione, per la le gli
uomini divisi, deboli, bisognosi tralti furono alla vita sociale. qua.
Siegue da ciò , che l'upa e l'altra giustizia la rellrice c l'equatrice
hanno per fondamento l'onestà, e che non può avervi giustizia senza morale:
conseguenza importautissima, dedotta dal Vico da vero suo priocipio, e sfuggita
al positivista Carmignani, il quale fa della morale e del diritto due cose
talmente distinte, quasi non avessero nulla di comune tra loro. Elementi del
giusto diritto, per Vico, sono la prudenza, la temperanza, la fortezza. La
prudenle deslioazione io falti delle utilità, fatta con ragione, von come della
la cupidità, produce il dominio; il moderato uso delle cose utili genera la
libertà. La potenza regolala dalla fortezza partorisce la incolpala tutela. La
tutela de'seosi e la libertà degli affetti costituisce il diritto naturale, che
gli antichi interpreti dicono primitive, e gli stoici appellano il principio
della natura. Il dominio, la libertà, la tutela sono cose nalurali all’uomo, e
oale per le occasioni. Così la libertà del diritto era prima della guerra; ma
venne riconosciuta, ed ebb e il suo nome, introdoltasi, per la guerra, la
schiavitu. Similmente con la divisione de'campi siammisero I dominii delle cose
del suolo; ma il giure coosultodice: non essersii dominii
introdotli:essersisolamente distinti con la divisione. Finalmente dalla
potenza, tosto col nascere, proviene la difesa di sè stesso. distinzione
siburlarche avendo più socii posto in comune parli disuguali di daparo,
prendano parti di lucro con geometrica misura; perciocchè prendono parli di
lucro con semplice misura, essendo il daparo,e non la dignita della persona che
li agguaglia. Jo falli tanto ciascun socio ne toglie, quanto ne avrebbe preso,
se solo a quel negozio posto avesse il daparo. Il dominio della ragione su
iseosi e sugli affetti è il diritto naturale dagli stessi interpreti chiamalo
secondario, e dagli Stoici conseguenti della natura. Rimontiamo col Vico all’origine
di questa distinzione. Iddio di è all'uomo conlapolenza l'essere, con la
sapienza il conoscere, con la bontà il volere. Questo divino benefizio deriva
del diritto naturale: l’una con cui l'uomo vuole il suo essere, l’altra con cui
vuole il suo conoscere: ood'è che l’uomo lalvolla più il sapere chel’essere
agogna. Or, nella parte con cui l’uomo desidera il suo essere contengonsi
quelli che gli stoici dicono principio della natura; imperocchè egli appreode
col pascere, mercè le sensazioni presenti e vive del piacere e del dolore, a seguire
le cose utili alla vita, a schivare le nocevoli, e se venga impedito nelle
utili, e sospinto nelle nocevoli, nè possa altrimenti quelle con
seguire,questeevitare;con la forza allontani la forza, pel diritto che ha di
cooservar il suo essere. Questa parte del diritto naturale vien definita:
diritto che la natura a ogni animale apprese, e da essa nasce il diritto di
respingere da noi la violenza, quello della unione de’due sessi, della procreazione
de'bgli e della educazione loro. Ma nella parle con che l'uomo vuole il suo
conoscere, contengonsi quelle cose che gli stoici dicono conseguenti della
natura, e vien essa definita: per tutto quello che la ragione naturale fra gli
uomini stabili ed egualmente fra le genti tutte si osserva.Questa parte del diritto
domina la prima: di guise che quando Pompeo, impedito dalla tempesta a partire,
disse: è necessario il navigare, e non necessario il vivere, era siquesto suo
dello uoa legge che la ragione a talli gli uomini impone è necessario cioè dioperar
rellamente,e non necessario il vivere. Nella prima parte del diritto naturale la
ragione non riprova, ma permette: nell'altra essa vieta o comanda, e quello che
comanda o vieta è immutabile; che anzi per questa seconda parte è immutabile
ancor la prima , non potendosi le cose lecite di lor natura vielar con le leggi
, non essendo in potere di queste di far sì che non sieno permesse. Vedano ora
imoderoi scriltori di diritto: se la distinzione del naturale diritto nel
principio della natura, e ne' suoi conseguenti debbasi o no rigettare! Rimembro
di averne lello più di uno che la crede inutile. Grozio aperlamente afferma
:non esser ella di alcun uso , sen za avvedersi, dice il nostro filosofo e
giureconsulto, che nell'egregio suo trattato della guerra e della pace egli
stesso l'ammelte tacitamente ; perchè in questo appunto il suo uso consiste,
che nella collisione dell'uno e dell'altro diritto, il secondo è da più del
primo. Ma bisogna un Vico per rilevar il merito dell’antica giurisprudenza, e
mostrare a Grozio spezialmente su quali salde basi ella si reggeva! Il diritto
naturale primitivo è, secondo Vico, la materia di ogni diritto volontario; il
diritto naturale secondario de costituisce la forma, la quale ove manchi, il diritto
volontario è nullo. Perciò Ulpiano define il diritto civile: per quello che nè
al tutto dal diritto naturale si diparte, nè inlullo adesso si uniforma; ma in
parle viaggiugne, inparte vitoglie. Il perchè la mente della legge e la ragione
della legge sono due cose distinte. Mente della legge è il legislatore; ragione
dalla legge è l'uniformità della legge al fatto. Possono si mutarsi i fatti, e
la mente della legge si muta; tutti può essa utilità riuscire tal fiata
per altri iniqua. equa, La ragione della legge fa che ella sia vera; il certo della
legge la fa vera in parte, e questa parte di vero sapno propria i legislatori,
per ottenere con l’autorità ciò che dal semplice pudore degli uomini conseguir
non possono; il che rende ragione della definizione del diritto civile, lestè
data da Ulpiano. Ond’è che in ogni fiozione della legge, la quale si rapporta
al diritto volontario, evvi due sono quindi i fonti della giurisprudenza: laragio
ne e l’autorità. Il vero e della ragione, il certo dell’autorità; ma non può
l'autorità opporsi in tutto alla ragione, altrimenti le leggi non sarebbero
leggi, ma si mostri di leggi. È dunque inopportuna cosa cercar ragione dall'autorità,
la qual , dettando una utilità per com ponesi l’autorità del dominio, della
libertà e della tutela, che sono i tre fonti di lutti gli stati. Dalla conoscenza
per la quale è l'uomo da più di ogni altra cosa mortale nasce il suodominio
sopra tutta la natura; dal suo volere trae origine la libertà, dall’eccellenza
del suo essere s’ingepera il diritto di tutela col quale contro tutta la natura
mortale si difende. Se dunque il dominio, la libertà, latutela costituiscono l’autorità,
seconda sorgente del diritto: se il dominio, la mal’uniformità della legge al fatto
non si muta mai. Mutato il fatto cessa la ragione della legge; non però si muta
o rivolge in contrario. La mente della legge riguarda l’utilità, la quale
variando, fa variar la mente; ma la ragione della legge o l'uniformità della legge
al fatto, riguarda l’onestà, e questa è immutabile sempre un certo aspello di
vero , che rende certa la legge , m a non del tutto vera ; perchè qualche
ragione non concede che ella interamente sia tale. Tetessa walela Sviela ile;
laditt Jembro Grozio deon, siela o,sed che ezli cololalores mate il diritto naturale
na ni Callo. muu Da una parte dell’autorità, e propriamente dalla tulela,
nacque il diritto delle prime genti , che può dirsi ; Diritto della violenza.
Divide Vico questo diritto in diritto delle genti maggiori e in diritto delle
genti minori. Le genti maggiori furono prima che le città si fondasse, e si
stabilissero le leggi : motivo per cui Saturno, Giove, Mercurio, Marte, egli altri
numi della mitologia perchè antichissimi tra gli dei ripulali sichiamarono dei
delle genti maggiori .Geoli minori si dissero quelle che furono dopo fondale la
città e stabiliti i reami; ond’è che Dei minori si appellarono quelli che
vennero dalle città consecrati, come Quirino, ed altri Eroi.ParealVicoche tale
divisione imitassero in certa guisa i Romani, allor chè denominarono patriziï
delle genti maggiori quelli che da' padri scelti da Romolo discesero, e
patrizii delle gentiminori quelliche trassero origine da'padri coscritti. Il diritto
delle genti maggioriè, come sidisse, il diritto della privata violenza, con che
gli uomini, senz’alcun freno di legge , toglievano con la propria mano, ed
usucapivano; con la forza si difendevano; il proprio uso o possesso rapivano, e
con la privata forza ricupera vano. Perciò i mancipii erano cose in realtà per
mano tolte; i debitori neri veramente legati; vere erano le mancipazioni,
usucapioni, vindicazioni, usurpazioni, o gli usi ne’rapimenti del possesso,
come le mogli usurarie che erano nel possesso, e non già nella potestà de’ mariti,
usurpavano lo spazio di tre nolli, cioè libertà, la tutela ha origine
dalla naturale disposizione dell'uomo, ed in ogni stato, come Vico sostiene, si
manifestano sempre; vedano Hume e Romagnosi con quanta buona ragione asseriscano
che genitrice del diritto è l'aggregazione sociale! per tre nolti
continue illoro uso a’mariti rapivano, accið con la usucapione di unannonon passassero
in mano, o sia nella poteslà di essi. Si disse ianaozi costar il vero della
ragione della legge, il certo dell'aulorità di essa, ed essere stale queste due
cose cagione del diritto; imperocchè il dominio, la libertà, la tulela in qualunque
stato dell’uomo si manifestano sempre. De esi però notare che il diritto, come
che risulti sempre da questi tre elementi,fu non pertanto ne' Governi divini ed
eroici più certo che vero; negli umani più vero che certo.Or siccome col
Diritto delle genti m a g giori,senza alcun freno di legge, lecose, come testè
dicemmo, si usu capivano, con l’uso e con la per pelua adesione del corpo si
ollenevano, con la forza si riacquistavano, ed accadevano per questa violenza
frequenta risse ed uccisione; si riunirono in ordini i padri di famiglia, e
poco fidandosi, per la licenza che tra gli uomini regnava, del loro nalural
pudore, conservarono per sè soli la forza, e posero termine ad ogni ulteriore
disordine in avvenire. Da ciò nacque la potestà civile; la quale poche cose pubblicamente
trallava con la forza: le punizioni cioè e le pene. Affinchè poi gli altri ad
essa potestà soggetti, fossero nelle lor pretensioni tranquilli, introdusse
certa corporea forma alla materia da lraltarsi in privato, e coosacrò certa
formola di parola, alle quali uniformar dovessero la loro ipfioila e svariata
volontà i cittadini. la forza di questa formola, di proposito e seriamente, non
per frode o inganno, polevano essi acquistare diritti, conservare le proprietà
o in altri trasferirle, con le quali tre cose ce lebrayasi ogni negozio di
privato diritto. In tal guisa la civile potestà, rimossa ogni violenza, e tolla
via ogni in certezza per la solennità de’ giudizi, riforma il costume, e
distribui fra i cittadini la cosa certa e civile, che in buona ed in gran parte
ricuperarono il vero ed il pudore, che sono i due perpetui aggiunti del diritto
naturale. Da questa metamorfosi, per dir così, del dominio, della libertà e
della tutela, per la quale il diritto da violento che era si trasmuta in
moderato, ebbe origine il diritto civile; e la patura medesima delle cose
insegna essere ciò avvenuto a ogni popolo, che dal diritto delle genti maggiori
vennero sollo la potestà civile. Dopo dunque l’originaria acquisizione del
diritto naturala all’uomo, dopo l’altra introdotta dal diritto delle genti maggiori,
coo che il padre, posti i confini, distinsero il dominio delle terre, surse la
terza acquisizione introdotta dal diritto civile. E qui sinotiche come il dominio,
la libertà, la tutela costituiscono nella cosa pubblica l’autorità civile, il
privato diritto del pari a questi tre sommi capi si riducono. Al dominio, col
quale le cose che ci appartengono si vendicano, e contro qualunque possessore
si ripetono; alla libertà, la quale ogni potere ed obbligazione comprende;
all’azione, che allro non e suor chè tutela dalla legge prevedulc. Stabilita
questa dottrine, volgiamo da ultimo un rapido sguardo sul diritto de’ romani
Quiriti, e le vedremo mirabilmente confirmata. Chiama Vico il romano diritto un
serioso poema dell’universale diritto delle genti, altese le tante Ginzioni,
delle quali è ripieno. Il primo fondatore in fatto della romana repubblica muta
il diritto delle genti maggiori io certe imitazioni di violenza, come sono le
mancipazioni, con le quali quasi ogni atto legittimo si transige con la
liberale tradizione del nodo, la úsucapione non era più la perpetua adesione
del corpo al fondo occupato, ma il possesso con la volontà conservalo; la
usurpazione non più consiste in una certa rapina d'uso, ma esprime col modesto
significato di cilazione; l'obbligazione non più col nodo de’ corpi ,ma con certo
legame della parole si denota; la vindicazione col Gin lo attacco delle mani
con una paglia, dellaper. Ciòda Gellio festucaria.Pernon diral la fine di tanteal
tre, l’azione personale chiamata condictio non più e l’andar unito il creditore
al debitore, o alla cosa dovuta, ma face asi con la semplice denunzia. Le quali
cose menano naturalmente a congetturare, che per talicagioni si crede il poeta
il primo fondatore della città, come si è scritto di Orfeo e di Anfione vero.
Ella è questa, secondo Vico, l'origine ed il progresso dell’universale diritto
delle genti, il quale, tenendo fermo al principio di Vico stesso, in istretta
amistà con la legge morale mostrasi perpetuamente. Parlando in fatti questo
gran filosofo della giustizia universale afferma che siccome la virtù
universale eccita la prudenza, la temperanza, la fortezza, perchè si oppongano
alla cupidità; la giustizia universale del pari comanda alla prudenza, alla
temperanza, alla fortezza, perchè dirigano le utilità. Impone alla prudenza,
che ciascuno tratti avvisa la mente utili cose; alla temperanza di non
appropriarsi l’altrui; alla forza di cautelar e difendere il proprio
diritto. Per favole di tal natura è agevole di osservare, che quanto più
il diritto civile da quello delle genti maggiori si allontana, o dalla verità
della violenza; tanto maggiormeate al diritto naturale si avvicina, o al pudor
della stessa giustizia rettrice ed equatrice, che come e per conoscer
anche meglio l’accordo della filosofia di Vico con la legge morale, basta
osservare che egli contempla l'uomo: primo nello slalo di solitudine; secondo
in quello della famiglia; terzo nello stato aristocratico; quarto e finalmente
nello speciali virtù si repulano, uopo è che sieno, secondo Vico,una sola virtù,
e perciò universale virtù; la giustizia – il giure -- architettonica difatli,
che Aristotele afferma cosi comandare alle inferiori virtù come l'architetto
alle arti sue ministre, se risiede nell’animo della civile potestà, e comanda a
latte la virtù che mena alla civile prosperità; risiede altre sì, come
particolare virtù, nell'animo del sapienle , c regola gli uffizi di tutte le
virtù per la privala tranquillilà della vita. E perchè ciò? perchè, risponde
Vico, v'ha unica ragione che così della , unico vero bene, unica giustizia, e
unico diritto. Ma una pruova luminosa, e senza replica, che melle d'accordo il
principio di Vico con la legge morale si è la distinzione da esso lui adottata
del diritto naturale primitivo e secondario. Se fa egli consistere il primo
nella lu icla de’ sensi degli affetti, el'altro nel dominio della ragione: se
quello solamente permette, e questo o vieta o comanda, e ciò che comanda o
vieta è immutabile; chi osa negare che il diritto naturale secondario altra cosa
non sia che la legge morale? Ne osta punto l’aver egli fatto sorgere il diritto
civile dal diritto di violenza, che in tempi a noi remotissimi usa le genti
maggiori; imperocchè tal diritto di violenza, non allra regola seguendo che
quella del senso e dell’affetto, vero diritto non era, ma diritto certo, tullo proprio
dicoloroche più tenevano all’istinto che alla riflessione. Il diritto però di
violenza fu poscia l’occasione di far sorgere il vero diritto stato della repubblica
e della monarchia. Or, nel primo stato non altra guida ha l’uomo che quella
dell’istinto a cui ubbidisce come la pianta e l'animale; ma non è questo
certamente il suo destino; la sua facoltà lo chiama ad un bene essenzialmente
diverso da quello che dipender potrebbe dal solo istinto. Dev’egli per sè
stesso crear questo bene, e passare perciò dalla servitù dell’istinto allo stato
di libertà: a quella condizione cioè, per quale ubbidirebbe invariabilmenle
alla legge morale, come sino a quel punto ubbidito aveva all’istinto. Deve
l’uomo, a dir breve, diventar creatura libera, di automa trasformarsi in essere
morale, ed un tal passaggio deve menar lo all’autocrazia la Sent il'uomo il bisogno
di congiungersi condonna, e la nascita di un figlio, i suoi alimenti, la sua educazione,
qualunque sia si ella stala, moltiplicarono I suoi doveri. Fin qui non conobbe
egli con la compagna che un sol germe di amore, ma un nuovo oggetto fe’ nascere
in entrambi una nuova relazione morale, un nuovo amore di spezie più pura del
primo. La soddisfazione, il tenero interesse, la sollecitudine nella quale s’incontra
per l’oggetto di questo AMORE apre in esso bellissimo tratto di morale, che resero
il suo rapporto più dolce ed elevato: Ad un vincolo che da prima era
semplicemente materiale si uni la stima e dall’amore interessato nacque l’amor
coniugale che è sovranamente disinteressato. Ad un primo figlio un secondo ne
seguì, un terzo ec, e fatti grandi questi figli, teneri legami di amicizia gli
strinsero insensibilmente tra loro,e videsi nascere l'amor fraterno tra Romolo
e Remo che non è punto interessato. Stretti altri uomini dal bisogno, palleggiarono
con questa prima famiglia di prestar l'opera loro, a vantaggio lo tantocon
l'avanzar de’lumitutt’il membro della citta si crede idoneo alle funzione che
prima da’ soli padri si esercilavano, e sursero allora la repubblica e la
monarchia, dove si ni in gran parte il certo dell’autorita,e comincia il vero
della legge. S o l l o queste forme di governo l u l l a si spiega la moralità
dell’azione, perchè si dissero azione della stessa, per una convenuta
mercede. Surse allora la società tra padroni, dove il padre comanda al proprio
figlio, a questi famoli ancora; e tale società dal nome de’ famoli si appellò
famiglia. Dalla famiglia surse ben toslo un certo naturale governo. Stabilita
l’autorità paterna sul figliuolo bisognoso di aiuto e sui famoli ha già il
fanciullo contratto l’abito di rispettare la volontà del genitore. Quando fatto
grande, il figlio divenne padre ancor esso, doveltero i di lui figli onorar
colui verso il quale vedevano che gran rispetto porta il padre loro; supposero
quindi nell’avo un’autorità superiore a quella del proprio padre. E perchè l’avo
in ogni litigio pronunzia sempre in tuon definitivo, un taluso, per più a poi
osservato, stabili finalmenle in sua persona un potere sovrano su tutt’i membri
della famiglia. Ebbe di qui origine il governo patriarcale, che lungi dal
puocere all’altrui libertà ed eguaglianza, dovelte anzi valere a garenlirla e
consolidarla. Più famiglie particolari, per comune utilità riunite, costitusce
la tribù; più tribù di Romolo la citta di Romo, dove i cittadini dovellero
amarsi come I fratelli di una stessa famiglia, e prestare a Romolo, il capo
delle tribù riunita la stessa ubbidienza che ogni membro della famiglia presta
all'avo. E perchè questa ubbidienza proviene da sentimento di vera stima verso
gli aozi del capo, dovelte essere perciò in supremo grado disinteressata.
Ma qui potrebbe dirsi che l'uomo, secondo Vico, nei quattro stati su indicati
noo altro cerca che l’utile proprio. Nello stato di solitudine in fatti cerca
egli semplicemente la sua salvezza. Presa moglie e fatti figliuoli ama la sua
salvezza con quella della famiglia.Venuto a vita civile ama la sua salvezza con
la salvezza della città. Distesi gl’imperi sopra altri popoli ama la sua
salvezza con la salvezza dal paese. Uniti i paese per pace, alleanza, commercio,
ama la sua salvezza con la salvezza del genere umano. L'uomo, conchiude Vico,
in ogni circostanza cerca principalmente l'utile proprio.Il perchè non da
altriche dalla provvidenza divina può esser guidato a celebrar con giustizia la
familiare, l’eroica e finalmente l’umana fori morali quelle soltanto che si
facevano nell’interesse della morale, senza domandare anticipatamente, seerano
gradevoli. Ogni aspetto sotto il quale la moralità si manifesta si ridusse ne’
goverai umani ai due seguenti. O sono il senso che propongono farsi la tal cosa
o non farsi, e la volontà ne decide dietro la legge della ragione, o è la
ragione che prende l’iniziativa, e la volontà ubbidisce, senza consultare il
senso. governo. Così è , diciamo pur noi, ma perchè l’utile che cerca l’uomo,
tosto che si è reso superiore all’istinto, è subordinato ro a quello della famiglia;
secondo a quello della città; terzo all’utile del paese; quarto all'utile di
tutto il genere umano; l’utile che cerca l’uomo in ogni stato su m e o tovati
non èl'utile variabile, ma quelloche è figlio dell’onestà, la quale, come Vico
si esprime, talmente dirige e pondera le cose utili che a tutti giovano
egualmente. ma di Ma perVico, si torna a dire, lulto questo è opera della
provvidenza. Dalla provvidenza è vero. Fabbro però il diritto naturale del
giurecosulto, di lunga mano di verso dal diritto naturale del filosofo che alla
norma della ragione eterna lo agguagliano sempre. Ma essendo la repubblica
degli ottimati quasi tutte ridotte in democrazia o principali, le qualidue
forme di governo vengono regolate più secondo l’ordine naturale che secondo il
civile; per queste cagioni venne a rallentarsi la custodia del diritto delle
genti maggiori più antiche, sul quale diritto poggiavano sopratutto la
re-pubblica degli ottimi, essendo propricla di quello stato la custodia delle
palric consucludini. Vico della provvidenza è l'umano arbitrio, che ha per
regola la sapienza volgare, la quale è il senso comune di ciascun popolo o nazione
che dirige in società la nostra azione, sicchè facciano acconcezza con ciò che
ne sentono tuttidi quell popolo o nazione. Quando poi le nazioni per commerci, per
paci, per alleanze sono si conosciute, la convenienza del senso comune
de’popoli o nazioni tra loro, è per Vico la sapienza del genere umano. Or, il senso
comune di ogni popolo e di ogni nazione, il quale deve dirigere in società la
nostre azione, acciò si accordion con tutto ciò che ne peosa il genere omano:
che altro può esser mai se non è la legge morale? per perciò Vico seguendo Gaio
chiama diritto civile comu. d e il diritto comune di ogni popolo; perchè Gaio,
ove define il diritto civile, dice: Ogni popolo che e governato da una legge e
da una consuetudine, in parte si serve del proprio diritto, in parte del comune
diritto di lultigli uomini, e ció per la divina provvidenza, che secondo la
stessa opportunità delle cose lo spiegò Ira la pazione separatamente, con la
loro costumanza, per la tranquillilà di ciascun popolo o nazione. Tale diritto
spiegato con la comune costumanza del popolo è dalla tutela, dal dominio,
dalla libertà nacquero, secondo Vico, tre pure forme dello stato. Quella degli
ottimati, la regia, e la libera. Fondamento dello stato degli ottimati è la
tutela dell’ordine, con che venne da prima stabilito che i soli patrizî siabbiano
gli auspicii, il campo, la gente, I connubî, i maestrati, gl’imperî , e presso
legenti i sacerdoti. La regia risplende pel dominio di un solo, Romolo, e pel
sommo e formisura libero arbitrio di esso solo in tutte le cose. La libera vien
celebrata dall’eguaglianza de’suffragi, per la libertà delle opinioni, e per
l’eguale adito a ogni onore, il quale adito è il censo. Imperocchè inciascuno di
essi comanda un solo,o come vuole Tacito: uno essere il corpo della repubblica,
e doversi governare con l'animo di un solo, o di piùa guisa di un solo. E però inciascun
politico reggimento colui che è sommo è anche unico; perchè il sommo del pari
che l’unico non si può moltiplicare. Ma queste tre forme pure di stati,
benchè sieno da quelle particolari differenze teslè osservate, tra loro diverse;
tultavolta allesa la loro origine, per virtù della quale la ragione, la volontà,
il potere risiedono nell'uomo, sono strettamente tra lor collegale, e
costituiscono irë parti di virtù fra loro commiste. L'ordine naturale per tanto
è l’anima di ogni stato, perchè regna in quest’ordine il vero che all’ordine
delle cose corrisponde, non a quello de’ nomi senza le cose, il quale non è ordine,
ma sembianza di ordine. Quello dunque è l'ordine naturale dello stato, dove il
prudente, il forte comanda e l’imprudente, l’imbecille ubbidisce: quali furono
i primi principii dello stato, la famiglia, la clientela, gli antichissimi
stati degli ottimati pur ordine civile quello che per volere della legge
all’ordine naturale è frammesso, che può anche dirsi ordine politico, misto di
civile e di nalurale, come nello stato degli ottimati il senato si compone de’
sapientissimi fra i patrizi; nello stato popolare il popolo viengo ver pato
dall’autorità di un senato sapiente; nello stato regio il principe Romolo si
vale del consiglio de’ sapienti. Quest’ordine misto può definirsi successione
dell’onore, nella quale chi per una e chi per altra dole come per fede, diligenza,
solerzia, valore, giustizia, vien riputato degno di ascendere ad onorale
cariche, e dalle minori alle maggiori gradatamenle viene promosso: di guisa che
i migliori sempre preseggano, e vigilino su I costumi degl’inferiori e li dirigano. Ma
quando gli ottimati divennero nomi vani che li distinsero dalla plebe,
all’ordine naturale successe il civile, ed al vero seguì il certo, il quale altro
non è che la conformità all’ordine, non delle cose, ma della parola, da cui
nasce la coscienza dal dubilar sicura . Imperoc chè I primi imperi degli ottimi
o si manteonero ne’ loro discendenti, o in ogni popolo passarono, o a
monarchici si ridussero. Perciò l'ordine civile o è nel lignaggio come nell’aristocrazia,
o nel censo come nella democrazia, o nella casa regnante come nella monarchia. Ma
de la nobiltà, né il patrimonio rende sapienti. Il nascer orincipe è cosa
fortuita, dice Tacito, nè altra. Siccome però il certo è parte del vero, e la
ragion civile nasce della stessa ragion naturale per le cause di certo Diritto,
così l'ordine civile per natura sua fa parte dell’ordine naturale in quanto è
esso cagione della pubblica sicurezza, ond'è che anche la citta la più corrolla
da questo stesso civile ordine viene conservata. Ed è per quanto però la
mente è più verace del discorso, altrellanto l’ordine e più stabili della
legge; im pe rocchè la mente sempre una cosa detta al parlare, ma pel giudizio,
o sia per la volontà, noi più volte falliamo, servendo spesso a ciò che dice il
senso, senza ascoltar la mente. La parola in oltre non viene sempre con
prontezza alla mente, spesso non esprime i suoi comcetto, mentre viene quella
incessantemente spronala a raggiugnere Ma questi ordini per la via della
legge col timor delle pene, con la speranza de un premio, impongono al
cittadino di rettamente comportarsi. Per la qual cosa l’ordine e più stabile
dalla leggr: onde avviene che la legge ri posino sull’ordine, e che questi
conserva la legge; im. perocchè l’ordine politico, il quale è misto di ordine
naturale e di ordine civile, con maggior ragione di ciò che Aristotele della
legge disse, è verameole una mente scevera di affetti. E come che la mente del
popolo io generale sia scevera di affetti, pure questa mente stessa suole addivenir
talvolta turbatissima, sopra tutto ove sia commossa da intestine turboleoze.
Qual fu la mente del popolo di Atene, e quella del popolo romano sconvolta dal
demagogo, che indussero l'uno e l'altro popolo, con particolare legge fuori
l’ordine promulgate, a bandir dalla patria uomini di chiara virtù, per elevare
ad amplissimi onori immerite volissimi cittadini. Vero, il la qual forza di
vero altra cosa non è che la ragione. Or, la parola sovenli volte elude questa
forza di vero, per la perversa volontà di chi ragiona. L'ordine perciò naturale
e l'ordine misto è il solo che può con giustizia amministrar il diritto, e
questo avviene quando uomini per sapienza e per virtù prestantissimi, giusta l’ordine
naturale, e non secondo l'ordine concepu. Siegue da tullo ciò che il diritto
chiamato da Grozio e Kelsen puro, e da Gaio diritto comune a tull ipopoli,
altro non è ch e il diritto naturale , il quale h aperto della parola, o che
torna lo stess , non secondo il certo della legge, ma giusta il vero della
legge stessa, reggano gli stati. E perchè la leggr in moltissimi casi mancano
ed è necessaria l’interpretazione che a la deficienza supplisca; può accader
ancora che sollo la stessa autorità del diritto non solo qualche volta per
ignoranza si erri, ma la stessa legge con frode si eludano. Più felice dunque e
quello stato, nel quale il civile ordine e misto più secondo il naturale ordine
o secondo l'ordine del vero che secondo l’ordine del certo. Quindi ove si
conservino la legge imposta dall’ordine, e mollo più gli Ordini che le leggi si
cuslodiscano, verranno gli Stati conservati. Ma se le leggi mancano, gli stati rovinano.
Perciòsiamo servi della legge, diceva Tullio, per poter esser liberi.
Convertendo dunque la massima si dirà pure con verità: se ci libereremo dalla
legge, saremo naturalmenle servi. la legge morale; perchè, secondo Vico, non può
darsi diritto senza morale. Iolanlo è da nolarsi diligentemente che Vico
distingue il diritto io diritto vero, e diritto certo. Quello è per la ragione,
questo per l'autorità. Il primo dirige l'uomo libero, il secondo l'uomo che più
della liberlà segue l’istinto. Or cgli è evidente che negli stessi umani
governi la più gran parte degli uomini, tenendo più all’istinto che alla libera
elezione, si lascia più facilmente guidare dall’altrui autorità che dalla ragione.
Di qui la necessità di un diritto misto, secondo le esigenze de’ popoli e le
diverse forme di governo. Ma da ciò non segue che coloro i quali con la loro
autorità oe fondamento impongodo a’ popoli, essendo essii più sapienti, i
più prudenti, come vuole il Vico, non si propongano per i scopo il diritto vero
e che non sieno al caso disco prirlo, senza darsi gran pena. La destinazione
infalli del l'uomo non può dipendere dall’istinto, e tosto che l'uomo si
conosce libero e la sua ragion consulta, questa gli ordina di conservarsi e di
perfezionarsi: di essere cioè savio, moderato, prudente; di collivar
l’intellelto, e nel tumulto de’ sensi e degli affetti di cautelare la volontà:
nel che propriamente consiste la libertà dell'uomo interiore. E perchè egli
scopre in altri esseri, a lui simiglianti, la stessa attività libera, gli
considera tutti eguali, e tale scoperta fa nascere in lui l’obbligazione di
lasciar i suoi simili nella loro indipendenza, ed è questa la tutela. A ppresso
giudica di non aver diritto su di ciò che è stato da altri prima di lui
occupalo, e ciò che ha egli occupato il primo, giudica che a lui spella
solamente , nel che sla il dominio. Di qui reciprocità del diritto e del dovere;
di qui l’origine della giustizia che gareolisce la proprietà. Tulli gli
anzidelli del diritto e del dovere, perchè fondati sulla libertà, sul dominio,
e sulla tutela, o che lorna lo stesso, sulla natura dell’uomo, stanno per sè,
prima che l’uomo entri con altri in società. La legge non li creano, perchè già
erano prima della legge. Questa non altro fanno che conservarlo. Lo stesso
diritto e lo stesso dovere servono di fondamento alla società, che il
legislatore non crea ma dirige, perchè la società già era, quando il governo
non era ancora. La libertà del diritto,
dice Vico, fuprim a ch e si conoscesse la servitù. Non s’introduce già il
dominio con la divisione de’campi, furono solamenle distinti. Dalla polegza di
operare infine nacque tosto la tutela o difesa di sè stesso. Se non che,
ammellendo Vico nell’umana mente al cuni semi del vero che con l'andar del
tempo si sviluppano in cognizioni distinte ed alcuni germi del giusto che
tratto tratto si spiega la massima incontrastabile di giustizia; mostrasi egli
in gran parte seguace di Platone intorno all’origine di quella verità che si
dice necessaria. Or tale verita, essendo per noi di due spezie, una teoretiche
ed una pratica, diciamo, che rispetto alla prima, la verita teorica, l’io il
quale per un alto di spontaneità si conosce e si rivela dell'appercezione,
appoggiato alle quattro idee necessarie di spazio,di tempo,di sostanza e di
cagione, riduce all’unità tutto il vario della rappresentazione che a lui offer
il senso. Riguardo poi alle verita pratica, essendo elleno legge pratica o
comando di fare, si contiene in una massima universalisabile. Quando ti
determini all’azione, esamina te stesso e vedi se la tua volontà sia di accordo
con la volontà generale di ogni persona. Una tal massima universalisabile è la
suprema legge della morale. Che che sia però della filosofia di Vico, a noi
basta di aver provato che le due sue digoilà Vl*e VII“, ben lungi dall’opporsial
la legge morale, la confermano mirabilmente. Dominio, libertà, tutela tre
elementi del diritto; tre elementi che costituiscono l'uomo morale. Perchè non
può avervi diritto senza morale. La filosofia perciò di Vico si accorda perfettamente
con la morale. Grice: “Most of Colecchi’s essays are easily available, and it’s
easy enough to check his references to other Italian philosophers – not just
Vico, as I have done – but Rogmanosi, and even ancient Roman ones like Cicero –
and perhaps more importantly his influence on the so-called Neapolitan
Hegelians!” -- Ottavio Colecchi. Keywords: Vico, il Vico di Collecchi,
Cacciatore, Macchiaveli, Lazio, Romolo e Remo, Kant, categoric imperative,
massima, first-hand knowledge of Kant, Colecchi Kantiano, ma non aristotelico –
il kantismo di Colecchi – l’italiano kantiano di Colecchi – il vocabolario
kantiano in Colecchi – analitico – sintetico – sintetico a priori – giudizio
necessario – Romolo e Remo, diritto naturale, lingua e nazione, Marte, Saturno,
Giove, etimologia di Vico, il Lazio, il senato romano, ottimati, storia di
Roma, diritto romano, psicologia razionale, psicologia filosofica, l'istinto,
la passione, la ragione, la sensazione, l’intelletto, spazio-tempo, l’azione,
l’agire como reame della morale, massima d’azione, la regola di oro – la
rifutazione di Vico all’eudaimonismo di Aristotele e al utilitarismo di
Bentham, lo caduco e lo no caduco, ius naturale, ius como la virtu unica,
giustizia equittrice e rettrice, giustizia commutative e giustizia distritutiva,
l’ordine aritmetico e l’ordine geometrio – la base matematica della filosofia
di Colecchi, l’amore, amore interessato, amore disinteresatto, salvezza, uomo,
padre e figlio, uomo come cittadino, il genere umano, la massima
universalisabile, l’onesto, fortezza, prudenza, toleranza, virtu, vizio, il
vero versus il certo, la nascita della morale dal ordine agglomerazione
sociale, la potesta naturale, il dominio, la tutela, la liberta, libero
arbitrio e passione, autorita e ragione, forza, autorita e raggione,
l’ubbidenza che il figio mostra al padre, il ruolo dell’avo, la societa di
equali, il modello della societa romana antica, la societa dell’amicizia,
Eurialo e Niso, L’Enneada, la lingua del contratto come requisite del patto
sociale, la parola e il concetto, la formola della parola, verbum/res, res
pubblica, communita, diritto comune, bene comune, l’ordine: primo stato
dell’uomo in solitudine, l’ordine della famiglia: societa di inequali,
padre/figlio, terzo stadio: la tribu di Romolo, la citta di Romolo, il paese di
Romolo, il genero umano, diritto universale di Vico e Kant, Hampshire on Vico. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Colecchi” – The Swimming-Pool Library.
COLLETTI (Roma).
Filosofo. Grice: “I like Colletti – he takes political philosophy seriously
unlike we of the Lit. Hum, not PPE school, at Oxford! But then he is a Roman
and has all the Orazi and Curiazi traditions!” Si laurea sotto Volpe. Insegna a
Roma. “Partito Socialista Italiano”. Altre opere: “Il marxismo e Hegel, in
Lenin, Quaderni filosofici, Milano, Feltrinelli, 1958. Ideologia e società,
Bari, Laterza, Il marxismo e Hegel, Bari, Laterza, Il futuro del capitalismo.
Crollo o sviluppo?, e con Claudio Napoleoni, Bari, Laterza, Intervista
politico-filosofica, con un saggio su Marxismo e dialettica, Roma-Bari,
Laterza, Il marxismo e il "crollo" del capitalismo, a cura di,
Roma-Bari, Laterza, Tra marxismo e no, Roma-Bari, Laterza, Tramonto
dell'ideologia. [Le ideologie dal '68 a oggi; Dialettica e non-contraddizione;
Kelsen e il marxismo], Roma-Bari, Laterza, 1980. Crisi delle ideologie.
Intervista politico-filosofica, Il marxismo del XX secolo, Le ideologie dal '68
a oggi, Milano, Club degli editori, Pagine di filosofia e politica, Milano,
Rizzoli, La logica di Benedetto Croce, Lungro di Cosenza, Marco, Fine della
filosofia e altri saggi, Roma, Ideazione, Lezioni tedesche. Con Kant, alla
ricerca di un'etica laica, Roma, Liberal, È morto Lucio Colletti voce
"contro" di Forza Italia, su repubblica, Camera dei Deputati, Gruppo
Parlamentare di Forza Italia, Ricordo di Lucio Colletti, Roma, Stampa e
servizi, Orlando Tambosi, Perché il marxismo ha fallito Lucio Colletti e la
storia di una grande illusione, Milano, Mondadori, 2001. 88-04-48844-1 Ministero per i beni e le
attività culturali, Lucio Colletti: il cammino di un filosofo contemporaneo, Roma,
Essetre, 2003 Pino Bongiorno, Aldo G. Ricci, Lucio Colletti scienza e libertà,
Roma, Ideazione, Cristina Corradi, Storia dei marxismi in Italia, Roma, Manifestolibri.
Collétti, Lucio la voce nella Treccani L'Enciclopedia Italiana. il 20/07/ Lucio
Colletti, su CameraXIII legislatura, Parlamento italiano. Lucio Colletti, su
CameraXIV legislatura, Parlamento italiano. La storia di Lucio Colletti di Costanzo
Preve, nel sito Kelebek Roma. Partito Comunista Italiano” Forza Italia”. Il
saggio di Colletti Marxismo e dialettica fu scritto «a chiarimento di alcuni
temi toccati» nell’intervista apparsa sulla “New Left Review” nel numero di
luglio-agosto 1974, e pubblicato con la traduzione italiana dell’intervista.
Più esattamente Colletti si propone di chiarire la «differenza tra “opposizione
reale” (la Realopposition o Realrepugnanz di Kant) e “contraddizione
dialettica”». Si tratta di opposizioni radicalmente diverse: la prima è «senza
contraddizione (ohne Widerspruch)», la seconda è «per contraddizione (durch den
Widerspruch)» (1974: 65). La opposizione dialettica (66-69) è espressa dalla
formula «A non-A», nella quale ciascun opposto è solo la negazione dell’altro,
ma non è niente in sé e per sé. I poli dell’opposizione sono cioè ambedue
negativi, più esattamente ciascuno è la negazione dell’altro, ma solo
all’interno dell’unità con l’altro. Quindi «entrambi gli opposti sono negativi,
nel senso che sono ir-reali, non-cose (Undinge), ma idee». Ciascun opposto «ha
la sua essenza fuori di sé» (67), nell’altro di cui è la negazione. L’origine
dell’opposizione dialettica, e della stessa dialettica, è platonica: l’unità
degli opposti è la koinona ton genon. L’opposizione reale (70-76) è espressa
dalla formula «A e B», nella quale ciascun opposto sussiste di per sé, è
positivo, e perciò è esclusivo dell’altro. La cosa più importante è che
Massimiliano Biscuso – Opposizione reale, contraddizione logica e
contraddizione dialettica 4 «nell’opposizione reale o rapporto di contrarietà
(Gegenverhältnis), gli estremi sono entrambi positivi, anche quando l’uno venga
indicato come il contrario negativo dell’altro» (72). Questo accade ad esempio
quando ci rappresentiamo due forze eguali che muovono due corpi in direzione
contraria: il risultato è la quiete, cioè comunque qualcosa (ed essendo
qualcosa possiamo rappresentarcelo). «In altre parole, nella relazione di
contrarietà che è l’opposizione reale, vi è, sì, negazione, ma non nel senso
che uno dei due termini possa essere considerato come negativo di per sé, cioè
come non-essere» (74). Le opposizioni reali non minano, anzi confermano il
pdnc, proprio perché sono «senza contraddizione» (dove è già implicito, come
sarà confermato in seguito, che l’opposizione dialettica nega il pdnc). Il
marxismo non ha mai avuto le idee chiare intorno a questi due diversissimi
generi di opposizione, e non le ha avute anche perché non ha mai chiarito con
sufficiente rigorosità il suo rapporto con la dialettica hegeliana. In Hegel la
dialettica delle idee è al tempo stesso la dialettica della materia, nel senso
preciso che è impossibile in Hegel separare le idee dalla materia: «Se si
presta attenzione, si vede subito che il rapporto finito-infinito,
essere-pensiero, segue il modello della contraddizione “A non-A”. Fuori l’uno
dell’altro, cioè al di fuori dell’Unità, finito e infinito sono entrambi
astratti, irreali» (80), e l’unità che include il finito e il falso infinito
(falso perché altrettanto finito, in quanto limitato dalla sua opposizione al
finito) è l’Idea, il vero infinito. Dunque, commenta Colletti, «dov’era la cosa
è ora subentrata la contraddizione logica» (81 – si badi bene: contraddizione
logica e non, come ci si attenderebbe, contraddizione dialettica). Ora, il
«dramma del marxismo» è aver «ripreso alla lettera» la dialettica hegeliana
della materia, scambiandola per una forma superiore di materialismo. Dramma,
perché quella dialettica era volta: a) alla distruzione del finito, b) alla
negazione del pdnc; cioè proprio a ciò a cui la scienza non può rinunciare, anzi
da cui si deve necessariamente muovere (d’altronde la scienza, che si basa sul
pdnc, «è il solo modo di apprendere la realtà, il solo modo di conoscere il
mondo», 112). Avvertiti di questa difficoltà, negli anni Cinquanta alcuni
marxisti polacchi e tedesco-orientali cercarono di mostrare che «ciò che i
“materialisti dialettici” presentano come contraddizioni nella natura sono, in
realtà, contrarietà, cioè opposizioni ohne Widerspruch; e che, dunque, il
marxismo può benissimo continuare a parlare di conflitti e di opposizioni
oggettive, senza, per questo, essere costretto a dichiarare guerra al principio
di (non-)contraddizione e mettersi così in rotta con la scienza» (86). Tali
risultati convergevano con quelli della ricerca di della Volpe: a costo di liquidare
«gran parte dell’opera filosofica di Engels» (94) in quanto fonte del Diamat,
sembrava però legittimarsi «l’aspirazione del marxismo a costituirsi come la
fondazione delle scienze sociali, cioè come la scienza della società» (95). In
realtà non era possibile ritenere che il Capitale non avesse nulla a che fare
con Hegel: infatti «i processi di ipostatizzazione, la sostantificazione
dell’astratto, www.filosofia-italiana.net 5 l’inversione di soggetto e
predicato, ecc., lungi dall’essere per Marx soltanto modi difettosi della
logica di Hegel di riflettere la realtà, erano processi che egli ritrovava […]
nella struttura e nel modo di funzionare della società capitalistica stessa»
(97). Vi sono dunque «due Marx» (99): lo scienziato dell’economia politica e il
critico dell’economia politica. Questo significa riconoscere i limiti della
stessa lettura dellavolpiana, che condivide con molte altre letture marxiste il
difetto di non cogliere le due facce del pensiero di Marx. «Quando il marxismo
è una teoria scientifica del divenire sociale, è tutt’al più una “teoria del
crollo”1, ma non una teoria della rivoluzione; quando, viceversa, è una teoria
della rivoluzione, essendo solo una “critica dell’economia politica”, rischia
di risultare il progetto di una soggettività utopica» (102). Dunque per lo
stesso Marx le contraddizioni del capitalismo sono non opposizioni reali, bensì
contraddizioni dialettiche nel senso pieno della parola. Da un passo delle
Teorie sul plusvalore (la possibilità della crisi è la possibilità che momenti
che sono inseparabili si separino e quindi vengano riuniti violentemente)
Colletti conclude che i poli dell’opposizione, separandosi, si sono fatti
reali, pur non essendolo veramente: «sono, in breve, un prodotto
dell’alienazione, sono entità per sé irreali seppur reificate» (107). «Teoria
dell’alienazione e teoria della contraddizione, dunque, come una sola e
identica teoria» (109): la contraddizione nasce dal fatto che l’aspetto
individuale e quello sociale del lavoro, pur essendo intimamente connessi, si
danno un’esistenza separata. È la contraddizione di individuo e genere, di
natura e cultura, già rilevata dai maggiori analisti della società civile
borghese del Settecento. «La società moderna è la società della divisione
(alienazione, contraddizione). Ciò che un tempo era unito, si è ora spezzato e
separato. È rotta l’“unità originaria” dell’uomo con la natura e dell’uomo con
l’uomo» (111), dove l’unità, essendo data, non deve essere spiegata, mentre è
da spiegare la divisione. «Seppure modificato, riaffiora lo schema della
filosofia della storia di Hegel. E questo, ci si scopre essere il secondo volto
di Marx, accanto a quello dello scienziato, naturalista e empirico» (112).
Georg Wilhelm Friedrich Hegel versuchte, um die von ihm vertretene Dialektik
(im Sinne einer Lehre von den Gegensätzen in den Dingen) durchzusetzen, die
Logik in einer Weise zu erweitern (sog. dialektische Logik), die den Satz vom
Widerspruch außer Geltung setzt.[3] Damit versuchte Hegel, die Kantische
Widerlegung des sogenannten 'Dogmatismus in der Metaphysik' zu umgehen. Der
Wissenschaftstheoretiker Karl Popper kommentiert: „Diese Widerlegung [Kants]
betrachtet Hegel als gültig nur für Systeme, die metaphysisch in seinem engeren
Sinne sind, jedoch nicht für den dialektischen Rationalismus, der die
Entwicklung der Vernunft berücksichtigt und deshalb Widersprüche nicht zu
fürchten braucht. Indem Hegel die Kantische Kritik in dieser Weise umgeht,
stürzt er sich in ein äußerst gefährliches Abenteuer, das zur Katastrophe führen
muss; denn er argumentiert etwa folgendermaßen: ‚Kant widerlegte den
Rationalismus durch die Feststellung, er müsse zu Widersprüchen führen. Dies
gebe ich zu. Aber es ist klar, dass dieses Argument seine Stärke aus dem Gesetz
vom Widerspruch ableitet: es widerlegt nur solche Systeme, die dieses Gesetz
akzeptieren, also solche, die beabsichtigen, frei von Widersprüchen zu sein.
Das Argument ist nicht gefährlich für ein System wie das meinige, das bereit
ist, Widersprüche zu akzeptieren – d.h. für ein dialektisches System.‘ Es
besteht kein Zweifel, dass Hegels Argument einen Dogmatismus von äußerst
gefährlicher Art aufrichtet - einen Dogmatismus, der keinerlei Angriff mehr zu
fürchten braucht [siehe Immunisierungsstrategie]. Denn jeder Angriff, jede Kritik
irgendwelcher Theorie muß sich auf die Methode stützen, irgendwelche
Widersprüche aufzuzeigen, entweder in einer Theorie selbst oder zwischen einer
Theorie und irgendwelchen Fakten […].“[4] Logisches Quadrat Das
logische Quadrat Unter der Voraussetzung, dass ihre Subjekte keine leeren
Begriffe sind, bestehen zwischen den unterschiedlichen Aussagentypen
verschiedene Beziehungen: Zwei Aussagen bilden einen kontradiktorischen
Gegensatz genau dann, wenn beide weder gleichzeitig wahr noch gleichzeitig falsch
sein können, mit anderen Worten: Wenn beide unterschiedliche Wahrheitswerte
haben müssen. Das wiederum ist genau dann der Fall, wenn die eine Aussage die
Negation der anderen ist (und umgekehrt). Für die syllogistischen Aussagentypen
trifft das kontradiktorische Verhältnis auf die Paare A–O und I–E zu. Zwei
Aussagen bilden einen konträren Gegensatz genau dann, wenn sie zwar nicht beide
zugleich wahr, wohl aber beide falsch sein können. In der Syllogistik steht nur
das Aussagenpaar A–E in konträrem Gegensatz. Zwei Aussagen bilden einen
subkonträren Gegensatz genau dann, wenn nicht beide zugleich falsch (wohl aber
beide zugleich wahr) sein können. In der Syllogistik steht nur das Aussagenpaar
I–O in subkonträrem Gegensatz. Zwischen den Aussagetypen A und I einerseits und
E und O andererseits besteht ein Folgerungszusammenhang (traditionell wird
dieser Folgerungszusammenhang im logischen Quadrat Subalternation genannt): Aus
A folgt I, d. h., wenn alle S P sind, dann gibt es auch tatsächlich S, die P
sind; und aus E folgt O, d. h., wenn keine S P sind, dann gibt es tatsächlich
S, die nicht P sind. Diese Zusammenhänge werden oft in einem Schema, das unter
dem Namen „Logisches Quadrat“ bekannt wurde, zusammengefasst (siehe Abbildung).
Die älteste bekannte Niederschrift des logischen Quadrats stammt aus dem
zweiten nachchristlichen Jahrhundert und wird Apuleius von Madauros
zugeschrieben. Grice: “Colletti takes negation more seriously than Popper does.
Colletti examines Hegel’s target, which is Kant’s distinction between ‘real
opposition’ or ‘real repugnance’ and ‘dialectical contradiction.’ Both can
combine. Hegel indeed wishes to go beyond the principle of non-contradiction
instituted in Velia by Parmenides. The Italian language allows for some
distinction that the English language doesn’t. There’s the opposto, which is
combined of posto, posto is cognate with ponere, as in modus ponens, and it’s
also the root for ‘positive’ (as opposed to negative, or strictly, togliere,
tollere modus tollens – to deny). So the the posto, we have the opposto. On the
other hand, there’s the ‘contra’, which translates Greek ‘anti’ – so that
‘apophasis’ becomes ‘contra-dictio’ where ‘dictio’ is cognate with ‘deixis,’
and so more to do with dictiveness and indicativeness than with ‘vocalisation’.
The Germans deal with the widerspruch but that’s THEIR problem. So to the posto
we have the opposto. But after Cicero, the use of ‘contrario’ becomes
important. Il contrario and l’opposto then pretty much covered all I failed to
see back with my ‘Negation and privation,’ and my later lectures on ‘Negation’
simpliciter. Both Kant, Hegel Colletti, and I, allow for ~ being all we need!” Lucio
Colletti. Keywords: opposition, negazione, la contraddizione dialettica e la
non-contraddizione – hegel – Oxford Hegelian, “Negation and Privation”
“Negation” “Privation” “The Square of Opposition” Das Quadrat – contradictum –
the deicticness of the dictum – contra – counter – anti – antithesis –
apo-phasis – ob-positum – contrarium, il contrario, l’opposto, contra-dictio
and contrario, il contrario, il contradditorio, dialettica ateniese, dialettica
oxoniana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colletti” – The Swimming-Pool
Library.
COLLI (Torino).
Filosofo. Grice: “I love Colli – his ‘filosofia dell’espressione’ is much more
serious than my ramblings, well meant, though, on Peirce! I was only trying to
be fashionable! At Oxford, they loved my lecture on ‘meaning,’ which got me
into ‘implying,’ and eventually, ‘expressing.’ – My unity developed – Colli was
born with it!” Insegna a Pisa. Di una facoltosa famiglia, il padre
amministra “La Stampa”, incarico dal quale fu poi estromesso all'indomani della
marcia su Roma, su ordine di Mussolini. Studia a Torino, laureandosi sotto
Solari con “Politicità ellenica e Platone”. Scorse nella tradizione filosofica
classica greco-romana l'autentico "logos" a cui ritornare. Lo
stile di scrittura, profondo e costellato di aforismi taglienti, si
caratterizza da un'attenzione maniacale alla musicalità del discorso. Questa
dote musicale emerge con chiarezza dalle letture di alcuni passi di Colli
recitati da Bene. Il suo saggio principale è “Filosofia dell'espressione” che
fornisce, mediante una complessa teoria delle categorie e della deduzione,
un'interpretazione della totalità della manifestazione come “espressione” di
qualcosa (l'immediatezza) che sfugge alla presa della conoscenza. Comunque, ritiene
che sia possibile riguadagnare il fondamento metafisico del mondo portando il
discorso filosofico ai suoi estremi limiti e "(di)mostrando" la
natura derivata del logos. Importante il suo contributo su i filosofi italici
Gorgia, Zenone, e Girgentu, e le figure di Bacco ed Apollo, dismisura e misura.
Al tentativo di interpretare gli enigmi di questi culti a-logici, fra i quali
quelli oracolari, viene fatta risalire l'origine remota della dialettica. Altre
opere: “Filosofia dell'espressione” (Adelphi, Milano); “Dopo Nietzsche” (Adelphi,
Milano); “La nascita della filosofia. Adelphi, Milano); “La sapienza greca” “Dioniso,
Apollo, Eleusi, Orfeo, Museo, Iperborei, Enigma” (Adelphi, Milano); “La
sapienza greca” “Epimenide, Ferecide, Talete, Anassimandro, Anassimene,
Onomacrito” (Adelphi, Milano); “La sapienza greca”; “Eraclito” (Adelphi,
Milano); “Nietzsche” (Adelphi, Milano); “La ragione errabonda” (Adelphi, Milano);
“Per una enciclopedia di autori classici” (Adelphi, Milano); “La Natura ama
nascondersi” (Adelphi, Milano); “Zenone di Velia” (Adelphi, Milano); “Gorgia e
Parmenide” (Adelphi, Milano); “Introduzione a Osservazioni su Diofanto di
Pierre de Fermat. Bollati Boringhieri, Torino); “Platone politico” (Adelphi, Milano);
“Il sovro-umano” (Adelphi, Milano); “Apollineo e dionisiaco” (Adelphi, Milano);
“Girgentu” (Adelphi, Milano); “Platone: la lotta dello spirito per la potenza,
Einaudi, Torino); Da Hegel a Nietzsche, Einaudi, Torino); Organon, Einaudi,
Torino); Critica della ragion pura, a cura e tr. di Giorgio Colli, Einaudi,
Torino); “Simposio” (Adelphi, Milano); Parerga e paralipomena” (Adelphi,
Milano); Nietzsche (Classici Adelphi)
Scritti giovanili; La nascita della tragedia; Considerazioni inattuali; La
filosofia nell'epoca tragica dei Greci; Frammenti postumi; Wagner a Bayreuth;
Considerazioni inattuali, Umano, troppo umano, Aurora; Idilli di Messina; Così
parlò Zarathustra; Al di là del bene e del male; Genealogia della morale;
Wagner; Crepuscolo degli idoli; L'anticristo; Ecce homo; Nietzsche contra
Wagner, Ditirambi di Dioniso e Poesie postume; Epistolario (Adelphi, Milano); Sull'utilità
e il danno della storia per la vita (Adelphi, Milano); Sull'avvenire delle
nostre scuole” (Adelphi, Milano); La mia
vita (Adelphi, Milano); La nascita della tragedia” Adelphi, Milano); L'uomo di
fede e lo scrittore, Adelphi, Milano); Schopenhauer come educatore, tr. di
Mazzino Montinari, Adelphi, Milano); “Lettere da Torino” (Adelphi, Milano); “Il
servizio divino dei greci” (Adelphi, Milano); Lo Specchio di Dioniso” (Dedalo,
Bari); Dizionario biografico degli italiani,
Implicazioni estetiche in Colli; Misura e dismisura. Per una
rappresentazione di Colli, ERGA, Genova); L’enigma greco; Apollineo e
dionisiaco in Colli, in Clemente Tafuri e David Beronio, Teatro Akropolis.
Testimonianze ricerca azioni, vol II, AkropolisLibri, Genova); I Greci:
annotazioni su alcune traduzioni, in "Episteme", Mimesis Edizioni,
Milano); Il Girgentu di Colli, Luca Sossella Editore, Roma. Giorgio Colli.
Keywords: L’Apollo romano, L’appollo d’etruria, La mesura d’Apollo, la
dismisura di Bacco; l’enigma filosofico, Bacco, Nietzsche, Girgentu, Velia, Crotone,
Gorgia, Zenone di Velia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colli: l’implicatura
di Bacco.”
COLLINI (Firenze).
Filosofo. Grice: “If you love birds, you love Collini – he loved
‘pterodattili,’ though and made nice drawings of them, as they fought with
‘uomini’!” Discendente di una nobile famiglia, studia a Pisa. Si trasferì a
Coira. Collini venne descritto come scontroso, spesso in litigio. A lui si deve
la descrizione dello pterodactylus, un rettile volante, o pterosauro o
pterodattilo. Denuncia il fanatismo durante le guerre rivoluzionarie francesi
in Europa. Grice: “I often wondered why the conte would flee his family seat in
lovely Tuscany for the darker landscapes of the North – till I found out the
reason: he had helped one of his noble friends (Ottavio) to do some evil-act on
a nobile gentildonna (Malspina): so he had no choice!”. Altro Italiano non ricordato dal Lucchesini, forse perchè assai più
tardi aggregato all'Accademia, è Cosimo Alessandro Collini, nato a Firenze.
Narra il Denina (1) che, mentre ea Pisa, aiuta a Domenico Eusebio Chelli, da
famglia civile di Livorno, nel ratto della marchesa Gabbriella Malaspina,
sicchè dovette fuggirsene (2). Dopo essersi fermato a Coira, va a Berlino
raccomandato da una signora M. (egli stesso non ne dà che l’iniziale) abitante
in Firenze, amica di famiglia e sorella della Barberina. Accolto da questa,
ormai signora Coccei, con molta benevolenza, attesea studiare, e con baldanza,
quando Voltaire venne a Berlino, si presenta a lui, che lo riceve amorevolmente
dicendogli, la Toscana è stata una nuova Atene e i toscani sono stati i nostri
maestri. Gli si raccomandò per trovare un'occupazione e n’ebbe lusinghiere
promesse. Ma il tempo scorreva e il conte ha fretta, sicchè pensa di valersi,
oltre che della ballerina, anche di una celebre cantante, l’Astrua, che gli
ottenne il posto di segretario dello stesso Voltaire. Stette con lui copiando i
suoi lavori e leggendogli la sera il Boccaccio e l'Ariosto – l’uno pienamente con
tento dell'altro. “Mon secrétaire», scrive il Voltaire al Thiriot, “est un
florentin, très-aimable, tres-bien né, et qui merite, mieux que moi, d'être de
l'Académie della Crusca. Fu compagno al filosofo poeta anche nella sua fuga
dalla Prussia e nelle sue pe regrinazioni e vicissitudini per la Germania, la
Francia e la Svizzera. Ma nper una lettera nella quale scherzava su mad. Denis,
si separa da Voltaire, che tuttavia continua a volergli bene e a corrisponder
con lui; e sulle raccomandazioni del Voltaire passa al servizio dell'elettor
palatino, che lo fece suo bibliotecario e segretario dell'Accademia di
Mannheim. Scrive saggi sulla storia della Germania e su quella del Palatinato,
ma più ch'altro di mineralogia. È lodato anche un suo volume di Lettres sur les
Allemands, pubblicato anonimo a Mannheim nel 1784, cui un altro doveva seguirne
sulla letteratura tedesca.E là dove aveva trovato una seconda patria e una
onorevole residenza, mori nel 1806. All'Accademia,alla quale forse furono
ascritti anche altri Ita liani oltre quelli ricordati qui e più addietro,e cui
è da aggiun gere G. B. Morgagni (3), si riferisce questo brano di lettera del
(2) Il COLLINI stesso nel suo libro Mon séjour auprès de Voltaire et Lettres
inédites que m'écrivit cet homme célèbre,ecc.,Paris,Collin,1807, confessa (pag.
5) la fuga dalla patria e dalla famiglia, m a ne dà per m o tivo una giovanile
vaghezza di conoscere il mondo e gli uomini. L'esemplare
tipo dell'animale ora conosciuto come Pterodactylus antiquus è stato uno dei
primi fossili di pterosauro scoperti e il primo ad essere identificato. Il
primo esemplare di Pterodactylus fu descritto dallo scienziato italiano Cosimo
Alessandro Collini, nel 1784, sulla base di un scheletro fossile, portato alla
luce dai calcari di Solnhofen, di Baviera. Collini fu il curatore della
"Naturalienkabinett", o "camera delle meraviglie"
(l'antenato del moderno concetto di Museo di Storia Naturale), nel palazzo di
Carlo Teodoro, elettore di Baviera, a Mannheim.[17] Il campione era stato
affidato alla raccolta, dal conte Friedrich Ferdinand zu Pappenheim,
probabilmente intorno al 1780, dopo essere stato recuperato da un calcare
litografico nella cava di Eichstätt.[18] La data effettiva della scoperta e
l'ingresso del campione nella collezione è sconosciuto. Non è stato menzionato
in nessun catalogo della collezione, preso nel 1767 quindi deve essere stato
acquistato tra il 1767 e il 1784, anno della descrizione di Collini. Ciò
potrebbe rendere il fossile il primissimo pterosauro descritto; Nel 1779 fu
descritto una seconda specie chiamata Pterodactylus micronyx (oggi conosciuto
come Aurorazhdarcho micronyx) che però era stata inizialmente scambiata per un
fossile di crostaceo.[19] Ricostruzione di Wagler, del 1830, su uno
stile di vita acquatico per Pterodactylus Collini, nella sua prima descrizione
del campione di Mannheim, concluse che si trattava di un animale volante. In
realtà, Collini non riusciva a capire di che tipo di animale si trattasse, ma
lo accostò ad uccelli e pipistrelli, per via di alcun affinità anatomiche. Più
avanti lo stesso Collini ipotizzò addirittura che potesse trattarsi di un
animale acquatico. Tale ipotesi non venne avanzata su rigori scientifici ma su
una supposizione di Collini che pensava che le profondità dell'oceano potevano
ospitare animali stravaganti.[20][9] Nel 1830, l'idea che gli pterosauri
fossero animali marini persisteva ancora in una minoranza di scienziati tra cui
lo zoologo tedesco Johann Georg Wagler, che pubblicò nel suo testo intitolato
"Anfibi", un articolo che vedeva gli pterosauri come animali marini
con ali disegnate come pinne, ispirandosi ai moderni pinguini. Wagler si spinse
fino a classificare lo Pterodactylus, insieme ad altri vertebrati acquatici
(come plesiosauri, ittiosauri e monotremi), nella classe Gryphi, tra uccelli e
mammiferi.[21] Prima ricostruzione di uno pterosauro al mondo ad
opera di Hermann, nel 1800 Fu lo scienziato francese/tedesco Johann Hermann che
per primo dichiarò che il lungo quarto dito della mano dello Pterodactylus venisse
usato per sostenere una membrana alare. Nel mese di marzo del 1800, Hermann fu
allertato dallo scienziato francese George Cuvier dell'esistenza del fossile di
Collini, che era stato catturato dagli eserciti di occupazione di Napoleone e
inviato alle collezioni francesi a Parigi, come bottino di guerra; in seguito
alcuni commissari politici francesi sequestrarono i tesori d'arte e gli oggetti
di valore scientifico. Hermann in seguito inviò una lettera a Cuvier, dove vi
era scritta la sua interpretazione del fossile (anche se lui non aveva
esaminato personalmente), dichiarando che l'animale doveva trattarsi di un
mammifero, e inviò anche una bozza di come doveva apparire in vita l'animale.
Fu la prima ricostruzione artistica per uno pterosauro al mondo. Hermann
disegnò l'animale con una membrana alare che si estendeva dalla fine del quarto
dita fino alle caviglie e ricoperto da pelliccia,(all'epoca il fossile non
presentava ne segni di membrana alare ne di pelliccia). Hermann nel suo schizzo
aggiunse anche una membrana tra il collo ed il polso, come quella presente oggi
nei pipistrelli. Cuvier d'accordo con questa interpretazione, e su suggerimento
di Hermann, pubblicò questa nuova descrizione nel dicembre del 1800.[9] In uno
scritto Cuvier dichiarò che, "Non è possibile mettere in dubbio che il
lungo dito servisse a sostenere un membrana che, allungandosi all'estremità
anteriore di questo animale, formava una buona ala."[22] Tuttavia,
contrariamente a Hermann, Cuvier era convinto che l'animale fosse un rettile.
In realtà l'esemplare non era stato sequestrato dai francesi. Infatti, nel
1802, dopo la morte di Carlo Teodoro, il fossile fu portato a Monaco di
Baviera, dove il barone Johann Paul von Carl Moll, aveva ottenuto un'esenzione
generale della confisca per le collezioni bavaresi. Cuvier chiese a von Moll il
permesso di studiare il fossile, ma fu informato che il pezzo non fu trovato.
Nel 1809, Cuvier pubblicò una descrizione un po' più a lunga, in cui l'animale
veniva chiamato "Ptero-dactyle" e confutava l'ipotesi di Johann
Friedrich Blumenbach, che sosteneva che l'animale fosse un uccello
marino. Ricostruzione inesatta di P. brevirostris, da parte di Von
Soemmerring, del 1817 Contrariamente a rapporto di von Moll, il fossile non è
mancata; fu oggetto di studio da parte di Samuel Thomas von Sömmerring, che
tenne una conferenza pubblica sul fossile il 27 dicembre 1810. Nel mese di
gennaio del 1811, von Sömmerring scrisse una lettera al Cuvier deplorando il
fatto che era da poco stato informato della richiesta di Cuvier per
informazioni. La sua conferenza fu pubblicata nel 1812, e in essa von
Sömmerring diede alla creatura il nome di Ornithocephalus antiquus.[23] Qui
l'animale fu descritto come un mammifero simile ad un pipistrello ma con
caratteristiche da uccello. Cuvier in disaccordo con tale descrizione, lo
stesso anno fornì una lunga descrizione nella quale ricordò che l'animale era
in realtà un rettile.[24] Nel 1817 fu rinvenuto un secondo esemplare di
Pterodactylus, ancora una volta a Solnhofen. Questo esemplare rappresentato da
un giovane fu descritto nuovamente da von Soemmerring, come Ornithocephalus
brevirostris, per via del muso corto, avendo tuttavia capito che si trattava di
un esemplare più giovane (oggi si sa che questo fossile appartiene ad un altro
genere di pterosauro, probabilmente un Ctenochasma[3]). Von Sommerring fornì
anche uno schizzo dello scheletro[9] che in seguito si rivelò essere sbagliato
e impreciso, in quanto von Soemmerring aveva scambiando il metacarpo per le
ossa del braccio inferiore, il braccio inferiore per l'omero, il braccio
superiore per lo sterno e lo sterno per una scapola.[25] Tuttavia Soemmerring
rimase per sempre fedele alla sua idea dello Pterodactylus. Lo avrebbe sempre
immaginato come un animale simile ad un pipistrello, anche se a seguito di
alcune ricerche nel 1860 ammise che l'animale era un rettile. Tuttavia
l'immaginario collettivo dell'animale rimaneva quello di una creatura
quadrupede, goffa a terra, ricoperta di pelo, a sangue caldo e con una membrana
alare che si attaccava alle caviglie.[26] In epoca moderno (2015) alcuni di
questi elementi sono stati confermati, alcuni smentiti, mentre altri rimangono
ancora oggi in discussione. Paleobiologia Classi d'età Esemplare
giovane di P. antiquus Come molti altri pterosauri (in particolare il
Rhamphorhynchus), l'aspetto degli esemplari di Pterodactylus varia a seconda
dell'età e in base al livello di maturità. Le proporzioni di entrambe le ossa
degli arti, le dimensioni e la forma del cranio e le dimensioni e il numero dei
denti possono stabilire a quale classe di età appartiene l'animale. In passato
queste differenze morfologiche hanno portato a credere che si trattassero di
specie distinte con caratteristiche anatomiche differenti. Recenti studi più
dettagliati e che utilizzano nuovi metodi per misurare le curve di crescita
degli esemplari noti, hanno stabilito che in realtà vi è un'unica specie di
Pterodactylus ritenuta valida ossia, P. antiquus.[6] Il più giovane e
immaturo campione di P. antiquus (da alcuni interpretato come facente parte di
una seconda specie chiamata Pterodactylus kochi) possiede pochi denti e i pochi
che possiede hanno una base relativamente ampia.[4] I denti di altri esemplari
di P. antiquus hanno denti più stretti e numerosi (fino a 90).[6] Tutti i
campioni di Pterodactylus possono essere suddivisi in due diverse classi di
età. Nella prima classe, rientrano gli esemplari i cui crani hanno una
lunghezza complessiva che va dai 15 ai 45 millimetri di lunghezza. Nella
seconda classe, invece, rientrano gli esemplari i cui crani hanno una lunghezza
complessiva che va dai 55 ai 95 millimetri di lunghezza, ma sono ancora
immaturi. Questi due primi gruppi di dimensione erano a loro volta classificati
come giovani e adulti della specie P. kochi, fino a che un nuovo studio ha
dimostrato che anche quelli che si credevano "adulti" erano comunque
esemplari immaturi, e probabilmente appartengono ad un genere distinto. Una
terza classe è rappresentata da esemplari specie tipo P. antiquus, così come un
paio di grandi esemLplari isolati, una volta assegnati a P. kochi che si
sovrappongono P. antiquus per dimensioni. Tuttavia, tutti i campioni di questa
terza classe mostrano anche segni di immaturità. L'aspetto degli esemplari
completamente maturi di Pterodactylus esemplari rimane tuttora sconosciuto,
oppure potrebbero essere stati erroneamente classificati come un genere
diverso.[4] Crescita e riproduzione Bacino fossile di un grande
esemplare, riferito alla dubbia specie P. grandipelvis Le classi di crescita
degli esemplari di P. antiquus mostrano che questa specie, come il
contemporaneo Rhamphorhynchus muensteri, probabilmente allevava i piccoli in
determinate stagioni e questi crescevano costantemente durante tutta la vita.
Quindi la riproduzione e il conseguente allevamento dei cuccioli avveniva ad
intervalli regolari e probabilmente in ogni stagione.[4][27] Molto
probabilmente poco dopo la nascita i cuccioli erano già in grado di volare ma
dipendevano ancora dai genitori per la nutrizione. Questo modello di crescita è
molto simile a quello dei moderni coccodrilli, piuttosto che alla rapida
crescita dei moderni uccelli.[4] Stile di vita Dal confronto tra gli
anelli sclerali di P. antiquus con quelli di moderni uccelli e rettili si è
scoperto che lo Pterodactylus aveva uno stile di vita diurno. Questo
coinciderebbe con la sua nicchia ecologica, che lo vedrebbe come un predatore
simile all'odierno gabbiano, evitando inoltre la competizione con altri
pterosauri suoi contemporanei che in base agli anelli sclerali sono stati
giudicati notturni, come il Ctenochasma e il Rhamphorhynchus.[28]
Paleoecologia Durante la fine del Giurassico, l'Europa era un arcipelago
asciutto e tropicale ai margini del mare Tetide. Il calcare fine, in cui gli
scheletri di Pterodactylus sono stati ritrovati, è stato formato dalla calcite
delle conchiglie e degli organismi marini. Le varie aeree tedesche dove sono
stati ritrovati gli esemplari di Pterodactylus erano lagune situate tra le
spiagge e le barriere coralline delle isole europee Giurassiche nel Mare
Tetide. I contemporanei di Pterodactylus, includono l'avialae Archaeopteryx
lithographica, il compsognatide Compsognathus, svariati pterosauri come
Rhamphorhynchus muensteri, Aerodactylus, Ardeadactylus, Aurorazhdarcho,
Ctenochasma e Gnathosaurus, il teleosauride Steneosaurus sp., l'ittiosauro
Aegirosaurus, e i metriorhynchidi Dakosaurus e Geosaurus. Gli stessi sedimenti
in cui sono stati ritrovati gli esemplari di Pterodactylus hanno riportato alla
luce anche diversi fossili di animali marini quali pesci, crostacei,
echinodermi e molluschi marini, confermando l'habitat costiero di questo
pterosauro. L'enorme biodiversità di pterosauri presenti nei Calcari di
Solnhofen, indica che quest'ultimi si erano differenziati tra di loro occupando
ogni possibili nicchia ecologica disponibile.[29] Note ^ Fischer von
Waldheim, J. G. 1813. Zoognosia tabulis synopticus illustrata, in usum
praelectionum Academiae Imperialis Medico-Chirurgicae Mosquenis edita. 3rd
edition, volume 1. 466 pages. ^ Schweigert, G., Ammonite biostratigraphy as a
tool for dating Upper Jurassic lithographic limestones from South Germany –
first results and open questions, in Neues Jahrbuch für Geologie und
Paläontologie – Abhandlungen, vol. 245, n. 1, 2007, pp. 117–125, DOI:10.1127/0077-7749/2007/0245-0117.
Bennett, S. Christopher, New information on body size and cranial display
structures of Pterodactylus antiquus, with a revision of the genus, in
Paläontologische Zeitschrift, in press, 2013, DOI:10.1007/s12542-012-0159-8.
Bennett, S.C., Year-classes of pterosaurs from the Solnhofen Limestone of
Germany: Taxonomic and Systematic Implications, in Journal of Vertebrate
Paleontology, vol. 16, n. 3, 1996, pp. 432–444,
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Soft tissue preservation of the cranial crest of the pterosaur Germanodactylus
from Solnhofen], in Journal of Vertebrate Paleontology, vol. 22, n. 1, 2002,
pp. 43–48, DOI:10.1671/0272-4634(2002)022[0043:STPOTC]2.0.CO;2, JSTOR
4524192. Jouve, S., [0542:DOTSOA2.0.CO;2 Description of the skull of a
Ctenochasma (Pterosauria) from the latest Jurassic of eastern France, with a
taxonomic revision of European Tithonian Pterodactyloidea], in Journal of
Vertebrate Paleontology, vol. 24, n. 3, 2004, pp. 542–554,
DOI:10.1671/0272-4634(2004)024[0542:DOTSOA]2.0.CO;2. ^ Frey, E., and Martill,
D.M., Soft tissue preservation in a specimen of Pterodactylus kochi (Wagner)
from the Upper Jurassic of Germany, in Neues Jahrbuch für Geologie und
Paläontologie, Abhandlungen, vol. 210, 1998, pp. 421–441. ^ Cuvier, G., Mémoire
sur le squelette fossile d'un reptile volant des environs d'Aichstedt, que
quelques naturalistes ont pris pour un oiseau, et dont nous formons un genre de
Sauriens, sous le nom de Petro-Dactyle, in Annales du Muséum national
d'Histoire Naturelle, Paris, vol. 13, 1809, pp. 424–437. Taquet, P., and
Padian, K., The earliest known restoration of a pterosaur and the philosophical
origins of Cuvier's Ossemens Fossiles, in Comptes Rendus Palevol, vol. 3, n. 2,
2004, pp. 157–175, DOI:10.1016/j.crpv.2004.02.002. ^ Cuvier, G., 1819,
(Pterodactylus longirostris) in Isis von Oken, 1126 und 1788, Jena ^ Kellner,
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history of the group", pp. 105–137 in Buffetaut, E. and Mazin, J.-M.,
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10.1016/j.cub.2014.03.030 Unwin, D. M., (2003). "On the phylogeny
and evolutionary history of pterosaurs", pp. 139–190. in Buffetaut, E.
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Geological Society of London, Special Publications 217, London, 1–347. S.
Christopher Bennett, [872:JSOTPG2.0.CO;2 Juvenile specimens of the pterosaur
Germanodactylus cristatus, with a review of the genus], in Journal of
Vertebrate Paleontology, vol. 26, n. 4, 2006, pp. 872–878,
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Pterodactyloidea) from the Upper Jurassic of Bavaria, Germany: The Problem of
Cryptic Pterosaur Taxa in Early Ontogeny, in PLoS ONE, vol. 9, n. 10, 2014, pp.
e110646, DOI:10.1371/journal.pone.0110646. ^ Steven U. Vidovic e David M.
Martill, The taxonomy and phylogeny of Diopecephalus kochi (Wagner, 1837) and
‘Germanodactylus rhamphastinus’ (Wagner, 1851), in Geological Society, London,
Special Publications, 2017, pp. SP455.12, DOI:10.1144/SP455.12. ^ David M.
Unwin, The Pterosaurs: From Deep Time, New York, Pi Press, 2006, pp. 246, ISBN
0-13-146308-X. ^ Brougham, H.P. (1844). Dialogues on instinct; with analytical
view of the researches on fossil osteology. Volume 19 of Knight's weekly vol. ^
Ősi, A., Prondvai, E., & Géczy, B. (2010). The history of Late Jurassic
pterosaurs housed in Hungarian collections and the revision of the holotype of
Pterodactylus micronyx Meyer 1856 (a ‘Pester Exemplar’). Geological Society,
London, Special Publications, 343(1), 277-286. ^ Collini, C A. (1784).
"Sur quelques Zoolithes du Cabinet d'Histoire naturelle de S. A. S. E.
Palatine & de Bavière, à Mannheim." Acta Theodoro-Palatinae Mannheim 5
Pars Physica, pp. 58–103 (1 plate). ^ Wagler, J. (1830). Natürliches System der
Amphibien Munich, 1830: 1–354. ^ Cuvier, G., [Reptile volant]. In: Extrait d'un
ouvrage sur les espèces de quadrupèdes dont on a trouvé les ossemens dans
l'intérieur de la terre, in Journal de Physique, de Chimie et d'Histoire
Naturelle, vol. 52, 1801, pp. 253–267. ^ von Sömmerring, S. T. (1812).
"Über einen Ornithocephalus oder über das unbekannten Thier der Vorwelt,
dessen Fossiles Gerippe Collini im 5. Bande der Actorum Academiae
Theodoro-Palatinae nebst einer Abbildung in natürlicher Grösse im Jahre 1784
beschrieb, und welches Gerippe sich gegenwärtig in der Naturalien-Sammlung der
königlichen Akademie der Wissenschaften zu München befindet",
Denkschriften der königlichen bayerischen Akademie der Wissenschaften, München:
mathematisch-physikalische Classe 3: 89–158 ^ Cuvier, G. (1812). Recherches sur
les ossemens fossiles. I ed. p. 24, tab. 31 ^ Sömmering, T. v., Über einen
Ornithocephalus brevirostris der Vorwelt, in Denkschr. Kgl. Bayer Akad. Wiss.,
math.phys. Cl., vol. 6, 1817, pp. 89–104. ^ Padian, K. (1987). "The case
of the bat-winged pterosaur. Typological taxonomy and the influence of
pictorial representation on scientific perception", pp. 65–81 in: Czerkas,
S. J. and Olson, E. C., eds. Dinosaurs past and present. An exhibition and
symposium organized by the Natural History Museum of Los Angeles County. Volume
2. Natural History Museum of Los Angeles County and University of Washington
Press, Seattle and London ^ Wellnhofer, P. (1970). Die Pterodactyloidea
(Pterosauria) der Oberjura-Plattenkalke Siiddeutschlands. Bayerische Akademie
der Wissenschaften, Mathematisch-Wissenschaftlichen Klasse, Abhandlungen, 141:
133 pp. ^ Schmitz, L.; Motani, R., Nocturnality in Dinosaurs Inferred from
Scleral Ring and Orbit Morphology, in Science, vol. 332, n. 6030, 2011, pp.
705–8, DOI:10.1126/science.1200043, PMID 21493820. ^ Weishampel, D.B., Dodson,
P., Oslmolska, H. (2004). The Dinosauria (Second ed.). University of California
Press. Biografia Steve Parcker John Malam, Dinosauri e altre creature
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Pterosauri. Il conte Cosimo Alessandro Collini. Keywords: pterodattilo,
filosofia, pisa, Firenze, nobilita, coira. Pterodattilo. Polemica filosofica, Domenico
Eusebio Chelli, marchesa Gabbriella Malaspina, Voltaire e la Toscana, “Firenze
come una nuove Atene”, Collini su Ariosto e Boccaccio, Collini makes fun of
Voltaire’s daughter. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Collini” – The
Swimming-Pool Library.
COLOMBE (Firenze).
Filosofo. Grice: “If you love stars, as any philosopher must – vide Thales! –
you LOVE Ludovico who refuted Kepler’s idea that the thing next to the
serpentary’s foot was a ‘star,’ never mind ‘nova’!” Noto per essere stato uno
strenuo avversario di Galilei. Non si sa
quasi nulla della sua vita, ma restano diverse sue saggi, nelle quali difende
la dottrina aristotelica con un particolare disinteresse sia verso le nuove
osservazioni sia verso la coerenza logica.
Scrisse un discorso sulla nuova stella apparsa sostenendo che si tratta
di una stella non nuova, ma esistente da sempre. Scrisse un discorso Contro il
moto della Terra. Per conciliare le
osservazioni di Galilei sulle irregolarità della superficie lunare con la
concezione aristotelica della perfetta sfericità dei corpi celesti sostenne che
le valli e gli spazi tra i monti della luna sono colmati da un materiale
perfetto e invisibile. Contrario all’idrostatica archimedea recuperata da
Galileo, nel suo Discorso apologetico, sostenne che il galleggiare o l’affondare
dei corpi dipendesse dalla loro forma. Nella conclusione del discorso usa anche
una metafora di questa teoria, affermando che le ragioni dell'avversario per
essere troppo argute e sottili vanno a fondo senza speranza di ritornare a
galla, mentre quelle di Aristotele, per essere di forma larga e quadrata, non
possono affondare in nessun modo. Sono rimaste anche lettere tra il Delle
Colombe e Galileoi che stimava pochissimo il suo avversario, che aveva
soprannominato Pippione. Vari accenni a questo personaggio sono nella
corrispondenza tra Galilei e i suoi amici. Dizionario Biografico degli Italiani,
Amici e nemici di Galileo, Milano, Bompiani. Aristotelismo. Grice: “If I had to
choose between Colombe-Aristotle to Galielei-Plato, I chose the former!” --
Colombo. Colombe. Ludovico delle Colombe. Ludovico Colombo. Keywords: the
irregular surface of the moon is filled by an invisible substance, the earth
does not move, the ‘nuova’ stella is a misnomer: it has always existed; bodies
float or sink according to their shape. Aristotle’s reasons never sink because
they are square. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colombe” – The Swimming-Pool
Library.
COLOMBO (Milano). Filosofo.
Grice: “I love Colombo as I love Wilde – I mean, the sponsor of the Wilde
Lectures on Natural Religion! Colombo wonders, ‘can ‘theologian’ be written
under ‘profession’? Surely, like me, Colombo distinguishes between theologian
and philosophical theologian – if there is no such distinction, and I’m not
sure there is – perhaps there shouldn’t be, Colombo would say, the
‘philosophical’ in my ‘philosophical eschatology’ is totally otiose and
anti-Griceian!” Insegna a Milano. Si è occupato di antropologia, metafisica e
la filosofia italiana -- Rosmini, Martinetti, Volpe, ad Aosta. Altre opere:
“Senzo e atto” (Studium, Roma). La morale communitaria (CUSL, Milano); “Pietra
angolare: l’chiesa d’Inghilterra” (CUSL-Centro Toniolo, Milano-Verona);
“Antropologia” (Massimo, Milano), “L’immanente e il trascendente”; “La
correttezza del nome nel Cratilo – il nome corretto -- in L’origine del linguaggio (Celestian Milani),
Demetra, Verona; Il ri-ordino dei cicli scolastici, in "Quaderno di Iter",
“Filosofia come soteriologia: L'avventura di Piero Martinetti (Vita e Pensiero,
Milano); “Il giusto prezzo della felicità, -- reasonable or rational? -- Edizioni
ISU-Università Cattolica, Milano); “Antropologia ed etica (EDUCatt, Milano). Forme e modelli del
pensiero filosofico. Introdurre alla comprensione e uso
dei linguaggi e degli strumenti specifici
della metafisica, dell’antropologia, dell’etica;- all’acquisizione
di abilità critiche e analitiche per comprendere le dinamiche del vissuto,
della società e della storia contemporanea dell’uomo occidentale. Salute
e salvezza dell’uomo. Il senso
della cura e dell’educazione. Una
sfida per la ragione e per la fede.Valutazione
critica del rapporto
metafisica-antropologia-soteriologia in tre momenti della storia
dell’Occidente. Il mondo antico-classico greco-romano. Il mondo nuovo
Cristiano. Il mondo moderno e post-moderno.BIBLIOGRAFIA G. coLomBo, I Greci e
l’amore incerto: grandezza e aporia dell’eros platonico: il Simposio,
ISU-Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, S. kierkeGaard,
La malattia mortale (qualsiasi edizione, purché completa):
ai fini della prova d’esameè
richiesta la conoscenza della sola Prima parte: La malattia mortale è la
disperazione;J. p. SarTre, L’esistenzialismo è un umanismo,
Armando, Roma, 2006 (o altra edizione, purché completa).DIDATTICA DEL
CORSOLezioni in aula, ricerche e percorsi personalizzati.METODO DI VALUTAZIONEEsame
orale finale, valutazione di eventuali elaborati scritti o relazioni orali.
75AVVERTENZEIl docente è a disposizione degli studenti per ogni chiarimento
didattico e contenutistico, per l’assegnazione delle tesi di laurea e
l’assistenza necessaria alla loro elaborazione.Il docente riceve durante il
periodo di lezione presso lo studio universitario, martedì e giovedì h.
10.00-11.30. Pausania, do not multiply loves beyond necessity –
l’ambiguita di ‘amore’ – L’Afrodita celeste no participa della natura femmina,
solo della natura ‘maschile’. Pausania
parla solo a maschi, ai maschi virili, al maschio virile. L’amante o amatore e
maschio virile, l’amato o l’innamorato e maschio virile. L’amore celeste
(ouranios) participa solo della natura maschile. Criterio d’amabilita,
l’amabile. Giuseppe Colombo. Keywords: atto, attualismo, actualism, actum,
senzo, sensus, sense, morale communitaria, pietra angolare, Chiesa
d’Inghilterra, Cratilo, origine del linguaggio, glossogenia, glossotesi,
gossogenetic, semio-genesi, il soteriologico, immanente/trascendente, aporia
dell’amore platonico, eikesia, ‘Daddy wouldn’t buy be a wow wow’ true iff Daddy
wouldn’t buy me a bow wow – correctness of iconicity of ‘daddy’ and ‘bow wow’
--. Heteroerotismo – Il discorso di
Alcibiade – analisi del simposio, l’elogio dell’eros. Il discorso di Pausania.
Ero demone. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colombo” – The Swimming-Pool
Library.
COLONNA
(Roma).
Filosofo. There is already an entry for this; in Italian it is ‘Egidio Colonna’
-- giles di roma, Rome, original name, a
member of the order of the Hermits of St. Augustine, he studied arts at
Augustinian house and theology at the varsity in Paris but was censured by the
theology faculty and denied a license to teach as tutor. Owing to the
intervention of Pope Honorius IV, he later returned from Italy to Paris to
teach theology, was appointed general of his order, and became archbishop of
Bourges. Colonna both defends and criticizes views of Aquinas. He held that
essence and existence are really distinct in creatures, but described them as
“things”; that prime matter cannot exist without some substantial form; and,
early in his career, that an eternally created world is possible. He defended
only one substantial form in composites, including man. Grice adds: “Colonna
supported Pope Boniface VIII in his quarrel with Philip IV of Franc eand that
was a bad choice.” The Latin is EGIDIVS COLUMNA. The “Corriere” has an article
as his book being a bestseller of the Low Middle Ages!” Cosnisder the claims
here: ‘essence and existence are really distinct in creatures – and each is a
thing – prime matter cannot exist without substantial forml – eternal and
created world is not a contradiction – there is only ONE substantial form in
compostes, including man. Grice: “Must say I LOVE Colonna, or COLVMNA as the printing
goes – of course the “Corriere della Sera” hastens to add that he wassn’t one!
In any case, my favourite of his tracts is of course the one on Aristotle!”. Egidio
Romano, O.E.S.A. arcivescovo della Chiesa cattolica Filip4 Gilles de RomeEgidio
Romano e Filippo il Bello (miniatura di un codice medievale). Incarichi
ricopertiArcivescovo di Bourges Nato Roma Nominato arcivescovo
Roma Manuale Egidio Romano, latinizzato come Ægidius Romanus. Dopo
la sua morte, gli furono tributati i titoli onorifici di Doctor fundatissimus e
Theologorum princeps. Discepolo d'Aquino. Insegna filosofia. Fu inoltre il
tutore di Filippo il Bello al quale dedica il saggio “De regimine principum”,
sostenendo l'efficacia della monarchia come forma di governo. Considerato tra i
più autorevoli filosofi di ispirazione agostiniana, attivo anche nella vita
intellettuale e politica in un contesto culturale ed istituzionale travagliato
da frequenti ed aspre polemiche sul problema del rapporto tra potere temporale
e potere spirituale. Generalmente ricordato, insieme al prediletto allievo
Giacomo da Viterbo, per il contributo nella redazione della celebre bolla Unam
Sanctam di Papa Bonifacio VIII e per il ruolo significativo che assunse il
Maestro degli Eremitani di Sant'Agostino quale autore del De Ecclesiastica
potestate e, dunque, quale teorico famoso e autorevole della plenitudo potestatis
pontificia. In Colonna rileviamo subito una compresenza del duplice atteggiamento
dottrinale e politico. Infatti è possibile rintracciare, fra le opere
giovanili, il “De regimine principum”, saggio dedicato a Filippo il Bello e di
ispirazione aristotelico-tomista inerente alla naturalità dello stato,
erigendola a difensore della potestas regale. Nel “De Ecclesiastica potestate”,
invece, afferma la superiorità del “sacerdotium” rispetto al “rex” o “regnum”, distinguendosi
quale rappresentante della teocrazia papale. In seguito alle condanne di
Tempier, difende la tesi d’Aquino, per la sua qualifica di Baccalaureus
formatus, ma, proprio a causa delle condanne stesse, viene sospeso dall'insegnamento.
Gli avversari del papato trovano in Aristotele gli strumenti per svolgere
un'analisi politica che metta in discussione la sacralità del potere. Dall'altra
parte troviamo l'influenza della corrente speculativa dell'agostinismo politico
(ossia quel fenomeno, tipicamente medioevale, di compenetrazione fra stato e chiesa,
all'interno del quale Agostino viene a giocare un ruolo fondamentale dal
momento che l'apporto teorico del suo “De Civitate Dei” conduce a confusioni
inevitabili fra il piano spirituale della “Civitas Dei Caelestis” e il piano
temporale della vita terrena che è “Civitas Peregrina”), che ripropone la
teoria delle “due città” e riafferma la superiorità del sacerdotium rispetto al
rex e regnum, costituendo un vero e proprio “partito del Papa”. Rivendica
la plenitudo potestatis come proprietà costitutiva dell'auctoritas del Papa in
quanto “homo spiritualis”. Sostituisce al concetto agostiniano di “ecclesia” quello
di “regnum” al fine di estendere gli ambiti del potere del sovrano ecclesiastico.
Il sovrano ecclesiastico, il Papa, dove esercitare la sua sovranità anche sul
potere temporale al fine di garantire l'ordine mediante una forma di “dominium”
che coincide con la sua stessa missione spirituale. Atre opere: L'edizione
critica dell'opera omnia è stata intrapresa, per Olschki (Aegidii Romani opera
omnia, collana Corpus Philosophorum Medii AeviTesti e Studi), da Punta.
“Quaestio de gradibus formarum” Ottaviano Scoto, Boneto Locatello. “In secundum
librum sententiarum quaestiones” Francesco Ziletti); Opere, Antonio Blado; “In
libros De physico auditu Aristotelis commentaria”; Ottaviano Scoto; Boneto
Locatello, “De materia coeli” Girolamo Duranti,
“Quodlibeta”. Silvia Donati, Studi per una cronologia delle opere di
Egidio Romano, “Le opere prima”; “I commenti aristotelici”, "Documenti e
studi sulla tradizione filosofica medievale", Dizionario biografico degli
italiani. DEL GOVERNO DI SÈ. Del sommo bene. Quale è la maniera di parlare
nella scienza de're e de' principi. Quale è l'ordinanza delle cose che si
debbono dire in questo libro. Come grande utilitate ei re e' principi ånno in
udire e in intendere e in sapere questo libro. Quante maniere sono di vivare e
come l'uomo die méttare il sovrano bene di questa mortal vita in queste maniere
di vivere. Com'è grande utilità e a' re ed ai principi che ellino conoscano il
loro fine e'l loro sovrano bene di questa vita mortale. I re ne i principi, non
debbano mettere il loro sovrano bene in diletto corporale. I re ne i principi non debbono mettere il loro
sovrano bene in avere ricchezze. I re ne
i principi non debbono mettere il loro sovrano bene in avere onori. I re ne i
principi non debbono mettere il loro sovrano bene in avere gloria o gran rinomo
di bontà. Nè i re né i principi non debbono méttare il loro sovrano bene in avere
forza di gente. I re ne i principi debbono méttare el loro sovrano bene nelle
uopere della prudenzia cioé del senno. Come ei re e' principi debbono méttare
el loro sovrano bene nelle opere della prudenza e del. Il prezzo e'l guidardone
dei re e dei principi bene governanti il loro popolo, secondo legge e ragione,
è molto grande. senno. Della virtù. Quante potenze à l’anima e in quali potenze
e la virtù di una buona opera. Come la virtù di una buona opera e divisa nella
volontà e nell’intendimento dell'uomo. Quante virtù di buone opere sono, come
l'uomo die préndare il numero di esse. Delle buone disposizioni che l'uomo à,
alcune sono virtů , alcune sono più degne che virtù, alcune altre sono
apparigliate a virtù. Alcune virtú sono più degne d'alcune altre e più principali.
Che cosa è la virtù dell’uomo ch'è chiamato senno, over prudenza, over sapere.
Ai re ed ai prenzi conviene es sere savi. Quanto e quali cose conviene ai re e
ai prenzi avere acciò che ellino siano savi. Come și re e i prenzi possano fare
loro medesimi savi. Quante maniere sono di drittura ed in che cosa è drittura e
come drittura è divisata dalie altre virtú. Senza drittura e senza iustizia ei
reami non possono durare, nè nulla signoria di città. I re e i prenzi debbono
intendere diligentemente acciò che essi siano dirilturieri e che drittura sia
guardata nelle loro terre. La forza di coraggio e . e quali cose ella die
essere , e come ei re e i prenzi le. possono avere. Quante maniere sono di
forza e secondo la quale ei re e i prenzi debbono essere forti. Che cosa è la
virtù che l'uomo chiama temperanza e in quali cose quella virtù die essere,
quante parti a la temperanza, come noi la potemo acquistare. Ched elli é più
disconvenevole cosa che l’uomo sia distemperato in seguire LI DILETTI DEL CORPO
che in essere paurioso. Il principe debbe essere temperato nel diletto di suo
corpo. La virtù che l'uomo chiama larghezza e'n quale cose cotale virtù de'
essere, e come noi la potemo acquistare. Che a pena può essere el re o'l prenze
folle largo e come è troppo sconvenevole' cosa che essi sieno avari e ch'ellino
debbono essere larghi e liberali. Che cosa è una virtù che l’uomo cjiama
magnificenzia e'n quali cose quella virtù die essere, e come noi potemo avere
quella virtù. Come è cosa isconvenevole che i re e i prenzi sieno di piccola
dispesa e di poco affare, e che maggiormente s'avviene a loro essere di grande
spese e di grande affare. Che condizioni à l'uomo che è di grande spesa e di
grande affare, e che conviene maggior mente averle ai re ed ai prenzi. Che cosa
è una virtù che l'uomo chiama magnanimità, cioè a dire virtù di grand'animo e
in quali cose quella virtù di essere e come noi potemo essere di gran cuore. Quante
condizioni à l'uomo che è di gran cuore, e che maggiormente si conviene ai
prenzi d'averle. Come ei re e i prenzi debbono amare onore , o quale è la virtù
che l'uomo chiama virtù d'amare opore . 68 Cap. XXV. Ca insegna che amare onore
ed èssare umile possono essere insieme e che quelli che è di gran cuore e di
grande animo non può essere senza umiltà. Che cosa é umiltà de la quale il
filosafo parla e in quali cose ella die essere e che maggiormente conviene ai re
ed ai prenzi essere umili. Che cosa è la virtù che l'uomo chiama dibuonairetà ,
ed in che cose la buonairetà die essere e che conviene ai re ed a i prenzi
essere dibonarie. Che cosa è una virtù che l'uomo chiama piacevolezza, cioè di
sapere CONVERSARE PIACEVOLMENTE e in che cose la detta virtù die essere e che
si conviene che i re e i preozi sieno piacevoli. Che cosa è verità e in che
cosa ella die essere usata e come si conviene al principe ch'esse sia veritiero
o sincero. Che cosa è una virtù che l'uomo chiama sollazzevole, quasi dica di
sapere sollazzare, e di essere allegro e gioioso, là ' ve si conviene , e per
la quale ' l'uomo si sa avvenevolmente rallegrare nei sollazzi, come ei re e i
prenzi debbono essere allegri e sollazze voli. Conviene al principe avere tutte
le virtù, perciò che perfettamente l’uomo non ne può avere una senza le altre.
Quante maniere sono di buoni e adi malvagi uomini e quale maniera di bontà ei
re e i prenzi debbono avere. Delle passione. Quanti movimenti d'animo sono e
donde essi vengono. Quali movimenti d'animo sono principali che gli altri e
come essi sono ordinate. Come il principe debbe amare e quali cose debbe amare.
Come il principle debbe desiderare e che cosa debbe desiderare. Come ei re e i
prenzi si debbono portare ayvenevolmente in isperare e in disperare. Come
avvenevolmente ei re si debbono portare in avere ardimento. Che differenza elli
à intra corruccio e odio, e come ei te e i prenzi si debbono avvene volmente
contenere nei corrucci e ne le di bonarietà. Come ei re e i prenzi si deb bono
ayvenevolmente avere nei diletti. Come alcuni movimenti d'animo sono mantenuti
e ritornano ad alcuni altri movimenti. Ched ei movimenti dell'animo alcuni sono
da biasmare ed alcuni sono da lodare e come ei re e i prenzi si debbono
conferire nei movimenti detti dinanzi. Della costume. Quale costume e quale
maniere de giovani uomini fanno da lodare, e come il principe debbe avere essa
costume ed essa maniera. Quali costumi e quali maniere dei giovani uomini fanno
da biasmare , e come ei.re e i prenzi debbono ischiſare cotali maniere e cotali
co stumi. Quali costumi e quali maniere dei uomini fanno da biasmare , come ei
re e i prenzi ei debbono ischifare. Quali costumi e quali maniere dei uomini
fanno da lodare. Che costume e che maniera ha il gentile uomo, e come il
principe debbe avere. Che costumi e che maniere anno l’uomo ricco e come ei re
e i prenzi ei debbono. Che modi e che maniere ánno coloro che sono possenti ed
anno signorie , e come li re e li principi si debbono avere in verso la gente
convenevolmente. Avere. DEL GOVERNO DELLA FAMIGLIA. Della moglie. L'uomo die
naturalmente vivare in compagnia, e che i re i prenzi il debbono sapere. Che,
acciò che la casa sia perfetta, si vi conviene avere quattro maniere di
persone, e come e' conviene questo secondo libro divisare in tre parti. Quella
casa è perfetta ove v'à assembramento di un uomo e di una femmina, un
figliuolo, e servi. L'uomo naturalmente si die ammogliare e che quelli che non
vogliono vivare in matrimonio, o elli posono bestia, o ellino sono migliori che
l’uomo. Ciascuno uomo e ciascuna femmina , e medesimamente ei re e i prenzi che
sono ammogliati, si debbono tenere in matrimonio senza partirsi o senza divídarsi.
A ciascun uomo die bastare una femmina, e che i re e i prenzi e ciascun altro
uomo si die tenere appagato a una femmina. Un uomo die bastare a una femmina ,
e che una femmina si die chiamare contenta d'un uomo. L’uomo non die prendare
moglie la quale sia troppo presso a lui di parentato o di lignaggio. Come le
moglie dei re e dei prenzi e di ciascuno altro uomo debbono avere abbondanza di
beni temporali. Come nè i re né i prenzi, nė cia scuno altro uomo non debbe
chiėdare solamente ei beni temporali delle loro mogli ma anco ei beni del CORPO
e quelli dell'anima, e ciò e il bello e il casto. L’uomo non die governare nė
tenere la moglie nella maniera ch'elli die tenere e governare il suo figliuolo.
L’uomo non die tenere nė governare la moglie nella manera che l'uomo die tenere
e governare e fanti. Che elli non si conviene nė ai re nè ai prenzi ned a
nessuno altro uomo, ch'ellino usino il matrimonio in troppo giovano tempo.
L’uomo die piuttosto fare l'opera del matrimonio nel verno che nella state. Come
alcune cose sono nelle femmine che sono da biasmare. Come ei re e i prenzi e
ciascuno altro uomo die avvenevolmente governare e addrizzare la moglie. Come
gli uomini si debbono portare con le loro mogli. Come la femmina maritata deb
bono convenevolmente adornare il loro corpo. Né I re ne i prenzi , nė li altri
uomini , non debbano essere troppo gelosi delle loro mogli. Che cosa è ' l
consiglio della femmina , e che 'l suo consiglio l'uomo non die credere se non
in alcun tempo. Com’l’uomo non debbe dire il suo secreto alla sua moglie. Dei
figli. Il padre die essere curioso di guardare il suo figliuolo. Che ciò
s'avviene maggiormente ai re ed ai prenzi, cioè ch'ellino sieno guardatori e curiosi
dei loro figliuoli. Il padre governa il suo figliuolo per L’AMORE ch'elli à in
lui. L’AMORE NATURALE il quale die essere da padre a figliuolo prova
sufficientemente che il padre debbe governare i suo figliuolo e il figliuolo
debbe ubbidire il padre. Nel quale dice che i re e i prenzi e ciascuno altro
uomo debbono da gioventudine insegnare la fede ai loro figliuoli. I re e i
prenzi e ciascuno altro uomo debbono da gioventudine insegnare ed appréndare ei
buoni costumi e le buone maniere ai loro figliuoli. Il figliuolo del gentile
uomo debbe apprendere le scienze della chericia, ciò sono, morali, naturali e
matematice. Quale arte il figliuolo di un gentile uomini debbe apprendere.
Quale die ėssare il tutore del figliuolo di un gentile uomo. Il padre die
insegnare al suo fanciullo a parlare e a vedere ed a udire. In quante maniere l'uomo
puó peccare in mangiare e come il garzone si debbe contenere. Come il padre die
insegnare al suo fanciullo acciò che si sappiano portar avvenevolmente nel bere
e ne' diletto della femmina. Come il garzone si debbe contenere nel diletto del
corpo. Come in giovanezza l'uomo die schifare le malvagie compagnie. Che
guardia l’uomo die avere de' figliuoli da che sono nati, insino a’ sette anni. Che
guardia l'uomo die avere de' fanciulli da sette anni fino a quattordici. Che
guardia l'uomo die avere del figliuolo da quattordici anni innanzi. Che il
padre non die insegnare al figliuolo uno medesimo travaglio di corpo. Della
casa e dei servi. L'uomo die diterminare e parlare delle cose donde la vita
umana può esser sostenuta, volendo governare la sua famiglia e la sua casa. Il
casino della villa del’uomo , die esser fatto sottilmente ed in buon áire. Il
casamento dei re e dei prenzi , e di ciascuno altro uomo, die esser fatto in
luogo dove abbia abbondanza di buona acqua e di chiara. Naturalmente l’uomo die
avere possessione in alcun modo e che quellino che rifiutano le possessioni,
non vivono come uomini, anzi sono migliori che uomo. Elli è grande utilità alla
vita umana, che l'uomo possa vivare della sua propria ricchezza. Come l'uomo
die usare dei beni temporali, e quale maniera di vivare è buona e onesta. Nel
quale dice che ciascuno uomo, e medesimamente ei re ei prenzi, non debbono
desiderare troppo grande abbondanza di ricchezze ne di possessioni. Quante
maniere elli sono di vendere e di comperare e perchè ei denari fuoro prima
mente fatti e trovati. L'usura è generalmente malvagia , e ch'ei re ed i prenzi
la debbono difendare ch’ella non sia fatta nella loro terra. Nel quale dice
ch’ei sono diverse maniere di guadagnare denari e che alcuna di queste maniere
è avve nevole ai re ed ai prenzi. Alcuna gente è serva per natura e ch'elli è
loro utilità ch'ellino sieno suggetti ad altrui. Nel quale dice che alcune
genti che sono servi per natura e per legge. Nel quale dice ch’ellino sono
alcune genti le quali sono serve per prezzo ed alcuna gente che servono per
l’amore ch’elli ánno ai suo signore. L'uomo die dare gli ufici ai suoi fanti
nelle case dei re e dei prenzi. Come ei re e i prenzi debbono provvedere ai
loro sergenti robe e vestimento. Che cosa é cortesia e ched e' conviene ai
fanti dei re e dei prenzi ched ellino sia cortese Nel quale dice come ei re e i
prenzi si debbono contenere inverso ei loro sergenti. Che quelli che servono e
quelli che mangiano alla tavola dei re e dei prenzi , e generalmente che il
gentile uomo non debbe molto favellare. DEL GOVERNO CIVILE. Detti dei filosofi
nel governamento delle città. Nel quale dice che la villa e ordinata e stabilita
per alcuno bene. Fu grande utilità alla vita umana che colla comunità della
villa e delle città , li uomini ordinassero la comunità del reame. Nel quale
dice ceme Platone e Socrate dissero che l’uomo dovea ordinare e governare le città.
Nel quale insegna che i re e i prenzi debbono sapere che tutte le cose non
debbono essere COMUNE siccome Platone e Socrate dissero. Nel quale dice quanti
mali avverrebbero se il figliouolo fusse comune. Nel quale dice come la possessione
debbe essere proprie, e come debbono essere comuni, secondo l'utilità delle
ville e delle città. I re ei prenzi non debbono sofferire che una medesima
gente duri sempre in una medesima signoria. Nel quale dice che l'uomo non die
cosi ordinare la città come Socrate disse, che dovieno essere ordinate. Come
l'uomo può trarre a buono intendimento le parole che Socrate disse , al governa
mento delle città. Come un filósafo , ch'ebbe nome Fal lea , disse, che l'uomo
dovea ordinare le città. Le possessioni non debbono essere eguali, siccome
disse Fallea. Come quelli che signoreggia alcuna città, elli die più
principalmente intendare a cessare le malvagie volontà e i malvagi desideri e
convoitigine, ched elli non die intendere a cessare la disuguaglianza delle possessiono.
Nel quale dice, come un filósafo ch'ebbe nome Ippodamo , disse che l’uomo dovea
ordinare le città. Nel quale dice quali cose sono da riprendare in quello che
Ippodamo disse del governamento della comunità. Della migliore maniera di
governare le città. Il quale insegna come l’uomo die governare le città in
tempo di pace, e quante cose l’uomo die guardare in cotale governamento. Quante
maniere sono di signorie e quali sono buone e quali sono rie. Ched o' val
meglio che le città e ' rea mi sieno governati e retti per un solo uomo che per
molti e che quest' è la migliore signoria che sia quando un solo uomo
signoreggia ed elli intende il bene comune. Nel quale dice per quali ragioni
alcuna gente volsero provare ched e’ valeva meglio che le terre e le città
fossero governale per molti uomini che per un solo e dice in questo capitolo
ciò che si die rispóndare a cotali ragioni. Ched e' val meglio che le terre e
le signorie e' reami vadano per redità per successione DEL FIGLIOUOLO che per elezione.
Nel quale dice quali sono le cose ne le quali il re die sormontare gli altri, e
che diversità elli à intra'l re 'e'l tiranno. Nel quale dice che la signoria
del tiranno è la peggiore signoria che sia e che i re ei prenzi si debbono
molto guardare ch'ellino non sieno tiranni. Quale dia esser l'ufficio dei re e
dei prenzi, e com’essi si debbono contenere in governare le loro città e i loro
reami. Quali sono le cose che’ l buono re die fare , le quali il tiranno mostra
di fare ma non le fa nèmica. Nel quale dice per quante cautele il tiranno si
sforza di guardare sė ne la sua signoria. Ched elli è molto isconvenevole cosa
ai re ed ai prenzi ched ellino sieno tiranni, perciò che tutte le malizie che
sono nell’altre malvagie signorie, sono ne là signoria del tiranno. Nel quale
dice che i re e i prenzi debbono molto ischifare la compagnia del tiranno,
perciò che per molte cose ei soggetti aguaitano ed assaliscono il loro signore
quand’elli é tiranno. Nel quale dice quali cose guardano e salvano la signoria
del re e ched e'conviene fare al re sed e' si vuole guardare ne la sua signoria
e nel suo reame. Quali cose fanno a consigliare e di quali l'uomo die avere
consiglio. Nel quale dice che cosa è consiglio, e come l'uomo die fare ei
consigli. Nel quale dice che consiglieri ei re e i preozi debbono avere ai loro
consigli. Nel quale dice quante cose conviene sapere a quellino che consigliano
ei re e i prenzi e in quali cose l’uomo die préndare consiglio. Nel quale dice
che tutte le cose donde l’uomo giudica, l'uomo die giudicare secondo le leggi e
che l’uomo die fare pochi giudicamenti e dare poche sentenze per arbitrio o per
credenza. Nel quale dice come l’uomo dic fare ei giudicamenti: e ch’e giudici
debbono vetare che li uomini che piateggiano non dicano parole dinanzi al
giudice che’l possa muovere ad amore nè ad odio contra ad alcuna de le parti. Nel
quale dice quante cose conviene avere a’giudicatori a ciò ch’ellino giudichino
bene e drittamente. Nel quale dice quante e quali cose conviene riguardare al
giudice, acciò ch’elli perdoni e sia più di buonarie che crudele. Nel quale
dice ched e’ sono diverse maniere di leggi e diverse maniere di giustizia e che
al dritto natu rale ed al diritto iscritto tutti gli altri dritti sono ridotti
e ramenali. Quali debbono esser le leggi umane e ched elli fu grande utilità ai
reami ed a le città a fare cotali leggi. Nel quale dice che ciascuno non die némica
istabilire nė ordinare le leggi; e ched e' conviene che le leggi sieno
publicate é fạtte sapere acciò ch’ell’abbiano forza d’obbligare le genti. Quante
opere e quali le leggi ch'ei re e i prenzi istabiliscono ed ordinano, debbono contenere.
Nel quale dice quale vale meglio o che le città o i reami sieno governati per
un buono re o per una buona legge. Nel quale dice che co la legge naturale e co
la legge iscritta e' conviene che l’uomo abbia la legge di Dio e la legge del
Vangelo. Come l’uomo può, si die guardare le leggi del paese e ch'elli non è
utile ch'elle si rimutino ispesso. Nel quale dice che cosa è città e che cosa è
reame e chénte die essere il popolo ch’è ne le città e ne' reami. Nel quale
dice che allora è la città e’l reame trasbuono e 'l popolo trasbuono, quand’elli
v’à molte di mezzane persone. Nel quale dice ched elli é grande utilità al
popolo di portare grande riverenza al prenze ed al signore e ched ellino
guardino diligentemente le leggi che i re e i prenzi ánno ordinate. Come il popolo
e generalmente tutti quelli che dimorano nel reame, si debbono mante nere
saviamente , acciò che’l re o’l prenze non abbia corruccio nė odio contra loro.
Come ei re ei prenzi si deb bono mantenere , acciò ch'ellino sieno amati e
temuti dal lor popolo. Ed insegna questo capitolo che tutto debbiano ei re ei
prenzi esser amati e temuti dal lor popolo, ellino debbono maggiormente volere
essere amati che temuti. Del governo in tempo di guerra. Che cosa è cavalleria e
da ch'ella é ordinate. Nel quale insegna in quale terra sono e’migliori
combattieri e quali l’uomo die iscegliere per combattere dell’uomini che
debbono andare a la battaglia. In quale tempo l'uomo die acco stumare il
fanciullo all' opere dela battaglia e per quali segni l'uomo può conosciare ei migliori
battaglieri. Nel quale insegna quante cose e quali e' conviene avere a' buoni
battaglieri, acciò ch'ellino si combattano bene e giustamente. Nel quale
insegna quali sono migliori battaglieri o i gentili uomini , oi villani , o
quellino che nel campo dimorano, ciò sono ei lavoratori. Nel quale insegna
ch’elli è grande utilità ai baltaglieri chedellino sieno bene esercitati
all'arme; e che l’uomo die ei battallieri apprendare a correre ed a saltare ed
andare ordinatamente. Nel quate insegna ched e’si conviene appréndare ai
battaglieri molte altre cose che quelle che sono dette, cioè a córrare ed
assaltare ed andare ordinatamente. Nel quale insegna che l’uomo die fare nell’oste
fossati e castelli. Ed insegna questo capitolo come l’uomo die fare ei castelli
e quante cose l’uomo die guardare in farli. Nel quale dice quante cose l’uomo
die guardare quand’elli vuole o die imprèndare battaglia comune. Nel quale dice
ch’elli è grande utilità ne le battaglie di portare bandiere e gonfaloni: e che
l’uomo die ordinare capitano e maggiore a ciascuna ischiera. E so - nemici migliantemente
questo capitolo insegna quali debbono essere e banderari e i capitani di quelli
a piè e di quelli a cavallo. Nel quale dice che avvedimenti die avere e che die
fare il signore dell’oste acciò che la sua gente non possa essere gravata dai
nemici per la via. Nelquale dice come l’uomo die ordinare le schiere e le
battaglie, quando l’uomo si die combattere contra I Nel quale insegna che
l'uomo die ferire il suo nemico nello battaglia di puntone e non di ramata. Nel
quale dice quante cose fanno gli avversari più forte che quelli dell’oste é
come l’uomo die assalire ei suoi nemici. Nel quale insegna come ei battallieri
si debbono tenere quando vogliono ferire ei loro nemici, e com’ellino ei
debbono inchinare e come l'uomo si die trarre in drieto quando la battaglia non
porta utilità. Nel quale insegna quante maniere ei sono di battaglie; e in
quanti modi l’uomo può prendare le città e le castella ed in che tempo l’uomo
le die assediare. Come quelli dell'oste si debbono fornire e come l'uomo può
vénciare le castella per cava. Come per l’ingegni del legno che l'uomo può
menare al muro del castello, l’uomo lo può prendare. Come l’uomo può e die
edificare le castella acciò ch'elle non sieno leggermente prese ně come l'uomo
può e die guérnire le castella acciò ch'elle non possano esser prese. Nel quale
dice come quelli che sono nel castello assiso possono e debbonsi difendersi da
la cava e dai tra bocchi e dalli altri ingegni che quellino dell'oste vi fanno.
Come l'uomo die fare le navi, e come l'uomo si die combattere nell'acqua o nel
mare, da che cosa tutte le battaglie debbono essere ordinate assediate. Che
cosa è una virtù che l’uomo chia ma piacevolezza, cioè di sapere CONVERSARE
piacevolmente con le genti, e in che cose la detta virtù die essere, e che si
conviene che i re e i prenzi sieno piacevoli. Appresso ciò che noi avemo detto
che cosa è debonarietà, noi diremo d’un'altra virtù, che l’uomo chiama
piacevolezza. E dovemo sapere che le opere e le parole dell'uomo sono ordinate
a tre cose, si come ad avere piacevolezza e verità, ed avere diletti e giuochi
nei solazzi e nelle allegrezze. LA PRIMA RAGIONE: E la piacevolezza si è, in SAPERE
BENE CONVERSARE, unde quelli che sa onorare e riverire gli uomini convene
volmente e secondo ragione, si à la virtù della piacevolezza. La SECONDA
ragione si è , che le opere e le parole dell’uomo sono ordinate sie a verità
che, per le opere e per le parole dell'uomo può l'altro uomo conosciare chi egli
è (“Conversation maketh the man”). Donde, verità non è altro se non che l'uomo
non sia vantatore e che nè per parole nè per fatti elli non dimostri maggior
cosa in lui che vi sia, nè che l'uomo non si faccia ispiacevole nè per parole
nè per fatti oltre quello che ragione insegna, perchè elli sia gabbato ne
dispregiato. La TERZA RAGIONE a che l'opere e le parole dell'uomo sono
ordinate, si è, acciò che l'uomo sia sollazzevole convenevolmente, e si sappia
bene portare nei giochi, e nelle allegrezze e nei sollazzi . Donde, se l'uomo
vuole CONVENEVOMENTE CONVERSARE e' die essere giochevole e piace vole e
veritiere. E di queste tre virtù noi diremo partitamente, ma prima diremo della
piacevolezza. E dovemo sapere che, NEL CONVERSARE, alcuni si mostrano troppo
piacevoli, si come sono e lusinghieri, e quelli che’n ogne cosa vogliono
piacere altrui, che acciò che piacciano altrui, si lo dano tutti ei fatti è
tutti ei detti di ciascuno uomo. E alcuni sono, che anno troppo gran difalta
NEL CONVERSARE co le genti, si come sono ei malvagi e quellino che sono
battaglieri, e tenzonieri; e questi fanno contra a ragione. Chè neuno die
volere essere si piacevole nè si compagnevole, ch’elli ne do venti o ne sia
lusinghieri, e piacere a tutti gli uomini, nė neuno die essere si pieno di
contenzione e di noia, che li con venga cessare della compagnia delli uomini, ma
quelli è da lodare che si sa mezzanamente portare e secondo ragione, nel
CONVERSARE. Donde la virtù che l’uomo chiama piacevolezza cessa la contenzione
dell'uomo e tempera il lusingare, e quello per lo quale l'uomo vuole a tutti
gli uomini piacere. E perciò che l'uomo è per natura compagnevole, si come dice
il filosafo, si conviene dare una virtù per la quale ne le parole e nei fatti
sappia CONVERSARE COOPERATIVAMENTE E convenevolmente e secondo ragione. E
questa virtù che l'uomo chiama piacevolezza, tutto sie cosa che, tutti quelli
che vogliono essere piacevoli e vivare in cooperazione, compagnia ed in
comunità con l’altro, conviene ch'elli abbiano, acciò che siamo cortesi e
piacevoli, non perciò debbiamo essere si cortesi ne si piacevoli ad uno come un
altro: chè la dritta ragione insegna, che, secondo la diversità dei due
conversatori, l'uomo si die portare in maniera appropriata con l’altro. E
perciò che troppa amistà e troppa gran compagnia mostrare ad ogni uomo fa
l’uomo ispiacevole e vile; il gentile uomo si debbe più alteramente contenere
che l’altro, acció che l'uomo lor porti più onore e più reverenza, e che la dignità
de la loro grandezza non sia abbassata nè avvilata. Donde il filosafo dice che
i re e i prenzi debbono mostrare ch’ellino sieno persone degne d’onore e di
reverenza. Chè si come noi vedemo che alcuna vianda fuôra soperchio a uno
infermo che non basterebbe ad uno sano, cosi è nell'essere piacevole e cortese,
che alcuna piacevolezza s’aviene a’re secondo ragione, che non s’aviene cosi ad
un’altra persona comune. L’Enciclopedia italiana cura l’edizione critica del
“Il regime del principe”, testimoniato
da nove manoscritti, tra cui il codice della Biblioteca di Firenze (sig, che si
distingue sia per motivi cronologici (nell’explicit reca la data) sia per la
veste linguistica, in prevalenza senese, verosimilmente molto vicina a quella
dell’originale, ciò che lo rende un documento di lingua privilegiato rispetto
alle coeve attestazioni di varietà toscane non fiorentine tra fine Due- e
inizio Trecento. L’opera discende dal “Il regime del principe”, composto da
Colonna filosofo tra i più autorevoli della sua epoca, nato a Roma. Dedicato a
un principe, di cui Colonna fu tutore e ispirato alla Retorica, la Etica, e la
Politica di Aristotele, esuddiviso in tre libri concernenti la “morale», ossia
l’etica (disciplina dell’individuo), l’oeconomia (della casa), e la politica
(della città o reame o villa) - è il più corposo trattato basso-medievale sul
regime del ‘gentile uomo’ ed ebbe non solo una straordinaria fortuna in Italia
fino a tutto il XV secolo come elogio della cavalleria. Esercita una notevole
influenza sul Convivio, sul “De vulgari eloquentia” e sulla “Monarchia” di
Alighieri. “E lasciando lo figurato che di questo diverso processo dell’etadi
tiene Virgilio nello Eneida, e lasciando stare quello che Egidio eremita [il
filosofo appartenne all’Ordine degli Eremitani di Sant’Agostino ne dice nella
prima parte dello Regime del Gentile Uomo. L’ampia Introduzione, oltre a
tracciare il profilo biografico di Egidio illustrando contenuto, fonti e storia
della ricezione del suo capolavoro, esamina nei dettagli il debito di Alighieri,
la fortuna figurative o iconografica del trattato (l’affresco giottesco della
Cappella degli Scrovegni di Padova, precisamente nella Virtù; l’Allegoria ed Effetti
del Buono Governo realizzata da Lorenzetti a Siena, specie nella particolare
raffigurazione della giustizia commutativa e la giustizia distributiva alla
sinistra dell’affresco -- i rapporti tra il De regime e il Livre dou
gouvernement (una drastica riduzione non sempre perspicua, di cui sono noti
trentasei manoscritti) e tra questo e il Livro del governamento, la prima
traduzione, pur parziale, di opere che solo successivamente furono volgarizzate
nella loro interezza, ad opera di un anonimo senese, come avevano già
ipotizzato, tra gli altri, Segre e Castellani. Inoltre si auspica - e intanto
s’imposta in modo acuto e pregnante - un commento dedicato alle fonti del
“Regime”, ormai indispensabile alla luce della ri-valutazione della filosofia
nel vernacolare tra Medioevo e Rinascimento portata avanti dalla bibliografia
più recente. Grazie infatti agli studi degli ultimi due decenni, siamo oggi più
informati sui modi in cui la cultura vernacolare interagì con quella antica,
bolognese, tradizionalmente ritenuta ‘più alta’, e sul diverso pubblico,
dichiarato o reale, cui si indirizzava la trattatistica filosofica dei secoli
dal XIII-XIV in avanti. Infine, si passano in rassegna le altre versioni del De
regimine (quella senese è bensì la più antica, ma non l’unica: se ne conoscono
almeno altre cinque). Nella parte prima della Nota al testo si dà conto
della tradizione manoscritta dei testimoni completi e dei testimoni parziali
(descrizione esterna, descrizione interna, bibliografia), offrendo dati
preziosi sulla tradizione a stampa del De regimine e sulle edizioni del
Governamento. Nella parte seconda si indicano i criterî di edizione e gli usi
del copista. L’appendice prima alla Nota al testo raccoglie le aggiunte
inter-lineari e marginali al Governamento del manoscrito fiorentino, mentre in
una seconda appendice si riportano alcune annotazioni sulle relazioni fra i
testimoni del Governamento. La prima e fondamentale caratteristica della tradizione
è che tutti i mss. paiono al tempo stesso testimoni molto vicini tra loro tanto
che è dimostrabile la presenza di un archetipo a monte della tradizione, ma non
per questo facilmente classificabili nei loro rapporti reciproci,
principalmente perché spesso contaminati dal ricorso alla versione nella lingua
antica. Il secondo volume è interamente dedicato allo spoglio linguistico
sistematico sull’intero testo, tendente per quanto possibile «all’esaustività
delle allegazioni per ciascuna forma»: grafia, fonetica, morfologia,
sintassi. Chiudono il volume un ricco repertorio bibliografico e
gl’indici onomastico, toponomastico, dei nomi e dei manoscritti. Grice: “Poor Ockham is known as Ockham – god knows,
but he is not telling, what his surname was, if any! On the other hand, the
rather pompous Romans have Egidio as a ‘Colonna,’ even if, as the Treccani notes, ‘the links with the
Roman family are unclear’!” -- Romano: Egidio
Romano, arcivescovo della Chiesa
cattolica Filip4 Gilles de RomeEgidio Romano e Filippo il Bello (miniatura di
un codice medievale). Template-Archbishop.svg Incarichi
ricopertiArcivescovo di Bourges Nato tra il 1243 e il 1247, Roma
Nominato arcivescovo25 aprile 1295 Deceduto22 dicembre 1316, Roma. Egidio
Romano, latinizzato come Ægidius Romanus, indicato anche come Egidio Colonna
(Roma), filosofo. Generale dell'Ordine di Sant'Agostino. Dopo la sua morte, gli
furono tributati i titoli onorifici di Doctor fundatissimus e Theologorum
princeps. Fu discepolo di San Tommaso d'Aquino all'Parigi, dove più
tardi insegnò, prima di diventare generale degli agostiniani e arcivescovo di
Bourges (1295). Fu inoltre il precettore di Filippo il Bello per il quale
scrisse il trattato De regimine principum, sostenendo l'efficacia della
monarchia come forma di governo. --
è considerato tra i più autorevoli teologi di ispirazione agostiniana,
attivo anche nella vita intellettuale e politica in un contesto culturale ed
istituzionale travagliato da frequenti ed aspre polemiche sul problema del
rapporto tra potere temporale e potere spirituale. Questo filosofo è
generalmente ricordato, insieme al prediletto allievo Giacomo da Viterbo, per
il contributo nella redazione della celebre bolla Unam Sanctam del 1302 di Papa
Bonifacio VIII e per il ruolo significativo che assunse il Maestro degli
Eremitani di Sant'Agostino quale autore del De Ecclesiastica potestate e,
dunque, quale teorico famoso e autorevole della plenitudo potestatis
pontificia. In Egidio Romano rileviamo subito una compresenza del duplice
atteggiamento dottrinale e politico; infatti è possibile rintracciare, fra le
opere giovanili, il De regimine principum, opera scritta per Filippo il Bello e
di ispirazione aristotelico-tomista inerente alla naturalità dello Stato,
erigendola a difensore della potestas regale. Nel De Ecclesiastica potestate,
invece, Egidio Romano afferma la superiorità del sacerdotium rispetto al
regnum, distinguendosi quale rappresentante della teocrazia papale.
La riscoperta di Aristotele e l'agostinismo politico In seguito alle condanne
di Étienne Tempier. Colonna difende la tesi di Tommaso, per la sua qualifica di
Baccalaureus formatus, ma, proprio a causa delle condanne stesse, viene sospeso
dall'insegnamento. In quegli anni, gli avversari del papato trovano nel
pensiero di Aristotele gli strumenti per svolgere un'analisi politica che metta
in discussione la sacralità del potere. Dall'altra parte troviamo l'influenza
della corrente speculativa dell'agostinismo politico (ossia quel fenomeno,
tipicamente medioevale, di compenetrazione fra Stato e Chiesa, all'interno del
quale Agostino viene a giocare un ruolo fondamentale dal momento che l'apporto
teorico del suo De Civitate Dei conduce a confusioni inevitabili fra il piano
spirituale della Civitas Dei Caelestis e il piano temporale della vita terrena
che è Civitas Peregrina), che ripropone la teoria delle “due città” e riafferma
la superiorità del sacerdotium rispetto al regnum, costituendo un vero e
proprio “partito del Papa”. Egidio rivendica la Plenitudo potestatis come
proprietà costitutiva dell'auctoritas del Papa in quanto homo spiritualis.
Egidio sostituisce al concetto agostiniano di ecclesia, quello di regnum al
fine di estendere gli ambiti del potere del sovrano ecclesiastico. Il sovrano
ecclesiastico (il Papa) dovrebbe esercitare la sua sovranità anche sul potere
temporale al fine di garantire l'ordine mediante una forma di dominium che
coincida con la sua stessa missione spirituale. Opere:Frontespizio delle
In secundum librum sententiarum quaestiones L'edizione critica dell'opera omnia
è stata intrapresa, per Leo S. Olschki, (Aegidii Romani opera omnia, collana
Corpus Philosophorum Medii AeviTesti e Studi), dal gruppo di ricerca di Francesco
Del Punta. Quaestio de gradibus
formarum, Ottaviano Scoto (eredi), Boneto Locatello, 1502. In secundum librum sententiarum quaestiones, 1, Francesco Ziletti, 1581. In secundum librum sententiarum
quaestiones, 2, Francesco Ziletti,
Opere, Antonio Blado, In libros De physico auditu Aristotelis commentaria,
Ottaviano Scoto (eredi), Boneto Locatello, 1502. De materia coeli, Girolamo Duranti,
Quodlibeta, Domenico de Lapi. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. 3 dicembre . Roberto Lambertini, Giles of Rome, in Edward N. Zalta ,
Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and
Information (CSLI), Stanford, . Charles
F. Briggs e Peter S. Eardley , A Companion to Giles of Rome, Leiden, Brill, .
Silvia Donati, Studi per una cronologia delle opere di Egidio Romano: I. Le
opere prima: I commenti aristotelici. "Documenti e studi sulla tradizione
filosofica medievale", Gian Carlo Garfagnini, Egidio Romano, in Il
contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, . Francesco Del Punta-S. Donati-C. Luna, Egidio
Romano, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Filippo Cancelli, Egidio Romano, in Enciclopedia
dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Papa Bonifacio VIII Teocrazia
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Romano Egidio Romano, su
TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Ugo Mariani, Egidio Romano, in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Egidio Romano, su Enciclopedia
Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. su ALCUIN, Ratisbona. Opere di Egidio Romano, su openMLOL, Horizons
Unlimited srl. su Egidio Romano, su Les Archives de littérature du Moyen Âge.
Egidio Romano, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. David M.
Cheney, Egidio Romano, in Catholic Hierarchy. Roberto Lambertini, Giles of
Rome, in Edward N. Zalta , Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the
Study of Language and Information (CSLI), Stanford. Biografia a cura
dell'associazione storico-culturale S. Agostino, su cassiciaco. Predecessore
Arcivescovo metropolita di BourgesSuccessoreArchbishopPallium PioM.svg Simone
di Beaulie u25 aprile 1295 22 dicembre 1316 Raynaud de La Porte. Egidio Romano.
Egidio Colonna. Keywords: conversazione cortese, conversazione gentile, padre/figlio,
amore naturale, principe, cavalleria, cavaliere, cavalier attitude, cavalier
implicature. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Colonna” – The Swimming-Pool Library.
COLONNELLO (Benevento).
Filosofo. Grice: “I like Colonnello; as a typical Italian philosopher, he has
philosophised about ‘all,’ from, first, of course, Croce, to the ‘tedesci’! –
But also about ‘guilt,’ and my favourite, the ‘transcendentale,’ which in
Italian, for lack of ‘n’ becomes ‘trascendentale’ – how many? Colonnello thinks
more than one, if the plural is of any guide!”
Insegna a Callabria. Privilegia l'arco tra criticismo trascendentale e fenomenologia,
esistenza, ermeneutica di Pareyson, storicismo di Croce, Nicol, Dussel. La sua proposta
è verificare l'interazione, in chiave storico-critica, del kantismo, della
fenomenologia e la filosofia dell'esistenza.
Altre opere: “Esistenzialismo kantiano” (Studio Editoriale di Cultura,
Genova); “Croce e i vociani” (Studio Editoriale di Cultura, Genova); “Tempo e
necessità” (Japadre, L'Aquila-Roma); “Tra fenomenologia e filosofia dell'esistenza”
(Morano, Napoli); “Ermeneutica esistenzialista del concetto di ‘colpa”
(Loffredo, Napoli); “Percorsi di confine: esistenza e libertà” (Luciano, Napoli);
Croce (Bibliopolis, Napoli); “Ragione e rivelazione” (Borla, Roma); “Melanconia
ed esistenza” (Luciano, Napoli); “Storia esistenza liberta. Rileggendo Croce,
Armando, Roma); Martin Heidegger e
Hannah Arendt, Guida, Napoli); “Orizzonte del trascendente e dell’immanente,
Mimesis, Milano); “Inter-soggettivita riflessiva” L’itinerario dei corpi”
(Mimesis, Milano). Corpo, mondo,
Fenomenologia (Mimesis, Milano); Fenomenologia e patografia del ricordo,
Mimesis, Milano-Udine). Grice: “I used ‘body’ informally in my ‘Personal
identity’, where I suggested, that “I fell down the stairs” could be replaced
by “MY body fell down the stairs” – there is yet an essential indexical.
Different if two wrestlers unison say, ‘Both our bodies are oiled” – where
again the dual “both our” is used. We have not the second person but the FIRST
PERSON dual. “Our bodies” “Both our bodies”. Pio Colonnello. Keywords: rivista
La Voce, Croce e i vociani, patografia, German for ‘body’ Lieb, cognate with ‘life’
so that ‘Das Leib ohne Leben’ would be odd. The Anglo-Normans solved the
problem with ‘corpse’, corpus, vita, corpore, vita, vivere, German ‘leben’,
‘live’ meaning with ‘remain’, creature construction, thing, living thing,
living body, personal human living being. Bodily movement. Method in
philosophical psychology, manifestation in behaviour, bodily behaviour, brain
state, different from bodily movement --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Colonnello” – The Swimming-Pool Library.
COLORNI:(Milano).
Filosofo. Grice: “To understand the passion in Italian philosophy, as the
passion I experienced with Austin in the postwar and with Hardie on the
golfcourse in the good old days, one has to understand Colorni – he was a
socialist, and thus an empiriociritic! He found opposition in the Gentileians.
Oddly, Colroni’s main interest is the ‘monad,’ but he also explored what we
would at Oxford call ‘science’ – rather than philosophy. Lay the blame on his
tutor at Milano!”. Promotore del federalismo europeo. Mentre era confinato a
Ventotene, su saggio, “Manifesto per un’Europa libera e unita”. Figlio di Alberto
Colorni, di Mantova, e Clara Pontecorvo, milanese di famiglia pisana (zia di Pontecorvo,
del regista Gillo, del genetista Guido e del giurista Tullio Ascarelli). Studia al ginnasio di Milano. Si appassiona
al Breviario di estetica di Croce. La sua formazione adolescenziale, come
raccontò egli stesso nella “Malattia filosofica”, fu influenzata dal rapporto
intrattenuto con i cugini Enrico, Enzo ed Emilio Sereni, tutti più grandi di
lui. Fu Enzo, che era un convinto socialista
ad esercitare su di lui una forte influenza ideale. Studia sotto Borgese
e Martinetti. Si laurea sotto Martinetti con “Il concetto di individuo”. Strinse
amicizia con Guido Piovene, che però verrà interrotta per via di certi articoli
anti-semitici scritti da Piovene su L'Ambrosiano. Partecipa nel gruppo
goliardico per la libertà di Basso e
Morandi. Saggio sull'estetica di Roberto Ardigò. Si accosta alla divisione
milanese del “Giustizia e Libertà”. Collabora in seguito col nucleo giellista
torinese, che fece capo prima a Ginzburg e poi a Foa. Incontra Croce, con
il quale conversa a lungo. Saggi per Il Convegno, La Cultura, Civiltà
Moderna, Solaria e la Rivista di filosofia di Martinetti, e presso la società
editrice "La Cultura" di Milano, uno studio critico su L'estetica di
Croce. Saggio sulla monada e la diada, vinse il concorso per
l'insegnamento di storia e filosofia nei licei. Dopo una prima assegnazione al
liceo Grattoni di Voghera, ottenne la cattedra di filosofia a Trieste. Qui
conobbe e frequentò, fra gli altri, Saba (ritratto poi in Un poeta) ed anche Gambini,
Pincherle ed Curiel. Nella collana scolastica che Giovanni Gentile
diresse per Sansoni, pubblica “Diadologia”. La diadologia lo costrinse ad
affrontare studi di logica e semantica. Riparte da Kant e dalla problematica
kantiana, e medita sulle conseguenze che la fisica quantica e la psicanalisi
potevano avere per la dissoluzione di impostazioni filosofiche tradizionali. Quando,
come si legge in Un poeta,Saba gli domanderà, ‘Perché fa filosofia?’, Colorni
concluse che da quel giorno, ‘io non faccio più filosofia’. Non e la filosofia
che rifiuta, ma un orientamento legato a quell'idealismo di cui erano seguaci Croce
come Gentile e Martinetti. In occasione di un congresso di filosofia a Parigi,
incontra Rosselli eTasca. In quanto ebreo e rinchiuso a Varese. I giornali
pubblicarono la notizia con gran risalto, sottolineando che egli “di razza
ebraica, manteneva rapporti di natura politica con altri ebrei residenti in
Italia e all'estero”. La sottolineatura
sul “complotto ebraico” serviva a giustificare la legislazione anti-semita
appena varata in Italia dal regime, per potersi così allineare alla linea
politica seguita dagli alleati nazisti. Confinato a Ventotene, dove prosegue i
suoi studi filosofici, e conversa intensamente con gli altri compagni
confinati, Rossi, Doria e Spinelli. Un'eco fedele di quelle discussioni si
ritrova in “Conversazioni di Commodo”. Risale a questo periodo la sua adesione
alle idee federaliste europee, stesurando il Manifesto per un’Europa libera e
unita. Saggio: Problemi della Federazione Europea, che raccoglieva il Manifesto
ed altri scritti sul tema. Nella sua "Prefazione" al Manifesto,
auspicò la nascita di una politica federalista europea di respiro “universalista”,
come scenario democraticamente praticabile dopo la catastrofe della guerra. In
tale ottica, la creazione di una federazione di stati europei era da lui
considerata come condizione indispensabile per un profondo rinnovamento
sociale, anche per iniziativa popolare, che partendo dagli enti territoriali
avrebbe coinvolto tutta l’Italia e, quindi, l’intera Europa. Circa le
dinamiche che portarono alla stesura del Manifesto, è generalmente ricondotto
ai soli Spinelli e Rossi il contributo maggioritario del testo, sebbene, alcuni
recenti studi storiografici, abbiano seriamente rivalutato il suo ruolo. Di
trinità si tratta, e lo spirito santo della situazione è lui, che partecipa alle
discussioni preparatorie alla stesura del Manifesto assieme a poche altre
persone, ed ebbe una parte di rilievo, soprattutto nella funzione di stimolo e
di critica, dal suo punto di vista di socialista autonomista, verso i due
autori del documento, fino al suo trasferimento a Melfi, benché comunque i
contatti non cessassero del tutto. Grazie anche all'intervento di Gentile,
riusce ad essere trasferito a Melfi, in provincia di Potenza, dove, nonostante
lo stretto controllo della polizia, riusce ad avere contatti con alcuni degli
anti-fascisti locali. Assieme con Geymonat, elabora il progetto di una
rivista di metodologia scientifica. Riuscì a fuggire da Melfi,
rifugiandosi a Roma, dove visse da latitante. Dopo la capitolazione di Mussolini
si dedica all'organizzazione del Partito Socialista Italiano di Unità
Proletaria, nato dalla fusione del PSI col gruppo del Movimento di Unità
Proletaria. Partecipò, assieme a Spinelli, Rossi, Doria, Braccialarghe e
Foa, in casa di Rollier a Milano, alla riunione che diede vita al Movimento
Federalista Europeo. Il movimento adottò come proprio programma il
"Manifesto di Ventotene". Svolse nella capitale un'intensissima
attività nelle file della Resistenza. Prese parte alla direzione del PSIUP e
s'impegna a fondo nella ricostruzione della Federazione Socialista Italiana e
nella formazione partigiana della prima brigata Matteotti. “Io ero da
poco stato nominato segretario della Federazione Socialista per suggerimento e
per decisione di Pertini, che era membro della segreteria del partito in
quell'epoca. Avevamo organizzato una chiamiamola brigata, anche se era un
gruppo armato che era comandato da Colorni che poi è assassinata alla vigilia della liberazione di
Roma. Fu redattore capo dell'Avanti! Clandestine. Così Pertini ricorda il suo
impegno per la stampa del giornale socialista: «Ricordare l'Avanti!
clandestino di Roma vuol dire ricordare prima di tutto due nostri compagni che
a forte ingegno unevano una fede purissima, entrambi caduti sotto il piombo
fascista: Colorni e Fioretti. Ricordo come Colorni, mio indimenticabile fratello
d'elezione, si prodiga per far sì che l'Avanti! uscisse regolarmente. Egli in
persona, correndo rischi di ogni sorta, non solo scrive gli articoli
principali, ma ne cura la stampa e la distribuzione, aiutato in questo da Fioretti,
anima ardente e generoso apostolo del socialismo. A questo compito cui si sente
particolarmente portato per la preparazione e la capacità della sua mente,
Colorni dedica tutto se stesso, senza tuttavia tralasciare anche i più modesti
incarichi nell'organizzazione politica e militare del nostro partito. Amava
profondamente il giornale e sogna di dirigerne la redazione nostra a
Liberazione avvenuta e se non fosse stato strappato dalla ferocia fascista, sarebbe
stato il primo redattore capo dell'Avanti! in Roma liberata e oggi ne sarebbe
il suo direttore, sorretto in questo suo compito non solo dal suo forte ingegno
e dalla sua vasta cultura filosofica, ma anche dalla sua profonda onestà e da
quel senso del giusto che ha sempre guidato le sue azioni. Per opera sua e di Fioretti,
l'Avanti! era tra i giornali clandestini quello che aveva più mordente e che
sapeva porre con più chiarezza i problemi riguardanti le masse lavoratrici. La
sua pubblicazione veniva attesa con ansia e non solo da noi, ma da molti
appartenenti ad altri partiti, i quali nell'Avanti! vedevano meglio interpretati
i loro interessi. Nella Roma occupata dalle forze naziste, in una tipografia
nascosta di Monte Mario, fece stampare 500 copie di un libriccino di 125 pagine
intitolato Problemi della Federazione Europea, contenente il "Manifesto di
Ventotene". Il 28 maggio del 1944, pochi giorni prima della
liberazione della capitale, venne fermato in via Livorno da una pattuglia di
militi fascisti della famigerata banda Koch. Tenta di fuggire, ma fu raggiunto
e ferito gravemente da tre colpi di pistola. Trasportato all'Ospedale San Giovanni,
muore sotto l’identità di ‘Franco Tanzi’. Indomito assertore della libertà,
confinato durante la dominazione fascista, evadeva audacemente dedicandosi
quindi a rischiose attività cospirative. Durante la lotta antinazista,
organizzato il centro militare del Partito Socialista Italiano, dirigeva
animosamente partecipandovi, primo fra i primi, una intensa, continua e
micidiale azione di guerriglia e di sabotaggio. Scoperto e circondato da
nazisti li affrontò da solo, combattendo con estremo ardimento, finché travolto
dal numero, cadde nell'impari gloriosa lotta. Tre lapidi esistenti, una, posta
nel 1982 dalla III Circoscrizione del Comune di Roma è semilleggibile perché
scurita dal tempo, un'altra, posta nel 1978 dal Partito Socialista Italiano, è
spaccata in due e un'ultima, posta nel 2004 sempre dalla III Circoscrizione del
Comune di Roma, contiene un errore. Foto delle tre lapidi. Altre opere: “Scritti, Norberto Bobbio, la
Nuova Italia, Firenze); “Il coraggio dell'innocenza, Luca Meldolesi, La Città
del Sole (Istituto Italiano per gli Studi Filosofici), Napoli); “Un poeta” (Il
Melangolo, Genova); “La malattia della metafisica” (Einaudi, Torino).
Dizionario Biografico degli Italiani. L'itinerario politico di Eugenio Colorni,
in Id., Il socialismo riformista tra politica e cultura, Il socialismo
federalista di Eugenio Colorni, tesi di laurea, Università degli studi di Firenze,
Anno Accademico, Gaetano Arfé, Eugenio Colorni, l'antifascista, l'europeista,
in , Matteotti, Buozzi, Colorni. Perché vissero, perché vivono, Franco Angeli,
Milano, Sandro Gerbi, Tempi di malafede. Una storia italiana tra fascismo e
dopoguerra. Guido Piovene ed Eugenio Colorni, Einaudi, Torino e Hoepli, Milano,
. Geri Cerchiai, L'itinerario filosofico di Eugenio Colorni, in «Rivista di
Storia della Filosofia», Stefano Miccolis, Colorni e Croce”. Talvolta non si
distingue debitamente fra l’emergere originario di un testo nell’opera di un
filosofo e il suo riemergere, o diffondersi, in altri tempi o contesti. In tal
modo, proprio la tragedia del Novecento ha spostato spesso, rispetto alla
composizione, la diffusione di scritti intrisi di attualità. Poche volte, come
nel Novecento, è stato così vistoso il fenomeno delle letture differite. Ora, e
al di là della nota di polemica che affiora da un montaggio tendenzioso fino al
limite delle falsificazione – questo è quanto è all’incirca avvenuto per Colorni:
scoperti (o riscoperti), dopo la morte dell’autore, in quel particolare
contesto del quale si sono nutrite le due stesse riviste, “Analisi” e “Sigma” –
che, insieme con «Aretusa», li hanno per prime pubblicati, a tale contesto sono
rimasti giocoforza legati, venendo così ad essere proiettati all’interno di una
tradizione e di un dialogo almeno parzialmente diverso dal loro, condotto in un
altro linguaggio. Si è parlato, a proposito di tale linguaggio, dello spirito
del ’45, e sovente si è visto in esso, da parte degli stessi animatori, una
vera e propria prosecuzione, in campo culturale, delle istanze portate avanti
dalla Liberazione. Alla “dittatura dell’idealismo”– il cui [Razionalismo e
prassi a Milano: La cultura milanese vive profondamente quello “spirito del
’45” fatto anche di semplificazione e di attivismo, di fiducia ingenua
nell’anno zero, nella svolta politico-sociale in corso, ma soprattutto di un
nesso inscindibile con la liberazione e la Resistenza. La dittatura dell’idealismo
è il titolo dato da Cantoni ad un articolo apparso sul Politecnico di Vittorini.
Espressione di un comune sfondo sociale e di una comune struttura economica, le
filosofie di Croce e Gentile si sarebbero unite, nella prospettiva di Cantoni,
in una sorta di convergenza sociologica con il regime, riuscendo così a
rimediare una posizione di singolare monopolio per la cultura idealista.
Certamente, e una grossolanità speculativa e un errore storico identificare il
destini del fascismo col destino dell’idealismo, anche se questa identificazione
di fatto si verifica nella persona del maggior rappresentante filosofico dell’idealismo
italiano, Gentile. In realtà, molti idealisti, dal Croce al De Ruggiero,
staccarono, prima o dopo, le loro sorti da quelle del regime. Eppure, al di
sotto della dichiarata e sincera avversione, un filo, inconscio spesso ma
tenace, lega tra loro gli avversari e ne permetteva una, sia pure scomoda,
convivenza. Questo filo era costituito dal loro comune, e inconfessato carattere
*conservatore*. Lo spiritualismo idealista agì come una dittatura logica. Avendo
in mano cattedre e riviste, gli idealisti facevano il bello e il cattivo tempo
nella filosofia, facendo decadere al piano della non-filosofia gli avversari
positivisti ed logico-empiristi. Alcune opinioni sul crocianesimo che, oltre ad
essere meno drastiche, risultano per certi aspetti accostabili ad analoghi
spunti della critica colorniana. Vale la pena di rimettersi a una revisione
intelligente dell'idealismo italiano, rimanendo idealisti] filosofia viene assimilata
alla sorte del regime – si è così tentato di opporre una filosofia più aperta
al dibattito contemporaneo ed internazionale, fosse esso identificabile con le
correnti fenomenologico-esistenziali o con quelle più strettamente
epistemologiche ispirate al positivismo o empirismo logico del Circolo di
Vienna. Quest’ultimo, d’altro canto, viene in Italia presentato da Geymonat con
parole quanto mai indicative del clima che ne accoglieva i principi. L’indirizzo
filosofico, che qui viene esposto difeso e sviluppato è e vuole essere un vero
e proprio razionalismo, sebbene non attribuisca alla ragione un valore assoluto
e dogmatico come gli antichi indirizzi che vantano il medesimo nome. Gli è che
il razionalismo deve essere ben più agguerrito e penetrante di quelli che
caratterizzarono i secoli passati. Deve essere: critico, ossia capace di tenere
nel dovuto conto le obiezioni mosse contro la pura ragione dalla filosofia
mistica e decadente; costruttivo, cioè in grado di soddisfare le esigenze di ri-costruzione
e di logicità caratteristiche della nuova epoca; aperto, cioè capace di
affrontare i problemi sempre nuovi che la scienza e la prassi pongono innanzi
allo spirito umano. Gli Studi per un nuovo razionalismo, che raccoglievano le
ricerche di un intero ventennio (il testo più datato, Le idee direttive del
neo-empirismo, era stato pubblica Ciò che si può apprezzare in Croce, da questo
punto di vista, è il suo tentativo di sciogliere il pensiero dai legami colla
filosofia metafisica per avvicinarsi a una filosofia intesa come chiarificazione
dell’esperienza, intesa cioè come trapasso dalla metafisica alla metodologia. Croce
si sarebbe in tal modo inserito nella corrente più viva della filosofia, non
riuscendo tuttavia (e in questo consisterebbe il suo maggior limite) a rompere
completamente i ponti con la metafisica specuativa. Croce non ha quindi tanto
combattuto la metafisica speculativa quanto sostituito alla metafisica
trascendente la metafisica immanente. Per una ricostruzione più esaustiva delle
diverse posizioni di Cantoni su Croce, si rimanda a R. Franchini, Remo Cantoni
critico di Croce, in C. Montaleone e C. Sini (a cura di), Remo Cantoni,
filosofia a misura della vita, Milano, Guerini, Cfr. N. Bobbio, Introduzione,
in E. Colorni, Scritti, Firenze, La Nuova Italia. Tra il 1930 e il 1940 avviene
la crisi dell’idealismo, cui segue la ricerca di nuove vie, proprio ad opera
della generazione di Colorni. […] le vie battute per uscire dalla crisi sono
soprattutto due: quella che passa attraverso una riflessione sulle
trasformazioni avvenute in seno al sapere scientifico e che dà origine a una
filosofia scientifica, risolutamente anti-metafisica, qual è il positivismo
logico, cui aprono la strada gli studi di Ludovico Geymonat; e quella che passa
attraverso l’esistenzialismo (Abbagnano, il primo Luporini)». 7 L. Geymonat,
Studi per un nuovo razionalismo, Torino, Chiantore. Come ha fatto notare Mario
Dal Pra, e a conferma di quanto si scriveva di sopra, l’accostamento in questo
passaggio dei termini “ricostruzione” e “logicità” sembra diretto a far pensare
che «l’avversione alla metafisica del neoempirismo e l’avversione alla
dittatura fascista da parte del movimento di liberazione abbiano per Geymonat
una comune radice» (M. Dal Pra, Il razionalismo critico, in A. Bausola, G.
Bedeschi et al., La filosofia italiana dal dopoguerra a oggi, Roma-Bari,
Laterza. Geri Cerchiai 4 to per la prima volta nel 1935 con il titolo Nuovi
indirizzi della filosofia austriaca), fu significativamente fatto uscire, nel
1945, con la medesima data di stampa del giorno della Liberazione di Milano; e
in quello stesso mese di aprile apparve il primo numero della rivista «Analisi»
che, come si è accennato, contribuì fra le prime, con la pubblicazione del
frammento intitolato Filosofia e scienza, alla diffusione dell’epistemologia
colorniana9 . Ed è proprio da una lettura di «Analisi» e «Sigma» che è
possibile sommariamente inquadrare il contorno di quel periodo storico al quale
si deve la prima scoperta dell’epistemologia colorniana. Voluta da Giuseppe
Fachini, «Analisi» fu stampata per cinque numeri fino al 1947, mutando il nome,
nel corso delle pubblicazioni, in quello di «Analysis». L’«esperienza personale
che io avevo fatto», racconta Fachini circa la nascita della rivista, mi aveva
convinto della necessità di una piattaforma di incontro interdisciplinare.
Allora in Italia mancava qualcosa di simile. La guerra spezzò agli inizi i miei
tentativi. Gli eventi bellico-politici stessi, per conto loro, mi portarono […]
a profonda solidarietà mentale con Livio Gratton. Nacque così l’idea di
«Analysis»: con ambizioni editoriali infantilmente dissonanti col momento.
Trovammo poi nel Buzzati-Traverso un biologo “fisicalista” […] ma aperto ad
ogni esperienza. Tra i “filosofi” professionali (a formazione cioè
tradizionalmente filosofico-letteraria) il Banfi, cui mi ero rivolto, mi indicò
l’allievo suo Giulio Preti, come fornito di interessi e preparazione
fisico-matematica, allora rara nel “filosofo”. Per inciso, ricordo i miei contatti
con un altro giovane “filosofo” con preparazione e interessi analoghi: Eugenio
Colorni10 . I temi portati avanti dalla rivista furono sostanzialmente due:
l’interesse per la metodologia delle scienze – attraverso la quale indagare la
possibilità di un fondamento comune alle diverse discipline – e la volontà di
mantenersi all’interno di un’impostazione strettamente antimetafisica11. La
collaborazione fra 8 In «Rivista di filosofia». Cfr. E. Colorni, Filosofia e
scienza, in «Analisi». D’ora innanzi si indicheranno gli scritti raccolti in
questa edizione col solo titolo seguito dal numero di pagina. Di «Analisi» e
«Sigma», con specifico riferimento alla figura di Eugenio Colorni, si è
occupato M. Quaranta, La “scoperta” di Eugenio Colorni nelle riviste del secondo
dopoguerra. Gli scritti sulla relatività, in G. Cerchiai e G. Rota (a cura di),
Eugenio Colorni e la cultura italiana fra le due guerre, Manduria-Bari-Roma,
Lacaita. “Analysis”: trent’anni dopo, testimonianza di Giuseppe Fachini, in
Analisi. Milano, riletta da M. Quaranta, con testimonianze di G. Fachini, S.
Ceccato, L. Geymonat, L. Gratton, E. Poli, Bologna, Arnaldo Forni Editore. Aggiunge
Fachini, a proposito della sua formazione, che l’«impulso a uno sforzo collettivo
interdisciplinare era sorto in me dai primi contatti con l’ambiente mentale del
neopositivismo logico», ma che la «soluzione neopositivista, verso cui ero in
un primo tempo quasi costretto, mi si rivelò presto insoddisfacente per
l’irrigidimento formale, verso cui stava avviandosi. Il «periodico», si
affermava nel Programma pubblicato sul primo numero, era «inteso ad offrire un
luogo di libera discussione a quanti abbiano interesse ai problemi di
metodologia e di critica della scienza, nello sforzo di purificare ed
universalizzare il linguaggio Cinque scritti metodologici di Eugenio
Colorni 5 scienziati e filosofi fu uno degli aspetti qualificanti della
pubblicazione, ma fu anche d’impedimento ad un’armonica composizione delle sue
diverse anime, concorrendo in definitiva alla conclusione dell’esperienza:
«L’incontro con i fondatori e la rivista», racconta a questo proposito Silvio
Ceccato, avvenne per chiamata gentile. Io mi trovavo in parabola
neo-positivistica o logico-empiristica discendente. Il filone che cominciava ad
interessarmi era ormai piuttosto quello di P.W. Bridgman e di H. Dingler,
comunque un filone operativo. Questo difficilmente avrebbe permesso una intesa
con i due filosofi del gruppo, L. Geymonat e G. Preti. Una collisione non
poteva tardare anche con il più aperto filosofo ufficiale, Antonio Banfi, più
storico, più umanista. Un certo divario di lavoro si venne a creare anche con
gli scienziati in quanto per lo scienziato di discipline assestate e floride,
come la fisica, la biologia, l’anatomo-fisiologia, etc., la metodologia si può
aggiungere come ornamento, come divertimento. Ma non per me. Così terminate le
pubblicazioni di «Analisi», la sua eredità venne raccolta, in quello stesso
1947, dalla rivista romana «Sigma», fondata da Vittorio Somenzi e Giuseppe
Vaccarino13. Il periodico – che riportava il sottotitolo di «Conoscenza
unitaria» – si proponeva di riunire, come si legge nella seconda di copertina,
«una limitata quantità di elementi atti a determinare una concezione unica
della conoscenza». La nota di presentazione della rivista precisava poi i
confini all’interno dei quali si intendevano muovere i curatori: «si va facendo
evidente che esaurire la scienza nel tecnicismo dello specialista è dannoso –
non solo ai fini della costituzione di un sistema unitario della conoscenza
scientifica, ma anche nei riguardi degli stessi progressi tecnici nei singoli
settori»14. Da qui specialistico verso una comune impostazione dei modi
fondamentali, pur essi comuni, con cui si edifica e modifica il sapere
scientifico». Unico limite, in tal senso, era quello di non «travalicare di là
dalla metodologia in una sistematica della scienza [per] fare della metafisica
insaputa e inutile» (Il programma, in «Analisi»). 12 “Analysis”: trent’anni
dopo, testimonianza di S. Ceccato, in Analisi. Milano 1945. In una lettera a
Giuseppe Vaccarino del 3 maggio 1947, Vittorio Somenzi rilegge la storia di
«Sigma» con le parole seguenti: «La rivista è nata con la modesta intenzione di
pubblicare il vecchio materiale tuo, di Colorni e Cotone, mio. E di esaurirlo
coi primi numeri. Poi si è visto che, se non altro dato il costo della carta e
stampa, conveniva pubblicare un tentativo di sintesi organica, sia pure
provvisoria, del tuo – e limitare quello dei due C. e mio a ciò che poteva
avere ancora interesse dal punto di vista filosofico. Infine è sorta l’idea,
con la crisi di Analisi, di prenderne il posto con il programma serio di
Metodo. Già l’impostazione dei primi due numeri ci alienerà le simpatie dei
Castelli, Blanc, Fantappié ecc., ma anche dei Filiasi e Geymonat
(l’interessamento di quest’ultimo è condizionato alla possibilità di una nostra
conversione al materialismo dialettico/razionalista tipo “La Pensée”).
Attualmente spero solo nei Servadio e magari Spirito, Savinio e stop»
(“Sapienza” Università di Roma, Biblioteca del dipartimento di Fisica, Fondo
Vittorio Somenzi, sez. 3, Attività professionale, 1929-2003, serie 2, Carte di
lavoro non organizzate, 4, Collaborazione con Giuseppe Vaccarino, b. 1,
Vaccarino, 1943-1948. Da ora in avanti, il Fondo sarà abbreviato con la sigla
FS, seguita dall’indicazione dei riferimenti completi d’inventario). 14 La
conoscenza unitaria, in «Sigma». Scriveva Giuseppe Vaccarino a Vittorio Somenzi
il 14 ottobre 1946 riguardo a questa nota: «Rileggendo la tua edizione riveduta
della Conoscenza unitaria penso che possa andare come presentazione anonima,
specie se sarà da Geri Cerchiai 6 avrebbe anche dovuto discendere il
ruolo della ricerca metodologica, che – comprendendo un discorso più largamente
critico-filosofico – avrebbe dovuto fissare le norme dirette ad unificare in
sistema le scienze particolari o la conoscenza in genere. Come «Analisi», anche
«Sigma» ebbe però vita breve, e dopo sei numeri una nota editoriale ne
annunciava la confluenza nella rivista «Methodos». Questo fu dunque lo sfondo
culturale che vide nascere l’interesse per la filosofia colorniana, un
interesse che, attraverso la pubblicazione di alcuni testi del filosofo
milanese, richiamava alla ricostruzione della filosofia empiristica italiana
(come la proposta del ebraico-britannico Ayer a Oxford) come tradizione
anti-metafisica e anti-idealistica e capace di attuare un profondo rinnovamento
negli orientamenti teoretici nazionali. D’altra parte, che il pensiero di
Colorni fosse in certa misura vicino alle posizioni espresse da «Analisi» e
«Sigma» è testimoniato, oltre che dalle singole scelte di politica editoriale
delle due riviste, da quanto raccontato dagli stessi protagonisti: «Ricordo con
precisione», ha scritto ad esempio Fachini sul secondo numero di «Analisi», le
conversazioni di quell’epoca: credo di poter affermare, per esperienza
personale, che il Colorni, giovanissimo sia stato tra i primi italiani di
preparazione filosofica a tentare di accogliere e di comprendere, in modo serio,
le nuove affermazioni epistemologiche. La più gran parte del suo lavoro è
inedita: molte pregevoli cose egli ha lasciato: e forse potrebbe indicarci vie
nuove. Gli amici di «Analisi» auspicano di poter far conoscere in cerchio vasto
il suo lavoro, a vantaggio della ricerca metodologica e in omaggio alla sua
memoria Somenzi, a sua volta, scrivendo a Giuseppe Vaccarino della
pubblicazione degli scritti colorniani su «Sigma», afferma: Per Sigma convinciti
che i nostri scritti, incomprensibili per virtù proprie dalla maggioranza dei
competenti, l’hanno irrimediabilmente “condannata” e che quelli di Colorni sono
ancora i migliori che potessimo o possiamo esibire, oltre che i più vicini al
nostro ordine di idee. “Fisica teorica e filosofia” di Colornimerita senz’altro
la pubblicazione sul numero che spero di riuscire a dedicare a questo
argomento19 . Rievocando poi il Progetto di una rivista di metodologia
scientifica – da Colorni discusso fra gli altri con Ludovico Geymonat durante
gli anni della guerra – ante ulteriormente ampliata. Effettivamente rileggendo
il mo testo subito dopo averlo scritto non avevo avuto una buona impressione.
Ma ora mi è piaciuto» (FS, sez. 5, Corrispondenza, gen. 28, serie 1, Corrispondenza
scientifica, gen. 28, 135, Vaccarino Giuseppe, 1946-1948. 15 La conoscenza
unitaria, cit., p. 4. 16 F. Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, G. Fachini,
Eugenio Colorni, in «Analisi», I, 1945, 2, pp. 105-106. 18 Si tratta di E.
Colorni, Critica filosofia e fisica teorica. 19 Lettera di Vittorio Somenzi a
Giuseppe Vaccarino. Alcuni inediti riconducibili a tale progetto sono
presentati in M. Quaranta, La “scoperta” di Eugenio Colorni, cit., cfr. in
part. le pp. 126-130. Per i testi di FS destinati alla rivista metodologica. Cinque
scritti metodologici di Eugenio Colorni 7 cora Somenzi ha sottolineato nel 1986
come esso corrispondesse «nella sostanza a molte realizzazioni degli ultimi
quarant’anni, da riviste come “Analysis” a collane di volumi di filosofia della
scienza e di storia della scienza quali quelle impostate a Milano e Torino
[dallo stesso] Geymonat e da Paolo Rossi»21 . A partire da queste premesse,
appare evidente come la storia della riscoperta colorniana nel dopoguerra possa
concorrere a gettare luce su alcuni fondamentali aspetti dello stesso pensiero
dell’autore; essa ne evidenzia difatti la novità di prospettiva e la
conseguente, connaturata disposizione a dialogare coi più avanzati ambienti
filosofico-culturali del nostro Paese. Ciò che tuttavia rende affatto esemplare
la filosofia colorniana, concorrendo a fare di essa un importante «contributo
alla comprensione del travaglio della filosofia italiana al momento del declino
della preponderanza idealistica, non è soltanto la particolare modalità della
sua ricezione nella seconda metà degli anni Quaranta, ma anche la complessiva
parabola intellettuale seguita dal giovane studioso per giungere alle posizioni
metodologiche degli ultimi anni. 2. Fonti e maestri Colorni fu allievo di
Giuseppe Antonio Borgese e di Piero Martinetti alla Regia Università di Milano.
Nel raccontare della formazione universitaria del giovane Eugenio, Enzo
Tagliacozzo ha scritto a questo proposito: va ricordata l’influenza che sui
suoi studenti ebbe allora una personalità come quella di Borgese, che Eugenio e
compagni chiamavano scherzosamente G.A. Era uno di quei pochi professori che
non disdegnavano allora di soffermarsi a discutere dopo la lezione con i propri
studenti. Altra influenza determinante per i suoi studenti quella dell’austero
Piero Martinetti che spiegava Kant alle otto del mattino. Martinetti avviava
gli studenti al rigorismo dell’etica kantiana, mentre il brillante G.A., più
alla mano, discuteva di estetica e letteratura comparata23 . I debiti con
l’insegnamento di Borgese, d’altro canto, sono resi espliciti dallo stesso
Colorni, che in un suo curriculum universitario afferma: Durante i miei studi
mi sono occupato specialmente di problemi filosofici ed estetici e, sotto la
direzione del Borgese, ho redatto lavori su L’estetica di Roberto Ardi21 V.
Somenzi, Eugenio Colorni filosofo della scienza, in «Filosofia e società», N. Bobbio, Introduzione, cit., p. VI. 23 E.
Tagliacozzo, L’uomo Colorni, in «Tempo presente». Prosegue poi Tagliacozzo
nella pagina seguente: «Martinetti […] indusse [Eugenio] ad approfondire Kant,
amò Spinoza dopo la prima infatuazione per l’idealismo italiano. E chi in
quegli anni non lesse Croce e Gentile, ma specie Croce? […] Eugenio conobbe
Hegel, ma non fu mai hegeliano. Studiò dal punto di vista filosofico Marx, ma
non fu mai marxista. Dopo un’esercitazione sul positivismo – e si noti
l’influenza borgesiana nell’approfondimento dei problemi estetici – si
indirizzò verso Leibniz» (ivi, p. 54). Geri Cerchiai 8 gò e del positivismo
italiano, L’estetica bergsoniana e L’estetica di Benedetto Croce. Quest’ultimo
studio è stato pubblicato più tardi a Milano dalla casa editrice “La Cultura”24
. Più complesso, e forse maggiormente studiato, è il rapporto di Colorni con
Piero Martinetti, col quale l’autore si laureò nel 1930 su Sviluppo e significato
dell’individualismo leibniziano. Il primo, fondamentale impulso
all’approfondimento di Leibniz25; l’introduzione alla filosofia di Kant26; il
rifiuto del metodo dialettico27; l’urgenza di rinvenire una nuova, diversa
organizzazione del nesso fra individuale ed universale, sono elementi che
stringono Colorni al magistero martinettiano e che risultano fondamentali per
la più generale formazione del filosofo milanese. Al di sotto di tutti è poi
presente l’esigenza di individuare il corretto rapporto fra l’analisi della
realtà e la sua organizzazione sistematica, esigenza il cui movimento e la cui
parabola all’interno della propria maturazione intellettuale sono così
descritte, ne La malattia filosofica, dallo stesso protagonista: 24 Curriculum
vitae di Colorni, s.d., in Archivio Hirschmann, Roma, citato in S. Gerbi, Tempi
di Malafede. Guido Piovene ed Eugenio Colorni. Una storia italiana tra fascismo
e dopoguerra, nuova edizione Milano, Hoepli, pp. 41-42. Cfr.: E. Colorni,
L’estetica di benedetto Croce. Studio critico, Milano, La Cultura; Id., Roberto
Ardigò, in «Pietre», firmato con lo pseudonimo di Carlo Rosemberg; per una
storia di questa pubblicazione rinvio ad A. Vigorelli, Antifascismo tra i
giovani: il caso di “Pietre”, in Eugenio Colorni e la cultura italiana, a cura
di G. Cerchiai e G. Rota, cit., pp. 251-266); lo scritto sul bergsonismo è
tuttora inedito. È lo stesso Colorni, ne La malattia filosofica, a raccontare
come si svolgevano, durante le lezioni di Borgese, le esercitazioni dalle quali
è nato ad esempio lo studio su Croce: «All’università si dà continuamente
battaglia contro Croce. Ogni settimana, uno studente sale sulla cattedra per
discutere coi compagni e col professore […]. Salire anche lui su quella pedana,
gli piacerebbe tanto: ma per che dire? Tenterà, ad ogni modo» (E. Colorni, La
malattia filosofica, p. 26). Sul rapporto fra Colorni e Borgese rimando ad A.
Riosa, Giuseppe Antonio Borgese ed Eugenio Colorni tra letteratura e politica,
in G. Cerchiai e G. Rota (a cura di), Eugenio Colorni e la cultura italiana. Nello
stesso periodo nel quale si laureava Colorni, altri due allievi di Martinetti,
Giovanni Emanuele Barié e Carlo Emilio Gadda, venivano indirizzati dal maestro
allo studio del filosofo di Lipsia. Si veda, a mero titolo di esempio, quanto
lo stesso Martinetti scriveva nel 1926 a Gadda: «Se fra tre o quattro anni Ella
potesse uscire con una bella esposizione di Leibniz (non tema d’avere
concorrenti in questo argomento!) la via dell’università (per storia della
filosofia) Le sarebbe aperta» (Lettera di Piero Martinetti a Carlo Emilio
Gadda, 24 febbraio 1926; in P. Martinetti, Lettere a Carlo Emilio Gadda, a cura
di G. Lucchini, in «I quaderni dell’ingegnere. Testi e studi gaddiani», Cfr.
anche: G. Cerchiai, Due inediti di Giovanni Emanuele su Leibniz, in «Rivista di
storia della filosofia», LIII, 1998, pp. 125-136; Id., Eugenio Colorni lettore
di Leibniz, in Eugenio Colorni e la filosofia italiana, cit., pp. 159-176. 26
Si veda la testimonianza di Tagliacozzo riportata poco sopra. Per il clima nel
quale poteva essere riletto Kant durante le lezioni martinettiane (con
particolare riferimento alle vicende relative a Colorni), si rimanda a S.
Gerbi, Tempi di malafede, cit., p. 39. 27 Una delle poche citazione dirette di
Colorni presenti nel libro sull’estetica crociana rinvia proprio allo scritto
di Martinetti intitolato Il metodo dialettico (in «Rivista di filosofia), là
dove Colorni scrive: «perché, per quale forza o per quale principio questa
implicazione dei contrari debba presentarsi quasi come una generazione dell’uno
da parte dell’altro, è difficile a intendersi. Perché si deve dire che il
Non-io, il quale è, per la sua stessa definizione, inseparabile dall’Io,
sgorga, si svolge, si origina da esso? Che il particolare nasce dall’universale?»
(E. Colorni, L’estetica di Benedetto Croce, cit. p. 11). Cinque scritti metodologici
di Eugenio Colorni. Il problema che lo occupa è sempre il posto, la
collocazione delle facoltà nel mondo dello spirito. A un certo punto, gli
balena la possibilità che questi elementi di cui cercava con tanto accanimento
l’ordine e la collocazione, non patiscano alcun ordine: possano vivere così, separati,
paralleli, autonomi. L’idea lo entusiasma. Gli sembra di avere ora fatto
veramente un passo innanzi. E non pensa più tanto a definire e a ordinare,
quanto a descrivere. Ma questo procedere dovrà pure avere una sua
giustificazione teorica, dovrà pure inquadrarsi in una visione del mondo, avere
un suo nome che termina in -ismo. Pierino [alter ego di Colorni] si butta sui
pluralisti, sugli empiriocriticisti: studia Mach e Avenarius, si addentra nel
labirinto di Leibniz. Su queste basi, si può dire che quello che altrove ho
definito il “problema dell’ordine” divenga, talvolta anche solo per contrasto,
uno dei fili conduttori dell’intera riflessione colorniana: impostato fin da
L’estetica di Benedetto Croce, esso cercherà una prima, instabile sistemazione
nella filosofia di Leibniz, per trovare poi nella rilettura metodologica ed
epistemologica del criticismo kantiano una soluzione – o, come potrebbe dirsi:
dissoluzione – affatto originale. Al fine di seguire il movimento del pensiero
di Colorni da questo punto di vista, può essere utile rileggere le parole
dell’autore stesso. E. Colorni, La malattia filosofica, p. 29; cfr. anche
ibidem, n. 19 del curatore. Di Leibniz dirò in seguito, in questo stesso
paragrafo. Per quanto riguarda l’accenno agli empiriocriticisti, si rimanda a
quanto scritto da Luca Guzzardi nel 2011, il quale, esaminando precisamente la
radice dei riferimenti colorniani a Mach, Avenarius e Schuppe, ne ha
riconosciuto l’origine proprio nell’insegnamento di Martinetti: «Colorni»,
spiega Guzzardi, «aveva potuto trovare una valutazione positiva di questo
pluralismo, nonché delle “filosofie dell’esperienza” di Schuppe, Avenarius e
Mach, nell’Introduzione alla metafisica di Piero Martinetti. D’altra parte, ai
primi del Novecento Martinetti aveva indirizzato allo studio di Mach, Avenarius
e Schuppe, un giovane e promettente allievo, Aurelio Pelazza. Tali
circostanze», secondo Guzzardi, «fanno ritenere», insieme con altre che
dovrebbero essere approfondite, «che l’interesse originario di Colorni per
l’empiriocriticismo sia da collegare a Martinetti e Pelazza» (L. Guzzardi, Lo
specchio della natura. Colorni e la cultura scientifica del suo tempo, in
Eugenio Colorni e la cultura italiana, a cura di G. Cerchiai e G. Rota, cit.,
pp. 177-195, pp. 188-189). Prosegue Guzzardi in queste stesse pagine: «Non solo
Schuppe e Avenarius vengono citati da Colorni nella recensione all’Introduzione
alla metafisica; qui si trova pure accennato fra i meriti di Martinetti “quel
concetto di esperienza pura e obiettiva che egli sembra indicare come via di
uscita dalle difficoltà in cui il pensiero moderno si trova impigliato” – e
l’esperienza pura [reine Erfahrung], attorno a cui Pelazza aveva costruito la
propria presentazione dell’empiriocriticismo, aveva costituito il punto
d’approdo della filosofia di Avenarius» (ivi, p. 189). La recensione Sull’“Introduzione
alla metafisica” di Piero Martinetti si trova ora alle pp. 52-57 dell’edizione
Einaudi degli scritti colorniani. A tutto ciò si può aggiungere che Colorni
accostò all’empiriocriticismo anche la filosofia di Benedetto Croce:
«L’individualismo del Croce […] non è necessariamente in contrasto col suo
idealismo: risolve piuttosto il principio dell’autocoscienza – che è essenziale
all’idealismo – in una coscienza del pensiero nella effettualità del suo
pensare; identifica il punto di partenza soggettivo col suo necessario
correlato oggettivo, l’universale col particolare. In questo senso si avvicina
piuttosto a forme di contingentismo e di empiriocriticismo; e in questo senso
appunto è giustificabile il suo tenersi al dato e partire da esso: in quanto
questo dato non può essere inteso che come uno stato d’animo, un’esperienza che
debba essere vissuta intensamente, e da cui si debba trarre a volta a volta
l’assoluto» (E. Colorni, L’estetica di Benedetto Croce, cit., p. 6). 29 Cfr. G.
Cerchiai, L’itinerario filosofico di Eugenio Colorni, in «Rivista di storia
della filosofia», Geri Cerchiai 10 Nel libretto su Croce, il problema
dell’ordine è inquadrato a partire dalla questione del rapporto fra la
«soprastruttura» 30 dialettica del sistema e l’effettivo valore delle singole
osservazioni: «Ciò che sta sotto l’organizzazione esteriore», scrive Colorni, è
nel crocianesimo il vero sistema, non ancora chiaro e formulato, ma agile e
ricco di molteplici possibilità. Ricercare tale ricchezza sotto un’impalcatura
in gran parte insoddisfacente è il compito che s’impone a chiunque viva quel
pensiero come un’esperienza della propria vita. E seguirne la possibilità di
sviluppo anche di là dalla forma che ha dato a se stessa, ci pare il miglior
omaggio che si possa rendere a una filosofia31 . Se il “metodo
individualistico” così identificato nella filosofia di Croce conduce Colorni a
liberare le singole osservazioni «dall’interpretazione che il Croce stesso ne
ha data allo scopo di adattarle ad un suo schema presupposto di organizzazione»,
per cercare di «renderle di nuovo pure» e «ravvisare» di conseguenza «in esse»
un sistema «non imposto in precedenza, ma derivante e identico coi dati stessi
forniti»32, non può stupire l’interesse teorico nutrito dal filosofo milanese
per il secondo dei suoi “auttori”, ossia per il pensiero di Leibniz.
Quest’ultimo, infatti, pare offrire precisamente la possibilità di chiudere in
un circolo coerente l’analisi empirica del particolare e l’organizzazione
sistematica del tutto. Scrive Colorni: Leibniz […] non parte mai con l’intento
esplicito di costruire un sistema. La sua attività filosofica si presenta a
tutta prima come una grande raccolta di prese di posizione particolari. Eppure
il sistema non manca in esse: è anzi continuamente presente. I singoli problemi
si mostrano a poco a poco connessi l’uno all’altro; le soluzioni convergono, si
giustificano e confermano a vicenda […]. Il sistema non è una pura esteriorità,
un concordanza sopravvenuta; è anzi l’anima di ciascuno osservazione,
attraverso cui tutto si spiega e si giustifica33 . Per tali motivi, Leibniz
rappresenta quasi il contraltare dello storicismo crociano o, meglio ancora, il
rimedio alle sue lacune; «Leibniz», infatti, «differisce [proprio] in questo da
altri pensatori, apparentemente più coerenti e organizzati, ma la cui ricchezza
va cercata al di là del sistema, nelle varie formulazioni particolari»34: vi
differisce cioè per il fatto che, come si è visto, il suo sistema si E.
Colorni, L’estetica di Benedetto Croce, cit. Scrive ancora Colorni: «chi parta
dal mondo stesso e, rendendo eterno e universale ciascun dato di questo, voglia
costruire una scienza delle forme possibili di questa universalizzazione e di
qui giungere ad una visione complessiva dei modi eterni della realtà e delle
loro reazioni reciproche, non pone il sistema all’inizio, come premessa della
sua ricerca; ma ad esso giungerà al termine ideale del suo cammino. Colorni,
Nota bio-bibliografica, in G. W. von Leibniz, La monadologia, preceduta da una
esposizione antologica del sistema leibniziano, a cura di E. Colorni, Firenze,
Sansoni. Il riferimento sembra rinviare precisamente alla critica della
filosofia crociana. Cinque scritti metodologici di Eugenio Colorni 11 sviluppa
spontaneamente dalle singole osservazioni e l’insieme si mostra nella sua completezza
attraverso il complesso dei suoi aspetti. E tuttavia, lo scacco della
prospettiva leibniziana giungerà a sua volta quando, muovendo da simili
presupposti, Colorni dovrà constatare il carattere prettamente soggettivo del
tentativo di sistematizzazione da quella realizzato: Leibniz, spiega così
Colorni nel suo ultimo scritto sull’argomento, applica all’ordine spirituale
quella continuità, quel passaggio ininterrotto, quel procedere da ogni legge ad
una legge più vasta, che egli crede di scorgere come l’essenza più profonda del
mondo naturale. Che questa stessa continuità e questo allargarsi sia, più che
una legge della natura, un’esigenza dello spirito nella considerazione della
natura stessa, egli non sospetta36 . L’insuccesso del punto di vista
leibniziano consentirà però anche a Colorni di schiudere un più libero sguardo,
sciolto ormai dai condizionamenti delle diverse scuole filosofiche, sul
criticismo kantiano e sugli strumenti da questo forniti per lo studio dei
meccanismi di funzionamento del pensiero. Già nel 1932, Colorni aveva
anticipato le due linee – leibniziana e kantiana – della propria filosofia, là
dove aveva scritto, in Di alcune relazioni fra conoscenza e volontà, che la monade
di Leibniz avrebbe dovuto completarsi con la dottrina kantiana, di modo che
l’«universalità della monade, intesa come realtà cosciente, puo coincidere con
la trascendentalità del conoscere, inteso come conoscenza reale»37. L’effettivo
passaggio ad un più maturo kantismo segna tuttavia per Colorni un punto di
svolta fondamentale o, come afferma l’autore stesso, una vera e propria
«operazione di cataratta»38, capace di conquistare una diversa prospettiva sul
mondo: esso, infatti, consente al giovane studioso di voltare le spalle alla
“conoscenza filosofica” e di approdare infine a quella particolare metodica
ch’egli presenta come conoscenza prettamente scientifica, intesa cioè come padronanza
di un processo. La domanda impossibile (senza senso) della filosofia, spiega
così Colorni, pur nella loro rigida formulazione teoretica, sono sempre
espressione di qualche tendenza, di qualche profonda esigenza dell’animo. La
risposta si dà dunque divenendo padroni del meccanismo psicologico mediante cui
la domanda viene posta; essendo capaci di riprodurlo, di seguirlo nelle sue
fasi, di variarlo all’infinto. Al problema della realtà, si risponde fabbricando
animi per cui l’expressione “realtà” non ha senso. Alla domanda se esiste un
mondo in sé in cui la somma degli angoli di un triangolo non sia uguale a due
angoli retti, si risponde costruendo una geometria in cui tale somma sia
effettivamente maggiore o minore di due retti, e mostrando che tale geometria
non è né più né meno vera di quell’altra; ma è, rispetto all’altra, essenzialmente
nuova E. Colorni, Libero arbitrio e grazia nel pensiero di Leibniz, E. Colorni,
Di alcune relazioni fra conoscenza e volontà. E. Colorni, Critica filosofia e
fisica teorica, E. Colorni, Filosofia e scienza, p. 237. 40 E. Colorni, Critica
filosofia e fisica teorica, pp. 229-230. Geri Cerchiai 12 È in questo contesto,
all’interno del quale Colorni ritiene di essere definitivamente guarito dalla
sua «malattia filosofica»41, che vanno collocati i titoli di seguito trascritti
e conservati presso la “Sapienza” Università di Roma, Biblioteca del
dipartimento di Fisica, Fondo Vittorio Somenzi. Di tali scritti, e degli altri
pubblicati dalle riviste «Aretusa», «Analisi» e «Sigma», è lo stesso Somenzi a
raccontare la storia nel già citato testo su Eugenio Colorni filosofo della
scienza. 3. La metodologia colorniana negli scritti del Fondo Somenzi «Nel
1945», scrive difatti Somenzi, comparve sulla rivista «Aretusa» un Ricordo di
Colorni scritto dall’amico Guido Morpurgo-Tagliabue, accompagnato da due
inediti stimolanti: Il bisogno dell’unità e Sul complesso di Edipo. Altri
inediti mi pervennero attraverso la rivista «Analisi» […], e di questi una
parte venne pubblicata su «Analisi» e sulla rivista romana «Sigma» che ad essa
si affiancò per iniziativa di Giuseppe Vaccarino e mia. Dal carteggio fra
Vaccarino e Somenzi emergono altre importanti informazioni sui dattiloscritti
conservati in FS, che con ogni evidenza i due fondatori di «Sigma» si inviavano
in reciproca lettura. Di quanto scriveva Somenzi a Vaccarino nel maggio del ’47
si è già reso conto nel § 1. Il 27 gennaio di quel medesimo anno, è Vaccarino a
dire a Somenzi di sperare «tra qualche giorno di inviar[gli] i Colorni»; il
giorno appresso, e quello successivo ancora, Vaccarino aggiunge poi quanto
segue: Spero domani di inviarti i Colorni. Molto interessanti e brillanti.
Comincerei con i dialoghi di “Commodo”, combinandoli in modo che abbiano tra di
loro un certo legame. Ieri sera ho riletto i Colorni, che ti rimando tranne
l’ultimo, che ti invierò tra qualche giorno. “I dialoghi” si potrebbero
pubblicare in 3 puntate – (La seconda notevolmente più lunga delle altre 2) –
Vi è una quarta puntata sull’economia, che mi piace meno. Nel testo ho cambiato
qualche parola a matita (in modo che tu possa eventualmente ricorreggere). Ho
creduto anche opportuno evitare il “dialogo nel dialogo” nel primo n°,
introducendo invece del “fisico ribelle” il “Curiosus” del secondo n°.
L’Apologo ed il Ritorno alla natura vanno anche benissimo. Forse si potrebbero
pubblicare unitamente al terzo dialogo, che è molto breve. Le idee di Colorni
mi sembrano meglio espresse nei dialoghi che nel capitolo sulla fisica, data la
forma brillante 41 La malattia filosofica è per l’appunto il titolo che Colorni
diede alla sua più completa biografia intellettuale, già qui ricordata nelle
pagine precedenti. 42 V. Somenzi, Eugenio Colorni, cit., p. 79. Prosegue poi
Somenzi citando di fatto alcuni dei titoli dei quali si sta qui discutendo: «La
rivista doveva contenere articoli di fondo dedicati a problemi come: il
concetto di esperienza, costanti universali e unità di misura, l’illusione
finalistica nella fisica e nella biologia, l’illusione realistica nella fisica,
geometria ed esperienza, l’assiomatica dei principi della meccanica,
l’assiomatica della teoria della relatività e quella della meccanica
quantistica, fisica puntuale e fisica di campo, il concetto di istinto, la
polemica tra meccanicismo e vitalismo, la costruzione di una economia
indipendente da premesse psicologiche» (ivi, p. 80). dell’espressione. In
quanto alle opinioni espresse (l’io, la storia, l’amore, ecc.) non c’è
coincidenza con la metaconoscenza, anzi piena opposizione43 . Su «Analisi», nel
1947, uscì Filosofia e scienza44, mentre – fra il 1947 e il 1948 – un più
consistente numero di titoli apparve su «Sigma»; si trattava, in particolare,
dei testi seguenti: Apologo su quattro modi di filosofare; Della lettura dei
filosofi; Del finalismo nelle scienze; Dell’antropomorfismo nelle scienze;
Sugli idoli della scienza fisica; Critica filosofica e fisica teorica; Il
ritorno alla natura; Filosofi a congresso45 . Oltre a questi – e
presumibilmente appartenenti al medesimo gruppo di testi del quale Somenzi
afferma di aver pubblicato solo una parte – in FS sono conservati altri
dattiloscritti, di cui sono qui trascritti quelli maggiormente compiuti46 . I
primi tre scritti appartengono con ogni evidenza al gruppo di testi destinati
dall’autore alla rivista di metodologia scientifica progettata con Ludovico
Geymonat nel 194247. Questa, oltre a note di varietà, rassegne e recensioni,
avrebbe infatti dovuto ospitare una sezione dedicata ad «Articoli e saggi», fra
i cui titoli Colorni indica per l’appunto Geometria ed esperienza e Assiomatica
delle leggi della meccanica. Il testo intitolato II: Relatività generale è,
come mostrato dalla numerazione romana, il secondo paragrafo di
Sull’assiomatica della teoria della relatività (anch’esso menzionato nel
Progetto di una rivista di metodologia scientifica), il quale comincia proprio
con l’indicazione di un paragrafo (I) La relatività ristretta. Tutti e tre i
testi fanno riferimento al discorso intorno all’idea di esperienza che per
Colorni discende dalla scoperta del carattere relativo delle categorie: «la
coscienza che abbiamo acquistato della nostra possibilità di modificare [i]
dati elementari»48 della conoscenza, infatti, costringe secondo Colorni sia a
riformare i concetti di a priori e di a posteriori, sia a rivedere
coerentemente la nozione di esperienza. «A priori», spiega così Colorni, «non
significa più della ragione. A posteriori non significa più dei sensi. Sia i
dati della ragione, sia i dati dei sensi, ap43 Lettere rispettivamente del 28 e
del 29 gennaio 1947; quest’ultima è scritta di seguito all’epistola del giorno
precedente, sul medesimo foglio. Il 17 gennaio 1947, Vaccarino aveva informato
Somenzi del suo scritto sulla metaconoscenza, col quale confronta qui gli
scritti colorniani: «Avevo preparato uno scritto sui rapporti tra la conoscenza
e la religione, il quale in definitiva risultò troppo lungo ed infarcito di
considerazioni metagnosologiche. Ho pensato perciò che è meglio direttamente
attaccare la questione della metaconoscenza». Tutte le lettere sono in FS, sez.
5, Corrispondenza, gen. 28, serie 1, Corrispondenza scientifica, 1942-2003 gen.
28, 135, Vaccarino Giuseppe, 1946-1948. Il “fisico ribelle” è probabilmente il
Fisico che Colorni inserisce quale interlocutore (appunto: quasi come dialogo
nel dialogo) in Del finalismo nelle scienze, e che nella stampa definitiva su
«Sigma» non viene poi effettivamente sostituito dal Curiosus interlocutore di
Dell’antropomorfismo nelle scienze. 44 Cfr. supra, § 1, n. 9. Il testo
comprende parzialmente anche: Sul concetto di esperienza e Intorno al principio
di identità. Cfr. infra, la Nota del
curatore. 47 Cfr. supra, § 1 e la n. 20. 48 E. Colorni, Filosofia e scienza, p.
241. Geri Cerchiai 14 paiono come elementi in cui il fattore soggettivo e
quello oggettivo si presentano mescolati, ma di cui è in nostro potere,
mediante un procedimento logico e psicologico insieme, modificare la
struttura»49 . L’esperienza, a sua volta, «anziché rivelare leggi naturali»,
dovrà suggerire, secondo le contingenti necessità degli studiosi, «determinate
forme di definizione e di misura»50, utili a proseguire nel lavoro di ricerca
scientifica51 . Siamo qui di fronte a quel progetto di “liberazione” della
fisica «dalle premesse realistiche-finalistiche» che deve per Colorni
rappresentare non solo «uno degli scopi essenziali della rivista»52, ma anche
il fine ultimo della sua stessa critica epistemologica. Di tale progetto il più
lungo e strutturato Programma contribuisce a tracciare ulteriormente i contorni
teorici. Il nucleo dello scritto ruota intorno alla considerazione secondo la quale
la «filosofia odierna dovrebbe anzitutto esaminare le chiavi che abbiamo in
mano, cioè i criteri di ricerca, i metodi d’indagine. Criteri che, ormai ciò è
chiaro a tutti, trasformano radicalmente la realtà, operando una scelta che ci
fa scorgere solo ciò che da essi può essere afferrato». La constatazione del
carattere condizionato della realtà diviene in tal modo, e nuovamente, il punto
di partenza – tutto kantiano – della metodologia di Colorni. Il criticismo
trascendentale, aggiunge però l’autore, «ha messo tutti sul chi vive», sì che «la
curiosità di vedere al di là del “velo di Maja” delle categorie si è fatta
sempre più intensa»; sarà tuttavia soltanto la capacità della conoscenza
scientifica di disubbidire all’«ammonimento di Kant» per trascurare «i limiti»
da questo imposti che consentirà, ancora una volta, di compiere il secondo,
decisivo passo lungo la strada già intrapresa dalla Critica della ragione pura:
«La domanda da porsi», chiarisce Colorni in un passo cruciale di Critica
filosofica e fisica teorica, Non [è]: “È il mondo del nostro pensiero, o non è,
quello reale?”; bensì: “Come potrebbe essere conformato un mondo di pensiero
diverso dal nostro?”. La prima domanda parte da quella esigenza di sicurezza e
stabilità che è sempre collegata col pensiero del reale [e che appartiene all’atteggiamento
filosofico]. La risposta che essa cerca è una risposta che assicuri tale
sicurezza e stabilità in un modo qualsiasi; nel reale, o in qualche cosa che lo
sostituisca. La seconda domanda [propria dell’atteggiamento scientifico] muove
invece da una esigenza di novità […]. Si tratta qui del secondo passo della
rivoluzione copernicana. Il primo era consistito nell’accorgersi che le leggi
della realtà non sono che forme del nostro intelletto. Il secondo consiste nel
domandarsi se queste forme siano proprio necessarie ed immutabili e
irresolubili. Anzi, non 49 Ibid. A priori diviene perciò il «nostro potere di
modificazione che si riferisce sia agli oggetti della nostra ragione, sia a
quelli dei nostri sensi. Mentre poi «la geometria definisce gli oggetti su cui
opera mediante i suoi assiomi, la fisica definisce quei medesimi oggetti
mediante definizioni reali, cioè facendoli corrispondere a determinati fenomeni
naturali. Mentre dunque la prima gode di una completa libertà nella scelta
degli assiomi, la seconda è legata alle conseguenze implicite nella scelta di
quelle particolari definizioni; libera però di mutare le definizioni, qualora
le conseguenze non la soddisfacessero. E. Colorni, Sul concetto di esperienza,
p. 251. Cinque scritti metodologici di Eugenio Colorni 15 nel domandarsi se
siano irresolubili (domanda che presuppone l’uso di quelle forme stesse) ma nel
tentare senz’altro di scioglierle53 . In tal modo, spiega Colorni al termine di
Programma, è la conoscenza scientifica a raggiungere quell’“al di là” che alla
prospettiva kantiana era negato, ma l’“al di là” al quale essa perviene «non è
una negazione del “di qua”, non è un assoluto privo di categoria. È un mondo di
nuove categorie», un mondo al quale si viene portati, in primo luogo, dalla
consapevolezza che la «legge essenziale della natura è la ragione, e la ragione
è pure la legge essenziale del mondo esterno, in quanto l’uomo non fa che
proiettare fuori di sé l’essenza della propria natura»54 . L’ultimo testo qui
trascritto, Commodo a Ritroso, appartiene ad un gruppo di dialoghi, noto come
Dialoghi di Commodo, stesi a più mani durante il periodo del confino a
Ventotene55. Commodo, come ha spiegato la moglie Ursula Hirschmann in occasione
dei primi tentativi di pubblicazione integrale dei frammenti colorniani, è lo
stesso Colorni; Ritroso è Ernesto Rossi56 . Lo scritto prende spunto da
argomenti economici per chiarire alcune questioni che, venendo a teorizzare una
sorta di “dilettantismo metodologico”, rendono conto della stessa natura dell’indagine
colorniana. L’«appartenenza professionale», dice Colorni all’amico
Ritroso/Rossi in uno dei dialoghi già 53 E. Colorni, Critica filosofica e
fisica teorica, pp. 227-228. 54 Ivi, p. 234. 55 Racconta Altiero Spinelli nella
sua autobiografia, ben descrivendo non solo la genesi dei Dialoghi di Commodo,
ma anche l’atteggiamento di Colorni nelle discussioni: «Parlavamo ogni giorno
delle cose più varie, di politica, di geometria non euclidea, di nostri
compagni di confino, delle nostre letture, delle nostre storie personali, dei
grandi della storia, ma sentivo che [Eugenio] stava sempre attento a scoprire
un qualche mio coperto punto malato, che egli avrebbe messo in luce, curato e
guarito – poiché la vocazione del guaritore d’anime l’aveva proprio nel sangue
[…]. Mi affascinava la precisione quasi infallibile con la quale scopriva il
punto errato di un ragionamento, il punto equivoco di un atteggiamento, il
momento retorico di un’espressione […]. Talvolta uno di noi, ripensando la sera
alle parole scambiate durante il giorno, le proseguiva scrivendo un dialogo nel
quale diceva la sua e immaginava quel che l’altro avrebbe risposto. Talvolta il
dialogo aveva un seguito, scritto dall’altro, prima di terminare a voce» (A.
Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio, Il Bologna, Mulino, 1988, pp.
299-300). 56 Gli pseudonimi principali utilizzati negli altri dialoghi sono i
seguenti: Severo è Altiero Spinelli, Manlio Rossi-Doria è Modesto, Ursula
Hirschmann è Ulpia. Così scriveva Ferruccio Rossi-Landi alla Hirschmann. Penso
che i tempi stiano maturando per
un’edizione in volume degli scritti lasciati da Colorni: come sono maturati,
dopo tanti decenni, per la ripresentazione ai lettori italiani di quelli di
Giovanni Vailati, che fu studioso per tanti versi affine ad Eugenio e che,
rimasto quasi sepolto fin da prima della Prima Guerra Mondiale, ricomparirà ora
presso Laterza e presso Einaudi su mia iniziativa». RossiLandi faceva poi
riferimento alle pubblicazioni di «Analisi» e «Sigma». Ho potuto prendere visione
della corrispondenza relativa ai diversi tentativi di pubblicazione degli
scritti filosofici di Colorni (prima presso l’editore Laterza e poi per la
Feltrinelli) grazie alla cortesia di Renata Colorni, che ancora conserva una
parte del carteggio e che qui debbo ringraziare per la sua disponibilità. 57
Esso va dunque letto insieme a Dello psicologismo in economia, pubblicato nella
ed. Einaudi alle pp. 322-342. Per una più precisa contestualizzazione dei
frammenti economici colorniani cfr infra, la Nota del curatore. Geri
Cerchiai 16 pubblicati da «Sigma» nell’immediato dopoguerra, «comporta un
legame così stretto con la scienza e un interesse così diretto ai vari problemi
particolari in cui la ricerca si articola momento per momento, che è difficile
avere la possibilità di riprendere in esame i problemi iniziali e i principi
fondamentali da cui si è partiti»58; proprio per questo, secondo Colorni, i
«dilettanti e gli outsider», sono forse maggiormente in grado, attraverso
l’esercizio di un «tranquillo, pacato, spregiudicato esame dei punti di
partenza e delle definizioni iniziali»59, di «sconvolgere dalle fondamenta
tutto l’edificio del proprio sapere»60. Certo, dovendo rispondere all’accusa di
«presumere di rivedere i principî di tutte le scienze, senza averle mai
praticate»61, lo stesso Colorni – che alla scienza è giunto passando per la
filosofia62 – parla in qualche modo pro domo sua. E tuttavia, egli va anche a
puntualizzare, in tal modo, il «carattere pragmatistico»63 del proprio
pensiero, il quale deve giocoforza confrontarsi con le più differenti
discipline scientifiche. In Commodo a Ritroso, Colorni riprende questi medesimi
argomenti, insistendo però con maggior vigore su quello spirito d’indipendenza
– indispensabile ad un proficuo sviluppo dell’opera scientifica e filosofica –
il cui significato teorico è già stato indagato in Programma. Scrive Colorni:
«Anziché accostarmi a grossi trattati con fare accogliente e passivo […], io
parto con la lancia in resta, pieno di idee sbagliate e confuse, sfondando
porte aperte ad ogni passo […], desideroso di scontri e di battaglie». Emerge
qui, accanto alla consapevolezza di un metodo teorico ormai chiaramente
precisato, una componente particolare del carattere del giovane filosofo:
quella irrequietezza, ironicamente descritta ne La malattia filosofica, che
contribuisce a rendere conto della stessa, febbrile attività politica
colorniana. Essa rivela una vivacità intellettuale che si mostrò sempre
incapace di fermarsi ai risultati volta per volta raggiunti e che, trascorrendo
dai primi studi storico-filosofici a quelli metodologici degli ultimi anni,
viene a costituire l’anima, per così dire, anche dei dattiloscritti colorniani
conservati nel Fondo Somenzi. 58 E. Colorni, Dell’antropomorfismo nelle
scienze. Com’è noto, e a dispetto della sua formazione umanistica (lit. hum.),
Colorni si cimenta direttamente nella ricerca fisica, con particolare attenzione
alla teoria della relatività. Cfr. nello specifico i titoli seguenti: Unités de
misure et relativité; Le trasformazioni di Lorentz come caso particolare e
Deduzione del campo elettromagnetico di una carica in movimento rettilineo e
uniforme. 63 E. Colorni, Dell’antropomorfismo nelle scienze. Nota del curatore
I testi di Colorni in FS – tutti dattiloscritti – sono per lo più approntati
per la composizione a stampa, spesso con indicazione del corpo e della
impaginazione da utilizzarsi. Alcune correzioni e integrazioni, la segnalazione
«a penna» talvolta riferita ai titoli o alla firma, i commenti a margine sulla
opportunità o meno della pubblicazione, fanno supporre che ci si trovi per lo
più di fronte a trascrizioni battute a macchina dagli originali. Salvo che dove
diversamente segnalato (come ad esempio – per i motivi lì esposti a pié di
pagina – in Programma), ci si è generalmente attenuti al criterio di integrare
le eventuali sviste od errori ortografici direttamente nel testo, senza
ulteriore indicazione. Ugualmente ci si è comportati per le correzioni e gli
interventi a penna o a macchina. Il dattiloscritto di Programma presente in FS
conserva la conclusione, che risulta invece assente nelle precedenti edizioni
in volume. Oltre ai titoli qui riportati, e a quanto si dirà qui appresso, in
FS sono conservati anche i testi seguenti: Il bisogno dell’unità; Sul complesso
di Edipo; I primitivi e le categorie dello spirito; Filosofi a congresso; Sul
concetto di esperienza; Costanti universali e unità di misura; Sull’assiomatica
della teoria della relatività. I. Relatività ristretta, tutti già raccolti
nelle diverse edizioni dei frammenti colorniani. A partire da Sul concetto di
esperienza, le pagine sono numerate, a mano o a macchina, in sequenza, sì da
creare un complesso unico comprendente anche: II. Relatività generale (da
inserirsi dopo Relatività ristretta), e di seguito: Sull’assiomatica delle
leggi della meccanica e Geometria ed esperienza. In FS sono inoltre presenti
due ulteriori scritti di argomento economico: Batti, ma ascolta! e Ritroso a
Commodo: meno compiuti degli altri, essi saranno da me trascritti in un volume
di prossima uscita. Già nella nota introduttiva a Dello psicologismo in
economia, pubblicato nella edizione Einaudi alle pp. 322-342, si ricostruiva,
anche grazie agli elenchi dei titoli stesi da Ursula Hirschmann per Ferruccio
Rossi-Landi, la genesi degli scritti economici colorniani, che qui ci si
limiterà dunque ad integrare con quanto emerge dai titoli presenti in FS. Dello
psicologismo in economia risulta composto da tre blocchi. Il primo, intitolato
È possibile costruire una scienza economica indipendente da premesse
psicologiche e sociologiche?, è citato anche nel Progetto di una rivista di
metodologia scientifica fra i possibili «Articoli e saggi», e prosegue
dall’inizio del dialogo fino al terzo capoverso: «[…] sarebbe una differenza di
grado e non di natura. Del secondo (Robbins considera), che comincia subito
dopo il primo e termina in ivi, E m’invita a prendere tutto l’argomento non
troppo sul serio»), è conservato in FS il solo ultimo foglio, del quale così
scriveva Silvio Ceccato a Somenzi il 5 febbraio del 1943: «Ho guardato fra le
carte di Colorni. Spaiato trovo un foglio, numero 5, che mi sembra appartenere
al dialogo fra Commodo e Severo [che in effetti è l’interlocutore di quella
parte del dialogo]. Se vuoi te lo mando, o lo do a Vaccarino. Altro non c’è, mi
sembra, che possa interessarti. Stampa pure. Quando hai ben deciso, fammelo
però sapere, che, per cortesia, ne avvisi la sorella» (FS, sez. 3, Attività
professionale, 1929-2003, serie 2, Carte di lavoro non organizzate, 5, Riviste,
enciclopedie e progetti editoriali, 1, Sigma Analysis, b. 5, Analysis Methodos
(Ceccato). Il terzo blocco, Vedo che riprendi (cfr. E. Colorni, Dello psicologismo
in economia), rappresenta il nucleo centrale e la con- Geri Cerchiai 18
clusione del dialogo. Per quanto riguarda i titoli di FS: Ritroso a Commodo –
come si evince dai numerosi riferimenti a Vedo che riprendi – prosegue il
dialogo già iniziato in quest’ultima parte di Dello psicologismo in economia;
Commodo a ritroso è la risposta a Vedo che riprendi; Batti ma ascolta è
l’«accluso foglietto» menzionato in Commodo a Ritroso. Le note in calce ai
testi sono tutte del curatore. Desidero Ringraziare Giovanni Battimelli,
Responsabile del Fondo Vittorio Somenzi, e Maria Luisa Libutti, Direttrice
della Biblioteca del Dipartimento di Fisica (“Sapienza” Università di Roma),
per la disponibilità e cortesia che mi hanno dimostrato durante la
consultazione dell’Archivio. G. C. Cinque scritti metodologici 19 II. Relatività
generale1 Se vogliamo estendere quanto si è detto per la relatività ristretta3
al caso di sistemi in movimento qualsiasi4 , il problema della relatività
generale diverrà quello di determinare le misure spazio-temporali per un
osservatore in movimento qualsiasi rispetto ad un sistema inerziale nel quale
valga la geometria euclidea. La determinazione di tali misure sarà fatta di
nuovo assumendo come fissa la distanza fra due punti5 , e come costante la
velocità della luce. In linea generale risulterà che la geometria
tridimensionale del sistema in questione non sarà euclidea. Viceversa dovrebbe
essere dimostrabile che se le misure assunte da un osservatore col metodo di
cui sopra, danno luogo ad una geometria non euclidea, si potrà sempre trovare
un sistema i cui punti siano mossi rispetto all’osservatore in questione in
modo tale che la sua geometria sia euclidea. In tale sistema non vi sarà alcun
campo gravitazionale. Una tale impostazione del problema differisce un poco da
quella classica della relatività generale. Non si tratta qui di trovare una
formulazione delle leggi di natura che sia invariante rispetto a trasformazioni
qualsiasi, e quindi di attribuire ad ogni sistema la geometria richiesta dal
campo gravitazionale in esso vigente, ma piuttosto di trovare le trasformazioni
che permettono di passare da un sistema ad un altro qualsiasi6 , avendo assunte
per tutti i sistemi determinate convenzioni7 riguardo alle misure
spazio-temporali; e questo senza fare alcuna ipotesi riguardo alla forma delle
leggi naturali. 1 FS, sez. 3, Attività professionale, 1929-2003, serie 2, Carte
di lavoro non organizzate, 5, Riviste, enciclopedie e progetti editoriali, Sigma
Analysis, b. 6, Articoli, Il titolo è cancellato nel dattiloscritto, così come
è barrata la numerazione “5” (a penna) della pagina, numerazione che, insieme
con quella romana, segnava il foglio come seguito di E. Colorni,
Sull’assiomatica della teoria della relatività. I. Relatività ristretta (cfr.
la Nota del curatore), del quale lo scritto è il secondo paragrafo. 2
All’inizio del dattiloscritto sono inserite a penna delle virgolette basse
(chiuse al termine del terzo capoverso), che spiegano l’intervento del quale si
rende conto infra, n. 4. 3 Il riferimento è a Sull’assiomatica della teoria
della relatività, che infatti è numerato: La relatività ristretta. A penna è
stato qui aggiunto: «prosegue Colorni». 5 Cfr. E. Colorni, Sull’assiomatica
della teoria della relatività. Anziché assumere come unità di misura
fondamentali una lunghezza […] o un intervallo di tempo […] per poi dedurne le
altre grandezze cinematiche […], si potrebbe assumere come unità primitive la
distanza fra due punti dati e la velocità di propagazione di un dato fenomeno».
6 Si tratta qui precisamente dell’idea di revisione del concetto di esperienza
in relazione a quello di definizione che costituisce uno dei nuclei del
programma metodologico colorniano. 7 Sono molti i riferimenti di Colorni al
carattere convenzionale della scienza e delle sue definizioni. Riporto, per il
suo carattere “generale”, quanto affermato nella Postilla al programma della
rivista di metodologia scientifica (in M. Quaranta, La “scoperta” di Eugenio
Colorni, cit., p. 130): «Si tratta, in breve, di partire da una concezione
“convenzionalistica” o “idoenistica” della scienza; non limitandola però, come
fa in sostanza la scuola di Vienna o anche il Gonseth, alla interpretazione
filosofica dei fatti scientifici; applicandola invece ai concetti basilari su
cui poggia l’edificio della scienza, e mostrando come un chiarimento rigoroso
delle ipotesi che sono implicite nell’assunzione di tali concetti possa
trasformare effettivamente e rendere più chiare molte formulazioni
scientifiche, e forse risolvere alcuni dei problemi più scottanti della scienza
moderna». Eugenio Colorni 20 Formulando in questo modo il problema, si
giungerebbe probabilmente alle medesime conclusioni della relatività generale
riguardo alla gravitazione; ma la nuova impostazione permetterebbe forse di
aggredire in maniera diversa da quella consueta altri problemi (in particolare
quello dell’elettromagnetismo). Non si tratterebbe più in questo caso di
formulare le leggi del campo elettromagnetico in forma invariante rispetto a
trasformazioni qualsiasi, ma di rendersi ragione della loro struttura,
studiando sistematicamente il comportamento di cariche in movimento, mediante
“Transformation auf Ruhe”. Questo saggio si riferisce a studi ancora in corso e
ben lungi dalla conclusione8 ). 8 L’ultimo capoverso è barrato a penna nel
dattiloscritto. L’inciso fra parentesi riprende quello analogo – non riportato
nelle edizioni dei testi colorniani, ma presente nei dattiloscritti di FS –
posto al termine di Sull’assiomatica della teoria della relatività. I.-
Relatività ristretta, il quale recita nel modo seguente: «Questo saggio si
riferisce ad un lavoro già terminato, in cui lo sviluppo qui descritto viene
eseguito» (FS, sez. 3, Attività professionale, serie 1, Carte organizzate da
Vittorio Somenzi, 1929-2000, 2, Scatole grigie 1942-2000, 1, Eugenio Colorni e
Italo Cotone, b. 3, Colorni, 1945-1993). Sull’assiomatica delle leggi della
meccanica. Il principio d’inerzia è notoriamente una definizione camuffata.
Esso definisce come non soggetto ad alcuna forza il corpo dotato di movimento
uniforme; quindi come soggetto ad una forza il corpo dotato di movimento non
uniforme. È possibile considerare i principi della conservazione della quantità
di movimento e dell’energia come delle estensioni del principio d’inerzia, cioè
anch’essi come delle implicite definizioni della forza? Crediamo di sì.
Consideriamo infatti un sistema di due corpi. Diremo che il sistema non è stato
sottoposto all’azione di alcuna forza, non solo quando i due corpi proseguono
nel loro moto rettilineo ed uniforme, ma anche quando hanno modificato tale
loro moto dopo essersi urtati. Ciò che dovrà essere rimasto immutato nel
sistema non sarà dunque più il moto dei due corpi, ma una funzione di tale
moto; funzione che si tratta di determinare, ponendole delle condizioni
derivanti da esigenze plausibili. Anzitutto si può richiedere che il mutamento
provocato dall’urto nello stato di moto di uno dei due corpi sia misurato dal
mutamento provocato dal medesimo urto nell’altro corpo: cioè che ciò che rimane
costante nel sistema sia la somma delle funzioni in questione riferite a
ciascun corpo. Individuato poi ciascun corpo mediante una costante
caratteristica di esso (la sua “massa”), si può richiedere che il cambiamento
provocato in un corpo successivamente da due altri corpi di uguale massa e
uguale velocità, sia identico al cambiamento provocato da un corpo di massa
doppia e di uguale velocità: il che equivale a dire che la nostra funzione
dovrà essere della forma mf(v). Si potrà poi osservare che la funzione in
questione deve poter esprimere sia un mutamento nel valore assoluto della
velocità di ciascun corpo, sia un mutamento nella sola direzione: le funzioni
in questione devono cioè essere due, l’una vettoriale, l’altra scalare. Infine
si osserverà che, poiché due corpi in movimento uniforme rispetto ad un sistema
inerziale lo sono pure rispetto a qualsiasi altro sistema inerziale, la
costanza delle nostre funzioni deve essere invariante rispetto a trasformazioni
di Lorentz. Tutte queste condizioni limitano la scelta delle nostre funzioni in
modo da determinarle univocamente; e ne risultano le espressioni relativistiche
della quantità di movimento e dell’energia. Ciò è stato mostrato da Langevin2 ,
il quale parte però da premesse un po’ diverse. Gli sviluppi precedenti possono
avere un’importanza per il seguente motivo: la teoria della relatività giunge
alle sue espressioni dell’energia e della quantità di movimento, partendo dalle
equazioni di Maxwell, che suppone assicurate dall’esperienza. Ma il controllo
sperimentale di tali equazioni suppone che si 1 FS, sez. 3, Attività
professionale, serie 1, Carte organizzate da Vittorio Somenzi, 1929- 2000, 2,
Scatole grigie, 1, Eugenio Colorni e Italo Cotone, Nel dattiloscritto, le
pagine riportano la numerazione, a penna in rosso, da 6 a 7 (cfr. supra, II.
Relatività generale, n. 1, e la Nota del curatore). Langevin e un fisico francese
che, non diversamente da Eddington – altro autore colorniano e griceiano – fu
abile divulgatore scientifico. disponga di una definizione dell’energia e della
quantità di moto. Inoltre, quando si siano definiti i principi fondamentali della
meccanica indipendentemente dall’elettromagnetismo, rimane aperta la
possibilità di dedurre le leggi stesse dell’elettromagnetismo servendosi di
alcuni risultati della relatività, e raggiungendo così una più profonda
comprensione di quelle leggi. (Anche questo articolo si riferisce a studi in
corso, di cui la prima parte, riguardante la relatività ristretta e
l’elettromagnetismo, è terminata; ma avrebbe carattere troppo tecnico per la
rivista4 .) 3 Assente nel testo. 4 Per un’analisi degli scritti colorniani
sulla teoria della relatività, si rinvia a M. Quaranta, La “scoperta” di
Eugenio Colorni. Colorni sulla teoria della relatività, pp. 122-130. Per
l’inciso fra parentesi, cfr. supra, II. Relatività generale. La rivista è la
progettata rivista di metodologia scientifica, sulla quale si rimanda ancora a
quanto scritto supra, § 3. Cinque scritti metodologici 23 Geometria ed
esperienza1 Gli assiomi della geometria sono delle definizioni implicite, o
meglio rappresentano delle limitazioni imposte alla nostra libertà di definire
gli oggetti ai quali essi si riferiscono. Tali oggetti però possono essere di
due tipi: o sono tali che per ottenerne una rappresentazione concreta è
necessario immaginarli realizzati da un fenomeno fisico (p. es. la linea retta realizzata
dalla traiettoria di un raggio luminoso nel vuoto); in tal caso la definizione
implicita negli assiomi è una definizione “reale” (Zuordnungsdefinition2 ), e
gli assiomi limitano il numero degli oggetti o dei fenomeni che possono essere
assunti per realizzare fisicamente quel determinato ente geometrico. Oppure
l’ente geometrico in questione è tale da poter essere definito mediante
un’opportuna combinazione di altri enti precedentemente definiti (p. es.
l’angolo uguale ad un angolo dato può essere definito senza ricorrere ad alcuna
sovrapposizione, quando sia stata definita precedentemente la distanza fra due
punti); e allora gli assiomi limitano il numero degli accorgimenti che noi
possiamo usare per definire quel determinato ente geometrico. Agli scopi della
costruzione fisica di un sistema galileiano, è opportuno distinguere questi due
tipi di definizione; e può essere utile studiare da questo punto di vista le
“Grundlagen” di Hilbert3 . Non è detto che si possa sempre trovare un insieme
di fenomeni fisici capaci di realizzare contemporaneamente tutti gli assiomi di
una geometria. Per esempio, se si vuol realizzare la geometria mediante raggi
luminosi assunti co1 FS, sez. 3, Attività professionale, serie 1, Carte
organizzate da Vittorio Somenzi, 2, Scatole grigie,1, Eugenio Colorni e Italo
Cotone, b. 3, Colorni, 1945-1993. Numerato a penna 8 (cfr. supra, II.
Relatività generale, n. 1, e Nota del curatore). Il titolo è anch’esso
sottolineato a penna con l’indicazione: a mano. A margine, scritto a matita in
rosso e cancellato, alcune segnalazioni per il tipografo: «Corpo 10/10 tondo //
Giustezza 27». Scrive Colorni in Filosofia e scienza. Ora, mentre la geometria
definisce implicitamente gli oggetti di cui tratta, mediante gli assiomi, la
fisica li definisce direttamente, mediante definizioni reali
(Zuordnungsdefinitionen). Con queste parole, Colorni richiama il concetto
reichenbachiano di Zuordnungsdefinition, per cui cfr. H. Reichenbach, Axiomatik
der Raum-Zeit-Lehre, Braunschweig, Vieweg & Sohn Akt.-Ges., 1924; Id.,
Philosophie der Raum-Zeit-Lehre, Berlin- Leipzig, W. de Gruyter & Co. In
una lettera firmata da Hirschmann (ma in realtà scritta da Colorni) e
indirizzata a Geymonat per il tramite della moglie Virginia, l’autore afferma
di possedere il primo dei due titoli, e a questo rinvia per la comprensione del
proprio pensiero. Noi abbiamo qui l’importante saggio di Reichenbach, “Axiomatik
der relativistischen Raum-Zeit-Lehre”, che mette le cose da un punto di vista
molto affine a quello che Eugenio vorrebbe sviluppare. La lettera, conservata
nel Fondo Geymonat presso la Biblioteca del Museo civico di storia naturale di
Milano, è citata da M. Quaranta (La scoperta di Eugenio Colorni), il quale
commenta: «Ora, se è rintracciabile in Kant una nozione rigida dell’a priori,
letture kantiane sviluppate in quegli anni da Ernst Cassirer e Hans
Reichenbach, in Italia da Giulio Preti, vanno nella direzione di accogliere la
fecondità del “metodo trascendentale”; le indagini epistemologiche di Colorni
si inseriscono in questa linea di ricerca. Questo capoverso, da Agli scopi fino
a Hilbert, è cancellato a penna nel testo dattiloscritto. Il riferimento è ai
Grundlagen der Geometrie (Fondamenti della geometria) di Hilbert. me rettilinei
e di velocità di propagazione uniforme, non è detto che risulti verificato
l’assioma di Euclide; e questo assioma, se è verificato per il sistema
costruito da un determinato osservatore, necessariamente non è verificato per
il sistema costruito da un altro osservatore, dotato rispetto al primo di
movimento non uniforme. Cinque scritti metodologici Programma1 Supponiamo che
l’uomo viva in un palazzo le cui porte sono tutte chiuse. Egli non ha le
chiavi. Cioè egli ne possiede un mazzetto, ma non sa se esse si adattino alla
serratura, né quale chiave a quale serratura. Prova, riprova, si costruisce
nuove chiavi nella continua speranza di potere un giorno abitare tutto il
palazzo. Lo scienziato è un uomo al quale è riuscito di aprire una porta. Una
chiave, per sua fortuna, o per sua abilità, ha girato nella toppa. Egli apre, e
trova nella camera immensi tesori, li utilizza3 , li mette a disposizione degli
altri uomini che lo ringraziano ammirati. Da quel momento4 la camera è
accessibile a tutti. Entusiasmato, lo scienziato vorrebbe aprire tutte le porte
comincia ad acquistare manie di grandezza. Vorrebbe aprire tutte le porte5 . La
chiave comincia a diventare uno strumento pericoloso nelle sue mani. Egli la
vuole usare dappertutto. Il risultato è che sfonda le serrature. Ci vorrà6 poi
una gran fatica per accomodarle e per trovare o costruire una nuova chiave che
permetta di aprirle (Fuor di metafora: p. es. la medicina è stata rovinata per
secoli dall’ossessione del metodo meccanicistico, che aveva fatto meraviglie
nel campo della fisica. E si è voluto risolvere tutto a base di anatomia, di
rapporti e di modificazioni di tessuti. Nella maggioranza dei casi non si è
cavato un ragno dal buco). Il filosofo, invece, cosa fa? Egli non ha avuto la
fortuna o l’abilità di aprire una porta, ma anche lui è preso dall’ossessione
di aprirle tutte. Con la chiave9 dello scienziato o con un’altra di sua
fattura. La sua ossessione è forte, meno pericolosa10 che quella dello scien1
FS, sez. 3, Attività professionale, 1929-2003, serie 1, Carte organizzate da Vittorio
Somenzi, 1929- 2000, 2, Scatole grigie, 1, Eugenio Colorni e Italo Cotone, b.
3, Colorni. Nel dattiloscritto un primo titolo, barrato, recita come segue:
«SCIENZA E MATERIALISMO // È un caso che tutti gli scienziati tendano ad essere
materialisti? // PROGRAMMA». A margine, scritto a penna, il titolo è fissato
così: «SCIENZA E REALISMO». Un asterisco rimanda alla seguente nota
manoscritta: «(V[edi]. l’“Apologo su quattro modi di filosofare”, altro inedito
di Colorni, in Sigma. Sempre a margine, si ha l’indicazione di stampa, a penna:
«Corpo 10 tondo 11 // giustezza – 10 su 12. Poiché lo scritto si discosta
spesso – nella forma, mai nella sostanza – dalle precedenti edizioni (nelle
quali esso risulta per altro incompiuto), è parso utile indicare in nota le
differenze fra le diverse versioni. Per questo stesso motivo ho talvolta
esplicitato le correzioni e gli interventi sul dattiloscritto. La sigla FS
rimanda al testo presente fra le carte di Somenzi; la sigla E a quello
dell’edizione Einaudi. Benché sia barrato, e per consentire una più chiara
identificazione, si è preferito mantenere il titolo Programma. 2 per sua
fortuna, o per sua abilità FS : per sua fortuna o per sua abilità E. 3 immensi
tesori, li utilizza FS : immensi tesori. Li utilizza Di seguito nel testo di E.
5 lo scienziato vorrebbe aprire tutte le porte comincia ad acquistare manie di
grandezza. Vorrebbe aprire tutte le porte FS : lo scienziato vorrebbe aprire
tutte le porte E. 6 le serrature. Ci vorrà FS : le serrature, ma ci vorrà E. 7
di aprirle (Fuor di metafora FS : di aprirle. (Fuor di metafora E 8 Il
filosofo, invece, FS : Il filosofo invece, E aprirle tutte. Con la chiave FS :
aprirla con la chiave E. 10 è forte, meno pericolosa FS : è forse meno pericolosa
E. Eugenio Colorni ziato, ma più intensa. Per lo scienziato essa è necessaria
accessoria11. Il massimo sforzo è già stato compiuto12 nel trovare la chiave.
Il tentativo di allargamento è spesso solo abbozzato. Il filosofo, invece, è
tutto fatto di questo bisogno. Egli è abbastanza accorto per avvedersi che il
correre da una parte13 all’altra con la medesima chiave si risolve in un danno
e in un disordine. Egli vuole soddisfare alla sua esigenza in un modo
sistematico, che non lasci residui. La sua ossessione è che il palazzo sia completamente
abitabile, aperto in tutte le camere, dai saloni ai ripostigli. Che cosa fa per
soddisfarsi? Si costruisce un palazzo a suo uso e consumo, simile il più
possibile a quello vero, in cui tutte le serrature siano apribili con una sola
chiave, o con le varie chiavi che ha a sua disposizione. Lì si rinchiude; lì15
gli sembra di vivere tranquillo. Ma il palazzo è di cartapesta. In poco tempo
crolla. Le camere sono identiche a quelle dell’altro palazzo, ma sono vuote. Il
poterle aprire non dà all’uomo maggior ricchezza e maggior17 potenza. A volte
avviene che nel lavoro di costruire, al filosofo venga fatto di scoprire o
inventare una chiave nuova, che gli altri uomini possono usare, e provare nelle
varie serrature. In questo caso egli sarà ammirato e studiato solo per questa
invenzione fortuita o strumentale, che nelle sue intenzioni non doveva essere
che un dettaglio del grande edificio. E il grande edificio scompare. Dopo un
secolo nessuno ci crede più, nessuno può più abitarvi dentro. Lo si considera
come un bel rudero, come l’interessante documento di un’epoca; lo si apprezza
per un certo impulso che indirettamente, nei coi suoi contorni, ha dato alle
lotte e alle ricerche dell’umanità. Gli storici, gli esegeti, cominciano a
scuoterlo per vedere se, non potendosene più servire in blocco, non si trovi
del buono fra il materiale della costruzione. E cominciano a distinguere “ciò
che è vivo e ciò che è morto” e a manipolare il sistema ai propri fini. Ne
risulta che ogni pensatore viene, di regola, apprezzato dai posteri per motivi
che egli non avrebbe immaginato e che sono estranei alle sue intenzioni
fondamentali. Quello che egli aveva creduto il suo vero apporto alla cultura e
alla civiltà viene considerato inutile. Il dispendio di energie è enorme.
Vediamo gli uomini più intelligenti dell’umanità dirigere tutti i loro sforzi
per raggiungere mete che andranno poi completamente perdute; e 11 necessaria
accessoria. FS : accessoria, sopraggiunta. E. già stato compiuto FS : già compiuto E. parte FS : porta E. 14 sola chiave, o con FS :
sola chiave o con E. 15 Lì si rinchiude; lì FS : Là si rinchiude, là E. 16 di
cartapesta. In poco tempo crolla. Le FS : di cartapesta, non di mattoni veri.
In poco tempo crolla, si disfa. Le E. 17 ricchezza e maggior FS : ricchezza o
maggior E. scoprire o inventare FS : trovare E. 19 possono usare, e provare
nelle varie FS : possono usare nelle varie E. 20 rudero FS : rudere E. 21 nei
coi suoi FS : nei suoi E. scuoterlo FS :
smontarlo E. ogni pensatore viene, di regola, apprezzato FS : ogni pensatore
(come spesso anche ogni poeta) viene di regola apprezzato E. 24 immaginato e
che FS : immaginato, e che E. Cinque scritti metodologici: 27 siamo costretti a
racimolare con fatica alcuni residui del loro lavoro. Nella25 scienza le cose
sembrano andar meglio. Siamo per lo meno nel palazzo vero, dove le camere sono
piene di ricchezze; e là dove la chiave ha aperto la porta, la potenza
dell’umanità ne è stata infinitamente aumentata. Ma se la porta non si apre?
Dai Greci al Rinascimento, per duemila anni, gli uomini si sono affaccendati a
costruir26 chiavi di tutti i generi e magnifici palazzi di cartapesta. Ma
nessuna porta dell’edificio vero si è aperta ai loro sforzi. Da Galilei e
Bacone27 in poi, alcune sembrano cedere. Una, quella28 del meccanicismo fisico
si è addirittura spalancata. Ma quante restano ancora chiuse[!]?29 Quale sarà
per esse la chiave giusta? L’abbiamo già in mano o dobbiamo ancora
costruircela? E come sfuggire alla continua tentazione di usare per ogni porta
quella che ha fatto una volta buona prova, col rischio di rovinare tutto? La
filosofia odierna, anziché costruire bei palazzi di cartapesta, dovrebbe
proporsi il compito di affacciarsi a questi problemi, e tentare di mettere un
certo ordine, allo scopo di evitare sforzi inutili e raggiungere risultati il
più possibile concreti. Dovrebbe anzitutto esaminare le chiavi che abbiamo in
mano, cioè i criteri di ricerca, i metodi d’indagine coi quali noi affrontiamo
il reale e cerchiamo di renderlo utile ai nostri usi. Criteri che, ormai ciò è
chiaro a tutti, trasformano31 radicalmente la realtà, operando una scelta che
ci fa scorgere solo ciò che da essi può essere afferrato. Ciò che noi chiamiamo
realtà è evidentemente condizionato non solo dai nostri sensi, ma da tutto l’insieme
delle forme, delle categorie, dei criteri associativi e interpretativi senza
dei quali non ci è possibile di pensare e di percepire alcunché. Criteri che
noi potremo studiare, scomporre, modificare; senza però poter mai uscire dal
campo di un’attività del soggetto costitutiva della realtà stessa. Noi34 non
possediamo, allo stato attuale delle nostre conoscenze, alcun nesso mezzo per
eliminare il sole lato35 soggettivo della nostra nozione della realtà; anzi
abbiamo seri elementi per propendere a ritenere che la nozione di una realtà
oggettiva, da noi indipendente,36 sia un’ipostasi della nostra mente,37 do25 A
capo in E. costruir FS : costruire E. Da Galilei e Bacone FS : Da Galileo a
Bacone E. Una, quella FS : Quella E. 29 Chiuse[!]? FS : chiuse! E. 30
d’indagine a penna nel testo FS : ermeneutici E. che, ormai ciò è chiaro a
tutti, trasformano FS : che – ormai ciò è chiaro a tutti – trasformano E. Queste righe, e quelle immediatamente
successive, rappresentano una sorta di compendio della filosofia colorniana,
ossia del ruolo essenzialmente critico-metodologioco che, muovendo «dalla
grande scoperta kantiana» (E. Colorni, Filosofia e scienza, p. 240), essa
dovrebbe svolgere. A capo in E.Di seguito in E. alcun nesso mezzo per eliminare
il sole lato a mano nel testo FS : alcun mezzo per eliminare il polo E. 36
oggettiva, da noi indipendente, FS : oggettiva da noi indipendente E. 37 mente,
FS : mente E. Eugenio Colorni vuta ad un
nostro fondamentale bisogno di contrapporre alcunché a noi stessi, di urtarci
contro qualche cosa, di polarizzare il contenuto della nostra coscienza in un
passivo ed un attivo. Vedi Fichte (Trascendenza interna)38. Ciò che chiamiamo
realtà non è dunque né l’oggetto né il soggetto39, ma alcunché nella costituzione
del quale il soggetto, con i suoi criteri e le sue categorie, ha una gran parte
e41 che noi, per comodità di studio, consideriamo per un istante come dato di
fronte a noi, coscienti che con ciò noi poniamo di fronte a noi qualche cosa
cui partecipiamo noi stessi. Ora questo “qualche cosa” gli uomini si sforzano
di manipolarlo ai loro usi, di penetrare nella sua costituzione, di prevedere
il suo divenire, di costruire in base alle previsioni. A seconda che si
accentui il carattere oggettivo o soggettivo di questo lavoro, lo consideriamo
un “penetrare nelle leggi della natura” oppure un estrarre dalla natura un
certo numero di elementi regolari per usarli a loro vantaggio, un cedere alla
natura” o un “farle violenza”, e si chiamano positivisti o pragmatisti. Ma
questa distinzione riguarda il significato metafisico dell’attività umana, non
la sua conformazione, i suoi procedimenti, il suo fine: che è ciò che
c’interessa qui di indagare per contribuire al progresso dell’umanità46. Lo
scienziato non conosce concretamente un problema del carattere pratico e
teorico47 della sua attività. Egli non si domanda mai, seriamente, se ciò che
lo spinge alla ricerca sia il “bisogno di sapere” inteso come fine a sé stesso,
o la speranza che gli uomini possano ricavare un utile dalla sua scoperta. Egli
si dedicherà secondo la sua attitudine ad un campo più vicino alla ricerca pura
o più vicino alle applicazioni. Ma nella sua mente ricerca e applicazione
costituiscono un tutto unico di cui solo per comodità di studio e per la
necessità della divisione del lavoro egli scinde a volte le parti. La scoperta
si considera come la naturale, evidente premessa dell’invenzione:51
l’invenzione come la conseguenza della scoperta. L’antitesi
positivismo-pragmatismo non ha senso per lo scienziato, e non moVedi Fichte
(Trascendenza interna) FS : (Vedi Fichte, Trascendenza interna) E. Su questo
aspetto della metodologia colorniana, si legga quanto affermato da Ferruccio
RossiLandi, che rileva fra l’altro, negli scritti colorniani, la presenza di
«quel disimpegno dalla visione realistica del mondo […] che è merito della
migliore critica idealistica, soprattutto negli sviluppi dell’attualismo»
(Sugli scritti di Eugenio Colorni, in «Rivista critica di storia della filosofa
né l’oggetto né il soggetto FS : né il soggetto né l’oggetto il soggetto, a mano nel testo FS : l’uomo parte
e FS : parte; e E. A capo in E. un estrarre dalla natura un certo numero di
elementi regolari per usarli a loro vantaggio, FS : un “estrarre dalla natura
un certo numero di elementi, regolarli per usarli a loro vantaggio”; E. 44 “un
cedere FS : un “cedere E. 45 violenza”, e FS : violenza”. E E. 46 per
contribuire al progresso dell’umanità FS : per raggiungere risultati utili e
teorico FS : o teoretico sé FS : se E. 49 dedicherà secondo la sua attitudine
ad FS : dedicherà, secondo le sue attitudini, ad E. Ma nella sua mente ricerca
FS : Ma, nella sua mente, ricerca
dell’invenzione: dell’invenzione; E. Cinque scritti metodologici: difica
in nulla il suo agire. Lo scienziato lavora insomma su qualche cosa che egli ha
di fronte a sé e della quale sono elementi costituenti alcune “forme” e
“categorie” che provengono dalla sua mente, incorniciano la realtà e gliela
rendono comprensibile e afferrabile. Di queste forme o categorie egli ne
considera alcune come appartenenti alla realtà, esistenti assolutamente al di
fuori di sé. Quali sono? Sono quelle cui egli si sente necessariamente legato,
di cui non può in alcun modo fare a meno, senza le quali gli sarebbe
impossibile vedere e pensare. Kant ne ha elencato5 alcune: spazio, tempo,
causalità, numero ecc. Egli ha riconosciuto sì che esse vengono imposte alle
cose dallo spirito dell’uomo; ma col dare ad esse un carattere necessario ed a
priori, ha ammonito gli uomini sulla impossibilità di uscire da esse. Infatti
gli uomini comuni, senza preoccuparsi della loro provenienza e accontentandosi
del fatto che di quelle categorie non si può fare a meno, le attribuiscono
senz’altro alla realtà. Ma l’osservazione di Kant ha messo tutti sul chi vive;
e la curiosità di vedere al di là del “velo di Maja” delle categorie si è fatta
sempre più intensa. Si può dire che la filosofia si sia scissa a questo
proposito in due opposte direzioni, a seconda che l’ammonimento di Kant sia
stato seguito o no. Fra quelli che l’hanno seguito, gli scienziati60 hanno
continuato a considerare le categorie come reali, e a lavorare in un mondo
costruito sulla base di queste categorie, contentandosi a volte di mantenere
nello sfondo l’ombra di un inconoscibile (Spencer, positivisti), oppure62 di
acquisire coscienza della relatività dei loro sforzi, limitando63 il compito
della scienza alla costruzione di ipotesi semplici e maneggevoli (Poincaré,
pragmatisti). Su questa via essi hanno continuato ad ottenere un buon numero di
successi, proseguendo quell’indagine e quello sfruttamento della natura che era
cominciato con Galilei e Newton, e che consisteva nell’uso sistematico di
quelle categorie che poi Kant elencò. Ma si ha già da qualche tempo
l’impressione che il campo stia per esaurirsi e che non restino da fare in
questa direzione se non scoperte particolari di importanza ristretta. I
filosofi invece, insofferenti di qualsiasi dualismo o relativismo, e
preoccupati di saldare l’unità del reale, preferiscono eliminare la tentazione
del52 A capo in A capo in E. 54 impossibile FS : assolutamente impossibile E. elencato FS : elencate E. spazio FS : Spazio
E. numero ecc. FS : numero, ecc. E. A capo in E. filosofico FS : filosofico
scientifico E. 60 no. Fra quelli che l’hanno seguito, gli scienziati FS : no.
(I) Fra quelli che l’hanno seguito (a) gli scienziati E. categorie,
contentandosi FS : categorie; contentandosi positivisti), oppure FS : positivisti); oppure
E. sforzi, limitando FS : sforzi; limitando E. 64 Newton, e FS : Newton e di FS : , di I filosofi invece, FS : (b) I filosofi,
invece, E. Eugenio Colorni 30 la “cosa in sé” col negarne addirittura
l’esistenza; e attribuire realtà assoluta al pensiero nella sua forma
universale68. In tal modo essi soddisfecero contemporaneamente all’esigenza
Kantiana69 di non uscire dalle leggi del pensiero e al bisogno tipicamente
filosofico di risolvere senza residui il problema della realtà; incuranti
d’altronde se questo loro sistema li conducesse o no a un qualsiasi risultato
apprezzabile che non si limitasse alla soddisfazione del loro bisogno di
completezza. Coloro invece71 che “hanno disubbidito” sembrano a tutta prima
disprezzare l’ammonimento di Kant e trascurare i limiti da lui posti: ma in
realtà sono essi suoi figli molto più che gli ubbidienti. Quel limite, quella
barriera appunto li ha eccitati ad andare al di là: ha indicato loro la
direzione verso cui rivolgersi Cominciamo74 questa volta dai filosofi. a) - Il
filosofo vuol gustare il frutto proibito. Ma egli sa oramai che non potrà mai
raggiungerlo con le categorie, con75 le quali Kant gli ha indicato così
chiaramente i limiti. Egli abbandona per sempre le illusioni della metafisica e
della teologia, cioè i tentativi di afferrare la realtà assoluta con gli
strumenti della ragione; ed76 è alla continua ricerca di un altro strumento che
gli permetta di raggiungere il suo scopo. Volontà, fede, intuizione, ispirazione:
in una parola l’irrazionale è ciò cui egli si affida. Ad esso egli attribuisce
tutte le possibilità che mancano alle categorie della ragione. Con esso egli
afferma di poter aprire tutte le porte del palazzo. Ma che garanzie gli dà la
nuova chiave? Semplicemente di non essere79 la vecchia. Ogni interpretazione
irrazionalistica del mondo, là dove non consista in esplosioni di entusiasmo, è
una polemica contro l’impotenza della ragione. Polemica spesso acuta e giusta,
ma che non costituisce un motivo bastante per accettare come criterio
definitivo tutto ciò che ragione non è. Le80 esplosioni d’entusiasmo81 ,
invece, sono a volte più interessanti e fruttifere. Esse ci permettono di
penetrare, sia pure in modo confuso, nella costituzione interna di queste
attività irrazionali; di conoscere un po’ meglio quali siano i loro
procedimenti. Ciò che ha paralizzato però tale indagine e non le ha permesso di
dare finora se non scar e FS : ed E. Evidente riferimento all’idealismo nei
suoi diversi modelli. 69 Kantiana FS : kantiana E. 70 se FS : che E. 71 Coloro
invece FS : (2) Coloro, invece, E. disubbidito” FS : disubbidito”, E. appunto
FS : appunto, E. 74 Di seguito in E. 75 categorie, con FS : categorie delle E.
76 teologia, cioè i tentativi di afferrare la realtà assoluta con gli strumenti
della ragione; ed FS : teologia – cioè i tentativi di afferrare la realtà
assoluta con gli strumenti della ragione – ed E. 77 parola FS : parola, E. 78 A
capo in E. essere FS : esser E. A capo
in E. d’entusiasmo FS : di entusiasmo E. Cinque scritti metodologici: 31
sissimi risultati,82 è che tali attività sono sempre state descritte appunto
col presupposto e con l’esigenza di attribuire ad esse un valore assoluto,
molto superiore a quello della ragione. Preconcetto il quale ha naturalmente
deformato la descrizione ed ha impedito qualsiasi seria indagine sull’uso che
di questi atteggiamenti si potrebbe eventualmente fare. Anche qui la fretta di
chiudere il circolo e il bisogno filosofico di rinchiudersi in un edificio
abitabile in tutte le sue parti ha impedito di compiere qualsiasi vero
progresso. E le interpretazioni irrazionalistiche della realtà si sono succedute
l’una all’altra senza condurre l’umanità ad alcuna conquista stabile. È questo
un fenomeno che si ripete da secoli; ché la constatazione delle insufficienze
della ragione e il tentativo di affidarsi ad attività irrazionali non data da
Kant, ma è vecchio, si può dire, quanto la nostra civiltà. E la massa di
esperienze che si è venuta raccogliendo è83, se non ordinata, pure imponente; e
dà l’impressione di una grande miniera inesplorata85 in cui il materiale
prezioso è unito con le scorie. Siamo qui ad uno stadio di evoluzione e di
sfruttamento molto meno sviluppato che nel campo della ragione. Il materiale
della ragione è stato esplorato a fondo, inventariato, ordinato dal pensiero
greco e dalla scolastica. Con Galilei e Newton ha trovato il campo cui applicarsi,
conducendo ai vastissimi risultati che conosciamo. Kant infine88 ne ha
tracciato i limiti segnando insieme (forse un po’ in anticipo) l’esaurirsi
della miniera dal89 quale esso traeva ricchezze. Il campo dell’irrazionale
probabilmente comprende regioni infinitamente più vaste che quelle della
ragione, contenenti materiale dal carattere più eterogeneo, atto agli usi più
disparati. Il fatto solo che siamo abituati a classificarlo secondo la rubrica
negativa del “non rientrare nella ragione” ci mostra lo stato disordinato delle
nostre conoscenze al proposito. Ordinare questo mondo in modo che ci possa
servire, analizzarlo con mente tranquilla e senza preconcetti entusiasmi od
avversioni, liberarlo dal continuo incubo del confronto con la ragione ed infine
tentare se alcuni dei dati così ottenuti ci possono90 servire come criterio per
risolvere qualche problema, come chiave per aprire qualche porta: ecco il
compito che s’impone oggi alla nostra indagine91 . Va92 da sé che i metodi da
usarsi non saranno i medesimi che si sono usati per il mondo razionale: e che
l’ordine ottenuto non assomiglierà neppure da lontano a quello che noi
conosciamo nel campo logico-matematico. La parola 82 risultati, FS : risultati
E. raccogliendo è, FS : raccogliendo, è, E. 84 imponente; FS : imponente: E. 85
inesplorata FS : inesplorata, E. 86 unito FS : misto E. 87 A capo in E. 88 Kant
infine FS : Kant, infine, E. dal FS : dalla possono FS : possano Nietzsche»,
afferma Colorni in Critica filosofica e fisica teorica aveva indicato, con
acredine iconoclasta, il cammino. Ci fu chi lo seguì col pacato distacco
dell’indagatore, ove il riferimento è chiaramente al metodo psicoanalitico. Di
seguito in E. Eugenio Colorni stessa “ordine” non vuole avere qui che un
significato analogico. Si tratterà di attingere nel mondo stesso dell’irrazionale
per trovare in esso dei punti intorno a cui quella materia possa coagularsi e
offrirci dei punti di appiglio per essere da noi usata. Sarebbe assurdo e
avventato dare qui direttive e indicazioni. La riuscita di questo lavoro
dipenderà dalla fantasia e dal fiuto di chi lo compie, dalla sua capacità di
servirsi liberamente di esperienze fatte in altri campi senza lasciarsene
suggestionare, dalla mobilità e ricchezza della sua facoltà di combinazione. Il
risultato massimo sarà di mettere l’umanità in possesso di una o più nuove
chiavi capaci di scoprire nuove leggi del reale o, se preferite, di costruire
nuovi sistemi di concordanze che si offrano al nostro uso e ci permettano di
soddisfare alcuni nostri bisogni. b) - Lo scienziato che dalla messa a punto
kantiana ha ricevuto l’impulso ad andare al di là delle categorie, non
s’indugia però nella ricerca dell’irrazionale, che non offre, finora, alcuna
presa ai suoi metodi. La sua mentalità è ancora imperniata completamente sul
razionalismo logico-matematico, che ha permesso ai secoli scorsi di compiere le
grandi scoperte di cui vive la nostra civiltà. Ed il superamento che egli vuol
compiere non98 è un superamento di principio, trasportandosi di un salto in un
mondo completamente diverso, ma graduale, volta a volta seguendo le esperienze
che non sono giustificabili mediante le leggi finora conosciute. Egli non si
domanda quale sia la realtà assoluta che si cela agli occhi degli uomini dietro
il velo delle categorie; ma piuttosto come sia possibile apprendere e organizzare
il materiale secondo categorie che siano diverse da quelle finora usate. In
questo senso egli è molto meno realista che il del filosofo idealista o mistico
o che lo dello scienziato positivista. E in questo senso si può quasi dire che
egli porti una conferma sperimentale, se non alla necessità a priori delle
categorie kantiane, almeno alla dottrina kantiana delle categorie. Lo
scienziato di regola non ha letto Kant. dei FS : quei E. campi senza FS : campi, senza E. concordanze
FS : concordanza E. E. logico-matematico, che FS : logico-matematico che compiere
non FS : compiere, non E. di un FS: d’un
E. e FS : ed E. che il del FS : che il E. 102 che lo dello FS : che lo E. Proprio
in questo comune punto di arrivo», scrive Colorni in Critica filosofica e
fisica teorica trattando delle diverse forme della filosofia e della
epistemologia postkantiane, «in questa medesima esigenza, in questa eguale
preoccupazione di raggiungere una base stabile cui si possa attribuire un
valore obbiettivo, tali diversi modi di procedere riconoscono forse tra di sé
quella parentela di premesse e di fini che permette loro di attribuirsi il nome
comune di filosofia. La scienza, al contrario, e precisamente perché figlia
della rivoluzione kantiana, rifiuterà al contrario di operare secondo il
criterio delle affermazioni di verità per muoversi attraverso un procedimento
di composizione e scomposizione della propria materia. sperimentale, se FS :
sperimentale se E. 105 Kantiane FS : kantiane E. Kantiana FS : kantiana E. Cinque
scritti metodologici. Ma l’atmosfera diffusa del Kantismo e la nozione stessa
della categoricità del reale gli suggeriscono di porsi, di fronte ad una nuova
esperienza inspiegabile, nell’atteggiamento di colui che attribuisce tale
inesplicabilità alla violenza che le categorie tradizionali operano sulla
ricerca organizzando ogni dato secondo le loro forme. Dal quale atteggiamento
deriva direttamente il tentativo di modificare le categorie e provarle di
nuovo, così modificate, sul metro della interpretazione scientifica.
Modificare, ho detto, non abolire. Qui si mostra la modestia dello scienziato,
il suo voler provare una dopo l’altra le chiavi, il suo volontario limitare il
proprio orizzonte. Da quando egli si è accorto di usare delle categorie nella
formulazione delle sue leggi, è continuamente tentato di provare che cosa
avverrebbe se queste categorie fossero fatte altrimenti. Come si
comporterebbero i fenomeni in uno spazio che non sia quello euclideo? Materia,
energia, sostanza, causalità. Che aspetto avrebbe un mondo in cui queste
categorie si presentassero con caratteri diversi da quelli che hanno finora
avuto? L’elemento a priori del reale, divenuto cosciente nell’uomo, comincia ad
eseguire un gioco di spostamenti, di retrocessioni, di modificazioni tale da
trasformare completamente l’immagine della realtà sulla quale gli uomini
lavorano: come un obbiettivo che abbia imparato ad aprirsi e a chiudersi, a
mettersi a fuoco a seconda delle esigenze dell’oggetto da ritrarsi. E se da un
lato si può dire che questo accomodamento delle categorie viene imposta dalle
modalità della ricerca scientifica, cioè dalle esperienze e dalle osservazioni
che non è possibile far rientrare nelle categorie finora usate (cioè quelle
dell’universo newtoniano), d’altro lato è avvenuto forse che gli scienziati,
tratti dalla vaga sensazione di essere sul punto di crearsi nuovi strumenti per
l’apprensione del reale, fossero attratti appunto da quelle esperienze che dei
nuovi strumenti potessero aver bisogno. L’esperienza non è mai evidentemente
qualche cosa di puramente passivo, e vi è sempre un motivo perché lo
sperimentatore raccolga la sua attenzione su di un fatto piuttosto che su di un
altro108. Comunque se la conformazione delle singole categorie è stata
fortemente modificata dalla scienza moderna, non è stata modificata, anzi è
stata rafforzata la coscienza della categoricità del reale. Il filosofo può
giungere con ragione alla conclusione che le nuove teorie fisiche non hanno
intaccato la concezione Kantiana del mondo. Noi diremmo che esse hanno tratto
da quella concezione le uniche conseguenze che aprono alla mente umana nuove indefinite
prospettive di ricerca. Le quali non consistono in una vaga e problematica
evasione dalle categorie, ma in una tranquilla accettazione del fatto che non è
possibile prescindere da una “categoricità”. Accettazione che permetta però la
continua revisione delle esistenti. Kantismo e la nozione stessa FS : kantismo
e la nozione stessa E. Da questo punto comincia la conclusione assente nelle
precedenti edizioni del testo. 108 Sulla revisione colorniana del concetto di
esperienza, cfr. supra § 3. 109 Colorni non si astiene mai dal sottolineare,
nei suoi scritti metodologici, «quanto vantaggio derivi alla scienza stessa
dall’eliminazione del suo substrato metafisico-finalistico» (E. Colorni, Del
finalismo nelle scienze, pp. Cfr. p.e. Id., Critica filosofica e fisica teorica.
Non c’è miglior propaganda per un nuovo atteggiamento intellettuale e morale
che il fatto che esso si dimostri una chiave capace di aprire molte porte nel
campo della scienza e della conoscenza». Eugenio Colorni 34 categorie; cioè di
quelle categorie dalle quali la mente umana al suo stato attuale non può
prescindere. Non è forse inutile precisare che tale revisione non ha nulla a
che fare con quelle discussioni sulle classificazioni delle categorie di cui i
filosofi così spesso si dilettano. Non si tratta affatto di discutere se le
categorie siano dodici o dieci, o quattro o una. Se il “finalismo” costituisca
una categoria a sé o rientri in un’altra. Se l’“economico” e l’“estetico” siano
modi autonomi o meno di considerare le cose. Non si tratta di organizzare le
forme conosciute del pensiero, e accordarsi su quali si debbano considerare
originarie, quali derivate. Il lavoro da compiersi è molto più profondo e
creativo. Si tratta di dare allo spirito umano la possibilità di vedere le cose
in modo completamente diverso da quello usato finora; di fornirlo di un nuovo
senso, mediante il quale egli possa scoprire cose finora sconosciute, risolvere
problemi finora insolubili. L’atteggiamento “critico” in senso Kantiano si
mostra così come l’ultima fase di tutta un’epoca e di un modo di prendere
contatto col reale. La scienza messa nella possibilità di prendere piena
coscienza non solo dei propri metodi, ma delle premesse necessarie di ogni sua
costruzione, riceve da ciò l’impulso a superare tale necessità ed a crearsi
premesse nuove. Il lavoro che qui compie lo spirito non ha solo i caratteri di
una ricerca intellettuale. Ne fanno parte alcuni atteggiamenti che possiamo
raccogliere sotto il nome generico di morale. Si tratta di uno sforzo violento
contro un modo di considerare le cose cui tutto ci tiene legati, di tendenze
alla liberazione, di salti fuori dal mondo cui si apparteneva. Si cerca di
rifarsi una “nuova mentalità”, di vedere le cose con occhi diversi, di
ritornare semplici, di rifiutare le costruzioni già fatte. Ci si affida alla
fantasia, all’invenzione, all’intuizione, per immaginarsi mondi diversi da
quello che siamo abituati a vedere. Tutti questi movimenti di conversione dello
spirito, che siamo abituati [ad] attribuire al mistico o all’uomo desideroso di
purificazioni o di visio. È questo il tema affrontato fra l’altro nel dialogo
di Commodo dedicato a Dell’antropomorfismo nelle scienze, là dove Colorni,
stabilendo la necessità di rovesciare l’umana tendenza a ricreare una natura
fatta a propria immagine e somiglianza, distingue due differenti forme di
antropomorfismo, a seconda che si sia o meno consapevoli – e si sappia quindi
controllarne i risultati – della nostra impossibilità di prescindere dalla
“categoricità del reale”: il primo antropomorfismo è «una constatazione, o
meglio una necessità, dalla quale non siamo riusciti a uscire, l’altro è invece
una esigenza. Ora io odio le esigenze. Non ho nemmeno alcun motivo di amare le
necessità, ma da queste non vedo alcun modo per liberarci, se non
illusoriamente. Evidente riferimento allo storicismo crociano, su cui Si mostra
qui, in tutta la sua originalità, il senso più profondo che Colorni attribuisce
al kantismo all’interno della storia del pensiero filosofico e scientifico
della modernità. E. Colorni, Critica filosofica e fisica teorica (p. 206), ove
si sottolinea il carattere essenzialmente morale che caratterizza il primo
impulso alla scoperta scientifica: «alla base di ogni grande scoperta, di ogni
rivoluzione nel campo della scienza, c’è una conquista morale; l’abbattimento
di un idolo saldamente insediato e abbarbicato fra le pieghe della nostra
anima, di cui è estremamente difficile accorgersi, estremamente doloroso
liberarsi; idolo fatto per lo più di un cieco ed infantile amore per noi
stessi, di un bisogno di sentirsi circondati da forze a noi congeniali, di
veder ripetuto nell’universo, nella realtà oggettiva, ciò che sperimentiamo nel
nostro intimo». Cinque scritti metodologici: 35 ni, non devono essere stati
estranei a chi si è sforzato per il primo di immaginare la terra rotonda
anziché piana, o il sole immobile e non la terra in mezzo ai pianeti, o lo
spazio a quattro e non a tre dimensioni. Solamente che mentre il mistico suole
descrivere molto accuratamente il processo della conversione, ma si ferma solo
ad esso e non ci dà alcuna garanzia quando comincia a parlare di ciò che egli
trova “al di là”, lo scienziato invece compie la conversione silenziosamente,
spesso quasi inconsciamente; ma giunto al di à, cioè al nuovo punto di vista, è
sollecito ad occuparsi solo di ciò che sia non dico vero in senso assoluto, ma
usabile, cioè organizzabile in un ordine, in una legge. E per giungere a ciò
escogita esperimenti e controlli che gli diano la garanzia di camminare su un
terreno sicuro, sul quale sia possibile ai suoi strumenti di far presa. L’“al
di là” non è affatto una negazione del di qua, non è un assoluto privo di
categoria. È un mondo di nuove categorie che pretendono di essere più vaste, di
comprendere in sé anche le vecchie. Rotondo anziché piano, meccanismo anziché
finalismo, probabilità statistica anziché determinazione causale. La validità
delle nuove chiavi è determinata dal loro uso, cioè dalla maggiore o minore
possibilità che esse offrano di spiegare fenomeni, di risolvere problemi, di
formulare leggi. La maggiore difficoltà consiste nell’abituarsi al nuovo modo
di vedere. Non esiste neppure un vocabolario che permetta di esprimere le cose
nei termini delle nuove categorie, e si è comunemente costretti a ricorrere a
metafore tratte dal mondo vecchio. Gran parte del lavoro, nei primi tempi,
consiste nell’escogitare una formula di trasformazione che permetta di passare
agevolmente dai termini delle vecchie categorie a quelli delle nuove. Come le
leggi della prospettiva mi permettono di rappresentare su un piano ciò che ha
un volume nello spazio, così le “trasformazioni di Lorentz” mi permettono di
usare gli strumenti a mia disposizione (calcolo, misura, ecc.) nello spazio
normale, per il nuovo spazio einsteniano; analogamente la psicanalisi tenta di
tra Il dominio della natura è divenuto così il prezzo dell’incredulità. È come
se la grazia venisse a toccare proprio colui che ha cessato di sperarla. Il
coraggio di riconoscersi abbandonato da Dio, di rinunciare ad essere il centro
e lo scopo dell’universo, apre immediatamente l’occhio agli uomini, li
arricchisce d’un immenso patrimonio. A bella posta abbiamo espresso queste cose
in un linguaggio mistico. Quando Kant parla di rivoluzioni dovute all’ardimento
di un sol uomo, di illuminazioni subitanee, di vie improvvisamente aperte a chi
brancolava alla cieca, c’è in lui sicuramente la coscienza che una vera grande
conquista conoscitiva è sempre frutto – più che di uno sforzo logico o di uno
sviluppo dialettico – di un capovolgimento affettivo e morale; di una
inversione di valori, di una vittoria conquistata contro se stessi e contro ciò
cui con più profondi e tenaci ed inconsci vincoli siamo legati. Chi compie per
primo un capovolgimento deve anzitutto combattere nel suo intimo una lotta non
molto diversa da quella che combatte l’uomo che voglia raggiungere lo stato di
perfetta passività ed umiltà di fronte al suo dio. Molinos diceva che non
bisogna chiedere nulla a Dio, neppure la propria salvazione. Lo scienziato deve
pure rinunziare all’idolo di una natura che parli il suo medesimo linguaggio,
di un mondo organizzato in vista dei suoi bisogni e dei suoi organi. Solo
questa assoluta vuotezza e purità, questa mancanza di anticipazione gli
permetterà di aprire gli occhi su se stesso e sul mondo». L’osservazione
rientra pienamente nell’antirealismo della metodologia colorniana. D’altra
parte, risulta di particolare interesse il tentativo di delineare le
caratteristiche che dovrebbero assumere le nuove categorie rispetto a quelle
che volta per volta si vanno ad abbandonare. Eugenio Colorni sformare in
termini della coscienza ciò che è inconscio. Mediante tali trasformazioni si
aiutano anche gli altri uomini a trasportarsi sul nuovo piano; si forniscono
loro, per così dire, gli occhiali che permettono di vedere con la nuova
illuminazione, finché non si sarà tanto avvezzi da poter fare a meno di
occhiali, ed usare un linguaggio diretto. Ma il linguaggio appunto serba sempre
le tracce di ciò, e le etimologie documentano spesso tali mutamenti di registro.
Tale è, presso a poco, lo stato delle cose attualmente. Si veda, fra i riferimenti
colorniani alla psicoanalisi e a mero titolo di esempio, quanto è dall’autore
affermato nel dialogo intitolato Della lettura dei filosofi. La psicanalisi è
una scienza ad uno stadio che corrisponde circa a quello dell’astronomia prima
di Copernico, e dell’alchimia prima della chimica. Ha individuato in modo vago,
mitico, pieno di pregiudizi e di troppo rapide generalizzazioni, delle
relazioni e dei rapporti finora inosservati. Ha abbozzato una parvenza di
metodo di ricerca: metodo talmente incerto e malsicuro che il più delle volte
conduce a risultati opposti a quelli che si volevano ottenere. Ma insomma, si
muove in un campo completamente sconosciuto, e il materiale che sta portando
alla luce è di un tale interesse, che il rifiutarlo solo perché non è stato
ancora capace di organizzarsi secondo gli aurei schemi del metodo scientifico
mi sembra il colmo del filisteismo professorale». L’accenno alla possibilità di
una condurre una vera e propria analisi categoriale attraverso lo studio del
linguaggio è forse uno degli aspetti più interessanti ed originali di queste
pagine Cinque scritti metodologici Commodo a Ritroso Vedo che non sei sazio di
facili vittorie. Se il tuo scopo era di dimostrare che tu sai l’economia e io
no, l’hai raggiunto pienamente, a tua perenne gloria e soddisfazione. Ma se io
volessi ritorcere le tue intimazioni sulla mia abilità nelle scienze di cui mi
occupo, ti direi che, con tutta la tua bravura, non sei stato neppure capace di
chiarire il mio dubbio. Non te lo dico, perché sono sicuro che ci saresti
riuscito facilmente, solo che ti fossi occupato di capire attraverso gli sbagli
e le imprecisioni, quello che ho cercato di dire, anziché limitarti a sfogare a
tua rabbia. Se un dilettante o un principiante di teoria della scienza mi viene
a parlare di corpo rigido in un senso errato e diverso da quello usato dai
fisici, io cerco di capire quale concetto egli cerchi di adombrare dietro al
termine improprio; e mi guardo dal cedere alla meschina soddisfazione di
prenderlo in castagna ad ogni parola. Il fare così, con tua buona pace, si
chiama in italiano pignoleria. Io non voglio prendere sul serio questo tuo modo
di discutere che è probabilmente solo una reazione alla mia aggressività, e il
riflesso di arrabbiature prese non in questa ma in altre discussioni. E non ho
ancora perso la speranza di trovare in te un esperto ed aperto iniziatore ai
problemi dell’economia, anziché un geloso e gretto sacerdote del tempio della
scienza. Questo metodo, hai ragione, è supremamente irritante e presuntuoso; ma
a me è molto utile, perché mi permette, fra l’altro, di appropriarmi i concetti
fondamentali con maggiore consapevolezza, senza subirli, e mantenendo rispetto
alle scienze quel certo distacco che è pur necessario al critico e al
metodologo. Una nozione si forma molto più salda nella mia mente, quando ha
resistito vittoriosamente ai miei ripetuti attacchi, che quando l’ho dovuta
imparare dalle pagine di un manuale. 1 FS, sez. 1, Carte personali, serie 2,
Documenti diversi, b. 3, Inediti di Eugenio Colorni. Per la storia di questo
scritto in relazione agli altri dialoghi economici colorniani, si rinvia alla
Nota del curatore. Così si rivolge Commodo a Ritroso in E. Colorni,
Dell’antropomorfismo nelle scienze. Mi pare che tu sia un po’ troppo attaccato,
o Ritroso, alle prerogative professionali. Sei proprio sicuro che l’aver
frequentato una scuola ufficiale e aver letto molti trattati, e avere una lunga
consuetudine coi ferri del mestiere, sia una condizione assolutamente
necessaria per capire qualche cosa dei principî fondamentali di una scienza? Non
vi è mai capitato di dover dire a una persona una di quelle cose scottanti,
dopo le quali non si ha più il coraggio di guardarsi negli occhi? Ebbene, se
voi scegliete il partito di prenderlo in disparte con tono mansueto e fraterno,
mostrandogli comprensione ed affetto, e lo consolerete, e cercherete di
addolcirgli in tutti i modi la pillola; se farete questo, siete dei volgari
istrioni, innamorati di voi stessi, infatuati della vostra funzione, incapaci
di comprendere e di amare l’amico. Voi vorreste assestargli il colpo che darà
inizio per lui a una dolorosa lotta contro se medesimo, e in più avere la sua
gratitudine, la sua ammirazione. Vorreste, nel momento in cui egli si sente
basso e spregevole, apparirgli voi come l’arcangelo liberatore, il puro, il
disinteressato, l’immacolato. Se vi prende a calci, è il meno che possa fare.
Ditegli invece le medesime cose in un accesso di rabbia, in una lite violenta,
in cui voi avrete almeno altrettanto torto quanto lui. Buttategli in faccia
queste verità come veleno che schizzi dalla vostra lingua; dategli un appiglio
per difendersi, un’occasione di odiarvi, di considerare tutto ciò che gli dite
come falso e malvagio. Il vostro Eugenio Colorni Non so se questo possa
servire agli occhi tuoi da giustificazione. Non credere che questo metodo sia
in me qualche cosa di cosciente e di voluto. Me ne accorgo oggi per la prima
volta, cercando di analizzare perché le tue accuse mi colpiscono e insieme non
mi colpiscono. Delle tue osservazioni incasso senz’altro la lezione sulla
matematica; io non avevo avuto altra intenzione che di riinventare per conto
mio quell’ombrello; e naturalmente l’ho inventato più brutto, più goffo e
confuso di quello che c’è già. Il solo punto che non mi è ancora chiaro è
quello indicato nell’accluso foglietto. Mi basta che tu risponda a monosillabi
e credo che non ci perderai più di un quarto d’ora. PALINODIA COMMODO A RITROSO
Da principio mi sono preso una solenne arrabbiatura, e ti avevo già risposto
una lettera piena d’insolenze. Poi, nel rileggere tutto insieme a mente più
calma, ho visto che in fin dei conti hai tutte le ragioni. Ma, poiché le tue
accuse mi toccano solo in un certo speciale modo, vorrei spiegarti quanto segue
a puro titolo di chiarimento personale: Da uno che si avvicina ad una scienza
che non conosce è giusto di pretendere che lo faccia “con le ginocchia della
mente inchine” pronto ad apprendere anziché a criticare. Gli s’impone, e ben a
ragione, un lungo e silenzioso noviziato, solo finito il quale gli si potrà
accordare voce in capitolo. Tutto questo è giusto (e lo dico senza la minima
ironia). Ma il risultato è che un uomo, di solito, di questi noviziati ne fa
uno solo, e vi resta legato per tutta la vita. Si specializza in una materia, e
da essa non esce, salvo che per excursus curiosi e dilettanteschi. Ora a me
questo non è concesso, giacché i miei interessi più specifici si rivolgono alla
metodologia delle scienze. E dato che mi farebbe schifo risolvere il mio
problema dall’alto, escogitando un paio di criteri filosofici e applicandoli
poi come chiavi capaci di aprire tutte le porte6 ; sono costretto ad
avvicinarmi a insegnamento allora penetrerà nel suo cuore in modo umano, lieve,
benefico. Egli sarà libero di accoglierlo come cosa sua, e avrà modo di stimare
se stesso per non avervi serbato rancore. Nella sua accettazione ci sarà il
senso di fare una conquista, di costruire qualche cosa. Non vi temerà. Che sia
questo il senso del mito di Nereo, l’indovino col quale bisognava azzuffarsi
perché si decidesse a profetare?». Su questa immagine del mito di Nereo, rinvio
ad A. Cavaglion, «Il mio poeta». Colorni, Saba e la psicoanalisi, in G. Cerchiai
e G. Rota, Eugenio Colorni e la cultura italiana fra le due guerre, Cfr. quanto
spiegato nella Nota del curatore. Citazione a senso da Vergine bella, che di
sol vestita, dal Canzoniere di Petrarca (CCCLXVI, v. 63). E. Colorni,
Giustificazione, Colorni disprezza coloro che chiamano filosofia l’aver trovato
una formula per interpretare il mondo. La metafora della chiave è spesso
utilizzata da Colorni per indicare precisamente l’errore di scambiare la
ricerca filosofico-scientifica con la scoperta di un criterio esplicativo unico
ed onnicomprensivo. Su tale metafora cfr. anche Programma. ciascuna scienza,
non per esserne genericamente informato, ma con l’impegno di osservarne con
occhio critico gli interni meccanismi e cavarne conclusioni non genericamente
filosofiche, ma che possono aiutare il procedere della scienza stessa. Se
voglio far questo è chiaro che non posso pretendere di sfuggire al noviziato
più severo, in ciascuna delle scienze cui mi avvicino. E non mi sogno di
sfuggirvi. Posso però cercare di rendermelo più piacevole. Il metodo che,
inconsciamente, ho trovato, è questo: Anziché accostarmi a grossi trattati con
fare accogliente e passivo, pronto ad imparare e ad adagiarmi nell’ordine della
loro esposizione, io parto con la lancia in resta, pieno di idee sballate e
confuse, sfondando porte aperte ad ogni passo, ed inventando ombrelli,
desideroso di scontri e di battaglie. Da ogni scontro esco ammaccato e contuso
(come da questo con te) ma con un’idea più chiara. Ogni knoch out subito mi fa
fare un passo avanti nella comprensione della scienza. Così non evito
naturalmente, lo studio; e della lettura dei trattati non posso certo fare a
meno: ma mi riesce più piacevole leggerli come appassionati combattenti,
piuttosto che come amorosi pedagoghi. A patto, s’intende, di non impuntarsi
mai, e di essere pronto a riconoscere la sconfitta. Laboratorio dell’ISPF. Geri
Cerchiai ISPF-CNR, Milano. Laboratorio dell’ISPF. Saggi di Colorni conservati
presso la “Sapienza” Università di Roma, Biblioteca del dipartimento di Fisica,
Fondo Vittorio Somenzi. In essi Colorni espone alcuni dei punti chiave della
propria metodologia, delineando una proposta epistemologica destinata ad essere
riscoperta e apprezzata dopo la caduta del regime fascista, nel secondo
dopoguerra. Carlo Rosenberg. ‘G.
Rosenberg’. ‘Agostini’. ‘Franco Tanzi’. Eugenio Colorni. Parole chiave:
diadologia, il concetto dell’individuo, l’idealismo filosofico como malatia,
indice alla malatia metafisica, scritti filosofici curati da Bobbio, scienza
unificata, ebreo-italiano, ebreo-britannico Ayer, circolo di Vienna,
Reichenbach, Hilbert, Eddington. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colorni” – The
Swimming-Pool Library.
CONTE (Pavia). Filosofo.
Grice: “Must say I love Conte –
he has almost the same talent for
linguistic coinage that I do! In Italy ‘filosofia del diritto’ is much more
respectable a discipline that it is at Oxford! But Conte managed to keep it
philosophically interesting for the philosopher’s philosopher that I am!”
“Conte proves that moral philosophy is at the heart of philosopohy
qua-uni-virtue – for the critique of reason must include the buletic – and
that’s all that Conte dedicates his philosophy too! Into the bargain, he
expands into concepts like sacrifice, punishment, ‘fiducia’ (my principle of
conversational trust), and so much more!” “He plays with language the way only
Heidegger did in German and I in English!” --
-- Grice: “Conte is what I – and Italians – would call a ‘Griceian
conversationali pragmaticist.’” Studia
a Pavia e Padova. Si laurea a Torino sotto Bobbio con “Ius naturale.” Insegna a
Pavia. Si occupa della semiotica del performativo deontico o buletico, la
regola eidetico-costitutive, validità buletica – desirabilita -- deontica, modo
imperativo, prammatica conversazionale – alla Grice. In che cosa consiste
quell’’impero’, dal quale il modo imperativo prende il nome. Altre opere: “Interpretazione
analogica. Pavia, Tipografia del Libro, “Ius ed ordine” (Torino, Giappichelli).
Primi argomenti per una critica del normativismo. Pavia, Tipografia del Libro,
Ricerca d'un paradosso deontico” (Pavia, Tipografia del Libro); Nove studi sul
linguaggio normativo. Torino, Giappichelli); Filosofia del linguaggio
normativo. I. Studi; Torino, Giappichelli, Filosofia del linguaggio normativo.
II. Studi; Con una nota di Bobbio. Torino, Giappichelli); Imperativo ed ordine.
Studi Torino, Giappichelli); Filosofia del linguaggio normativo. III. Studi,
Torino, Giappichelli); Filosofia del diritto” (Milano, Cortina); Ricerche di
Filosofia del diritto” Torino, Giappichelli); “Res ex nomine” (Napoli,
Editoriale Scientifica); “Sociologia filosofica del diritto. Torino,
Giappichelli); “Adelaster. Il nome del vero” (Milano, LED). È inventore del
genere da lui chiamato "eido-gramma" ed autore di numerosi
eidogrammi, solo parzialmente éditi:
Nella parola. Osnago, Pulcino elefante, Kenningar. Bari, Adriatica. "Per
una critica della ragione deontica" (introduzione alla Filosofia del
linguaggio normativo). Pragmatica. Filosofia
del diritto Logica deontica Ontologia Performativo (atto verbale) Pragmatica
Semiotica Semantica. Grice: “Conte quotes from Aristotle’s Soph. El. On the
‘homonimia’ of deon’ – “sometimes for the good, but sometimes for the bad.”
Conte distinguishes between semantic ambiguity – surely ‘must’ or the
imperative mode does not have TWO senses – and ambivalenza prammatica. Since
Aristotle is refusing to use Frege’s idea of ‘Sinn’, and keep referring to ‘semeion’
(Latin segnare) rather, we may well conclude that Aristotle is just Greek
Grice. Conte does not dwell much on the imperative mode. Modo imperativo is
qualified. Modo is qualified as being modo verbale – the mode of the verb
impero. But then the future in French has a ‘valore imperativo.’ Conte is more
interested in the ‘must.’ But surely his quoting from Philippa Foot and his
joint work with von Wright into Kant’s hypo versus cate is very Griceian! On
top, Conte has a taste for local historical analysis and has discovered some
gems in some jurisprudential philosophers of his ‘paese’!” Amedeo Giovanni Conte. Keywords: the sorry
story of deontic logic, fondatore della logica deontica al Ghislieri di Pavia,
il giuridico, giudicare, giuridicare, impiego, employ (as noun), employ-ment,
empiegamento, Conte e Wright – Wright cited by Grice, alethic --. Wright on
change cited by Grice in “Actions and Events”, Mario Casotti, Volere, Grice,
Volere --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Conte” – The Swimming-Pool Library.
CONTESTABILE (Teano). Filosofo.
Grice: “I love Contestabile; I love a philosopher with a sense of humour! At
Oxford, it has become increasingly difficult to laugh at people’s surnames! But
‘grice’ means ‘pig,’ in Norwegian! – Anyway, Contestabile contests a
revisionist account of Bruno’s life – “surely he wasn’t a coward – I know
because of his links with the Campanella whom my family supported in his fight
against the furriners!” Cacciato con una telefonata» Intervista di Dino Martirano,
Corriere della sera. Con il Psi non ho ricoperto grandi incarichi ma ho avuto
l'onore di essere stato amico di Craxi. Mi mancherà la politica ma non è una
tragedia. Torno ai miei studi, alla filosofia medioevale. Mi mancheranno certi
momenti. Io, che ero stato nel Psi fin quando nel '92 la procura della
Repubblica lo ha sciolto, ricordo bene i mesi trascorsi al ministero della
Giustizia: col ministro Biondi fummo i protagonisti del tentativo fallito, però
generoso, di riportare la giustizia sui binari della normalità. Sciolto il
partito [Psi], chi si è fatto maomettano, chi ebreo, chi cattolico. Però sempre
socialisti siamo rimasti. Domenico Contestabile
avvocato e politico italiano Lingua Segui Modifica Domenico Contestabile
Sottosegretario di Stato del Ministero della Giustizia Durata mandato10 maggio
1994 – 17 gennaio 1995 PresidenteSilvio Berlusconi PredecessoreVincenzo Sorice
SuccessoreAntonino Mirone Vicepresidente del Senato della Repubblica Durata
mandato 16
maggio 1996 – 29 maggio 2001 PresidenteNicola Mancino Senatore della Repubblica
Italiana LegislatureXII, XIII, XIV Gruppo parlamentareForza Italia
CircoscrizioneLombardia CollegioCinisello Balsamo, Vigevano Incarichi
parlamentari Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia Sito istituzionale
Dati generali Partito politicoFI Titolo di studioLaurea in giurisprudenza
Professioneavvocato Domenico Contestabile (Teano, 11 agosto 1937) è un avvocato
e politico italiano. BiografiaModifica Laureato in giurisprudenza,
esercita la professione di avvocato. Entra in politica iscrivendosi al Partito
Socialista Italiano (partito a cui è appartenuto fino agli eventi che hanno
travolto tale formazione politica)[1]. In seguito aderisce a Forza Italia,
affermando che in tale movimento politico l'area socialista era ben accolta e
rappresentata[2]. Viene eletto senatore per la prima volta nel 1994 ed è
rieletto anche nelle due successive legislature. Dal 16 maggio 1996 al 29
maggio 2001 è stato vicepresidente del Senato[3] Incarichi
parlamentariModifica Ha fatto parte delle seguenti commissioni parlamentari:
Affari costituzionali e giustizia; Difesa. Membro, inoltre, della giunta per le
elezioni e immunità parlamentari. Sottosegretario di StatoModifica È
stato sottosegretario di Stato per la Grazia e giustizia nel primo governo di
Silvio Berlusconi (dal 13 maggio 1994 al 16 gennaio 1995). NoteModifica ^
Tutti i figli e i figliastri del garofano[collegamento interrotto], su
qn.quotidiano.net. ^ Adnkronos - Psi: Contestabile a De Michelis, noi stiamo
bene in FI ^ Senato - XIII legislatura Voci correlate Modifica Governo Berlusconi I Partito Socialista Italiano
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Bruno: una revisione contestata” – La storia della
filosofia è continua revisione, e non mi scandalizzo per il revisionismo
bruniano. Mi sembra però che questi non colga nel segno. La vita diBruno, dalla
fuga da S. Domenico Maggiore a Napoli fino al rogo di Campo dei Fiori a Roma, è
di singolare coerenza. Fu una vita “contro”. L’accusa implicita di opportunism mi
sembra perciò singolare. E’ vero che, durante il processo, ritratta molte sue
tesi, e avrebbe avuto salva la vita se avesse continuato in questo
atteggiamento. Alla fine però si stanca, e scelse lucidamente di morire.
E’ opportunista chi cerca solo di salvare la pelle, e poi decide di morire
perché ritiene che il suoi giudice ha esagerato? In quanto alla tesi sul Bruno
spia elisabettiana, essa non è, a mio giudizio, provata, anzi è smentita dalla
comparazione tra la grafia di Bruno e quella dei biglietti di spionaggio.
Infine, la tesi a proposito della relazione tra Campanella e Bruno non mi ha
mai convinto. Campanella (la sua rivolta e finanziata dalla nobile famiglia
Contestabile, come ricorda Firpo nel suo ottimo saggio sul processo a
Campanella) vuole poi un regime “comunista”? A leggere “La città del sole” non
si direbbe. Domenico Contestabile. Keywords: nobilita italiana, la
famiglia Contestabile financia la rivolta di Campanella -- filosofia
medioevale, Bruno. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Contestabile” – The
Swimming-Pool Library.
CONTI (Roma). Filosofo. Grice:
“Conti is a good one – he reminds me of Bosanquet and Pater – the decadents in
Italy came AFTER them at Oxford! Conti philosophised on many aesthetic
subjects, such as man, masculinity, and maleness --!” Di una famiglia originaria
di Arpino, dove frequenta il locale liceo. Si ccupa di filosofia estetica. D'Annunzio
lo cita nel “Giovanni episcopo” e si ispira a lui per ‘Daniele Glauro’ in “Il
fuoco”. Insegna a Firenze presso la Galleria degli Uffizi ed a Venezia presso
l'Accademia di Belle Arti. Saggio: “Zorzi; o Giorgione – l’estetica di Zorzi”
-- Tornato a Firenze, “La beata riva”, raccolta di saggi che delineavano la sua
concezione critica ed estetica, ispirata dichiaratamente a Platone, Kant e
Schopenhauer. La prefazione fu curata d’Annunzio, il quale scrive di stimare
molto Conti e di ammirare il suo “ascetismo” estetico. Direttore delle Antichità di Roma. Direttore
della Reggia di Capodimonte a Napoli. Si ispirò alla poetica del filosofo
oxoniese Pater e Ruskin. Altre opere: “Giorgione,
Firenze, F.lli Alinari, “Catalogo raggionato delle regie gallerie di Venezia,
Venezia, Tip. L. Merlo); La beata riva, Milano, F.lli Treves); Sul fiume del
tempo, Napoli, R. Ricciardi); “Dopo il canto delle Sirene, Napoli, R.
Ricciardi); Domenico Morelli, Napoli, Edizioni d'arte Renzo Ruggiero); “San
Francesco, con un saggio di Giovanni Papini, Firenze, Vallecchi); “Virgilio
dolcissimo padre, Napoli, R. Ricciardi). Praz nota che Parodi era solito
leggere La beata riva di Conti prima di addormentarsi; quando morì, la lettura
non era stata ancora terminata. Dizionario
Biografico degli Italiani, Forme del tragico nel teatro italiano. Modelli della
tradizione e riscritture originali,Romantici, vittoriani, decadenti – filosofo
decadente – decadentismo -- e museo dannunziano, in Bellezza e bizzarria – il
bello e il bizzarro., Croce, La letteratura della nuova Italia, Marcello
Carlino. A. Conti, Due conviti di Mattia Preti, Bollettino d'Arte. Io vengo dal mare di Napoli e sono tornato qui a
rivedere la primavera. Non c'è nessuna altra città in cui, come in questa, il
rifiorire degli alberi e delle siepi si accordi con la giovinezza delle opere
del genio umano, nessuna ove, come qui, la Primavera sembri rimanere per un
istante velata, per poi riapparire pili fulgida e piìi lieta, al ritorno dei
venti che spirano dalle colline e recano i nuovi fiori. Sono anche giunto fra
voi, per parlarvi della pittura di Leonardo. Ma il mio compito, dopo la lettura
deirillustre scrittore francese che m' ha preceduto, sarebbe oggi, non dico
diffìcile, ma quasi vano, se le mie idee fossero affini alle sue ed egli fosse
vicino al mio pensiero come io sono vicino al suo aff'etto per questa nobile
terra toscana, ove l'arte ha continuato la grazia gentile e la pura bellezza
della natura. Diversità di pensare e anche d'immaginare mi rendono oggi
possibile esprimere qualche cosa a voi forse non detta, e combattere qualche
affermazione troppo lontana dalla mia sicura fede. Leonardo è il discepolo del
Vermocchio. Ora, che cosa poteva egli apprendere dal suo grande maestro? Non
cer- 84 Angelo Conti, Leonardo pittore tamente l'arte, la quale non si apprende
e non si insegna. Quale uomo, che sappia che cosa è l'arte, potrà mai pensare
alla possibilità di creare con l'insegnamento un pittore, un musicista, un
poeta? La natura sola genera gli artisti, e l'uomo al pili può aiutarli a
trovare i mezzi d'esprimere la parola ch'essi son destinati a pronunziare nel
mondo. Il maestro, al discepolo suo, nato artista, può dire : " Il tuo
cuore è impaziente d'indugi, tu sei nato per il canto o per la espressione
plastica o per la espressione mediante il colore della tua gioia o della tua
amarezza; guarda, ecco il dizionario che contiene le parole di ogni umano
discorso, ecco la tavolozza sulla quale io appresi a mescolare i colori che
imitano la bellezza del cielo, della terra e del mare ; ecco in qual modo si
modella la creta, affinchè dall'informe materia apparisca viva dinanzi a noi l'
immagine dell'uomo. Questi sono i mezzi, che io ti posso indicare; ma il
discorso, il canto, il soffio debbono essere tuoi, né io te li posso insegnare
„. Ogni opera d'arte è, rispetto alle opere precedenti, una cosa diversa e
nuova, nella quale, se pure sono entrati, alcuni elementi precedenti e
preesistenti, hanno mutato natura, si sono trasformati in parti di quel tutto
inatteso e prodigioso che si chiama la creazione artistica. Chi non sa che in
Leonardo appare un' immagine del sorriso che si mostra appena accennato sulle
labbra del giovinetto Davide del Verrocchio? Si, appare, ma è un riHesso che
illumina un altro mondo ; poiché questo riso, ricomparendo dalle labbra
dell'eroe adolescente sul viso e negli occhi della Gioconda, diviene il mistero
della seduzione femminile, una grazia insidiosa e un periglio, un'armonia che
nasce dal- Angelo Conti, Leonardo pittore 85 l'espressione d'iin volto, si
diffonde verso il paese lontano e attira il contemplatore. Il sorriso
verrocchiesco è in Leonardo come nn brano di Plutarco in Shakespeare. Or chi
oserebbe dire che l'immortale tragico inglese derivi da Plutarco? Leonardo e il
Yerrocchio sono due artisti assolutamente distinti, che parlano un linguaggio
interamente diverso e che, se somigliano esteriormente in qualche cosa, hanno
due anime quasi opposte, chiusa l'una nella sua idea di bellezza e di stile,
l'altra aperta a tutte le manifestazioni della natura e della vita, in una
continua ansietà di fissarne l'immagine mutevole con la semplicità del segno
rivelatore. Noi viviamo pur troppo in un triste momento della vita, poiché la
maggior parte degli uomini ai quali parliamo non sanno che cosa sia l'arte, e
lo Stato crede a chi meno vede. Non è forse ancora possibile vincere una così
detta scuola di critica scientifica, fondata sull' errore già accennato e
chiusa nella rete del pregiudizio cronologico. A coloro che ancora credono alle
influenze sugli spiriti geniali e alla necessità in arte di una classificazione
come in botanica, noi possiamo trionfalmente rispondere con Leonardo che
l'artista genera le sue opere qual fanno le cose. Egli deve creare come fa la
natura, e le sue opere superare e cancelUxre i segni del tempo che passa. Un
quadro, una statua, un edifizio debbono nascere come le selve e apparire come
le albe. Or chi penserà all'epoca d'una primavera o d'un ciclo stellato? Non
c'è opera d'arte geniale che venga per noi dal passato lontano, come non e' è
indizio di vetustà nelle montagne e nella aerea architettura delle nubi.
Dinanzi all'umanità che passa, il genio si ferma e rende eterna la 86 AxGELO
Conti, Leonardo pittore sua traccia come è nel cielo il cammino delle stelle.
Avete udito il canto dcirusignolo? Lo riudirete in tutte le primavere. Il genio
vi farà sempre udire la sua voce fresca e giovanile come nella stagion nuova
della terra il canto dell'usignolo. Aprite Virgilio: ecco, è l'alba e cantano
le allodole, è una notte serena, e l'uomo si perde nella luce lunare. Aprite
Dante, e siete nell'eternità della vita. Ivi nulla dilegua, nessuna cosa invecchia
o perisce, e noi stessi, -accanto a quelle grandi anime, siamo per un istante
fuori del tempo. Questo momento di liberazione provai per la prima volta alcuni
anni or sono a Milano, trovandomi dinanzi alla Cena, nel convento di Santa
Maria delle Grazie. Vidi il capolavoro nella medesima ora indicata dalla luce
clie lo illumina dal fondo, tanto che mi fu d'un tratto facile superare i mille
e piìi anni passati e trovarmi presente alla scena Gesù era seduto nel centro
del convito e da poco avea prò nunziato le parole : qualcuno di voi mi tradira.
I convitati a destra e a manca s'erano ritratti e aggruppati in tumulto
lasciando nel mezzo Gesù solo, con la sua tristezza infinita La sala era piena
di gesti concitati e di ansiose interrogazioni. Il Maestro solo era calmo e la
sua figura, sul paese che gli s'apriva lontano alle spalle, era immobile. Ma
qual dramma in quella immobilità ! Mentre la sua mano destra, lievemente
contratta, esprimeva un istante di ribellione e come un istintivo moto d'ira,
la sinistra nel momento successivo s'abbandonava col dorso poggiato sulla
tavola e le Angelo Conti, Leonardo pittore 87 dita allungate, esprimendo la
rassegnaziona e il perdono. Gli occhi abbassati non guardavano e non vedevano
nulla di ciò che era presente, ma contemplavano internamente il grande
spettacolo del dolore e della miseria umana, mentre la sua anima sembrava
essersi già rifugiata in quel fondo di paese luminoso e lontano, dove abitavano
una grande speranza e una eterna pace. Nessun uomo avevo veduto mai così solo
come Gesù in mezzo a quel tumulto. Era un'isola in mezzo a un mare procelloso.
Le onde fragorose del tempo, che travolgono^ uomini e cose, mi avevano forse
spinto ad approdare ad una riva ove splendono i fiori eterni della vita? Mai
infatti, come quel giorno, ebbi, per virtìi dell'arte, la visione della vita,
in un oblio piti completo. Quando il custode del Cenacolo venne ad annunziarmi
Fora della chiusura, io riudii nuovamente, dalla strada vicina, il rumore delle
carrozze e il rombo dell'esistenza; e ritornai fra gli uomini. Pochi anni or
sono Gabriele D'Annunzio scrisse una bella pagina di poesia per rimpiangere la
rovina del Cenacolo. Voi infatti sapete, che, come della antica e celebrata
pittura dei greci, fra pochi anni della Cena vinciana non resterà se non il
ricordo ^ Il doloroso avvenimento non ^ Questo studio su Leonardo lìiitore era
già stato scritto, quando fu compiuta in Milano dal pittore prof. Luigi
Cavenaghi l'opera di ristauro del Cenacolo, salutata da tutti i cultori ed
amatori d'arte con gioia e gratitudine. Il Cenacolo, compiuto da Leonardo nel
1497, cominciò ben presto a guastarsi; ì primi provvedimenti per salvare il
capolavoro risalgono al cardinale Borromeo, poi nei secoli si susseguirono
alternative di lunghi abbandoni, di fallaci rimedi empirici, di studii
incompleti e riparazioni deturpatrici, fin che il prof. Cavenaghi fu nel 1904
incaricato delle ricerche scientifiche e tecniclie che, precisando le cause e
l'entità dei guasti, portassero ai rimedii più efficaci. Egli trovò — sono sue
parole riprodotte naìVIllustrazione Italiana, n. 41, dell'I 1 ottobre 1908 —
che il dipinto, coperto da polvere di secoli, si screpolava e la crosta di
colore si solle- ^rt Angelo Conti, Leonardo inttore poteva non commuovere e non
far riapparire la visione tragica del fato clic incombe sui capolavori. Ma è
forse una illusione. In realtà la natura non distrugge ne i fiori o le selve
della terra ne le opere del genio : la Minerva criselefantina di Fidia è
passata dall'avorio e dall'oro nelle pagine immortali dei poeti e nella eterna
memoria degli uomini. Quando un capolavoro scompare, noi non dobbiamo pensare
che il tempo lo abbia distrutto, ma semplicemente che si sia oscurato lo
specchio che ci proiettava la sua imagine nel tempo e nello spazio. Nella
profonda unità dell'anima umana, clie rende i poeti e i filosofi simili ai
figli d'una madre sola, l'ispirazione da cui esso nacque riman pura e vivente
come una forza della terra non ancor vestita della sua forma. Se avessi la
virtù del canto, vorrei lodare e far comTava dall'intonaco, a squame di varia
misura, di modo clie parecchie di quelle i grandi, accartocciandosi, formavano
altrettante sacche che si riempivano con al- tre piccole squamette che vi
cadevano dall'alto. Vuotare ad una ad una le sac- che senza scuoterle, senza
quasi toccarle, mediante una pagliuzza resa attaccaticcia da una sostanza
adatta, poi fare aderire le sacche e le croste all'intorno, togliendone, con un
certo liquido dal Cavenaghi ideato, la polvere alla superficie, questo sostanzialmente
fu il lavoro paziente, mirabile, nel quale, per più di due mesi durò il
Cavenaghi, rendendo più tonica la fibra in isfacelo, facendole riac- quistare
un po' di colorito, così che il dipinto non debba peggiorare e possa vi- vere
ancora a lungo, con infiniti riguardi ed amorose cure. Ma — disse il Cavenaghi
— sarà sempre un organismo precario, e per le condizioni sue, pieno come è di
cicatrici, e per l'ambiente. Ad ogni modo questo del Cavenaghi è •stato pel
Cenacolo Vinciano il ristauro essenziale, decisivo, nei secoli; e grandi
manifestazioni di gratitudine ed ammirazione sono state tributate all'assoluto
disinterewse, pari all'amore grande per l'arte, spiegati dal benemerito
ristauratore, al quale Caravaggio, sua terra natia, ha consacrato una targa
artistica a memoria del fatto; ed i cultori ed amatori d'arte, auspice Luca
Beltrami, gli hanno conferita il 4 luglio 1909, davanti al capolavoro vinciano,
una bellissima medaglia d'oro. Il prof. Cavenaghi inoltre è stato chiamato dal
Papa, in sostituzione 4el defunto prof. Seitz, all'onorifico ufficio di
direttore delle pinacoteche vaticane. Angelo Conti, Leonardo inttore 89
prendere la vita maravigliosa che il Cenacolo leonardesco chiude nella sua
rovina. Come la rovina d'ogni cosa grande, essa equivale ad una purificazione e
ad una apoteosi. Finche resterà un sol frammento della parete prodigiosa,
finche un sol disegno, una sola stampa, una sola fotografia, custodiranno un
riflesso lontano della sua bellezza, quella creazione del genio sarà per noi piìi
potente che se il tempo e gli uomini l'avessero rispettata in tutte le sue
parti caduche. E un errore credere che il tempo non rispetti i capolavori; e
noi molto spesso parliamo, spinti dall'abitudine, contro l'eterna verità delle
cose. Il tempo, artista maraviglioso, è il solo degno collaboratore del genio
umano. Dove sembrava che l'opera geniale sì fermasse, egli la continua,
mutilandola: dove appariva ciò che è chiuso e preciso, egli apre una via
infinita all' imaginazione ; dov' era un aspetto freddo e muto della realtà,
egli fa nascere i segni del mistero. Ciò che sembra una distruzione e invece
una rivelazione e una consacrazione. E la natura che riprende l'umana opera
interrotta, che fa apparire la sua forza dove la mano dell'uomo cadde stanca, e
che, dove l'ispirazione di questo si oscurò e si confuse, fa cantare le sue
eterne aspirazioni. Ma non bisogna lodare il tempo soltanto per le sue rovine ;
è necessario esaltarlo anche per tutte le opere d'arte che, in compagnia del
fato e della umana malvagità, ha impedito di compiere al genio umano. Alludo
principalmente alle cosi dette sculture non finite di Michelangelo e ad un
quadro, che è ancora considerato un abbozzo, di Leonardo. Come i capolavori in
rovina appariscono vicini a rientrare Leonardo da Vinci. 12 90 Angelo Conti,
Leonardo pittore nella iiuiversalitìi della vita, i capolavori incompiuti
seml)rano usciti da poco dal seno stesso della natura. L'artista ne segnò
l'imaginc non fra i tormenti del lavoro consapevole, ma come in sogno, obbedendo
ad una volonth oscura che per qualche istante abolì la sua volontà individuale.
Poche tracce di pentimenti in quei primi segni, ma l'espressione d'una beata
obbedienza, come di chi si affidi al mare, e una ricchezza e una esuberanza di
vita uguale a quella di cento uomini felici. * Mi limito a parlarvi del quadro
di Leonardo, oggi nella Galleria degli Uffizi, e che rappresenta l'Adorazione
dei Magi. La prima cosa che ci colpisce è il movimento. Noi sentiamo subito che
il pittore ha voluto rappresentare un avvenimento straordinario, un grande
fatto della natura e della vita. Quasi tutte le figure vanno, strisciano,
accorrono verso la parte centrale della rappresentazione, ove si fermano
prostrate e come atterrate dallo stupore e dalla maraviglia. Fra i gruppi in
movimento, alcune figure stanno diritte e immobili a guardare la scena. Nel
centro una calma assoluta. La Madonna vi appare seduta in una attitudine piena
di grazia materna, e sulle sue ginocchia il bambino si china e protende una
mano per toccare il 'dono che un vecchio genuflesso gli porge. Intorno si
raccoglie e si concentra tutto ciò che nel quadro raggiunge la maggiore
intensità d'espressione e la maggior forza di vita. Questi vecchi che vengono
da lontano, guidati dal mistero, sono una A\GELO Conti, LeonarJo j)ittore 91
fra le più potenti creazioni del genio umano. Tutta la scena, piena della loro
commozione e del loro sbigottimento, sembra irradiare come un vento di tempesta
che, dall'anima dei vecchi, giunga sino ai punti piti lontani del quadro. Ed
ecco che noi vediamo gli effetti dell'onda invisibile. Dietro il gruppo
centrale è un accorrere disordinato di gente : uno ha le mani levate e grida
come per un ignoto pericolo, un cavaliere non riesce a contenere lo spavento
del suo cavallo, altri gruppi di cavalli nel fondo appariscono spinti dalla
furia d'una battaglia; qua e là, sotto archi crollati, uomini che corrono e
s'interrogano ansiosi, altri che salgono discendono a frotte e smarriti per una
gradinata. Si sente che un grande avvenimento si compie, e per tutta l'ampia
scena notturna è diffusa l'atmosfera del miracolo, come in un giorno sereno la
luce del sole sulle campagne. E questa è appunto l'idea che Leonardo ha
espressa nel suo quadro con una potenza e una eloquenza suprema. Mai infatti,
sino a questi ultimi anni del quattrocento, 1481, la pittura aveva
rappresentato il miracolo, mai lo stupore e il terrore di ciò che sembra
turbare le leggi della natura e far presentire agli uomini un rinnovellamento
del mondo, erano stati resi visibili nell'opera d'arte. Leonardo, con questa
composizione sintetica, con questo semplice suo disegno a chiaroscuro, nel
quale non un sol particolare h compiuto, è riuscito a rappresentare il miracolo
come non sarebbe stato possibile con l'opera piìi meditata e più
coscienziosamente finita. E la ragione mi sembra questa. Vi sono idee e
sentimenti che le arti plastiche non possono rappresentare se non con mezzi
somraarii, se non giovandosi di ciò che co- 92 Angelo Conti, Leonardo pittore
miincmcnte si chiama V incomplitto. L' incompiuto è spesso un mezzo
meraviglioso dì espressione per il genio umano; è, a rovescio, il mezzo stesso
che la natura adopera per purificare e per consacrare nei secoli i capolavori
degli uomini. In questi la natura procede per eliminazione, nell'opera rimasta
incompiuta il genio lavora in uno stato di concentrazione suprema. Li^
Adorazione dei Magi non solo rappresenta un miracolo ; ma è essa stessa
un'opera miracolosa. La notte che vi si addensa è piena di luce per l'anima
umana. Fra tutti i quadri della Galleria degli Uffizi è il più vivo, il piìi
drammatico e il più profondo per significazione. Continuando per voi la
enumerazione delle opere pittoriche vinciane e per mostrarvi che, come allora
mi fu possibile liberarmi dal tempo, posso anche oggi, e mi piace, spezzare le
catene della cronologia, passerò a parlare della Gioconda. La vidi alcuni anni
or sono, e feci, quasi per lei sola, il mio pellegrinaggio da Firenze a Parigi.
Quando entrai nella pinacoteca del Louvre, la giornata era grigia e le sale
quasi in una penombra. Nella sala dei capolavori gli occhi delle figure dipinte
da Tiziano, da Raffaello, da Yelasquez mi guardavano fiso. Cercai la Gioconda,
corsi verso di lei. Entro la fioca luce indovinai il sorriso e sentii il fascino
dello sguardo ; vidi anche il candore del seno. Ogni altra cosa era indistinta.
In una pinacoteca non è possibile abbandonarsi all'oblio, Angelo Coxti,
Leonardo piUore 93 come in una chiesa o in nn cenacolo. Coloro che entrano a
visitare le collezioni dei dipinti vanno per lo più a fare confronti, ad
osservare particolari, a cercare note caratteristiche, e portano con sé libri e
fotografie. Io, qnando mi dispongo ad andare o a tornare al cospetto d'nn
capolavoro, m'affatico a togliermi di dosso ogni peso, affinchè mi sia dato
procedere con passo leggero e mi trovi dinanzi all'opera geniale, con l'anima
semplice e serena. Sono abituato a contemplare un quadro, come se fosse una
costellazione. Nella notte ir cielo è pieno di silenzio e le stelle splendono
armonizzando ciascuna il suo ritmo alla musica del cielo. Guardando gli occhi
di Monna Lisa del Giocondo, li vidi palpitare in ritmo, in armonia con la
musica del suo sorriso. Il quadro m'era ancora ignoto, e pensavo a Leonardo. Mi
pareva vederlo, mentre nel suo studio fiorentino aspettava l'arrivo della
sfinge ridente. Poco dopo ella entrava e si sedeva accanto alla finestra. In
fondo apparivano le colline di Fiesole, Monte Morello, l'Appennino lontano, e
l'Arno serpeggiava scintillando nel mattino, mentre le torri della città
uscivano dalla nebbia al primo sole. Anch'egli si sedeva, e, presa la lira
d'argento che s'era fabbricata con le sue mani, cominciava a cantare. La bella
donna, udendo la laude melodiosa, sorrideva, mentre l'Arno da lungi diveniva
più ricco di scintille. Poi cominciava a dipingere, e, dopo i primi tocchi una
orchestra invisibile di liuti riprendeva la canzone interrotta. La donna
sorrideva in una calma regale : i suoi istinti di conquista, di ferocia, tutta
l'eredità delia specie, la volontà della seduzione e dell'agguato, la grazia
dell'inganno, la bontà che cela un prò- 9i An'gelo Conti, Leomrdo pittore
posito crudele, tutto ciò appariva alternativamente e scompariva dietro il velo
ridente e si fondeva nel poema del suo sorriso. Per un momento usci un raggio
di sole; ed io die m'ero allontanato dal prodigio, corsi e lo vidi intero. La
donna era viva dinanzi a me, in tutta la sua vita reale e ideale. Buona e
malvagia, crudele e compassionevole, graziosa e felina, ella rideva, e il suo
riso si prolungava nel paese lontano e nell'anima mia; sino a darle l'oblio die
viene dalla presenza delle cose immortali. Pochi istanti dopo, il sole
scomparve e la penombra regnò nuovamente nella sala. Lì presso un sol quadro
ardeva come una lampada e in esso cantava, non affievolita, la musica del
colore. Era la Festa campestre : fra due donne nude, un suonatore di liuto
svegliava alcuni accordi e pareva che la Gioconda ne sorridesse come quando
Leonardo cantava, per rendere piìi intensa la sua vita e per tradurre col
disegno la sua misteriosa bellezza. Questo ritratto non esprime soltanto
ciò che l'occhio vede, ma è il riflesso d'una creatura amata da uno spirito che
per oltre quattro anni si affaticò a penetrarne a rivelarne la vita. Come
dinanzi alla Gioconda, Leonardo si pone dinanzi ad ogni cosa vivente col
medesimo ardore di conoscenza, con la stessa ansiosa curiosità e lo stesso
desiderio invincibile di fissarla con segni semplici e definitivi. Tutto questo
poema della sua anima, questo dramma intimo che si chiude in una alternativa di
tentativi d' espressione e di istanti di tregua contemplativa, di rapimenti e
di lotte con la sorda materia, d' ansietà e scoramenti e di calma trionfale, è
raccontato nei suoi disegni, che sono 1' imma- Angelo Coxti, Leonardo pittore
95 gine più completa della sua potenza non solo intuitiva ma creativa. Per lo
scultore il disegno è appena un segno, uno scliema, un presentimento dell'opera
futura. Lo chiamiamo disegno, perchè ijon abbiamo altre parole per significare
le notazioni figurative degli scultori ; ma esso non è se non un appunta
ideale, un mezzo per ricordare un sentimento. Ricordate i disegni di
Michelangelo per le sue statue, ricordate gli odierni disegni di Rodin per i
suoi gruppi e per i suoi monumenti. Qm^tì disegni, benché esprimano una visione
di movimento, non sono pittura e non sono scultura perchè non illuminano una
idea che potrà essere espressa, come chiaroscuro e come colore sopra una
superficie e che sia per apparire come forma nello spazio. La scultura comincia
soltanto col bozzetto in cera, in creta o in gesso, cioè a dire quando V idea,
destinata a manifestarsi come forma nasce a somiglianza d'una cosa viva fra le
altre cose viventi e sorge nello spazio, nell' aria e nella luce, sottoposta
alle leggi del peso e chiusa nelle sue dimensioni. Per parlare con esattezza,
la scultura non ha disegno. Nella pittura il disegno è tutto, è il primo segno
che nota la visione ancora vaga sopra una superficie, ed è il chiaroscuro e il
colore che pili tardi la renderanno eloquente, che le daranno una voce che
parla e che canta, come in una musica e come in un poema. Per Leonardo, genio
universale, il disegno non è soltanto linguaggio pittorico, ma è il mezzo
adeguato d'espressione di tutto ciò che appare e che passa nel suo pensiero,
nella sua memoria, nella sua imaginazione e nella sua fantasia. Tutti gli
aspetti e tutti i momenti della multiforme ed ine- 96 Angelo Conti, Leonardo
pittore saiiribilc attività del suo spirito trovano la loro espressione negli
innumerevoli disegni che egli traccia in margine e fra le linee dei suoi
manoscritti, la precedono e spesso la superano con la loro potenza di linea
intuitiva e divinatoria. Mai come in Leonardo il disegno ha avuto la virtìi
d'esprimere tante cose, dalle più athni alla pittura alle pili lontane, dalle
pili concrete alle più astratte; mai come in Leonardo e giunto ad una cosi
vasta e così intensa forza di analisi e di concentrazione. I disegni di
Leonardo non sono solamente una testimonianza del suo amore per la natura, non
sono soltanto un dialogo fra la sua anima e V anima delle cose, ma
principalmente sono un mezzo di cui egli si è servito per conoscere l'universo.
Invece di consultare i trattati scientifici ed i sistemi di filosofìa, Leonardo
disegna. I disegni sono i suoi pensieri, le sue meditazioni, le sue
osservazioni, le sue intuizioni, le sue scoperte. Ogni suo disegno contiene un
segreto svelato, è una verità conquistata, è il segno d' un nuovo trionfo della
indagine umana, è un lembo del mistero dell'universo sollevato dal genio umano.
Dinanzi a ciò che noi chiamiamo il vero e può essere ugualmente chiamato il
mistero, Leonardo ha lo sguardo limpido, sereno, nuovo, lo sguardo meravigliato
del fanciullo, ha quella innocenza del genio, senza la quale, come afferma
Bacone, non si può entrare ne nel regno della verità ne nel regno dei cieli. La
differenza fra l'uomo di genio e l'uomo comune sta p principalmente in questo:
dinanzi ai fatti e agli aspetti della natura e della vita V uomo comune si
abitua e finisce con l'abolire in se il senso della maraviglia ; le sue
impressioni, invece d'avere sempre un carattere loro proprio, invece d'es-
Leonardo da Yisci Pai'ig;], Museo del Lonvie. J-'ot. X. LA GIOCONDA.
Angelo Conti, Leonardo j^^itore 97 sere sempre eccitatrici di sentimenti nuovi,
gradatamente si attenuano, si affievoliscono ; finche si adattano e si
sottopongono al modo di sentire individuale, finche si scolorano e muoiono
davanti alla monotonia dei bisogni quotidiani. L'uomo guidato dalle abitudini è
un addormentatore di se stesso, è uno schiavo di ciò che nel suo spirito è meno
degno di comandare. Il genio invece è sempre libero, è sempre desto, e il sonno
dell'abitudine non può far discendere un velo sui suoi grandi occhi puri.
Leonardo è appunto della famiglia di coloro che non conoscono lo stato di sonno
e d'indifferenza, ma che vivendo sempre in una ansiosa curiosità vedono il
continuo apparire delle cose e l'infinito rinnovellarsi dei fenomeni, e che
sembrano veramente nascere ogni mattina. In questo stato di attesa dell'ignoto
e del nuovo, ogni osservazione è per Leonardo una visione, ogni analisi è una
scoperta. Guarda un ramo con le sue foglie, ne cerca la vita col suo disegno, e
gli appare la legge di filotassi ; canta accompagnandosi con la sua lira d'
argento, e scopre la legge di risonanza delle corde negli accordi. In ogni
fenomeno egli sente e vede una confessione fatta dalla natura al suo genio
divinatore. I suoi disegni sono la traduzione grafica di queste confessioni
fatte alla sua anima dall' anima delle cose. Ciascuno d'essi pili che studio
dal vero è opera d' immaginazione, è figurazione intuitiva, destniata ad
illuminare la realtà e a fare apparire, dietro ciò che passa, l'aspetto
immutabile delle idee eterne e delle eterne verità. Ogni loro contorno e una
ricerca, ogni linea una interrogazione, ogni luce un riflesso del vivente
chiarore del mondo, ogni ombra Leoxakdo da Vixci. lii 98 AxGELO Conti, Leonardo
pittore un'eco d'un vivente mistero; e tutta quella sua opera della penna, del
carbone, della matita non è se non un mezzo potente da lui adoperato per
stringere d' assedio la natura e per costringerla a rivelare il suo segreto.
Sempre mediante le imagini, i paragoni e le analogie egli trova il cammino che
deve condurlo verso la verità. Ricordate in un suo manoscritto e in un suo
disegno il movimento dell'acqua veduto simile al movimento d' una capigliatura,
ricordate in qual maniera i movimenti del nuoto lo aiutino a comprendere quelli
del volo, in quel maraviglioso trattato che ha la virtìi di metterci in segreta
comunicazione con 1' anima e con la forza delle creature volanti. In questo
modo, sempre per mezzo di imagini e di indagini grafiche, di analogie, di forma
e di movimento, osservando e studiando l'aria e l'acqua, il suono e la luce, e
paragonando le loro proprietà essenziali, egli giunge ad intuire l'unità delle
forze fisiche precorrendo Cartesio. E la sua conoscenza, alla quale appariscono
come intuizioni le principali conquiste della scienza moderna, è figlia della
sua imaginazione. Più ancora che nei suoi manoscritti è espresso nei suoi
disegni il cammino fatto dalla sua conoscenza, guidata dall'amore e resa più
profonda dalla sua infantile maraviglia. Chi non ricorda, fra gli altri
innumerevoli, i suoi disegni di foglie e di fiori? Sono questi fra tutti gli
altri, esclusi quelli solo che ritraggono la figura umana, i più precisi. Pure
in questa precisione è l'infinito della vita. A prima giunta potete pensare o
credere che quei segni corrispondano a qualche cosa di limitato e di esteriore
; poi sentiamo che ciascuno di essi ha la potenza di continuarsi in noi. La sua
precisione non è il segno rigido e freddo fatto da Angelo Conti, Leonardo
pittore S9 una mano abile, ma è la linea sicura del genio che ha trovato la
vita. Però egli non trascura mai un solo particolare, non lascia mai nulla
incompiuto e sembra dir tutto sino all'ultima parola. Infatti egli dice tutto ;
ma il suo linguaggio è come il mare e come l'infinito, e, nelF udirlo, la
nostra piccola anima sembra farsi vasta come 1' anima del mondo. In qua! modo
ha potuto egli raggiungere questa potenza d'espressione? In un modo semplice e
grande : imitando la natura. L'imitazione della natura è il principio che
Leonardo proclama in tutti i suoi scritti e mette in pratica in tutte le sue
opere. Ma che cosa significa imitar la natura? Ciò non vuol dire copiare le sue
apparenze esteriori, come fanno oggi la maggior parte dei nostri artisti, ma
imitarla nelle sue leggi di vita. Imitar la natura, per Leonardo come per tutti
i geni dell'umanità, significa divenire come la natura, acquistando la potenza
di creare 1' opera d' arte nel modo stesso nel quale la natura crea le sue vite
innumerevoli: qual fanno le cose. Voi sapete benissimo che i disegni vinciani
fanno parte dei manoscritti di Milano, di Parigi, di Londra, che sono aiizi un
complemento, uno sviluppo e un'irradiazione del testo. Poiché dunque l' uno e
1' altro sono connessi intimamente, non m' è possibile, dopo parlato dei
disegni, non dirvi due parole dei manoscritti e significarvi in tal modo tutto
il mio pensiero. Voi sapete che nei manoscritti sono pagine di ogni scienza.
Perchè ? Volle forse Leonardo coltivare r una dopo 1' altra le varie discipline
scientifiche e contribuire al loro sviluppo? A questa domanda risponde Leonardo
medesimo. L'uomo 100 Angelo Conti, Leonardo inttore non dev'essere " solo
un sacco dove si riceva il cibo e donde esso esca „ , non deve essere soltanto
un " transito di cibo „ e avere della specie umana la sola voce e la
figura, e tutto il resto " essere assai manco che bestia „ . Il vero scopo
della vita umana è per Leonardo il pensiero. Il pensiero, per conoscere il
passato e la nostra dimora terrena; ecco il mezzo per vivere nobilmente
liberandoci dalla illusione del piacere. Il tempo che fece piangere Elena
allorché ^ guardandosi nello specchio, vide i primi segni della vecchiezza, il
tempo non può colpire il pensiero. Il conoscere la sapienza degli antichi e la
vivente realtà delle cose presenti, ecco il decoro e l' alimento degli spiriti
umani. Ma perchè un tal desiderio di conoscere? Questo e per me il punto
capitale, il vero nodo della questione. Il sapere perchè Leonardo ha voluto
studiare tante forme ed ha cercato il segreto di tanti fatti della vita
universale, ci farà conoscere la qualità essenziale del suo genio. Nella sua
indagine instancabile d'ogni fenomeno del cielo e della terra, nel suo
ininterrotto colloquio con la natura, Leonardo non è animato da curiosità
puramente scientifica, non da vanità di dottrina, né dalla naturale tendenza d'un
intelletto analitico cui l'esercizio delia osservazione doni la gioia più
intensa. Spirito sostanzialmente intuitivo e sintetico, egli si sottopone in
tutta la sua vita al rigore e spesso al martirio dell' analisi, per acquistare
una conoscenza pili ricca, più vasta e piti profonda. Le sue innumerevoli
osservazioni, i suoi continui esperimenti sono i gradini che debbono condurlo
colà dove, entro una luce inestinguibile, appare l'eternità della vita.
Soffrire la disciplina del ragionamento e dell'esperimento Angelo Conti,
Leonardo piitore 101 per aver in fine, come premio, la visione della vita, non
h forse una divina aspirazione? Più la sua conoscenza, nel quotidiano osservare
e meditare, gli svelava nuove leggi e nuovi segreti, più cresceva in lui l'amore
per tutta la natura ; ne vi fu mai al mondo, dopo l' umile frate d'Assisi, chi
l'abbia amata d'amore più puro e più ardente. Chi più conosce 'pia ama^ sono le
sue parole. In questo amore generato dalla conoscenza è tutto il segreto
dell'opera di Leonardo, dai manoscritti e disegni alle pitture. Il suo realismo
è un mezzo per giungere all'idea, è il modo ch'egli adopera per ricomporre ciò
che prima ha scomposto, in maniera che la natura stessa sembri formarsi dinanzi
a noi e farci assistere alla sua stessa creazione. Chi conosca i manoscritti di
AYindsor, nei quali i disegni hanno un'importanza assai maggiore del testo, può
convincersi agevolmente di questa verità e può anche comprendere (cosa che in
questo momento deve particolarmente interessarci) che quando Leonardo parla di
anatomia o di fisiologia, come nei così detti trattati che si vanno ora
pubblicando, egli non è mai un anatomico vero e proprio, ne un vero fisiologo,
ma è sempre prima d' ogni altra cosa e sopra ogni altra cosa pittore. Tutta la
sua opera di scienza, tutti i suoi disegni d'anatomia, d'embriologia, di
botanica, non ser- vono se non a rendere più vasta, più profonda e più ricca la
sua visione pittorica dell'uomo e della natura. La scienza non è se non un
mezzo d'espressione della sua visione del mondo, ed egli se ne giova per dare
un carattere di precisa realtà agli ardimenti del suo sogno. Scopo del suo
immenso lavoro e di giungere a creare ima- 102 Angelo Conti, Leonardo pittore
g'ini clic sembrino nate con le stesse leggi con le quali la natura produce le
sue forme : qual fanno le cose. E doloroso che nella sua vasta opera
essenzialmente pittorica, nella quale " non fu impedito „ , come egli
dice, " da avarizia o da negligenza, ma solo dal tempo „ , manchi
irreparabilmente una fra le pagine piti vive e più grandi: La Battaglia
d'Anghiarl. Scrivo queste parole vicino a Santa Maria Novella, a pochi passi
dal luogo nel quale egli disegnò r opera maravigliosa. Le campane che suonano
nel campanile roseo al primo sole del mattino, sembrano diffondere sul mio
ricordo una voce dì pianto. Li pochi mesi il lavoro fu compiuto, e
immediatamente cominciata la pittura a fresco per la sala del Consiglio in
Palazzo Vecchio. Leonardo vi dipinse dal 1504 al 1506. Poi l'opera fu da lui
abbandonata. Nel 1559 il cartone di Leonardo era ancora nella sala del Papa,
mentre il cartone della Guerra di Pisa disegnato da Michelangelo era nel
Palazzo dei Medici, l'uno e l'altro esposti all'ammirazione del mondo. Da queir
anno manca ogni notizia. Della pittura incominciata in Palazzo Vecchio si sa
soltanto che nel 1513 esisteva ancora, ma cadente a causa della cattiva
preparazione dell'intonaco e dei colori. Cito, contro il mio solito, dati di
fatto e date, perchè l' opera pur troppo manca. Se l'opera esistesse, il suo
linguaggio renderebbe insostenibile la voce della cronologia ; ma poiché è
perduta, ci è necessario contentarci delle parole di chiunque ce ne parli. I
due tre ricordi pittorici rapidi e sommari dell' episodio centrale della
battaglia, non bastano a dare un'idea di ciò che fece Leonardo. Angelo Conti,
Leonardo irittore 103- Chi sa in qual modo maraviglioso e straordinario egli
avrà rappresentato la mischia, la furia guerresca intorno allo stendardo, che
sappiamo fosse nel centro, qnal prodigio di scorci, quale evidenza di
movimenti, nobiltà ed impeto di gesti e quale perfezione di cavalli, dei quali
egli conosceva la vita come nessuno dei suoi tempi ! Di tutto ciò nulla e
rimasto. Io imagino che nell'anno in cui ogni traccia dell'opera scomparve, la
natura, per compensare il mondo, dovè creare una primavera favolosa, non veduta
mai. Poiché nel mondo nulla si perde, e quando una bellezza è distrutta, sia
essa una selva che arda, un' isola che si sommerga, un capolavoro che cada in
rovina, la natura provvida fa nascere nuovi germogli, suscita nuove bellezze e
nuove energie, e la sua forza di creazione rimane intatta in virtii della sua
maggiore attività : il mutamento.
Doctor
Mysticus. Angelo Conti. Keywords: decadente, decadenza, divina decadenza, filosofia
decadente, filosofo decadente, decadentismo, divinely decadent – d’annunzio,
museo d’annunziano, il bello e il bizzarro, il bello bizzarro, estetica,
sensatio, senso, sensum, sentior, sentitum, perceived, perceptum – sense and
sensibilia, estetico/noetico (nihil est in intellectu qui prior non fuerit in
sensu), propieta estetica, proprieta di secondo grado, secondary quality, Grice,
Sibley, Scruton, Platone, Kant, Schopenhauer, Ruskin, Pater, Antichita, antico
e moderno, il fascino dell’antico, from the antique, from life, Uffizi,
Accademia Venezia, RegieAccademiadiVenezia, Capodemonti, Napoli, Antichita
Roma, il fiume d’Eraclito, Ulisse e il canto delle sirene, Morelli, Francesco,
Virgilio, dolcissimo padre, ascetismo, ascecis, zorzi, riva beata, Pater, Essay
on Style by Pater, Da Vinci, Morelli. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Conti” –
The Swimming-Pool Library.
Conti (Padova). Filosofo. Grice: “Conti is a good one; for
one he is a ‘patrizio veneziano,’ for another he like Alexander Pope and
detests Newton! (Italian temper there!) – My favourite are his “Dialoghi
filosofici,’ full of implicata as they are!” Patrizio veneto, classicista, famoso
per essere stato arbitro nella controversia tra Leibniz e Newton, circa
l'invenzione del calcolo infinitesimale (keyword: infinito). Si lege in amicizia
con Fay, noto per gli esperimenti fisici
che conduce all'Accademia delle Scienze. Di lui esiste una statua in Prato
della Valle, fatta da Chiereghin. Scrive saggi riguardanti la struttura della
tragedia, e nel “Trattato del fantasma poetico” discute la funzione del coro:
monologo, dia-logo, coro (terza persona?). Tra le sue tragedie, la più
significativa fu il “Giulio Cesare”. Ne scrive altre tre, tutte di soggetto
romano: “Marco Bruto”, “Giunio Bruto”, e “Druso”. Altre opere: “Opere” (Venezia,
presso Giambatista Pasquali); “Versioni poetiche” (Bari, Laterza). Dizionario
biografico degli italiani. Della nascita del Conti sono r’ſuoi veri pu dj.
Principio de’ suoi studi scritto da lui stero. Disputa col Nigrisoli e altre
particolarità de’ suoi studi sono al primo viaggio di Francia. Primo viaggio in
Francia. Primo viaggio in Inghilterra e prime conversazioni col Newtono.
Mediazione tra il Newtono e il Leibnizio Studi e altre occupazioni di Conti a
Londra. Suoi sudj di belle lettere. Viaggio d'Ollanda e d'Allemagna. Nuova
dimora in Inghilterra. Ritorno in Francia nel 1718. e ſuoi pudi. Amicizie. e
converſazioni in queſti anni in Francia. Querela col Newtono. Suo ritorno in
Italia. Edizione del Cesare. Studi e commerzi. Edizione delle ſue Prose e
Poesie. Sue Tragedie. Illustrazione del Parmenide di Velia di Platone; fima e
onori di Conti. Traduzioni. Altri suoi fudi. Progetti di nuove opere. Ultimi
ſtudi. Edizione del Druso ; ſua morte. Rifleli Jul carattere di Conti , e
notizie particolari della ſua vita private. Relazione de’ Manoscritti lasciati
da Conti. Dell' Imitazione. Del Fantasma Poetico. La Poesia Greca. Allegoria
dell'Eneide di Virgilio. Illuſtrazione dello Scudo di Enea. Illustrazione del
Poema di Catullo intitolato le Nozze di Teride e di Peleo. Dissertazione sopra
la Tebaide di Stazio. Discorso ſopra la Italiana Poesia. Illustrazione del
Dialogo di Fracastoro intitolato il Na. wagero, o fia della Poesia.
Disertazione sopra la Ragion Poetica del Gravina. Della Potenza conoscitiva
dell'Anima. Della Fantasia. Poesie Tradotte dall' Inglese. Al Sig. Marcheſe
Manfredo Repeta sopra il Poema del Riccio Rapito. Il Riccio Rapito. Prose
Franceſe Italiane a Monſieur Perel. Dialogue ſur la Nature de l' Amour. Lettre
à Madame la Preſidente Ferrant. Lettera al Sig. Cavalier Vallisnieri. Al sig.
Marcheſe Maffei. Al N. U. Sig. Benedetto Marcello. Al P. D. Bernardo Piſenti C.
R. Somaſco.A Monſignor Cerarti. L’allegoria dell’Eneide
di Virgilio propone una cosa per farne intender un'altra , che ſeco è in
proporzione , se l’ “Eneide” per consenso di tutti i più abili commentatori é
un panegirico *allegorico* d'Augusto, convien necessariamente che la cosa
proposta sieno l’azione d’Enea (l’explicatura), e la cosa che deve intendersi ed
è loro proporzionata, l’azione d'Augusto (implicatura) più memorabile e più
degna di lode. Per çiò con una ſuccinca narrazione pone prima sotto gli occhi
l’azione d'Enea, che e il primo termine (l’explicatura) su cui l’allegoria o
metafora o implicatura (& fonda, o come l'originale del ritratto; indi fa
il confronto dell’azione di Augusto . Nell'istoria d'Enea, basta quloſſervare
l’oggetto dell’epica, e il carattere stoico dell'eroe. L'oggetto tutto tende
alla nuova colonia di Roma o al Principato ch'Enea (via Ascanio e Romolo e
Remo) ha da fondare nel Lazio e Italia. Questo gli predisse Creusa, Febo, i
Penati; questo le Arpie, Eleno e la Sibilla; e perchè fi compisca l’oracolo della
predeterminazione e del fatalismo stoico, Enea li salva dagl in incendi e dalla
strage di Troja. Ettore lo dichiara Pontefice. I compagni lo eleggono Re.
Avvisato o protetto schiva i tradimenti , gli scogli, i ciclopi; non è sommerso
nelle tempeste, non trattenuto dall’africana Didone più pericolosa delle stesse
tempeste. Finalmente arrivato in nel Lazio trova il re latino dispoſto a
riceverlo per genero, Evandro e i toscani pronti a dargli soccorso; sebben
abbia a fronte Torno, un nimico feroce e collegato coi vicini, lo vince e
l'uccide. Gli oracoli fatalisti predeterminati stoichi dunque, i viaggi, e le
guerre d’Enea non riguardano se non lo stabilimento d'un regno o principato. Il
carattere poi d’Enea o dell'eroe si vede in tutta l'Eneide composto della
*virtù* stoica convenevoli al capo e fondatore d'un regno. La virtu e pietà
verso l’uomo e verso Diuspater, senno nel provvedere a’pericoli e prevederli,
valore da soldato e da capitano. La pietà (o compasione) verso l’uomo e la carità
– l’imperativo della carita conversazionale, verso Diuspater religione. Della
carita o benevelonza o compasione, o compieta verso l’uomo Enea dà esempi
illustri per tutto. Salva il padre Anchise dalle fiamme portandolo sulle spalle
dirige sempre il viaggio secondo i di lui consigli, celebra il suo anniversario
co'giochi conſiderati da’ pagani come una parte della eeligione, e per
ubbidirlo discende fino all’inferno! Quanto è tenero per il figliuolo Ascanio,
e sollecito e della salute e de gli avanzamenti di lui! E quando Creusa sua
moglie si smarrisce, non va egli a ricercarla tra gl'incendi e le stragi? Che
dirò della sua pietà, carita, compassione, compieta, benevolenza, verso il suo
compagno (o d’Eurialo verso Niso), verso l’amico, e verso Torno, il nemico
stesso? Nella tempesta più s’affligge della loro perdita che della propria, gli
consola e gl’incoraggisce negli affanni, li provvede di cibo, li divertisce e
premia co’giochi, fa l’esequie a Polidoro suo parente, a Miseno suo
trombettiere, a Gaeta sua nutrice; piange la morte di Palinuro e più quella di
Pallante (Patroclo), e ne manda il cadavere ad Evandro con magnificenza e con
lutto degno di un re. Avendo ferito a morte Lauro che l’assalì, gli itende la
destra, lo solleva, e lascia che a Mesenzio se ne porsi il corpo. Vuol
perdonare a Turno, e non l’uccide *che* per vendicar suo amante Pallante; ciò
ch'era un atto di carita. Verso Diuspater sempre fervida e pronta è la sua
pietà. Come stoico perfetto e negatore del libre arbitrio, nulla intraprende
senza consultare l’oracolo, e non comincia alcun’azione senza offrir un voto, una
preghiera e sacri fizj, ch’egli offre egualmente al Diuspater propizio, che
alle Diuspater nonpropizio o Giunone e Pallade. Per ubbidir Diuspater supera la
passione che la strega Didone invoca, cede rispettoso alla sua collera
nell'incendio di Troia; conosce Apollo per principal protettore; ascolta
attento i cantici d'Ercole , e invoca Berecintia che l'allista nella nuova
guerra. Alla sua pietà corrisponde il suo senno. Tosto ch'entra in un paese
vuol conoscere i liti, i luoghi, e la gente che l'azbita; così fa in Affrica, e
nel regno d'Evandro, e scoperto l'assaſlinio di Polinestore fugge il pericolo
di cadervi: fa metter in aguato i soldati per lorprender l'Arpie; egli steſſo
dirige la nave che manca di piloto; manda ambasciatori al re del Lazio; cerca
soccorso nella guerra; ricevuto lo distribuisce in due corpi per più
imbarazzare il nemico ciò ch'è una parte della virtu o prudenza militare, non
meno che assediar la città mentre il nemico è sospeso. Questo o quello segno (manifestazione
secondo Vitters) del valore poi non dà nell'attaccare i nimici, nel farne
stragi di sua mano? uccide i più forti e tra gli altri Lauso, Mesenzio, lo
stesso Turno. Più comparisce il valore d'Enea, se col P. Boſsù fi confronti con
quello di Turno, antagonista, avversario, dell’epica, ardente, milantatore,
prepotente e buono sol per la guerra che vuole giusta od ingiusta, ed in questa
è incauto e senza direzione. Enea all'opposto grave – la gravita romana --, misurato
e non peccatore o essecivo, parla poco, laconico, opera molto, sempre consigliato
e forte colla gloria del consiglio e dell'esecuzione. Di questo o quello segno
della virtu -- pietà, senno, e valore, c’e un intreccio mirabile, sicche
comparisce Enea saggio e paziente capitano come Agamennone, valoroo vincitor del
nimico come Achille, destro a maneggiar lo spirito ed a condur una negoziazione
o consenso cooperative conversazionale come Nestore e Ulise: giugne a questa
virtù una pietà sincera, una probità esatta che mai non ſi ſmente , una
compassion tenera per il suo amico e il suo suddito. Enea è buon figlio, buon
padre, buon amico, buon amante, e tutto ciò per motivi superiori di dovere e di
ragione morale kantiana alla luce del stoicismo fatalism del predeterminismo.
Sopra tutto pero domina la specie della virtù più convenevole d’ogni altra
specie al fondatore della dinastia di Romolo, perchè per essa si merita la
protezione di Deuspater, si rende l’amico o il popolo che deve ubbidire,
l’alleato, ed il vicino con cui si deve patteggiare e con-federarsi in cooperazione
conversazionale verso un fine comune. Vi sarebbero il carattere degli altri
personaggi e dei dell'epica, ma essendo scritti di mano dell’autore sono come
non scritti. Anche la seconda parte che riguarda le azione del primo imperatore
romano, Ottavio detto l’augusto è molto imperfetta; eccone qualche confronto.
Nella rovina di Troja li ravvisano la rovina della Roma repubblicana di Cesare
ed Catone. Da questa rovina, Ottavio, come Enea era stato preservato dalla
provvità, 1 videnza del fato, come dice Orazio nel Carmie Secolare. Enea porta
in ispalla suo padre Anchiee; Ottavio prende la vendetta del suo padre addotivo
Cesare. Enea e in Troja maricato a Creusa da cui ha Julo; Ottavio e maricato a
Scribonia da cui ha Giulia. Ma Creusa per ordine de’ Fati è colia ad Enea, come
Scribonia ad Ottavio; e nel dir che ad Enea si apparecchia moglie, da cui
doveano discendere tanci Re, adula cacitamente Livia. Didone che s’oppone al
disegno (de-segno – plannificazione) d’Enea magnifica e vana dell'impero ha del
carattere superbo, impecuo lo, ed astuto di questa altra Africana, Cleopatra,
che impiegò cutre l'arti femmini li per impegnar Ottavio. Ma v'è un tratto
finissimo di lode nella comparazione che poteano i romani fare d’Enea e
ďOttavio, perchè laddove Enea cesse alle lusinghe di Didone, e dopo averla
posseduta l’abbandona scorteſemente in preda alla disperazione, biasmo da cui
poco lo scusanu gli ordini degli Dei; quanto più dovea stimarli Ottavio che mai
non si lasciò vincere dalle tante arti di Cleopatra? In Evandro, che accoglie
Enea, si puo ravvisar Cicerone, che col suo credito e colla sua eloquenza reſe
tanti servigj a Ottavio. L’epica, però per non rimproverargli la disgrazia di
Cicerone, fa che non Evandro ma il figliuolo di lui resti ucciso da Turno, nel
quale *senza dubbio* vien “simboleggiato” Marc’Antonio, valoroso bensì, ma
imprudente, e che le in molte cose mostra fortezza d’animo chiaro ed
eccellente, in molte altre, come Turno, li governa malissimo, e da quello o
questo segno non meno di magnanimità che di pulsanimità. Nulla dimostra più la
finezza cortigianesca di Orazio e di Virgilio come il loro non nominar mai
Cicerone. S'astennero dal risvegliar in Ottavio un'idea che gli dava de’ rimorsi.
All'incontro nominarono Giunio Bruto e Catone, per mostrare che Ottavio non ha
usurpata la libertà, ma che anzi ne era il protettore, l’imperatore, come negli
ultimi tempi lo volea Cromuvelo (Lord Protector) in Inghilterra. Antonio stesso
molto si risparmia, esi può osservare in Orazio che mai non si parla d’Antonio
senza congiungerlo a l’africana Cleopatra per far cadere in lei l’odio e la
colpa; e cosi fa Virgilio fagacemente nella battaglia d’Azio , quando parla
d’Antonio palesemente, e quando ne parla per allegoria, supprime quell vizio
che avrebbero dispiaciuto ai suoi partigiani ch’erano molti, ed a’figliuoli
elevati da Ottavio a sommi onori. Queſta è pur la ragione prammatica, per la
qual Virgilio non dipinta le guerre che fece Ottavio con Bruto, Callio e cogli
altri, che per modo di peregrinazioni, onde non offender quei ch’erano ancora
del partito di questi ultimi difensori della pubblica libertà. Il re del Lazio,
Latino, che ammonito dall’oracolo vuol dar la figliuola più ad Enea, che a
Turno, è il vero ritratto del senato romano, che vecchio (senior, senatore) ed
impotente non potendo più regolar la repubblica, benchè per ispirazione divina
egl’inchini più a lasciarsi governare d’Ottavio che da Marc’Antonio, atterrito
nondimeno dagli apparecchi di guerra, lascia disputar la vittoria a’ due rivali,
come appunto il re Latino fuggendo lascia terminar la guerra a Turno ed Enea.
In Mesenzio ed in Lauso si veggono Cassio e Giunio Bruto, e l'empietà data a
Mezenzio e la virtù data a Lauso lo persuadono. Muore Laulo ed Enea lo
compiagne, come Ottavio compianse Bruto, al dir di Plutarco. Quando Lauro
combatceva, era Mesenzio con la persona appresso di un tronco per posarvi
appoggiato, e gli stava intorno un cerchio de’ più eletti e de’ più fidi; e
quando vide Lauso ucciso, comincia a disperarsi, e a lagnarsi, e andar incontro
alla morte. Queſta deſcrizione concorda molto con quella che fa Plutarco di
Cassio, allora che ritirato sul colle stava rimirando l’esercito di Bruto, e
credendo ch’egli fosse rotto, disperato si confiſſe nel le reni la spade. Non
occorre cercare rassomiglianza perfetta tra questo o quello accidente vero e
questo o quello accidente finto. Baſta che uno si ravvif nell'altro. I ritratti
della Poesia, e particolarmente epica, sono “simili” a quelli che i gran
pittori introducono ne’ quadri istoriati; negli Dei, negli eroi , ne’ capitani
ritengono le fattezze del volto de viventi che vogliono onorare ma variano le
attitudini, o le velti per variare le imagini, e produr nello spettatore maggior
maraviglia ed affetti più vivi. Con questa regola si pollono ritrovare molti
altri confronti nelle cose dell'Eneide colla vita d’Ottavio. Nè par probabile
che tanta corriſpondenza sia effetto del caso , attesa spezialmente la sagacità
del poeta , e l'idea generale dell'opera. Parte di questa corriſpondenza fa
vedere nello scudo d' Enea la seguente illuſtrazione, che si dà intera.
. g. v. 176 D. V.. ILLUSTRAZIONE DELLO SCUDO DI ENE A. . Ome
nell'Iliade d'Omero Teti porge ad Achille unoScu do fabbricato da Vulcano così
nell'Eneide di Virgilio Venere porge ad Enea uno Scudo fabbricato dallo ſteſſo
Dio . Quì non s'intraprende d'illuſtrare ſe non ciò che appartie. ne allo Scudo
d'Enea , oſſervando prima generalmente , qual ne foſſe la materia , la faldezza
, la figura , l'intreccio e i colori , ed indi particolarmente l' ordine e' i
fiti delle coſe ſcolpite, le loro ſtorie , cd allegorie . I'Ciclopi impiegarono
nell'armatura d'Enea il rame, l'ac ciajo , l'oro , e l'argento , ma fecero che
ivi abbondante più dell'uno o dell'altro metallo ove era biſogno di maggior die
feſa , o di più raro ornamento . L'Elmo che dovea abbagliando minacciare i
nimici , riſplen dea per la terſezza dell'acciajo , non altrimenti che ſe fiam
. me ſpargeſſe . La Lorica era ſcabra per i rilievi del rame e del bronzo , che
quanto più maſſicci'ſi fingono , ed incurva ii , tanto più le faette e le ſpade
ſpuntavano . Ben è vero che per la miſtura degli altri metalli , i colori della
Lorica ſi mi ſchiavano con quei del bronzo e dell'oro , ond'ella riſplende va
come un Iride in faccia al Sole . Nell'aſta e nelle ſchinie re abbondava
particolarmente l'elettro che è un compofto d ' oro e ' una quinta parte
d'argento , ma purgato più volte da'Ciclopi ; l'oro nel foco avea ſvaporato
l'argento, onde la compoſizione riuſciva più prezioſa , più denſa , ed impene.
trabile . Nello Scudov'erano tutti e quattro i metalli tra loro op portunamente
fuſi e temperati . I Ciclopi ne aveano appiana ta la maſſa in ſette piaſtre
rotonde , che a guiſa dei ſette cuoi attorti dello Scudo d' Ajace implicarono
l'une nell'altre , perchè lo Scudo refifteffe a tutte l'armi de' Latini .
Miſterioſo era il numero di ſetre appreſſo gli Antichi per la relazione ch'egli
avea al numero de Pianeti. Forſe credea no , che gli aſpetti di cucci e ſette
influendo nella fabbrica d' uno Scudo gli deffero una tempra immortale . La
figura dello Scudo d'Enea era ovale , nè a cid forſe an cora mancava il ſuo
miſtero . Gli Scudi ancili chc fi fingea. no 177 no caduti dal Cielo a tempi di
Numa , aveano la ſteſſa figura , Or lo Scudo d' Enea non era men celeſte di
loro ; ed Enea , che doveva portarlo , non ſi fuppone men pio di Numa. I
Ciclopi nel fabbricar lo Scudo avendo poſta in opera per comando di Vulcano
tutta la loro arte maeſtra , collocarono , intrecciarono , limetrizzarono , e
colorirono le figure ſcolpite in maniera , che lo Scudo emulava la reflicura di
un arazzo . Nè queſta a mio credere è un'Iperbole poetica , ma un'imi tazione
di quell'idee che Virgilio, avea vedute ne'baſi rilievi di Roma , ove
ſoggiornava, ed in quelli delle Città della Gre cia , ove per profittarlı dello
ſtudio delle bell'arti avea viag giato . A Roma nelle Biblioteche e ne' Tempj
ſtavano appeli certi Scudi tutti ſtoriati , e tra gli altri Plinio racconta ,
che nel Tempio di Bellona Appio Claudio confacrò uno Scudo , ove in picciole
figure era rappreſentata tutta la Genealogia dell'antica famiglia de' Claud) .
Nel conveſſo dello Scudo di Minerva avea Fidia ſcolpita la battaglia delle
Amazoni , e nel concavo la guerra degli Dei e de'Giganti . Offerva Plinio , che
Fidia , volendo moſtrar l'arte nelle minimeparti , avea elpela ſo ne' Sandali
della Dea la battaglia de' Lapiti e de'Centauri , e nella baſe della ſtatua la
naſcita di Pandora con quella di trenia Dei. Ne'baſſi rilievi delle lamine che
cingevano la ſe dia della fatura di Giove Olimpico , lo ſteſſo Fidia in oro
ſcol pito avea , da una parte il sole che conduceva il cocchio , e dall'altra
Giove e Giunone ; a lato di Giove v'era una delle Grazie , indi Mercurio e
Veſta., Venere pareva, uſcir dal ma re , l'Amore l'accoglieva , e la Dea Pito
la coronava . Nello ſteſſo baſſo rilievo li vedeva Apollo e Diana , Minerva ed
Er; cole , e nel piedeſtallo da un canto Anfitrite e Nettuno , e dall'altro la
Luna, che galoppaya ſopra un cavallo . Qual mol ticudine , qual varietà ed
intreccio di figure in poco ſpazio ? Or è molto verifimile , che come lo Scudo
d'Achille diede a Virgilio la prima idea dello Scudo d'Enea , così į baſli
rilie vi da lui yeduti a Roma in Atene e in Olimpia gl'inſegnal ſero a
perfezionarlo . Nella deſcrizione delle figure ben fi ſcor ge che l'artifizio
dell'imitazione, non deriva dagli alerui fan tasmi , ma da
un'acurata oſſervazione del ſenſo , che regold la fantaſia del Poeta fino
· lo ſpingo oltre la conghiettura , e pretendo che alle figu. se veduce da
Virgilio ſcolpite o nell’avorio , o nell'oro , od in altro metallo negli vi
applicalle la forza e la leggiadrią Tomo II. 2 de' 3 178 ra 1 1 de colori da
lui veduti nelle pitcure encauſtiche : Plioio ne annovera di tre fpezie , e non
ſaprei fuggerirne una miglior idea che raſſomigliandole alle picture che
vediamo, non dirò fulle porcellane di troppo fragil materia a confronto del me
tallo , ma su fmali di più dura tempra , e su vaſi e ſulle cop pe antiche , ove
la varietà del colore riſultò dal vario grado del foco , che lor fu dato nel
fondere e nel tingere il metal lo. Difficile è proporzionare il grado del foco
ad ogni colo re , ma difficiliſſimo ove i colori lieno per conſiſtenza e viva
cità differenti , e ſi debba nello ſteſſo tempo abbrugiandoli laſciarli ſecondo
il biſogno o floridi , od auſteri , ed a tutti imprimere quello fplendore che
ſecondo Plinio non è lo ſtef To che il lume , ma di'mezzo tra il lume e l'ombra
, ed è propriamente l'intenſione d'ogni colore nella ſua ſpezie. Il Sig. Abate
Fraguier , la cui memoria mi ſarà ſempre ca. offerva , che nello Scudo
d'Achille la terra fenduta in folco dall'aratro cangia in nero il color d'oro ,
che i grappo li d'uva ſono neri e la vigna d'oro , che le giovenche ſono
rappreſentate al vivo col bianco e col giallo , cioè collo lta gno e con l'oro
, e che veriſſimo è il langue trangugiato da due Leoni che lacerarono il bue.
Da ciò inferiſce che l'arte encauſtica fioriva a'tempi d'Omero ; ma quando
anche i Cro nologi che non convengono dell'età d'Omero glielo conce deffero ,
molto più debbono elli concedere , che nel tempo d' Omero quell'arte era molto
imperfetta a paragone dell'eccel lenza a cui la portarono i Greci nel secolo
d'Aleſſandro , e ne’ſuſſeguenti . Le picture de' più celebri artefici
encauſtici e rano ſtate portate dalla Grecia a Roma da' Capitani Romani , é
poſcia conſecrate ne! Tempi. Virgilio che avea ſotto gli oc chj de'modelli così
perfecti , gli ha verifimilmente adombra ti ne ' colori del ſuo Scudo yine
queſta ſpezie d'imitazione pud negarſi ad ua Poeta sì doito , e d'on guſto così
eſquiſito in ogni genere d'arte • Per reftarne convinti bafta riflettere alla
varietà ed armonia de? colori delle figure deſcritte j ai sfuma menti, 0 , come
parla Plinio , alle commiſſure de culoriftel fi, ai fecreti più mirabili della
perſpectiva introdotti negli ac» tidenti delle imagini, e finalmente
all'efpreffione degli affec ti de coſtumidegli Uomini rappreſentation La
varietà e larmonia de'colori appariſce nell'Oca d'ar gento che vola ne' portici
d'oro , ne' flutti biancheggianti per lai fpuma ini un mare cerulco Larrei ſono
i colli de'Galli , men. 1 1 179 mentre le loro chiome fon d'oro , e vergate
d'oro le veſti ; il langue di Mezio è vermiglio e gocciola dalle ſpine che lo
no verdi . Per gli sfumiamenti de colori , ed inſieme per l'eſpreſſione degli
affetti e de' coſtumi , diverſi nell' arni e nelle veſti fo no i colori de'
Barbari condotti in trionfo ; il limitar del Tem. pio d'Apollo è bianco come la
neve , ma più bianco è lo ſteſſo Dio ; Cleopatra è pallida per la morte futura
; il Nilo al ſembiante ed al geſto moſtra la doglia che lo crucia e l'
impazienza di ſalvare i fuggitivi ſuoi figli. Che dirò della forza della
perſpectiva ? Parrafio dipinle , al dir di Plinio , il Demone degli Atenieſi
vario , iracondo , in giuſto , incoſtante .. Virgilio rappreſenta Porſenna che
nello Iteſſo tempo comanda , li ſdegna , e minaccia . Nel Portico a . vanti la
Curia di Pompeo era dipinto , ſecondo lo ſteſſo Plinio , un Soldato che non ſi
fapea ſe con lo Scudo aſcendeſſe o di Icenderſe . Virgilio fa che i bambini
attaccati alle poppe del. la Lupa fieno da queſta alternaniente accarezzati ;
ciò che il Tallo imirò nelle figure delle porte d'Armida ove Marcanto nio nel
ſeguir Cleopatra che fugge , Mirava alternamente or la crudele Pugna ch'è in
dubbio , or le fuggenti vele . Ma paſſando a coſe più particolari , io per far
meglio in tender l'ordine , l'intreccio , ed i fici delle figure , divido in
quattro parii lo Scudo . La prima contiene la diſcendenza d ' Enca fino alla Lupa
incluſivamente . La copula o , cioè an cora dimoſtra che tutto era nello ſtello
baſſo rilievo . La ſeconda parte contiene molte coſe memorabili fotto i Re e
ſotto la Repubblica . La terza la battaglia d' Azio . La quarta i tre Trionfi
d'Auguſto . Queſte parti, ſi fanno ſenſibili dividendo l'ovale in quattro altre
ovali concentriche che io ſegnerò co'numeri 1. 2. 3. 4. Nello 1pazio ſegnato i
. ch' è come l'orlo dello Scudo io pongo le figure che rappreſentano i
diſcendenti d'Enea anno verati da Virgilio nel primo libro e nel ſeſto : queſti
ſono A Scanio , Silvio padre di molci Re , Proca , Capi , Silvio , Enea, i due
giovani coronati di quercia , Numitore , e la Lupa che allatra i due bambini .
De quindici Re d'Alba , di cui parla 2 2 Dio 186 Dionigi d’Alicarnaſſo e Tito
Livio , Virgilio non nomina che queſti , perchè, come egli accenna , furono
fondatori di colo . nie , avendo edificato Nomento , Gabia , Fidene , Collazia
full? állo d'una montagna , ed il caſtello d'Inuo o di Pane . Fon darono ancora
Bola e Cora , e queſte ed altre nominate Cit rà eſſendo nel Paeſe de' Sabini e
de' Volſci , avranno dato oc caſione alle guerre e battaglie nello Scudo
eſpreſſe. Nel baf ſo rilievo d'Alcanio dev'egli rappreſentarſi a guiſa d’un Ca.
pirano o d'un Re che comanda di fabbricare una Città qual era Alba lunga .
Altri prendono gli ordini , ed altri gli eſegui ſcono, ed i Soldati ſtanno
riguardando l'opra . La pittura d ' Aſcanio è ſulla cima dello Scudo ; nella
parte oppofta , o nel ballo v'è la Lupa che allatta i bambini, e biſogna rappre
ſentaría qual è in molte medaglie . Ne' lati dell'orlo dello Scudo toſto ſi
vede un bambino in mano d'un paſtore ch' eſce da una ſelva ; lo ſiegue in Re
circondato da molti bam bini coronati , indi un Ře che guida un eſercito , un altro
che eſpugna una Città , un altro che è in mezzo a Sacerdo ti e a Veltali ,
molti giovani Re cinti il capo di quercia che combattono e fondano colonie , o
su monti , o nelle pianu. se . Nè Tito Livio , nè Dionigi d'Alicarnaſſo parlano
in par ticolare di queſte battaglie , onde ſi poſſono ſcolpire a fanta ſia , ma
devono eſſer ſcolpice in medaglie appeſe a rami od alle foglie d'un albero
genealogico che ſerpeggi nell'orlo. Nello ſpazio ſegnato 2. io pongo da una
parte due baſſi ri lievi di forma ellittica , ma incaſtrati di varj fogliami
che riempiono i vuoti . Elli rappreſentano il ratto delle Sabine , e la pace
cra Romolo e Tazio . Pongo dall'altra parte altri rilievi della ſteſſa forma
che rappreſentano Mezio ſquarciato da ' cavalli , e Porſenna che afledia Roma .
Nel ſommo dell'ovale ſi vede nelle figure più rilevate il Campidoglio affalito
da’Galli , e difeſo daManlio ; e nelle più lontane i Salj e le Matrone che
eſulcano ; nella parte oppo. fta che è la più baſſa dello Scudo v'è il Tartaro
con Catili na affiffo allo ſcoglio , e ſopra il ſotterraneo ( chiamato da Vir
gilio la bocca profonda di Dite ) verdeggiano gli Elisj , ove Catone dà la
legge all'anime pie . Le figure di queſto ſpazio ſono maggiori di quelle dell'
orlo perchè le parti più vici ne al centro dello Scudo ove fi fogliono diriger
i colpi, devo no eſſer più maſſiccie per più reliftere . Lo ſpazio è percid
maggiore Nel i 81 5 Nello ſpazio ſegnato 3. v'è la battaglia d' Azio . Apollo
ſaettante è ſul Promontorio , ove Auguſto gl’inalzò un Tem pio . Le navi
d'Auguſto ſono alla deſtra ſchierate in arco ; nel deftro corno v'è Augufto
colla ftella in fronte e co' Pe. nati in mano , nel finiftro Agrippa cinto le
tempia della co rona roftrata . Dirimpetto vi fono le Navi torreggianti d'An
tonio . Secondo Plutarco , Antonio con Publicola reggeva il corno deſtro , e
Clelio il ſiniſtro . Cleopatra è nel mezzo in atto di percuotere il fiftro ,
ſtromento dedicato ad Ilide che Cleopatra voleva emulare in curto . Tra i due
ſemicerchi del. le navi ve ne ſono alcune diſtaccate che tra loro combatto no .
Soggiunge Plutarco , che Ceſare non ſolamente non or dina ferir le prode dure e
ferrate d'Antonio , ma nè anco inveſtirle per fianco , perciò che gli ſproni
facilmente ſi ve nivano a romper urtando nelle cravi quadre incaſtrate infie me
col ferro : Era dunque queſta battaglia ( ſegue egli) mol to ſimile a una
giornata per terra , anzi piuttoſto all'aſfalco d'una Cicà . Perciocchè tre o
quattro navi di Ceſare com battevano intorno a una nave d'Antonio con partigiane
, piche , e con fuoco . D'altra parte gli Antoniani ftando ſulle gabbie di
legno traevano dardi e pietre contro i nimici . Così ap punto Virgilio
rappreſenta le navi che combattono . Sulle navi di Cleopatra vi ſono i Dei
moſtruoſi d'Egitto , in atto di ſaettar Neituno , Venere , Minerva , che ſtanno
ſulle navi d'Auguſto , e contro alle quali egli diſſe al Senato che Antonio
avea moſſo la guerra , non meno che contro al. la Patria . Marre è
in mezzo della batcaglia , la Diſcordia , e Bellona , ed in aria
ſtanno le Furie . Tutto ciò è ſotto la fi. gura del Campidoglio o nella parte
ſuperior dell'ovale , men tre a'lari ſono le navi ſchierate . Nella parte
inferiore vi fo no le navi di Cleopatra che fuggono ſpinte dal vento Japiga ,
che ſoffia dal capo di Salentino ; non lungi è la figura del Nilo , che allargà
la veſte , e chiama i vinci a ricovrarli ne? ſuoi naſcondigli : egli è d' una
figura giganteſca appoggiato ſull'urna che verſa i ſette fiumi nel mediterraneo
, nel reſto dello ſpazio ſi diffonde il mare coi delfini che ſcherzano . Le
figure di quello ſpazio ſono maggiori per la ragione ſopraccen nata , ed è
maggiore lo ſpazio ſteſſo . Nello ſpazio ſegnato 4. vi ſono eſpreſli i tre
trionfi d'Au guſto . Egli trionfo , dice Svetonio , in tre giorni l'uno dietro
all'alcro ; la prima volta per la vistoria Dalmacica , la ſecon da 4 182 1 da
per l'Aziaca, e la terza per l'Aleſſandrina . Dione Caffio particolareggia i
trionfi . Trionfo Ceſare , dic'egli , il primo giorno de' popoli Pannoni ,
Dalmatini , Japidi , ed altri loro circonvicini , e d'alcuni popoli della
Gallia e della Germania ancora , perciocchè Cajo Carina avea già vinti e
ſoggiogati i Morini e gli alıri popoli appreſſo , che nella ribellione da lo .
Fo fatta gli erano ſtati compagni , ed oltre ciò avea dato una rolta a'Svevi ,
ed a quelli che aveano già paſſato il Reno ; laonde ed egli e Ceſare feco
rappreſentò il Trionfo percioc chè la vittoria folevaſi attribuire ſempre
all'Imperatore , e l' Imperatore era Ceſare , è teneva in mano il governo di tut,
10. Il ſecondo giorno Ceſare rappreſentò il Trionfo della bat taglia fatta al
promontorio d' Azio nel mare . Il terzo poi dell'Egitto ſoggiogato . Le ſpoglie
in queſte guerre acquiftare furono baſtanti ad ornar tutto l'apparato di que'
Trionfi ; quel. Je però d'Egitto avvanzavano di gran lunga curti gli aliri ap
parati d'ornamenti di ricchezza e di rarità ; tra l'altre coſe vi fi vedea
Cleopatra fteſa ſopra una colore in alto di morire , onde in un cerio modo
queſta Reina era condotta in trionfo cogli altri prigioni, tra'quali v'era
Aleſſandro ſuo figliuolo , e Cleopatra fua figliuola chiamati da lei col nome
del Sole e della Luna . Gl’interpreti fi vanno inutilmente affaricando a cercar
le ragioni della qualità de'prigioni , e particolarmente perchè ne' cocchi ſi
vedeſſe l'imagine dell' Eufrate e dell’A . raſſe fiumi dell'Armenia e della
Meſopotamia non conquiſtati da Auguſto . Il P. Arduino nelle ſue rifleſioni
fopra Virgilio non ritrovando queſte vittorie d'Auguſto ne trae degli argo
menti diſavantaggioſi all'Eneide. Io non perderò inutilmente il tempo a
riſpondergli in particolare . Ciò che poſſo dire a coloro che ammettono
l'autorità di Dion Callio , è far loro oſſervare , che Antonio dopo aver
chiamara Cleopatra Reina dei Re , Ceſarione Re dei Re , ed aggiunto alla loro
giuriſdi. zione l’Egico , donò la Siria a Tolomeo , e lutte le Provin cie di
quà dall'Eufrate fino all'Elleſponto ; donò l'Africa fino alla Cirenaica a
Cleopatra , ed al fratello di coſtoro chiama to Aleflandro dond l'Armenia con
tutto il rimanente del pae fe al di là dell'Eufrate Gno all'Indie . Or non è
verifimile che Auguſto da cutti queſti Paeſi fcieglieſſe de' prigioni , che
egli doveva aver fatti o nella battaglia d'Azio , o nella ſcon fiila data ad
Antonio in Aleſſandria ? Quanto al Reno , Agrip pa l'avea paſſato nel 717. nė
fi curò del Trionfo , ma egli è pro . 183 probabile che Auguſto voleſſe che
Agrippa trionfare ſeco co me Cajo Carina . Non v'era. ſegno d'amicizia e
d'onore che non gli deſſe , perciocchè oltre la corona roſtrata , con cui lo
fregið dopo aver vinto Seſto Pompeo in Sicilia , volea ch'egli avelle una cenda
e l'altre inſegne militari ſimili a quelle dell' Imperatore , e , come
dall'Imperatore , da lui ſi prendeſſe il ſegno della milizia , ed egli era in
forſe di dargli per moglie Giulia : canto grande , gli diſſe Mecenate , tu
faceſti Agrippa , che o biſogna ucciderlo , o ch'egli ſia tuo Genero . Dopo il
Trionfo Auguſto inalzò molti Tempj ; uno ad A. pollo ſecondo Svetonio ſul monte
Palarino , al quale aggiun ſe una Loggia con una Biblioteca Greci e Latina ; un
altro ne edificò a Marte vendicatore per il voto fatto nella guerra contro
Bruto e Caſſio per vendicare il Padre , ed un altro a Giove Tonante nel
Campidoglio . Secondo Dione egli ancora conſecrò il Tempio di Minerva , ornò il
Tempio di Giulio ſuo Padre ſoſpendendovi molti e molti doni della preda por
tata d'Egitco , e molti ne conſecrò ed offerſe a Giove Capi. tolino , a
Giunone, a Minerva . Non è da traſcurare che po fe l'imagine della vittoria
ſecondo Dione nel Tempio di Mi nerva , e ſecondo Plinio nel Tempio del Padre
Celare , il qua le era nel Foro ; aggiunge Plinio , che vi poſe ancora i Ca
ſtori che forſe ſimboleggiavano Auguſto ed Agrippa , nel pri mo libro
aſſomigliati da Virgilio a Romolo ed a Remo , come interpreta Servio . Poſe
ancora Augufto nel foro due quadri , uno della guerra , e l'altro del Trionfo ;
e s’io non m'ingan doveano queſti rappreſentare coſe alluſive alla battaglia d'
Azio , ed ai trionfi dello ſteſſo Ceſare . Comunque la coſa ſia , ove è il
centro dello Scudo che è la parte più alta , io pongo la Cupola del Tempio
d'Apollo , alle cui porte Augufto affig ge le corone d'oro che erano i doni
offertigli da’ Popoli dalle Provincie confederate . Tutto all'intorno vi ſono
le are e gl’incenſi colle vittime , e quindi la pompa e la lecizia del trionfo.
In quel giorno che Auguſto entrò in Roma, dice Dio ne , gli fu conceduto un
Arco nella Piazza di Roma , e in o nor di lui li celebrarono i giuochi
quinquennali , e gli anda rono incontro le Vergini Veítali , il Senaco ed il
Popolo , colle mogli , e il figliuoli: mi par ſoverchio ( ſoggiunge Dio. ne )
di raccontar i voti e le imagini ed altre coſe fatte per lui · La pompa del
Trionfo conſiſte ne' prigioni Nomadi , o Numidi , Affricani , Lelegi , Cari
popoli dell'Alia minore Ge no , e 184 Geloni ſpezie di Sciti , Morini popoli
della Gallia Belgicà fi tuati verſo l' Oceano Britannico . Tra queſti vi ſono
molti cocchi colle imagini dell'Eufrate, del Reno , e dell'Araffe col ponte che
Auguſto vi fabbricò . Tali ſono i baſli rilievi e le figure di tutto lo Scudo ;
elle s'ingrandiſcono a proporzione ch'egli ſi va rilevando , e le miniature
devono render ſenſi bili i colori di cui ſono in Virgilio dipinte . I colori
domi nanti ſono il giallo e il bianco che rappreſentano l' acciajo ed il rame .
Marte però deve eſſer dipinto con un colore fer rigno , o fia di ferro , non
raffinato in acciajo ; diverſi ſono i gradi de colori o floridi od auſteri che
biſogna lumeggiare ed onibreggiare ; ma ſopra tutto convien dar alle figure lo
ſplen dore , o ſia quel grado vigoroſo di colore di cui s'è parlato . Spiegato
in queſta maniera ciò che concerne la parte ma teriale e ſtorica dello Scudo ,
egli è tempo di ragionare delle relazioni che le figure hanno ad Auguſto , al quale
tutto il Poema è diretto , come a lungo eſpoſi nell'altra diſſertazione .
Biſogna quì ricordarſi che l'adulazione , ingegnoſiſlima nelle fue compiacenze
, or impiega le lodi dirette e manifeſte , or l'indirette ed occulte , ſecondo
che l'une e l'altre per le cir coſtanze fono più grate a colui che fi loda .
Lodar Augufto per la ſua ſtirpe , lodarlo per la vittoria che gli diede
l'Imperio , e per i tre trionfi , ne' quali fece tanto riſplender la ſua pietà
, erano lodi che Auguſto fonima mente defiderava che ſi pubblicaſſero , onde
eſſo poteſſe ritrar: ne più venerazione ed ubbidienza . Conviene a parte a
parte moſtrarlo . Giulio Ceſare nel far l'Orazione funebre in lode di Giulia
ſua Zia: La firpe materna , diſſe , di Giulia mia Zia ha origi ne dai Re , é la
paterna è congiunta cogli Dei immortali , im perciocchè da Anco Marzio derivano
i Re Marxj del cui nom fu mia Madre , da Venere i Giulj della cui gente è la
noſtra Fa miglia . Trovaſ dunque nel ceppo antico della caſa noſtra la fantità
dei Re la quale appreſſo gli Uomini è di grandiflima autorità e la Religione
degli Dii nella podeſtà de' quali ſono el Re . Sin quì Svetonio . Non potea
dunque che molto pia. cere ad Augufto che Virgilio noftraſſe e nel primo enel
ſe fto e nell'ottavo che nella ſua genealogia verano i Re , gli Dei , e gli
Eroi . Virgilio dice nel primo libro: il giovine A ſcanio che porta oggidiil
cognome di Giulio e che ſi chiamava Ilo, mentre Ilio era in piedi, governerà
Lavinio per trent'anni 1 in. 185 intieri etraſporterà la sede del Regno in Alba
lunga di cui faa rà una forte Città . Nel feſto egli dice: uſcirà dal ſangue
Tro jano miſto all' Italico Silvio ſuo figlio poſtumo che perpetuerd in Alba il
ſuo nome , e ſarà egli fello Re e padre di molti Re , . per lui la noſtra
ftirpe dominerà in Alba . Virgilio ſcaltro nul la parla delle guerre che
ſecondo Dionigi d'Alicarnaſſo vi fu rono tra Giulio figliuolo d'Aſcanio e
Silvio , e molto meno che per i ſuffragj del popolo ſi deſſe a Silvio il Regno
che apparteneva a ſua madre , ea Giulio per contentarlo la fo vranità ſulle
coſe della Religione, per cui, ſoggiunge Dionigi , la Famiglia Giulia ha goduto
fin al mio tempo del ſovrano Pontificato , e s'è chiamata Giulia a cagion d'
Julo da cui u ſciva . Io non so accordar queſto paſſo di Dionigi d'Alicarnaſ ſo
con quell'altro di Plutarco e di Svetonio , ove ſi vede che Giulio Ceſare non
per dricco di ſangue , ma per i ſuffragidel popolo in competenza di Catulo
ottenne il ſommo Pontifica to. Laſciando cid , baſta quì oſſervare , che
Virgilio confonde Aſcanio con Silvio figliuolo di Lavinia e gli altri
diſcendenci da lui, poichè dice , che v'era ſcolpita tutta la ftirpe d'Enea
cominciando da Aſcanio . Io così interpreto quel Ab Aſcanio . Di tutti queſti
Re e di queſti Eroi Virgilio nefa come del le imagini trionfali , che pone
nell'orlo del ſuo Scudo , come negli atrj delle caſe de' Romani ſi poncano le
imagini degli Avi loro, ſulle quali Giuvenale e Plinio fanno sì gravi riflet
fioni intorno al biasmo ed alla lode de' diſcendenti . Ciò ba fi intorno la
lode manifeſta della ftirpe d'Auguſto. Palliamo alle lodi indirette . Nelle
medaglie , ove fi legge Reft. o reſtitui , ſi vede l'ima. gine o d'un Bruto, o
d'un Coclite , o della libertà , o d'al tre coſe alluſive alle azioni celebri
de' Romani antichi , che gl' Imperatori Romani aveano imitate o reftituite . Il
P. Ar duino vuole che queſte allegorie nelle medaglie cominciaſſero ſotto Tito
, di cui ſi contano fino 22. medaglie di queſta ſpe. zie e terminaſſero ſotto
Trajano , di cui ſe ne contano 24. ma non , perchè queſte medaglie non ci
reſtino , ſi può dedur che ſotto gli altri Imperatori e particolarmente
ſottoAuguſto , che vantavafi d'effere il difenſore della libertà del Senato e
dei popolo , l'adulazione non aveſſe inventate l'allegoric ; certo è almeno ,
che con queſt'ipoteſi ſi rileva il ſenſo del ratto del. le Sabine, e della pace
ira Tazio e Romolo . Prima che Planco determinaffe il Senato a dar ad Occavio
Tomo II. il 186 9 il nome d'Auguſto , molti volcano che ſi chiamafle Romolo .
In fatti Auguſto l'imicava non ſolo nella fondazione d'un nuovo Impero , ma
ancora in molte circoſtanze della ftella fon dazione . Come Romolo col ratto
delle Sabine avea provvedu to al mantenimento della Città , così Auguito con la
legge di maricar gli ordini che Orazio chiama legge Marita ; due ne fece
Auguſto ., la prima nell' anno 736. e ſi chiamava legge Giulia , e l'altra
dell'anno 762. e li chiamava legge Popea perchè fatta ſotto i Conſoli Sulpizio
e Popeo. Con queſte leg. gi fi rinovarono l'antiche rammemorate da Cicerone e
da Aulo Gellio , e Dion Caſſio merte in bocca d'Auguſto una lunga arringa su
queſta materia al Senato , nella quale dopo d'aver cogli eſempj delle nozze
degli Dei eſaltato il vantaggio e la giocondità de'figli , l'utile della
Repubblica , e il biasmo di viver ſenza moglie , gli fa dire : Romolo autor
noftro , e da cui diſcendiamo, non li ſdegnerà con tagione conſiderando il fuo
naſcimento e i coftumi introdotti ? Orazio nel Carme ſecolare lodando per
queſta legge il Se nato obliquamente loda Auguſto ; ma Virgilio nella lode
obli. qua involge l'argomento del minore al maggiore come s'egli diceffe : fe
tanta obbligazione hanno i Romani a Romolo che con una violenza provvide al
mantenimento della Città , mol to maggior obbligazione i Romani hanno ad
Auguſto che ſen . za danno de' vicini vi provvide con una legge si ſaggia.
Romolo dopo le guerre con Tazio ai rapacificò ſolennemen. te con lui , e diviſe
feco il Regno ; ed Auguſto dopo molte guerre con Marcantonio conciliatoſi ſeco
per l'opera de' co muni amici diviſe l'Impero , del quale il termine ſecondo
Plu tarco era il Mar Jonio . Tutta la parte , dic'egli , verfo Levan te fu
conceſſa ad Antonio , e l'alira verſo Occidente a Ceſare . Pegno della pace fu
Ottavia maritata ad Antonio , e certamente ella è rappreſeatata nella vittima
che ſi ſcanna nella ceremo nia del giuramento tra Romolo e Tazio : ne deve far
difficol tà il noine della vittima , poichè tutto ciò che li confacrava agli
Dei era fanto , e la Scrofa è ſtata ad Enea d'indizio del paeſe che ricercava .
La pittura di Mezio non è meno allegorica ; egli tradi Tul lo Oſtilio come
Antonio tradì la Repubblica , e tradi Ottavio con la guerra che all'uno ed
all'altra intimo per far piacere a Cleopatra . Mezio ne fu ſquarciato a viſta
di Tullo; ed An. tonio fu coſtretto a darſi la morte quafi agli occhi
d'Augufto. An 187 Antonio mentre s'incamminava al ſepolcro ove s'era rinchiuſa
Cleopatra , andava verſando il ſangue per le Atrade come ap punto il corpo di
Mezio per la ſelva . Non ſi potevano eſpri mer da Virgilio coſe sì delicate che
in un quadro allegorico , Due volie , dice Svetonio , entrò Auguſto in Roma
vitto rioſo e ſenza trionfare , una, poichè egli ebbe vinto Bruto e Caffio
ne'campi Filippici, l'altra avendo vioto Seſto Pompeo in Sicilia ; il che
moftra , qual foſſe la modeſtia politica d ' Auguſto ; queſta ſteſſa egli usò
con Marcantonio del quale e gli non crionfo , ma di Cleopatra , come ſi può
raccoglier dal Trionfo deſcrito da Dion Callio . Egli ſollevò i figliuoli d'
Antonio alle prime dignità , nè col moſtrar odio e vendetta con Antonio dopo
ch'egli era morto voleva offender Octavia a cui era ſempre grata la memoria del
marito . Orazio e Vir gilio ben ſapendolo non mai parlarono di Marcantonio ſc
non mettendolo in compagnia di Cleopatra su cui fecero ca der l'odio e la colpa
; ma nel tempo ſteſſo , conoſcendo forſe che Auguſto ſi compiaceva , che negli
animi de' Romani non ſi ſmarriſſero l'idee di quanto avea fatto contra
Marcantonio per la finta difeſa della libertà , eſli procurarono di maſcherar
ne l'azioni con l'allegoria , della quale Auguſto poteva abba ſtanza intenderne
il ſenſo , e non offenderſi i partigiani d'An tonio per le varie
interpretazioni che poteano darle . Nelle mie note su l’Odi d'Orazio io ſpiego
con ciò molte coſe in intelligibili ſenza queſta ſuppoſizione, nè ſarà diſcaro
che ne moſtri l'uſo nelle ſtorie di Porſenna e di Manlio ſcolpite da Virgilio
nella ſeconda ovale dello Scudo . Porſenna voleva riſtabilire in Roma la
tirannia traſportan dovi i Tarquinj, e nonmeno Antonio voleva riſtabilirla tra
ſportandovi Cleopatra . Se Antonio , dice Dione , foſſe ſtato ſuperiore e
ſignore del tutto , era per dare a Cleopatra la Cit tà di Roma ; è poco dopo
ſoggiunge , che Cleopatra era venu ta in ſperanza d'acquiſtar l'Impero Romano ,
e che quando al cuno le dimandava giuſtizia , ella riſpondeva che gliela fareb
be in Campidoglio :al che pur allude Orazio nell'Ode 37. l . 1. dicendo ch'ella
era ebbra di folli ſperanze non meno che di vino mareorico . Io non so ſe
troppo raffini nel ritrovar in Clelia che ſi falva a nuoto , Ottavia che al dir
di Plutarco eſce precipitoſamente dalla caſa d'Antonio ; ma certamente Coclite
che rompe il ponte è un ſimbolo d'Agrippa che con la vittoria navale interrompe
l'avvanzamento d'Antonio. AQ 2 Tito 188 Tito Manlio è difenſore della libertà
del Campidoglio con tra i Galli , come Antonio fu difenſore della preteſa
libertà contra Caſſio e Bruto e gli altri nimici di Giulio Ceſare. Non
mancarono , dice Plinio , i fregi delle coſe militari in Manlio Capitolino , ſe
non gli aveſſe perduti nell'eſito della vita ; e Tito Livio ſoggiunge , che lo
ſteſſo luogo nell'Uomo ſteſſo fu un monumento e d'inſigne gloria e di ultima
pena . Anto nio difeſe il popolo Romano ne' Campi Filippici , e il popo lo
Romano in Azio ed in Aleſſandria l' inſeguì e fu cagione della ſua morte . I
Salj ed i Luperci eſultano , e le matrone ne loro cocchi agiati conducono le
coſe ſacre per la Città per dimoſtrare che non ſono ammeſſe in Roma le
ſuperſtizio ni Egiziache , abborrite eſtremamente da' Romani ne'cempi d '
Auguſto e di Tiberio . Catilina tormentato nell' Inferno non moſtra egli le
pene dovute a Marcantonio ? e per la ragion de contrarj quante lo di meritava
Auguſto per la ſalvata libertà ? In grazia di que fta ſoffriva Augufto che fi
lodaſſe Catone Uticenſe . Orazio nell’Ode 12. c. 1. lo mette tra gli Eroi di
Roma . Loderò di Caton la nobil morte ? Il P. Catrou pretende , che il Catone
che negli Elisj dello Scudo dà legge agli ſpiriti, non fia altrimenti Catune
Uricen ſe , ch'era troppo odioſo a'Ceſari, ma Catone il Cenſore , di cui dice
Seneca , che tanto giovo co'ſuoi coſtumi al popolo Romano , quanto Scipione
colle ſue guerre . Il P. della Rue é per il Carone Uticenſe , ma non ne aſſegna
la ragione , la quale è manifefta, ſe ſi riflette al paſſo di Taciro da me
nell' alıra diſſertazione addotto e che qui ancora ſoggiongo , perchè cgli
moſtra quanto Ottavio fi vantafle, come Cromuello fece a' noſtri tempi , di
paſſar per difenſore della pubblica libertà . Tito Livio ( così fa dir Tacito a
Cremuzio Cordo in Senato ) chiariffimo tra tutti gli Scrittori e per eloquenza
e per fedel tà , celebrò con tante lodiGnco Pompeo che Auguſto lo chia mava
Pompejano , nè perciò gli fu meno amico. Nelle Opere di Aſinio Pollione ( cui
Virgilio dedicò l'Egloga terza ) li fa onoratiflima memoria di Callio e Bruto :
Meffala Corvino pre dicava Caffio per ſuo Imperatore , e l'uno e l'altro
viſſero lun. gamente pieni di ricchezze e d'onori, ed Auguſto , non ſi sa le
con maggior lode di manſuetudine o di prudenza , laſciò 1 cor 189 correr le
lettere d'Antonio , e l'orazioni di Bruto , che molto lo diſonoravano ; nel che
forſe volle imitar Ceſare Dittatore che tollerò i verſi di Bibaculo e di
Catullo , ed al libro di Marco Cicerone nel quale s' inalza Catone al Cielo ,
riſpoſe perorando come ſe foſse avanti i Giudici . Con queſto paſſo di Tacito
ſi può dar la ragione per la quale Virgilio ed Ora zio non temerono , dedicando
l'Opere loro ad Auguſto , di no. minar Giunio Bruto , Marco Bruto , e Callio , Catone,
e Pom peo . Maquale ſcaltrezza cortigianeſca v'è in Virgilio nell' introdur
Catone a dar legge agli ſpiriti ? Par, ch'egli accen ni , che Carone meritava
ſolamente grado in quella Repubbli ca ideale di Platone , la quale ſecondo
Cicerone egli cercava nella feccia di Romolo . Ed ecco ciò che dovea dirſi
intorno alle lodi indirette ed allegoriche . Le figure del quarto e del quinto
ſpazio contengono lodi di rette , perchè cuite ripiene delle coſe di cui si
compiaceva Auguſto che i Romani continuamente acclamaffero . Egli ſteſ ſo ,
come ſi diffe , avea nel Foro di Ceſare conſecrata l'ima gine della battaglia ,
e del Trionfo , nè io dubito punto che Virgilio ne aveſſe eſpreſli i tratti
della pittura nello Scudo in quella guila , che nel primo libro nel rappreſentar
il Furore alliſo ſopra i trofei e con le mani annodate al tergo imita la
pittura ch'era nel Tempio di Giano . Tutto poi nella deſcrizione e della
battaglia , e del Trion fo , è diretto alla lode d'Auguſto. Nella battaglia ,
Auguſto è coi Padri , col Popolo , coi Penati , e co'magni Dei, ed ha in fronte
la ſtella paterna ; ciò ſignifica , che la guerra era in trapreſa per la
libertà del Popolo , del Senato e coll'alliſtenza di Giulio Ceſare già
Deificato . All'incontro Antonio non ha ſeco che de' Barbari , ed un'effeminata
Reina ; Auguſto è di feſo da Venere genitrice , da Minerva , e da Apollo , Dei
del la prudenza e del conſiglio , e da Nettuno , che gli era ſtato favorevole
nelle guerre in Sicilia contro Seſto . All'incontro Antonio non ha ſeco che Dei
moſtruoſi ed odiati da' Romani . Quanto cgli deſcrive più feroce la pugna ,
tanto maggior mente eſalta il valore d'Auguſto e d' Agrippa , ch'egli ſempre
accompagna per le ragioni di ſopra accennate . Le Furie e la Diſcordia con
Bellona liriferiſcono a Cleo patra ; ma qual mai v'è ſagacità poetica
nell'accennare la fu ga e la morte di queſta Reina ? Mentre ella ſuona il
filtro non vede i due ſerpi che la minacciano alle ſpalle ; ella con fida iyo
fida in vano nelle forze dell'Egitto , e in vano tenta di rifu . giarſi nelle
più occulte ſpiagge delNilo . Tutto allude al .con higlio ed alle azioni di
Cleopatra . Perchè poi Virgilio non nc introducefle nel Trionfo l'effigie , e
tra i prigioni non poneſ ſe i figliuoli di lei , la cagione n'è forſe ſtata il timore
d'ec citar nell'animo altrui con queſte imagini qualche grado di ammirazione e
di compaffione , e perciò ſcemar in parte la lode d'Auguſto , e tra l'altre
quella della pietà . Ne'gran Poe. ti biſogna egualmente riflettere e a quel che
dicono e a quel che tacciono , onde molto male s'argomenta dalla Poeſia alla
Storia , e dalla Storia alla Poeſia , quando non s'attende al fi ne a cui tutto
vuol accomodare il Poeta . Il fine delle figure ſcolpite nei vari ſpazi dello
Scudo ha relazione al fine gene rale dell'Eneide . Le figuredel ſecondo ſpazio
riguardano il ſenno d'Auguſto , le figure del terzo il valore , le figure del
quarto riguardano la ſua pierà . Queſte ſono le tre virtù do. minanti
dell'Eneide . Dionigi d'Alicarnaſlo , che ſcriveva nel tempo d'Augufto , le
ſtabiliſce come neceſſarie ai fondatori d ' un Impero , e Virgilio vi fabbrica
ſovra l'Eneide . Molte altre coſe io potrei addurre intorno l'artifizio poeti.
€0 , la chiarezza , e la brevità , colla quale Virgilio in sì po chi verſi
eſprime tante coſe , nè mai per oftentazione o d’in. gegno o di dottrina o
d'erudizione , maſempre relativamente al diſſegno del tutto e delle parti , ciò
che deve ſervire a' Poe. ti moderni di precetto e d'eſempio. DISSERTAZIONE
PRELIMINARE i ALL' ILLUSTRAZIONE DEL PARMENIDE DI PLATONE. atentat
nesatentratata L A ſecca della Filoſofia Italica fondata da Pitcagora ebbe nome
e ſede nella Magna Grecia , tra le cui Provincie fu per l'eccellenza
de'Filoſofi, che vi fiorirono , celebre la Lucania , ed in queſta la Città di
Velia , o d'Elea così denomi nata dal fiume che l'irrigava . Quivi Senofane di
Colofone , Cit tà della Jonia nell'Alia minore , ſtabilì e perfezionò la fecta
, che dalla Città d'Elea fi diffe Eleacica , e meritò d'avere tra gli al tri
diſcepoli Parmenide nato di Pireto , e quel Filoſofo grave e venerabile , che
con Zenone paſsò in Atene , ove tenne la con ferenza con Socrate eſpreſſa in
queſto Dialogo . Ora avendomi propoſto io d'illuſtrarlo nella ſua parte ſtori
ca e Filoſofica, credo diſoddisfar quanto baſta al mio impegno ſe prima tento
d'accordar l'erà controverſa dei tre Filoſofi nomi nati, indi ſe della dottrina
Eleatica ſpiego l'origine e l'effetto , o la Filoſofia Pittagorica , e la
Platonica ; finalmente ſe mi fer punto che Platone in queſto Dialogo n'eſpoſe,
e dichiaro l'artifizio filoſofico , e poetico dello ſteſſo Dialogo . lo difli ,
che Senofane ftabili , e perfezionò la ſecca Eleacica perchè Platone dice nel
Sofiſta , la gente d ' Elea incomincia appref ſo di noi da Senofane, anzi da
più antichi, i quali non poteano eller che Talete, o Pittagora , oi difcepoli
loro ; non regnando, allora alıra Filoſofia nella Grecia , ſe non l'introdotta
dai due fondatori, o profeſſata da i loro allievi . Alcuni però fecero Se
nofane poſteriore a Talete , ma più antico di Pittagora, nè fo dove prendeſſero
le loro congetture cronologiche , alle quali oltre l'autorità di Platone ,
s'oppongono le ſcoperte dei due Fi loſofi , e i viaggi loro . Taletecalcolo il
primo l' eccliſli lunari , ma come poteva egli calcolarle ſenza conoſcere la
propolizione , che Euclide poi fe ce la 47 del primo libro degli Elementi , e
di cui s'aſcrive or dinariamente l'invenzione a Pitcagora ? I calcoli
aſtronomici ſo mo ſul . no ( 4 ) no dedotti da trigonometrici, principio de'
quali è il triangolo rettangolo miſura diſe ſteſſo , e de gli altri triangoli.
Pittagora dunque, che l'invento , o fu contemporaneo di Talete , o fiori prima
di lui . , Io credei , che queſta foſſe una dimoſtrazione in cronologia ,
finchè in Plutarco ( a ) ritrovai che gli Egizj ſimboleggiavano co ? tre lati
del triangolo rettangolo miſurati da 3, 4 , e s le loro principali divinità
Ilide, Oliride, ed Oro ; aſſegnando ad Oſiri de la perpendicolare, la baſe ad
Ilide , e ad Oro l'ipotenuſa ; L'antichità del ſimbolo manifeſta quella della
cognizione , tan to più che gli Egizi coltivarono l' aſtronomia da poi che eb
bero inventato la geometria per miſurare i terreni, e non par veriſimile , che
ſenza conoſcere il triangolo rettangolo , il pri mo e il più facile ad immaginarſi
de gli altri, poteſſero riu ſcire nella pratica di queſte due ſcienze .
V'aggiungo, che fe condo Platone ( 6.) noci erano, agli Egizi gl'
incomenlurabili , la prima idea de' quali naſce dall' impoſſibilità di eſtrar
la radice dal quadrato dell'ipotenuſa del triangolo ; I lati del retcangolo
Pitta gorico ſono i numeri accennati , e queſta è la prova che dagli E giz lo
toglieſſe Pittagora , e nello ſteſſo tempo o poco prima l' aveſſe colto Talete
, benchè poi Talete ſi contentaffe di moſtrare all'Aſia minore l'ulo
aſtronomico della propoſizione, e Pictagora ne deſſe alla Magna Grecia la
dimoſtrazione Geometrica , ed è forſe quella regiſtrata da Euclide nel primo
libro diverſa dalla 8 del libro 6 dedotta dalle proporzioni delle linee , e che
nel progreſſo del tempo Eudoffo , che fiori nel tempo di Placone , portò dall'
Egitto col s elemento . Or fe i gradi delle cognizioni dello fpirito umano ſono
fema pre gli ftefli, dall'analogie dell' Epoche moderne ſi poſſono de durre le
antiche , e particolarmente quelle che hanno relazione agl'inventori de'
principjmatematici . Nel paſſato ſecolo ſi trova prima dal Toricelli la
Cicloide , e l' Ugenio l'applicò a regola re il moto dell'orologio a pendulo ;
il Newtono fi limitò all'altrace ta Teoria della luna , e l' Hallejo l'applico
a correggere le Tavo le aſtronomiche . La ſeconda congettura della
contemporaneità di Pitragora, e di Talete , ſi prende da coſe più facili . Vuol
Jamblico , che Ta lete ſcriveſſe una lettera a Ferecide maeſtro di Pittagora, e
gli legaſſe certi fcritti morendo , e par che Plinio convenga che i due
Filoſofi foſſero ſtati in Egitto al tempo che regnava il Re Amaſi. La queſtione
non cade più dunque ne ſu tutto il ſecolo , ne ( a) Trattato d'Ilide, ed
Oſiride . ( 6 ) Nella Rep. e nelle leggi . ( 5 ) 1 4 ne ful mezzo ſecolo , ma
su l'età dell'uno e dell'altro di pochi anni diſtante ; Talete par più vecchio
ſe ſcriſſeuna lettera al maeſtro di Pittagora , machi sa poi ſe Pitragora non
era allora in Egitto ? queſta lieve differenza non toglie però , che ſe Talete'
fu più d'un ſecoloprima di Senofane, non lo foſſe ancora Pittagora : Io ritrovo
bensì, che Senofane era contemporanco d'Epicar mo , e diEmpedocle. Secondo
Timeo lo Storico , Senofane paſsò in Sicilia al tempo di Gerone , ſotto il cui
Regno Epicarmo era illuſtre per le ſue commedie, e Plutarco (a) ci conſervò la
memo ' ia d'una riſpoſta , che diede Senofane ad Empedocle . Non è facile il
determinare , nè qui lo cerco , quanto Epicar mo , ed Empedocle foſſero
diſtanti da Pittagora , e quindidà Ar chita Tarentino il vecchio , da Peritione
, da Timeo di Locri , da Ocello Lucano , e da altri , che ſi dimandavano
Piccagorei ( 6 ) perchè udirono Pittagora , a differenza deglialtri , che ſi
chiamava no Pittagoriſti. Quando cominciò Senofane a ſtudiar la Filoſofia ,
quella di Ta lete era già diffuſa nella Jonia , e quella di Pittagora nella
Magna Grecia ,e nella Sicilia ; su queſto fondamento altri fecero Seno fane
diſcepolo di Anaſimandro , ed altri di Archelao diſcepolo di Anafagora , il
quale avea il primo traſportata la Filoſofia dalla Jonia in Atene, ove paffato
Senofane ftudiò ſotto ( c ) un certo Bottone Ateniere . Dalla povertà cacciato
Senofane dalla Grecia , paſsò nella Sici lia e quà s'abbandono alle doctrine
Pittagoriche , più delle Joniche conformi all'ingegno di lui acre , e profondo.
Dalla Filoſofia Jo nica , e dall' Italica traſſe un nuovo liftema , è meritò ď'
effer ca po della ſecta Eleatica primo fonte dell'Accademica , e della Pla
tonica , delle quali poi furono rami lo ſcetticismo, e lo ſtoicismo, Nulla
ancora s'è fatto , ſe non ſi dimoſtra accordarſi l'ecà di Senofane con quella
di Parmenide , e queſta con quella di Socra te . Tralaſciare dunque molte
epoche inverifimili, io m'arreſto a quella che aſſegna Timeo a Senofane , ed è
che egli fiorille nell'olimpiade 76. Parmenide, ſecondo Laerzio ſeguito dallo
Stan lejo , e da altri , fiorì nell' olimpiade 69 diſtante dalla 76 di 7
olimpiadi, che importano 28 anni, calcolando ogni olimpiade per 4 anni compiuti
. La voce fiorire è molto vaga o ſteľa nel la Cronologia , perchè non ſempre
moſtra , che un Filoſofo fof ſe nel punto più alto della ſua fama, ma che ſolo
aveſſe un no meilluſtreacquiſtato . Il Newtono , che cosi rapidamente ſi per
fezionò nelle matematiche, fioria del pari in Inghilterra nel 1662 quando
ſcriſſe al Leibnizio la lettera in cui gli dichiarava lo ſvi luppo , ( a )
Plut. de vit.pud . ( 6) Patr. diſcuſs. prop . 1. 6. (c) Laerzio vit.di Sen. ( 6
) 3 8 luppo , e l'uſo del Binomio eſaltato ad una potenza indetermi nata , e
nell'anno 1716 in cui molte coſe aggiunſe al ſuo libro de' colori, e n'illuſtrò
molte altre nei principj naturali della Fi loſofia matematica , Senofane, che
lo Scaligero fa vivere 104 an ni , ed altri almeno fino a 100 , potea fiorire
in olimpiadi mol to diftanti, perchè per la forza della ſua mente facilmente
riu fcendo nelle fue applicazioni, in breve acquiſtava fama di lomme Filoſofo ,
e la ſua fama tanto più ſpargeali per le bocche degli Uomini , quanto egli
abbelliva le ſue meditazioni filoſofiche con la Poelia per farle ricercare , e
leggere con più d'avidità . Parmenide fece i ſuoi ftudi in Elea ( a ) ſotto
Amenia , e Dio cheta Pictagorici , i quali lo riduſſero a laſciar le ricchezze
, ecol tivar la vita privata, e darſi tutto alla Filoſofia . Biſogna dun que
che in eſſa molto riuſciſſe , o la Filoſofia foſſe la paſſione , che più lo
dominava, ſe nato de' più ricchi, e de’più nobili di Elea ebbe tale coraggio ;
ma ciò molto applauſo dovea avergli acquiſtato appreſſo de'ſuoi Cittadini , ſe
fin d'allora cominciarono a celebrarlo in guiſa , che al dir di Ermipo
Empedocle l'emuld . Nulla vieta il ſupporre, che Empedocle avelTe molto
ſoggiornato in Elea , e poi foſſe ritornato in Agrigento ſua Patria . In Elea
era ſtato emulator di Parmenide doctiſſimo nelPittagoriſmo, e lo fu in Sicilia
di Senofane , che lo profeſſava con qualche cangiamento', dopo gli anni 28 che
è l'intervallo frappoſto tra l'olimpiade 69 e 76 . Paſso Senofane in Elea , ed
ivi Parmenide conſecrato agli ſtudi corſe ad udir Senofane , come i giovani
nobili , e ben educati ſo leano far nella Grecia , quando nelle loro Circà
udiano entrar un Filoſofo illuſtre , e che potea inſtruirli in qualche nuovo
liſte ma , del che chiari gli eſempi ne vediamo nel Protagora , nelGor gia , ed
in altri Dialoghi di Platone . Quando Parmenide udi Se nofane, queſti poteva
eſfer molto vecchio ; ma qualunque età dia ſi a Senofane, mi baſta , che nel
pricipio dell' olimpiade 76Parme nide imparaſſe da lui il fiſtema dell'uno
immobile , e non aveſſe allora che 36 , e ancor 40 anni , la ſteſſa età che
avea Zenone quando diſputò con Socrate in Acene . Socrate nacque al fine
dell'olimpiade 77 , ed avea 4 anni com piuti o 5 anni cominciati , quando nella
noſtra ipoteſi Parmeni de ne avea 40. Se zo anni dopo ſi fuppone, che Parmenide
con Ze none paſlaffe da Elea in Atene , come vuol Platone , non avea che 60
anni, e Socrate che 25 , onde era egli molto giovane relativa mente a Parmenide
. Semplici, e al fommo veriſimili ſono queſte ipoteſi degli ſtudi, 1 e dei ( a
) Laerzio vita di Parmenide . 1 ( 7 ) e dei viaggi dei due Filoſofi , e ſe
s'accordano facilmente con le olimpiadi , perchè oftinarſi a rigettarle , e
rinunziare all'au corità di Platone , che potea molto meglio al fuo tempo cono
fcere l'epoche dell'era filoſofica , che non ſi conobbero 6oo an ni dopo , e
ben più ? Le circoſtanze , con cui Platone accompagna l'abboccamento di Socrate
con Parmenide , accoppiano in guiſa alla verità del fatto la veriſimiglianza
ſtorica del Dialogo , che pare non do ver laſciarſi alcun ſoſpetto . Io le
eſtrarro dal Dialogo . Parmenide , e Zenone fuo diſcepolo favorito o fuo figlio
a dottivo abitavano fuor delle mura di Atene in caſa di un cer to Pitidoro .
Nelle ſolennità de grandi Panatenei , itofene So crate a ritrovar Parmenide ,
ritrovò folo in caſa Zenone , e comia cid a diſputar feco fu l'idee . Entrato
poco dopo Parmenide in caſa con Pitidoro , ſi proſeguì la diſputa incominciata
alla pre fenza di molti , tra' quali Ariſtotele non lo Stagirita , ma uno dei
30 Governatori , o Tiranni di Atene . Tali ſono le circo ftanze del luogo , del
tempo , e dei teſtimoni della diſputa . Socrate non avea allora che 25 anni ;
or eſſendo egli mor to nell'età di 72 anni, dall'abboccamento alla morte non vi
fo no che 47 anni di diſtanza , e tanti appunto o pochi più dall' abboccamento
al Dialogo , ſe Platone lo ſcriffe dopo la morte di Socrate : ma poniamo che l'
aveſſe compoſto anche 20 anni dopo ; la memoria di un Uomo così illuſtre qual
era Parmeni de non potea più ignorarli in Atene , di quel s'ignori ora a Parigi
la dimora che vi fece il Leibnizio, e l'Ugenio , e le di fpute che ebbero nell'
Accademia reale . Alle verilimiglianze ſtoriche s'aggiungono le poetiche necef
ſarie all' ornamento del Dialogo , che è una ſpecie di Poeſia Dramatica : così
lo teſse Platone. : Cefalo per bocca di Antifone ſuo fratello uterino , e
figliuo lo di Pirilampo , racconta ad A dimanto , e Glaucone , tutto ciò che
avea udito da Pitidoro fu la diſputa che ebbero Zenone pri ma , e poi Parmenide
con Socrate . ' Antifone avea converſaco familiarmente con Pitidoro compagno di
Zenone , ma poi laſcia ta la Filoſofia coltivava l'arte equeſtre , e quando
Cefalo ad in ſtigazione de' compagni andd a ritrovarlo , egli dava certo fre no
ad accomodare ad un fabro ; circoſtanza che io credo finta per dar rilievo al
racconto , é fiffar la fantaſia del lettore con qualche coſa di ſtrano . Par
toſto che Antifone occupato in un volgare eſercizio , non debba favellare ſe
non di coſe volgari , nè mai s' aſpetta , che egli ſia per ſalire nell' ultime
aſtrazio ni della metafiſica ; quindi il lettore reſta ſorpreſo dalla mera
viglia ( 8 ) 1 > e di viglia , allora che egli racconta il principio della
diſputa tra So crate e Zenone, e che poi s'interrompe alla venuta di Parme nide
, che fattoſi pregar un poco la continua fino al fine. Quan te menzogne , ſe
Socrate non parld mai con Parmenide ! All incontro qual arte fina di
veriſimiglianza poetica , per dar or namento alla verità del fatto di cuiCefalo
, Adimanto , e Glau cone vivendo poteano renderne teſtimonianza ? Come immagi
narſi, che un Filoſofo il qual volea render accetta la lettura de ſuoi Dialoghi
, cominciaſſe a diſguſtar il lettore con bugie le più sfacciate ? Ariſtotele,
che calunnia il ſuo Maeſtro in tante parti dell'opere ſue fue , e che parld
ſovente di Parmenide Socrate non attaccò mai Platone ſul loro abboccamento , e
pur ne poteva trar degli argomenti, per renderne la dottrina ſoſpetta. Non ne
parlano altri autori Greci più vicini a Platone , non gli autori Latini , che
più ſtudiarono i Greci , e tra gli altri Cicerone e Plinio , che tante coſe ci
conſervarono fu l' iſtoria ed Era Filoſofica . Non v'è che il ſolo Ateneo il
qual viſſe a' tempi di Marco Aurelio , che vuol dir quaſi più di 600 anni dopo
Platone . ( a ) Egli dice : Appena permette l' età che Socrate aveſe veduto ,
ed udito Parmenide , non dover però noi meravigliar ſene, perchè Platone
ſuppoſe che Fedro vivere al tempo di Socrate ; che Paralo , e Zantippo
figliuoli di Pericle , e morti nella peſtilenza , ragionaſſero nel Protagora ,
e che Gorgia diceſſe nel Dialogo del ſuo nome quel che mai s'era fognato di
dire . Molte altre accuſe contro Platone vibra Ateneo , e s'affatica a
dipingerlo tanto mordace , e maledico quanto bugiardo . Non so perchè i
Cronologi attenti a peſare ogni minuzia de'te fti non oſfervino , che Ateneo
nel dire vix ætas permittit dichiara , che poco intervallo di tempo v'era ſtato
tra la morte di Parme nide, e l'età di Socrate , maqueſto vix qual ha poi forza
cronologica poſto in bocca di Guriſconſulti, di Oratori, diPoeti , di Filologi,
non di Cronologi, che avrebbono diminuito l'allegrezza del convito coi loro
calcoli, e colle lor aſciutte illazioni ? Il Calaubono il qual nel ſuo
comentario d'Ateneo in un'altro libro in foglio sfoga tanta eru dizione ſu l’erbe,
ſu ipeſci, ſui coſtumidel convito , elu mille altre coſe inutiliffime a ſaperli
nulla degna di dire ſu le accuſe colle qua li uno dei Dinnoſofiſti morde
Platone . Io per me credo , che A teneo vedendoſi incapace d' emulare
l'immenſità della dottrina Platonica , e l'arrificioſa maniera con cui l'eſpone
Platone ne'ſuoi Dialoghi , teſſe lunga ſerie d'accuſe , e lo condanna di
menzogne ro , e maledico per accreditar ſe non altro la veracità , e la mo
deſtia colla quale caratterizza i ſuoi Dinnoſofiſti. Il buon Grama cico ( a )
Ateneo lib . 14. Sympt, 9 ) tico ne goda egli pure , e ſen ' applauda ; non per
queſto io crede rò , che Parmenide non poteſſe ragionare con Socrate , e ſtard
immobile nelle mie ipoteſi cronologiche , che a ben peſarle non vagliono meno
di tante altre , che in queſto ſecolo fi ſpacciano, e fi difendono come i
Teoremi diGeometria : Candidamente perd confeſſo , che io farò per ſacrificarle
a colui , che all'autorità di Ateneo ne aggiungere qualchealtra più
dimoſtrativa, e meno ſo fpecta ; finalmente malgrado le congetture eſpoſte io
ſon perſua ſo , che ſe Platone tutto finſe , il Dialogo è più ammirabile per la
menzogna poetica tutta opera della ſua fantaſia, che non è per la verità del
fatto , di cui poteano farſi onore i men dotti . Platone fcriffe in Filoſofia
più ditutti gli antichi che lo precede rono , e come da Eraclito le coſe
fiſiche, da Socrate le morali , così tolle da' Pittagorici lemetafiſiche , le
quali non ſi correffero che nel fecondo ſecolo della Religione , per le varie
diſpuce che, nacquero tra iPlatonici , e tra i Criſtiani. Eſaminerò dunque
prima d'ogni altra coſa la natura della difpu ta , dopo di cui proporrò
generalmente l'antica Filoſofia , ed in di la particolareggierò in Pittagora ,
e ne'Pittagorici, tra'quali Se nofane e Parmenide, e la terminerò con Platone .
A queſte due coſe io riduco l'origine, e l'effetto dell'Eleatiça Filoſofia ..
Gli antichi Filoſofi , ſenza eccettuarne nè pur uno , convennero nel principio
, che di nulla fi fa nulla , e ciò gl' impedì di poter conoſcere che Dio era un
ente ſingolariſlimo, uno, onnipoten re , buono , e libero; in ſomma di tutte
quelle perfezioni dotato le quali o per negazione , o per caſualità , o per
eminenza gli at tribuirono i SS. Padri, e cuti'i Teologi . Era Dio ſtato ſempre
con la materia ? Dunque altro non gli competea , che eſſer un modo di efla od
un ente , che ſolo per preciſion di ragione dalla materia ſi diſtingueva ; era
egli per metà uno , per metà onnipotente , fe dipendea da un principio , ſenza
il quale operar non potea , non più che il Pitcore dalla tela e dai colori , e
lo Scultore dal marmo. La diminuzione della potenza toglieva a Dio la bontà ,
perchè non poteva egli vincer in guiſa la contumacia della materia , che non
regnaſſe a ſuo malgrado il male miſto col bene . Come dunque Mosè per opporſi
al politeiſmo del ſuo tempo dalla creazione cominciò la ſtoria del mondo ; così
per opporſi a tutti gli errori che derivarono dall'eternità della mate ria fi
cominciò nel ſimbolo Apoftolico da Dio creatore , inſiſten do al dogma di S.
Paolo , il quale nella Epiſtola agli Ebrei : In tendiamo ; ( a ) dice egli ,
per la fede eſſere ſtati connelli i ſecoli Tom . II. b dalla ( a ) Epiſt. agli
Ebrei cap. 11. Fide intelligimus aptata eſſe ſecula ver bo Dei . ( 10 ) dalla
parola di Dio . I Padri nelle loro diſpute co'Gentili lo dichia rarono. Noi ,
dice Atenagora ,Jepariam Diodalla materia , lamateria crediamo un ente diverſo
---- ( m ) Dio è uno , ed ingenito , ed eterno ; la materia è corruttibile ; e
poi celebriamo tutti un Dio ſolo crea tore di tutte le coſe . - - .- la fua
forza immenſa non poterono abbrac ciar coloro con l'animo, che la notizia di
Dio non cercarono nello ſtef fo Dio, ma dentro fe fteſi . Taciano (6 ) pur dice
: Dio non s'inſi nua nella materia e negli spiriti materiali e nelle forme , ma
egli è artefice inviſibile ed intangibile di tutte le coſe . Teofilo
d'Antiochia ( c) parlando ad Autolico, dice , ſe Dio è ingenito e la materia è
pur tale , non è più Dio fabricatore e creatore di tutte le coſe . Queſti Pa
dri viſfero tutti e tre nel ſecondo ſecolo non molto diftanti l' uno dall'altro
. Gli errori de' Marcioniti , de' Valentiniani , de' Baſiliani , chefuronopur
cutti e tre che in queſto ſecolo diedero occa fione a' Padri d'illuſtrare il
lor zelo , dichiarando con la crea zione della materia il principio
fondamentale della Religione Criſtiana . Anzi Taciano dimoſtro , che i Greci ne
avevano ri cevute l'idee da'Barbari , ed i Barbari dagli Ebrei , benchè poi le
aveſſero oſcurate e corrotse . Affaccendati gli altri Padri a purgarle ,
oſſervarono che Dio , autore del pari della Fede , che della ragione , non le
avea ſeparate in un modo caliginoſo ed impenetrabile , ma le avea in maniera
accordate , che dall'aurora dell'una fi potea paſſare al pieno giorno
dell'altra , cogliendo però dalla ragione quanto e Platonici e Pittagorici e
Stoici, ed Epicurei v aveano im preſſo col lor proprio carattere . Si
compiacquero dunque della ſetta Eclerica , ed il primo che l'abbracciale fu
Atenagora il primo de' Catechiſti d'Aleſſandria , poi S. Clemente ed Origene
dal Veſcovo Uezio chiamato Pocamonico ( d ) anzichè Platoni ço , San Clemente
ſpinſe tant'oltre la condiſcendenza , che pro poſe come poflibile un ſiſtema
filoſofico, il quale raccoglieſſe tut te le verità ſcoperte dalla ragione umana
fin dal principio del mondo , ed agevolaſſe il metodo di far ricever i dogmi
della fede, e quello della creazione. Amonio Sacca conciliator di Ariſtotele e
di Platone , ritrovando che in Ariſtotele l' eternità del mondo ſi conciliava
con l'eter nità di Dio , ſe ben egli nulla ſcriveſſe , laſcid tuttavia a' ſuoi
diſcepoli , onde ſtabilire tal dogma. Diſtinſe egli l' eternica in due gradi o
in due ſegni , nell' uno dei quali poneva Dio, nell'altro le coſe bensì create
, ma da lui dipendenti , come il raggio dalSole , o l'ombra dal corpo .
S'accorſero i Padri, che iFi ( a ) Apologia pro Chriftianis . ( 6) Tat. allir,
cont. Græc. ( c ) Teof. Aut, lib . 2. ( d ) Iftor. del Moeffenio nel
finedelCuduortio . ( 11 ) e tras i Filoſofi mettendo con la creazione eterna
una dipendenza tra la materia é tra Dio , coglievano a Dio la libertà , perché
cacitamente fupponevano , che da Dio neceffariamente foſſe emanato il mondo
come il raggio dal Sole e l'ombra dal corpo . Far di Dio un Agente neceſſario ,
è lo ſteſſo che farlo per metà Signore , per che ſe fi confeſſa da una parte ,
che da Dio dipenda la coſa che egli fa , fi nega dall' altra che da lui dipende
il farla ed il non farla. La libertà è la maggiore delle perfezioni. Perchè dun
que corla a un ente infinitamenteperfetto ? Lafcio S. Ireneo, S.Cirillo , ed
altri, cheſoddisfarono ampia mente a tutte l' obbiezioni ; ma quello , che più
degli altri le ſcDIonvolſe ed atterrò , è ſtato Lattanzio Firmiano , che con au
reo ftile nel quarto ſecolo ſcriſe . In queſto ſecolo ancora ſcriffe ro Eufebio
nella Preparazione evangelica , e poi S. Agoſtino nel la Città di Dio , l'uno
ſegut l' ormeaccennace da Taziano , 1 alţro con erudizione più vigorofa , e più
filoſofica ſcriffe contro l'eternità , l'animazione , la divinica del mondo , e
l'immutabi lità del Fato . Apparve Proclo ( as nel príncípio del V1. fecolo
fondendo nella ſua Teologia molto di quella de' nomiDivini at tribuita a S.
Dionigi Areopagita , rinovd il fiſtema di Amonio Sacca riſtoro il Platoniſmo
caduto . Nel fecolo dopo , Zac caria di Mitilene , ed Enea di Gaza , ſcriſſero'
pure contro l'eter nità del Mondo. E da' loro fcritii ſi raccoglie , che l'idea
di Dio, combinata col policeiſmo era un'idea nugatoria , non men di quel la del
bilineo rettilineo , che rappreſenta alla mente una figura , é non è che una
contraddizione . Il P. Balto , nel ſuo dotuiffimo libro contro il Platoniſmo
ſvelato , lo dimoftra ; e dopo il Balto fe de fece dal Moeſfenio quella
circoſtanziata iſtoria ſul Platonis la quale è nel fine dell' opere del
Cuduortio , da lui tradotre dall' Ingleſe in Latino . lo nell’eſpor la doctrina
de Filoſofi antichi non mi feryi rò dell'autorita de' Platonici recenti , non
più , che fe non aveſ ſero mai ſcritto , ſalvo allora , che s'accordano cogli
antichi, e ci confervano qualche circoſtanza ſtorica indifferente . Cercherò
prima ne' teſti de' Filoſofi ftefli il ſenſo , che naturalmente preſen iano , e
dove ſia queſto oſcuro , ed equivoco , ricorrerà all'in terpretazione o di
Cicerone , o di Plutarco , o di Sefto Empirico , o di Laerzio Viſle Cicerone
molti anni prima del Crifianeſimo , e Plutar co viffe a Roma ſotto Adriano, o
Trajano , dopo d'aver ſtudiato in Egitto forro Amonio , diſcepolo di Potamone,
e del quale egli b 2 par ( a ) Pachimero in Suida , Vedi Fabrizio Bibliot. art
, Proclo . e mo , . ( 12 ) parla nella vita di Temiſtocle ed altrove. Laerzio e
Seſto Empi rico , fiorirono in circa ſotto Severo , che vuol dire molto prima
di Amonio Sacca , di Plotino , di Porfirio , e di molti alori nimici del
nomeCriſtiano ; non rifiuterd dall'altro lato i ſoccorſi , che i Padri
m'offrono allora particolarmente , che non hanno certa indulgenza alle opinioni
filoſofiche , ſcrivendo agl’Imperatori, o non argomentano ad hominem contro
coloro , che gl'inſultava no . La mecafiſica di Platone non è diverſa da quella
de' Pittago rici , e ſe una volta io dimoſtro, che queſti e particolarmente
Pitta gora , Senofane, e Parmenide conobbero bensì un principio intel ligente ,
ma non ſeparato dalla materia , anzi con effa non facen do che un tutto , avrò
dimoſtrato , io mi perſuado, che queſto pur era il ſiſtema Platonico .
Cominciero da Cicerone che in poche ma ſoſtanzioſe parole compendio tutto il
ſiſtema de' primi Accademici o di Platone , e lo craſſe da' Pittagorici , come
da Placone purtraſsero il loro gli Stoici, e i ſecondi e verzi Acca demici ,
poichè quanto a' Peripatetici ( a ) eli convenendo nelle cafe non differivano ,
che ne' nomi . Gli antichi , dice egli , divideano (b )lanatura in due coſe ,
l'una delle quali era efficiente, e l'altraad eſsa quafi preſtandoſi quella di
cui ſi fa ceano le coſe.. Incid che facea riponevano la forza , in ciò di cui
ſi fa cea , una certa materia , ma l'una e l'altra era nell' una e nell' altra
perchè nè la materia può aver coerenza , ſe non ſia da qualche forza ritenuta ,
ne v'è la forza ſenza qualche materia , poichè nullo v'è che non fic in qualche
luogo . . Se la forza e la materia erano indiviſibilmente unite , la fola mente
le ſeparava , e perciò conſiderar l'una ſenza l'altra era un ?: aſtrazione ,
una preciſion della menee . Cid che riſulta ( c ) dall'uno e dall'altro , o ſia
dall'accoppiamento , lo chiamavano corpo , e quafi certa qualità ...-- . Di
queſte qualità al tre fono principali, ed altre derivate da queſte . Delle
principali ſono ognuna ( a ) Cicer. Quæſt. Acad. 1. Peripateticos', &
Academicos nominibus differentes , & re congruentes lib. 2. ( b ) De natura
autem ita dicebant, ut eam dividerent in res duas , ut altera eſſet efficiens,
altera autem quaſi huic fe præbens ea qua effi ceretur aliquid : in eo , quod
efficeret vim eff: cenſebant ; in eo au tem quod efficeretur materiam quamdam :
in utroque tamen utrum , que : neque enim materiam ipfam cohærere potuiſſe , ſi
nulla vi contineretur ; neque vim line aliqua materia : nihil eft enim quod non
alicubi eſſe cogatur. ( c ) Sed quod ex utroque id jam corpus , & quaſi q
uandam qualitatem nominabanc Earum igitur qualitatum ſunt aliæ Principes , aliæ
ex his ortæ . Principes ſunt uniuſmodi , & ſimplices , ex iis au tem ortæ
variæ funt, & quafi multiformes : itaque aer quoque ( uti niur ( 13 )
ognuna della ſteſſa ſpecie , e ſemplici. Da queſte qualità , altre ne for no
nate , e quaſi moltiformi. L'aere , il fuoco , l'acqua , ela terra for no primi
, e da queſti nacquero le forme degli animali , e le altre coſe , che ſi
generano dalla terra . Dunque que' principi , per tradurlo dal Greco, ſi dicono
elementi , de' quali l' aria , il fuoco , banno la for za di muovere , e di
fare , le altre parti di ricevere , e quaſi di pati re , l'acqua, dico , e la
terra . La parola ſemplice quì non ſignifica indiviſibile , e Seſto ( a ) Em
pirico pur la prende in queſto ſenſo . Vè un quinto genere , b )di cui ſono gli
aſtri, e le menti ſingolari , ed Ariftotele lo pone diſimile dagli altri
quattro . Se le menti ſono tratte dallo ſteſſo elemento , che gli altri , non
ſon eſſe ſemplici nel ſenſo d'indiviſibile, ciò che Cicerone dice altrove .
Teniamo noi che l'animo abbia tre parti , come piacque a Platone, o ſia
ſemplice ed uno ; ſe ſemplice ſia egli come il foco , il fangue , l'anima ,
cioè il ſoffio . Queſte coſe conſtando di parti non ſono ſemplici. Continua
Cicerone . ( c ) Ma penſano, che di tutte ſia ſoggetto una certa materia priva
di ogni specie , e d ogni qualità , e da eui Butte le coſe ſono eſpreſſe e
fatte , e che può ricever in sè tutte le coſe . Se la materia era prima d'ogni
fpecie , d'ogni qualità , non cra corpo , e perciò conſiderata dalla mente ,
indipendentemen te dalla forza , ella era incorporea ; Selto Empirico chiama
per . incorporei i punti, le linee , e le ſuperficie . .. Platone nel Timeo ,
la chiama difficile ed oſcura fpecie , e il recercacolo d'ogni generazione, e
quali nutrice ; aggiunge , che ella non fi diparte mai dalla propria potenza ,
perciocchè tut te le coſe riceve , nè prende maiper alcun modo, alcuna forma a
queſte fimile , e prova eller convenevole , che di tutte le ſpecie ſia privo
quel. che ha in sè da ricever tisti'i generi, comequelli che hanno da fa re
unguenti odorofi, l'umida materia , che vogliono di certo odore, cori dire di
tal guiſa preparano ', che ella non abbia alcun proprio odore e colore eziandio
, vogliono in materie molli imprimere alcune pgure , los niuna mur' n. pro
latino ) ignis , & aqua , & terra prima ſunt. Ex iis au tem' orræ
animantium formæ earumque rerum quæ gignantur è ter ras, ergo illa initia , ut
è Greco vertam , elementa dicuntur ; è qui bus aer , & ignis movendi vim
habent & efficiendi ; reliquæ par tes accipiendi & quafi patiendi,
aquam dico & terram . a ) Contra Mathematicos. ( b ) Quintuin genus e quo
eſſent aſtra mentesque ſingulares earum quatuor quæ ſupra dixi diſſimiles ,
Ariſtoteles quoddameſſe rebatur . ( 6 ) Sed Salicetam putant oinnibus fine ulla
fpecie , atque carentem omni illa qualitate o ... materiam quandam ex qua omnia
eſptela , atque effecta lipt qux'- tota omnia accipere pofito ( 14 ) 1 njuna
figura affatto laſciano primieramente apparire in quelle , ma cer cano pria di
renderle quantopoſſibil fra polite. Molte altre coſe aggiunge Placone , che Ariſtotele
in una de finizione riduce , dicendo che la materia non è alcuna di quelle co
fe , di cui l'ente fi determina , e tra l'altre coſe annovera la qua lica , e
la quantità , che par Cicerone ridurre alla ſola qualità ; ma che l'idea del
corpo , e della materia foffero diverſe ſecon do gli antichi , lo dimoſtrano le
diverſe parole , con cui l'eſpri mevano , chiamando la materia ùns, ed il corpo
owllde. Chi po ne un nome , dice Platone nel Sofiſta , dalla cofa diverſo ,
introdu ce veramente due coſe . La materia dunque, non eſſendo il corpo , ella
era incorporea , ed incorporea la chiama in molti luoghi Sefto Empirico , e
Plotino , la cui autorità qui è tanto più for te , quanto che egli ſteſo col
nome d'incorporeo , non ſignifi cava la ſteſſa coſa che noi chiamšamo
fpirituale . Stobeo ( a ) lo conferma col dire: Si nega effer corpo lamateria
non tanto , perchè manchi degl'intervalli del corpo , o delle tre dimenſioni ,
quanto perchè ſia priva d'altre coſe appartenenti al corpo, figura, co lore ,
gravità , leggerezza, ed ogni altra qualità , e quantità . La materia pud ( b )
in tutti i modi mutarfi , ed in ogni parte non mai ridurſi al niente, ma ſolo
in parti che poſsono all' infinito partir li, e dividerſi , nulla eſſendo di
minimo in natura , che divider non fi pola. Le coſe poi che ſi movono tutte',
moverſi con intervalli , che all'infinito ſi poſſono dividere , e cosi'
movendoſi quella forza , cheab bian detta qualità ( cioè il corpo ) e di qud ,
e di là verſando per fano , che tutta affatto la materia fi muti , efi faccian
le coſe, che chix miam quali, dalle cui nature coerenti, e continue in tutte le
ſue parti è fatto il mondo , fuori di cui non v'è alcuna parte di materia , nè
abas cun corpo . Quante coſe raduna Cicerone in poche parole ! Con la divi fibilità
all'infinito della materia , eſclude gli atomi forſe ammeſ da Empedocle ne'
minutiſſimi corpicelli , che componevano gli elementi, e da Eraclito nelle
mondature piccioliflime , ed indivi fibi ( a ) Stobeo. I. 1. Egl. fil. cap .
14. 16 ) Omnibusque modismutare atque ex omni parte eoque etiam interi se non
in nihilum ', ſed in ſuas partes quæ infinite lecari , atque di vidi pollint,
cum ſit nihil omnino in rerum naturam minimum quod dividi nequeat : quæ autem
moveantur omnia intervallis moveri; quzintervalla item infinite dividi poſfint,
& cum ita moveatur il la vis , quam qualitatem effe diximus , & cum fic
ultro citroque verfetur : & materiam ipfam totam penitus commutari putant ,
& ita effici quæ appellant qualia , e quibus in omninatura cohærente ,
& confirmata cum omnibus fuis partibus effectum elle mundunt, extra quem
nulla pars materiæ fit nullumque corpus . ( 15 ) Ibili . Con la coerenza delle
parti della materia , Cicerone eſclu de il vuoto negato da tutti , da Talece
fino a Platone , onde dif ſe Empedocle: Nulla di vuoto vė , nulla che abbondi.
Accenna pur Cicerone le leggi coſtanti che conſervano icore pi movendoſi, e nel
dir che fi movono con certi intervalli , i quali all' infinito ſi poffon
dividere , non applica egli le leggi del moto a' corpi minimi come a'fenfibili
? Le parti (a) del mondo effer tutte le coſe che fono in eso, e tutte occupate
da una natura che ſente , e nella quale v'è una ragione per fetta , e la ſteſsa
fempiterna , nulla effendovi di più forteche poſsa diſtruggerla , e la
steſſadirfi mente , ſapienza perfetta , e chiamarfi Dio, ed eſer .quafi
certaprudenza di tutte le coſe , cheprovede alle coſe celefti , ed a quelle che
in terra appartengono agli uomini. Se queſto Dio degli antichi Filoſofi
rifultava dalle nature coerenti e continue di tutte le parti del mondo , ſe
egli era il ſenſo , la ragione perfetta, la ſapienza , la providenza che reg
gea queſte parti , era egli altro che una modificazione della forza e della
materia , giacchè non v'era forza ſenza materia , nè materia fenza forza , e
non era egli ſeparatamente dalle co ſe conſiderato che un ente di ragione ?
Qual relazione ha que fto Dio al noſtro , che è un ente ſingolariſtimo in sè, e
fepa rato non per preciſion di ragione , ma realmente dalla forza e dalla materia
, della quale egli è il Creatore ? Alle volte lochiamiamo ( b ) neceſſità ,
perchè null' altro pud farſi , ſe non ciò che da lei è coſtituito nella quafi
fatale , e immutabile con tinuazione d'un ordine fempiterno ; alle volte poi lo
chiamiamo fortu na , la qual fa molte coſe improvvife , nè da noi penſate per
l'oſcuri. tà , ed ignoranza delle cagioni ; ed ecco Dio rappreſentato come
agente neceſſario , o ſenza libertà ; ecco diſegnato l' ordine fa tale e
ſempiterno delle coſe ; ecco come per la noſtra igno ranza non poſſiamo
conoſcere la conneſſione , e le conſeguenze delle ( a ) Partes autem mundi effe
omnia quæ infint in eo quæ natura ſentiente teneantur , in qua ratio perfecta
inſit quæ fit eadem ſem piterna : nihil enim valentius eſſe a quo intereat ,
quam vim ani mam effe dicunt mundi eandemque effe mentem fapientiamque per
fectam quem Deum appellant, omniumque rerum quæ ſunt ei fub jedtæ quafi
prudentiam quandam procurantem cæleftia maxime dein de in terris , eaque
pertinent ad homines . 16 ) Quam interdum neceſitatem appellant quia nihil
aliter poſfit, at que ab ea conftitutum fit inter qual fatalem ,
&immutabilem conti nuationem ordinis fempiterni ; nonnunquam quidem eandem
fortu nam , quod efficiat multa improviſa hæc nec optata nobis propter obſcuritatem
ignorationemque cauſarum , ( 16 ) delle cagioni , e degli effetti loro . In
ſomma l'antica Filoſofia aveva adotata l' eternità , l' animazione , la
divinità del mondo , e l'immutabilità del Fato , le quattro coſe che Santo
Agoſtino ha egregiamente combattute nella Città di Dio . Comparando il trattato
d' Ilide , e d' Ogride di Plutarco col paſſo di Cicerone , non è difficile di
raccogliere, che la Filoſo fia Egizia ne' principi eſſenziali non era diverſa
dalla Greca , ſe non nella maniera di ſpiegarſi o ne' ſimboli . La materia , di
cui parla Cicerone , era Ilide , la quale in ogni coſa potea tramu . tarſi, e
di tutte le coſe eſer capace , della luce , delle tenebre , del giorno, della
notte, della vita , della morte , del principio , e del fi ne . La forza è
Oſiride , la cui veſte ſi facea ſenza ombra , e ſenza varietà , d'un color
ſemplice , e rilucente ; perchè ella è il principio dalla noſtramente ſolo ,
intefo , puro, e ſincero, tutt' iſimbolicontrarj a quelli delle proprietà
dipendenti dalle qualità de' corpi diſegnati per Oro . Riſultava queſti
dall'accoppiamento d'Ilde , e d'Oſiride, e chiamavaſi parto o creatura ,
rappreſentandoſi per l'ipotenuſa del triangolo miſurata dal 5 ; per cui ſi
chiamava con la voce Pente , da cui deriva Panta, o l'Univerſo , che gli Egizi
penſavano eſſer la ſteſſa coſa con Dio , nel che, come egli dice , s'accordava
Ma netone Sebenita con Ecateo Abderita . Diodoro di Sicilia nel principio della
ſua Storia , ſcrive coſa pen {aſſero gli Egizj su la generazione del mondo ,
ſul principio del le coſe , ſul naſcimento dell'Uomo. Par che Euſebio afcriva a
Tot , che è il Mercurio degli Egizj , quanto ſcriſſe Sanconiatone ſul caos, e
ſulla formazione della Luna , delle Stelle , degli Elementi . La Teologia
miſtica dei Fenici , che dagli Ebrei , ſecondo Euſebio ed altri Padri , ſi
preſe , reftd in guila alterata e confuſa, che nel caos poſero prima i principj
delle coſe, ed introduſſero poi l'arte fice o l'amore , per opra del quale
ordinarono il caos , é fabbrica rono il mondo . Orfeo il primo la portò nella
Grecia e L'Inno criſto canto del caos vetufto , E come agli elementi , e come
al Cielo Origin deffe, ed alla vaſta terra , E alla profondità del mar Amore
Antichiſſimo, e ſaggio . Il caos era la materia , l'amore , o la forma, ed i
prodotti, i compoſti, ed i corpi, ed in queſte tre coſe conſiſtea la fiſica
generale degli antichi . La ſcienza che n'eftraſſero o la metafi fica
rappreſentandola in una maniera molto indeterminata , la ſciava infeparata la
materia da Dio , e dai compoſti , ed era molto perciò differente dalla noſtra
metafiſica, la quale nell' en te include eſſenzialmente le creature , nè
s'eſtende che per un ' 9 1 5 ܗܳ ana ( 17 ) analogia molto lontana al Creatore . Io lo
dimoſtrerò partita mente ne' liſtemi di Pittagora , di Senofane, e di Parmenide
, e ſarà facile ad applicarne l'uſo a Platone . Pittagora e Platone ( a )
giudicano , che il mondo ſia ſtato fatto da Dio : dunque le Platone fece da Dio
generar il mon do ordinando la materia fluctuante , egli imparò ciò da Pitta
gora , che l'avea imparato dagli Egizi, da Orfeo , anzi dal pro prio maeſtro (
6 ) Ferecide Sciro. Avea egli ſoſtenuto , che in tut ta l'eternità Giove , il
tempo , e la terra erano ſtati. Facciali pur di Giove, la cagione di tutte le
coſe , e gli ſi dia ſomma pruden za , e fomma ſapienza , egli non ſarà mai che
la forza , e l'amore che eguaglieraffi al tempo , e alla terra ; vi ſi aggiunga
, che poi chè Giove diede il premio alla terra ſi chiamò queſta Tellure, ( c )
non altro mai ſi concluderà , ſe non che prima la forza , e l'amo re
temperaffe, digeriſſe , ed ornaſſe quella mole indigeſta , che chiamavali terra
. Pittagora generò il mondo dal foco , e a guiſa di foco ſotti liſſimo ( d )
Iparſo, e rinchiuſo nel mondo , volea Placone , che foffe Dio . L'ornamento , (
e ) l'unione , l'ordine di tutte le coſe furono chiamate da Pittagora Coſmos, o
il mondo, e diffe egli , che il mondo viſibile era Dio . Stimò il primo , dice
Cicerone ( f) l'animo per tutta la natura delle coſe eſer diffuſo , e per la
mente da cui gli animi noftri ſono tratti , ne vide per la detrazione di que
fti diſtaccarſi , e ſquarciarſi Dio , e farſi miſera una parte di lui , mentre
queſti ſoffrivano. Dio dunque era il mondo , e l'anime era no parti di Dio ,
effetto della Metempficoſi, ſe pur non era queſta una coſa affatto poetica,
come Timeo di Locri lo dice . Virgilio eſpreſſe il ſentimento di Cicerone nelle
Georgiche. * Della mente di Dio parci efſer l' api, E forfi eterei differo ,
che Dio Va per tutte le terre, e tutti i mari , E pel profondo Ciel ; quindi
gli armenti, E le pecore , e gli Uomini, e ogni ftirpe Di fere, e ogni altra ,
che da se rimove La tenue vita allorchè naſce . Tomo II. E nell ( a ) Plut. de
Ifid.& Ofir.car. 374. Franc. Edit. Vechel . ( 6 ) Laert. (C ) S. Clem .
Aleſs. ( d ) San Giuſtino apolog. Ermia nel fine dell'opere di S. Giuſtino. (
e) Plut,plac.lib.2 . ( 1) De Natura Deor. I. 1 . Elle apibus partem divinæ
mentis , & hauſtus Æthereos dixere : Deum namque iré per omnes Terrasque
tractusque maris Columque profundum . Hinc pecudes , armenta , viros , genus
omne ferarum Quemque fibi tenues naſcentem arceſſere vitas . 1.4. Georg. . C (
18 ) E nell' Eneide , * Nel principio le terre , il Cielo , e i campi Liquidi,
e della Luna lo fplendente Globo , e gli aſtri Titanj , interno fpirco Alimenta
, ed infuſa in ogni membro Tutta la mole n'agica la mente E fi framiſchia nel
gran corpo ; quindi E di pecore , e d'Uomini la ftirpe, De volanti la vita ,
e'l mar che i moftri Sorco la liſcia ſuperficie porta . no , Pittagora fu
l'autor dell'idee ; (a ) oſervd il primo tra'Greci che la mente non potendo
rappreſentarſi ſingolari, perchè ſono in numerabili nel compararli, ne traſfe
igeneri, e le ſpecie , ne'qua li ſi ravviſano le coſe ſparſe . Così ravviſava
tutti gli individui umani nell'animal ragionevole. Nel far queſti aſtratti ( 6
) conſide rò , che la materia era mutabile , alterabile , Auflibile in ogni gui
fa , ma che non vi ſono ſpecie , che s'accreſcano , o che perifca e perciò gli
Uomini oſſervandole coſtantemente in tutti i tempi, e in tutti i Paeſi le
credono eterne ed immutabili . La que ſtione era di rappreſentar queſt'idee. I
numeri convengono all'Uomo , al cavallo , alla giuſtizia , al la caſa , e a che
so io ; dunque i numeri ſono univerſali , perchè atti alla rappreſentazione de'
molti. L'oſſervazione è d'Ariſtotele , ( c ) e molto più la ſtende Poſſidonio ,
riferito da Seſto Empirico , ( d ) il qual dimoſtra per i numeri aſſimigliarſi
cutte le coſe , e ſen za queſti non poterſi intendere nè gli elementi, nè
l'armonia , nè alcuna delle tre dimenſioni del corpo , nè ciò che riſulta da
corpi uniti , coerenti , diftánti, nè tutti i calcoli delle quantità fùccef five,
nè ciò che appartiene alla vita , ed all' arti fondate su propor zioni ſolo
intelligibili per i numeri . Pitragora dunque ſi ſervì del numero , per dar un
ſimbolo dei due principj delle coſe, la forza , e la materia , di cui chiamò
l'una l'uno , e l'altra il due . L'unità , diceva egli , è Dio , ( e ) ed anche
il bene che è di natura * Principio Coelum , ac terras camposque liquentes
Lucentemque globum Lunæ Titaniaque altra Spiritus intus alit : totamque infuſa
per artus Mens agitat molem , & magno ſe corpore miſcet. Inde hominum
pecudumque genus vitæque volantum , Et quæ marmoreo fert monſtra ſub æquore
pontus . ( a ) Plut. plac. Phil. l. 1. ( 6 ) Plut. ib . l. 1. c.9 . ( c ) Metaf
. lib . 10. ( d ) Contra Logicos . ( e ) Plut. plac . Phil. lib. 2 . ( 19 ) un
ſolo , e lo ſteſso intelletto , il due infinito , e genio triſto , d'inser
torno il qual due ſi fa la quantità della materia . Chiamava uno la forza
perchè noi la concepiamo a guiſa d'un non ſo che d'indi viſibile ; chiamava due
la materia , perchè ella è fempre divil bile in due , Di queſti due principj,
uno è quello del bene , e l'altro del male, già l'ha inſinuato Plutarco.
Archelao Veſcovo ( a ) di Cara dice ; Širiano introduce la dualità contraria a
ſe ſteffa , la quale egli preſe da Pittagora , ſiccome tutti gli altri
ſettatori di tak dogma, ; quali difendono la dualità declinando dalla via retta
della ſcrittura . Tutte in ſommal'ereſie , che vi ſono nel compendio della Filo
fofia di Cicerone , che vuol dir l'eternità , l'animazione , la divis nità del
mondo , Piccagora le raccolfe in un ſiſtema , ed in vano fi dice, che egli
nulla fcriveſſe . Liſide diſcepolo ( b ) di Pittagora in una lettera fcnca ad
Ip parco , dopo la morte del maeſtro ſignifica non voler comuni care ad alcuno
i precetti, e dimoſtra che delle coſe , le quali di ceano i ſeguaci di
Pitcagora , non ve n'era nè pur ombra. Por firio nella vita di Pittagora dice ,
che agli Uomini oppreſli da tale calamitat, ( cioè dalla morte di Piccagora ) :
manca lo ſciens di lui , la quale arcana e recondita cuſtodida in petto , nè vi
reftas fono che certe coſe difficili da intenderſi imparate a memoria dagli udi
tori dell'eſterna Filoſofia, poichènon v'era alçun ſcritto di Pittagora ; ed
aggiunge ,che dopo la morte di lui „ Lilide , Archippo ,ed altri furono
folleciti , chei penſieridiPiccagora non ſi pubblicaffero , onde eutti gli
arcani della ſua Filoſofia con lui perirono'. To dubito aſſai del la vericà
della lettera di Liſide, la quale con quel che dice Porfirio pud eſſere ſtata
finta ,perchè i Criſtiani nontraeſfero argomenti da quanto ci reſta diPitagora
, in Cicerone, in Plutarco , in Laer zio : ma ſe non v'era coſa alcuna della
Filoſofia di Pittagora ,.co me poi Jamblico poeea gloriarſi di riftabilirla ; e
non è manifeſto che egli la riſtabili a fuo modo per combattere i Criſtiani
de'quali fu accerbo' nimico ; lo ſteſſo Porfirio , che dice nulla aver fcric to
Pittagora , come poi ebbe fronte d'afferire , che egli avea ſcrit to fu l'ente
, il che Euſebio ( c ) riferiſce ? Diſcepoli di Pitcagora furono Archita
Tarentino il vecchio , Pe ritione , Timeo di Locri, ed Epicarmo. Archita il
vecchio ( d ) , che Simplicio confonde col giovine , fcriſſe delle dieci voci
corriſpondenti ai dieci concetti dell'animo , i quali s'eſtendono a cutte le
cole , potendoſi d' ognuna cercar la ( a ) Zaccagna collect. monumentorum
veterum Eccleſiæ Græcæ , atque Latinæ . Archelai Epiſcopi acta . ( 6 ) Galeo .
( c ) Propof. Evang, lalg . (d ) Patrizia diſcuſ, Peripa,1 ( 20 ) la ſoſtanza ,
la quantità, la qualità , l'azione , e gli altri acciden ti regiſtrati a lungo
da Ariſtotele nella ſua Logica , in cui copiò il trattato di Archita . Lo
Stanlejo , che pretende di numerare tutte le donne Pitcago riche , omette
Peritione, e pur eſser ella dovea la più celebre ,le da lei trafse Ariftotele (
a ) tutta l'idea della ſua metafiſica . Lo prova con molta erudizione il
Patrizio , allegando la definizio ne della fapienza di Peritione , e
comparandola con quella di Ariſtotele. Laſapienza , diceva ella , verſa in
tutt'i generi degli en ti , perchè verſa intorno tutti gli enti , come la
viſione intorno tutti i viſibili. Ariſtotele definì la metafiſica, per la
ſcienza che contem pla l'ente , in quanto ente , e le coſe che per sè gli
convengono . Peritione egregiamente ſpiegò gli accidenti dicendo : delle coſe
che accadono agli enti , alcune univerſalmente accadono a tutti , alcu ne altre
a molti di loro , e certe ad un ſolo , ma riguardar univerſal mente , e
contemplar tutti gli accidenti appartiene alla ſcienza . Que. fte ed altre cole
che ilPatrizio aggiunge, danno idea della preci fione , e nettezza di Peritione
, e nel tempo ſtefso quanto tra' Pittagorici erano familiari l'idee
Pittagoriche , ſe le donne ſtef ſe ne ſcriveano con tanta eleganza filoſofica ·
Non dobbiamo tuttavia meravigliarſene , di poi cheabbiam veduto ne’noftri gior
ni Madama la Marcheſa di Chatelet , ſcrivere ſulla natura del. le monadi
Leibniziane , queſtione molto più oſcura di quella dell'ente . Timeo di Locri
nel ſuo ragionamento ſull'anima del mondo , in queſta univerlità di natura ,
dice egli , v'è un certo che, il qual rimane , ed è l intelligibile eſemplare
delle coſe , che ſono in un fuſo perpetuo di mutazioni, e queſto nelle vicende
delle coſe ſingolari , co ftante, e perpetuo eſemplare ſi chiama idea , ed è
dalla mente compre fo . Nell'univerſità dunque delle coſe , che vuol dir dentro
le coſe o in cutti i compoſti v'è quel non ſo che , che mai non cangia , e può
dalla mente eſtrarli qual idolo . Le coſe ſenſibili eſser in un perpetuo fluſso
lo diſsegnarono , al dir di Platone , nell'Omero , ed Eſiodo ſotto l'imagine
dell'Oceano , e di Te ti , e di queſte non aſsegnarono fcienza i Pictagorici ,
ma ſolo di quelle , che nè col ſenſo , né coll' immaginazione ſi ravviſa no , e
queſta fu la prima differenza tra la Filoſofia Jonica , e l'Italica . Epicarmo
ſommo Poeta , come Omero al dir di Platone , so all' una grandezza d'un cubito
( diceva egli ) altra tu voglia aggiun gervi o ſottrarsi, non avrai mai certo
la Nera miſura ; gli Uomini pa rimen ( a ) Patriz. l . 2. cap. 1. diſcuſ.
Perip. ( 6) Ragion, ſu l'anima del Mondo . ( 21 ) rimente conſidera or
accrefcere , ed or decreſcere , tutti ſoggiaciono ai cambiamenti del tempo . (
a ) Jeri tu fofti un altro , io pur vi fui, E un altro ſiamo in queſto tempo ,
e fieno Di nuovo gli altri , che non mai gli ſteſſi Noi ſiamo , come la ragion
lo predica . Per l'Intelligibile così parlo : A. L'arte tibicinal è qualche
coſa ? B. Perchè no . A. Forſe è l' Uom queſta tal arte ? B. Non mai A. Vediam
, che coſa queſto ſia Tibicine B. Egli è un Uom ; non dico il vero ? A. Il ver
ma ftimi che non debba diri Ciò pur del bene ? Io voglio dir che il bene Una
coſa pur ſia , ma s'altri impari Ad effer buon ei già dirafli buono ; Il
Tibicine è quegli che la tibia A ſuonar imparò. Quel che a ſaltare Salvatore ,
e ceſtor quegli che a teſſere Impararo , e così d'ogni altro l'arte Certamente
non è , ma ben l'artefice . Nel dir Epicarmo , che il bene è una coſa come
l'arte , e che nè il buono , nè l'arte ſono gli uomini che la partecipano, egli
c ' inſegna a far le aſtrazioni della mente , la qual avendo comparato tra loro
molti Uomini che fien buoni , molti tibicini , molti falcatori e teſtori , ne
ha compoſto quell'idea , che poi convie ne a tutti . Queſt'idea reſtando ſempre
la ſteſſa in tutti i tem pi , ed in tutti i caſi, per quanto variano i
temperamenti, e le figure degli Uomini, li confidera ſempre nello Iteſſo modo ,
ed è principio del diſcorſo , o di ciò che nel Teeteto ſi chiamano analogie
ſcoperte , le quali nel raccogliere le coſe col mezzo de' ſenli , le fanno
comprendere la ragione. Epicarmo era contemporaneo di Senofane, come ſi diffe ,
ed eccoci a ' Filolofi più vicini a Socrate, ed indi a Platone , i qua li a
poco preffo ſi trasfuſero le ſtelle idee non diverſificate , che dalla maniera
d'eſporle, e di colorirle . Senofane, dice Euſebio , e quelli ( 6 ) che lo
ſeguirono , moſfero così con ( a ) Laerzio Vita di Platone . ( 6 ) Lib. 11.
cap. 1. Prep. Evang. ( 22 ) 1 . 1 contenzioſe ragioni , che piuttoſto
arrecareno a' Filoſofanti confuſio ne , che ajuto . Pittagora volea che il
mondo foffe eterno , benst come gli altri Filoſofi , quanto alla materia , ma
non quanto alla forma, poichè credea che foſſe ſtato generato dal foco; Se
nofane pofe il mondo non generato , ma eterno , 'aderendo ad Ocello Lucano ,
che fcriffe fu l'eternità del mondo prima d'A. riſtotele ; ecco la prima
differenza tra Senofane, e Pittagora Un'altra più forte ve n' era ; Pittagora
avea pofti per principj l'uno , e il due , Senofane riduſſe tutto all'uno ,
Senofane", dice Cicerone ( a ) , è più antico di Anafagora ; vuel che uno
fieno tutte le coſe , nè queſto uno è mutabile , ed è Dio non mai nato , e
ſempiter no , e di conglobata figura . Seſto Empirico ( b ) parlando per bocca
di Timone foggiunge, che fecondo Senofane l' Univerſo era una fola coſa , che
Dio eſiſteva in tutte le coſe , e che era di figura sfe rica , e di ragione
dotato . Ad Empirico ſi conforma Laerzio ( c ) dicendo , che ſecondo Senofane ,
Dio nella materia tutto udiva tutto vedeva , ſebben non reſpirale, e che tutte
le coſe inſieme erano la prudenza , la mente , l'eternità . Io dimando, ſe nel
far Dio fparfo per tutte le coſe, e fen ſitivo, e prudente, e intelligente,
differiva egli dall' opinione che Cicerone eſpoſe nel compendio della Filoſofia
? Non v'è che la figura sferica che gli aſſegna Senofane , e per cui non
infinito , ma finito lo rende ; ma chi fa , fe nel concepir gli antichi la figu
ra sferica , comela più ſemplice , intendeſſero ſimbolicamente d'ac tribuir a
Dio tutte le perfezioni ? converrebbe faper fe Senofane fcriſſe ciò in profa,
od in verſo , e ben eſaminare tutto il conte fto della fua dottrina . Non
reſtandoci che conghietture , io m'at tengo a quella del ſimbolo per accordar
Cicerone con ſe ſteſfo , il quale nella natura degli Dei combatte Senofane, che
aggiunſe la mente all'infinito . Queſt'infinità era una conſeguenza del fuo
ſiſtema , perchè ſup poſta l'eternità della materia cost argomentava : ( d )
Eterno è cid che è , se è eterno è infinito , fe infinito uno , ſe uno fimile a
sèl . Di nuovo ſe l' uno è eterno e ſimile , egli è ancora immobile , fe
immobile non ſi trasfigura per poſizioni, non ſi altera per forme, non ſi
miſchia con altri . Ariſtocele elamina i ſoffiſmi contenuti in queſto ragio
namento ; il principale è ; da ciò che il mondo è ecerno , infini to , uno ,
non ne fiegue che egli lia effettivamente immobile , per che le coſe eſiſtono
nella maniera che poſfono eſiſtere, e la materia ſe ſteſſa il principio del
moto non v'è contradizione a cont ( a ) Queſt. Acad. lib. 1 . ( 6 ) Lib . 1.
dell'ipotipoſi . ( c ) Laert. lib. 9. idí Arift. contra Xenof, Zenon. &
Gorgiam . eſſendo per i 2 ( 23 ) a concepire, che il moto ſia eterno come la
materia . Coloro che ammettevano il caos eterno , davano eterno il moto , ſebben
ſen za regola o forma . Non ſi cerca qui però , ſe concludeſſe l'argomento di
Seno fane , ma ſolo qual foſſe la ſua ſentenza , e coſa egli ne dedu ceſse .
Come poi accordarla colla ſua fifica? Ammetteva egli per principj ( a ) delle
coſe naturali la terra , il foco , l'aria , e l' acqua , e dalle alterazioni di
queſti elementi, rendea tutti i miſti a generazione, e corruzione ſoggetti.
Grand uſo fece di quefte due coſe , perchè, ſecondo lui , conſiſteva il So le
negl'ignicoli raccolti dall umida (6 ) eſalazione in una nuvola ignita , e la
Luna in una nuvola coſtipata . Manon era poſſi bile decerminare il grado di
verilimiglianza filoſofica ch'egli da va all'Ipoteli, poichè nelle ſentenze
filiche di Senofane y' è mani. feſta contradizione . Poneva egli de' Soli
innumerabili , e la Lu na abitata . I ſoli innumerabili erano quelli de'
Pitcagorici , e di Orfeo ( C ) ; ma come abitar una nuvola ? La terra ( d ) la
quale per immenſa profondicà fi ftendea di ſotto , era coſa ri pugnante alla
sfera armillare che Anaſimandro forſe di lui, maeſtro avea inventata o
propagata per cutta la Grecia . Cor revano allora tali dottrine, e Senofane ,
in Colofone, in Atene, in Sicilia , e in Elea le avea ſtudiate ; avea Talęce
calcolate l'eccliffi del Sole, e della Luna , avea Pittagora applicare al
liſtema celeſte le conſonanze Muſicali, e nella lira a lette corde determinato
il pu mero , e le diſtanze de' Pianeti ; non è poſſibile , che Senofane in un
tempo così illuminato voleſſe diſcredicare il ſuo ingegno con ipoteſi aſſurde e
ad ogni ragione contrarie ; non erano dunque , che idoli fantaſtici, iperboli
poetiche, o ſimiglianze groſſolane, in cui ſi deve più badare al color, che
alla coſa . La grande difficoltà di Senofane era nel combinare il fiſico col
metafiſico , o lo ſtato ideale con l'obiettivo . Avea già ſtabilito Pictagora ,
l'intelletto altro non eſſer che ( e ) mente , ſcienza , opi nione , ſenſo, da
cui tutte l' arti, e le ſcienze nacquero. Egli diſse gnava la mente per l'uno ,
ciò che adeſſo noi chiamiamo lemplice intelligenza ; diſegnava la ſcienza pel
due , poichè s'acquiſta la ſcienza deducendo una coſa da un'altra ; diſsegnava
l'opinione per il tre , poichè nel trar la conſeguenza da un principio proba
bile ſe ne riguarda nello ſteſſo tempo due , in uno de'quali v'èla ragion
ſufficiente d'affermare, nell'altro di negar la coſa . I Pit 3 ta ( a ) Laert.
vit. di Xen. Plut. plac. ( 6) Plutar. lib .... Origenes Philoſ. ( c ) Veggali
Moefenio ſu l'eſiſtenza d'Orfee . Plutar. plac. de Fil. lib.i. ( d) Gregorii
Aſtronomici Pref. ( c ) Plutar. lib. 1. de plac. ( 24 ) tagorici furono tutti
dogmatici , o per dar credito alle ſentenze del ſuo maeſtro , o perchè pareſſe
loro , che la fapienza non do veſſe mai eſſer miſtad'ignoranza , come accade
nell' opinione milta dell' una , e dell' altra . Senofane fu il primo ad
introdur il dubbio nella Filoſofia, e quindi l'opinione. ( a ) Chiaro l'Uomo
non ſa , nè ſaprà mai Degli Dei coſa alcuna ed altre coſe Che da me dette fur ,
ſiaſi perfetto Pur quanto ei dice , tuttavia non fallo , E v'è opinion in tutte
queſte coſe . Da queſti verſi Seſto Empirico inferiſce , che Senofane non to
glica la comprenſione, ma ſolamente quella che dalla ſcienza de riva ; nel dire
in tutte queſte coſe d'è opinione accenna il proba bile , e l'opinabile , onde
conclude che Senofane deve porſi tra coloro , che negano darſi criterio della
verità , e non tra gli ac cattalecici , che negavano alcuna coſa poterſi da noi
compren dere . L'autorità di Selto Empirico è d'un gran peſo , ove ſi tratta di
determinare i gradi della cognizione , ma non è da ſprezzar fi ciò che dice
Cicerone ( b ) : Senofane e Parmenide quan tunque con non buoni verſi però con
certi verſi accufano quaſi irati d'ignoranza coloro , che ofano dir di ſaper
qualche coſa allo ra che nulla fanno . Chi dice nulla eſclude ogni ſcienza , ed
ogni opinione . Senofane ſi diſtinſe per la Logica , ( c ) e ſecondo la Cro
nologia di Euſebio , (d ) egli fu udito da Protagora , e da Nef ſa ; Metrodoro
udi Nefra ; Diogene Metrodoro ; Anaſarco Diogene, e coſtui Pirro d' Elea , dal
qual ebbero nome i Filo ſofi Scercici fino a Gorgia , il qual diceva : Non v'è
nulla ; ,fe anche vi foſe qualche coſa , non ſi potrebbe comprendere , e ſe
compren dere , non mai ſpiegare con le parole . Come inoltrarſi dopo tale raf
finamento di dubbj ? Tra i diſcepoli però di Senofane il più illuſtre fu
Parmeni de deſcritto da Platone nel Teeteto qual vecchio grave , e vene rabile
e di una profondità al tutto generoſa , il che vuol dire, ſe mal non m'appoogo
, che egli nella diſputa non era oſtinato , ſu perbo , rozzo ed agreſte, come
Ariſtotele ( e ) dipinge Senofane è Meliſſo . Socrate in quel Dialogo , ed in
altri s'aſtiene quanto pud ( a) Xenoph. ap . Seſt. Emp, adv. Matem. ( 6 )
Queſt. Acad. l . 2. ic ) Eufeb.1.6 . C. 19. ( d ) Id. l . 12, c . 7. ( c )
Metaf. lib. ... ( 25 ) può di ragionare contro le ſentenze di Parmenide per la
rive renza che ad eſſo portava . Euſebio ( a ) caratterizza la dottrina di
Parmenide , qual via contraria a quella di Senofane . Ermia però , dice
Parmenide in bei verſi, c'inſegna che queſto Univerſo è eterno, immobile , e
ſempre ſimile a ſe ſtero . Lo ſteſſo Euſebio credeva, che ſecondo Parmeni de
l'univerſo foſſe ſempiterno , ed immobile . Stobeo riferiſce , che Senofane,
Parmenide, e Meliſſo colſero affatto la generazio ne , e la corruzione. In che
dunque diſconvenia Parmenide da Se nofane , ( 6 ) Ariſtotele chiaramente lo
ſpiega nell' accennar la dif ferenza che v'era tra Parmenide e Meliſſo ,
dicendo : volea Par menide, che tutto foſe uno ſecondo la ragione , e Meliſo
ſecondo la materia , e da queſti due differiva Senofane, che chiaramente non
dif ſe nè l'uno , nè l'altro . Eſer uno ſecondo la materia , è il medeſimo che
ritrovar nell eſſenza della materia la ragion ſufficiente dell'unità della
ſteſſa . Ed in fatti una è la materia , fe in tutte le parti e nel tutco e
nella medeſima fpecie è omogenea , qual Cicerone la deſcrit ſe nel compendio
della filoſofia , e l'ammiſero Platone , ed Ariſto tele . Cicerone rammemora
ancora la forza , utrumque in utroque , ma conſiderando forſe Meliſſo , che gli
effetti della forza, o ſieno le forme, ed i modi aggiunti ſucceſſivamente alla
materia , non mai erano continuamente cangiando , gli eſcluſe dall'eſſenza , e
in con ſeguenza dall'unità della materia ; ma ſe una era eſſenzialmente la
materia , uno era il mondo o l'univerſo , che da eſſa riſultava e ſe uno in ſe
ſteſſo indiviſibile , eterno , ed immutabile . Malgrado dunque le continue
aggregazioni delle parti ne' loro tutti , e le continue diſſoluzioni de'tutti
nelle lor parti , malgrado le altera zioni , le generazioni, e le corruzioni,
contemplando Meliſo l' univerſo nella parte effenziale lo credeva uno , e
immutabile in quella guiſa che è ilmare, non oſtante le continue agitazioni che
foffre da innumerabili flutti . Se tal era la ſentenza di Meliſo, ella non è
men empia ri ſpetto a noi, che ridicola preſo i Pagani , perchè la materia , fe
condo lo ſteſſo Cicerone , non può aver coerenza , e in conſeguen Tomo II. d za
( a ) Cap. 5. l. t. Præp. Evang. ( 6 ) Parmenides unum fecundum rationem
attigiffe videtur , Meliſſus vero fecundum materiam , quare id & ille
quidem finitum , hic ve ro infinitum ait effe , Xenophanes autem quando prior
iſtis unum poſuerat ( nam Parmenides hujus auditor fuiffe dicitur ) nihil tamen
clarum dixit , & neutrius eorum naturam attigiſſe videtur , ſed ad folum
coelum refpiciens ille unum ait effe Deum . Metaf, Arift. l . 1 . cap . 5.
ediz, Parigi ( 20 ) 1 1 1 4 > za unità , ſe non è ritenuta da qualche forza
, e la continua ſuccef fione delle forme conſiderata affolutamente in ſe ſteſſa
, non è me no eſſenziale al mondo , che alla materia . Ragionava dunque più
ſottilmente Parmenide ; dalla materia , e dalla forza , dalla ſoſtanza , e
dall'accidente , avea coll'aſtra zione della mente dedotta l'idea dell'ente e
dell'uno, e preten dea che l'uno nel ſuo concetto aſtrattiflimo preſcindeffe da
tutte le forme, e le differenze dell'ente ſteſſo . Il P. Maſtrio quali tre
mille anni dopo ebbe una fimile idea , poichè egli vuole che l'en te in quanto
tale preſcinda dal finito , e dall'infinito , da Dio , e dalle creature e la
ſentenza è ſeguita da tutti gli Scotiſti . Qualunque ella fiali , certo è che
come quella di Parmenide curta opera della ragione più raffinata , e che ben
diſſe Arifto tele , che l'uno di Parmenide era tutto ſecondo la ragione, non
che la ſentenza di Meliſſo ancor non lo foffe , ma egli nel fondarla tutta
ſulla materia croppo s'accomodava ai pregiudizi del ſenſo . Da Parmenide , e da
Meliſſo ſi diſtaccava Senofane, il quale ef ſendo il primo a ragionare
dell'immobilità dell'ente e dell'uno , s'at tenne alla concluſione ſenza
ſpiegar il metodo con cui la deduſſe. Ariſtotele ( a ) che avea diviſe le loro
fentenze nella metafiſi ca , par che nella fiſica le confonda dove diffe', che
altri di lo ro tolfero la generazione' , e la generazione , e la corruzione, i
quali come ben dicano in altre coſe non ſi deve perd penſare che parlino da
Fifici , poichè l'efervi alcuni enti immobili è più inſpezione di una ſcienza
ſuperiore, che della Fiſica. Non condanna dunque Parme nide , e Meliffo ,
perchè aveſſero tratcato dell'unità , ed immo bilità dell'ente, ma perchè ne
aveano fatto un punto di Fiſica , dalla quale egli eſclule il trattato delle
coſe eterne , e immuta bili , onde credendo che il mondo , e il Cielo lo
foffero , parte ne trattò nella ſteſſa metafiſica , e parte ne' libri del
Cielo; na chi può credere che Parmenide non diſtingueffe queſte due ſcien ze ,
avendo aſſegnati due principi delle generazioni, il foco , e la terra ? e
determinato che un foco ſottiliſſimo , o lia l'etere cingeſſe gli altri , e che
movendoſi in vortice raffrenaffe colla ſua rotazione ſe ſteſſo , e le coſe
contenute, ciò che è il principio de' più moderni Filoſofi. ( 6 ) Egli
componeva il mondo di molte ghirlande tra loro teſſüste , una rara , e l'altra'
denfa ; fra le ghirlan de ne poneva dell'altre meſcolate di tenebre , e di luce
, e volea che la coſa la qual a guiſa di muro le circondava forje foda , e
maliccia . Queſte ghirlande, e corone erano i vortici di Empedocle, dei qua li
egli dice parlando de caſtighi de'genj. Quelli ( a ) Ariſt. Fiſic. lib. 1 , ( b
) Plut, lib. 2. cap. 7 . ( 17 ) ( * ) Quelli nel mar ſollicitante forza Dell'
etere rifpinge , e fola ſpucali Ne’ſotterranei abimi, e nella lampada Dell'almo
Sole dalla terra cacciali , E il Sole infaticabile tramandali Ne' wortici
dell'etere . Accoppiando il paffo di Parmenide con quel di Empedocle, par che
tutti due deſſero vortici alle Stelle , raffigurando Parinenide nella luce le
fiffe , e nelle tenebre i Pianeti ; chi sa, che queſta coſa maf ſiccia non
foſſe il moto del vortice tutto luminoſo , perchè tutto etereo , il quale
impediffe con la ſua forza di rotazione lo sfaſcia mento del mondo viſibile ?
il moto della Luna , dice Plutarco , ( a ) ol'impero con cui gira , l'impediſce
di cadere in quella guiſa , che la fionda torta in giro dalbraccio impediſce la
caduta del faffo . Vuol Favorino, che Parmenide primo ſcopriſſe, che la ſteſſa
Stella pre cede il Sole la mattina , e lo fiegue la fera, o che il Veſpero è lo
ſteſſo che il Fosforo . Plinio ne attribuiſce la ſcoperta a Piccago ra, il
quale veriſimilmente la portò d'Egitto , col ſiſtema cele fte ; ma forſe
Parmenide, nella Teoria di queſta ftella , più che gli altri Pittagorici ſi
diſtinſe, come Filolao nel moto della ter ra . Filolao la facea gira r in
cerchio intorno alSole , ed Ecfan to volea , che movendoſinon partiſſe dal
proprio luogo , ma fer mata a guiſa di ruota , ſopra l'aſſe proprio intorno
quello giraffe da Occidente in Oriente ; non (6 ) aderiva Parmenide , nè a Filo
lao , nè ad Ecfanto , ma conſiderando la terra d'ogni intorno egualmente
lontana dalCielo , la ponea in equilibrio , e voleva che ſenza eſſer fpinta da
alcuna forza a queſto , o quell'altro verſo , ella fi ſquaſfaſe bensì , ma non
ſi moveſſe . Parmenide feparò il primo le parti abitate della terra fuor de'
cerchj fol ftiziali , indizio manifeſto , che egli avea proficcato delle teorie
di Anaſimandro , di cui ſi ſuol far ignorante Senofane. Tal era : il ſiſtema
aſtronomico di Parmenide : nel fiſico egli divinizzò la guerra , la difcordia ,
l'amore , e diffe : Di tutti gli altri Dei cauſa è l'amore . * Αιθέριον μεν γαρ
σφεμένος πόντον δε διώκει , Πόντος δέσχθονος έδας απέπτυσε, γαία δ' εσαύθις
Η'ελία ακαμαντος , ο δ αιθέρος εμβαλε δίνεις . Α'λος δ' εξ άλα δέχεται και
συγένεσι δε πάντες . Plut. de Ifide , & Ofiride . ( a ) De facie Lunæ . 16
) Plut,deplac . Phil. lib. 3. d 2 Cosi ( 28 ) 1 Così gli attribuiſce Simplizio
, ed Ariſtofane colle da Par menide l'amore che ordina , e fabbrica le coſe nella
commedia degli uccelli , gli altri Dei non erano, che gli elementi già di
vinizzati da Parmenide. ( a ) Empedocle l' emulò , benchè egli quattro elementi
poneſse , e due Parmenide , il foco , e la ter ra , principali architetti delle
corruzioni, e delle generazioni, e che rarefatti, o condenſati , ſi cangiano in
aria , ed in acqua . I principj, ſecondo Ariſtotele , devono eſser tra loro
contrari , e nulla v'è di più contrario , che il caldo , e il freddo , a quali
corriſpondono il raro , ee ilil denſo denſo,, ilil moto moto ,, e la quiete .
Tutto queſto ſiſtema fiſico di Parmenide eſpreſse Platone nel Sofiſta . Le mu
je Jadi, ele Siciliane, dice , a queſte poſterioriſtimaronocoſa più ſicura
d'annodare le coſe inſieme , in modo che l'ente ſia molte coſe ed uno , e ſi
tenga colla diſcordia , e colla concordia , perchè diſcordando ( 6 ) fem pre
s'accoſta egli come dicono le più forti muſe , ma le più molli non hanno voluto
, che ciò ſe ne ſia ſempre così, ma privatamente alcuna volta dicono che
l'Univerſo ſia uno , ed amica per Venere, altra volta molte , e con sè per ſeco
diſcordanſi con certa conteſa . S'io non m'in ganno , qui s'allude all'amicizia
, e alla diſcordia , o all’amore , e alla lite, che Parmenide poſe come
principj efficienti delle genera zioni , e corruzioni; molti Poeti ſtaccando
ciò dalle Poeſie di Par menide, e di Empedocle , non ifpiegarono con la lite, e
con l'ami cizia , ſe non alcunifenomeni particolari , come chi dalſiſtemadel
Newtono , il quale poſe per principio univerſale l’ attrazione ; al tri ſolo la
prendeſse per iſpiegare i fenomeni del magnetiſmo, e poi per iſpiegare
l'eletricità , la gravità ec . fi valeſse d'altro prin cipio . Non può dirſi
dunque , che Parmenide non foſse eccellente Fi fico , ſe egli allora penſava a
ciò che il Newtono pensò tanti ſeco li dopo ; ſcriſſe in verſi il trattato
della Natura , come Lucre zio , ma il Poema s'è perduto, e non ce ne reſta che
il principio conſervatoci da Seſto Empirico . ( c ) Mi portano i deſtrier , e
quant'io voglio Traſcorrono ; che già m'aveano tratto Nella celebre via del
Genio ; via Di cui m'aveano ammaeſtrato appieno Gľ ( a ) Cicerone .... 6 ) Nel
Gítema Newtoniano in tanto una parte di erta fugge da un' altra parte , in
quanto ella è attratta con più forza da un altro corpo ; quindi dall'attrazione
ſi deduce l'a repulfione. ( ) I verli ſono in Seſto Empirico contra Logicos. (
29 ) 1 Gl'infigni coridori, e dalla fama. Correndo il cocchio ſquaſsano , cui
Duce Le fanciulle precedono , ma l'aſſe Splende ſtridendo nell'eſtrema parce
De' raggi tra due fiſso orbi torniti . Allorchè s'affrettaro le fanciulle
Eliadi , e della notte abbandonando Le café tenebroſe oltrepaſsarle , Nella via
della luce al fine entraro ; Da i ſpiragli rimoſsero le vele Con man robuſta
dove ſon le porte Delle vie della notte , e della luce ; L'une e l'altre
circonda un arco immenſo , E il pavimento tutto n'è di marmo ; Agiliffime
corronvi, e s'appreſsano Colà dove tenea Dice le chiavi, L'ultrice Dea , che
premj , e pene imparte . Con parole molcendola ottennero Le fanciulle , che
all'uſcio ella fmoveſse L'interna leva . L'adattata chiave Spalancando le porte
per immenſo Foro i chioſtri ſcoperfe , mentre l'affe Si rivolgeva , e l'orbita
del cocchio , Facilmente reggean l'alme fanciulle , A cui ben pronti il cocchio
, ed i cavalli Ubbidiro . La Dea liera m’accolfe , E per la deſtra preſomi usd
meco Tali parole . Dio ti ſalvi , o figlio Dilecto figlio, che alla noſtra
Řeggia Guidarono que' nobili deſtrieri Che hanno in forte di reggere il divino
Cocchio , nè rea fortuna ti conduſse In tal via . Non è trita a paſſi umani Ma
audacemente di pregare è d'uopo I Numi , onde ti laſcino le leggi Inveſtigar
della natura , in grembo Di veritade , che a ubbidire è proſta , E de' mortali
tu fuggir potrai Le opinion , di cui non vera fede , Ma tu rimovi il tuo
penſier da queſta Via di ricerca , nè ti sforzi lunga Eſperienza delle coſe gli
occhi Figgere accenti o pur aperte orecchie Ai ( 30 ) Ai dogmi che ragion non
prova . Quello Che ti preſcrive eſperienza lunga La ſola mente dall'error
corregge . Seſto Empirico , comentando queſti verſi oſſerva , che Parmeni de
chiama gli appetiti dell'animo i cavalli , la ragione il genio , o demone , e
gli occhi le fanciulle Eliadi ; tutto il reſto è fancaf ma poetico , e,
comeSenofane , egli penſava intorno alla ricer ca del vero ; concludendo il
giudizio appartener alla ragione , e non ai ſenſi , ſenza eccettuare i due
delladifciplina , o l'udi to , e la viſta ; dogma che fu poi quello
dell'accademia , come a lungo Cicerone lo prova . I verſi fe hanno per oggetto
cofe fublimi, e leggiadramente accoppino l' allegoria all' imitazione , e all'
armonia , foddisfanno in un tempo ſtesſo , al fenſo, alla fantaſia , e
all'incellecco , ono de queſte potenze coſpirando inſieme a ben rappreſentarci
le co fe cantase , a preſtano ſcambievolmente le loro cognizioni, affin chè
troppo sfumando nelle aſtrazioni , non ſvaniſca l'idea , e le ſenſazioni, e i
fantasmi non l'offuſchino , ma ſervino alla mente di ſpecchio per ben
contemplarla. La grande arte è , che lo ſpec chio non abbia troppo d'aſprezze,
le quali non diſpergano ſover chiamente , ed affortiglino il raggio , che
turbaco non ci laſci diſcernere , dove è l'oggetto. Alla proſa dunque , ma
proſa poe tica ricorre Platone volendo appagare tutte le potenze della anima .
Ed eccoci finalmente a Platone, dopo d' aver eſaminato come Pittagora
dall'eternità , divinità , animazione del mondo racco glieſe l'idee ; le
divideſfero in certe claſſi generali i Pittagorici le diſtaccaſſero dal tutto ,
e ne faceſſero degli enti a parte ; come Senofane, il primo ricavaſſe la
concluſione dell'ente uno ed im-. mobile , come Parmenide contemplaſse ſecondo
la ragione queſt' idea , e nelle coſe fiſiche s'uniformaffe a Senofane ,
diſtinguendo ľ opinabile dal vero . Tutta queſta fabbrica era fondata ſu la
maniera di penſar di Pictagora , maniera falla , e pienamente diſtrutta da
Padri, che molto al di là del IV . fecolo non combatterono collo fteffo Pit
tagora , ma con Platone , di cui ſi debbe adeſſo rintracciare qua li influenze aveſſero
nel Dialogo la dottrina dell'idee , dell'uno immobile , e dello ſcetticismo ,
perchè egli vi parla , e dell'idee , e dell'uno , e tutto proponendo per
iporeli nulla conclude. Prima però di ſviluppar queſte cofe l'ordine della
doctrina ricerca , che favelliamo dello ſtile Platonico in generale . Profonda
e delicata cognizione della lingua Greca ſi ricerca per ( 31 ) e per ben
intendere la bellezza , la forza , e l'armonia dello ſti le poetico di Płacone
; l' Abbate Fraguier , che in tutto il cor ſo della ſua vita , l'avea con un
ſpirito molto colto nella Poeſia Greca , e Latina , ed in ogni altro genere di
belle lettere ſtu diato , ben eſaminando il ſuo ſtile , ritrovava che Platone
avea trasfuſo ne' Dialoghi l' Epico , il Lirico , ed il Dramatico . Com parava
egli la profopopea , colla quale Dio nel Timeo ra giona agli Dei inferiori
'all' ode più ſublime di Pindaro travedeva nelle narrazioni dello ſteíſo Timeo
, e in alcune del la Repubblica , la magnificenza Epica dell'Iliade . Nel paſſo
cita so di ' Ateneo ', Gorgia mal ſoddisfatto di quel Dialogo intito lato col
ſuo nome , ci dice , che un giovane, e Lepido Archilo co regnava in Atene ;
allude egli a Platone , che irritato con tro i Sofifti, non riſparmid le
accucezze, ed i ſali contro di lo ro , ma i ſali di Platone non erano aſpri, ed
ulcerofi , come quelli di Archiloco , e di Ariſtofane , ma eſtratti dallo
ſteſſo mare , in cui nacque Venere. Così Plut arco dice di Menandro , e con non
men di ragione io poſſo dirlo di Platone , che tut to comicamente condiſce con
le grazie , e con le luſinghe della Poeſia di Omero , ed ingentiliſce in guiſa
le accuſe de Sofiſti , che non mai gli affronta con quell' ingiurie , colle
quali il Re de'Re alla preſenza dell'eſercito rinfaccia Achille . L' ironia di
Socrate a ' è la chiave , ed ella è così ben maneggiata , che da alcuni ſi
crede nel Menedemo ( a) lodarſi le orazioni funebri, e pure vi ſi condannano .
L'allegoria è perpetua in tutti i Dialoghi; allegorici ſono i nu meri armonici,
di cui teſſuta è l'anima del mondo ; allegoriche le Sirene degli orbi celeſti;
allegorico il carro dell'anima, l'ali e il coc chiere; allegorici gli
Androgini, la naſcita dell' amore, la gradazionedegli animali di Prometeo, e di
Epimeteo, la guerra de gli Atenieſi contro i popoli del mar Atlantico , e
quanto diſſe dell'Iſola Atlantica , e ſulle leggi, esu i coſtumidegli abitanti;
tutto vi è finto per preparar l'idea della Repubblica , il cui modello cerca
Platone nella fabbrica ſteſſa del mondo , ed ordiſce così la men zogna poetica,
che molti s'affaticarono di ſpiegare ſtoricamente l'Iſola Atlantide, come il
Ciro di Senofonte . Più s'occulta Pla tone in certe allegorie incluſe nelle
frafi poetiche, per le qua li ſimboleggia molte coſe , e politiche, e morali, e
metafiſiche, diſegnando l'ulcime con coſe colte , o dalla muſica, o dall'altro
nomia, o dalla geometria ; tre ſcienze ( 6 ) nelle quali era fo mamente dorto
al ſuo tempo . Certo è , che ſe giuſtamente non retro s'ap ( a ) Cicer, lib. 3.
Acad. ( 6 ) Ab, Fleurì nella lode di Platone . ( 32 ) s'apprezzano le fraſi
poetiche riducendole al ſenſo filoſofico , li corre riſchio di non intender mai
, nè le parti , nè il tucco di un certo Dialogo , e ne vedremo nel Parmenide
ſteſso gli eſempj. Ebbe dunque Platone comune la poeſia con Parmenide , ma
molto egli l'accrebbe col Dialogo , modo più naturale per iftrui re , più
comodo per illuminare , adoprato da Socrate , da Seno fonte , da Stilfone,
daEuclide , da Glaucone , e al dire d'Ariſto tele da un certo Aleffamene
inventato . S'imitano col Dialogo i ragionamenti degli Uomini , come ne? drami
s'imitano le azioni . Platone che voleva emular in tutto la poeſia di Omero ,
ſi sforzo d'imitar le diſpute de Filoſofi , in quella guiſa che Omero avea
imitate le azionidegli Eroi . Ciò che al Drama è la favola e l'epiſodio , è la
queſtione al Dialogo , e la digreffione, e' nell'una , e nell'altra riuſcì
egregiamente Plato ne . Non v'è Tragedia antica , che meglio eſprima il
principio , la percurbazione, il ſcioglimento dell'azione, di quel che Platone
proponga , diſcuta , termini la queſtione , in cui ſebben nulla concluda , però
gli bafta d'aver conſumate le ragioni dall' una , e dall'altra parte. Nelle
digreffioni comincia per lenti gradi ad allontanarſi dalla queſtione , poi
ſpazia o nella Geometria nella muſica , od in altra ſcienza a fuo talento , e
ſenza che il lettore fe ne accorga , il riconduce alla prima propoſizione non
per ſalti , ma per gradi . Anche in cid imitd Omero , che al dir del Gravina (
a ) traſcorre tallora alſoverchio , tallora moſtra ď abbandonare , ma poi per
altra ſtrada ſoccorre . Platone non imita meno Omero nel carattere
degl'interlocu tori , e delle ſentenze ; io ravviſo in Alcibiade un non so che
del carattere di Paride, l'uno e l'altro è milapcatore, fuperbo , e laſcivo ;
il carattere di Neftore è trasfuſo in quella parte del carattere di Socrate ,
ove queſto conſiglia , ma Neſtore auto rizza i ſuoi diſcorſi con l'eſperienze
acquiſtare nell'uſo della vita , e Socrate con l'impreſſioni del genio che il
dominava . I caratteri de' Sofiſti ſono preli da quei dei Trojani, che ſenza
ordine , e ſen za diſcipliita s'avanzano come le Gru ſchiamazzando , e poi
reſta no ſconfitti da' Greci, il cui coraggio e valore era ſoſtenuto dalla
ſapienza , e dal consiglio, e fino da Minerva . Molti . pretendono che Platone
ſpieghi la ſua ſentenza nel far ragionare Socrate , Timeo , Parmenide, l'Oſpite
Arepieſe , e l' Eleatico , due perſone anonime, e che gli faccia dire a Gorgia
, a Traſimaco a Claride., a . Protagora , & Eucidemo , ciò che non approva
e vuol rifiutare , ma coſtoro non avvertono , che nel ( 2 ) Ragion Poetica . (
33 ) nel far Platone ſiſtematico lo fanno peſlimo Dialogiſta , e talor peffi
moFiloſofo , perchè egli concraddice a ſe ſteſſo in diverſiDialoghi , o almeno
le coſe vi ſono così ſconneſſe , che non ſi può raccoglierle , non più che le
membra di Penteo ( a ) diſunite e sbranate. Tratto di cutte le parti della
Filoſofia, or Logica , or Fiſica, or Metafiſica, accennomolte ſcoperte de' ſuoi
tempiintorno alla mufica, all'aſtro nomia , all'ottica , ma imitando poi la
ſetta Eleatica ne'dubbj, e nell'opinioni , tutto propoſe ſenza nulla
concludere. Cicerone lo conſidera come il primo degli Accademici, o quel che
diede ad Ar ceſilao , ed indi a Carneade il metodo di dubitare . Seſto Empirico
ſenza altro lo pone tra' Pirronici nelle materie an cora più gravi , come in
quelle dell'anima,del mondo , di Dio ; nè a ciò Cicerone ( 6) è contrario .
Conveniamo dunque che Platone, co me nello ſtile poetico convenne colla ſcola
Eleacica , così vi conven ne nel metodo di opinare,che egli col Dialogo reſe
più problematico . Confideriamolo adeſſo nelle fentenze , e principalmente in
quelle che riguardano l'idee ſulla Divinità , e ſulla materia. S'è già
dimoſtrato , che i Pitcagorici riducevano tutto all'idee , ed ai numeri.
Platone ſcielſe, e perfezionò ilmetodo dell'idee , econ duffe lo ſpirito alla
cognizione del bene per l'idea del bene, della bellezza per l'idea della
bellezza , e cosìfece del valore , della tem peranza, della ſcienza , e dell'altre
virtù morali ed intellettuali , com ponendo tra loro l'idee n'eſtraffe l'idea
della Repubblica , o l'idea del giuſto conſiderato nell'amminiſtrazione d'una
Repubblicazimmagine di quella amminiſtrazione, che delle potenze dell'anima fa
la ragione. Credevå egli , che ſpiegar le coſe particolari per le univerſali,
fof ſe il metodo chela natura leguiva , allorchè procede dalle cagioniagli
effecti. Parve ad Ariftotele, che foſſe più facile , e più ſendibile nelle
inſegnar le ſcienze , ſeguir l'ordine dello ſpirito , chealla cagionevi per
l'effetto. Non ſono più oppofti queſtimetoditra loro , che la ſin teſi, e
l'analių , di cui l'una comincia dalle coſe generali , per difcen dere alle
particolari, e l'altra dalle particolari, peraſcendere alle ge nerali ; l'uno e
l'altro Filoſofo nell'inveſtigar l'idee delle coſe , adoprò il metodo ſteſſo di
comparare i ſingolari,e di farnele aſtrazioni oppor. rune, e lo dimoſtrerd a
lungo pel ragionamento dell'idee Placoniche. Cicerone riduce l'idea alla (c)
terza parte della Filoſofia , che ver ſa nel difputare. Così l'idea trattavaſi
dagli antichi , che ſebbene ac cordavano ella naſcer de ſenſi, però volevano
che il giudizio nonfoſe ne fenſi , ma che la mente fore giudice delle coſe ,
ſtimandola ſola atta a di ſcopriril vero , perchèfola diſcopriva cid cheera
ſemplice, della ſteſanas tura , o tal qual era , e queſto lo chiamavano idea
già così nominata da Platone , e noi poſiamo ( conclude egli ) rettamente
chiamarla la lpecie . Non erano perciò l'idee Platoniche , a ben comprenderle,
che le fpe cie , eigeneri che noi facciamo , comparando ed altraendo , eche ,
Tom . II. ( a ) Eufeb.Prop.Evang. ( 6 ) De Natura Deorum . ( c ) Lib.1.Accad .
2 e come ( 34 ) 1 come ſi diffe , cappreſentavano i Pittagorici per l'unità,
poichè la mente tutto va unificando per ſua natura . Una ſpiegazione sì facile
, e breve dell'idee Platoniche, perfectamente s'accorda co' principi
d'Ariſtotele. Egli tratta nella Merafilica l'idee Platoniche da metafc re
poetiche , e queſto nome gli avrebbe pur dato Platone, se avelle dogmaticamente
ſcritto come Ariſtotele', ma nel Dialogo ſpecie di Poelia Dramatica egli
eguagliò la compoſizioneallo ſtile . Morco Platone, ed offeſo Ariſtocele di
vederſi poſpoſto a Pfeufipo „ a lui tanto inferiore in ingegno , e in dotcrina
vi oppoſe un'altra ſcuola di cui ſi fece capo , e per accreditarla cominciò a
combattere le fentenze del ſuo antagoniſta , attaccandoſi alla parte più
difficile , e più equivoca o alla quiſtionedell'idee , alle quali Preuſipo
imitando .forſe il metodo di Platone dovea dar troppo di realità. Ariſtotele
ſcriſe dunque contro l'idee ſeparate, ma Platone avendo già nel Par menide
conſumato quanto potea dirli contro di loro , Ariftotele ne copiò gli argomenti
dipeſo , ed al ſuo ſolito con brevica ed oſcurità di ſtile, fingendo di
combatter Placone critico Preuſipo , ed i ſuoi di i fcepoli. Dital congettura è
mallevadore il Patrizio nelle ſue diſcuſ fioni peripatetiche . S'elle ſon vere
, non che verifimili , verifimile è pure che fin d'allora ſi ſpargeſſero i ſemi
che prima Ammonio Sacca, ed indiPlotino , Porfirio coltivarono , e Jamblico , e
Procloridul fero in regolato fiftema. S.Giuſtino , che avea più ſtudiatii
Platoni ici , che Platone era perfuafo, che l'idee foſſero ſoſtanzeſeparate ,
collocate con Dio nella sfera più alta . S. Cirillo rifiuţa Giuliano A poſtaca,
che credeva il Sole , la Luna, egli altrieller l'idee viſibili e comporre gli
Dei. 11 P. Balto riferiſce a lungo ipaſſi di S. Ireneo , di S. Bafilio e
d'altri , i quali impugnarono l'idee ſeparate , che introdu cendo il politeismo
rovinavano ne'ſuoiprincipj la Religione Criſtia pa . Soſpetta il P. Balto , che
Eufebio difendere l'idee Platoniche persè ſuffiftenţia pro dell'Arianismo da
lui profeſfaco. Negli ultimi tempi il Clerico ne rinovd la ſentenza , e molto
più l'anonimo Soci niano nel tuo Platonismo ſvelato , ove ſi confondono con
l'idee di Platone , gli Eoni rami de'Seffirotii cabaliſtici adottati da'
Valencia niani e da' Baſiliani, e de'quali nella concinuazione dell'iſtoria
degli Ebrei parla a lungo il Basnage , I comentatori di Platone
abbagliatidatante autorità , nè avendo forza di critica fufficiente per
reliltervi, s'abbandonarono ai fantasmi di Proclo , e di Jamblico , anziche
abbadarea'ceſti di Platone , ne s ' avviſarono di ben pelare le dottrine del
Parmenide contro l'idee ſeparate aggiunte da Ariſtotele alla metafiſica. S. A
goſtino è il primo de' Padri Latini, che non fepara l'idee Pla toniche da Dio ;
dando a Dio la creazione del mondo non poteva egli non concepire nell' intelletto
divino la ragione dell'ordine del le coſe create , e queſte appunto ſono l'
idee su le quali poi San Tommaſo ſeguito da' Teologi , ne fece molti articoli ,
of. feryando che l'idee divine ſono univerſali, onon rappreſentano a Dio ( 35 )
2 € Dio ſolo le ſpecie , ma ancora gl'individui , col rappreſentargli le coſe
non quali noi per la limitazione della noſtra mente le veggiamo , ma quali ſono
in fé ſteſſe. Il Padre Balco riprende a dritto su queſto punto il Dacier , che
per difender malamen te Platone, cade non volendo in un errore . Ma fe Platone
preſe da’ Pitragorici l' idee nel ſenſo , che le propoſero Pitcagora , ed
Archira , pare che egli ancora come queſti ſentiſſe intorno la Divinità . S'è
già dimoſtraco che dopo Pitcagora , Senofane e Parmenide conſideravano Dio non
altrimenti, che l'anima del mondo. Lunga cofa , dice Ci cerone , ( a ) ſarebbe
a dire dell'incoſtanza di Platone intorno a Dio ; nel Timeo nega , che porta
nominarſi il Padre del mondo; nel libro delle leggi, ſtima non doverfa ricercar
affatto coſa ſia Dio . Lo stesſo nel Timeo , e nelle leggi, dice eſſer Dio, il
mondo , e gli altri e la terra , e gli animi , e gli altri Dei, che abbiamo
ricevuti dagl' iftitu ti de' Maggiori . Il Padre Arduino raccolſe tutti i paffi
, ove Pla tone parla degli Dei nel ſenſo ſtero . Dio nel Timeo ſi chiama bensì
il Padre , e l'artefice del mondo , ma non mai il Signore , il Sovrano ; ſi
chiamava il mondo un Dio generato , il quale ba una perfetta ſomiglianza con
Dio ; figliuolo , e figliuolo unico di Dio ; un Dio completo , un Dio generato
da un altro Dio , un Dio felice , im magine del Diointelligibile , perfetta
copia d un originale perfetto Dio ottimo malimo, qual appunto i Romani doceano
diGiove , per cui folo intendevano il deſtino inviſibile delle coſe . Molci
alcri paſſi ſpiega l' Arduino , e da cutii ſi raccoglie , che Placone non co
noſceva Dio , che come principio intelligente , qual lo conobbe Pittagora ,
Senofane, Parmenide, e cant alori , a' quali può ben applicarſi il pallo di S.
Paolo , in un ſenſo filoſofico , che cono ſcendo Dio , non come Dio l'onorarono
( non ſeparandolo affacco dal la materia , o , ponendolo ad eſsa coeterno . )
Pitcagora avea generato il mondo , e lo generarono i Fenici, Orfeo , ed Eliodo
. A queſt'idea poetica , Platone aggiunſe le Fi loſofiche accennate da Timeo di
Locri nel fuo ragionamento della natura , e dell'anima del mondo , e ne compofe
il Timeo , nel qual volea nell'ordine oſſervato dalla ſapienza nella fabbrica
del mon do , dar un modello di quella Repubblica, che poſcia propoſe nel
Dialogo del Giuſto . Ariſtocele pur comparava la coſtituzione del mondo ad una
Repubblica, in queſta v'è il Principe , che comanda ai Magiſtrati militari , e
civili , e nel mondo v'è Dio , che col miniſtero degli Dei inferiori, compie ,
conſerva, ed ordina cuc te le coſe . S'è © e di lo Lei li i e lo i e ( a ) D:
Natura Deorum lib. I. 3 ( 36 ) s'è gia dimoſtrato , che i Platonici recenti nel
divider in due punti, o ſegni, l'eternità , neaſſegnavano il primo ſegno a Dio
, in quanto a Dio , ed il ſecondo a Dio creatore della materia la difficoltà è
di ritrovare in Platone qualche coſa che s'av vicini a queſta dottrina .
Teofilo ( a ) non ve la ritrovd altri menti dicendo , che Platone coi ſuoi
ſeguaci poneva Dio , e la materia ingenita ; con che non venia a porre Dio , nè
uno; nè ſolo . lo qui ſtenderò un lungo paſſo di Plutarco , perché fe 'ne
giudichi . Il mondo , dice egli,è bensì ſtato fabbricato da Dio , perchè fra
tutte le coſe è bellißimo il mondo e Dio fra le cagioni l'ottimo , ma la
ſoſtanza , e la materia , della quale è ſtato formato , non eſſer mai nata , ma
ſempre averſi trovata ſottopoſta ab Maeſtro , ed ubbidiente a ricever
quell'ordine , e quella diſpoſizione , che fore in quanto ella potelle
comportare a lui fimigliante , percbè il mondo non fu creato dinulla , ma di
ciò che era privo , di bellezza , di leggiadria , e di perfezione , ſiccome la
caſa , la veſte , la ſtatua, perciocchè tutte le cose , primache naſceſe il
mondo , foffero confuſe , e diſordinate, nondimeno le coſe confuſe non erano
ſenza corpo , ſenza fora ma , ſenza regola , moſle da movimento a caſo , e
ſenza ragione. Que sto altro non era ; che la ſproporzione dell' anima, di
ragione Spoglia ta , perciocchè Dio di coſa ſenza corpo non fece corpo , nè
anima di coſa d'anima priva , nella maniera che noi vediamo , cbe il Maeſtro di
muſica , e dell armonia , non fa egli la voce , bensì la voce acconcia , e il
moto proporzionato ; così parimenti Dio non fece il corpo trattabile , e ſodo ,
nè l'anima atta a moverſi, ed in gannarſi, ma preſo l' uno , e l'altro
principio , quello oſcuro e pienodi tenebre, queſto confuſo e pazzo, amendue
più rozzi, e più difformidel convenevole ordinandoli ; e diſponendoli , e
congiungendoli formd un animal beltiſſimo , e perfettiſſimo. Dunque la natura
del corpo non è punto diverſa da quella natura , come dice Platone , che
abbraccio il tutto , ed è fondamento e nutrice di tutte le coſe che naſcono ;
non dimeno la natura delp anima fu da Platone nel Filebo nominata infini to ,
il quale non riceve numero , nè proporzione , nè vi ſi trova miſu ra, o termine
alcuno di mancamento, di ſoverchio , di ſimiglianza, o di differenza. Così
parla Plutarco ed è facile il dedurne , che ſecondo Pla tone eterna era bensì
la materia del mondo , ma nuova la for ma , ( a ) Teophil. ad Autolicum 1.2 .
Plato cum ſuis aſſeclis Deum quidem confitetur ingenitum , patrem præterea
& conditorem hominum , at que deinde fubjicit , live ſupponit Deo materiam
quoque ingenitam , quæ fimul cum Deo prodiderit five extiterit ; verum fi Deus
cen ſetur ingenitus , & materia perhibetur ingenita , jam nec amplius Deus
conditor & creator eſt hominum etiam fecundum Platonicos , nec quod unus
& folus ſit ab his vere demonftratur . nè il moto , ma 1 1 ( 37 ) má , ed
in queſto Platone differiva da Ariftotele, il quale , come s'accennd , fece ad
un tempo eterne , e la materia , e la forma; Ariſtotele rimprovera perciò
Platone , d' aver fuppofto , che la materia con cuiDio compoſe le coſe, foſſe
in moto, e loda Anaf fagora, che la poſe in quiete . Vuole egli ignorare , che
affatto poetico foſſe il Timeo ; pure non è credibile ,che egli non l'aveſſe
udito dir più volte da Placone ſteſſo , che nel Dialogo finſe Socra te a
favellar con Timeo di Locri contemporaneo forſe a Pittagora ; parla dell'
abboccamento che Solone ebbe coi Sacerdoti d'Egitto , iutta ſpaccia la favola
dell'Iſola Atlantide. , ſtempera in una taz za i numeri armonici dell'anima del
mondo compoſta di cre ſo ftanze , ne ſparge le reliquie su le ſuperficie de
glòbi', conſidera come coſa reale la mecemplicoſi , che Timem ( a ) nel ſuo
ragiona. mento introduce come coſa politica . In ſomma ben eſaminan do tutte le
frafi Platoniche e tutto il conteſto della dottrina Filoſofica poeticamente
maſcherata , io ſon perſuaſo , che in Platone , comene Pictagorici , Dio vi
s'introduca qual animadel mondo , o la ſteſſa mente , e ſapienza perfecta
ſparſa per tutto ; allora perciò che dice Cicerone nella natura degli Dei, e
quan do Platone fa Dio incorporeo ( b ) egli confonde Dio con la mate+ ria , la
quale era incorporea , come ſi diffe , prima che da Dio ſe ne eſtraffero i
corpi . Dall'alcra parte nell'ipateli, che Dio gli abbia eſtratti, fece Dio
concepirſi" al di fuori della materia , co me l'architetto al Palagio , e
lo ſcultore alla ſtatua . In vano dun que dall' opere di Platone, e degli altri
Filoſofi antichi , i qua li ammifero la materia eterna , li cerca l'idea del
Dio che ado. riamo ; egli è uno ſpirito infinito , nella di cui natura
inviſibile ſono riunite cutte le perfezioni immaginabili , e poflibili ; onde
gli ſcolaſtici lo chiamarono il cumulo delle perfezioni ; e i Cartuliani l'ente
infinitamente perfecto . Sino a què l' ammet cevano gli ſtefli Pagani , ma la
definizione non balta, ſe ad el fa non s? aggiunge , che Dio ha tratto dal
niente l' Univerſo , e che è diltinto realmente , e ſoſtanzialmente da tutto
ciò che ha creato . Tale definizione come ortodoſſa propoſe l' Abbate d'Oliveta
’ Filoſofi ( c ) dopo di aver eſpoſte tutte le loro fen tenze , tra le quali
entra e Pittagora , é Senofane , e Parmeni de , e Platone Itello , Non (a . )
Nel fine. ( 6 ) Cicer. Natur. Deor. ( c ) Nel fine del Tomo 3. della traduzione
della Natura degli Dei;. Par ce mot. Dieu , je veux dire un eſprit infini ,
dont la nature eſt indiviſible & incomunicable ; dans lequel font réunies
toutes les perfections imaginables & poſsibles , ſans aucun mélange d'
imperfe etion ; qui'a tiré du ndant l'univers, & qui eſt diſtinct
réellement & ſubſtantiellement de tout ce qu'il a créé . 0 1 ( 38 ) o dell'
Non è tuttavia , che debbano ſpregiarſi le dottrine di Placone , e rigettarle
come inutili ; conobbe egli Dio ſotto un'idea con fuſa, come lo conobbe
Ariſtotele , e in quella guiſa che S. Tom maſo da Ariſtotele tralle molti
principi , e combinandoli coi rivelati propoſe molte concluſioni Teologiche ,
così può farſi di Platone ; S. Tommaſo dall' uno , e dall'altro traſfe
l'eſiſtenza di Dio , impiegando i mori , le cagioni , l'ordine del mondo , i
gra di più o meno perfetti delle coſe , ma non potè trarla dall' en te
contingente e neceſſario , che Platone non conoſceva , ponen do ecerna la
materia , e chiamandola neceſſità . Dimoſtrar il primo ente qual principio
intelligente , per l'adequaca idea di Dio , non baſta le da eſſo non ti
rimovono tutte le compoſizio ni , dimoſtrando , come fa S. Tommaſo , che in lui
non ve n'ha nè di forma, nè di materia , e che non può ridurſi ad alcun genere
, Nel Parmenide però non v'è biſogno d'alcuno di queſti ar tificj ; tutto vi
fi' riduce all'idea metafiſica dellence uno . Convien dedurla da' ſuoi
principj, od eſtrarla come fece Pittagora , e Peritione da tutti i compofti ,
ed eſaminarne le proprietà . Così San Tommaſo , ove tratta dell'unicà , e della
bontà di Dio , prima ricerca , quanto la ragione, gli può per mettere , coſa ſia
l' uno , e coſa ſia il buono , indi col princi pio rivelato cid combinando ,
dimoſtra la purità , e la bon tà di Dio. Io parimenti ricercherò con la ragione
, fe si poſſa ben intendere l' uno del Parmenide , laſciando agli altri la fa
rica di ſpiegarlo in un modo fublime , applicandovi le coſe Teologiche , delle
quali non intendo d' attaccarne , o diftrug . gerne la minima . Io cratterò
della dottrina del fine , indi del metodo del Dialogo. Gli antichi con ragione
intitolarono queſto Dialogo , il Par menide o dell' idee , perchè Parmenide
parla più degli altri , e tutti i ſuoi ragionamenti raggirano su l' idee , o
per cercarle con le aſtrazioni della mente, o per diſtruggere le ſeparate ,
eſempli ficandone il caſo nell'idea dell' uno , la più ſemplice di tutte l'al
tre , e a cutte l'altre comune . Supponevano i Pictagorici , che tutte le coſe
imicaſſero , o par ticipaſſero l'idee , o le fpecie ; provacontro loro
Parmenide , che le cofe non poſſono eſſer partecipi delle fpecie, nè ſecondo il
tutto , nè ſecondo unaparte , indi col principio di contraddizione , col
progreſſo all'infinito , e coll' ideaſteſſa delle perfezioni divine ; gli
fteffi argomenti di cui ſono nel Parmenide i femi, fteſe Ariſto tele, ed è
mirabile che i comentatori non abbiano penſato di con frontarlo nel
ragionamento dell'idee con Placone , ciò che attri buiſco all'ipoceli da loro
fiſsata , che in queſto Dialogo Parmenide, o Pla ( 39 ) o Platone confermi e
non diſtrugga. l' idee ſeparate . Annullate tali idee in modo cheSocrate ne
reſta convinto , Pare menide per non laſciarlo nell' imbarazzo gli moſtra la
neceſſità che ha il Filoſofo d'ammettere certi principj fiſſi ed immutabili e
tanto più difficili a comprendere , quanto che non fi poffono de terminare , nè
co' ſenſi , nè colla fantaſia . Parmenide' nell'etem plificare il caſo del
metodo propone l'idea dell'uno , e la con ūdera relativamente a ſe ſteſſa ,
indi all'ente , al fine , al non en te . Così un matematico trattando per
eſempio del triangolo , lo conſidererebbe prima in ſe ſteſſo , poi per rapporto
all'altre figure rettilinee o piane , ed al fine alle non rettilinee, od
alcerchio . Definiſce Zenone l'uno per oppoſizione a molti , e chiama uno ciò
che non è molti . Ariſtotele, nella metafiſica molto ap prova queſta
definizione, perché i molti ſono più noti al ſenſo che l' uno ; prende
Parmenide la definizione , e negando dellº uno tutto ciò che s'include in molti
o li predica de' molti ; negà ch' egli fia cutro , parte , principio , mezzo ,
fine , figura moto , quiete , lo ſteſſo , diverſo , ſimile , diſſimile , eguale
, mag giore , minore ; in oltre gli nega le differenze del tempo, pre lente ,
paſſato , futuro , l'eſſenza , la ſoſtanza , il nome, il ſen fo , la ſcienza ,
l'opinione. Parmenide prende ſempre l'uno nel ſuo concetto aſtrattiflimo, nè
men volendo che l'uno â conſideri per rapporto a ſe ſteſſo , perchè nel riferir
l'uno a sè li concepireb be come due o come molti. La ſeconda quiſtione è , ſe
l'uno ſia che accada all' uno , ed all'altre coſe ; qui l'uno fi ſuppone inſeparabile
dall'ente , come rente dall' uno, onde tutto ciò che s' include o li predica
dell' , pud predicarſi dell' uno ; quindi ſe nell' ente's include o dell'ente
fi predica , la parte , il tutto , il finito , l'infinito , il principio ,
mezzo , il fine , la figura , il luogo , il moto , la quiete, il fimile , il
diffimile , lo iteſto , il diverſo , l'eguale , il maggiore, il minore, il
tempo paffato , preſente , e futuro , 1 eſſenza, o la ſoſtanza , la ſcienza ,
l'opinione , il ſenſo , tutte queſte coſe ſi predicheranno ancora dell'uno .
Non ſi predicano però queſte coſe oppoſte dell' uno , e dell'ente. nel medelimo
tempo, e ſecondo lo ſteſſo riſpetto , ma in varj te m pi o ſecondo diverſi
riſpetti , e ciò fa che le contraddizioni non ſieno , che apparenti , o del
genere di quei meraviglioſi , che de generano ſpiegandoſi in puerilità. Cosi
penſa lo ſtelfo Platone nel Teeteto , maParmenide nel cercar qui ſe ſia l'uno ,
quali altre co fe ne fieguano , non cela all'uſo de Sofiſti , ma ſpiega come
vero Filoſofo in termini ſemplici i miſteri , e queſta iola credo una nuova
prova del liftema Parmenideo da me ſtabilito . In ente ( 40 ) In queſte due
prime nozioni dell' uno non vi ſi framiſchiano le immaginarie', o poetiche ;
mabensì ve ne fono nella terza , ove fi rapportal'uno al non ente , o al nulla
, di cui non s'ha nozionereale', ma ſolamente immaginaria come dell'impoffibile
. V'è un affioma Logico , il qual diceche , dall' impoflibile ogni coſa ſe ne
deduce , pera che in lui fi complicano i contraddicorj, anzi il criterio per co
nofcerlo è per mezzo dei contradditorj, e poichè l'uno è inſe párabile
dall'ente ; fia lo ſteſſo dir il non uno, che il non en te , ma del non ente o
dell'impoffibile fi dice che ha effenza , o che non l'ha , che è lo ſteſſo e
diverſo , che è ſimile , e non fi mile , eguale , non eguale , cheſe genera e
fi diſtrugge ec. Dun que le ſteſſe coſe che ſi predicheranno del non ente
conveniran no ancora al non uno . Nell'attribuire il non uno all'altre coſe ,
fi trasformeranno queſte in fantasmi, o sogni d'eſtenſione , di mal fa , di
moto e di quiete , ciò che rende il mondo più poetico del cabbaliftico .
Platone o Parmenide maneggiano queſto argo mento con ſomma ſagacità , e
delicatezza , e ben ſi vede quanto foſſe la loro Filoſofia profonda , e quanto
utiliffima eller poſla , non cangiando il grado dell' aſtrazione , nè
inneſtandovi opinioni affatto encufiaftiche, come fece il Ficino . I celebri
Pittori , attenti ad oſſervare in ogni luogo tutto ciò che loro ſomminiſtra
idee nuove d'atteggiamenti , di ſcorcii , di lineamenti , difigure , ſe mai su
i muri più affumicati ritro. yano quelle ſtriſcie fortuite impreſſevi dalla
caligine , le vanno combinando con la loro immaginazione , e creano delle
figure leggiadramente fimecrizzate , e canto ſi rifcaldano nel vagheggiar opera
loro , che le additano agli altri , come fe ivi foffero ,e ſi cruciano e
fremono , e ingiuriano , quando queſti ſemplicemen te riſpondono di non
ravvifare , che orme irregolari di fumo . I Filofofi, e particolarmente i
comentatori hanno lo ſteſſo coſtu me , fiffi in un fiftema l'addatano a tutto
ciò che incontrano nell' autore da loro accarezzato , e dove egli ancora parla
nel modo più ſemplice , e naturale , e conveniente a'ſuoi principj, par loro di
fargli torto , ſe non l'abiſfano nelle loro profonde ſpeculazioni , e lo
dimoſtrano tanto più ammirabile , quanto nyono l'intendono , c quanto dagli
altri è meno intefo . In tutti i Dialoghi s'è prefiſſo il Ficino, di far di
Placone ( a ) un Teologo Criſtiano, ma non so come ritorni in queſto Dialogo al
( a ) Prima ex quinque ſuperioribus de uno fupremoque Deo dixerint quomodo
procreat diſponitque deorum ſequentium ordines . Secunda de fingulis Deorum
ordinibus , quo pacto ab ipſo Deo proficiſcuntur ec. argum. Marſ. Ficini Parm .
vel de uño rerum principio , & de 9 ideis . ( 41 ) al Paganeſimo, e vi
traſporti tutte le idee fimboliche del Timeo , e del Fedro ſenza biſogno , e
profitto ; e che coſa ſon queſti Dei che ſeguono Dio nell'ordine loro , ed in
qual parte del Parmeni de li ritrovo ? Annullò il Serano gli Dei, e vi ſoſtituì
due ſorti d'idee ; Dio è la prima e principal idea , le ſeconde ſono le va .
rie idee delle coſe create ; ma ſe Parmenide non diſtingueva Dia dal mondo ;
coſe affatto poeriche non ſono le idee divine ? Non bado il Serano , che
Parmenide toglie all'ente ſino il tem po' preſente, e le toglie ancora
l'eſſenza. Si , ma intende il Se rano l'eſſenza delle coſe ſingolari , e quando
Parmenide dice , che l'uno è molte coſe, vuol dire, che egli dà la forza
d'elfte re alle coſe ſingolari . Or come ſi può includere nell'idea dell' uno ,
in quanto tale la forza? E come poteva Parmenide inclu derla nell' uno , ſenza
concepirvi l' eſſenza , e nell' accoppiare l' eliftenza alla forza , e non
concepir l' uno come molti contro l? ipoteſi? La prima idea , dice il Serano ,
fi diffonde in maniera ſulle coſe create', alle quali Dio dà la forza , e
facoltà d ' eſiſtere , che ad ogni modo circoſcrive ne' determinati cancelli
dell' uno , la feffa moltiplici, tà , e quaſi infinità delle coſe ſingolari .
Queſta è la luce tenebroſa del Flud , chi può ſpiegarla ? Va il Serano peſcando
le affezioni dell' idee ſeconde , e ne ri trova ſei , dopo le quali la ſua vena
metafiſica , e teologica , ſi conſuma, o perde , ed in tutto il reſto del
Dialogo immobil mente fiſto , ed eſtatico ſul ceſto Platonico , par uno di que'
Chineſi, che per molti anni guardandoſi la punta del naſo s'im maginano di
veder l'eſſenza divina; non batte egli palpebra tutto concentrato in sè , nè
degna abbaſſarſi a ſoſtener con note margina li l'imbarazzato lettore . Io ſon
ben lontano dal condannare le al tre note di queſto autore , colle quali negli
altri Dialoghi eſpone la conneſſione, e callora le ragioni ſemplici del teſto ,
ma nel Par menide ſpiegando alto il volo per emular il Ficino , li dimentica
del ſuo coſtume, e laſcia in aſciutco il leccore ; ma come è poſſi. bile , che
avendo egli canto ſtudiaco Platone, e confrontati i teſti, nonabbia atteſo ad
unpaſſo delFilebo , in cui li ſpiega il fine , che Platone ſi prefiſſe in
queſto Dialogo ? Nel Filebo , che non ſenza ragione gli antichi faceano ſeguir
al Parmenide , cosi ſi parla da Socrate a Protarco . Tu , o Protar dice Socrate
, intorno l' uno ed i molti ai dette le coſe pubbliche dei meraviglioſi, le
quali, per dir cosi , ſono concedute da tutti, che non fieno punto da toccarli,
ejendone alcune puerili , e facili da conoſcerſi, e per nuocere maſſimamente a
ragionamenti, fe alcun le ammetteſſe ; nè è Tom. II. f de ( 42 ) - 1 1 tal uno
, da ſtimarſi coſa meraviglioſa , ſe alcun dividendo rolla ragione le mem-, bra
d'alcuna coſa , e tutte quelle parti , confeſſando quella eſerne una ; di poi
la confutalle , e ne prendeſe beffe quaſi sforzato a con . feſare coſe
moſtruoſe , cioè che una ſola coſa ſia molte ed infinite, ele molte quaſi una
ſola , E' quì da notarli quel dividere con la ragione le membra di alcuna coſa
, formula che egli repplica ſovente nel Parmenide , in cui dice , ſeparar le
coſe con l'intelligenza , e fino sbranarle ; indizio manifeſto che qui non ſi
tratta , che d'aftrazione di ra gione, per cui nelle coſe più ſemplici fi
diſtinguono , non le par ii, ma gli attributi , e le relazioni che le fan molte
per rapporto alla mente ; or tutto ciò che dice nel Parmenide dell'ente, e
dell' uno , non divien egli un di que' meraviglioſi puerili, de' quali par la
Socrate , fe non s'averte , che le contraddizioniſono apparen . ti , o che nel
medeſimo tempo , e ſecondo lo ſteſſo non s'aſcrive all'uno , il fimile e
diffimile? Siegue Socrate : quando alcuno giovane pone l'uno , non eſſer alcu
na di quelle coſe , le quali naſcono , e muojono , perciocchè quì un co come
poco fa dicemmo, ſi è conceduto , che non ſi debba con futare . Parla quà
Socrate della prudenza , della ſcienza , e della men te , di loro natura une,
immortali, ed eterne nel ſiſtema Piccagori co , e delle quali , come d'eſſere
reali , parla nel Sofiſta . Conclude Socrate : Ma quando ad affermare è
altretto un fol Uo mo , un ſol bue, una coſa bella , ed una coſa buona , allora
veramen. te in queſte, ed in cotali unità ſi rende ſollecito lo ſtudio , ed
anche ſi fa ambiguala divifione. Primieramente ſe ſieno da ammetterſi certe uni
tà sì farte, che fieno veramente ; di poi, in qualguiſa ſia de penſarſi, che
ciaſcuna di quelle coſe ſia una , e la medeſima ſempre, nè fi pren da
generazione, nè morte , ma ſe ne ſtia fermiſima nell' unità di lei ; finalmente
ſe ſia da porſi alcuna coſa nelle coſe generate , od infinite, o partita , ed
oggimaifatta moite coſe, o tutta eſa in diſparte da ſe medeſima, il che più di
tutte l'altre coſe parrebbe impoſibile che uno , e lo dello ſi facele parimente
in uno , ed in molti. Quefto è l'uno, ed i molti che ſi trovano intorno a
cotali coſe , ma non quelli , o Protarco che non conceduti bene ſono cagione
d'ogni dubitanza , ed ogni facilità ben conceduti . Manifeftiffimo è , che quì
Socrate ripete le difficoltà ſull' idee ſeparate fattegli da Parmenide , e ſu
le quali confeffa , che impoſſi bile è di scioglierle, indi fa attenzione al
metodo inſegnato da Par menide, di cercar l'idee per via dell' aſtrazioni, con
le quali ſi to glie ogni difficoltà intorno a'molti, e all'uno . Da ( 43 ) Da
queſti palli io deduco , che il fine di Platone in queſto Dialogo altro non fu
, che d'allontanarſi da quel meravigliolo e puerile, in cui facilmente fi cade,
quando non ben li diftingua no i concerci della mente , o s'amia irasformare i
concetti in ido li , ed a realizzarli poeticamente , come faceano i Pittagorici
. Per compir queſto diſegno fcelle Platone il Filoſofo più ſpeculativo
dell'antichità , e deſcritto da Socrate qual Uomograve, evenerabile , e d'una
profondità al tutto generoſa , il che vuol dire , ſe non erro , che egli nella
ſua maniera d'argomentare franca , libera, ed inſie me profonda, nulla tenea
del lopraciglio , e della vanità dei Sofi fi; Platone quimoſtra fin dove
arrivar pud l'ultima analiſi , che i Pitcagorici faceano dell'idee , oltre le
quali il procedere'era un eſporſi a pericolo di non più intender quello che ſi
dicea , comepur trop ро è arrivato ad alcuni Scolaſtici , che fpingendo troppo
, oltre le queſtioni oncologiche , ofarono ſin negare il principio di con
traddizione , ed affermarono chel'infinito ſi raggruppaffe in un pun to . Nel
Gorgia, nel Protagora , ed in altri Dialoghi contro iSo fifti , coll'arte
dell'ironia Socratica , li dipinge a diritto Platone quali cacciatori mercenari
d'uomini, mercatanti venditori, appal tatori di ſcienze , e diſcipline falſe ;
ma chi può dire che Platone ebbe difegno di proporſi in queſto Dialogo
Parmenide , qual mer catante venditore, ed appaltatore di bujo peſto , che così
devono chiamarſi le quiſtioni tenebroſe , ed all'ambicate ; bujo peſto è quel
lo di cui troppo liberalmente lo caricano il Ficino , ed il Sera no, non quel
che combina la doctrina d' Ariſtotele , con quella di Platone ; dotcrina che
curt " i Peripatetici , e gli Scolaſtici ab bracciarono e che ultimamente
con tanta chiarezza e preci* fione , eſpoſe il Wolfio nella fua Ontologia .
Queſto Dialogo è primieramente ontologico , e preſo in queſto ſenſo non ha in
sè più di pericolo che la metafilica d' Ariſtocele , ma ridotta alla Dialeccica
, L'antica Dialetica verſava fu i generi di tutte le coſe , attenca a
compararli , a combinarli , per preparare' ed illuſtrare la quiſtio ne
propoſta. S'ingegna lo Stanlejo di ridur a tre generi la Dialec tica de
Piccagorici .1. Ai non ripugnanti , o ſia all'eſſenza delle coſe nelle quali ſi
combinano, coſe tra loro non contradditcorie.. Così l'eſſenza del triangolo o
del quadrato , è l'eſfer figure di cre o quattro linee , perchè non v'è ripugnanza
, che il numero ter nario o quaternario , s'adatti o fi combini alle linee
rette . 2. Ai differenti o alle coſe che tra loro ſi diverſificano nell'eſſenza
, nc gli attributi , e ne' modi ; così il triangolo è differente dal qua drato
, ed il quadrato dal cerchio . 3. Ai relativi a'quali ſi riduco if 2 no ( 44 )
no tutte le matematiche conſiderate dagli antichi , come il vero modello della
diſciplina , ed a cui i moderni riduſſero l'arte dell' analogie filoſofiche, ed
il calcolo de' probabili . Platone ſtabiliſce in molti luoghi non tre ma cinque
generi del le coſe ; l'eſſenza o ciò che è , lo ſteſſo , il diverſo , il moto ,
e la quiere ; a queſte due ultime nozioni ſi riduceva tutta la fiſica antica ,
onde diſfe Ariſtotele , che ignorato il moto s'ignora la natura . Lo ſteſſo e
il diverfo vaga per tutte le altre fcien ze ; onde Platone dello fteſſo , e del
diverſo , compoſe l'anima del mondo , e la bellezza . Lo ſteſſo e il diverſo
ſono relazioni dell' ente in genere , fi ſpargono ſulle relazioni dell'ente in
ſpecie , il fimile, il diffi mile , Peguale , il maggiore, il minore , il nuovo
, l'antico . Que fta era la ſcala de'generi ſuperiori, o quelle nozioni
ontologi che aſtratte per l'acume della mente da' concreti , coſa ben di verſa
dalla ſcala de' predicamenti d' Ariſtotele . Il Wolfio ( a ) fa propoſe per
ultimo oggetto degli ſtudj fuoi, di perfezionar" la Icala de'generi , e
con eſſa ſciogliere il problema dell' analiſ dell'idee , propoſta ma non
trattata dal Leibnizio . I Pittagorici ne diedero i primi ſemi, e Placone più
li ſviluppò , applican doli alla determinazione dell' idee , quindi è che nel
Parmeni de tutti iſuoi argomenti ſi riducono alle relazioni dell'ente , in
genere dell'ente , in ſpecie . Rinferrata ne' fuoi limiti la materia del Parmenide,
il meto do che v’applica è quello del principio di contraddizione , che ci
conduce all' aſſurdo ; metodo non tanto accetto a noi , per . chè ci dimoſtra
la noftra impotenza , ma che ci sforza invin cibilmente all'faffenſo . In
queſto metodo Platone ne aggruppa molti altri , il metodo d' eſcluſione è
quello dell'analiſi geo metrica . Nel metodo d'eſclufione fi numerano tutti i
caſi di una co ſa , e s'eſcludono o tutti per dinotare l'aſsurdità , o tutti
men in cui fi cerca la ſoluzione del problema . Così Archi mede avendo
dimoſtrato , che un dato poligono non è , nèmag giore , nè minore del cerchio ,
nel quale è inſcritto o circon Icritto , conclude che gli è eguale . Placone in
molti caſi ado pra il metodo ſteſſo . Nel metodo dell'analili geometrica , fi
aſſume ( 6 ) il quefito come conceffo , e per legitime conſeguenze s'inoltra
fino ad un ve 1 uno , ro ( a ) Affumptio quæſiti tanquam conceſsi per ea quæ
conſequentur ad verum conceffum . ( 6.) Wallis Il . dell’Algebra . ( 45 ) To
conceſso , da cui riteſsendo il ragionamento ', li dimoſtra il quelito ; molti
vogliono , che Platone ſia l'inventore di queſto metodo, e che abbia fatto il
Parmenide per darne l'eſempio ; maqueſti attribuirono al tutto ciò che conviene
adalcune parti, Utiliflime ſarebbono le metafiſiche de'moderni , fe i loro
autori fi foſsero limitati all'ipoteſi, e ſi foſſero guardati di proporle in
for ma di dogma , cagione d'eterni litigi non ſalvati , ne da ſtile elo quente
, nè da calcoli algebraici. Il Carteſio ſegui nelle ſue medi tazioni ilmetodo
analitico , ma diede occaſione a molti ſiſtemi più ſtrani de'ſogni, come quello
degli Egoiſti, conſeguenza dello fpi nofismo fpirituale . Che dirò dell'arte
del Dialogo , in cui s'è già dimoſtrato imi, tarſi i ragionamenti umani, come i
Poeti Dramatici aveano imi tate le azioni umane . All'imitazione. ( a ) di
queſte convien il palco , ed il verſo , non all'imitazione de' ragionamenti, la
quale per ſua natura appartiene alla Dialettica : poco o nulla di leg giadria
avrebbono i fillogismi, egli entimemi in verſo , e poco o nulla lor gioverebbe
l'apparato della ſcena . Si è pur detto che la quiſtione, e la digreffione al
Dialogo , è come la favola , e l' epiſodio al Drama . Nel Parmenide la
quiſtione è intorno l'idee , ma non v'è digreſſione, ſe pur non fi voglia ridur
a queſta , la preparazione alla diſputa con Par menide, incominciata tra
Zenone, e Socrate . La differenza de' drami ſi prende dal diverſo modo
dell'azio ne , la quale o è ſemplice, o compoſta, e la differenza de’ Dia loghi
dal modo del ragionamento, nel quale , o s'inſegna, os inveſtiga da un ſolo , o
s' inſegna , o s'inveſtiga da molti la quiftione propoſta . A quattro generi
riduce il Taffo i Dialoghi , al dottrinale , al Dialettico , al tentativo , al
contenzioſo . De’due primi generi è miſto il Parmenide, perchè dopo di aver
egli diſputato con Socra te , quaſi ſolo favella, non contandoſi le riſpoſte
d'Ariſtotele , approvazioni per lo più della concluſione , o preghiere d' eſpor
più chiaramente la ragione accennata . Nel inlegnare qual fia la natura o
l'idea dell'uno , qui non v'è tentativo , nè litigio , nè in queſto Dialogo v'è
molto a ricercare , ſe ſia meglio adat cato all'inſegnamento che il maeſtro
interroghi , od i diſcepo lo . , perchè appena termino la breve diſputa có Zenone
, che Parmenide cominciò a interrogar Socrate , ed avendolo confu? lo , ed
imbarazzato con una difficoltà cui non poteva riſpondere, Para ( a ). Torquato
Taſſo diſc. ful Dialogo . ( 46 ) uno . Parmenide paſſa ſenza interrompimento
alle tre poſizioni dell ' Vuol Torquato Tallo , che come una ſia l'azione nel
Dra ma , così una fia la quiſtion nel Dialogo , la quale o è infini ta , per
eſempio ſe deve apprezzarſi la virtù , o è finita , per eſempio che deggia far
Socrate condannato a morte . La qui ftione del Parmenide è infinita , perchè fi
tratta dell' idee di cui ſi cerca la natura e l'origine , la natura dimoſtrando
che non ſono dalla noſtra mente feparate , l'origine dimoſtrando come per via
delle ſuppoſizioni s'acquiſtano . Queſte due coſe ne fan no propriamente una ,
perché non ſi può intender la natura dell' idee ſenza prima determinarne
l'origine . L'una e l' altra determina Parmenide , e rimove l' idee feparate
per convertire il ragionamento al modo con cui la mente le acquiſta. Parme nide
lo propone , non lo dimoſtra per non allontanarſi dal co ſtume della ſua fetta
, che era di propor dubitando le coſe : Non è cutravia in ciò ſolamente che
appariſce il coſtume di Par menide . Dimanda Socrate , che gli ſia dichiarata
la quiſtione delle idee , ed intorno alle coſe che ſi veggono ,ed ancora
intorno a quelle che ſi comprendono con la ragione . Parmenide , e Zenone
attentamente lo aſcoltano , eſpero guardandoſi l'un l'altro fog ghignano quaſi
di Socrate meravigliandofi . E queſta è quell'evi denza tanto neceſſaria al
Dialogo , e di cui Platone diede si chiari eſempj neli' Ippia , e nel Fedone .
Ella è qui ordinata a manife ſtare il coſtume d'un Filoſofo accento , e che
colla triſtezza , e coi fogghigni accenna , ciò che nel diſcepolo non s'accorda
con la ra gione . Un tratto poi del coſtume d'un Filoſofo attento , è do ve
dice Parmenide o Socrate troppo per tempo , innanzi che tu ti eſerciti a
parlare , ti sforzi di definire ciò che ſia il bello , il giu ſto, il buono , e
qualunque dell' altre ſpecie . Perchè poco fa il con fiderai vedendoti
diſputare con Ariſtotele . Per certo mi credi , que fto tuo fervore è bello è
divino , il quale alla ragion ſi conduce , ma recati in ſe ſtello, ed
eſercitati mentre ſei giovane in queſta fa coltà la quale a molti inutile , e
ſi chiama dal volgo garruli tà , altrimenti ſi fuggiria da la veritade.
Parmenide qui accenna la Dialectica in quanto vaga per cutti i generi , ſulla
qual coſa poco dopo ſoggiunge conſervando il co ſtume divecchio venerabile .
Sarebbe cofa ſconvenevole , cheſi trat tale maſſimamente da un vecchio certe
coſe si fatte alla preſenza di molti , non ſapendo il volgo , che ſenza queſto
vagare , e diſcerne re per tutte le coſeſia impoſſibile abbattendoſi nel vero
acquiſtar men te . Ariſtotele e gli altri lo pregarono , e Parmenide riſpoſe
con un apo 7 pare inutile ( 47 ) apologo : egli è neceſſario finalmente che
s'ubbidiſca , tutto che mi è av viſo di tutto quello che patà il cavallo Ibico
, cui Atleta e vecchio do vendo prendere la conteſa delle carrette , e per
l'eſperienza iremando de' ſuccelli , alimigliando egli a ſe ſtello, dille
cheegli già vecchio era coſtretto di ritornar agli amori . Nel medeſimo modo
diſſe Parmeni. de , a me pare di temer malto , quando penſo in che guiſa
cosè.d'età avanzata , io pola paſar a nuoto un mare cosi profondo di ragionda
menti . Intorno la ſentenza , o ſia ciò che ſente il principale interlocu tore
del Dialogo , ella è qual conveniva a un Dialettico eſperto , nel vagar per i
generi delle coſe , e nell'argomentare , e ben de gno , che nelle coſe
intellettuali Platone , Secondo il teſtimonio di Apulejo, lo preferiſſe agli
altri Pitiagorici , e n'imitaſſe la ſotti gliezza , e nell' idee , e nel metodo
di proporle . Nella Poelia. Epica , altro è che il Poeta imiti narrando un facto
, altro che introduca un degli attori a narrarlo . Così nell' Odiſſea , aḥtre
ſono le cofe che Omero direttamente narra accadute ad Uliffe , altre quelle che
narra Ulife ſteſſo . S'in troducono ne' Poemi i racconti , per variar i modi
dell' imita zione , ed ancora per accreſcerla ; ella è perciò doppia , quando
nel Poema i perſonaggi imitati, imitano effi fteffi col loro rac conto . In
queſto Dialogo , Pitidoro imita, narrando i diſcorſi che inteſe da Parmenide .
I Dialoghi, benchè fpecie di Poeſia Dramatica , in ciò con vengono con l' Epica
, e Platone , che nelle diſpute de'Filoſo fi volle imitare i combattimenti
degli Eroi di Omero , emold anche queſto nel modo di rappreſentarli . Nel
Filebo propone ſenza alcro la difputa chiaramente enunziata intorno la felici
tà ed il piacere , nè premette alcuna circoſtanza ſtorica ai ra gionamenti dei
tre interlocutori , Socrate , , Filebo e Protar co ; così fa nel Sofiſta ,
nell' Eutifrone nelle Leggi , e nella Repubblica , ma non cosi nel Convito ,
nel Fedone, e nel Par menide . Pitidoro vi narra ciò che ha udito da Antifone,
e queſto è modo più artificioſo dell'altro , perchè vi ſi ricerca molta ſa
gacità nel render neceffario il ragionamento, ed accompagnar lo di quelle
circoſtanze che più mettano la coſa fotto gli oc chi , intereſſino il lettore
ad aſcoltare i perſonaggi, e di tem po in tempo lo ricreino con opportune
digreffioni , ma tutte convergenti alla quiſtione propoſta , ſenza che ſe ne
accorga il lettore. Nel diſcorſo naturale noi pafliamo ſenza rifleſſo da una
coſa all'altra , ma nel Dialogo , ſe ſi vuol imitando perfe zio ( 48 ) zionar
la natura , nulla vi ſi deve introdurre ſenza ragion ſuf ficiente . La ſomma
difficoltà dell' artificio del Dialogo è nell: interrogazioni, e nelle riſpoſte
diftinte e preciſe , ma nel Par menide il dialettico s'accoppia col dottrinale
e queſta è la parte dominante , perchè eſcluſe l' idee ſeparate , Parmenide ſem
pre parla ſcorrendo per le ſuppoſizioni. ; 1 1 1 > ILLUSTRAZIONE D E L 1
PARMENIDE. . Tom . II. } , ( 51 ) ILLUSTRAZIONE D E L PARMENIDE. tertentanut
Estates L A diſputa su l' idee fatta tra Parmenide, Zenone', Socra te , ed un
certo Ariſtotele , viene a Glaucone , e ad Adi manto riferita da Cefalo per
bocca d'Antifone, il quale avendo familiarmente converſato con Pitidoro
compagno di Ze none', avea su queſta materia udito da lui le ragioni dei tre Fi
loſofi. Reſtarono queſte cosi profondamente impreſſe nella me moria di Antifone
allor giovanetto , che molti anni dopo ſeb ben diſtratto dagli eſercizi
equeſtri , poté in tutte le loro cir coſtanze rappreſentarle nell' abboccamento
, che egli ebbe con Cefalo , e coi compagni . Tofto Cefalo eſpone il motivo
della diſpuca Parmenide ne Poemi avea detto che tutto è uno , e Zenone provato
in uno ſcritto , che uno non è molti . Si comincia la Jercura dello ſcritto , e
Socrate vi fa ſopra delle difficoltà a mi fura che ſi legge. Poco mancava' a'
terminar la lettura , quan do Parmenide con Pitidoro , e Ariſtotele entrarono
in caſa . Si leſſe di nuovo alla preſenza di Parmenide , e degli altri il pri
moargomento , e fi difputò incidentemente su la differenza del le due
definizioni parendo a Socrate , che il dire tutto è uno foffe lo ſteſſo che il
dire , uno non è molti . Glielo concede Zenone , é lodaća la ſagacità di
Socrate dichiara', che non per vanità o per 'arcano di Filoſofia egli ha'
fcritto , ma per fo ftener l'orazion di Parmenide contro coloro che ſi
sforzavano di ſchernirlo , perchè ſe molte contraddizioni degne di riſo pativa
l' Orazion di Parmenide , molte altre di più ridicole ſe ne inferivano dalle
ſuppoſizioni degli altri. Zenone ſcriſfe il : li bro nella ſua giovanezza , ma
un certo avendoglielo rubato.fi pubblico . Si ricomincia la diſputa. Parmenide
, e Zenone lafciano a So. crace eſpor tutta la ſua ſentenza su l'idee ſeparate,
per le quali moſtrava la definizione dell'uno da Zenone affegnata non eſſer
univerſale " . Accorcol Parmenide , che tutta la forza dell'argo mento (
52 ) mento di Socrate fondavaſi su l’idee ſeparate , l'imbarazza co
ftringendolo ad aſſegnarne alle coſe fiſiche. Non sa Socrate ri folvere la
difficoltà. Parmenide fingendo di conceder l'idee ſe parate argomenta contro la
loro participazione , contro il lo ro progreſo all' infinito , contro alla loro
incomprenſibilità. So crate n'è molto curbato , credendo che annullate l ' idee
ſepara te non vi fieno più principj per ben filoſofare . Ammira Par menide il
fervor di Socrate , e lo conſiglia ad eſercitarſi nella Dialetica per ben
inveſtigare l'idee . Pitidoro ed Ariftotele , pre gano Parmenide ad
eſemplificar il metodo dell'inveſtigazione dell'Idee . Egli ſcieglie l'idea
dell' uno , e col metodo delle ſup poſizioni la tratta. Orquattro ſono le
quiſtioni che ſi poſſono eſtrar dal Parmeni de relativamente alla definizione
di Zenone , che l'uno non è molti . La prima è quella dell'uno per rapporto
all' idee feparate ; Ia ſeconda dell'uno per rapporto asé ; la terza dell'unc
per rap porto all ' ente ; la quarta dell'uno per rapporto al non ente . Le tre
ultime quiſtioni ſono propoſte per via d'ipoteſi : ſe l'uno ; ſe l ' uno è ; fe
l'uno non è . Per non traſcurar nulla di ciò che agevola l'intelligenza del
Dialogo , premetterò partitamente ad ogni quiſtione la Ipiegazio ne delle voci,
e delle nozioni neceſſarie , ſtando più che mi ſia poſſibile attaccato alle
parole del teſto quale Dardi Bembo il tra duffe ; mi par inutile di por tutto
il Dialogo , perchè eſſendoſi ri ſtampato di freſco , tutti coloro i quali
hanno vaghezza d inten derlo ſe ne faranno già proveduti ,per gli altri
èinutile e vana ogni illuſtrazione . SEZIONE PRIM A. b. I. Enone defini l'uno
ciò che non è molci . Approva Ariſto tele ( a ) queſta definizione, perchè in
generale ogni defini zione , dovendoſi aſſegnare per le coſe più lenfibilia e
più note, l'eſperienza di tutti i ſenſi ci moſtra , che i molti ci ſono più
noti che l'uno ; i fanciulli più teneri nel coccare , nel vedere , e nell'udire
pereepiſcono i molti , e la loro cognizione è imme là dove hanno biſogno , che
la loro ragione fi maturi un poco per cominciare a dir uno , e quindi numerar
su le I molti dunque eſſendo più noti dell' uno , negandoli di forma 6 ) Metaf.
lib . 1o. diata ; dita . il ( 53 ) il concetto negativo dell'uno in quella
guiſa , che negando le par ti ſi fa il concetto negativo del punto . Dall'uno G
fa l'idea aſtratta dell'unità , come dall'idea dell'uomo l'idea aſtratta
dell'umanità . Tre ſono le ſpecie dell'unità ; la Lo gica, la Matematica , la
Metafifica. L'unità Logica ſono i generi , e le ſpecie, o certe idee univerſali
atte a rappreſentar molti in uno; l'unità matematica è il principio compoſitivo
de' numeri , o il prin cipio per cui fi numera ; principio differente dal zero
, da cui ſi nuinera . L'unità metafiſica' è una proprietà traſcendentale dell'
ente , o che conviene all'ente in quanto tale , poichè d'ogni ente fi predica
l'uno , come fi predica il vero , e il buono , o ſia il perfetto , ma la verità
, e la bontà , o la perfezione , inclu dendo ordine nella varietà ſuppone l'
uno , onde tra le proprie tà dell'ente egli è la più univerſale ( a ). L'unità
o l'uno nel ſuo concetto aſtrattiſſimo preſcinde da tutte le relazioni,
potendoſi per l'aſtrazione della mente non riferire, nè alle coſe che
rappreſenta , nè a' numeri che compone , nè a ciò cui conviene : In queſto
ſenſo aftrattiflimo definiſce Zenone l' uno , opponendolo ai molti in genere .
Contro queſta definizione cosi argomenta Socrate . Vi ſono idee ſeparate :
dunque ogni idea eſſen do una in sè , e molti , nel participarſi a molti l'uno
, eimolti poſſono accoppiarſi ; dunque non pud dirſi , che l'uno fia molti .
Prima di ſviluppar l' argomento rifletterò su certe voci , e nozioni di
Socrate. $. 2 . Suppone toſto Socrate, che vi fieno idee ſeparate. L'idea ſe
condo l'etimologia della voce Greca , ſignifica propriamente com fa viſta , e
per traslato ſignifica coſa inteſa , o ciò che s'inten de ; ma tallora
ſignifica l'atto per cui s'intende , il qual però meglio ſi chiama nozione o
concetto. Åleinoo defint l'idea , intelligenza per rapporto a Dio , pri mo
intelligibile per rapporto anoi , miſura quanto alla mate ria , eſemplare
quanto al mondo ſenſibile , effenza quanto a ſe ſteſſa . In tutti queſti ſenſi
la prende or Socrate , ora Parmeni de ; ma la prima nozione dell' idea ſeparata
è che ella fia il primo intelligibile . $. 3• ve ) Wolfo Metaf. ( 54 ) § . 3 .
Socrate: oltre l' idee del bello , dell' oneſto , e del giufto , che Parmenide
gli accorda , ammette ancora quelle del limile , del diffimile, del moto ,
della quiete , dell' uno , e de' molti . Queſte ultime idee ſono tra loro
oppoſte e contrarie , come il caldo , il freddo , il bianco , ed il nero ;
eſſendo contrarie , ciò che convie ne all'una , non conviene all' alira , e
quindi ſecondo Socrate i ge neri, e le ſpecie , idee più o meno univerſali
conſiderate in se non patiſcono paßioni contrarie , ma nulla vieta nell'ipoteſi
di Socrate, che non poſſano participarſi dalle coſe. 1 S. 4 . Partecipare è
propriamente ritener in sè una parte d'un cutto ;; così l'aria partecipa la
luce ', poichè ogni particella d' aria ha in sè una particella di luce . In un
ſenſo più ampio , la voce partici pare s'eſtende dalla quantità alla qualità ,
all'azione , all effenza Iteffa. ;. così ſi dice , che l'accidente partecipa
della ſoſtanza', gli effetti delle cagioni, un figlio le virtù , eivizj.del
padre : La par cipazione è quindi' più ampia della ſimiglianza limitata alla
ſola convenienza delle qualità , e molto più dell'imitazione , che alla
fimiglianza aggiunge la relazione tra il modello , e la copia ; due gemelli
naſcendo saſlimigliano , e pur l'uno' non è la copia dell' altro . I
Pittagorici' nel riferir le coſe all' idee ſeparate , come a loro
modellidiceano', che participavano o imitavano l'idee , ma fecondo Ariſtotele (
a ) non mai filoſoficamente ſpiegarono le voci di participazione, e
d'imitazione . S. 56 Cið fuppoſto , il primo argomento di Socrate tratto da
queſti principj fi pud diſtinguer in due per maggior chiarezza . Ogni idea è
una in sé , ed una in molti , dunque nel tempo ſteſſo , uno può efser molti .
Cosi lo conferma , Benchè l' idee lieno tra loro con crarie , nondimeno poſsono
eſserº nel tempo ſteſso participate da. molti , anzi dallo ſteſso ſecondo
diverſi riguardi , ma in queſte participazioni ritengono la loro unità ,
dunque: ſon uno e molti. Così lo prova : oppoſte e contrarie ſono tra loro
l’idee , del ſimile , del diſſimile', del moto', della quiete , dell’'uno; é
dei molti ; dunque comenulla viera , che lo ſteſso poſsa aver more in ( a )
Metaf, lib. ( 55 ) in una parte , e quiete nell'altra ; eſfer fimile ad un
altro in una parte, e diffimile nell'altra, così nulla vieta che ſia uno , e
molti ; una Caſa ha molti legni , e molte pietre ; ogni . Uo mo è uno
conſiderato in sè , ed è o ſeſto, o ſettimo conſide rato con altri . la un Uomo
, altra è la deſtra , altra la fini ſtra , altre le parti dinanzi, altre di
dietro , altre le ſupreme , al tre le infime. Nel Sofiſta egli dice ; noi
chiamiamo un Uomo denominandolo con molti cognomi , mentre a lui attribuiamo i
colori , le figure , le grandezze, le virtù , ed ivizi : nelle quali coſe tutte
, ed in altre infinite , non ſolamente diciamo che egli fia Uomo, ma ancora
buono , ed altre infinite coſe , e le altre fecondo la ſtella ragione . In
cotal gui sa fupponendo noi qualunque coſa una , di nuovo l'appelliamo molte e
con molti nomi ..... Onde ſi è da noi data occaſione di contraddi re , come jo
penſo a' giovani , ed a ' vecchi di tardo ingegno : percioc che incontinente ci
potrebbe chiunque far obbiezione che ſia coſa impos fibile, che molte sofe
folero una , ed una molte . ( a ) Dunque uno può eſſer molti ; dunque non è
generale la de finizione , che uno ſia non molti . La participazione dell' idea
evidentemente lo manifeſta . 7 9. 6 . . Sciolto è l'argomento ſe fi nega
l'ipoteſi dell' idee ſeparate perchè colte l'idee è colca la loro participazione.
Parmenide ri gecta l'ipoteſi, come nè generale , nè chiara ; non generale .per
chè non s'eſtende a cutti i cafi poflibili i ; non chiara . , 'perchè non pud
fpiegarſi la participazione dell'idea. Cost :provo la pri ma parte non ſi
debbonoaſſegnar idee delle coſe ſeparate, o aſſegnarſene di tutte le coſe ';
che vuol dire , non baſta affe le .coſe morali , e matematiche , mabiſogna af.
ſegnarne ancora per le fifiche : dunque non ſolamente vi ſono idee del giuſto ,
del bello , del buono , del grande , del fimile ec, ma dell'uomo, del foco,
dell'acqua , e d' alcune coſe , che molti fimano per avventura ridicoloſe ; i
peli, il fango, le macchie., ed altre coſe ignobili , e vili. Socrate toſto lo
nega, perchè gli pare , che ammettere queſt' idee, ſarebbe coſa troppo
diſconvenevole , poi can didamente confera, che alcuna volta queſto penſiero lo
turbo , e che quando di là fi ferma ſe nefugge temendo di non corrompere la ſua
mente , e fantaſia cadendo in ciancie ineſplicabili ., onde a quelle coſe
ritornato ( cioè all'idee del giuſto , del bello , del buono, ed all idee
'matematiche ) verſa intorno a quelle . In ( a ) Sof, pag. 306 , ( 56.) In un
caſo ſimile ſi ritrovò il P. Malebranchio ; ſentendo egli la difficoltà di
ſpiegar chiaramente , come l'eſtenſione intelligibi- : le , eſſendo immobile in
Dio , gli rappreſenti il moto , ove il luſtra queſto articolo dice nel fine : (
a ) Io non oso impegnarmi'. a trattar queſto ſoggetto a fondo , temendo di dir
coſe, o troppo aftrat te , o troppo ſtravaganti, o ſe ſi vuole , per non
azzardarmi a dir co ſe che non so , nè sono capace di diſcoprire. Queſto è il
ripiego di Socrate . Ariſtotele ( do ) ove nella Metafiſica combatte l' idee
ſeparate malamente attribuite a Platone , adduce tra l'altre coſe , che dandoſi
idee ſeparate ſi dovrebbe darne de' ſingolari, de' corrut tibili ; egli non
eſtendeche l'argomento da Parmenide eſemplifica to , e poida Alcinoo , che
afferi non darſi nel fiſtema de' Platonici idee delle coſe arcifiziali ; uno
ſcudo , una lira ec. ne delle co fe oltre natura la febbre , la bile non
naturale ; non delle coſe ſingolari, Socrate , Placone; non delle vili, ed
abbiecte ſozzure , paglie ec. donde traffero i Platonici dopo Ariſtotele,
queſta di ſtinzione, ſe non dal Parmenide ? §. 7 . Propoſta che ha Parmenide
un'obbiezione , che Socrate non può riſolvere , egli cangia l' argomento ad
judicium in quello aid hominem , che vuol dire non argomenta più ſecondo i
principi della ragione univerſale, ma ſecondo i principj del diſputante , e ne
deduce la contraddizione . Suppone dunque che vi fieno idee ſeparate ", ma
come poi date queſte idee lo ſpiegare che lieno participate dalle coſe Queſta
participazione ſi fa , o ſecondo il tutto , o ſecondo la parte . Parmenide
dimoſtra , che nèl'uno , nè l'altro può eſſere . Sia da una coſa participaca
l'idea ſecondo il cutco , dunque tut ta l'idea è in ſe ſteſſa .; e tutta fuori
di ſe ſteſſa ; dunque nel tempo ſteſſo eſiſte tutta in sè , e cutca fuori di sè
. Siaľ idea conliderata in sè A , e participata fia B , C, D ec. generalmen te
, o non A ; dunque nel tempo ſteſſo l'idea è A , e non A , ciò che è
contraddittorio . Nè occor dire che un giorno è uno , e lo Steffo , ed inſieme
in mola ti luoghi , e pur non è da ſesteso in diſparte . Il giorno non è che la
luce del sole , diffuſa in tutto il noſtro emisfero . Or quel la parte di luce
, che illumina me, non illumina il compagno ſebben mi lia vicino . Parmenide li
ſerve dell'eſempio della ve la , ( a ) Ricerca della verità T. 4. pag. ... ( b
) Metaf. I. .... ( 57 ) la , la quale molti coprendo , non è perd una in molti
, perchè la parte c he copre l'uno , non è la parte che copre l'altro .
Reſta a dimoſtrare, che l'idea non è participata dalle coſe ſe condo una parte
; la dimoſtrazione è da se manifefta , perchè l'idea participata ſarebbe una ,
e non una ; una tutta in sè , e non una nelle coſe che ne hanno ſolo una parte
. Queſto modo d'ar gomentare , è fondato ſul principio di contraddizione
adoprato lovente da Platone, e ſtabilito da Ariſtotele , come il primo prin
cipio in cui ſi riſolvono cutti gli altri . Eſperimentiamo noi cal eſſere la
natura della noſtra mente , la qual mentre giudica che una coſa ſia , non può
inſieme giudicare , che la ſteſſa non ſia . Parmenide eſemplifica
l'impoſſibilità di queſta ipoteſi. 5. 8. La grandezza è ciò che è capace di più
e di meno . Nel conce pir il più fi concepiſce il maggiore, nel concepir il
meno fi conce piſce il minore , e nel concepir l'eguale non ſi concepiſce nè
più , nè meno nelle quantità che ſi comparano. lo dico che li comparano ,
perchè nè il più , nè il meno, nè l' eguale concepir ſi poſſono ſenza riguardar
una coſa nel tempo ſteſ to che l'altra o ſenza compararle , e in queſta
comparazione pro priamente la grandezza confifte, la quale , come ben dice il
Wol fio , non ſi può concepir ſenza un altro a differenza della quali tà .
Tutto quindi l' effer della grandezza è relativo , od ha tut to l'eſſere in
ordine ad un altro . Così Platone eſpreſſe la natu ra della relazione nel
Politico , nel Simpoſio , nel Sofifta , e pri ma di lui Archita , ed Ocello , (
a ) i quali diviſero la relazio ne in quattro generi . Da queſti autori traſfe
Ariſtotele ( 6 ) la definizione , che dà della relazione . Nulla perd vieta ,
come & proverà , che per compendiare i concetti non ſi concepiſca la gran
dezza come qualche coſa di aſſoluto , a cui accade – eſſere mag giore , minore
, ed eguale , e che di nuovo ſi concepiſcano il maggiore, o'l minore come
aſſoluti, a' quali accada il più , o meno , o nè l'uno , nè l'altro . Suppoſto
dunque , che fi dia l'idea della grandezza , e in conſeguenza del maggiore, del
minore , dell' eguale, così argomenta Parmenide. Sia A l'idea del maggiore , B
del minore , C dell' eguale ; ſi dividano tutte2 , e tre in parti ineguali : С
poichè dunque una coſa in canto è maggiore , in quanto partecipa l'idea del
maggiore , lia l'idea - B del maggiore A diviſa in parti ineguali, e la parte
minore delmaggiore ſia participata, quello che la Tom . II. h par ( á ) Diſcuſ.
Perip. Patriz ; T. 2. pag. 185. ( b ) Ad aliquid alia dicuntur quæcunque quod
ipſa ſunt aliorum effe dicuntur. o il A ( 58 ) partecipa non ſarà egli nel
tempo fefto , e maggiore , e mino re? Maggiore, perchè parcecipa l'idea del
maggiore; minore per chè parcecipa la parte minor del maggiore. Così potrà
dirli della participazione della parte più picciola dell'idea del minore, e
dell' idea dell'eguale . Se'l idee dunque fi participano dalle coſe , ſe condo
una parte loro non potrà mai effer quefta , una delle par ri ineguali.
Parmenide non procede olore , maè facile l'aggiun-. gervi , che nè meno pud
parcicipare delle parti eguali , perchè la parte .eguale del maggiore
participata dalla coſa , la farebbe nel tempo ſteſſo eguale , e maggiore ; e
così la parte eguale del mi nore , ſarebbe la coſa minore ed eguale. . 9. La
noſtra mente , come per ſua natura non può concepiricon tradditrorj, così non
pud frappaſſar l'infinito , biſogna che s'ar reſti ad un primo, o ad un ultimo
, il qual è come Tuncino che ſoſtiene curri gli anelli della catena. Ariſtocele
, e'ne'mori, e nel le cagioni, e ne'fini dimoſtra l' aſſurdità del progreſſo
all' infini 10 , modo d' argomentare imparato dal Parmenide di Platone non men
che l' altro del principio di contraddizione. Il Wolfo dimoſtròeffer impoſibile
il progreſſo all'infinito rectilineo, e cir colare . g. 10 , . Poſta
l'aſſurdità del progreſſo all'infinito , così argomenta Par menide : Tu ſtimi
che qualunque ſpecie fia una , quando pare i te cbe certe , e molte coſe fieno
grandi, parendoti per avventura in ris guardando a tutte le coſe , che ſia
queſta una certa idea , onde tu penfi che il grande fia uno . Prima
d'inoltrarſi è da oſſervare, che qui Platone inſegna, co me comparando le coſe
, nel riflectere a quello in cui conven gono , ne riſulta un'altra idea , come
prima avea inſegnato Epicarmo , Queſt' idea è ſempre una , perchè uno è l'atto
della mente con cui ſi rifletre a ciò che le coſe hanno di commune . Continua
Parmenide : Se'il grande, e l'altre coſe che ſono grandi nel medeſimo modo
conſideralli per tutre le coſe , non apparirebbe egli da capo ceri' una coſa
grande, onde farebbe neceſſario che queſte tutte pareffero grandi? Vuol dire
che nel compararſi dalla mente di nuovo l'idea del grande con le grandezze
participate , nè riſulta un'altra idea di grandezza , per la qual coſa
concludeParmenide: apparirà di nuo po altra ſpecie di grandezza fuor do esſa
grandezza , e di quelle che fono ! ( 59 ) fono partecipi di lei , e dopo tutte
queſte , altra di nuovo con cui som rebbono queſte grandi, nè pide
qualunqueſpecie fia una , ma piuttoſto di numero infinito . La ragione è , che
l'idee della grandezza di nuovo aſtratte nella comparazione , eſſendo per loro
natura re lative faranno fena pre di nuovo comparabili , e così all' infini to
. Ariſtocele su queſto fondamento del Parmenide , e tutti i Platonici, e tra
gli altri Alcinoo dillero , che non fu potea aver idee de relativi. $. 11. cioè
per Dal modo con cui Parmenide comparando l'ideę , altre idee He deduffe ,
concluſe Socrate, che le ſpecie ſono' atti dell'intel fetto, i quali non riſiedono
, che nell'animo . Gli concede Para menide, che ogni atto dell' intelletto è
uno , ma gli fa confef fare , che queſt' acto ha un oggetto , ed è l' ente';
l'ente perd in quanto ſi concepiſce o s'intende', non s'immagina o ſente :
prende egli qut l'idea , non per la nozione , o per il concetro' della mente 1
atto , ma per la relazione che ella ha ad un certo oggecto, e conſidera l'unità
dell'idea' non relativa mente all'atto dell'intelletto , ma all' ente che la
partecipa poichè ſecondo i principj di Socrate , ella è ſempre la ſteſa in
tutte le coſe . Ne deduce per confeguenza , che ſe l'idee ſono' at: ti
dell'intelletto , le coſe che partecipano della ſpezie', o deli? idea faranno
tutte intellective, ed intelligibili . Vi riſponde So crace , che le coſe non
partecipano' dell' idee , in quanto' queſte fono atti dell'intelletto , ma in
quanto rappreſentano le coſe ; che vuol dire, in quanto l' idee Tono eſemplari
, di cui le co fe fono limiglianze ; onde in tanto le coſe le partecipano', in
quanto ad effe li fanno ſimili . Parmenide contro queſte fimi glianze dell'
idee , argomenta coll' aſſurdità del progreſſo all' ip knito , come fece delle
grandezze . $. 12 Supponiamo che' molte' coſé' fieno ſimili per la
participazione dell' idee della ſimiglianza. Potendoſi dunque comparar dall'in
telletto le ' fimiglianze' , e delle coſe , e dell' idee , Te' ne' eſtrar rà
un'altra' idea di ſimiglianza , e queſta di nuovo comparando 1' idee con le
coſe , darà un' altra idea di fimiglianza , e co sh all'infinito , cio' che è
aſſurdo”. Cosi eſprime queſto argo mento Parmenide : non ſarebbe egli neceſſità
grande , che' quel che è fimile al fimile' folle partecipe dell' uno , e della
fleffa ſpecie ? Or hi 2 non ( 60 ) 5 non ſarà ciò la ſtessa ſpecie , di cui le
fimili coſe rendendoſi partecipi fiano fimili ? Dunque non può alcuna coſa
eller ſimile alla ſpecie, ne la ſpecie ad altrui, altrimenti oltre alla
fpecie', altra ſpecie ſempre apparirebbe, che ſe ella folle fimile ad alcuna
coſa altra dacapo' , ne cellerebbe mai queſto progreſo , che non ſi faceſſe
ſempre nuova fpe cie , ſe ancora folle ſimile la ſpecie , a chi di lei ſi
rendeſe partecipe : Ariſtotele propoſe lo ſteſſo argomento ſebben oſcuramente
L'Uomo , dice , ſignifica non meno la ſoſtanza ſenſibile degli Uomini ſingolari,
che la ſoſtanza intelligibile dell'Uomo per sè , o fia l'idea dell' Uomo . Or
ſe queſt' idee convengono in una coſa comune , fi concepiſce comparandole un
terzo Uomo, equin di un altro , e così all'infinit . Ariftotele creſce
l'aſſurdità Socrate lingolare participando dell'Uomo univerſale partecipa , e
dell'animale e dell'animale a due piedi , e d'altre coſe , ciod , quelle che ha
comuni colle piance, colle pietre , ed altre innume rabili. Converrà dunque
moltiplicare all'infinito l'idee, onde per una coſa ſenſibile converrà porne
infinite; ſi può aggiungere che queſto numero di nuovo ſi moltiplicherà
all'infinito am mettendoſi l' idee dei relativi, poichè ogni coſa che è nell'Uo
mo , pud compararſi a turce l' idee delle coſe viſibili , ed invidia bili , o
della ſteſſa, o di diverſa ſpecie. Ma l'Uomo ideale, diceano i Pittagorici ,
effendo incorrutti bile , ed univerſale non ſi può comparar a coſa ſingolare ,
e cor ruttibile , ed eſtrarne quindi nuova idea ? Ariſtotele vi riſponde : i
binarj feparati ſono anche eſſi incorruttibili , e pur per conoſcer li biſogna
dar un'idea comune di binario , in cui convenga il binario B , il binario C ec.
In oltre l'idea di figura è comune al cerchio , al triangolo , ea tutte le
figure piane e ſolide, onde ella , è propriamente ge nere relativamente alle
ſpecie , ma chi può mai conoſcere una figura che non ſia , nè cerchio , nè
triangolo , nè altra ſimile ? Intanto la concepiſce la figura in genere , in
quanto la mente non s' applica , che ai limiti che circonſcrivono lo ſpazio ,
fen za far attenzione rifeffa , nè al modo , nè al numero , nè al fito dei
limiti ſtelli . Spiegherd la coſa con un eſempio più fa cile . Egli è
impoſſibile che io concepiſca un triangolo ſenza rappreſentarmi che egli fia ,
o Equilatero , o Iſollele , Sca leno ; altro è poi , che nel rappreſentarmi uno
di queſti crian goli io non faccia determinata attenzione alle ſpecie dei tre
lati . Noi non intendiamo le cofe , dice San Tommaſo , ſe non cona vertendoſi
a' fantasmi loro . Ora a qual fantasma è anneſſa l' idea della figura ?
Confuſamente a tutte le figure ; ma io non ne , con ( 01 ) conſidero
diſtintamente alcuna , e ſolo attendo a ciò in cui cut te convengono , ed è d'
eſſere uno ſpazio circonſcritto ; ma ſe nel concepire l' idee de' generi delle
coſe matematiche v'è canta dif ficoltà ammettendo l' idee ſeparate , quale ve
ne ſarà nell'idee metafiſiche ? Nell'ipoteſi Pitagorica ſi dovranno aſſegnar
idee del poflibile , dell'ente , dell'atto , della potenza , della cagione ,
del principio , del modo , dell'attributo , del terminato , è dell '
indeterminato , del neceſſario , del contingente', del perfetto dell'imperfetto
ec. nè ſolo di queſte coſe , ma del prima , del dopo , dell'inſieme , del
ſeparato , e finalmente del genere in quanto genere, e della ſpecie in quanto
ſpecie : coſe tuote af furdiffime nè abbaſtanza eſaminate da coloro che
preteſero che noi vediamo le coſe in Dio , perchè ad ognuna di queſte coſe non
men che all'eſtenſione , ed al numero dovrebbe aſſegnarſi un'idea , Ariſtotele
con gran ragione v'aggiunſe, che neli ipo teſi dell' idee ſeparate, oltre
l'idee de relativi converrebbe am mettere l'idee delle negazioni , e delle
privazioni , o degli op pofti , cioè dei contraddittori dei contrarj ec. 9. 13.
Dace l'idee , data la loro participazione, ed eſcluſa la compa razione
a'ſenſibili, ricerca Parmenide fe debbonſi annoverare l'idee tra gli enti
relativi; od aſfoluti . Vi fono delle coſe, di cui tutta l'eſſenza conſiſte nel
riferir fi all'altre, e queſte ſono relative , ( 8. 8.) é ve ne ſon altre di
cui l'eſſenza conliſte nella non ripugnanza dei predicari , che le
coſtituiſcono , e queſte ſon le affolute ; Poichè tutto l'efferé de’ relativi è
nel loro confronto , ( 5.8 . ) includono effi neceffaria. mente due termini tra
loro oppoſti, il fondamento dei quali fo no le coſe affolute , che tra loro fi
comparano ; quindi il fonda mento del relativo è sempre l' aſſoluto . Un Uomo
fuffifte per sè , e ſe foſſe ſolo nel mondo , non farebbe nè Padrone , nè ſer-'
vo , ma ſuppoſto che viva in una ſocietà , può eſſer l'uno , e l' altro, in
guila però che non è ſervo in quanto Padrone, nè Pa drone in quanto ſervo , ma
come Padrone ſi riferiſce a coloro cui comanda , come ſervo a coloro cui
ubbidiſce, e l'uno , e l' altro gli accade in quanto è Uomo , ed a diverſi
Uomini li ri . feriſce. Poichè dunque l'idee fi riferiſcono ai fimili che le
par tecipano , biſogna che ſieno in ſe ſteſſe e parimenti perchè i ſimili che
partecipano l'idee fi poffano riferir all’ idee, convie ne che fieno in ſe
ſteſi. Biſogna in una parola , che l'idee, e le coſe che le partecipano abbiano
un' eſſenza determinata . Con clude ( 62 ) 1 clude quindi Parmenide, che l'idee
hanno tra loro, un ' eſſenza , ma che queſta non è un eſſenza tutta: relativa
alle coſe che ſo no appreſſo di noi, o pure le coſe fi nominano ſimiglianze , o
in altramaniera di cui facendoſi partecipi , noi la nominiamo con , qualunque
di eſſe. ; . aggiunge parimenti, che le coſe che ſono in noi, non hanno la
virtù ſua d'eſiſtere in verſo l' idee , ma fono quel che ſono relativamente a
ſe ſteſſe . Parmenide quin di chiama le cofe. che ſono in . noi ,, e: in torno
a noi: equivoche: all' idee .. Cagione equivoca: degli animali , delle piante ,
de metalli ec. diſero Ariſtocele , e gli Scolaſtici il Sole , perchè ſebben
concorra alla loro generazione, non conviene con loro , 0 non gli aſſomi glia
che nell'eſſere . Parmenide parlando ad bominem par che allu da all' opinione
di Socrate , il quale nell' ammecter l' idee , come cagioni delle coſe , era
sforzato ad ammetterle come cagioni equivoche ,, non potendo ammetterle, come
cagioni eſemplari, il che: Ariſtotele così : dimoſtrò :-ſe quando l'Uomo fi
genera da Socra te, eglis'alfomiglia all'idea , e non a Socrate , fi potrà
generar: { mile all'idea , liavi o non ſiavi Socrate ;; ma ľ Uomo generandofia
non s'aſſomiglia all'idea , ma a Socrate , come è manifeſto dall' eſperienza ;
dunque Socrate , e non l'idea è l'eſemplare del generato: Poſto dunque che l'
idee : influifcano nella generazion delle coſe, convien ſempre porle , come
cagioni equivoche ; : ma da: chi Ariſtotile traffe cal idea , ſe non da Placone
? ' Or fe: l'idee non hanno relazioni alle coſe , o ſono diloro ca gioni
equivoche, come poſſiamo conoſcerle? Se le piante , de pie tre ragionaſſero , .
potrebbono mairappreſentarli ( rimirando ſe fteſ . ' fe , . ), che il Sole
foſſe loro: tanto diſſimile ? che ebbe . tanta parte nella loro generazione .
Le noſtre idee non ſono cagioniequivoche delle coſe , le quali noi produciamo
affilandoſi ſul loro modello . Un Architeto uno Scultore, un Pitcore fanno la
caſa , la ſtatua , . , l'immagine ſecondo l'idea che ne hanno formata , e
perciò comparano l'effet to all' idea per miſurarla ,, e perfezionarla ; ,
nella combinazione dell'idée chiare , . e diſtinte conſiſtendo la ſcienza ,
l'oggetto del la noſtra ha ſempre proporzione all'idee che d'effo formiamo ;..
ma ſe l .idee : ſeparate come cagioni equivoche non hanno alcu na proporzione
con le coſe che vediamo , non par poffibile di : riconoſcerle , e in
conſeguenza aver- Scienza di loro . Delle co fe quindi rivelate , non abbiamo
ſcienza ma fede; ſono certe , € infallibili , ma non a noi: chiare e diftinte
.. g . 145. ( 63 ) S. 14 . Platone nel Filebo ſtabiliſce due generi di coſe;
altre non 'han no avuto origine , nè finiranno giammai , perchè ſono immutabi
li , e fempiterne ; altre non ſono perchè ſempre 'fi fanno ſono a generazione,
& corruzzione ſoggette : À queſti due ge neri di coſe , ' fa corriſponder
due generi di cognizione ; delle coſe immutabili , ed eterne ſi ha ſcienza ,
dell' altre non ſi ha che opinione. Le coſe di cui s' ha ſcienza ſono l'idee ,
perchè ſono ſempre nello ſteſſo ſtaro , nè ſi può ſapere ſe non ciò che è , ed
è ſempre nel medeſimo modo ; le coſe di cui s' ha opinione fono le coſe
ſenſibili, perchè continuamente fluendo , non ſono mai nello ſteſ fo ſtato .
Come dunque Placone nel Tilebo , dà fcienza dell'idee , e nel Parmenide non la
dà ? La riſpoſta generale è , che da cid che ſi dice in un Dialogo ,nulla deve
inferirſi relativamente a cid che ſi dice nell'altro , perchè Platone non
ragiona ſecondo la ſua ſentenza , come nelle lettere per eſempio , ma ſecondo
le ſenten że altrui ; oltre a cid , Platone trattando nel Filebo della defini
zione della ſcienza egli è manifeſto , che tratta ſolo della ſua pof fibilità
relativamente all'oggetto ,ſenza poi procurarſi di cercare , ſe ſi dia o no
tale ſcienza negli Uomini , I Matematici definiſco no il cerchio , e il
triangolo in quanto è poffibile , nè fi curano ſe eſiſta o.no : quindi ben ' li
definiſce la Filolofia , la Scienza dei poffibili in quanto tali ; nel
Parmenide non della poſſibili tà , ma dell'attualità della ſcienza ſi tratta ,
e Parmenide mo ftra , che dandoſi l' idee ſeparate non poſſiamo aver 'ſcienza
di effe , perchè non hanno alcuna proporzione con noi , e con le coſe .noſtre .
5. 15 . Ammettendo con S. Agoſtino , e S. Tommaſo , cheIddio ab bia idee , e
molte idee , onde per eſſe conoſca i ſingolari , i fu turi , i contingenti, gli
infiniti, non perciò poſſiamo dire , che abbiamo ſcienza dell' idee di Dio , o
che poliamo conoſcere co me per queſt' ideeegli conoſca le coſe. Il
Malebranchio , ed il Poiret, che lo tentarono , caderono ſecondo la fraſe di
Socrate in ciancie ineſplicabili. 1 . 16 . ( 64 ) . S. '16. : s' inoltra
Parmenide: La ſcienza in sè conliderata è un'idea , come la bontà , la bellezza
ec. ma ſe queſt' idea della ſcienza , non ha alcuna proporzione alle ſcienze a
noi note, non poßia mo conoſcerla , poichè le ſcienze intanto a noi ſono note
in quanto verſano su noi , o su le coſe che ſono intorno a noi . Or non
conoſcendo l'idea della ſcienza in quanto tale , nè men poſſiamo conoſcere
ſcientificamente l'altre idee, perchè per aver ſcienza dell' altre idee convien
participar dell'idea della ſcien za , ciò che è impoflibile : Parmenide par qui
ſupporre che la noftra ſcienza paragonata all'idea della ſcienza ſia come il
zero all' infinito ma ſe noi non participiamo dell'idea del la ſcienza , come
potremo ſcientificamente , o chiaramente , e diſtintamente conoſcere il bello ,
l'oneſto , il giuſto , e l'altre idee ? Nulla a mio credere v'è di più acuto ,
e profondo che queſtº argomento , e quel d ' Ariſtotele non l'eguaglia , benchè
per altro concluda contro l'ipoteſi dell' idee ſeparate . Oſservò egli che lº
idee eſsendo immutabili per loro eſsenza , non ſi può per eſse ſpie gar il moto
, dalla cui cognizione dipende quella della natura ; dunque l' idee ſono
inutili alla ſcienza per cui furono introdotte . Coloro i quali amiſero con
Eraclito , che le coſe ſenſibili ſono in un continuo fluſso , ricorſero
all'idee ſeparate , le quali immutabili eſsendo , ſomminiſtravano a? Filoſofi
dei principj immutabili del loro ſiſtema ; la difficoltà è come i Filolofi le
conoſceſsero , ſe la lor mente , non nell' eſsere , ma nell operare dipende dagli
organi del corpo umano , ſoggetto alle vicende dell'altre coſe fenfibili ? f.
17 . All' argomento tolto dal principio di contraddizione del pro greſſo all'
infinito , Placone aggiunge l' altro tolto dalle perfer zioni Divine . Come il
retto è la miſura di ſe ſteſſo , e del cur vo , così il cumulo di tutte le
perfezioni che è in Dio ; ci ſer ve di miſura per giudicare, e delle perfezioni
di Dio ſteſso , e di quelle dell'altre coſe . Per via del principio di
contraddizio : ne del progreſso all'infinito ſi dimoſtra l'eſiſtenza di Dio , e
per via , o di negazione , o di eminenza , o di caſualità , fi di moſtrano le
infinite perfezioni di lui , onde ſe a qualche data ipoteſi conſegua
l'annullazione di qualche perfezione divina , l'al ſur ( 65 ) ſurdo è maſſimo,
perchè Dio nell' effer principio dell'eſiſtenza, è ancora principio di tale
eſiſtenza , e nulla può eſiſtere ſe ri pugna alla natura Divina . Socrate non
potea non conoſcer Dio comeprincipio intelli gente , dunque era neceſſario ,
che gli attribuiffè l' idee non me no convenevoli all'intelletto , che i tre
lati ad un triangolo ; pur tace Socrate , quando Parmenide gli prova , che la
perfec tiſſima ſcienza o P idea della ſcienza convenendo a Dio , egli per
queſt' idea non poteva conoſcer le coſe , ciò che era con trario alla divina
natura . Par dunque che Socrate ſupponeſſe l' idee ſeparate , ma dall'altra
parte Ariſtocele dice chiaramen te , che Socrate noo ammetteva l' idee ſeparate
ſe ben deffe gli univerſali . Non ſi ſoddisfarebbe in parte alla difficoltà ,
di cendoli che Platone , per bocca di Socrate , parlò dell' idee in fenfo
poetico , per aver occaſione d'annullarle, e propor la doc trina che ha da lui
copiato Ariſtotele , e della quale poi ſi ſervì contro que' diſcepoli di
Platone , che realizzarono l' idee ſeparate . . 18. Annullate l' idee ſeparate
, la voce idea nel progreſo del Dia logo , tutta fi riſtringe all' idee , che
la mente aftrae comparan do le coſe . S'è già accennato ( $ . 8.) il modo, con
cui deduſ fe Parmenide l'idea della grandezza , e de' ſimili , e li vedrà
inoltrandoſi , che egli parlando dell' uno e dell'ente, proteſta di ſeparar le
coſe con l'intelligenza , e con queſta fino sbra narle', che è quanto dire,
diſtinguer i concetti o l' idee , ſecon do i rapporti delle coſe, foſſero
ancora quefte ſempliciffime ; nulla v'è di più ſemplice dell'anima per ſua
natura indiviſibi le , e pur in eſſa ſi diſtinguono varie potenze , ſecondo le
rela zioni , che ai varj organi del corpo ella ha operando , onde fi dice che
ella ſente , ë che ella immagina . Nella parte ancora intellettiva , ſi
diſtinguono le facoltà che ella ha di comparare , e di aſtrarre , e di
combinare e di , e di contemplare l' idee', onde ella dichiaraſi mente , e
ingelletto, ( c ) voci non altrimenti fi nonime, poichè le loro etimologie di
confrontano ai varj uffizj dell'anima ; tutte quindi le ſcienze ſono ſu l'
aſtrazioni fonda te . La fiſica aftrae dalle coſe ſingolari, la matematica
dalle ſen Tom . 11. i (a) Mens è detta a menfura , poichè l' anima compara , e
miſura le coſe , Intellectus da intus legere , poichè intendendo ſcieglie , e
deduce una cola da un' altra . fibili , ( 06 ) fibili , la metafiſica da ogni
materia . Vuole il Patrizio , che come in una gran parte del Sofifta , čosi in
tutto il Parmeni de non ſi tratti che di quella metafiſica , che Ariſtotele
colſe da Placone , e di cui le prime idee ne diedero i Pitcagorici , e tra gli
altri, Archira e Peritione; io v'aggiungo che la me cafifica avendo due parti ,
cioè l' ontologia , o la ſcienza , che tratta delle proprietà dell'ente , in
quanto ente , e la Teolo gia naturale o la ſcienza , che tratta delle ſoſtanze
ſeparate dal la materia , come Dio e l'anima , Parmenide ſi riſtringe in que
ſto trattato all' ontologia , e manifefte ne faranno nel progreſo ſo le prove ;
baſta accennar qui , che dovendofi dar un elem pio del modo con cui s
acquiſtano l ' idee , ſcieglie Parmenide l'idea dell'uno , applicando ad efla
il metodo delle fuppoſizio ni . Due coſe aggiunge alluſive all'analiſi , ed
alla ſinteſi . La prima che ufficio e d' uomo ingegnoſo il poter apprendere ,
come ſi ritrovi il genere di qualunque coſa , ciò che ſi fa cominciando
dall'analiſi , o dall'eſame delle coſe particolari , e per l'aſtra zione ,
elevandoſi agli univerſali ; la ſeconda , che ufficio è di uomo meraviglioſo
inſegnar agli altri le coſe ritrovate , ciò che ſi fa per la ſinteſi ,
combinando l'idee generali, e quindi le lo ro combinazioni, da cui ſi deducono
i problemi , e i teoremi , ed indi i corollari , e le annotazioni. Sommo acume
di men te fi ricerca nel far le opportune aſtrazioni , e di nuovo da .quefte
aftrarne altre, ſin che ” analiſi propoſta ſi riduca all' ul time idee , e
ſomma fodezza , ritrovare l'idee , concatenarle in guifa che alcri con facilità
, e prontezza le intendano, e l'uno , è l'altro dimoſtra Parmenide , o col luo
nome Placone. SEZIONE SECONDA . Se l'uno che ne ſegua . b . I. Vuol Uole il
Ficino , che queſta prima fuppoſizione debba inten derſi . Se l' uno , perchè
il verbo è , o ſia la copula del predicato o del ſoggetto v'è pofta , non in
grazia della coſa , ma dell' orazione . Nel legger la nota marginale del Ficino
mi ricordai, che Licofrone ( a ) invecedi dire , il parete è bianco , di ceva
il parete bianco , ed altri il parete biancheggia , quaſi che Platone non riprovaſſe
nel Sofiſta l' orazion ſenza verbi , o che (a ) Ariſt. 1. Phil. 9 ( 07 ) che i
verbi non foſſero ſtati inventati per compendiare i gius dizi ! Non è forſe lo
ſteſſo il dire , io amo , che io ſono aman te é io biancheggio , che io fono
biancheggiante ? La fuppofi zione dunque, je l' uno equivale all' orazione
condizionata , ed implicità fé uno , nè così la propone Parmenide , ſe non per
intimarci, che a null' altro fi deve badare nell'ipoteſi , che all uno preſo in
un concetto aſtrattiflimo. Nella Geometria ſinteticamente ſi comincia dal punto
prin cipio della linea ; nell'aritmetica, dall'uno principio del nume ro ; e
nell' ontologia dall' uno traſcendentale , che conviene ad ogni noftra idea .
Eſclude tutte le relazioni , perchè riferendofi l'uno per eſempio ad A , B , C
ec. non è più uno , ma molti , in quanto in lui fi conſiderano le diverſe
faccie che ſi riferi ſcono ai molti . Parmenide in queſta prima ipoteſi eſclude
dall' uno cutte le relazioni, cioè quelle dell'ente in genere , e l'alore dell'ente
in fpecie . Relazioni dell'ente in genere ſono l'identicà , e la di verſità ,
perchè non competono meno alla ſoſtanza , che alla quantità , qualità , ed agli
altri predicamenti. Relazioni dell'en te in fpecie ſono , la limiglianza , la
diſſimiglianza , Peguaglian za , l'ineguaglianza , l'antichità , la novità eco
perchè competo no o alle fole qualità , o alle ſole quantità ec. * l une e
l'altre intanto ſi dicono relazioni , in quanto non conſiderano le coſe in ſe
ſtelle , ma relativamente tra loro : il diffimile , l'eguale ec. non li
concepiſcono ſenza i due termini , che tra loro fi paragonano . Se l' uno in
quanto tale non può compararſi ad alcuna coſa , biſogna eſcluder da lui tutte
queſte relazioni , tan to più ſe nelle coſe riferite s'includono i molti.
Parmenide comincia dall'eſcluſione delle relazioni più facili a conofcere', che
ſono quelle della quantità ; paſſa alle relazioni della qualità , e ad alcre ,
e finalmente all'eſſenza ; nè di ciò con tento efclude le relazioni, che l'uno
può aver all'opinione , al la ſcienza , é lino al nome. Se l'uno in queſto
concetto aftrat tiſſimo fi nominalle , avendo ogni nome relazione al ſenſo , al
la fantalia , od alla mente , e quindi a tutti gli uomini, che lo pronunziano o
l'odono, l'uno con l'aggiunta di queſte relazio ni ſarebbe molti . Si ſente più
che non s'eſprimequeſt' ultimo grado , ed abbiamo grande obbligazione a Platone
, che in que Ro Dialogo , nel rappreſentarci la dottrina della fetta Eleatica ,
ci ha moſtrato l'uſo opportuno delle aſtrazioni. Egli di conten ta di non
moltiplicarla , che fino ad un certo grado , a fine che l'idea coll' altrarla
tanto non s'inlanguidifca , è sfumi; onde al fine la mente non poſſa più
ravviſarla in quella guiſa , che i 2 l'im 708 ) l'immagine d'un oggetto riflettuta
da uno ſpecchio ſucceflivamen te in molti altri , al fin diviene si ombratile ,
che ſvaniſce da. gli occhi . Frattanto era neceſſario dimoſtrare in un ſoggetto
aſtrattiſſimo per sè , l'uſo dell'ultime aſtrazioni che può far la mente , non
eſſendovi altro modo di accennare , come in ogni quiſtione s'arrivi a quell'
ultima idea , in cui conviene che vi ci ripoſi , anco malgrado l'impeto innato
, che inevitabilmente ci porta a ſempre più nelle cognizioni inoltrarci.
Nell'inveſtigazione poi dell' idea vaga Parmenide per tutti i generi , come era
in uſo nell'antica Dialetica, e fatta la ſuppoſizio ne determinata per via di
comparazioni, ed eſcluſioni, egli ricava il punto preciſo della quiſtione
propoſta. Con la chiarezza maggio re che io poſſa , procurerò deſprimer
diſtintamente tutti i gra di tallor dell'analiſi, e callor della ſinteſi
Parmenidea . Nel trat çar l'altra quiſtione meconvenne ſeguire le
interrogazioni, e le riſpoſte degli Interlocutori ma quà folo Parmenide parla ;
onde bafta ſolo ſeguendo l'ordine del Dialogo premetter le.co. ſe neceſſarie ,
eſtrar la propoſizione, e dimoſtrarla fe fi può cal metodo de' Geometri . L'
uno non è molti . Abbiamo quanto baſta illuſtrata queſta definizione ; qui fo
lo avverto , che come il Wolfio , dopo d'aver definito , che l'en te ſemplice è
cid che non ha parti , da queſta definizione ne gativa egli deduſſe, che l'ente
ſemplice non è ſteſo, non è diviſibi le , ſenza figura , ſenza grandezza, che
non riempie ſpazio , che non ha moto inteſtino ec. Così Platone , da ciò che è
l ' uno , dimoſtra le fteſſe coſe , e molt'altre che andremo partitamente,
conſiderando , e deducendo dalle nozioni preme{le . g . 3 . 11 Wolfio defini il
tutto ciò che è lo ſteſſo con molti ; per abbracciar in una definizione non
ſolo il tutto integrale , che chiamaſi totum , ma ancora il potenziale che
chiamali omne. Lo ſteſſo , come ſi vedrà fra poco , conviene non meno alle
quantia tà , che alle qualità , ed alle ſoſtanze , e l'idea di molti è più
univerſale , che quella delle parti , convenendo i molti e agli enti ſemplici,
ed a' compoſti come a' quantitativi . Parmenide non definiſce qui , che il
tutto integrale , raccogliendo inſieme le 1 ( 69 ) le parti , e limitandole in
uno, a cui niente manca , ed è per fua natura indiviſibile; la nozione di molti
è quindipiù aftratta della nozion delle parti , e in queſto ſenſo Ariſtotele
diffe , che il tutto è prima delle parti, e non le parti del tutto , il che ,
ſe ſi crede al Patrizio , tolfe da Ippodamo Turio . ( a ) §. 4. L'uno non è nè
tutto , nè parte di sè . Se l'uno è tutto non vi manca alcuna parte , ( $. 3. )
dunque ha parti ; dunque è molti contro la definizione dell' uno ( $. 2. ) Se
l'uno è parte di sè , è un tutto riſpetto a sè , ma non pud eſser un tutto ,
come ſi dimoſtrò; dunque non è parte disè. COROLLARIO . L'uno non effendo nè
tutto , né ſteſo , od è indiviſibile , o è ſemplice. parte , non è 8. S. Ogni
cutto ha principio , mezzo , e fine . Cid vuol dire , che propoſtoſi un turco
nel numerarne le parti fi comincia da quella che chiamaſi prima , e li
progrediſce all' ultima paſſando per le intermedie . §. 6. L'uno non ha
principio , nè mezzo , nè fine. ol, Se l'aveſse ſarebbe un tutto ( $ . 5. ) il
che è impoſſibile ( 8.4. ) Α Ν Ν Ο Τ Α Ζ Ι Ο Ν Ε . Speſre volte inſegnò
Ariſtotele, che l'infinito è ſenza principio, ſenza fine ; offerva il Patrizio,
che lo preſe dal Parmenide, ove ſi dice , che l'infinito ( o piuttoſto come io
crederei l'indefinito ) non ha ne principio , nè fine, cioè non ſi sa in eſſo ,
nè dove comin , ciar la numerazione , ne dove terminarla . In queſto ſenſo una
li nea non è propriamente infinita , o indefinita , le comincia da un punto ,
nè una ſuperficie, nè un corpo , ſe la ſuperficie comincia da una linea , e il
corpo daunaſuperficie. A queſti infiniti måtema rici , che cominciano da un
termine , non compere la definizione, che Platone aſſegna dell'infinito , da
cui eſclude il principio , ed il fine . ( a ) Diſcuſ. perip. T. 2. p. 280. ܐ S. 2 : ( 70 ) S. 7. L ' uno è infinito .
L'uno non ha principio, nè fine ( S. 6. ) Dunque è infinito . ( An. Si 6: ) 9.
8 . La figura è una parte dello ſpazio , o dell'eſtenſione circonſcrit ca da
cerci limiti , o è retta come il quadrato , il cubo ec. o ro tonda , come il
cerchio , la sfera , Pelifli , l'eliffoide ec. o miſta dell'uno , e dell'altro
. Il principio della figura è dove i moder ni pongono il vertice , il fine dove
pongono la baſe" , il mez zodove la figura fi divide per mecà . 8. 9 .
L'uno non ha figura . Ogni figura, o recta , o rotonda ha principio , mezzo , o
fine ( 8. 8. ) ma l'uno non ha principio , nè mezzo , nè fine. ( $ . 6. )
Dunque non ha figura. COROLLAR10. L'uno è infigurabile. $. 10. Non lo può
concepire' , che una coſa ſia in ſè ſteſſa ſenza il di 1 ſtinguere con la mente
, che ella è comprendente e compreſa , cid che è concepirla due volte , o di
uno far due . Non ſi può conce pire , che una coſa ſia in altrui , ſenza che
ella ſia toccata in mol te parti. Il luogo abbraccia , o comprende la coſa in
lui colloca ta · Eſer in alcrui , od effer in ſe ſtello ,, ſono due oppoſti
ſenza. mezzo , come il moto , e la quiete . So IT . L'uno non è in luogo. O
ſarebbe in sé , o in altrui ; ( $. 10. ) ſe in sè , egli ſarebbe a sè il ſuo
luogo , onde abbracciando ſe ſteſſo ſarebbe nel tempo fteflo , e comprendente ,
e compreſo , cioè l' uno ſarebbe due co ſe o molti contro la definizione ( $.
2.) ſe foſſe in altrui, fareb be 1 1 1 1 ( 71 ) be toccato in molte parti, onde
avrebbe molte parti contro la definizione. ( §. 2. COROL. L'unonon è
circonſcritto da alcuna coſa , terra , Cielo , materia , ſpazio ec. ANNOT.
Daqueſto argomento lice inferire , che Parmenide cob ſidera qui l'uno , in
quanto è dalla mente aſtratto da corpi , che ſono in luogo ; s'è già oſſervato
, che l'ontologia degli anti chi era fondata su l' idee aftratce dalla materia
, dalla forma, dal compoſto, dagli accidenti ; onde queſt'uno aſtratto da corpi
, e da loro dipendente non ha alcuna relazione a Dio , ch'è un ente per sè , in
sè , infinito cc. . 12. Il moto alla ſoſtanza , ſecondo Ariſtotele , è quando una
coſa , per eſempio una parte di terra ceſſa d'eſfer terra , e comincia ad eſſer
pianta . Il moto alla quantità è quando una coſa , per eſempio un fanciullo
creſce nella ſtatura , ed un vecchio decreſce . Il moto alla qualità è quando
per eſempio la carne d unUomo fredda , dura , ed aſpra , li fa da sè calda ,
molle , liſcia . Preten deva Ariſtotele, che queſti tre moti dipendendo dalla
forza in crinſeca , che facea cangiare alle coſe la ſoſtanza, e gli acciden ti
loro , li diſtingueſſero dal moto locale , nel qual altro non ſi con ſidera ,
che il paſſaggio da un luogo all' altro : Parmenide , o Pla tone, benchè parli
del moto di generazione, e d'alterazione, par ſolo far attenzione, ſecondo
l'ulo de'moderni, all'accoppiamento delle parti , e quindi all aumento delle
qualità , due coſe accom pagnate dal moto locale , o di traslazione. Lo
conſidera egli in linea retta , oin cerchio , nel qual moto una parte della
coſa & forma nel mezzo , e le altre parti fi rivolgono intorno al mezzo .
Vuol poi , che tutto ciò che ſi genera ſi faccia in qualche luogo ſecondo il
principio da lui in queſto Dialogo replicato più volte. Ciò che non è in alcun
luogo è nulla . Platone nel Teeteto dice per bocca di Socrate : Se dimoſtran
eli una ſpecie di moto , o due ſpecie , come a me pare , nondimeno io conſidero
che cid non ſolamente appaja a me folo , mo ancora tu ne fii partecipe,
acciocchè amendue parimenti patiamo qualunque coſa face cia meſtieri, ficchè mi
di , cbiami tu forſe moverſi , quando alcune coſa fe mute da luogo a luogo, e
nello steſo ſi raccoglie ? Teodoro glie lo concede. Socrate ſoggiugne : Dunque
fiare una specie questa , ma quando fermandoſi alcuna coſa nello ſteffo luogo
s'invecchia , o di bian , ca fi fa nera , o dara dimolle , e ſi altera da certa
altra alterazione, son chiameremo noi meritamente queſt' altra ſpecie di
movimenti ? ... Ora dico che fieno due le ſpecie del movimento cioè alterazione
, la ( 72 ) la circonferenza. Egli dice circonferenza in luogo di traslazione
in cerchio , per moſtrar che nel pieno ogni coſa va in giro. , Conſidera poi
quì , che nel farſi una coſa vi la un accoppia mento , nel qual prima una parte
fi congiunga a quella che li fa , mentre l'altra parte , che ſi deve aggiungere
, è ancora fuori della coſa . 1 $. 13. L'uno non ha moto di alterazione , nè di
generazione . Non di alterazione , perchè ſe ſi altera non è più uno , ac
quiſtando nuove qualità ; ſe fi genera non è più uno, acquiſtan do nuove parti
. Or nuove qualità , e nuove parti fanno molti ; dunque ſe l' uno o fi altera ,
o fi genera , è molti contro la de finizione . IN ALTRO MODO. Una coſa non può
generarſi o farſi che in un' altra , perchè tutto ciò che è , o fi fa, è in
qualche luogo , ma ſe l'uno non può effer in un altro ( S. 11. ) nè meno può
farſi in eſſo . In ol tre ſe una coſa ſi fa in un altro , non ancora ella è ſe
ſi fa . Or quando una coſa ſi fa, una parte è in lei , e una fuori di lei ,
perchè le parti fi vanno ſucceſſivamente aggiungendo , ma l'uno non avendo
parti ( 5. 4. ) nè può eſſer nè tutto te in sè , nè tutto , nè parte fuori di
sè . Dunque non può ge nerarſi . Corol. L' uno non è generabile , nè alterabile
, nè par § . 14. L'uno non ha il moto di traslazione . L'uno non è in luogo (
5. 11. ) ma la traslazione in linea ret . ta è una mutazione ſucceſſiva del
luogo . Dunque l ' uno non eſſendo in luogo ( $ . 11. ) non può mutar il luogo
, ſecondo la linea retta , ma nè meno pud mutarlo , ſecondo la linea circo
lare, perchè deve raggirar nel mezzo , e tener fiffe le parti che fi rivolgono
intorno al mezzo ; ma l'uno non ha nè mezzo , né parte , dunque non può
rivolgerſi in cerchio'( . 13. ) Dunque le alluno non conviene nè l'uno , nè
l'altro , non gli conviene il moto di traslazione . Q. 15 . 1 1 . 1 ( 73 ) g.
isi Come ſi concepiſce il moto , nel concepire la traslazione fuc ceffiva del
mobile , o ſia il rapporto continuamente vario della diſtanza del mobile a '
corpi contigui, così fi concepiſce la quie te nel concepir il rapporto coſtante
di diſtanza a ' corpi conti gui ; quindi nel moto, il corpo va ſucceſſivamente
occupan do diverſe parti dello ſpazio , e nella quiece occupa le ſteſſe par ti
dello ſpazio . $. 16 . Luno non è nè in quiete , nè in moto . L'uno non è in sè
, nè in altrui ( 9.11 . ) ma ciò che è in quiete , è ſempre nello ſteſſo , ciò
che li move è ſempre in al trui . Dunque ſe l'uno non è in ſe ſteſſo , nè in
altrui, non ſi ripoſa , nè ſi muove . $ 17 Platone ha ſin ora conſiderato l'
uno per eſcluder da lui la ragion di tutto , di parte , di principio, di fine ,
di mezzo , di figura , di luogo , di moto , cioè per eſcluder dall' uno tutte
le relazioni che appartengono alla quantità, come la più nota , e più facile.
Senofane pur provava, che l' uno era infinito , im mobile , non ſi trasfigurava
nella poſizione, non s'alterava nel la forma, non fi milchiava con alcri. Non è
egli molto veri ſimile , che egli ne arecaffe le ſteſſe ragioni , che poi
Parmeni de più fteſe , ed affottiglid ? Paſſa Parmenide ad eſcluder dall' uno
le relazioni dell'ente che appartengono alla qualicà , di cui le prime ſono
l'identità e la diverſità . Non premette Parmenide alcuna definizione dello
ſteſſo , e del diverſo ; come fece del tutto ; dai Pittagorici ( a ) impard ,
al dir del Patrizio , che l'identità , e la diverſità non devono conſiderar fi
come paſſioni dell' ente , ma come generi ſecondarj , i di cui primi ſono il
moco e la quiere . Ariſtotele all'incontro riduce l' identità a una certa unità
, e dichiara che ella come la diverſità appartiene alla ſuſtanza , poichè
fteſse ſono quelle coſe che con vengono , o nella materia , o nella ſpecie , o
nel numero , o nel Tomo II. k gene ( a ) Diſcuſ. Perip. T. 2. p. 207. ( 74.),
genere di cui una è la ſoſtanza. Platone eſtende l'identità , e di verſità alle
qualità , e da lui impårarono i matematici a dire , che le ragioni o
proporzioni , che ſono le ſteſſe con una ſtella , ſo no le ſteſſe tra loro ; e
non ſi dice pur tutto giorno lo lteſto grado di calore , di lume ec. e.
parimente ragioni diverſe , di verſo grado di calore , di lume ec. Dunque non
alla ſola fo ftanza , ma alla quantità , alla qualità , ed agli altri
predicamen ti apparciene lo ſtello , e il diverſo . Inliftendo il Wolfio su le
nozioni ſcolaſtiche , dà il criterio per diſtinguere lo ſteſſo dal diverſo .
Quelle coſe , dice egli , fou no le stelle che ſi poſſono ſoftituire.
ſcambievolmente ſalvo qua lunque predicato , che loro aſſolutamente , ſotto
qualche con dizione convenga ; ſicchè fatta la fortituzione , la coſa reſta ta
le , come ſe non foſſe ſtata ſoftituita . Se in una bilancia , in cui ſang equilibrati
due peſi, in cambio di un peſo , d' una certa grandezza, io ne ſoſtituiſco un
alıro, in modo che l'equilibrio Loro non lia tolto , queſti due peſi, in quanto
peſi, nulla diſtin guendoli: ſi chiamano gli ſteſſi . Se nel peſo che è prima
nella bilancia , vi foſſe una certa figura , ed un certo colore , eun cer to
grado di calore , e di freddo , ed anche un certo odore , e tutto ciò appuntino
ſi ritrovalle nel peſo che ſi ſoſtituiſce , que fti due peſi non
diſtinguendoſi, e nel peſo , e nell' altre qualità li chiamano gli fteſi; Lo
ſteffo in numero è ciò che ſi afferma di ſe ſteſſo , o cui ripugna d'efiftere
due volte ; nel dirſi, queſto triangolo è que ſto triangoló , ' ſi predica lo
ſteſſo triangolo di ſe ſteſſo , onde convenendo la ſtella eliſtenza al ſoggetto
, e al predicato , egli è manifeſto , che il triangolo in quanto è nell' uno ,
e nell' altro non ha doppia eſiſtenza , mala ſteſſa, I diverſi poi ſono quelli
, che ſcambievolinente non poſſono ſoſtituirfi , falvo ogni predicato che all'
uno , o all' altro aſſo lacamente o condizionatamente convenga . Così nel caſo
della ſoſtituzione de' peſi della bilancia, ſe un peſo nel ſoſtituirſi all'
altro cangia d'equilibrio , il pelo ſofticuito è diverſo dal peſo , di cui
preſe la vece ; egli è diverlo in ragion di peſo , benchè per altro poteſſe
eller lo ſteſſo nella grandezza , nella figura nel calore , ed altre qualità .
Poſſono dunque le coſe eſſer le ftel ſe in un predicato , e diverfe negli altri
; quindi ſi può diſtin guer lo ſteſſo , e il diverlo in affoluto , e in
relativo ; ſono aſ loluti, ſe le coſe convengono in tutti i predicati, o
diſconven gono falva però la loro eliſtenza ; ſono relativi le convengono in
alcuni predicati, ma diſconvengono in altri . E'cid neceſſa rio di ben
avvertire, perchè in queſto Dialogo fi prende lo ſteſ 1 1 ſo, 1 ( 75 ) fo , e.
il diverſo in queſti due fenfi. Qul Parmenide perd pren de aſtrattamente la
coſa , perchè a lui baſta, che l'identità , e la diverficà fiano affezioni, o
generi delle coſe non preſe in sé , ma relativamente all'altre , baſtando
queſta fola relazione per eſclu derle dall' uno ; quindi può facilmente
dimoſtrarſi, che l'uno non è , nè a se , nd ad altrui lo ſteſſo , perchè nel
ſuo concerto aſtrat tiffimo efclude ogni comparazione ; ma Parmenide in alcro
modo lo dimoſtra , rappreſentandoſi alla mente per via d'una nozione
immaginaria , che l' uno prima è uno, e poi per forza della com parazione egli
è molti . Ciò ſi rende ſenſibile col diſegnar l'uno col ſimbolo aritmetico I ,
e poi aggiongendovi A , o qualche alera lettera , onde egli fia prima i , indi
1 + A. S. 78 L'uno non è lo ſteſſo , nè diverfo a sè , nè ad altri. Se l'uno
foſſe da fé ſteffo diverfo , ſoſtituendoſi l'uno per l'uno dove prima della
ſoſtituzione fi concepiva i , dopo della foftitu zione si concepirebbe 1 + A ,
dunque non più i contro l'ipoteſi. Se fia lo ſteſſo ad altrui egli farà quello
, cioè 1 + A non cið che è , od uno , il che di nuovo è contro l'ipoteſi . .
19. L'uno non è diverſo , nè da altrui , ne da ſe ſteſſo . L'uno convenendo con
tutte le coſe , perchè d'ogni coſa ſi dice , uno non è diverſo da effe , che in
virtù di qualche predicato ; dun que in quanto non è più uno ; dunque non può
eſſer diverſo dall' altre cofe . Non è la ſteſſa la natura dell' uno , e dello
ſteſfo , perchè quando una coſa li fa la ſteſſa ad aleuna non ſi fa uno ; il
colore di A per efempio ſia lo ſteſſo , che il colore di B , non perciò mai A è
B , perchè le due coſe colorite comparandoſi, benchè con vengano nel colore , e
in queſto fieno uno , non perd convengono nell ' çliſtenza , Se gli Itelli non
ſi conofcono , che per la Toſti tuzione, gli ftelli convengono bene
ne'predicati ; ma ſono fem pre due . Dunque quando una coſa ſi fa la ſteſſa con
l'altra , di due non ſi få uno , ſe non inquanto ſi concepiſce, che con vengono
, o nella quantità , o nella qualità ec. ma non perchè convengono non ſono due
; dunque o l' uno paragonato all' uno ſi fanno due , e cosi l'uno non è uno , o
reſtando uno non k 2 ſi può ( 70 ) la pudfar ſoſtituzione . Dunque non pud dirſi
, che l' uno fia lo ſteſſo a ſe ſteſſo . 20 . Parmenide paſſa a comparar l'uno
coi fimili , e diffimili. Aris ftorele dice , che i ſimili ſono quelli che
patiſcono lo ſteſſo , ei diffimili quei che pariſcono il diverſo ; de' primi
una è la qualità, dei ſecondi è diverſa la qualità ,onde egli ripone i ſimili,
e dilli mili ſotto l'identità , e diverſità , il che imparò da Platone nel
Filebo ( a ) e più facilmente dal Parmenide , ove Platone defini ſce il ſimile,
per ciò cui adiviene patir lo tego , il diffimile , ciò cui adiviene patir il
diverſo. Conſidera quì Parmenide le.qualità , come attributi o modi che ſi
ricevano nel ſoggetto , il quale nel riceverle in cerca guiſa paciſce; ſono
queſte nozioni immaginarie, come quella della ſoſtanza . Su queſte orme
Parmenidee , il Wol fio definiſce i fimili quelli , in cui le ſteſſe ſono le
coſe, per le qua li doverebbono diſcernerſi , onde ſecondo lui , la fimiglianza
è l' identità di quelle coſe per cui dovrebbono tra loro diftinguerli. Se in
due volti per eſempio io ritrovo nelle parti gli ſteſſi linea menti , ne'
lineamenti gli ſteſſi gradi de' colori ec. in fomma ſe io ritrovo , che le
ftelle fieno tutte quelle qualità, per cui dovereb bono diſtinguerſi, i due
volti ſono ſimili; diffimili all'incontro ſono quei volti , in cui diverſe ſi
ricrovano le coſe per cui tra lo ro fi diſtinguono , che vuol dire i lineamenti
delle parti, le figu la collocazione, le grandezze . Il Wolfio fi fece ſtrada
con que ſta definizione a definir i ſimili matematici , ben oſſervando , che le
loro proporzioni, benchè abbiano per fondamento ilquanto , fi riducono al quale
. re , S. 21. L' uno non è fimile nè diffimile ad alcuno , o a se , o ad
altrui. Simile a quello cui adivienelo feſto ( . 20. ) ma l' uno eſclu de lo
ſteſſo ( S. 18. ) Dunque efclude il ſimile. L’uno ſe riceve alcuna coſa fuor di
quello che è l' eſſer uno , pa tiſce d'eſſer più l'uno , perchè egli è l'uno ,
ed inſieme la coſa che pariſce , onde almeno egli è due o molti ; dunque non è
più uno ; dunque ſe l’uno non paciſce d'effer lo ſteſſo , o loco , o con altri
, non può eſſer a ſe ſteſſo , o ad alcri ſimile , ( a ) Patriz. Diſcuſ. perip.
p.202. Il ( 77 ) Il dillimile è quel che pariſce diverſità ( 5. 20. ) ma l'uno
non può parire diverſità , dunque non è , nè diverſo da lui, nèda altre coſe,
altrimenti non ſarebbe più uno ; dunque l'uno non è diſli mile , nè a ſe ſteſſo
, nè ad altrui . 1 l . 22 Concluſo che ha Parmenide non convenir all'uno , nè
l'iden: tità, nè la diverſità, nè la ſimiglianza , nè la diffimiglianza, paſ fa
a ricercare ſe gli convenga l'eguale o l'ineguale , due pro prietà delle
grandezze comparate P une all' altre ; l'eguale im murabilmente ſta nel mezzo ,
da cui l' ineguale allontanandoſi per ecceſſo ſi chiama maggiore, e per difetto
minore . L'egua le paragonato all'eguale ha le ſteſſe miſure , paragonato al
mag giore ha meno miſure, e ne ha più paragonato al minore. Ra gionando
Parmenide con Socrate ad bominem , fi ferve del ter mine di participare , che
non è allegorico , ove ſi tratta di par ti . Offervo che non miſurandoli,
ſecondo Platone, che con l'uni tà , e col numero, è manifeſto , che la miſura è
ſecondo lui quan tità ; pur gli attribuiſce lo ſteſso , e il diverſo. g. 23 .
L'uno non è , nè eguale , nè maggiore , nè minore . Non participando , nè dello
ſteſso , nè del diverſo , non parte cipa mai, o le ſteſse , o le diverſe miſure
, in conſeguenza non è nè eguale , nè maggiore , nè minore. 6. 24. Come ſi
miſurano le grandezze permanenti , così ancora ſi mi ſurano le ſucceſſive , le
quali paragonare l'une all' altre, compete loro lo ſteſso e il diverſo , cioè
il più, e il meno . Si dice che due Uomini hanno la ſteſsa età , quando è
miſurata per lo ſteſso nu mero di rivoluzioni ſolari, e che hanno maggiore o
minor età le ella ſia miſurata per maggiori o minori rivoluzioni ſolari .
L'antichità , la vetuftà , la novità ſono relazioni degli enti ſuc ceflivi per
rapporto alla loro eſiſtenza fucceffiva ; antico ſi dice quello che da lungo
intervallo di tempo e prima d'un altro ; nuo vo quel che ora è, e non fu che
già poco tempo prima d'un al tro ; il giovane , il vecchio , ſono propriamente
le differenze dell' età degli Uomini, mas'attribuiſcono per mecafora a curce le
coſe . 9.25 . ( 78 ) f. 25. L'uno non è più vecchio , più giovane di ſe ſteſso
, o dell' altre coſe . L ' uno non pud participare , oo delle ſteſse ,, o di
maggiori o minori miſure degli enti ſucceflivi, perchè non può partici pare
dello ſteſso , e del diverſo ; ma quel ch'è più vecchio , partecipa di maggiori
miſure, quel che è più giovine di minori , dunque ec. g. 26 . Per ben intendere
come uno nel farli più vecchio di fe fteſso o d'un altro ſi fa più giovane , mi
è neceſsario trasferire alcu ne nozioni della ſeconda ipoteſi , ed
aritmeticamente ſvilupparle . g . 27 6 3 5 4 Se il rapporto del maggiore al
minore crefca per l'aggiun ta agli antecedenti, e a' conſeguenti d'una
grandezza eguale , il rapporto ſempre decreſce . Sieno i numeri 1 , 2 , 3 , 4 ,
5 , 6 , 7 , i quali ſucceſſivamen te creſcono per l'aggiunta dell'unità ,
èmanifeſto che ( a ) > 4 $ Si prendano i quozienti o valori delle ragioni .
Il valore della ragione di = it ; il valore di = ito il valore di = i + . Or
tal eſsendo la ragione qual è il fuo valore ſe I +1/2 > it it ec. come è
mani 3 feſto fard > 5 ec. Or rappreſenti A C l' età d'un 3 fanciullo di 3
anni , e B D l'età d'un | fanciullo di due anni , s' aggiunga alla А С F prima
età un anno , ciod ad " A C. s'ag giunga CF , e alla ſeconda età B D SA D
G. aggiunga un altro anno o DG. Onde s' averà la ragione di } ; li vada
aggiungendo ſucceſſivamente alle due età un'anno, ed indi un'anno, e li
averanno le ragio ni di e di . Egli è manifeſto , che il fanciullo di tre anni
è più vecchio di quello di due, ma nel creſcere all'uno , e all' al > 3 4 Ā
1 B tro ( a ) Il ſegno è quello del maggiore , Il ſegno di < del minore . Il
ſegno è quello dell'eguale . ( 79 ) tro un' anno la ragione che ne riſulta di è
minore dell'altra ; molto minore è quella di , e molto più minore quella di
onde ſebben il primo fanciullo ſi faccia ſempre più vecchio dell'altro ,
contuttociò per l'accreſcimento dell'egual quantità ſi fa più gio vane
relativamente , perché dove nella prima ragione la differen za era nella
ſeconda è minore di 1 , e quindi , ſempre mi nore . Egli è vero dunque, che un
fanciullo nel farli' più vecchio d'un altro li fa ancora più giovane. Se non ſi
compari l'età di due fanciulli , ma ſi conſideri folo l' erà di uno , che
ſempre riſpetto a ſe ſteſso creſce di un'anno , egli è manifeſto , che per
queſto eguale accreſcimento , nel decreſcer ſempre le ragioni degli anni cra
loro comparati , lo ſteſso fanciul lo nel farſi più vecchio di ſe ſtefso , fi
fa ancora più giovane. Si vede quindi , che nel farſi il più vecchio dal più
giovane , fi fa cid dal diverſo , e che non è diverſo , ma'ſi fa . Corol. Lo
era , lo efser ſtato , il li faceva , ſignificano i modi del tempo paſsato ; il
ſi farà , il ſarà , e ſarà per farſi, i modi del fucuro o dell'inanzi ;
l'eſsere , il farſi, i modi del preſente. f. 28. L'uno non è in cempo . Se
l'uno fofse in tempo participerebbe delle miſure del tempo ; dunque or ſarebbe
più giovane, or più vecchio , ma queſto non pud eſsere , come s'è dimoſtrato (
9. 25. Dunque ec, IN ALTRO MODO. Quel che è in tempo nel farſi più vecchio , ſi
fa più giovane di ſe ſteſso , ( §. 27.) ma l'uno non può farſi più vecchio , nè
più gio vane di ſe ſteſso , perchè non può farſi , nè una cola , nè l'altra (
9.25. ) Dunque non è in tempo . Il più giovane che ſi fa dal più vecchio è
diverſo da lui , e non è ma ſi fa , ma l'uno non può ricever il diverſo ( § .
18. ) Dunque non può farli dal più vecchio il più giovane ; dunque non è in
tempo . Il più giovane non ſi fa dal più vecchio , nè in più lungo tem po , nè
in più breve di fe fteſso, ma ſempre nell'egual tempo con le ſteſso , o fia , o
ſia ſtato , o ſia per dover eſsere ; ( § . 27. ) mą l'uno non è ſuſcettibile
dell'eguale ( § . 23. ) Dunque nè meno dell' egual tempo ; dunque non avendo le
paſſioni del tempo non è in cempo . . 29. ( 80 ) S. 29. L'uno non partecipa ,
nè del preſente , ' nè del futuro nè del paſſato . L'uno non eſſendo in tempo
non può partecipare del tem po , ma le paſſioni del tempo ſono , il preſente ,
il paſſato , il futuro . ( $ . 27. ) Dunque non le partecipa . Corol. Se l'uno
non è partecipe di niun tempo , non fu mai , nè ſi faceva , nè era , nè ora è
fatto , nè fi fa , nè farà . 8. 30. Ogni ente , o ciò che è partecipe di
eſſenza , è , ſecondo Plato ne , o nel tempo preſente , o ſarà nel futuro , o
fu nel paſſato . Nel Timeo egli dice , che Dio per far il tempo fluente nel
numero , fece un'immagine dell'eternità . Dunque l'eternità fiſſa in ſe ſteſſa
non contiene, che il preſente , e ciò pur dicono i Teolo gi nel diffinirla con
Boezio , una poſſeſſione tutta inſieme di una vita interminabile . Negando
dunque Parmenide, che il pre ſente competa all' uno , gli nega l'eternità ,
onde è egli evidente che non parla di Dio , ma ſolo d'un ente di ragione, dal
quale per l' astrazion della mente eſclude tutto ciò che involve rela zione a
qualche coſa , ed anche a lui ſteſo. Dall' altra parte , qui Parmenide non
eſclude dall'uno , ſe non cid che appartie ne per lo più alle coſe corporee e
viſibili, il tutto , le parti , il luogo , l'eguale , il maggiore , il minore,
la generazione , la traslazione , le differenze del tempo ; e ciò che dice
dello ſteſ. fo , e del diverſo , del fimile , e del diflimile , che pur conven
gono alle coſe incorporee , lo ricava da ciò che ha negato ne' quanti. 1 . 31 .
L'uno non è , o non ha eſſenza . L'uno non partecipa del preſente , del paſſato
, del futuro ( 9.29. ) ma ciò che ha effenza partecipa dell'uno , o dell'altro
( $. 30. ) Dunque l'uno non ha eflenza . Annot. Dall'uno conſiderato
preciſamente come uno , cioè a dire oppoſto amolti , ſi debbe eſcludere , oltre
l'eſſenza attuale , an cor la poſſibile , perchè la poſſibilità come fonte, e
principio del, la ( 81 ) la realità porta ſeco qualche relazione a cid che
eſiſte , é dall' uno ogni relazione deve eſcluderſi.; molto più le relazioni
dell' uno all'ente , di ragione che chiamali intellettuale qual è il Lo-. gico
, il metafiſico , il matematico , e l'altre relazioni ancora ché aver poteſſe
all'ente immaginario ancor chimerico . . §. 32 . tra coſa Primafi concepiſce
la, non ripugnanza dei predicati delle co ſe , ed è l'eſſenza , e queſta non ſi
dice d'altre coſe , o d'al tre eſſenze , ma bensì o gli attributi , i modi , e
le relazioni fi dicono deſsa ; cal è la definizione logica , che Ariſtotele
diede della ſoſtanza , chiamandola ciò che non ſi predica d'al ma che tutte le
coſe ſi predicano d'eſsa . In que ſto ſenſo l'eſsenza nel ſuo concetto aſtratto
, non differiſce dal la foſtanza , che in quanto queſta ſi riferiſce a ſe
ſteſſa , ed agli aleri de' quali è ſoftegno , per il che ſi dice , che ella non
ha contrario , e non è capace di più, e di meno . Se l' uno non può predicarſi
dell'uno , o di le ſteſſo , per non radoppiarlo o farne due o molti , egli è
manifeſto , che non è ſoſtanza to più ſe fi conſidera col Wolfio , che nella
nozione della fo ſtanza, v'è qualche coſa d'immaginario, perchè ella fi rappre
ſenca alla fantaſią , come un valo od altra coſa , che in sè ri. ceve gli
accidenti . $. 33 L'uno non è ſoſtanza . L'uno non ha eſſenza . ( S. 31. )
Dunque non ha ſoſtanza ( $ . 32. ) ſ. 34. La ragione è propriamente quell'atto
della mente , che da una coſa n'inferiſce un' alera , od è ancora ſe ſi vuole
la con neſſione delle verità univerſali ; la ſcienza è la cognizione cer ta ,
ed evidente delle coſe, ed è tutta opera della ragione che deduce una coſa da
un' altra . Nell' attribuire una coſa ad un altra , ſe li ha qualche cimore ,
che ad efla ſi poſſa attribuire l'op poſto, ſi ha della coſa opinione. Col
ſenſo poi non ſi percepi Icono , che le coſe ſingolari , o determinate in ogni
parte , e quindi compoſte di molti . Da queſte definizioni e manifeſto chenegli
oggetti della ragione, della ſcienza, dell'opinione, del Tom . II. I fen ((82 )
. fénfo s } includono moki , çd - in oltre che ogni coſa , che .0.4 ſénte , o
su cui di ragiona fcientificamente , od opinabilmente , ha un' eſſenza attuale
o poflibile ; falfa o vera. 1 $. 356 Dell' uno non li ha ragione, ſcienza ,
opinione , ſenfo . Quefte coſe includono molti , e dipendono dall'ipoteſid' un
eſſenza ( §. 34. ) ma l' uno non ha eſenza ( S. 31. ) e non in olude molti
(.9.,2 . ) Dunque ec, g . 36 Non ſi dà nome ſe non alle coſe , della cui
eſſenza , o per ragione, o per opinione, o per ſcienza , o per ſenſo ſi ha un '
idea o chiara , od ofcura, o diſtinta , o , confula , o miſta di que Ite
differenze. S. 37 ... L'uno non ha nome. L'uno' non ha effetiza:( : 34:) Dunque
l'uno non ha nome. 1 §. 38. Ragruppando in poco ciò che ſin ora ſi è detto , ſi
può for mare tal fillogismo . Dal concetto aftrattiflimo dell' uno ſi de vono,
eſcluder i molti di qualunque genere effi fieno ; ma cid che appatriene alla
quantità , alla qualità ; alla refazione ec ? vi s'includono imolti ; dunque
devono queſti eſcluderſi dal.concet to aſtrattilfino dell'uno , . ] Se fi
diceffe , che così concludendo ſi confonde l'uno col nul la , manifeſto è
l'inganno , poichè la definizione del nulla è , che egli non abbia nozione
alcuna o poſitiva , o negativa , ciò che elclude dal nulla ogni realtà .
Quando'io dico all'incontro, l'uno non é molti, non tolgo a lui ogni realtà ,
benchè eſplicitámen te io non vi rifletta. Io ſto più immobilmente che poſſo
affil ſo su l'uno, in quanto s’oppone a molti , e in queſta conſide razione
preſcindo più che poſſo dal conſiderar l' uno , o per rap porto all'ente, o per
rapporto al mio penſiero ; noi poſſiamo, come accennai , più ſentire, che eſprimere
queſte preciſionimen tali , e momentanoe, ma 'non laſciamo di fentirte, e le
fencia ·mo ( 83 ) mo ſe poffiamo eſprimerle in qualche modo, e farle'
intendered agli altri ; nè per altro la fcola Eleacica; ed indi Placone le pro
poſe , che per addeſtrar la mente ad inveſtigar l'idee delle coſe. Era
necelfario fciegliere per eſempio quell' idea , in cui la pre ciſione arriva
all'ultimo grado , ove pofla mai giungere la men te umana. Non ſi conoſce mai
bene la natura', ' ed'i precetti della arte , che l'imita , fe non ned maffimo
. Io dimando al Lettore ; che legge attualmente il Parmenide di Platone, e lo
confronta col mio comentario , fè altro faccio in effo , che ſviluppare il
fenſo.ovvio det tefto : Abbia pur Pro clo , e gli altri Placonici , e Gentili ,
e Criſtiani confiderato queſto Dialogo , non come ontologico , ma come
Teologico , io ril pettando , e la dottrina , e l'autorità loro', dirò che la
mia Spiegazione ontologica non impediſce , che degli intelletti più fublimi del
mio , teologicamente non l'inalzino a coſe maggio ri , come fece il Cardinal
Befarione , applicando a queſto Dia logo la dotrrina del preceſo S. Dionigi
Areopagita . Si può ri leggere avendo preſente tútra l'intiera ſeſſione ,
quanto ivi diſ fi appoggiandomi alla dottrina di S. Tommaſo : Dio'è un en te
fingolariſfimo , e nell' applicarvi quel che conviene all' en te di ragione ;
biſogna ftar attenti che non ſi confonda l' uno ton l'altro ; la merafíſica
degli antichi è la ſteffa che la me tafifica dei moderni; mia nel riferir la prima
' alle coſe , queſte includevano Dio , che gli antichi non ſeparavano dalla
mate ria , che per preciſionedi mente, là dove la ſeconda conſiderando fe coſe
non ha a Dio , che un'analogia molco lontana, perchè fi diſtingue eſenzialmente
, é realmente dalle ſteſſe . SEZIONE TERZA. Se l'uno è , quali coſe adivengono
intorno ad eſſo . I. I. Nom On ſi ricerca ſe faecia meſtieri, che ſucceda- un
cert' uno , ma ſe vi ſia l'uno ; o pure ſoſtituendo la nozione imma ginaria ſe
l'uno partecipi l'eſfenza. Dall'ipoteſi così propoſta ne fiegue', che' l'uno
non è la pro : pria 'eflenza , o che l' effenzà, e l' uno non ſono gli ſteſi
con: cerci z chi dice elfenza , dice preciſamente la: non ripugnanza dei
predicati, e chi dice uno , dice 'non molti . ; Nel cratcat queſta:
ſuppoſizionë , Platone comincia a frami I 2 fchia ( 84 ) ſchiare all'
aſtrazioni le nozioni immaginarie più che di ſopra Queſto fa ſovente l'oſcurità
del teſto , perchè per intenderlo ci sforziamo toſto a concepire ciò , che non
è che un' imaginazione ed imaginazione tallora falſa , da cui li deduce una
contraddizio ne , nèſempre però vera , ma apparente , il che raddoppia l'ab
baglio , ſe non vi s'attende; manifeſteranno gli eſempi ciò che io dico , in
tanto mi ſia lecito di contraſegnare con due ſimboli diverſi , A , e B , i due
concettidell'ente, e dell'uno . Nel farne il compleſſo A + B io rappreſento un
tutto che ha due parti, che io tra loro ſeparo con la mente , per ragionarne
più diſtintamente fi 2. Se l'uno è , ogni parte di queſto tutto ( uno è:) può
dividerſi in infinite particelle . Si prenda la particella uno , e ſi
concepiſca come ſeparata per un momento dall'altra particella ence , poichè per
la fuppoſizio ne l'uno è , egli è manifeſto , che conſta di due particelle ,
uno ed ente . Di queſto nuovo compleffo ſi prenda la particella uno , e queſta
per la ſteſſa ragione ſi dividerà in due altre , ente ed uno , e così
all'infinito . Or ſi prenda l'altra particella ente, e poiché ogni ente è uno ,
ſi dividerà queſta particella in due altre, le quali di nuovo fi divideranno, e
così all'infinito ; dunque ogni particel. la del cutto uno è , ovvero è l'uno ,
ſi divide in infinite particel le all' infinito . Così può ſenſibilmente
rappreſentarſi . Ente uno А + B 1 Ente uno uno ente 2 a + 2b 2A + 2B ente uno
uno | ente 3A ente , uno uno | ente 46 4A 4B 3. a 36 3B 1 uno , Come A + B
rappreſenta il primo compleſſo immaginario della e dell'ente così 2a + 2b
rappreſenta il ſecondo com pleſſo immaginario dell'uno , e dell'ence dedotto
dall'ente , o da A , e parimenti 2A + 2B ſignifica il ſecondo compleſſo imma
ginario dell'uno , e dell'ente dedotto da B. ANNOT. Qui Platone fuppone darli
reciprocazione tra le due pror ( 85 ) propoſizioni l'uno è , è l'uno , nella
prima delle quali l' uno è il loggetro , cliente è l'attributo , e nella
ſeconda l'ente è il ſoggetto , e uno l'attributo. Perchè legitimamente ſia la
reciprocazione del le propoſizioni, biſogna che il ſoggetto ſia tanto ampio ,
quanto l'attributo , onde può reciprocarſi la propoſizione . Il triangolo è una
figura di tre lati; nell'altra ogni figura di tre lati è un trians golo , ma
non già ſi reciproca la propoſizione, ogni ternario è nu. mero , perchè non
ogni numero è ternario . Il non aver avvertita la legge della reciprocazione
fece cader in molti parallogismi tallora i Geometri. Corol. Poichè ogni ente è
uno , l'uno ſi moltiplicherà come l'ente , onde potrà dirſi, che l'uno è
infinito, o che l'uno è mol ti . Queſta è la prima contraddizione di queſt'
ipoteſi , ma è con traddizione immaginaria od apparente , perchè l'uno per sè
non è molti , ma è molti per accidente , cioè perchè gli accade di mol
tiplicarſi , ſecondo gli enti che lo partecipano , onde non predi candoſi
dell'uno nel tempo ſteſſo , e ſecondo lo ſteſſo, gli oppoſti, non ha in sè vera
contraddizione. g. 3 . Platone s'inoltra con le nozioni immaginarie .
Conſiderando l? uno , in quanto partecipe di eſsenza , lo prende ſecondo ſe
ſteſso con l'intelligenza , ſpartato da quello di cui diciamo che ſia par
tecipe , cioè dell'eſsenza . Ciò vuol dire , che dell'ente , e dell'uno Platone
fi fa quei due idoli caratterizzati per A , e per B. ANNOT. Nel dirli che li
prende l'uno coll'intelligenza ſpar; tato dall'ente , s'allude manifeſtamente
all'aſtrazioni della mente . $. 4. 1 L'eſsenza o l'ente , e l'uno ſono diverfi.
Alcro è l'eſsenza , ed altro l'uno ( : 32. Sez. 2.) Dunque uno in quanto
uno è dall'eſsenza diverſo , e l'eſsenza in quanto eſsenza è diverſa dall'ano ;
dunque l'uno , e l'eſsenza ſono diverſi ; Co sì può illuſtrarſi tale ragionamento.
L'ente o l'eſsenza in quanto eſsenza include la non ripugnan za dei predicati
coſtitutivi ; l'uno in quanto uno include l'oppo Gizione ai molti , ma queſti
due concetti tra loro non convengo no ; dunque ſono diverfi. 8. 5. ( 86 ) $ . s
. L'eſsenza , l'uno , e il diverſo fanno tre concetti o tre coſe trx loro
diverſe . S'è già dirnoftrato , che l'uno , el ente non termi nando lo ſteſso
concetto ſono diverſi tra loro , ma il diverſo non includendo nel ſuo concetto
, che la non convenienza , fa un concet to diverſo , ed in conſeguenza una coſa
diverſa dall' altre due ; dunque l'eſsenza , l'uno , il diverſo fanno tre coſe
diverſe. . 6 . Si rappreſenti l'uno per A , l'enre per B , e il diverſo per C
ne riſultano quindi. Le combi- FA B7 In ogni combi-7 Tre poi eſsendo le combina
nazioni di nazione vie zioni v'è ancora A , B ,CAC uno in due Erre volte uno?
in ogni com uno in due tre volte due E binazione В С! uno in due tre volte tre
Abbiamo dunque dedotto da A , B , C, o dall'ente , dall' uno e dal diverſo il
2.primo pari , il ' tre primo diſpari , dae volte 3 parimenti impari, 3 volce 3
imparimenti: impari. Sipuò an cora dedurre due volte due parimenti pari', e
queſte ſono tutte le ſpecie dei numeri . Combinandoſi il 2 il 3 due volte, tre
volte e fin quattro volte , ma non altre , ſi compongono tutti i numeri: fino
al dieci . It 3* 2 + 2 = 4 2 + 3 2 + 6 = 3 ti 3 2 + 2 + 37 2 + 1 + 2 + 2 = 3 +
3 + 2 3 + 3 + = te : 2 + 2 + 2 +19 1 + 2 + 2 + + 3 = I + 2 + 3 + 4 = 10 II 10 è
fatto dall'ı , e dal o , e ſignifica ', che il primo articolo dei numeri
termina alla prima decina ; fe ſucceſſivamente alla de cina ſi aggiunge l'i ,
il 2 , il 3. ec. ſi arriva alla ſeconda decina , e collo ftelso metodo alla
terza , alla quarta ec: fino al 100 , che è la decima decina da cui ſi va fino
a 1000 , o 10 volte 1oo ec. I Pita ( 87 ) I Pittagorici chiamavanol yno il
finito , come quello che li mitava l'infinito o l'indefinito ad una tal ſpecie
o forma : dot trina , dice nel Eilebo Platone , la quale diſcende dagli Dei ;
queſta è , the tutte le coſe tengono in loro fteſſe il termine, o l'infinito
innato ; o piuctoſto l ' indefinito . Lo rappreſentavano nella materia i
Pittagorici, e lo ſimboleggiavano nel 2 , o nel binario , poichè ogni coſa
ſteſa è divit bile in due e ognuna delle parti in altre due , ; e così
all'infinito . Quando a queſto infinito s'aggiungea luna , che vuol dir la
forza o la forma ſe ne faceva il compoſto che era l'altro principio , di cui
par la Platone; queſto compoſto dețerminato a una ſpecie dalla for ma componeva
un tutto , in cui vera principio , mezzo , e fi në . Lo diffegnavano i
Pictagorici per il 3 , e lo chiamavano numero perfecto , medio , e proporzione
; oſſervò S. Agoſtino che numerando fino al 3,, € rapportando prima il 2 all'1,
ed indi al tre nel comporſi la proporzione continua , aritmetica fi forma per
la replicazione del 2 il 4 , numero che immediata mente luccede al 3 , ciò che
non ſi ha negli altri numeri, per chè cominciando la proporzione aritmetica
dal.2 chi replica il 3 non fa il numero che immediatamente lo ſegue od il 5 ma
il 6 ; nel continuare la proporzione con queſto metodo i numeri riſultanti
ſempre più ſe n'allontanano . S. Agoſtino per ciò offerva co'.Pittagorici , che
la perfezione dei numeri è ne quattro primi , in cui gli eftremi ſono intimamente
uniti ai mezzi , e i mezzi agli eſtremi . Quindi le più perfecte conſo nanze
muſicali, ſono fatte dei primi quattro numeri 2 3-4 , 1 ' 2'3 ? ſ. 7 . Se l'uno
è , egli è ogni numero . Nella combinazione dell'uno , dell'ente , e del
diverſo fi de ducono tutti i numeri ( 9. 6.), Dunque nell' uno , in quanto è ,
vi ſono tutti i numeri, ; Carol . Il numero eſſendo molti nell' uno , in quanto
l'uno è . , egli contiene moltitudine, e perchè i numeri fono infiniti nell uno
che è , vi farà una moltitudine infinita . COROL. 2. Il numero in moltitudine
infinita , eſſendo inclu ſo nell'uno che è , farà egli partecipe d'eſſenza . Si
prenda la ſerie naturale de numeri 1 , 2 , 3 , 4 , 5 , 6 , 7 ec. fino al oo
unità eterogenea alla prima, e da cui fi comincia l'alcra ferie 200 , 30, 40 ,
fino 200 = 60 altra unità eterogenea , da cui comin ( 88 ) . cominciali, un'
altra ſerie 2 co ' , 300'ec. ſino a o , e cosi all' infinito . Se di queſte tre
ſerie ſe ne fa una ſola ſi ha 1.2.3.4.5 ec . co ' ... 00 ? ... oo ... , fino ad
in cui ſi potrebbe cominciar di nuovo la numerazione . Cominciando da uno , li
può con le frazioni continuar la ſe . rie decreſcente con lo ſteſſo ordine che
l'altra , onde 1 I 1 ec . • • ec. fino 3 4 5 I 1 I I I wec . 4 Combinando la
ſerie dei finiti intieri , rotti , e degli infiniti matematici , e immaginarj ,
fi ha tutta la ſerie . ec. 1.2.3.4 ec. co oo oo ' ec. 0° 5 4 3 2 In queſte
eſpreſſioni non v'è errore , purchè non s' attenda , che alla proporzione delle
quantità , nè ſi realizzino i ſimboli . Ma non biſogna credere , che la
numerazione ſia terminata , po tendoſi concepire , e tra gli intieri, e tra
rotti , e tra gli infi . niti dei mezzi proporzionali, i quali ſono , come ben
prova il Ba rovio , veri numeri ( ſe ben noi non poſſiamo eſprimerli ) perchè
ſimboli di vere quantità, come i numeri , ointieri, orotti , e gli
infinitamente grandi, egli infinitamente piccioli. Platone , al dir
d'Ariſtotele , poſe i due infiniti ( a ) magnum & parvum , e queſti, come
ben ancora lo riconobbe il P. Grandi , ſono gli infinita mente grandi , e gli
infinitamente piccioli dei moderni Geome tri ; infiniti replico immaginarj ,
de' quali con tanta chiarezza trattò il Wolfio nell'Ontologia , ſgombrando
tutte le difficoltà' che v'oppoſero coloro, che non ben inteſero queſte due
ſpecie d'infiniti Platonici , caratterizzati da profondi Geometri con tan to
utile della Geomecria , della Mecanica , ed altre parti delle Matematiche .
Queſti due infiniti di Platone non ſono diverſi dai grandiflimi, e menomiſlimi
, di cui qui parla . 8. 8 . In quanti luoghi è l' ente , in tanti è l'uno . Se
l' uno è egli accompagna ſempre l'ente , ma non v'è ente , che non ſia in qual
che luogo ( 9.12. Sez, 2. ) Dunque in quanti luoghi è l'ente , in tanti è l'uno
. a ) Plato vero duo infinita magnum & parvum . Arift. 3.Phiſ. c .4 . § .
9: ( 89 ) g. 9. Se l' uno è , non ſolo ' egli è l'uno , ma un certo uno. Ogni
ente ſingolare partecipa dell'ente , dunque dell'uno ; dunque come ogni ente
ſingolare è un certo ente , ogni ente ſingolare è un certo uno . ČOROL. Si
compartiſce dunque l'uno , non ſolo con le coſe in genere , ma con le coſe
ſingolari , onde v'è l'uno , e il tal uno, e a queſto compete , come all'altro
, eſfer molti , perchè vi ſono molti enti ſingolari , e compete loro il luogo
degli enti ſingolari. g. 10 . Se l'uno è , egli è un uno che è uno , e cert'
uno , e mol ci , e parti, e finito , e in moltitudine infinito . Egli è uno , e
cert'uno, ſe accompagnando gli enti è in ogni ente, ed in ogni cal ente ; egli
è tutto ſe ogni ente , in quan to è , egli è un tutto ; egli è párte , ſe ogni
parte dell'ente è jina ; egli è finito , ſe ogni tutto ha i ſuoi limiti, e
infinito le contiene in sè tutti i numeri . Annot. Queſte contraddizioni non
ſono che apparenti. D. II . Se l'uno è , egli ha principio , mezzo , e fine .
L'uno è finito , e tutto, e parte ( S. 10. Sez. 3. ) Dunque ha in sè limiti ,
perchè ogni una di queſte coſe ne ha ; dunque ha principio , mezzo , e fine.
Corol. Dunque l' uno è partecipe di figura retta o roton da , o d'amendue miſta
. ANNOT. Come l'uno , di cui quì parla Parmenide , pud effer Dio , o qualche
idea divina , fe egli è circonſcritto da tutti i luoghi degli enti, ſe
s'individua cogli enti ſingolari, ſe è tutto , parte , finito , figurato ec . 5
Tom . II. m 6. 12 . ( 20 ) Do ? 127 ** Se. l'uno è , egli è in ſe ſtello , e iş
altrui ., Ciò che è tutto , comprende tutte le ſue parti ; ma l'uno com prende
tutte le ſue parti , dunque l' uno è un tutto ; ma il tutto contien ſe ſteſſo ,
è l' uno è un turco . Dunque l'uno contiene ſe fteffa . ANNOT. La propoſizione
è identica , e vuol dire : un tutto è. un tutto ; o iltutto è nel tucta ; non
ſi faccia più attenzione al tutto , mamaall all'uno , e li concluderà , che
l'uno è nell'uno . Si com bini poi l'uno, e il cucco , e ſi concluderà, che
come il cutto è in ſe ſtello , così l'uno è in fe fteflo . Quel che è in ſe
ſteſſo , egli è in ogni ſua parte , ed in tutte le parti, ma il cutto non può
eſſer in niuna parte, perchè il più au conterebbe pel manco , nè meno il tutto
può eſſer in tutte le par ti , perchè ſe in cutie, farebbe ancora tutto in
ciaſcuna, dunque il tutto non è in ſe ſteſſo , ma l'uno è il cutto ; dunque non
è in fe fteflo . Ogni coſa è in qualche luogo, perchè ciò chenon è in qualche
kuogo è nulla ( S.12. Sez.2.) e quel che è in qualche luogo è in fe felio , o
in altrui, perché non li dà mezzo ; mas'è dimoſtrato che ſe è l'uno egli non è
in ſe ſteſſo , dunque è in altrui ; ma di ſopra s'era pur dimoſtrato, che egli
era in le ſtello ; dunque è in ſe ſteſſo , ed in alcrui . ANNOT. Non v'è quì
che contraddizione apparente , perchè quando ſi dimoſtra, che l'uno è in ſe
ſteſſo , ſi conlidera che l'uno è un tutto le cui parti fon tutte inſieme,
quando all'incontro fi confidera , che l'uno è in altrui, non ſi concepiſce il tutto
con le párti pret inleme, ma come quello che non è in niuna delle ſue parti .
S. 13. Se P upo è , egli fta , e ſi muove . Quel che ſta è ſempre in ſe ſteſſo,
perchè da lui non mai & di parte ; ' ma l'uno eſſendo nell' uno , non ſi
diparte mai da fe ftef ſo ; dunque è ſempre nello ſteſſo ; dunque fta. Quel che
è ſempre in altri non è mai nello ſteſſo , e non eſsendo nello ſteſso mai non
fta , e non ſtando ſi move , ma l' uno non è in ſe ſteſso , ma ſempre in altrui
; dunque ſempre fi move . ANNOT. Non è pur queſta , che contraddizione
apparente . . 14. ( 91 ) $. 14. 1 e il Una coſa comparata all'altra , o è la
ſteſsa , o diverſa , o è par te di quella coſa conliderata come tutto , od è
tutto , conſiderata 1a cofa come parte . Così dice Platone, e par conſiderar lo
ſteſso , e il diverſo relativamente alle qualità ſolamente, e la parte , cutto
relativamente alla quantità. Se dunque fi dimoſtraſse , che una coſa
relativamente a un' altra non foſse, nè tutto , ne pare ce , nè la Ateſsa, ne
ſeguirebbe per il metodo d' eſcluſione, che ella fofse diyerſa . g . 15. Se
l'uno è , egli è a ſe ſteſso lo ſteſso , ed a ſe ſteſso diverſo . Se egli è in
le ſteſso , e fta ſempre , egli è a ſe ſteſso lo ſteſso , ſe egli è in altrui,
e ſempre lr move , è da ſe ſteſso diverſo . L'uno non è parte di ſe ſteſso , nè
tutto rifpetto a ſe ſteſso , nè l'uno è diverſo dall'uno; or s'è luppoſto , che
una coſa compara ta ad un'altra , fe d'eſsa non è tutto , nè parce , nè diverſa
ſarà la ſteſsa ; dunque l'uno ſarà lo ſteſso con ſeco ; ma ſe l'uno è in al
trui non è ſempre lo ſteſso a ſe ſteſso ; dunque per l' eſcluſione Platonica
ſarà egli da ſe ſteſso diverſo'. §. 16 . ne Per eſpor: l'argomento ſeguente in
tutta la ſua forza , convie. ne particamente illuftrare i principj da cui
dipende . Si ſuppo 1. Che l' uno è da sè diverfo , come da ente nell'ipo teſi,
che egli ſia. 2. Che il diverſo e lo ſteſſo , effendo contra rj , uno non può
mai eſser dell' altro . Cost lo ſpiego · Molci enti potendo efiftere , od
eſiſtendo nel tempo ſteſso , lo ſteſso farebbe nel diverſo , ciò che è
impoſſibile , non potendo i con trarj , cioè A , e non A ſtar inleme . Ben ſi
vede che qui parla Platone del diverſo , e dello ſteſso aſsoluto , e non
relati. vo , quale abbiamo fpiegato nel G. 17. Sez. 2. perchè nulla vie ta ,
che due coſe non poffino eſser diverſe' nell'eſsenza , nelle quantità , nelle
azioni ec. ed intanto eſiſtere nel tempo ſteſso mi Iura eſtrinfeca delle coſe .
Non è cosi conſiderando il diverſo aſsoluto , o l'idea del diverſo , e
conſiderando lo ſteſso aſſoluto o l'idea dello ſteſso . ; l'uno non può mai
ſtar nell'altro , e in conſeguenza la ſteſsa coſa non può mai partecipare nello
ſteſso tempo di queſte due idee contrarie . Allude qui tacitamente Par m 2 meni
( 92 ) menide a ciò che ha già dimoſtrato , parlando della participazio ne
dell'idee. L'argomento ha tanto maggior forza , quando fi conſiderano gli enti
ſeparati dall' uno , poichè ſe foſsero diverfi , per ragion del diverſo
participerebbono dell' idea del diverſo che è Tempre una , dal che deduce
Parmenide , che non poten do eſser diverſi per la participazione dell'uno
nell'ipoteſi di Socrate , non ſono diverſi tra loro . 3. Suppone che le coſe
che non ſon uno , non fieno partecipi dell'uno , perchè non ſarebbono uno , ma
uno in certo modo. Quì pur Parmenide parla dell'idea dell' uno , che
participandofi dalle coſe non è più uno , ma uno con certe circoſtanze, od in
certo modo, ma ſe non ſon uno nor faranno eziandio numero , perchè ogni numero
è uno . 4. Le coſe che uno non ſono , nè aſsolutamente uno , non poſsono eſser
parti dell'uno , poichè l' uno non può eſser parte delle co ſe che non fon uno
, nè può eſser tutto , quafi comparato a par ricella. Parmenide
alludetacitamente a ciò che diſse di ſopra, che idea non pud eſser participata
, nè ſecondo la parte , nè ſecon do il tutto , dal che deduce , che le coſe che
non ſon uno ne fono particelle dell' uno , nè ſono all' uno quaſi a particella
. Ciò ſuppoſto così argomenta Parmenide col metodo d' eſcluſione . g. 17 . Se
l'uno è , egli è diverſo , e lo ſteſso con altre cofe ; all'uno convien il
diverſo , aſsolutamente in quanto diverſo , e non all” altre coſe, cui non
conviene , che relativamente ( §. 18. ) Dun que l'uno è diverſo dall'altre coſe
.; le altre coſe non ſono diper fe dall'uno , nè ſono parci , nè tutto riſpetto
all' uno ; dunque fono le Aeſse con l'uno . F. 18. Chi proferiſce lo ſteſso
pome una , e più volte ſenza riferirlo a più coſe, come ſi riferiſce nei nomi
equivoci, ed analoghi, eſprime fempre lo ſteſso concetto ; dunque nel proferire
la voce, diverſo ; applicandola all'uno , confiderato relativamente agli altri
, e un' altra volta agli altri conſiderati relativamente all'uno , nell'ado
prar lo ſteſso nome s'eſprime lo ſteſso concetto . Quindi dice Par: menide :
quando diciamo eſſer gli altri diverſi dall' uno , e l'uno ef ſer dagli altri
diverſo , non mai introduciamo il diverſo a figuificar altra coſa , che la
natura di cui è proprio nome . $ . 19. ( 93 ) S. 19. s'è gia oſſervato , che
fimile è quel che patiſce lo ſteffo ; difts mile quel che patiſce il diverſo (
9. 20.Sez. 2.) Se l'uno è , egli è ſimile, e diſſimile a ſe ſteſſo , ed agli al
tri . L'uno è diverſo dagli altri ( 9. 17. Sez. 3. ) Dunque l'altre coſe ſono
diverfe dall' uno , ma non fono diverſe nè più né meno dall'uno , che l'uno
dall' altre coſe ( S. 18. Sez. 3. ) e ſe nè più , nè meno, rimane che
egualmente fia uno . In quanto adiviene alle uno l'effer diverſo daglialtri, e
gli altri dall'uno, egli patiſce la ſteſſo per rapporto agli altri, e gli altri
per rapporto a lui; ma ciò che patiſce lo ſteſſo è fimile , dunque l'uno e
limile agli altri , e gli altri per la ſteſſa ragione fon fimili a lui . Il
diverſo è contrario allo ſteſſo ; ma fi dimoſtro , che l'uno agli altri è lo
ſteſſo , e diverſo , ( S. 17. Sez. 3. ) ed è contraria paffione effer lo ſteſſo
agli altri, ed effer diverſo dagli altri ma in quanto diverſo parve fimigliante
; dunque in quanto lo Steffo fia diflimigliante , ſecondo la paſſione contraria
. ANNOT. E' da notarſi, che l'uno è ſimile agli altri, in quan to diverſo , e
diſſimile in quanto lo ſteſſo . S. 20 . Due coſe che ſi toccano ſono preſenti
l'una all ' altra , nè tra effe vi ſi frammette un terzo , perchè in queſto
caſo non più toccherebbono ſe ſteſſe , ma il terzo frappoſto . Ove due coſe fi toccano
, due ſono le coſe , ed uno il contatto , ove tre li toc chino , tre ſono le
coſe , e due i contatti ; in ſomma creſcen do i termini creſcono a proporzione
i contatti , ſecondo il nu mero dei termini meno uno . Si tocchino tra loro due
punti matematici, ' poichè nulla fra loro s'interpone, un punto per ragion del
contatto coinciderà con l'altro ; fi facciano toccare da un terzo punto ,
queſto pu . re coinciderà , e quindi infiniti punti matematici non fanno che un
punto , onde de liegue , che la linea non è compoſta di punti , o che i punti
ſovrapofti gli uni agli altri non fanno grandezze. Ciò naſce , perchè tutti i
punti ſono omogenei ſen za parti , ma ſe vi foſféro degli enti tra loro
eterogenei, ben chè non eſteſi, o ſenza parti , nulladimeno poſti gli uni
appreſ so gli altri , benchè non componeſſero grandezza , tuttavia fa rebbono
più , come ben offervò Ariſtotele . Ciò diede occaſio ne al Leibnizio di compor
l'eſtenſione di enti ſemplici , ma ete ( 94 ) eterogenei , o diverſi di ſpecie,
che eſiſtendo ſcambievolmente gli uni fuori degli altri coeſiſtano in uno ;
quindi per la no zione dell' eſtenſione , convien conſiderare , e più enti che
eſi Atano fuori di sè , e che tra loro s'unifcano , e formino uno . Non fanno
però un eſteſo ;, perchè fe ben inſieme eſiſtano, non ſono tuttavia tra loro
uniti , come allora che liquefatti più me talli ſi confondono in una maſſa . Le
partipoi indeterminate dell'eſteſo , conſiderate in aftratto , cioè ſenza far
attenzione alla loro fpecie , non diferiſcono tra lo ro , che nel numero . Non
ſarà inutile quefta offervazione nel progreſſo. Intanto ſi oſfervi, che l'uno
eſcludendo nel ſuo con cetto i più , oi molti, per quanto l'uno ſi moltiplichi
per ſe ſteſ fo è ſempre uno , onde egliè il ſuo quadrato , il fuo cubo , ed
ogni altra potenza, foſſe anche ella di dimenſioni infinite , e non folo avete
un eſponente, ma molti , come le quantità che ſi dicono eſponenziali. $. 21 .
Se l'uno è , egli tocca ſe ſteſſo , e l'altre coſe . L'uno è in fe fteſſo , ed
in altrui ( 5. 12. Sez. 3. ) In quanto è in fe fteſſo vien impedito di toccar
l'altre coſe , dunque tocca fe Hello ; in quanto è in altrui , è nell'altre
coſe ; dunque le coccherà . I N A L TRO MODO Una coſa nel coccar l'altra giace
appreffo quella che tocca , ed occupa la ſede vicina ; ma ſe l'uno tocca ſe
ſteſſo , giace appreſſo ſe steſſo , ed è quindi due coſe , il che non potendo
effere, mani feſto è che non pud toccarſi. Le coſe diverſe dall'uno , non
potendo effer numero , perchè .non partecipano l'uno, non pociamo mai con l'uno
far due , ma nel contatto v'è ſempre almeno due ( 9. 19. Sez.-3 .) Dunque l'uno
non toccherà l'altre coſe . : ANNOT. La contraddizione pur è qut apparente, e
ſi fa l'ano corporeo nel fupporre , che ei tocchi . Nozione immaginaria . 22.
Parmenide ragionando ad hominem con Socrate fuppone la par ticipazione
dell'idee, combattuta nella prima parte ; conſidera quindi la grandezza , e la
piccolezza, come due ſpecie ſeparate , tra ( 95 ) tra loro contrarie ; ben a
cid s'avverta , perchè in queſto conſiſte la deſtrezza del Filoſofo , e la
forza del ſuo ragionamento , S. 23 2 os' Se l'uno e , egli non è ně eguale , nè
maggiore , në mi nore degli altri enti . Sia l'ente minore degli altri enti ,
egli dunque participerà dell ' idea della piccolezza , la qual è contraria alla
ſpecie della gran dezza . Si concepiſca, che la piccolezza ſia nell' uno , o
farà in tutto l'uno , o in alcuna parte di eſso ; fe in tutto l' uno ,
eftenderà per l'intiero uno tutto al di dentro , che vuol dire lo compenetrerà
con la ſua ſoſtanza , o l'abbraccierà con eſtremi li. miti al di fuori, che
vuol dire lo comprenderà ; ma ſe la picco lezza s'eſtende al di dentro di tutto
l' uno gli è eguale " , e fe lo comprende gli è maggiore , onde la
piccolezza ſarebbe nello ſteſ ſo tempo grande, ed eguale contro l'idea di lei .
Se la piccolezza è una parte dell'uno , ne ſeguirà , che ella lia di nuovo in
tutta la parte , o al di fuori , o ál di dentro quindi che ella fia eguale , o
maggiore per le coſe dimoſtrare ; dunque non potendo eſser la piccolezza , nè
in tutto l' uno , nè in parte dell'uno , non ſarà nell'uno , onde l'uno non
farà pic colo, o minore degli altri enti . Corol. In alcuno degli enti per la
ſteſsa ragione non po irà ritrovarſi la piccolezza, onde in queſta ipoteſi non
v'è al tra cofa piccola , che la piccolezza ftetsa , ma dove non v'è il piccolo
, non v'è neppur il grande, perchè l' uno non è che per riſpetto all'altro ;
dunque non vi faranno coſe grandi , trartone la grandezza , e quindi I uno , e
altre coſe ſaranno prive di grandezza , e di piccolezza. e S. 24. Se l'uno è ,
le altre coſe non ſono di eſso nè maggiori, nè minori, nè eguali . Le altre
coſe aſsolutamente parlando ſono prive di grandezza, e di piccolezza , dunque,
rifpetto alla uno , non fono nè piccole, ne grandi , e per la ſteſsa ragione ,
l'uno non è nè maggiore , nè minore dell'altre coſe , eſsendo privo di
grandezza , e dipiccolezza . 5.125 . ( 26 ) S. 25. Se è l'uno egli farà eguale
a ſe ſteſſo , ed all'altre coſe . Non è maggiore , nè minore dell'altre coſe ,
ma ſe l'uno non è , nè maggiore , nè minore dell' altre coſe , egli per la
forza dell'eſcluſione ſarà eguale . §. 26. Se l'uno è , egli è eguale a ſe
ſteſſo , ed all'altre coſe. Non avendo in sè, nè grandezza , nè piccolezza , nè
eccede rà ſe ſteſſo , nè da ſe ſteſo farà ecceduto , dunque farà eguale a ſe
ſteſſo . S. 27 . L'uno è maggiore , e minore di fe ſteſſo . Egli è in ſeſteſſo
, dunque li comprende ; dunque èmag giore di ſe ſtello ; eſſendo in ſe ſteſſo,
egli è da ſe ſteſſo com preſo , dunque è minore ; dunque è maggiore, e minore
di ſe ſteffo . S. 28, Se l'uno è , le altre coſe ſono maggiori , minori ed
eguali all' uno . Null'altro v'è , che l'uno , e l'altre coſe , non dandoſi mez
zo , ( $ . 12. Sez. 2. ) Quel che è in una coſa è minore di eſſa ( S. 10.
Sezione 2. ) e ciò che la contiene è maggiore ; dun que , poi che ogni coſa è
in un luogo , ( . 12. Sezione 2. ) e che altro non v'è che l' uno , è l' altre
coſe neceſſariamente ſono nell' uno , o l' uno nell'altre coſe ; ma ſe l' uno è
nell' altre coſe , queſte ſono maggiori dell' uno , perchè lo conten gono ;
l'uno è minore, perchè è contenuto ; dunque l'altre co le ſono maggiori , e -
minori dell’uno : ma s'è dimoſtrato , che l' uno non eſſendo nè maggiore , nè
minore dell' altre coſe, all' al tre coſe farà eguale ( §. 24. Sez. 3.) Dunque
egli è eguale , mag giore , minore dell'altre coſe. Corol. Egli dunque può
eſſere di miſure eguali , maggiori, e minori , riſpetto a sè, ed all' altre
coſe. Quindi Ha 1 1 ! ( 97 ) Ha più miſure riſpetto alle coſe delle quali è
maggiore , me no miſure riſpetto a quelle delle quali è minore , e pari miſu re
riſpetto a quelle delle quali egli è eguale . 6. 29. 9 Paſſa a dimoſtrare
Parmenide , che ſe l'uno è , egli è parce cipe del tempo , ed è , e ſi fa più
giovane , e più vecchio di ſe fteſto , e degli altri , ed in contrario , e che
non è , nè ſi fa nè più giovane, nè più vecchio di ſe ſtello , e degli altri
par cicipanti il tempo . Per intendere adequatamente queſte propoſizioni, in
cui s'af follano varj principi i biſogna prima ripaffare ciò che fi diſle nel ſ
. 3. Sez. 3. 9. 27. Sez. 2. ove fi dimoſtrò . 1. Che chi partecipa dell'
eſſenza , partecipa delle differenze del tempo . 2. Che cið che ſi fa più
vecchio di ſe ſteſſo , e dell'altre coſe, nel farſi più vecchio , li fa più
giovane, e cið per eguali parti di tempo, ag giunte agli ineguali, il che
abbiamo dimoſtrato coll' eſempio delle ragioni di e diſucceſſivamente
accreſciute di 1. comparando percið le ragioni di į , e di abbiam veduto , che
i loro va Iori i ti, eit ! + divengono ſempre minori . Altreſuppoſizioniegli fa
ne' ſeguenti argomenti. 1. Il tempo è un fluſſo , da cui ſi fa progreſſo dal
pallaco al preſente, e dal pre Tente al futuro , e dall'era all'è , è dall' è
al ſarà . 2. Che una coſa che'ſi fa paſſa dal preſente ove è , nel futuro ove
ſarà , e perciò nel farli è di mezzo cra l'uno , e l'altro , onde propria mente
ciò che è nell' inftante , non ſi fa , ma è quello che è , o , come l'eſprime
Platone , una coſa che ha fatto acquiſto del preſente cella di farſi , od è ciò
che allora convien che fi faccia . 3. Il preſente è ſempre unito all'uno ,
perchè è ſempre unito all' ente, dal qual l'uno è inſeparabile . 4. Il diverſo
, o l'idea del diverſo è la ſtella coſa ſecondo i principi di Socra te , e percid
è ſempre uno, onde quello che non è uno , non può eſer il diverſo , o l'idea
del diverſo, onde le coſe diverſe dall' uno , o che partecipano il diverſo,
ſono più che l'uno , o hanno in sè moltitudine , e in conſeguenza numero o più
. 5. Delle più ſono prima le poche , che le molte , e delle poche prima il
pochiſſimo. 6. La coſa che prima li fa è la prima , e le dipoi ſono più giovani
delle già fatte innanzi . 7. E' impof fibile', che una coſa ſi faccia oltre la
natura , onde in una co ſa che ha principio , mezzo , e fine , prima li fa il
principio , indi il mezzo, e poi il fine , che vuol dire , il fine ti fa i'ulti
mo. 8. Quel che ſi fa ultimo è più giovane di quel che fi fa Tomo II. il a e ce
I 21 S: i n ( 98 ) il primo . 9. Chi ſi fa con tutte le parti infieme d'un
tutto ,, fi fa nello ſteſſo tempo inſieme col cutto .. 1 1 ſ. 30. Se l'uno è ,
egli è , e ſi fa , e non è , nè ſi fa più vecchio , e più giovane di ſe ſteſſo
. Se l' uno è participando l'eſſenza , participa del tempo ( $. 3. Sez. 3. ) ma
quel che è in tempo , è in un fluſſo continuo o pal ſa dal paſſato al preſente,
o dal preſente al futuro ( S. 28. Sez: 3.) Dunque l'uno e continuamente in
queſto paſſaggio . In quanto paſſadall'era all' è fi fa più vecchio di sè ;ma
nel farſi più vec chio , ſi fa più giovane ( S. 26. Sez. 2. ) Dunque ſi fa più
vec chio , e più giovane di ſe ſteſſo . Chi non oltrepaſſa il preſente , nel
far progreſſo dal paſſato , nell'avvenire non ſi fa , ma è ciò che è ( $.22.
Sez . 4. ) Dunque quando l ' uno tocca primieramente il preſente , non ſi fa
allo ra vecchio , ma è vecchio oggimai, Nel toccar il preſente , co me ha prima
di lui fatto acquiſto , cefla di farli , od è ancora ciò che avvien che ſi
faccia i $. 28.Sez. 3.) Dunque l'uno , quan do fatto vecchio conſeguiſce il
preſence , cella di farſi , od è allora più vecchio di ſe ſteſſo , di ciò che
era toccando il pal fato ; ma l'uno è di quello più vecchio , onde fi faceva
vec chio ; e facevali di ſe ſteſſo , ed il più vecchio è più vecchio del
giovane ; dunque allora l' uno è più giovane di ſe ſteſſo quando fatto vecchio
conſeguiſce il preſente , ma il preſente è fempre unito all'uno ; dunque l'uno,
ed è ſempre, e li fa più vecchio , e più giovane di ſe ſteſſo ; ma facendoſi
tale , od ef ſendo in tempo pari ritiene la ſteſſa età , e chi ritiene la ftel
fa età , non è più vecchio , nè più giovane ; dunque l'uno eſ ſendo , e
facendoli in tempo , non è più vecchio , nè più gio vane di ſe ſteſſo . g . 31
. Se l'uno è , egli è più vecchio dell'altre coſe , o l'altre coſe più giovani
di lui . Nelle coſe diverſe , che hanno in sè moltitudine o numero , altre ſon
fatte prima , altre dappoi ; ma il primo che ſi fa è pochifiimo, ( 9. 26. Sez.
3. ) e nei numeri l'uno è pochiſſimo , dunque l'uno è facco inanzi alle coſe
che hanno numero , o che fono . 1 ( 99 ) fono diverſe dall'uno , o ſono gli
altri ; ma il primo che ſi fa è più vecchio , le coſe che dipoi ſi fanno , ſono
più giovani ; dunque l'uno è più vecchio dell'alcre coſe , e l'altre coſe più
giovani. g . 32. Se l'uno è , egli è più giovane dell' altre coſe , e le altre
coſe più vecchie dell' uno . L'uno non può farſi oltre la natura fua ( .9 .,26.
Sez: 3. ) Dun que avendo parti, o principio , o mezzo, o fine, ſi fa ſecondo la
natura del principio , del mezzo , e del fine , ma il princi pio fi fa il primo
, è il fine ſi fa l'ultimo , ma l' ultimo fatto e più giovane dell' altre coſe
, e l' altre coſe più vecchie dell' uno ( $. 26. Sez. 3. ) ; dunque l'uno è più
giovane degli altri , e gli altri dell'uno . $. 33. Se l'uno è , egli non è più
vecchio , nè più giovane dell' altre coſe.. Ogni parte dell' uno è una ; ogni
parte del mezzo è una , ed uno è parimente il fine, od il tutto , onde fi farà
l'uno , é colla prima coſa che fi fa , ed infieme colla ſeconda, colla ter za
ec. onde percorrendo ſin all'eſtremo fi farà un tutto , o 1 uno non eſcluſo
nella generazione dal mezzo , non dall' eftre mo , non dal primo, non da altro
; ma ſe l'uno ſi fa inſieme con tutte le parti d' un tutto ha la ſteſfa età con
tutti gli al tri ; dunque ſe non è nato oltre la propria natura , non è fac to
prima nè dopo l'altre coſe , ma inſieme e fecondo queſta ragione non è più
vecchio , o più giovane degli altri , nè gli altri dell' uno . ſ. 34. Se l' uno
è , egli ſi fa più giovane, più vecchio di ſe ſteſſo . Se alcuna coſa foſſe più
vecchia d' altra , li farebbe ancora più vecchia di ſe ſteffa : A ſia più
vecchio di B , nel creſcerfi gli anni ad A , egli & fa più vecchio di fe
fteffo , e di B ; dun n 2 que ( 100 ) | 1 que l'uno nel farſi più vecchio dell'
altre coſe ſi fa ancora più vecchio di sè ; manel farſi più vecchio , ſi fa
ancora più gio vane per la ſteſſa ragione , che creſcendo tempi eguali, la ra
gione decreſce ( 5.27. Sez. 2. ) Dunque l'uno li fa più giovane di ſe ſteſſo ,
ma s'era dimoſtrato , che ſi faceva più vecchio ( S. 30. Sezione 3. ) Dunque ſi
fa più giovane , e più vecchio di ſe Iteffo . 1 f. 35 . Se l'uno è , egli non
può farſi , nè più vecchio, nè più giovane dell'alere coſe . Ciò che fi fa più
vecchio d'un altro , o più giovane, ſi fa più vecchio , e più giovane ancora
riguardo a sè ( 1.37. Sez. 3.) ma l' uno non ſi fa , ma è , e più giovane , e
più vecchio ri guardo a sè ; dunque non ſi fa , nè più giovane , nè più vec
chio riguardo agli altri. Se l'uno è più vecchio , che le altre coſe , ha più
lungo tem po dell'altre coſe, ma creſcendoſi il tempo, egli ſempre eccede meno,
onde ſi fa più giovane riſpetto alle coſe, delle quali era innanzi più vecchio
; ma ſe egli ſi fa più giovane , quell' altre coſe ſi faranno più vecchie ;
dunque le coſe che erano innanzi , e più giovani dell'uno , ſi fanno dell' uno
più vecchie , cinè fi fanno più vecchie , riſpetto a quello che era più vecchio
; ma le coſe più vecchie non ſono , ma fi fanno ſempre , perchè la fanno più
vecchie , mentre l'uno ſi fa più giovane ; dunque le coſe ſi fanno ſempre più
vecchie dell'uno . Le coſe poi più vec chie , parimente ſi fanno più giovani
dell' uno più giovane perchè l'uno , e l'altre coſe movendoli in contrario G
fanno vi cendevolmente contrarie , cioè le coſe più giovani dell'uno , ſi fanno
più vecchie dell'uno che è vecchio , ed all'incontro l'una più vecchio , li fa
più giovane delle coſe più giovani ;, ma non, è poffibile che l' uno , e l'
altre coſe fieno fatte nè più giova ni , nè più vecchie, perchè le cali foſſero
, non più li farebbo no ; dunque le coſe , e l'uno tra loro ſi fanno più
vecchie , e più giovani: l'uno li fa più giovane delle cofe , per quello che
parve eſſer più vecchio , e prima fatto , l'altre coſe poi fi fanno più vecchie
, per quello che ſono ſtate fatte dopo , e ſecondo la ſella ragione : l'altre
coſe ancora ſe ne ſtanno riſpettivamente alla uno , come quelle che ſono ſtate
più vecchie , e prima dell'uno . Dunque inquanto che nè l' uno , nè gli altri
fi fanno , diſtan do 1 ( 101 ) $ do ſempre tra loro di un numero pari, non ſi
farà nè l'uno più vecchio degli altri , nè gli altri dell' uno . Ma come
decreſce ſempre la ragione dei tempi , o con minor particella ſempre tra loro
differiſcono le coſe prime dall' ultime , e l'ultime dalle prime , così è
neceſſario che l' altre coſe ſi facciano , e più vecchie più giovani dell'uno ,
e l'uno dell'altre coſe . Quinci aggruppando in uno tutte le propoſizioni,
abbiamo di. moſtrato , che l'uno è , e li fa più vecchio , e più giovane degli
altri, e di nuovo non è più vecchio , nè più giovane di ſe ſteſſo e degli altri
. Corol. Perchè l' uno è partecipe del tempo , o ſi fa più vec chio , e più
giovane , egli è partecipe del quando, del futuro , e del preſente . Dunque era
l'uno, ed è , e ſarà , e ſi faceva , e fi fa , e li farà , e ſarà ancora alcuna
coſa in lui , e di lui , ed è , ed era , e farà . COROL. 2. Perchè la ſcienza ,
l'opinione , il ſenſo , la defini zione , il nome , riguardando le coſe che
ſono nelle differenze dei tempi , in quanto l'uno è capace di queſte differenze
, è ancora fog getto di ſcienza , d'opinione , di fenſo , può definirli, e può
no. minarſi . Annot. Qui Parmenide non dà ſcienza, e definizione, ſe non delle
coſe ſoggette al tempo , il che biſogna accordare con ciò che diſke ( 9.16. Sez.
1. ) La ſcienza che appreſſo noi è ſcienza del le verità , che ſono a noi
dintorno . 9. 36. Riſtringiamo adeſſo in poco , quanto Platone ha propoſto
nella propoſizione condizionale, o ſia nell'ipoteſi ſe l'uno è . 1. Diftin le
colla mente i due concetti dell'uno , e dell'ence ., 2. Ne com poſe un tutto
intellectuale di due parti, o dei due concetçi dell' uno , e dell'ente. 3. Tra
loro paragonandoli ne deduſſe il terzo concetto del diverlo . 4. Conclure che
nell' uno o è una moltitu dine infinita di numeri , che dividono l' uno a
proporzione dell' ente. 5. Che l'uno è tutto , e parte, e finiso , e infinito .
6. Da ciò che è un tutto finito , conſiderò in effo il principio , il mez-, 2o
, il fine , e quindi la figura . 7. Da ciò che è un turto , e che il tutto è
nel tutto , conclure che l'uno è nell' uno , ed in fe ftel 1o . 8. Da ciò che
l'uno è comeparte nel tutto , conclure che è in altrui . 9. Che ſta , e ripoſa
, ſe egli è in ſe ſteſſo . 10. Che ſi mo ve , le è in altrui . 11. Che è ſimile
a sè in quanto l'uno , è lo ſteſſo che l'uno . 12. Simile agli altri , perchè
paciſce d' eſſere co me gli altri . 13. Che è diffimile in quanto cert'uno , e
certo ente . 14. ( 102 ) 14. Che è lo ſteſſo , poichè ekſte, ed eſiſtono
glialtrienti nello ſteſſo tempo . 15. Che è diverſo , in quanto non ha in sè
ciò che hanno gli altri enti. 16. Quindi fimile , e diffimile , perchè patiſce
le ſteſſe cofe . 17. Che è maggiore , minore, ed ineguale , e non maggio re ,
minore, nè eguale dell'altre coſe . 18. Che è , e ſi fa più gio vane, e più
vecchio di ſe ſteſſo , e dell'altre coſe , e non è , e non fi fa , nè più
vecchio , nè più giovane dell'altre coſe , e l'altre co fe di lui . 19.
Finalmente, che dell'uno in quanto è li ha ſcienza ,, ſenſo , opinione , e può
denominarſi , e definirſi. Si potrebbe più compendioſamente ridur in poco
l'argomento di Parmenide, conſiderando che reciproche ſono queſte due pro
polizioni : l'unoid , è l ' uno , per il che ſi può predicar dell'ente ciò che
ſi predica dell' uno, e dell' uno ciò che ſi predica dell' en per ragione dei
diverſi concetti formali, predicandoſi dell' ente , la parte , il finito ,
l'infinito , il principio , il mezzo , il fine , la figura , lo ſteſſo , il
diverſo , la quiete , il mo to , il limile , il diſſimile , e il maggiore ,
l'eguale , il minore, it giovane , il vecchio ec. cutti queſti
predicaricompereranno pari mente all'uno . Ben ſi vede , che qui non ſi parla
che dell' en te corporeo , e degli enti particolari , a cui or compete una co
fa , ed or un'altra. il tutto , S. 37: Ma perchè i predicati oppoſti, come il
fimile , il diffimile, it maggiore , e il minore non poſſono competere nel
tempo ſteſſo all' uno , ed all'ente ſenza contraddizione , Parmenide moſtra che
queſti attributi contrari non gli competono nello ſteſſo tem po , ma in diverſi
tempi ; tal è la natura di ogni ente finito : gli attributi, imodi, le
relazioni, delle quali è capace, non hanno luo go in lui, che ſucceſſivamente a
differenza dell'ente infinito , in cui tutte le perfezioni poſſibili , che attribuir
gli ſi poſſono , .ftan no in lui tutte inſieme , onde non male con due parole
molto energiche , ſebben barbare , ſi chiamò Dio dal Bulfingero , omni tudo
compoſibilitatis . Gli Scolaſtici lo chiamarono atto puro , cioè atto ſenza
alcuna miſtura di potenza , e quindi diametralmen te oppoſto alla materia che è
pura potenza , e talmente pura, che al cuni degli ſcolaſtici la ſpogliano
dell'atto entitativo , edell'eſiſtenza . $. 38 ( 103 ) go 38. Se l'uno è ; egli
prende diverfi ſtati ſecondo le :: differenza dei tempi . Nel tempo ſteſſo non
ſi può participare , e non participare dell'eſſenza , e delle coſe che
conſeguono al non participarla , ed al participarla ; or il farli è renderſi
partecipe dell' ellenza ; il rovinarli e privarſi dell' effenza ; dunque l'uno
non può ne! tempo ſteſſo , e prender , c laſciar l'eſſenza . Dunque la pren de
, e la laſcia in diverſi tempi , Quando ſi fa uno , egli perde l' eſfer molte
coſe ; quando ſi fa molte coſe ceffa d'effer uno; nel farfi uno , e molte , li
fepara , e fi congiunge , qualora ſi fa ſimile , e diffimile , ſi affimiglia ,
e diffimiglia ; quando ſi fa maggiore, minore , ed eguale , creſce , decreſce,
e li pareggia ; quallora movendoſi fi ferma, e quallo ra fermandoſi li move .
Or tutte queſte coſe , eſſendo tra loro contrarie , l ' uno non può averle nel
tempo ſteſſo , dunque l'ha in tempi diverfi . 9 . 39 Non fi pud paſſar dalla
quiete al moto , e dal møto alla quie te , ſenza cangiamento di itato . Un
corpo che cangia fuccelli vamente la relazione di diſtanza , che egli ha ad
altri corpi vi cini , ha uno ſtato diverſo da quello d'un corpo , che conſerya
ſempre a ' corpi vicini la ſteſſa diſtanza. Queſto cangiamento di uno ſtato
all' altro ſi fa in tempo ; ma conſidera Platone, che nel paſſaggio dal moto
alla quiete, e dalla quiere al moro, v'è un non so che d'improvviſo , e di
momentaneo , che ſi conce piſce nell'iſtante del paſſaggio , e non più
appartiene al moto , che alla quiete ; non al moto , perchè la coſa ſi
concepirebbe ancora in ripoſo ; non al ripoſo , perchè la coſa fi concepiſce
ancora in moto , Conclude dunque Placone , che queſta natu ra improvviſa è
quaſi ſconvenevole tra il moto , e la quiete ; che ella non è in verun tempo ,
e a queſta da queſta paſſan do fi muta nello ftato ciò che li move, e nel moto
ciò che ſi ri pola . 8. 40. ( 104 ) .. § . 40. Se l'uno è , nell'atto che
cangia ſtato , non gli competono più i predicati dell'ente . Nel paſsar l'uno
dal moto alla quiete fi muta momentaneamen te , e all'improvviſo , o mutandoli
egli non è in alcun tempo ; dunque non ſta nè fi move . Così quando paſsa
dall'eſsere alla ro vina, o dal non eſsere al farſi , non è , nè ſi fa , nè fi
diſtrugge . Parimente quando paſsa dall' uno in molti , e da molti in uno, non
è , nè uno, nè molti , nè ſi congiunge , nè fi ſcongiunge , e paf fando dal
ſimile al diſſimile , od al contrario , non è , nè affimi gliato , nè
diſlimigliato , e paſsando dal piccolo al grande , ed all' eguale non creſce ,
nè decreſce , nè ſi pareggia. Annot. Da queſta dottrina ſebben metaforicamente
da ' Plato ne eſpreſsa , imparò Ariſtotele ad introdurre tra i principj delle
generazioni, la privazione mal a propoſito ſchernità da coloro , che non ne
inteſero nè la forza , nè l'uſo . Quando una coſa ha perdute tutte le
diſpoſizioni o determinazioni, che la rendevano tale , ella ceſsa d' eſsere la
tal coſa , cioè reſta priva di tutto ciò che la coſtituiva , e diſtingueva
dall'altre coſe , ma nell'atto ſteſ fo , in cui ceſsa d'eſsere quel che era ,
comincia ad eſsere ciò che non era , o paſsa dalla privazione alla forma
contraria ; queſto ſtato di mezzo che è tra la forma , e la non forma, Platone
chia ma natura mirabile , e momentanea , ed è certo , che ella nel fifa far i
gradi della noſtra cognizione ci moſtra quelli della natura che non opera mai
per falti. Nel Timeo dice : Dovendo eſer l'ef figie delle coſe diſtinta da ogni
verità di forma , non fia mai prepa rato quel medeſimo grembo di tal
formazione, ſe egli non farà informe di tutte quelle ſpecie , le quali è per
ricever da qualche parte , percid che ſe egli faravvi alcuna di quelle coſe che
in sé riceve fimiglianza , quando riceverà una natura contraria di quella di
cui è ſimile , ovve ro un' altra , affatto malagevolmente la ſimiglianza , e
l'effigie di quel la eſprimerà quando moſtrerà la ſua, però egli è convenevole
, che di tutte le ſpecie ſia privo quello che ha in sè da ricevere tutti i
generi . Siccomequelli che hanno da fare unguenti odoriferi, l'umida materia ,
la quale vogliono di certo odore condire , di tal guiſa preparano , che * ella
non abbia alcun proprio odore . E coloro che vogliono in materie molli
imprimerealcune figure, niuna figura affatto laſciano primiera mente apparire
in quella , ma quelle cercano in prima di render qan to poſibil fia polite .
Ciò ſi rende ſenſibile nelle quantità algebraiche poſitive , e ne gative ,
nelle quali non ſi paſsa dall'une all'altre ſenza paſsar per 1 1 1 il ( 105. )
o il zero , che non è nè negativo , ne poſitivo , ed è il vero fim bolo della
privazione. Nella Geometria il punto matematico equi vale al zero , che è il
principio negativo dell'eſtenſione , e dal quale fi comincia la miſura , come
l'unità è il principio poſitivo , per cui fi comincia la ſteſſa miſura . Il
punto è comune alla linea , che ceſsa per eſempio di eſsere alla ſiniſtra , e
comincia ad eſsere alla deſtra , o che termina d' eſser in alto , e comincia ad
eſser a baſso ; così egli non è deſtro , nè finiſtro , nè alto , nè baſso . Tut
te queſte ſono eſpreſſioni utiliNime, e ſebben noicele rappreſen ciamo per
fpecie aliene , come il niente , o l' impoflibile, tuttavia molto fervono a
reggere i noſtri ragionamenti. L'origine, e la natura del calcolo delle fuſioni
dipende dall'uſo della natura momentanea , ed ammirabile di Platone . In queſto
calcolo non ſi cercano , ſecondo il Newtono , le quantità infinita mente
piccole , chemainon poſsono determinarſi,ma la ragione del le quantità
naſcenti, od evaneſcenti, cioè di quelle , le cui fuffio ni, o velocità nel
naſcere, o nel ſvanire equivagliono al zero , il qual ſimboleggia il termine
del ripoſo , e il principio del moto il termine del moto , ed il principio del
ripoſo . Sieno nel preſen te momento le fluenti quantità y, x ; nel momento
ſeguente di verranno ſecondo l' eſpreſſione Newtoniana y toy , ed xtoy, ove o y
, od ox eſprimono i momenti delle velocità . Softituite queſte eſpreſſioni in
un'equazione propoſta, per eſempio in quel la della parabola yy. =ax , quefta
fi caogierà nell' equazione . yy + 2 oyy tooyy = oaxtoax o cancellando gli
eguali 2oyy tooyy = oax , e cancellando il comune o 2 yyt oyy = ax Sin che la
quantità efpreſsa per o reſta finita , non può mai de terminarli la ragione
delle quantità che fluivano, ma nella ſup poſizione che ella s' annulli , come
nel caſo dell' ultima o della prima velocità delle grandezze , ove o s'eguaglia
a zero , fi ha 2 yy = ax , e ponendo l'equazione in analogia 2 y.a:: x.y
ragione determinata , con cui le qualità cominciano o termic nano di Auire. Il
Newcono ſpiega più a lungo queſte coſe nel ſuo trattato delle Curve, e lo
ſpiega non chiarezza il Ditton nell'inſtituzione delle Auſſioni ; baſta a me
d'averlo quì accennato , per moſtrare che agli antichi non man cavano quell'
idee , che i moderni hanno poi ſviluppato , carat £ erizzandole con canta
utilità delle ſcienze , e delle bell'arri . Tomo II. 5. 41, ( 106 ) S.' 41, 1
Platone preſuppone nel ſeguente argomento , che la partenon è parte nè di molti
, nè di tutti , ma di cert'una idea , e di cert'uno che chiamiamo tutto , ed è
un cutto fatto da tutte le parti , e in sè perfetto , Dalla parola idea lice
argomentare , che qui non fi craica che dei concetti, con cui fi concepiicono i
molti, e il tutto , e le parti . L'idea dei molti è l'idea dei più
aſſolutamente preſi, e com prende egualmente le parti, ed i tutti , dicendoſi
molte, o più parti, molti o più molti. L'idea del tutto è l'idea dell'uno più
riſtretto in un certo numero , o riſtretto in cerci limiti ; idea della parte è
l'idea d'uno incluſo in queſti più già ridoc ti. Non ſi pud quindi
rigoroſamente parlando dire , che la par te ſia parte di molti , perchè
conſiderandoli ſecondo la loro propria idea, non fanno ancora il tutto a cui ha
immediata re lazione la parte , Nel dir dunque Platone , che la parte non è
parte di mol ti , allude ai modi , o ai più vagamente preli , e nel dir che la
parte è parte del tutto , allude ai più riſtretti ; ne' più , come s'accennd ,
vi ſono incluſe indifferentemente le parti , ei tutti, onde ſe la parte foſſe
parte dei più , potrebbe eſſer parte di ſe Iteffa . Aggiunge Platone , che ogni
parte non è parte di qualun que uno ma d'un cert' uno , cioè di un certo tutto
. La par te del triangolo non è la parte del quadrato , nè un ſoldato che è una
parce d' un eſercito , è parte di una proceſſione di Frati . Il tutto poi che è
fatto di tutte le parti , o a cui non man ca alcuna parte, è perfetto . , Si
oſſervi in oltre eſſer lo ſteſſo , il dir molti, o più d'uno ; che ogni coſa
quindi o è uno , o più , cioè molci ; che una parte dell' eſtenlione cratca
fuori di efla , o feparata da eſſa , eſſendo fteſa , contiene più, e ſe dinuovo
ſi ſepa ra in due , una di queſte parti eſſendo di nuovo fteſa , ritiene ipiù .
In altri termini ciò vuol dire, che non v'è parte dell'eſtenſione che non ſia
diviſibile all'infinito, e come la prima divifione fi fa per 2 , ed indi per 2
i Pittagorici aſſegnavano il 2 , come il fim bolo dell'infinito . Prima che una
parte fi ſeparaſſe da una certa eſtenſione , ella riteneva il nome di parte ,
ma quando è ſeparata , e che di nuovo ſi divide , ella non è più parte , ma
tutto . Queſti nomi di tutto , e di parte ſono ſempre relativi ; coloro per ciò
che definiſcono l' eſtenſione , ciò che ha parti fuori" di ? par ( 107 )
parti , null' altro dicono ſe non che l' eſtenſione è l'eſtenſione , perchè non
ha parti ſe non ciò che è eſteſo . Molto peggio fan no coloro , che ſuppongono
, che l' eſtenſione eſſendo compoſta di una infinità di parti fteſe , ſia
compoſta d'una infinità di ſo . ſtanze tra loro tutte ſeparate , perchè l'idea
dell'eſtenſione null hache di relativo , e ſuppone la coſa aſſoluta ,' o la
ſoſtanza , su cui la relazione ſi fonda . Il corpo fiſico , e mecanico non ſono
pura eſtenſione , come il geometrico, ; perchè nel corpo fiſico v'è la forza ,
o la for ma, e nel mecanico il peſo , origine delle proprietà , e dei lo ro
fenomeni. . 8. 42. Se l'uno è , le parti in quanto parti ſono parti dell' uno ,
o partecipano dell'uno . Le parti non poſſono eſſer parti di le ſteſſe , nè di
molti ( $. 40. Sezione 3. ) dunque dell' uno, il che è dire , che partecipano
dell' uno . §. 43, Se l'uno è , il tutto in quanto tutto partecipa dell' uno .
Il tutto cui nulla manca delle tre parti è uno ; dunque par tecipa dell'uno .
Corol. Il tutto dunque , e le parti partecipano dell' uno , e ciò ſignifica un
non so che di ſeparato da gli altri , ma eſiſten; te per sè , ſia egli
qualunque coſa. ANNOT. Non par egli, che Parmenide nel dir , che queſt' uno ſia
ſeparato dagli altri , e per sè eſiſtente , alluda all'idee feparatę che ha
combattute nella prima ſeſſione '? Se non vuol ciò dirſi , come contrario alla
profonda Filoſofia d'un sì grande Uomo, non ne liegue egli , che parlando qui
con Socrate , parla bensi col fuo linguaggio , ma nel tempo fteffo incende di
favellare fecondo le attrazioni della mente . 0 2 9.44. ( 108 ) 8. 44. Se l'uno
è , le cofe che partecipano dell' uno fono altra coſa che l'uno . Niuna coſa
può effer alcun uno fuor che lo ſteſſo uno ; dunque ſe le coſe partecipano
dell'uno , che vuol dire , non ſono lo ſtes fo uno , bifogna che fieno un'altra
coſa . COROL. Dunque le coſe che partecipano dell' uno fono de verſe dall'uno .
S. 4.5. Se l' uno è , le coſe che partecipano dell'uno , ſono in moltitudine
infinite . Se le coſe che partecipano l'uno ſono diverſe dall' uno , non ef
fendo uno nè più d'uno non faranno niente ; ma non fon l'uno , dunque più d'ano
, dunque ogni parte d'uno , include in eſſa i più, e queſti altri più , e così
in infinito , dunque le coſe clre parteci pano l'uno , ſono infinite in
moltitudine . COROL. Poichè il più include per fua natura la moltitudine in
finita , ogni parte che d'eſſo ſi tragga fuori con l'intelligenza le ben
piccoliflima rifpetto all'altre , ſarà in moltitudine infinita . ANNOT. Platone
dice da quelle ( cioè dei molti ) trar fuori con r* intelligenza alcuna cofa
piccoliffima . In qual altro modo pud egli meglio indicar l'aſtrazione della
mente .? nel dir Platone , che confiderando la diverſa natura della fpecie
fecondo ſe ſteſſa quanto di lei vediamo, fia egli infinito , e in moltitudine ,
altro non ſignifica con la diverſa natura , ſe non che ogni parte dell'
eftenfione include in sè più , e queſti altri più , e infiniti in . moltitudine
. 1 g. 46. Se l'uno è , la parre in quanto parte è diverſa dell' uno , per chè
l'uno è per sè indiviſibile , e la parte per sè divifibile . 8. 47 ( 109 ) S.
47. Se l'uno è , le parti ſono più che l' uno . Le parti diverſe dell'uno , ſe
non ſono uno , o più d'uno , nulla ſaranno , ma ogni cofa è uno o più ; dunque
ſe le parti diverſe dall uno non ſon uno , ſaranno più che uno . S. 48. Se
l'uno è , le parti che lo partecipano hanno termine tra loro , e riſpetto al
tutto , e il tutto riſpetto alle parti . Ogni parte è una, ogni tutto è uno ;
ſe l'uno e l'altro parte cipa l'uno ; ma quello che è fatto uno ha un termine .
Dunque ec. Corol. All' altre coſe , che all' uno , avviene che partecipan do
dell'uno , e di loro ſteſſe, ſi fanno in loro cert'altra coſa, il che dà loro
il termine , ma la natura loro che include i più , è per eſſenza infinita in
moltitudine; dunque le altre coſe che l'uno tutte ſecondo le particelle loro , ſono
infinite in numero , e par tecipi di termini. g . 49. Se l'uno è , le coſe che
partecipano l'uno , fono fimili, e dil ſimili, ſi movono , e ſi fermano , od
hanno altre paſſioni con trarie , Le altre coſe che l'uno , ſono tutte infinite
, o indefinite , fe condo la loro natura , onde tutte patiſcono lo ſteſſo, ed
aven do cermini , e diverſi termini, patiſcono il diverſo , ma il limi le è
quel che patiſce il ſimile , il diſſimile quel che patiſce il diverſo .
Dunquele coſe , altre che l'uno , ſono ſimili, e diffimi li . Maſe patiſcono le
ſtelle coſe , e diverſe , pariranno anche il moverſi , ed il fermarſi, l'eſſer
maggiori , minori , ed eguali , l' eſſer più vecchie , più giovani ec. e 3. 50
Riepilogando le coſe dette , abbiam dimoſtrato che ſe l'uno che in quanto lo
partecipano ſon d'ello parti. Che il tutto dal le parti riſultante partecipa
pur dell' uno ; che le parti parte cipanti del tutto , è dell' uno ſono
infinite in moltitudine, che han ( 110 ) . hanno termine tra loro , e rifpetto
al tutto, come il tutto l'ha riſpetto alle parci, onde nel patir le coſe ſteſſe
, e diverſe ſono ſimili, e diffimili , ſi moyono, e fi fermano . Paſſa a
confiderar Parmenide nella ſuppoſizione , che sia l'uno , coſa adiviene alle
coſe che non partecipano l'uno . g. 58 . Se l'uno è , e le altre coſe che non
partecipano l'uno, non ſono nè tutto , nè parii , nè fimili, nè diffimili , nè
le ſteſſe nè diverſe, non ſi movono , non fi fermano , non ſi fanno , non ſi
diſtruggono, non ſono , nè maggiori , nè minori , nè eguali , nè vecchie , nè
giovani . Si concepiſca l'uno ſeparato dall'altre coſe , cioè fi concepi ſca
che le altre coſe non lo partecipano , non vi ſaranno mol ti , perchè ognun de
molti è uno ; non vi ſarà numero , o mol titudine ordinata che principia
dall’uno, il quale ſucceſſivamen te li va aggiungendo a ſe ſteſſo , e fa ogni
numero uno nella fua fpecie ; non vi ſarà tutto , che è una moltitudine
riſtretta in uño ; non vi ſaranno parti , ognuna delle quali è uno ordi nata ad
un altro uno ; non vi ſaranno coſe limili, nè diffimi li, nè le ſteſſe , nè
diverſe con l' uno , perchè ſe teneffero in se -ſimigliznza , ediffimiglianza ,
comprenderebbono in sè due ſpecie tra loro contrarie , onde non eſſendo
partecipi di due , nemme no lo ſarebbono di due contrarj ; non poſſono eſſer
quindi le coſe nè ſteſſe, nè diverfe , nè moverſi , nè formarſi , nè diftrug.
gerſi, nè effer maggiori, giovani , e vecchie , perchè eſſendo ſem pre
partecipi di due coſe contrarie ſarebbono partecipi di nu mero . ANNOT. Queſto
è lo ſteſſo che concludere che l' uno traſcen dentale , eſſendo inſeparabile
dall' ente , è lo ſteſſo tor dalle coſe l' uno , che l'ente , od annullarlo .
g. 52. 1 Parmenide ha ultimamente conſiderato , coſa accaderebbe alle coſe, ſe
non vi foſſe l'uno , che per ipoteſi ſtabili . Or cangia ipoteſi, e cerca ,
coſa accaderebbe alle cofe fe non vi foſse l'uno . Queſte due ipoteſi ſembrano
diverſe , ma ricadono poi nello ſteſso , perchè canto è annullar le cote
ſeparando da loro l' uno che è , od eſsere ſi concepiſce , quanto annuliarle
ponendo le co ſe , e negando l'uno . SE ( 111 ) 1 SEZIONE QUARTA. B. I. Uando
per eſempio fi dice grandezza, e non grandezza, QI si dicono due coſe oppoſte ,
e tra loro contrarie , poichè la non grandezza diſtrugge ciò che la grandezza
pone o in natu ra , o nella mente ; le fi fanno quindi le due propoſizioni, la
grandezza è la non grandezza non è , tutte e due ſono nega tive, ma l'una è d'
un ſoggetto finito , e determinato , l'altra d'un ſoggetro infinito , e
indeterminato. La grandezza é il ſog getto di decerminata ſignificazione , la
non grandezza di ſignifica zione indeterminara, perchè non grande è il piccolo
, non grande il punto , non grande l'unità ec. Or il determinato è contrario
all indeterminato ; dunque, come ben oſservò Marſilio Ficino , le due
propoſizioni, la grandezza è , la non grandezza non è , ſono con trarie ,
ſebben l’una , e l'alcra fieno negative . Lo ſteſso debbe dirſi delle due
propoſizioni, l'uno non è , il non uno non è , egeneral mente della
propoſizione A non è ; non A non è : nella pri ma ſi nega ad A l'eſere , nella
ſeconda ad A che fi nega , ga l'effere . Negar ſemplicemente una coſa , e
negare la nega zione, ſono coſe tra loro contrarie . La propoſizione all'incon.
tro A non è , e l'altra non A è , ſono equivalenti , perchè nel la prima di A
fi nega l' eſſere , nella ſeconda fi afferma , che ad A fia negato l' eſſere.
Affermare la negazione è lo ſteſſo che negar la cola ; dunque equivalenti
propoſizioni ſaranno, l'uno non è , il non uno è . E' poi da oſſervarli, che le
negazioni, e pri vazioni ſi conoſcono per le loro realtà oppofte , la cecità
per la vi fione , le tenebre per la luce , non A per A. ſi ne B. 2 . Se l'uno
non è , nel pronunziar la propoſizione ai concepiſce chiaramente e
diſtintamente , che l'uno non fia , o li ha fcien za di ciò che s'eſprime, e
s'eſprime qualche coſa diverſa dall' altra , l'uno è . Le privazioni , e
negazioni ſi concepiſcono chia ramente , e diſtintamente per le loro realtà
oppoſte , dunque il non uno per l' uno ( J. 1. ) ma la propoſizione il non uno
è , è, equivalente all'altra l' uno non è , dunque queſta propoſizione l' uno
non è , fi concepiſce chiaramente e diſtintamente , o li ha ſcienza di lei . La
propoſizione l'uno non è , è diverſa dall' altra , 3 uno ( 112 ) ! $ 1 1 uno è ,
e chiaramente , e diſtintamente ſi concepiſce la loro diver ſità ; dunque nel
dir l' uno non è , ſi concepiſce qualche coſa di diverſo . Platone così lo dice
: eſprime primieramente alcuna coſa che ſi può conoſcere, poſcia differente
dall'altra , colui che dice uno , aggiungendovi l'eſfere, oil non eſſere ,
perciocchè non ſi conoſce meno , ciò che fia quel che ſi dice non ellere, e
come ſia certa co fa differente dall'altra . Corol. Può dunque predicarſi dell'
uno la ſcienza , e la di yerſità . S. 3 . Se non è l'uno, o ſe il non uno è ,
il non uno partecipa delle coſe che di lui ſi predicano , e non le partecipa .
Del non uno è , ſi predica la ſcienza , e la diverſità ( Cor. ant. ) dunque
partecipa di queſte coſe, mapoichè egli non è , non aven do eflenza , non può
participarle , perchè il non ente non ha pro prietà , dunque non le partecipa ;
dunque le partecipa , e non le partecipa . COROL. Così s'eſprime Platone : Il
non ente è partecipe di sé , e d'alcuna coſa , e di queſta , e con queſta , e
di queſta , e di cut te le coſe sì fatte; concioliachè non li direbbe uno , nè
le diverſe coſe dell'uno , ne avrebbe egli alcuna coſa , nè alcuna coſa fi chia
merebbe , ſe non foſſe partecipe di alcuna , nè di queſte altre nondimeno è
impoſſibile che ſia l'uno , ſe egli non é , ma niuna cofa vieta , che non ſia
partecipe di molte coſe, ed è neceſſario ancora ſe è quello l'uno , e non altro
, ma ſe non è , nè l'uno , nè quello non ſarà egli ; non ſi dirà nulla di lui ,
ed il ragionamento farà d'altra cofa , ma ſe fi ſuppone che quello uno non ſia
, è ne ceſſario che ſia partecipe di lui , e di molte altre coſe , . 4 . Se il
non uno è , il non uno è ſimile a ſe ſteſſo , e diffimile all'altre coſe, ed al
contrario . Il non uno convien col non uno , dunque con ſe ſteſſo ; dunque è
ſimile a ſe ſtello . Il non uno è diverſo dall'altre coſe che parte cipano
l'uno , dunque è diffimile dall'altre coſe ; ma il non uno non eſſendo , non
può aver proprietà d'effer ſimile , nè diffimi le , dunque ec. 8. S. 1 ( 113 )
§ . 5 . Se il non uno d , egli è eguale, ed ineguale all' altre coſe , e nel
tempo ſteſo eguale , ed ineguale . Gli eguali ſono fimili nella quantità; ma il
non uno non ha ſimiglianza con l'altre coſe, dunque non ha egualita ; ma ſe
egli non è eguale agli altri, gli altri non ſono eguali a lui , dunque è loro
ineguale ; ma gl' ineguali partecipano dell' ineguaglianza , cioè di grandezza,
edi piccolezza ; dunque l'uno che non è , egli è grande , e piccolo ; ma tra il
grande, e il piccolo ſi frammetter eguale , e chi ha grandezza , e piccolezza ,
pud ancora aver egua glianza; dunque l'uno che non è può participare di queſte
coſe; ma s'è dimoſtrato , che non le partecipa, dunque ec. 5. 6. Se l'uno non è
, ha in certo modo l'eſſere , o s'attri buiſcono a lui coſe che l'hanno.. -.
Nel dire che l'iuno non è , ſi ha ſcienza di cid che ſi dice ; nel dir che è ,
diverſo dall' uno , che è , e dall'alcre coſe ; che è fimile , non fimile ;
diſſimile , non diſſimile dall' altre coſe ; eguale , no eguale, fi profeſſa di
concepire, e di pronunziare il vero , ma eſprimendoſi , e pronunciandoli queſte
coſe a guiſa di enti , all'uno che non è s' attribuiſcono in queſto modo, onde
egli ha in un certo modo l'eſſere . B. 70 Queſta propoſizione : il nulla è
nulla , il nulla non è nulla , equivale a queſte altre due : il non ente è non
' ente ; il non ente non è non ente . La prima di elle è affirmativa, ed iden ,
tica , perchè fi afferma il nulla di ſe ſteſo, la ſeconda è nega tiva , perchè
ſi nega il nulla del nulla , che vuol dir , ſi affer. ma qualche coſa , perche
una negazione diſtruggendo l' altra elleno affermano . Nel dire il non ente ,
non ente , il non en te vien a participare in un certo modo dell effere ,
affine di ef ſer non ente .. Nel dire all'incontro il non ente non è non en te,
il non ente per non eſſere non ente che vuol dir per eſ ſere , vien a
partecipar del non eſſere . Così intendo Platone , Tomo II. P allor ( 114 ) 1
allor che dice : il non ente ad eller non ente ba il legame dei non eſſere , fe
dee non eſſere, come lente tiene nella ſtella guiſa il legame deli eſere ,
perchè ei non ſia non ente , affinchè di nuovo ei fia perfettamente, e non
ſiapartecipe il non ente delléſenza , del non eſſer non ente , ma dell'eſenza
dell'eſer non ente , ſe il non ento fia perfettamente. $ Se l'uno non è , egli
partecipa ; e non partecipa dell' eflenza 1 L'ente è partecipe del non eſſere ,
ed il non .ente dell'eſſe re ( $. 7. Sez. 4. ) ma ſe non è , l'uno é neceffario
che ſia par tecipe del non eſſere , affinchè ei non ſia ; dunque appariſce ,
che l'eſſenza ſia nell' uno , ſe egli non è , e la non effenza ſé egli è .
ANNOT. Tutti queſti ſono ſcherzi metafiſici , per dar luogo alle nozioni
immaginarie , e quindi alle contraddizioni , che mo ſtrano le coſe impoſſibili
; ben deve oſſervarſi , che facilmente con effe fi cade in quel mirabile , che
degenera in puerilità . Platone ſobriamente l' adopra , per dimoſtrare in quali
raffina menti sfumavano le dottrine della ſetta Elearica . 9. 9. Se l'uno non è
, ha mutamento , e in conſeguenza moto , e non ha moto, Šisru ! L'uno parve
ente , e non ente , onde fta così , e non così , dunque fi muta paſſando dall'
eſfér al non effer ; dunque ha moto . Ma fe l'uno non è , non è in alcun luogo
, perchè ogni en té è in qualche luogo, ma non eſſendo mai in luogo non pudo
paſſare da un luogo all'altro , dunque non percid fi move , per che non ſi
traſmuta . . io. ( 115 ) : $ . io . Y Se l'uno non è , non ſi altera , e non
alterandoli ne ſi muta , nè ſi move . L'uno non eſſendo , non può mai verſare
in quello che non è , dunque non alterarſi , poichè ſe l'uno da ſe stello li
alceral fe in alcun luogo , non ſi ragionerebbe più deil' uno , ma di cer ta
altra coſa ; ma ſe non li altera non ſi rivolge in fe fteffo nè fi muta , nè ſi
altera ; dunque ec . ļ $. Se l'uno non è , fta e ſi moồe , e fi altera , Quel
che non ſi move ſe ne ſta in quiete , e ſi ferma que gli che in quiete ne fta ;
dunque l'ano non effendo, comeapo pariſce ſta egli e li move , anzi movendoſi è
neceſſario che ſi alteri, perchè in quanto alcuna coſa ſi move , incanto ſe ne
ſta ella non nello ſteſſo modo , ma altrimenti; dunque l'uno mentre fi move ſi
altera , e nondimeno non movendoſi in niun luogo in niuna guiſa ſi può alterare
; dunque in quanto fi move" , ciò che non è uno ſi altera ; ma in quanto non
ti move , non fi alce ra , dunque l'uno non eſſendo ſi altera , e non ſi altera
. $. 12 Se l'uno non è , egli è diverſo da quel che era prima, non ſi altera ;
non fi fa , non ci muore , e di nuovo ſi fa , emuore . Cid che ſi alcera è
neceſſario che ſi faccia diverſo da quel che era prima , ma quel che non fi
altera , non ſi fa në muore ; dunque l'uno , non eſſendo mentre fi altera , e
ſi fa , e periſce, ma non alterandoſi , non fi fa , nè muore , nè periſce , ed
in do tal guiſa l' uno 'non effendo , li fa , e muore e di nuovo non fi fa , nè
muore . §. 13 : Sin ora ha dimoſtrato Platone , che ſe l' uno non è , egli dà
di sè fcienza, ed ha in sè diverlicà, che è partecipe, e non par tecipe di
altre cole ; quindi lo ſteilo-, e non lo ſteſſo con ſe ſtel р . 2 ( 116 ) ſi
move fteffo , ſimile e diffimile nè ſimile , nè diffimile , eguale , ed
ineguale, non eguale , nè ineguale , partecipe d'eſſenza , e non partecipe , ſi
muta , e non ſi muta e non ſi mo ve , fi altera , e non fi altera , ft fa , c
periſce , e fi fa , e non periſce . Tutte queſte concluſioni derivano dalla
poſizione, l' uno non è ; l'uno eſſendo inſeparabile dall'ente , ſe non v'è
l'uno , nè pur v'è l'ente . OrPente non è , che il poflibile . Annullato dunque
il poſſibile reſta l' impoffibile, da cui ſecondo l' Aflioma ſegue coſa , ex
impoſſibile ſequitur quolibet , perchè nell'idea aſtrat ta dell'impoſſibile
s'includono tutte le contraddizioni . Platone dal conſiderare , che l'uno non
ha eſſenza , e non n'è capace , nega tutte le altre relazioni che pud avere .
Premetto a ciò che quando diciamo, che alcuna coſa non ſia , nel proferire ,
queſto non è , fi fignifica ſemplicemente, che non è al tutto in niun modo , e
non eſſendo in niun modo , non è capace in alcun modo di eſſenza ; dunque non
potrà eſſere il non ente , ne in alcun modo farſi partecipe di eſsenza . §. 14.
Se l'uno non è , non può farſi in alcun modo par tecipe d'eſsenza . Quel che
non è , ſignifica ſemplicemente , che non è al tur 10 , in niun modo , o non è
ſemplicemente capace di eſsenza , dunque fe l'uno non è , non può mai eſser
capace d'eſsenza . . 15 : ne la per Se l'uno non è , non pud farſit , nd
morire. Chi non è partecipe di eſsenza , non la riceve , nè la de . Dunque fe.
L'uno non è , non pud nè ricever , nè acqui ftar l'eſsenza , perchè non n ' è
capace ; dunque non periſce , nè fi fa . $. 16. Se l'uno nonè , non fi altera ,
nè fi move , nè ſe ne ſta , non ha grandezza , nè piccolezza , nè parità, né
limiglianza, e dia , verlin ( 11 ) 3 onde eſsenza , non può aver ne grandezza ,
nèpic marfi. Se verſità riſpetto all' altre coſe , e a ſe ſteſso , nè gli
conviene ale cun altro attributo Se l'uno non è , non ſi altera , perchè fi
farebbe già , je pe rirebbe potendo queſto ; ſe non ſi alcera , nè men fi move,
ſe come non ente , non eſsendo in alcun luogo , non pud ſtar lo ſteſso in
alcuna coſa, nè in alcuna coſa fermarſi. Se non ha nè piccolezza , nè parità,
eſser ſimile, o diverſo , o rifpetto all'altre coſe , o a ſe ſteſso, nè le
altre coſe potranno eſser in lui in alcun modo, gli ſono , nè fimili , nè
diffimili , nèle ſteſse , nè diverſe , nè pud ſtar ſeco , non ha il di lui, o
ciò che ſi dice di alcuna coſa , o queſto , o di queſto , o d'altrui, o ad
altrui , o alcuna volta , o dopo , o al preſente , o ſcienza, o opinione , o ſenſo
, o fer mone, o nome, o qualunque altro degli enti . Annot. Sebben ſi oſserva ,
Platone al non uno toglie tutto quello che ha dato all'uno , conſiderato in ſe
ſteſso nella prima Sezione , argomento evidente, che, quando tutti gli altri
man caſsero, quì non ſi trarca che delle aſtrazioni della mente , fra miſchiate
tallora con le nozioni immaginarie , quali ſono in que fta Sezione , e nel
rimanente . Non ci reſta che l'ultima quiſtione, in cui ſi cerca ſe non è l'uno
, che accada all'altre coſe . SEZIONE QUINTA,. $ . 1 . S'orser Oſservi tolto.
1. Che ciò che è , o è l' uno , o l'altre co ſe • 2. Che ſe queſte non foſsero
( almeno nella noſtra im-. maginazione , o nella noſtra mente ) di loro non ſi
diſputereb be, perchè il nulla non ha proprierà . 3. Che ſe dell' altre li fa
vella, l'altre ſono il diverſo , poichè l'altro , e il diverſo ſono fi nonimi',
onde diciamo altro non eſser l'altro , che l'altro d'al tri , ed efser del
diverſo diverſo , e che per far le coſe altre dalla uno , vi ſi debbe aggiungere
qualche altra coſa , onde fieno per eſser altre , di cui ſaranno altre . 3
Tesni f. 2. ( 118 ) S. 2 .. Se l'uno non è , le coſe altre o diverſe dall'uno ,
non ſono altre. o diverſe , che per ragion di ſe ſteſse .. Nelle coſe altre
dall' uno o diverſe dall'uno , vi's include' qual che altra coſa , per cui
fieno altre , ma queſta coſa non pud ef ſer l'uno , perchè per ipoteſi egli non
v'è. Dunque , poiché non v'è , che l' uno , e l'altre coſe , eſcluſo che altre
coſe non fieno . altre per luno ne liegue che ſieno altre per ſe. ftelse ,
COROL.. Dunque: per ſe ſteſse. ſono ciò che ſono tra se .. , S: 3 Se: l'uno non
v'è , le coſe altre dall' uno ſono tali per una moltitudine infinita . Non v'è
che uno o i più , dunque le coſe altre o diverſe 1 dall’uno , non potendo eſser
altre che l'uno , il quale non v'è per ipoteſi, non ſaranno altre che per i più
, cioè per la mol: titudine ; ma il più , o la moltitudine eſsendo per le
ſteſsa in finita '; le coſe. altre dall uno ,. ſono alore per una: moltitudine
infinita .. COROLLAR . Qualunque mala dunque di loro appariſce in molti-.
tudine infinita, e ſe alcuno ſi prenderà ciò che menomilimo pare co. me. Sogno
, incontinente in vece di quello che pare uno , ſi fa innangi una moltitudine
infinita , e in vece di quella chemenomilimopar ve, apparirebbe grandiſſimo già
, ſe il pareggialli ad altre coſe in die Sparte da lui . Cosi: parla Platone :
fia prefa qualunque parte d'eſtenſione, el la è diviſibile in due , ed inoi in
due , e così all'infinito . Della di viſione di cui è capace il tutto , ſono
capaci reſpettivamente le parti , nè v'è particella si minima, che le noi nell'
ipotefi che non v'è uno , poteſſimo vedere con un microſcopio miracolo fo ,,
non ci pareſse diviſa in una moltitudine infinita di parti , ma tali che nell'
iſtante ſteſso , che noi vedeſſimo la parte , la vedremmo attualmente diviſa in
altre parti infinite , e cosi all'in finito ; non è che io dir voglia , che
vedremmo l'infinito at tuale , perchè non poſſiamo intenderlo , non che vederlo
, nè so come il Leibnizio abbia poruto concepir nella più minima par 1 ( 119 )
parte di ciò che egli chiama 'materia , un numero attualmente infinito di
monadi" ; biſogna prima provare , che noi concepia mo l'infinito attuale -
, ed indi che vi ſieno queſte monadi ; ma ſe vi foſsero , il che io non l'
ammetto , che come principio di co gnizione , e non di natura, in eſse , come
l'eſprime il nome loro , v è un'unità , che è il fondamento di concepir nella
monade innumerabili proprietà ; ma quì nell' eſtenlione Platonica , biſo gna
rappreſentarfi ogni parte deſsa ſeparata dall' uno ; ' v'è in ciò
contraddizione , ma appunto Platone - la ſuppone per de dur dall'aſsurdo i ,
l'impoſſibilità di ſeparar l' uno dall'ente . § . 4. Se non è l'uno in ogni
maſsa apparente apparirà il numero , e le proprietà dei numeri , l'eguale , il
mag giore , il minore. Tolto l' uno dalla maſsa , ci ſi fa come nel ſogno
innanzi una moltitudine infinita , in cui ſe ſi vuol ordinar colla mente la
moltitudine , vi ſi trova il numero ; quindi il pari, e l' impari ; il picciolo
, il grande , il piccioliſſimo , il grandiſſimo., compa rando tra loro le maſse
, in cui s'è diviſa la maſsa maggiore , e quindi l'eguale , perchè non ſi può
paſsar dal maggiore al mino re ſenza paſsar per l'eguale , ma queſti ſaranno
tutti fantasmi d' egualità , di maggiore, di minore, di pari, d'impari ec, come
di numero , §. 5. Se non v'è l' uno , ogni maſsa apparente avendo termine appa
rente , riſpetto all' altra non ha nè principio, nè mezzo , nè fine riſpetto a
fe ftefsa . Si prenda alcuna delle maſse apparenti coll intelligenza , in nanzi
al principio , ſe le fa ſempre innanzi altro principio , e dopo il fine, ſegue
ſempre un altro fine , e nel mezzo altre coſe ſem pre più interne del mezzo , e
ſempre minori , perchè non ſi può ricever in queſta alcun uno , non eſsendo
l'uno . Annot. E ' da oſservarſi, che qui Platone dice , prender alcu na coſa
con l'intelligenza , cioè aſtrattamente conliderarla í vi ag ( 120 ) aggiunge
poi che potendoſi prender la maſsa ſenza l' uno , cioè fenza far aftrazione
dall'uno, ſi sbrana qualunque coſa così pre ſa con l'intelligenza , che è
quanto a dire con la mente fi* di vide in più parti, e queſte in altre , e così
all'infinito . S. 6. Se l'uno non è , preſa qualunque maſſa a chi da lungi la
mira groſſamente par uno, ma chi da preffo l'in tende è un infinito in
moltitudine . Non potendo noi nulla concepir ſenza l' uno a prima viſta , e da
lungi mirato ci par uno , ma da preſſo , e acutamente vedendolo , tolto l'uno,
ci rappreſenciamo infiniti . COROL . Se dunque non v'è l'uno , ma l'altre coſe
dall' uno , qualunque di eſſe è infinita , e con termine ed uno , e molci . Se
non v'è l'uno le altre coſe ci pareranno , e ſimili, e diffi mili , e le ſteſſe
, e le diverſe , e unire , e ſeparate , e moverſi, fermarſi ; nè potendo noi
concepir le coſe ſenza l'uno le ve dremo , come adombrate da lunge, e patir lo
ſteſſo , ed eſſere fimiglianci , mada preſſo molte , e diverſe , e per il
fantasma della diverſità diverſe , e diflimiglianti tra loro ſteſſe e pari mente
ci pareranno le maſſe ſimili, e diffimili , e da loro ſteſ ſe , e tra di sè , e
le ſteſſe , e diverſe tra loro , e che tocchi no, e fieno ſeparate da loro
ſteſſe , e fi movano con tutti i mo ti, e ſi facciano , e periſcano , e nell'
una , e nell' altra manie e tutte le coſe sì fatte che li poſſono dedurre dalle
coſe 7 ra , già dette . S. 7 . Ha dimoſtrato fin ora Parmenide 3 che adiviene
alle coſe ſe non è l' uno , cerca poi che fieno gli altri che non ſon uno . 1 §
. 8. ( 121 ) $. 8. Se non è l'uno, le alere coſe non ſon uno , ne molti . Non
ſono uno , perchè non v'è l' uno ; non ſono molti perchè i molti preſuppongono
l'uno . ital 18. s. Se non v'è l'uno , non vi ſarà nè opinione , nè fantasma ,
ne ſcienza dell'altre coſe. Le altre coſe non hanno alcun concetto con niuna di
quel le che non ſono , nè alcuna di quelle che non ſono è appreſso ad alcuna
dell'altre che ſono ; dunque appreſſo ad altri non v'è opinione, non v'è
fantasma dell'ente , e quindi dell uno ; ma ſe non v'è l'uno , non effendo
poſſibile il penſar a molte coſe fen za r uno , neppur èpoſſibile che ſi penſi
che fieno uno , o mol ti le coſe . . 10 . Se non vè l' uno , le coſe non fono
nè fimili , nè diffi mili , nè le ſteſſe , nè diverſe , nè ſi toccano , ne
& ſeparano Non ſi poſſono concepir le coſe ſenza l'uno ; dunque ſe non vi è
l'uno , non ſi poſſono concepire , nè ſimili , nè diffimili nè le fteffe , nè
diverſe , nè unite, nd ſeparate . COROL. Dunque ſe non v' è l' uno nulla v'è ,
onde o ſia l' uno , o non fia , ed egli e l'altre coſe ancora ſono , e non ſo
no ad ogni modo riſpetto a fe ftelle , e tra di loro , e appajo no , e non
appajono . II . Riftringendo in poco tutto ciò che negli ultimi paragrafi s'è
eſpoſto , egli è manifefto , che l' uno efiendo inſeparabile dall' ente, ove non
v'è più uno , non v'è più d'ente , cioè v'è nul. la , ol'impoſſibile", da
cui ſeguono tutti i contraddittorj, qual Tomo II. q Pla ( 122 ) Platone ci
eſpoſe per via di nozioni affatto immaginarie ; egli ne fa veder i uſo , e
moſtra nel tempo ſteſſo , quanto la fan taſia ſia diverſa dall' intelletto ,
poichè ella ci rappreſenta una coſa , mentre la mente ragionando ce ne fa
concepire un'altra . Si conclude dunque , che Placone in queſto Dialogo non fi
af fiffa che a moſtrar ſuſo dell'aſtrazioni della mente , nell' inve ſtigazione
dell' idee . 1. Con le negazioni, come fece nel primo capo. 2. Con le analogie
dell'altre idee aſtratte; finalmente con le cognizioni dell' idee , del ſenſo ,
della fantaſia , combinate a quelle della mente. L E T T E R A ALS I G. ABBATE
SALIER Primo Cuſtode della Biblioteca DEL RE CRISTIANISSIMO . On dubitate che
io ſia mai per dimenticarmi di voi , co N°me alcuni venuti ultimamente di
Francia m' accufaro no da voſtra parte ; troppo m'è rimaſta impreſſa
l'idea della bontà , e gentilezza voftra , troppo è ſtato vivo il piacere e
ſodo il profitto , che io ricavai dalle converſazioni letterarie , che abbiamo
fpeſſo avute inſieme , e tra l'altre su l'opere di Platone ; ce ne porgevano il
motivo le ſaggie rifleſſioni, che leggevaci l'Ab bate Fraguier , or su l'ironia
di Socrate , or ful carattere de'So fifti , or su la Repubblica , ed or su le
Leggi, tutti oggetti delle belle diſſertazioni , che egli diede alla voſtra
Accademia . Solo la Iciò egli intatto il Parmenide , o non aveſſe il tempo , o
la voglia d' applicarſi a ſviluppare un Dialogo , che è il più malagevole di
Platone, o temeſſe dioffendere la ſoavità del ſuo genio con l'idee troppo
auftere , e filoſofiche , delle quali il Dialogo abbonda . Voi ben ſapete, che
per voſtro conſiglio m' applicai a leggerlo con attenzione fin dall'anno 1725.
e ne concepii quel fiſtema, di cui állor vi parlai . Venuto in Italia , e
diftratto da graviſſimi intereſſi dimeſtici , ne interruppi l'eſame già
cominciato, ſebbene negli intervalli io leggeſſi continuamente Platone ; e
l'avrete ve duto nel Sogno del Globo di Venere , che il Signor Conte di Cai lus
v avrà forſe dimoſtrato in lingua Franceſe tradotto . Di tem po intempo io
parlai del Parmenide con gli amici , e mi fi fue gliò il deſiderio di compierne
il ſiſtema da me abbozzato all'occa lione del Platone di Dardi Bembo , che
ſtampali in Venezia , con P aggiunta delle note e degli argomenti del Serano
letteralmente tradotti . Dalla Differtazione preliminare ritrarrete l'idea
generale del la Filoſofia Eleatica così celebre per l'acurezza , e per la
profon dità de' Filoſofi, come la Jonica per la fodezza dell'eſperienze , e
l'Ita ( 124 ) 1 1 ľ Italica per la felice combinazione della Geometria , e
dell'A ſtronomia alla Fiſica. Non è difficile ſcoprire, che la metafiſica do
Ariſtotele è tratta in granparte in queſto Dialogo , in cui Plato ne abbandona
quaſi l' artificio poetico adoprato negli altri , e ſi ſpiega nella maniera più
ſemplice, e più preciſa . Nella prima Sef fione io v'oſſervai i tre fonti delle
allurdità degli argomenti me tafiſici; il principio di contraddizione, il
progreſſo all'infinito , el' annullazione fuppofta di qualche perfezione
divina. GliEleatici , che forſe gli inventarono, riconoſceano i limiti
dell'intelligenza uma na , e pur era queſta la minor parte della Dialectica
loro , la qual vaga va per tutti i lommi generi delle coſe. La quiſtione
dell'origine e della natura dell' idee v'è più che abbozzata , e la riſpoſta
che so crare diede a Parmenide , su la maggior difficolcà dell' idee , è la
ſteſſa che uso il Padre Malebranchio nel medeſimo caſo . Nell'al tre opere s'
accuſa il Commentatore di dar troppo ſpirito al ſuo Filoſofo ; in queſta è
cutto il contrario , poichè per quanto ſi ſpieghi Platone, vi reſta fempre
molto a medicare , e la compa razione del reſto fa ſempre vergogna al commento
. Il Ficino , e il Serano , che aſſegnarono al Dialogo un grado di ſublimità
Teologica non convenevole , l'hanno sfigurato , e colto agli altri il profitto
, che avrebbono potuto ricavare da una ſpe colazione così ben dedocta e
conforta nè punto inteſa dai due Commentatori , i quali preteſero che in queſto
Dialogo chiama to dell'idee , voleſſe Platone diſputare a pro delle feparate ,
quan do egli manifeſtamente le rifiuto , tutto riducendo all' Ontolo gia che è
la più bella , e la più utile parte della metafiſica In molci errori cadè
miſeramente il Carcelio , per averla ab bandonata, eſpregiata ; e non furono
dal Leibnizio , ed indi dal Wolfio ridotti al ſuo vero lume i dogmi filoſofici,
ſe non dopo che effi s' affaticarono a dimoſtrare , le nozioni Ontologiche
eſſer quelle alle quali convien avertire prima d' inoltrarſi nella combinazione
dell'idee, e quindineiſiſtemi. Tutti gli uomini pre veggono gli aſtratti ne'
concreci, pochi hanno la forza di ſepa rarli, pochiſſimi quella di ridurli in
teoria , ed è ſolo riſerva to a' ſommi Filoſofi il farne ſiſtema. Voi molto più
vedete in Platone , che io poſſa eſprimere ; in canto vi prego a conſer varmi
il voſtro affetto , ed eſſer certo che il mio farà ſempre inviolabile. Antonio Schinella Conti. Antonio Conti. Keywords: Corti’s
French letters – Corti’s Scritti Filosofici, Dialoghi Filosofichi, about
whether corpori celesti are inhabited -- l’infinito, self-referential,
recursion, anti-sneak, regress, infinite regress in the analysis of
communication, calcolo finitesimale, calcolo infinitesimale, Enea stoico,
Ottavio Stoico, Cicerone stoico – allegoria dell’Eneide, scudo di Enea, Il
Parmenide di Platone – assiomatico dell’essere – L’essere e. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Conti” – The Swimming-Pool Library.
CONTI (San Miniato).
Filosofo. Grice: “Conti is a good one – a historian of philosophy, or rather a
philosophical historian – I never know! – his chapter on the Greek embassy that
brought philosophy to Rome is stimulating!” Studia a Siena e Pisa. Si laurea a
Lucca. Insegna a Lucca, Pisa, Firenze. Filosofo del bello, che define stare fra
il vero e il buono, e li collega come il mezzo tra il principio e fine. Altre
opere: “Cose di storia e d'arte; Evidenza, amore e fede, o i criteri della
filosofia, discorsi e dialoghi. Famiglia, patria, Dio, o i tre amori”; “I
discorsi del tempo in un viaggio in Italia”. In ogni città coglie occasione per
un insegnamento civile; a Venezia isulla religione, a Milano sullo stato, ecc.;
“Il bello nel vero, o estetica”; “Il buono nel vero, o morale e diritto
naturale”. “Illustrazione delle sculture e dei mosaici sulla facciata del Duomo
di Firenze”; “Il vero nell'ordine, o ontologia e logica”; “L'armonia delle
cose, o antropologia”. Cerca di costruire una metafisica fondata sulla
relazione, l'armonia, l'ordine; Studia l’educazione religiosa, civile e private;
“Letteratura e patria, collana di ricordi nazionali”; “Nuovi discorsi del
tempo, o famiglia, Patria, Dio Religione ed arte, collana di ricordi
nazionali”; “Storia della filosofia”, molto accreditata. “Sveglie dell'anima.
Il Messia redentore vaticinato, uomo dei dolori, re della gloria. La mia corona
del rosario. Ai figli del popolo, consigli. Giovanni Duprè o Dell'arte, 2
dialoghi. Evidenza, amore e fede o i criteri della filosofia” -- lezioni e
dialoghi sulla filosofia cristiana; lavoro scientifico e popolare, e discorsi
sulla storia della filosofia, accordo della filosofia con la tradizione;
discussione sulla filosofia e la fede. La filosofia di Dante. “Il bello qual
mezzo”. Dizionario Biografico degli Italiani. Armonie ideali nell'opere belle. L'artista
deve tendere al più alto se gno ideale. Ordine dell'idea chiaro che include
giudizj e ragionamenti. 4. Dialettica dell'arte , o dialettica rappre sentativa
. – 5. L'idea è universale , - 6. talchè i parti colari dell'arte non debbono
mai ecclissare o escludere l'uni versalità del concetto ; 7. perché ,
altrimenti , arte bella non c'è . – 8. L ' ordine ideale porge alle immagini
formo sità -- 9. eletta , che manifestasi o per cose straordinarie . 10. o per
l'eccellenza de'modi , o per tutto ciò ad un tem po , ma ſuggendo le
ampollosità . 11. L'ordine ideale si determina ne sezni . 12. onde s' origina
l'armonia de'con trapposti. 13. Armonia dell'ordine ideale con la natura , 14.
legge di corrispondenza e di contrapposto anche in ció. – 15. Armonia col
divino per natura . 16. Conclu . sione. e - CAP. XXVII. Il gusto del Bello ...
19 1. Regola prossima è il gusto . - 2. Sentimento di verità , di bellezza , e
di bene . - 3. Che cosa è il gusto ? . 4. Ana logie del gusto intellettivo col
gusto sensitivo . – 5. Urficj del gusto ; sanità e infermità ; abiti buoni , o
vizinsi . 6 . S'esamina gli ufficj del gusto intellettivo della bellezza . 7.
Effetto del gusto . 8. Il gusto non può mancare a ' veri artisti , e avvertenze
io giudicare il gusto loro dall' opere . 9. Quattro gradi del gusto . - 10.
Aiuto che il gusto del bello riceve dal sentimento logico e dalla morale
coscienza . 11. Stato di sanità o di malattia , cioè buona o rea edu cazione.
12 E empj. 13. Stato d' abiti buoni o vizio . si . 14. Esempj. - 15.
Conclusione. 16. Come si può guarire o correggere il gusto falso . CAP. XXVIII.
Le leggi del gusto ... 1. Argomento . 2. Che cosa presuppone l'esame ch'uno
faccia del proprio gusto, 3. affinchè possa regolarci un gusto buono e
rettificarsi un gusto cattivo , 4. e primiera mente il derivato da falsa
educazione. 5. Studio perciò di buoni esemplari . 6. Esame degli abiti viziosi,
e quanto alla verità – 7. e quanto a ' fini dell'arte . - 8. Il gusto deve 36
454 INDICE DEL VOLUME SECONDO . mostrarci il modo e il quando dell'operare . 9.
Elevazione del sentimento. 10. Verosimiglianza . 11. Esempj. 12. Equazione di
tutti gli elementi dell'arte con l'idea . 13. Gusto de' limiti . 14. Esempj.
15. I limiti massi. mamente ne segni esteriori . 16. Conclusione . CAP. XXIX .
I Pedanti e i Licenziosi .... Pag. 53 1. Argomento . 2. Che sieno i Pedanti e i
Licenziosi . 5. Significato più generale di questi vocaboli . 4. Si gnificato
più proprio e stretto . 5. Errori contrarj e vizj comuni . - 6. La pedanteria
va fuori di natura . 7. Esem pj. 8. Va fuor di natura la licenza . 9. Esempj.
10 . Non comprendono l'universalità i Pedanti . - 11. Esempj. 12. Nė la
comprendono Licenziosi . 13. Esempj. 14. Non hanno vera nobiltà i Pedanti , 15.
e la licenza è ignobilità . - 16. Talchè gli uni e gli altri non consegui scono
fama durevole . CAP 70 . XXX. Estro . Leggi dell'ordine immaginato .. 1.
Argomento . — 2. Immaginazione . Rinnovazione di fan tasmi , 3. e innovazione o
invenzione. 4. Queste per tre modi , spontaneo. pensato , meditato . — 5. Legge
univer sale della fantasia e sede di quella nell'intelletto . 6. Gradi
dell'invenzione immaginativa . Primo ; mutamento di alcune cose percepite . 7.
Secondo ; immagini di cose reali non percepite . Terzo ; novità d'imma.ini fra
percezioni oscure . 8. Quarto ; un ordine di verosimiglianze relativo a un or
dine di cose reali determinato . 9. Quinto ; relativo a no tizie vaghe. 10.
Sesto ; relativo ad astratte generalità. 11. Settimo ; fantasmi di cose
semplici, spirituali , divine. 12. Ultimo ; armonia universale di fantasmi e
loro elevazione . 13. Perché l'estro abbia tal nome. - 14. Origini sue
misteriose. 15. Estro fallace o vuoto , e vero o fecondo . 16. Conclusione .
CAP. XXXI. Armonia interna delle Immagini....... 87 1. Argomento . — 2.
Sceltezza e vita delle immagini , Scel. tezza rispetto all'arti diverse ; 3. e
rispetto ai componi menti speciali d'un' arte ; e rispetto agli argomenti. 4 .
Sceltezza per la qualità e per la quantità . 5. Vita delle immagini , 6. come
le figure d'affetto nell'arte del dire. -7. Unione del sensibile con l'ideale .
Allegoria , e 8 . allegorie speciali , 9. e vizj dell'allegoria . 10. L'im
magine deve ritrarre l'idea intera ; e quindi bisogna imma ginar l'opera
innanzi di farla . - 11. e che rispondano i par ticolari al lutto , 12. e l'e -
trinseco venga dall'intrinseco , e gli accessorj dal principale . 13.
Spiritualità delle im magini. 14. e vizj opposti . 15. Relazione specificata
delle immagini co' segni . 16. Conclusione . INDICE DEL VOLUME SECONDO . 455
Cap. XXXII . Armonie di verosimiglianza in generale . Pag. 106 1. Argomento e
legge universale di corrispondenza e di con trapposto , e come si rifletta
nelle immagini dell'arte. 2 . Questa legge apparisce nella qualità, quantità ,
tempo e spa zio . 3. Relazioni. 4. Esempj antichi di letteratura . 5. Esempj
dell'éra nostra , - 6. Drammatica e lirica 7 . Figure di confronto ne'linguaggi.
– 8. Esempi del disegno e della musica . 9. Analogia del corporeo e dello
spiritua le . 10. Loro diversità ; – 11. e contrapposto nella na tura e
nell'arte . 12. Verosimile immaginoso , che differi sce dal reale , benchè gli
somigli. 13. Quello trascende . Poesia e architettura . 14. Scultura , pittura
, musica , e arti ausiliari . - 15. Com'accade ciò . 16. Conclusione . 124 10 ,
e Cap . XXXIII. Armonie con la natura corporea . 1. Argomento. -- 2. Legge
naturale di simetria . 5. Vi sta e udito porgono immediati all'arte bella i
sensibili rap presentati , - 4. Il lalto remotamente, il gusto e l'odorato
indirettamente forniscono all'arte cose immaginabili, salvo la poesia ch'è
universale. -- 5. Legge naturale di simetria ne ' visibili aspetti , - 6. e ne'
suoni. - 7. Legge corrispon dente nell'arte bella . 8. Simetria di quantità nel
grado. 9. Simetria di quantità nel numero de' suoni , delle cose visibili . 11.
Simetria naturale dello spazio . 12. Simetria nell'arti , quanto a’limiti . 13.
Simetria di limiti anche nell'unione di più cose . — 14. Simetria di luo ghi .
15. Simetria di tempo misuratore , e di tempo rap presentato. - 16. Conclusione
. CAP. XXXIV. Armonie con la natura spirituale .... 1. Gli affetti . 2.
Somiglianza loro ; 3. varietà ; 4 . contrapposto . 5. Personificazione
immaginosa dell'unmo, 6. e della socievolezza ; - 7. che dall'arti non prò mai
scompagnarsi . - 8. Personificazione immaginosa del mondo materiale per tre
modi . 9. Idem . · 10. Il Materialismo non può spiegarla . 11. Person i
ſicazione immaginosa del soprannaturale ; 12. presa sostanzialmente da simboli
e miti di credenze religiose ; 13. ma trasformate dal . l'estro . 14. La
personificazione , ritraendo l'uomo , ac cenna lo stato degli artisti e de'
tempi loro . Grecia , Roma, 15. Italia ; suo scadimento ; letterature straniere
. . 16 . Anche nell' altre arti avviene lo stesso . 141 Cap. XXXV.
Immaginazioni tragiche e comiche 158 ....... 1. Argomento . 2. Può l'ottimo
essere argomento del l'arte bella ? 3. Può il pessimo ? — 15. Immaginazioni
tragiche e comiche . - 5. Quando mai nasce l'immagina zione tragica più
specialmente ? 6. Quando la comica ? 7. Condizioni dell'una , - 8. e dell'
altra . - 9. La morte immaginata nell'arte , 10. eidolori del senso , tragica
mente ; - 11. 0 comicamente . 12. Deformità fisiche nel 456 INDICE DEL VOLUME
SECONDO . rispetto tragico ; 13. e nel comico . - 14. Le mostruosità nell'un
rispetto , · 15. e nell'altro , e come in ciò facilmente si trasmodi. 16.
Conclusione . CAP. XXXVI. Ordine de' Segni . Stile . Pag. 176 1. Argomento. 2.
Nozione generica dello stile . - 3. Nozione meno generica . - 4. Nozione
determinata . 5. Ne cessità di meditare lo stile . 6. Idem . 7. Ordine dello
stile . Unità . - 8. proprietà , evidenza , 9. vivezza , for . mosità . 10.
verosimiglianza. Legge sua universale . - 11 . L'unione di dette qualità forma
il decoro . 12. Esempio di essa , - 13. Esempio del contrario . 14. La misura
nello stile . 15. Sunto. 16. Conclusione, 193 CAP. XXXVII. Armonia intrinseca
dello stile e co ' propri segni .. 1. Argomento . - 2.Unità del bello stile .
3. Si riscon tra nell'arte del dire ; ne'proverbj e rispetti , · 4. nelle
sentenze , 5. nel periodo , 6. nell'armonia e nell'unione del discorso . 7. Si
riscontra nell' arti del disegno ; nel l'architettura , 8. ch'è un discorso
anch'essa ; - 9. nella scultura e nella pittura, 10. simili pur esse al
discorso ; - 11. e nella inusica ; 12. che ha disegno perfetto , o unione
d'armonia e di melodia . - 13. Proprietà de' se gni ; e come segni adoperino
l'arte del dire , la musica , 14. l'architettura , e l'arti figurative ; 15.
onde viene la proprietà dello stile . 16. Conclusione. CAP. XXXVIII. Armonia
dello stile col pensiero .. 1. Argomento . 2. In che consiste l'evidenza. -3.
Dee rispondere lo stile a integrità del pensiero ; 4. e a varietà d'argomenti ;
- 5. abbracciando l'universalità dell' argo mento , proprio , 6. e
distinguendolo , per poi bene com porlo . 7. Mancamento d'arte o di volontà
impedisce tal perfezione . 8. Vivezza di stile , o moto , 9. nell'arte del dire
, 10. nella pittura e scultura , 11. nell'archi tettor3 , 12. nella musica .
13, Formosità , - 14. anche nello stile grande, e nel sublime. 15. Onde procede
la deformità ? 10. Concrusione . 211 CAP. X.XXIX . Armonia dello stile con la
natura ..... 228 1. Argomento . 2. Il bello stile corrisponde alla natura
dell'artista e a quella degli oggetti . 3. Non si possono separare le due
relazioni senz'errore e deformità . – 4. Avvi una parte relativa all'artista ;
5. e una parte relativa agli oggetti , e danno armonia . 6. La legge di
corrispondenza e di contrapposto ſa nascere le diverso specie del bello stile
in quei gradi che l'ordine ha varj nella natura. 7. Idem . 8. Nello stile tenue
an prevalenza i simili, 9. Qua lità principale di esso è la venusià. 10. Nello
stile mez. zano han prevalenza i diversi . 11. Qualità principale di INDICE DEL
VOLUME SECONDO , 457 esso è la naluralezza , 12. Nello stile grande han preva
lenza i contrarj. 13. Qualità principale di esso è la pe regrinità . 14. Nello
stile sublime han prevalenza i contrapposli supremi. 15. Qualità principale di
esso è l ' ammirabilità. 16. Conclusione . LIBRO QUARTO. Arti del Bello
speciali. Cap. XL. Come si originarono le Arti speciali del Bello. Pag. 249 1.
Argomento . — 2. Due generi supremi dell'arte bella , cioè arti di suono e arti
di prospettiva. 3. Arte de' suoni parlati , e arte de' suoni armonizzati. 4.
Arti prospettive di spazio , e arti prospettive di figura. -- 5. Arti
prospettive distinte in arti di spazio imitato e di spazio naturale ; in arti
di figure imitate e di figure naturali . 6. Onde l'arti del disegno son
distinte dall'arti di naturale amenità e dalla mimica e danza , le quali sono
arti secondarie . 7. Arti ansiliari dell'arti principali e delle secondarie. 8.
Diver sità di segni sensibili determinò diversità del significato, quanto al
mondo esteriore , 9. e quanto al mondo interio . re . 10. Stato implicito
dell'arti : poesia ; 11. arti del disegno e musica. 12. Poi si distinsero
l'arti del Bello fra loro ; e s'esamina per la poesia , per l'architettura ,
13. per l'arti figurative , 14. e per l'arte musicale . Di stinzione di ogni
specie in ispecie minori . 15. Conclu sione. 16. L'arte bella fa quasi un mondo
novello. 266 Cap. XLI . Ordine fra l’ Arti speciali del Bello ...... 1.
argomento . 2. Criterio per giudicare i gradi dell'arti belle . 3. Segni
supremamente ideali della poesia . L'ordine loro è una invenzione distinta
dall'altra delle im magini . 5. Perfezione suprema de' significati poetici . 6
Ma questa precedenza rende difficile al sommo il poetare buopo. 7. In che la
poesia verso l'altre arti sia inferiore. 8. Architettạra , e perfezione ideale
del suo disegno . 9. Perfezione del suo significato. -- 10. In che cosa l'archi
tettura è vinta dall'altre due arti del disegno . 11. Pit tura e scultura ;
disputa di quale fra loro primeggj, antica . - 12. S' esamina quanto a ' segni
, 13. e quanto al signi ficato di queste arti . 14. Musica ; in che sta un suo
sin golare pregio , 15. da cui procede la potenza musicale ; benche in altro
rispetto la musica resti- superata . - 16. Con clusione . A. CONTI . II . 30
458 INDICE DEL VOLUME SECONDO . CAP. XLII. Della Poesia .... Pag. 283 1.
Argomento ; definizione della poesia . -2. Come la poe sia somigli la filosofia
. 3. Consentono tutti nel divario fra considerare direttamente i sensibili
esterni e il conside rarne l'altinenza con l'anima . 4. Però l'idea che regola
i poeti , si è l'idea dell'uomo interiore , avvivata d'immagibi . Si riscontra
ciò ne' sensibili esterni , comuni alla musica e al segno e alla poesia ; – 5 ,
ne' sensibili esterni , propri solo alle rappresentazioni poetiche ; - 6. ne'
sensibili inter ni , che la sola poesia può prendere per oggetto immediato ; -
7. e poi , nelle cose di pura intelligibilità . 8. Tanto è più alta la poesia ,
quanto più rende viva immagine del . l'uomo interiore ; - 9. e , inoltre ,
quanto più rende imma gine di ciò che l'uomo dev'essere ; 10. perchè il poeta
tende alle più élette forme dell'anima ; 11. e indi cerca immaginativamente di
risolvere in armonia le contraddizioni del mondo ; 12. come si riscontra ne'
poeti veri del tempo antico e del nuovo , - 13. e anche ne' poeti scettici ,
ov'essi han vera poesia ; 14. talché , quest' arte rappresenta in immagini
l'universalità dell'intelletto . 15. E ogni ge nere perciò di componimenti
nell'arte del dire può parteci - pare di poesia . 16. Conclusione . CAP. XLIII
. Le specie della Poesia ...... 1. Argomento . 2. Tre modi principali della
poesia : espositivo , 3. narrativo , - 4. dialogico . sia par talora non essere
imitativa nè inventiva, se cade in soggetto reale . 6. Si scioglie la
difficoltà , distinguendo al . lora il soggetto reale dalla rappresentazione
immaginosa. 7. Indi è varia l ' attinenza fra la poetica rappresentazione ed il
soggetto. — 8. Idem . – 9. Indi anco è vario lo stile figu rato nella poesia
espositiva , 10. o nella narrativa , - 11 . o nella dialogica . 12. Anche il
numero musicale dello stile diversifica . 13. Idem . 14. Diversifica pure l'ori
. gine de' tre modi principali di poesia , l'espositivo prece dendo a tutti,
15. e poi al drammatico il narrativo . • 16. Conclusione. 302 5. La poe 320
CAP. XLIV. Dell'idioma, 1. Argomento. - 2. Lingua , in significato generale , è
unità parlata della morale unità d'un popolo ; 3. e che mai non manca di segni
per cose antiche, 4. nè ha sino nimi perfetti. 5. Le Parlate . 6. I Dialetti .
- 7. Le Lingue. 8. Scelta fra le tarlate. 9. Scelta fra' Dialetti . 10.
Distinzione d'una lingua da ogni altra lingua . 11 . Uso di lingua parlata , e
uso di lingua scritta ; 12. iden tici nell'essenza , e in che diversi, 13. Come
uso di buoni scrittori giova , 14. e come giova uso di ben parlanti. 15.
Realismo e Idealismo nell' usare l'idioma . 10. Con clusione . INDICE DEL
VOLUME SECONDO . 459 CAP. XLV. Arti del disegno. Pag 338 . 1. Che cosa sono
l'arti del disegno - 2. Il disegno è fon damento alle tre arti particolari. .
3. Doppia significazione del vocabolo disegno. -- 4. Ogni qualità sensibile de'
corpi ha relazione con la lor forma ; 5. e può risguardarsi per natura , e per
l'arti del disegno , quasi accessoria . - 6. La forma ci palesa l'unità ; 7.
ch' esterna dipende dall ' in terno delle cose , si per natura e si per arte .
8. Esempj di ciò ; e in che dunque consiste l'ordine ideato comune al l ' arti
del disegno. – 9. Per acquistare il disegno, ci oc corre abito astrallivo degli
occhi, - 10. fantasia ferma e viva in ritenere la linea pura , 11. e intelletto
esercitato a distinguere, paragonare , comprendere i contorni; 12. nè basta
vedere , ma bisogna saper vedere o guardare ; 13. e in ciò sta il cosi detto
giudizio degli occhi . - 14. Come si faccia l'esercizio nel disegnare. 15. Una
regola princi . pale per l'arti secondarie . 16. Conclusione. CAP. XLVI. Architettura
.... 1. Che cosa è l'architettura . 2. Si originò dal convi . vere umano. - 3.
Si distinse dall'ingegneria per fine di bel lezza , 4. ritraendo l'immagine
formosa del consorzio umano, 5. Questa idea perció la rende inventiva ; 6 . e
indi l'architettura prende significato a ' suoi disegni , 7 . e anche la loro
unità ; 8. ehe si palesa nelle proporzioni della massa , nel congiungimento
delle linee , 9. e anche negli ornamenti. – 10. Com'espressione del consorzio
uma no , quest' arte abbraccia le altre arti del disegno ; – 11 . s' accorda
co' luoghi abitati dall ' uomo, e a sė li conforma; 12. imprime la bellezza sua
nelle città intere, - 13. nel l'intera patria d'una nazione , — 14. per ogni
luogo di es sa ; 15. e si distende a tutta la terra civile , com' efligie inica
dell'incivilimento . 16. Conclusione. 357 CAP. XL I. S ulura ..... 376 1. Che
cosa è la scultura . - 2. Principale soggetto al l'arti figurative si è
l'aspetto umano. - 3. Più proprio della scultura è la relazione de' lineamenti
con la vita interiore , anziché dell'uomo con la natura . -- 4. Indi all'arte
sculto . ria il colorito e accidentale , ec . - 5. Nè la scultura di tutto
rilievo ha paesaggj, che ristretti son' anche nel bassorilievo : - 6. è
limitata nel figurare animali ; --- 7. e anche ne'gruppi di ligure umane. - 8.
Soggetto più proprio alla scultura ė la bellezza umana del corpo, e in essa si
comprende la fisio. logica e la fisica . 9. E perché si dica ciò della scultura
piucchè della pittura , distinguendo tra figura e forma. - 10 . L'unità intera
della immagine umana comparisce nella scule tura solamente. 11. Divario i'ra le
due arti nel nudo e ne' panneggiamenti . 12. Limiti posti dal pudore. 13 . Qual
sia -dunque l'idea esemplare dell'arte scultoria , 14 . E come bisogni evitare
ia essa , piucché nella pittura , il freddo 460 INDICE DEL VOLUME SECONDO , ed
il generico ; -- 15. ma senza cascare nei vizj opposti , 16. Conclusione . CAP.
XLVIII. Pittura .... Pag. 395 1. Che cosa è la pittura. – 2. Idea che serve d'
esemplare alle immagini ed a'segni di quest'arte, cioè armonia fra l'uomo e la
natura esteriore , come rilevasi dal colorito ; 3. e perciò dalla figura
colorata e dal prospetto aereo . - 4 . Magistero essenziale della pittura è il
colorito ; – 5. ma non contraſfacendo i rilievi della scultura , 6. nè
gareggiando con le cose reali pe' colorie per gli splendori , 7. nė pe' se goi
di vitalità ; gareggiamento impossibile, - 8. e dannoso ; 9. bensi eleggendo
que' segni che sveglino i sentimenti nell'anima nostra , come le cose di natura
sogliono . 10. La pittura è visione di fantasia . 11. che splende in gen
tilezze d' ornamenti , e in paesaggj . 12. e ne segni del con • versare umano ,
13. e nell'unione verosimile di più tempi e luoghi , 14. e nel simboleggiare
affetti sovrammondani . 15. Conclusione. 16. Utilità di tutte l' arti del dia
segno . CAP. XLIX. Musica ...... 415 1. Che cosa è la musica . 2. Qual n'è
l'idea regolatri ce . Relazione de' suoni col sentimento umano . 3. Ragione
anche fisiologica di tale attinenza . 4. E indi attinenza principale di
quest'arte con la voce umana . 5. Ma la relazione de' suoni col sentimento é
indefinita , 6. e però la musica può indefinitamente significare ogni affetto .
7. Esprime e incita direttamente l' esaltazione degli af. fetti, 8. e viene
usata per significare più vivo l'esalta. mento comune alla poesia ed all' arti
del disegno . 9. Ciò apparisce altresi dal significato universale d'armonia .
10 . Però idea suprema e reggitrice della musica è , ch' essa renda immagine
dell' esaltazione di ogni affetto umano. La quale idea si determina nel
concetto de' componimenti varj. 11 . onde nasce la musicale unità , – 12. e
l'invenzione di una frase principale, 13. che si svolge. - 14. Errori sulla na.
tura della musica . Sensisti e Positivisti assoluti , - 15. Sen timentali ,
Aritmeticanti, Retoricanti . 16. Conclusione. CAP. L. Unione fra tutte l’ Arti
del Bello ... 434 1. Danni del separare l' Arti, e argomento . 2. Unità d'
obbietto , di soggetto e di potenza prevalente nell' Arti del Bello . 3.
Perfezionamenti loro successivi , e legge di que sta successione. - 4. Si
risolve una difficoltà . 5. Prima si perfezionò la poesia ; 6. indi
l'architettura ; - 7. poi la scultura , e poi la pittura ; — 8. Apalmente la
musica . 9. Aiuto che si porgono l'Arti ; quale la poesia ? – 10. quale
l'architettura , 11. l'arti figurative, - 12. la musica ? 13. Si conferma
l'unità essenziale dell'Arti fra loro . -- 14. Ri torno del pensiero alle cose
ragionate ; 15 e 16. indi con clusione generale. DIALETTICA. INDICE DEL VOLUME PRIMO.. INTRODUZIONE CUI SI
RACCOMANDA DI LEGGERE ...... Pag . 1-881X LIBRO PRIMO . La Filosofia e i
Concetti universali. Cap. I. Idea della Filosofia ...... Pag. 3 1. Che cosa è
la Filosofia ? – 2. È scienza del pensiero ; 3. ma del pensiero in atto di vita
, e non soltanto delle leggi lo giche astratte ; 4. e però è Scienza della
coscienza e dello spirito . - 5. Scienza degli oggetti connaturali al pensiero
, e però di Dio , dell'universo e dell'uomo ; - 6. Scienza, per tanto , delle somme
cause , dell'ultime ragioni e de' primi prin cipj ; -- 7. Scienza , poi , della
conoscenza , della scienza e della verità. – 8. Perciò nell'idea di relazione s
' appuntano i quesiti tutti della Filosofia ; - 9. e ivi troviamo la sua più
alta verità . 10. Talchè la Filosofia e Scienza di Dio , del mondo e del l'uomo
nell'ordine loro uoiversale ; o , più breve, Scienza delle relazioni
upiversali; e siccome queste forman l' ordine , dunque altresì Scienza
dell'ordine universale . - 11. Come in ogni altra Scienza , cosi nella
Filosofia si ha perfezionamento, levandosi a un'idea superiore. - 12. Questa è
l'idea di relazione. - 13 . Ciò richiede la tendenza e il bisogoo de' postri
tempi . – 14.Im portanza della Filosofia ; danni d'una Filosofia separativa . —
15, Vantaggj d’una Filosofia comprensiva. 16. Sunto. CAP. II . La Verità ....
1. Perché dobbiamo esaminare l'idea universale di verità . 2. La verità è
sempre entità conosciuta . – 5. La verità è ordine d'entità conosciuto. - 4. Si
procede relazione in relazione. 5. L'unità dell'oggetto conosciuto si comprende
, si distingue , 6. si riupisce di nuovo. - 7. Però gli Antichi dissero che la
verità è pei giudizj. - 8. L'errore perciò sta nel vedere l'oggetto da una
parte sola , e quindi nel travedere, 9. come si rileva degli errori metafisici
; - 10. nello Scet ticismo medesimo , e negli errori morali e delle Scienze
fisiche . 11. Sicchè l'errore confonde, separa , nega. 12. Jadi spieghiamo il
progresso della scienza e della civiltà, 13. o il regresso ; 14. le invenzioni
e le scoperte. – 15 . esame dell'idea di verità ci mostra il costrutto semplice
degli Univer sali , presupposto da ogni conoscenza . 16. Conclusione. 22 536
INDICE DEL VOLUME PRIMO. 42 - - 64 CAP. III . L'Entità . Pag. 1. Si comincia
dalla nozione d'entità. — 2. Che cosa sono gli universali , - 3. Tre ordini
d'universali: gli analogici , 4. gli attributi metafisici , e le condizioni
universali del creato . - 5. L'uoiversale si è in ogni cosa e presentasi
all'intelletto . - 6. L'idea d' entità primeggia fra gli universali. La esami
Darono gli Antichi , – 7. i Padri, il Medioevo , e la Filosofia moderoa. 8. Non
possono farne a meno anche gli Scettici e i Soggettivisti . 9. Questa idea non
può pegarsi. 10. Ma esaminandola , bisogna evitare tre difetti. - 11. Si
tripartisce : idea dell'essere comunissimo , - 12. idea d'essenza , - 13. idea
d'esistenza ; – 14. com' apparisce anche da' linguaggi, 15. e dall'antica
dottrina sull'essere e sulla possibilità , ch'è di tre specie . - 16.
Conclusione. CAP. IV . L'Ordine dell'entità .... t . L'idea d'ordine si
distingue nell'idea di relazione , d'atto della relazione e di correlazione .
2. Che cosa è la relazione ? L'esperienza ce la mostra ovunque. 3. Ogoi en tità
è un tutto di relazioni , benchè, quando si tratta di cosa fioita , non
essenziali . Ciò si rileva dal concetto d' essere , - 4 . d'essenza e
d'esistenza . – 5. La relazione poi è , o intrinseca , - 6. od estrinseca (
cioè ad intra , o ad extra ). – 7. Ogni relazione si è atlo ; anche le
attineoze ideali o di ragione. - 8 . Conie si procedè per giungere a questa
universalità dell'idea d'allo . Gli Italioti , gl’lonici , Platone; 9.
Aristotele ; 10. i Padri, gli Scolastici, e il Cartesio ; 11. il Leiboitz e la
Fisica nioderna. 12. Correlazioni . Unità e triplicità in ogoi cosa . -- 13.
Dottrine aptiche su ciò . - 14. Il Dogma cristiano della Trinità . - 15. Le
correlazioni spiegano la legge universale de' simili e de' contrapposti, 16.
Conclusione. CAP . V. Il conoscimento dell'Ordine .. 1. Nel conoscimento
dell'ordine si distingue il Vero, il Bello ed il Buono , distinta la triplice
relazione della Verità col l'intelletto , benchè io significato generalissimo
ogoi relazione col nostro conoscimento sia Verità . 2. L'universalità del Vero
corrisponde ai gradi dell' essere ; e come li notarono già i Filosofi . - 3.
Cose non animate ; 4. cose animate ; 5 . gl'intelletti , ove la presenza
dell'entità è manifesta . 6. La verità è relazione dell'entità con
gl’intelletti , cioè intelligibi lità . – 7. Che cosa è la Bellezza , cioè
l'ammirabilitd , con trapposta al Vero. Suoi gradi , 8. ne' corpi non animati ,
Degli animati e negl'intelletti. 9. Che cosa è il Bene , cioè l'amabilità .
Suoi gradi , — 10. ne' corpi , negli animali e nella mente , 11. Assioma che
deriva dall'esame degli universali , - 12. e loro convertibilità mutua ; – 13.
la quale si manifesta nella scieoza, nell'arte e nella vita , perché il Buono
conduce al Vero ed al Bello , - 14. e il Bello conduce al Vero e al Buono. -15.
Nell'esame degli universali analogici abbiamo riscontrato le distinzioni già
fatte dai Filosofi antichi e recenti . - 16 . Conclusione , e come il Bello
morale sia l'accordo del Vero , del Bello e del Buono . 84 INDICE DEL VOLUME
PRIMO. 537 CAP. VI. Attributi metafisici correlativi e Idea di Dio. Pag. 101 1.
Esamedegli attributi metafisici , al quale ci porta l'esame degli universali
analogici. — 2. Che cosa s'intende per attri buti correlativi metafisici. 3.
Idee di questi attributi, tro vate nell'idea d'entitd ; 4. trovate nell'idea
d'ordine dela Ľentità ; - 5. trovate nell'idea di conoscimento dell'ordine. -
6. L'idee degli attributi metafisici correlativi , e l'idea di Dio , non sono
correlazioni astratte ; - 7. nè limiti soggettivi; - 8. nè un ideale soggettivo
; 9. nè , d'altra parte , sigoi ficano che Dio sia il grado supremo degli
esseri ; – 10. nè la parte o il tutto ; 1. nè Pessenza o la sostanza delle cose
contingenti . – 12. La correlazione degli attributi metafisici viene
rappreseotata dall'idea del possibile fra l'idea d'Eote e l'idea d'esistente ,
o dall'idea d ' indefinito fra quelle d'Infinito e di finito. - 13. La
correlazione stessa fu pure significata dal Gen tilesimo , 14. da' simboli suoi
più notevoli , 15. e dalla simbologia naturale. - 16. Conclusione. Cap. VII .
Idea di Creazione .... 121 1. Possibilità razionale della creazione. - 2. Vi ha
nel pensiero umano questa idea dell'atto creativo , cioè di Causa prima. — 3.
L'idea di causa si distingue dall'idea di sostanza ; 4. e si riferisce ad un
che , il quale comincia dal nulla quanto all'esistenza , benchè non quanto alla
potenza ; 5. si riferisce , poi , ad un termine distinto essenzialmente dalla
cau sa , o ad extra . - 6. Più vera e più potente fra tutte le cagioni è
l'intellettiva . 7. La Causa creatrice si distingue dalle cause naturali,
perchè alla totalità delle cose preesiste la pos 8. perchè il soggetto , cioè
la sostanza , si produce ad estra ; 9. e perchè avvi efficienza intellettuale
assoluta : - 10. opde la Causa creatrice fu chiamata Verbo ia tutte le
Tradizioni sacre , e il mondo è arte di Dio ; -11. la quale produce una
somigliaoza divina nell'universo , mentre Dio non somiglia i finiti e li
trascende . - 12. Gli errori e i dubbj sul dogma razionale di creazione nascono
dalla fantasia , - 13 . e dallo sdegoare il mistero , comune ad ogni causalita
; 14 . sicchè gli errori provocarono lo svolgimento del Teismo nell'età de'
Padri e de' Dottori , 15. e dell'età della Riforma e del Rinnovamento. - 16.
L'idea di creazione ba tanta importanza , sibilità pura ; - perchè risguarda la
Causa universale. CAP. VIII . Idee relative all'Entità della Natura ....... 143
1. Argomento ; le condizioni dell' entità : Prima condizione della natura , per
l'essere suo , il quanto ; 2. che si distia . gue nell'unità , 3. nel numero 4.
( che non può essere infinito), 5. e pella unione delle unità . 6. Condizione
seconda per l'essenza , il quale; - 7. che si distingue nella varietà , 8.
nella contrarietà , 9. e nella somiglianza ; . 10. più notevoli dove la oatura
è più alta . - 11. Terza condizione per l'esistenza , il quando ; 12. che si
distingue nel momento , -13. nella successione, - 14. e nella durata ; - 15.
non predicabili dell' Eternità . 16. Conclusione. C 538 INDICE DEL VOLUME
PRIMO. 462 C il pine. - CAP. IX. Idee relative all'Ordine della Natura .......
Pag. 1. L'ordine della natura viene dall' attinenza della crea zione , 2. La
relazione delle cose create ci dà la dipendenza, o derivazione; 3. ossia la
sostanza , - 4. la causa , 5. e l'essenza reale . - 6. L'Atto delle cose ci dà
il come (quomodo); – 7. ossia il principio , 8. il mezzo , 9. e 10. Le
correlazioni delle cose ci dàono il dove , che può essere correlazione
ancointellettiva , 11 , e correle zione materiale ; - 12. ossia il punto , -
13. Y estensione particolare, 14. e lo spazio , 15, che non può essere infinito
, ma è nell'infinito ; 16. e il sublime si origina da cið . Cap. X. Condizioni
naturali del conoscimento ...... 1. Criterio della conoscenza ; ove si
riscontrado : l'oggetto ideale , – 3.6. l'idea, - 4. che ci fa conoscere il si
mile per ilsimile , 5. (onde si spiega la formazione dell'idee universali , e
la conoscenza delle cose esteriori , 6. di noi stessi , degli altri uomini , -
7. e di Dio) , - 8. c . il senti mento , in relazione del quale ogoi cosa
dicesi un fatto , ed esso medesimo ha questo pome . 9. Forma del bellezza ; -
10. e qui si riscontrano : la cosa formata , 11. l'idea esem plare , 12. e il
gusto . - 13. Legge del bene , ove si ri scontra il bene oggettivo , - 14. la
felicità , - 15. e l'utilitd . - 16. Conclusione. 182 . 2. a. - LIBRO SECONDO.
Divisione della Filosofia e Arte dialettica. 207 . CAP. XI. L'Enciclopedia ....
1. Per determinare i quesiti della Filosofia , bisogna ve. dere le sue parti e
l'Enciclopedia o l'albero del sapere umano , 2. Ordine di formazione , ordine
di logica dipendenza. 3. Criterio armonicamente oggettivo e soggettivo per
trovare la distiozione dello scibile e l'ordinamento suo. 4. Quattro classi di
conoscenze : - 5. onde vengono la Teologia positiva , la Filosofia , le
Matematiche e la Fisica . 6. Parti della Fi losofia universale. - 7. Filosofie
particolari e applicate . 8. Matematica. - 9. Fisica . - 10. Storia sacra ,
umana , na turale. – 11. Arti filosofiche , matematicofisiche e storiche. 12.
Tradizione perenne dell' Eociclopedia . – 13. Errori che la guastano. 14.
Pericolo dell'Enciclopedie a dizionario , le quali spezzano la continuità del
sapere. - 15. Divisione della Filosofia in tre parti : la Dialettica , l'
Estetica e la Morale. - 16. Conclusione. CAP. XII . La Dialettica. 1. Che cosa
è la Dialettica . — 2. È quasi un dialogo. – 8. Esemplare unico dell'Arte
logica è la natura , - 4. se no 229 INDICE DEL VOLUME PRIMO . 539 - 8. e s'op
v'è ignoranza . – 5. L'Arte logica è osservazione di natura , - 6. se oo avvi
leggerezza , impazienza e preoccupazione appas sionata . – 7. È imitazione di
natura , 8. se no avvi artifi cio. – 9. È inveozione ordinativa , pop oggettiva
, - 10. se no avvi l'assurdo. - 14 . È per fine di verità , - 12. se no si
confondono l ' arti , che per altro s' accordano e s ' aiutano . 13. La Verità
, com'oggetto dell'Arte logica , viene deter minata dalle operazioni di questa
, - 14. e però è ordine d'en tità ripensato , 15. ragionato , — 16. e
significato . CAP. XIII. La Critica interiore vera e la falsa ........ Pag. 251
1. La Critica suppose un Criterio , che paturale cono scenza porge alla
riflessa. - 2. Il bisogno di Critica interiore viene dal bisogno di cercar
l'origini dell'errore, e dall'altro di sceverare nelle cognizioni la parte
oggettiva e la soggettiva ; - 3. e però è antichissima; benchè a questa si
contrapponesse Ja Critica eccessiva . 4. Esempj dell'una e dell'altra nel
Cartesio e nel Kant. 5. Principiare dal dubbio universale non si può ; e questa
è critica smodata , o fuori di natura. 6. La riflessione filosofica deve
cominciare dalla ignoranza filosofica, piuttostochè dal dubbio metodico . 7.
Però la Critica eccessiva non può condurre alla scienza ; pone , qualunque sia
l'intenzione de' Critici , alla virtù ; 9. è causa di desolazione , - 10. o di
misera indifferenza . 11. Jovece per la Critica razionale s' afferma il
oaturale co noscimento , 12. la forma di questo e la materia ; 15 . cioè la
forma naturale in relazione con gli oggetti , - 14. e la realtà degli oggetti
stessi , che costituiscono la materia necessa ria o coboaturale del pensiero .
· 15. Postulati della Critica - 16. Ogni operosità viene impedita dal
Criticismo. Cap. XIV . Verità connaturali al pensiero umano . 272 1. Tre
requisiti delle verità connaturali . – 2. Esistenza di noi stessi . - 5. Errore
del Kant e de' Positivisti , - 4. e loro confutazione . 5. Si riscontrano i
requisiti della conoscenza naturale nella coscienza di noi stessi . – 6.
Notizia del mondo esteriore , – 7. e dell'ordine suo. — 8. Opinione del Kant e
de Positivisti , 9. e loro confutazione. - 10. I requisiti della conoscenza
naturale si trovano nella notizia del mondo. 11. Idea di Dio . - 12. Opinione
del Kapt e de' Positivisti . 13. Confutazione , 14. Si riscontrano nell'idea di
Dio gli stessi requisiti o spontaneità , - 15.inconvertibililà e insepa
rabilità . Da queste notizie di noi , del mondo e di Dio risulta la sostanziale
totalità della coscienza . 16. La Filosofia non può disconoscere questa materia
del pensiero e della scienza . CAP. XV. Armonia tra le forme della conoscenza e
le cose . 294 1. Che cosa è la forma. – 2. L'armonia tra le forme del
conoscimento e gli oggetti , onde provenga. 3. Apparenza sensibile , - 4.
corrispondente agli oggetti percepiti ; – 5. e quindi si fece da Galileo e poi
dagli altri la distinzione fra le qualità primarie de' corpi e le secondarie ;
- 6. talchè verifi chiamo che l'apparenze sensibili son segoi reali , realmente
vera . - 540 INDICE DEL VOLUME PRIMO. corrispondenti alla realtà delle cose.
-7. Aoche le apparenze , che dano'occasione d'inganno , procedono da leggi di
natura. - 8. La vista ci dà i segoi apparenti delle distanze. – 9. For me
intellettuali , corrispondenti all'entità e verità delle cose , ue' concetti, -
10. ne giudizi , -11. e oei raziocioj. 12 . Armonia tra il conoscimento di ciò
ch'è o avviene deotro di noi , e il conoscimento di ciò ch'è fuori di noi: per
i segoi del l'anima del corpo ; – 13. per l'analogie fra l'anima l'uoj verso ;
- 14. per l'intendimento delle qualità e delle condi zioni d'ogoi cosa esterna
; — 15. e per la conoscenza di Dio. 16. Conclusione. CAP. XVI. I Principj
armonici della ragione ... Pag. 318 1. Che sono i principj universali della
ragione. — 2. Na scono dalle idee universali, e s'ordipano com'esse. -3. Prima
classe , corrispondente agli universali analogici . Per l'entitd si distinguono
più principj , riflettendo all ' idee d' essere , 4. e all' idee d'essenza e
d'esistenza. 5. Per l'ordine del l'entità , si distinguono , riflettendo
all'idee di relazione , 6. di atto della relazione e di correlazione . - 7 .
Per il cono. scimento dell'ordine, si distinguono , riflettendo all' idee del
Vero, – 8. del Bello e del Buono . – 9. Seconda classe , cor rispondente agli
attributi metafisici correlativi . – 10. Terza classe, corrispondente alle
universali condizioni della Datora fioita . Si hanno : Per l'entità di questa ,
i priocipj di quantild, di qualità e di tempo ; 11. per l'ordine della natura ,
i principj di derivazione o dipendenza , - 12. di modalità e di confinazione o
del dove ; – 13. per il conoscimento dell'or dine , com ' esso è negl'
intelletti creati , i principj che risguar dano il criterio della verità , la
forma della bellezza e la regola del bene. – 14. In che stia l'utilità de'
principj uni versali. – 15. Due opinioni estreme ed erronee : l' una che li
Dega , l'altra che li reputa generativi di tutto il conoscimento . - 16.
Conclusione . CAP. XVII . L'Osservazione ...... 340 1. Materie da trattarsi . —
2. Atteozione. - 3. Osservazio ne. – 4. Riflessione. - 5. Si verifica ciò nelle
verità d'espe rienza esteriore, cosi per Arte logica naturale , 6. come
scientificamente. 7. Si verifica delle verità di esperieoza interiore , cosi
per suggerimento di natura , 8. come per la Scienza . 9. Si verifica delle
verità intellettuali pure , 10. cioè negli universali della Metafisica e delle
Matematiche. 11. Si verifica nelle conoscenze ricevute dall'autorità , 12. e
ipdi vien la Critica , 13. Lo stesso aodamiento si vede nel procedimento
storico delle Scienze. -44. Idem ,-15. Anche nel procedimento della Letteratura
. 16. E anche nell'Arte pedagogica. CAP . X III . Metodo che imita la Natura
...... 1. Che cosa è l'imitazione dialettica : parte sostanziale del metodo .
2. Sintesi primitiva. – 3. Analisi. - 4. Sintesi 361 INDICE DEL VOLUME PRIMO.
541 - secondaria . 5. Legge dialettica. 6. Il metodo allora è quasi un
contrappuoto musicale. -7 . Però non può essere nè solameote analitico , nè
solamente sintetico . 8. Difetti del Puno e dell'altro , - 9. Il metodo
compreosivo gli uoisce. 10. Contrarie inclioazioni di ogni età verso l'analisi
eccessiva o la sintesi eccessiva . 11. Esempio del Gioberti . - 12. Il vero
metodo è propriamente dialetlico o dialogico. 13. Sua utilità nelle Scienze ;
14. nell' Arti del Bello , - 15. e nel ” Arti del vivere civile . . 16.
Conclusione. CAP. XIX. L'invenzione dialettica ..... Pag. 381 1. Che cosa è
l'invenzione scientifica , o che cosa è la Scienza com'ordine meditato di
conosceoze, - 2. Si comincia dalla comprensione dell'oggetto per una
definizione nominale ; - 3. poi si viene all'analisi con la divisione , – 4.
con la tési e con l ' antitesi , con la prova dall'assurdo, e con l'elimina
zione; - 5. fochè si giunge alla definizione dialettica , che può essere o
intrinseca o per via disole relazioni. - 6. Poscia , passando alla sintesi ,
abbiamo l'ordine induttivo e il dedatti 7. Tutto questo mirabile ordinamento è
una ricerca delle ragioni, e uno spiegare per esse ; oode gli Antichi dis .
sero che saper vero è un sapere per le cagioni ; - 8. cioè per principj; - 9. e
questo s'avveranella teorica degli universali , - 10. e nella Scienza
dell'uomo, dell'universo e di Dio ; 11. s'avvera nelle Scieoze civili e
storiche; 12. Delle Mate matiche, 13. e nella Fisica . 14. Indi si spiega
l'inven zione degli stromenti e delle macchine ; 15. come altresi la ipotesi e
l'intuizione dottrinale. 16. Supto. vo . - 403 - CAP . XX . Il fine dell' Arte
dialettica .... 1. Argomento. 2. Connessione logica . - 3. Che stato der essere
quello di chi cerca la verità , 4. e difetti che bisogna evitare . - 5. Si può
errare io ciò per leggerezza , 6. o per una preoccupazione. 7. Chiarezza , - 8.
e difetti da evitarsi , -9. Errori che procedopo da leggerezza , - 10. e da
preoccupazione , prendendo per chiaro ciò che non è . - 14. Certezza ; 12. e
difetti evitabili ; 13. badando anche ip ciò di non errare per leggerezza d'
assensi -14. e per qual che preoccupazione, stimando che sia certo l'incerto ,
e vice 15. Connessione , chiarezza , certezza , non possono realmente trovarsi
che pella verità . 16. Si concbiude : che fine d'ogoi Scienza , e perciò anche
della Filosofia , non è di dare a noi , quasi mancanti d'ogni ragionevole
conoscenza , un primo conoscimento della verità , si l' ordine riflesso della
co gosceoza e della verità : e poi, che l'Arte dialettica è altresì un abito
morale ; e ancora, che l'abito del parlare meditato giova molto all'ordine del
pensare ragionato e retto . versa . - 542 INDICE DEL VOLUME PRIMO. LIBRO TERZO.
I Criterj della Verità o Leggi universali della Dialettica. Cap. XXI.
L'Evidenza , o il Criterio della Verità ..... Pag. 427 4. Argomento , e qual
sia il disegno della Dialettica , e qual ragione v'abbia di trattare qui de
Criterj ; e dottrina loro semplicissima. -2. Il Criterio è uoa regola , perch'è
un segno della verità in relazione con l'intelletto . - 3. Non può negar si ,
fuorchè negando la conoscenza ; non può travisarsi , fuorchè da' sistemi
sostanzialmente falsi ; e vi ha una dottrina costante sulla natura del Criterio
. - 4. Il Criterio è un segno apparte nente all'ordine della verità , 5, ed è
universale . - 6. II Criterio , perciò , è l ' evidenza dell' ordine di verild
; – 7 , è quindi uno e moltiplice , ossia è un ordine di Criterj; 8. perch'è l'
evidenza dell'ordine di verild in sè stesso , e ne' suoi contrassegni
universali ; cioè coutrassegni d'amore e di fede , perchè l'ordine della verità
corrisponde all'ordine della nalura umana. 9. Il Criterio vale altresi nelle
cogni. zioni anteriori alla Scienza , 10. nè la Scienza può disco noscerlo. 14.
Nella Scienza, poi , l'evidenza precede il ragionamento , l'accompagna , e lo
compisce. 12. Nella Filosofia, l'evideoza del Criterio naturale si converte in
evi deoza scientifica ; non già perchè si comioci dal dubbio ; anzi non può
cominciarsi da esso , perch'è un riconoscimento . – 13 . Criterio della
Filosofia è l' evidenza dell'ordine universale ; . 14.senza di che quella è
fuor di natura . - 15. Criterio delle altre Scienze è l' evideoza d'un ordine
particolare ; ma in essa i Criterj sccondarj bao solo un ufficio indiretto e
più ristretto . - 16. Conclusione. - 451 Cap. XXII . L'evidenza del Teismo,
come di verità ordinatrice o di Criterio supremo .... 1. Perchè la verità di
Dio creatore sia Criterio compren sivo alla riflessione. 2. La Scienza de'
limiti è scienza ne cessaria ; e il Teismo ci avverte de' nostri limiti . 3.
Questi sono la natura stessa dell'intelletto e delle cose. 4. Soprin
telligibile , soprannaturale , 5. intelligibile : 6. la verità di creazione fa
serbare questi limiti , e spiega il perchè del sovrintelligibile divino, –7.
del sovriptelligibile naturale, 8. e ci rende liberi e sicuri nello studio
delle cose intelligibili , che sono inesauste a mente umana. - 9. Quindi essa
rende soddisfatto qualunque bisogno dell'uomo, e ordina le Scienze che si
riferiscono a' bisogoi stessi . Teologia positiva, - 10. Filosofia , Matematica
, — 11. Fisica , 12. Filosofia della Sto ria , Filologia e Critica. - 15. Quel
Criterio spiega la legge del progresso in Filosofia e il regresso sofistico . –
14. I siste mi, opposti alla verità di creazione, ristringono la conoscenza
riflessa , 15. e poi l'apoientano. - 16. Conclusione. - - INDICE DEL VOLUME
PRIMO. 543 - Cap. XXIII. Sistemi opposti al Criterio della Verità , e pri mieramente
il Panteismo.... Pag . 472 1. Argomento. - 2. Contradizioni del Panteismo , e
pro posito di affermare le contradizioni.- 3. Panteismo orientale , 4.
pitagorico , - 5. eleatico ed ionico ; - 6. degli Ales sandrini e Gnostici , -
7. che difendevano il Paganesimo ; 8. de' Reali nel medioevo , – 9. e
dell'altre Sètte ; - 10. del Bruno e del Campanella 11. ( sterili , se
paragonati al Car tesio ed a Galileo ) , · 12. dello Spinosa ( non paragonabile
alla fecondità del Leiboitz), - 13. de' Panteisti tedeschi , 14. e de' loro
discepoli. 15. Verità grandi , che balenano dal Panteismo ; 16. il quale ,
bensì , le travisa , e però nega i fatti più sublimi della coscienza. CAP.
XXIV. II Dualismo . 493 1. Argomento. - 2. Io che il Dualismo è peggio , e in
che meglio del Panteismo ? 5. Dualismo fra gl' Indiani. 4. D'Anassagora , - 5.
di Platone , - 6. d'Aristotele, 7 . degli Stoici . - 8. Dualismo tra certi
Filosofi maomettani . 9. Dualismo nella Cristianità del medioevo ; 10. e come
le tracce del Dualismo antico si trovino anche ne' Dottori scola stici ; - 14.
talchè se n'occasionava , ne' tempi della Riforma , up Dualismo nuovo , non
antiteistico , macosmologico e antro pologico . – 12. Il Cartesio ; – 15. ed
effetti delsuo Dualismo , segnatamente nel Malebranche , - 14. e nel Leibojtz ;
15. o anche nell'Idealismo , nel Sensismo e nello Scetticismo poste riori . 16.
Il Dualismo riduce i contrarj a contradittorj , - talchè rompe ogoi armonia .
CAP. XXV. L ' Idealismo e il Sensismo.... 515 1. Differenza fra l ' Idealismo e
il Sensismo. 2. Cenno storico di questi sistemi . – 3. Io che propriamente
consiste l ' Idealismo (e sbaglio d' alcuni moderni), e paragone con gli
effetti del Sensismo. - 4. Vizio principale degl ' Idealisti . 5. Nel Sensismo
la coscienza umana non riconosce sè stessa ; 6. non l'intelletto ,
essenzialmente diverso dal senso ; - 7. non - 8. non l'idealità ; 9. non la
riflessione sopra di noi ; 10. non la religiosità ; 11. non la certezza nella
cogoizione de' corpi ; 12. non la Filosofia ; si solamente la Fisica , - 13. ma
falsata e con metodi non suoi . - 14. E sono alterate anco le Matematiche , -
15. com' altresi la Sto ria . - 16. Sunto . INDICE DEL VOLUME
SECONDO. - Cap. XXVI. Lo Scetticismo...... Pag . 1. Argomento. 2. Scetticismo
nell'Asia e fra gl ' Italo greci ; - 3. nell'età Socratica e del medioevo ; 4.
nell'età moderna . – 5. Eclettici e Mistici , che non riparano allo Scet
ticismo , dacchè gli concedono di partire dal dubbio . – 6. Idea Jismo scettico
e Sepsismo scettico. 7. Razionalismo , 8 . e Positivismo ; – 9. e quindi
Scetticismo metafisico , antimetafisico , - 11. che bensi trova la Metafisica
per tutto . – 12. Come la natura repugoi dallo Scetticismo . 13. Con seguenze
principali di questo . Desolazionee scherno . - 14. Dif ficoltà pelle
controversie , o Dommatismo scettico ; abito di giudicare de' fatti umani da
sole circostanze esteriori. 16. Lo scetticismo riduce a nulla il pensiero. 10.
e 15. e CAP . XXVII. L'Amore della Verità ... 22 4. Che cosa è nell'ordine suo
pieno il Criterio ? Condizioni intrinseche ed estrivseche per la conoscenza
della Verità . 2 . Sentimento e amore. 3. L' affetto è conoscenza e la cono
scenza è affetto . -- 4. Bisogna secondare con la libera riflessione il
naturale affetto . 5. Come l'affetto della Verità dia im pulso al ragionamento
, l'accompagni e lo assicuri , e perciò bi sogna guardare a quell'impulso , 6.
a quella compagnia e a quel riposo ; - 7. e sbagliarono tanto i Sentimentali ,
che di visero l'affetto dall'evideoza ; 8. quanto gli Astratteggian ti , che
separarono l'evidenza dall'affetto . 9. Ufficio del l'amore di Verità nelle
Matematiche ed io Fisica . - 10. Ufficio di quello in Filosofia , il quale
altresì ci mostra gli affetti con naturali, che corrispondono agli oggetti
della Filosofia stessa ; - 11. cioè l'amore di noi medesimi e degli altri
uomioi , 12. l'ammirazione affettuosa per l'ordine della natura 13 . e gli
affetti religiosi . – 14. Quello è anche Criterio degli Studj critici , storici
e teologici . – 15. Nelle passioni l'affetto patu rale può facilmente
riconoscersi . – 16. Per l'affetto la scienza si converte in sapienza. 500
INDICE DEL VOLUME SECONDO. 42 - - 63 - salità ; CAP. XXVIII. Il Senso Comune...
Pag . 1. Quando la parola serve di Criterio ? - 2. Che cosa è il Seoso Comune ?
Due sigoificati di esso , - 5. dal separare i quali vennero due opinioni false
, · 4. Limiti del Senso Co mune : . 5. i principj , 6. le immediate percezioni
, 7 . e le immediate conclusioni . 8. Ufficio diretto e generale del Senso
Comune in Filosofia ; non cosi nell'altre Scienze , 9 . fuorchè dov'esse s'
uniscono alla Filosofia stessa . - 10. Obie zioni sull'esistenza del Senso
Comune , per la contrarietà delle opinioni . – 11. Obiezioni contro la
testimonianza de' Lioguagej al Senso Comune , per la supposta indifferenza de'
vocaboli al si e al no ; – 12. per il materiale significato primitivo di parole
che ricevevano poi un sigoificato spirituale. 13. Obiczioni sulla
ragionevolezza d'usare il Senso Comune a Criterio , qua sichè questo sia
credenza , non evidenza ; - 14. quasichè vo gliamo reputarlo sapienza o scienza
; 15. quasichè occor resse interrogare tutti gli uomini . . 16. Sunto, e
necessità di ricondurre le Scienze alla natura , come le Arti del Bello . CAP .
XXIX. Tradizioni e progressi nelle Scienze ... 1. Criterio delle Tradizioni
scientifiche . 2. Due siguifi. cati del vocabolo Scienza . – 3. Dobbiamo
verificare l'univer 4. distinguendo i principj, i teoremi , i problemi, e gli
errori. 5. L'unità del consentimento non toglie la libera varietà . -6.
Consentimento e progresso pe' principj e ne' teo remi , -7. e ne' problemi . –
8. Le Sètte son dimezzatrici della Verità ; 99.. eppure confermano i teoremi ,
10. e son’oc casione di progresso , mostrando i mancamenti della Filosofia ,
11. perfezionandone la forma , 12. e alcune dottrine particolari , - 13. e le
loro conseguenze nelle dottrine de'Fi losofi. – 14. Nascono due opinioni false
: cioè i sosteoitori della sola evidenza privata ; – 15. e i sostenitori del
solo criterio storico . - 16. Conclusione. CAP. XXX. Relazioni fra le Scienze e
la Religione ..... 1. L'argomento, che ora si tratta , è Glosofico di sua na
tura , – 2. Due significati della parola Religione. - 5. S'esclu de : che la
Filosofia debba ricevere l'autorità senz' uo motivo evidente di ragione; – 4.
che, per l'esame, debba sospendersi la Fede ; 5. che l'autorità del verbo
religioso sia un Crite rio diretto per ogni Scienza ; - 6. che la Filosofia
debba en trar pe' Misteri , o la Teologia nel ragionamento filosofico ; – 7 .
che sia lo stesso metodo e lo stesso fioe a’ Filosofi e a' Teologi . - 8. Nel
fatto , l'efficacia delle Religioni è universale sopra i sistemi filosofici ;
9. e sempre la Religione s’ è reputata upa Fede ; 10. Criterio è poi , se
corrisponde alla coscienza ; 11. talchè sia un'evidenza e una credenza , cioè
una credenza evidente. · 12. Fa quasi specchio all' uomo interiore , - 15 . che
riconosce l'integrità dell'essere suo io quella. 14. Gra vissimo errore del
negare validità razionale lenza non filosofica . 15. Il Criterio religioso
sublima l'animo e lo ràs. serena, porgendo così le due condizioni necessarie
d'ogni me . ditazione più alta . 16. Sunto. 84 INDICE DEL VOLUME SECONDO. 501
LIBRO QUARTO. Leggi speciali della Dialettica . oi . - - 6. e Cap. XXXI.
Dell'Ordine , come suprema Legge razionale . Pag. 107 1. Legge suprema
razionale . 2. Leggi concrete o datu rali , 5. Legge soprema è l'ordine . 4.
Unione de' termi 5. Cercare questa unione, rispetto agli oggetti , pelle
operazioni , cosi dell'Arte bella e dell' Arte buona , 7 . come dell'Arte
dialettica . 8. Cercare la somiglianza de' ter mioi, – 9. le loro differenze ,
- 10. e le loro contrarietà , 11. escludendo i contradittorj. 12. Ksempio tolto
dalla teo rica de' Criterj . – 15. Errore, deformità , male , sono disor dini .
Ogni errore non altro è , che da una parte soltanto risguar dare la verità ,
segregandola dal resto che le appartiene , e senza cui non è più verità. - 14.
Gli errori e il male cadono d'ec cesso jo eccesso . 15. Meraviglie della
ragione umana, che imita l'ordine della natura interiore ed esteriore . 16. Coo
clusione. Cap . XXXII. Ordine dell'idee 127 1. Ripensamento dell'idee. - 2.
L'idea , del suo valore intimo , è sempre vera ; - 5. quantuoque altresi per
idea s’in . tenda lutto ciò che con la riflessione s'afferma e nega ; e allora
l'idea può essere falsa . — 4. Bisogna esaminare il positivo del l'idee ; - 5.
nè può darsi un'idea negativa per sè medesima. 6. Poi bisogna esaminare
l'ordine dell'idee con gli oggetti, e come non possiamo pegar l'idea d’un
oggetto , se igooriamo la sua intima essenza , nè possiamo negare l'idea d'un
fatto , se ignoriamo il comeavviene il fatto , ec .; -7. e bisogoa esa minare
qual sia la natura dell'oggetto , coocepita per mezzo dell' idee . - 8. Idee a
priori e a posteriori ? 9. L'idee hanno fra loro uo ordine cbe va riconosciuto
; 10. talcbè , riflettendo a quello , si formano idee distinle , adequale ,
chia -A1 . e ci leviamo all'idea perfetta . 12. Bisogna , in line, ch'
esaminiamo la forma concettuale dell'idee , 13. la loro estensione e
comprensione , 14. onde riconosciamo l'unità 15. per la quale l'idea è un
esemplare unico di 16. Chi poo badi alla oatura dell' idee non può intendere
alcuni fatti maravigliosi della patura umana . Cap. XXXIII. Ordine della Memoria
.. 1. Argomento .– 2. La legge della Memoria è l'ordine stesso che regge l'idee
. 3. Associazione dell'idee . 4 . Come possono in unità raccogliersi le varie
associazioni , notate da' Filosofi. 5. Quella medesima legge si distende al
richiamo de' fantasmi e de'segoi . - 6. E anzi , abbraccia tutte le facoltà ,
concorrenti nella Memoria , 7. e unità naturale del . 8. e l'unità morale del
genere umano. — 9. Que st' ordine , ch'è legge della Memoria , diviene regola .
È neces saria l'attenzivce sull’idee e il raccoglimento. 10. Bisogoa 32 * re ,
dell' idee , molte cose . ſaomo , 502 INDICE DEL VOLUME SECONDO, - considerare
la coonessione dell'idee e i segni seosibili per facil . mente richiamarle. -
11. Inoltre , acquistar l'abito della ri flessione sull'ordine de' giudizj e
de' raciocinj, per il pronto discorso scientifico . 12. Singolarmente
quell'abito è neces sario per la Memoria delle parole. 15. Tadi procede la pa
dronanza dell'esporre. 14. Per l'uoità coosapevole interna , occorre
rammemorare il nostro passato . 15. Per unità morale del genere umano poi ,
occorre la Tradizione , ch'è me moria. – 16. Conclusione . Cap. XXXIV. Ordine
de' giudizj.. Pag. 166 4. Argomento . 2. Co.ne dall'idee si svolgono i giudizj
; - 3. onde i giudizj possibili sono distinti da’ formati o reali. - 4.
Categorie , 5. oggettive e soggettive. 6. Perfezio oamento di questa dottrina .
- 7. Categorie oggettive , o se condo gli Universali ; 8. Categorie soggettive
: 9. I. quanto alla forma concettuale dell'idee , giudizj universali , ge
nerali , particolari , singolari ; - 10. II . quanto alle relazioni fra l'idee
, categorici , ipotetici, disgiuntivi, 11. problema tici , assertori ,
apodittici, - 12. diretti e comparativi, astratti e concreti, a priori e a
posteriori , - 13. analitici e sintetici ; - 44.III . quanto alla forma
de'giudizj , affermativi , negativi , limitativi ; 15. IV . quanto alla
relazione di più giudizj, equipollenti , convertibili , contradittorj ,
contrarj e subcontrarj. 16. Conclusione; e come sia necessario , giudicando ,
solle varsi all'idea distinta , chiara , adequata , e quindi perfetta , di ciò
che meditiamo. Cap. XXXV . Ordine del ragionamento .. 186 1. Argomento. Regole.
• 2. Legge dialettica . – 5. Idea media ; e come il raziocinio sia un giudizio
complesso che si scioglie in tre giudizj. – 4. Priocipio formale del raziocinio
. - 5. Deduzione e induzione. - 6. Deduzione dal simile al diverso . – 7.
Induzione dal diverso al simile . - 8. La diffe reoza tra il ragionamento
deduttivo e l'induttivo, in che non può consistere ? — 9. Qual'è duoque la
differenza del ragiona mento deduttivo , 10. e dell'induttivo ? - 11. Da essa
viene la regola . 12. E , per opposto , dal violarla vengono i sofi - 13. e si
vedenel dedurre, - 14. e nell'indurre.: 15. Non deve mai separarsi la 'regala
formale dalla materia del ragionamento ; - 16. oè la materia di questo
dall'ordine suo . C .: P. XXXVI. Utilità del ragionamento . 206 1. Argomento.
2. Come deve intendersi che si procede dal noto all'ignoto ? 5. Che cosa
troviamo di nuovo per via del ragionamento ? 4. Deduzione; 5. in Fisica , in
Ma. tematica applicata ; – 6. altre scoperte , – 7. per equipollen za ,
conversione, opposizione, esclusione'; 8. deduzione per via di regole applicate
. – 9. Induzione , é sua certezza . --40 . Induzioni fisiche. 11. Analogia .
12. Ipotesi. – 13. In duzione metafisica . – 14. Due erroriopposti : l'uso di
coloro che immaginano la deduzione quasi generazione ; 15. l'al tro di coloro
che negano il dedurre. 16. Conclusione . smi ; ISDICE DEL VOLUME SECONDO. 503
216 Car. XXXVII. Unione e varietà de'Metodi.......... Pag. 227 1. Argomento .
2. La verità , com ' ordine conosciuto , si trasforma in Metodo : può vedersi
dalla Storia della filosolia , 3. e delle Scienze fisiche ; 4. talchè vana è la
disputa se preceda l'importanza de'Metodi o de principj; - 5. e quindi ancora
si vede che il Metodo risguarda il soggello e l'oggello , e ch'è psicologico ed
ontologico insieme , 6. cioè critico . - 7. Faria il Metodo ; ma neile varietà
c'è leggi comuoi . 8. Le varietà poi derivano dalla natura dell'argomento , 9 .
taotoché riesce assurdo il coofondere tra loro i Metodi; 10 . e vba Scienze
deduttive , 11. induttive , . 12 , miste ; 13. più sintetiche , o più
analitiche . 14. I Metodi , variando secondo la varietà delle cose ,
diversificano pure secondo la mente di chi pensa la verità , 15. e secondo la
mente di co loro , a cui la verità s ' espone. 16. Sunto. CAP. XXXVIII. Abiti
necessarj al ragionamento 1. 11 Metodo è abito , e richiede: abito di virtù ,
abito in tellettuale che disponga l'intelletto all'Arte ragionativa, e abito
dell'Arte. – 2. Abito morale , cioè amore della Verità . 5 . Bisogna essere
preoccupati solo da questo amore ; 4. unito alle virtù morali , - 5. e come
dagli abiti viziosi opposti s' of feoda il ragionaiento buono. — 6. Abito
intellettuale del rac coglimento, – 7. donde nasce il diletto della meditazione
, 8. e che porta con sè l'abito di badare all'armonia delle facoltà e delle
dottrine , 9. e di ordinare i proprj studj . 10 . Abito intellettuale dell'Arte
, cioè il possesso delle regole . 41. e dell'ordine loro ; 12 donde procede la
necessità di tre atti razionali abitualmente, cioè l'esame del pensiero del
principio de' ragionamenti, a mezzo e io fine ; 13. il quale ultimo è
importantissimo ; 14. e indi viene il possesso della ragione ; 15. acquistato
piucchè mai dall'esercizio della pewna e della disputa ; 16. purchè questa sia
conveniente. Cap . XXXIX. L'Esposizione .... 264 1. Iinportanza dell'argomento
, 2. Ufbej della parola : interpo e sociale . 5. La parola s’unisce
strettamente al pen siero , ma non lo costituisce ; 4. bensi lo determina . 5 .
Non bastano i fantasmi, ma ci vuole il segno dell'idea 6 . tanto più che il
discorso esterno aiuta con la successione sua la riflessione discorsiva . – 7.
Legge dell'Esposizione si è la legge dialettica ; 8. ossia determinare con la
lingua l'ordine del pensiero ; il che apparisce anche da' nomi che si dànoo
a'ter mioi della proposizione e del raziocinio , e al congiungimento de'
termini ; - 9. e poi , la bellezza dello stile dottrinale ac corda il Vero col
Buono . 10. Regola perciò è : determinare cop l'ordioe della parola l'ordine
del pensiero ; -11 . in con formità dell'idee e dell'idioma , 12. donde si
traggono le regole tutte grammaticali , 13. e dello stile . 14. Quindi è
impossibile separare la bellezza dell ' Esposizione dalla pro fondità e
dall'ordine del pensiero . – 15. Se non determiniamo con le parole il proprio
concetto , - 16. in conformità dell'ig 2 504 INDICE DEL VOLUME SECONDO. 4. ma
timo legame fra i concetti , e in couformità del linguaggic , ven gono gravi
errori . Cap. XL. L'Interpretazione .. Pag . 283 1. Argomento. — 2. In quante
maniere debba determinarsi l'ordine del pensiero altrui . 5. Relazioni del
discorso con la Jingua ; e perciò la sappia , chi vuolesser critico ; tutti
sapere ogni liogua , non si può pè giova ; 5. e allora valersi degl'interpreti
migliori. – 6. Relazioni del discorso con la mente altrui; e perciò stare al
senso letterale , quanto si puo ; – 7. oon interpretare alla leggiera né cop
troppo di sot tigliezza : 8. non alterare né i difetti né i prenj ; – 9. ba
dare ai fini che il testimone o lo scrittore si proponeva. 10 . Relazioni del
discorso con l' animo altrui; e pero guardare alla capacità e alla veracità con
argomenti intrinseci ed estrioseci ; : 11 . nè la capacità negare, preoccupati
da un'idea ; 12 . nè , per la veracità , eccedere ne' due vizj opposti d'una
Critica adulatrice o caluoniatrice. - 15. Relazioni con la Società uma na ; e
però con l'incivilimento , 14. con la Religione , 15, con l ' uniune delle
prove . 16. Sunto, LIBRO QUINTO . Metodi secondo le varie Discipline. 305 0 Cap
. XLI. Metodi speciali ..... 1. Perchè i Metodi si distinguono secoudo le
Discipline va rie ? - 2. Quanti sono i Metodi speciali , - 3. che procedono
dalla relazione varia degli oggetti con la mente ? 4. Ogni errore sostanziale
di Metodo procede da un errore su detta rela zione. - 5. Gli errori de' sistemi
sul Metodo , esaminati , ren dono testimonianza tutti insieme alla vera
dottrina. 6. La distinzione de' Metodi è necessaria pell'Arte del Vero , come
si distinguono l'Aiti speciali nell'Arte del Bello ; – 7. e chi oega la
differenza de' Metodi, pega implicitamente esplicitamente una qualche verità ;
come nell'Arti Belle , 8. cosi nell'Arte dialettica . 9. Connessione de' Metodi
; . 10. e ciò si vede anco nell' Arti del Bello . Hl . Ma la connessione non
toglie poi la distinzione , 12. secoudocbė il rispetto delle verità mediane o
collegatrici diversifica ; 13. onde bisogna rispet tare la varia competenza
nelle Scienze diverse ; 14. beocbe uno Scienziato possa partecipare di più
Scieoze. 15. Sunto . - 16. La confusione de' Metodi è coutro il progresso della
civiltà . Cap . XLII . Metodo degli Studj religiosi. 1. Argomento. 2. Proprietà
del Metodo negli Studj re ligiosi . – 3. Metodo storico circa i fatti ; – 4. e
guardare do v apparisca propriamente la loro Storia . 5 Metodo joterpre tativo
circa i fatti , -6, e le dottrine, 7. Metodo filosolico circa la possibilità razionale
de' fatti dividi , 8 , e come gli 324 INDICE DEL VOLUME SECONDO. 505 -
Avversarj neghino irragionevolmente questa possibilità ; 9 . poi , circa la
razionale convenienza in genere de ' fatti divini , ma esclusa sempre la
necessità ; - 10. poi ancora , circa la ra zionale convenienza in ispecie, cosi
de preliminari della Fe de , 11. come nelle Verità misteriose . 12. Unione del
Metodo filosofico , dell'interpretativo e dello storico , per le origini del
Culto e per la sua universalità nel tempo, 13 . per le sue relazioni universali
con le Scienze e con l'Arti , 14. con la Civiltà intera , - 15. e con tutti gli
altri Culti . 16. Cooclusione . Cap. XLIII . 11 Metodo teologico si distingue
dagli altri Me . todi e vi s'accorda .. Pag . 342 1. Argomento. 2. Il Metodo
teologico si distingue dal filosofico , perchè muove dall'autorità , – 3.
perchè risguarda il soggetto medesimo in un rispetto differente , 4. perchè ,
quantunque abbia io sè una parte filosofica , non è meramente filosofico. 5. Si
distingue dal Metodo critico e filologico , percbė storicameote e
ioterpretativamente riconosciamo cause sovrunane, l' Intelletto sovrumano, tini
soprannaturali. 6 . Si distingue dal Metodo matematico , perchè risguarda la
libertà divina e l'umana ne' fatti religiosi. – 7. Si distingue dal Mo todo
fisico ; e tal distinzione ha importanza eguale pe' Teologi , che non debbono
considerare come il mondo è fatio , - 8.6 pe ' Fisici , che non debbono
considerare come il moodó fu fatto . 9. Il Metodo teologico s'accorda poi col
filosofico ; perchè il Teologo non deve separare mai l'attinenza fra Teologia e
Filo sofia che porge a quella le verità prelimioari, l'analogie razio nali e
l'ordinamento ; - 10. pè il Filosofo deve mai separare l'attinenza tra
Filosofia e Teologia , che rende più autorevoli o efficaci le verità razionali
. – 11. II Metodo teologico s'ac corda col critico, perchè il Teologo ha
bisogno di guardare alla Storia universale e alla Linguistica ; — 12. il
Filologo ba bi sogno diguardare alla Storia religiosa e ai monumenti sacri .
13. S'accorda col matematico , per la severità del ragiona mento , per molti
esempj , per molte dottrine fisicomatematiche, per l'evidenza del concetto
d'infinità . – 14. S'accorda col fisi co , perchè il Teologo non deve mai
tenere la scoperta di cose na - 15. pė il fisico deve spregiare la
verificazione delle ipotesi , secondo le narrazioni sacre . 16. Sunto . Cap.
XLIV. Metodo della Filosofia.... 361 1. Argomento . — 2. Proprietà del Metodo
filosofico. – 3 . Raccoglimento nella coscienza . 4. Esame de' fatti interni ,
delle loro leggi e cause . turali ; - - 5. Delle relazioni con gli oggetti ; 6.
e però avvi una parte del Metodo , asceosiva da'fatti agli oggetti stessi , e
una parte discensiya dagli oggetti a ' fatti. -7 . Si distingue dal Metodo
teologico , e dal critico o filologico : 8. dal matematico , per la natura de'
concetti , la natura degli oggetti ; – 10. dal fisico , per la natura de' fat
ti , e per le relazioni loro con gli oggetti, 11. e quindi per la ricerca delle
classi loro , e leggi e cause , e per i priocipi della ragione. - 12. Si
accorda col Metodo teologico per l'esa 9. e per 506 INDICE DEL VOLUME SECONDO .
- me della coscienza; 13. col critico o filologico , per lo stu . dio
dell'umana natura pe' fatti umani esteriori e nelle lingue ; 14. col malematico
, per la speculazione di verità con ma teriali ; – 15. col fisico , per
l'altigenze fra le cose intellettuali e le corporee. 16, Sunto . CAP. XLV.
Metodo della Filosofia Civile .... Pag. 381 1. Argomento . — 2. Proprietà del
Metodo nella Filosofia Civile . Questa si fondi sopr'i fatti , – 3. badando
alla notizia loro precisa e al collegamento loro . 4. Studio delle cagioni ; ma
fuggendo di prendere l'analogie per identità . - 5. Esame delle cagioni
esteriori ed interiori, non separabili , ma distinte . - 6. Le cagioni
interiori hanno più importanza : 7. ma senza trascurare l' esteriori . - 8. Si
ascende alle leggi o ragio ni . Leggi supreme della Scienza storica , della
Politica , della Giurisprudenza , dell'Economia. - 9. Le dette leggi non tol
gono la libertà , - 10. come la libertà non toglie alle conse guenze proprie la
necessità ; 11. tantochè in ciò risplende l'ordine della Provvidenza . – 12.
Dopo l'esame induttivo delle cagioni e leggi può farsi la deduzione, o probabile
o necessa ria , di ciò ch' è avvenuto e che può avvenire. 13. Questa Filosofia
delle ragioni o leggi , che governano le nazioni , non può trascurare il
procedimento storico ; ma neppure si può, per questo , trascurare la teorica di
quelle . - 14. Talchè la Scienza civile ha due presupposti , la Storia e la
batura . –15. Però il Metodo suo si distingue da ogni altro , 16. e a tutti si
upisce . Cap . XLVI . Metodo critico nella Storia . 401 t . Argomento. – 2.
Esame de' fatti , — 5. Discipline che aiutano in ciò la Storia : Cronologia e
Geografia , – 4. Archeo logia , Diplomatica , Statistica , Archeologia
preistorica , Etno grafia. 5. Come si può andare in eccessi con queste disci
pline . - 6. Ipercritica . – 7. Esame delle cagioni ; e iodi lo Storico rifà la
Storia entro di sè . 8. Cause finali, 9. particolari, generali , 10.
psicologiche , A1 . divine . 12. Oggettività della Storia ; 15. e come ciò la
renda bel lissima e ammaestrativa . – 14. Come lo storico si distingua da ogoi
altro Metodo ; 15, e vi si accordi . 16 Sunto, CAP. XLVII . Metodo critico
nella Linguistica . 420 1. Proprietà del Metodo interpretativo delle Lingue. 2.
Raccolta ed esame de' vocaboli . – 5. Come bisogna valersi dell ' uso proprio
nelle Lingue parlate , e come giovino i testi moni dell'uso . A chi ricorrere
per lo Lingue morte. Grammatica poi determina le classi e le leggi de' vocaboli
, 5. Avvisi necessarj a far bene la Grammatica . – 6. Io che con siste la
Filologia comparata. – 7. Utilità di essa , e da quali estremi bisogna fuggire.
8. Il fine dell'esame filologico è interpretativo principalmente ; – 9. e ciò
ne determina i con fini , i modi , 10. e le relazioni ; che sono massimamente
due : con la Letteratura , 11. e con la Storia , - 42. E iodi anche vediamo le
indirelle relazioni della Linguistica ; cioè con 4. La INDICE DEL VOLUME
SECONDO . 507 ca , la Teologia . 13. con la Filosofia , 14. cop la Matemati 15.
e altresi con la Fisica , sempre distinguendosi da tutto ciò . 16. Sunto. CAP.
XLVIII. Metodo matematico ... Pag. 440 1. Proprietà del Metodo matematico. – 2.
Quantità pore, cioè astratte da ogni altra idea . – 5. Nel che , poi , bisogna
di stinguere fra l'insegnamento elementare ed il superiore. 4 . Si cerchino le
ragioni , sgombre da ogo' idea straniera . 5 . Idea dell'Infinito , distinto
dall'indefinito matematico . - 6. Il Cavalieri . – 7. Distiozione dal Metodo
teologico , - 8. e rela zioni con esso ; 9. dal Metodo filosofico : 10. e
accordo con la Logica , 11. onde l'insegnamento della Matematica è razionale ,
12. Distinzione dal Metodo critico , segnatamente dal letterario , 13. e
accordo . - 14. Relazione col Metodo fisico . 15. Come le dimostrazioni
matematiche abbian virtù di assestare gl'intelletti , e anche possano
dissestarli . . 16 . Sunto. Car. XLIX . Metodo nelle Scienze fisiche..... 459
1. Argomento . Proprietà del Metodo nelle Scienze fisiche , - 2. Prinia
d'indurre si comincia dall'Analogia ; 3. cbe talora non può giungere all'
Induzione, 4. Può essere fonte di errori ; o del troppo generaleggiare , 5. o
del poco. – 6 . Essa è di molta difficoltà . 7. Regola da tenersi. – 8. Indu
zione. Uffioj del senso e dell'iotelletto . 9. Ci solleviamo alle 10. alle
cause , - 11. alle leggi , 12. e però al . l'ordine . 13. Doppio errore de'
Sensisti e degl ' Idealisti . 14. Frantendono allri la luduzione , ch'è
legittima e necessa ria , 15. e da cui siamo condotti alla Deduziune . Suato .
Cap. L. Segue del Metodo fisico ; e Ordine fra le Scienze .. 479 classi , 16.
1. Argomento. – 2. Abiti che prende la meote per gli Studi fisici. – 5. Idem .
4. Necessità di mantenere l'ordine fra le Scienze . - 5. Guai , se la Fisica è
usurpativa. Confusione della Fisiologia con la Psicologia : – 6. de' fatti
esteriori con fl'interiori. – 7. Confusione di linguaggio , e dogmatismo. 8. Si
confondono i bruti con l'uomo ; – 9. la volontà con gli atti meccanicamente
determinati. – 10. Si distingue il genere umano in più specie , poi si pongono
le trasformazioni di tutte le specie ; -- 11. si confonde l'ordine de' fini col
piacere • con la materiale utilità . - 12. Abiti cbe prende l'intelletto per
gli Studj religiosi; Filosofia ; - 14. per le Matema. tiche ; - 15.per la
Gritica . 16. Conclusione generale. STORIA DELLA FILOSOFIA ROMANA. - Epoca
seconda dell' èra pagana. Ci. viltà degl' Italogreci ; successione dei loro
sistemi . . 245 XIV. Scuole italogreche . Epoca quarta dell ' èra pagana. Si
stemi grecolatini . - Cicerone . 366 XIX Giureconsulti romani. EPOCA
SECONDA DELL'ÈRA PAGANA. CIVILTÀ DEGL'ITALOGRECI; SUCCESSIONE DE'LORO SISTEMI.
SOMMARIO . Tre tempi dell'incivilimento ilalogreco ; i l'elasghi, la trasfor
mazione loro negli Elleni , le colonie . - Il terzo è più nolo ; quali sono i
suoi termini . – Cinque cagioni più principali dell'unione fra la civiltà
orientale e l'italogreca : colonie , commerci, viaggi , lingue , tradizioni.
Tre opinioni sopr ' esse; tutto dall'oriente, nulla e opinione media . – Dj
pendenza non generica nė volgare della filosofia italogreca daʼsistemi orien
tali . – La civiltà jtalogreca fiori primamente dove più vive le comunica zioni
con l’Asia e dove più ricco un anteriore incivilimento . l'ero quest'epoca si
chiama orientalitalogreca , o più breve , italogreca . Questa è un'età di
passaggio , fra le qualità orientali e il tempo socratico. Si veda le attinenze
lia filosofia italogreca , religione e civiltà. Quanto alla religione
sacerdotale, se n'ha indizi per le memorie de ' Pelasghi, de ' Mi steri e degli
Orfici. Celebre passo di Erodoto sulla religione de ' Pelas ghi, e sul nome
degli dèi posteriori ec ., e conseguenze di ciò . Somi ilianze tra la religione
pelasgica e quella de' Bragmani. - Misteri : quelli di Samotracia istituiti da
'Pelasghi ; domma che s'insegnava segretamente e molto simile al panteismo
dell'India. – Ciò pur anche ne ' Misteri eleu sini ; panteismo naturale,
metempsicosi, immortalità, purificazione. - La teologia d’Eleusi non può
interpretarsi solamente in senso fisico. Testi monianze di lode que' Misteri
pel domma sull'immortalità . Le due anime; anch'in Omero ec . – Gli Orfici:
qualcosa di storico v'è circa Orfeo , benché con mistura di simbolo.-- La
dottrina che va sotto il nome d'Orfeo si raccoglie da tradizioni antiche e
da'versi orlici. Le tradi zioni attribuiscono a Orfeo una religione collegata
poi a'Misteri eleusini : cosmogonie orliche, somiglianti all'indiane . Quanto
a'versi orlici , que sli non appartengono a Orfeo ; ma parecchi son certamente
molto antichi. Da varj ioni (che si riferiscono qui, apparisce il panteismo
naturale come ne ' Vedi. Passi che fece la religione tra l'Italogreci:
panteismo natu rale con molte tracce del Dio unico ; adorazione degli astri ,
massime nel volgo ; teogonie , o emanazioni sempre più specificate e che prendono
attri boti e nomi distinti ; individuazione ultima e volgare del politeismo,
specie per opere degli artisti e de' poeti, abbandonando quasi ogni simbolo.
Memorie sul combattimento fra le religiose tradizioni e il politeismo cre
scente. - La filosofia , dunque, prima sacerdotale ; poi sacerdotale e laicale
ad un tempo ; cedè inline al politeismo, rispettandolo, se non altro , come
apparenza o credulità popolare. — Questo resistere al male, e poi cedergli, si
vede ancora per l'altre parti della civiltà italogreca. La filosofia venne
preparata da molte cagioni, e però dovè fiorirvi assai presto , anzi chè
cominciare a' tempi di Talete molto dubbiosi. - La filosolia mosse da un
ritorno sulla coscienza morale Questa filosofia morale e religiosa fiori, prima
di Taleto, non solo in Italia ma tra gli Ionj pur anco ; e se n'ha prove non
dubbie. La cuola pitagorica precedeva Talute ; ma va di . slinto Pitagora dal
Pitagoresimo. - Molti argomenti di fatto e molte auto rità per mettere in saldo
le antiche origini di tal filosofia . Anche la scuola di Xenofane antecedė
Xenofane stesso ; e quindi abbiamo, prima il Pitagoresimo, poi la scuola
cleatica e l'ionica , infine i sistemi negativi . L'epoca dell'incivilimento
italogreco si può distin guere in tre tempi; de Pelasghi ( o con qual altro
nome 246 PARTE PRIMA. si voglia chiamare que' popoli primitivi) ; della
trasforma zione di essi negli Elleni ; delle colonie. L'età de' Pelasghi o
degli antichi abitatori di Grecia e d'Italia si perde nella notte de' secoli ,
ignoto il principio e la durata . È certo bensì, che quegli abitatori vennero
d'Oriente, come se n'ha prova in tutte le memorie e ne’linguaggi e nelle
reliquie dell'arti ; e che i Pelasghi, quantunque paruti barbari a Ecateo e ad
Erodoto e di barbaro dialetto, furono la più antica sorgente e più copiosa
delle genti e lingue e religio ni elleniche. (Balbo, St. d'It.; Cantù, St. univ
.; Guignaut, note al Lib. IV del Creuzer, Rel. de l'antiquité.) Sem braron
barbari, perchè reliquie di popoli più segregati allora da'popoli nuovi, già
molti passati avanti. Fatto è che di là, ove i Pelasghi abitarono, fan derivare
i Greci la civiltà loro , dall' Elicona, dall'Olimpo e dal Pindo. Accadde poi e
in Grecia e in Italia un cozzo di popoli : qual cozzo, e di che popoli, è molto
incerto agli eruditi ; ma questo si sa, ed Erodoto l'afferma più volte, che al
lora con trasformazione lunga e tempestosa i Pelasghi si convertirono in
Elleni. Viene poi l'età delle colonie ; un rovesciarsi di genti greche le une
sull'altre, un in vadere, un esulare, e indi un propagarsi di colonie, prima
nell'Asia minore e nell'Isole, poi nella Calcide, nell'Eu bea , in Sicilia e
sulle coste d'Italia, e infine (propag gini di colonie da colonie) in Asia , in
Tracia, sul Da nubio e nel Mar Nero. Questa terza età è propriamente storica ;
dell'altre due il più va ingombro di favole ; e la terza cominciò, secondo
l'Hofler assai temperato nelle · cronologie, sul secolo undecimo avanti l'èra
nostra. ( St. Univ .) In un'età così lunga e operosa, e ch’ebbe così lun ghe e
ricche preparazioni, si formò la civiltà e filosofia degl'Italogreci; la quale,
svolgendosi nelle colonie d’Ita lia e dell'Asia minore, cedè poi nel secolo
quarto avanti Cristo al primato d' Atene; onde cominciò un'altra età di
filosofia . Nell'epoca di che si parla ora, in ogni tempo del l'epoca stessa,
cinque cagioni principalmente mantene LEZIONE DECIMATERZA . 247 vano unite la
civiltà orientale e l'italogreca ; colonie , commerci, viaggi, lingue,
tradizioni : Le colonie, nè dico solo l'egiziane di Lelege, Danao, Cecrope ed
altri, ma le prime venute dalla terra degli Arii e de' Persiani, e l'ultime
ellene che si spargevano per l'Asia minore ; i commerci, che com’appare in
Omero, non cessarono mai tra Grecia e Italia e le coste dell'Asia ; i viaggi
per l'Oriente, non possibili a negare in tutto, de filosofi d'allo ra, come il
Ritter non nega quelli di Pitagora, il Ritter ne gatore sì voglioso ; le
lingue, che certo prendevano gl'inizj degli Orientali, e con le lingue le
tradizioni d'ogni maniera. Tra queste, principali le religiose, in torno a cui
son tre le opinioni: da Erodoto fino al Creu zer le mitologie italogreche, la
greca segnatamente, si reputarono di provenienza orientale e il più egiziana ;
ma poi Ottofredo Müller, il Voss e altri riferirono tutto ad ori gine greca ;
il Guignaut ( Note al Crcuzer) ed altri con lui tennero finalmente l'opinione
media . E questa si è che i germi delle credenze religiose si trapiantassero d'
Asia com'anco radici e forme generali delle lingue ; ne può pensarsi
altrimenti, dacchè ivi coabitarono un tempo le genti ellene : ciò non impedì,
nè mai l'im pedisce uno svolgimento di proprie fattezze così nelle lingue come
nelle religioni: all'età poi delle colonie, quand' elle si sparsero sull' Asia
minore, per l'Egeo e nel Ponto Eusino, dalle comunicazioni fra loro e i vi cini
orientali scaturi la fonte più copiosa d'idee e di simboli asiani, manifesta
già in Esiodo ed in Omero . ( N. 1 al Lib. V , Sez. 1. ) Talchè (ponete mente,
o si gnori), se lo spargersi di colonie nell'Asia minore av venne dall’undecimo
all'ottavo secolo incirca, e nel con tinente poi d'Italia e di Sicilia
dall'ottavo al sesto , que st'ultimo fatto s'incontra per appunto col ritornare
delle tradizioni orientali fra gli Elleni, e ne sorge in mezzo la filosofia
nuova degl'Italogreci. Non istarò dunque a disputare com’essa derivi più o meno
da’sistemi orien tali, bastandomi ch'ella dipenda per fermo da molte tradizioni
d'Oriente o per le origini delle schiatte o pel 248 PARTE PRIMA. riaccostarsi
loro all'Asia. Che tal dipendenza poi de' po poli d'Italia e di Grecia, nazioni
antichissimamente ci vili e nella civiltà loro pertinaci, possa credersi
affatto generica e volgare, cioè senz'efficacia sull'educazione spe culativa,
giudicatene voi , o signori, che pur vedete gli effetti odierni del comunicare
le nazioni fra loro. Dove fu egli il primo fiorire della civiltà italogreca ?
nelle colonie d'Asia e di Magna Grecia ; non già in Gre cia propriamente detta.
Perchè mai, o signori ? La ri sposta non par malagevole ; prima che in Grecia,
fiori la civiltà negl'Ionj dell'Asia minore, appunto perchè più vicini all'Asia
media, sorgente de' popoli e della civil . tà ; e prima pure che in Grecia
fiorì nella Magna Gre cia , cioè in Italia, perchè ivi più forse ch ' altrove
ra dicò la civiltà pelasga, e perchè le tradizioni che fanno ionio Pitagora e
ionio Xenofane, venuti tra noi, dan se gno come frequenti e vive fossero le
comunicazioni tra le coste italiane e l ' Asia minore. Dico poi, ad ogni modo,
che le colonie greche trovarono in Italia grandi semenze di civiltà, nè però
ebbero impedimento, anzi ebbero aiuto a presto incivilirsi e prosperare. Di
fatto recatevi a mente, o signori, due cose molto importanti: prima, che le ta
vole d'Eraclea , lette dal Mazzocchi, fan prova come i coloni greci prendessero
dagl'Italioti misure e confina zioni agrarie : seconda, che i Lucani, i Bruzj,
i Sanni ti , dopo essersi ritirati davanti alle colonie greche, e riparatisi a'
monti, ne discesero poi , e le ributtarono ( Hofler ), talchè più non restò in
Italia dialetti greci (in Puglia ve n'ha, ma di colonie recenti e fuggite dai
Turchi); la qual cosa non poteva accadere, se que'popoli montanari non
serbavano istituti civili . Ecco il perchè ho chiamato quest'epoca orientalita
logreca (italogreca per più brevità) ; greca, perchè filo sofia di colonie
greche; italiana, perchè sorse più splen dida in Italia e con tradizioni
italiane ( italica chia marono pure i Greci, come Platone ed Aristotile, la
scuola pitagorica e d'Elea) ; orientale, perchè con ori gini e comunicazioni
asiatiche. Non si toglie a' Greci LEZIONE DECIMATERZA. 249 la loro eccellenza '
se notiamo quel ch ' essi appresero ; offenderebbe la verità e loro chi loro
negasse la mira bile potenza di far proprio l'imparato e di dargli bel lezza e
compimento ; essi il ricevuto per dieci lo ridus sero a mille e quel mille lo
insegnarono al mondo; ecco la lor gloria vera e non superata. Quant' all'Ita
lia nostra, o signori, principalmente sul terreno di lei sorse co' Pitagorici
questa filosofia nuova che tanto potè su Platone e sopr’ Aristotile ; l'Italia
ricevè dal 1 ° Oriente e da’Greci, l ' Italia poi restituì alla Grecia e alla
civiltà de' secoli avvenire ; e potè dirsi allora quel che poi disse Plinio :
Omnium terrarum alumna et parens, omnium terrarum electa, una cunctarum gentium
in toto orbe patria. Ma le lodi antiche suonano vituperio a’tra lignati:
avvaloriamoci , o signori, d'emulazione e di virtù, e non di lode . E
quest'epoca, di fatto (come dissi altrove), è un'età di passaggio ; ritiene
ancora le qualità orientali, ma che mostrano già di convertirsi nell'altre
dell'età socratica . Così tra gl' Italogreci, come tra gli Asiatici, abbiamo un
sistema religioso sacerdotale ; ma ora si nasconde ne' Mi steri , e si separa
perciò interamente dalle credenze po polari che prevalgono. Tra gli uni e tra
gli altri la filo sofia dipende dal sistema religioso ; ma ora si svolge in un
modo più laicale e più da sè stesso, perchè così ri chiede la mobilità di
quelle repubbliche, e perchè il sistema religioso si rimpiatta, e nè ha
sull'invecchiare il vigore speculativo degl'inni e commentarj vedici ; par come
un'eco de' tempi passati, più che voce vivente . E siccome la filosofia di
quest'epoca pigliò i germi da'Mi steri ( Ritter ), che aveano del panteismo
orientale, così ell'ebbe del panteistico a mo' degl'Indiani, ma con ten denze
più manifeste alla dialettica che va per distinzioni anzichè per confusioni .
Poi , qui come là s' unì la poe sia con la speculazione, ma più altresi se ne
distinse ; perchè i poemi omerici non furon mai ravviluppati con una
enciclopedia d'episodj; ed i poemi scientifici d'Elea e d'Agrigento s'accostano
alla prosa. E qui come là v'è 250 PARTE PRIMA. incertezze storiche, meno per
altro ; giacchè il più delle incertezze cadono su' Misteri e sulle origini
pitagoriche, non già sulle scuole posteriori . Premesso ciò, si veda, o
signori, qual fosse in atti nenza con la filosofia la religione e la civiltà
degl' Ita logreci . Della religione, come sistema sacerdotale, me ne passerò
più breve che non feci per l'India , giacchè (com ' ho detto) quel sistema era
sul morire, e se n'ha meno ragguagli e meno certezza. La religione sacerdotale
italogreca si può ricercare in tre modi : per le notizie assai oscure dei
Pelasghi, i quali tennero idee religiose più primitive e più vicine alle
orientali ; per le notizie scarsissime de' Misteri; per quelle degli Orfici.
Essi e l'origine de' Misteri apparten gono, credo, all'età di combattimento e
di trasforma zione. Quanto a’ Pelasghi, Erodoto scrive ( II, 51 , 52 , 53) che
da loro non si metteva nome agli dèi ; aggiunge che i nomi vennero d'Egitto e
che i Pelasghi non li volevano accettare, sì ne rimisero la decisione all'ora
colo di Dodona, riuscito favorevole a que' nomi ; e dice infine che le nascite
e le forme e gli aspetti degli dèi vennero cantati da Esiodo e da Omero ; tutte
cose già ignote. Vuol notarsi com ' Erodoto accenni pure che un simbolo osceno
gli Ateniesi lo presero da’ Pelasghi, i quali ne spiegavano il senso ne'
Misteri ; e sappiamo di fatto che pure ne' Misteri eleusini e bacchici si
mostrava i simboli femminili e maschili secondo i riti d'Oriente . Erodoto,
uomo schietto, n'avvisa che il narrato da lui circ' a ' Pelasghi glie l'avevano
appreso le sacerdotesse di Dodona, ma che il resto, circa le invenzioni d'Omero
e d' Esiodo, lo diceva di suo. Che cosa si raccoglie, o signori, da questo
luogo così famoso ? Primo, che la religione de' Pelasghi era più delle
succedute lontana dal politeismo ; secondo, che quella si rappresentava co'sim
boli orientali della generazione divina e però ne teneva i principali concetti;
terzo , che il passaggio dalle divi nità innominate alle nominate, cioè da un
che meno LEZIONE DECIMATERZA. 251 pagano ad un più, non accadde senza
contrasto, e indi si ricorse agli oracoli ; quarto, che tenuto il simbolo
antico ed esteriore, la sua spiegazione si fece nell'in terno de' Misteri ;
quinto, che i nomi si suppongono venuti d'Egitto in età più recente, perchè
all' Asia media non s'imputavano queste tradizioni ; infine che Erodoto reca
l'antropomorfismo ad invenzione di poeti, non perchè già tal errore non fosse
cominciato popolar mente, ma perchè que' poeti l'ordinarono ( più o men di
proposito) in sistemi di mitologia, ed in modi specificati. Che poi la
religione pelasgica somigliasse quella de Brag mani lo attestano Ferecide e
Acusilao in Strabone ( Ed. Sturz ) ; dicendo che i Cabiri , divinità
pelasgiche, son generati da Efesto e Cabira, e che sono tre Cabiri maschi e tre
femmine. ( Creuzer, V , 2. ) Venendo a’ Misteri, abbiamo da Erodoto, non solo
che i Misteri di Samotracia venissero istituiti da' Pela sghi ( II, 5) , ma
(com’abbiamo sentito ) che altresì nel l'interno di quelli si spiegasse i
simboli esterni . Come si spiegavano essi ? Apollonio di Rodi serbò del vecchio
storico Mnasea un luogo prezioso circa i dommi primi tivi di Samotracia . (
Schol. Apoll. Rhod. ad 1, 917.) Che dommi, o signori ? Similissimi a quelli
dell'India . S'in segnava, di fatto, un principio onnipotente, Azieros ; la
materia fecondata , Aziokersa, o principio passivo ; e il principio attivo,
fecondatore, Asiokersos. Vuol egli dir ciò che il principio attivo ed il
passivo si distinguono dall'essenza universale, Azieros o Brahm ? 0 piuttosto (
giacchè l' interpretazione di que' nomi non è certa ), Aziokersa, Azieros,
Aziokersos e Casmilo o Cammillo che da taluno s'aggiungeva secondo Apollonio ,
rispon dono a Maya, a Brahma, Visnù e Siva, taciuta l'essenza universale, il
Dio neutro, come non si nomina il Dio supremo nel Rig Veda ? tanto più che
Casmilo rispon derebbe, l'afferma Dionosidoro, ad Ermete cioè al Dio delle
trasformazioni. Comunque, nell'incertezza de' docu menti tal cosa è certa, il
domma samotracio mostrare analogie non poche col panteismo vedico e con la Tri
252 PARTE PRIMA . murti. ( Saint Croix, sur le Mystères du Paganisme ; Creuzer,
V , 2. ) E risponde non meno a quel panteismo la dottrina samotracia dell'età
varie mondane, o che il mondo si distrugga e rinnovi per forza di fuoco. Anche
ne' Misteri eleusini s'esponeva la dottrina d’un principio passivo, d'uno
attivo, dell'armonia mon diale che ne nasce, e di ciò che distrugge le forme
senza intermissione. Bacco, Cerere, lacco e Mercurio, ossia grecamente
Dionisio, Demeter, Iacco ed Ermete, non ritraggono forse, o signori, i sistemi
dell'India, del l'Egitto e della Persia ? E forse su quelle divinità è ,
innominato, il Dio androgeno, o il Cronos e lo Zeus de' tempi remoti, divenuto
poi un principio maschile, contrapposto a Giunone principio femminile. Di que'
Mi steri non si sa i particolari, vietato rigorosamente il propalarli, come
dice Pausania ( art. Beozia) e Apollo doro (Argon. I) , e come dimostra il
Meursio ( De Festis Græcorum ). Pure, da'cenni dell'antichità si ritrae che
insegnavasi nell' orgie il panteismo naturale ( com’ho detto di sopra) , e la
metempsicosi, e l'immortalità del l'anima ( forse col ritorno all'essenza
divina) , e la puri ficazione per mezzo della virtù. Il panteismo naturale
viene indicato da Cicerone ( De Nat. Deor. I, 42), che diceva : come le
dottrine de'Misteri eleusini, ridotte a termini di ragione, si conosce meglio
per esse la natura delle cose che quella degli dèi . Che vuol egli dire ? Egli
accusa di dottrina neramente fisica gli Eleusini, che la teogonia confondevano,
in realtà con la cosmogonia, e ciò accade nel panteismo naturale. Prova,
dunque, tale ac cusa , e viene confermato da molt' indizj, che la religione d'
Eleusi somiglia il panteismo de' Vedi ; di fatto, che si trattasse d'una fisica
soltanto, o senza vedervi dentro la divinità o un che superiore alla natura
esterna ce lo vieta lo stesso Cicerone. Egli scrive nel II de Legibus, che i
Misteri eleusini s ' hanno da riguardare come il massimo beneficio d'Atene,
perch'insegnano a viver lieti e a morire tranquilli nella speranza di vita
migliore ; cosa ripetuta da lui nelle Verrine, V. Dice Platone ( Fedone)
LEZIONE DECIMATERZA. 253 che l'iniziarsi a' Misteri purifica i cattivi , e dà
a'buoni felicità eterna, cioè un'abitazione comune con gli dèi dopo la morte.
Isocrate afferma ( Panegirico) che i Mi steri mettono in cuore agl'iniziati le
più dolci speranze quant'alla fine di questa vita e quant'all'altra che non
finirà mai . Che poi gl'iniziati s'ammaestrassero alla virtù si ha da molti
argomenti; e il Meursio (cap. 7 e 17) dimostra che quelli si preparavano a’
Misteri con gli esercizi di castità, e poi si credevano astretti, quasi da
sacramento, a rendersi migliori. Così Aristofane ( Rane, v. 467-462) mette in
bocca a un coro d'iniziati queste parole : « Il sole e una luce aggradevole
sono per noi che onoriamo i Misteri e osserviamo le regole della pietà verso i
forestieri e verso i cittadini. » Però que' Misteri si chiamavan teleti ( 7 : )
ett ) , giacchè da loro veniva la perfezione della vita . Va notato che la me
tempsicosi s' univa col domma dell'immortalità in que sto modo : credevano gli
antichi che il principio animale, principio di vita e di senso, distinguasi
sostanzialmente dal principio intellettivo ; e che l'uno, cioè l'animale, passi
di corpo in corpo, ma l'altro se ne sciolga dopo alquanti giri di secoli e in
premio del vivere onesto, ritornando all'essenza universale o divina. Però si
di stingueva in Persia il fervéro o genio dall' animazione, e in China Hoen da
Pe, e tra gl’Indiani atma e pran, e in Grecia il démone ( dzepov) o anche logo
( 200795) da psi che, e tra'Romani animus da anima. Quindi l'anima sensitiva
s'immaginò non altrimenti che come materia sottilissima, e che, divisa dal
corpo, ne teneva le appa renze, erane lo spettro od il fantasma, vagante nelle
notti e intorno a' sepolcri. Tal distinzione si vede pertino in Omero, allorchè
Ulisse approdando a'Cimmerj inter roga i morti ( Odiss. II, c . 217 ) : «
D'Ercole mi s'offerse alfin la possa , Anzi il fantasma ; però ch'ei de' numi
Giocondasi alla mensa, e cara sposa Gli siede accanto la dal piè leggiadro Ebe,
di Giove figlia e di Giunone. » 254 PARTE PRIMA. La terza fonte di notizie,
cioè le memorie orfiche, non vanno soggette, o signori, a tanta perplessità, e
può trarsene qualche costrutto ; purchè evitiamo così la co moda credulità come
l'eccesso de critici. S'è giunti a du bitare d'ogni realtà storica ed antica
rispetto ad Orfeo; ma, quantunque la parte storica si frammischi a' por tenti
della favola, e un nome ( al solito) rappresenti le dottrine e i canti di più,
nondimeno qualcosa di reale e d'antico vi ha ; perchè Ibico ( in Prisc. VI, 18,
92) che fiorì presso al 550 prima di Gesù Cristo, già ram menta Orfeo ; lo
rammenta Pindaro ( Pith. IV , 315 ) , anzi lo chiama padre de canti apdov Tr
UTEP ( Ott. Mül ler, St. della Lett. Gr. ) ; lo rammentano ancora gli an tichi
Ellenico e Ferecide e le tragedie ateniesi. Da molti luoghi di Platone ( Leg.
VIII ; Ione, Convito, Rep . 11) apparisce che a tempo di lui eran divulgati già
molti carmi col nome di Museo e d’Orfeo ; questi è citato nel Filebo e nel
Cratilo ; e si scorge che l ' espiazioni de’de litti appartenevano alle
discipline orfiche. La dottrina che va sott' il nome d’Orfeo si racco glie da
tradizioni antiche e da versi orfici. Quanto alle tradizioni antiche, elle
attribuiscono tutte ad Orfeo una religione , che istituita da lui si collegò
quindi a Misteri d'Eleusi ( Ott . Müller) : e ciò conferma il già detto sulla
natura di quel sistema religioso. Si rileva poi dagli antichi scrittori un
sistema orfico di cosmo gonia , benchè sotto più forme, e talora v'han messo la
mano autori dell' èra cristiana. Il Creuzer ne dà cinque di tali cosmogonie ;
rilevantissima quella di Ferecide Siro, pel quale son tre i principj Zeus o
Giove o Cronos o l'etere, il Caos o massa inerte ch'egli vivifica, il Tempo o
la durata senza limiti ( VII, 3) . E qui voi scorgete, o signori, l'indefinito
ch'è concepito nell'astra zione del tempo (come tra’ Persiani ) , e
dall'indefinito i due principj , l'attivo ed il passivo. Nella cosmogonia che
viene riferita da Atanagora e da Damascio, v’ha l'idea indiana dell' uovo
nell'acque, da cui esce Eros o Fa nete, amore o manifestazione dell'armonia
universale ; e LEZIONE DECIMATERZA. 255 tal idea orfica viene rammentata negli
Uccelli d'Ari stofane . Il mondo, poi, si rinnova per bruciamento (co me
secondo Eraclito, gli stoici , gl'Indiani e l'orgie eleu sine) , in virtù di
Dionisio corrispondente a Siva. (Creu zer, op . cit. , VII, 3. ) Mi pare che il
Maury ottimamente riduca le teogonie o cosmonie orfiche a questo : Cronos
genera i due principj , l'etere e il caos ; il caos in virtù dell' etere prende
la forma d'uovo, avviluppato dal l'erebo o dalla notte, cioè dalle tenebre
primitive, a cui segue la luce o l'amore, quando l'uovo si spacca , ossia
quando il germe involuto si svolge nelle sue parti (Op. cit . Nota 12 al L.
VII) : queste le idee più principali che risultano dal paragone de' più antichi
testimoni . Ma i versi che ci restano sott'il nome d’Orfeo, son essi autentici
? Aristotile e Cicerone negarono già che i versi propalati fin d'allora come
d'Orfeo gli apparte nessero ; e più n'è dubbio a' dì nostri, perchè nei primi
secoli dell' èra volgare molti documenti si rimaneggia rono, e molti se ne
invento. Ma dice il Mullachio ( Fragm . Phil. Græc., ed . Didot. Parisiis,
1860) : Plerique ver sus puroque et simplici sermone insignes sunt ; talchè,
considerata la purità e il fare antico di molti versi, e il riscontro di varie
testimonianze. ond' essi ci sono tramandati, e l'accordo loro con le tradizioni
vetuste, possiamo affermare che quelli senz'essere forse d’un poeta che si
chiamava Orfeo, sien per altro reliquie vere degli Orfici antichi . Udite
l'inno insigne alla Natura, tradotto dal Cantù nella Storia universale (tomo I)
e riferito negli Schiarimenti ( Ed. Tauchnitz, 1832) : « Natura , diva madre
universale, in tante guise madre, celeste, venerabile, molto creante spirito (
o cuor ), regina che tutto domi indomata, tutto governi , in tutte parti
splendi, onnipossente, ve nerata in eterno, divinità a tutte superiore,
indistrutti bile, primonata, antichissima, ... comune a tutti , sola,
incomunicabile, padre a te stessa senza padre, che per maschia forza tutto sai
, tutto dài , nodrice e regina di tutto ; feconda operatrice di quanto cresce,
di quanto è maturo dissolvitrice, delle cose tutte vero padre e ma 256 PARTE
PRIMA. dre e nodrice e sostegno. » Le quali ultime parole già udimmo per Aditi
nell'inno del Rig Veda. Or bene, che dottrina s’asconde, o signori , ne' versi
orfici ? La stessa che ne' Vedi: la natura universale è padre e madre, ossia ,
principio attivo e passivo ; ell’è divina, perchè non è la materia, sì
l'essenza universale, spirito divino primo e materia prima in unità ; è senza
padre, cioè senza principio ; è primonata, cioè generata da sè stessa con
uscire all'atto dall'indefinita potenza ; indi, ella è padre di sè stessa ;
infine, si palesa con tre divine opera zioni , genera tutto, sostiene tutto,
distrugge tutto. In Clemente Alessandrino ( Stro. V) , in san Giustino (Co
hort. ad Græc.), in Eusebio, nell'egloghe di Stobeo , in Proclo, in Porfirio e
in altri si ha varj altri frammenti più o meno antichi, ma che rendono lo
stesso sistema. Un inno ch'Eusebio prese da Aristobulo peripatetico. insegna
qual sia l'unico genitore del mondo, comie lo chiamano i prischi documenti
degli uomini,contro l'er rore antico, cioè contro il politeismo ; e che Dio
tiene in sè il principio, il mezzo e il fine. ( Pr. Ev. III, 12.) Riferirò un
altro inno ch’Eusebio tolse da Porfirio ( Ivi, e Stobeo, Eclog. Phis. 1, 2, 23,
e Bibliot. del Didot, Framm . ec. p.6 ) : « Primo e ultimo è Giove che splende
col fulmine. Egli capo e mezzo, e a lui son create tutte le cose . Giove è nato
maschio, Giove nato intatta ver gine. Egli sostiene la terra e l'aria stellata
de 'cieli ; ed è insieme re e padre d'ogni cosa e autore della loro origine .
Unica forza e unico demone che governa tutte le cose, quest' unico le chiude
tutte nel suo corpo re gale, il fuoco, l'onda, la terra, l'etere, e la notte e
il giorno, e il consiglio, e il primo genitore e nume del l'amore : contiene
tutto ciò Giove nell'immenso corpo. E il capo esimio di lui e il volto maestoso
irradia il cielo, intorno a cui sparge con molto lume la chioma pendente e
aurea d'astri ; e gli sta sull'alta fronte, a somiglianza di toro, un doppio
corno che l'accende di fulgido oro. Ivi sono l'oriente e l'occidente, giri noti
a' supremi dèi . Son occhi di lui il sole e la luna che LEZIONE DECIMATERZA.
257 corre di contro al sole . In lui è mente verace, ed etere regale non
sottoposto a morte, il quale col consiglio muove e regge ogni cosa ; e quella
mente, perchè prole di Giove, non può essere nascosta da niuna voce o stre pito
o suono o fama. Così, egli beato possiede e senso dell'animo e vita immortale, spandendo
il corpo illu stre, immenso, immutabile e con valida forza di brac cio . A lui
son omeri e petto e terga immani le ampiezze dell'aria ; e con veloci e native
penue precipitando, egli vola intorno a tutte le cose. La terra , madre comune,
ei monti che levano l' alte cime, formano il sacro ven tre di lui ne fanno la
zona media i tumidi flutti del mare sonante. L'ultima base che sostiene il
nume, sta nell' intime radici della terra e negli ampj spazi del l'erebo e
negli ultimi confini che inaccessa ed immota spande la terra . Tutte le cose
egli nasconde primamente nel mezzo del petto, e poi le manda fuori nell'alma
luce con opera divina . » Tra le figure poetiche non si può non vedere in
quest'inni l'opera della riflessione che affaticasi di scoprire e spiegare
l'attinenza fra Dio e l'universo , confondendola, per abuso d'induzione, con
l'attinenza tra l'unità delle sostanze e la moltiplicità c mutabilità
de'fenomeni. Non fa dunque meraviglia se Pitagorici, Eleati ed Ionj che presero
gli esordj dalle dottrine orfiche e de' Misteri e però dall'antiche tradi zioni
pelasghe, cadessero nel panteismo. Ecco dunque i passi che sembrano fatti dalla
reli gione fra gl’Italogreci . Prima è un tal panteismo natu rale, in cui le
divinità sono le forze della naturu ; non le forze per altro simboleggiate,
come interpretò poi la scuola de' Fisici (Plutarco la distinse sì bene dall'an
tica scuola de' Teologi) , bensì le forze naturali confuse con gli attributi
divini. In quel panteismo, come nel Rig Veda, gli dèi son poco determinati :
differiscono poco gli uni dagli altri ; escono tutti e rientrano nel Dio unico
( Creuzer, V , 4) . Talche certi Padri pensarono ch'ei fosse un culto dell'
unico Dio creatore , e tal culto contrapposero alla corruzione posteriore
dell'idolatria ; Storia della F lofint. 17 258 PARTE PRIMA. ill 1 ma, veramente
, non può chiamarsi un teismo , bensì un panteismo naturale, dove nondimeno le
tracce del l'unità di Dio si conservano così spiccate da causare l'opinione
ch'io vi diceva. Però le divinità pelasghe non avevano un nome , dice Erodoto ;
e a dar loro un nome s ' opponevano le sacerdotali tradizioni ( Ispot 20091) .
E come narra Platone nel Cratilo che prima si chiamò in genere 0 : 9 le
divinità, così cabiri le dissero i Pelasghi, ossia ( forse) potenti; e ciò
risponde agli dei complices o consentes degli Etruschi. Poi, questo panteismo
naturale si ristrinse più par ticolarmente (e specie nel culto popolare)
all'adorazione degli astri , dove più che in altro ci apparisce la po tenza di
Dio : e che sia così l'attestano Platone ( Fileb. e Crat. ) ed Aristotile (Met.
IV , VI, IX ). Allora Zeus o Giove fu proprio il cielo ; e si mantenne questo
nel detto volgare : Giove che fa ? per dire : che tempo fa? Ma il panteismo
naturale de' sacerdoti più e più si foggiò a sistema d'emanazioni, per
ispiegare con modo determinato la dipendenza di tutto dalla causa prima ; e
indi le teogonie e cosmogonie orfiche e quella d’Esio do. Le operazioni divine,
allora, ebbero nome partico lare, e vennero simboleggiate con immagini esterne;
come narrai che la triade pelasga prese il nome dall'onnipo tenza e dalla
fecondazione; e si sa del Giove con tre occhi in Argo ( Pausania ), della
Venere piramidale di Pafo, e co' due sessi ( statuina nella bibliot. naz. di Pa
rigi), dell' Apollo a quattro mani, del Sileno a due te ste , di una dea a
quattro teste nel Ceramico d' Atene, del Giano bifronte, della Diana mammellata
d'Efeso e della Cibele come informe pietra. Tutti questi nomi e simboli, a poco
a poco divennero nomi e attributi pro pri di certe divinità specificate; e la
Trimurti, le cui vestigia restano fin anche negli dèi omerici, Giove, Net tuno
e Plutone, s'individuò per modo che l'un Dio non più si confuse con gli altri,
e questi si moltiplicarono all'infinito . Però, questa individuazione favoriva
il politeismo LEZIONE DECIMATERZA. 259 a volgare e si mescolava con esso, e
n'era eccitata e lo eccitava ; e ambedue si stabilirono più che mai con l'arti
del disegno, che lasciati quasi del tutto i simboli, ri dusse gli dèi a forme
umane, con alcune qualità pro prie di ciascuno. Un'ombra di simbolo restò, ma
velata, nelle forme tra maschili e femminili di Bacco e d'altri dei , figura
sacra dell'androgenia, quando s'abbandono la rozzezza dello scarabeo (
Winkelman , St. dell'arte ec. ) ; e tal simbolo (sia detto di passaggio )
alcuni artisti vo gliono imitare quasi perfezione di membra umane e le sono
immaginarie! Fatto sta che la scuola d'Egina, Polignoto, Fidia, Prassitele,
imitando i poeti ebbero più ch'altro efficacia nel fermare quel politeismo di
dèi spicciolati . Vuolsi por mente adunque, o signori, che da un lato restava
la tradizione sacerdotale, benchè più e più cor rotta, e cresceva dall'altro il
politeismo. Come restava la tradizione ? Ne' Misteri ; già lo vedemmo. E perchè
mai dovè occultarsi ? Dicono le memorie antiche , i primi re di Grecia e
d'Italia fossero ad un tempo sa cerdoti , capitani e giudici; patriarcato ch'è
origine d'ogni nazione. (Arist. Pol. III, 14. ) Le memorie stesse ci nar l'ano
poi d'un contrasto lungo e sanguinoso tra le classi sacerdotali e le guerriere
; il che apparisce anco nell'In die ; ma se ivi le liti si composero
stabilmente, fra gl'Ita logreci al contrario scapitò la classe sacerdotale che
( l'accennano i racconti circa Erettéo e gli Eumolpidi) si dovè segregare in
alcuni luoghi, come Eleusi, lasciando a' re tutto il resto ; e così , a poco a
poco, e tanto più quando sorsero i governi popolari, s'abbandonò l'inse
gnamento religioso e restò solamente i riti esteriori del sacrifizio e delle
feste. Quell'insegnamento , dunque, escluso da ' popoli, rifuggivasi nel
mistero, in que'luoghi appunto che la classe sacerdotale abitò, com’Eleusi e i
sacri querceti di Dorona. E che fa intanto la filosofia ? Ella è sacerdotale
dap prima, o teologia, perchè tenute le tradizioni asiatiche, cresce nel
sacerdozio pelasgo ed orfico ; poi, nell' età che 260 PARTE PRIMA . > il
sacerdozio si separa e s’asconde, dalle semenze reli giose de' Misteri
germogliano i primi sistemi come i pi tagorici, che han del sacerdotale e del
laicale ad un tempo. Questa filosofia , perciò, combattè dapprima il
politeismo, per esempio ne' frammenti di Xenofane che derideva il fingere dèi a
somiglianza nostra . Poi, dac chè il concetto di Dio sempre più s' annebbiò, i
poste riori consentirono a' tempi, e gl' Ionj, gli Eleati, e molto più i
sofisti, menaron buona, se non altro come appa renza o come credulità popolare
la mitologia. Nè altrimenti andò negli ordini tutti della civiltà . Di fatto ;
quando i governi regi si mutarono in popola reschi, molta efficacia e salutare
v'ebbe la filosofia mercè i Pitagorici, e segnatamente Zeleuco e Caronda , i
cui frammenti di leggi muovono dal dimostrare che Dio è ; ma in progresso la
filosofia non potè resistere alla li cenza , fu perseguitata, e però cadde in
mano di sofisti che inventarono l'arte della parola per la parola, malvagi
adulatori di plebe e mercanti di cavillo. Abbondando le ricchezze, nate da
operosità, fiorirono scienza ed arte ; ma successe un abito d'ozio e di
godimenti, e la Ma gna Grecia e l'Ionia caddero in mollezze di trista fama .
Resisterono i primi sapienti, come dimostra l'istituto pitagorico ; ma cedè a
poco a poco la loro austerezza, e già Xenofane canta « ch'è dolce nel verno
stare al fuoco bevendo, e domándare all'ospite : quant'anni avevi tu quand' il
Medo invase ? » il Medo, o signori, invasore della patria ! lei sofisti,
all'ultimo, la filosofia diventò l'arte di godere. Nell'ordine morale s'arrivò
a tal segno ch'Ate neo ( L. IX) rimprovera Platone, perch'e' disse nel Sofi sta
come Parmenide amava Zenone d'Elea ; quasichè tal parola, detta di giovane, non
ricevesse mai buon senso . E la filosofia , resistente dapprima co' Pitagorici,
giunse co ' sofisti all'indifferenza tra bene e male ; indifferenza molto
diversa e peggiore dell'indiana ; chè questa è non curanza del moltiplice e
vario ch'apparisce, in grazia dell'unità sostanziale, ma quella è non curanza
senz'al tro ; ivi è un'ombra di moralità, qui nessuna . LEZIONE DECIMATERZA .
261 Mostrate così l ' attinenze tra filosofia, religione e ci viltà
degl'Italogreci, resta che vediamo il principio e la successione de' loro
sistemi. Cominciamo da dire che in tutta questa età e per confessione di tutti,
v'ha incer tezza sul tempo preciso de' varj filosofi ; e bisogna ri correre il
più a Diogene Laerzio, autorità poco accet tata . Le congetture dunque son
lecite ; e tutti ne fanno. Avvertirò inoltre che sul definire l'età de' tempi
remoti variano le tendenze degli Orientali e de' Greci; que sti tirano al meno
e quelli al più. Per che ragione ? I Greci amando la certezza de' fatti, li
trasportano quanto più si può nel tempo storico, e lontani dal favoloso ; al
contrario degli Orientali, che amano l'indefinito de se coli ; effetto del
panteismo. Premesso ciò , rammentate , o signori, che prima dell'undecimo
secolo avanti Cristo Pelasghi ed Elleni si mescolarono insieme; e allora co
minciò l'età delle colonie ; e da esse la più nota civiltà italogreca. Quali
preparazioni vi riscontriamo noi per la filosofia ? La civiltà pelasga, le
dottrine orfiche, i Mi steri ; inoltre le comunicazioni più che mai frequenti
per l'Asia minore ( dove prosperavano tante colonie) coll' Asia media. E che
tempi erano quelli per l'Asia media ? Rammentiamocene, o signori ; erano i
tempi di splendida civiltà, quando circa il mille avanti Cristo si compilavano
i Vedi ed i poemi, e fiorivano le scuole di filosofia. Chi potrà dunque negare,
che date tali prepa razioni e la civiltà delle colonie, e dato quell'impeto di
vita civile ond' il pensiero s'agita tutto, e poste le sedi nuove in paesi non
selvaggi come l' America , ma già inciviliti, sorgessero presto le speculazioni
filosofi che ? Non farebb' egli un'ipotesi strana chi le credesse indugiate a
tre o quattro secoli dopo, fino a Talete, anzichè colui che le dicesse più meno
già in via circa il mille od al novecento prima dell' èra volgare ? A ogni
modo, tempi precisi non se n'ha ; e poichè la critica devé supplire, parmi più
ragionevole vi supplisca così, che stando ad indizi già riconosciuti per poco probabili
. La filosofia mosse anc' allora da un ritorno sulla 262 PARTE PRIMA. coscienza
morale ; ce ne assicura la moltitudine di sen tenze attribuite dagli antichi a
' Sette sapienti ; a uno de' quali, cioè a Chilone, si reca il detto : conosci
te stesso . Abbiamo poi alcuni tra ' poeti gnomici, come le recide, della cui
antichità non si dubita punto ; e chi, Foclide per esempio, lo fa
contemporaneo, chi anteriore a Pitagora. Le sentenze di Mimnermo, Evano,
Metrodo ro, Teognide e va' discorrendo, mostrano chiaramente la riflessione
sulle verità morali , benchè nascosta in afori smi . Così queste di Foclide : «
Non dire mendacio, ma parla sempre con verità. Primieramente venera Dio e
quindi i tuoi genitori . Non disprezzare i poveri , nè voler giudicare alcuno
ingiustamente, perchè se tu giudiche rai male, Dio poi ti giudicherà. Fu da Dio
a’mortali dato in uso lo spirito ch'è immagine di lui. Il corpo abbiamo dalla
terra e si scioglie in essa e siam polve re, ma lo spirito va in cielo . » Or
bene, io dico, e mi sembra di poter essere sicuro, che codesta filosofia morale
e religiosa sorse e fiori prima del panteismo materiale di Talete e d’Anassi
mandro ; perchè n'ho prove storiche ( come dirò) , e per chè dalle tradizioni
sacre orientali e orfiche non si poté saltare in un subito alla materialità .
Dove fiorì ? Non in Italia soltanto co ' più antichi savj della scuola ita
lica, ma nell' Asia minore altresì, fra gl ' Ionj, dovunque insomma germinò la
civiltà ellena. Di fatto, che che vo glia credersi delle tradizioni circa
Pitagora e del suo venire dall' Ionia, esse, unite alla certezza che Xeno fane
pure ne derivasse, mostrano almeno che l'antichi tà non reputò straniere agl'
Ionj 1 ' idee pitagoriche ed cleate. Aggiungete che Talete ha molti più segni
di spiritualità che non i posteriori ; e tal peggioramento non si può negare .
Perchè dunque, dimanderete, vien solo ricordata la scuola italica ? La risposta
è facile e il caso è comune ; si ricorda i luoghi dove la scuola più crebbe e
durò . y Ma la scuola pitagorica o italica, dimanderassi an cora, ell’è
anteriore a Talete, cioè al panteismo mate LEZIONE DECIMATERZA . 263 riale
degl' Ionj ? Mi sembra certo, purchè si distingua Pitagora dal Pitagoresimo ;
questo è la totalità di dot trine comuni a tutta una scuola di filosofi ;
quegli è un tal nome, parte storico, parte simbolico, che può essere prima o
dopo, senzachè provi l'anteriorità o posteriorità della scuola nel suo nome
rappresentata. E nondimeno anche sull'età di Pitagora son diverse l' opinioni.
1 ° Quanto a Pitagora, il Meiners lo crede nato al 584 avanti l'èra nostra ; lo
crede nato il Lacher al 608 . Come si determina ciò ? Per autorità non salde, e
per vie di congetture. Talete poi , secondo Apollodoro, sa rebbe nato il 640,
anteriore perciò a Pitagora ; dáta non senza incertezze. ( Ritter, St. della
fil. ant.) Ma ecco il Niebuhr ( St. Rom . I) che contrapponendo a Polibio ed a
Cicerone l'autorità d'alcuni scrittori orientali, crede probabile la
contemporaneità di Pitagora e di Numa ; talchè andremmo più oltre che la data
di Talete ( 717-679 ) . - 2º Avanti alle dáte di Pitagora s'ha in Italia
Zeleuco e Caronda, legislatori l'uno di Locri e l'altro di Cata nia ; e ne'
frammenti di quelle leggi v'ha il segno delº pitagoresimo. Il Krug fa Caronda
del 668 ; il Benteley, l'Heyne, il Saint Croix, il Centofanti, del 730. —3.
Quando Pitagora venne in Italia , si dice che subito la scuola crescesse tanto
di numero e di potenza, da bisognare feroci persecuzioni a spiantarli : il che
umanamente non può accadere. La scuola dunque precedeva. — 4º Il perso naggio
di Pitagora, l'istitutore insomma del Pitagore simo, diventò un simbolo in gran
parte ; il che dà segno d'antichità molta, e di tradizioni orientali. — 5°
Nella scuola pitagorica è mescolanza di culto e di specula zione ; e ciò indica
il passaggio dall' età teologiche alle filosofiche o laicali , che in modo
distinto vengono più tardi. — 6. Secondo la comune leggenda, tra l'istituzione
della scuola italica , il suo prevalere anco negl' istituti civili, e la sua
persecuzione, corsero pochi anni; il quale rovesciamento di favori popolari si
dà presto a un uomo, tardi a un potente consorzio d'uomini. – 7. La storia di
Pitagora, simbolico in gran parte, ha natura 264 PARTE PRIMA . di leggenda ; e
sogliono le leggende avvicinare tempi lontani ; indi le confusioni dette di
sopra. -8° Nella scuola pitagorica son chiare e molte le vestigia orfiche;
talchè l'antichità di queste palesa l'antichità di quella che le raccoglie;
com'elle poi diminuiscono in progresso, e ap pena si scorgono negl' lonj. – 9.
I Pitagorici han forma di consorteria, e tra loro è comune e costante un corpo
di dottrine. Ciò rammenta , o signori, gli usi orientali che sempre più si
perdono nelle repubblichette popolari; e rammenta l'antichità più remota, dove
più vale l'unione e l'autorità. Aristotile dà la filosofia de' Pitagorici come
una, e vi scopre solo differenze accidentali. - 10. Le tavole d' Eraclea, lette
dal Mazzocchi ( come accennai già) , mo strano un incivilimento anteriore, e
quindi un'antica preparazione alla scienza . E delle prove d'antica civiltà
nelle genti d'Italia recherò qui cosa che pare non fosse disputata fra' Greci ,
val a dire ch'essi, come dice Ta ziano (Or. contra Greci, § 1 ) prendessero da’
Toscani la plastica. — 41., Il Cousin dimostra con le autorità non ricusabili
di Sozione, d' Apollodoro e di Sesto che Xe nofane nasceva il 620 avanti l'èra
volgare, un 60 anni circa prima di Pitagora stando agli anni del Meiners. Ora ,
se la dottrina di Xenofane tenne del Pitagoresimo, come mai sarebb'egli tanto
più vecchio del suo maestro ? 12° Se bisogni stare alle memorie greche
talquali, i capi della scuola pitagorica e d'Elea vennero d'Ionia ; men frechè
in lonia correva un tutt'altro pensare. Qui, pren dendo la cosa talquale, v'ha
due inverisimiglianze, prima che ne luoghi de' capiscuola non ci avesse
quell'indirizzo di speculazioni, come sarebbe assurdo che d'Alemagna venissero
in Italia fondatori d'eghelismo e là non n'ap parisse il focolare ; seconda,
che piuttosto que' filosofi cercasser favore in Italia, sé qui non preparato il
ter reno. Ma tutto si concilia, quando il silenzio delle me te , in tanta
oscurità di tempi dissero all'incirca il più rino mato, tacquero il meno, senza
negarlo bensi, chè non lo conobbero forse. Dissero la scuola ionica, tacendo la
. LEZIONE DECIMATERZA. 265 scuola religiosa comune là ed a' Magnogreci, perchè
più celebre qui ; dissero i più famosi capi delle scuole itali che, tacendo le
lontane e recondite preparazioni. – 13° E ch'elle ci fossero, mostra il celebre
passo di Platone che fa dire a Zenone d'Elea : queste opinioni sull'uno co
minciarono da Xenofane, anzi da più antichi di lui . ( S0 fista .) Il Brandis
ed il Ritter crederono s'alludesse ad avere quella dottrina germe innato negl'
intelletti. Al che ripugna il Cousin e con ragione. Prima, qui si parla
storicamente e non teoreticamente ; poi, se volesse allu ( lere a germi
naturali e senz' origine, come mai, anzi , parlerebbe Platone di cominciamento
anteriore ? ( te 2.2.1 i te tepisºsv č.pčarevov) - 14. De primi Pitagorici non
v'è scritti ; scrissero i più vicini al tempo di Socrate ; e ciò per l'uso
degl'insegnamenti orali, per la costanza delle tradizioni e pel segreto delle
dottrine religiose. Or tutto ciò è segno d'antichità e risponde agli usi
orientali . Nella scuola ionica poi sembra che fino il primo, cioè Talete,
scrivesse versi , probabilmente prose ( Diog. Laert. I, 34, Plut. de Pitiæ
Orac. 18, Arist. Phys. ) ; il che mostra un fare più nuovo, e desiderio di
stabilire la novità. 15. L'uso di non iscrivere, uso lasciato si tardi da '
Pita gorici, spiega ben anco il perchè sembrò più recente « lella scuola ionia
il pitagoresimo : più recenti erano le scritture, non la loro filosofia. 16 °
Recherò infine ( lue singolari testimonianze di Padri greci , d'Ermia verso la
fine del secondo secolo, e d' Eusebio dottissi mo ne' libri originali della
greca filosofia . Ermia , dun que, nell'opera Derisione de' filosofi gentili
enumera le contrarie opinioni loro sull'anima, sul bene, sull'im mortalità,
sulla divinità e sui principj del mondo ; e poichè ha.rammentato varj filosofi,
viene a Pitagora e lo distingue dagli altri così : egli d'antica nazione ( S 8)
. Qui, segnalare tra gli altri Pitagora per antichità, è nota bile assai .
Eusebio, poi, più espressamente nelle Prepa razioni evangeliche ( lib . X ,
cap. 4) dice : che Pitagora nacque a Samo o in Toscana o altrove, ma non greco,
e ch' egli fu principe de filosofi, talchè alla filosofia ita 266 PARTE PRIMA.
lica succedette la ionica e l'eleatica. Anzi anche Giu seppe Flavio ( Lib. VII)
rammenta tre filosofi prischi con quest' ordine qui , Ferecide Siro, Pitagora e
Talete. Questi argomenti, la cui tesi è convalidata pure dal l'autorità del
Niebuhr, del Cousin, del Gioberti (nel Buono), del Poli (Appendice al Manuale
del Tennemann, trad .) e del Centofanti ( Pitagora ), e che non hanno in
contrario argomenti positivi di tradizione, o concordi autorità di storici
antichi, mi fanno sicuro che il pita goresimo, come scuola religiosa e morale,
anteceda l'altre scuole ; poi venga l'eleatica, e come più affine alla pri ma,
e come precedente a Xenofane stesso per la dottrina dell'unità universale ;
succeda loro l’ionica, quant'al suo cominciamento bensì, non quanto alla sua
conti nuazione che s'accompagna ( com' accade) con l'altre ; e vengano infine,
su che non ha dubbio, le gative. I quali sistemi darann ' argomento ad altra
lezione. vole ne 267 LEZIONE DECIMAQUARTA. SCUOLE ITALOGRECHE. SOMMARIO . Causa
interiore del Vilagoresimo è la necessità d'una riforma morale : da ciò l'esame
di coscienza posto per principio di filosofia e di vita buona. Cause esteriori.
Si volle la riforma religiosa e morale da cui la civile , per mezzo della
filosofia . - Parti non dubbie nelle memorie degl'istituti pitagorici . Notizie
su Pitagora e sugli altri più famosi . Quali documenti abbiamo certi sulla
scuola italica . - Il Carme aureo i antico .- Le notizie che ci danno gli
Alessandrini non vanno accettate senza esame, ma nemmeno rigettate con
leggerezza. - Oggetto della filo sofia pitagorica , suo fine e metodo . — Quali
cagioni dettero impulso a quel metodo che fu applicazione d'idee matematiche.
Ma ciò non vuol dire che lal dottrina stia in un ideolismo matematico ; giacchè
la monade si pensò come una forza. - Il numero rappresentava l'attinenze o
l'armo. nia ; indi il simbolo musicale . Due furono i significati del numero ,
it simbolico ed il reale . Verità del metodo matematico ; suoi eccessi nel pro
cedere dall'astratto al concreto : esempi varj . – Si cercò le leggi mentali
della quantità effettuato nella realtà, per salire con esse a Dio, causa ,
ragione e legge. Dio è principio de'principj; e poichè i principj delle cose si
dis ser numeri, Dio è il numero per eccellenza . -Questo è l'unità . – L'unità
bensi presa , non come parte d’un tutto , ma in senso generale. - A Dio non si
può applicare il concetto d'uniti nemmeno in quel senso ; Dio è sopruni tà ; ma
l'errore precedė dalla induzione astrattiva . Si dimostra co ' do cumenti che
il significato dell'unità pitagorica ė panteistico, ma ondeg giante tra il vero
ed il falso . - L’unità , come per gl'Indiani, parve l'indefinito che si
determina . — Grandi verità contenute nell'implicitezza di quelle dottrine. —
Dio si pensó come unità suprema di tutti i contrarj; l'universo , come i
contrarj in atto , e ridotti all'armonia da Dio . - L'uni tà generale o la
monade che si distingue in monadi secondarie, spiega lo teoriche d'allora
sugl'intervalli, sul vuoto, sull’intinito, sul finito ec . L'anima è numero ,
ed è nel corpo come Dio nel mondo ; è l'armonia del corpo . La verità è l'uno e
il numero ; l'errore va fuori dell'armonia. -- Intelletto e senso . — Dio ,
ragione prima del conoscere, perché gl’intelletti si credettero divini. Poi,
perchè Dio è il numero per eccellenza , e il nu mero è l'esemplare del mondo.
Quanto alla scienza , si sbagliò cercando sempre l'assoluta necessità
razionale. Numero e armonia il bene; disar monia il male. - Fine dell'anima
intellettiva il ritorno all'essenza pri ma . --- Come si tentó fuggire le
contraddizioni del panteismo naturale negando la cognizione diretta
dell'essenza. - Xenofane tentó fuggirle col panteismo ideale. - Cinque concetti
principali di Xenofane : Dio è uno ; sommo potere ; gli manca ogni contingenza
e però non è nè finito nė infi nito né in quiete nè in moto ; Dio non può
nascere, perchè il non ente non può dal nulla divenire qualcosa : Dio è il
tulto . — Indi segui che il mondo è apparenza . – l'armenide stabilisce chiaro
il doppio aforismo degli Eleati e degl ' Ionj, e condanna il secondo . Muove
dall'idea generale d'essere ; Dio si fa più indefinito che in Xenofane. – Tutto
è idea . Melisso fa Dio più indeterminato ancora, chiamandolo un qualcosa . --
Gli attributi della moralità non più appariscono . – Panteismo materiale de gl'Ionj
: nasce in condizioni opportune. - Il moto delle cose vien conside rato
nell’ente o nell'assoluto , ch'è la materia eterna divina , dotata di pensiero
. – Diversità nel concepire tal moto fra ' dinamici e i meccanici. 268 PARTE
PRIMA. E la causa prima del moto la posero diversamente in quella cosa che più
parve trasmutabile in ogni altra cosa . – Talete ba dello spirituale anco ra ;
la grossolanità materiale viene crescendo . Anassayora vide l'assur dità del
panteismo , e prese il dualismo ; ma non détte troppo alla mente . — Idealismo
ateo di Protagora ; materialismo di Democrito ; le due forme di scetticismo
particolare . Scetticismo universale di Gorgia ec . Misticismo d'Empedocle ; e
perché il suo sistema paia indeterminato ed ecclettico . — Due schiere d’uomini
; gli atei e i l'itagorici di quel tempo : interpreta zione storica , e
interpretazione fisica della mitologia . Qual è mai, o signori, la causa
interna del Pitago resimo ? La necessità d'una riforma morale; necessità pro
fondamente sentita da uomini ornati, quanto la Gentilità comportava, di grandi
virtù. Il conosci te stesso fu esame di coscienza morale negli istituti
pitagorici, e fonda mento altresì di speculazione ; chè, nella coscienza e'tro
varono il dovere e nel dovere Dio. Cagioni esterne furono il guasto crescente
della religione, de costumi e della li bertà, al quale s'oppone il
Pitagoresimo, e inoltre ( com’ho avvertito più volte) le tradizioni e i
commerci d'Oriente, le dottrine orfiche ed i Misteri. Si volle, pertanto, una
riforma religiosa e morale, da cui venisse la civile; e cri. terio a tutto ciò
désse la Scienza . Il che spiega gl'isti tuti pitagorici su cui gli
Alessandrini mescolaron favole, ma la natura di consorteria e un culto segreto
( Ritter ) e la sostanza dell'arti educative non cadono in dubbio. La riforma
religiosa si tentò co’riti e dommi segreti ; la morale con l'opporsi a tre vizi
, voluttà, superbia ed ava rizia , ed esercitando anima e corpo nella musica e
nella ginnastica ; la civile , domando la licenza con abiti disci plinati ossia
con l'autorità ( curos pz) e con la vita co mune. Il discepolato morale
preparava così alle specu lazioni , e, preparato, s'elevava l'alunno a gradi
più alti e più liberi. ( Centofanti, Pitagora ; Ill . del Giardino Puccini.) Circa
Pitagora o di Samo nella lonia o di Samo nella Magna Grecia, poco v'ha di
sicuro e con mescolanza di simboli ; pare tuttavia che un fondamento storico
v’ab bia e ch'egli fosse uomo di molta dottrina e virtù. Per la dimenticanza in
che vennero le colonie di Magna Gre cia e tutte le antichità italiche dopo le
conquiste di Ro LEZIONE DECIMAQUARTA . 269 ma, e per la guerra feroce contro i
Pitagorici, non ne sappiamo quasi nulla ; li sappiamo bensì a lor tempo in
molta riverenza. Si rammentano con più certezza Liside, Clinia e Archita
cittadini di Taranto in Magna Grecia, Eurite e Filolao o di Taranto o di
Crotone. Archita , il più celebre di tutti, capitanò più volte gli eserciti , e
non ebbe mai la peggio ; buon padrefamiglia e cittadino, domatore di sè stesso,
famoso per invenzioni e scoperte in musica ed in matematica e per libri
d'agricoltura . Sul finire del quinto secolo avanti G. Cristo, la scuola
pitagorica venne atrocemente perseguitata ; molti fra gli scampati, o si
rifuggirono in Grecia o si sbandarono in Italia. Sembra che l'odio movesse da
opinioni politiche, parteggiando essi per gli ottimati ; ma chi badi alla se
gretezza del culto attestata da Erodoto, e alla tradizione che un capopopolo
attizzò le ire, invelenito dal non es sere accolto nell'adunanze, s'accorgerà
che trattasi qui , come per Anassagora e per Socrate, del politeismo vol gare
geloso e persecutore. Gli scritti col nome di Timeo, d'Archita e d'Ocello
Lucano sono apocrifi, e i frammenti di Brontino e d'Euri famo; ma non quelli di
Filolao (vedili nel libro d'Aug. Boecckh su Filolao, e nel Ritter) ; i quali
col Carme aureo e con ciò che narra Platone ed Aristotile sulla scuola italica,
ne dánno contezza . Nel sostanziale di essa gli storici vanno d'accordo. Quanto
al Carme aureo , e's'attribuì a Filolao, a Epicarmo, a Liside, a Empedocle ; da
Crisippo a'Pitagorici. Sta il Mullachio per Liside; e : mostra, comunque, che
ne' versi aurei non v'ha nulla di non antico, e come un alemanno, secondo
l'usanza di molti critici odierni , neghi l'autenticità pel dubbio di tre"
sole parole, che a lui non paiono antiche ; e antiche le dimostra il Mullachio.
( Fragm . Phil. Græc. Didot, 1860. ) . Le relazioni che ci danno del pensar
pitagorico gli Ales sandrini, non vogliono accettarsi senza discrezione ; chè
in loro la critica è poca, molta la voglia d'interpretare a lor modo gli
antichi; tuttavia dire come si dice) che il Pitagoresimo, quale dagli
Alessandrini si descrive, non 270 PARTE PRIMA. i 2 7 > I meriti fede per le
grandi somiglianze con Platone, è dir troppo, sapendosi negli Psilli di Timone
Fliasio (3° secolo av. G. C. ) che quegli ebbe in gran pregio i Pitagorici : «
E tu, o Platone, giacchè ti possedeva l'animo il desiderio di sapere, comprasti
con gran pecunia un piccolo libro, da cui imparasti a scrivere tu pure il
Timeo. » ( Fragm . Phil. etc. ) La filosofia de' Pitagorici, come tutta la
filosofia an tica, come la filosofia d'ogni tempo, meditò i primi prin cipj
dell'essere, del conoscere e dell'operare. Il pensiero della causa suprema ch'è
ragione e legge, vediamo bene da tutte le loro memorie che occupò
quegl'intelletti for temente. Fine della filosofia parve loro ed a tutti gli
antichi, la liberazione degli errori e de' mali comuni, ma con tal divario
dagl'Indiani , che la speculazione dovesse congiungersi all'operosità civile .
Metodo di filosofare fu il matematico ; cioè l'applicazione d'idee matematiche
alla natura universale, così esterna come interna, e al suo principio. Onde mai
tal metodo ? quali cagioni gli dettero im pulso ? Già negli antichi v'ha
inclinazione di filosofare a priori sul mondo (sebbene l'esperienza,
anch'esterna, non s ' escludesse dai Pitagorici) , perchè mancavano gli
stromenti; poi, premeva più lo speculare teologico, re cato altresì nella
fisica ; e le lunghezze d'una fisica os servatrice non si comportavano in
tempo, che i varj studj non erano scompartiti tra più dotti . Inoltre
l'arimmetica e la geometria vennero d'Asia, nate tra le scienze più antiche,
perchè non bisognose d'osservazione. Altresì di tali scienze s’aveva necessità
tra popoli commercianti e tra colonie che dissodano terreni, asciugano paduli,
e scavano canali . Più, la discordia tra' politeisti e il mono teismo - antico
fece spiccare, quant'al concetto di Dio, le nozioni d'uno e di moltiplice, come
anche si scorge nel vecchio Testamento . Infine, tempo é spazio ci danno la
quantità, e sappiamo che l'induzione falsa indíava, come ne' Vedi, lo spazio e
massime il cielo ( onde l'uranismo), e il tempo ( onde l’Aherene de' Persiani,
il Crono de Greci , LEZIONE DECIMAQUARTA. 271 il Saturno de' Latini), talchè le
tradizioni orientali e or fiche, cadendo in tali concetti, davano impulso a
quel modo di filosofare . I Pitagorici, dunque, parlano dell'uno, del due, del
tre, del dieci e delle combinazioni loro allorchè discor rono del mondo e di
Dio. Ma si vuol credere forse che tal metodo li riducesse a vane astrazioni ?
ossia, ch'e'sti massero Dio e il mondo idee matematiche e nulla più ? In altre
parole, il Pitagoresimo fu egli un idealismo matematico ? No, sicuramente ;
Aristotile lo spiega chiaro dicendo : ch'essi stimarono le cose una imitazione
de'nu meri (μίμησιν είναι τα όντα των αριτμών. Μet. I , 6) . Ini tazione,
dunque; a leggi di numero, cioè, rispondono le cose ; e la mente ritrova l'une
nell'altre ; e in questo è la scienza. Anzi (e va notato accuratamente ), che
mai restava pe' Pitagorici, levato il composto ? Restava la monade. E che
cos'era la monade ? Forse un'astratta unità , o l'atomo indifferente inattivo
di Democrito e di Leucippo ? No ; ma l'essenza ch'è una forza : il concetto di
forza o d' attività prevale nel Pitagoresimo, così ri spetto a Dio come
rispetto al mondo. Di fatti, e ch'è mai, secondo i Pitagorici, l'ordinamento
universale se non la continua limitazione (o determinazione) dell'inde finito ?
Ciò resulta da molti riscontri , ma singolarmente dallo specchio de contrarj (
di cui parleremo) . Inoltre, Dio per que’ filosofi è mente e causa o principio
; causa è l'anima ; e causa d'ogni armonia è l'unità. ( Frag. di Filolao ;
Siriano, Com . Met. d ' Arist. XIII; Ritter St. Fil. ant. ; Bertini, Idea d'una
Fil. della Vita, vol. 2. ) Quindi, pe' Pitagorici, le leggi del numero e della
geo metria rappresentavano l'attinenze; cioè , significavano il rispetto d'una
cosa all'altra, e d'uno all'altro con cetto, l'armonie particolari e
l'universale ; da ciò i lor simboli musicali. Si dica pertanto, o signori , che
per la scuola italica eran due i significati del numero ; significato simbolico
e reale. È significato reale quando noi diciamo : Dio è uno e le creature sono
moltiplici ; e così dicevano essi 272 PARTE PRIMA. che Dio è il numero per
eccellenza, cioè l'unità e la totalità d'ogni perfezione. È significato
simbolico quando s'astrae i numeri a significare gli oggetti ; come dicendo
(per esempio) l'unità e il numero, e s'intendesse Dio e le creature ; così
parlavano più spesso i Pitagorici . Al lora si fa come l'algebrista un
linguaggio figurativo . assai comune agli Orientali ; e ciò toglie l'apparente
stranezza delle parole. Il metodo matematico ha egli verità ? Certo non manca
di buon fondamento, perchè tutto nel mondo si distingue o d'essenza o
d'accidenti o di parti , di gradi o di potenza o di atti ; e tutto, dunque, è
capace di numero e di misura . Per altro, le leggi matematiche non hanno da
cercarsi a priori nella realtà, bensi con l'osservazione; come Galileo,
osservato il cadere de corpi, vi scoperse la quantità del moto crescente.
Trovata la legge matematica, s'applica poi a nuove scoperte, come dalla legge
matematica delle oscillazioni s'inventò il pen dolo. Chi volesse procedere a
priori, sbaglierebbe, perchè dalla idealità non si può concludere la realtà
contingente ; per esempio, dall'idea d'un circolo non si può conclu dere ch'e'
si dia in natura. Bensì, nella realtà si scopre ognora leggi ideali a cui essa
risponde sempre (come le proporzioni tra spazio e velocità nella caduta son
sempre le stesse ), ed anche, esemplando il reale all'ideale, quello vi
combacia, come, facendo un circolo, i raggi gli ha sempre uguali. Ebbene la scuola
italica non ignorò i buoni metodi della osservazione e delle matematiche
applicate; già ho notato le dottrine fisiche d'Archita ; del metodo
sperimentale di Polo ci ragguaglia Aristo tile (Met. I) ; le dottrine musicali
d'allora fan supporre molti esperimenti ; Erodoto scrivche i medici italiani
erano i più reputati ; e tutti sappiamo le meraviglie d'Archimede. Tuttavia il
metodo astratto ebbe il diso pra . Così , rappresentando il principio, il mezzo
ed il fine col numero tre, lo vedevano in ogni cosa ; però Filo lao divideva il
mondo in tre parti. Il numero dieci è compiuto in sè stesso , perchè si compone
sommando i LEZIONE DECIMAQUARTA. 273 suoi quattro numeri primi ? ebbene, dieci
i pianeti . Cin que i corpi regolari nella geometria ? dunque altrettanti gli
elementi, e ciascun d'essi n ' ha la figura ; la terra ha il cubo, il fuoco la
piramide, l'aria l'ottaedro, l'ac qua l'icosaedro, l'etere il dodecaedro; e
dunque, altresì cinque i sensi . Se i quattro numeri primi , sommati tra loro,
fanno il dieci ; e se i quattro numeri pari ( 2, 4, 6, 8 ) e i quattro numeri
dispari ( 1 , 3, 5 , 7) , sommati, fan tutt'insieme trentasei, la tetrattisi o
quadernario dovrà riscontrarsi nelle cose ; e quattro, per esempio, sono i
gradi della vita : minerale, pianta, animale e uomo ; e , ne' corpi, il punto è
unità, la linea è qualità , la super ficie è triade, il solido è quadernario,
si compone, cioè . di quattro punti. Questo metodo, applicato alle cose
dell'esperienza, riuscì arbitrario non di rado, e se, inalzato a Dio, ne guastò
il concetto per l'astrazione dell' indefinito ; pure, accompagnato come fu da
tradizioni buone, da molte virtù morali , da preziose osservazioni interne ed
anco esterne, ed eccitando la speculazione, fece sorgere tra gli errori belle e
profonde verità . Quel metodo era (com’ac cennai) : trovare le leggi mentali
della quantità geome trica e arimmetica effettuate nella realtà e salire con
queste alla prima cagione, alla prima ragione ed alla prima legge. Però dice
Filolao che l'intendimento mate matico è il criterio di verità. La prima
cagione dell'essere, che è ella mai ? Sic come i Pitagorici voller trovare i
principj delle cose e il principio de principj, così precede il quesito : che
son mai tali principj ? Risponde Aristotile : « I Pitagorici , educati nelle
matematiche, dissero i numeri esser prin cipj delle cose. » ( Met. I, 5) cioè
tutte le cose si ridu cono a leggi supreme di numero, e queste leggi costi
tuiscono la loro essenza . Or bene, che cos' è la prima cagione ? È il primo principio,
per Filolao ; è la causa che antecede ogni altra causa, per Archita : « quam
Are chytas causam ante causam esse dicebat, Philolaus rero omnium principium
esse affirmabat. » ( Siriano, alla Met. Storia della Filosofi . - 1 . 18 274
PARTE PRIMA. l' Arist. XIII. Dunque se i principj delle cose son numeri, il
primo principio è tale altresì; o, come diceva Hierocle nel commento al Carme
aureo ( Fragm . Phil. Græc.): « Se tutto è numero, Dio è numero. » Che nu mero
? Il numero per eccellenza. Che cos' è il numero per eccellenza ? Vediamolo .
Il moltiplice fa supporre l’unità ; e l'unità n'è sem pre il principio ; così
abbiamo solido, superficie, linea, punto ; questo è il principio della linea,
della superficie e del solido. Dunque Dio, ch' essendo il primo principio, è il
numero per eccellenza, è altresì l'uno per eccellenza . ( Aless. Afrod . Comm .
alla Met. d ' Arist.) Resta da ve dere che cosa sia l'uno per eccellenza .
L'unità , idealmente, si può considerare e qual parte che compone la pluralità,
e quale idea generica che abbracci la pluralità stessa. Diciamo: il venti è
compo sto d'uno più uno, più uno ec.; ecco le unità che com pongono un tutto.
Diciamo ancora : una ventina, un centinaio, un migliaio, un milione ; ecco
l'unità gene rica che abbraccia ogni numero, considerato come unità . Nel primo
caso, l'unità è l'elemento della pluralità ; nel secondo , è la forma mentale
che fa capaci di compren dere in un concetto le moltiplicità sparpagliate. E in
tal senso l'unità si può chiamare il numero per eccel lenza, giacchè abbraccia
ogni numero. Or bene, o signori, si può egli applicare a Dio l'idea d'unità ne'
detti significati ? No ; Dio non è il compo nente della moltiplicità ; nè Dio è
un che generico e comune alle moltiplicità particolari. L'unità di Dio è, a dir
così, una soprunità, come, secondo i Teologi, le rela zioni personali della
Trinità son soprannumero. ( S. Aug. in Joann. Evang. ) Si dice uno per negare
il moltiplice, nulla più ; e chi confonde l'analogia di tali concetti col
significato proprio, o cade nel panteismo, o accusa erro neamente la filosofia
e la teologia. Si domanda, per tanto : la scuola pitagorica usò que' concetti
nel signi ficato vero ? Da’tre frammenti di Filolao apparisce che Dio per lui è
imperatore sommo e duce, uno, eterno, LEZIONE DECIMAQUARTA. 275 permanente,
immobile, simile a sè stesso, diverso dal l ' altre cose, potentissimo,
supremo, e che solo conosce l'essenza eterna. Anzi, Siriano nel luogo già
citato dice, che pe' Pitagorici Dio è una e singolare causa, astratta « la
tutte le cose, e superiore alla dualità de' principi, la quale vedremo più qua
: « Ante duo principia unam et singulam causam , et ab omni abstractam
præponebat. Parrebb'egli, dunque, che l'unità de' Pitagorici sia nel senso
buono ? Il Bertini ( Op.cit. , vol. II) va interpretando più benignamente che
si può certe opinioni pitagoriche. le quali ne farebbero dubitare ; e tuttavia
conclude: « Il sentimento religioso e morale gl'induceva a collocare Dio molto
al disopra del mondo ; ma il fato della logica li forzava sovente ad
immedesimarli in una sola sostanza e ricacciavali nel panteismo. » Che vuole
dir mai fato della logica ? Vuol dire la necessità di certe conse guenze, dati
certi principj . Or via, quali son dunque i principj che menavano al panteismo,
non ostante l'alte verità frammischiate in abbondanza ? Era, appunto, il
concepire Dio quasi unità generica, o numero per eccel lenza ; e questo in
grazia della non buona induzione. Di fatto, poichè i numeri son pari ed impari,
e l'unità, cioè il numero genericamente preso, s'estende ad en trambi; così la
scuola pitagorica chiamò Dio pari ed impari, e diceva che l' uno è l'essenza di
tutte le cose ( Arist. Met. I ) ; l'essenza delle cose chiamata eterna ( la
Filolao ; che inoltre affermò, le cose diverse e con trarie non istarebbero
senz'armonia , e tale armonia è il numero per eccellenza, cioè Dio ; aggiunse,
che tal numero è legame all'eterna durata del mondo; anzi ( e questo val più ),
esso legame produce sè stesso . (V.framm . i Filolao nel Ritter . St. della
Fil. ant.) Finalmente. Dio pe' Pitagorici è limitato ed illimitato ad un
tempong 11pTLOTES PITTOy, Arist. Met. 1. ) Par dunque certo ch ' essi
concepivano Dio com'unità generica, in cui s 'uniscono potenzialmente i
contrarj del mondo, pari e dispari, femmina e maschio, male e bene, e via
discorrendo ; contrarj che si distinguono attualmente quando il poten 276 PARTE
PRIMA. ziale viene all'atto, e l'illimitato si limita, e l'essenza universale (
conosciuta solo da Dio, cioè da sè stessa) si determina mano a mano ne'
fenomeni . Dubitò il dotto Bertini che s'intendesse da' Pitagorici, non
dimmedesi mare le cose in un' essenza, ma d'accennare che Dio la in sè i
contrari perchè li supera. E non esito punto a dire che ciò e ' tenevano forse,
ma in confuso, e la con fusione generava il panteismo . Di fatto, se quel
concetto era limpido, essi non avrebber detto che Dio è pari ed impari ;
giacchè i contrarj sono il modo finito delle per fezioni mondane, e però non si
contengono in Dio. Si risponderà : noi n'abbiamo un'idea più chiara. Va bene ;
se i Pitagorici avesser capito chiaro come Dio superi l'universo infinitamente,
le parole chiare l'avrebber tro vate anch'essi. Anzi, l'infinito lo pigliavano
per l'inde finito o potenziale ; e quindi, il finito sembrò a loro il perfetto,
e l'infinito l ' imperfetto. Aristotile serbò lo specchio delle contrarietà in
dieci antitesi (dispari e pari , finito e infinito, uno e più, quiete e moto,
luce e tenebre, bene e male ec. ) , fatto da qualche Pitagorico ; e Simplicio
notò come le contrarietà si comprendano si risolvano in Dio. ( Arist. Met. I,
Simpl. Phys.) Inol tre , come il mondo era la decade, cioè la pienezza d'ogni
grado d ' entità , e così Dio ; che riceveva nome d'ogni numero, unità , diade,
triade, quadernario ( o solido), set tenario, decade. Dimodochè pe Pitagorici,
come per tutta la filosofia pagana (avvertite, o signori ) , il quesito della
causa pri venne a quest' altro : Come si limiti 1 illimitato ; ossia ,
pensarono gli antichi che la produzione del mondo consistesse nel determinare
in atto la potenzialità prec sistente : talchè Filolao pone tre principj,
l’illimitato. il confine, e la causa ( το απειρων, το πέρας, το αίτιον ). Il
che parve in due modi : i Pitagorici , com’i pan teisti ionj e indiani, dissero
che quel potenziale sta in Dio ; i dualisti, che e' sta fuori di Dio, ed è la
mate ria informata da esso. Nella scuola italica , poi, la im plicitezza de'
concetti adombrò alte verità ; Dio (per ma LEZIONE DECIMAQUARTA. 277 esempio) ,
legame del tempo e dello spazio, se non si prende com ' identità d'ogni essenza
, vuol dire benissimo che l'unità divina con l'unico atto creatore e conser
vatore fa l’unione del moltiplice disgregato : però Dio è l'armonia
dell'armonie . Che cos'è dunque Iddio pe' Pitagorici? L'unità su prema di tutti
i contrarj. Che cos'è l'universo ? I con trarj in atto, e ridotti da Dio
all'armonia . Come l'unità generica non diviene numero se non si distingua in
unità determinate o particolari, così la monade suprema non genera il mondo se
non si distingua in monadi o so stanze particolari. Che si richiede, o signori,
a formare il numero ? L'unità e la distinzione d'un'unità dall'al tra. Ma la
distinzione, considerata mentalmente, non è forse un concetto negativo e
indeterminato, dacchè si gnifichi che l'una cosa non è l ' altra ? Or bene ; e
pen savano essi che a formare l'universo ci voglia le unità o monadi
particolari, poi la loro distinzione; ossia, come ( lice Aristotile, elementi
positivi da un lato, elementi nega tivi dall'altro. Da queste due maniere
d'elementi si fa tempo e spazio ; nel tempoi momenti e la distinzione di un
momento dall'altro, cioè gl'intervalli; nello spazio i punti e la distinzione
d’un punto dall'altro cioè il vuoto. Tal cosa venne simboleggiata con l'ispirazione
del vuoto ; ossia distinguendosi le monadi, il vuoto entra in loro com'aria
ne’polmoni . I due elementi , il positivo ed il negativo, uniti tra loro, fanno
la diade o il pari; l'ele mento positivo o l' unità, così sola come aggiunta al
numero pari (per esempio il tre ), fa il dispari . Ed ecco, o signori, l' unità
nell'altro senso ch'io spiegava di sopra , cioè nel senso non generico ma
particolare di compo nente il composto. Talchè l'unità nel senso generico è Dio
; le unità nel senso particolare fanno il mondo. Ed ecco altresì perchè si
diceva da’ Pitagorici che il pari è illimitato , illimitato perchè il vuoto e
l'intervallo ( o la negazione) è in astratto un che potenziale, può ricevere
distinzione da' punti e da’ momenti all' indefinito . Si diceva per
contrapposto che il dispari è limitato, giac 278 PARTE PRIMA. chè chiude
l'intervallo ed il vuoto tra due estremità positive o tra due monadi , riduce
in atto la potenza, e si fa la triade, numero perfetto che ha principio, mezzo
e fine. Voi capite, o signori, come per la teorica de’toni e degl' intervalli
si vedesse analogia tra la musica e l'universo. Il quale, venendo dall'essenzá
eterna come necessario svolgimento d'attività, non ha reale comin ciamento, è
ab eterno ; comincia sì , ma quant' al nostro pensiero ( -o iniyocav) , ossia
il pensiero nol può con cepire altrimenti . Nè s'avvidero essi che se il
pensiero nol può concepire senza cominciamento, segno è che l'op posto è
irrazionale . Che cos'è l'uomo nell'universo ? Un'anima razionale che sta nel
corpo come in u sepolcro , diceva Filolao. L'anima è numero e armonia ( Plut.
De plac. phil. IV , 2 ), o monade che riduce ad unione la moltiplicità del
corpo e n'è principio di vita e causa motrice. Se Platone confutò nel Fedone la
sentenza che l ' ani ma è armonia , combatte i materialisti che ponevano
l'anima com'un risultamento dell'unione corporale, an zichè com’un principio di
essa, a mo' de ' Pitagorici. Ma Platone invece s'accorda con Filolao dicendo,
che l'ani ma è sepolta nel corpo. Se non che in Platone ha senso più dualistico
; ma ne’ Pitagorici significò (badando noi alla totalità delle lor opinioni),
che come Dio è l'anima del mondo, e vien da essa immediatamente l'anima uma na
( V. Ritter e Bertini), così vien dalla terra, infima ne'gradi dell' entità e
delle emanazioni tutte, il corpo . Derivano da tutto ciò le teoriche sulla
ragione som må del conoscere e sulla legge dell'operare. Come l'en tità , così
la verità è l'uno e il numero, e l'errore va fuori dell'armonia ; talchè come
il numero fa la misura di ciascun ente o la specie loro, e fa l' attinenze del
l'uno all'altro, così la verità è nell' attinenza dell'in telletto con le
specie degli enti e con le loro attinenze. Ma come si conosce da noi ? Il
simile col simile ; però distinse la scuola italica il senso dall' intelletto
come in due parti ( Cic. Tusc. IV , 5 ) ; l'intelletto è di LEZIONE
DECIMAQUARTA . 279 vino e si conosce per esso (benchè in modo relativo, dice
Filolao) la divinità della natura ; il senso è terrestre, e si conosce per esso
il fenomeno o l'apparenza sensibile. Ragion prima del conoscimento è dunque Dio
; ma com’es senza prima degl'intelletti. In Dio sta la ragione pri ma, non solo
perchè raggiano da lui gl'intelletti , ma perche Dio è numero, e il numero è l'
esemplare del mondo; esemplare riconosciuto dall' intelletto. ( V. il Cou sin e
lo Stalbaum , ambedue nel commento al Timeo .) Però, avvertite, o signori, la
scienza pe' Pitagorici, come per ognuno che n'abbia vero concetto, stette nel
ritro vare la necessità razionale di ciò che conosciamo. Essi voller saper non
solo ciò che è ed accade, ma perchè ciò dev'essere ed accadere. Tuttavia
successe a loro quel che ad ogni panteista ; si credè di trarre a priori le
cose dal conoscimento dell'essenza universale, come le pro prietà d'un
triangolo. Ma invece, e lo dissi altrove, la necessità razionale ( eccetto la
ontologia e la teologia naturale e le loro applicazioni e le matematiche) sta
solo in vedere come, supposto un che, ne venga di neces sità un altro per attinenza
; ad esempio, data la per cezione, non può non essere il corpo, o data la
volontà negli uomini che son razionali, non può non essere la libertà.
L'assoluta necessità vedesi solo dove può trarsi l'illazioni da un'idea,
anzichè sperimentare de' fatti; nel resto è necessità ipotetica, e non altro ;
o anco è sola contingenza. ( V. Lez. I. ) Come l'entità e la verità sono
numero, negazione la potenzialità indefinita e l'erro re, così è numero ed
armonia il bene, disarmonia o ne gazione il male. ( Arist. Met. I.) Il bene è
misura, il male è dismisura : da ciò quel detto pitagorico : « La misura è
ottima, pétpov Žpustov . » E come Dio è l'ar monia universale, il numero per
eccellenza, egli è il bene o misura o legge. Però, come l'intendimento va per
armonie matematiche e musicali, così la volontà ; e indi nasce la virtù, ch'è
numero dentro di noi, componente la discordia degli appetiti ( Carme aureo,
57-60 ); numero fuor di noi nell'educazione della famiglia e della città . .
280 PARTE PRIMA . - am - ( Fragm.di Luc. Ocello. ) Allora l'anima si va
conformando a Dio (ov.02.09749. Tapos to delov ) ; la disforme da Dio passa in
corpi diversi con la metempsicosi od è punita nel Tartaro ; la conforme a Dio
ritorna nell'essenza ond'ella emanò. » Sarai, dice il Carme aureo, un Dio
immorta le, incorrotto, non sottoposto a morte ( v. 71 : ETEL 0212. τος θεός,
άμοροτος, ούκ έτι θνητος) . Signori, chi non mirerà, in mezzo a quell'ombre, la
luce di sì alte dot trine ? Ma, tralignando i tempi, la filosofia traligno. Il
sistema pitagorico è, quant'a'principj, un pantei smo naturale ; perchè l'unità
per eccellenza vi comprende lo spirito e la materia, distinti poi come tutte
l'altre contrarietà. Come voleva egli scappare il Pitagoresimo alla
contraddizione suprema d'identificare tutte le contrad dizioni ? Dicendo che
non conosciamo l'essenza in modo diretto : quasichè importi tal conoscenza per
escludere l'assurdo. La scuola di Elea tentò fuggire la contrad . dizione,
escludendo la materialità, il moltiplice ed ogni mutamento , e così creò un
panteismo ideale. Xenofane, nato a Colofone d'Ionia il 620 av. G. Cri. sto,
venne assai tardi ad Elea città di Magna Grecia . L'idealismo suo nasceva prima
di lui; ma egli lo recò a sistema. E l'idealismo nasceva per più cagioni ; pri
ma, com'ho detto, ad evitare le contraddizioni del pan teismo naturale ; poi,
perchè il sistema idealistico ha dello scetticismo, a cui ora pendevano i Dorj
non più austeri, e più gl'Ionj (ionica pure la colonia d'Elea); scetticismo
voluttuoso e mesto che apparisce nel poeta Mimnermo, di Colofone anch'esso, e
in alcuni versi di Xenofane; inoltre, già il sistema pitagorico, benchè com
prensivo, faceva prevalere i concetti spirituali , però Xeno fane, vissuto a
lungo in Ionia , venuto poi in Italia, mostra nell'ontologia l'idealismo
italico , ma nella cosmologia la fisica degl'Ionj. Egli scrisse in versi , e ne
resta frammenti, da cui , com'anche da Platone e da Aristotile, si rileva le
sue opinioni . ( Fragm . Phil. Græc. Didot. ) Uscì di patria per le invasioni
Lidie, viaggiò in Sicilia, si fermò in Elea o Velia ; e visse più che centenne.
( Censorino.) LEZIONE DECIMAQUARTA . 281 Xenofane ha di Dio un'idea sublime.
Egli è uno, non simile all'uomo, immoto, è tutto vedere, intendere e udi re .
Ma si deve, o signori, notare cinque concetti che formano il sostanziale del
sistema. Dio è uno. Xenofane tolse il principio pitagorico che l'uno si
converte con l'ente ; però Dio, entità suprema, è uno. L'unicità di Dio ,
Xenofane la provò benissimo per un secondo concetto ancora, ch'è la potenza.
Voi sapete già, o signori, che per la scuola italica l'unità o la monade o
l'entità ( vocaboli equivalenti) è forza, è un'energia . Ciò pure affermò
Xenofane ; e però Dio, ch'è l'ente , è sommo po tere ( 20 % TELY ) : quindi se
più dèi uguali, nessuno è po tentissimo per l'eguaglianza, se più dèi
inferiori, nes suno è potentissimo per l'inferiorità. Talchè Xenofane,
riprensore d’Esiodo e d'Omero, scherniva com’empie le superstizioni volgari, e,
diceva, se i cavalli sapessero di segnare, fingerebbero gli dèi a loro
sembianza. Traeva da ciò un terzo concetto ; che a Dio manca ogni contin genza,
finità e infinità, moto e riposo. L'infinità ? In che senso la nega egli
Xenofane , e contro chi ? Nel senso d'illimitato o indefinito che si determina
con atti successivi ; contro i Pitagorici pe' quali Dio è infinito e finito ad
un tempo, si distingue nell'universo e vi si muta perennemente, benchè immutato
nell'essenza : for s'anche, dove Xenofane accenna il moto e il riposo, con futa
le opinioni degl' Ionj già cominciate e già oppo ste all'italiche più antiche,
ma pe' Pitagorici ancora Dio comprende in sè le contrarietà fra cui Aristotile
notò ( come vedemmo) il moto e la quiete, ugualmente che il finito e
l'infinito, il finito ch'è quiete, l'infinito (indefi nito ) ch'è moto.
Crederemo noi dunque, o signori, che quest'altra verità , in Dio non essere
contingenza, con ducesse gli Eleati al Dio creatore ? No ; e si scorge dal
l'esame d'un quarto concetto, per sè vero, ma falso nell'applicazione : Dio non
può nascere. Va bene ; ma per chè ? udiamolo, signori; il perchè ce lo dà il
trattatello De Xenophane, Melisso et Gorgia, attribuito ad Aristo tile , non di
lui forse, antico ad ogni modo. Si dice, adun 282 PARTE PRIMA. que : Dio non
può nascere, perchè l'ente non può non essere, e il non ente non può dal nulla
divenire qual cosa. L'ente, ch'è per essenza, certo non può non essere ; ma il
non ente nel significato di Platone e pitagorico è il contingente ; che può non
essere appunto, giacchè non è per essenza sua propria, bensì dall'ente.
Xenofane, per altro (notate, vi prego, siguori), prese il non ente in
significato di nulla, e il nulla è impossibile sia mai altro che nulla ; ma ciò
che diventa, è nulla in sè, nulla non già nella potenza causatrice. Che ne
conchiudeva Xenofane ? Non solo che non si dà creazione, ma che non si dà pure
causalità nessuna ; non v'ha che l'es senza immobile, infeconda, inaccessibile.
( ch'è dun que il resto ? o quel che ci pare in continua mutazione ? Fenomeno,
apparenza, illusione, e nulla più ; talchè la fisica che si fa con l'apparenze
è illusoria, non è scien za . Però egli disse in un verso : « Queste cose (del
mondo) non hanno altra vita che l'apparenza, e appartengono alla opinione. (
Plut. Symp. IX. ) De' dubbj di Xeno fane sul mondo parlo altresì Timone Fliasio
ne' Psilli. ( Fragm . Phil. Græc.) E per provare ciò s'adoperava un quinto
concetto : che Dio o l'ente è tutto, o intero . ( Fragm . di Xenoph.) Che vuol
egli dire ? Cerchiamolo . Che idea vi dà, o signori, l'infinità ? Certo,
pienezza d'es sere, cioè che ivi non ha mancamento . Ma tal pienezza significa
forse il tutto ? No, chè tutto è idea relativa : tutto, implica parti ; e
quindi ogni tutto può essere più o meno, come numero ch'egli è ; nè numero
assoluto si dà ; mentre assoluto è l'infinito. Or bene, l'induzione astrattiva
concepisce il mondo com'un tutto e confonde l'infinità ( come pienezza
d'essere) con l'universo . Così accadde agli Eleati ; e però Aristotile
scriveva di Xeno fane : « Contemplando egli il tutto del mondo, disse che
l'unità è Dio. » Indi l'aforismo eleatico, uno è l'ente e il tutto (ey to y uzi
có Tiv) . Che si concludeva mai da questo ? Poichè al tutto non manca nulla, e
l'ente è il tutto, nulla può cominciare, perchè sarebbe aggiun gimento :
quasichè, o signori, ciò che viene dall'efficienza LEZIONE DECIMAQUARTA. 283
creatrice aggiungasi all'infinità . E però vedete, che dove gli Eleati pareva
negassero l ' indefinito pitago rico, van poi al medesimo vizio ; perchè si
piglia Dio com'un tutto generico, che viene simboleggiato con lo sfero. Resta
da sapere che foss'egli per Xenofane l'ente o Dio . È ragione assoluta,
intelletto essenziale. (Fragm. di Xenoph .) Che v'ha dunque più di pitagorico
negli Eleati ? Si lasciò la parte corporea ed ogni moto e restò la spirituale,
divina ed immutabile ; quindi è un pan teismo ideale. Il qual sistema si
continuò in Parmenide, in Zenone ed in Melisso. Parmenide d’Elea nacque
probabilmente nella 65a Olimpiade, e fiorì nella 69 ", ossia 504 avanti Gesù
Cristo. Dice Plutarco ( Adv. Colot.) ch'egli détte alla patria leggi avute in
grande amore. Zenone d'Elea , scolare di Parmenide e nato verso l'Olimpiade 719
, amo di cuore la patria , e poichè un tiranno lo condannò a morire, sostenne
da uomo il supplizio : Melisso di Samo fiori verso l'84a Olimpiade, seguì
Parmenide, fu uomo di Stato, e capitano gl'Italioti contro Pericle. Questi gli
Eleati più famosi. L'opinioni di Parmenide vi son date assai chiare ne'
frammenti del suo poema. ( Fragm . Phil . Græc. Didot. ) E che si trova in
quelli fin da princi pio ? I due aspetti, già separati da Xenofane : l'ente,
che unico è ; e il non ente o l'apparenza, che non è : non è , o signori, in
modo assoluto e non già perchè semplice contingenza. Ci ha due vie, scriveva
Parmenide, di filo sofare : 0 porre che l'ente è e che il non ente non è (70
ury; vedi anche il Parm . di Plat.), e questa è la via retta, perchè s'afferma
l'ente e si nega il non ente o l'apparenza ; o, al contrario, porre che l'ente
non è c che sia di necessità il non ente, questa è via non retta. Si descrive
così la via degli Eleati da un lato, e la via degl'Ionj dall'altro, i quali si
fermavano a considerare il moto delle cose . Ebbene, che concetti ha egli
Parmenide allorchè e' mostra che l’ente è e il non ente non è ? Gli stessi di
Xenofane : l'ente è conosci 284 PARTE PRIMA . 1 bile con la sola ragione,
ingenito, non mobile, tutto ( cudow ) unigeno, eterno ; non fu nè sarà, perchè
ora è tutto insieme; non può esser nato , perch'è assurdo che l'ente non sia ;
non divisibile, somigliante a sè stesso intera mente, riempie ogni cosa ; la
dura necessità ( dir.n ) lo stringe in vincoli (ossia egli è necessario ;
necessità di Dio trasferita da' panteisti al mondo ed alla volontà uma na );
egli non è infinito ( atedrventov ) , non bisogna di nulla, ed è lo stesso il
pensare e ciò che si pensa. ( Framm . e segnatamente v. 66-94.) In che
Parmenide differì da Xenofane ? Quegli ha forma più scientifica di speculare,
perchè comincia dall'idea universale dell'essere, e la contrappone al non
essere. ( Ritter, Bertini.) Ma crede reste voi che Parmenide s'avvantaggi su
Xenofane, come nella severità dialettica, così nella perfezione dell'idea ili
Dio ? Anzi, dove il maestro partì dall'idea di Dio, ragione pura, santità essenziale
e provvidenza, lo sco lare poi con un vizio più rilevato d'induzione si fermò
al concetto dell'essere generale, nè v'apparisce punto la personalità divina :
sicchè Parmenide non avversa come Xenofane la mitologia , anzi l'accetta qual
credenza po polare. In man di lui, perciò, il sistema eleatico si rese più
ideale. E questa idealità condusse Parmenide (sem bra un paradosso ), come anco
Xenofane alla confusione lel senso e dell'intelletto . Quanto a Xenofane
apparisce da un verso di lui in Sesto Empirico ; e quanto a Parme nide, lo notò
espresso Aristotile ( ppovaly usy tér vistn512) . Mentrechè il sensista dice :
la sensazione è idea e tutto : l'idealista dice : l'idea è sensazione e tutto.
Ma sorge contraddizione nuova : se intelligenza e senso son tut t'uno, come
potrà egli il senso darci l'illusione ? Ep pure, Zenone d'Elea non pare
ch'altro volesse co’suoi strani sofismi fuorchè mostrare : com’abbandonandoci
all'apparenze del moto e del moltiplice, cadiamo sem pre in contraddizioni. E
la parte negativa di tal sistema s'accrebbe in Melisso che ( notate, o signori)
muove dal l'ente indeterminato come Parmenide, ma lo significa in modo più
indeterminato ancora , chiamandolo un qual LEZIONE DECIMAQUARTA. 283 cosa. ( V.
Fragm . Phil. Græc. Didot ; De Xenophau Melisso et Gorgia ; Arist. de Soph.
Elenchis, e Plat. Thecet.) Se non che, Melisso torna co’ Pitagorici a dire che
Dio è infinito, negando a loro ch'e'sia finito, per chè l'ente non ha principio
nè fine . ( Fragm . 2. ) E ciò va bene ; ma pare che qui terminasse l'infinità
nel concetto di Melisso ; egli non lo concepì come infinitu dine assoluta
d'entità, e pero dotato d'efficienza crea trice e pensiero puro ; anzi l'
indeterminatezza di quel l'astrazione fece sì ch'egli non parla dell'intelletto
e della bontà di Dio, e l'idea ne vacilla dinnanzi com'om bra informe e vana. (
Ritter, Bertini.) Così da Xenofane in poi vi fu scadimento, come da '
Pitagorici agli Eleati . Questi bensì fecero progredire la dialettica tendendo
a conciliare i contrari , e Aristotile fa inventore di quella Zenone, che si sa
da Diogene Laerzio aver composto dialoghi. Se la scuola pitagorica seguitò, ma
con forme più filosofiche, il panteismo orfico nella sua totalità , gli Eleati
ne presero la parte ideale ; gl’Ionj la corporea e sensuale. Ell'è perciò la
setta men filosofica . In che ci viltà ? Tra'costumi voluttuosi della Ionia , e
in quelle città che presto soggiacquero alla servitù de’Lidj e de Persiani. E
se voi mi domandate, o signori: Que' sistemi da che gente vennero professati ?
Rispondo, che salvo i più antichi, cioè Talete e Anassimandro nati a Mileto nel
l'Asia minore, delle virtù cittadine di tutti gli altri non si sa nulla ; o
sappiamo d' Eraclito ch'era superbo, duro e solitario . Di Talete stesso,
bench’ Erodoto ricordi un consiglio di lui agl' Ionj , Platone ( Teetete) dice
ch' ei s'astenne da' pubblici negozj . Qual diversità dalla storia de
Pitagorici ! non ci meravigli, pertanto, la diversità ne sistemi. ( Fragm .
Philos. Græc. Didot, 1860.) Il moto delle cose lo crederono gli Ionj nell'asso
luto. E che cos'è l'assoluto ? La materia del mondo. unica entità , eterna,
divina, dotata di pensiero ch'è di vino attributo. Tutti gli Ionj. fuorchè
Anassagora, ebber ciò di comune ; e s'assomigliano alla scuola degli Eghe 286
PARTE PRIMA. liani materiali che succedettero agl' ideali . Ma gl' Ionj
diversificarono tra loro nel concepire il moto dell'uni verso ; chi, come
Talete e Anassimene, Diogene d'Apol lonia ed Eraclito, ebbe un sistema dinamico
; chi, come Anassimandro e Archelao, un sistema meccanico. Ed ec cone il
divario : cercaron tutti la prima cagione delle cose, ma pe' dinamici la
produzione si fa con isvolgi mento di forze vive, come gli animali e le piante
; pe’miec canici la produzione non ha se non forme apparenti . mutandosi solo
le particelle inerti come ne’minerali. La dottrina vera comprende le due
opinioni ; perchè la cau salità modale trae sempre in atto le potenze, l'atto
si produce (dinamica ) ; benchè quest'atto poi non ci dia sempre una specie o
un individuo, come nella generazione degli animali, bensì talora un
aggregamento come ne'mi nerali. A ogni modo, tal dottrina non s'applica punto
alla causalità creatrice ; e gl’lonj, negando che dal nulla si faccia nulla,
negando qualunque causalità che non operi sopr'un soggetto preesistente, non
s'avvidero, che tal cau salità non può dirsi assoluta, ma condizionata . Questo
in genere ; venendo poi a specificare la causa prima, gl’lonj la posero chi
nell'una e chi nell'altra cosa che più parve trasmutabile in ogni altra o quasi
un germe, secondo i dinamici, o quasi elemento univer sale, secondo i
meccanici: Talete nell'acqua, Anassi mandro in una natura media ( udtaču puçev
) , e però lo chiama principio (apua) , Anassimene nell'aria, Eraclito nel
fuoco, Diogene altresì nell'aria . Ma, badate, o si gnori , nè quell'acqua, nè
quell' aria, nè quel fuoco, son proprio ciò che ne vediamo; è un che più intimo
e uni versale, simboleggiato in cose visibili secondochè queste parevano più
acconce a figurare l'universalità , come l'acqua che tutto abbraccia, l' aria
per cui si vive, il fuoco che tutto vivifica e distrugge. E con questo pensare
la causa prima, s'andò di male in peggio. Talete serba confuso al materiale un
< he di spirituale ; però dice che tutto è pieno degli dèi e che in ogni
cosa è la mente, e, secondo Cicerone LEZIONE DECIMAQUARTA. 287 ( Quest. Tusc.
I), professò l'immortalità dell'anima. È un panteismo materiale, ma confuso ed
implicato : vi si sente ancora le reliquie della filosofia teologica più antica
, già comune (com' io dissi ) agl'Ioni, anzi a ogni gente ellenica ed agl'
Italioti ; e però i Padri citano di Talete molti detti sapienti sulla natura di
Dio. Anassi mandro svolgeva la parte materiale dicendo che il prin cipio, in
cui tutto ritorna è infinito , perchè l'origine o il cominciare non termina mai
( tov © vo ) trn doury ENOL Ó žosipov . Fragm . Phil. Græc.; Didot) ; però gli
dèi nascono e moiono, e son astri e mondi; e la specie umana venne da' pesci.
Anassimene seguitò quella via ; nè altrimenti Eraclito, benchè questi , che
cita Pitagora e Xenofane (Diog. Laert. IX , e Clem . Alex. Strom . I ), désse
alla dottrina del fuoco le apparenze d' una misti cità orientale. Non si
discostò dalla teorica degl'Ionj circa la causa lità l'altra teorica sulla
ragione prima. Qual è la ragione del conoscere ? questa, che il principio
conoscitore sia formato della materia universale, di cui si formano le cose
conosciute, dacchè il simile si conosca pel simile. Sembra che di morale
gl'Ionj ne parlassero poco ; e ciò sta col materialismo loro ; Eraclito bensì
pone la legge nella ragione universale o divina, palese con le leggi della
patria ; Achelao nega ogni legge necessaria ; e il giusto e l'ingiusto fa
nascere dalle convenzioni umane. Tal panteismo ch ' è sempre a priori non
détte, benchè materiale e salvo poche verità , una fisica buona. All'assurdità
del panteismo volle rimediare Anas sagora da Clazomene, nato verso il 500
avanti l'èra nostra , però distinse la mente dal mondo. Ma non la stimò
creatrice ; sicchè s'apprese al dualismo ; anzi, (lacchè spiega poi la
formazione del mondo come gli al tri Ionj meccanici, non si sa bene che ufficio
e' désse alla mente divina in ordinare, il mondo. ( Plat. Fodone.) Il suo libro
cominciava : Tutte le cose erano insieme ; l'intelligenza le divise e le
dispose. (Diog. Laert. II, 6.) E così distinse Dio, o la mente ( vojv) , dalla
natura ; e 288 PARTE PRIMA . + 1 questa pose in particelle simili , omeomerie,
che son semi delle cose o per la disposizione già ricevuta o che rice von poi
di mano in mano ( 2.pay.tov otepusta.). Diogene di Apollonia in parte lo seguì
, ma peggiorando ; chè fece l'aria dotata di mente, e quindi ordinatrice.
Archelao pure, ultimo fra gl' Ionj, alla confusione primitiva sta bili
ordinatrice la mente ; ma questa non va esente di materialità ( Fragm . Phil.
Didot); talchè il dualismo di Anassagora isterili. Che tenne dietro, o signori,
alla confusione del pan teismo ed alla separazione del dualismo ? La negazione
degli scettici , particolare dapprima, universale poi. E di fatto, già svolte
l'opinioni de' Pitagorici e d'Elea, ben chè non anco terminate ( come va
sempre), e già comin ciato il sistema d' Anassagora, sorsero pressochè ad un
tempo le sette degl'idealisti e de' materialisti. L'idea lismo ateo venne da
Protagora (di cui nel dialogo con tal nome ed in più luoghi scrive Platone );
colui , non si sa quando nato, fiorì verso il 444 avanti l'èra nostra . Il
principio d’un suo libro cominciava : Degli dèi non so nulla ; e Timone Fliasio
scrive, che Protagora quantun que dicesse ignorarli , osservò la legge ossia le
cerimo nie legali ( Fragm . Phil. Græc.) : nella osservanza della legge i
sotisti posero moralità e religione. Diceva Pro tagora con gl' Ionj : tutto si
muta ; e con gli Eleati : tutto apparisce. Questa proposizione viene dall'altra
; perchè se nulla r’ha di stabile, tutto è fenomeno od ap parenza . Vedete, o
signori, come l'idealismo nascesse dall' opinioni anteriori. E sulle due
proposizioni già dette si fonda il sistema di Protagora, che disse perciò : se
tutto muta , nulla è in sè stesso ; e se tutto apparisce, l'apparenza solo è
vera ; vere l'apparenze contrarie , veri i contradittorj, vero insomma tutto
ciò che si pensa, e l'anima è la somma dei diversi pensieri ( Condillac, Kant),
e il fine del discorso sta nel produrre l'appa renza : qui è il sostanziale
dell'arte sofistica . Che vi pare, o signori, non lo dicono anch ' oggi : tutto
è vero quel che si pensa ? Quasi contemporaneo, ma un po'dopo LEZIONE
DECIMAQUARTA . 289 è Democrito d'Abdera, nato per Apollonio il 460, e per
Trasillo il 470 ; talchè, se fiorito con Protagora il 444. ciò sarebbe avanti
a' 16 od a'26 anni ; impossibile il primo caso, non verosimile il secondo,
perchè Democrito dettò le cose sue dopo lunghi viaggi . Sa degl'Ionj, perchè
materialista, tiene bensì degli Eleati , perchè muove dal concetto dell'ente ;
e dice : unico ente il vuoto e lo spazio con gli atomi nel seno ; dalle loro
congiunzioni e dalle figure matematiche conseguenti nascono le qualità ; e
poiche il simile si conosce col simile ( τα όμοια ομοιών είναι apestira ), v'ha
conoscimento nell'anima, essendo ella un atomo a cui vengono le figurette o
immaginette dei corpi ; rozza fantasia che male s'attribui ad Aristotile. E Dio
che cosa è per Democrito ? Compiacendo alle plebi , egli finse dèi come
immagini enormi, ma sotto posti a morte ; vero ateismo. ( Fragm . Phil. Græc.
Di dot .) Vuol notarsi che Leucippo fiori con Eraclito il 500 ; ma poichè il
materialismo giungeva non opportuno. mancò allora il successo, in tal maniera
che di Leucippo non si sa pressochè nulla. Se Protagora s'accostò allo
scetticismo universale, non mi pare che vi giungesse : affermò che tutto si
muta, e ch' è solo quale apparisce, non si sa per altro ch'e' ne gasse l'entità
delle cose in questa loro perpetua muta bilità ed apparenza ; chi giunse a tal
punto, risoluta mente, espressamente, ſu Gorgia di Leonzio ( V. Dial. di
Platone col nome di lui, e altri dialoghi) ; perchè scrisse un libro sul non
ente, cioè sulla natura, e volle provare che o nulla è, o se è non può
conoscersi o se si conosce non può significarsi . Con Protagora e Gorgia v ' ha
una schiera che la Grecia infamò col nome di So tisti, Prodico, Eutidemo e
simiglianti. Chi erano costo ro ? L'antichità gli ebbe per uomini venali. In
che ci viltà vennero ? In età di corruzione . Che frutto recarono ? Dicon gli
antichi: pessimo nell'arte, nella scienza e nel l'educazione della gioventù ;
benchè, come si vedrà, fossero occasione di qualche miglioramento. Ma ecco
fiorire verso que' tempi ( V. Tavole del Storia della Filosofia . - I. 19 290
PARTE PRIMA. Krug) un uomo che vuol riparare a tanta dubbietà. Chi ? Empedocle.
Con che ? col misticismo a cui s'ac compagna ( come accade sulla fine dei
sistemi) un fare d'ecclettico. ( Fragm . Phil. Græc. Didot. ) Da'frammenti del
suo poema ( népe ouro ) e da' detti d' Aristotile e d'altri si raccoglie che il
sistema d'Empedocle non è già fisico solamente ; Dio per lui è mente santa
incor porea : e nè un pretto dualismo, perchè il mondo è tutto, e c'è divinità
mondane o fisiche : e nè un pretto pan teismo, perchè si distingue la mente
divina e gli atomi : che cos'è dunque ? Parmi ch'e' non avesse un concetto
nitido, com'accade agli ecclettici; e così di lui pensa rono gli antichi :
alcuno lo fa di Parmenide, altri pita gorico, Platone lo mette con Eraclito, e
Aristotile con Leucippo, con Democrito e con Anassagora. Ma prevale il
misticismo; perchè ne' frammenti del poema, Empe docle si dà com’uomo
miracoloso, e si crede un Dio immortale; e veste da sacerdote. In lui sentite
lo scet ticismo e l'estasi ; egli pone la mente, umana in parte ed in parte
divina; quella c' illude, questa ( come dice il Ritter) dà un santo delirio e
sorge alla contemplazione mistica di Dio nella natura. Tal è l'Yoga indiano,
tali gli Alessandrini. E questi, di fatto, ebbero in grande stima Empedocle ;
ma Platone ed Aristotile, osservato ri, lo pregian poco. Tuttavia egli seppe
dimolto, e valse in fisica, e fu ben altr'uomo dei sofisti ; onorato dai suoi
cittadini ed in tutta Sicilia . Così terminò quest'epoca, ed ebbe strascico
lungo in due schiere d'uomini; atei la cui morale era il piacere, Evemero,
Ippone, Nicanore, Pelleo, Teodoro, Egesia e Diagora ; Pitagorici o dati
anch'essi al materialismo, così Ecfante, o mistici la maggior parte. Questi
atei com ' Evemero interpretarono storicamente la mitologia : gli dèi furono
uomini indiati, non altro . La scuola fisica poi degl'Ionj, più tralignati, la
interpretò fisicamente : gli dèi son le forze uniche della natura EPOCA
QUARTA DELL' ÈRA PAGANA. SISTEMI GRECOLATINI. CICERONE . 011 SCU pre SOMMARIO .
Moltitudine di scuole tra la seconda metà del penultimo secolo avanti l'èra
volgare fin al quarto secolo dell'era stessa , sullo spartimento delle quali
non sono chiari gli storici. Criterio per la distinzione del . l'epoche , e
quindi per l'assegnazione varia de ' sistemi. Con tal crite rio , le dette
scuole si spartiscono in due classi. – La prima classe si sud distingue ; 1º
negli eruditi ; 2 ' negli scettici ; 3 ne ' sistemi grecoasiatici : tutti
formano la fine dell'epoca terza, cioè sono la conseguenza de ' sistemi
anteriori . La seconda classe , o de' sistemi grecolatini, fa un'epoca da sė ,
cioè l'epoca quarta . È un'epoca nuova , per la tentata riforma, e per
l'efficacia grande cosi di Cicerone come de' Giureconsulti. — Cagione del
sorgere tardi la letteratura e la filosofia in Roma. Elle sorsero, quando i
Romani non furono più con tutta la mente in fatti gravi e giornalieri . Allora
può la riflessione volgersi alla coscienza e contemplarvi l'uomo , – Il
pensiero de ' Romani si distese all'Italia e al genere umano. — Naziona lità
naturale e politica degl' Italiani merce i Romani . Affetti domestici nel buon
tempo di Roma. Come si vedano in Virgilio le qualità prin cipali della civiltà
italica . I germi antichi di questa erano in Roma; si svolsero per impulso di
Grecia. Durò poco in Roma la filosofia pura mente speculativa, perchè già la
filosofia greca , declinando, avea lasciato salve ben poche verità , e perché
Roma cadde in servitù . Cicerone e i Giureconsulti romani costituiscono la vera
filosofia grecolatina . Cice rone si proponeva di sceverare dal falso e
dall'incerto le parti vere e certe ile' sistemi greci , di comporle in ordine
chiaro , d'applicurle praticamente, e che se n' aiutasse l'eloquenza. - Sue
virtù e suoi difetti. Si prova ch'egli non fu copiatore de ' Greci , ma pensò
di suo . Non pare da distinguere i suoi libri ( com ' alcuno pensa) in popolari
e dottrinali . Libri logici , fisici e morali. Cicerone ripete il conosci te
stesso come fondamento della filo sofia : la coscienza con tutte le due
relazioni. Indi l'evidenza interio Uso degli altri criterj secondari , tenendo
sempre in mente l'universi lità e dov'ella si manifesti. Cosi egli potė cansare
gli eccessi de ' sistemi; e si prova quanto a ’ Platonici , a' Peripatetici,
agli Stoici , agli Accademici : rigettato assolutamente l'Epicureismo. -
Cicerone non elegyeva da ecclettico , ma per un ordine di principj ; vide cioè
che la filosofia è da studiarsi entro di noi ; e da tale studio inferi tre
verità , che gli furono regolatrici : 1º che l'uomo sta sopr' all ' altre cose
; 20 che la ragione dell'uomo prevale al senso e al corpo; 3º che questa
ragione con le sue leggi ci fa palese Dio . Talche delini la filosofia :
scienza delle cose divine e umane e delle cagioni di queste ( off .) : l'altra
definizione de' Tuscolani è come racconto dell'opinioni pitigori che. Va
seguito i principj spontanei , naturali , universali della ragione : ecco
l'assioma di Tullio. — Ma, per la moltitudine de ' sistemi , ei potè co gliere
poche verità ; queste affermò, nel resto sospende il giudizio . Esem pio, il
finale de natura Deorum . Le dottrine certe di lui ne ' libri morali, o sulla
legge e sulla libertà ; le opinioni verosimili ne'fisici, o sulla natura divina
e dell'anima; ne'ljbri logici l'une e l'altre ; ossia , egli è certo su'prin
cipj e sull' evidenza interiore, ha solo verosimiglianza sul criterio delle per
cezioni esteriori. Dualismo . — Anche per la teorica del conoscimento. Teorica
dell'operare bellissima ; legge naturale, eterna ; Dio n'è la fonte ; re . - .
0 LEZIONE DECIMOTTAVA. 367 chi non ammette Dio , non può ammettere la legge . —
Il dovere. Gradi degli officj . Quel ch'è giusto in sè stesso . Utile
apparente, e utile vero ; questo è conseguenza della virtù. — Onestå. Le leggi
positive nascono dalla naturale ; Dio è il proemio di tutte le leggi. - Buoni
eifetti della filosofia di Cicerone . Non anche terminata l' epoca terza
cominciò la quarta, de' sistemi grecolatini. Dalla seconda metà del penultimo
secolo avanti l'èra volgare fino al quarto secolo dell' era stessa , troviamo
una moltitudine di scuole, lo spartimento delle quali dà qualche impaccio agli
storici . Taluno le piglia tutte insieme (e vi com prende gli Alessandrini del
terzo e quarto secolo) come una sequela de sistemigreci anteriori ; e così non
pone ad esse un'epoca distinta . E per fermo se tutte le dette scuole non
fosser altro che discepoli, o raccoglitori eruditi , mancherebbe la ragione del
porle da sè , o del farne più classi . La ragione d'un'epoca, quando si parla
di scienze, è solamente una grande verità scoperta, da cui dipende l'ordine
universale d'una scienza qualunque, o il risorgimento di essa dopo un tempo di
scadimento, e quindi l'efficacia su ' tempi avvenire. Insomma, v'ha un
principio d'epoca, quando v’ha un principio di moto nuovo e potente : la
continuazione di moto, è continua zione d'epoca e nulla più. Applicando tal
criterio all' età sovraccennata , par chiaro che i sistemi vi si distinguano in
due parti ; una sta nell'epoca terza precedente, ossia nella greca e come
termine di essa ; la seconda costituisce un'epoca da se per qualità sue
proprie, o un'epoca quarta , benchè i siste mi dell'epoca terza la precedano,
l'accompagnino ed an che le sopravvivano : tanto è vero che la sola divisione
per tempi non segue la realtà. La prima parte che ter minò l'epoca greca, si
suddivide in tre, gli eruditi, gli scettici, i grecoasiatici. Da un lato v'ha
le scuole di pretta erudizione ; le quali non iscopersero nulla , nè
rinnovarono nulla ; gli Stoici eruditi ; i Platonici eruditi, com ' Areio
Didimo, Trasillo, Albino, Alcinoo, Massimo di Tiro ; i Peripatetici eruditi o
commentatori d'Aristo tile, come Alessandro d'Afrodisio ; i Medici, eruditi an
365 PARTE PRIMA. ch'essi, platonici e peripatetici, come Galeno. Poi da un
altro lato v'ha lo scetticismo d'Enesidemo e di Sesto Empirico, i quali
compivano, anzi riducevano a sistema il dubbio di Pirrone e di Timone,
volgendosi specialmente contro la causalità, e negandola per la singolare
ragione che il modo intimo del causare nol conosciamo; quasichè possa negarsi
ciò ch'è ad evidenza, quando non si sa spiegarlo. Da un terzo lato ancora ,
mescolati i Greci con gli Asiatici per le conquiste d'Alessandro e poi per la
vastità dell'impero di Roma, vediamo un congiungimento tra la sapienza
orientale e i sistemi greci; onde si svolse la setta degli Alessandrini, che
non fecero altro se non ridurre a forme greche il panteismo asiatico , già
comin ciato in Filone ebreo, nella Kabbala, in Apollonio Tianeo e in Moderato ,
Nicomaco, Plutarco, Apuleio, Cronio, Numenio. Questi, benchè distinti dalla
scuola d'Alessan dria (e fa male chi li confonde), in sostanza cominciaron l '
avvio di quella, che ne trasse i pensieri a compimento. Gli Alessandrini e i
loro antecessori fanno essi dunque un'epoca nuova ? No, perchè i metodi sono
affatto del: l'età socratica, e i principj gli stessi ; lo scetticismo poi che
li conduce al misticismo, appartiene a quel medesimo tempo. L'unione dell'
orientalità con l'atticità pare un che nuovo, ma scientificamente non è ;
proviene dalle tendenze mistiche succedenti al dubbio, non già da'me todi
scienziali ; piacque la misticità orientale, richiesta già dagli animi. Ebbi
l'opinione anch'io che gli Ales sandrini facciano un'età da sè ; ma più attenta
consi derazione m'ha condotto ad altro parere. La seconda parte sì che fa
un'epoca da sè, l'epoca quarta o Latina . Introdotte le scuole di Grecia in
Roma circa il mezzo del secondo secolo avanti l ' èra nostra, cominciò ivi un
ordine proprio di concetti per efficacia delle tradizioni italiche e per la
civiltà di Roma ; talchè, ripeto, avvi un'epoca quarta, o de sistemi
grecolatini ; nuova per le riforme tentate da Cicerone e per la novità dei
iureconsulti, ch'ebbero efficacia sì viva e univer sale nella civiltà europea ;
e anco perchè Cicerone servi LEZIONE DECIMOTTAVA. 369 più che i Greci alla
filosofia cristiana de' Padri latini e dei Dottori, i quali per via di lui ,
piucchè in modo im mediato, seppero l'antiche opinioni. Adunque in uno specchio
generale di storia si dee lasciare i filosofi eruditi, che non aggiungono nulla
; degli scettici dissi già nella passata Lezione; de'sistemi grecorientali poi
si dee trattare nella prim'epoca del l'èra cristiana , perch' essi combatterono
la sapienza de Padri e n'eccitarono la opposizione. Resta che noi parliamo qui
de' sistemi grecolatini, che soli ci danno un'epoca nuova. Non fa meraviglia
che in Roma nascesse tardi la letteratura e la filosofia. Nascono l'una e
l'altra, quando la riflessione si volge alla coscienza, e vi contempla l'uomo
interiore per elevarsi all'ideale universalità. La filosofia vi s'eleva in modo
astratto ; la letteratura rende concreto l'ideale con la fantasia e con gli
affetti. Ma quando un popolo, come il romano, è tutto inteso a fatti gravi e
giornalieri che lo attirano o a guerre este riori od a contese interne; allora
ti daranno bensì canti popolari di guerra e d'illustri memorie ( come gli ac
cennò Tito Livio ), ma non ti possono dare nè letteratura nè filosofia ; in
que' tempi guardasi al fine politico ed aʼmezzi, non alla natura interiore
dell'uomo qualità generali delle operazioni, come fanno il poeta ed il filosofo
. Indi la rozzezza de’Romani; talchè narra Tito Livio, che lo storico più
antico fu Fabio Pittore a' tempi d'Annibale. Ma quando Roma ebb’esteso la
dominazione a tutta Italia e oltre, allora il Romano non vide più solo innanzi
a sè le contese de' vicini , e le contese del Foro tra nobili e plebei, sì
un'intera e grande nazione e il genere umano. Così l'idea di Roma si appresentò
in relazione con tutta l'Italia e l ' Italia in relazione col mondo. Il
pensiero de' Romani si dila tava ; si allargò fuori del cerchio de' fatti
particolari; il Quirita si sentì più chiaramente e figlio di Roma, e italiano,
e uomo ; tanto più che a poco a poco la cit tadinanza romana si estese a tutta
Italia . A’tempi di Storia della Filosofia . – 1 . e alle 24 370 PARTE PRIMA. 2
as 2 Cicerone non rimaneva quasi più possedimento in Italia non assegnato
a'cittadini per via di colonie ; il qual fatto, unito all'altro che già notai)
de'primitivi abita tori ricaccianti le colonie greche, spiega com’in Magna
Grecia ed in Sicilia i dialetti sieno italici puri (chè i pochi Greci di Puglia
non sono gli antichi), non già ellenici come in Grecia moderna e in alcune
parti del l'Asia minore. Le colonie romane, aiutate dall'affinità primitiva
delle schiatte italiche, formarono così l'unità naturale, o la consanguinità
della nostra nazione ; nazio , nalità naturale determinata da'naturali confini
del no stro paese, e che si manifesta nell'unità formale de dia letti , o già
contemporanei al romano, o nati da esso. Indi allora nacque la politica
nazionalità benchè dopo cinque secoli di guerre ; ma lasciando a’municipj un'im
magine di Roma, consoli, senato e popolo com'a Firenze ( R. Malespini e G.
Villani) , e concedendo a que mu nicipj amministrazione lor propria ; indi
vennero i no stri Comuni del medio evo. Roma e l'Italia , considerate in
relazione col mondo , formarono nelle menti romane com'un archetipo di per
fezione. Il vecchio Plinio ( giova ripeterlo qui) scrive dell' Italia : «
Omnium terrarum alumna et parens, omnium terrarum electa ; una cunctarum
gentium in toto orbe patria. » E Virgilio , lodando magnificamente l'Italia nel
secondo delle Georgiche ( 135-136), non si ristringe a Roma, e dice : « Hæc
genus acre virumi, Marsos pubemque Sabellam Adsuetumque malo Ligurem ,
Volcosque verutos Extulite .......... » M 22 14 e finisce con quell'alte parole
: Salve, magna parens, Saturnia tellus Magna virum ..... » Giunto un popolo a
questa larghezza di sentimento e di riflessione, possiede l'idealità necessaria
per l'arte del bello e per la filosofia ; non lo stringono più le ne LEZIONE
DECIMOTTAVA. 371 cessità de'fatti speciali, stende il pensiero alle attinenze ,
considera la natura dell'uomo e delle cose . Questo svol gimento di coscienza
per la riflessione venne promosso da una causa tutta particolare a Roma ed
all'Italia . Qui, più ch'altrove nell'antichità , fu sacro il connubio ; e gli
affetti di famiglia v’ ebbero consistenza per molti secoli : la stessa
mitologia nostra, come dice Polibio, rigettava le nefandezze de' simboli elleni
. Or bene, gli affetti di famiglia tengono vivo il senso morale, che dipende
dal l'idealità suprema della legge e del dovere. Non v'ha dunque da stupire, se
Virgilio, benchè imiti Omero, si distingua tanto da lui ne' principali concetti
che gover nano il poema ; ossia, nel concetto che ordina il poema stesso e ch'è
una disposizione di provvidenza rispetto a ' Romani; poi , nel concetto di
patria ch' è Roma ; in quello altresì di nazione (non di schiatta soltanto ,
come la Grecia ), cioè di tutte le genti italiane, non solo con sanguinee (
schiatta italica) , ma dimoranti pure in unico paese (nazionalità naturale) e
poi congiunte da Roma ( nazionalità politica ): nell'altro di famiglia onde ri
fulge l’Eneide dal principio alla fine ; per ultimo, nel l'intima e soave
descrizione degli affetti, con la quale il poeta mantovano preparò la poesia
cristiana. Sicché, quand' io leggo in alcuni libri ch'a Virgilio mancò
un'idealità propria, prego da Dio la fine di certe pas sioni che impediscono la
equità de' giudizj. Però, mentre allargavasi il dominio romano, cresce vano le
ragioni d'intima civiltà ; le quali, per altro , s'acchiudevano già in Roma ab
antico. La prisca gente romana che ch'ella fosse e in qualunque modo si ra
gunasse da prima, certo è, che s'ella fu rozza per le necessità di continue
guerre, sorse tuttavia tra popoli molto civili ; ebbe accanto la Magna Grecia e
l'Etruria, e le tante città de' Sabini e del Lazio. Ora chi non sa quanto
valgano mai le tradizioni civili anco tra popoli rozzi ? Numa vien detto alunno
di Pitagora ; ' e l'ante riorità di quello è spiegata dall'antichità delle
scuole pitagoriche, com'altrove narrai, Dice Cicerone : « Romuli 372 PARTE
PRIMA . autem ætatem jam inveteratis literis atque doctrinis fuisse cernimus »
( De rep .) : e sant'Agostino scrive nella Città di Dio che Romolo era venuto
non « redibus atque indoctis temporibus, sed jam eruditis et expolitis. »
Plinio cita le belle pitture d'Ardea più antiche di Roma ; i Romani predarono
dalla sola Volsinia 2,000 statue ; Bolsena in Fenicio significa città degli
Artisti . ( Cantù, St. Univ . III, 24. ) Se a ciò aggiungo la tradizione, che
le leggi de cemvirali si prendessero di Grecia ( tradizione falsa per le leggi
che s'attengono a' costumi di Roma, vera pro babilmente quant'al modo
d'ordinarle ), e se aggiungo altresì la perfezione che graduatamente il gius
positivo ebbe dal gius onorario, mi capacito che nel seno di Roma cresceva un
germe di civiltà e però di lettere e di filosofia, da venire a compimento,
quando se ne offe risse la occasione. E questa occasione ( testimonio la storia
) è sempre qualcosa d' esterno. L'occasione a Ro mani venne da Greci
conquistati; ed ha il proprio segnale nell'ambasceria di Critolao, Carneade e
Diogene babilo nese al sesto secolo di Roma, 155 anni avanti Gesù Cri sto .
Catone si sforzò di cacciare le sette greche ; invano, il terreno era
preparato, e la pianta fiorì. Ben è vero che la speculazione puramente
filosofica non durò a lungo, ma proseguì a fecondare il diritto : la qual
brevità ebbe due cagioni principali. I sistemi greci, che aveano menato tant'
oltre la forma logicale della filosofia , quant'alla materia poi l'aveano
lasciata in dubbiezze infinite, come vedemmo ; talchè si richie deva uno sforzo
più che umano a rilevarla : poche verità si conservavano intatte da ordirvi la
scienza . Quindi, o rimaneva solo a far opera d'eruditi e d'accoz zatori, come
gli ecclettici d'allora ; o bisognara trar fuori quel poco di certo, che non
dava soggetto a co piose speculazioni. In secondo luogo, allorchè Roma venn'a
maturità di pensiero, cadde in servitù che iste rili la letteratura e la
scienza. Quindi i sistemi greco latini si riducono il più alla filosofia di
Cicerone, e alle LEZIONE DECIMOTTAVA . 373 scuole de' Giureconsulti. I filosofi
anteriori a Cicerone seguirono i Greci pressochè interamente ; Lucrezio, per
esempio, ripetè quasi le dottrine d'Epicuro ; ma nondi meno egli mostrò la
coscienza di romano, allorchè, facendo materiale l'anima, pur contò fra gli
elementi co stitutivi di essa un elemento innominato, quasi animo dell'anima :
nobilis illa Vis, initum motus ab se que dividit ollis, Sensifer unde oritur
primum per viscera motus. » ( De Nat. III, 273.) e quando stabilì negli
elementi un moto spontaneo per ispiegare la libertà ; e quando celebrò la
divinità della natura con versi stupendi e la santità del matrimonio . Seneca
non si partì dagli Stoici , benchè faccia profes sione di non ispregiare
nessuna scuola ; Marco Aurelio, com ' Epitetto, ha lasciato aurei precetti, ma
senza ordi namento di scienza . Cicerone, al contrario, istituì spe culazioni
proprie, che certo ebbero forza nell'universa lità de' Romani culti e nella
giurisprudenza. Io dunque parlerò di Cicerone oggi ; de' Giureconsulti in altra
Le zione. Fin d'ora io dico , che Cicerone si proponeva di sceverare (con un
principio superiore) le parti vere e certe de sistemi greci dalle false od
incerte, di comporle in ordine chiaro, d'applicarle alla vita privata e pub
blica, e ch'elle conferissero all'eloquenza . Questa filosofia di Cicerone suol
chiamarsi ecclettica ; e chi la intenda per metodo compositivo e logicamente
ordinato, passi; ma direbbe male chi la pigliasse per una scelta a caso,
senz’un principio interiore e ordinatore. Nessuno po trà negare, che ciò
distingua le speculazioni di Tullio dall' ecclettismo de' Greci mentovati poco
fa, i quali ra gunavano nella memoria, ma non componevano nel pen siero ; e lè
distingue pure da’migliori sistemi dell'epoca antecedente, perchè Cicerone li
giudica con libertà e li trasceglie. Nè si può mettere in dubbio l'efficacia di
lui 374 PARTE PRIMA. II 11 10 su'secoli avvenire. I Padri e i Dottori lo
studiarono molto ; e sant'Agostino, da uomo grande che riconosce il vero ed il
bene onde che venga, scrive nel libro terzo delle Confessioni ( cap . 4) : «
Hic liber ( cioè la lettura dell'Or tensio ) mutuvit affectum meum , et ad te
ipsum , Domine, mutavit preces meas, et vota ac desideria mea fecit alia . »
Pare che Cicerone traesse la schiatta da quel Tullo Azio, che regnò
gloriosamente su'Volsci ( Plut. in Cic .); e quegli se lo teneva per certo ,
sicchè dice ne' libri Tu scolani, che Ferecide era antico, fuit cnim meo
regnante gentili ( 1, 12) : indi la smania di comparire tra gli otti mati .
Lasciate le scuole de' giovinetti, udì Filone acca demico ; ma insieme
praticava Mucio, personaggio assai versato nella politica, e principale
tra’senatori, impa rando da lui scienza di leggi ; e militò con Silla tra '
Marsi. ( Plut.) Sentì anche Fedro epicureo e Diodoro stoico. In Atene seguitò
Antioco accademico, e non trascurò Ze none l'epicureo. Andò poi in Asia, e si
fermò a Rodi , per esser ammaestrato dallo stoico Posidonio. Giovine, favellava
con tal passione e con voce si concitata, che gli recava danno alla salute. In
Sicilia fu pretore giusto, umano, amatissimo. Dopo la congiura di Catilina,
Catone stesso chiamò Cicerone Padre della Patria dinanzi al popolo. Esiliato da
Roma per le mene di Clodio, vi rien trò poi come in trionfo ; gli furon trionfo
tutte le vie d'Italia , per le quali egli passò. Stette fedele alla re pubblica
contro la signoria di Cesare e la tirannia d’An tonio. Questi lo mandò a
trucidare, e Cicerone porse il collo alla spada. ( Plut.) Amò la famiglia con
tenerezza . Esule, scrive a Terenzia sua e alla figliuola lettere d'amore
sconsolato. Com'egl' intendesse la santità dei pubblici ufficj, lo mostra la
famosa lettera a Quinto fra tello . Le sue lettere, scritte da lui
senz'intenzione di pubblicità , e che formano uno de' più bei libri del mondo,
lo mostrano sempre d'animo schietto e buono. Vicino a morire, scrisse a Peto :
« Sii persuaso, che giorno e notte non altro cerco, non altro penso , se non
che i miei cit I. 14 LEZIONE DECIMOTTAVA. - 375 tadini sien salvi e liberi .
Non lascio opportunità d'am monire, di fare, di provvedere. Infine io son fisso
qui , che se in tanta cura e amministrazione ho da porre la vita , stimerò di
aver finito preclaramente. » ( Ad fam . IX, 24.) Non peccò d'orgoglio, ma di
vanità ; si lodava spes so, e questo aizzava gl'invidiosi, e a lui diminuiva ri
spetto . Faceto, mordeva non di rado altrui, e, senza vo lere, s'accattava
nemici ; ma in lodare i meriti veri abbondava con allegrezza e con liberalità
d'uomo sin cero e benevolo. Parve talora incerto ne' propositi, e troppo
addolorato nelle sventure. Prese due mogli, ripu diando la prima. Volle
dedicare un tempio alla figliuola morta ; lodò e invidiò gli uccisori di Cesare
; lodò prima Cesare troppo, ma non l'opere mai. Dice il Capponi ( Archivio
Storico, tomo IX, parte 2) : « Ma chi fosse più di me severo a Tullio, pensi
com'egli animosamente cominciasse la sua vita d'oratore e la compiesse glorio
samente. Giovane, assalse nella difesa di Roscio d'Ame lia un Crisogono liberto
di Silla ch'era affrontare Silla medesimo; vecchio e principe nella città e
guida e anima del Senato, combattè Antonio e incontrò la morte. » Oratore,
accusò sempre gli scellerati , difese qualche volta i non innocenti . Filosofo,
stette per lo più dalla parte del vero ; bensì approvò il suicidio,
l'assassinio de' ti ranni, la vendetta, un certo sfogo di carnalità ne' gio
vani, e la schiavitù . Scrittore e uomo di stato , cercò troppo la lode, ma
insieme la grandezza e il bene della patria . Scrisse d'eloquenza, e fu oratore
sommo : scrisse di filosofia morale, e fu uomo dabbene; scrisse di cose civili
, e fu gran cittadino . Ecco i fatti principali e virtù e difetti che spiegano
la filosofia di Cicerone. È impossibile non vedere in lui tre forti amori, di
gloria, di patria e di famiglia ; e' reca in tutto ciò un'ardenza di cuore, la
quale ha talvolta del molle , ma la tenerezza è temperata da un senso vivo
d'onestà e di decoro . ( V. le Lettere scritte in esilio. ) Udì tutte le
scuole, e però raccoglieva il meglio ; ma con iscelta libera e ordinata, perchè
uomo libero ed 376 PARTE PRIMA. , T 11 tro operoso, e ingegno forte. Romano e
uomo di stato, se guì , più che non facessero le scuole greche, il precetto so
cratico di badare nella scienza al fine del bene; e tal qualità pratica non
diminuisce il valore delle dottrine, anzi lo cresce, purchè la scienza si pregi
anco per sè, come faceva Cicerone. Badando al bene, odiò la parte ipotetica e
vana de sistemi anteriori, e ne prese il poco, ma certo e buono. Però,
indulgente ad ogni setta, con gli Epicurei non volle mai pace. Un po' vano,
pompeggiò assai nelle parole ; il che gli scema vigore qua e là ; ma nelle
lettere e negli scritti filosofici va semplice e spe dito . Uomo universale,
senatore e console di Roma, cercò l'universalità negli scritti ; e questi
dettero a 'Romani l'idea di tutto il sapere greco. Pieghevole alla opinione
altrui per bontà di cuore e per bramosía di favori po polari, combatte nel
libro della Divinazione le falsità pa gane, le rispetta in altri luoghi; ammira
il suicidio degli Stoici, non se l'attenta per sè, timido, dicon taluni , ri
morso da coscienza non confessata, dirò io , e lo credo. Taluno da quelle
parole di Cicerone ad Attico : ATÓMp492 sunt ; minore labore fiunt, verba
tantum affero, quibus abundo ( Ad Att. , XII, 52) ; ha dedotto ch'esso i libri
filosofici traducesse dal greco, non li facesse di suo. Ma quando poi sentiamo
che Cicerone stesso , in tempi che gli autori greci erano familiari, e molti a
Roma i maestri greci, e in opere dedicate a dotti di greco, quali At tico e
Bruto, o a studenti in Grecia, come il figliuolo, dice (De fin . 1, 3) : « Noi
non facciamo ufficio d'interpreti, ma sosteniamo le dottrine di coloro che
approviamo, e aggiungiamo ad essi il nostro giudizio e un ordine no stro di
scrivere ; e che dice altrove ( De off. I, 2) : « Ora seguiremo e in tal
soggetto gli Stoici principal mente, non come interpreti (non ut interpretes );
bensì, al solito nostro, berremo a’lor fonti quanto per giudi zio e arbitrio
nostro ci parrà : » allora, io affermo, che Cicerone non poteva dire una bugia
così sfacciata ed inutile. Narra egregiamente Plutarco : « Eragli studio
comporre dialoghi di filosofia e tradurre dal greco » an 10 1 :. bi lice . li 1
tes LEZIONE DECIMOTTAVA . 377 ( In Cic. ) ; e così un greco antico, più che i
moderni non greci, distingueva bene i libri tradotti come il Ti meo) da'propri
di Cicerone. L ' opere di lui distingue il Ritter in filosofiche o riposte ed
in popolari. A me non sembra ; sì scorgo chiara la distinzione de’dialoghi spe
culativi , come i libri accademici , dagli scritti che hanno un fine pratico,
ad esempio gli Offici, dell'Amicizia, e simili. Negli Officj chi mai non vede
un ordinamento scienziale ? E s'egli rispetta gli dèi più qui che altrove,
pensiamo che ciò s'usava da tutti i filosofi, quando essi non ispeculavano
direttamente sulla divinità. Mi pare, poi , manifesta la distinzione, e più
princi pale : tra i libri fisici ( De natura Deorum , De divina tione ), i
logici Academicorum , Topica, De inventione, De oratore etc. ), i morali (
Tusculanorum , De officiis, De finibus, De senectute, De amicitia, De legibus,
De republica , De fato); quantunque in ciascuna classe si trovino mescolate più
o meno le dottrine, non già di vise assolutamente. L' Ortensio poi è perduto,
d'altri libri restano frammenti. Or dunque Cicerone, imitando Socrate, tornò
a'prin cipj e al fondamento del sapere. Quegli , come questi, si trovò in mezzo
a una confusione di sistemi, e, come So crate, chiamò i suoi al conosci te
stesso, affinchè nella coscienza di noi prendiamo il rimedio alle superbie
d'ipo tesi vane e il principio della sapienza vera . Quand' io dico che
Cicerone imito Socrate, già non lo paragono a lui , nè come filosofo glielo fo
uguale, sì discepolo ; dico bensì , che il tornare a'principj è in tutte le
cose rinnovamento unico e condizione di nuovo cammino ; e chi rinnova, è
istitutore novello e cominciatore d'un'epo ca propria. E se Cicerone non riuscì
a tanto come So crate, ne chiarii altrove le cagioni; e a lui non s'ha da
imputare. La scienza e la civiltà del Paganesimo ca devano, e sempre più
Cicerone le trovò quasi in fondo, nè potè nè sperò ritirarle in cima. Fatto è,
che Cicerone, come Socrate, capi la stranezza delle sette pagane. Amò con
grand' amore la filosofia, 2 378 PARTE PRIMA 1 . ! la pre 18 MA Tha U. >>
TH e ne scriveva lodi magnifiche in ogni suo libro ; anzi l' Ortensio fu composto
da lui per esortazione a filoso fare; e nondimeno quand' ei volgevasi attorno,
e sentiva le strane opinioni di tante sette, esclamava : « Niente si può dire
di tanto assurdo, che non sia stato detto da qualche filosofo. » ( De div . II,
38. ) Ammoniva per ciò a rientrare nella propria coscienza, a ripigliare il
conoscimento di noi, a seguire così una filosofia meno sicura de' propri
sistemi, non presuntuosa (minime arro gans : De div. II, 1 ) . Ripeteva il
precetto che stava sul tempio d'Apollo, nosce te ipsum , e diceva : « Essendo
tante e sì grandi cose che si scorgono nell ' uomo inte riore da quelli che
voglion conoscere sè stessi , madre loro e educatrice è la sapienza. (De off.
I, 23, 24.) Egli invitava a fermar l'occhio in questa evidenza in teriore, dove
tante verità si veggono chiare ( quæ inesse in homine perspiciuntur.) In questa
coscienza di noi stessi , Cicerone come So crate, più di Socrate forse perchè
romano, sentiva l'uni versalità del vero, distinta dalle opinioni particolari,
e l'amore che tende al vero, e l'essere nostro sociale e religioso, relazioni
universali anch'esse ; e però egli in culcava sempre di fermar l'occhio in ciò
ch'è proprio dell'uomo, ossia nella retta ragione (De off. I e II, passim ); e
contro gli Epicurei fa valere gli affetti più generosi dell'animo ( ivi, e
negli Acc. e ne Tuscul. e quasi per tutto ); e chiama in sostegno il senso
comune e le tradizioni umane e divine. Così ne' libri Tuscolani ( I, 12)
adopera l'autorità del senso comune a dimostrare l'esistenza di Dio e
l'immortalità dell'anima umana ; e dice ne'Paradossi contro gli Stoici : « Noi
più adope riamo quella filosofia che partorisce copia di dire, e dove si dicono
cose non molto discordi dal pensar della gente. >> ( Proem .) E nelle
seguenti parole del Tuscolani si vede com'ei raccogliesse, di mezzo alle
opinioni varie, le tra dizioni universali de filosofi e le divine : « Inoltre,
d'ot time autorità intorno a tal sentenza ( cioè l'immortalità dell'anima)
possiamo far uso ; il che in tutte le que HIE ale Di D. 4 LEZIONE DECIMOTTAVA.
379 stioni e dee e suole valere moltissimo (in omnibus cau sis et debet et
solet valere plurimum ): e prima, di tutta l'antichità (omni antiquitate ); la
quale, quanto più era presso all'origine divina ( ab ortu et divina progenie ),
tanto più forse discerneva la verità. » ( Tusc . I, 12. ) E tra filosofi,
ch'egli cita, preferisce appunto Ferecide, co me antico, antiquus sane ; e indi
ne conferma l'autorità con quella di Pitagora e de' Pitagorici ; il nome
de'quali , egli dice, ebbe per tanti secoli tanta virtù che niun al tro paresse
dotto (S 16) . E dice più oltre che, secondo Platone, la filosofia fu un dono,
ma quanto a sè, una invenzione degli dèi : « Philosophia vero omnium mater
artium , quid est aliud, nisi, ut Plato ait, donum , ut ego , inventio deorum ?
» ( $ 26. ) Nel che s'accenna il prin cipio divino della sapienza e della
tradizione. Condotto da questo filo tra i ravvolgimenti delle sette cansò gli
eccessi d'ogni maniera. Gli Stoici , per esempio, la cui morale severità egli
approva e segue, dicevano, che nessun uomo è buono fuorchè il sapiente. Ma di
questo sapiente ne facevano un'idea sì alta. che confessavano poi, e' non darsi
quaggiù ; e però gli Stoici , se consentanei a sè, dovevan dire impossibile
umanamente la loro superba virtù e disperarne come Bruto morente. Cicerone al
contrario riconosceva una più umile sapienza e virtù , che può essere di tutti,
e che ci abbisogna nel vivere comune. ( De amic., 5. ) Lo Stoico credeva ,
indiando la natura, di poter trarre le superstizioni volgari a senso
ragionevole (come tentò Varrone per testimonianza di sant'Agostino, Città di
Dio ) ; ma Cicerone le derideva . ( De nat. Deor . III, 15. ) Menava buono a
Platone, a' Pe ripatetici e agli Stoici , che la più alta felicità dell'in
tellettuale natura sia la contemplazione ( Hort. in S. Agost. De Trinit. XIV,
9) ; ma in questa vita, ei dice, la con templazione senza la pratica delle
virtù private e pub bliche è nulla ( De off. I, 43) ; e quindi censura Platone
che scrisse : Il savio non essere obbligato a civili negozi . ( De off. I, 9. )
Gli Stoici , per alterezza di ragione, spre giavano il corpo e i beni corporei
; ma Cicerone diceva : 380 PARTE PRIMA . 11 he COL iti be 111 15 :-11 19 Poichè
s'ha da seguire la natura e noi siam anima e corpo, non possiamo spregiarlo, nè
si dee imitare que'fi losofi , che accorti d'un che superiore a'sensi ne spre
giano la testimonianza . Con che l'accoccava pure agli Accademici. ( De fin .
IV, 15.) Gli Stoici , negavano l'ef ficacia del dolore sull'uomo sapiente, e
svilivano ogni piacere ; Tullio invece mostra che il dolore eccessivo è
impedimento agli officj, e che le temperate giocondità son utili e buone. (De
sen . 14, De fin . V , 26. ) Gli Stoici, concependo la virtù con altezzosa rigidità
, stimavano uguali tutti i malvagi e tutti uguali i peccati, perchè tutti
contrarj al bene ; Cicerone confuta in più luoghi tale uguaglianza e mostra,
per esempio, ch'altro è man care a posta, altro è nell'impeto di passione. ( De
off. I, 8 e altrove.) Se nella morale ei tenne dagli Stoici, rigettate le loro
esagerazioni, in logica stette per gli Accademici, giacchè, come dissi altrove,
la riforma del filosofare pa gano cominciò sempre da un dubbio temperato. Ma
qui è il divario, la temperanza ; perchè, dove gli Accade mici ( a quello che
ne sappiamo) negavano ogni verità e certezza nel percepire le cose e
ammettevano solo una verosimiglianza, uguale per tutte le opinioni ; M. Tullio
invece ne' fondamentali principj e nelle verità più alte non poneva dubbio, e
quanto a' casi particolari li sti mava probabili , non ugualmente, sì con
varietà di gradi ; e al probabile opponeva quel ch ' è improbabile affatto.
Ecco le sue parole : « Vorrei che fosse ben chiaro il no stro pensare ; chè noi
non siamo già di quelli il cui animo si crede aggirato sempre in errori , e
senz' alcun che da tenere: che sarebbe mai questa mente, o questa vita
piuttosto, negata ogni ragione, non solo del dispu tare , ma del vivere altresì
? Noi invece, come dagli altri si dicono certe alcune cose e alcune incerte,
così noi, dissenziendo da essi , diciamo probabili alcune e alcune improbabili.
( De off. II, 2. ) Qui si scorge, che il dub bio di Cicerone non cadeva punto
sulla ragione umana e sulla vita, o sull' essere proprio, ma sul dommatismo EL
LE 11. ki LEZIONE DECIMOTTAVA . 381 fisico e morale degli Stoici . E nel libro
delle Leggi dice ( 1, 13) : « Preghiamo poi , che questa Accademia nuova di
Arcesilao e di Carneade, perturbatrice di tutto, si cheti; perchè se darà
dentro a tali dottrine, che ci sem brano ordinate e composte con assai
aggiustatezza, re cherà troppo rovina. Io bensì desidero placarla, ma cacciarla
non oso . » La qual conclusione mostra, ch'ei non rigettava in tutto i dubbj
accademici, ma dov'essi erano cattivi. E più si discosta dagli Accademici allor
chè dice : « Quasi in tutte le cose, ma nelle fisiche più che mai, saprei dire
piuttosto quel che non è , che quel che è . » ( De nat. Deor. I, 21.) Nel
vivere nostro, e mas sime a quei tempi fra tanto diluvio d'opinioni e senza il
lume del Cristianesimo, non monta già poco il sapere quel ch’una cosa non è ;
significa sapere che Dio non è come noi, che Dio e l'animo nostro non sono
corpi, che il fine dell'uomo non è la voluttà ; negazioni pregne d'af
fermazione, implicita si ma certa . E chi vuole stimare quanto merita il
ritegno di Cicerone, anc' allora ch ' ei parla di probabilità negli officj
particolari (non mai nella legge suprema), pensi l'assurdità del panteismo e
del dualismo antichi, le finzioni rozze di quella fisica , l'incertezza della
morale, anche in Platone e Aristotile ; e s'accorgerà, che se Socrate meritò
lode dicendo, contro Parroganza de' sofisti : io so di non sapere, merita pur
lode il nostro Cicerone d'averlo imitato in tanta corru zione di filosofia e di
costumi . E quindi ei non ha dubbiezze contro gli Epicurei. Dice a loro : che
la voluttà sia il nostro fine, voi non lo direste in Senato ; nè la voluttà va
messa tra le virtù com'una meretrice in un'assemblea di matrone. (De fin . II,
4, e passim .) La natura ci ha fatti per qualcosa di meglio che non i piaceri
del senso ; il piacere stesso non cato per sè, ma per noi ( De fin . V , 11 ) :
il dovere ha da cercarsi per sè stesso ( ivi, II, 22) ; e la dottrina degli
Epicurei, se consentanea a sè , non lascia luogo al dorere. ( De off. I, 2. )
Ma questo sceverare il vero dal falso, con che 01 382 PARTE PRIMA . Jo ( dine
interno di principj si faceva ? Già ho detto, che Ci cerone ritornò al conosci
te stesso di Socrate, cioè al fondamento della coscienza. E ho accennato , che
ivi egli trovava l'uomo non solitario, ma in relazione con Dio, con gli altri
uomini e col mondo; però esclama : « In questa magnificenza di cose, in questo
cospetto e cono scimento della natura, o dèi immortali, oh quanto co noscerà sè
stesso l ' uomo ; il che c'impose Apollo Pizio ! » ( De off. I, 23.) Per via
della coscienza, s'accorse Cice rone in modo chiarissimo di tre verità : prima,
che l'u0 mo sta sopra l'altre cose ; poi , che la ragione dell'uomo prevale al
senso e al corpo di lui; infine, che questa ragione ci mostra Dio con le sue
leggi . Viene da ciò la definizione della sapienza o della filosofia nel II
libro degli Officj (S2) : scienza delle cose divine ed umane e delle cagioni di
queste ; definizione più determinata che non l'altra ne' libri Tuscolani ( V.
3) , dov'ei parla storicamente. E s'arguisce però, che Cicerone stringeva la
scienza prima, secondo la universalità di essa, nel conoscimento ragionato di
Dio e dell'uomo e de’sommi principj. Egli capiva, come nella scienza si désse
un ordinamento necessario; e diceva : « È malagevole sapere alcun che in
filosofia, chi non ne sappia o il più o il tutto . » ( Tusc. II, 1. ) Cicerone,
come Socrate, ebbe una profonda coscienza della ragione. Bisogna riflettere a
noi stessi ; in noi tro viamo la ragione, che ci distingue da' bruti e dalle al
tre cose ; nella ragione troviamo i giudizj spontanei, na turali, evidenti,
universali ; questi fa d'uopo seguire ; ecco il principio ordinatore della
scienza e della virtù . « Il tempo, scrive Cicerone, cancella i capricci delle
110 stre opinioni, ma conferma i giudizj della natura. » (Opi nionum enim
commenta delet dies, naturæ judicia con firmat ; De nat. Deor .) Ma questi
giudizi erano avvi luppati in una moltitudine di sistemi; però, quanto alla
teorica dell'essere, Cicerone sta contento a poco . Chi potrebbe mai
condannarlo d'insipienza ? Egli non si dà pensiero nella fisica nè de quattro
elementi, nè del ch 1 7 LEZIONE DECIMOTTAVA. 383 1 quinto d'Aristotile, nè
della materia o della forma; le sue indagini hanno per fine la esistenza e
natura della divinità, le relazioni di questa col mondo e l'immorta lità
dell'anima umana . ( Ritter .) Quanto alla divinità , egli non ne dubitava
punto, perchè sentiva nella ragione propria un che divino, la eterna legge
della giustizia (De leg. II, 7 ) ; ma intorno alla natura di Dio non af fermò
gran cosa. Del metodo di lui , su tali materie, porg' esempio il libro De
natura Deorum . Ivi disputano insieme un epicureo, uno stoico e un accademico.
L'ac cademico nega il dio animale degli Stoici, e termina di cendo : « Questo
io diceva, non perchè voglia negare la natura divina, ma per mostrare
quant'ella sia oscura e piena d'intrigate difficoltà . » Lo stoico poi combatte
l ' epicureo . Cicerone, che si tiene da parte e non entra nel dialogo, che
cosa conclude ? E' dice : la disputazione di Cotta ( Accademico) sembrò a
Velleio ( Epicureo) più vera ; a me l'altra di Balbo ( Stoico), più verosimile.
Ci cerone, adunque, mostra con singolare finezza quanto i dubbj dell'Accademia
piacessero agli Epicurei; e però com’egli, che s'allontana da questi,
s'allontani pure da quella ragionando di Dio. Pur tuttavia non sa nulla giu
dicare assolutamente sulla natura di Dio stesso e solo ammette verosimiglianze.
Insomma, le dottrine certe di lui le abbiamo ne' libri morali, dove si afferma
l'esistenza della divinità (fonte ll'ogni giustizia e d'ogni diritto ) , la
legge morale e il libero arbitrio, e dove perciò s'approva il detto di Cri
sippo, ch'ogni proposizione è vera o falsa necessariamente ( De fato) ; le
opinioni verosimili si hanno ne' libri fisici, dove apparisce dubbj sulla
natura di Dio e dell'ani ma, e sulle relazioni di Dio con l'universo, e quindi
sulla prova fisica della divinità provvidente ; ne' libri logici, finalmente,
su ' principj della ragione e sull'evi denza interiore non v'ha dubbio di sorta
, beusì v'ha dubbio sul criterio per giudicare la natura delle cose esteriori
percepite da ' sensi. Anche il Kant pose superio re la certezza dell'argomento
morale ad ogni altra cer 384 PARTE PRIMA. tezza ; ma il Kant celebrò
quell'argomento dopo aver negata la validità della ragione; Cicerone, al
contrario, non la negò mai, anzi la magnifico, e solo crede ristretta di molto
la possibilità de' giudizj accertati. Dunque Ci cerone, quant'alle dottrine
supreme, e ch'egli poteva conoscere fra l'ombre del Paganesimo sempre più
fitte, ammette la verità e la certezza ; ma nel determinare più specificamente
quelle verità pone la verisimiglian za. In ciò solo fu accademico ; e non
pienamente nem men qui, come avvertii già innanzi. Pare ch'egli cadesse nel
dualismo, opponendo la ne cessità della materia alla libertà divina ; e che
cadesse nel semipanteismo, facendo divina la nostra ragione. Il qual ultimo
punto si raccoglie da più luoghi; ma più da queste parole : « Le altre parti,
onde si compone l'uomo, fragili e caduche, le prese da generazione mor tale ;
ma l'animo è generato da Dio » ( De off. I, 8) , e ammonisce di rammentare nel
giuramento, che chiamiamo in testimone Dio, « cioè, com'io penso (dice
Cicerone) la mente propria, di cui non détte Dio all ' uomo nulla di più
divino. » Se non che, si vede la temperanza dell'af fermare in quello ut opinor
; tant'era l' ecclissamento delle principali verità sul finire del Paganesimo !
Quant'alla teorica del conoscimento, egli distingueva l'intelletto dal senso ;
lo distingueva tanto, che come Platone e Aristotile, trovando un'immagine di
Dio nella mente nostra, la identificava con esso . Anzi nel testimo nio de'
sensi non poneva più autorità ch ' una verisimi glianza, il che procedeva dal
dualismo, secondo il quale Dio e la mente son divisi dal resto . E per la
logica si valse d'Aristotile, come si ha dal libretto de' Topici. È stupenda la
teorica dell'operare ; perchè ivi recò Cicerone più che altrove le verità
universali raccolte dal testimonio della coscienza ; e vi recò quel suo modo di
escludere l'esagerazioni e di comporre le spat se verità con un principio più
alto. Qual principio ? Il rispetto della ragione, che, in quanto conosce la ve
rità , è retta ed è regola delle nostre operazioni. Bisogna LEZIONE
DECIMOTTAVA. 385 seguire, ei dice con gli Stoici , la natura, non l ' arbitrio
delle passioni; ma la natura nostra è ragionevole ; dun que ogni atto nostro
dee farsi con ragione e sottomet terle l' appetito. ( De off. I, 28, 29. ) E
questa ragione ha potestà di comandare, perchè sta in essa una legge naturale
ed eterna del bene . « La legge (così Cicerone) è la ragione somma, insita
nella natura, e che comanda ciò ch'è da fare, proibisce il contrario . (De leg.
I, 6. ) Questa legge è nata da tutti i secoli , primache fosse scritta legge
alcuna, o che qualche città fosse istitui ta . » ( 1, 6. ) Questa legge viene
da Dio, perch' ell ' è di vina ; e chi non ammette Dio, non può ammettere la
legge eterna e naturale. ( 1, 7.) La legge è la ragione divina partecipata a
noi ; e poich' è comune la retta ragione, e la comunanza di questa è società,
però noi siamo primamente consociati con Dio. E poich' ell' è comune a tutti
gli uomini , noi in secondo luogo formiamo la società del genere umano « e
tutti obbediamo a que st' ordine celeste, e alla mente divina, e a Dio sovrap
potente » ( parent huic celesti descriptioni, mentique divinæ et præpotenti
Deo. I, 7) . Avendo questa legge divina nell'anima « tutti gli uomini (soli
essi fra gli altri animali) han qualche notizia di Dio, nè v'ha gente sì fiera
che, ignorando qual Dio adorare, pur non sappia che ve n'è uno . ( I, 8. ) Noi
dunque siam nati alla giu stizia ; e il gius non è costituito per opinione, ma
per natura. » Sì, per natura, giacchè siam tutti simili per la ragione, e
ciascun di noi si definisce com’uomo, e la mente di ciascuno « è diversa in
dottrina, ma nella facoltà del sapere è uguale . » ( I, 10. ) Dalla legge si
genera il dovere, che va quindi cer cato per sè stesso, come sudditi alla retta
ragione, ne vi può essere alcuna virtù se non si cerchi per sè, ma per la
voluttà o per l'utilità. (De off. III, 33. ) Come la ragione guida ogni atto
umano, così la retta ragione reca in ogni atto un officio. Talchè, dice il
grand’uomo, « nè in cose pubbliche, nè in private, nè in forensi , nè in
domestiche, nè se tu operi teco stesso alcun che, nè Storia della Filosofia .
25 386 PARTE PRIMA. se pattuisci con altrui ; non v ' ha momento di vita che
possa mancare di qualch 'officio ; e nell'adempirlo è tutta l'onestà, nel
trascurarlo la turpitudine. » ( De off. 1, 2.) Nell'adempire gli officj stanno
le virtù, cioè la prudenza, la giustizia, la temperanza e la fortezza. La virtù
, se guendo la retta ragione che ci fa conoscere l'ordinamento naturale delle
cose, non è altro che l'osservanza dell'or dine stesso ( De off. I, 4) ; sicchè
« nella universale so cietà son varj i gradi degli officj ; onde si può sapere
ciò che si conviene a ciascuno ; e quello che si dee prima agli dèi immortali,
poi alla patria, poi a' congiunti, infine di grado in grado agli altri. » ( De
off. I, 45. ) Ma tant'è vero, che tutto ciò si vuol fare per l'autorità della
legge eterna in sè, e per la bellezza del dovere, che certe cose turpi non le
giustifica nemmeno l'amore di patria . ( De off. I, 45. ) Egli distingueva poi
l'utile apparente dalla virtù : ma l'utile vero, diceva star sempre insieme con
l'onestà ; e quand' apparisce che vi sia contrasto, è turpe eziandio di star a
pensare sulla scelta . (De off. II, 4 ; 111, 7 e passim .) L'utilità è l'effet
to, non il fine della virtù . ( De amicitia, 9.) E dalla virtù nasce l'onestà
(che in latino ha senso d'onorabilità ), anche se niuno la conoscesse : « etiam
si a nullo lauda retur, natura esset laudabile. » (De off. I, 4.) Giacchè la
virtù reca con sè il decoro, ch'è come la bellezza : « l'uno viene dall' animo
onesto, l'altra dalla sanità del corpo ( De off. I, 27) ; e come il decoro de'
poeti è la convenienza delle parole col significato, così il decoro della
onestà è la convenienza con la natura . » ( Ib . 28. ) Però, come i Greci
dicevano o" te uovoy (yóv to 2026 , il solo buono è bello, così Cicerone (
come romano) muta il bello nel concetto d'onorabile, e dice : quod honestum
sit, id solum bonum esse : onorabile è solamente ciò ch ' è buono. ( Paradox.
I, Osservazione del Ritter. ) Dalla legge eterna, che genera il dovere e la
virtù . nascono le leggi positive ; talchè l'esistenza di Dio è il proemio di
tutte le leggi ( habes legis proemium , De leg. 11, 4-7 ) . « È stoltissima
cosa (segue Cicerone contro gli LEZIONE DECIMOTTAVA . 387 1 Epicurei) che
credasi giusto tutto ciò ch'è negl'istituti e nelle leggi de' popoli. E che ?
dunque, anco le leggi de'tiranni ? ... Ma v'ha un unico gius, da cui è unita la
società degli uomini, e cui stabilì un'unica legge ch'è la retta ragione di
comandare e di proibire : e chi la ignora, è ingiusto, o ch'ella sia scritta o
no. Che se la giustizia è solo l'obbedienza a leggi scritte e agl'istituti de'
popoli; e se, come dicono coloro, tutto è da misurare con la utilità ,
trascurerà le leggi e le infrangerà se può chi lo creda fruttuoso. Così non
v'ha più giustizia se non v'ha legge naturale, e ciò che per utilità è
stabilito , da un'altra utilità vien tolto via. Anzi, se da natura non si
conferma il giure, cessano tutte le virtù. » (De leg. I, 15. ) La legge
naturale ha da regolare il diritto pub blico , quello delle genti e il privato
; e il filosofo nostro dà precetti santi sulle pene, sulla guerra , sui
trattati . sui contratti e va' discorrendo. Così, dovrebb' essergli più mite il
giudizio degli stranieri, a legger ciò ch'ei dice della Repubblica romana :
dopo averne narrato l'umanità ne’secoli primi , aggiunge che questa diminuì a poco
a poco, e dopo le vittorie Sillane cessò ; e quindi esclama : jure igitur
plectimur « a ragione dunque siamo puniti. » De off. II, 8. ) E quella pena noi
abbiamo scontata per se coli . De' pubblici reggimenti loda il misto, per gli
stessi argomenti d'Aristotile e con l'esempio di Roma. (De rep. ) Che fece
adunque la filosofia di Cicerone ? Essa gli donò (com’ei ripete più volte)
copia e splendore e, col crescere degli anni, efficace brevità d'eloquenza ;
gli dettò que' Dialoghi di metafisica, dov'hai il fiore de sistemi greci ,
eletti e temperati; que' libri rettorici , che sono un codice dell'arte per
comune giudizio ; e que' libri morali degli Officj, delle Leggi e della
Repubblica, dove al me todo sperimentale dello Stagirita è unita la contempla
zione platonica e la severità stoica, senza i loro eccessi . Però, quand' io
sento uno storico illustre' scusarsi del l'aver troppo parlato di Cicerone
perchè in lui non v'ha troppo di nuovo, prego Dio che la scienza ritorni alla
natura, e, più che dell'insolito, sia desiderosa del vero . 388 PARTE PRIMA.
LEZIONE DECIMANONA. GIURECONSULTI ROMANI. SOMMARIO . La giurisprudenza è
scienza filosofica , perché riguarda gli alti umani o personali. - La
giurisprudenza positiva non altro fa se non appli care il diritto naturale . Si
cerca , quindi, lo svolgimento della giurispru denza romana e quanto alle forme
logiche , e quanto alla materia. - Quattro età del gius romano . Prima età :
consuetudini . È difficile deter minare qual parte avesse la civiltà , e quindi
la scienza , in que'primi germi del diritto ; ma vestigi di sapienza ve n'ba .
Che cosa abbia di vero e di falso la tradizione sulle dodici tavole . La
materia di esse certo è romana ; probabilmente la forma logica loro è di
Ermodoro Efesio . Seconda età : si pubblica il segreto delle azioni . – La
giurisprudenza , perciò, viene alla gioventù dalla puerizia ; ma crebbe in modo
segnalato allorché , sul cadere del sesto secolo di Roma, si propagò ivi la
filosofia greca . — Il settimo se colo è quello di Cicerone : si prova con
l'autorità di lui, che allora si lero a grande stato la giurisprudenza per lo
studio della filosofia . — Allora si concepi l'idea d'un codice ; idea che vuol
abito filosofico delle universali tå. Terza età : la signoria de ' Romani ,
dilatandosi a tutta Italia , fa pos sibili le scienze. - Cittadinanza romana a
tutti gl ' Italiani ; gius italico che då il dominio quiritario , e il diritto
de ' comizj anche per deputati ec .; co lonie romane per tutta Italia ; si
determina bene il concetto del paese ita lico . – Gius equo e buono . Altra
cagione della fiorente giurisprudenza ; giureconsulti , per lo più , non sono
causidici. - Un'altra ; l'emulazione in filosofia e in lettere con gli oratori
. Cenno su'principali giureconsul ti ; loro virtù . - Com'apparisca dagli
autori , ch ' essi citado ne' frammenti, lo studio loro ne ' poeti , negli
oratori e ne ' filosofi. Si paragona que ' giure consulti a'matematici per tre
ragioni ; vigore delle conseguenze , cura nel l'evitare contraddizioni , metodo
induttivo e deduttivo. – L'efficacia della filosofia non si ristrinse alla
forma logica, passò alla materia . – Tale influs so non apparisce solo da prove
particolari, ma più ancora dalla universale conformità di quelle dottrine alle
leggi del pensiero e ( salvo qualch'errore di tempi ) alla natura umana.
Nozioni della giurisprudenza, e perchè i giureconsulti la definissero come la
filosofia morale . – Distinguevano la scienza del diritto dall'arte . – Però
s'elevarono al concetto della filosofia vera , rigettando gli eccessi : la
speculazione de ' giureconsulti è contenuta nel vero da' dettami di senso
comune e dal fine pratico. – Distinzione del diritto in jus naturale , gentium
et civile : si mostra ch'a torto i giureconsulti vennero ripresi sul concetto
de ' diritti naturali . Non accettabile, quanto alla servitù , la nozione del
gius civile ; ma i giureconsulti dissero la servitù non secondo il gius
naturale , e riconobbero un fatto. Come la parola Jus non esclude l'idea d'un
diritto eterno ; e si distingue da legge ; poi , si ha ne ' giureconsulti
l'idea precisa del diritto eterno e del diritto natura le . - L'efficacia della
filosofia si mostrò nella giurisprudenza per via del diritto onorario. E per
via del diritto ricevuto . – E per l'interpreta zione de ' giureconsulti . —
Molte novilà introdotte dal gius ricevuto . La virtù e la vera filosofia
de'giureconsulti si fa sentire per fino nel loro stile . – Si reca un saggio
della loro sapienza e brevità elegante. — Dalla esposizione delle dottrine di
Tullio e de' giureconsulti romani apparisce che l'epoca quarta cercò la
comprensione finale . Parlato di Cicerone, è da parlare de' Giureconsulti
romani. La giurisprudenza, come dissi già nella prima LEZIONE DECIMANONA. 389
Lezione, è una scienza filosofica : perchè risguarda gli atti umani o
personali. Procede dalla morale, che ab braccia la scienza de' doveri e quella
de' diritti naturali ; e la giurisprudenza positiva non altro fa che determi
nare nella varietà de' casi particolari le immutabili ge neralità del diritto
eterno. Però, se la filosofia entra in tutte le scienze com'ordinamento di
concetti e di giu dizj, entra poi nella giurisprudenza, non solo com'or dine
logicale, ma eziandio come scienza dell'uomo e delle ragioni supreme. Avrò
dunque a cercare lo svol gimento della giurisprudenza romana, per l'impulso
della filosofia, nel doppio aspetto delle forme logiche e della materia. La
storia di quella fu distinta bene dall' Hugo in quattro età ( Hist. du Droit
Rom ., Intr .); la prima dall'origine di Roma fino alle dodici tavole, cioè
fino al terzo secolo della città ; l'altra fino a Cicerone, o alla metà del
settimo secolo ; la terza fino ad Alessandro Se vero, oltre i due secoli
dell'èra volgare ; la quarta fino a Giustiniano : età di fanciullezza, di gioventù
, di virilità e di vecchiaia. Il giureconsulto Pomponio c'insegna ( Fr. 2. D.
De Or. Juris) che Roma ne' primi tempi si reggeva senza leggi nè diritti
stabiliti; cioè per consuetudini. La con suetudine formò , dice il Forti ( Ist.
Civili, 1, 3, $ 3 ), il diritto privato con l'autorità degli esempi , cioè de'
fatti ripetuti , e formò con gli accordi de'potenti il diritto pubblico. Così
il potere assoluto de padri , de' mariti e de' padroni è da' giureconsulti
risguardato sempre per consuetudinario, ed anche l'uso delle clientele ( ivi, $
4) . Quanta parte avesse la civiltà , e con la civiltà la scien za, in
que'primi rudimenti del diritto romano è difficile a definire in antichità si
remota e perduti dalle guerre i documenti etruschi. Della Magna Grecia restano
scrit ture, perchè le serbò con la lingua loro la stirpe greca ; ma de ' Latini
prischi e dell'Etruria non abbiamo più se non epigrafi tuttora ignote, perchè
ogni lingua e schiatta si confusero nell'unità romana. Certo è , tuttavia, che
390 PARTE PRIMA. almeno gli Etruschi erano molto civili ; e sembra non si possa
dubitare che il sangue loro si mescolasse nel popolo di Roma; benchè l'Hugo lo
neghi. Ma Lucio Floro. parlando della guerra sociale, dice chiaro : «
Quantunque la chiamiamo guerra sociale a diminuirne l'odiosità . pure, se
stiamo al vero, quella fu guerra civile ; giacche il popolo romano, avendo
mescolato insieme gli Etru schi, i Latini e i Sabini, e traendo da tutti un
sangue solo (unum ex omnibus sanguinem ducat), è di più mem bri un corpo e di
tutti è una unità. » ( Rer. Rom . III, 18. ) Il Lerminier ( Phil. du Droit,
III, 1 ) riscontra con molto acume in Virgilio la prima origine de' tre po
poli, in Virgilio studiosissimo delle memorie antiche ; dov'egli, lodando
l'agricoltura, dice : « Questa vita ten nero i vecchi Sabini, questa Remo e il
fratello ; così crebbe la forte Etruria. In tal modo si fece la bellis sima di
tutti gl'imperi Roma ; e una, si circondò d'un muro i sette colli . » (Georg.
11, 532.) Fatto è che a taluno par vedere i tre popoli nelle tre tribù del
primo popolo romano, rammentate da Livio, i Rannesi o Latini, i Tarsi o Sabini,
i Luceri o Etruschi. ( Warnkoenig, Hist. du Droit Rom .) Il Monsen ( St. Romana
), recentemente ha negato tal mescolanza, ma non ha detto le prove. Pro babile,
a ogni modo, che quel nuovo Comune di Roma. sorto fra ’Comuni vicini , si
mescolasse pure di genti vi cine. O si conceda dunque col Niebuhr la preminenza
agli Etruschi, o concedasi a' Latini con l’Hugo, un in dirizzo nelle cose
romane lo dettero i primi ; e ciò spie ga, come in tanta rozzezza di popolo
guerriero e racco gliticcio si possedesse un gius pontificio, e formule
sacerdotali e simboli segreti. Questo io diceva per mo strare che le prime
consuetudini ed istituzioni ebbero qualche ragione di civiltà , e riuscirono
buon fonda mento alla giurisprudenza perfetta. Però, fin dalla prima età, si
scorge in Roma la mirabile distinzione da’magi strati (magistratus populi
romani) che stabilivano il di ritto, da' giudici ( judex, arbiter ) che giudicavano
del fatto ( Hugo, 1, § 146) ; distinzione che a poco a poco LEZIONE DECIMANONA.
391 détte occasione al gius onorario, di cui parlerò in breve . È noto che il
reggimento di Roma sott'i re e più ne' principj della repubblica era degli
ottimati, cioè aristocratico. Indi la opposizione civile della plebe co’pa
trizi per avere un gius equo ; opposizione che, divenuta incivile o violenta
nel settimo secolo, rovinò la repub blica, come la prima ne formò la grandezza.
Il popolo dimandò leggi scritte per contenere l'arbitrio de' patrizi , e si
promulgò la legge delle dodici tavole. Narra il giu reconsulto Pomponio, che
queste si raccolsero in Grecia, interprete d' esse l'efesio Ermodoro. ( Fr. 4,
D. De Orig. Juris.) Certamente Plinio il vecchio (Hist. Nat.) ram mentò come
serbata fino a lui la statua fatta per de creto ad Ermodoro ; talchè la
tradizione non pare fa volosa in tutto : ma è certo altresì che nelle dodici
tavole ( per quanto ne conosciamo) non si ha traccia del diritto greco :
l'essenziale, giudizj, patria potestà e connu bio, eredità e tutele, dominio e
possesso, diritto pubblico e diritto sacro, son cosa tutta romana, come diceva
già il Vico, e ormai ripetono i più dotti stranieri . (Warn koenig, $ 10, 11.)
Ma io credo abbisognasse l'opera di quel Greco erudito per meditare le vecchie
consuetudini, e ridurle a concetti determinati ed a’lor capi principali,
ufficio di riflessione addestrata ; nè ciò avrebber saputo i Romani, dati
all'armi , anzichè agli studj. Ecco il per chè quella primitiva sapienza,
logicamente specificata e distinta da Ermodoro, traeva in ammirazione Tullio.
Egli scriveva ne' libri De Oratore : « Se ne adirino pur tutti , io dirò quel
che sento : a me, il solo libricciuolo delle dodici tavole, par superi ( se tu
guardi a' fonti e a'capi delle leggi) le biblioteche de' filosofi tutti nel
peso del l'autorità e nella copia dell'utilità . Quanto prevalessero in
prudenza i nostri maggiori a ogni altra gente, inten derà facile chi le nostre
leggi paragoni a quelle di Li curgo, di Dracone e di Solone. È incredibile, di
fatto, quant' ogni altro diritto civile, salvo il nostro , sia in colto e quasi
ridicolo . » ( De Or. I, 44. ) Le quali parole 392 PARTE PRIMA. attestano tre
cose ; l'antichissima civiltà di quelle genti che formarono Roma, e che vi
recarono le proprie tra dizioni, benchè si dessero poi a vita guerriera ed agre
ste ; la falsità che il gius civile romano procedesse ài Grecia ne' suoi
particolari; e come la perfezione della giurisprudenza si svolgesse da principj
non rozzi ne poco pensati. I Romani dettero la sostanza, i Greci pro babilmente
la forma, cioè ordinamento di codice. Dalle dodici tavole nacque la necessità
d'interpretarle per di sputare in giudizio, e di avere azioni utili a domandare
la loro applicazione. Di qui, come dice Pomponio ( loc. cit. 4, 5, 6) , vennero
il diritto civile non scritto o l'au torità dei prudenti, e le azioni delle
leggi ( legis actio nes); ma tutto ciò era un segreto de' pontefici. Pubblicato
il segreto nella seconda età, la libera giu risprudenza passò dallo stato
infantile alla gioventù. Ma quando mai, o signori , accadde tal cosa in modo
più segnalato ? Voi sapete che sul cadere del sesto se colo di Roma si propagò
là il filosofare greco, e che il secolo posteriore è appunto il secolo di
Cicerone. Or bene, la giurisprudenza, cresciuta lentamente nel se colo sesto,
crebbe nel settimo rapidamente ; e allora proprio noi riscontriamo i
giureconsulti studiosi della filosofia e quant'alle leggi del pensiero e quanto
alla natura degli atti umani in sè e nell' esteriori atti nenze . Scriveva
Cicerone la Topica, o logica inventrice degli argomenti a preghiera di
Trebazio, come si ha dal proemio di quel libro, ov'è scritto : « Non potrei,
adunque, con te , che me ne pregavi spesso , benchè timoroso di noiarmi (come
scorgevo facile), stare in debito più a lungo, senza parer d'offendere lo
stesso interprete del diritto.... Sicchè queste cose, non avendo libri con me,
scrissi a memoria nella mia navigazione, e dopo il viag gio ti ho mandate. » Il
qual libro è notevole molto, perchè ogni precetto è confortato da esempi di
giuri sprudenza. E di Servio Sulpicio ( primo in autorità tra' giureconsulti di
que' tempi e solo studiato da' giure consulti posteriori ) , ecco che scrive
Cicerone, amico di LEZIONE DECIMANONA. 393 >> lui : « Si stima, o Bruto,
che grand'uso del gius civile s'avesse da Scevola e da molt' altri , ma l'arte
da que st' unico ( cioè da Sulpizio) ; al che non sarebbe giunta in lui la
scienza del giure, s'e' non avesse imparato quell'arte che insegna spartire le
materie composte, esplicare con le definizioni l'ascose, chiarire con le in
terpretazioni l'oscure ; e così a veder prima ben chiaro le cose ambigue, poi a
distinguerle, e ad avere in fine la regola per separare il vero dal falso, le conseguenze
diritte dalle contrarie. Questi adunque recò tal arte (mas sima di tutte l'arti
) , quasi luce in tutto ciò che dagli altri si rispondeva o si faceva
confusamente. ( De CI. Orat. 41. ) Con le quali parole mostrò Cicerone la forma
di scienza che si prese dal Diritto in virtù della logica . E la forma
scientifica, ch'è abito di riflessione interiore, levò le menti alle
generalità, senza cui, come non istà scienza nessuna, così nemmeno la scienza
del diritto. E il segnale n'è questo ; che al termine dell'età seconda , cioè
sul fiorire della filosofia e delle lettere a Roma, Cesare e Pompeo ebber
disegno d'un codice ; disegno, che mostra l ' uso e la stima degli universali
astratti da ogni caso particolare, ordinati poi secondo generi e spe cie ; giacchè
un codice val quanto in istoria naturale un ordinamento per classi . Pare che
Servio Sulpicio ef fettuasse un alcun che di somigliante a impulso di Ci
cerone, il quale alla sua volta ne' libri delle leggi ( 111 ) mostrò un saggio
di codice pel diritto pubblico, e al trettanto promise pel diritto privato . Nè
qui entrerò in disputa fra due scuole alemanne, l'una che col Savigny sostiene
il danno de' codici, l'altra che ne difende l'uti lità ; dirò a ogni modo ( nè
si contrasta ) che un codice non si fa senz'abito di speculazioni filosofiche ;
però l'averlo pensato in Roma e tentato a quel tempo, chia risce la efficacia
loro nella giurisprudenza. Essa pervenne a compimento nella terza età, cioè ne'
primi due secoli e mezzo dell'impero . Il dilatarsi del dominio romano a tutta
Italia preparò il campo alle lettere ed alla filosofia ; perchè i Romani,
senten 394 PARTE PRIMA. dosi non più solo Romani, ma Italiani e uomini, la loro
coscienza si chiarì e s'arricchì, e l'intelletto loro medito le verità universali.
Di questo fatto non v' ha dubbio di sorta . Dopo la guerra sociale, per le
leggi Plauzia e Giulia de civitate sociorum ( anno 664 e 65 di Ro ma) , fu data
, come notò l'Haubold ( Tav . cronol. per servire alla St. del Dir .), a tutte
le città italiche citta dinanza romana, eccetto i Lucani e i Sanniti ; e nel
l'anno 705 conseguirono la cittadinanza i Galli oltrepò, conseguíta prima
da'Galli cispadani ; la ottenne tutta perciò la Gallia cisalpina . ( Framm . L.
de Gallia Cisal pina .) In tal modo, come scrive il Savigny, dopo la guerra
italica i cittadini d'Italia divennero parte del popolo sovrano. ( St. del Dir.
rom : I, 2.) E il gius italico dava dominio quiritario, o dominio solennemente
e pie namente assicurato, immunità da tutte l'imposte dirette, libero governo
municipale delle città italiane (ivi ), diritto d'intervenire a'comizj o di
mandarvi deputati ; talchè l'Italia , a ' tempi romani, con l'unità politica
suprema serbò le unità politiche secondarie, che si chiamavano soci o
confederati. E questo accadde perchè i Romani aveano già fatto l'unità naturale
della nazione col mescolamento de' sangui, spargendo ovunque le colonie
(com'osserva il Forti ) , nè per sei secoli ne mandaron mai fuori d'Ita lia . (
Ist. Civ . 1, 3, § 25. ) L'Italia, dice l’Hugo, non si considerò mai una
provincia ; chè le provincie furono soggette a magistrati non propri, non
compagne ma suddite. ( Hist. du Dr. Rom. , § 164.) I Romani, allora. si
levarono con la mente all'unità naturale del territo rio, come vediamo ne'
Digesti . Al Fr. 99, $ 1 de Verborum significatione è scritto : « Dobbiam
credere provincie continue le unite all'Italia, come la Gallia ( cisalpina ) ;
ma e la provincia di Sicilia più si ha da tenere per continua, essendo separata
d'Italia da piccolo stretto : Continentes provincias accipere debemus eas, quæ
Ita liæ junctæ sunt, ut puta Galliam : sed et provinciam Siciliam magis inter
continentes accipere eas oportet, quæ modico freto Italia dividitur » (
Ulpiano). E al Fr. 9 , D. de LEZIONE DECIMANONA . 395 Judiciis et ubi etc. , si
dice : « Le isole d'Italia son parte d'Italia e di ciascuna provincia : Insulæ
Italiæ pars Italiæ sunt et cuiusque provincie . » A questo concetto sì pieno
vennero i Romani tra gli ultimi tempi della re pubblica e i primi dell'impero,
cioè tra la prima e la seconda età. Ecco il perchè la giurisprudenza romana,
con l'aiuto della filosofia, potè sorgere a tant'altezza . Si aggiunga poi, che
le sevizie de' Cesari cadevano in Roma su'patrizi più sospetti , ma quel
reggimento tem peravano istituti repubblicani e ordini civili equi ; se no,
come dice il Romagnosi, non si capirebbe il perchè in un governo da turchi
uscissero mai tanto insigni se natusconsulti e le belle costituzioni de'
principi; e come Alessandro Severo avesse un consiglio di XVI sapienti, tra cui
i più chiari giureconsulti, Fabio cioè, Sabino, Ulpiano, Paolo, Pomponio,
Modestino e altri . ( Ind. e Fattori dell'incivilimento. P. 2, C. 1 , § 1-5 . )
E tanto è vero , che la notizia del Gius equo e buono splendesse viva nelle menti
romane, che lo strapazzo delle provin cie ( finita la guerra civile) non era
punto legale, anzi contr' alle leggi ; perchè, secondo le costituzioni come
dice il Warnkoenig ), le provincie stavano bene, le impo ste erano lievi , lo
Stato pacifico, molto dell'amministra zione in mano di quelle ( il che scusa in
parte il popolo romano); ma infierivano i governatori. Popolo e Senato li
minacciavano con le leggi repetundarum , tornate vane per corruzione
de'giudizj. (Hist. du Dr. Rom. , $ 16.) Tali cagioni principalmente formarono
la sapienza de' giureconsulti romani. Inoltre, essi per lo più non eran
causidici, ma scioglievano questioni di diritto in generale; e ciò indica
sempre più e la natura scientifica del ministero loro, e perchè la scienza,
libera da inte ressi particolari, progredisse continuamente. ( Cic . , De CI.
Orat.). Poi, l'emulazione degli oratori che piegavano il gius alla varietà
de’lor fini, co' giureconsulti che ne volevano serbare la severità, incitò
questi a gareggiare in isplendore di lettere e di filosofia, e ad interpretare
il diritto co' placiti del senso comune. Così da una di 396 PARTE PRIMA. sputa
tra l'oratore Crasso (contemporaneo al padre di Cicerone) e Muzio Scevola
giureconsulto sull'interpre tare i testamenti o a rigore di parola, o secondo
la probabile volontà del testatore, nacque la giurisprudenza in quest'ultimo
senso , ripresa dal Forti, ma (e forse meglio ) approvata dal Cuiacio. Infine,
l'esercitarsi tale ufficio da’giureconsulti senz'ombra di lucro, la illustre
loro condizione e l'affetto all'antiche leggi e consuetu dini di Roma, indica
il perchè tennero essi per lo più l'austerità della morale stoica, che ci
chiarisce alla sua volta il decoro, l’equità e sottilità della loro scienza ; e
tutto insieme poi spiega la nobiltà di vita de' più tra loro, e n'è spiegato.
Le poche notizie che n’abbiamo ce li fanno apparire la più parte uomini
onorandi. Nominerò dapprima Quin to Muzio Scevola assassinato a’tempi di Mario
. Dice Pomponio che Muzio costituì primo il decreto civile , disponendolo per
capi di materie ( generatim ) in diciotto libri . Servio Sulpizio ridusse il
diritto a stato di scienza ; fu prima oratore grande, poi giureconsulto per un
rim provero che gli fece Muzio Scevola d'ignorare le leggi del proprio paese, egli
oratore e patrizio ; sostenne la repubblica ; avversò i Triumviri ; la
repubblica gli alzò una statua. Abbiamo di que' tempi Alfeno Varo e Ofelio
disce poli di Servio, e Trebazio (a cui la Logica di Cicerone) e un altro Muzio
Scevola e Cascellio . Muzio non accettava da Ottaviano il consolato ; Cascellio
non volle mai comporre una formola secondo le leggi de' Triumviri ; e a chi lo
consi gliava si temperasse rispondeva : son vecchio e senza figliuoli. Labeone,
il cui padre era morto a Filippi, ri fiutò il consolato da Ottaviano anch'egli,
e serbò spiriti antichi. Dice Pomponio : « Egli si détte moltissimo agli studj,
e divise l'anno in modo che stava sei mesi a Ro ma co' discepoli (cum
studiosis), e sei mesi lontano per iscrivere libri. Così lasciò quaranta
volumi, che i più s'usano ancora. Ateio Capitone ( segue Pomponio) per severava
nell'antico ; ma Labeone, che molto aveva me ditato nell'altre parti della
sapienza ( qui et in cæteris LEZIONE DECIMANONA. 397 sapientiæ operam dederat),
per valore d'ingegno e per fidanza di dottrina cominciò a innovare molto. » (
Fr. 39-47, D. De Or. Jur. ) I cinque giureconsulti più cele bri e più recenti (
lasciando gli altri) sono Emilio Papi niano, Paolo, Gaio, Ulpiano e Modestino .
Papiniano, fami liare di Settimio Severo e principale nel governo, stette per
Geta contro Caracalla ; e volendo costui una difesa legale del fratricidio ,
Papiniano la negò e venne ucciso. Scriveva : « i fatti che ledono la pietà, il
buon nome e il pudore nostro, e che, a dirlo in genere, son contro al costume,
si dee tenere che noi uomini dabbene non possiamo farli. » ( Fr. 15, D. De
servis exportandis etc.) Gli altri quattro illustravano, come dissi , il
consiglio di Alessandro Severo . I giureconsulti, massime della terza età,
levarono (com' avvertii) a stato di scienza le loro discipline ; e ciò nacque
dalla molta erudizione loro, non solo in filoso fia, ma eziandio in lettere ; e
se n'ha prova ne' lor libri per le citazioni da' Greci ; com'a dire Omero,
Ippocrate, Platone, Demostene e Crisippo. E il primo effetto fu , come notai
de' tempi di Cicerone, che la giurisprudenza prese forma logica tanto sicura e
stringente, ch'è una meraviglia. Si sa da molti e ab antico (dice l' Hugo) la
filosofia de' giureconsulti, ma si sa da pochi, che nes suno più di quelli sta
in confronto de’matematici per tre ragioni ; cioè per vigore di conseguenze da
prin cipj fissi, per diligenza nell'evitare contraddizioni, che Gaio dimandava
inelegantia juris, e pel metodo di stintivo e compositivo, induttivo e deduttivo
ad un tem po ; distintivo e induttivo salendo alle specie generali del diritto
; compositivo e deduttivo traendone con bre vità ed evidenza le illazioni . Il
gran Leibnitz, insigne così giureconsulto come filosofo e matematico, scriveva
nell' Epist, 119 : « Io ammiro l'opera de Digesti , o me glio i lavori de'
giureconsulti, ond' ell' è presa : ne vidi mai nulla che più s'accosti al
pregio de matematici : 0 che tu guardi all'acume degli argomenti, o a'nervi del
dire . » 398 PARTE PRIMA. Ma questa efficacia della filosofia non potè fermarsi
all'ordine de' pensieri, dovè penetrare nell'interno, giac chè, com'avvertii ,
materia della giurisprudenza son gli atti umani o personali, soggetto
filosofico. Tal efficacia non si creda particolare ma generale ; quindi ,
coloro che cercano ne'giureconsulti le traccie minute o degli Stoici o d'altri
sistemi, errano forte se non passano inoltre a considerare l'opera generale
della riflessione interna. È certissimo, com'avvertono gli eruditi, che i più
de'giureconsulti tolsero dagli Stoici l'argomentare per analogia, l'amore dell'
etimologie, la spartizione delle materie, la sottile dialettica che conviene al
Foro , e molte dottrine sulla ragione dell'onesto, applicate da essi
egregiamente al gius civile : ma l'essenziale sta in quel gran corpo, così
disposto bene secondo le leggi del pensiero, e (salvo qualch'errore de' tempi)
così con formato alla natura umana nelle regole eterne di lei e nelle relazioni
esteriori. Sicchè il gius romano serve di lume al gius de’ popoli più civili ,
come si ha dal codice Napoleone : e gli Alemanni, dimenticata noi tanta gloria,
vi fanno su studj esimj e perseveranti . E perchè si chiarisca il filosofare
intimo de' giure consulti, guardiamo la nozione, ch'e'si facevano della
giurisprudenza e della filosofia . Ulpiano nel Tit. 1 dei Digesti scrive (pr. e
fr. 1 ) : « Dand' opera al gius, oc corre prima sapere onde ne venga il nome.
Gius è chia mato da giustizia; perchè ( come Celso lo definì elegan temente) il
gius è l'arte del buono e dell'equo. Però siamo chiamati con ragione sacerdoti
della giustizia. Di fatto, professiamo la giustizia e manifestiamo la scienza
del buono e dell'equo ; separando l'equo dall' iniquo, e discernendo le cose
lecite dalle contrarie ; desiderosi di far buoni gli uomini , non solo per
timore delle pene, ma eziandio per l'incitamento de'premj; ricercatori (se non
m'inganno) di vera e non simulata filosofia. » Se la definizione della
giurisprudenza si prenda qui a ri gore, ella non regge, perchè si stende a
tutta la filoso fia morale : ma se badiamo al concetto che avevano di LEZIONE
DECIMANONA. 399 questa gli antichi, e al generarsi la scienza del Diritto
dall'altra del Dovere, ci formeremo idea chiara del co me intimamente fosse
filosofica la giurisprudenza romana. Ho mostrato altrove ( Lez. XVII) che,
secondo i sistemi greci, sommità di perfezione umana è lo Stato ; talchè la
morale s' ordinò alla politica ; concetto vero per l'attinen ze esteriori,
falso e pagano quant' all'ultimo fine. Non faccia dunque meraviglia, o signori,
se i giureconsulti romani definivano il gius civile come la morale ; lo de
finivano così, perchè, a sentimento di tutti gli antichi, le due scienze si
mescolavano in una . Noi con più ra gione le distinguiamo, ma s'erra da chi ne
dimentica l'unità superiore, ch'è la scienza de' primi principj e dell' uomo ;
dimenticanza ignota agli antichi, che però svolgevano razionalmente il diritto
e non lo maneggia vano materialmente. Notate ancora che nel passo citato si
distingue la scienza dall'arte. Se nelle Istituzioni poi la giustizia è
definita : « Costante e perpetua volontà di rendere a ciascuno il suo diritto :
» e se la giurispru denza è definita ; « Notizia delle cose umane e divine e
scienza del giusto e dell'ingiusto, pr. e S 1 , Inst. De just. et jure), » si
vuol fare la stessa osservazione detta di sopra ; e noterò col Cuiacio, che in
tal luogo la giu risprudenza è indicata bene com' abito dell'intelletto o
scienza, e com ' abito della volontà, secondo l'antica filo sofia . E la
filosofia la pensavano essi , non senz'alta spe culazione, ma contenuta nel
vero da' dettami del senso comune e dal fine pratico. Di fatto s' inalzarono
all'e ternità del diritto (come osserva il Vico, Sc. Nuova, IV) allorchè
dissero : Il tempo non muta nè scioglie i di ritti (tempus non est modus
costituendi vel dissolvendi juris ) ; e quando discernevano il diritto naturale
dal positivo : ma nello stesso tempo rigettarono gli eccessi dello stoicismo,
come l'eguaglianza della imputazione; finalmente derisero le stranezze , l'
ipocrisie, l'avarizia di quelle sette in età di scadimento. Così abbiam sen
tito Ulpiano, che distingue filosofia schietta dalla ma scherata ; e nel Fr. 6
, § 7 , D. al Tit. De his quæ in 400 PARTE PRIMA . testamento delentur, è
schernito il suicidio de' filosofi per ostentazione, e nel Fr. 1 , § 4, D. de
extraordinariis cognitionibus etc. , dove si stabilisce gli onorarj delle
professioni, li nega il giureconsulto a' filosofi che, van tando di spregiare
le mercedi, n'andavano a caccia. I giureconsulti poi mostrarono tre specie di
diritti : jus naturale, gentium, et civile ; distinzione che non si vuol
confondere con l'altra più pratica in jus gentium vel naturale e in jus civile
; e chi non vi badi, tassa i giureconsulti d'errori, ch'e'non hanno. La distinzione
pratica mette divario tra leggi proprie di Roma ( jus ci vile) e istituzioni
comuni a ogni popolo non selvatico ( jus gentium vel naturale) ; l'altra è
distinzione più specula tiva e fondamentale. Ulpiano nel Tit. De just. et jure,
D. dal Fr. 2 al 6, distingue diritto pubblico da privato; e distingue il
privato in diritto naturale, che natura in segnò a tutti gli animali, come la
procreazione de'fi gliuoli ; in diritto delle genti, del quale tra gli animali
hann' uso gli uomini soli , come la religione verso Dio, l ' obbedire a'
genitori e alla patria : in diritto civile ch'è proprio d'un popolo. Ora, s'è
accusato Ulpiano d'aver confuso il diritto naturale con gl' istinti del
l'animalità ; ' e sì che il Piccolomini da qualche secolo fa , come il Warnkoenig
oggi , notava che qui , se condo le dottrine vere d' Aristotile, son distinti
nel l'uomo i diritti che vengono dalla natura animale , quelli che vengono
dalla razionale, e gli altri che pone la comunanza civile. Non s'intende già
che le bestie ( dette da' giureconsulti cose, non persone) abbian di ritto, ma
che le potenze animali dell'uomo, in quanto appartengono all'uomo, generan
diritti , come li gene rano le potenze razionali . Talchè in Ulpiano si trova
benissimo sceverata l'animalità dalla razionalità . È da confessare invece, che
il diritto civile si definisce per quello che toglie o aggiunge al diritto
naturale e delle genti ; e s'allude alla servitù ch'è contro alla natura, come
si dice nel Tit. De regulis juris. Ma tut tavia meritan lode i giureconsulti,
che se non condan · LEZIONE DECIMANONA. 401 narono la servitù, la dissero
contraria bensì al diritto naturale, migliori di Platone e di Aristotile . Anzi
nelle Istituzioni è detto, che il gius naturale viene istituito dalla divina
Provvidenza, come insegnavan gli Stoici ( De Jur. Nat. Gen. et Cir ., fr. 2 , §
ult. ); nel qual testo il gius naturale abbraccia pur l'altro delle genti .
Poi, essi definiscono il gius civile qual era in fatto allora . Osserverò di
passaggio, che il chiarissimo Conforti nel l'annotazioni allo Stahl ( St. della
Filosofia del Diritto, Torino 1855) opina con altri , che i Romani non avessero
idea del diritto eterno, perchè jus viene da jubeo, co mandare ; dove la parola
diritto, e le simili del francese, tedesco e inglese, hanno il concetto di
rettitudine, o di rittura alla legge eterna. Ma quel valentuomo non pensò forse
al come definisce la parola Jus il Forcellini ( Voc. ad V.) : « Gius è tutto
ciò che in generale vien costi tuito da leggi o naturali , o divine, o delle
genti o ci vili ( jus est autem universim id, quod legibus constitutum est
etc.). Si nomina con altro nome equità comune, equo universale, legittimo, cioè
adequato alle leggi, quasi norma e regola degli atti umani. » Sicchè i Romani
chiamavano Jus un che costituito da una legge qua lunque ; così distinguevano
la legge da ciò che ne pro cede, e ch ' è l'effetto del suo comando : e
Cicerone ( Rep. et De Leg. passim ) adopera legge e gius in tal significato. Ma
la risposta migliore si è in quell'assioma de Romani già citato : « il
tempo non muta nè scioglie i diritti ; conobbero, dunque, i Romani la santità
del diritto fuori del tempo, cioè nell'eternità, o nel suo fondamento as
soluto. Inoltre vedemmo che il gius civile si distingueva dal naturale. Ma tornando
a'giureconsulti, la loro scienza originò il diritto onorario, di cui parla il
Forti se non con molta novità, certo con più chiarezza di tutti gli altri da me
esaminati . E io ritrarrò in breve la sentenza di lui , e n'uscirà la prova del
quanto potè la scienza dell'uomo e la filosofia morale in tanta perfezione di
gius. Ma prima dirò; che il gius onorario conteneva gli editti del Storia della
Filosofia . – I. 26 402 PARTE PRIMA. pretore urbano e del peregrino, e quelli
degli edili e proconsoli e propretori delle provincie (edictum provin ciale).
Pare che il gius predetto, almeno in modo se gnalato, principiasse verso la
metà del secolo VII, per chè Cicerone nella seconda Verrina dice : « postea
quam jus prætorium constitutum est . » L'Hugo dimostra, con tro l’Heinneccio,
che tal diritto ebbe forza di legge ; poichè ( tra gli altri argomenti )
Cicerone non contrasta nelle Verrine che l' Editto di Verre sia legge da te
nere, ma lo accusa di averlo infranto egli stesso, o con formato non secondo
ragione. ( Hugo, Hist. etc. , $ 178, 179. ) Or dunque, i pretori rendevano
giustizia ne'civili ne gozi , gli edili per le convenzioni de' mercati e per la
po lizia della città ; e tanto gli uni che gli altri, quando pi gliavano i
magistrati, mandavan fuori un editto , ove stabilivano le forme del giudizio e
le massime: ottimo istituto in repubblica popolare. Non mutavano il gius, ne
determinavano l'applicazione. Eccone gli esempi : In primo luogo, salva la
forma legale, si supponga che i contraenti abbiano pattuito o per inganno, o
per er rore, o per timore, o per forza. Mancando la moralità dell'atto, la
legge non conservavasi uguale per tutti . Quindi i pretori statuiron massime
per l'efficacia civile della moralità negli atti , scuse legittime per negare
agl'ingiusti la sanzione della legge e i mezzi legali, perchè queste massime
d'equità si recassero ad effetto . I codici moderni han composto di tali
massime le lor leggi universali . Allora, dice il Forti, gli editti de' magi
strati « erano uno de' principali modi, per cui la filosofia venne applicata
gradatamente ai bisogni civili . » Sicchè (quant'alla moralità degli atti)
trovarono i magistrati l'eccezioni perpetue contro le obbligazioni per dolo,
per timore, per errore, per violenza ; la restituzione in intero, i modi legali
a sciogliere le dette obbligazioni, od a ri petere ciò che pel tenore loro
fosse stato pagato. In se condo luogo, le leggi , definito il diritto e
ordinatane la sanzione, lasciavano a'magistrati ilmodo d'effettuarli. Per
esempio, le leggi stabilivano i modi d'acquistare la pro LEZIONE DECIMANONA .
403 prietà, ma non i modi della sua difesa ; che più tornò necessaria, quanto
più divise le possessioni, e distinta la varietà de'godimenti e diritti che si
comprendono nella mozione del dominio ; onde nacquero nuovi contratti e bisogni
di nuove difese. Quind'i pretori differenziavano a capello il dominio e il
possesso, e gl'interdetti che lo proteggono, e va' discorrendo. ( Ist. Civ., L.
I. S. 1 , € . 3, § 31.) Le dottrine de'giureconsulti poi vennero a formare
un'altra maniera di gius, cioè il diritto ricevuto ljus receptum ). Essi,
introducendo ne'contratti clausule, con cui si stipulava l'osservanza della
buona fede, costrin sero i magistrati a giudicare di que'contratti, non se
condo le nude parole della legge, sì a lume di naturale onestà ; come le
clausale, si lodate da Cicerone, uti ne propter te , fidemre tuam captus,
fraudatusne sim ; e ut inter bonos bene agier oportet et sine fraudatione. ( De
Off. III, 17. ) I giureconsulti si davano all'interpretazione; e poi chè questa
o considera la legge in sè, o gli atti della volontà umana , così la filosofia
di que'sapienti gli aiuto all’un five con le spiegazioni delle parole e con la
de. finizione de'termini astratti, e col mirare alla ragione della legge stessa
: gli aiutò all ' altro fine co giudizi sulla moralità degli atti , e con le
regole per interpre tare l'altrui volontà. Il Gravina così accenna le novità
del gius ricevuto : * Dalle interpretazioni de' giureconsulti passate in uso, e
mitiganti a poco a poco e come di soppiatto l'asprez za delle leggi, son venute
le regole di diritto, temperate dalla ragione d'equità. Nacquero da essi ,
l'uso dei codicilli, l'azione del dolo, le azioni quasi tutte che chiamaron
utili , perchè procedono dall’equa e utile in terpretazione, le stipulazioni
aquiliane, autore Aquilio giureconsulto, le varie differenze delle successioni.
la re gola catoniana , la sostituzione pupillare, il divieto della donazione
tra marito e moglie, e l'altro che i pupilli s'obblighino senza l'autorità del
tutore. Da essi ver 404 PARTE PRIMA. nero i giudizi di buona fede, le azioni
rei uxorie, la querela dell'inofficioso testamento, e infine tutto ciò che si
trova citato sotto nome di costumi, di consuetudini e di gius ricevuto. ( De ortu
et progr. I, Civ. , C. 43. ) Tale acume di riflessione disciplinata recò i
giurecon sulti per fino ad un computo di probabilità sulla vita umana
quant'all' usufrutto ed agli alimenti (come si vede Fr. 68 D. Ad Legem
Falcidiam ); cosa notabile molto, perchè fa supporre grand'abito d'osservazione
e di giudizi astratti . La virtù e la vera filosofia de' giureconsulti le sen
tiamo pur anche nel loro stile, che in mezzo alle ampol losità di Seneca e
degli altri si tien semplice e puro .. Nelle Pandette v' ha errori di lingua,
per vizio de' com pilatori greci e de' copisti ; ma specie i frammenti di Gaio
e d'Ulpiano son gioielli, ammirati da' principali maestri di latinità .
Terminerò, o signori, recando un saggio di tal sa pienza ed elegante brevità,
in alcune regole di gius. dall' ultimo titolo de' Digesti : « I diritti del
sangue non posson finire per niuna legge civile ( Fr. 8) . Sempre nelle cose
oscure s' ha da tenere il meno ( 2) . Sta in na tura che le comodità d'una cosa
seguan colui che ne sente gl' incomodi. Ciò che dapprima è vizioso non si può
col tempo sanare ( 29) . Nulla è più naturale che sciogliersi a quel modo ch'
uno s ' è legato : però l ' ob bligazione di parole sciogliesi con parole, e
quella di nudo consenso con altro consenso ( 35) . Che si fa o si dice nel
caldo dell'ira, non si stima . vi sia consenso d'animo, se non v' ha
perseveranza ( 48) . Nessuno può trasferire altrui più diritti che non ha ( 54)
. Sempre nel dubbio son da preferire le sentenze più benigne ( 57) . L'erede si
stima di quelle facoltà e di que' diritti che il defunto ( 59) . È proprio di
quel sofisma che i Greci chiamano sorite, o ammucchiato sillogismo, di trar la
disputa, con lievissime mutazioni, da cose evidentemente vere a evidentemente
false (65 ). Quante volte un di scorso rende due sensi, prendasi quello ch'è
più adatto LEZIONE DECIMANONA. 405 al da fare ( 69) . Non si dà benefizio per
forza ( 69) . Nes suno può mutare il proposito suo in altrui danno ( 75) . In
ogni cosa, ma più nel gius, è da guardare all’equi tà (90 ). Ne’discorsi
ambigui è il più da guardare all'in tendimento di chi li fa (96) . Nelle cose
oscure si badi al più verosimile, e a ciò che accade più spesso ( 114) . Il
timore vano non è buona scusa ( 184) . Per l'impossi bile non c'è obbligo che tenga
( 185) . Le cose proibite da natura, non sono convalidate da legge nessuna (
188, § 1 ) . Per gius di natura nessuno dee farsi più ricco a danno altrui
(206) . Per gius civile i servi si sti mano nulla ; non per diritto naturale,
secondo cui tutti gli uomini sono uguali » ( 32) . Quando l'impero si foggiò
all'orientale, la giurispru denza cadde in vano eccletticismo; come n'è segno «
La indigesta mole de' Digesti >> e ciò accadde alla quarta età, o di
vecchiezza. Poichè abbiamo con qualche sufficienza esposto la filosofia
grecolatina di Cicerone e de' giureconsulti, e abbiam veduto come proposito di
questi e di quello apparisca sempre l'armonia tra le speculazioni e la pratica,
e, nelle speculazioni, fuggire tutti gli eccessi delle sette, componendone,
guidati dalla coscienza e dal senso comune, un'unità, siam chiari (mi sembra)
che veramente dopo la dialettica distintiva de' greci, tende vano i Romani alla
comprensione finale, e che tal è proprio la qualità prevalente in quest'epoca
quarta del tempo pagano e della filosofia . Or noi passeremo al l'èra cristiana
..
Augusto
Conti. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Conti” – The Swimming-Pool
Library.
CONTRI (Cazzano
di Tramigna). Filosofo. Grice: “I like Contri – he reminds me of my days at Rossall!
Of course Contri is interested in Hegel – “a la ricerca del segreto sofisma di
Hegel” – and attempts to reveal it as Stirling never could! But Contri is also
interested in ‘il bello’ – being an Italian! – The interesting thing is that he
goes back to Italy – Aquino! He has a good exploration on ‘verum’ in Aquino,
too, which reminds me of Bristol, Revisited!” Allievo di Zamboni, elabora una
minuziosa critica alla logica di Hegel di cui mise in rilievo le incongruenze
gnoseologiche e metodologiche che portano alla errata concezione hegeliana della
realtà come vita dell'idea. Rovesciando l'immanentismo hegeliano, scopre un
mondo di realtà sviluppando una concezione di filosofia della storia che denomina
“storiosofia”. Studia a Verona. Si laureò a Padova. Discepolo fervente di
Zamboni, di cui accolse e sostenne la dottrina della gnoseologia pura. In
alcune occasioni si descrisse come elaboratore in contemporanea al suo maestro
Zamboni di alcune teorie, collegate all’estetica ma non solo. Insegna a
Bologna. Zamboni fu espulso dall'Università Cattolica con la motivazione di
allontanamento dalla ortodossia tomistica e con accusa di non conformità al
Magistero della Dottrina Cattolica Romana. Contrì definì la posizione della
Cattolica con il termine da lui coniato di “archeo-scolastica”. La posizione
“archeo-scolastica” della Cattolica di Milano, di una conoscenza indimostrata,
a priori, dell’essere e degl’esseri era bersaglio di critiche da parte di
filosofi cristiani e non che la ritenevano inadeguata nell’ambito del pensiero
moderno. Contri sostenne che la dimostrazione della conoscenza dell’essere e
degl’esseri data dalla Gnoseologia Pura di Zamboni superava definitivamente tali
critiche e ridava certezza dimostrata della conoscenza e dell’esistenza di
Dio. Accusa di plagio Gemelli per aver pubblicato nella monografia Il mio
contributo alla filosofia neoscolastica (Milano) pagine già scritte da Desiré
Mercier e da Morice De Wulf, senza indicare le citazioni. Gemelli diede le
dimissioni da Rettore della Università Cattolica ma rimase in carica. Insegna Bologna.
Il prof. Ferdinando Napoli, Generale dei Barnabiti, cultore di scienze
naturali, venne depennato dalla Pontificia Accademia delle Scienze, allora
presieduta dal Gemelli. Venne dato ordine di non pubblicare articoli a firma di
Contri. Continuando la difesa della dottrina di Zamboni, fondò la rivista
quadrimestrale di polemica e di dottrina neoscolastica “Criterion”. Il
confronto con l’Università Cattolica di Milano continuò negli anni successivi
con relazioni a numerosi congressi di cui Contri diede resoconto sulla
rivista. Insegna a Ivrea. Sulla rivista Criterion apparvero intanto i
primi Saggi del Contri sui suoi studi hegeliani che prelusero all'opera
definitiva dLa Genesi fenomenologica della Logica hegeliana. Partecipa
attivamente agli organi culturali del fascismo. Sscrisse su giornali quali Il
Secolo Fascista, Quadrivio, Il Regime Fascista, Il meridiano di Roma e La
Crociata Italica. Contri si avvalse della tribuna offerta da queste testate per
promuovere i suoi studi filosofici e critica filosoficamente l’ ebraismo di
Spinoza, di Durkheim e di Bergson. Insegna a Milano e tenne conferenze su studi
hegeliani. Sorse una disputa con Zamboni in seguito all'articolo Il campo della
gnoseologia, il campo della storiosofia, in risposta alla pubblicazione del
Contri Dallo storicismo alla storiosofia.
Prese parte attiva a congressi tomistici internazionali e a congressi
rosminiani. Partecipa attivamente alla “Missione di Milano”, lanciata
dall’allora Arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Montini. Come riconoscimenti
ai suoi studi conseguì alcuni premi fra i quali uno indetto dall'Angelicum sul
tema “Quid est veritas”, e una segnalazione all'Accademia dei Lincei per
l'opera: Punti di trascendenza nell'immanentismo hegeliano, Milano, LSU. Fu
discepolo e geniale continuatore di Zamboni. Così potrebbe definire la
situazione filosofica di oggi. Il mondo del pensiero, perduta la bussola non
teologica d'orientamento, è costituito da una miriade di metafisiche che
cozzano le une contro le altre tanto da definirsi che heghelianicamente come il
divenire in sè, che è puro fenomenismo. A tale fenomenismo corrispondono
molteplici fenomenologie. Per esempio quella di
Heidegger, afferma che il reale è un solo, una totalità onniafferrante
(Hegel direbbe begriff), tanto come essere quanto come niente. Anche Hidegger
poi tenta la via della salvezza ammettendo la realtà del mondo esterno come di
un che, che resiste al soggetto, ponendosi nel solco del pensiero di Zamboni.
In questo modo Hidegger tocca il problema che si volle e che si vuole eludere:
la realtà del mondo esterno. Esistono queste realtà, come la mia realtà, indipendentemente
dal pensarle? Per dare risposta a questo interrogativo cruciale, è necessaria
la gnoseologia pura. La gnoseologia secondo Contri, scoprì la risoluzione
definitiva del problema della certezza della conoscenza umana. Essa permise di
risolvere il problema dell'esistenza di Dio, riavvalorando criticamente le
cinque vie della dimostrazione Aquino. Sono meriti del metodo filosofico di
Zamboni il poter affermare la sostanzialità del mio “io” personale, la mia
realtà individua e dimostrare l'esistenza di Dio, trascendente, personale. Il
metodo zamboniano distingue gli elementi della conoscenza umana tra la
sensazione, che e sempre oggettiva, e lo stato d'animo e tra questi
"quello stato d'animo che è anche atto: l'attenzione". Ogno stato
d'animo e sempre soggettivo. La gnoseology riesce a cogliere la realtà del
proprio “io”, nei suoi atti e stati. Essi sono reali, perché immediatamente
presenti all'”io”, e se sono reali gli accidenti dell'io, perché essi sono modo
di essere dell'io, reale è l'io, come sostanza, cui essi ineriscono. Perciò
dall'immediata certezza della realtà degli accidenti di un ente si giunge alla
certezza della realtà sostanziale dell'io." La critica alla posizione
della neoscolastica di Gemelli, Olgiati e Masnovo sulla conoscenza indimostrata
dell'ente e la soluzione tramite la gnoseologia pura. Rispetto alla dimostrazione
della realtà dell'ente, si fonda così nell'esperienza immediata ed integrale il
concetto di essere e ‘esseri’ che non è più necessario assumere acriticamente,
come qualcosa di razionalmente immediato, pena l'impossibilità di una logica
razionale. L'assunzione acritica del concetto di essere ed esseri è propria del
neotomismo dell'Università Cattolica, che in un suo autore, Masnovo, perviene
alla sua massima teorizzazione nel "mio hic et nunc diveniente atto di
pensiero". Ma con questo l'essere e gli esseri è solo pensato e ammesso
acriticamente come pensiero, è un presupposto, mentre nella gnoseologia
zamboniana è il risultato di un processo di astrazione, che deriva da una
realtà immediatamente presente all'autocoscienza dell'io, che non ha la natura
del pensiero, non è pensiero essa stessa, ma qualcosa di diverso. Si può
pertanto uscire dalla formula logica della ragion sufficiente, che è sempre e
comunque razionalista e riduce al razionalismo anche il neotomismo. Nell'ambito
dell'esperienza immediata ed integrale si scopre invece non la ragion
sufficiente, ma la sufficienza ad esistere o no. E la fondazione ed il
ripensamento delle prove dell'esistenza di Dio, e in particolare della terza
via tomistica, diventano inoppugnabili. Nessuno più può dubitare dell'esistenza
del sufficiente ad esistere, che è Dio." Secondo Peretti la
fondazione gnoseologica della metafisica è il più grande merito di Zamboni.
L'ambiente filosofico dell'Università Cattolica non accetta la gnoseologia
zamboniana e fonda la metafisica sul concetto di ente, assunto acriticamente,
come un presupposto indimostrabile. Esso finì per identificarsi con l'ente di
ragione (ens rationis), non sfuggendo all'insidia hegeliana, che lo aveva
dialettizzato sia come essenza che come esistenza. La dialettica negativa di
Hegel produsse ben presto nella corrente neotomista di Milano (ma anche in
altre università cattoliche) i suoi effetti devastanti. Aveva messo in guardia
i neotomisti dalla fraus hegeliana, che si svela nell'antitesi (contra-posizione)
come negazione. Seguendo la metodologia gnoseologica, Contri affronta
Hegel, il "padre del fenomenismo" compiendo una minuziosa e
sistematica analisi della fenomenologia hegeliana. Dopo averle individuate ha
messo in rilievo le incongruenze gnoseologiche e perciò metodologiche che
sfocia nella concezione della realtà come vita dell'idea, presentandola come uno
svolgimento dialettico del ‘begriff’, come qualche cosa che non mai in sé, ma
diviene eternamente in sé e per sé. Contri resa evidente questa impostazione,
anima del fenomenismo, e scoperta nella deficienza gnoseologica e pertanto
metodologica, derivata dall'impostazione razionalista ed empirista che al fondo
dello stesso criticismo, rovescia l'immanentismo hegeliano, che si gli scopre
non più come mondo di idee, ma di realtà, di cui ognuna è altro del suo altro,
in un ordito cosmologico, di cui la storia dell'uomo rappresenta l'essenza. Ed
ecco la storiosofia, che reclama, al posto dell'immanentismo
gnoseologicamente insostenibile, la trascendenza della trama di questo ordito,
che a questo punto in sé e per sé non può più essere spiegato (si ricordi che
l'anima della spiegazione hegeliana è la "negazione"!). Tale trascendenza
prova l'esistenza di un Dio trascendente, che ha concepito la trama creando le
realtà ordito di questa trama, di realtà in reciproca relazione, in cui non c'è
membro che sia fermo. In questo ordine si risolvono in modo nuovo i rapporti
tra le realtà, che per esempio tra l'anima e il corpo, superando così gli
scogli di una spinosa questione di eredità aristotelica, di grande importanza
anche oggi, in cui le realtà terrene e spirituali non trovano la sintesi
equilibratrice. La storiosofia rappresenta uno sviluppo del metodo di
Zamboni, considerandolo la via per rinnovare tutta la filosofia poiché esso non
è storicismo filosofico, non è naturalismo, è avanti positivistico, non è speculazione,
ma metodo appunto, (metodo) che da secoli la filosofia europea ha cercato,
perdendolo oggi nella disperazione del momento." Opere: “Il concetto
aristotelico della verità in Aquino” (Torino, SEI); “Gnoseologia” (Bologna,
L.Cappelli); “Il concetto d’armonia” (Bologna); “Il tomismo e il pensiero
moderno secondo le recenti parole del Pontefice, Bologna, Coop. tipografica
Azzoguidi): “Del bello” (Firenze, Libreria Editrice Fiorentina); “La filosofia
scolastica in Italia nell' era presente” (Bologna, Cuppini); “L’essere e
gl’esseri” (Bologna, C. Galleri); Un confronto istruttivo: Mercier, Gemelli, De
Wulf ed altri ancora, Bologna, C. Galleri); “Pane al pane: riassunto d'una
situazione, Bologna, Costantino Gallera. “Neo-scolastici e archeo-scolastici”
(palaeo-scholastici) sulla rivista Italia letteraria; “Il segreto sofisma di
Hegel” (Bologna, La Grafolita), “Mussoliniana: il discorso del duce” (Bologna,
La Diana scolastica); “Gnoseologia pura di A. Hilckmann; Il segreto di Hegel di
S. Contri, Bologna, Stabilimento Tipografico Felsineo); “Hegel, Ivrea, ed.
Criterion); “La genesi fenomenologica della logica hegeliana” (Bologna,
ed.Criterion; Ambrogino o della neoscolastica, dialogo filosofico,
Bologna); “La soluzione del nodo centrale della filosofia della storia,
Bologna, Criterion); “Complementi di storiosofia, Bologna, Criterion); “Punti
di storiosofia, Bologna, Criterion; Lettera a S.S. Pio XII sulla filosofia
della storia, Bologna, Criterion; Il Reiner Begriff (=concetto puro) hegeliano
ed una recensione gesuitica, Bologna, Criterion; Dallo storicismo alla
storiosofia. Lettura prima, Verona, Albarelli; I tre chiasmi della storia del
pensiero filosofico. Inquadratura unitotale della controversia sulla
storiosofia, Milano, ed. Criterion); “Rosmini” (Domodossola, La cartografica C.
Antonioli); Ispirazione da dei” divina della S. Scrittura secondo
l'interpretazione storiosofica” (Milano, Criterion); “La sapienza di Salomone,
Milano, ed. Criterion; “La riforma della metafisica” (Milano, ed. Criterion); Filosofia
medioevale. Raggiungere la forma nuova, Fiera Letteraria; Punti di
trascendenza nell'immanentismo hegeliano, alla luce della momentalità
storiosofica” (Milano, Libreria Editrice Scientifico Universitaria); “Rosmini”
(Milano, Centro di cultura religiosa); “Posizioni dello spiritualismo
Cristiano: La dottrina della poieticita in un quadro rosminiano” (Domodossola,
Tip. La cartografica C. Antonioli); “Assiologia ed estetica”, Theorein; Posizione
dello spiritualismo cristiano. La dottrina della poieticità, in un quadro
rosminiano, Rivista rosminiana; Heidegger in una luce rosminiana: la favola di
Igino e il sentimento fondamentale, Domodossola, La cartografica); Missione di
Milano. Chiosa storico-filosofica, Ragguaglio); “Heidegger in una luce rosminiana,
Rivista rosminiana); La coscienza infelice nella filosofia hegeliana” (Palermo,
Manfredi); “Husserl edito e Husserl inedito” (Palermo, Manfredi); “Kierkegaard:
profeta laico dell'interiorità umana”; “Saggio di una poetica vichiana” (Milano,
Il ragguaglio librario); La fenomenologia dello spirito di G. Hegel, Rivista rosminiana;
L'unità del pensiero filosofico, Sapienza; Il pluralismo filosofico nell'ambito
di una concezione cristiana, Sapienza; In margine al centenario dantesco,
Sapienza; La negazione come principio metodologico di unificazione speculativa,
Theorein; Vita e pensiero di Hegel, Rivista rosminiana; Possibilità di un
accordo tra la dottrina rosminiana del sentimento fondamentale e le concezioni
moderne sull'inconscio, Rivista rosminiana; Morale e religione
nella Fenomenologia dello spirito di G. Hegel, Palermo); “Parallelo tra Hegel e
Rosmini, Palermo, Mori); “Metafisica e storia, Palermo, Mori); “Il sofisma di
Hegel” (Milano, Jaca book). “Il caso Contri”; “Gnoseologia”; noseologia,
storiosofia; Contri, Note mazziane; La propedeutica metafisica hegeliana al
problema del pensare e la lettura rosminiana di S. Contri, Contri tra
gnoseologia e storiosofia, Punti di trascendenza in S. Contri, in Sophia,
Crociata Italica, Fascismo e religione nella Repubblica di Salò, L'Estetica di
Benedetto Croce. Certi gestiscriveva la Vanni Rovighiche gli furono
rimproverati come acquiescenza al potere politico fascista (e furono ben pochi
in confronto a quelli di molti altri) furono dettati dalla preoccupazione di
difendere la sua Università dalla minaccia di chiusura da parte del potere
politico, minaccia tutt’altro che immaginaria. E forse fu il timore di fronte
alle obiezioni di un’altra autorità, quella ecclesiastica, che gli premeva ben
più di quella politica, a indurlo ad allontanare dall’Università un uomo di
grande ingegno e di purezza adamantina: Zamboni, un gesto che non può non
essergli rimproverato e che lasciò anche a noi allora studenti dell’amaro in
bocca. Contri, (Circa il volume di Croce 'La storia come pensiero e come
azione. Siro Contri Presidente dell' Istituto di Cultura Fascista...». Siro Contri, «Il regime fascista» Siro
Contri. Keywords: del bello, il bello, assiologia, poetica vichiana, Mussolini,
discorso, duce, logica di Hegel, filosofia dell’essere, l’essere e gli esseri,
Hegel contraddetto, il bello, pulchrum, archeo-scolastici, paleo-scolastici,
Aquino, aristotele, il vero, l’errore di Croce, l’equivoco di Croce, percezione
del bello, l’armonia e il bello, del storicismo alla storiosofia, storiosofia o
filosofia della storia, interpretazione dommatica di Aquino, la negazione di
hegel, il concetto puro di Hegel, la negazione come metodo in Hegel, nihilismo
e negazione in Hegel, l’errore di Hegel, il sofisma di Hegel, Gentile e il
bello. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Contri” – The Swimming-Pool Library.
CORBELLINI (Cadeo). Filosofo.
Grice: “I like Corbellini; of course he has to defend science versus what he
calls – alla Popper? – ‘pseudoscenza’ in Italy, which he calls ‘il paese della
pseudoscenza’ – I thought that was Oxford!” I sui interessi riguardano la grammatical
del vivente, la storia della medicina e la bioetica. Insegna Roma. Si laurea
con “L’epistemologia evoluzionistica”.I suoi interessi di studio hanno
riguardato la storia e la filosofia della biologia evoluzionistica, delle
immunoscienze e delle neuroscienze, per includere poi anche lo studio della
storia della malaria e della malariologia in Italia, delle ricadute della
genetica molecolare, delle implicazioni dell’evoluzione e l'evoluzione. L'approccio
storico-epistemologico all'evoluzione trovato una sintesi nella ricostruzione
della storia delle idee di “salute” e malattia e delle trasformazioni
metodologiche a cui è andata incontro la ricerca delle spiegazione causale
della salute. La sua ricerca si è orientata anche verso l'esame delle radici delle
controversie bioetiche. Difende un'idea non confessionale della bioetica, che
ha radici filosofiche in uno scetticismo morale radicale, naturalistico e non
relativista (Bioetica per perplessi. Una guida ragionata, Mondadori). Coltiva anche un interesse per la percezione
sociale e il ruolo della scienza nella costruzione del valore civile. Sostiene
che l'invenzione e l'espansione del metodo scientifico hanno consentito e
favorito l'evoluzione del libero mercato e della stato di diritto, ovvero che
la scienza ha funzionano come catalizzatore nella costruzione e manutenzione
dei valori critico-cognitivi e morali che rendono possibile il funzionamento
del sistema liberal-democratico. Altre
opere: “Nel Paese della Pseudoscienza. Perché i pregiudizi minacciano la nostra
libertà” (Milano, Feltrinelli); “Cavie? Sperimentazione e diritti animali”
(Bologna, Il Mulino); “Tutta colpa del cervello: un'introduzione alla neuro-etica”
(Milano, Mondadori Università, ; Scienza, Torino, Bollati Boringhieri); “Dalla
cura alla scienza” (Milano, Encyclomedia Publishers); “Scienza, quindi
democrazia, Torino, Einaudi); “Perché gli scienziati non sono pericolosi”
(Milano, Longanesi); “La razionalità negata. Psichiatria e antipsichiatria in
Italia (con Giovanni Jervis), Torino, Bollati Boringhieri, EBM); “Medicina
basata sull'evoluzione” (Roma-Bari, Laterza); “Bi(blio)etica” (Torino,
Einaudi); “Breve storia delle idee di salute e malattia” (Roma, Carocci); “La
grammatica del vivente. Storia della biologia e della medicina molecolare”
(Roma-Bari, Laterza); “L'evoluzione del pensiero immunologico” (Bollati
Boringhieri, Torino). L’errore di Darwin. Introduzione;
1. Dall’etica medica alla bioetica; 2. Il senso morale umano e le controversie
bioetiche; 3. Sperimentazione sull’uomo e consenso informato; 4. Scelte di fine
vita; 5. Scelte di inizio vita; 6. Medicina genetica; 7. Sperimentazione
animale; 8. Medicina dei trapianti e definizione di morte; 9. Etica della
ricerca responsabile; 10. Medicina rigenerativa e staminali; 11. Neuroetica;
12. Etica ambientale e OGM; 13. Etica della comunicazione scientifica, della
percezione della scienza e del «gender»; Indice dei box; Indice analitico;
Indice dei nomi. Come nota Gilberto Corbellini nella prefazione all’edizione
italiana del libro di Ru- bin, il tentativo di applicare l’approccio
evoluzionistico alla (filosofia) politica spesso rischia di venire frainteso.
Il frain- tendimento più comune e pericoloso deriva dalla mancata distinzione
tra il “darwinismo politicizzato” e la “politica darwiniana”: il primo è
costituito, come è accaduto nel caso del socialdarwinismo di fine Ottocento,
dall’«interpretazio- ne strumentale e priva di coerenza logica o di basi
scientifi- che delle idee darwiniane per difendere qualche particolare
ideologia politica»; la seconda, invece, consiste nell’«uso delle conoscenze
evoluzionistiche sulla natura umana per meglio comprendere le origini delle
preferenze politiche in- dividuali, la loro distribuzione sociale e le
dissonanze tra gli adattamenti ancestrali e l’ambiente attuale».58 Ridley si
mostra ben consapevole del rischio di trasformare la politi- ca darwiniana in
ideologia. Questo, tuttavia, non gli impe- disce di avanzare alcuni
suggerimenti di politica economica 54. Cfr. Skyrms, The Evolution of Social
Contract, pp. 108-109 e Festa “Teoria dei giochi, metodo delle scienze sociali
e filosofia della politica”, Prefazione a de Jasay, Scelta, contratto,
consenso, pp. 8-9). Alcune immani tragedie che hanno segnato la storia degli ultimi
due secoli sembrano dovute, almeno in parte, all’ignoranza – e, talvolta, alla
ne- gazione – di alcune caratteristiche essenziali della natura umana. Per
esempio, Ridley (p. 322) osserva che «Karl Marx vagheggiava un sistema sociale
che avrebbe funzionato solo se fossimo stati degli angeli, ed è fallito perché
siamo invece degli animali». 55. Peter Singer, Una sinistra dawiniana.
Politica, evoluzione e cooperazione, Torino, Edizioni di Comunità, 2000 (1999).
56. Larry Arnhart, Darwinian Conservatism, Exeter (UK), Imprint Academic, 2005.
57. Rubin, La politica secondo Darwin. 58. Gilberto Corbellini, “Politica
darwiniana vs darwinismo politicizzato”, prefazione a Rubin, La politica
secondo Darwin, p. 9. 31 Ridley.Origini.Virtu.indd 31 27/08/12 13:57
Le origini della virtù – si vedano soprattutto gli
ultimi tre capitoli del libro – che gli sembrano compatibili con le nostre
tendenze evolutive. La prospettiva filosofico-politica che ne emerge è un libe-
ralismo con tendenze anarchiche, che non sarebbe inappro- priato chiamare
“anarco-liberalismo”.59 Tale prospettiva, ispirata dalla grande fiducia di
Ridley negli istinti coopera- tivi e altruistici degli esseri umani, sfocia
infatti nella difesa di un ordine politico-economico nel quale il ruolo del
gover- no e dell’intervento pubblico è ridotto ai minimi termini: Recuperiamo
la visione di Kropotkin, che immaginava un mondo di liberi individui. [...] Non
sono così ingenuo da pensare che ciò possa accadere da un giorno all’altro, o
che qualche forma di governo non sia necessaria. Ma metto se- riamente in
dubbio la necessità di uno Stato che decide ogni minimo dettaglio della nostra
vita e si attacca come una gigantesca pulce alla schiena della nazione.60
D’altra parte, Ridley si rende conto che, mentre le solu- zioni
politico-economiche da lui favorite si accordano con alcune tendenze evolutive
umane, confliggono però con al- tre. Per esempio, egli osserva che certe
istituzioni economi- camente adeguate nella società moderna, come la proprietà
privata, possono entrare in tensione con le tendenze primi- tive
all’egualitarismo, alla redistribuzione e al rifiuto dell’accumulazione di
ricchezza.61 L’analisi dei conflitti tra le moderne istituzioni
politico-economiche e le nostre ten- denze primitive è uno degli argomenti
centrali del già citato libro di Rubin.Le “Imperfezioni umane” di Pani e
Corbellini Di Valeria Covato | 06/06/2016 - Mailing Le “Imperfezioni umane” di
Pani e Corbellini Fornire un punto di vista innovativo, cioè evoluzionistico,
di tutto quello che riguarda la salute e le disfunzioni comportamentali, e
suggerire qualche punto di vista originale sul perché nonostante le dissonanze
evolutive, la condizione umana è globalmente migliorata. È questo l’obiettivo
del libro dal titolo “Imperfezioni umane. Cervello e dissonanze evolutive:
malattie e salute tra biologia e cultura” (Rubbettino), scritto da Luca Pani e
Gilberto Corbellini, che sarà presentato domani, martedì 7 giugno, alle ore
16.30 a Roma presso il Centro studi americani (Via Caetani, 32). CHI CI
SARÀ Dopo i saluti di Paolo Messa, direttore Centro studi americani,
interverranno alla presentazione moderata da Micaela Palmieri (Tg1) monsignor
Lorenzo Leuzzi, Vescovo ausiliare di Roma, Alberto Mingardi, direttore generale
Istituto Bruno Leoni, Benedetto Ippolito, professore di storia della Filosofia
presso l’università Roma tre. IL VOLUME “Negli ultimi vent’anni una
nuova ipotesi di lavoro si è fatta strada in ambito medico sanitario, definita
nel mondo anglosassone «evolutionary mismatch» (dissonanza evoluzionistica) –
raccontano gli autori -. Questa teoria assume, in pratica, che l’ambiente nel
quale la nostra specie ha acquisito i suoi tratti adattativi sia
drammaticamente cambiato in un tempo troppo breve perché predisposizioni o tratti
genetici e fenotipici dell’organismo fossero in grado di adeguarsi, per
selezione naturale, alle novità”. Le conseguenze di queste dissonanze?
“Disfunzioni o disturbi o rischi che richiedono un approccio medico”. “Il
libro è diviso in tre parti – spiegano Pani e Corbellini – Si inizia con
un’illustrazione dei presupposti di qualunque strategia motivazionale, cioè dei
meccanismi che sono alla base del piacere e delle ricompense, e da cui deriva –
in ultima istanza – la possibilità di acquisire nuove conoscenze che consentono
di affrontare le incertezze psicologiche che si accompagnano a qualunque
comportamento esplorativo. La riflessione prosegue con esemplificazioni di
risposte comportamentali che in particolari (o mutate) condizioni si
manifestano come malattie. Il terzo capitolo è dedicato in modo specifico al
comportamento alimentare e discute l’esempio più eclatante di dissonanza
evoluzionistica: il mismatch metabolico. Gli ultimi due capitoli affrontano una
serie d’imperfezioni e predisposizioni comportamentali umane che scaturiscono
da compromessi evolutivi, e che risultavano vantaggiose o meno nel contesto
dell’adattamento evolutivo, mentre i cambiamenti ambientali determinati
dall’evoluzione culturale hanno generato, a loro volta, ulteriori fenomeni
disadattativi”. QUALI DISSONANZE Nel dettaglio gli autori
descrivono le dissonanze create dai nuovi contesti di vita per quanto riguarda
cicli del sonno, accesso al cibo, comunicazione, cooperazione ovvero isolamento
sociale, oppure di comportamenti più complessi come la rabbia aggressiva o
l’altruismo; ma anche le preferenze politiche o l’intelligenza. Negli ultimi
capitoli del volume emergono anche idee e ipotesi relative a scoperte cognitive
e innovazioni che hanno migliorato la condizione umana, o reso possibili
cambiamenti comportamentali incredibili.Il concetto di libero arbitrio implica
che sussista nelle persone, dato un certo grado di sviluppo cognitivo e morale,
la capacità di decidere e di agire, scegliendo tra diverse alternative
disponibili, senza essere condizionati da fattori fisici o biologici di
qualunque genere. Si assume, in altri termini, che le persone maturino una
cosiddetta “agenticità”, cioè una capacità di agire e decidere in un quadro di
consapevolezza degli effetti prodotti, che non è riducibile o spiegabile sulla
base dei processi neurobiologici che hanno luogo nel cervello e/o alle leggi
fisiche che li governano. Di libero arbitrio si può parlare, comunque, in molti
modi e da diverse prospettive: filosofica, metafisica, giuridica, psicologica,
etc. Nel corso dell’evoluzione della specie, abbiamo sviluppato
strutture cerebrali che ci fanno appunto “credere” di essere liberi e poter
decidere in completa autonomia, e su questa finzione abbiamo costruito il
nostro straordinario successo di animali sociali Negli ultimi decenni le
neuroscienze cognitive e comportamentali hanno profondamente messo in dubbio,
con una quantità crescente di prove, la visione classica di “libero arbitrio”,
aprendo un dibattito scientifico ancora in corso. Qual è la sua posizione
all’interno del dibattito? La mia posizione è che il libero arbitrio è
una credenza senza senso, come aveva spiegato bene, molto prima delle
neuroscienze, il filosofo Spinoza. Se ci fosse qualcosa come il “libero arbitrio”,
allora davvero potrebbe esserci qualsiasi cosa ci possiamo immaginare.
Tuttavia, è vero che,nel corso dell’evoluzione della specie,abbiamo sviluppato
strutture cerebrali che ci fanno appunto “credere” di essere liberi e poter
decidere in completa autonomia, e su questa finzione abbiamo costruito il
nostro straordinario successo di animali sociali. Il libero arbitrio è
un’illusione, ma un’illusione molto produttiva. L’intuizione di ritenersi
liberi, in un senso vago o indefinito, è una forma di autoinganno, come tante
altre che sono prodotte dalla nostra coscienza, che nel tempo è stata
socialmente addomesticata per inventare un altro autoinganno, cioè un senso
individuale di responsabilità, con tutte le conseguenze che ne derivano anche
per l’organizzazione di un ordine sociale efficiente sulla base di un sistema
di obblighi. Ovviamente questa strategia è modulata da specifiche
condizioni ecologiche e sociali, per cui in alcuni contesti questa illusione si
può espandere e diventare la base di sistemi anche molto progrediti per qualità
di vita, come quelli occidentali, mentre in altri ambienti di vita sarà più
adattativo che tale intuizione e illusione non maturi neppure, o maturi in
forme che sono funzionali a all’accettazione di un comportamento consapevolmente
eterodiretto. L’intuizione di ritenersi liberi è una forma di
autoinganno che nel tempo è stata socialmente addomesticata per inventare un
altro autoinganno, cioè un senso individuale di responsabilità Quali sono
i rapporti fra emozioni e pensiero razionale? Con quali modalità le due
componenti guidano il comportamento umano? In che misura siamo (o
possiamo essere) consapevoli di queste influenze? Non è del tutto
chiaro nei dettagli come interagiscano le strutture del cervello che controllano
le emozioni o le reazioni impulsive, e quelle che controllano la pianificazione
di azioni calcolate. Quello che si sa è che alcune condizioni, come trovarsi di
fronte un’altra persona preferibilmente con le proprie stesse caratteristiche
somatiche o un parente, induca l’inibizione di un comportamento utilitaristico,
cioè volto a massimizzare qualche beneficio in generale a prescindere dai danni
che si possono arrecare alle persone; ovvero che induca un comportamento di
accudimento o altruistico, di carattere parentale o reciproco. Mentre
situazioni contrarie all’ordine morale appreso socialmente e attraverso
l’educazione scatenano quasi automaticamente reazioni di disgusto o qualche
altra avversione emotiva (ad esempio, rabbia o disprezzo). Se non ci sono
di mezzo contatti fisici, o rapporti parentali con altre persone, o impulsi
emotivi avversi, le persone possono applicare un calcolo razionale e quindi
scegliere un’azione in base all’utilità percepita o calcolata. Comunque
esistono diverse teorie su come emozioni e ragione entrano in gioco nelle
scelte in generale, e in quelle morali in particolare. Quello che si sta
sottovalutando, penso, è il ruolo che le emozioni, che mediano i valori morali,
possono giocare nell’apprendimento di comportamenti, che a loro volta
retroagiscono sui valori, cioè che possono cambiare nel tempo le
predisposizioni delle persone nel rispondere a situazioni identiche o diverse.
In altre parole, le emozioni servono direttamente alla sopravvivenza ed entrano
in azione quando è minacciata l’omeostasi funzionale a qualche livello, e
quindi servono a premiare o punire i comportamenti appresi sulla base della
funzionalità che manifestano. Ma questi nuovi comportamenti possono far
scoprire nuovi valori, cioè trovare premianti strategie diverse da quelle
prevalenti nella società, e quindi modulare le emozioni originarie, evitando
che gli impulsi emotivi inducano risposte non calcolate e che potrebbero essere
deleterie. In fondo, dato che noi occidentali sul piano genetico siamo
praticamente uguali agli altri gruppi umani, qualcosa del genere potrebbe
spiegare come ci siamo affrancati moralmente e politicamente da schemi
decisionali tribali od oppressivi. Credits to Unsplash.com Parliamo
del legame tra violenza ed evoluzione: qual è il ruolo ricoperto
dall’aggressività nell’evoluzione della specie, e quali sono le possibili
determinanti genetiche del comportamento aggressivo?
L’aggressività, come la cooperazione, è stata un fattore chiave per la
sopravvivenza e l’evoluzione della nostra specie. Come tutti i tratti,
l’aggressività è polimorfica e quindi ci sono persone geneticamente più
predispostedi altre all’aggressività. È verosimile che la selezione
sociale abbia col tempo reso più vantaggiosi i geni della cooperazione in
alcuni contesti ecologici, e quindi favorito il processo socio-culturale che
nell’età moderna ha ridotto drammaticamente la violenza sul pianeta, e
soprattutto nel mondo che ha inventato la scienza e ha abbracciato lo stato di
diritto. I governi occidentali continuano giustamente la lotta contro la
criminalità e la violenza, ma nella storia del pianeta non c’è mai stata così
poca violenza e aggressività, non solo in occidente ma nel mondo in generale,
rispetto a oggi. Steven Pinker ha dimostrato questo fatto in un dettagliatissimo
e acuto libro, “Il declino della violenza”. Nella storia del
pianeta non c’è mai stata così poca violenza e aggressività, non solo in
occidente ma nel mondo in generale, rispetto a oggi E per quanto riguarda
la differenza di genere? Cosa sappiamo dei rapporti tra cervello maschile,
cervello femminile e comportamento aggressivo? Le differenze
di genere nel comportamento aggressivo esistono. Studiando complessivamente
l’aggressività di bambini e bambine si è visto che i due generi sono egualmente
aggressivi verbalmente, mentre i bambini lo sono di più fisicamente rispetto
alle bambine. Nel complesso i bambini sono più aggressivi delle bambine sul
piano dell’aggressione diretta. Mentre le bambine sono indirettamente
aggressive anche più dei bambini. Queste differenze, come
altre, dipendono verosimilmente da stimoli ormonali nel corso dello sviluppo e
rispondono a strategie adattative selettivamente vantaggiose nell’ambiente
dell’evoluzione. Il modo in cui maturano il cervello maschile e femminile
dipende molto dai contesti e si conoscono diversi fattori ambientali e
culturali che influenzano, ad esempio, la violenza a carico delle donne. Ci
sono prove concrete del fatto che il patriarcato e la sua istituzione giuridica
sono fattori importanti per la persistenza della violenza maschile ai danni
delle donne, e del fatto che ridurre il dominio maschile attraverso delle
adeguate politiche sociali riduce la violenza maschile e che la cooperazione
tra donne riduce la violenza maschile sia contro le donne sia contro altri
uomini. Parliamo ora delle differenze individuali
nel controllo degli impulsi… Non ci sono moltissimi dati, ma
uno studio di qualche anno fa ha esaminato cosa avviene nel cervello quando si
fanno scelte impulsive, che svalutano una ricompensa ritardata, ovvero come
viene rappresentata dinamicamente nel cervello la svalutazione del ritardo
quando si sta aspettando e anticipando una ricompensapossibile che è stata
desiderata e scelta. La corteccia prefrontale ventromedialemanifesta
uno schema caratteristico di attività durante il periodo di ritardo nel
ricevere la ricompensa, oltre a esercitare un’attività modulatoria durante la
scelta, che è coerente con la codificazione del tempo durante il quale avviene
una svalutazione del valore soggettivo. Lostriato ventrale esibisce a sua volta
uno schema di attività simile, ma preferenzialmente negli individui impulsivi.
Un profilo contrastante di attività collegata al ritardo e alla scelta è stata
osservata nella corteccia prefrontale anteriore, ma selettivamente in persone
pazienti, cioè non impulsive. Quindi corteccia prefrontale ventromediale e
corteccia prefrontale anteriore esercitano – sebbene ciò sia ancora da chiarire
come – influenze modulatorie ma opposte rispetto all’attivazione dello striato
ventrale. Ovvero quell’esperimento ci dice che il comportamento impulsivo e
l’autocontrollo sono collegati a rappresentazioni neurali del valore di future
ricompense, non solo durante la scelta, ma anche nelle fasi di ritardo post-scelta.
Cosa può voler dire tutto questo per il nostro discorso? Mi lasci citare ancora
Spinoza, per il quale è «libera quella cosa che esiste e agisce unicamente in
virtù della necessità della sua natura». La vera libertà, è autonomia e
indipendenza, non arbitrio o scelta indeterminata. Quindi si è tanto più liberi
e non soggetti a impulsi, quanto più alcune strutture del nostro cervello,
altamente connesse e addestrate dall’esperienza, lo rendono autonomo e meno
soggetto o costrizioni esterne. Credits to Unsplash.com Quali sono
le possibili influenze delle disfunzioni cognitive e dei fattori ambientali
sulla capacità decisionale (anche ai fini dell’imputazione penale)? Può
condividere con noi qualche caso di studio? Casi di studio ce ne
sono diversi, ma quelli al momento più esemplari riguardano gli effetti delle
varianti alleliche del gene della monoaminossidasi A (MAOA), detto anche “gene
del guerriero”, in quanto collegato all’aggressività su basi osservazionali
mirate. In sostanza le persone con la variante che produce meno MAOA rispondono
in modi più aggressivi e violenti, rispetto a chi esprime livelli più
alti. Il fatto interessante è che se queste persone predisposte
all’aggressività sono state allevate in ambienti accoglienti, esprimono un’aggressività
minore rispetto a omologhi genetici cresciuti in famiglie disagiate. Anche dati
sperimentali in ambito psicologico e di economia comportamentale dimostrano che
le aggressioni hanno luogo con maggiore intensità e frequenza, quando provocate
in un contesto sperimentale, soprattutto in soggetti con una bassa attività di
MAOA (MAOA-L). Gli studi sperimentali mostrano anche che il MAOA è meno
associato con la comparsa dell’aggressione in una condizione di bassa
provocazione, ma predice più significativamente il comportamento aggressivo in
una situazione molto provocatoria. Esiste ormai una letteratura
sterminata anche sui casi di persone con anomalie morfologiche e funzionali
dell’amigdala che regolarmente esprimono un profilo sociopatico, ovvero che non
provano emozioni negative quando provocano sofferenze in altri individui. Si
conoscono inoltre casi di tumori cerebrali o lesioni neurologiche che alterano
la personalità individuale, e non poche persone hanno commesso crimini in
quanto un tumore cerebrale ha alterato le loro capacità decisionali.
La memoria del testimone: in particolare, come si accerta
l’attendibilità della testimonianza e quali sono i principali metodi di
verifica? Il sistema giudiziario si fonda sulla memoria: interrogatorio/confronto,
testimonianze, ricordo dei giurati al momento di discutere il verdetto. Ma la
memoria umana è falsata: il cervello non è una videocamera né un computer.
Siamo suscettibili a false memorie. Gli stati emotivi influenzano la
qualità della memoria. La nostra storia personale influenza il modo in cui
ricordiamo. Gli psicologi e gli esperti studiano soprattutto il problema della
testimonianza oculare, perché in ben tre casi su cinque le identificazioni si
rivelano sbagliate. Esistono diversi metodi di controllo/verifica e volti
a ridurre gli errori nelle testimonianze. Uno di questi analizza per esempio
l’accuratezzadella testimonianza oculare e delle modalità di interrogatorio del
testimone, per arrivare a una probabilità relativa al caso. Il sistema
giudiziario si fonda sulla memoria. Ma la memoria umana è falsata: il cervello
non è una videocamera né un computer. Siamo suscettibili a false memorie.
Esiste anche un diritto alla riservatezza per i nostri ricordi. Nel senso che
se io non intendo comunicare a qualcuno un ricordo, ho diritto a tenerlo per
me. Un giudice deve avere forti ragioni per forzare l’accesso alla mia memoria,
ed è comunque tenuto a rispettare i miei diritti fondamentali se ci prova. Se
davvero si riuscirà a costruire affidabili brain lie detector, macchine della
verità con accesso alle memorie cerebrali, si configurerà un problema sul
fronte di normare i limiti del diritto di un giudice far rilevare impronte
mnestiche del nostro cervello, i ai fini di un’indagine processuale. Non tanto
per la riservatezza del dato di interesse, cioè se un imputato o un testimone
mentono o dico la verità nel caso in specie, ma per il fatto che quell’accesso
può rendere noti dei fatti che non hanno rilevanza con l’indagine e che
potrebbero danneggiare la persona. Inoltre, alcuni farmaci e tecnologie
possono potenziare la memoria individuale. Ebbene, sarebbe lecito consentire a
o incentivare alcuni attori del procedimento giudiziario (giudici e giurati) a
potenziare le loro memorie ai fini di un più efficiente funzionamento del
sistema? La morale ha, o potrebbe avere, un fondamento
biologico? La morale ha un fondamento biologico. La morale serve a tenere
insieme i gruppi umani sociali, e ha creato le premesse sociobiologiche per l’affermarsi
della religiosità quale sistema di controllo incorporato nelle persone e
alimentato socialmente per garantire che i valori morali adattativi in società
meno complesse delle nostre siano mantenuti e trasmessi. In
prospettiva: quali sono a suo avviso i possibili intrecci tra acquisizioni
neuroscientifiche e diritto penale? Quale impatto potrebbero avere sugli
attuali meccanismi di attribuzione della responsabilità e di applicazione della
pena? Su questo punto la penso come chi ha detto che con l’arrivo delle
neuroscienze, nel diritto, “cambia tutto e non cambia niente”[1]. Vale a
dire che il concetto di libero arbitrio e quello intuitivo di giustizia come
retribuzione (caratteristico del diritto naturale) sono destinati a essere
abbandonati, perché privi di basi teorico-fattuali. Mentre si potrebbe
affermare un concetto consequenzialista(utilitarista) della concezione della
pena, più vicino al diritto positivo. Il concetto di libero
arbitrio e quello intuitivo di giustizia come retribuzione (caratteristico del
diritto naturale) sono destinati a essere abbandonati, perché privi di basi
teorico-fattuali In Italia, come vengono accolte dalla magistratura le
evidenze neuroscientifiche? E a livello internazionale?
L’Italia è all’avanguardia, se così si può dire, nell’uso di prove
neuroscientifiche in tribunale. Due sentenze in particolare, Trieste 2009 e
Como 2011, riconobbero il ruolo causale di tratti neurogenetici nel
comportamento delittuoso, e di conseguenza attribuirono uno sconto di
pena. Le sentenze italiane sono state accolte con allarme in diversi
contesti internazionali. Ma c’è poco da fare: se queste conoscenze e tecnologie
acquisiranno una base sperimentalmente solida e consentiranno di prevedere con
buona attendibilità le predisposizioni a commettere reati, è inevitabile che
entreranno a far parte dello strumentario di lavoro dei giudici.
Tuttavia, esiste un’ambivalenza in Italia, come in altri paesi, verso l’uso
delle prove neuroscientifiche. Intanto in Italia non tutti i giudici hanno
ancora chiaro cosa sia una perizia neuroscientifica e ignorano
criteriepistemologicamente validi e formalmente definiti per scegliere periti
che apportino davvero prove scientifiche e controllate nel contesto di un
dibattimento processuale. Ciò sebbene la Cassazione abbia in sentenze recenti
fatto proprio lo Standard Daubert, che elenca regole di ammissibilità delle
prove nei processi statunitensi. Inoltre, si tratta comunque di definire
cosa implica una diminuita imputabilità per colui che commette un reato, in
quanto le sue azioni e decisioni dipendevano dal modo di funzionare del
cervello e dalla sua dotazione genetica. Questo individuo è meno libero di
altri e quindi anche meno responsabile, e quindi le sanzioni dovrebbero essere
volte a ridurre al minimo le probabilità di reiterazione del o dei reati.
[1] Il riferimento è al noto scritto di J. Greene, J. Cohen, For the law,
neuroscience changes nothing and everything, in Philos Trans R Soc Lond B Biol
Sci, 359, 2004, pp. 1775 ss. Gilberto Corbellini. Keywords: Dawkins’
selfish gene – read selfish gene – medicina in Roma antica -- evoluzione,
emergentismo, biologia filosofica, grammatical del vivente, cooperazione,
altruismo, razionalita, utilitarismo, darwinismo sociale. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Corbellini” – The Swimming-Pool Library.
CORDESCHI (L’Aquila).
Filosofo. Grice: “Cordeschi is fine if you are into how we can model a pirot
from an automaton – Descartes’s old idea!” -- Roberto Cordeschi (L'Aquila)
filosofo. Si laurea a Roma sotto Somenzi.
Si appassiona subito alla storia della cibernetica, di cui Somenzi fu tra i
primi studiosi e contributori in Italia. Con la co-supervisione di Radice
discute una tesi sui Teoremi di incompletezza di Gödel. Insegna a Morino,
Avezzano, Torino, Roma, e Saerno. Altre opere: “Turing” – homo mechanicus (Alan
Mathison); “Turing’s homo mechanicus” (Pisa: Edizioni della Normale); “La
cibernetica in Italia” (Roma: Scienze, Istituto della Enciclopedia Italiana); “Un
padrino per l’Intelligenza Artificiale. Sapere; “L’intelligenza meccanica”;
Alfabeta; “Dalla cibernetica a internet: etica e politica tra mondo reale e
mondo virtuale; “Dal corpo bionico al corpo sintetico. Roma: Carocci);
“Somenzi. testimonianze. Mantova: Fondazione Banca Agricola Mantovana); “Natura,
machina, cervello e conoscenza”; “Autonomia delle macchine: dalla cibernetica
alla robotica bellica” (Roma: Armando); “Rap-resentare il concetto: filosofia e
modello computazionale”. Sistemi Intelligenti, “Fare a meno delle metafore: il
metodo sintetico e la scienza cognitive” (Milano: Franco Angeli). Nuove
prospettive nell’Intelligenza Artificiale, XXI SecoloNorme e idee. Roma:
Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani), “Quale coscienza artificiale?
Sistemi intelligenti, “Adattamento” e “selezione” nel mondo della natura”
(Milano: Franco Angeli); “Computazionalismo sotto attacco” (Padova: CLEUP); Premessa
al Documento di Dartmouth, Sistemi Intelligenti, “Psicologia, fisicalismo e
Intelligenza Artificiale. Teorie e Modelli; “Forme e strutture della
comunicazione linguistica. Intersezioni. Filosofia dell’intelligenza
artificiale. In Floridi L., a cura di. Linee di ricerca, SWIF. Una lezione per
la scienza cognitiva. Sistemi Intelligenti, Funzionalismo e modelli nella Scienza
Cognitiva. Forum SWIF. CVecchi problemi filosofici per la nuova Intelligenza
Artificiale. Networks. Rivista di Filosofia dell’Intelligenza Artificiale e
Scienze Cognitive, In ricordo di Vittorio Somenzi Quaderno Filosofi e Classici
SWIF; Intelligenza artificiale. Manuale per le discipline della comunicazione.
Roma: Carocci. L’intelligenza Artificiale: la storia e le idee. Roma: Carocci);
“Naturale e artificiale” (Bari: Edizioni Laterza); La scoperta
dell’artificiale. Psicologia, filosofia e macchine intorno alla cibernetica.
Milano-Bologna: Dunod-Zanichelli); “Pensiero meccanico” e giochi
dell’imitazione. Sistemi Intelligenti; Prospettive della Logica e della
Filosofia della scienza. Atti del Convegno SILFS. Pisa: ETS. I modelli della
vita mentale, oggi e domani. Giornale Italiano di Psicologia, Filosofia della
mente. Quaderni di Le Scienze, L’intelligenza artificiale. In: Bellone, E.,
Mangione, C., a cura di. Geymonat L., Storia del pensiero scientifico. Il
Novecento, 3, Milano: Garzanti); Somenzi,
V., La filosofia degli automi. Origini dell’intelligenza artificiale. Torino:
Bollati Boringhieri); Indagini meccanicistiche sulla mente: la cibernetica e
l’intelligenza artificiale. In: Somenzi, V., Cordeschi, R., a cura di. La
filosofia degli automi. Origini dell’intelligenza artificiale. Torino: Bollati
Boringhieri: Qualche problema per l’IA classica e connessionista. Lettera
matematica PRISTEM, Una macchina protoconnessionista. Pisa: ETS: Le radici
moderne del recupero scientifico della teologia. Nuova Civiltà Delle Macchine);
Scienza e filosofia della scienza; La mente nuova dell’imperatore. La mente, i
computer, le leggi della fisica. Milano. Wiener. In: Negri, A., a cura di.
Novecento Filosofico e Scientifico. Protagonisti, 5, Milano: Marzorati, Turing. In: Negri, A., a
cura di. Novecento Filosofico e Scientifico. Protagonisti, 5, Milano: Marzorati: Significato e
creatività: un problema per l’intelligenza artificiale. L’Automa spirituale:
Menti, Cervelli e Computer, Cervello, mente e calcolatori: précis storico
dell’intelligenza artificiale. In: Corsi, P., a cura di. La fabbrica del
pensiero. Dall’arte della memoria alle neuroscienze, Milano: Electa: L’intelligenza
artificiale tra psicologia e filosofia. Nuova Civiltà delle Macchine, Mente,
linguaggio e realtà. Milano: Adelphi. Linguaggio mentalistico e modelli
meccanici della mente. Osservazioni sulla relazione di Margaret Boden.
L’evoluzione dei calcolatori e l’intelligenza artificiale. Manuscript; La psicologia
meccanicistica, Storia e critica della psicologia, La teoria dell’elaborazione
umana dell’informazione. Aspetti critici e problemi metodologici. Roma: Editori
Riuniti); Dal comportamentismo alla simulazione del comportamento. Storia e
Critica della Psicologia, I sillogismi di Lullo. Atti del Convegno
Internazionale di Storia della Logica. San Gimignano: Il duro lavoro del
concetto: il neoidealismo e la razionalità scientifica. Giornale critico della
Filosofia Italiana; La psicologia come scienza autonoma: Croce, De Sarlo e gli
“sperimentalisti”. Per un’analisi storica e critica della Psicologia, 2Dietro
una recensione crociana di Couturat. Quaderni di Matematica, Metodi per la
risoluzione dei problemi nell’intelligenza artificiale, Per un’analisi storica
e critica della psicologia, 2. Manuscript. La psicologia tra scienze della
natura e scienze dello spirito: Croce e De Sarlo. In: Cimino G., Dazzi N.
(1980), a cura di. Gli studi di psicologia in Italia: Aspetti teorici
scientifici e ideologici, Quaderni di storia critica della scienza. Nuova
serie. 9, Pisa: Domus Galileana); Una critica del naturalismo: note sulla
concezione crociana delle scienze. Critica marxista; Introduzione alla logica.
Roma: Editori Riuniti. Predicati. In: CIntroduzione alla logica. Roma: Editori
Riuniti. Elementi di logica matematica. Roma: Editori Riuniti); Bilancio
dell’empirismo contemporaneo. Scientia; La filosofia di Leibniz: esposizione
critica con un’appendice antologica. Roma: Newton Compton Italiana); Filosofia
e informazione. Padova: La Cultura; Validità e reiezione nella logica
aristotelica. Il problema della decisione. Report: Storia della Filosofia
Antica. Istituto di Filosofia, Roma. Manuscript. In generale, nella implicatura
robotica c’è la tendenza a ricorrere al vocabolario delle rappresentazioni solo
quando, per così dire, non se ne può fare a meno, ovvero, più precisamente,
quando si lascia il livello puramente reattivo nel quale il lessico delle
rappresentazioni sarebbe banale, per passare a quello topologico e, a maggior
ragione, a quello metrico o delle mappe cognitive. Due robot puramente reattivi
sono capaci di risolvere alcuni compiti per i quali, nella ricerca su animali
(la squarrel Toby di Grice), si erano invocate rappresentazioni complesse come
le mappe cognitive. Questi stessi robot reattivi, man mano che si riducono le
restrizioni sull’ambiente, diventano sempre meno abili nell’affrontare quegli
stessi compiti, che possono essere risolti solo da agenti dotati di stati
interni (attitudine psicologica) ai quali essi riconoscono lo status di
rappresentazioni. La massima sarebbe in questi casi quella di esaminare tutti i
modi possibili di spremere l’ultima goccia di informazione dal livello reattivo
prima di parlare dell’influenza della rappresentazione, modello del mondo o
mappa sul comportamento intelligente. Circa la natura delle rappresentazioni,
una volta ammesse, le opinioni sono contrastanti, e riflettono la varietà dei
punti di vista ormai usuale in intelligenza artifiziale e intelligenza
naturale, classica o nouvelle che sia. Si può parlare di rappresentazione anche
per i pattern connessionisti, a patto di distinguere la relativa computazione.
La rappresentazione e solo simbolica, quale che sia la loro complessità, e un
pattern connessionista, non essendo considerato simbolico, non e una
rappresentazione. Si parla di una rappresentazione che possono essere di
diversa complessità e accuratezza, esplicita (spliegatura) o implicita
(impiegatura), metrica o topologica, centralizzata o distribuita. E in generale
si parla di ra-presentazione simbolica quando si è in presenza di un costrutto
dotato di proprietà ritenuta analoga a quella del segno. Ricorrenti valutazioni
polemiche da parte di alcune tendenze dell’IA nouvelle identificano
nell’Ipotesi del Sistema Fisico di Simboli il paradigma linguistico per
eccellenza dell’IA classica. Tuttavia, un confronto di qualche anno fa tra sostenitori
e critici di questa ipotesi mostra come questa interpretazione sia quanto meno
opinabile. Sarebbe opportuno tenerne conto, per evitare di porre in un modo
troppo sbrigativo l’identificazione tra simbolo e il concetto piu generale di segno in IA
classica e per affrontare senza pregiudizi i difficili problemi che stanno alla
base della costruzione di un modello di conversazione, tra i quali quello della
natura della rappresentazione. Mi riferisco all’interpretazione in termini di un
sistema di elaborazione simbolica dell’informazione (dunque in termini di un
sistema fisico materiale di simboli) di sistemi tradizionalmente non
considerati tali, come quelli proposti dai teorici dell’azione situata. L’idea
di simbolo che sta alla base di questa ipotesi è che un simbolo è un pattern
che denota, e la nozione di denotazione è quella che dà al simbolo la sua
capacità rappresentazionale. Il pattern puo denotare altro pattern, sia interni
al Si veda per una formulazione particolarmente esplicita (Gallistel 1999). 12
Detto in breve, tali proprietà riguardano, tra l’altro, la produttività, ovvero
la capacità di generare e capire un insieme illimitato di frasi, e la
sistematicità, ovvero la capacità di capire ad esempio tanto aRb quanto bRa.
Fodor ne ha fatto la base per la sua controversa ipotesi del “linguaggio del
pensiero” Per una introduzione all’argomento, si veda (Di Francesco 2002). 13
Per pattern si intende, come sarà più chiaro nel seguito, una struttura fisica,
biologica o inor- ganica, che può essere oggetto di processi
computazionali—codifica, decodifica, registrazione, cancellazione, cambiamento,
confronto—i quali occorrono in sistemi diversi, in un calcolatore e nel sistema
nervoso, anche se in quest’ultimo caso non sappiamo nei dettagli come. Questa
tesi provocò diverse reazioni (si vedano i volumi 17 e 18 di Cognitive
Science). Si noti che nelle intenzioni di Simon e Vera la tesi non comporta che
ogni pattern sia dotato di meccanismo sistema che esterni ad esso (nel
mondo reale), e anche stimoli sensoriali e azioni motorie. Processi tanto
biologici quanto inorganici possono essere simbolici in questo senso e, dal
punto di vista sostenuto da Simon e Vera, i relativi sistemi sono sempre
sistemi fisici di simboli, ma a diversi livelli di complessità. Per esempio,
nel caso più semplice che riguarda gli organismi, anche l’azione riflessa
(subcorticale) è un processo simbolico: la codifica di un simbolo provocata da
un ingresso sensoriale, poniamo la bruciatura di una mano, dà luogo alla
codifica di un simbolo motorio, con la conseguente rapida effettuazione
dell’azione, in questo caso il ritirare la mano. Più precisamente, l’idea è che
“il sistema nervoso non trasmette certo la bruciatura, ma ne comunica l’occorrenza.
Il simbolo che denota l’evento [la brucia- tura] viene trasmesso al midollo
spinale, che a sua volta trasmette un simbolo ai mu- scoli, i quali esercitano
la contrazione che consente di ritirare la mano.” Nel caso degli artefatti, già
il solito termostato è un sistema fisico di sim- boli, sebbene particolarmente
semplice: il suo livello di tensione è un simbolo che denota uno stato del
mondo esterno. Come ho ricordato, anche Brooks ha finito per riconoscere alle
rappresentazioni un loro ruolo nel comportamento dei suoi robot, se non altro
alle rappresentazioni “relati- ve al particolare compito per il quale sono
usate” (i “modelli parziali del mondo”), quali potrebbero essere, a diversi
livelli di complessità, quelle usate da agenti naturali come Cataglyphis o da
agenti artificiali come Toto o il solutore di labirinti sopra ri- cordato.
Simon e Vera considererebbero senz’altro agenti del genere come sistemi fisici
di simboli, dotati di un’attività rappresentazionale molto sofisticata, anche
se specializzata a un compito particolare. Ma essi includono tra i sistemi
fisici di simboli anche artefatti molto più semplici, come il ricordato
termostato, e agenti robotici pu- ramente reattivi o collocabili al livello del
taxon system (che, seguendo Prescott, era stato definito come una catena di
associazioni consistenti in coppie <stimolo, risponsa>). Secondo i due
autori, i primi robot alla Brooks sono (un tipo relativamente sem- plice di)
sistemi fisici di simboli: anche l’interazione senso-motoria diretta di un
agen- te con l’ambiente nella misura in cui dà luogo a un comportamento
coerente alle rego- larità dell’ambiente, non può essere considerata se non
come manipolazione simboli- ca. Ho ricordato sopra il semplice comportamento
reattivo di Allen, che tramite sonar evita ostacoli presenti in un ambiente
reale. In questo caso, i suoi ingressi sensoriali danno luogo a un processo di
codifica, e i costrutti in gioco (i simboli, secondo la definizione sopra
ricordata) che risultano da tale interazione sensoriale, e poi motoria,
dell’agente con l’ambiente sono rappresentazioni interne (degli ostacoli
esterni da evitare) in un senso non banale: l’informazione sensoriale captata
dal robot è converti- ta in simboli, i quali sono manipolati al fine di determinare
gli appropriati simboli motori che evocano o modificano un certo comportamento.
L’assenza di memoria in questo tipo di agente comporta che l’azione sia
eseguita senza una rappresentazione esplicita del piano e dell’obiettivo che
orienta l’azione stessa (senza pianificazione), ma non che non ci sia attività
rappresentazionale simbolica. Qual è la natura di questi simboli, di queste
rappresentazioni simboliche? denotazionale, cosa che evidentemente renderebbe
banale questa definizione di simbolo: ci sono pattern che non denotano, tanto naturali
quanto artificiali. Sulla sufficienza della denotazione per caratterizzare la
nozione di simbolo (come di rappresen- tazione) si è molto discusso. Nel caso
degli artefatti più semplici si tratta di rappresentazioni analogiche che
stabiliscono e mantengono la relazione funzionale del sistema con l’ambiente.
Questo, si è visto, è già vero per il solito termostato. Nel caso di (come pure
di certi sistemi connessionisti, o che includono sistemi connessioni- sti),
tali rappresentazioni (analogiche) hanno carattere temporaneo (senza intervento
di memoria) e distribuito (non sono sottoposte a controllo centralizzato). In
questi casi, una rappresentazione certo imprecisa ma sufficientemente efficace
è fornita da un sonar sotto forma di un pattern interno fisico (un pattern di
nodi della rete, nel caso di un sistema connessionista): essa denota o
rappresenta per il robot un ostacolo o una certa curvatura di una parete o di
un percorso. Una volta che tale pattern venga comu- nicato a uno sterzo, esso
determina l’angolo della ruota sterzante del carrello del ro- bot. Per quanto
diversa a seconda dei casi, è sempre presente un processo di codifica-
elaborazione-decodifica non banale, che stabilisce una ben precisa relazione
funziona- le tra il sistema e l’ambiente, e spiega il comportamento coerente
dell’agente nell’interazione con il mondo. Non parlare di rappresentazioni
interne, e limitarsi a dire che un agente “intrattiene certe relazioni causali
con il mondo, non spiega come tali relazioni vengano mantenute. E’ del tutto
ragionevole sostenere che un agente mantiene l’orientamento verso un oggetto
tramite una relazione causale (Grice, “La teoria causale della percezione”) con
esso e che tale relazione è un pattern di interazione, ma non ha senso pensare
che tale pattern venga prodotto per magia, senza un corrispondente cambiamento
di stato rappresenta- zionale dell’agente, ovvero che esso possa aver luogo
senza una rappresentazione interna fosse pur minima.” Rappresentazioni più complesse,
che sono alla base di un’attività non semplicemente percettiva diretta, sono
presenti in altri casi, quando entrano in gioco la me- moria, l’apprendimento,
il riconoscimento di oggetti e l’elaborazione di concetti, la formulazione
esplicita di una mappa o di piani alternativi, sotto forma di rappresentazioni
off-line, e ancora. In molte di queste attività “alte” intervengono
rappresentazioni esplicite, linguistiche e metriche, ma se si riconosce che la
cognizione richiede questo tipo di rappresentazioni, è difficile mettere in
dubbio che tali attività non condividono con attività più “basse” come la
percezione, sulle quali esse vengono elaborate, il meccanismo denotazionale,
sia pure in una forma minimale. A meno di restringere arbitrariamente la nozione
di rappresentazione e di simbolo, non c’è ragione di riservarla esclusivamente
a pattern linguistici, o ai costrutti della semantica denotazionale (variabili
da vincolare ecc.). Penso si possa sottoscrivere questa conclusione di Bechtel:
“la nozione base [di rappresentazione] è effettivamente minimale, tale da
rende- re le rappresentazioni più o meno ubique. Esse sono presenti in ogni
sistema organiz- zato che si è evoluto o è stato progettato in modo da
coordinare il suo comportamento con le caratteristiche dell’ambiente. Ci sono
dunque rappresentazioni nel regolatore, nei sistemi biochimici e nei sistemi
cognitivi”. Il riferimento di Bechtel al regolatore di Watt è polemico nei
confronti di van Gelder, che ne faceva il prototipo della sua concezione non
computazionale e non simbolica della co- gnizione. In realtà questo tipo di
artefatti analogici (sistemi a feedback negativo e servomecca- nismi) erano
stati interpretati come sistemi rappresentazionali già all’epoca della cibernetica,
in primo luogo da Craik, che ne aveva fatto la base per una “teoria simbolica
del pensie- ro”, come egli la chiamava, per la quale “il sistema nervoso è
visto come una macchina calcola- trice capace di costruire un modello o un
parallelo della realtà”. Non entriamo in questa sede sui diversi problemi relativi
al contenuto delle Simon e Vera distinguono il livello della
modellizzazione simbolica da quello della realizzazione fisica (sia biologica
che inorganica) di un agente. Nell’interazione con l’ambiente, un agente ha un’attività
rappresentazionale che è data dalle caratteri- stiche specifiche del suo
apparato fisico di codifica-elaborazione-decodifica di simboli. Si pensi ancora
alla codifica, molto approssimativa ma generalmente efficace, at- traverso
sonar degli ostacoli da parte di un robot reattivo, e alla relativa decodifica
che si conclude in un ben determinato movimento. La modellizzazione simbolica
di questa capacità non appare in linea di principio diversa da quella “alta”
sopra ricordata. L’idea è che tutti questi tipi o livelli di rappresentazioni,
da quelli legati alla percezio- ne a quelli più alti della “ricognizione”,
possono essere opportunamente modellizzati attraverso regole di produzione,
come livello di descrizione di un sistema fisico di simboli. Un robot basato
sull’architettura della sussunzione non fa eccezione. Ad esempio, il
funzionamento di un modulo reattivo al livello più basso dell’architettura, che
con- trolla la reazione di evitamento di ostacoli, potrebbe essere reso da
un’unica regola di produzione del tipo “se c’è un ostacolo rilevato attraverso
sonar e bussola allora fermati”. Questa possibilità sembra essere stata presa
in considerazione dallo stesso Brooks, che però la respingeva in questi
termini: “Un sistema di produzione standard in realtà è qualcosa di più [di un
robot behavior-based], perché ha una base di regole dalla quale se ne seleziona
una attraverso il confronto tra la precondizione di ogni regola e una certa
base di dati. Le precondizioni possono contenere variabili che de- vono essere
confrontate con costanti nella base di dati. I livelli dell’architettura della
sussunzione funzionano in parallelo e non ci sono variabili né c’è bisogno di
tale confronto. Piuttosto, vengono estratti aspetti del mondo, che evocano o
modificano direttamente certi comportamenti a quel livello. Tuttavia, se
distinguiamo il livello della realizzazione fisica da quello della sua
modellizzazione, quella che Brooks chiama l’estrazione degli “aspetti del
mondo” rilevanti per l’azione è descritta in modo adeguato da un opportuno
sistema di regole di produzione, e tramite tale sistema un certo comportamento
di una sua creatura può essere evocato o modificato nell’interazione con
l’ambiente. E questo modello (a regole di produzione) delle regolarità comportamentali
di diversi livelli dell’architettura della sussunzione può essere implementata
in un dispositivo che, grazie all’elevato grado di parallelismo, presenta doti
di adattività, robustezza e rispo- sta in tempo reale paragonabili a quelle di
un dispositivo behavior-based. In questo senso, le regole di descrizione danno
una modellizza- zione adeguata del comportamento di un agente situato. Oltre
alle risposte automatiche, che nel caso dell’azione riflessa o “innata” e di
quella reattiva possono essere rese attraverso un’unica regola di produzione
(qualcosa che corrisponda a una relazione comportamentista S→R), esistono le
azioni automa- rappresentazioni, al ruolo dell’utente degli artefatti e alla
natura della spiegazione cognitiva. L’articolo di Bechtel contiene una disanima
efficace di questi problemi, rispetto a posizioni diverse come quella sostenuta
da Clancey contro la tesi di Vera e Simon. In breve, le regole di produzione
hanno la forma “se... allora”, o CONDIZIONE → AZIONE. La memoria a lungo termine
di un sistema fisico di simboli è costituita da tali regole: gli antecendenti
CONDIZIONE permettono l’accesso ai dati in memoria, codificati dai conseguenti
AZIONE. tizzate a seguito dell’apprendimento, quando cioè le regolarità
relative a un certo comportamento sono state memorizzate, o quelle che
comportano una relazione “di- retta” con il mondo tramite le affordance alla
Gibson. Un esempio sono le risposte immediate che fanno seguito a
sollecitazioni improvvise o impreviste provenienti dall’ambiente Ora i teorici
dell’azione situata (e, come si è visto, i nuovi robotici) insistono sul fatto
che questi casi di interazione diretta con l’ambiente si svolgono in tempo
reale, senza cioè che sia possibile quella presa di decisione, diciamo così,
meditata che ri- chiede la manipolazione di rappresentazioni e la
pianificazione dell’azione. Si pensi all’esempio di Winograd e Flores
dell’automobilista che, guidando, affronta una curva a sinistra. In primo
luogo, secondo i due autori, non è necessario che egli faccia continuamente
riferimento a conoscenze codificate sotto forma di regole di produzione—non è
necessario riconoscere una strada per accorgersi che è “percorribi- le” (la
“percorribilità”, questa è la tesi, è colta nella relazione diretta agente-
ambiente). In secondo luogo, la decisione è presa dall’agente, per così dire,
senza pensarci (senza pensare di posizionare le mani, di contrarre i muscoli,
di girare lo sterzo in modo che le ruote vadano a sinistra ecc.). Tutto ciò
avviene automaticamente e immediatamente, dunque senza applicare qualcosa come
una successione di regole di produzione “se p, q”. In conclusione, la tesi è che
non è possibile modellizzare questo aspetto della presa di decisione
istantanea, o in tempo reale, attraverso un dispositivo che comporta
codifica-elaborazione-decodifica di simboli, dunque computazioni, regole di
produzione e così via. L’obiettivo della critica di Winograd e Flores è la
teoria della presa di decisione nello spazio del problema, con il quale ha a
che fare l’agente a razionalità limitata di Simon. Ora, se prendiamo sul serio
la teoria di Simon, va detto che alla base del carat- tere limitato della
razionalità dell’agente sta la complessità dell’ambiente non meno dei limiti
interni dell’agente stesso (limiti di memoria, di conoscenza della situazione
ecc.). Nel prendere la decisione, quest’ultimo, secondo la teoria di Simon, in
generale non è in grado di considerare, come spazio delle alternative
pertinenti, lo spazio di tutte le possibilità, ma solo una parte più o meno
piccola di esso, e questa selezione avviene sulla base delle sue conoscenze,
aspettative ed esperienze precedenti. Ora una presa di decisione istantanea,
non meno di una presa di decisione meditata, è condi- zionata da questi
elementi, i quali, una volta che abbiano indotto, poniamo attraverso
l’apprendimento, la formazione di schemi automatici di comportamento (di
risposte motorie, nell’esempio di sopra), finiscono per determinare
l’esclusione immediata di certe alternative possibili (come, nell’esempio della
guida, innestare la marcia indietro) a vantaggio di altre (come scalare marcia,
frenare ecc.), e tra queste altre quelle suggerite dalla conoscenza
dell’ambiente stesso (fondo strada bagnato ecc.) e dalle Le affordance, nella
terminologia di Gibson (1986) sono invarianti dell’ambiente che vengo- no
“colte” (picked up) dall’agente “direttamente” nella sua interazione con
l’ambiente stesso, e “direttamente” viene interpretato come: senza la
mediazione di rappresentazioni e di computa- zioni su esse. Un esempio sono i
movimenti dell’agente in un ambiente nel quale deve evitare oggetti o seguirne
la sagomatura e così via: un po’ quello che fanno i robot reattivi di cui ho
parlato. L’esempio del termostato è ricorrente in scienza cognitiva e in
filosofia della mente dai tempi della cibernetica. E’ evidente che definire
sistemi fisici di simboli artefatti di questo tipo (e del tipo dei robot di
Brooks, come vedremo) comporta rinunciare al requisito dell’universalità per
tali sistemi (sul quale si veda Newell 1980). aspettative pertinenti.17
Secondo le stesse parole di Simon “il solutore di problemi non percepisce mai
Dinge an sich, ma solo stimoli esterni filtrati attraverso i propri pre-
concetti” (Simon 1973: 199). Di norma, dunque, l’informazione considerata
dall’agente non è collocata in uno spazio bene ordinato di alternative,
generato dalla formulazione del problema: tale informazione è generalmente
incompleta, ma è pur sempre sostenuta dalla conoscenza della situazione da
parte dell’agente. La proposta è, dunque, che la modellizzazione a regole di
produzione di un’azione del genere, e in generale di una affordance, è un
simbolo che, via il sistema percettivo di codifica, raggiunge la memoria del
sistema per soddisfare la CONDIZIONE di una regola di produzione esplicita. In
questo modo, soddisfatta la CONDIZIONE, si attiva la regola, e la produzione
(la decodifica) del simbolo di AZIONE avvia la risposta motoria. Da questo
punto di vista, le affordance sono rappresentazioni di pattern del mondo
esterno, ma con una particolarità: quella di essere codificate in un modo
particolar- mente semplice. Nell’esempio di sopra, una volta che si sia
imparato a guidare, la regola è qualcosa come: “se la curva è a sinistra allora
gira a sinistra”. Questa regola rappresenta la situazione al livello funzionale
più alto nel quale la rappresentazione che entra in gioco è “minima”. Un
termine del genere, a proposito delle rappresentazioni, lo abbiamo visto usato
da Gallistel, ma per Simon e Vera il termine rimanda alla forma della regola
indicata, che può essere rapidamente applicata: in questo caso, cioè, non c’è
bisogno di evocare i livelli “bassi” o soggiacenti, quelli coinvolti con
l’analisi dettagliata dello spazio del problema e con l’applicazione delle
opportune strategie di soluzione, che comportano computazioni generalmente
complesse, sotto forma di successioni di regole di produzione. Questi livelli
intervengono nelle fasi dell’apprendimento (quando si impara come affrontare le
curve), e possono essere evocati dall’agente quando la situazione si fa
complicata (si pensi a una curva a raggio variabile, che rivela la complessità
dell’interazione codi- fica percettiva-decodifica motoria). E tanto un
apprendimento imperfetto quanto una carenza, per i più svariati motivi, dell’informazione
percettiva rilevante possono anche ostacolare l’accesso ai livelli soggiacenti
che potrebbero dare luogo alla risposta cor- retta (non tutti coloro che hanno
imparato a guidare riescono ad affrontare tutte le curve con pieno successo in ogni
situazione possibile). Insomma, in questa interpretazione di Simon e Vera
l’interazione in tempo reale dell’agente con l’ambiente è data non dal fatto di
essere non simbolica e di non poter essere modellizzata mediante regole di
produzione, ma dal fatto di non dover accede- re, per dare la risposta
corretta, alla complessità delle procedure di elaborazione sim- bolica dei livelli
soggiacenti a quello alto. E’ nell’attività cognitiva ai livelli soggiacenti,
allorché si elaborano piani e strategie di soluzione di problemi, che viene evidenziata
la consapevolezza dell’agente. Simon e Vera ponevano infine un problema che
riguarda i limiti degli approcci reattivi, sul quale mi sono già soffermato, e
che mi sembra condivisibile: “E’ tuttora dubbio se questo approccio
behavior-based si possa estendere alla soluzione di pro- blemi più complessi.
Le rappresentazioni non centralizzate e le azioni non pianificate possono
funzionare bene nel caso di creature insettoidi, ma possono risultare insuffi-
cienti per la soluzione di problemi più complessi. Certo, la formica di Simon
non ha 17 Su questo tipo di comportamento, che può essere visto in termini di
“percezione attesa”, si veda bisogno di una rappresentazione centralizzata e
stabile del suo ambiente. Per tornare al nido zigzagando essa non usa una
rappresentazione della collocazione di ciascun gra- nello di sabbia in
relazione alla meta. Ma gli organismi superiori sembrano lavo- rare su una
rappresentazione del mondo più robusta, [...] una rappresentazione più complessa
di quella di una formica, più stabile e tale da poter essere manipolata per
astrarre nuova informazione”. La successiva evoluzione della robotica sembra
confermare questa osservazione.
Roberto Cordeschi. Keywords: Croce, sperimentalismo italiano, mente,
homo mechanicus, Turing, Craik, artificiale e naturale, filosofia,
rappresentare il concetto, logica matematica, reiezione in Aristotele,
predicate, significato, communicazione, creativita, informazione. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Cordeschi” – The Swimming-Pool Library.
CORLEO (Salemi). Filosofo.
Grice: “Corleo is a genius -- His
keyword is identity, the Hegelian type, and that’s why he attracted Gentile’s
attention! But my favourite is his excursus on language! He talks like a
veritable Griceian – about ‘intenzione’ and ‘pre-convezione’ – and the
spontaneous cry to seek attention, Romolo from Remo, say – He very much
elaborates on the subject and the predicate and the copula, and the other parts
of speech – But he retains an empiricist, evolutionary viewpoint with which I
wholly agree!” Studia nel Seminario vescovile di Mazara del Vallo, laureandose
a Palermo. Crea un seminario di psicologia filosofica. Liberale, aderì alla
rivoluzione siciliana. Su saggio, “Progetto per una adeguata costituzione
siciliana”. Durante la spedizione dei
mille, fu nominato da Garibaldi governatore di Salemi – Saggio: “Garibaldi e i
Mille”. Saggio: “Storia dell’enfiteusi dei terreni ecclesiastici in Sicilia”.
Diviene conte di Salemi. Altre opere: “Meditazioni
filosofiche”; “Il sistema della filosofia universale; ovvero, la filosofia
dell’identità”; “Per la filosofia morale”; “Lezioni di filosofia morale”. Dizionario
biografico degli italiani. La regola d'identità, dipendente
dall’esperienza e dal concetto appartene a qualunque specie di giudizio, giudizio
affermativo (S e P) o giudizio negativo (S non e P), giudizio condizionale (Si
p, q), giudizio tetico (S e P), giudizio ipotetico (Si p, q), giudizio disgiuntivo
(p o q), e via via ; poichè ,ogni proposizione o giudizio, semplice or
complessa, debbe congiungere un predicate ad un soggetto (S e P) o negare un
predicato ad un soggetto (S non e P), e ciò non può farsi altrimenti che in
forza della identità parziale o totale del predicato stesso col soggetto,
ovvero del contrario o contrapposto del predicato in caso di giudizio negativo,
sia cotesta identità assoluta, o sperimentale, sotto condizione, problematica,
o in forma disgiuntiva. Il raciocinio è un complesso di giudizi che serve a
scoprire una verità incognita per mezzo di una verità nota, o a dimostrare il
nesso ignoto tra due verità conosciute. Onde il raciocinio deve esser fodato
sulla medesima legge d'identità, che costituisce l'essenza dei giudizi di cui è
composto. Ogni passaggio da una verità ad un'altra, da un giudizio ad un altro,
è giustificato dalla connessione che deve esistere tra loro. Se connessione non
vi è, non si può dall'uno inferir l'altro, non vi è passaggio legittimo o
accettabile dal noto all'ignoto, e molto meno si può scoprire il nesso
incognito tra due veri conosciuti. Or, questa stessa connessione non è che
effetto d'identità. Parrà strano che la connessione si debba risolvere
anch'essa in identità; ma riflettendo con attenzione, si scorge chiaro che in
fondo è così, nè può essere altrimenti. Se S è connesso con P, ciò non importa
che S sia identico con P, ma importa invece che ambidue sieno identici con S-P,
cioè, che sieno parti integranti del tutto S-P, di guisa che la loro
connessione non *significa* o signa altro, che il loro legame necessario per la
formazione di quel tutto complesso proposizionale (S e P); onde se essi non
fossero con nessi a comporre il tutto S-P, quel tutto non sarebbe mai quello
che è, non sarebbe identico alla somma delle parti che lo costituiscono. Due o
più giudizi, tra loro connessi, sono parti integranti di un giudizio di maggiore
estensione che tutti li abbraccia, ed è identico con essi come il tutto è
identico con la somma delle sue parti. Laonde non può esser vero l'uno senza
che sia vero l'altro, perocchè in diverso non sarebbe vero quel giudizio
maggiore che risulta dalla verità di tutti i giudizi subalterni dai quali è
costituito. Se, per cagion d'esempio, prendiamo ad esaminare ogni teorema
geometrico intorno alle proprietà del “triangolo” in genere e delle varie sue
specie, scorgiamo tosto che vi ha una continua connessione tra cotesti teoremi,
nè puo uno esser vero se non sieno veri tutti gli altri di seguito; onde essi
si dimo strano a vicenda. La ragione di ciò è semplicissima. Essi non sono che
le parti necessarie di un solo tutto, del concetto di “triangolo” e delle sue
specie subalterne, e tutti più o meno mediatamente in quel concetto complessivo
sono compresi. Pertanto non vi ha che un identico totale (talora nemmeno
avvertito ), il quale, per esser quello che è, ha bisogno che ciascuna delle
sue parti sia quella che è, e che tutte insieme concorrano con unità di nesso a
costituirlo, come le parti si debbon legare fra loro per unirsi nella identità
di un sol tutto. Metto una grande importanza in queste osservazioni sul
raziocinio e sulla connessione (consequenza logica) de' suoi membri; poichè
l'unica che sembrerebbe scappare dalla rigorosa legge della identità sarebbe la
connessione tra i giudizi diversi (premessa e conclusion), di cui consta un
ragionamento. Eppure, quella connessione non è altro che il frutto
dell'identità totale di un giudizio maggiore e più esteso, il quale abbraccia come
sue parti necessarie ogni giudizio subalterno; e quelli sono per l'appunto
connessi, perchè tutti in sieme formano un solo e identico giudizio di più
larga estensione. Nè fa d'uopo che nel ragionare si abbia presente quel giudizio
maggiore, nel quale si congiungono con identità totale i giudizi connessi. Esso
opera senza che il ragionatore lo sappia, poichè è virtù dell'identico totale
riunire per necessità le parti fra di lor , senza di cui egli non potrebbe
esser quello che è. Ciò sapendo, chi ragiona può benissimo salire dai veri
connessi a quel vero più ampio che tutti li abbraccia e nella sua unità totale
li identifica. Sarà questo un sistema più completo di ragionare, perocchè non
ci contenteremo di scorgere il nesso tra parecchi giudizi, di procedere per
mezzo di tal nesso alla scoperta di un giudizio novella e di dire che uno
essendo vero, tutti gli altri debbono pure esser veri; ma cercheremo ancora in
qual giudizio plenario e più esteso essi tutti vadano a connettersi per la
identità di unico comune risultato. In ciò consiste l'analiticita logica. Il
raciocinio analitico ercano la dimostrazione dei teoremi singoli o la risoluzione
dei singoli problemi nella proprietà, o nella funzioni e simili, che sono
appunto i giudizii più ampli e plenary, nei quali tutti quei singoli
s'identificano come parti di un sol tutto. Nella parte logica la connessione
non è che l'identità del tutto più ampio con le sue parti subalterne, senza il
cui necessario legame egli non risulterebbe quello che è. Il ragionamento è
dimostrativo, quando serve a chiarire il nesso tra verità e verità. Dimostrare
niente altro è che legare tra loro i giudizi come connessi, e la connessione
pertanto vi è, perchè i loro rispettivi subbietti, quand'anco non si sappia, si
raggruppano in unico e identico subbietto più esteso che tutti li abbraccia
come tante sue parti: onde vi ha passaggio, dalla identità parziale di un
predicato P col suo soggetto S, all'identità parziale dell'altro predicato P2
con l'altro suo soggetto S2, e così di seguito; perocchè essi tutti
costituiscono un solo subbietto più esteso, che di tutti quei predicati si
compone, e che perciò è identico con la loro somma. Un subbietto subalterno non
potrebbe concorrere alla costituzione del subbietto totale, se non possedesse
quel tale predicato e se gli altri subalterni non possedessero quelli altri predicati;
onde la connessione fra tutti, se è vero l'uno, debbono esser veri gli altri,
ed *implicitamente* deve esser vero il giudizio totale, con cui tutti
s'identificano. È inventivo e non dimostrativo il raziocinio, quando, dalla
verità che si conosce, si passa a quella che s'ignora; ed anco in tal caso la
ragion del passaggio è fondata sulla connessione, e perciò sulla legge
d'identità, in quanto che dalla identità parziale che si conosce, si sospetta
prima e poi si scopre la identità totale. Per causa di alcuni punti d'identità
o di parziali somiglianze tra un fenomeno ed un altro, si concepisce la *possibile*
identità dei loro elementi in un sol tutto, e delle leggi che li governano. In
questo caso vi ha l'*ipotesi* o supposizione, che annunzia come *possibile*
identico totale quello che tuttora non è che un identico parziale. La
conoscenza dei punti, della cui identità bisogna ancora certificarsi, conduce a
cercare la medesima identità con quei mezzi, coi quali essa ordinariamente si
osserva in altri simili. Ed allora uno dei due, o si giunge all'accertamento
della identità di tutti gli elementi essenziali tra un fenomeno e l'altro, tra
una legge e l'altra, e si ha perciò l'identità totale, si ha la tesi o
posizione; o non si giunge ad accertarla per ostacoli presentemente
insuperabili, di cui però dobbiamo renderci conto, e si resta in tal caso nella
identità parziale, nella ipotesi o supposizione, pur sapendo quello che manca e
perchè manchi, per poterla trasformare in tesi o posizione quando che sia. Tanto
il raziocinio dimostrativo, quanto l'inventivo si valgono dell’esperienza
concetto; poichè la *testificazione* della identità parziale tra predicato e
soggetto di ogni giudizio, che compone un raziocinio, deve esser data
dall’esperienza. Se è composto di giudizi sperimentali, risulta pur esso
sperimentale; e la connessione dipende dalla loro parziale identità con un
giudizio sperimentale di ordine superiore, il quale talvolta nemmeno è
conosciuto, ma vi si deve giungere in forza di altre esperienze, come per lo
più accade nel raziocinio inventivo. Siccome pero il giudizio sperimentale e
tale temporaneamente, cioè fino a tanto che l'identità del predicato P col soggetto
S sia solo testificata dall'esperienza, perchè ancora tutti gli elementi di
essa non sono conosciuti, nè si ha l'identico concettuale che dovrebbe
trasformare in concettuale il giudizio em pirico, così i raziocinî
sperimentali, o anco misti, potranno divenire quando che sia raziocinî
concettuali, fondati sull'identità assoluta dei concetti, quando cioè
l'esperienza, per la perfetta analisi e sintesi delle parti col tutto, si eleva
a concetto fisso ed assoluto con la conoscenza degli elementi proporzionali che
costituiscono l'identico totale.Vi ha dunque passaggio dalle verità empiriche e
dai ragionamenti empirici alle verità assolute ed ai raziocinî concettuali, a
misura che la scienza progredisce nel conoscimento delle parti integranti che
costituiscono i subbietti dei giudizi sperimentali, ed a misura che essa
discopre il nesso tra quei subbietti parziali ed il subbietto più esteso che
tutti l'identifica in un complesso solo. È questo il doppio scopo finale
dell’uomo: la cognizione concettuale e necessaria dei fatti sperimentali per
mezzo degli elementi proporzionali che li costitui scono, e lo svolgimento dei
concetti più complessi nei loro con cetti subalterni, che sono del pari i loro
elementi costitutivi. Pertanto l'essenza del raziocinio non può essere collocata
in una forma piuttosto che in un'altra; essa consiste nel passaggio dalla
identità totale alle identità sparziali che la costituiscono, o dalle identità
parziali alla totale per mezzo della scoperta di quelle altre identità parziali
che sono con loro connesse per compiere l'identità totale. Bisogna dunque assi
curarsi, per mezzo dei concetti, della doppia identità delle parti e del tutto
per avere ragionamenti rigorosi; e non potendo giungervi per mezzo dei
concetti, assicurarsene per mezzo della esperienza. In questi due soli modi è
possibile il raziocinio. Chi cura soltanto la forma esteriore del ragionamento
e ripone la logica nello studio delle leggi della FORMA LOGICA, non prende di
mira lo scopo vero del raziocinio, che è l'accertamento della identità de' giudizi
connessi col tutto di cui sono parti; e perciò corre l'aringo di un VUOTO
FORMALISMO alla Hilbert, che non è mai garanzia sicura di esatti ragionamenti. Or,
perchè mai i subbietti di tali giudizi son dive nuti concettuali e perciò includono
necessariamente i loro pre. Tre sono state le più grandi logiche formali. La
prima e l’induzione primitiva: quella che argomenta dal particolare al
particolare per mezzo di un generale appoggiato ad altri particolari. La
seconda, quella che argomenta il generale dai particolari (necessario se i
particolari si presentano con caratteri di necessità , empirico se si
presentano soltanto come fatti di esperienza) per poter poi discendere dal
generale ad altri particolari: il sillogismo di Aristotele preceduto dalla
classificazione dei necessari e degli empirici, predicabili e predicamenti, che
costituiscono le sue categorie. Terza legge formale: la induzione di Bacone, e quella
che ascende dai particolari empirici ai generali pure empirici, adottata da
ogni naturalista sensista e positivista. Il sillogismo di Aristotele fu
scompagnato dalla sua precedente classificazione categorica per opera dei
neoplatonici come Porfirio e Boezio, che vollero così conciliare a forza
Aristotele con Platone, e poi per opera degli scolastici e dei moderni
idealisti. Essi hanno adottato la sola argomentazione dal generale al
particolare ponendo il generale come idea, che si afferma da sè per la sua
evidenza e pei caratteri di necessità, di universalità e di assolutezza che la
distinguono, senza indurre le categorie dalla classificazione dei fatti, come
fa Aristotele. Niuna pero di queste argomentazioni formali costituisce da sè un
esatto ragionamento: esse sono o inutili allo scoprimento del vero, o
pericolose di errore, o tali almeno che non posson menare al concetto
scientifico e necessario, perchè non conducono al vero identico totale. Difatti
la induzione primitiva argomenta da un particolare all'altro in forza
d'identità parziali; e peggio, da un certo numero di particolari, che si
somigliano in taluni punti, argomenta il generale. Perchè questa casa fuma,
perciò si brucia! E perchè il legno delle nostre cucine fumando si brucia,
perciò: OGNI cosa che fuma si brucia! Da somiglianze o identità parziali si
vuole argomentare l'identità totale di un fatto con un altro, o anche più,
l'identità totale di tutti i fatti che parzialmente si assomigliano. Il
sillogismo dei neoplatonici e degli scolastici , conchiudendo dal generale al
particolare e ponendo il generale in virtù della luce dell'idea, non trova mai
verità nuove. Poichè, s'io dico, che il tutto é maggiore della parte, e percið
ne deduco che il libro dicati, mentre altri rimangono soltanto empirici e
perciò la identità tra predicato e subbietto dev'essere soltanto attestata dal
l'esperienza? Chi fa che taluni giudizi siano concettuali ed altri non? D'altra
parte, è poi sicuro che le idee che noi abbiamo siano tutte esatte, e non può
accadere che vi si contengano predicati che loro non appartengano veramente, in
modo che apparisca una identità necessaria tra predicato e subbietto, mentre
essa non è che l'effetto di una inclusione di predicato che veramente nel
concetto non deve entrare? Quanto alla formazione di un concetto si deve
notare, che essa avviene per opera di astrazione, la quale procede in due modi,
o spontaneamente, per effetto d'identica presentazione dei punti identici delle
percezioni e di separazione dei diversi, ovvero riflessivamente e
volontariamente, cioè per deve esser maggiore di ciascuna pagina, non affermo
in conclusione una verità nuova; ma dico due proposizioni, di cui l'una è tanto
vera e tanto evidente, quanto è vera ed evidente l'altra, nè vi è affatto
ragionamento. Se però il generale è posto in forza di un cumulo di esperienze o
di fatti (sia quanto si voglia lungo ed esteso quel cumulo) si corre pericolo
di errare; poichè allora dalla similitudine, o dalla identità par ziale che
hanno fra loro alcuni fatti, si vuol provare che tutti gli altri, i quali
abbiano identità parziali conformi, debbano somigliarli in tutto il resto. È
allora una induzione mascherata sotto le forme assolute di un sillogismo.
Poichè, una delle due: o il particolare, di cui si cerca, si ebbe già presente
nella formazione del generale, o il generale fu formato per gli altri particolari
simili, ma senza di lui. Nel primo caso, lungi che il particolare, di cui si
cerca, acquisti luce dal generale, è desso che con corre a formarle. Nel second
, si ha il solito vizio di argomentare da alcune identità parziali, tra un
fatto particolare e gli altri dello stesso genere , alla loro totale identità.
Perchè moltissimi esseri che hanno la figura umana hanno la ragione, percio qua
lunque selvaggio che presenta la figura umana, deve avere la ragione? La
induzione baconiana ha lo stesso difetto, perocchè non potendo raccogliere che
un certo numero di fatti particolari, grande quanto pur si voglia, da’ essi
soli suo generale, e poi ne argomenta agli altri casi particolari per ragione
di parziali somiglianze. Essa inoltre non perviene mai al necessario ed
all'assoluto, perchè non giunge alla identità concettuale del tutto cogli
elementi che lo costituiscono. Tutto al più, vi giunge come la categorizzazione
di Aristotele (che per lui deve precedere il sillogismo), cioè ritiene
l'assoluto ed il necessario nel generale, perchè i particolari si presentano
anch’essi con tali caratteri di necessità e di assolutezza. Il tutto è
necessariamente maggiore della parte, o è assolutamente identico alla somma
delle parti, perchè con tale necessità ed assolutezza nei fatti singoli il
tutto si presenta in tali rapporti con le sue parti. Non si perviene mai
all'identico, si rimane sempre nell'empirico, in tutte coteste forme di
ragionare. Come la necessità ed assolutezza dell'idea si accetta empiricamente,
perchè essa con tali caratteri si presenta alla coscienza, cosi nelle varie suddette
forme di ragionare si rimane pur sempre nel passaggio empirico da identità parziali
ad altre parziali, o peggio, ad altre total , senza assicurarne la totale
identità . rea analisi che l'uomo fa di proposito sui complessi ancora inde
composti delle percezioni, e sugli stessi primi astratti tuttavia
decomponibili. Seguendo sempre la regola dell'identico e del di verso, con la
quale si forma idee tipiche e concettuali delle parti più salienti delle
percezioni, e di quelle altre che, pur connettendosi con le percezioni stesse,
non potranno mai divenire oggetto immediato di percezione. Nasce da ciò un
doppio ordine di concetti ben distinti, cioè di quelli che si formano spontaneamente
e primitivamente per l'identica presentazione dei punti identici delle
percezioni e per la spontanea separazione dei diversi, e di quelli altri che da
sè non si offrono, ma è neces sario l'uomo se li procuri colla propria
riflessione e col proprio studio, cioè con l'applicazione della legge
dell'identità nelle analisi ulteriori, e se li trasmetta tradizionalmente per
non per derli. Nel primo caso, l'identico tipico del concetto si costituisce da
sè spontaneamente, e perciò il predicato si trova tosto incluso nel soggetto
concettuale di cui fa parte. Nel secondo, l'identico tipico del concetto
riflesso si costituisce mediante la voro mentale, e per lungo tempo, in
mancanza dell'idea, è d'uopo ricorrere all'esperienza, affinchè essa testifichi
l'identità del predi cato col soggetto, non potendo nel soggetto trovarsi il
predicato a prima fronte, sino a tanto che non sorga netta e chiara l'idea in
tutte le sue parti costitutive. Nei concetti spontanei e primitivi, formati
dalla identificazione tipica dei punti più chiaramente identici delle percezioni,
non può esservi pericolo di errore, logicamente parlando; poichè identicamente
si presenta e si presenterà sempre ciò che identicamente si presenta, e
diversamente il diverso. Onde i concetti fissi, fondati sulla identità logica,
e perciò as loluti e necessarî. All'incontro, le idee (concetti riflessi) ela
borate dall'uomo, ben vero con la stessa regola della identità, ma composte di
elementi ch'egli astrae da gruppi diversi e che egli poi mette insieme, possono
per avventura non es sere logicamente esatte; poichè per un momento si fallisca
o per disattenzione, o per precipitanza, o per pregiudizi, alla rigorosa regola
della identità nel condurre l'analisi riflessa, o nel mettere insieme gli
elementi astratti dai gruppi diversi, potrà uscirne un'idea monca ed imperfetta
nel primo caso, erronea nel secondo. E quel ch'è peggio, divenuta tipica tale
idea che contiene o non contiene il predicato, l'operazione del giudizio o del
raziocinio, che verrà a cercarlo in essa, riuscirà difettiva oppure erronea,
come difettosa o erronea era l'idea. Difettiva o erronea l'idea (cioè, mancante
di elementi necessari, o intrusi in essa elementi che non le convengono), sarà
sempre causa di errore nel giudizio ideale che su di essa si fonderà per legge
logica d'identità, e conseguentemente nel raziocinio . Nello stesso modo,
un'esperienza mal condotta o per difetto o per syista e confusione di una cosa
con un'altra, sarà fonte d'errore nel giudizio empirico, e quindi nel
ragionamento che da esso prenderà le mosse. Gli errori di esperimento si
correggono con la ripetizione e col controllo di tutti quelli che se ne
occupano. Gli errori però dell'idea debbonsi correggere con un buono ed
accurato esame ideologico, al quale debbono collaborare tutti gli studiosi delle
rispettive materie. Ma qual sarà la regola, con la quale si potrà fare l'esame
delle idee, o di quei concetti riflessi che l'uomo si è formati col proprio
lavoro, per conoscere se elementi vi man chino, o se vi siano intrusi degli elementi
che non possono en trarvi? La regola dell'esame non può essere che quella
stessa la quale deve presiedere alla loro formazione, cioè quella del
l'identità totale dell'idea con l'identità parziale dei singoli ele menti che
la costituiscono. L'idea deve essere decomposta nei suoi elementi, e deve
essere osservato se tra essi e l'idea vi sia perfetta e totale identità : così
soltanto potranno includersi quelli che difettano e potranno escludersi quelli
che non convengono ; poichè nell'uno e nell'altro caso l'identico totale mostra
quello che gli manca, o quello che gli conviene, per essere quel che è. In tal
modo è possibile l'esame, e la rettificazione delle idee, occorrendo ; ed in
ciò consiste un buon trattato d'Ideologia. La scuola empirica , duce il Locke,
aveva già compreso la necessità dell'esame delle idee , all'oggetto di non
ammetterle soltanto in forza dei loro caratteri este riori di evidenza ,
necessità , universalità ed assolutezza , con cui s'impongono. La disposizione
che si dà al complesso de' giudizi ed ai ragionamenti, sia per esporre, sia per
dimostrare, sia per avviare alla ricerca, costituisce il metodo, il quale non
può avero altro scopo, che quello di condurre all'identico totale per mezzo di
tutti i suoi parziali, o ai parziali per la decomposizione del loro totale. Il
metodo sta ai ragionamenti, come il ragionamento sta ai giudizi: egli ha lo
scopo di fare un ragionamento com plessivo di tutti i ragionamenti subalterni
mediante la regola della doppia identità parziale e totale . Onde il vero
metodo scientifico è certamente analitico e sintetico insieme, man è l'ana lisi
sola, nè la sola sintesi, nè entrambe unite, potrebbero con durre a risultati
scientifici, se non avessero per rigorosa regola l'identità , e se non
mirassero al suo conseguimento finale in tutti i giudizi e raziocinî,
sperimentali, concettuali, o misti. Parlo del vero metodo scientifico; poichè
per comunicare alle masse i risultati della scienza, o per indurre in loro la
persua sione necessaria all'adempimento dei proprî doveri, una esatta analisi
degli elementi delle idee o dell'esperienze, ed una esatta loro sintesi,
all'oggetto di condurle a rigorosa identità totale, Perd essa voleva rimontare
, senza alcuna ragione nè possibilità di riuscita, alla ori gine cronologica
delle idee . Voleva inoltre, far provenire le idee dai sensi. Onde , in vece
della vera origine cronologica, ben difficile a trovarsi per le singole idee ,
diede spesso supposizioni romanzesche sulla prima nascita delle medesime , e
sopra tutto delle idee morali , col preteso stato naturale e col contratto
sociale . Tutte quelle idee che non potè giustificare coi sensi , le rigetto, o
le ammise alla credenza pubblica come necessità indemostrabili della nostra
natura. Onde i posteriori idealisti , visto l'inte lice esito dell'esame , son
tornati ad ammettere le idee in virtù della loro evidenza e dei loro caratteri
che s'impongono alla nostra ragione , sia ritenendole verità prime
indiscutibili ed indispensabili ad ogni ragionare (scuola del senso comune) ;
sia supponendole forme assolute del pensiero quidquid recipitur ad formam recipientis
recipitur (scuola kantiana ) ; sia riputandole innate e facienti parte del
nostro intel letto , almeno in una prima idea fondamentale , quella dell'essere
(*scuola rosminiana*) ; sia ammettendole come frutto d'interne azioni e reazioni
dello spirito (scuola di Herbart) ; sia credendole comunicazioni della mente
medesima di Dio, intuizioni, tocchi misteriosi (*scuole giobertiane*) , o anche
evoluzioni della stessa idea divina, assumente caratteri di progressiva
attuazione per la legge dialettica de contrari (scuola hegeliana ), attuazione
dell'idea in forza di volontà preordinante e producente (scuola di Schopenauher
), o attuazione inconscia ( scuola di Hartmann ). Tutti supposti, appoggiati a
me tafore, a superficiali osservazioni , o a dogmi , per dare una spiegazione
dei caratteri delle idee senza volerle esaminare in sè stesse , nei loro
attuali elementi costitutivi , adducendo a prova della impossibilità dello esame
l'infelice risultato ottenuto dagli empirici , i quali ebbero bensì il buon
volere , ed anche la presunzione dell'esame , senza mai averne studiato i mezzi
convenienti non sono punto possibili, nè anche utili. Laonde è d'uopo r correre
ad esperienze ovvie, a idee evidenti e generalment ammesse, per inferirne le
bramate conseguenze . Or se è vero che percepire distintamente, sintetizzare,
analizzare, ricordare, astrarre, concettuare, ideare, giudicare, connettere e
ragionare, non sono altro che più o men largamente identificare le parti ed il
tutto, spontaneamente o riflessivamente, in forma sperimentale o in forma
tipica assoluta, se cid è vero, diviene pur troppo evidente che, per potere
scorgere l'identità più prontamente e con maggiore chiarezza, sarebbero assai
utili due cose. Primo, abbreviare e ravvicinare tra loro con SEGNI le
percezioni ed i loro elementi, le idee ed i loro elementi. Secondo indicare con
segni le successive operazioni che vengon fatte spontaneamente o riflessivmente
sui detti complessi e loro elementi. L'algebra ed il *calcolo* per sè non sono
scienza, ma sono potenti mezzi di scienza, in quanto abbracciano e ravvicinano
le idee e le operazioni su di esse fatte rendendo più facile e più sicuro il
colpo d'occhio su di loro per scorgerne le identità e le differenze. Or, perchè
non sarà possibile una logica aritmetica o matematica per agevolare la
conoscenza delle identità parziali e totali, dalle quali dipende tutto l'eser cizio
della intelligenza? Non vale il dire che nell’aritmetica e la geometria si
tratta di rapporti tra sole quantità, e perciò e possibile un segno abbre viativi
e le operazioni identiche. Mentre invece nella logica generale si dovrebbero
trattare molti altri rapporti di QUALITà, che variano tra loro indefinitamente,
e perciò l'aritmetica non si potrebbe applicare alla logica. Non vale il dire
questo; poichè tutti i rapporti tra le QUANTITà hanno unico fondamento comune,
l'identità costante di ogni unità con sè stessa, in guisa che non possa
crescere nè decrescere in alcun modo, e che ogni unità valga quanto un'altra.
Onde il fondamento vero dell’aritmetica e dei loro processi è tutto nella
identità, come in generale il fondamento di tutte le operazioni
dell'intelletto; e la loro unica regola consiste nella IDENTIFICAZIONE. Non vi
ha dunque difficoltà vera contro la formazione di un'aritmetica logica; il cui scopo
non dev'essere altro che quello di fissare, abbreviare, e con un segno,
costante e certo, ravvicinare fra loro le idee ed i loro elementi, e le
operazioni che su di esse si fanno. Nella scelta del segno per tale oggetto, non
occorre far tutto a nuovo. Come nell'aritmetica, si posson prendere le lettere
alfabetiche per indicare i complessi della percezione e dell'idea, non che i
loro elementi, cioè le lettere maiuscole (A, B, C…) pei complessi, e le lettere
minuscole (a, b, c, …) per gli elementi, se fossero gli uni e gli altri
conosciuti e categorizzati. Se ancora non fossero conosciuti distintamente,
potrebbero adoperarsi i soli punti. Ogni segno dell’aritmetica, più, meno,
eguale, maggiore, minore, hanno posto nella logica o semiotica matematica o
aritmetica. Il dubbio ha un segno nella scrittura ordinaria, l’interrogativo –
la quesserzione --. Un segno pure abbiamo nella stessa scrittura per indicare
un seguito di cose simili, che corrisponde all' &. Soltanto resterebbero a
stabilirsi un segno per quell’operazione che nell'aritmetica e nel linguaggio
ordinario non esiste. Questo segno si riducono a distinguere lo stato spontaneo
dal stato riflesso, che sono i due stati del nostro animo, ed ambidue i detti
stati dal di fuori di essa. Per tale scopo descrivo due spazi, uno spazio inferiore
e l'altro spazio superiore, chiusi da tre linee parallele orizzontali. Il di
fuori è tutto quello ch'è al disotto dello spazio inferiore e lo spazio
superior. Lo spazio inferiore indica lo *spontaneo*. Lo spazio superiore indica
il *riflesso*. Indico con quadrati di linee, di punti, o di lettere, i
complessi e le loro parti, sia percepito, sia non percepito, o sia salito allo
stato di riflessione. Un punto e una lettera minuscola indicano i loro
elementi. Il punto indica che l’elemento non e conosciuto. La lettere indica
che l’elemento e conosciuto. Denoto il simile con due parallele verticali.
Rappresento l'identico con la convergenza di due linee in un angolo verticale.
Se l’identità non è completa, ma sol tanto parziale, una delle due linee sarà
più corta dell'altra, quasi per indicare la mancanza. Due quadrilateri che
convergono e si toccano con un lato rispettivo in un angolo vertical rappresentano
la sintesi dei punti identici. Se i due lati divergono, le quadrilateri rappresentano
l'analisi dei diversi. Indico il connesso con una serie di anelli di una
catena. Esprimo il negativo col segno 3 del meno sovrapposto a quello che
voglio negare, il non identico, il non simile, il non dubbio, ecc. $ 54. Ecco
così la serie dei segni principali: + più, meno, = uguale, <: maggiore; ‘>’: minore; ‘ll’
simile, 1 identico, ^ identico parziale, ? dubbio, 000 connesso, (II) in
contatto, & etcetera, -1-- non simile, ^ non identico, ?- non dubbio cioè
riflesso spontaneo, [ ] non percepito, I percepito in comcerto, plesso,
percepito distintamente senza categorizzazione di TAI parti, 71 percepito e
sintetizzato, !! percepito e analizzato, DU U IV / TAL sintesi ed analisi
spontanea e riflessa, |A| astratto com Ul Tala plessivo, Tala astratto con la
parte a. | A la S 55. Quando non occorre distinguere lo stato di spontaneità da
quello di riflessione, cioè quando si è nei concetti riflessi (idee), nei
giudizii e nei raziocinii nei quali non entrino l'esperienze e le percezioni, i
due spazî, che segnano lo spontaneo ed il riflesso, si trascurano. L'idea ed i
suoi elementi si rappresentano così ovvero al ovvero A :, ovvero secondo chè
sieno più o meno distinte e conosciute le sue parti elementari. Il giudizio ha
una delle due formole: 10 AA ? Bİ, il concetto o la percezione A è identica a B
? A A ? Bİ, non è identica certamente, oppure la risposta contraria: è iden
tica certamente, 1 -?- ; 2º Aja ?, l'elemento a fa parte dell'idea a _ ?. o
della percezione A? La risposta si dà col negare il dubbio (A) а h g bAt a b A.
cde ? с a hg an. Or, dire che a fa parte di A è lo stesso che dire 1A | {4} +/
biali, с de cioè l'elemento a è identico ad uno degli elementi di A, essendo OOO
gli altri elementi b c d e f g h. Il raziocinio in generale ha la formola della
connessione logica, cioè della connessione nello stato riflesso, che è
l'identità de’ suoi membri in un tutto mag giore, di cui sono parti; onde è
necessario che sieno veri i membri con reciproca connessione, affinchè sia vero
il loro tutto. Onde la formola del raziocinio in generale sarebbe: ^( )( )( ).
Con le parentesi esprimo i membri di versi del raziocinio che fanno da premesse
(e possono essere parecchi) e quello che fa da conclusione, indicando la loro
connessione e l'identità di essi in un sol tutto più ampio con quel segno
intermedio di connessione riflessa e d'identità, che qui equivale al dunque. Il
ragionamento erroneo si esprimerebbe con l'identico non identico Â, con la
contraddizione. $ 56. Il raciocinio è o dimostrativo, o inventivo; ed in ogni
caso esso passa dalla identità parziale di una idea con un'altra, o di un
esperimento con un altro, alla identità totale (S 43). Onde la formola generale
di ogni raziocinio ne' suoi passaggi è i sempre questa: (a"B')
(a000bcdefghh), a h g с de b h g ovvero OOO d e (a), (^Bİ). Quanto a dire: A e
B contengono a, sono parzialmente identici. Come si farà per sapere se sieno
totalmente identici? Bisogna dalla parziale identità a riconoscere se pur vi
sieno le altre parziali identità b c d e f g h. Ciò si può sapere in due modi:
o che vi sia connessione tra a e tutti quegli altri, o che a li contenga.
Bisogna accertare uno dei due, o decomponendo i rispettivi concetti, o
sperimentalmente. Accertato uno dei due, o per connessione 000 che signa l’identità
dei membri col loro tutto, o per continenza che signa lo stesso (il tutto che
contiene le parti), si ha passaggio logico legittimo 000 al dunque, alla
conclusione; e pongo il segno d'identità 1 sul dunque, perchè ogni connessione
di membri esprime la loro identità col tutto che li contiene $57. Lo scopo di
cotesti segni non deve esser quello di sostituirli al linguaggio ordinario;
poichè in tal caso ogni ragionamento prenderebbe l'aspetto della matematica e
del convenzionalismo di Poincare e il formalism di Hilbert; onde sarebbero ben
pochi coloro che avrebbero la forza di mente e l'abitudine necessaria per
condurre così i loro raziocinî. Io mi son limitato nella mia semiotica
(significa) universale a servirmene come mezzi di reddiconto e di controllo, a
ragionamenti finiti; poichè giova il riassumerli con segni e presentare la
forma logica della percezione, dell’idea e del concetto, i loro rispettivi
elementi, e le varie serie di operazioni su di loro eseguite, per potere a
colpo d'occhio discernere il cammino della identità in tutti i giudizi e
ragionamenti. Nella cennata mia opera ne ho fatto largo uso in questo modo, nè
domando per ora che sieno adoperati altrimenti. Qui pero, in questo lavoro
sintetico e riassuntivo del sistema, non renderebbero più facile la
comprensione delle idee, alla quale aspiro; onde io non me ne servirò,
lasciando che i leggitori di mente più ferma ne prendano esperimento nelle
singole dimostrazioni, alle quali già li ho applicati nella suddetta semiotica universale.
Sotto il generico vocabolo “parola” (cf. Grice, ‘to utter’) si può intendere
qualunque segno communicativo che serve a rappresentare una percezione o un'idea
o concetto. Pur nondimeno questa voce “parola” – cf. Grice “to utter” -- nell'uso
ordinario è ristretta a signare un suono articolato, con cui l’uomo esprime e
communica la pércezione o la idea o concetto ad altro uomo; e siccome il suono
articolato e stato legato ad altro segno, così la parola, oltre di esser
pronunziata (pro-nuntiatum), è anche scritta. Orche cosa è mai questa *communicazione*
da un'uomo all'altro? Questa communicazione propriamente è un mezzo di
suscitare nell’altro uomo, al quale si dirigge, una percezione o una idea o
concetto consimile a quelle che ha e che vuol *communicare* (o signare) colui
che ‘signa’. Perciò la communicazione consiste nel far sorgere nell’altro
quella stessa percezione o quella stessa idea. Ciò in due modi può succedere,
cioè: o mediante una convenzione, arbitrio, concordo, patto, sul segno, sia
volontariamente fatta, sia abitualmente seguita, cosicchè ogni segno per ragion
di associazione convenzionale desti una percezione o un'idea corrispondente; o
pure mediante una naturale (iconica, assoziativa) associazione o meglio
co-relazione che si stabilisce tra un segno e una percezione o idea o concetto,
cosicchè non abbisogni altro che imitare (proffere) appositamente questo segno
per suscitare nell’altro la percezione o idea o concetto naturalmente (iconico,
assoziativo) annessa o co-relata. È del primo modo – il modo di correlazione
convenzionale -- la maggior parte dei segni; poichè una convenzion prima
espressamente o tacitamente fatta, e l'uso che ciascun trova del sistema di
communicazione del suo popolo, fan sì che appena si manipula un determinato
segno, tosto si destino in coloro che ascoltano le percezioni e le idee
co-rispondenti. Sono del secondo modo ogni segno che per lo più imitano una
proprieta naturale, come la voce del cane (“Daddy wouldn’t buy me a bow-wow”),
il romore del vento, lo scorrer del fiume il rimbombo del tuono, della
esplosione, ed altri simili. Ancorchè l'uomo non sa per antecedente convenzione
il ‘signato’ di tale ‘segno,’ egli tosto si fa l'idea del ‘segnato’ che
s'indica, perchè la imitazione – iconicita, assoziativita – della proprieta
naturale sveglia la percezione socia. Sentendo “bac-buc” dei tedeschi, quantunque
non sa l'alemanno, mi debbo far tosto l'idea del vuotarsi di un vaso a bocca
stretta. In questa categoria va pure il vocativo “o”, perchè la pronunzia molto
spontanea di questa vocale fa volgere la persona verso il punto donde “o” vien
pronunziato: e quindi da per sè stesso il vocativo “o” serve a chiamare, perchè
ottiene spontaneamente questo effetto o risponsa nell’recipiente. Intanto il
segno, oltre che serve a mettere in communicazione due uomini fra loro ed a far
nascere in essi la ri-produzione (o trasferenza psicologica) di una percezione
e di una idea secondo la volontà del ‘signante,’ è al tresi utile ad un'uomo
solo, allorchè egli si racchiude in se stesso e si va rappresentando le cose
per meditarvi. Difatti è un'osservazione ben comune che noi parliamo dentro noi
stessi, allorquando pensiamo le diverse cose, e principalmente allor quando ci
rappresentiamo una idea astratta. La influenza del segno sull’astrazione
comincia ad esser guardata con attenzione quando i filosofi della scuola
sensista credettero che l'unica differenza tra l'uomo ed il bruto consistesse
nel segno communicativo. In verità è ben facile rilevare che senza gl'innumerevoli
segni articolati l’uomo non puo mai formarsi e ritenere l'immensa serie d'idee
astratte, e per dirla più esattamente, non puo egli nè sintetizzare ne
analizzare in sì gran copia, posciachè l’astrazione è figlia dei grandi
incrociamenti delle sintesi e delle analisi. Certamente i punti simili delle
percezioni rappresentandosi similmente si sintetizzano, ed i dissimili si
analizzano rappresentandosi dissimilmente. Ma se per ciascuno di quei punti simili
e dissimili non vi fosse un segno associato, non e mica possibile riprodurre e
ritenere la immensità delle similitudini e delle differenze che offrono da un
momento all’altro la percezione. Imperciocchè tra moltissimi punti simili, che
fra loro si differenziano in picciola cosa, sarebbe più fa eile la confusione,
anzichè la distinta rappresentazione di ciascun grado minimo di somiglianza e
di differenza per mezzo delle percezioni medesime. Al contrario, il segno
articolati e diversissimi d’altro segno articolato; e perciò attaccando un
segno a ciascuna di quelle minute sintesi ed analisi, si ha di già quanto basta
per poterle esattamente richiamare, senza poterle mai confondere un segno per
altro. Per esempio, quante gradazioni diverse non offre un colore solo, il
concetto di “bianco” (o “bianca”)? Or si potrebbero mai ritenere senza
confonderle tutte queste gradazioni? Ma l’uomo vi adatta un segno diverso per
signarle, e la confusione è evitata. Egli dice “bianco chiaro”, “bianco
sbiadito”, “bianco lordo”, “bianco latte”, ec . Vi sono poi delle parti di percezioni
che si isolano dal complesso mediante l’astrazione, e se non vi fosse un segno
per risvegliarne l'idea, non puo esser pensate giammai. Per esempio, l'idea o
il concetto astratto o generale o universale di “colore” – il nero non e un
colore; il bianco no e un colore --, siccome abbraccia ogni colore, con qual di
essi partitamente o complessivamente si puo rappresentare, se non vi fosse un
segno distinto (gaelico glas: verde o blu?) da tutti i co fori singoli per
richiamarla? Vi e pure un gruppo d'idee astratte che con maggior ragione han
bisogno di un segno per essere pensate, come la “gloria”, la “virtù”, l’
“onore”, il “dovere”, ec . Cosi anche e
il concetto meta-fisico dell’essere sopra-sensibile, Iddio, la sostanza, ec . É
in forza dell'unità del segno, che sorge l'unica idea astratta; poichè, se
vogliam provarci a idear (o mentare) la cosa senza segno alcuno,
particolarmente in una nozione astratta che non ra-presentano o signa un essere
reale, ma soli rapporti fra gli esseri, non sappiamo veramente come farcene
l'idea. Oltre a tutto ciò il segno ha una virtù speciale, che fa vedere il
legame di una idea coll’altra; perciocchè, messo un segno radicale o di radice
(“amare”), ogni variazione di desinenza e e ogni derivativo indica o signa,
come un gruppo che costituisce un'azione risultante venga variandosi in mille
modi: il che importa una sintesi mista all'analisi, perchè la radicale ferma
indica il punto fondamentale della somiglianza, mentre ogni desinenza e ogni
derivato fa vedere ogni categoria: quantita, qualita, relazione, modalita – per
citare la funzione kantiana della categoria d’Aristotele -- tempo, luogo. Questo
vantaggio non si puo altrimenti ottenere, che coll’articolazione del segno
sub-segmentale (prima e seconda articolazione), poichè rimanendo fermo un segno
come segno radicale sub-segmentale (articolazione prima e seconda) (“am-”), il
segno articolato (mutato della radice) indica la differenza (“amans”, “amatus”,
“amiamo” “ambi due amiemo”) fine a formare una proposizione compieta: il
mittente con il signans signa al recipient *che* il mittente crede che ama al
recipiente. Siegue da tutto ciò che il segno articolato ha un'influenza
grandissima nella operazione della sintesi, dell'analisi e dell'astrazione; e
siccome senza del segno articolato l'uomo non può nè giudicare (operare con una
proposizione) nè ragionare (inferire una proposizione d’altra), cosi il segno
articolato ha un'influenza suprema nel giudizio e la volizione e nel raziocinio
(di giudizio e di volizione). Infatti il sordo-muto ha un limite strettissimo
nella sintesi, nell’analisi e
nell’astrazione; ed a misura che si allarga in loro la sfera dei segni per
mezzo della gesticolazione, e più anche per mezzo di un sistema alternativo, il
sordo-muto inoltransi nell'astrazione, il suo giudizio, la sua volunta, ed il
suo ragionamento – di giudizio o di volonta -- divene più estesi e più esatti.
Dopo che si disse che l'uomo non puo mai dare origine al segno articolato o
communicativo, la scuola di Bonald si valse di questa stessa dottrina per
fondarvi sopra l'edificio della divina rivelazione, che dovette communicarsi al
primo uomo coll'insegnamento diretto del segno communicativo, e che dovette
tradizionalmente discendere col segno medesimo in tutta l'umana generazione,
fino a che colla dispersion babeliana delle lingue venne a guastarsi la forma
genuina primitiva del segno soppranaturale, praeternaturale rivelato, e varii
innesti di origine umana si attaccarono al primitivo tronco, cosicchè insiem
col segno furono anche travisate le idee della rivelazione prima. Questa stessa
dottrina è stata abbracciata con molta facilità da Gioberti, quantunque in
tutt'altro alla scuola di Bonald egli non appartenesse. Non entro in questa questione
dal lato teologico (o genitoriale), molto più che non veggo nella antica
religione romana nessuna espressione che alluda all'insegnamento primitivo del
segno per mezzo di un dio. Veggo per altro che le anzidette scuole han preso a
dimostrare filosoficamente che l'uomo da sè stesso non può dare origine al
linguaggio , e con questa dimostrazione negativa credono dare il più saldo
appoggio alla necessità della primitiva rivelazione della parola. Guarderò
adunque le loro ragioni da questo stesso lato filosofico , e porrò così il
quesito: È egli vero che per poter ‘signare’ comunicativamente in qualunque
guisa bisogna l’uso preventivo dell’astrazione, e viceversa per potere astrarre
bisogna l'uso antecedente del ‘signare communicativo? Se ciò fosse vero, sarebbe
questo un circolo vizioso (“a Schifferian loop”), da cui non potrebbe mai
uscire l'origine puramente umana del ‘signare communicativamente’; e perciò ,
essendo un fatto che l'uomo signa communicativamente, ed ammesso che egli sia
stato *creato* da un dio (Prometeo), re sterebbe come una ipotesi interamente
consona alla divina bontà di Prometeo che egli stesso gli abbia insegnato o
signato a signare communicativamente fin dalla origine o dalla genesi alle
rivelazioni! Resterebbero cosi giustificati gli argomenti della scuola teologica
o genitoriale di Gioberti. Ma a me pare che, posto a quel modo il quesito, la
necessità del circolo vizioso venga tutta dal non voler discendere nella minuta
analisi di un tutto complessivo – un complesso proposizionale --, e dal volere
la spiegazione sintetica di un fatto che costa d'innumerevoli elementi, senza
volere esaminare come nascano gli elementi medesimi, e come gradatamente si
combinino fra loro per costituire il fatto totale nel modo che oggi si presenta.
Uno dei difetti delle scuole dell'età nostra è questo precisamente, che i nodi
voglionsi tagliare invece di scioglierli; e cosi mi pare sia accaduto al
problema che riguarda l'origine del signare communicativamente. Infatti, se si
domaada: l'uomo può esercitare quella vastità di astrazione che attualmente
esercita senza fare uso del signare communicativamente? La risposta è facile:
nol può: perchè il segno communicativo, siccome testé abbiam veduto, influisce
grandemente nell'esercizio dell’astrazione. Parimente se si domanda: l'uomo può
signare communicativamente (con “o”) senza l’esercizio dell’astrazione? è anche
facile ugualmente la risposta che nol può: perchè la convenzione implica la conoscenza
dell'utilità del signare communicativamnte, ed implica nel tempo stesso
l'attaccamento di un'idea (“presta attenzione”) ad un segno articolato (“o”),
il che è un'effetto di astrazione. Ma il problema non è ben presentato col
porre le due anzidette domande; perocchè non si vuol sapere se l'esercizio
completo del signare communicativamente, qual'è attualmente, può stare senza
l’uso dell'astrazione, nè anche si vuol sapere se lo sviluppo immenso che ha
preso l’astrazione nelle molte successive generazioni del popolo italiano possa
mai stare senza l'uso del segno articulato. Invece il problema vero è
quest'altro. Vi può essere un atto di signare communicativamente primitivo, un
primo uso di un segno articolato (“o – o – o”), colla sola influenza di
un'astrazione (o articolazione) di primo grado, la quale per compiersi non ha
bisogno dell'uso del atto di signare communicativo. Quando due cose s’influiscono
a vicenda, in modo che non può crescer l’una senza che cresca l’altra, se si
guardano *sinteticamente* dopo un lunghissimo periodo di mutuo accrescimento,
non pajono più naturalmente spiegabili, e comparisce quella specie di circolo
vizioso, di cui si parla inpanzi, perchè lo sviluppo pieno del l’una suppone lo
sviluppo pieno dell’altra, ed amendue si suppongono talmente a vicenda, che non
si sa più qual delle due debba esser prima. Per isciogliere un problema di tal
fatto bisogna incominciare dal periodo o fase o stadio primo, cioè dal momento
men complicato e meno sviluppato. Allora soltanto si può scorgere la influenza
mutua, e come mano mano vengano accrescendosi l’una coll’altra. Qui trovo
un’obbiezione ben facile. Mi si dirà: avete voi elementi storici ben certi per
poter determinare qual sia stato il periodo primo dell’atto di signare
communicamente in Romolo e Remo. Anzi taluni credono trovare nell'etnografia
una base sufficiente per poter sostenere che il segno communicativo più antico
e più elevato e più ricco di forza plastica. Onde da quelli si crede che l’atto
del signare comunicativamente e andati mano mano deteriorando. Veramente, se debbo
esaminare il mio problema sull’appoggio del solo dato storicio non mi credo autorizzato a dare una soluzione
diffinitiva. Imperciocchè io non son’ uso a sciogliere un problema a posteriori,
e viceversa, so che la *ragione* necessaria delle cose governa la storia. Non
entro ad esaminare se l’uomo e creato adulto o no; o se, dimenticato il
primitivo atto del signare communicativamente, sia stata possibile la nascita
di un atto *nuovo* di signare communicativemente. Non entro in un esame storico,
dal quale la mia semiotica non puo sempre ricavare un risultato filosoficamente
rigoroso. Invece, domando se e possibile, senza precedente arbitrio alcuno, stabilirsi
una communicazione di un segnato tra due uomini per mezzo di un segno (“o”)
anche *involontariamente* (spontaneamente, naturalemnte) adoperati, e, se
trovata l'utilità pratica o prammatica di un arbitrio mutuo di tal fatto. Si
puo fare avvertitamente e per mutuo arbitrio ciò che prima si è fatto *spontaneamente*.
Posta così la questione, non ha bisogno più della ricerca storica. Si attacca
alla natura comune – la ragione -- di due uomini – una diada conversazionale,
Romolo e Remo, Niso ed Eurialo --, quantunque anche la storia puo venire in conferma
di ciò che la cosa deve essere per natura sua propria – uomo animale razionale.
Distingo due specie del genero segno: ma non e necessario moltiplicare i sensi
di ‘segno’ sine necessita. Primo e un segno naturale, spontaneo, imitative, mimetico,
iconico, assoziativo. Secondo, e a posteriori altro segno – un segno devenuto
segno dopo un mutuo arbitrario. Or sebbene il mittente che usa un specimen
particolare di segno “o” che imita una proprieta naturale spontanea, il segno
“o”, sieno per sè stesso assai ristretto, pure ha questo di particolare. Senza
bisogno di arbitrio mutuo alcuno, e senza anchie aver lo scopo di
*conimunicare* (transfere il segnato) all’altro un qualunque segnato (sensum,
percipito), puo essere adoperati, e producono l’effetto della communicazione (communicato,
segnato) che non e primariamente nell' *intenzione* di nessuna delle due parti.
Nessuno più di un bambino italiano è da natura inclinato ad imitare (‘bow wow’)
i romori che sente o perceve. Non è necessario supporre che questa imitazione (‘bow
wow’) ha uno scopo, fine, volizione, o intenzione (volutum). Il bambino
italiano imita spontaneamente, e signa che e in relazione con un cane, è come
la ri-petizione naturale della cadenza che si esieguono non dall'uomo solo, ma
anche dai bruti. Comincio da questo caso semplicissimo, non perchè io creda che
l’atto del signare communicativamente sia nato in questo preciso modo, ma
quando si cerca la possibilità di una cosa, bisogna ricercarla tra le
possibilità più semplici e più comuni. Imperciocchè, pria che si dice che una cosa
non può essere, è mestieri osservare in quante maniere ben semplici ella può
avvenire. Or vediamo, allorchè un’uomo imita spontaneamente un suono qualunque
naturale (“o-o-o”), che cosa accade nell’altr’uomo che lo interpreta
(l’interprete). Il segno imitato per ragione di semplice associazione o
iconicita richiama naturalmente la percezione della causa che suole ordinariamente
emettere cotal segno. Per esempio, se un bạmbino italiano, senza la menoma
intenzione communicativa, e solo per il puro piacere imitare, esiegue il belato
(‘bah bah’) della sua pecora, chiunque lo sente si rappresenta in quel momento
l'animale che fa quel belạto. Senza *voler* o avere l’intenzione di communicare,
i. e. d’informare ad altro, vi è di già tutto quello – il principio razionale
-- che costituisee la communicazione e
la conversazionale. Un segno, a cui è attaccato una percezione, adoperato la
prima volta, ‘one-off’, spontaneamente, per caso, per imitazione, per qualunque
altra causa, desta la percezione socia, e senza arbitrio mutuo alcuno divien
segno della medesima causa (‘bah bah’ = pecora). Infatti, se il bambino italiano
che imitava poc' anzi il belato della sua pecora, non conosce punto il segno
articolato ‘pecora’, e se io voglio più tardi rinnovare in lui la percezione della
pecora, che altro dovrei se non che imitare il belato medesimo? Nè ciò dipende
da che io conosco l'utilità del segno. Giacchè potrei supporre all'inverso che
il bambino italiano il quale, imitando spontaneamente il belato della pecora
(“bah bah”), si accorse o da un segno (“bah bah”), o dallo sguardo ch’io do
alla pecora, che già mi feci ricordanza della pecora, più tardi il bambino stesso
potrebbe servirsi a ragion veduta di quel belato per riprodurre in me or di proposito
la stessa percezione. Immagino un’altro caso. Se alla vista (visum) di un
pericolo (leone) l'uomo (Eurialo) gitta un grido – “o-o-o” --, un suono
qualunque, quand’anche non sapesse che vi fossero altr’ uomo (Niso), dal che
potrebbe essere soccorso, il grido spontaneo che suole uscire per lo più
involontariamente, spontaneamente, naturalmente - sotto il dominio della paura o
pena, e se a quel grido si ve dessero accorrere altr’uomo, il quale, scorgendo
la posizione pericolosa, viene in aiuto, non sarebbe tosto quel grido spontaneo
“o-o-o” un segno della “chiamata” in aiuto, segno non devenuto da mutuo
arbitrio in principio, nia che per l’effetto ottenuto o la risponsa ottentua
divene base di un mutuo arbitrio in avvenire? Immagino anche un’altro caso più
semplice. Se un'uomo spontaneamente, e senza *intenzione* communicative alcuna,
signa “o-o-o”, il segno più facile ad articolare, e se altr’uomo (Remo, Niso) e
presente e sente o perceve che Romo ha profferito un specimen di un segno, che
cosa mai dovrà avvenire? Non si voltera verso colui che signa? Non è naturale
il rivolgersi verso il punto donde parte il segno? Ebbene, un'effetto si è
ottenuto. Questo segno profferito senza intento alcuno o intenzione
comunicativa alcuna richiama l’attenzione dell’altra parte della diada
conversazionale. Ciò che si è dapprima, one-off, ottenuto senza intento
communicativo o intenzione communicativa, può la seconda volta esser voluto *di
proposito*, voluntariamente, -- def. di verbum in Aquino -- per la utilità che
se n’è ricavata: ripetendosi dunque avvedutamente lo stesso segno, quello è
divenuto un vocativo naturale. E noi osservammo che appunto questa vocale “o” è
il vocative nella Roma di Remo (o tempora o mores) e nella Roma di oggi. L’arbitrio
mutuo o duale dunque non nasce dapprima a ragion veduta, ma nasce per mezzo di
un'effetto o risponsa, che un segno, EMESSO per accidente (“o”) o per
imitazione, consigue. Volendo di nuovo ottenere avvedutamente lo stesso effetto
o la stessa risponsa, non ci vuol’altro che ripetere un altro specimen del
stesso genero di segno (“o”). L’arbitrio mutuo dual è bello e fatto. Or quando
vi sono tante possibilità d'incominciare l'uso di un segno articolato e di dar
luogo spontaneamente a un arbitrio mutuo e duale, come si può dire in tuono
assoluto che sia impossibile l'uso del segno senza aver la preventiva conoscenza
della utilità del segno medesimo? Non dico che l’atto del signare
communicativamente nacque in questo o in quell’altro modo. Dico che vi sono
moltissime possibilità tutte *naturali*, nelle quali l'uomo può avvertire
l'utilità dell'uso di un segno articolato per l’effetto o la risponsa
spontanea, no intenzionata, che ne ottiene , e senza il bisogno di un
preventivo arbitrio duale. Basta questo per distruggere a rigor di logica le
basi tutte di quell'edificio che si vuol fondare sull’impossibilità assoluta
che l’uomo signa senza prima aver conosciuto l'uso e l'utilità dell segno. Ma
invero il brutto ebbero forse insegnato da Dio l'uso del atto di signare
communicativamente, con che communica (o transferre) il suo bisogni , la sua
gioia, il suo pericolo, la domanda del soccorso? Forse non vediamo fin dal loro
nascere i varii animali communicarsi per mezzo di un segno, per lo più *istintivo*
-- che causa una risponsa istintiva, i diversi loro stati? Non puo il brutto
perfezionare il suo atto di signare communicativamente, perchè non ha facoltà
di sintetizzare e di analizzare gli elementi della percezioni, e molto meno ha
facoltà astrarre, siccome vedremo a suo luogo. Ma la co-rispondenza o
co-relazione dell’effetto o stimolo, in esito al suo primo segno istintivo fa
si che il brutto lo ripeta volontariamente; e tutti conosciamo come un animale
domnanda il cibo o la libertà del movimento per mezzo di segni speciali, nel
che dalla sua parte vi ha una specie di “tacito” arbitrio duale (Androcle e il
leone), perché l’effetto ottenuto o la risponsa ottenuta una volta, per ragion
di associazione o co-relazione iconica istintiva associativa, fa appunto le
veci di un arbitrio duale. Se dunque questo segno inferiore è possibile nel
bruto, il quale non astragge, perchè lo stesso principio di spontaneo tacito
arbitrio duale non è possibile fra due uomini! Un uomo, che ha la piena
capacità di astrarre, riconosce più facilmente l'utilità dell’effetti ottenuto
o della risponsa ottenuta dall’altra parte della diada conversazionale, e si
crea l'idea generica del arbitrio duale del segno, dalla quale discende poi
come conseguenza la necessità di *variare*, fare piu ricco, illimitato,
creativo, e di fine aperto, in ragione di questo o quello bisogne, in ragion di
questa o quella percezione, o in ragione di questo o quello concetto astratta.
Concepita una volta l’utilità dell’uso del atto di signare communicativemente,
del segno articolato (terza articolazione), non ci vuol’altro che possedere in
fatto la capacità di variare e combinare *indefinitamente* in modo aperto e
illimitato, l'articolazione e la operazione di questo o quello segno primitivo,
e l'uomo possiede già questa capacità meravigliosa. L’uomo adunque può, da un
certo numero di fatti spontanei in cui il segno è riuscito a *stabilire* un
arbitrio duale, elevarsi all'idea astratta dell’arbitrio duale del segno,
poichè da un fatto singole si forma la sintesi, l'astrazione, e l'idea generica;
e possedendo in fatto la varietà indefinita, componibile, di questo o quello
segno articulato primitivo, è già nel caso di far da sè tutto il resto.
Quantunque il segno che compone l’atto del signare communicativo e per arbitrio
muto, pure siccome debbono *signare* una percezione (S e P), gli tre elementi
delle medesime (S, e, P) ed i concetti astratti , debbono quindi ritrarre le
proprietà fondamentali dell’uomo, cioè la relazione costanti che debbono avere
fra ogni percezione, e ogni operazione o combinazione. Perciò, sebbene e
diverso il segno che si adoperano ne' varii paese dell’Italia per signare il
medesimo segnato, pure in ogni dia-letto vi sono parti fisse del discorso o
dell’orazione, vi è una sintassi necessaria, vi sono in somma una relazione che
e comuni a ogni segno. In primo luogo, siccome ogni percezione rappresenta un
risultamento esteriore ed e anch' esso del risultamento organico subbiettivo,
perciò vi ha un fondo comune in ogni percezione ed è l'azione risultante, che
equivale alla somma di ogni azione sostanziale aggregate insieme. L’azione
sostantiva e la aggregazione di questa o quella azione sostantiva, ecco ciò che
è comune a ogni reale ed a ogni percezione. Quindi in ogni atto del signare
communicativamente debbe esistere un segno addetto ad indicare l’azione
risultante in tutta la loro immensa varietà. Questo e il segno del “verbo” –
Varrone, verbum, greco rheo --, cioè il segno per eccellenza, per chè in
verità, tutto quello che si può rappresentare, ad azione sostanziale si riduce,
e perciò il segno del verbo (la copula) è il fondamento di ogni segno. Ogni
proposizione si aggira intorno al segno del verbo (il S e P), e se vuol farsene
un'analisi, la mossa si dee sempre prendere dal segno del verbo, perchè un
segno che non e un verbo non puo indicare, se non che un rapporto dell’azione
risultante signata dal segno verbo. Inoltre, per questo stesso che ogni azione *risultante*
e non basica, e composte della combinazione di questa o quella azione
sostanziali intransitive ed immutabili, è necessario che ogni verbo ha il loro
fondamento in un solo segno di verbo, e che quel segno del verbo e *intransitivo*
(la copula e intransitiva), siccome e questa o quella azione sostanziale, dalla
che nasce ogni azione risultante, la quale e ra-presentata dal resto della
classe del segno del verbo. Infatti abbiam notato già da molto tempo che in
ogni atto di signare communicavemente vi è un verbo sostantivo intransitivo, il
verbo “essere”, al quale si possono facilmente ridurre ogni altro verbo,
decomponendoli in “copula e predicato”. Io amo è lo stesso che io sono amante.
Ed è notevole che ogni segno di verbo chiamati attivo, o meglio transitivi,
perchè denota un’azione che passa dal soggetto all'oggetto, si sciolgono tutti
in un segno di verbo fondamentale che è intransitivo, o come i modisti dicono
neutro – epiceno, mezza voce --, cioè nè attivo nè passivo. Poichè ciò che è
veramente transitivo é la forma del risultato, ma ognuna delle azioni
sostanziali componenti è intransitiva. La sintesi e necessaria e l'analisi e
necessaria, perchè una percezioni e complessiva e costa di questo o quello
elemento, che colla riproduzione, sovrapponendosi gli uni agli altri, si
sintetizzano nel punto simile e si analizzano nel punto dissimile. Bisogna
dunque che ogni segno indica un composto o complesso proposizionale, e che ogni
segno articulato composito e de-compo nibili. Però, siccome gli elementi di
ogni risultato e una azioni sostantiva, perciò è necessario che ogni segno si
puosciogliere in un segno solo che indica l’azione sostantiva, non come occulta
(sub-stantia), ma come realtà, cioè come essere, onde il *nome* (nomen, onoma –
nomen substantivum, nomen adjectivum) non meno che il segno del verbo, si
sciolgono tutti nell'essere , il quale è verbo e nome allo stesso tempo, ed è
appunto verbo sostantivo, perchè indica un’azione che sta per sè stessa, e che
non ha bisogno dell'altrui appoggio. Un nomine addiettivo e ogni altro segno
sin-categorematico che indica quantita, qualita, relazione, o modalità o
relazione, ra-presentano la composizione, il risultato, la combinzione di
questa o quella azione sostanziale, e perciò non e mai da sè sole, ma ha
bisogno di un segno di verbo o di un segno di nomine (S e P), su cui debbono
appoggiarsi. Conciossiachè in verità la consposizione e qualunque suo modo di essere
non può stare senza questo o quello componenti, anzi non è altro che la somma
medesima di questo o quello componento. Però, siccome la composizione è una
forma complessa, e come tale si distingue da cia scun componente , quindi è che
tutte le parole indicanti modd lità , quantità e relazi ni, conie gli avverbii
, le preposizioni , le congiunzioni, gli aggettivi , ec . non sono riduttibili
al solo verbo essere , nè al solo nume essere, a differenza del segno del verbo
e del segno del nome che ogni segno si reduce al verbo sostantivo “essere”. Nel
tempo stesso non possono sussistere per sè , ed han continuo bisogno di questo
o quello essere (il S, il P), perchè la composizione non può stare senza di
questo o quello singolo componento. Sotto tai riguardo la differenza che passa
tra ogni segno che indicano la quantita, la qualita, la relazione, e la
modalità dell’azione sostanziale e quella che indica l'azione medesima, e
quella stessa differenza che esiste tra il tutto e la collezione di questa o
quella parte che lo compone; imperocchè il segno del verbo, e principalmente il
verbo “essere”, nel quale ogni segno di verbo si sciolgono, indica la
collezione di questa o quella azione, mentrechè il segno del nome aggettivo, il
segno del avverbo (ad-verbium, come la particola “non”), la preposzione (in
latino, i casi), il signo di congiunzione (copulativa, e, adversative, ma), ec.
indica come questa o quella azione e disposte, e che relazione ha fra loro, in
ogni vario gruppo che compone. Siccome ogni gruppo di azioni è un *risultato*
che subisce questa o quella modificazione (declinazione, congiuggazione) secondo
i cangiamenti parziali del numero (singolare, duale, plurale) e della posizione
di questo o quello componento, cosi vi ha una sintesi fondamentale in ogni
parte simile che nel risultato e ferma, e vi ha una continua analisi di ogni
parte variabile ed accessoria. Per questa ragione e necessario il segno radicale
che esprimono la parte *sintetica* fondamentale, cioè, il fondo permanente
dell’azione: il radicale poi si va cangiando nella sua desinenza (uomo, uomni,
pater e familia, paterfamilias), o in suo articolo definito (il – ille, la --
illa) o indefinito, “segna-caso”, ed ausiliare, per indicare ogni variazione e
accessorio che in torno a quel gruppo fondamentale di questa o quella aziona si
effettua. Il atto di signare monosillabica dei cinesi supplisce a ciò coll’accozzare
diverse sillabe, cioè diverse segni, di cui ognuna esprime una idea, e tutte unite
esprimono un complesso. Una idea fissa si esprime con un signo fisso. Una
segnato variabile si esprime con un segno variantie. Sorge da ciò la necessità
del segno derivativo, del segno della desinenza e del segno del prefisso,
infisso, e suffisso, come anche la necessità di trasformare in maniera
avverbiale un nome e un verbo, e di operare ogni cangiamento di preposizione in
verbo ed in nome, dell’aggettivo in sostantivi e viceversa. Poichè, fissa la
forma fondamentale, ogni mutamento di forma debbe esprimersi con cangiarli secondo
il bisogno e secondo la relazione che vuolsi esprimere tra un gruppo di azioni
ed un'altra. Finalmente vi ha un'altra forma obbligata in ogni costruzioni del
discorso, ed è quella del giudizio, poichè ogni proposizione – in ogni modo –
indicativo, imperative -- in giudizio o volizione si risolvono, e come si va da
un giudizio all'altro per mezzo di una connessione, così la proposizione prende
forma concatenata e compone un period (protasi, apodosis), e questo periodo
s'incatena con quello periodo e forman un discorso. Però è no ievole che
l’operazione dell'analisi e l’operazione della sintesi spontanea non puo
altrimenti annunziarsi che sotto forma di “proposizione”, cioè di giudizio o
volizione; quantunque agli occhi perspicaci del filosofo anche un segno solo,
considerata nella sua radicale o nella sua derivazione, indica benissimo l’operazione
analitica che vi è dentro. La ragione, per cui non si può annunziare ad altri,
che sotto forma di giudizio, una completa operazione di sintesi e di analisi,
si è appunto questa , che quando si annunziano ad altri cotali operazione di
sintesi o analisi, vi è di già il concorso della riflessione, e perciò non si
annunzia altro che il risultato ultimo della sintesi e dell'analisi riflessa, il
qual risultato e il giudizio e la volizione, ambe due con contenuto
proposizionale. Onde si ha che nello singolo signo si rappresenta le sintesi e
le analisi spontaneamente fatte, e nel complesso si rappresenta il risultato
totale, che perciò appunto veste la forma di giudizio o volizione con contenuto
proposizionale. Da tutte queste osservazioni emerge che il segno e la sua
costruzione (sintassi) in ogni popolo – o paese d’Italia -- debbe avere una
forma fissa (semiotica agglutinativa) e una forme variabile (semiotica
componenziale), siccome il risultamento organico subbiettivo ed il risultamento
esteriori obbiettivo ha una forma fissa e una forme variabile, poiché il segno
debbe necessariamente prendere lo stesso aspetto del segnato. In ogni segno
possono riguardarsi due parti distinte, cioè il segno e la costruzione del segno.
Ogni segno è segno di una percezione, o di una parte di percezione, o di
un'idea o concetto (signato). La costruzione del segno ra-presenta ogni
relazione che ha questa o quella percezione, questa o quella idea, questo o
quello segnato. Onde il signo è lo specchio più sicuro del grado delle
conoscenze di un emittente del segno. Poiché la povertà o la ricchezza del
repertorio semiotico e di questa o quella forma di costruzione indica quante
percezioni, quante idee, esistano presso il medesimo emittente, ed in quante
maniere sa metterle in relazione fra di
loro. Però è notevole una cosa, che forse non è stata abbastanza studiata sino
al presente. C’e un segno (“colletivo”) che non esprime una percezione sola o
una idea sola, ma serve ad esprimerne più di una. Per sapere se mai una di tale
segno esprima una idea piuttosto che un'altra, fa d'uopo stare attento alla *forma*
del discorso, dall' insieme del medesimo, come anche dalla forma della
costruzione, si ricava ciò che precisamente si vuol signare col segno che si
adopera. Questo fatto è ben noto ai filosofi sensista; ma forse la causa del
fatto non è da loro cercata con rigore semiotico. Acciocchè un segno sia
adoperato a signare un segnato diverso d’altro segnato (equivocazione) , è
necessario che il segno in origine appartenga ad un segnato solo; poichè non è
presumibile che siasi voluta fare un arbitrio dual anfi-bologico (equivocazione
– para-bologica – il rasaio di Occam), cioè un arbitrio duale di usare un segno
solo per rappresentare un segnato e altro segnato, appunto per far nascere la
dubbietà di sapere il segnato che propriamente vuolsi indicare. Allorchè dunque
si presenta un segnato nuovo, che perciò non ha ancora segno proprio, il
segnato stesso fa sperimentare il bisogno di trovare o inventare o concevire un
segno per indicarlo, ed in pari tempo il segnato (es. spirito) fa svegliare
l'idea socia di un segnato simile avente un segno proprio (spirare). Allora
l'uomo prende quel segno, e se ne serve per indicare il segnabile novello ch' è
ancora propriamente IN-segnato. Questo bisogno si sperimenta più di tutto
nell'esprimere una idee astratta (‘implicatura’) , a cui mano mano un emittente
si eleva; e perciò si serve del segno che indica un segnato, quanto più è possibile,
somigliante a quella idea (im-piegare). Nasce cosi l'uso del traslato: un
segno, che propriamente è servito ad indicare una segnato (lo spirare), è
adoperata a signare un'altra (lo spirito) che solo ha con essa qualche
somiglianza. Il traslato di tal fatta e una necessità, perchè la presentazione
di un segnabile IN-signato conduce al bisogno di signarlo, e non potendo formarsi
sul momento un segno apposito per l'impossibilità di fare un pronto arbitrio
duale, si ricorre più prestamente al segno del segnato simile, lasciando pure
al resto del discorso l’incarico di mostrare la diversità e la novità del
signabile previamente IN-segnato, pel quale si adopera una segno. Ma oltre a
ciò vi ha pure una necessità di usare un segno da traslati o metaforicamente,
quantunque il signato che vuolsi esprimere ha segno suo proprio. L’esattezza
del segno appartiene sopra tutto a quel filosofo oxoniense che e avvezzo alla
precisione del segnato e del segnabile non segnato, e che valutano ciò che
propriamente esprima ciascuno dei segni , che essi adoperano per indicarle . Ma
il numero maggiore degli uomini non può mai aver fatto queste esatte
meditazioni , e molto meno può aver l'abitudine del linguaggio preciso .
Inoltre gli uomini, spinti dal momentaneo bisogno di communicare il segnato, e
molto più quando sono sotto il dominio delle passioni che maggiormente
l'incalzano, non han tempo a ricercare il segno che esattamente corrisponde al
segnabile IN-segnato. Allora succede un'effetto ch' è tutto proprio dell'associazione
delle idee. Si presenta un segnabile che non richiama prontamente alla memoria
il suo segno, ed invece richiama per ragion di similitudine un'altra percezione
segnata che ha pronto il segno. Allora l’emittente, senza metter tempo ir mezzo,
si approfitta di questo segno cognosciuto per indicare, non il segnato proprio,
ma un segnabile simile; e cosi si la un'altro genere di traslato, cioè il
traslato metaforico. L’interprete o recipiente e pur'essi obbligato da quel segno
a passare dal segnato simile non propria al segnato propri; e ciò, quando la
similitudine calza bene, riesce a proccurare una maggior persuasione, come pure
riesce a rappresentare lo stato di esaltamento dell'animo del emittente, quando
lo si vede correre rapidamente di segnato in segnato, senza aspettare la
corrispondenza esatta del segno, é con servirsi di un segno che indicano un
segnato simile. Quest'altro genere di trasláti è anch'esso una necessità,
perchè la maggioranza degli uomini non può sempre misurare il segno, e molto
meno lo può, quando è sotto l' ardore delle passioni, o nel momento di una
pubblica arringa, in cui il segno naturalmente si eleva colla metafora per l’imperioso
bisogno di esprimersi con qualunque segno si presenti più adatta. Con questi criterii
è ben facile giudicare, perchè vi sieno emittente di repertorio ricco ed
emittente di repertorio povero, perchè vi sieno emittente di repertorio riccho
e emittente di repertorio povere di forme, ed in qual rapporto stieno tra loro l'abbondanza
e la povertà degli uni e delle altre. Il emittente men civilizzato e meno
avvezz alla riflessione filosofica, avendo un minor numero di segnati, debbono
esseri poveri di segni; ed a misura che son poveri di sengi, più abbondano di
traslati, perocchè ad ogni nuovo sengabile che ai medesimi si presenta debbono
adattare per similitudine un segno. Queste emittente però diventa di un
repertorio ricchissime di forme, ed inclinano quasi sempre alle circonlocuzioni
(perifrasi) ed al figurato (metafora). Ciò è ben naturale, perché la forma
stessa del discorso deve dare a comprendere che el sengo non venga adoperata
nel uso suo ordinario, ma in un uso di somiglianza, in un uso figurato o
allegorico. Questo emittente si presta anche facilmente alla nascita di un
segno composto (bi-cicletta), perchè sentono il bisogno di accoppiare due segni
indicanti oggetti proprii, per segnare un segnabie che ha una somiglianza con
ambidue uniti insieme (portmanteau). Perciò questo emittente contiene un signo
radicale che si prestano ad inflessioni molto diverse, e per quanto son povere
di radice originaei, tanto son ricche di composti e derivati. Per ciò sogliono
chiamarsi il più anticho emittente. Non vuolsi confondere un ricco repertorio
delle forma con un ricco repertorio di segni, nè si deve credere che la
ricchezza delle forme sia indice della perfezione maggiore dell’emittente,
molto più quando non è congiunta a - ricchezza vera di signo. Al contrario, i
segni di più avanzati nella riflessione e nella civiltà hanno un più esteso
numero di vocaboli proprii, e fanno molto conto della purità e della proprietà
del segno: onde esse sono più aliene dalla sinonimia, scansano le figure, e
adoperano al bisogno strettissimo i traslati. Queste linyne si prestano meglio
all’esattezza scientifica , ma quanto sono rigorose , tanto son più fredde ,
poichè non si confanno collo stato dell'uomo appassionato, il quale afferra
qualunque segno avente somiglianza col segnable che vuole signare. Un emittente
i di tal sorta non e nato con quella esattezza fin dalla loro origine; perciò
porta l' impronta di molte radicali, di molti decivativi e di traslati che
appartennero all'epoca più antica. Tutti questi però coll'andare del tempo
hanno acquistato segnati loro proprie; cosicché non si ha più l’idea di un
traslato o di una metafora in ciascun segno, ma vi si scorge un segnato tutto
proprio (By uttering ‘You’re the cream in my coffee’ I sign that you are my
pride and joy). Ciò prova che questo fenomeno e recente, e figli, anzichè padre.
L’emittente e ricchissimo nel repertorio di segni, ma molto povero nel
repertorio di forme poichè ogni segnato ha segno proprio che esattamente lo
segna, e perciò le relazioni delle proposizioni sono meno intralciate, son più
semplici, e sempre più si avvicinano alla forma fondamentale di ogni giudizio o
proposizione: soggetto copula e predicato. Un'altra osservazione debbesi pur
fare intorno a queste due specie di emittente. Quello che e più antico, più
abbondante di figure e di traslati, meno ricchi di segni che di forme, segna il
segnato per come si presenta in forza del l'associazione, e perciò nella loro
costruzione-riescono sempre più intralciati; cosicchè il soggetto dell'azione
sostanziale, l'azione sostanziale stessa , ed il suo oggetto, non van sempre in
ordine progressivo, ma per come si associano tumultuosamente un signato
coll’altro, cosi l'esprime: quindi la necessità di molti incisi e di molte
trasposizioni del signo. Al contrario, l’emittente più riflessivo, più
abbondanti di segni e men ricche di forme, abitua ad un'associazione d'idee più
ordinata, e perciò la proposizione conserva la fisonomia ordinaria del
giudizio, senza il tumulto d'idee bruscamente congiunte. Per questo un
emittente antico (Catone) non e più intelligibili a noi, se prima non mutiamo
la sua costruzione, da noi chiamata “indiretta”, in un’altra costruzione più
conforme all'ordine logico delle idee che diciamo “diretta” e che a noi è
divenuta più abituale. Se si interpreta an pezzo di Catone colla costruzione
stessa che ha nell'originale, non sarebbe mica intelligibile. Intanto si scorye
da ciò che al linguaggio appassionato ed oratorio, a quel linguaggio, che ha
bisogno di esprimere le idee per come si presentano nel tumulto delle passioni
o nel calore della perorazione, l’emittente antico e meglio adatto, e quella
stessa costruzione intralciata rileva vie maggiormente l'originalità e la
spontaneità dell'associazione delle idee. Al contrario, l’emittente nuovo si
presta meglio alle opere scientifiche, e per sostenersi nella poesia e
nell'oratoria ha bisogno di pensieri per sé stessi clevati, non potendo sperare
il loro effetto dalla varietà della forma e dallo stile figurato. Io non scendo
a particolari confronti tra stile e stile, poi che qui m'intrattengo dell'alta
semiotica generale. Lascio al non-filosofo lo applicare questo principio che nascono
dalla natura stessa del segno, dallo stato più o meno amplo delle idee e dal
corso delle loro associazioni. Solamente debbo notare che il migliore emittente
debbe esser quello, il quale accoppi i due diversi vantaggi, dello stile
figurato e dei traslati quando abbisognano, e della precisione rigorosa quando
è necessaria. L’emittente antico non puo riunire questi due vantaggi insieme,
se non che in un caso solo, quando cioè il popolo italiano è passato colla
medesima lingua dal primo periodo della spontaneità a quello della riflessione,
dall'epoca della poesia (mythos) a quello della filosofia (logos). Bisogna però
in tal caso che il popolo italiano mantenga i due registry in un solo sistema:
l'ordinario o basso ed il sublime o alto, il rigoroso ed il figurato. Questo
emittente e ricco di segni e di forme allo stesso tempo, ma pecca di molta
sinonimia, ed in generale offre un'esempio rilevante, che coloro , i quali
adoperano il rigistro esatto, non sa più riuscire nell'altro registro. Simone
Corleo. Keywords: filosofia morale, filosofia dell’identita, filosofia universale,
meditazione filosofica, logica, antropologia, sofologia, noologia, linguaggio
ordinario, principio dell’identita, Aristotele, la sostanza, l’universale
ontologico, la categoria come universale ontologico, segno, signare
communicativamente, segnabile, segnato, emettente, repertorio di segni,
repertorio di forme, composizionalita, communicazione primitive, pre-arbitrio
mutuo, spontaneita, naturalita, associazione, iconicita, bah-bah, peccora,
conversazione adulto-bambino, il vocative “o” emesso sense intent communicative
– signa naturalmente che e necessaria l’attenzione spontanea, scenario ii.
Romolo e Remo, Eurialo e Niso. Le parti dell’orazione, il verbo e le categorie
agruppatta in quattro funzione: quantita, qualita, relazione, modalita. Il nome
sostantivo, il nome addgietivo, il avverbo, le particelle, la congiunzione, il
vocative “o” – la forma del giudizio e la proposizione semplice “S e P” –
modelo filosofico dello svilupo del signare communicativamente – dello
spontaneo (arbitrio duale tacito) al arbitrio duale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Corleo” – The
Swimming-Pool Library.
CORNELIO (Rovito). Filosofo.
Grice: “I love Cornelio – he has a gift for titling his treatises: gyymnasma!”
“My favourite of his gymnasmata is the one on what he calls the ‘generation’ of
‘man’ – in Roman, ‘homo’ is said to come from mud, humus – and this is strange
because Prometeo created man out of mud – In Rome, the more Catholic your
philosophy is, the more ‘Aquinate’, as it were, the less Hegelian and Platonic
– so trust an Italian philosopher to believe in the Graeco-Roman myth of the
‘generation of man’ than the story of Adam’s spare rib, etc.!” Si forma alla
scuola cosentina sulle teorie anti-aristoteliche diTelesio, molto studiato nei
salotti. Studia a Roma, approfondendo e facendo proprie molte tesi galileiane.
Conobbe il naturalismo telesiano e campanelliano, di cui fu erede il suo tutore
Severino. Insegna a Napoli, portando la filosofia di Cartesio e di Gassendi.
Nel “Pro-gymnasmata physica” sono esposte la sua teoria filosofiche. Altre
opere: “Pro-gymnasmata physica”; “Epistola ad illustriss. marchionem Marcellum
Crescentium”; “De cognatione aëris et aquae”; “Epistola Ad Marcum Aurelium
Severinum”. Dizionario biografico degli italiani. INDEX
EORVM, Quæ in hoc volumine continentur animalium conformatio ex inspectione er
ex aque, ac terre expira ouorum percipi facile patest tionibus ætheri permiftis con animalium ex
semine conformatio de stituitur scribitur aer ob vsum respirationis recentari
de animalium pars primigenia non iecur neque cor, neque fanguis ter præter modum
diſtraktus aut com animantes exſectis teftibus quandoque preffus vite animalium
& ignis con filios generant. fernationi inutilis antiquorum varix de.rerum
initijs opi aer nisi vaporibus aqueis permiſtus re niones spiritioni inutilis apoplecticorum
& ftrangulatorum aer infra aquam demerſus à fuperftan mitis est exitus tis
aqua pondere comprimitur Aqua frigore concreta rarefcit, & in ma. Aeris in
reſpiratione quis vſus. iorem molem ampliatur. aeris per neceſitas tum ad vitam
ani aqua quomodo in vapores foluatur malium tum ad ignem conferuan in glaciem concreſcat
dum Aqua fenfu iudice neque contrahi,neque Aeris grauitas diftrahi potest Aeris
color caeruleus onde aqua triformis Arris , Aquarum pondus fub eifdem Aquis
ineſſe non poteſtnotabilis quanti demerſi curnon ſentiamus. tas aeris Akris
compreffio ,ea diſtractio nifi æthere Archimedes ingenj doctrinæque prin
admiſſo nequit explicari ceps Aeris ex aqua generatio Ariſtoteles animaduertit
in generatione Aztheris ſubſtantia omnino admitten diuiparorum fieri .conceptus
ouifor da Alibilis fuccusad cor confluit Aristoteles ab attico platonico philo
animalia amphibia cur sub aquis distid fopho notatus si le ſine spiritu viuant
Aristoteles cur priuationem inter prin Animalia pulmonibus prædita cur niſi
cipia numerauerit reſpiraverint citiffimemoriuntur Aristotelis de loco
fententia improba animalia , quæ interclufo fpiritu fiiffa 46 cantur dexterum
cordis ventriculum , Ariſtotelis principia diffentanea . pulmones babent multo
fanguine Ariftotelis quàm galena doctrina de ge refertos. neratione animalium
fanior ar mes tur arteriæin vteros prezrintinm perti mentuan mentes
frequentiores , “ ampliores Calor omnis animalium eflà Janguine fiunt Aiteris
non moventur à ri pulſifica eiſ- calor nonnunquam diſſimilis nature cor dem à
corde communicata, fid ab im pore congregat pulfu fanguinis Calore corpora non
femperrarefiunt, Arteriæ omnes eoderntemporis puncto Calore cur omnia diffoluantur,
atque li. ab impulſu fanguinis mouentur , tam queſcant que cordis proximefunt,
quam quæ à Caloris naturaex Platone explicatur corde longiſſimèabfunt . 129
Cauernæ in quibushomines fuffocantur , arteriarum venarumqueplexus, atque ignisextinguithi'
implicatio ibi eße folet vbi fit aliqua Chyli in ſanguinem mutatio quomodo
ſecretio fiat. Aſtrologia conieéturalis vanitas Cloylus ad inteſtina de aplies
duobus li quoribuspermiſcetur attractioni vulgo tributi motus re vera chylum
ounem per lacteas venas trana. pendent à circumpulſione refulſo
prodideruntiuniorcs Auftifichs ſuccusper membranas, a Chymix cognitio ad
Thyſiologiam illis neruos in partes diffunditur ſirandam perutilis Auftificus
fuccus ab Arabibus obfer- chymici magnam cladem galenicæ fa Uatus,fedperperam iudicatus.
&tioni attulere cibaria non eo quo ingeruntur ordine Ilis à fanguine in
iecinore fecerni B permanentin ventriculo tur cibi pars e ventriculo fiatim
elabitur Bilis nõ eſt fanguinisexcrementun antequam integra maſa confefta fue
Bilis nutritiumfuccum diluit, & fluxum reddit ciborum concoétionem auctores
diuerſa Bilis vtilitas rationeexplicant Brahaus illuftris Aftronomus à predi-
cibus in ventriculo quomodo conficia Etionibus aftrologicis abstinuit Bruni de mundanorum innumerabilitate cibus non
à folo calore conficitur sententia refellitur cibus in ventriculo fermentarur
Brunus voluminibus ſuis nugas inferuit . Cibus in ventriculo coctus non femper
albicat Cibus non detinetur in ventriculo donec Alidorum halituum magna vis in
totusfuerit confectus exterendis duris corporibus Cola piſcis cur amphibiorum
more diu Calor cæleftis est eiufdem nature , atque tule fub aquis viuere
potuerit elemenearis Conceptus omnes viviparorum ouifor culor innatus
eftmedicorum inane com mes ſunt Con rit . tur . с Copernicus ab Italis mundani
systematis FFelleus, Gʻaqueus humor cuit Condenſatio, et rarefaétiofine
tenuiſſima quod ob defluxum bydrargyri inane ætheris fubftantia explicari non
po videtur teft F Elle nullum animal caret . notitiam arripuit quibus
Copernicus maximus astronomus prædi. chylus diluitur,iterato fæpius circuitu
&tiones aſtrologicas improbauit ad inteftina reuoluuntur cor motum non
habet à cerebro, fed inſe Fermentatio quid ſit ex Platone, ip, o cietur,
cpalpitat Fermenti vis à calore excitatur . ibid . Cordis motus fit ab
balitibusin eiuſdem Firmicus reprehenditur lofibras influentibus flamma cur
fine pastu permanere ne Cordis motus nõ excitatur àferuorefan queat guinis , vt
Ariftoteli, Carteſio pla- Flamma cur faſtigietur in conum , ibid. Fæmina
ſubminiſtrat materiam omnem Corpora je inuicem propellere poffunt , ex qua
fætuscorporatur non autem attrahere Fæminæ genitura non carent D
Feminarumgenitura an aliquid conferat Ifferentis inter conceptus ouip.rros,
adgenerationem Fætus vita non pendet à vita matris Dɔny Volumen de natura
hominis fætus cum propria tum parentis vi ab utero excluditur E Frigore
nonnunquam diſſimilis nature Lectrum quomodofeſtucasattrahat. corpora
ſegregantur experimenta ludicra quatuor primum Alenus ab Ariſtotele maximis de
orbiculorum in aqua alternatim a rebus diſſentit frendentium , defcendentium Galenus
Platonis fententiam de circum secundum orbiculorum in tubo dque pulſione non
eſt affecutus pleno fuerfum deorſumque recurrena Galeni experimentum de fistula
in arte. - tium ad nutum eius , qui tubi oftium riam immiſa oſtendit arterias
ab im digito obturat pulſie fanguinis moueri tertium orbiculorum in tubo
retorto Galeni Secta cæpit deficere aſcendentium defcendentium pro Galenice
fattioni magna clades d chy paria tubi inclinatione micis eſt illata quartum
orbiculorum ex imo furfum galenice medicine summa aſcendentium propter
diſtractionein Galilæus de atomis, inani aliter vidé aeris in eiſdem conclufi
tur decernere, ac Democritus & Epi Experimentum quo Verulamius probat curus
aquam comprimipole eſt fallax Galileus omnium primus physiologiam experimentum
Torricelli de spario, com Geometria iugauie Ga Gevens ifotelemaximisde Galilcus
aſtronomicarum rerum peritif Hippocratimulta tribuuntur, quecom . fimus
improbauit aſtrologicas prædi mentitia funt ctiones" Hobbes fententia de
ſubſtantia inter al Galilei Carteſi aliorumque iuniorum rem & aquam media.
doctrina phyſicapræftantior quam homo à teneris annisita potefl educari,
antiquorum vt amphibiorum more ſub aquisdiu Genituraquid ,vnde prodeato tius
viuat Genitura non fit in teftibus Homo incerto gignitur fpatio Genitura in
procreatione animalium ef- Hominis genitura non est eiufdem ratio ficientis
tantum caufa vim habet. nis cum femine ſtirpium Genitura non eſt pars , feu
materia con Hornunculorum generatio à Paracelſo fituendi conceptus : propoſita
commentitia eft Genituræ craffamentum oua, & conte Humanusfætus recens
formatusmaiu ptus minimè ingreditur Sculæ formica magnitudinem vix fum
Geniturepars, quæ efficiendi vim habet , perat oculorum fugit aciem Geniture
vis per occultum agit corpora quantumuis denfa penetrat Sanguinefecernere.
Ecinorisprecipuum munusest bilen Geometrie Paradoxa nonſemper plyſInanenihil
eft . cis diſquiſitionibus aptantur so Ingenia ad philofophandum idonea que
Glandulg cur maiores & frequentiores nam fint. in tenellis , &
pinguibusanimalibus, Initia rerum naturalium abftrufa. quam in ſenioribus ,
&macilentis, in omni motu fit reciproca corporum dla translatio Glandule fecernunt auctificum
ſuccum Iuniores multa fulicius inuenere quam à reliquo fanguine Priſci . 4
Glandularum vtilitas . ibid . K Græci curdoctrine ſudijs cæteris natio
nibuspræcelluerint probauit aftrologicas predi&tio Grauiora corpora etiam à
leuioribus ju . perftantibus premuntur L Grauitas quid L Ac quibus vis feratur'
ad mam H mas Hanimalium accuratiſſima. Aruei obſeruationes degeneratione lacervberibus
virorum , &virginum frequenti fuetu prolicitur Harueius in obferuando
diligētior, qaam Lace papillisrecens natorum extillans .. in iudicando Hippocratis
de calore Paradoxum . lac in ventriculo pueri coagulatur Hippocratesanimaduertitfetum
in man ' Latte columbs-nutriunt pullos ſuosprin tris vtero alimentum exfugere
mis diebus Laa nes Luuleirum venarum nonnulla cum me. Saraicis coniunguntur medicina
praua quadam conſuetudina Lamine complanatæ mutuo contactu co . hominibus
infimæfortis tractanda re hærentes cur niſi magno conatu diuelli linquitur
nequeant Medicina rationalis ſuper falſis hypothe. Lansbergius' excellens
Aftronomus à fibus hactenus fuit ſuperstructa predi& tionibus aſtrologicis
abſtinuit . Medicina Græcorum continet inanes conie turas & fallaces
præceptiones , Lien per flexuojam arteriam craffioren fanguinem excipit Medicina
inconftantia, Seftarum va Lien craffiorē & impuriorem ſuccum ex rietas. cibireliquisſecretum
ſuſcipit Medicinam pauciffimi Romanorum fa Lienis vtilitas, Arụctura Etitarunt Lumennon
eft in rebus, fed fit in ipfo Membranarum
vtilitas, dentis oculo Motus ad fugam vacui vulgo relati pen Luminis
naturaexplicatur dent à circumpulſionefuperftantis ae. ris maseratica vis diſimilis
elektrick : Mund for printeriplexdifferentia mini . Men Maßarias iuniorum
gloriæ infenſus Mundi magnitudo
incomprehenſa. ibid. Materia exqua fætus corporatur eſt al N bugineus lentor
ſinailis ouorum albus Aturæ ratio ex ipſa potiusrerum Mathematicæ diſciplinæ
fummam inge paranda stü aciem defiderant Naturalis historie cognitio ad
Phyſiolo Mathematicarum disciplinarum notabile giam malde necellaria incrementum
O Medici latina verba importunèeffutiunt, Bferuatio noua deforaminibus in vt
imperitorum plaaſum aucupen . interiorem pentriculi tunicam . : tur biantibus .
Medici periculofus, &ancipites morbo- obſeruatio noua de pensatorum ventri.
rum curationes inftituunt , culis. Medici perperam diuidunt partes in ſper.
Obferuatio noua lenti humoris in ventri maticas,atque fanguineas', culo
exiſtentis Medici rationales quam profitentur' , Obſeruatio viarum, que nouum
alimentū. ſcientiam omnino ignorant ex ventricnli fundo excipient Medicis
familiare eft mutuainter fe ia . Oetimestris partus non minus pitalis Etare
conuicia quam ſeptimeſtris Medicorum improbitas Ouiformis conceptus in
viviparis habet Medicorum inſcitia reprehenditur, vcram ſeminis rationem Ouum
gr Pusega Perguedus nouisobfervationibusfretus R Frisvarijoeleis queriamlitar $
Strguis I i Ouum fæcundum b.abet rationem femi- Ptolemai Copernici, &Brahei
mundan nis in ouiparis Systematis pofitiones manca im perfecte Ancreatis ductus
vtilitas Pueri cur facilius mathematici effe pof fant,quàm phyſici ,aut
politici. 36 Paracelſus d plerifque propter obſcurita- Pulli ex quo generatio
defcribitur tem deſertus R opinion Erum natura vix alibi quàm in li Pecquetus
obferuationibus quæriſolita bematofin tribuit cordi, non iecinori. Refpiratione
cordis æſlum temperari fal sò creditum est Pestilentix confideratio philosophandi
ratio inſtituta à noftri fæ Anguis non eſt ſuceus ſimplex , nec culi auctoribus
laudatur . tamen continet quatuor decantatos Philoſophia noftris temporibus in
liber humores tatem vindicata eft Sanguis in omne corpus per arterias dif
Philosophia Cartesii quails funditur Ploilofophiæ ftudium à pleriſque peruer-
Sanguis per arterias in membra influen's titur vitalitatem magis , quam
nutrimen Philoſoplrorum in definiendis rerum ini. tum infert tijs conſenſus sanguis
non calore, motuue liquefcit, fed Phyſiologia parum hactenus adoleuit permiftione
tenaifimihalitus pbyſiologia plurimarum rerum cognitio nem , & experientiam
requirit Sanguis non fuapte natura caliduseſt , Phyſiologia onde ordienda nec
calorem accipit à corde, fed motu, Phyſiologia poteft ex falfis hypotheſibus
atque agitatione incalefcit veras naturalium rerumaffectiones Sanguis non in
iecinore, nec in corde, vel concludere alio certo viſcere conficitur
Phyſiologie obſcuritas onde proficifca . Sanguinis duapartes altera viuifica tera
auctifica Phyſiologiæ perfetta cognitio cur defpe- Sanguinis natura admirabilis
Eius randa potior pars aciem fugit Phyſiologiam noftre etatis fcriptores Sanguinis
motusà corde a præclaris inuentis illuſtrarunt Sanguinis circulationem ab
Harueio de Phyſiologiam nemo Geometriæ ignarus fcriptam indicauerant,ante
Pizulus Mis aſequitur Sarpa , &Anstress Cefalpinus. Planetarum corpora ad
ætheris liquidif- Sanguinem fal coire, &denfere noir par ſui motum
circumferripoflunt titur Plato materiam voluit eſſe locum Sapientia illa quam
in ætatibus habet ſe weêtus nostræ potius cetati, quins pria e feq . tør . ſeis
fcis temporibus debetur Vacuipropugnatores corporis naturam à Semen animalium
quidnam fit cx Aris tałtu determinant Stotele P'ene lactea non deferuntomnem
fuc Senfus non ea omnia percipit, qua in na. cum alibilem jura exiſtunt Venis
la &teis animantesquædam carere Senſu quæcumquepercipiuntur falsò ta
videntur lia iudicantur qualia videntur. ibid . Venarum lymphaticarum
progreffus, ego Soli nibilſimiliusquamflamma vſus leg. Solem igneum esſe tactus
& oculorum Vene meſaraica fuccum nutritium ex teftimonio probat Cleanthes inteſtinis
ad iecur Stelliole Encyclopedia Vens meſaraicæ non ſunt deſtinate nú Stelliola
nouitate verborum abſtruſe do . tricationi inteftinorum & alui Etrina
caliginem offudit Vene vmbilicales maiores ampliorefque Stirpium ex ſemine
propagatio compre funt coniugibusarterijs. 88 hendi facile poteſi Ventriculi,&
inteftinorum motus Stoicis materia
corpuseffe videtur Vermes in iecinorè, liene,corde,pulmoni Sympathia Antipathiæ
& Antiperiſia bus & cerebro animaliū fis inania commenta Verulamius
opes ætatemque inter expe rimenta conſumpſit Elefius putauit poße ſpatiumma Vix
quibus humores d corpore per aluum gna vi conatuque pacuum fieri . expurgantur
Vita hominis in continuata fanguinis Telefiusveteresphilofophos, é precipuè.
motione conſiſtit Ariſtotelem exercuit Vitalis halitus in ſanguine existensquo
Testes priuerfo corpori robur conferunt . modo percipiatur Vitri denſitatem
penetrat hydrargyrus Theologi Hegyptü Deos omnes ex ouo prognatos
eſetradiderunt Vniuerſum vnum indiuiduum , atque im Tyndaridæ ex ouo editi mobile
Torricelli Paradoxum geometricum Vrina per quas vias in renes, &veficam
profunditur . Acuum experimento Torricelli Vvirjungiani ductus vtilitas Vacuum
neque mouere corpora poteſt ne Enonis de natura geniture fenten que ne
moueantur inbibere Ztia. Grice: “It’s best to represent Cornelio as
representing Cartesio – yes, the Cartesio that Ryle attacked! But Italy never
had a Ryle, so that’s good!” Tommaso Cornelio. Keywords:
pro-gymnasmaton, gymnasmaton, gymnasta, gymnasium, ginnasio, ginnasiale, nudo
romano, nudita romana, corpo nudo, snudare, atleta, atletismo, lotta
ginnastica, competizione ginnastica, implicatura ginnastica, l’implicatura
ginnastica di Socrate, Socrate al ginnasio, implicatura ginnasiale. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Cornelio” – The Swimming-Pool Library.
CORRADO (Oria).
Filosofo. Grice: “I like Corrado; of course we have the beefsteak, the English
do; but Corrado philosophised on the near ‘cibo pitagorico’ a Crotone and
produced a philosophical cookbook for the noblemen!” -- Uomo di grande cultura, fu soprattutto grande
gastronomo e uno dei maggiori cuochi che si distinsero tra il '700 e l'800
nelle corti nobiliari di Napoli, simbolo del suo tempo nella variegata realtà
partenopea. Fu il primo cuoco che mette per iscritto la "cucina
mediterranea", il primo, a valorizzare la grande cucina regionale
italiana. Scrisse “Il cuoco galante”, definito all'epoca un libro di alta
cucina, testo richiesto in tutto il mondo dalle principali autorità dell'epoca,
e ristampato per ordini del principe per ben 6 volte. Preparava
elegantissimi banchetti in principio alla corte di Don Michele Imperiali
Principe di Francavilla presso il palazzo Cellamare di Napoli, dove coordinava
un piccolo esercito di maggiordomi, domestici, volanti e paggi e preparava i
pranzi o le cene con particolare assortimento di vivande accoppiandole con
tanta fantasia e particolari accorgimenti architettonici ed artistici al fine
di formare una coreografia sontuosa e raffinata. Figlio di Domenico e di
Maddalena Carbone. Rimasto orfano per la morte del padre, ancora adolescente, divenne
paggio alla corte di Michele Imperiali che era Principe di Modena e Francavilla
Fontana, Marchese di Oria e Gentiluomo di camera di S.M. il Re delle due
Sicilie, che lo condusse a Napoli dove risedette per diversi anni. Appena
maggiorenne, entrò a far parte della Congregazione dei Padri Celestini nel
convento di Oria. Dopo l'anno di noviziato, fu chiamato dal Superiore
Generale De Leo nella residenza napoletana di San Piero in Maiella, dove si
specializzò negli studi di filosofia. Dallo stesso padre generale fu avviato,
anche, allo studio delle scienze naturali e dell'arte culinaria, per la quale
divenne famoso. Non diventò mai sacerdote per cui, dopo la soppressione degli
ordini religiosi si stabilì a Napoli, ove risedette per oltre cinquant'anni,
insegnando la lingua francese ai figli delle famiglie aristocratiche della
città, pubblicando contemporaneamente molte sue opere che gli diedero successo
e notorietà. Per i molti impegni che ebbe a Napoli, non tornò più ad Oria,
anche se non mancarono momenti di nostalgia per la lontananza dalla sua
famiglia e dalla sua città natale. Il Principe di Francavilla gli
attribuì la mansione di "Capo dei Servizi di Bocca" (antica mansione
con cui veniva chiamato colui che era preposto a sovrintendere alla cucina,
alla preparazione delle vivande e all'organizzazione dei banchetti) di Palazzo
Cellamare, sito sulla collina delle Mortelle prospiciente il golfo di Napoli e
della famiglia del Principe, poiché molti illustri personaggi di un certo
livello e rango, che venivano a Napoli, invitati a mensa poterono constatare la
fama di questa opulenta ospitalità più spagnolesca e tipicamente partenopea che
era in uso al tempo. Parlando del suo lavoro Vincenzo Corrado così si
esprimeva: «L'abbondanza, la varietà, la delicatezza delle vivande, la
splendidezza e la sontuosiotà delle tavole richiedevano una schiera di uomini
d'arte, saggi e probi. Questa mastodontica organizzazione, era guidata proprio
da lui. Alle sue dipendenze lavoravano un maestro di casa, un maestro di cucina
ed un maestro di scalco che aveva il compito di acquistare, di cucinare, di
dissodare e di trinciare ogni tipo di animale, mentre una schiera di cuochi,
rispettando la gerarchia allora in uso, lavorava secondo la propria
specializzazione (oggi le grandi cucine dei Ristoranti hanno i cuochi di rango)
: vi era il cuoco friggitorie, quello per le insalate, il pasticciere, il
bottigliere e il ripostiere. Tutti questi erano aiutati da una serie di
sguatteri e di serventi che avevano il compito di girare intorno al tavolo per
esibire lo spettacolo fantasioso delle portate prima ancora di servirle. Tutta
questa organizzazione era coadiuvata da un piccolo esercito di maggiordomi,
domestici, volanti e paggi che interveniva non appena il servizio di cucina consegnava
le varie portate artisticamente decorate. Vincenzo Corrado, a seconda
degli ospiti del Principe preparava i pranzi o le cene con particolare
assortimento di vivande accoppiandole con tanta fantasia e particolari
accorgimenti architettonici ed artistici al fine di formare una coreografia
sontuosa e raffinata. Egli stesso ci descrive queste splendide composizioni con
pregevole gusto e raffinatezza, lasciando, anche, delle visioni grafiche. Gli
elementi decorativi della tavola erano affidati al maestro ripostiere che usava
gusto artistico e genialità: grandi vasi in porcellana ricolmi di fiori
variopinti, alzate di cristallo e argento a tre o quattro piani colmi di
dessert o frutta o fiori o ortaggi, bianchi gruppi di porcellana raffiguranti
scene arcadiche o bucoliche; puttini d'argento; gabbiette dorate con piccoli
uccellini cinguettanti; coppe di cristallo di varie fogge in cui guizzavano
pesciolini tra foglie di rose ed altri fiori. Il centro veniva racchiuso da una
cornice di frutta, di fiori freschi e di ortaggi, secondo la stagione variante,
disposti, intervallati da piccole spalliere di agrumi in porcellana con
ortolani nell'atto di raccoglierli. La composizione era la sintesi di un
artista di provata esperienza, di raffinata fantasia e di vivace estro, capace
di accoppiare tanti svariati elementi fondendoli insieme a formare uno
spettacolo di gran gusto e di particolare gradevolezza. Il valore del tavolo di
gala completato dal vasellame, cristalleria e argenteria di grande pregio era
inestimabile. Questo senso artistico, anche, nell'arte culinaria Corrado
lo aveva ereditato da un suo antenato letterato di mestiere. Ma per quanto
dotato di una cultura autodidatta, di vivacità d'ingegno, di originalità e di
una particolare facilità nell'insegnamento, se non avesse avuto la fortuna di
conoscere Don Michele Imperiali, che ne coltivò le particolari doti
incoraggiandolo a scrivere della sua specifica arte per tramandarla ai posteri,
probabilmente sarebbe rimasto un ottimo organizzatore, un appassionato gastronomo,
ma la sua fama si sarebbe estinta con lui. Le opere “Il cuoco galante’. Il
primo libro vegetariano della nostra storia. il credenziere: colui che si
prendeva cura della credenza. L'opera fu sottoposta a ben 7 ristampe. Prodotta
in 7500 copie, Dalla dedica si ricava il leitmotiv dello scritto nonché la
filosofia in cui credeva l'autore, che è di questo tenore: il “buon gusto nella
tavola” inteso come “sano pensare”. Di questo trattato di gastronomia, il
successo fu istantaneo e inaspettato, in quanto la precedente opera
gastronomica, La lucerna dei cortigiani, stampata presso Napoli e dedicata a
Ferdinando II duca di Toscana, non era riuscita ad attirare l'interesse del
pubblico che la trascurò ignorandola. Invece grande successo ottenne la
prima edizione del "Cuoco Galante" che si esaurì rapidamente, tanto
che il Principe ne ordinò una seconda edizione che ebbe eguale successo.
Intanto Vincenzo Corrado migliorò e ampliò il testo di questa opera e ne
preparò una terza edizione. La fama del libro superò i confini del Regno
di Napoli e dell'Italia; infatti dall'estero giunsero richieste da tutti quegli
stranieri che avevano conosciuto ed apprezzato il Corrado alla corte degli
Imperiali, per cui si pervenne ad una quarta edizione, seguita dalla quinta e
infine la sesta pubblicata. Assolute novità introdotte dall'autore erano allora
la patata, il pomodoro, il caffè e la cioccolata. Altre opere
Incoraggiato dal successo del Cuoco Galante, il Principe spinse l'autore a
pubblicare nel 1778 un Credenziere del buon gusto, del bello, del soave e del
dilettevole per soddisfare gli uomini di sapere e di gusto. Egli scrisse e
pubblicò inoltre “Il cibo Pitagorico”, “Trattato sulle patate”, “Manovre del
cioccolato” e “Manovra del caffè”; “Trattato sull'agricoltura e la pastorizia
ed infine, “Poesie baccanali per commensali”. -- è il faro della cucina moderna
della nobiltà a cavallo del periodo della rivoluzione francese. Egli privilegia
i personaggi di rango in visita alla mensa del principe con opulenta ospitalità.
Orbene in questo contesto di sfarzo godereccio, di lusso e di differenze
sociali abissali, rimase fin abbagliato dalla nobiltà, la gente ricca e
potente, verso la quale nutre sempre sentimenti di grande reverenza se non
addirittura di venerazione. Proprio per riconoscenza al Principe, dando alle
stampe i suoi due libri, confessa. “Questi due libri che del buon gusto
trattano, con la guida e norma scrissi, e pur mercé la tua generosità mandai
alle stampe, e tu di propria mano ne *segnasti* il titolo “Il Cuoco Galante” --
l'uno e “Il credenziere del buon gusto” l'altro, tutti e due a te li porgo come
frutto di un albero dalla mano piantato. Mio Scopo egli è di richiamare alla
memoria dei nobili uomini dei quali tu fosti la gloria l'ornamento alla memoria
e la lode. Ah? Ma qual Tu fosti non basterebbe di dire di cento e mille lingue,
per cui io stimo meglio il tacere e con il silenzio benedire gli anni che ti fu
appresso. L'organizzazione dei magnifici
banchetti e delle cene lussuose gli diedero l'appellativo di “il cuoco
galante”. La cosa straordinaria è che dietro gli scenari di un favoloso pranzo
o cena vi era una preparazione, quasi orchestrale della quale il direttore era
il filosofo. Alle sue dipendenze vi era una vera e propria squadra di addetti
alle cucine formata da precettori cuochi e servienti. La presentazione
estetica, oltre al gusto, acquista la sua importanza in cucina, ed dedica
grande spazio alle decorazioni e al modo di imbandire le tavole dei banchetti.
Nell'opera sono anche presentati i sorbetti, in vari gusti, ed il caffè, che, a
differenza dall'attuale espresso, veniva bollito in apposite caffettiere.
Precettori un precettore di alloggio e sistemazione posti per gli invitati, un
precettore di preparazione dei cibi, un precettore abile con utensili
domestici, che aveva la mansione di far provviste e comperare il necessario al
mercato per le mense, di dissodare e di affettare ogni tipo di carne o pesce.
Chef e Cuochi “Il cuoco friggitore”, il cuoco per le insalate, il pasticciere,
il bottigliere, il ripostiere. Serventi lavapiatti,
camerieri, maggiordomi, domestici, volteggianti e giullari che
intervenivano non appena il servizio di cucina consegnava le varie portate
artisticamente decorate. Non era solo una semplice cena, era un vero e
proprio spettacolo, fuori dall'immaginato. A volte comprendeva l'utilizzo di
100 persone per altrettanti o più invitati. I banchetti o le cene con
caratteristiche e assortimenti di piatti erano accoppiate con tanta inventiva e
particolari astuzie architettoniche ed eleganti al fine di plasmare una
scenografia sfarzosa e affinata. Egli stesso nelle sue opere e nei suoi
diari ci descrive queste splendide composizioni culinarie come opere d'arte,
quasi uno spreco consumarle. Bicchieri e coppe di cristallo, posate in argento
intagliate, tovaglie di pizzo fiorentino, buche e composizioni floreali, piatti
in porcellana di Capodimonte Termini culinari "Il Cuoco
Galante", proprio nella terza edizione, alfine di una maggiore comprensione,
spiega alcuni termini "cucinarj" usati per la preparazione delle
varie pietanze, ne riportiamo un esempio: Bianchire: Far per poco bollire
in acqua quel che si vuole; Passare: Far soffriggere cosa in qualsiasi grasso;
Barda: Fetta di lardo; Inviluppare: Involgere cosa in quel che si dirà;
Arrossare: Ungere con uova sbattute cosa; Stagionare: Far ben soffrigere le
carni o altro; Piccare: Trapassar esteriormente con fini lardelli carne; Farsa:
Pastume di carne, uova, grasso ecc.; Farcire: Riempire cosa con la sarsa;
Adobare: Condire con sughi acidi, erbette, ed aromi; Bucché: Mazzetto d'erbe
aromatiche che si fa bollire nelle vivande; Salza: Brodo alterato con aromi,
con erbe, o con sughi acidi; Colì: Denso brodo estratto dalla sostanza delle
carni; Purè: Condimento che si estrae dai legumi, o d'altro; Sapore: La polpa
della frutta condita, e ridotta in un denso liquido; Entrées: Vivande di primo
servizio; Hors-dœuvres: Vivande di tramezzo a quelle di primo servizio;
Entremets: Vivande di secondo servizio; Rilevé: Vivande di muta alle zuppe, potaggi,
o d'altro. Pitagora nell’atto, che dalla
cattedra nella nostra italica scuola dettava sistemi, che riguardavano quanto
mai fosse fuori di esso lui, e di noi per pascere l’animo e l'intelletto, non
trascure di sistemare peranche ciò che meglio, e piu opportunamente al
nutrimento ed alla conservazione del meccanico nostro vivere conducesse. E però
dettando il canone o la legge, come dir si voglia, per la cucina delli suoi
mentati, non di *carni* di animali ei ditte quadrupedi, o volatili, o di pelei
imbandite vengano le mente di quanti han voglia di più lungamente, e più
lanamente vivere, ma soltanto di vegetabili erbe, di radici, di foglie, di
fiori. Ebbe cotesso filosofante la somma disgrazia di non essere da ogni
filosofo inteso, come sovente la savia donna stobeo sua moglie e espose li g
luf'J\ l&- r menti: e com’egli la tras-migrazione dell’anime avesse
ingegnata, così dalli silenziari scolari suoi, e da parecchi altri prevenuti da
quel di lui fatto sistema si divieta del cibo animalesco, e la preferizione del
solo cibo erbaceo furon pref nel sinistro senso di una supertiziosa venerazione
, cK egli aveffe per l’animale, nella macchina del quale l’anima dell’uomo dopo
la morte fojfcro tras-migrate. Ma ’ che chefané di ciò, egli è indubitata cosa
, che il cibo erbaceo fallo più confacenti all’verno, per cui vedef la più parte
dei Naturalifi a quella opinione indicimata, che l'uomo naturalmente non è
carnivoro. E se noi ponghiamo mente al parlare dell’antica filosofia, rilevaremo
con tutta chiarezza che le frutta della terra defluiate vennero al nutrimento
dell'uomo, e che sopra del pesce, dell’animale terrestre, e del volatile n eh
he lo fie[fio uomo soltanto il domini ; Jlcchè l efifierfii poi dati alcuni
uomini ad alimentarsi di animali j'offe fiata una necessità di alcuni luoghi,
oppure un lusso! Non senza ragione quindi la italiana gente, ansi avvedutamente
oggi più che in altro tempo la legge pitagorica ha ripigliata ad oficrvare con
tutto impegno nella cucina del filosofo galante, e nelle mensa: e le nazioni
anche più culte, che da Italia sono lontane, han preso il gufo di dare al corpo
nutrimento più sano, gusiosso, e facile per mezzo dell’erba. Ed ecco perciò
tutta la scuola cucinaria pofia in movimento per inventar un nuovo modo a poter
preparare e condire l’erba per mezzo di altri fingili vegetabili, onde non
solamente grato al palato si renda il semplice pitagorico cibo, ma eziandio
pofia sioddisfarsii al lusso nell' imbandire laute Menfie da filmili siempìicità
compofie. E quesio è il fine della mia filosofia, difiefio , ed a comune uso e
utilità. Vero egli è, che non tutti li vegetabili dei quali ferie preferìve qui
la preparazione filano li più perfetti, e giovevoli ai nutrimento nostro. Ma
ciò ha dovuto farsi per accomodarsì af gufo comune, ed alla moda presiente
della tavola fu ,di che qualunque Aristarco non avrà che opporre. Nella mia
filosofia volendosi imitare la filmile semplicittà della materia del soggetto,
con sempiice e chiaro discorso si da la pratica come ogni erba italiana dando
il suo proporzionato condimento con fughi di carne, con latte Animali, e di
fórni, con butirro, con olio, con uova , e con altr’erbe odorifere e gusiofe
debano preparar f . E intanto per a et tare, ad ogni articolo alcuna cosa verrà
premefi , che rifguarda la natura, e le virtù del vegetabile di cui fe ne
voglidn preparare la vivanda. E già qui fiegue in prima, la maniera di far i
brodi, i coli e le buri neceJTarj pel
condimento: ed in secondo luogo h nòta del vegetabile del quale nella mia
filosofia fe ne preferivo il modo di prepararli: avendo io in ciò fare
procurato di mettere in J'alvo anche il Injjo nell' imbandire con simili generi
una mensa di formalità e gala, e nel tempo Jìeffo di soddisfare il gusto
delicato dei nobili, e di provvedere alla conservazione dell’utterato . INDICE:
Velli Brodi, Coli , e Purè p. I Velli Coli a Velie Purè i tutta la c minarla
prepa- ragione de’ vegetabili, Lattuca, Spinaci, Cavolo Cappuccio , Selleri,
Zucca, Zucca lunga ia Delle Zucche Vernine ivi Cavai fiore Finocchi Iudivia
Cardoni Cavoli Torgi Carciofi Broccoli Boraggine Senape Cipolle ivi Rape
Ravanelli CicoriaPetronciane Pafiinacbe Pomidoro Cedriuoli Peparoli Pifelli
Sparaci Raperortzpli Velli Ceci Fave Faggioli 3^ De//** I-enfe 39 Funghi
Tartufi Erba per condiment, Maggiorana, Targone, Pimpinella, Santa Maria
Crefcione Origano Timo Acetofa Salvia Menta Cerfoglio Porcellana Bafiltco Ruta
Sambuco Rosmarino Tralci Vite Zafferano Anafi Cappari Scalogne Dettagli Rafano
o Ramolaccio Bettonica Idea dell'ufo delle frutta ivi. Grice: “My favourite
chapter from ‘Il cuoco galante’ is the philosophical one, on Pythagoras! I
vitto pitagorico consiste l’erba fresca, la radice, il fiore, la frutta, il
seme, e tutto cid che dalla terra produce per nostro nutrimento. Vien detto
pittagorico poiche Pitagora, com’ è tradizione, di questi prodotti della terra
soltanto fece uso. Pitagora mangia l’erba semplice e naturale, ma gli uomini
de’ nostri di li vogliono conditi, e manovrari; ed io nel voler conversare con
distinzione dell’erba procuro eseguire l’uno, e soddisfare l’altro, con
escludere le carni, e di servirmi del condimento, anche pitagorico, com'è il
ſugo di carne, il lasase, le uova, l’olio , ed il burirro per compiacere
qualche particolar palato, servirmi pure delle parti più delicate degli animali.
Grice: “Oddly, my mother was keen on Mrs. Beeton, I’m keen on Signore Corrado!”
La cucina e la credenza, ad esami parlando, son sorelle gemelle, poichè
le due appartengono al buon gusto del cibo, e le due nacquero, cresceron , e
s’ingrandirono nello stesso temp , e nella nostra Italia che in altri luoghi,
sotto i fastosi e dominanti romani, e divennero tutte e due arti d’ingegno, di
piacere, e di utile; ed il cuoco ed il credenziere debbono esser d'accordo nel
loro, quantunque dissimile, lavoro. Della estesa ed elevata cucina se n’è
discorso abbastanza. Dico abbastanza ma non già al fine; e compimento, poichè
ciò accade quando non vi saranno più uomini al mondo. Ora vengo a trattare di
quanto la credenza include, e di quanto un credenziere dee esser fornito. E se nel
dar l’istruzione per la cucina pensai e scrissi da cuoco, ura collo stesso
metodo filosofo da credenziere. Come tale intendo ragionare al dilettante.
Procuro di aggiugnere quanto di bello, di buono, e di dilettevole mi ha potuto
suggerire la fantasia. Gradisci dunque , o cortese mentato, questa mia fatica,
e sappi, ch’io resto soprabondevolmente pagato col piacere di avervi servito.
Vivi felice. Vincenzo Corrado. Keywords: il cibo pitagorico, il concetto di
conversazione galante, gala --. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Corrado” – The Swimming-Pool Library.
CORSINI (Fellicarolo).
Filosofo. Grice: “I like Corsii; if we at Oxford had a sublime history as they
do in Italy, we surely would be philosophising about it! Corsini taught
philosophy at Pisa and spent most of his efforts in deciphering what the Romans
felt interesting about Greek philosophy!” Grice: “Corsini also explored the
roots of Roman philosophy from the earliest times – ab urbe condita,’ as the
Italians put it!” Studia nel Collegio dei padri scolopi fananesi, dove in
seguito entra quale novizio e si
trasferì nel Noviziato di Firenze. Le sue capacità lo portarono a
diventare docente di filosofia a soli vent'anni presso la stessa scuola. Si
trasferì quindi a Pisa dove insegna. Eletto Superiore Generale e dovette
trasferirsi a Roma. I principali campi di studio ai quali si applica
furono: la filosofia, la cronologia, l'epigrafia, la filologia e la numismatica
ma si interessò anche di matematica, di logica, di fisica, di idraulica, di
didattica, di storia e di lettere antiche e moderne. Altre opere: “Illustrazione
relativa alle recensioni su De Minnisari e Dubia de Minnisari pubblicate ne gli
Acta Eruditorum; “Illustrazione relativa all'Epistola ad Paulum M. Paciaudum, pubblicata
negli Acta Eruditorum”; “Ragionamento istorico sopra la Valdichiana” (Firenze);
“Index notarum Graecarum quae in aereis ac marmoreis Graecorum tabulis observantur”
(Firenze); “De Minnisari aliorumque Armeniae regum nummis et Arsacidarum epocha
dissertation” (Firenze); A. Fabbroni, Vitae Italorum..., Pisis E. de Tipaldo, Biografie degli italiani
illustri, X, Venezia); Dizionario
biografico degli italiani. Elogio di Corsini (con lettere di Fananese a
Rondelli). Fanani nianae, quod in ditione est oppidum Ducum provinciae
AteftinorumFri, III. Non . Octobris anno MDCCII. natus eft Eduardus Corsinius
(Silvestro Corsini) optimis quidem parentibus, honestissimaque familia, quippe
quae jamdiu civitate Mutinensi donata fuerat. Is ubi primum adolevit
Sodalitatem hominum Scholarum Piarum, quos praeceptores puer in patria
habuerat, ingressus est. Multa diligentia, multoque labore in humaniorum
litterarum [cf. Grice, Lit. Hum.], philosophiae ac theologiae studiis
Florentiae se exercuit apud suos; & cum omnes condiscipulos gloria
anteiret, ab omnibus tamen in deliciis habebatur. Erat enim bonitate
suavitateque morum prope singulari; & cum plurimuin faceret non solum in
excolendis studiis, sed etiam in officiis omnibus religiosi hominis obeundis,
minimum tamen ipse de se loquebatur. Vix ferre poterat Eduardus peripateticos
quofadam horridos, durosque oratione & moribus, quibuscum versari cogebatur;
intelle xeratque jam falsos hujusmodi sapientiae magistros de veritate
jugulanda potius, quam de fendenda assidue certantes, philosophiam artem
fecisse subtiliter & laboriose infaniendi. Relictis igitur disputandi
spinis, ad Academiam se convertit, cujus ratio inquirendi verum libero
folutoque judicio, & fine ulla contentio ne & pertinacia non poterat
non magnope re probari homini natura leniſſimo. Nec forum in philosophorum
libris corum dogmata, quae disputationibus huc & illuc trahuntur, ut ipse
per se perpenderet, inveſtigavit Corsii, sed etiam philosophiae adminicula
& an ſas, qualem Xenocrates geometriam appellabat, in Euclide, Apollonio
& Archimede quae sivit. Quo in itinere felicem adeo habuit exitum, ut
fervore quodam aetatis impulsus, břevi condere potuerit libellum de circulo
quadrando, quem ad Guidam Grandium mi fit. Novit in eo Grandius eximium &
admirabile adolescentis ingenium, eumdemque hortatus est, ut pergeret porro in
eo studio, quod ceteris & studiis & artibus antecede ret, & in quo
ipse futurus effet excellens. At Corsini praeſertim trahebatur ad humaniores
litteras, quibus a puero mirifice dedicus fuerat, quaſque vel in sublimiorum
disciplinarum occupationibus, ne obsoleſcerent, legendo renovaverat. Itaque
moleste tulit demandatam fibi a majoribus fuisse an MDCCXXIII provinciam tradendi
publice Florentiae philosophiam, quasi ad ea detru deretur, quae sui non essent
ingenii. Principio sequi coactus est Goudinium, cui brėvi substituit Hamelium.
Atque hos auctores sic interpretatus est, ut facile intelligeretur non eſſe ex
illorum doctorum numero , pud quos tantuin opinio praejudicata poteſt, ut etiam
fine ratione valeat auctoritas eo rum , quos ſequi ſe profitentur . Poftremo ·
ad ſcholae fuae utilitatem & ornamentum maxime pertinere exiſtimavit , fi e
multis , quae ſunt in philoſophia & gravia & utilia a recentioribus
praefertiin philoſophis tracta ta , quantum quoque modo videretur deli geret,
in quo adoleſcentes exerceret . Sa pienter etiam faciebat, quod ipſos non ſolum
quibus luminibus ab illa omnium laudanda rum artium procreatrice Philoſophia
petitis a mentem illuſtrare , fed etiam quibus virtuti bus omnem vitam tueri
deberent fedulo e rudiebat . Quare minime eſt mirandum fi in tantam
claritudinem brevi pervenerit, ut fuis & Florentinis vehementer carus ,
quibuſdam vero hominibus nudari ſubfellia ſua , & cor nicum oculos configi
dolentibus eſſet invim diofifſimus. Fuerunt & nonnulli ( tantum in vidia ,
aut inſcitia potuit ) qui apud eos , quorum munus eſt providere , ne quid er
roris in religionem moreſque irrepat , Corſi nium accufarunt , multa illum
tradere , in exponendis praeſertim Gaffendi & Cartefii ſententiis , a recta
religione abhorrentia . Stomachatus eft homo religiofiflimus , caftif fimuſque
obtrectatorum temeritatem . Hos ve ro ut falſae & iniquae inſimulationis
publi ce convinceret , utque ab omni metu diſci pulos fuos liberaret , ftatuit
in lucem profer re , quae in ſchola & domi iiſdem expoſue rat . Quod cum
praeftitiffet , id evenit, ut alteros reprehendiſſe poeniteret , alteri fe di
diciſſe gauderent . Inſcripfit opus : Inſtitutio nes philoſophicae ad ufum
Scholarum Piarum , & illud in quinque volumina diſtribuit si ma mum
continet hiſtoriam philoſophiae & lo gicam ; ſecundum verfatur in
indagandis prin cipiis , & tanquam feminibus unde corpora funt orta &
concreta , horumque proprieta tibus & qualitatibus ; agit tertium de cor
poribus inanimatis , quae caelo , aere , ri & terra continentur ; examinat
quartum animata corpora , multipliceſque eorum fpe cies, & elementa metaphyſicae
tradit ; quia tum denique morum doctrinam complectitur. Nec folum in
conficiendis his libris res no vas inveſtigavit Corfinius , fed etiam eas ,
quae funt ab antiquis traditae , quarum co gnitionem eo utiliorem putavit ,
quod faepe. philoſophos nova proferre judicamus , cum pervetera proferant .
Praeter quam quod in ea erat opinione Corſinius, illi , fitum eſt veritatem
invenire , fingulas nofcen das effe diſciplinas , ut ex omnibus , quod
probabile videri poſſit , eliciat , praeſertim cum doceamur a ſapientiffimis
viris , nullam fectam fuiffe tam deviam , neque philoſopho rum quemquam tam
delirantem , qui non vi derit aliquid ex vero . Nec modo quid fibi probaretur ,
fed aliorum etiam fententias , & quid cui propo quid in quamque ſententiam
dici poſſet, pera fecutus eſt, quod ea modeſtia praeſtitit , ut : non vincere
maluiſſe , quam vinci oſtende- . rid . Hanc opinionum varietatem ex fuis fone
tibus fincere deductam , ut potentius in die fcipuloruin animos influeret, non
modo ora , vine diſpoſuit ., ſed etiam claritate & nitore, Latini ſermonis
illuſtravit . Praeclare enjin , Cicero : mandare quemquam litteris cogitationes
fitas , qui eas nec difponere poffit , nec illuftra-: re , nec delectationé.
aliqua lectorem allicere , hominis est. intemperanter abitentis otio & like
cris . Sunt nonnulli qui in hiſce. Insitus, rionibus dum pleniflimo ore laudant
ima menſam prope eruditionis copiam ,, politio remque elegantiam , quibus
ornantur, defide; rare videntur abditiorem 'reconditioremque tractationem earum
rerum, quae primum ii) phyſica tenent locum , quales ex. gr. ſunt Trotus.,
Newtoniana' attractia , harumque lo ges, non tam .ut ceteros, quam ut ſe ipſum
, qui nunquam adduci potuit , ut Newtoni fententiae affentiretur, convinceret .
Sed ii meminiſſe debent quibus ſcripſerit:Corfiniusi, hribuſque temporibus
ſcripferit. Quoniam ve Tom . VIII to plurima ſunt in phyfica , quae fine 'gea
metriae ope tractari non poffunt , hoc quo que adjumențum a fe afferri oportere
diſci pulis ſuis putavit . Itaque Philoſophicis Ma thematicas Institutiones
adjecit , in quibus fi ordinem excipias ( initium enim facit a pro portionibus
, quas nemo ignorat difficillimam effe geometriae partem ) cetera ſatis belle
procedunt. Neque multo poft retexuit hoe ipſum opus , in quo eo elaboravit
attentius , quod fperabat aditum fibi facturum ad mu nus tradendi mathematicas
diſciplinas in Ly ceo Florentino . Acceptum illud cum plauſu fuit propter
dilucidam brevitatem atque ele gantiam , licet in eo acutiores peritioreſque
geometrae pauca quaedam jure ac merito teprehenderint. Praeſtantiam , quam
conſe cutus fuerat Corſinius in rebus geometricis, yoluit ad hydroſtaticam
transferre; cumque fedulo evolviffet quae in ea facultate ſcris ptis
mandaverant poft Galilaeum Torricellius, Michelinius , Guglielminius , Grandius
, alii. que pauci , in ſcenam prodire non dubitavie fuftinens perſonam non modo
conſiliarii & arbitri de dirigendis avertendiſque aquis , ſed etiam
ſcriptoris. Etenim ex ejus officina prow diit liber , qui infcriptus eft :
Ragionamenti intorno allo stato del Fiume Arno e dell' acque della Valdinievole
, quique editus fuit fum ptibus. Marchionis Ferronii , cujus cauffam praeſertim
defendebat . Spe dejectus Eduar dus perveniendi in Lycei Florentini docto rum
numerum , qui praeter modum iis tem- . poribus. creverat , animum ad Academiam
Piſanam convertit , petiitque dari ſibi va cuum eo tempore logicae interpretis
locum . Celeriter quod optabat impetravit , propte rea quod Joannes Gaſto
Magnus Etruriae Dux eximiam illius ſcientiam in omni re philo ſophica
cognoverat .. Vir non tam doctrina praeſtans, quam docendo prudens ( etenim
quaedam etiam ars , eſt docendi ) magno erat emolumento ſtudiofis
adoleſcentibus , qui non uſitata frequentia fcholam illius celebrabant . Cum
vero de fchola in otium folitudinem que ſe conferret , tempus potiffimum conſu
mebat in augendis . perficiendiſque ſuis Phi lofophicis Institutionibus ,
abſolvendoque , quod inſtituerat , opere de Practica Geometria . Ins ter haec
magna fuit amnis Arni inundatio , F 2 84 EDUARD US ut fi inundationes excipias
, quae annis MCCCXXXIII. & MDLVII. acciderunt, nul lam unquam majorem
fuiſſe conſtaret . Pere vaſerat opinio per animos Florentinorum huic luctuofae
calamitati cauſſam praefertim dediffe Clanis aquas in Arnum deductas , &
quae ad eaſdem moderandas aquas facta fue rant opera . Hunc errorem ut eriperet
Edu. ardus , utque perſuaderet eadem opera fuiſſe utiliffima ac faluberrima ,
libro expoſuit qua lis fuiſſet , & quis eſſet ſtatus Claniae val lis ,
quidque conſultum & actum ab anno MDXXV. ad fua uſque tempora , ut peſti
lentiſſima regio convaleſcere aliquando & fa nari poſſeti, utque
controverſiae inter finia timos Principes de dirigendis aquis ejuſdem regionis
tollerentur . Piſis erat Corfinio con tubernium cum Alexandro Polito , qui hum
maniores litteras profitebatur , cujuſque vi tam ſupra explicavimus . Hominis
Graecis & Latinis litteris eruditiffimi exemplum & vo . ces ,
ſelectiſſimorumque librorum copia , qua is abundabat , Corſinium per fe jam
flagran tem vehementiffime incenderunt ad eas ar tes , quibus ab ineunte aetate
deditus fuer GO RS IN I UŚ. 85 rat , celebrandas . Sciebat Graece , cujus
ſermonis elementa juvenis Florentiae acce perat a ſodali ſuo Franciſco Maria
Baleſtrio , fed non luculenter . Itaque multo ſudore ac labore in arte
grammatica primum ſe exer euit , poftea Graeca multa convertit in La tinum ,
Graecorumque libros & eos pracſer tim , qui res geſtas & orationes
ſcripſe runt , utilitatem aliquam ad dicendum aucu- | pans, ftudiofiffime
legebat . Cum vero ei eſſet perſuaſum ingentes ac prope immenſos cam pos illi
proponi , qui eloquentiae ceterife que humanioribus litteris vacare cupit ,
acom mico hac de re aliquando ſciſcitanti reſpon dit: percipiendam ei effe
omnem antiquitatem , co gnoſcendam hiſtoriam , omnium bonarum artium ſcriptores
& doctores & legendos & pervolu tandos , & exercitationis cauſa
laudan.los , in terpretandos, corrigendos , refellendos ; diſputan dumque de
omni re in contrarias partes, & quid quid erit in quaque re , quod
probabile videre poffit , eliciendum atque dicendum . Hujuſmodi exercitationes,
quas diu incluſas habuit, Core finius in veritatis lucem tandem proferre ſe
poffe putavit , cum Faſtos Atticos illustrandos fuſcepiſſet ; magnum ſane opus
& prae clarum , quod omnem fere Athenienfium hi ftoriam complecti debebat ,
cum qua philo fophiae , omniumque laudatarum artium hi ſtoria arctiſfime eſt
conjuncta . Diviſit illud ipſum opus in partes duas , quarum prio rem veluti
apparatum Faftorum effe voluit, quod in illa fuſe lateque ea exponerentur ,
quae commode in ipfis Faftis , ad quos ta men pertinebant , 'exponi haud poffe
vide bantur . Agit itaque de Archontum inſtitu tione , numero , varietate ,
muneribus & re rie , de Archontico anno , atque ordine men fium
Athenienfium . Cum vero Archontigiis annus non in menſes ſolum , ſed in Pryta
nias etiam diviſus eſſet , ac Tribuum Athe nienfium fingulae aequali temporis ,
annique parte Prytaniae munere fungerentur , de ie pſarum Tribuum ac
Prytaniarum numero , ordine ac ſerie , deque Atticae populis , ex quibus illae
conſtabant , eruditiſſime differit . Neque ab his ſeparandam putavit tractatio
nem de Athenienſium Senatu & Ecclefiis , dcque Proedrorum , ac Epiſtatum numero
, diſtinctione & officiis. Tranſit inde ad contexendam Archontum ſeriem
diſtinguens eponymos a pseudeponymis . Quam diſtinctio nem licet nonnulli
agnoverint , nemo tamen exſtitit , qui Pſeudeponymorum Archontum feriem
illuftrandae Atticae hiſtoriae maxime neceffariam recenſere tentaverit . Agit
de mum de civilibus Graecarum gentium annis, ipfarumque menfibus, cyclis atque
periodo, cum antea declaraſſet tempus , verumque di em , quo varia Athenienſium
feſta peragi & redire confueverant . Id facere neceſſe fuit propterea quod
eadem fefta , veluti perſpi cuae certaeque temporis notae, rerum gefta rum
memoriaé ſaepiffimè a ſcriptoribus adji ciuntur . Haec quidem in priori operis
par te . In fecunda vero Fafti exponuntur a pri ma Olympiade , qua Coroebus
palman retus lit , uſque ad Olympiadein cccxvi. Cauffa fuit juſta Corſinio
praetereundi antiquiora tempora , quod iſta laterent craſſis occultata tenebris
, & circumfuſa fabulis . Ne tamen primam Athenienfis imperii formam deſpice.
re videretur (nam Athenis initio Reges , inde perpetui Archontes, mox
decennales , tandemque annui imperarunt) qui Reges & Archontes perpetui ,
& qua aetate fuerint in Prolegomenis perſecutus eft. Ceterum Fa. ftos fic
contexuit Corfinius, ut nullum ad nos pervenerit nomen Archontum , Olympioni
čarum & Pythionicarum , nulla lex , neque pax , neque bellum , neque caſus
neque res illuſtris & memoranda populi Athenien fis , quae in iis ſuo
tempore non fit notata . Interdum etiam attigit Spartanorum , Phoceli fium ,
Thebañoruin , aliorumque Graecorum gefta , conſilia , pugnas , diſcrimina ,
quod ca maxime ſint Atticae hiſtoriae conjuncta . Grae Cos vero philoſophos ,
poetas, oratores , cete roſque tum pacis, tum inilitiae artibus claros viros
ita commemoravit, ut quibus Olympicis annis, & quo loco in lucem fint editi
, vitam que ' finierin't intelligi poffit. Atque haec o Innia capitulatim ſunt
dicta . Etenim nimis lon gus effem fi praecipua, & nova vellem deſcri bere
, quae in his Faftis continentur . Nihil poſuit in iis Corſinius fine locuplete
auctori täte & teſte, aut faltem ſine probabili conje: ctura ; quodque
difficillimum fuit, fcriptorum Graecoruin loca aut vitiata aut minime intel
lecta, aut mutilata'ſic reſtituit , illuſtravit, fupplevitque, ut dubitari
poffe videatur plus ne jis reddiderit luminis , quam ab iiſdem aco ceperit .
Neque minori perſpicientia Athe nienfium nummos vidit , ex quibus non pau . ca
quidem in rein ſuam hauſit ; ſed multo plura e marmoreis monumentis fumpfit, ta
li modo dirimens controverſiam , quae ex fufcitata fuerat a ſummis viris
Spanhemio , & Gudio , nummis ne , an inſcriptionibus princeps locus dandus
effet in explicandis ri tibus , feſtis , Numinibus , ludis, magiſtrati bus ,
rebuſque geſtis Athenienfium . Inter nobiliores inſcriptiones , quas refert
Corfi nius , & miro prorſus acumine atque eru ditione explicat , &
interdum etiam fupplet, eft Florentina quaedam apud Riccardios ile luſtrandis
Athenienfium Tribubus maxime idonea. Sed haec mirifice corrupta erat , au
gebatque corruptelam collocatio . Etenim cum ex tribus fragmentis conſtaret ,
imperi tus artifex fic illa in pariete diſpoſuerat, ut media pars primae ,
finiſtra mediae , dextera vero omnium poftremae partis locum Occu paret. Vidit
haec mala Corſinius , qui 2 tutiſſime indagabat omcia , iifque remedia goadhibuit
. At puduit Joannem Lamium ſe non adeo lynceum fuiffe , cum ufus effet sadem
inſcriptione in ſuis ad Meurfium Scholiis , & ex pudore orta eſt invidia .
Ex quo intelligi poteſt quare is debitas mun quam tribuerit laudes operi , quod
omnium judicio longe multumque ſuperat quidquid in hoc rerum Atticarum genere
ſcripſerunt Sigonius , Scaliger , Petavius , Petitus , Spo nius , & vel
ipfi Meurfius , & Dodwellus , quorum errorés dum faepe corrigit Corfini,
us, & dum minime ab iis animadverſa pro fert , fatis declarat iiſdem
detrahere voluiffe Haerentem capiti multa cum laude coro nam . Rumor erat ea
parare Lamium , quibus fpe rabat hominibus fe probaturum , Corfinium in
emendanda illuſtrandaque Riccardiana in fcriptione ſurripuiffe fibi fegetem
& mate riem gloriae ſuae . Porro Lamius poft edi tas Corſinii emendationes
fupponere cogita verat in locum impreſſae jam paginae in I. Meurſii operum
volumine , quae prae fe fe rebat inſcriptionem corruptam , aliam pagi nam , in
qua emendatior inſcriptio legebatur ; CORSINIUS: 1 bancque mutationem , omnibus
occultari pof ſe putaverat , quod Meurſii liber nondum efe ſet in vulgus editus
. Non latuit certe Core finium , in cujus manus pervenit etiam pria mum
impreffa pagina , qua omnem a fe prow pulſare poterat injuriam . Id ut audivit
Lami mius aliam rationem iniit perficiendi confi lii ſui . Dedit ad Angelum
Bandiniun litte ras plenas iracundiae ac minarum, ſpecie qui dem ut ea, quae
jamdiu ſepoſuerat ad Ric cardianum marmor explanandum , aliquando proferret ;
re autem ipſa ut quae a Corſinio didicerat , perpaucis additis aut mutatis , le
ctori aut occupato aut indiligenti vendita Yet pro ſuis . Atque id utrumque
ſcriptorem conferenti luce clarius eft . Quare mirari ſa tis non poffum hominis
frontem , qui furti Corfinium infimulet in eo loco, in quo ipfo cum re aliena ,
atque etiam cum telo eſt de prehenſus. Atque haec an. MDCCXLv. ſunt geſta , cum
Fafti Attici anno ſuperiori lu cem vidiſſent . Sed tamen res defenſionem apud
multitudinem potuit habere uſque ad cum annum , quo Meurſii opera cum Lamii
animadverſionibus vulgata funt fimul universa . Is fuit an . MDCCLXIII. Tum
enini primum jejuna illa marmoris interpretatio, quam ante annos xxII . Lamius
in l . operum volumen intulerat , lecta eft pag . 258. : ad calcem vero ejus
voluminis ſecundae Aucto ris curae in eum lapidem , & quaſi retra Statio
quaedam ante dictorum edita eſt . Qua in mantiſſa bina extant indicia Corſinii
cauffam mire tuentia , alterum quod nihil hoc in loco proponatur , ' quod non
ille in Faſtorum libro occupaverit ; alterum quod mantiſſae characteres ab ejuſdem
voluminis characteribus forma et figura longe abſunt , teſtanturque non niſi
poſt annos multos quam liber fuerat impreſſus , diſtractis jam aut obſoletis
formis illis prioribus , additam eſſe appendicem , de qua meminimus . Sed jam
fatis multa de homine meo quidem judicio paucis comparando , niſi regnum in
litteris, quod Florentiae perdiu tenuit , malis inter dum artibus &
clarorum virorum vexatione confirmandum putaſſet. Quamvis in Fa. Hujus rei
narrationen pluribus etiam verbis exa pofitam vide in libello cujus eſt
infcriptio : Paffatem po Autuntile , quo in libcllo Si quis est qui dictum in
se ir clemencius Exis. Atis Articis elaborare Corfinio maxime glorio fum fuerit
, non minorem tamen laudem rea portavit ex Agoniſticis Differtationibus, de qui
bus Ludovicus Muratorius , intelligens ſane. judex , dicere folebat , poſſe eas
per ſe ſo las aeternum nomen Auctori comparare . His Diſſertationibus oftendere
voluit Eduardus, quo tempore Graeci celebrare conſueverunt ludos Olympicos ,
Pythicos , Nemeaeos , & Iſthmiacos, quod tempus eatenus fuerat vel
incompertum , vel faltem obſcurum . In hoc autem non mediocrem utilitatem
chronolo giae & hiſtoriae ſe allaturum putavit , quod iiſdem ludis
fcriptores uterentur ad notanda deſignandaque rerum geſtarum tempora . Ab
Olympicis exordiens , qui ceteros fplendore & frequentia ſuperabant ,
breviter cos percurrit, quos ab Hercule primum inſti tutos Trojano bello
deſiiſſe , moxque ab . Iphito reftitutos iterum intermiffos fuiffe fcriptores
narrant . Etenim illud caput eſſe videbatur , ut de Olympiade illa quaereret ,
qua Coroe bus palmam accepit , & quae prima dicitur , omnes Exiflimayit ele
, fit exiſtimet Reſponſum , 11011 d.ctum effe, qu'a lacris prior , 6 94 EDUARD
V $ quod ab illa ceterarum Olympiadum ordo & feries incipiat . Hanc
celebratam fuiſſe putat an . periodi Julianae MMMDCCCCXXXVIII. circiter
folftitium aeſtivum , plenilunii tempo re , qui mos ſemper manſit non folum
anti quioribus , quibus civiles Graecorum anni lunares erant , fed
recentioribus etiam , qui bus ſolares anni a Romanis ad Graecos tran . fierunt
. Primus is erat anni menſis , in quem incidiffent Olympici ludi . Quinque
diebus eorum certamina abſolvebantur , inter quae curſus , quo, uno certatum
eſt ad Olympia dein uſque XVIII, primas tenebat . Neque. in Aelide folum , fed
& in aliis Graeciae ur bibus fumma cum populi frequentia ac faca. crorum
caeremonia Olympici celebraba ntur, donec v . ineunte reparatae falutis faeculo
, jidem cum Pyticis. ſublati fuerunt . , Pyticos primum inftituit Apollo , eofque
jamdiu in-. termiffos, confecto. Criſſenfi bello , Olympiade. XXXXVIH .
Amphictyones revocarunt. Ii- . dem Olympicorum inſtar pentaéterici erant ;
neque ſecundis annis, aut quartis , ut Peta vius & Dodwellus, exiſtimarunt
, ſed tertiis , hiſque exeuntibus circa Elaphebalionis menfis finem , tum
Delphis , tum in aliis Grae- : ciae urbibus peragi confueverunt , Proxime poft
Pythia Olympiade ſcilicet Lill. inſtaura ta fuerunt Nemea , quorum origo
reperitur a ſeptem Argivis ducibus , qui ad lenien dum defiderium pueruli
Archemori a ſerpen te occiſi funebres hoſcę agones CCCCLXXV. annis ante
Olympiadem primam prope Ne meaeum nemus inftituerunt . At Nemeadem illam , ex
qua veluti cardine ceterae infe quentes numerari coeperunt , in annum IV.
Olympiadis LxxII . poft Marathoniam pu gnam incidiffe fatis probabiliter
Eduardus af firmat . Nemeades aeſtivae aliae, aliae hibere nae , omnes vero
trietericae fuerunt; eaeque alternis annis ita peragebantur , ut hibernae
quidem in medios ſecundos , aeſtivae vero in quartos ineuntes Olympiadum annos
in currerent . Cum Nemeis ludis quaedam erat Iſthmicis a Theſeo , ut ferțur ,
conſtitutis fia militudo . Funebres erant ambo , ambo trie terici , & qui
utrolibet in certamine viciſſent apio coronabantur , Ithmici quoque alii em
rant aeſtivi, non tamen alii hiberni , ut qui dem Dodyellus putabat , fed verni
brabantur illi primis Olympiadum annis Hea catombeone menſe , hi Thargelione ,
exeun te fere tertio Olympico anno . Sic definivit Corſinius tempora quatuor
illuſtrium Graea ciae ludorum , patefaciens obſcura & ignota vel ipſis
chronologiae luminibus Scaligero Petavio , & Dodwello , quorum auctoritate
abreptus ipfe in primo Faſtorum Atticorum libro Pythiades ſecundis Olympicis
annis cona cefferat . Agoniſticis hiſce Differtationibus , veluti faftigium
operis , idem adjecit feriem Hieronicarum alphabetico , ut dicitur , ordi ne
diſpoſitam , & Dodwelliana longe ube riorem accuratioremque . Nam
feptuaginta. ſupra centum vitores recenſuit , qui Dod weilum prorſus fugerant ;
fonteſque indic cavit ( in quo Dodwelli diligentia ſaepiffi , me deſiderabatur
) unde uniuſcujufque vin ctoris nomen , aud patria , aut aetas , aut tertaminis
genus , quo viciffet, hauriebatur . Hoc opus vehementer adeo Auctori fuo pro
batum erat , ut vir modeftiffimus in eo quo daininodo gloriari videretur .
Etenim , ut At rico fcripfit Cicero , fua cuique Sponfa ,fuus quiqua 2007.
Quoniam autein tumuin his Agoniſticis Diſſertationibus , tum in Faltis
ſcribendis faepe uſus eſt Corſinius ſubſidio marmoreorum monumentorum , in
quibus multae occurrunt notae , quarum neque fa cilis, neque prompta fuit
explicatio , fepara tum opus. a ſe expectare putavit Graecarum antiquitatum
ftudiofos , quo in opere non ſolum ex marmoreis , fed etiam ex aereis Graecorum
tabulis: varias eorum notas colli geret , haſque explicaret atque illuſtraret .
Quae dum animo verſaret , fcriptionique jam manum admoviffet , ecce in lucem
prodit Scipionis Maffeii liber de Graecorum figlis l.z pidariis, in quo
trecenta fere vocum com pendia ingeniofe: feliciterque enodantur.. Cum Eduardus
ab amico librum accepiſſet , ei epi ſtolam fcripfit ( relata haec fuit in IV.
vo lumen . diarii Litteratorum . Florentiae editi ) in qua ſummas tribuit
Maffejo laudes , quod primus ex omnibus materiem hanc ſeorſim tractandam
füfceperit ,, magnam in illam con ferens.eruditionis copiam , & acre:
prudenſ que judicium .. Non, propterea tamen: ſpar tam , quam fibi ſumpſerat ,
ille deſeruit , quia , ut ait Auſonius, is crat campus , in quo alius alio
plura invenire poteft , nemo om. nia . Et plura certe Corſinius invenit , cum
mille fere notas , aut numerorum vocum que compendia uno volumine colligere po
tuerit & explicare illo ſuo acutiffimo inge nio , cui inquirenti &
contemplanti omnia occurrere ſe ſeque oftendere videbantur . Ut vero
delectatione aliqua alliceret adoleſcen tes , quibus inſuavis fortaſſe &
aſperior via deri poterat ſiglarum inveſtigatio , poftquam multa eruditiſſime
praefatus effet de notarum origine , vi , utilitateque , opportune ſparſit in
toto libro non pauca ad hiftoriam , geos graphiam , chronologiam , ac
mythologiam ſpectantia . Ex quibus aliiſque diſciplinis ube riora etiam hauſit
, ut ornaret Diſſertatio nes ſex , quas , abſoluta univerſa notarum ſerie ,
confecit, ut eſſent operis corollarium . Explicant illae inſignes quaſdam
Chriſtianac & profanae antiquitatis inſcriptiones , ficque explicant , ut
facile exiſtimari queat , eum qui non comprehenderit rerum plurimarum ſci
entiam , quique judicio certo & ſubtili non fit praeditus , in his antiquitatis
ftudiis ſatis callide verſari & perite non poſſe . Inſcriptit Corfinius hoc
ſuum opus : Norse Graecorum five vocum & numerorum compendia , quae in gereis
atque marmoreis Graecorum, tabulis obſer vantur , dedicavitque Cardinali
Quirinio , a quo pecuniam ad illud ipſum evulgandum dono accepit . Etenim his
temporibus haud illi magna res erat, quae vix fatis efle vide batur ad vitam
ſuſtentandam , neceſſarioſque. libros emendos . Praepoſitus an MDCCXXXV.
dialecticae ſcholae, nihil aliud annui ſtipendii obtinuit nifi octingentos
denarios . Hoc eſia fatum videtur nobiliilimae. quidein diſcipli nae , ut pote
quae per omnes diſciplinas ma: nat ac funditur , ut qui illam profitentur me:
diocribus afficiantur praemiis . Vel ipſi Grae. ci , quamvis ellent aequi liberalium
artium aeftimatores , minam , eſſe voluerunt inerce dem Dialecticorum.
Coin.nodiori in ftatu res Corſinii eſſe coeperunt cum traductus fuit (id
accidit an. MDCCXLVI.) ad metaphyſi cam atque ethicam docendam .. Tunc eniin
ipfius ftipendium erat bis millenorum & am plius denariorum , poſteaque
illud ipſum ad quatuor. mille ducentos quinquaginta uſque pervenit , cum
proſperae. res multae confecutae fuiſſent . Satis ſuperque id erat homi ni
temperato ad vitam beatiſſimam ; videba turque libi ſuperare Craffum divitiis .
Quan tum vero ſorte ſua contentụs , quantiſque a moris vinculis Academiae
Piſanae obftrictus effet , ex eo conjici poteſt, quod mortuo Lu dovico
Muratorio Mutinenfis Ducis bibliothe cae praefecto in illius locum fuccedere
recu favit, quamvis liberaliſſime ipfius Ducis ver bis invitaretur . Quo
cognito ab Emmanue le Comite Richecourtio , qui Franciſci I. Cae faris nomine
res Etruriae adminiſtrabat, ipſe fingularibus verbis ei gratias agendas
cenſuit, eidemque prolixe de ſua non modo , fed & Cae aris voluntate
pollicitus eſt . Id non potuit Corfinio non fumme eſſe jucundum ; utque viro de
fe & de Sodalitate ſua bene ſemper merito gratum fe oftenderet dedica vit
illi Plutarchi opus de Placitis Philoſopho. tum a ſe Latinum factum , vitaque
Scripto ris , fcholiis , & diſſertationibus ornatum . Cauſſam ſuſcipiendae
novae interpretationis ei dem dederunt naevi quidam , quibus maçı lantur Budaei
, Xylandri , & Crụſerii honi num ceteroquin doctiſſimorum interpretationes
; ſuſceptam vero ita perfecit , ut ver bu pro verbo reddiderit , multaque etiam
attulerit de fuo , quae funt diverfo chara ctere notata , ne attenuata nimis
diligentia perſpicuitati officeret , & ne res ipfa omni Latinae orationis
dignitate cultuque deſtitu ta ſordeſceret . In limine operis Plutarchi vi tam
ex illius aliorumque veterum ſcriptis a ſe diligentiſſime colletam , &
feriem philo ſophorum , quorum placita a Plutarcho pro feruntur , aetatemque ,
in qua vixerunt , ex . poſuit . Singulis vero operis capitibus brevia adjecit
commentaria , quae aut mutilos & hiulcos Plutarchi locos ſupplent , aut de
pravatos emendant , aut obſcuros atque per plexos , opportune allatis aliorum
philoſo phorum ſententiis , illuſtrant . Siquando au tem longioris eſſe
orationis putavit Corſi nius lucem aliquam afferre rebus obſcuriſſi mis , cum
non Heraclitus ſolum , ſed & quiſ que fere antiquitatis philofophorum , quo
rum ſententias coarctavit & peranguſte re ferſit Plutarchus , Exotélv8
cognomen me reatur , hujuſmodi illuſtrationes ad finem li bri rejecit . Quo in
loco voluit etiam recenfere illuſtriores ſententias , quae propriae di cuntur
recentiorum philoſophorum , cum ea rum tamen manifeſta appareant veſtigia in
Plutarchi libro , quod profecto ad veterum gioriam amplificandam plurimum valet
. Ta les ſunt attractionis leges , vireſque , ut di cuntur , centripeta &
centrifuga, Charteſia ni vortices , lunae phaſes , maculae , quod que haec fit
terra multarum urbium & mone tium , converfio folis , planetarum , fiderum
que certa quadam celeritate ac periodo cir ca axes ſuos , natura , coſtans
motus , rever lioque cometarum , telluris motus , quodque ex eo cauſſa ' maris
aelus repetenda fit jegew’ewe explicatio , aliaque hujuſmodi mul ta tum ad
corporum , tum ad animi na turam pertinentia . Profecto nihil dulcius erat
Corfinio quam per abdita remotioris antiqui• tatis permeare , & inde nova
& inexpecta ta deferre , quae hominibus contemplanda bono in lumine
exhiberet . Nam , ut Ari ſtoteles inquit, fuo quiſque artifex ftudio atque
opera impenſius delectatur . Cum igi tur accepiffet ab Antonio Franciſco Gorio
amiciſſimo ſuo graphidem eximii cujųſdam anaglyphi , quod Romae viſitur in
Aedibus Farneſianis , non magnopere hortandus fuit, ut in illo exponendo
elaboraret . Exhibet hoc ſuperiori in parte Herculem cuin Eų. ropa , Hebe ,
Satyriſque quieri , voluptati que poſt exantlatos labores indulgentem, in
inferiori vero tripodem Apollini ſacrum , Ar givae Junonis Sacerdotem , atque
alatam Virginem , & Herculem demum ipſum ſe ſe expiantem , ut purus ad
Deorum conci lium afcenderet . Hinc & illinc anaglyphum ornant binae
columnae cum Graeca inſcrie ptione, quae multis verſuum decadibus Her culis
geſta commemorat : in ſupremo tan dein anaglyphi loco octodecim hexametra car
mina exculpta ſunt, quibus Herculis labores & certamina declarantur .
Praeclariſſimi hujus monumenti explicationem Eduardus libello quem ad Scipionem
Maffejum inſtituit, com plexus eſt ; ex eoque judicari poteft , vehe mens
afiiduumque ftudium ipfi copiam eru ditionis dediſſe , naturam vero tribuiſſe
in genium ad conjiciendum divinandumque fa ctum . Et fane divinationis cujuſdam
vide illum potuiſſe laceras ac depravatas multorum verſuum lacinias feliciſſime
corri gere atque ſupplere. Magnae antiquitatis ar gumentum praebere ſuſpicatus
eſt Doricam dialectum , qua exarata eſt inſcriptio , ne- ! que ipfe affirmare.
dubitat opus paullo poſt Alexandri tempora' , antequam Q. Flaminius priſtinam
Graecis libertatem redderet, perfe &um fuiſſe . Sed aliter alii ſentiunt (
1) qui bus nunc plerique affentiri videntur . Hoc ipſo ferme tempore Corſinius
ejuſdem Gorii poſtulationibus Diſſertationes quatuor con ceſſit , quae
impreſſae funt ab illo in vi. vo lumine Symbolarum litterariarum . Extricat pri
ma epigraphen ſculptam in labro interiori cujuſdam crateris ahenei Mithridatis
Eupa toris, qui crater in muſeo Capitolino, Vide Winkelman, Monumenti antichi
inediti Trel. Prelim . p . LXXIX . Idem quaedam alia notat in quibus deceptum
fuiſſe Corfinium arbitratur p. 39. (2 ) Sic interpretatur Corfinius mire
involutam in. ſcriptionem : Regis Mithridatis Eupatoris Regni anno 54.
Eupatoriftts Gymnaſii ( hoc eft civibus Eupatoriae , qui in Gymnafio certarunt
) ſenectutem conſeival , quod erat ad laudem vini , quo plenus crater vi
&ori con cedebatur . Alii aliter interpretanda extrema pracſertim
inſcriptionis verba exiſtimarunt , quorum fententiam plerique nunc fequuntur affervatur
. Secunda patefacit obſcuros igno ratoſque dies natalem & fupremum Plato
nis , qua occafione aliorum etiam virorum illuſtrium Archytae , Philolai,
Iſocratis , Ly fiae, Dionis , & Socratis aetates & tempora perſequitur
. Explicat tertia adverſam par tem numiſmatis Antonini Caeſaris , in qua
Prometheus humanum corpus ex luto fin gens , & Pallas capiti mentem ,
papilionis imagine expreſſam , inſerens confpiciuntur . Curioſa ſunt quae
excogitavit Corfinius , ut perſuaderet hominibus morem repraeſentandi humanam
mentem ſub papilionis imagine non ex miris hujus volucris affectionibus &
natura , non ex ipſa animi immortalitate , circuitu , aut tranſmigratione, non
ex Chal daicae , Graecaeque fapientiae fontibus , non ex arcanis amoris
myſteriis, fed ex fola ar tificum imperitia profluxiſſe . Cum enim unum idemque
nomen pſyches papilionem & ani nium deſignet, rudis artifex , qui primus
ani mum exprimendum ſuſcepit , non putavit hu jus ideam poffe melius excitari ,
quam obje eta imagine illius rei , quacum is commune nomen habet . Quarta
Diſſertatio demum in 106 EDUARDUS eo verſatur , ut oftendat mentitam &
falfam effe Latinam quamdam inſcriptionem , quae Piſis vilitur in Scortianis
aedibus . Summi labores , quos Corſinius impendit in conficien dis , quos
retulimus , libris , magna compen ſati fuerunt gloria , ut unus e multis , qui
illuſtrandae Graecae praefertim antiquitati ſe ſe dederunt , excellere
judicaretur . Cujus de praeſtanti in hoc rerum genere doctrina tan ta etiam
judicia fecit Scipio Maffejus , quan ta de nullo ; cujus teſtimonii auctoritas
ma xima reputari debet non folum quod ab hox mine prudentiſſimo proficifcitur ,
fed etiam quia figulus invidens figulo , faber fabro , ut eſt Heſiodi dictum ,
alterius laudi & gloriae | minime favere ſoleat . Ex mutua opinione
doctrinae , fimilitudineque ftudiorum orta eft inter cos jucundiffima amicitia
, cujus tanta vis fuit , ut Corſinius aeſtate an. MDCCLI. quamvis non bene
valens, Veronam venerit aliquot menſes commoraturus apud amicum . Quo tempore
inter eos fuit familiariſſima focietas , & communicatio ftudiorum . Dono
accepit Corſinius a Maffejo tercentum fere Graecas inſcriptiones ( has Edmundus
Chici1 shullius collegerat, & fecundae Afiaticarum antiquitatum parti
reſervaverat ) ea conditio ; ne , ut eas Latine redderet atque illuſtraret ,
Satisfecit ille aliqua ex parte promiffo ſuo , cum anno inſequenti edidiſſet
eas inſcriptio . nes , quae ad Athenas ſpectabant ; eaſdem que iterum cum
commentariis edidit quam driennio poft , ut eſſent ornamento quarto Faftorum
volumini . Nono menſe poftquam in Etruriam rediit Eduardus , moritur Ale- '
xander Politus , quocum ille ita vixit , uit. quem pauci ferre poterant propter
difficilli mam naturam , hujus fine offenfione ad fum . mam fenectutem
retinuerit benevolentiam . Mortuo autem Polito neque inquirendum neque
conſultandum fuit quis illi ſucceſſor in Academia Piſana daretur , cum omnium
oculi ftatim in Corſinium conjecti fuiſſent . Ita hic exeuntė anno MDCCLII .
poftquam octodecim fere annos philoſophiam tradidif ſet , munus docendi
humaniores litteras li bentiſſimo animo ſuſcepit . Initio propoſuit fibi (nam
muneris ratio , & adolefcentium utilitas ab eo poftulabant, ut cum Graecis
Latina conjungeret ) explanare Plutarchi parallelas Graecorum , Romanorumque
vitas , ut inde occaſionem ſumeret utriuſque populi leges inter ſe conferendi .
Memoriter dicebat e ſuperiori loco , quod ad praeceptoris & ſcholae
dignitatem plurimum tum conferre putabatur ; & quae tradebat inſignita e
rant luminibus ingenii , & conſperſa erudi tionis ſententiarumque flore .
Genus dicen di erat quiétum & lene, purum & elegans, ut maxime teneret
eos qui audiebant , & non folum delectaret, fed etiam fine fatieta te
delectaret. Nulli diſcipulorum aditum ſermonem , congreſſumque fuum denegabat ,
quin immo eos bis in hebdomada domum ſuam invitabat , ut in ftudiis exerceret
Grae carum , Romanarumque antiquitatum . Domi etiam tradebat metaphyſicam , quo
onere non placuit Academiae Moderatoribus illum libe rare niſi anno MDCCLIV.
quo quidem tem pore Venetiis evulgavit ſuas Inſtitutiones Me taphyficas. In his
adornandis illud unum pro pofitum fibi fuit , ut in animis adoleſcentium rectas
de animae immortalitate , arbitrii li bertate , Dei exiſtentia , ceteriſque
naturalis theologiae dogmatibus notiones infereret, quibus in gravioribus aliis
diſciplinis veluti praeſidiis uti pofſent , quibuſque caverent a peſte quadam
hominum non tam religioni , quam reipublicae infeſta , quae rationem per
vertendo ubique venenatas opiniones diffe minare non veretur . Subaccuſent
aliqui, fi lubet, Corſinium , quod nimis, parcus fuerit in pertractandis
quibuſdam rebus , quae in ca , in qua nunc ſumus , luce ignorari mi nime poſſe
videntur ; omnes profecto uno ore fateri debent tales effe hafce Inſtitutio nes
, ut cupidi metaphyſicae nullibi poffint refrigerari ſalubrius atque jucundius.
Poftre mum hoc operum fuit , quae Corfinius Phi loſophiae dicavit , nifi dicere
velimus , eti am cum minime videretur tum maxime ila lum philofophari
conſueviſſe, Quod declarant ejus Latinae orationes ad Academicos Piſanos
refertae Philoſophorum fententiis , faluberri ma praecepta , quibus
adoleſcentes ad omne officii munus inftruebat , doctiflimoruin Phi loſophorum
familiaritates , quibus ſemper flo ruit , & ars illa diſtinguendi vera a
falſis , colligendi ſparſa , eaque inter ſe conferendi, diligenter examinandi
omnium rerum verbocum rumque pondera, nihilque afferendi fine evi denti ratione
, aut faltein probabili conjectu ra in qua arte quantum inter omnes un Aus
excelleret , praeſertim oftendebat , in vetuftatis monumenta inquireret . Hujus
inquiſitionis uber fane fructus fuit Diſſertatia illa de Minniſari, aliorumque.
Armeniae Regim nummis , Et. Arſacidarum epocha , quam idem in lucem extulit an
. MDCCLIV. Difficulta tis maximae fuit oftendere Minniſari num mum , quem
praecipue illuſtrandum Corſi nius ſuſceperat , ad illum fpectare Maniſarum
Armeniae & Meſopotamiae. Regem , de quo Dio Caffius in libro Romanae
hiftoriae LXVIII. mentionem fecit, & Arſacidarum epocham uon in Parthiae.
folum , fed etiam in: Arme niae regum nummis inſcriptam fuiffe , eam . que ab
anno Urbis conditae Dxxv. initium duxiſſe . Antea quidem doctiſſimorum viro rum
Uſſerii, Petavii , Noriſii , Spanhemii , Vaillantii, & Froelichij fententia
fuerat , ſe rius. Arſacidarum imperium incepiſſe , adver ſus quam ſententiam
Eduardus ita pugnavit, ut veritas non minus quam modeſtia eluxe rit . Quoniam
vero in antiquitatis ftudio multae res inter fe ita nexae & jugatae funt ,
ut , inventa una , aliae , quae prius latebant , ſe ſe contemplandas offerant,
ean ob rem Corfinius in Minniſari regis num mo explicando varia ſcriptorum loca
corri gere & ſupplere , verum Darii genus expo nere , Tiridatem alterum ,
Arfamem , aliof que Armeniae Reges Vaillantio prorſus in cognitos proferre
potuit . Res in hac Differ tatione contentae , non fine laude oppugnatae
fuerunt a Jeſuitis Froelichio & Zacharia , reſponditque ad ea , quae
objecta fuerunt , ſine iracundia Corfinius . Eteniin veritatis unice amans
alios a fe diffentire haud ini quo ferebat animo, ſemperque deteſtatus eſt eos
, qui ſuis ſententiis quaſi addicti & con . fecrati etiam ea , quae plane
probare non poſſent , conſtantiae, non veritatis cauſſa de. fenderent .
Propugnationem quoque Corſinii libello (*) ſuſcepit ejus convictor &
fodalis (*) Huic titulus eſt . Lettere critiche di un Pafton r Arcade ad un
Accademico Erruſco nelle quali ſi ſciola gono le difficoltà fane contro
un'opera del Reverendiſſia mo Padre Corſini nel Tom . IX. della Storia
leveraria of lialia &e, in Pisa 1957. in Carolus Antoniolius , qui quidem
non me . diocria adjumenta illi praebuit , cum pluri mum valeret in omni genere
ftudiorum quae ipſe excolebat . Magni quoque Acade miae fuit Antoniolii opera
in Graecis littea ris tradendis toto illo ſexennio , quo Corfi nius , coactus
capeſſere, ſummum Sodalitatis fuae magiſtratum , bona Principis cum ve nia ,
& fine ulla ſtipendiorum jactura Piſis abfuit . Hic Romam venit menſe. Aprili
an. MDCCLIV, ardens. defiderio indicia veteris memoriae , quibus mirabiliter
urbs. illa abun dat ( quacumque enim quis ingreditur in aliquam hiſtoriam
veftigium ponit ) cogno ſcendi . Sed raro ei poteſtas dabatur huic ſuo .
deſiderio, fatisfaciendi, cum podagrae dolori bus ſaepiſſime vexaretur , &
munus ſuum diligentiſſime exequi vellet . Quanta vero pru dentia ac dexteritate
fuerit in tractandis ne. gotiis , quanta aequitate in conſtituendis ,
temperandiſque, ſi res pofcebat, conſtitutis jam legibus , quanta humanitate
erga omnes , quantaque vigilantia ac providentia in con fulendo rebus.
praeſentibus , praecavendoque futuras , fatis praedicari non poteft . Cum autem
nihil ſine aliorum conſilio agere ei mos eſſet , & facilitate ſumma
uteretur in füos adjutores procuratoreſque , inde norza nulli materiem
ſumpſerunt falſae criminatio nis , quod ad aliorum magis quam ad ſuun arbitrium
res Familiae adminiftraret . Omnino totum fe tradidit Eduardus Sodalitati , to
tamque fic rexit , ut oblitus commodorum ſuorum omnibus proſpexerit . Non eſt
credi bile quanto animi dolore angeretur , fi ali quis ſuorum in crimen
vocabatur . Horrebar enim homo innocentiſſimus vel ipfam pecca ti ſuſpicionem .
Sed non propterea fontibus iraſcebatur, hofque clementia magis atque manſuetudine
, quam animadverſione & ca ftigatione ad frugem revocare ſtudebat . Cum
vero feveritatem , fine qua reſpublica adıni niftrari non poteſt , adhibere
cogebatur, similis, ut praeclare admonet Cicero , legum erat , quae ad
puniendum non iracundia , fed aequitate ducuntur . In his occupationi bus
muneris ſui, ne plane ceſſäre a fcriben do videretur , extare voluit
explicationem đuarum Graecarum inſcriptionum , quae mus ſeum ornant Bernardi
Nanii Veneti Senatoris.quam feliciter id praeftiterit , perſcrutata prius
litterarum priſcarum , quibus illae con fcriptae ſunt , forma atque vi , facile
judica bunt ii , qui ſunt harum deliciarum amato Tes . Tentaverat eamdem rem
Franciſcus Za nettus, ſed longiſſime aberravit a vero ejus interpretatio . Ipſe
Eduardus cum Anconae effet ineunte anno MDCCLVI. eoque prae ſente cum multis
aliis detecta fuiſſent atque agnita corpora Sanctorum Cyriaci , Marcelli ni
& Liberii, quos ſingulari obfequio ea dem civitas venerațur, incitatus
fuit, ut ali quid laboris impertiret illorum Sanctorum illuſtrandae hiſtoriae ,
definiendoque praeſer tim tempori , quo tranſata eorumdem cor pora fuerunt in
eum , ubi nunc jacent , lo cum , & quo Anconae coli coeperunt . Haec
Corfinius , edito commentariolo , accidiffe - ftendit exeunte faeculo XI. ,
& ex ipfis an tiquitatis monumentis quibus ſententiam ſuam confirmavit ,
quatuor Anconitanorum Epiſcoporum nomina in lucem protulit , quaç uſque ad id
tempus fuerant incognita , Per pauca in hoc commentariolo attigit de S, Liberio
, quod ejus hiſtoriam involutam tenebris & fabulis exiſtimabat , Mox cum ei
aliquid luminis affulfiſſet , & monumentorum ope , & mirabili illa ſua
conjiciendi arte pa tefacere potuit Liberium fuiſſe unum ex fo ciis S.
Gaudentii Abfarenſis Epiſcopi , qui circiter an. MxXxx. Anconam venit , fo
litariam vitam acturus in ſuburbano mona ſterio Portus Novi . Harum rerum
inventio multis laudibus. celebrata fuit a Scriptoribus annalium Camaldulenſium
(*) : pergrata quo que fuit. Benedicto XIV. pro ejus. fingulari ftudio in
Anconitanam Ecclefiam . Hic cum ſaepe ad congreffum colloquiumque ſuum
invitaret Eduardum , quod ejus ſummum in genium , fuaviffimos. mores , atque
eximiam probitatem & nofſet & diligeret , ſaepe quo que ipſum
hortabatur ,, ut ea pergeret man dare litteris , quae abdita Chriſtianae anti
quitatis patefacerent . Sed fuerunt juftae ca uffae quare. Corſinius
amantiffimis. Pontificis M. conſiliis minime obtemperavit ; & quid quid
fubciſivorum temporum incurrebat, quae perire non patiebatur, libentiffime
concede-. ( * Vid . Tom . III ., bat ſuis priſtinis ftudiis . Ruſticabar cum eo
in Tuſculano, quando epiſtolam ſcripſit ad Paullum Mariam Paciaudium , in qua
plura de Gotarzis eximio nummo , ejuſque , Bar danis , & Artabani Parthiae
Regum hiſtoria perſecutus eſt, & pro jure noftrae amicitiae ab ipſo
poftulabam , ut in otio , quod raro da batur , & peroptato illi dabatur,
ceffaret a libris & a ftilo . Verum cuin is eſſet ut fi ne his ftudiis
vitam inſuavem duceret, di cere folebat hujuſmodi ſcriptiones non pre mere ,
ſed relaxare animum . Et relaxatione certę aliqua ille indigebat , cui grave
adeo erat , quod multi appetunt , ceteros regendi munus , ut onus Aetna majus
ſibi ſụſtinere videretur . Poterat quidein illi eſſe lovaniens to recordatio
multorum benefactorum , inas ter quae maximum illud reputari debet quod eo
ſexennio , quo ad Sodalitatis gum . bernaculum ſedit , viginti domus , five
cole legia conſtituta ſunt . Interim advenit tem pus , quo magiſtratu fe
abdicare , & extre mos auctoritatis fuae fructus capere debe bat in
provehendo digno viro , qui fibi fuc cederet . Verum minime illi : contigit ,
ut funt ancipites variique caſus comitiorum , quem optabat, exitus. Peractis
comitiis, fine mora rediit ad Academiam Piſanam & ad il lamºquietam in
rerum contemplatione & co gnitione maxime poſitam degendae vitae rae
tionem, qua qui frueretur, negabat ei aliquid deeffe ad beatė vivenduin . Liber
de Praefe . ctis Urbis ei erat in manibus ; Graecas in fcriptiones in Aſia
repertas , quas , ut ſupra retulimus , a Scipione Maffejo dono accepe rat ,
quafque jampridem Latinas fecerat, co pioſis commentariis explicabat ; aderat
diſci pulis ſuis ; veniebat frequens in Academiam , afferebat res multum &
diu cogitatas, facie batque fibi audientiam hominis erudita, com pta & mitis
oratio . Idem efflagitatu & coae tu amicorum inftituta. hoc tempore opera
abrupit , ut explicationem lucubraret cujuf dam nummi recens in Auſtria reperti
, in quo erat nomen & imago Sulpiciae Dryan tillae Auguſtae. Conjecit ille
feminam hanc libertam fuiſſe, libertatémque accepiffe a Sul picio quodam , ab
eoque in Sulpiciam ģen tem receptam ; nupfiffe demum Carinó fcea leftiffimo
Imperatori. Haec porro incerta. Illud unuin ſine ulla dubitatione colligi pof
fe videtur ex nummi fabrica, characterum forma, feminaeque ornatu , illum ipſum
num mum cuſum fuiſſe inter Elagabali & Diocle tiani imperium , proptereaque
Dryantillam ad aliquem Imperatorum , qui illo intervallo re gnarunt, pertinere.
Neque his contentus Edu ardus voluit etiam excutere hiſtoricorum & rei
nummariae interpretum mire inter fe dif ſidentes opiniones de Aureliani ac
Vaballa thi imperio atque aetate , ac poftremo ſuam ſententiam proferre . Fuit
haec , Aurelianum exeunte Julio , vel ineunte Auguſto anno CCLXX. imperium
ſuſcepiſſe , eaque multis & gravibus confirmatur argumentis . Ad ex vero
diluenda , quae contra dici poterant ex illorum ſententia , qui praeſertim niti
vide bantur lege quadam data a Claudio VII. Kal. Novembris Antiochiano &
Orfito Con ſulibus , ut ſerius Aurelianum inchoaffe im perium perſuaderent,
diſtinguit Conſules or dinarios a ſuffectis . Hac autem conſtabilita
diſtinctione , quae maxime apta erat non fo lum ad id , quod requirebat , ſed
etiam ad expediendos alios , quos vel ipſe Scaliger in diffolubiles in
Chronologia exiſtimaverat now dos , concludit eamdem legem editam fuiffe anno
cclxix. vel CCLXVIII. quando An tiochianus & Orfitus ſuffecti Conſules
erant, minime vero anno cclxx. iiſdem Confuli bus ordinariis . Nec minor
difficultas erat o ſtendere , qui fieri potuerit , ut Aurelianus ad vil.
Imperii annum perveniffe dicatur , & explicare locum Euſebii , qui tradit
in ejuſdem tempora incidiffe in . Antiochenam Synodum : exploratnm eft enim
hanc Sya nodum anno cclxix. incoeptam & abſolu tam fuiſſe . Feliciter haec
praeftitit Corſi nius , cum probaſſet Aurelianum anno & ultra antequam a
legionibus poft mortem Claudii Imperator fieret , ab ipfo Claudio deſtinatum
ſibi fuiſſe ſucceſſoreni , adeoque ampla poteſtate donatum ut ab hoc tema pore
nonnulli ejus Imperii initium ſumere potuerint . Quae vero de Vaballatho
diſream ruit Corſinius haec ferme ſunt . Illum Ze nobia procreavit ex Athena
priori viro , ejuf demque nomine ab anno ccLXXVI. uſque dum Claudius in
Gothicum bellum uni ce intentus vixit , Orientis imperium te H4 ut nuit . Ex
quo factum eſt , ut quae hoc tem pore cuſa funt Vaballathi numiſmata , Impe.
satorem Caefarem Auguftum illum nominent . Poftquam vero ille deſciviſſet a
matre , Aureliano adhaereret, huic quidem conjun octus in nummis repraefentari
voluit, minime vero paludamento , radiata corona , fplendi doque Augufti nomine
decoratus, ſolo Im peratoris contentus . Praetereo alia multa Scitu digniſſima
in hac Diſſertatione conten ta , ne , cum nimis longus in recenfendis ſcriptis
operibus fuerim , videar oblitus con ſuetudinis & inſtituti mei . Hujus
libelli ( cil ra liberatus Corfinius totus in eo fuit, ut ab Solveret ſeriem
Praefectorum Urbis ab Urbe con dita ad annum afque MCCCLIII. five a Chri fto
nato DC. Etenim poſteriora tempora mi nime inquirenda putavit , quibus , penitus
fere exſtincto Urbanae Praefecturae fplendo re ac dignitate , nonniſi tenue
nomen , ac leviſſima priſtinae majeſtatis umbra ſuperfuit ; ex quo fiebat, ut
nihil inde lucis facra & profana ſperare poffet hiſtoria , cum contra
uberrimam fplendidiffimamque utraque acci. peret ex veterum Praefectorum ferie
, horumque aetate rite conſtituta . Ut vero non utilitate ſolum , ſed etiam
jucunditate lecto res invitaret Corſinius , operi varia opportu ne admifcuit ,
quae marmora & ſcriptores , quorum teftimoniis ubique fere utitur , cor
rigunt & illuſtrant , interpretumque falſas opiniones atque errores
emendant . Non ego ſum neſcius multos anteceſſiſſe Corſinium in hujuſmodi
pertractando argumento ; ex qui bus omnibus , ac praefertim Jacobo Gotho fredo
ac Tillemontio plurima in rem ſuam tranftulit . Sed ii exiguis finibus operam
fuam continuerunt , fi unum excipias Feli cem Contelorium , qui contextam a
Panvi . nio Praefectorum ſeriem ad annum uſque MDCXXXI. traduxit . Tale tamen
non fuit Contelorii opus , quin eadem de re aliquid politius , copiofius ,
perfectiuſque proferri a Corſinio potuerit . Et protuliffe certe ipſum oportet
, cum magna fuorum laborum prac conia ab intelligentibus viris reportaverit .
Mi rari hi tantummodo viſi ſunt quod aut is in gnoraverit hac ipſa in re
plurimum quoque elaboraſſe Almeloveenium , aut quod hujus fcripta conſulere
praetermiſerit. Id profecto & praeſtitiſfet abundantius & copiofius pro
poſitae fibi rei ſatisfacere potuiſſet , neque poftea ventofiffimi homines
triftem fuftinuif fent notam calumniatorum , qui nullo in pre tio ob pauca
quaedam a Corſinio praetermif ſa hujus opus habendum inflatis buccis
clamitarunt . Ne hi verbofis fibi famam ad quirerent ſtrophis vel apud
imperitam mul titudinem, factum eſt diligentia Cajetani Mari nii, qui librum Bononiae
an. MDCCLXXII. edidit, quo non folum eorum obftitit injuriis, verum etiam nova
a ſe inſcriptionum ope detecta Praefectorum Urbis nomina in lucem protulit .
Sed ad Corſinium revertor , qui dum fine intermiſſione obſequebatur ftudiis
ſuis & adoleſcentium utilitati, oblitus vide batur fe jam fenem factum (
quando enim typis mandavit librum de Praefectis Urbanis ſexageſimum primum
aetatis annum agebat ) & infirma aegraque valetudine effe . Sed ac Hujus
eſt inſcriptio : Difefa per la ſerie de' Pree fetti di Roma del Ch . P. Corfini
contro la cenſura farie . le nelle offervazioni ſul Giornale Piſano , in cui le
della Serie si suppliſce anche in affai luoghi e le emenda . In Bon logna e S.
Tommaſo d'Aquino in 4. Vide Pilanas Ephcm meridcs vol. VIII. p. 179 eidit
miſerabilis caſus , qui repente ipſi onga nem ſpem non folum litteris , ſed
etiam na : turae vivendi praecidit . Erat haec conſuetu . do Academiae Piſanae,
ut qui humaniores lite teras profitebantur , Kalendis Novembris , quo tempore
inftaurari ftudia folebant, Latinam om rationem haberent ad vehementius
inflamman dam cupidam doctrinarum juventutem . Di cebat eo ipſo die Eduardus (
vertebat tunc annus tertius fupra fexageſimum hujus fae tuli ) de viris , qui
& ſcriptis editis , in ventiſque rebus in Academia maxime florue runt ,
eaque erat oratio , ut nunquam is di xiſſe melius judicaretur . Cum eo
pervenirſet, ut exultaret in immenſo Galilaei laudum campo , repente apoplexis
ipſum perculit , ac ſemivivum reliquit . Dolore hujus caſus o ſtenſum eft
quantum ille Academiae eſſet ac ceptus . Aegre domum deductus , ibi quatri duo
cum morte conflictatus eſt. Quinto die, multis adhibitis remediis , levari
coepit , ac praeter ſpem paullatim convaluit . Ut arden ter deſideraret
priſtinas recuperare vires , efficiebat ille fuus ſingularis amor in Aca demiam
, cui majus ſe non poſſe munus afferre videbat , quam fi inſtitutum juſſu Prin
cipis biennio fere ante opus de ejuſdem Academiae ortu , progreſſu ac vicibus
ad umbilicum perduceret . Plurima collegerat at que vulgaverat ad hanc
hiſtoriam pertinen tia vir diligentiſſimus Stephanus Maria Fa bruccius Juris
civilis in eadem Academia do ctor , quae quidem ampla & bella materies effe
poterant ad novum aedificandum opus . Hoc igitur ſubſidio inſtructus Eduardus ,
ala cer ſe ſe ad rem accinxit . Et primo qui dem illuftrium Italicorum
Gymnafiorum ori ginem ſubtexuit , diſſerenfque quatuor prio ribus capitibus de
prima Gymnaſii Piſani in- : ſtitutione, neque ab xi. neque a xiv. Chris fti
faeculo , ut multi ſcripſerunt , fed ab ine unte XIII. vel exeunte xii . illam
repeten dam effe exiſtimavit . Ex hoc tempore ad annum uſque MCCCXXXIX. , quo
anno Fa bruccius contendit coepiſſe Academiam Piſa nam , hanc fi nullam dicere
nolumus , mi nimain certe fuiſſe oportet . Conſecutae des inceps yices multae ,
ut ipſa modo langues ſcere , modo ad interitum properare , vires vitamque modo
recuperare , ac faepe etiam veluti extorris ſedem mutare viſa fuerit , Quae
omnia octo conſeqılentibus capitibus perſecutus eft Eduardus . Cum vero Acade
miae res , imperante Coſmo I. ceteriſque.non solum Mediceis, sed etiam
Lotharingis Principibus , feliciflime proceſſiſſent , quibus ab his beneficiis,
ſplendore atque gloria aucta, quibuſque gubernata legibus consuetudinibusque,
variis interdum pro temporum varietate, exposuit in quatuordecim capitibus ,
quo rum nonnulla adumbrata magis quam de fçripta videntur . Haec omnia primam
ope ris partem conficere debebant , cum refer vafſet alteram, quam tamen minime
attigit, Doctorum vitis. Dum haec scripta legebam videbatur mihi pofſe ab
Auctore defiderari major rerum copia , magiſque apta ac preſ fa oratio. Inest
quidem in omnibus Corsinii scriptis luxuries quaedam , quae , ut in herbis
ruſtici ſolent , depaſcenda erat; quod fi eft vitium in omni oratione , maximum
tamen eſt in hiſtoria , in qua pura & illu fțris brevitas expetitur . Eodem
tempore, quo Eduardus in Academiae historiam incumbebat, ne plane superioris
aetatis Audia de servisse videretur, epistolam fcripfit ad ami cum &
collegam fuum Franciſcum Albi zium , in qua de Auſonii Burdigalensi consulatu
egit, Desperaverant vel ipsi chronologiae Patres Panvinius & Pagius,
computationem quamdam annorum ah. Auſonio factam in e pigrammate, ad Proculum ,
in quo, ab Urbe condita ad consulatum suum CXVIII. an nos enumeravit,
conciliari posse, cum Varroniana epocha , ideoque, novam excogitarunt epocham
XIII. annis Varroniana pofte riorem , qua non solum Ausonium, sed etiam
Arnobium usos fuisse scripserunt. Horum aliorumque Auſonii interpretum errorem
ut corrigeret Eduardus, probare debuit. Auſonium non Romanum, modo, fed &
Bur digalenſem geffiffe consulatum, & Romanorum & Burdigalenfium Consulum
fastos conscripsisse . Qua distinctione constabilita , facile fuit oftendere
eumdem Aufonium in ea pigrammate , quod ad Heſperium filium ini fit cum Romanis
faſtis, de Romano, a ſe ges: ſto consulatu, in epigrammate autem illo, quod est
ad Proculum, de patrio, municipali, quinquennali (etenim in municipis omnibus
majores magiſtratus quinquennales eſſe ſolebant) de Burdigalenſi nimirum con. ſulatu
locutum fuisse. Hanc epistolam secuata est altera ad Joannem Chrysostomum Trom
. bellium Canonicum Regularem , in qua do nummo quodam ab Athenienſibus Livia
Augustae dicato, illiuſque aetate differens, feminam illam non ſupremis tabulis
, ſed matrimonii jure a marito nomen Auguſtae accepiſſe pluribus monumentis
comprobat. Quae quidem aliaque ex abditiſſima antiqui. tate deprompta , quae
fparfit Corfinius in hac epiſtola , ut jucunda lectoribus , ita iif dem plena
moeroris fore arbitror , quae in extrema pagina ejuſdem epifolae Trombel lius
adnotavit. Scribit enim ille : Dum extre mam hujus epiſtolae partem edimus ,
monemur , eodem fere tempore , quo Brixiae egregius Maza zuchellius , inclytum
Corfinium noftrum Pisis apoplexi repente ereptum . Eheu litterae aflicłae ! o
amicos incomparabiles ! o annum vere calami 10fum & peffimum ! Dies , quo
illum apople xis iterum invafit , fuit v. ante Kal. De cemb. anno MDCCLXV. poft
quem caſum tribus ferme diebus vixit fine ſenſu , Sepultanta tus eft in Aede S.
Euphraſiae totius Acade miae luctu , quae hanc calamitatem acerbif fime doluit
, doletque adhuc reminiſcens ſe orbatam homine, in quo plurimae erant lit terae
eaeque interiores , divinum ingenium , ac induſtria fumma ; fruebatur vero
nominis celebritate, ut hac fola muneris fui fplendorem tueri potuiſſet. Atque
haec vi tae decorabat dignitas & integritas . Quan tả gravitas mixta
comitati in yultu & moribus ! quantum pondus in verbis ! ut nihil
inconſideratum exibat ex ore ! quam diligen ter inquirebat in fè ſe, atque ipſe
ſe ſe ob Servabat I Oinnino tantus erat in ipso ordo, conſtantia, &
moderatio dictorum omnium atque factorum , ut probitatem & religio nem prae
se ferret , & ad omne virtutis de cits natus videretur. Quidquid come
loquens, & omnia dulcia dicens mirabiliter ad se diligendum omnium ani mos
alliciebat; si vero in familiari sermo ne a quopiam dissentiret , contentiones
disputationesque vitabat, quod non tam na turae quam virtutis erat. Etenim
iracun diae aculeos aliquando sentiebat, sed hos perpetuus cupiditatum domitor
frangebat, pla neque occultabat . Secum ipſe vivens animi triftitiam frequenter
patiebatur , praeſertim si contemplaretur misera, in quae incidimus, tempora,
quibus corrumpere, & corrumpi saeculum vocatur. Quod vero nonnulli per
verſe adeo abuterentur philofophia, ac prae ſertim metaphyſica , ut ea animos a
religio ne avocarent , tanto illum perfundebat horrore , ut vehementer
poenitere eum non nunquam videretur industriae suae , quam in erudienda juventute
ad recentiorum philoſo phorum dogmata inſumpſerat . Quae quidem poenitentia
injurioſa mihi videtur; omnium artium parenti philosophiae, quasi ejus culpa,
quae deflebat mala Eduardus, accidif ſent. Etenim ſunt unicuique ſcientiae :
certi fines ac termini ab omnium rerum modera tore Deo constituti, quos qui
tranfilit, nae ille devius in praecipitem locum ruat necese est . Sed ad
Corfinium revertor, de cujus laudibus non eft tacendum ſummae illum bonitati
ingenuitatique ſummam dexterita tem , ſi oportuiſſet, conjűxisse. Liberalis minimeque
cupidus pecuniae hanc facile a se extorqueri patiebatur. Virorum litteris illus
ftrium amicitias ftudiofillime coluit, amavitque in primis Trombellium &
Paciaudium , quo rum mentionem fupra fecimus, quorumque conſuetudinis magnum
cepit fructum eo prae sertim tempore, quo Romae fuit. Dolui in pſum
combufliffe, quas ab amicis accipere solebat, epistolas , quia ſciebam in iis
erudita multa contineri: eae quidem mihi non me diocri subsidio futurae
fuiſſent huic explican dae vitae . De qua fatis erit dictum , fi hoc unum addam
, eumdem ineditas reliquiffe bi nas Dissertationes de S. Petro Igneo , & B.
Joanne delle Celle; librum de civitatibus, quarum mentio sit in graecis nummis
, ſex que Latinas orationes habitas in Academia Piſana , ex quibus lenitas ejus
fine nervis cognoſci potest. Opere: “Instıutiones philosophicae, ac
Mathemaricae ad ufum Scholarum Piarum : Tomus I. Florentiae typis Bernardi
Paperini, continens physicam generalem, continens libros de coelo Es mundo, continens
tractarum de anima, E metaphysicam
continens ethicam vel moralem continens institutiones mathematicas
Editae iterum fucrunt hae institutiones in V. mos diſtributae Bononiac ex ty
pograghia Laclii a Vulpe cum hoc titulo Cl. Reg: Scholarum Piarum, & in
Pisana Academia Philosophiae Professoris Institutiones Philosophicae ad un fum
scholarum Piarum edirio altera auctior & emendarior; Ragionamenti intorno
allo fato del fiume Arno, dell acque della Valdinievole, In Colania appresso
Heng Werergroot, in 4. “Elementi di Matiemasica, ne' quali sono con migliori
ardine e nikovo metodo dimostrare le più nobili e necesaria proposizioni di
Euclide, Apollonio, e Archimede, Ch . Reg. delle Scuole Pie : in Firenze .
nella Stamperia di S. A. R. per li Tartini, e Frasa ahi in 8 . Hace elementa
mathematica edita secundo fuerunt Year I 2 1 netiis apud Antonium Perlinum , in
qua edie tione quaedam mutata ſunt , emendatufque error, quo cao ptus fuerat
Auctor, dum in priori editione exposuit propoíitionem XXXV. Libri XI. Venetae
huic editioni a djc&us est ejusdem Auctoris liber della Geometria Pranica; Ragionamento
Istorico Sopra la Valdichiana, in cui si descrive la antica e presente suo
stato” (Firenze nella Stamperia di Franceſco Moucke in 4); “Faſii Anici in
quibus Archonium Athenienfium sea ries , Philosophorum, aliorumque illustrium
Virorum deras arque praecipua Acicae historiae capita per Olympicos annos
disposita describuntur, novisque observationibus illustrantur: ACl. Reg.
Scholarum Piarum in Pisana Academia Philosophiae Professore, Florentiae, ex
typographia. Jo . Pauli Giovannelli ad insigne Palmae in Platea S. Eliſabeth .
Tom .II. prodiic. ex eadem typo graphia . Tom . III. prodiit anno 1751. ex
eadem typographia . Tom . IV . prodiit ex Imperiali typographia Cl. Reg. Scholarum
Piarum in Acadeo mia Pisana Philosophiae Profeſoris Differtationes. IV
Agonisticae, quibus Olympiorum, Phychiorum, Nemeurum, ale que Isthmorum lempus
inquiriiur ac demonftrarur: Aco redit Hieronicarum catalogus eduis longe
uberior Es accurarior. Florenciae ex typographia Imperiali. In cxtrema pagina
hujus libri öxhibetur integra feries menfium Macedonicorum, Atticorum , &
Romanorum ad de mondirandun veruna corum ficum ac connexionem ; quam ſeriem hoc
quoque in loco nos exponemus , quia rem gratam antiquitatis ſtudioſis facturos
arbitramur. Series enim a Corfinio contexta differt nonnullis in nienſibus ab
ca quam Scaliger, Uſterius, Petavius, Dodwellus, aliique descripferunt, i Macedonici
Atrici Romani Lous Gorpiaeus Hyperbercraeus Dlus Apellaeus Audynaeus Peritius
Dystrus Xanthicus Artemisius Daiſius Panemus Hecatombeeon Meragirnion
Boedromion Pyanepſion Maemacterion Pofideon Gamelion Anthefterion Elaphebolion
Murychion Thargelion Scirrhophorion Julius Augustus September October November
December Januarius Februarius Marrius Aprilis Majus Junius Lettere intorno all'
opera del Marchese Scipione Maffei intitolata: Graecorum Siglae lapidariae.
Extat in tom. 4 . par. 3. del Giornale de’ Letterati pubblicaro in Firenze
notae graecorum , five vocum Ex numerorum compen dia , quae in aereis atque
marmoreis Graecoruin rabulis ob. fervantur . Collegii, recenſuit, explicavit,
eaſdemque cabu las opportune riluftravia Eduardus Corſinus Cl. Reg. Scholas)
rum Piarum in academik Piſina Philoſophiae Profesor . Accedunt Differtationes
ſex , quibus marmora quaedam rum facra cum profana exponuntur ac emendantur.
Florentine Tographio Imperiali in fol. Plutarchi de Placitis Philofophorum
libri V. Larine reddidit , recenſuir , adnotationibus , variantibus lectionibus
, diferrationibus illuſtravit Eduardus Corfinius Cl. Reg. Schoe laruan Piarum
in Pisana Acad. Philosophia Professor Flo. seniige ex Imp. Typographio, Disertationes
IV quibus antiqua quaedam insignia moc sumente illuſtrantur . Vide eas, Symbolarara
litercriarum Antonii Francisci Gorii. Herculis quies & expiatio in eximio
Farnesiano mere more expresa : in fol. Inscriptiones Articae nunc primum ex Cl.
Maffeii Schea dis in lucem editae latina interpretatione brevibusque
observationibus illuſtratae Cler. Regul. Schole sunr Puarum in Academia Pisana
Philosophiae Professore. Florenciae ansio ex typographio Jo. Pauli Giovannel li
in 4 . Solecta ex Graeciae Scriptoribus in usum ſtudiosae Juvent. sutis ,
Florentiae ex Imperiali rypographio ir 8 . Inſtitutiones Metaphyſicae in ufus
Academicos auctore Eduardo Corfi:n0 Clericorum Regularium Scholarum Piaruz in
Academia Pifana . Philoſophiae Profeſore . Vesieriis ex Typographia Balleoniana
in 12 Eduardi Corſini Cl. Reg. Scholarum Piarum in Acco demia Piſana humaniorum
litterarum Profeſſoris de Minni fari aliorumque Armeniac Regum nummis , &
Arſacidarum Epocha Differtario Liburni typis Antonii Santini & Sociorum in
4. Spiegazione di due antichiſſime inſcriçroni Greche indie ricare al
Reverendiffimo Padre Anton Franceſco Vezzofi, Prepoſto Generale de Cherici
Regolari , Lettore nella Seo pienza Romana , ed Eſaminatore de' Vefcovi da
Edoardo Corfini Ch . Reg. delle Scuole Pie. In Roma, nella Stamperia di
Giovanni Zempel in 4 . Relazione dello scuoprimento e ricognizione fatta in
Ancona dei Sacri Corpi di S. Ciriaco , Marcellino, e Lia berio Proiettori della
Circà ; e Riflefroni ſopra la translazione, ed il culto di queſte Sanci . In
Roma, nellu Stampe ria di Giovanni Zempel in 4. Eduardi Corfini Cler. Regul.
Scholarum Piarum, En in Academia Piſana humaniorum literarum Profeffuris Dis
Seseario , in qua dubia adverſus Minniſari Regis nummum , & novam
Arſacidarum epocham a Cl. Erasmo Froelichio s. J. proposita diluuntur. Romae ex
typographio Palla dis in 4. Eduardi Corſini Cler. Regul. Scholarum Piarum &
in Academia Pisana humaniorum lirerarum Profeſoris ad Cles riflimam virum
Paulum Mariam Paciaudium Epiſtola , ir qua Gotarzis Parthiae Regis nummus
hactenus ineditos expli Catur , & plura Parthicae hiſtoriae capita
illustrantur . Romae, in Typographio Palladis . Excudebant Nicolaus &
Marcus Palearini ir 4 .Cl. Reg. Scholarum Piarum in Pifar:& Academia
humaniorum litterarum Profeſoris Epiftolae rres , quibus Sulpiciae. Dryantillae,
Aureliani ac Vaballathi Avea guſtorum nummi explicantur & illuſtrantur.
Liburni apud Jo. Paullus Fanthechiam ad fignum Verit. in 4 . Series
Praefeciorum Urbis ab Urbe condira ad annum uſque MCCCLIII. sive a Chriſto naro
DC. collegit , rem cenſuit , illuſtravir Eduardus Corſinus Cler. Reg. Scholarum
Piarum in Academia Piſana humaniorum liuerarum Professor Pisis excudebar Joh .
Paulus Giovane nelius Academiae Pifunae Typographus cum Sociis in 4. Notizie
Iſtoriche intorno a S. Liberio ſepolto e venera 10 nella Cattedrale della città
di Ancona all' Eminentiffimo Signor Cardinale Acciajuoli Veſcovo di detta città
. In Are cona nella Sramperia Bellelli in 4. Cl. Reg. Scholarum Piarum , in Academia Piſana
humaniorum litterarum Profeſoris Epiſtola de Burdigalenfi Aufonii Confulatu .
Piſis Exe cudehar Joh. Paulus Giovannellius Academiae Pifanae inyo pographus cum
Sociis in 4. Clericor. Regular. Scholarum Pia rum Ex- generalis , & in
Pifana Univerſitare Primarii Les coris ed Joannem Chryſostomum Trombellium canonicorum
Regularium Congregationis S. Salvatoris Ex-generalem & S. Salvatoris
Bononiae Abbatem Epistola, Bunoniae, ex
typographia Longhi in 4; Disertazione sopra S. Pietro Ignes, sopra il B.
Giovanni delle Celle; De Civitatibus, quarum mentio sit in Graecis nummis, Pars
I. Historiae Academiae Pisenae, Latinae Orationes VI, Ad Academicos Pisanes. Odoardo
Corsini. Edoardo Corsini. Silvestro Corsini. Keywords. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Corsini” – The Swimming-Pool Library.
CORTESE (Milano). Filosofo
e alpinista. Grice: “I love Cortese; first he wrote on Frege, whose views on
‘aber’ are very much like mine on ‘but’! – But then he also wrote on ‘irony,’
alla Socrates – as per Kierkegaard’s example, “He’s a fine fellow! => He’s a
scouncrel --, and most ‘theoretically,’ as the Italians put it – on the
‘principle of meaning’ – significato – which had me thinking – I very freely
speak of the principle of conversational helpfulness, but somehow, principle of
‘signification’ sounds obtuse! Signification seems too natural to require a
principle! If helpfulness and benevolence are evolutionary traits, they are
certainly NOT ‘instituted’ as principles, even if they are requirements for trust
and the ‘institution of decisions’!” “I am anything but a contractualist, and
principle has to be taken with a pinch of salt!” If I speak of a rational
constraint, the idea of a principle evaporates: it’s conversation as rational
cooperation – as I put it – as different from and stronger than ‘conversation
as mere cooperation’ – but this slogan frees us from a commitment to the
existence of a ‘principle’ to which we might want later to provide with some
sort of ‘psycho-logical’ validation!” Di una famiglia originaria di Sant’Angelo
Lodigiano. Si laurea a Trieste e Milano sotto Bontadini e Noce. Insegna a
Trieste. Studia Kierkegaard, Gioberti. Italianismi in Kierkegaard. Altre opere:
“Kirkegaardiana” (Milano); “Esistenzialismo e fenomenologia” SEI, Torino); “Protologia
e temporalità, Gregoriana, Roma); “Kierkegaard” (Milan); “Del principio di
creazione o del significato” Liviana, Padova, Kierkegaard” (La scuola,
Brescia); “Ironia” (Marietti, Genova); La Creazione: Un'apologia accidentale
della filosofia” (Marietti, Genova); “Il negozio del sapone, Liviana, Padova);
“Enten-Eller ([Victor Eremita” (Adelphi, Milano); “L'attrice” (Antilia,
Treviso); “Un discorso edificante” (Marietti, Genova); Il naturale e il
sovra-naturale (Padova); Ermeneutica” (Lint, Trieste), “Il responsabile” –
“Eden” – “Introduzione all’introduzione” del Gioberti – “Frege: signare il
concetto”; “Liberalismo” -- Grice: Can a sign have a different meaning for
utterer and recipient? – If so, why do we keep calling communication – signare
seems to be still good enough! -- Alessandro Cortese. Keywords: Kierkegaard,
soap, sapone, actress, attrice, edifying discourse, discorso edificante,
naturale/sopra-naturale/preter-naturale, Paul Carus, hyperphysical. Those spots
means she has the devil inside her. Praeter-natural implicatura, supra-natural
implicature, non-natural implicature, natural implicature. “Del significato”,
ironia socratica, sapone, Savona, signare il concetto, sovrannaturale,
liberalismo, il responsabile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cortese” – The
Swimming-Pool Library.
CORVAGLIA. (Melissano).
Filosofo. Grice: “I love Corvaglia – or corvus in diluvio, as he called
himself! – a very Italian philosopher and thus interested in the history of
Italian philosophy, especially Vannini – the fact that he wrote plays on
philosophical subjects – La casa di Seneca – helps!” Opera nel campo della filosofia del rinascimento.
Tra gli studi filosofico-scientifici si distinguono per vastità e profondità i
volumi Le opere di Vanini e le loro fonti, e Vanini Edizioni e plagi, risposta
polemica condotta contro le veementi critiche ricevute Porzio. Pubblica
il romanzo Finibusterre, trasfigurazione quasi sacra della sua amata terra e
del popolo del Basso Salento, ch'egli incitava con ogni mezzo, anche se spesso
travisato e intralciato e persino calunniato a crescere, per migliorare
materialmente e moralmente. Il romanzo fu ben accolto dalla critica. Benedetto
Croce, a cui Corvaglia lo aveva dedicato, rimarcò "lo sfondo storico rappresentato
in modo assai vigoroso" e il "trattamento dei caratteri e degli
effetti". Con maggiore puntualità Annibale Pastore (già suo professore
all'Torino) gli confidava di sentire emergere nella sua mente, attraverso
figure e temi del romanzo, ricordi sepolti, "struggente malinconia",
un mondo molto simile a quello del Manzoni, "anch'esso celato alla
superficie, soffuso d'ironia-limite", e tuttavia turbato da altri
affascinanti caratteri, quali: "il sorprendente realismo, la perfetta
armonia, l'effusione poetica, l'occhio acuto e sicuro, che scruta l'animo umano
fin nelle più remote pieghe". Si dedica totalmente alla filosofia
del Rinascimento, animato dal bisogno di trarre alla luce obliterate sorgive e percorrendo il movimento spesso alquanto
sconosciuto della filosofia, che dal Rinascimento risale fino al Medio
Evo. S'apre nella sua vita uno spiraglio di fiducia verso gli uomini
impegnati, e si prestadoverosamente secondo la sua fede politica all'attività
politica, accogliendo e votandosi alla cultura mazziniana, cui rimane Fedele..
È di questo periodo la pubblicazione, tra l'altro, dei Quaderni Mazziniani: “Noi
Mazziniani”, “Mazzini ed il Partito di Azione”, “L'Acherontico retaggio”, “Il
Partito Repubblicano italiano”, il discorso Ai giovani, la conferenza (edita da
Laterza) su Giuseppe Mazzini. Dopo la proclamazione della Repubblica, però,
si allontana da ogni azione politica, ritenendola del tutto estranea e lontana
dall'ideale da lui vagheggiato e sperato. Si trasferisce a Roma, nell'ambiente
culturale a lui più consono, ritornando agli studi tra i suoi libri, dove
soltanto sente di vivere senza alcun compromesso, in assoluta libertà. Cascata
di S.M. di Leuca. Scaligero, un saggio di "speleologia". Saggio su Cardano.
Su iniziativa del comune di Melissano, è stato avviato un "Biennio di
Studio su Corvaglia", al fine di approfondirne e divulgarne la conoscenza.
Alla realizzazione del progetto collaborano, come protagonisti, anche
l'Amministrazione Provinciale di Lecce, l'Università degli Studi del Salento e
l'Istituto Comprensivo Statale di Melissano, che chiuderanno il biennio dei
lavori, organizzando un Convegno su Corvaglia", al fine di dibattere
argomenti di particolare interesse presenti nella sua opera. A tale riguardo si
sta già operando non solo sul piano della ricerca specialistica e accademica,
ma anche sulla promozione d'iniziative, che coinvolgano biblioteche e settori
culturali degli enti locali, creando opportunità per sviluppare in maniera
articolata e organica la ricognizione e la valorizzazione del patrimonio
culturale salentino in generale e melissanese in particolare, lasciato in
eredità da Corvaglia. La casa di Seneca- Commedia di L. Corvaglia. Altre
opere: “La casa di Seneca” (Tipografia Fratelli Carra, Matino (Lecce); “Rondini
(dedicata "Al mio povero innocente Nova, fuggevole visione di un
Infinito", che avvampa e dilegua in vicenda amara di avventi senza
natale"; Tipografia Fratelli Carra, Matino (Lecce); “Tantalo” Tipografia
Fratelli Carra, Matino (Lecce), Santa Teresa e Aldonzo (L. Cappelli Editore,
Bologna); Rondini- Commedia; “Romanzo Finibusterre, Editrice Dante Alighieri,
Milano); “Le fonti della filosofia di Vanini” (Anphitheatrum Aeternae
Providentiae, Società Dante Alighieri, Milano); “Introduzione semi-seria dialogata
per il lettore Vanini” (Edizioni e plagi, Tipografia Carra di Casarano); “Ricognizione
delle opere di G.C. Vanini, in "Giornale Critico della Filosofia
Italiana”; La poetica di Scaligero nella sua genesi e nel suo sviluppo, in
"Giornale Critico della Filosofia Italiana", Quaderni Mazziniani; “Noi
Mazziniani” Tipografica di Matino (Lecce), “Mazzini e il partito d' azione
(critica), Tipografica di Matino (Lecce), “ L'acherontico retaggio (con
l'elogio della vita comune), Tipografica di Matino (Lecce), Quaderni Mazziniani
n° 4. Il partito repubblicano italiano, Tipografica di Matino (Lecce). Discorso
tenuto a Lecce nel Teatro Paisiello il 21 gennaio 1945. Giuseppe Mazzini,
Discorso commemorativo tenuto a Lecce nel Teatro Apollo, Laterza, Bari,"Rinascenza
salentina", Un Paese del Sud. Melissano. Storia e tradizioni popolari,
Tipografia di Matino. Meridionalista e Polemista, La Poetica di Giulio Cesare
Scaligero nella sua genesi e nel suo sviluppo, Musicaos Editore, Sulla Poetica
di G.C. Scaligero. Convegno sy Corvaglia. Il pensiero politico di Corvaglia.
Popolo Sacralità ReligiositàLuigi Corvaglia. Keywords. Refs.: Vanini, Bordon,
poetica, Mazzini, Pomponazzi, Cardano --. Luigi Speranza, “Grice e Corvaglia” –
The Swimming-Pool Library.
COSI. (Firenze). Filosofo.
Grice: “I love Cosi; my favourite of his philosophical essays on justice is the
one on ‘l’accordo,’ for this is what my principle of conversational helpfulness
or co-operation is all about!” Giovanni
Cosi. Si laurea a Firenze. Insegna a Firenza, Sassari, Siena. Altre opere: “La
liberazione artificiale: l’uomo e il diritto di fronte a la droga” (Milano: Giuffrè);
"Religiosità e teoria critica" (Giuffre); "Secolarizzazione e
ri-sacralizzazioni" (Giuffre); "Il sacro e giusto: itinerario di
archetipologia” (FrancoAngeli). Dopo aver compiuto ricerche sull'espressione
del dissenso in forma non rivoluzionaria negli ordinamenti liberal-democratici,
pubblica per la Giuffrè Editore il volume "Saggio sulla disobbedienza
civile"; "Il traviato”, “il filosofo traviato: il filosofo come
gentiluomo (Giuntina); “La obbedienza
civile, la disobbedienza civile: il consenso, il dissenso, la aristocracia, la
plutocracia, la democrazia, la repubblica (Milano: Giuffrè). Il giurista
perduto: avvocati e identità professionale” (Giuntina), “Logos e dialettica”
(Giappichelli, Torino); “Il filosofo risponsabile” (Giappichelli,Torino); “Lo
spazio della mediazione, -- il terzo escluso – chi media nella diada? (Giuffrè).
“Invece di giudicare” (Giuffrè); “Il spazio della mediazione nel conflitto
della diada conversazionale” (Giappichelli Torino); “Legge, Diritto, Giustizia”
(Giappichelli, Torino). “Giudicare, o Fare giustizia. – vendetta – il concetto
filosofico” (Giuffré Editore, Milano). La liberazione
artificiale: l'uomo e il diritto di fronte alla droga, Giuffrè, Milano; Saggio
sulla disobbedienza civile: storia e critica del dissenso in democrazia,
Giuffrè, Milano; Il giurista perduto: avvocati e identità professionale,
Giuntina, Firenze; Il sacro e il giusto: itinerari di archetipologia giuridica,
Franco Angeli, Milano; Il Logos del diritto, Giappichelli, Torino; La
responsabilità del giurista: etica e professione legale, Giappichelli, Torino;
Società, diritto, culture: introduzione all'esperienza giuridica, dispense di
Sociologia del Diritto, Firenze); La professione legale tra patologia e
prevenzione: materiali di etica professionale, dispense di Sociologia del
Diritto, Firenze; Per una politica del diritto del fenomeno droga: problemi e
prospettive", Archivio Giuridico; Il diritto e la droga" e "Per
una comprensione culturale dell'uso di droghe", Testimonianze;
"Religiosità e Teoria Critica: la teologia negativa di Max
Horkheimer", Rivista di Filosofia Neo-scolastica, "Secolarizzazione
e risacralizzazioni: le sopravalutazioni post-illuministiche
dell'immanentismo", in L. Lombardi Vallauri - G. Dilcher (eds.),
Cristianesimo, secolarizzazione e diritto moderno, Giuffrè - Nomos Verlag,
Milano - Baden-Baden); "Sulla 'naturalità' dei diritti civili",
Testimonianze; "L'Uno o i Molti? Il 'nuovo politeismo' di Miller e
Hillman", Testimonianze; "Ordine e dissenso. La disobbedienza civile
nella società liberale", Jus; "Iniziazione e tossicomania: intorno a
un libro di Luigi Zoja", Testimonianze; "Le aporie del pacifismo:
critica della pace come ideologia", Rivista Internazionale di Filosofia
del Diritto; "L'immagine sofferente della legge", L'Immaginale;
"Diritto e morale in tema di aborto", Testimonianze;
"Professionalità e personalità: riflessioni sul ruolo dell'avvocato nella società",
Sociologia del Diritto; "L'avvocato e il suo cliente: appunti storici e
sociologici sulla professione legale", Materiali per una storia della
cultura giuridica; "La coscienza, gli dei, la legge", Rivista
Internazionale di Filosofia del Diritto; "Il diritto del mondo
I", Anima; "Un anniversario dimenticato: Il Bill del 1689 e la sua
eredità", Sociologia del Diritto; "Vecchio e nuovo nelle crisi di
identità degli avvocati", in Storia del diritto e teoria politica, Annali
della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Macerata;
"Verso il paese di Inanna", Anima;"Avvocato o giurista?",
comunicazione al VI Convegno nazionale di studio dell'Unione Giuristi Cattolici
Italiani, Firenze, Iustitia, "Tutela del mondo e normatività
naturale", in L. Lombardi Vallauri (ed.), Il meritevole di tutela,
Giuffrè, Milano); "Tutela del mondo e strumenti giuridici",
Testimonianze; "La professione legale tra etica e deontologia", Etica
degli Affari e delle professione; "Diritto e realizzazione:
un'introduzione alla fenomenologia del logos giuridico", Rivista
Internazionale di Filosofia del Diritto; "La legge e le origini della
coscienza", Per la filosofia; "Naturalità del diritto e
universali giuridici", Rivista Internazionale di Filosofia del
Diritto,"Naturalità del diritto e universali giuridici", in F.
D'AGOSTINO (ed.), Pluralità delle culture e universalità dei diritti,
Giappichelli, Torino); "Etica secondo il ruolo", Rivista
Internazionale di Filosofia del Diritto; "Purezza e olocausto:
un'interpretazione psicologico-culturale", Per la Filosofia;
"Logos giuridico e archetipi normativi", in L. LOMBARDI VALLAURI
(ed.), Logos dell'essere, Logos della norma, Adriatica, Bari); “Giustizia senza
giudizio. Limiti del diritto e tecniche di mediazione”, in F. MOLINARI e A.
AMOROSO (ed.), Teoria e pratica della mediazione, FrancoAngeli, Milano); “Le
forme dell’informale”, comunicazione al XXI Congresso Nazionale della Società
di Filosofia Giuridica e Politica, Trieste, Ora in Giustizia e procedure, Atti
del suddetto Convegno, Giuffrè, Milano); “L’idea di professione”, Dirigenti
Scuola, “Controllare la professione”, Dirigenti Scuola, “Professione, patologia
e prevenzione”, Dirigenti Scuola. Grice: “Italians are afraid of the
‘sacro’ because since the fall of the Roman Empire, it means the evil Pope! –
unless otherwise stated by people like Evola, etc.” – Grice: “Hart should have
spent more time analysing the implicatures of ‘disobey,’ as Cosi does -- to
realise how wrong his theory is!” Grice: “Austin, who taught morals at Oxford,
should have examined, as Cosi does, what we mean by ‘responsible philosopher’
before opening his mouth!” – Grice: “My idea of helpfulness does not quite
include that of ‘mediation’ but it should – the space of mediation in the
conflict in the conversational dyad! I owe this to Cosi.” Grice: “I decided to
use ‘judicative’ versus ‘volitive’ after Cosi. – His ‘giudicare’ is a gem!” -- Giovanni
Cosi. Keywords: il secolare/il sacro; profane/sacro – secolare; archetipo, il
filosofo come gentiluomo, l’obbediente, il disobbediente, il consensus, il
disensus, to obey, conflitto, mediazione, diritto (right), giure, giurato –
legatum, vendetta, giudicare, fare giustizia, vendetta conversazionale, natura,
naturalita, non-naturale, legge naturale gius naturale, giusnaturalismo,
fenomenologia del giurato; normato naturale? Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Cosi” – The Swimming-Pool Library.
COSMACINI (Milano).
Filosofo. Grice: “I like Cosmacini; for one he wrote on THREE areas of my
concern: ‘cuore’, as when we say that two conversationalists reach an ‘accord’!
– on ‘empatia’ – a Hellenism, and most importantly, on ‘compassione,’ which is
at the root of my principle of conversational benevolence. -- Giorgio Cosmacini
(Milano), filosofo. Studia a Milano e Pavia.la “convenzione della mutua” o
INAM(Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie) e apre un
ambulatorio mutualistico Fare bene il mestiere di “medico della mutua” non
significa gestire un certo numero di “mutuanti”; voleva inoltre dire aver cura
di una comunità di persone, ciascuna delle quali con esigenze proprie.
raggiungendo in quel periodo circa trecento mutuanti. Quando i suoi mutuanti
erano circa millecinquecento, decise di realizzare un suo sogno: la libera
docenza. è autore di numerose opere d'argomento filosofico-medico. Altre opere:
la mutua, medico della mutua, mutuante, mutuanti, ambulatorio mutualistico. “Scienza
medica e giacobinismo in Italia: l'impresa politico-culturale di Rasori (Collana
La società, Milano, Franco Angeli); Röntgen. Il "fotografo
dell'invisibile", lo scienziato che scoprì i raggi x, Collana Biografie,
Milano, Rizzoli); “Gemelli. Il Machiavelli di Dio, Collana Biografie, Milano,
Rizzoli); “Storia della medicina e della sanità in Italia. Dalla peste europea
alla guerra mondiale. Gius. Laterza & Figli); “Medicina e Sanità in Italia
nel Ventesimo secolo. Dalla 'Spagnola' alla 2ª Guerra Mondiale, Roma-Bari, Laterza);
“La medicina e la sua storia. Da Carlo V al Re Sole, Collana Osservatorio italiano,
Milano, Rizzoli); “Una dinastia di medici. La saga dei Cavacciuti-Moruzzi,
Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli); Storia della medicina e della Sanità
nell'Italia contemporanea, Roma-Bari, Laterza, G. Cosmacini-Cristina Cenedella,
I vecchi e la cura. Storia del Pio Albergo Trivulzio, Roma-Bari, Laterza); “La
qualità del tuo medico. Per una filosofia della medicina, Roma-Bari, Laterza);
“Medici nella storia d'Italia, Roma-Bari, Laterza, L'arte lunga. Storia della
medicina dall'antichità a oggi, Roma-Bari, Laterza); “Il medico ciarlatano.
Vita inimitabile di un europeo del Seicento, Laterza); “Ciarlataneria e
medicina. Cure, maschere, ciarle, Milano, Raffaello Cortina, La Ca' Granda dei
milanesi. Storia dell'Ospedale Maggiore, Roma-Bari, Laterza); “Il mestiere di
medico. Storia di una professione, Collana Scienze e Idee, Milano, Raffaello
Cortina); “Introduzione alla medicina, Roma-Bari, Laterza, Biografia della Ca'
Granda. Uomini e idee dell'Ospedale Maggiore di Milano, Laterza, Medicina e
mondo ebraico. Dalla Bibbia al secolo dei ghetti, Collana Storia e Società,
Roma-Bari, Laterza, Il male del secolo. Per una storia del cancro, Roma-Bari,
Laterza); “La stagione di una fine, Terziaria); “Il medico giacobino. La vita e
i tempi di Giovanni Rasori, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “Salute
e bioetica, Torino, Einaudi, G. Cosmacini-Roberto Satolli, Lettera a un medico
sulla cura degli uomini, Roma-Bari, Laterza, La vita nelle mani. Storia della
chirurgia, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza, Una vita qualunque, viennepierre
edizioni, Il medico materialista. Vita e pensiero di Jakob Moleschott, Collana
Storia e Società, Roma-Bari, Laterza «La mia baracca». Storia della fondazione
Don Gnocchi, Presentazione del Cardinale Dionigi Tettamanzi, Laterza); “La
peste bianca. Milano e la lotta antitubercolare, Milano, Franco Angeli); “L'arte
lunga. Storia della medicina dall'antichità a oggi, Roma-Bari, Laterza); “Il
romanzo di un medico, viennepierre edizioni, L'Islam a La Thuile nel Medioevo.
Un «tuillèn» alla terza crociata: andata, ritorno, morte misteriosa, KC
Edizioni, Le spade di Damocle. Paure e malattie nella storia, Collana Storia e
Società, Roma-Bari, Laterza); “La religiosità della medicina. Dall'antichità a
oggi, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “L'anello di Asclepio. L'età
dell'oro”; “La peste, passato e presente, Milano, Editrice San Raffaele); “La
medicina non è una scienza. Breve storia delle sue scienze di base” (Collana
Scienze e Idee, Milano, Raffaello Cortina); “Il medico saltimbanco. Vita e
avventure di Buonafede Vitali, giramondo instancabile, chimico di talento,
istrione di buona creanza” (Roma-Bari, Laterza); “Prima lezione di medicina,
Collana Universale.Prime lezioni, Roma-Bari, Laterza); “Il medico e il
cardinale, Milano, Editrice San Raffaele); “Testamento biologico. Idee ed esperienze
per una morte giusta” (Bologna, Il Mulino); “Politica per amore” (Milano,
Franco Angeli); “Guerra e medicina. Dall'antichità a oggi, Collana Storia e
Società, Roma-Bari, Laterza); “Compassione” (Bologna, Il Mulino); “La scomparsa
del dottore. Storia e cronaca di un'estinzione, Milano, Raffaello Cortina); “Camillo
De Lellis. Il santo dei malati, Roma-Bari, Laterza); “Il medico delle mummie.
Vita e avventure di Augustus Bozzi Granville, Collana Percorsi, Roma-Bari,
Laterza); “Como, il lago, la montagna, NodoLibri); “Tanatologia della vita e
stetoscopio. Bichat, Laënnec e la "nascita della clinica",
AlboVersorio, . Medicina e rivoluzione. La rivoluzione francese della medicina
e il nostro tempo” (Collana Scienza e Idee, Milano, Raffaello Cortina); “Un
triennio cruciale. Como, il lago, la montagna, NodoLibri); “La forza dell'idea.
Medici socialisti e compagni di strada a Milano. L'Ornitorinco, Per una scienza medica non neutrale. Tre
maestri della medicina tra Ottocento e Novecento, L'Ornitorinco, Medicina Narrata, Sedizioni); “Galeno e il
galenismo. Scienza e idee della salute” (Milano, Franco Angeli); “La chimica
della vita” -- e microscopio. Pasteur e la microbiologia, AlboVersorio); “Per
una scienza medica non neutrale. Tre maestri della medicina in Italia fra
Ottocento e Novecento, L'Ornitorinco); “Il tempo della cura. Malati, medici,
medicine, NodoLibri); “Elogio della Materia” -- Per una storia ideologica della
medicina, Edra edizioni); “L'Infinito di Leopardi. Un impossibile congedo” (Sedizioni,
. Memorie dal lago e ricordi dal confine. Como, il lago, la montagna, NodoLibri, Salute e medicina a Milano. Sette secoli all'avanguardia,
L'Ornitorinco); “La medicina dei papi, Collana Storia e Società, Roma-Bari,
Laterza); “Medici e medicina durante il fascismo” (Pantarei); “Il viaggio di un
ragazzo attraverso il fascismo, Pantarei); Historia cordis, Ass. Gianmario
Beretta, . Curatele Dizionario di storia della salute, G. Cosmacini, Giuseppe
Gaudenzi, Roberto Satolli, Collana Saggi, Torino, Einaudi. “mutua gratia” - Practicis nostris , Muri
LAPIDES , sine inscriptione , apud nus, gadinca, vel Hnoc . Non liquet, “don
mutual” – mutual gift -- Charta ann . 1326. in Chartul . Hygenum de Limitibus
constituendis. inquit Somnerus. (Mutinæ carnes , in Con thesaur. S. Germ. Prat.
fol. 12. rº.: Dicta. mutuum, Exactio nomine mului, Charta suet. MSS. Eccl .
Colon . e Bibl . Eccl. Atre- Ysabellis exhibuit dicto thesaurario quasdam
Rogerii 1. Reg. Sicil. ann. 1129. apud Mu bat, eædem quæ vervecinæ. Vide Multo,
litteras mutuæ gratiæ dudum confectas inter ralor. tom . 6. col. 623 Nulla angaria
, par I mutio , id est, Patuus. Vocabul . dictam Ysabellam et prædictum
defunctum angaria, echioma, gabella,Muruum, extorsio utriusque Juris . dum
vivebat , et constante legitimo matrimo- jaciatur, imponatur. Chron. Parmense
ad mutis, Truncus, stirps . Pactum inter nio inter ipsos. ann. 1996. apud
eumdem tom . 9. col . 834 : Humb. dalph. et episc. Gratianopol. ann. “mutuare”,
Mutuum, seu exactionem ec impositum fuit per commune Parma 1343. in Reg: 134.
Chartoph. reg. ch. 34 : nomine mutui impositam solvere. Vide unum mutuum octo
millium librarum impe recte tendendo ad pedem cujusdam margassii mutuum .
rialium per episcopatum , et quinque millium seu claperii in quo margassio seu
cleppe. Mutuatim, pro mutuo, in Vita Anti- per civitatem . Et mutuum clericis
fuit im rio sunt duæ mutes arborum . dii Archiep. Bisonticensis cap. 5 : Bene-
positum duo millium librarum, etc. Chron . Åwwvíz , in Gloss . Græc. Lat.
dictionis ergo dono mutuatim dato , etc. Mutin . ibid . tom. II. col. 122 :
Tria Mu [Mirac. S. Bernhardi Episc. tom. 5. Julii (mutuatio, pro mutatio, in
Consuet. tua extorsit.] Historia Cortusiorum lib. 3 . p.112, Eoque quippiam
petere volente, MSS. Auscior. art. 3 : Fiat autem mutua cap. 14, Teutonici
cruciabant Paduanos verbis in ore reclusis, subito mulus effectus tio consulum
annuatim in festo S. Joan. *mutuis* el daciis. Infra: *mutual* imposuit et est;
qui a plerisque tentatus, an videlicet Baptistæ. datias. Lib. 7. cap. 1 :
V'exabantur Muluis astu Muritatem simularet , et tandem certa ex Ital . Mutola
, Muta . Oc- et daliis. Albertinus Mussalus lib. 12. de loquendi impotentia
comprobatur. Occurrit currit in Vita B. Justinæ de Aretio n. 9 . Reb . gest.
Italic . pag. 86 : Communes da præterea toin . 2.Sanctorum Apr. pag. 429.] ,
Idem quod Expeditatus, riæ , exactionesque et Mutua publica el priMuronagium .
Vide in Charta Forestæ cap. 9. forte pro múti- vata etc. Charta R. Abbatis
Monasterii Ka Mullo . latus. Locum vide in Mastinus. roffensis in Pictonib .
ann. 1308. ex ( Ovis, Massiliensibus Mous, Nudus , glaber. Regesto Philippi
Pulcri Regis Franc. Tabu tonfede. Charta ann . 1390 : Quilibet Mu- Gloss. Lat .
Græc. MSS. Sangerman . larii Regii n . 11 : Non recipiemus ibi Mu tofeda solvat
xvi. denarios. * Castigat . in utrumque Glossar. forte tuum, nisi gratis
mutuare voluerint habitan Lugdunensibus , Feye. Vide supra Menlulosus, ead'ns ,
ex Vulc. tes. Ita in Liberlatib. Novæ Bastidæ in Oc Lex Ripuar. lit. 6o. S 4:
Si citania ann. 1298. in alio Regesto ejusdem xudovicv, Malum colo- autem
ibidem infra terminationem aliqua in- Regis ann. 1299. n. 16. Vide Credentia ,
neum . Supplem . Antiquarii et Gloss. MSS. dicia sua arte , vel butinæ ,aut
Lat. Græc. Sangerm . Aliud itidem Gloss. : extiterint, ad sacramentum non
admittatur, *mutuum coactum* exactio , quæ a Mutonium , Tepábeuo , Additio.
etc. Ubi mutuli, videntur esse aggeres ter- dominis in urgentibus negotiis suis
ac ne 1., quos Motes nostri vocant : aut forte cessitatibus fiebat super
subditos, vassallos, equilatus , quod sic describit Jovius Hist. lapides ii
quosMuros vocant Agrimensores,ac tenentes cum restitutionis conditione ac lib .
14: Mutpharachæ admirabili virtute i. sine inscriptione, vice terminorum po-
pollicitatione : a qua quidem exactione præstantes , toto orbe conquisiti, ea
condi- siti. Vide Bonna 2 . exempta pleraque oppida, quibus concessæ tione
militant, ut quos velint Deos , impune KF Errat Cangius , si fides Eccardo ,
libertates , leguntur. Charla libertatum colant, præsentique tantum Imperatori
ope- in Notis ad Legem citatam , quam ad cal- Aquarum Mortuarum ann . 1246 :
Omnes ram navent. Hæc post Carolum de Aquino cem Legis Salicæ edidit . Mútuli
enim sunt habitatores loci illius sint liberi et immunes in Lex. milit .
machinaliones clandestinæ , vel seditiones ab omnibus questis , talliis , et
toltis , et clam excitatæ , a veteri German .Meulen , tuo coucto , et omni
ademptu coacto. Con capitis tegumentum , quod monachi cap. | clandestine agere
, unde Meutmacher, Fla- suetudines Monspelienses MSS. cap. 56: paronem
vocabant. Gall . Christ. tom. 4. bellum seditionis, Gall. Mutin. Hæc vir Toltam
nec quistam , vel Mutuum coactum , col uti. Mutrellis 782 : Statuimus in
dormitorio , quod liceat fratribus eruditus ; quæ tameninmeam fidem reci. vel
aliquam exactionem coactam non habet ; . Vide Mitræ . necunquam habuit dominus
Montispessulani I Vide Morth . I Gall . Mouton . in hominibus Montispessulani.
Eædem ver *, ut supra Muramen. Charta ann. 1307. exArchivis Massil. : naculæ ,
totas inquistas , ni prest forsat , o Terrear.villæ de Busseul ex Cod . reg.
6017. Item super co quod petebantdicti parerii alcuna action destrecha , etc.
Libertates fol. 47. vº. : Item unum Pariziensem Mut -I quartam partem Murunorum
, astorium et concessæ oppidis Castelli Amorosi et Va CANGII CLOSS. – T. IV. 2
. Feda 2 . pere nolim. 75 594 etc. lentiæ, in diæcesiAginnepsi, ab Edwardo I Eodem
significatu , De S. 6 : L. FURPANIO L. Lib. PuILOSTORGO Mr. I. Rege Angliæ ex
Regesto Constabulariæ Juvenate Episc. tom . 1. Maii pag. 399 : ROBRECHARIO VIX
ann. LIJTI. Purpuria L. Burdegalensis fol. 55. 140 : Nec recipiemus Episcopus
Narniensis ex suo palatio , ialari L. OLYMPUSA PECIT. in ibi Muruum , nisi gratis nobis mutuare
velint reste indutus , racheto et Muzzeta. Vide Inscript. ccxcix . 3. Vide
Martin Lex. in habitantes. Eadem habent libertales Rio. Mozzetta. hac voce .
magi in Arvernis. vocatur letri rudoris in . Fantasia , miratores. Pa Mutuum
VIOLENTUM , in Charta liberta- quietudo terrena. Ita Apuleius de Muudo. pias.
tum Jasseropis, apud Guicheponum in A Græco nimium púxw , Mugio , reboo. Vide
Ma Histor. Bressensi pag. 106. Roga coacta , in I Piscis genus, qui alius zer.
Charta Ludovici Comitis Blesensis et Cla- videtur ab eo quem Spelmannus piscem.
in Statutis Mon romontens. ann. 1197. pro Creduliensi viridem vocat . Computus
ann. 1425. apud tis Regal. fol. 318 : Debeat solvere emptori villa : Omnes
homines Credulio marentes Kennett. in Antiquit. Ambrosden. pag. gabellæ piscium
, solidos quatuor pro quoli taliam mihi debentes , el eorum hæredes, a 575 : Et
in 111. copulis viridis piscis ... Et bet rubo piscium , et intelligatur
detracta talia , ablatione, impruntato et Roga coacta inxv. copulisde
Myllewellminorissortisx: Myrta et cestis ac funibus. de cælero penitus quilos
et immunes esse sol. vi. d . et in xx. Myllewell majoris sortis Eadem notione,
usurpant Cat concedo. Exslat Statutum Philippi VI. Re- Xit, sol. ( * Vide
Mulsellus.] lius Aurelianus , Celsus, et Apicius. Vide gis Frane. 3. Febr. ann.
1343. quo vMoniales, ex Anglo -Sa- Murta. in posterum fieri ullum Mutuum
coactum xop. myn'e'cen'e , vel minicene, hodie Graviter, com super subditos
suos : quod scilicet paulo Anglis Minneken et minnekenlasse. Copeil. posite
ambulare. Chron. Ditm . Mersburz. anie exegisse docet Diploma anni 1342.
Ænbamiense in Anglia ann. 1009. cap. 1 : l'episc. tom . 10. Collect. Histor.
Frane. pag. 28. Junii, sed et Philippum Pulerum Re- Episcopi et abbates ,
monachi et Mynecenæ , 131 : Henricus Dei gratia res inclytus à se. gem aliud
ann . 1309. in 12. Regesto Char- canonici et nonne , natoribus duodecim
vallatus , quorum ser tophyl. Reg. Ch. 15. et in 36. Regest. apud Ausonium in
rasi barba ,alii prolixa Mystace incedebant Ch. 48. lemmate Epigrammatis 30.
Cantharus po- cum buculis , etc. Laudatum Philippi VI. Statutum torius
Scaligero , qui a similitudine muris I Sacerdotum præposi frustra quæsitum in
Regestis publicis testa- et barbæ , quæ in conum desinit, Myobar- tus; titulus
honorarius Archiep. Toletani , tur D. de Lauriere tom . 2. Ordinat. Reg. bum
voce ibrida dietum existimat . Turne- ex Hierolex. Macri. Franc. prg. 234.
Undeexistimat D. Cangium bus vero Advers. lib. 3. cap. 19. putat ver- lapsum
memoria art. 4. et 5. Statuti ejusd . | bum compositum mure et barbo, quod | , Mysteriorum per. Regis ann. 1345. 15. non3.
Febr.spectasse, mensuram , liquidorum sescunciam penitus , vel princeps.
Prudent. Peristeph. 2. quo vetat Philippus Rex in posterum a dentem sonat, ut
sit tamquam muris cya- 349 : Bene est , quod ipse ex omnibus My subditis suis
exigi equos, currus, ele. nisi thus. Quidam le ; emendat Lil . Gyraldus Epist, *mutuum violatum* Exactio nomine
xobarbaru , quod non placet. Vide Cupe. Zachariæ PP. ann.748. tom. 1. Rer. Mo
*mutui*, quæ a subditis exigitur. Charta rum in Harpocrate pag . 78. gunt. pag
. 255, Officium , sacra Li mutuum violatum, velmessionem bajuli vel turgia .
Pelagius Episcop. Ovetensis in Fer servientum . [** Leg. Violentum ut, supra.)
ctum ... Si autem Myocepha aur ypopius fuerit,dinando Rege Hispan.: Tunc
Alfonsus Rez mutuum ebraldum. Charta Henrici Co- post inunctionem ligabis
oculos aut linteo in velociter Romam nuntios misi ad Papam mitis Portugalliæ
tom . 3. Monarchiæ Lusi- aqua infuso frigida , aut spongia in ipsa Aldebrandum
cognomento septimus Grego tanæ p.282, Non introducam *mutuum* aqua infusa.
rius. Ideo hoc fecit , quia Romanum Vyste Ebraldum Colimbriam . 9piratici genus
arium habere voluit in omni Regno. Infra : mutuum, stipendium datum in ante- ,
ut placet Tur Confirmarit itaque Romanum Mysterium in cessum . Lit. ann . 1408.
tom . 9. Ordinat. nebo lib . 3. Adversar. cap. 1 . nomen omne regnum Regis
Adefonsi æra 1113. ( Chr. reg . Franc. pag. 363, art. 1 : Ordinamus adepti .
Melius Scaliger, a forma qevūves, 1088. ) per senescallos, receptores,
thesaurarios, ... hoc est , angusta et oblonga, dictum ira- Missæ sacrifi tum
nobilibus quam innobilibus, cum ex dit. cium. Acta S. Gratil. tom. 3. Aug. pag.
parte nostra mandati fuerint ut ad guerras Hist. Franc. Sfortiæ ad ann. 1427.
1728. col. 2 : Indutus est ( Gratilianus ) ve nostras accedant, *mutuum* fieri
priusquam apud Murator. tom . 31. Script. Ital.col.stimentis a. Grice: “The
grammar of ‘mutuality’ can be extraordinarily complicated. But I’m sure
Schiffer’s ‘A and B mutually know that p’ doesn’t make sense as an
analysandum.” Grice: “You can trade (L mutate both ways) or exchange
*information* -- The grammar is: A and B are in love – implicated: ‘mutual’
-- A and B are friends – implicated:
mutual. Dickens, who never attended Oxford, would never catch the subtlety of
his biggest solecism, “Our mutual friend”! – Grice: “But I’m surprised from
Schiffer, who did attend the varsity!” -- Giorgio Cosmacini. Keywords:
compassione, salute, mens sana in corpore sano, storia della medicina,
Foucault, l’anello di Asclepio, la medicina nella Roma antica, giacobinismo,
fascismo, giacobinismo in Italia, medici fascisti, medicina fascista, la
medicina non e una scienza, tanatologia, bio-chemica, la chemical della vita,
bio-chemistry –Grice on life, the philosophy of life, cooperation and
compassion. Imperativo conversazionale, compassione conversazionale, imperative
della mutualita conversazionale – mutualita conversazionale – imperative of
conversational mutuality, mutuality, mutual, the depth grammar of mutuality –
Grice against Schiffer – Grice scared by ‘mutual knowledge’ – and using it in
scare quotes (“Such monsters as Schiffer’s ‘mutual knowledge’ have been
proposed to replace my regress when there’s nothing wrong with stopping it
elsewise!” Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Cosmacini” – The Swimming-Pool Library.
COSMI (Casteltermini).
Filosofo. Grice: “I love Cosmi – for one he uses the very exact phrase I do,
‘the general principles of discourse,’ and he also finds them to have a
rational (‘razionale’) basis – they involve those desiderata for helpful
communication, a co-operative principle – concerning most constraints I refer
to: the necessity to avoid superfluity (supperfluita) and to maximize clarity
(chiarezza) – so that’s genial!” – Grice: “Cosmi actually has two treatise, a
more theoretical one, “General principles of discourse,” and an applied tract,
“Metodo’ – of the “general principles of discourse’ – he had already elaborated
on all the figures of rhetoric, so he knew what he was talking about and where
he was leading --.” Grice: “The fact that he like me also loved Locke – and
perhaps was more of a ‘sensista’ than I am, makes him great, too!” Fu
un'imponente filosofo, no italiano, ma siciliano (Grice: “Sicily is not
considered part of the ‘peninsola italiana’). Formatosi nel Seminario dei
Chierici di Agrigento, ricopre la carica di rettore a Catania. Riceve dal re Ferdinando
l'incarico di redigere il piano regolatore della filosofia siciliana. Da un
rilevante contributo all'innovazione del illuministimo. Fu un grande filosofo,
il primo e il più geniale del regno meridionale e uno dei primi e più geniali
del Settecento italiano. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Principi generali del discorso, e della ortografia
italiana ad uso delle regie scuole normali di Sicilia by Giovanni Agostino De
Cosmi( Book ) 1 edition published in 1984 in Italian and held by 2
WorldCat member libraries worldwide. E primo forne il D2 Cosmi. Questo e
un aureo libretto dei "Principi Generali del discorso" – i. e. un
principio comune a ogni discorso. Questo affinchè il filosofo a una nozione
direttrice, non superflue. In questo trattato invano cercheresti quella immensa
farragine di precetti disordinati, e quelle infinite minuterie non necessarie,
con cui si sostitoleva confondere e stancare la prattica conversazionale del
giovanetto. Si spone un solo principio generale e fondamentale, sintetizzato
nell'antico ma verissimo motto: precetto uno. Il resto e uso. Questa mia
preziosa filosofia è un sapientissimo essamine pel filosofo che vuole adoperare
il "metodo conversazionale." Quivi si ricorda dapprimà quanto in
occasione di filosofare sulla maniera di dare la prima istruzione
conversazionale al ragazzo, in caso la necessita. Si ricorda come puo potè
attuare la mia prammatica conversazionale, mettendo in esecuzione un maniobra
chiara, spedita, uniforme per ogni topico conversazionale adattata alla maniera
del civil conversare -- è cosa necessaria il sapere la semantica e le
implicature conversazionale del volgare linguaggio. Il pirincipio della
conversazionale e un principio di chiarezza (perspicuita) -- e un principio di
aggiustatezza (approprio_ -- e un principio di mezzana eleganza (stilo
estetico), e un principio senza oscurità, e un principio con univoci e senza
cattive equivoci (un buon aequi-voce e accettable)– sensa non sunt
multiplicanda praeter necessitatem --, e un principio senza superfluità (economia
dello sforzo conversazionale, fortitudine conversazionale, candore
conversazionale -- e un principio senza barbarismi -- imperciochè la perfezione
e efficenza del volgare linguaggio guidato dalla semantica formale e il segno
del reale. E vuole che al giovane si da un principio generale e fondamentale --
e un principio generale della conversazione, esposto con metodo ragionabile e
calculable e con chiarezza. Un solo principio o imperativo categorico, un
principio di efficenza communicative -- un principio soggetto il meno che si
può all'eccezione o la violazione involuntaria si non a la splotazione retorica
-- e un principio stesso ben capito e ben esercitato, chi forma il corpo
di ogni parte della filosofia. Ebbe un giorno a
scrivere di Marco Tullio Cicerone, che questo ingegno eminente prende a gradi
la sua maturità e si perfezionava coll’uso, colla riflessione e col maneggio
dei grandi affair. Or quello che osservo su Cicerone, intervenne proprio me
medesimo, i cui Elementi di filologia, non prometto continuazione; ma
osservazioni su l'uso dei Principj del Discorso, e qualche riflessione su i
primi pensieri, da cui era partito nell'immaginar il mio metodo, gli
somministrarono la materia di un secondo, e anche di un terzo volume di
preziose nozioni di metodica prammatica. Il secondo volume e come il primo, è diviso in due parti.
La prima parte ha per titolo, “Principj generali del Discorso applicati alla
lingua volgare”, per la quale avverto che, sebbene nelle parti già pubblicate
dei “Principj generalie del discorso” siesi detto ciò che basta per
l'istruzione della prima età; la sperienza mi ha fatto conoscere, che,
volendosi col metodo intrapreso tirare innanzi il cammino, per la piena
intelligenza, 1 G. A. De Cosmi, Elem. di filol. ecc., tomo I, pag.
231. • LO STESSO, Elem. di filol, ital. e latina, tomo II, Palermo; pag.
III ed imitazione dei classici principalmente italiani, era
necessario ad entrare in qualche più esteso rischiarimento, *non per
multiplicare l’imperativo conversazionale, ma per agevolarne l'uso, senza di
cui inutili sempre la massima conversazionale universalisable si rimarranno.
Dietro di che, in cinque paragrafi, filosofo, con la solita competenza, “Del
Pro-nome in generale”, “Del Pro-nome ed dell’Articolo”; “Del pronomi e del
verbo che ne dipendono; Della Preposizione, detta “segnacasi”, e “Della Costruzione
irregolare”. I quali cinque paragrafi, con la giunta delle prime due parti dei
Principj Generali del Discorso già stampati a riprese. Egli fece riunire in
separato volumetto per uso degli scolari 3 Io non mi stancherei, dirò col
Mollica Di Blasi, di riportare varie altre sentenze, che oggi pajono roba
fresca, e pure da presso a un secolo il nostro l'aveva annunziato con tanta
chiarezza da farla scorgere anco ai ciechi ; ed è per tanto che riferisco
qualche altro criterio, che dovrebbe aver nell'animo e nella coscienza ognuno,
che si dà all'educazione specialmente elementare: Invece di sorprendere,
cosi il De Cosmi, l'età fanciullesca coll' apparenza dottrinale di parole incognite,
ingegnerassi il maestro a far vedere, che ciò che s'insegna di nuovo, è presso
a poco quanto sapeva il fanciullo o quanto avrebbe potuto agevolmente sapere
con un poco di riflessione 5. Anzi che ad un giuoco di memoria desiderava
che lo studio fosse diretto allo sviluppo dell'intendimento ; inculcava lo
studio dell' aritmetica fatto a norma delle regole predette, e indi tornava a
ribadire che: Per mantenere sempre desta l'attività nella mente degli
allievi, è di somma importanza il non sgomentarli giammai coll'apparenza di
gravi difficoltà nelle operazioni che loro si propongono; anzi colla frequenza
degli esempi il far loro osservare, che avrebbero da se sciolto le domande, se
avessero fatto riflessione alle cose sa pute 6. E poi seguiva cosi
: Che se alle volte occorrerà di dovere insegnare delle cose difficili,
allora il maestro procurerà di scemare la difficoltà colla curiosità della
ricerca , perchè il piacere della scoverta l'incoraggisca al tedio
dell'operazione. Ma qualora la curiosità non è infiammata, il fanciullo non
sente altro che la fatica, e la fatica sola da se ributta 7. Poi chiedeva
a se stesso : É necessario il rappresentare al naturale lo stato presente
della educazione ncstra letteraria? Lo farò con coraggio. Si è caricata la
nostra memoria; perciò è rimasto senza energia e senza originalità
l'intelletto. La nostra filosofia, in vece 1 G. A. De Cosmi, Metodo
dei principj generali del Discorso, Palermo, 1792, p. 1-6. . Lo
stesso, Metodo cit., p. 5. 3 Lo stesso, Op. cit., p. 8. * GAETANO
MOLLIGA DE BLABI, Note storiche di G. A. De Cosmi; Palermo, 1883, p. 18.
• G. A. De Cosmi, Metodo ecc., p. 8-9. . Lo stesso, Op. cit., p.
14. . Lo stesso, Op. cit., p. 15. d'essere l'arte di
pensare, è stata l'arte di parlare di ciò che non s'intende; la nostra rettɔrica,
l'arte di csaggerare con parole, e di parlare a controsen 30. Gran servigio,
gran servigio, ridico, si presta al pubblico da chi indirizza per la strada
regia del sipere la presente gioventù, da chi coltiva la loro ragione e il loro
cuore. Era tempo oramai di aprirsi a tutti la strada alla coltura delle
scienze e delle arti; di venire nella comune estimazione le cognizioni
realmente utili all'umanità, di siudiarsi la Natura nei suoi varj regni e nel
suo vero prospetto. Era già il tempo ce la pubblica e la privata utilità
fossero rico 103ciute ch.n: la misar di calcolare l'importanza delle
cognizioni; che la Religione s'impari nella sua storia, nei suoi Dogmi, nella
sua Morale, mi senza il pru:ito della costroversia ; che nelle lingue doite si
cerchi il gusto, ma senza pedanteria; che le matematiche, e l'analisi ci
servano di guida nelle cognizioni astratte; che nelle scienze naturali si
cerchino i mezzi per accrescere, o conservare la sanità dei nostri corpi, o per
influire ne la ricchezza nazionale, coltivando e migliorando i prodotti
dell'arte e della natura; e che finalmente la volgare e popolare lingua, vero
termometro della coltura nazionale, si perfezioni; che non pud perfezionarsi,
senza che si eserciti la ragione nello stesso tempo '. [ocr errors]
IV. A questa stupenda Direzione pei maestri, il De Cosmi unì la prima
parte dei Principj Generali del Discor30, che già aveva stampato a solo sin.
dal 1790 ; cui fece seguire ora dalla parte secondo, che delle proposizioni,
dei verbi, dei pronomi, delle congiunzioni s'intertiene, chiudendola con alcune
regole primarie ad illustrazione delle altre, messe in fine della prima parte;
e terminando l'aureo librettino con un capitolo sulla Scelta dei libri
necessari allo studio della lingua italiana; dove vuole che siano preferiti i
libri del Trecento; additando per libro di prima lettura il Fiore di virtù o il
Volgarizzamento dei Gradi di S. Girolamo, 'od anche gli Ammaestra. minti degli
antichi di frate Bartolomeo da San Concordio; e per la seconda classe, il
Trattato del Governo della famiglia di Agnolo Pandolfini 5. A sintesi di
tutto il libretto il De Cosmi conchiude così: Ciò che i maestri debbono
inculcar continuamente alle tenere orecchie degli scolari sarà la necessità
delle regole e dell'uso; perchè l'uso e le regole sono i veri arbitri di ogni
lingua. Nulla contro le regole, nissuna parola fuori dell'uso",
Questo pregevole volumetto incontrò l'applauso di tutti i letterati; e un di
essi, che si volle occultare sotto le iniziali 0. G. R. P., ne fece una
bellissima ed estesa rivista nelle Notizie Letterarie di Cesena-agosto 1792
“. 1 G. A. De Cosmi, Op. cit., p. 17-18. . Vedi sopra pag.
166. • G. A. De Cosat, Metodo ecc., p. 56-57." • Lo stesso,
Op. cit., p. 60-61. * Pag. 55 e seg. L'articolo dell' O. G.
R. P. venne riprodotto da Giov. D'Angelo nelle 840 Memorie per servire alla
Storia letteraria di Sicilia; vol. III, Ms. della Biblioteca Comunale V.
Giovanni Agostino De Cosmi. Giovanni Cosmi.
COSOTTINI (Figline
Valdarno). Filosofo. Grice: “Cosotini considers ‘Home, sweet home,’ in terms of
linearity – surely Miss X can ‘improve’ on the score! Especially if she did
visit Payne’s little cottage by the sea – in Easthampton, and shed a tear!”. Si
laurea a Firenze con “Fenomenologia”. Fonda GRIM, Gruppo per la Reserccia
dell’Improvisazione Musicale. GRICE Gruppo por la research dell’Improvisazione
conversazione espressiva. Insegna Improvvisazione Musicale. Le Fanfole, canzoni
composte su testi del poemetto meta-semantico di Fosco Maraini Gnosi delle
Fanfole. Linearità e Nonlinearita in semiotica – sintagma lineare, sintagma
soprasegmentale – the volume of a sound – a ‘natural’ expression of pain – the
higher the volume, the higher the pine --. Grice on stress, intonation and
implicature. I KNOW it. I KNOW it (you don’t have to tell me). SMITH paid the
bill. Due conversazionaliste si muovono pacatamente per le loro vie, variando
direzioni e anche versi, ascoltandosi sempre, ma con dialoghi liberi e mai
serrati. “La musica dei matti” creazione dialogica di suoni del tutto libera e
interamente legata all'istante, tale da produrre mozzione conversazionale dallo
sviluppo verticale. Improvvisare la verità. Il concetto di ‘improvvisare’
improvissato – cf. English ‘improved’. Improvisation – improvised. Musica e
Filosofia. Realizza la partitura grafica Dettagliper tre esecutori, che
consiste di una mappa e ottantuno carte con segni grafici codificati (la mappa
e le carte sono i “veicoli” e il modo in cui si legge la grafia genera
molteplici possibilità di implicature. “wordless novel”. I suoi studi si
concentrano sulla filosofia della musica e sull’improvvisazione musicale,
scrivendo numerosi saggi per riviste specializzate come Musica Domani,
Perspectives of New Music, Aisthesis, Musicheria e la rivista online De Musica.
Inoltre pubblica un saggio sul silenzio
e sulle sue potenzialità performative. Metodologia dell'Improvvisazione Musicale.
Tra Linearità e Nonlinearità, un libro di metodologia dell’improvvisazione
musicale nel quale Cosottini teorizza la dicotomia tra Linearità e Nonlineairtà
come strumento per l’analisi dell’improvvisazione musicale. Non-linearita
EDT, il silenzio in contesto non lineare, Filosofia della Musica.
Non-linearità. Metodi non lineari. EDT
Non linearità. EDT Ascolto creativo e scrittura creativa di un’improvvisazione
musicale. Metodologia dell’improvvisazione musicale. Tra Linearità e
Nonlinearità Edizioni ETS, L’estetica dell’improvvisazione tra suono e silenzio
in Musica Domani, improvisation-research-center--musica-e-filosofia. Do You
Need A Sign. Mirio
Cosottini. Grice: “I am sure that a suprasegmental or non-linear segment adds
to what a conversationalist means – he means THAT Smith did not pay the bill,
and that somebody else did” – By stressing on LOVE he means that he likes her
AND that he loves her.” Keywords: prosodia, Hjelmslev, Hockett, fonema, tratto
sopra-segmentale, stress – Grice’s examples: “Smith kicked the cat” – “Smith
didn’t pay the bill. Nowell did.” “Smith didn’t pay the bill”. “I knew it” “I
love her” -- segno, nonlinearita, codice, soprasegmento. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Cossottini” – The Swimming-Pool Library.
COSTA (Torre
del Greco). Filosofo. Grice: “I love Costa; if I have to chose three of my
favourite essays of his, those would be, “Le passioni,” “L’uomo fuori di se:
l’esternalissazione’ and above all, his sublime, “l’estetica della
communicazione,’ which is what my philosophy is all about!” -- Mario Costa (Torre del Greco), filosofo. È
conosciuto, in particolare, per aver studiato le conseguenze, nell’arte e nell’estetica,
delle nuove tecnologie, introducendo nel dibattito filosofico una nuova
prospettiva teorica, attraverso concetti come "estetica della
comunicazione", "sublime tecnologico", "blocco
comunicante", "estetica del flusso". È stato Professore di Estetica all'Salerno e,
come professore incaricato di Metodologia e storia della critica letteraria e
di Etica ed estetica della comunicazione, ha contemporaneamente insegnato per
molti anni nelle Università degli Studi di Napoli "L'Orientale" e di
Nizza (Sophia-Antipolis). A Salerno ha fondato e diretto, daArtmedia,
Laboratorio permanente dedicato al rapporto tra tecno-scienza, filosofia ed
estetica, organizzando su queste tematiche decine di iniziative di studio,
mostre e convegni internazionali. L'estetica dei media ha ottenuto il Premio
Nazionale "Diego Fabbri". Pubblicato una trentina di libri; alcuni di
essi e numerosi suoi saggi sono tradotti e pubblicati in Europa e in
America. Il suo lavoro teorico si è svolto in due momenti successivi ed ha
seguito due fondamentali direzioni di ricerca: l'interpretazione socio-politica
e filosofica delle avanguardie artistiche, e l'elaborazione di una filosofia
della tecnica costruita soprattutto attraverso l'analisi dei cambiamenti che la
nuova situazione tecno-antropologica ha indotto nell'arte e
nell'estetico. Per quanto riguarda la prima delle due direzioni indicate,
ha fornito un complesso di interpretazioni filosofiche ed estetiche di numerosi
movimenti dell'avanguardia artistica e letteraria. Momenti di particolare
rilievo in questo ambito di ricerca possono essere considerati i suoi lavori su
Duchamp e sulle funzioni della moderna critica d'arte, nonché i suoi studi sul
"lettrismo" e sullo "schematismo", movimenti artistici di
grande importanza, anche estetologica, ma, all'epoca, pressoché ignoti in
Italia. Per quanto riguarda la seconda delle direzioni indicate, il suo
pensiero si è a sua volta sviluppato secondo due assi fondamentali: uno
riguardante le conseguenze sociali ed etiche della comunicazione tecnologica,
riassunte soprattutto nel libro La televisione e le passioni che analizza gli
effetti disgreganti e distruttivi della televisione, e poi nel più recente La
disumanizzazione tecnologica, e l'altro, dominante rispetto al primo,
consistente in un ripensamento del senso che l'"estetico" e
l'"artistico" vanno assumendo nella fase attuale delle nuove
tecnologie elettro-elettroniche e digitali della scrittura, dell'immagine,
della spazialità, del suono e della comunicazione, ciò che lo ha condotto ad una
radicale ed originale reimpostazione teoretica di tutto il campo investigato.
Negli ultimi suoi lavori (Ontologia dei media, e Dopo la tecnica) la
prospettiva teoretica si è andata ulteriormente approfondendo dando luogo ad
una compiuta filosofia dei media e della tecnica in quanto tale. Alcune opere
rappresentative L'estetica dei media può considerarsi, per i contenuti trattati
e per la inedita metodologia di indagine instaurata e seguita, un libro che
apre un nuovo campo di ricerca, prima del tutto ignorato ed inesplorato dalle
discipline estetologiche, quello appunto della "estetica dei media",
da non confondere, ad esempio, con l'estetica della fotografia o con quella del
cinema, alle quali ha comunque dedicato altri suoi importanti lavori. Il libro
in questione segue ai diversi contributi teorici relativi all'estetica della
comunicazione le cui identificazione, nominazione e formulazione teorica
risalgono al 1983, e che è ora rappresentata, nella sola Italia, da numerose
Cattedre e indirizzi universitari. Il sublime tecnologico è considerato il
lavoro più noto e più innovativo di tutta la sua produzione teorica; è in esso
che, considerando le conseguenze indotte nel campo dell'arte e dell'estetico
dalla nuova situazione tecno-antropologica, si parla dell'oltrepassamento della
dimensione dell'arte e delle categorie ad essa connesse, nella direzione di una
nuova forma di sublime, quella appunto del sublime tecnologico, con tutto
quello che questo concetto implica e comporta. La nozione del sublime tecnologico
è stata diffusamente accolta e seguita sul piano internazionale della teoria
estetica ed ha sollecitato un incalcolabile numero di sperimentazioni da parte
di artisti di tutto il mondo. Arte contemporanea ed estetica del flusso traccia
le linee di una nuova estetica e della sperimentazione artistica che da essa
può scaturire. Si tratta da una parte di un violento e argomentato pamphlet
contro l'arte contemporanea, ritenuta “una congerie più o meno sgradevole di
nullità mercantili”, e dall'altra della tematizzazione ed elaborazione del
concetto di “flusso estetico tecnologico”, considerato come ultima e residua
possibilità di sperimentazione per gli artisti e come chiave per comprendere
alcuni aspetti dell'ontologia contemporanea. Dopo la tecnica () ripercorre la
storia delle varie epoche della tecnica sottolineandone la discontinuità e la
capacità di agire configurando, ogni volta in maniera diversa, l'organizzazione
antropologica di chi da esse è abitato. Sulla base di questi presupposti, si
mostra come la tecnica, una volta connessa e dipendente dai bisogni umani, si
va rendendo incondizionatamente autonoma forzando l'uomo a vivere dentro di
essa, ad appartenerle e a favorire il suo sviluppo. Altre opere: “Arte come
soprastruttura”, Napoli, CIDED, Teoria e Sociologia dell'arte, Napoli, Guida
Editori, Sulle funzioni della critica d'arte e una messa a punto a proposito di
Marcel Duchamp, Napoli, M.Ricciardi Editore, Il ‘lettrismo' di Isidore Isou.
Creatività e Soggetto nell'avanguardia artistica parigina posteriore, Roma,
Carucci Editore, Le immagini, la folla e il resto. Il dominio dell'immagine
nella società contemporanea, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, Il sublime
tecnologico, Salerno, Edisud, L'estetica dei media. Tecnologie e produzione
artistica, Lecce, Capone Editore, Il ‘lettrismo'. Storia e Senso di un'avanguardia,
Napoli, Morra, La televisione e le passioni, Napoli, A.Guida, 1Lo
‘schematismo'. Avanguardia e psicologia, Napoli, Morra, Lo ‘schématisme
parisien'.Tra post-informale ed estetica della comunicazione, Fondazione
G.E.Ghirardi, Piazzola sul Brenta (Padova), Sentimento del sublime e strategie
del simbolico, Salerno, Edisud, Della fotografia senza soggetto. Per una teoria
dell'oggetto tecnologico, Genova/Milano, Costa & Nolan, Il sublime
tecnologico. Piccolo trattato di estetica della tecnologia, Roma, Castelvecchi,
Tecnologie e costruzione del testo, Napoli, L'Orientale, L'estetica dei media.
Avanguardie e tecnologia, Roma, Castelvecchi, L'estetica della comunicazione.
Come il medium ha polverizzato il messaggio. Sull'uso estetico della
simultaneità a distanza, Roma, Castelvecchi, Dall'estetica dell'ornamento alla
computerart, Napoli, Tempo Lungo, Internet e globalizzazione estetica, Napoli,
Tempo Lungo, New Technologies, Artmedia-Museo del Sannio, oDimenticare l'arte.
Nuovi orientamenti nella teoria e nella sperimentazione estetica, Milano,
Franco Angeli, L'oggetto estetico e la critica, Salerno, Edisud, La
disumanizzazione tecnologica. Il destino dell'arte nell'epoca delle nuove
tecnologie, Milano, Costa & Nolan, Della fotografia senza soggetto. Per una
teoria dell'oggetto estetico tecnologico, Milano, Costa & Nolan, Arte
contemporanea ed estetica del flusso, Vercelli, Mercurio Edizioni, Ontologia dei media, Milano, Post media books, Dopo la tecnica. Dal chopper alle similcose, Napoli,
Liguori Editore. Il lavoro teorico di Costa teso, tra l'altro, a definire la
nuova epoca dell'estetico connessa alle neo-tecnologie elettro-elettroniche e
digitali, e a fare in modo che questa si andasse ben configurando e definendo,
si è, per ciò stesso, sempre accompagnato ad un'intensa attività di promozione
estetico-culturale: agli inizi degli anni ottanta organizza a Napoli, col
supporto della RAI-TV, una grande esposizione di videoarte (Differenzavideo); per
sollecitare una riflessione sugli effetti estetico-antropologici indotti dalle
tecnologie della comunicazione, co-organizza (conPerniola) presso l'Salerno, il
Convegno Estetica e antropologia i cui Atti sono, in parte, pubblicati sulla
Rivista di estetica di Torino, necrea, con l'artista francese Fred Forest, il
movimento internazionale dell'Estetica della comunicazione che presenta in vari
contesti (Electra di Frank Popper, al
Centre Pompidou a La Revue parlée di Blaise Gautier, ialla Sorbonne, al
Séminaire de Philosophie de l'art di Olivier Revault D'Allonnes); nei mesi di
marzo-aprile del 1984 dà luogo al primo evento/rassegna di estetica della
comunicazione (L'immaginario tecnologico, Benevento, Museo del Sannio); a
partire dal 1985 concepisce e dirige, presso l'Salerno, Artmedia, Convegno
Internazionale di Estetica dei Media e della Comunicazione; organizza presso
l'Salerno un Convegno Internazionale su estetica e tecnologia; nel febbraio
1989 organizza presso la stessa Università il Convegno "Il suono da
lontano". Eventi sonori e tecnologie della comunicazione"; realizza,
per la RAI-TV (Dipartimento Scuola e Educazione) la trasmissione televisiva in
tre puntate: Un'estetica per i media; fa svolgere, presso la settecentesca
Villa Bruno (S.GiorgioNapoli) Technettronica. Laboratorio di Estetica dei Media
e della Comunicazione; nel 1990 presenta per la prima volta in Italia presso
l'Salerno due videoplays di Samuel Beckett; nel 1995 fonda e dirige, la Rivista
Internazionale Multilingue Epipháneia. Ricerca estetica e tecnologie, fonda e
dirige, presso le Edizioni Tempo Lungo di Napoli, Vertici, una «Collana di
Estetica e Poetiche» aperta alle questioni estetologiche connesse ai nuovi
media (testi di Francesco Piselli, Anne Cauquelin, Theodor W. Adorno, Costa,
Marie-Claude Vettraino-Solulard, Dorfles);
co-organizza a Parigi la VIII Edizione di Artmedia; nell'ottobre 2003
co-organizza presso l'Salerno il Convegno Internazionale Tecnologie e forme
nell'arte e nella scienza; organizza presso il Museo del Sannio di Benevento la
Mostra New Technologies (Roy Ascott, Maurizio Bolognini, Fred Forest, Richard
Kriesche, Mit Mitropoulos); norganizza presso l'Salerno la IX Edizione di
Artmedia; nco-organizza a Parigi la X Edizione di Artmedia; nell'ottobre 2009
organizza presso l'Salerno un seminario conclusivo di Artmedia dal titolo
"L'oggetto estetico dell'avvenire". Sulle funzioni della critica
d'arte e una messa a punto a proposito di Marcel Duchamp, Napoli, Ricciardi
Editore, 1976; Mario Costa, L'oggetto estetico e la critica, Edisud, Salerno. Mario
Costa, Il 'lettrismo' di Isidore Isou. Creatività e Soggetto nell'avanguardia
artistica parigina, Carucci Editore, Roma,Il 'lettrismo'. Storia e Senso di
un'avanguardia, Morra, Napoli, Si veda anche Signe, forme, schéma, ornement, in
"Schéma et schématisation", 57, Parigi 2002, L'estetica dei media. Avanguardie e tecnologia,
Castelvecchi, Roma, Mario Costa, Il sublime tecnologico. Piccolo trattato di
estetica della tecnologia, Castelvecchi, Roma, Arte contemporanea ed estetica
del flusso, Mercurio, Vercelli . Inoltre: Technology, Artistic Production and
the "Aesthetics of communication", in "Leonardo", Tecnologie
e costruzione del testo, L'Orientale, Napoli, Reti e destino della scrittura. Sulla
diffusione e la rilevanza del suo pensiero, si vedano tra gli altri: Philippe
Bootz, The thesis of Walter Benjamin and Mario Costa, in Philippe Bootz, Sandy
Baldwin, Regards Croisés, West Virginia University Press, Alberto Abruzzese, Il
compiersi della pubblicità dal manifesto metropolitano ai linguaggi elettronici
del presente: pretesti, testi e questioni, in
(Riccardo Lattuada), Nuove tendenze ed esperienze nella comunicazione e
nell'estetico, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane. Derrick de Kerckhove,
L'estetica dei media e la sensibilità spaziale. Riflessioni su un libro di
Mario Costa, in "Mass Media",Frank Popper, L'art à l'âge
électronique, Paris, Hazan, Mario Costa, professore di estetica, in
MCmicrocomputer, n. 208, Roma, Pluricom. Grice: “Costa uses words in ways we
don’t allow at Oxford: a sign by which nobody signs; and so on.Mario Costa.
Keywords: blocco comunicante, communicazione sine contenuto, communicazione
fatica, semiotica, estetica della comunicazione, significante sine significato
– segno sine segnato – autoreferenzialita – asemanticita – sintassi – retorica
– codice – intenzione communicative, medio, messaggio, recursivita,
self-reference, meta-linguaggio – linguaggio come metalinguaggio -- - Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Costa” – The Swimming-Pool Library.
Costa (Ravenna). Filosofo. Grice: “My favourite keyword for Costa
is ‘contrassegnare’!” – Grice: ““I love Costa; for one, he improves on Locke;
on the composition of ideas and how to ‘countersignal’ them with ‘vocaboli
precisi’ – I explored that a little in my ‘Prejudices and Predilections,’ when
I attack minimalism and extensionalism, and provide a way which is meant to
resemble Locke’s way of words, or rather Locke’s way of ‘complex’ words, or
‘composite’ (Costa’s ‘comporre’) out of ‘simple’ ones – as in Quine’s worn-out
‘bachelor’ unmarried male that I play with with Strawson in “In defense of a
dogma.” In this respect, it is interesting to see that Costa also wrote on
‘ellocution’ and ‘sintesi’ versus ‘analisi’!” Figlio di Domenico e Lucrezia
Ricciarelli, studia a Ravenna e Padova. Insegna a Treviso e Bologna, a Villa
Costa, Bologna -- è costretto a riparare a Corfù perché sospettato di essere
affiliato alla Carboneria. Può rientrare a Bologna. Altre opere: “I trattati
della elocuzione e del modo di esprimere l’idea e di segnarla con una
espressione precisa a fine di ben ragionare” – Colla profferenza, “Fa fredo,”
Costa segna che fa freddo. Il trattato filosofico della sintesi e dell'analisi;
i quattro sermoni dell'arte poetica, un commento alla Divina Commedia, la Vita
di Dante, il Dizionario della lingua italiana, poesie (Laocoonte), lettere e
traduzioni. Letterato neo-classico e
dunque tipicamente italiano e anti-romantico, ammira i corregionali Monti e Giordani
e sostenitore del purismo e del “sensismo” lucreziano in filosofia. Nella
lettera a Ranalli di introduzione al Della sintesi e dell'analisi così riassume
le sue concezioni filosofiche. È necessario, per togliere la infinita
confusione che è nelle scienze ideologiche, di dare all’espressione un
determinato valore. Sostengo che questo non si può ottenere, come crede Locke,
colla de-finizione (horismos) (la quale e una scomposizioni di una idea o di
piu idee), se prima la idea non sia stata ben composta. Sostengo che questa non
si puo compor bene, se prima non si conosce quale ne sieno gli elementi
semplici – soggetto e predicato, il S e P -- Sostengo che un elemento semplice
e una reminiscenza relative a una sensazione, e che la idea si compone di almenno
due di sì fatti elementi – il S e P – la proposizione, ‘segno che p’ -- e del
sentimento del rapporto di una reminiscenza e dell’altra, cioè dei proposizione
– nel indicativo o imperative – il giudizio – il giudicato – e la volizione –
il volute. Da ciò conséguita che l'esperienza (se l'esperienza vale ciò che si
sente mediante l'attenzione) è il fondamento della scienza umana. I kantisti ed
altri filosofi distinguono una idea in una idea soggettiva e in una idea
oggettiva, ed attribuiscono un'origine a posteriori e sintetico alla una ed
un'origine a priori e analitico all’ltra. Questa distinzione può esser buona, ma
non è buona l'ammettere che abbiano origini di natura diversa: a
posteriori/sintetico, dal senso – e a priori/analitico – dall’intelleto – nihil
est in intellectus quod prior non fuerit in sensu. Ogni idea ha un stesso origine. e questo si fa
palese per un solo esempio. Da una idea soggettiva puo nascere sue proposizioni. Una proposizione: "La reminiscenza
S1 e la reminicenza S2 sono in me”. Altra proposizione: “La reminiscenza S si
associa con la reminiscenza P”. Qual è l'origine dell’idea dalla quale deriva
sì fatta proposizione? Il sentimento. Dire che la reminiscenza del color di
rosa è in me, è dire che sento che è in me, e dico: “Vedo una macchia rosa”. Così
direte dell'altra proposizione. Dall’idea oggettiva puo nascere una proposizione
e altra proposizione. Il corpo pesa. La rosa manda odore. Da che nasce la
proposizione? Dal sentimento (senso). Perciocché dire che questo corpo pesa è
lo stesso che dire che sento il peso di questo corpo; giu-dico, ovvero, sento che
la cagione (causante, causans) della mia sensazione tattile del senso del
tattoo è in questo corpo. Così dire che la rose manda odore è lo stesso che
dire che sento l'odore della rosa, giu-dico, ovvero, sento che l'odore dela
rosa ha una delle cagioni in cose fuori, cioè che non sono in me. Fra una idea
soggettiva e una idea oggettiva non vi è altra differenza, se non che nella che
si suppone oggetiva sento che la cagione
(causans) è nella nostra persona. Nell’idea che si suppone oggetiva sento che
la cagione (causans) è in me (o noi entrambi – nella diada --), nell’idea
soggetiva nella cosa (il reale). fuori. Ma come sentiamo noi che vi sia una
cosa (il reale) fuori? Questo è il gran problema dagl'ideologi non ancora
solute. Ma l'ignoranza in che siamo non dà facoltà legittima alla scuola trascendentali
di concludere che il giudizio dell’idea soggetiva non dipende dal sentire. Il giudicio
è un sentimento, cioè, un rapporto sentito fra una sensazione e altre
sensazione, una reminicenza (il S) e altra reminiscenza (il P); ché se tale non
fosse, nessuno potrebbe dire che l'idea che abiamo di una rosa p.e. ha la sue
cagioni fuori di noi entrambi, perciocché una sì fatta proposizione suppone che
l'uomo che proferisce questa proposizione o explicatura (spiegato) abbia o la
sensazione S e la sensazione P, o le reminiscenza S e la reminiscenza P in
relazione alla sensazione prodotte dalla rosa, e l'idea del sentente. Voi
vedete chiaramente, che nell'uno e nell'altro degli addotti esempii la
modificazione che chiamamo ‘idea,’ e il sentimento dei loro rapporti sono nella
nostre anime ambidue, e che quindi si esprimono falsamente coloro, che dicono
che sentiamo il corpo fuori di noi. Dovrebbero dire, strettamente, che sentiamo
che la cagione (causans) del nostro sentire (sentito) non è in noi entrambe.
Coi fondamenti da me posti si può stabilire una dottrina, se il buon desiderio
non mi acceca, per la quale vadano a terra le opinioni di coloro che disprezzano
il sensismo, e che con odiosa espressione la chiamano dottrina de' “sensuali”.
Con che danno a divedere, che essi mattamente opinano che il materiale organo
del senso (i cinque organi, i cinque sensi) senta e percepisca, senza
accorgersi che se gli occhi (visum) e le orecchie (auditum) e il naso (odore) sentissero
ciascuno separatamente, non potrebbe giammai nascere giudizio alcuno circa la
qualità della sensazione di natura
diversa. L’uomo non potrebbe mai dire che l’odore della rosa mi diletta più del
colore della rosa, e così via discorrendo. Il sentimento di un solo centro,
nostre anime ambidue: e nostre anima ambidue senteno in sé mesima, e non fuori
di sé. Puo parere che questa dottrina del sensismo sia la stessa che quella
dell'idealista irlandese Bercleio; ma essa è diversa, poiché ammette che oltre
la idea vi sieno fuori dell'uomo la cagione (causans) di essa idea. Di questa
cagione (causans) – il reale, il noumeno -- noi conosciamo l'esistenza, e nulla
più. Che cosa e un corpo in se stesso? A questa interrogazione non si può
rispondere se non dicendo che e ignota la cagione della nostra sensazione
condivisa. Sappiamo che esiste, sappiamo che si modifica, e tutto ciò sappiamo,
perché fa della mutazione nell'animo nostro ambedue o nell’anima nostra ambedue.
Dal che si deduce ciò che dianzi vi dissi, che ogni idea ha per loro due primitivi
elementi (il S e P) la sensazione, la reminiscenza, il sentimento che e nelle
nostre anime ambidue, e non fuori di lei. Così la pensa il filosofo chiamato
per beffa dal cattolico romano col nome di sensualista e di materialista.
Materialista a buona ragione si puo chiamare i nostri avversario, o almeno
materialista per metà, giacché ammette che il sentimento del corpo
percepiscano, e giudichino relativamente alla qualità del reale, della cosa
esterna. Leggete le lettere filosofiche di Galluppi stampate non è guari in
Firenze. In Galluppi troverete chiaramente esposte la dottrine sensista, quelle
di Hume circa la cagione, e segnatamente quelle di Kant. Se dalle mie teoriche
si possono ricavare gli argomenti validi a confutare le opinioni del filosofo
trascendentale, o di coloro, che oggi si danno il nome di eclettico – come ha
tempo Cicerone --, io vi prego di compilare alcune note, o vogliam dire
corollarii, pei quali si vegga manifesta la falsità di alcuni principii del
irlandese Bercleio, del scozzese Reid e del scozzese-tedesco Kant, la filosofia
dei quali è fonte della massima parte della moderne follia (Della Sintesi e
dell'Analisi, ed. Liber Liber / Fara Editore). Altre opere: “Alighieri”; “Della
elocuzione” Fara editore, S. Arcangelo di Romagna); “Della sintesi e
dell'analisi” (Giovanni Battista Borghi e Melchiorre Missirini); “La divina
commedia, con le note di Paolo Costa, e gli argomenti dell'Ab.G. Borghi. Adorna
de 500 vignette” (Giovanni Battista Niccolini e Giuseppe Bezzuoli, Firenze, Stabilimento
artistico Fabris,Claudio Chiancone, La scuola di Cesarotti e gli esordi del
giovane Foscolo, Pisa, Edizioni ETS (sulla formazione padovana del Costa, e sulla
sua amicizia giovanile col Foscolo) Filippo Mordani, Vite di ravegnani
illustri, Ravenna, Stampe de' Roveri. Dizionario biografico degli italiani. Una
delle facoltà, onde l'uomo è tanto superiore alle bestie, si è la favella
[fabula – da ‘fa’, speak – cf. fama], mercè della quale i primi uomini non solo
si strinsero in comunanza civile, ed ordinarono la legge ed il governo; ma a
fare più beata e gloriosa la vita crebbero le scienze e le arti, ed ispirarono
con queste l'odio al vizio ed al falso; l'amore della virtù, del vero, del
bello; e i fatti e i nomi degni di memoria ai tardi secoli tramandarono. E qual
cosa è più utile ai privati, ed alla repubblica e più degna e di maggiore
onore, che l'arte di gentilmenle parlare? Per questa ci è aperta la via alla
dignità, alla fortune ed alla fama; per questa le città si mantene ordinata e
pacifica; per questa sono animati i
guerrieri – come Niso ed Eurialo --, encomiato un principio; per questa con più
degni modi si loda e si prega il supremo autore elle cose, e pura e viva si
mantiene nel cuor degli uomini la religione. Laonde, se desiderate onore o
giovamento a voi stessi ed alla Italia, ardentemente volgete l'animo a questo
nobilissimo studio del parlare o discorsare civile. Che se vi fu dolce fatica
l'interpretare e l'imitare gli antichi filosofi romani, non meno dolce vi e il
venire meco investigando il magistero, che è nelle opere loro; imperciocchè,
essendo la favella [la lingua, il parlare] istrumento col quale si commovono e
si traggono gli animi degli uomini, uopo è di volgere sovente la considerazione
alle proprietà dell'intelletto e del cuore umano; il che , pel naturale
desiderio, che abbi mo di conoscere noi stessi, è dilettevolissimo. Mettiamoci dunque
volentieri a quest'opera; e per cominciare con ordine , poniam subitomente al
fine, che si propone chi scrive, perocche non sarà poi difficile temperare ed
ordinare secondo quello il modo del favellare. La favella – nella diada
conversazionale -- intende a *manifestare* (cfr. Vitters) ad altro un pensiero
e un affetto proprio con soddisfazione dell’altro. Ad ottenere questo FINE,
sono necessarie due codizioni. Prima: che la elocuzione sia chiarà – Grice:
“imperative of conversational clarity). Seconda condizione: che l’elocuzione
sia ornata convenevolmente. Parliamo tosto della chiarezza conversazionale, che
poco appresso diremo dell' ornament. La chiarezza da due cose procede. Prima:
dalla qualità dell’espresione, che si pone in uso. Secondo: dalla collocazione –
cum-locatio, syn-taxis -- loro. Prima diciamo della qualità dell’espressione,
L’espressione, che e un *segno* [cf. Grice: Words are not signs] di una idea,
fa perfettamente l'ufficio suo ogni qual volta sia ben determinata, cioè appropriata
a ciascuna idea singolare per nodo, che non possa a verun' altra appartenere.
Per meglio iutendere in che consista la natura loro, bisogna considerare che
ogni idea e composta – il S e P - ; e che alcune, differendo da altre in pochi
elementi, abbisognano di segno particolare, per apparire distinte.
Quell’espressione che la distingue dicesi “proprio”. Vaglia un esempio. L'idea
di ‘frutto’ ha per suoi elementi le idee delle qualità comuni a ogni frutto;
l'idea di “melagrana,” oltre i detti elementi , comprende le idee delle qualità
particolari della melagrana: perciò è che, se chiameremo frutto la melagrana,
quando è mestieri distinguerla, non parleremo con proprietà. (cf. Lawrence:
What is that? E un fiore). Ho qui recato il materiale esempio di un errore, in
che è diſficile di cadere, affinché si vegga chiaramente non essere molto
dissimile da questo l'errore di coloro, che d'altre cose ragionando usano i
vocaboli generali (fiore) per ignoranza' de'particolari (tulipano). Tanto
sconvenevol cosa si repula l 'usare una espressione impropria, dice il Casa,
che si hanno per non costumali coloro, i quali, non dan dosene gran pensiero,
pare che amino di essere frantesi, e nulla curino il fastidio di chi si sforza
d'intenderli: all'incontro coloro, i quali usano l’espressione propria,
mostrano di essere civili, essendo solleciti di alleviare altrui la fatica [cf.
Grice, prinzipio di economia dello sforzo razionale], poichè pare che mercè
della espressione proprie le cose si mostrino, non coll’espressione, ma con
esso il dito. I poeti, che sono lodali per la evidenza, onde le cose ci pongono
dinanzi agli occhi ci somministrano
esempi del modo assai proprio. Giovi recarne qui alcuno a schiarimenlo di
quanto abbiamo detto: Come d'un tizzo verde, ch'arso sia dall'un de capi che
dall'altro geme, e cigola per vento, che va via. È qui da notare come
l’espressione “tizzo” e l’espressione “cigola” meglio ci rappresentano la cosa,
che arde, e l'effetto del fuoco, di quello che se Alighieri avesse detto: un
ramo verde fa romore per vento che va via, essendo questa SIGNIFICAZIONE alta a
denotare altra idea non simili in tutto a quella che si voleva esprimere. Cosi
Petrarca disse propriamente: raffigurato alle fattezze conte, piuttosto che
dire alla persona; e Alighieri: levando i moncherin per Ľaria fosca, in vece di
dire, levando le braccia tronche. Qui si vede come l’espressione “fattezza” e l’espressione
“moncherino” sieno meglio usati per essere espressione di SIGNIFICAZIONE
SINGOLARE. Se la proprietà [cf. be as informative as is required – avoid
ambiguity] è si necessaria a SIGNIFICARE la cosa che cade sotto i sensi, quanto
maggiormente nol sarà ella, quando si vogliono esprimere le idee intellettuali
e le morali, che se non fossero determinata in virtù dell’espressione, o svanirebbero
dalla mente nostra, o vi starebbero disordinate e mal ferme? A quel modo che
dalla precisione delle cifre dell'aritmetica dipende la esattezza de’ calcoli,
cosi dalla proprietà dell’espressione dipende quella delle idee e de'
ragionamenti in qualsivoglia delle scienze astratte; e quindi ottima è quella
sentenza del filosofo: consistere il sommo dell'arte di ragionare nel l'uso di
un discorso bene ordinata. Anche Piccolomini ha detto della sua parafrasi di
Aristotele, che la base e il fondamento della elocuzione si ha da stimar che
sia la purità, la netlezza e candidezza – cf. Grice, the imperative of
conversational candour -- di quel discorso, nella quale l'uom parla. Ad
acquistare l'abito di discurrire con proprietà tre cose si richieggono.
Prima, il saper bene dividere le idee
fino ai primi loro elementi. Secondo, il conoscere l'etimologia
dell’espressione (etimo: il vero), per quanto è possibile. Terzo, il rendersi
famigliari le opere degli antichi filosofi romani, ne'quali è dovizia di voci
pure e di modi assai propri. Chi non ha uso delle delle cose è spesso costretto
di adoperare le noiose circonlocuzioni in luogo di un solo vocabolo o di una
breve sentenza, e di abusare de sinonimi. Si dice “sinonimo” l’espressione di una
medesima sigoificazione, o quelli, che rappresentando le stesse idee
principali, differiscono in qualche accessoria. Della prima generazione sono i
seguenti: fine e finimenio; abbadia e badia; consenso e consentimenlo e simili.
Aliri ne trov po nella formazione de' tempi, e de'partecipii, come rendei e
rendetli ; visto e veduto; parso e paruto; ma colali sinonimi non sono in gran
numero. La più parle è di quelli che differiscono per aumento, o diſelto di
qualche idea accessoria. Cavallo, corridore, destriero , palafreno, poledro,
rozza, sono espressioni istituite a significare il medesimo animale; ma ognuna
differisce dall'altra. “Cavallo” denola la qualità della specie; “corridore” la
particolarità d'esser veloce; “destriero” ricorda l'uso di menare il cavallo a
mano destra; “palafreno” quello di frenarlo colla mano; “poledro” la qualità
dell'essere giovane; “rozza” quella dell'essere vecchio e disadalto. Le voci
unico e solo sembrano per avventura la stessa cosa; ma il Petrarca disse la sua
donna essere “unica e sola” (one and only), volendo significare che nessun'altra
è nella schiera di Laura, e che nessuna può esserle dala in compagnia. Incontra
alle volte, che le parole istituile a significare un'idea stessa differiscono
per la virtù, che haono di richiainarne alla mente alcun'altra più o men nobile,
o per cagione del suono o vobile o rimesso, o per cagione dell'uso, che di
quella suol esser fatlo in umile o in illustre componimento. Tali sono , a
cagione d'esempio, i vocaboli “adesso” ed “ora”, che significano ‘il momento
presente’, ma “adesso” non sarebbe ricevuto in nobile componimento ; dal che si
vede che sebbene ei denoli il punto presente del tempo, come fa l'altro, pure
trae in sua compagnia alcune idee, che il fanno parere di bassa condizione. É
dunque da por wenle che l’espressione, che si dice sinonimo, non sempre ci
rappresentano stesso complesso d'idee ; e quindi può intervenire, che ingannali
dall'apparenza, alcuna votla siamo lralli ad usarli impropriamenle. È da
avvertire per ultimo, che ogni espressione antiquale, cioè quelle, che pel consenso
universale de’ filosofi sono stale abolite, non hanno più luogo tra le voci
proprie. Si uilmente sono improprie ogni espressione dei dialelli parlicolari,
e l’espressione forastiera, che dall'uso de' wigliori filosofi non hanno avuto
la cile tadinanza. Le quali tutte non sarebbero bene intese dall'intera Italia;
e perciò denuo essere, da chi desidera di discurrire chiaramente, a lullo
polere schivale. Questo basli aver dello della proprietà, che è la prima cosa,
che si richiede a render chiara le elocuzione. Direino poi a suo luogo come il
trasporlare con altra legge di proprietà l’espressione dal significato proprio
all'improprio giovi maravigliosamente alla chiarezza. In virtù dell’espressione
esprimiamo i nostri giudizii, e collegando insieme il giudizio espresso
formiamo i raziocioii, i quali verranno chiari alla menle altrui , qualvolta
sieno osservate le leggi, di che ora faremo parola; ma prima si vuole
avvertire, cha talora il discorso può es sere ordinato secondo le leggi, per le
quali ' riesce chiaro, ma non avere poi quella forza, quella virtù e quella
eſficacia, che avrebbe, se si disponessero le parole diversamente senza però
offendere le delle leggi. A suo luogo direno della disposizione (sintassi)
delle parole, che agagiunge efficacia al discorso. Ora è a dire solo tanto di
quella, che lo fa chiaro. Ogni giudizio espresso dicesi proposizione. Nel
ragionamento, il quale di nolle proposizioni si compone, alcuna vene ba, che
viene modificata dalle altre. Quella, che è modificata, dicesi principale, le
allre suballerne (o minore). Vaglia a ben distinguerle il seguente esempio del
Casa. Menire i nostri nobili cittadini gli agi e le morbidezze e i privuli loro
comodi abbracciano e stringono, l'impera lore, non dormendo nè riposandu , mu
travagliando e fabbricando, ha la sua fierezza e la sua forza accresciuta.
L'imperatore ha la sua fierezza e la sua forza accresciuta è la proposizione (premessa)
principale (maiore), le altre, che lei modificano, sono le subaltern (premessa
minore). La proposizio ne principale, a somiglianza della principale figura in
un dipinto, dee fra tutte le subalterne campeggiare e risplendere; per ciò è
che vuolsi evitare la frequenza di queste ultime, le quali, allorchè fossero
troppe, invece di raflorzare la principale o premessa maiore, siccome è loro
officio, verrebbero ad indebolirla. Questa si è la prima avvertenza , che circa
le proposizioni subalterne aver dee colui che discurre; indi si prenderà cura
di ben' collocarle. Prima che veniamo a dire quale sia la buona collocazione
loro, è necessario di osservare, che le delle proposizioni subalterne si distin
guono in espresse ed in implicite. Diconsi espresse quelle, nelle quali tutte
le parli loro sono manifeste, come nella seguente : ľuomo è ragionevole.
Diconsi implicite quando il giudizio che si esprime, e significati dall nome
addiettivo o dal nome sustantivo con preposizione o dall’avverbio, come nelle
seguenti. L’uomo GIUSTO è lodato. Pilade ama Oreste. CON. I romani amarono
GRANDEMENTE la patria. Quando si dice “l'uomo giusto” si viene ad affermare che
ad esso si appartiene la giustizia, che è quanto dire giudichiamo che egli è
giusto. Si dica il medesimo delle altre due proposizioni. Ama con FEDE GRANDEMENTE,
La proposizione IMPLICITA (entimema, implicatura) serve a significar del
giudizio, che per abilo la mente umana FEDE amarono suol fare rapidamente;
perciò è che non si denno usare in vece di quelle la proposizione espressa,
SPLICITA (splicatura), perciocchè impedirebbero la spedi tezza dell' intelletto
di nostro compagno conversazionale. Si dovranno ancora nello scegliere la
proposizione implicita (implicatura, impiegato) schivare le inutili, cioè
quelle, che risveglierebbero le idee, che in virtù del solo sustantivo o del
solo verbo possono essere richiamate a mente, e scegliere quelle, che meglio
qualificano il significato. Sarebbe, a cagione d ' esempio, vano (redundante) e
noioso l'aggiunto di “bianca” alla “neve” (salvo se il caso richiedesse di far
conoscere parti colarmente questa qualità), essendo che l’espressione “neve”
trae seco, senz'altro aiulo, la idea di ‘bianco’ (cf. ‘atleta’ ‘longo’).
Rispello alla collocazione della proposiziona suballerna, sia ella implicite o
espresse, la regola (massima, imperativo) si mostra di per sé: imperciocchè, essendo
intese a denotare alcuna qualità del signato o da' sustantivo o da' verbo o da'
participio, deve chiaramente apparire a quali di queste parti dell'orazione (l’otto
parti dell’orazione – partes orationis) vogliono appartenere; e perciò fa
mestieri collocarle in luogo tale, che mai non venga dubbio se sia poste a
modificare piuttosto l'uno, che l' altro o verbo o participio o sustantivo.
Quao do a ciò si manca nasce perplessità (“misleading, but true) come nel
seguente luogo di Boccaccio. E comechè Aligheri aver questo libretto fallo
nell'età più matura si vergognasse. Qui può sembrare che il libretto sia stato
falto nell' età più matura; che se avesse dello: comechè egli aver futto questo
libretto si vergognasse nell'età più matura, la proposizione sarebbe stata
chiarissima. Alcuna perplessità è ancora in quest'a tro di Passavanti: Leggesi,
ed è scritto dal venerabile dottor Beda, che negli anni domini ottocento sei un
uomo passò di questa vila in Inghilterra. Comechè non sia per cadere nel
pensiero di alcuno che colui, che si parle di questa vita, possa andare in
Inghilterra, nulladimeno, per quella collocazione di parole, la mente di chi legge
resla alcun poco sospesa. Molte traspposizioni, che si bia simano nella lingua
italiana, sono spesso con venevoli nella lingua latina, perchè nella lingua
romana gli aggettivi, che per le desinenze diverse nei generi, nei numeri e nei
casi si accordano coi sustantivi, rade volte lasciano dubbio a cui vogliano
appartenere, e rade volte i casi obliqui si confondono col caso retto, comunque
nella proposizione sieno collocati. Bellissimo è in latino il seguente luogo di
Crasso, riportato da Cicerone. Haec tibi est excidenda lingua, qua vel evulsa
spiritu ipso libidinem tuam libertas mea refutabit. Tenendo l'ordine di queste
parole nella lingua italiana si produce falsità nella sentenza: sconvolgendolo
si perde tutta l'efficacia. Se diremo. Questa lingua li è d'uopo recidere:
recisa questa, col fiato stesso la tua sfrenatezza la libertà mia reprimerà,
apparirà che la sfrenatezza reprima la libertà. Se per lo contrario tradurremo.
La libertà mia reprimerà la tua sfrenatezza, toglieremo alla sentenza molto
della sua forza. Vedremo a suo luogo la ragione, per cui la diversa
collocazione di una espressione semplice rafforza o snerva l'espressione
complessa. Ora ci basti osservare, poichè cade in acconcio, che le varie lingue
(parlando ora della sola facoltà, che hanno di permutare il luogo alle parole),
luttochè sieno alle a qua. Junque specie di componimento, nol sono ad esprimere
uno stesso concetto nella stessa forma; perciò è che quando si trasportano le
scritture da una favella ad un'altra non dovrà l'espositore darsi briga di
ritrarre espressione per espressione, ma, avendo rispetto al genio della sua
lingua, cercherà di produrre per altro conve pevol modo negli animi di nostro
compagno conversazionale gli effetti, che l’espressione in lui operarono. Per
fuggire le equivocazioni [cf. Grice, avoid ambiguity] gioverà ancora badare ne'
verbi alla prima voce dell'imperfetto dell'indicativo, la quale è simile alla
terza, dicendosi io amava, colui amava; perciò a distinguerle è sovente bisogno
di pre ineltere all’espressione ‘amava’ il nome o il pronome. Giova spesso alla
chiarezza, e segnatamente nell’espressione complessa o composita, il ben distinguere
le persone e le cose, delle quali si parla (il topico); e perciò sta bene
talvolta il *ripetere* il nome per non confondere l’una coll'altra;
imperciocchè i prononi e i relativi sogliono spesso essere cagione di equivoco
– confusione – cf. avoid ambiguity, be perspicuous [sic], the imperative of
conversational clarity; e questo interviene specialmente, quando nella
proposizione antecedente sono più sustantivi di un medesimo genere e numero,
che si possono accordare coi relativi delle susseguenti; perciò conviene tal
volta o giovarsi di un sinonimo onde porre in luogo di alcun nome mascolino un
femminino, o inulare il numero del più in quello del meno, o viceversa. Può ancora
geverarsi perplessità nell'usare il possessivo “suo” e “suoi” invece de
relativo lei, lui e loro; e perciò alle volle è necessario adoperar questo per
quello, come nel caso seguente. Mai da sè partir nol potè, infino a lanto che
egli (Cimone) non l'ebbe fino alla casa di lei accompagnata. Se Boccaccio
avesse detto, fino alla casa sua accompagnata, si sarebbe potuto credere essere
quella di Cimone. Per far maniſesta (esplicita, chiarissima) la connessione
de'ragionamenti sono assai opportune le particelle copulative (“e”(,
avversative (“ma”), illative (“se”) e somiglianti – disgiuntiva (“o”). Molli
fra' filosofi italiani, ad imitazione de’ filosofi francesi, sogliono scrivere
a piccoli membri senza congiungerli insieme colle particelle, e in ciò sono da
biasimare, iaperciocchè costringono la mente di nostro compagno conversazionale
a passare “di salto” da una proposizione all'altra senza dargli occasione di
scorgere subitamente le attenenze (pertinenza, relevanza – cf. Grice, category
of relation – be relevant – a ‘platitude’ -- Strawson) loro. Affinchè si vegga
manifestamente quanto la mancanza de' legamenti tolga di chiarezza al discorso,
leverò dal seguente luogo del Passavanti le particelle che ne conneltono le
parti. Qualunque persona sogna, pensi se il suo sogno corrisponde all affezione
sua, a quella che più ta sprona. Se vede che si , non a . spetti che al sogno
suo debba altro segui. tare. Quel sogno non è cagione, alla quale debba altro
effetto seguitare; è l'effetto dell'affezione della persona. Tale sogno oseservare,
cioè considerare donde proceda, non è in sè male: è l'effetto di naturale cagione.
Facciamo congiunti questi membri colla particella “e”, la
particella”imperciocchè, la particella “ma” e vedremo il discorso apparire più
chiaro (“She was poor and she was honest”) Qualunque persona sogna, pensi se il
suo sogno corrisponde all’affezione sua, a quella, che più lu sprona. E se vede
che si, non aspetti che al sogno suo debba altro seguilare; *imperciocchè* quel
sogno non è cagione, alla quale debba altro effetto seguitare; *ma* è l'effetto
del l'affezione della persona; e tale sogno osservare, cioè considerare donde
proceda, non è in sè male: imperciocchè è l'effetto di natural cagione. Quesli
pochi avvertimenti basteranno, se io non erro, a render cauti i conversatori,
che desiderano di conversare chiaramente. Tralascio le wolle cose, che i
filosofi hanno ragionato in torno la proposizione, poichè mi pare che, qual
volta siasi imparato a distinguere la proposizione principale (premessa maiore)
dalle proposizione subalterna (premessa minore), e siasi conosciuto che la
virtù di queste si è di modificare le parti dell'altra, non faccia mestieri di
*molto sottile* ragionamento a sapere in che modo elle si debbono collocare
nella orazione o espressione complessa; perciò senza più entro a parlare dell'
ornamento. La perſezione dell'arte del conversare, secondo Cicerone, consiste
nell'esporre chiaramente, or nataniente e convenevolmente le cose o il topico,
che a trattare imprendiamo. Di quella chiarezza e di quell'ornamento e decoro,
che dalla invenzione e disposizione della materia procede, si ragiona in altre
due parti della rettorica. Accade qui di parlare delle suddette tre qualità
solamente rispetto al modo di significare (modus significandi) il concetto
ritrovati. Avendo abbastanza detto della prima, diremo ora delle altre due, che
fanno il discorso – la mozione conversazionale -- accetto a nostro compagno
conversazionale. Prima di tullo si vuole osservare che la proprietà delle voci
e l'ordinata (cf. Grice, be orderly) composizione loro generano gran parte
della bellezza del discorso; imperciocchè fanno sì, che esso sia inleso senza
fatica, che è quanto dire con qualche sorta di piacere. Ma questo non basta;
chè nessuno per verità loda il conversatore solamente perchè si fa intendere
dal suo compagno conversazionale; ma lo biasima e sprezza, s ' ei ſa
altrimenti. Chi è dunque che faccia meravigliare gli uomini e tragga a sua
voglia le volontà loro? Chi è applaudito e chi è venerato più che more tale?
Colui, che nel conversare è distinto, copioso, splendido, armonioso, e che
queste qualità, onde si forma l'ornamento, congiunge al decoro. Que' che
conversa co'rispetti, che la qualità delle materia e del compagno
conversazionale richiede, solo merita lode: che qualsivoglia ornamento
disgiunto dal decoro diviene sconcezza e deformità. Di questo decoro diremo più
particolarmente a suo luogo; ora veniamo a discorrere le parti dell'ornamento.
Molto leggiadre ed efficaci sono le voci proprie, che per cagione del loro suono
hanno somiglianza col significato, o quelle che ne ricordano qualche
particolare qualità. E espressiona, che ricorda il significato per somiglianza
di suono le seguenti: “belato”; “ruggito”; “soffio”; “nitrito”; “boato”;
“rimbombo”; “tonfo”, e molte al tre, che per alcuni furono chiamate termini
figure, a differenza di quelle, che, non avendo soosiglianza veruna col
significato , furono delle termini memorativi o cifre. Fra i termini figure voglionsi
annoverare, oltre le voci che abbiamo teste accennat , quelle che o provengono
da altr’espressione, che è segno di cosa somigliante al signficato che si vuol
esprimere o communicare (cf. Grice on the circularity of analyising ‘signare’ e
‘communicare’), o ricordano l'origine o gli usi del significato. L’espressione
“spirito” è bella per certa tal qual somiglianza, che il significato, cioè
l’immateriale sostanza, sembra avere col fialo o con qualsivoglia altra sottil
materia, che spiri. Belle similmente e l’espressione “moneta” e l’espressione
“pecunia”. la prima delle quali, venen do da “moneo”, significa che il metallo
ed il conio ammoniscono la gente circa il valore di essa moneta. La seconda,
venendo da pecus, ricorda l'origine del denaro, che fu sostituito ai buoi ed
alle pecore, antica inisura delle cose mercatabili. Ho qui posti questi due
esempi ancora perchè si vegga ' quanto giovi alcuna volta l'investigare
l’etimologia. Concorrono co' termini propri e co' termini figure a far bella la
mozione conversazionale le parole nobili, qualvolta sieno convenevolmente
adoperate. Accade delle parole, dice Pallavicini, che comunemente accade degli
uomini nel civil conversare. Questi acquistano ripulazione o vilipendio dalla
qualità delle persone colle quali usano farnigliarmente; e le parole dalla
qualità delle persone da cui sono sovente proſerite; e ciò interviene perchè
tutti hanno per fermo, che i personaggi illustri e gli uomini letterati sieno
esperti a conversare con legge, e che la plebe allo incontro parli e cianci barbaramente.
Avviene da ciò che alcune voci, che significano cose vili o laide, sono
tuttavia tenute per nobilissime. All 'opposito altre ve a'ba, che, nobili cose
significando, in grave componimento non sarebbero lodate. Della prima spezie
sono in Italia l’espressione “lordo”; “lezzo”; “tube”; “piaga”, ed altre, che
nelle più nobili conversazione sogliono essere usate. Dall'altro canto
l’espressione “papa”, siccome osserva il lodato cardinale Pallavicini , la
quale nobilissimo personaggio rappresenta, non sarebbe ricevuta in grave
componimento poetico. In tre schiere vengono separate dal Pallavicini le parole
rispetto la maggiore o minore nobiltà loro. Nella prima si collocano quelle,
che dal conversatiore in nobile conversazione e usata a significare un concetto
grande ed il lustre. Vocaboli di questa specie non si potran no senza affettazione
adoperare in tenue argomento o in famigliare discorso. Che se alcuno
famigliarmente usasse l’espressione “pugna” in vece di “battaglia”; “luci” in
vece di “occhi”; “accento” o “nota” in vece di “parola”, certo è che move rebbe
a riso il compagno conversazionale. La seconda schiera è di quella espressione,
che vanno egualmente per le bocche degli uomini ragguardevoli e del popolo, e
che si possono senza biasimo usare in ogni occorrenza. La terza poi è di
quelle, che furono avvilite nella bocca della plebe, come e l’espressione
“pancia”; “budella”; “corala” e simili , le quali possono essere opportune in
una conversazione intesa ad avvilire alcuna cosa, come e la mozione
conversazionale ‘satirica’. Anche le espressione antiche, qualvolta elle abbiano
convenevole forma e non sieno passate ad altro significato [non multiplicare
sensi piu di la necessita], vagliono à nobilitare la conversazione; ma si richiede
somma cautela in co lui che a vila le richiama, poichè, siccome ė detto di
sopra, una espressione antiquata, ollrechè spesso portano seco oscurità [cf.
Grice, ‘avoid obscurity of expression, procrastinate obfuscation], più spesso
fanno l'orazione ricercata e deforme. E chi oggi p trebbe, senza indurre a riso
il compagno conversazionale, l’espressione “beninanza”; “bellore”; “dolzore”;
“piota”, “spingare” ed altre simili d’usare. Ora diremo della metafora (“You
are the cream in my coffee), la quale usata opportunamente è lume e vaghezza
della orazione. Prima è a sapere che gli uomini selvaggi per essere scarsi di
cognizioni mancarono dell’espressione, e che volendo eglino significare alcuna
cosa non ancora significata, fecero uso naturalmente di quella espressione gia
usata, la quale e stata inventate a contras-segnare *altra* cosa somigliante in
qualche parte all'idea novella (“You are LIKE the cream in my coffee”).
Occorrendo loro, per esempio, di significare alcun uomo crudele, il chiamarono “tigre”
per la somiglianza dell'indole di colal bestia con quella dell'uomo crudele.
Cosi dissero assetate le campagne asciulle, “volpe” 1'uomo astuto (“sly as a
fox” – he is a fox), “capo del monte” la cima, e “piè” del monte la falda di
quello. Per gli addotti esempi si vede questo trasporlamento (meta-bole,
transferenza, trans-latio) di una expression da un significato propio e vero ad
un significato impropio e falso (“You are the cream”) altro non essere che una
similitudine ristretta in una espressione (“You are like the cream –
simplifcata a “You are the cream”); impercioc chè la seguente similitudine
spiegata. La comparazione vera “Costui è crudele COME una tigre” si restringe (per
brevita) in questa forma metaforica falsa. “Costui è una tigre”. È dunque la
metafora una abbreviata similitudine [an elliptical simile], che si fa recando
una espressione dal significato proprio al signficato improprio: e perciò da
Aristotele è detta imposizione del nome d'altri. Siccome la metaſora fu da
principio usata per *necessità*, potrà parere ad alcuno che crescendo il numero
delle idee determinate e della espressione propria, la metafora divenga
pressochè inutile – o una figura di retorica --; ma non accade cosi: perocchè,
sebbene fra le conversatori civili e culle non sia tanto necessaria quanto fra
le selvagge e rozze, pure la metafora è e sarà sempre luce e vaghezza della
conversazione per virtù e forza di quelle sue qualità, che ora verrewo
particolarmente esponendo. La metafora presenta spesso all'animo più chiaramente
ogni sorta di concetti, poichè, veslendo di forma *sensibile* una idea non-sensibile,
o intelleltuale (nihil est in intellectu quod prior non fuerit in sensu), ce le
pone davanli agli cinque sensi. Voleva Alighieri significare che non è
meraviglia se per la le nuità della nostra fantasia non possiamo per venire ad
imaginare le cose, che Alighieri desiderava narrare del Cielo; e questo con una
metafora dicendo. E se le fantasie nostre son basse a tant'altezza non è
maraviglia. Per tal modo il concetto, che era tutto non-sensibile e intelettuale,
divenne sensibile e per conseguente più chiaro (cfr. Grice, ‘be perspicuous
[sic] – the imperative of conversational clarity] e più popolare. E se taluno
volendo dire che gli uomini bugiardi saono talvolta infingersi e comporre gli
atti e le parole a modo di parer verilieri, dicesse che la menzogna prende talvolta
il manto della verità, non significherebbe egli il suo concetto assai
vivamente. (He said that she was the cream in her coffee, By uttering ‘You’re
the cream in my coffee” U signs – explicitly – THAT the addressee is the cream
in the utterer’s coffee. Fra tutte le metafore poi e più efficace quella
metafora che si cava da una qualità sensibile, corporea, materiale, che si
mostra a le cinque sensi, e forse la ragione si è questa. Alla reminiscenza
della qualità di un corpo, la quale ci vengono all'animo per i cinque sensi,
più tenacemente si associano le idee, che di essi ci vengono per gli altri
sentimenti; quindi è che ogni qualvolta ci riduciamo a memoria una della qualità
sensibile (in questo caso visibile) del reale (un oggetto) quasi tutte le altre
appartenenti a quello pur si risvegliano , e vivamente ed intero lo ci pongono
dinanzi agli “occhi” dell'intelletto. Laonde se belle sono le metafore – parola
dolce. che si cá vano dalla qualità, da cui sono affetto: l'odorato (secondo
senso dell’odore), il tatto (terzo senso del tatto), l'udito (quarto senso
dell’audizione) e il gustato (quinto senso del gusto), come queste: odore di
santità – odore santo, durezza di cuore – duro cuore, ruggir di venti, vento
ruggente -- dolcezza di parole; parola dolce -- più bella, per che più viva si
presenta all'animo, entrando quasi per gli cinque organi de’cinqe sensi, sono
le seguenti. Splende la gloriu (visum). Folgoreggiano gli scudi; ridono i prali
(udito); si rasserena la fronte ; l’anima è oscurata per tristezza. Piacquero
ad Aristotele sommamente quella metafora, che ci rappresenta (re-praesentatum,
rappresentato) la cosa in mozzo, e principalmente quando la metafora attribuisce
a una in-animato una operazione di un animato.Tali sono queste di Omero. Le
saette di volar desiose; inorridisce il mare. Anche Virgilio, parlando di una
satta entrata nel petto di una vergine, disse. Harsit virgineumque alle bibit
hasta cruorem. Si dalla metafora ci pone la cosa vivamente quasi innanzi agli
organi dei cinque sensi, e per la “novità” o vita (no morte) loro ci fanno
maravigliare. La metafora, siccome dice Aristotele, partorisce dottrina,
facendo conoscere fra le idee alcuna attenenza dianzi non osservata. Quale attenenza
scorgesi tosto fra un manto e la no billà della prosapia? Certamente nessuna:
pure veggasi come Alighieri ce la fa scorgere. Opoca nostra nobiltà di sangue,
ben tu se'manto, che tosto raccorce, sì che se non s'appon di die in die lo
tempo ya d'intorno co' la for Coine un bello e ricco manto adorna la persona di
colui che sen veste, così adorna l'animo d' alcuni uomini quell'onore che ricevono
pei pregi degli avi loro, e che chiamasi nobillà: ma, se per virtù novella non
si rinfranca, ei viene di giorno in giorno scemando. Questi pensieri il divino
poeta ci reca alla mente colla nuova similitudine, e ci dilella e ci illumina.
Vale eziandio la metafora a muovere con maggior forza l’affeto, perciocchè,
laddove alcuna volta parole proprie astretti a recare alla mente di nostro
compagno conversazionale le idee una dopo l'altra, la metafora, rappre
sentandole tutte ad un tempo, assale l’animo con veemenza. Basti un solo
esempio del Petrarca, il quale rivolto alla morte così le dice: con saremmo me dove
lasci sconsolato e cieco, poscia che il dolce ed amoroso e piano lume degli
occhi miei non è più meco? Quali e quanli pensieri si destano nella mente
all’espessione “cieco” e la frase/espressione frasale “lume degli ocehi miei”!
Ma circa l'uso della metaſora nell’aſſetto si vuole por menle che ella non
mostra il lavoro e la fatica dell’intelletto,
perocchè non è verisimile che colui, che ha l'animo perturbato, si perda a far
cerca d'ingegnosi concetti e figure retoriche. È ancora pregio della metafora
di coprire con velo di modestia e di gentilezza il segnato, che espressa con un
termino proprio (e non un termino figura como e la metafora) sarebbero odioso o
turpo. Ecco un bell’esempio del Passavanti. La innata concupiscenza , che nella
s vecchia carne e nell'ossa aride era addor meniata , si cominciò a svegliare :
la favilla, quasi spenta si raccese in fiamma ; e le frigide membra, che come
morte si giacevano in prima, si risentirono con oltraggioso orgoglio. E
Virgilio disse. O luce magis dilecta sorori, Sola ne perpetua moerens curpere
juventa? Nec dulces natos, Veneris nec praemia noris? Questo e i principale
vantaggio della metaſora, onde sovente viene preferita al termino proprio. Diremo
ora dei vizii che talvolta elle possono avere. Se bella e la metafora che fa
scorgere una maniſesta somiglianza tra due segnati (‘you’ ‘the cream in my
coffee’), da che si toglie il vocabolo e l'altra, a cui si reca, chiaro è che
deformi saravno quelle, che tengono ji paragone di rose o polla e poco
somiglianti, e che sono male acconcie al pro posto dne (“a woman without a man
is a fish without a bycicle”). Nessuna somiglianza si vede fra le cose
paragonale nella seguente metafora del Marini, Folendo egli lodare un maestro,
che formara bellissimi esempi da scrivere, esalta la penna di lui, dicendo
ch'ella deve essere divina: Perchè una penna sela, Benchè s'alzi per sè pronto
e sicura, Se divina non è tanto non rola. E qual somiglianza è mai tra il
relare e lo scrivere? E tolta da peca somiglianza quella metafora che volendo
segnare una cosa piccola prende da una cosa grande l'imagine, e al contrario. Mariai
assomiglia le lacrime della sua douna a'lesori dell'Oriente, e Tertulliano il
diluvio universale al bucato. Erro similmente colui che disse a suo amante. Son
gli occhi resiri archiòugiati a ruote, Ele ciglia inarcale archi turcheschi. È
bellissina la metafora che Poliziano tolse al Boccaccio. E le biade ondeggiar
come fa il mare. Sarebbe difettosa quest’altra. E tremolare il mar come le
biade. Viziose come le sopraddeile erano la più parte delle metafore usate
dagli scrittori del secolo XVII, e soprattutto dai poeti, i quali sriscerarano
i monti per estrarne i metalli, face vano sudare i fuochi, ed avvelenavano l'obolio
colp inchiostro. Parmi inutile cosa l'estendermi in questa materia, essendochè
il nostro secolo, sebbene incorra in altri vizii, di così falle baie si mostra
nemico. Della metafora e l’analogia che e alquanto dura, ė da sapere che puo
essere mollificata per certa maniera di dire, quali sarebbero: quasi – per dir
cosi e che alcune ve nha, che sono state ammollite dall'uso, come la se. guente:
Fabbro del bel parlare. Ė da biasimare ancora la metafora , che la sorvenire il
nostro compagno conversazionale di qualche bruttura, o di cosa rile, o che disconvenga
alla gravità della trattata materia o topico. Perciò meritamente Casa
rimprovera Dante per essere talvolta caduto in questo difeilo , siccome quando
disse. L'allo fato di Dio sarebbe rotto se Lete si passasse, e lal vivanda fosse
gustala senza alcuno scollo di pentinento. E altrove. E vedervi, se avessi
avuto di tal tigna brama, colui poteri ec. Questa e una imagine plebea e
sconvenienti alla gravità del subbietto. Cosi merita biasimo Pallavicini,
comechè sia maestro sommo nel l'arte dello stile conversazionale, quando disse,
che il cardinal Bentivoglio aveca saputo illustrar la porpora coll' inchiostro,
e quando per accennare la qualità, ond'è costituita l'eleganza della elocuzione,
disse: saputi distintamente quali ingredienti compongono quesla salsa, cioè
l'eleganza; i quali modi sono da biasimare, essendochè nel primo esempio li
vedi dinanzi agli occhi la porpora brullala d'inchiostro, e nell’altro t’infastidisce
l'abbietta voce che sa di cucina. Similmente non paiono degni di lode coloro,
che sogliono usare per vezzo della conversazione un idiotismo, e segnatamente
quello, che ha origine da certa anticha costumanze dimenticata oggidi. Non
merita lode Davanzali quando volendo dire: o nulla o lullo: disse: o asso o
sette. Questo proverbio, oltre chè si è di vilissima condizione, è tolto da un
giuoco, che potrebbe essere sconosciuto a molli. E proverbio, del quale non si
sa l'origine, il seguente; e perciò freddo od oscuro: Maria per Ravenna, invece
di cercar la cosa dove ella non e. Bastino questi pochi pro verbi per
moltissimi , che qui si po ebbero recare, e de' quali vanno in traccia alcuni
mal accorti conversatori, onde parere versali nella lingua antica. Aucora è biasimevole
alcune volte la metaſora , che si deriva dalle materie filosofiche ;
imperciocchè, se il fine, pel quale il conversatore usa di quella, si è di
rendere più chiaro e più vivo i concetto, questo non si potrà ottenere traendo
la similitudine da cose poco nole o malagevoli ad intendere, come a la
metafisica, che spesso, ond'essere chiarita, hanno bisogno delle similitudini
tolle dalle cose materiali; ma di rado somministrano imagini, che vagliano a
cercar recar luce alle prose ed alle poesie. Pure in questi tempi sono alcuni
conversatori, i quali hanno per vezzo l'usare siffatta metafora, avvisando d'illustrarne
la sua mozzione conversazionale, e di mo strarsi intendente e sottile; ma va
grandemente errato, perciocchè non solamente appor tano ombra ed oscurità (‘avoid
obscurity of expression, be clear) alla sentenza, ma danno segno di
affettazione che è vizio sopra tutti spiacevole. si è dello di sopra che la
metafora diletta, non solamenle perchè ci pone dinanzi agli oc ebi in forma
quasi sensibile un pensiero astratto, ma ancora perchè ci porge ammaestramento
col farci apprendere fra le idee alcuna attenenze prima non osservata; dal che
si deduce che il conversatore, i quali vogliono recar maraviglia, de guardarsi
dall' usare una metafora troppo comunale, come quelle, che, a somiglianza della
monete passata per molle mani, sono rimase senza vaghezza. Non ogni metafora
poi, comechè sia ben derivata, potrà convenire ad ogni conversazione. Poichè
tra le metafore ve n'ha delle più o meno illustri, converrà avvertire che il
grado della nobiltà loro non disconvenga alla qualità del componimenlo.
Similmente nel formare la metafora si vuole avere riguardo al pensare della gente
nella cui lingua si conversa. La diversità de'luoghi e de' climi fa che gli
uomini abbiano diversi i costumi e le usanze , e perciò diverse ancora le idee
e le significazioni di esse. Impercioc chè, traendo ciascuna gente le
similitudini dalle cose, che più spesso le sono dinanzi agli occhi , incontra che
alcun popolo deriva una metafora da una cosa campestre, lal altro da una cosa marittima,
tal altro dal combinercio o dalle arti, secondo suo silo e costume. Il rigore o
la benignità del clima poi è spesso cagione che l'umana imaginativa sia più
vivace in un luogo e meno altrove; e quindi è che una metafora naturalissime
nel Trastevere appaia ardila e strana nel Tevere. Anche l’essere le geoli più o
meno civili cambia la natura della metafora; perciocchè dove sono leggi meno
buone, ivi è più ignoranza del vero; e dove è più ignoranza del vero è più
amore del verisimil ; il che torna il medesimo, ove è minor virtù intelleltiva,
ivi abbonda la forza della fantasia. Cadono perciò in gravissimo errore coloro,
che, imilando il volgarizzamento di Ossian falio da Cesarolli, sperano di
venire in fama di sommi poeli toglieodo sempre la metafora da'venti e dalle
tempeste, dai torrenti, dalle nebbie e dalle nuvole. Paiono a costoro
inaravigliose squisitezze e delizie i seguenti, e simili modi: sparger lagrime di
bellà - i figli dell'acaciaro il tempestoso figlio della guerra siede sul
brando distruzione di eroi dar. deggiano gli sguardi rotola la morle - urlano i
torrenti. Cotale metaſora, che per avventura e naturale a'popoli selvaggi, sono
in Italia ridevoli e sciocche fantasie. Alla diversa indole delle genti debbe
anche por mente chi dall' una lingua all'allra trasporla i versi e le prose, se
non vuole produrre nell'animo di nostro compagno conversazionale effetto
contrario a quello che l'autore straniero o forastiero o del Trastevere
produsse in coloro, ai quali volse le sue parole. Affiuché si vegga
manifestamente che non lutte lete. metafore convengono a tulti i popoli,
recherò qui alcuni esempi che a questo proposito Tagliazucchi toglie dalla
lingua latina. Bella metafora si è questa presso Virgilio: classique im millit
habenas; deformità sarebbe tradu re in italiano: melte le briglie alla flolla.
Così per segnare il pane corrotto dall'acqua dice lo stesso poeta. Cererem
corruptam undis; mal si tradurrebbe: Cerere corrolla dall'onde. Orazio disse.
lene caput aquae sacrae; e si tradurrebbe malissimo in italiano: il dolce capo
dell'acqua sacra. Per segnare il liero sdegno d'Achille dice: gravem sioma chum
Pelidae; e malissimo si tradurrebbe: il grave stomaco del Pelide. Moltssime
altre metaſore potrei qui recare, che sono proprie solamente della lingua
latina; ma chi ha cognizione della lingua latina conoscerà di per sè la verità
di quello che io dico, ed argomenterà quanto debbono differire nella metafora
la lingua italiana e quelle de'popoli da noi disgiunli e per costume e per
clima, se tanto differiscono l'italiana e latina con islrelto vincolo di
parentela congiunte. Una regola o massima o omperativo da osservarsi nell'uso
della metafora si è di non aminassarle nella conversazione, ma collocarvele
parcamente e di guisa, che paiano, come dice Cicerone, esserci venule
volonterosamente, e non per forza nė per invadere il luogo altrui. È da
avvertire in secondo luogo, che la metafora o non si dee congiungere con altra
metafora o con voci proprie di maniera, che fra queste e quella si scorga
opposizione maniſesta. Se per esempio avrai detto che Scipione è un fulmine di
guerra, non dirai tosto che egli trioníò in Campidoglio. Se paragonerai
eloquenza ad un torrente, non le attribuirai poco appresso la qualità del
fuoco, ma avrai cura che la metafora sia sempre collegata (e no mista) colle
idee prossime di guise, che nostro compagno conversazionale non trovi mai
contrarietà ne' tuo concetto. In questo difetto caddero anche alcuni autori
eccellenti, come Petrarca nel Sonetto XXXII, dove, cominciando dal dire
metaforicamente, ch' egli ordisce una tela, prosegue: ſ ' farò forse un mio
lavor si doppio fra lo stil de'moderni e il sermon prisco, Che (paventosamente
a dirlo ardisco) Infino a Roma ne udirai lo scoppio. Ma non così egli fece nel
Sonetto che comincia Passa la nave mia colma d'obblio, chè in esso avendo preso
ad assomigliare gli amorosi affanni suoi alla nave, da questa imagine non si
diparte sino alla fine. Non intendo io però di affermare coll’esempio di questa
allegoria, che in breve discorso non possano star bene insieme più metafore di
natura diversa; ma di avveitire che assai disconviene il trapassare da una
similitudine ad un'altra inconsideratamente e quasi per salto. Giova moltissimo
talvolta a render chiare e naturali quella metafora, che per se medesime sarebbero
ardite e spiacenti, il preparare per convenevole modo l'animo di nostro
compagno conversazionale. Se taluno volendo dire che gli uomini per mal esempio
altrui caggiono in errore, dicesse caggiono nella “fossa” della falsa opinione,
use rebbe certamente ardita e spiacevole metafora: nulladimeno ella diviene
bellissima, qualvolta per le cose antecedenti ne siamo disposti. Va. glia
l'esempio di Alighieri. Dopo aver ricordata la nota sentenza se il cieco al
cieco sarà guida cadranno ambedue nella fossa prosegue: i ciechi
soprannominati, che sono quasi infiniti, con la mano in sula spalla a questi
mentitori sono caduti nella fossa della falsa opinione. Cosi l’ardita metafora
divenla parte di una vaghissima dipintura, che viene quasi per gli occhi alla mente,
ed ivi s'imprime e lungamente rimane. Sono certi scrittori, i quali riducono le
idee astratte a termini più astratti (obscurus per obscurius) di quello che si
converrebbe cercand a tulto potere di al lontanarle da' sensi: indi a questi
loro soltilis simi concelti uniscono molte metafore repugnanti fra loro, il che
fa che la mente di nostro compagno conversazionale tra questi estremi e tra
questi contrari confusa nulla comprenda, come si può di leggeri conoscere nel
seguente esempio tolto da un libro moderno: A giudizio dei savi scorgesi
palesement , che nelle vedute su blimi della gran madre anche l'emulazione,
principio avvedutamente inserito nella costituzione dell'uom , ' concorrer deve
a scuotere ed a sferzare l'industria , on de riguardo allo sviluppamento di
questa Costa. Vol. Un. 3 50 ec . ( 1 ) Oh quanta confusione ed oscurità in
tanta pompa di parole! Pare che il conversatore volesse dire, che i savi
conobbero che la natura ha posto nel cuore dell' uomo il desiderio d'emulare
gli altri; e che da questo procede l'industri ; ma accoppiando i vocaboli
principio e costituzione, che sono segni d'idee molto astratte, colla
melaforica voce “inserire” ha composto un enigma; perciocchè nessuno polrà
imaginare chiaramente siffallo innesto. Più strana poi diviene la metafor , quando
l'astratto segnato dalla espressione “principio” si fa a scuolere ed a sferzare
l'ind stria falla inopportunamente persona per trasformarsi losto in altra cosa,
che si sviluppa a guisa di una malassa. In questa forma la metafora, che e
vaghezza e luce della favella, diviene tenebre alla mente e vano suono (flatus
vocis) agli orecchi. Conciossiache L’INTENZIONE del conversatore non sia
solamente di render chiaro il concetto, ma di farlo talvolta dilettevole e
maraviglioso, interviene che alcuni, per recare altrui dilelto e maraviglia, si
fango a derivare dalla metafora certe loro conseguenze, come se in quella non
già una simililudine si contenessa, ma come se la cosa a cui si reca il nome
novello, veramente si trasformasse nella cosa, donde esso nome si toglie. Di
questa specie di concetti si presero diletto i prosatori ed i poeti del secolo
decimo settimo, forse per desiderio di avanzare gli scrittori delle altre elà,
ed in fastidirono tutti i sani intellelli . Basti di ques 1 ( 1 ) Atti dell'
Costitulo pazionale. era sti vizi un solo esempio. Ugone Grozio, per mostrare
che non a dolere la morte di Giovanna d'Arco, dopo aver lodate nel principio di
un epigramma le virtù di lei , sog giunse: Necfas est de morte queri, namque
ignea tota aut numquam, aut solo debuit igne mori. Con l’espressione “fuoco”, imposta
a cagione di similitudine, viene il conversatore a trasformare la misera vergine
in vero fuoco materiale; e quindi trae la strana conseguenza, che ella mai non
dovesse morire, o morire nel fuoco. Similmente si è frivolo modo e sciocco il
derivare la metafora dalla somiglianza ed uguaglianza de'noni imposti a cose
diverse, ALLUDENDO all' una di esse mentre si fa mostra di ſavellare
dell'allra. In questo difetto incorse anche il primo de'nostri poeti lirici
quando, piangendo la sua donna, parla del lauro, ed allude freddamente al nome
di lei, come nella canzone, che comincia, Alla dolce ombra delle belle fronde
ed in molti altri luoghi si può vedere. Essendosi fin qui parlato de' pregi e
de'vizi delle metafore, cadrebbe in acconcio il ragionare degli altri traslati
di parole e di concetto e della figura: ma , perciocchè queste cose sono state
definite e largamente dichiarate da tutti i retlorici, stimo che qui basti il
ricordare che siffatte maniera di favellare non e bella, se non in quanto
vengono dal conversatore opportunamente adoperate. Per lo stesso fine, che la
metafora si propone, cioè di rendere più vivo il concetto, melte bene talvolta
il trasportare l’espressione a un segnato improprio o nominando invece del
tutto la parte (metonimia), o invece della cosa la materia, ond'ella è
composta, o il genere per la specie o il plurale pel singolare (majestic plural
– We are not amused), e viceversa. Si può cadere in difetto usando questo
traslato, che fu chiamato “sinedoche”, ogni qualvolla l'imagine della cosa, da
cui si prende l’espressione, non sia bene associata alle idee, che si vo gliono
svegliare in altrui, non sia atta a fare impressione nell'animo più che le
altre ide , che vanno in sua compagnia. Vaglia a dichiarazione di ciò un solo
esempio. Si dirà con maggior efficacia: fuggono per ſalto mare le vele , di
quello ch : fuggono per l'alto mare le prore; poichè l’imagine delle vele
gonfiate dal vento, come quella, che maggiormente percuote la vista di colui,
che mira la nave in alto, più strettamente d'ogni altra idea si associa
all'idea del fuggire: in altro caso però tornerà meglio chiamar la nave o poppa
o carena, cioè quando l'azione, che essa fa, o la passione, che riceve, meno
con venga alla vela che alle altre parti. Veggasi come ne ua Virgilio: vela
dabant laeti. Submersas obrue puppes si nomida ancora talvolla la causa per
l’effetto , o questo per quella: il contenente pel contenuto: il possessore per
la cosa posseduta: la virtù ed il vizio invece dell'uomo virtuoso e del vizioso:
il segno per il segnato ed il contrario; e questa figura, che dicesi “metonimia”,
giova per le delle ragioni, essa pure adoperala opportunamente, a dare evidenza
alla elocuzione. Ma di questi traslati e di quelli di concetto, che consistono
in sentenze da intendersi a contra-senso (ironia), tanto se ne parla, come già
dissi, in tutte le scuole, che qui, facendo la definizione dell'”allegoria”,
dell'”ironia” e di altri simili traslali, avvertirò solamente che questi
saranno diſellosi se verranno a collocarsi nella conversazione senza essere
mossi dagli affetti. Anche rispetto a quelle forme, che sovente adoperiamo per
rendere più efficaci i pensieri, e che si chiama con ispecial nome figura,
ricorderò che alcune ve n'ha, come l’ “interrogazione” e l’ “apostrophe”, che
nascono dall'affetto, ed alcune altre dall'ingegno, come l'”antitesi”
(contrapposizione) e la distribuzione; e che perciò vuolsi avvertire di non far
uso di queste seconde ne'luoghi, ove si possa credere che colui, che favella,
abbia l'animo perturbato. Ma nessuno avvertimento, per ' vero dire, è giovevole
a chi non sente nell'animo la forza degli affetti. Il più delle figure, come
detto è di sopra, muovono dalla passione, e, se dall'ingegno vengo. no cercal ,
riescono fredde e di nessuna virtù: perciò è che male s'imparano da' rettorici.
Con più figure favella la rivendugliola, secondo il detto di un illustre
scrittore, contrattando sua merce, che il retſorico in suo studiato serino ne: tanto
egli è vero che procedono più dalla natura che dall'arte. Questo vogliamo che
ci basli aver dello così alla grossa delle figure. Dappoichè abbiamo detto in
che consista la proprietà dell’espressione e della metafore, e come queste e
quelle si debbano collegare per rendere chiaro ed accelto la mozzione
conversazionale a nostro compagno conversazionale, e fatto alcun cenno de'
traslati e delle figure, vérreio a dire, seguitando le dottrine del Palavicini,
degli elementi, onde è costituita la “eleganza” (cf. Grice, ‘aesthetic
maxims’), senza della quale ogni altro ornamento quasi vano riuscirebbe. L’espressione
“eleganza”deriva dal verbo “eligere” ed è usata a segnare quella certa tersezza
e gentilezza, per la quale una mozzione conversazionale non solamente viene ad
essere scevro da ogni errore, ma in ogni sua parte ornato di qualità che da
tutto ciò che ha del plebeo si allontana. Diciamo delle parti, delle quali ella
si compone, che sono quattro. La prima e la brevità (Grice, ‘be brief – avoid
unnecessary prolixity [sic].” La seconda e l'osservanza delle regole
morfosintattiche. Terzo, la civilita o l'urbanità. Quarta, la varietà
(non-detachability). Sebbene la chiarezza (conversational clarity, be
perspicuous [sic]) spesso si ottenga col l'ampio e largo mozzione
conversazionale, pure talvolta colla brevità si rende il pensiero più lucido e
più penetranti (Brevity is the soul of wit). Le parole, dice Seneca, vogliono
essere sparse a guisa della semenza, la quale comechè sia poca, molto fruttifica.
La sovrabbondanza (over-informativeness) delle parole all'incontro empie le
orecchie di vano suono (flatus vocis) e lascia vuote le menti. Perciò è da
guardare non solo che nostro compagno conversazionale non sia distratto da una
vana proposizione subaltern (premessa minore), ma che non sieno affetti più da
un segno che dall’idea segnata. Saranno perciò utili a togliere questo
inconveniente ed acconce a rendere elegante l'elocuzione quella espressione,
che somigliante alla moneta d'oro equivale al valore di più altre, come le
seguenti: disamare, disvolere, rileggere, ed altre molte, e con queste i diminutivi,
gli accrescitivi, i vezzeggiativi, i peggiorativi, de' quali abbonda la nostra
lingua. Vi sono ancora molti modi, che abbreviano la mozzione conversazione, e
questi consistono nel tralasciare o il verbo o il pronome o la particella o l’affissi,
che racchiusi nella diretta favella puo essere SOTTINTESO. (Implicatura). Basta
qui recarne alcuni ad esempio. Se io grido ho di che dammi bere quo ha di belle
cose onde fosti & cui figliuolo andovui il cielo imbianca - vergognando
tacque a baldanza del signore il baltè иот da faccende non se da ciò vedi cui
do mangiare il mio, ed altri moltissimi somiglianti modi, coi quali si ottiene
questa importantissima parle della eleganza, onde rice. ve nerbo l'orazione,
Avend’io delto che la brevità costituisce gran parte della eleganza, non intesi
di affermare che agli scrillori non sia lecito di esporre le cose
particolarizzando; chè questa anzi è l'arte colla quale si produce l'evidenza;
ma volli avvertire chi brama dilettare altrui colle proprie scritture, di ben
ponderare quali sieno le particolarità, che hanno virtù di far luminoso il
concetto, e di tralasciar quelle, che l'offuscano e pongono l’altrui mente in
falica. Secondo, dobbiamo eziandio osservare la regola morfosintattica, cioè
quelle leggi che la volontà de’ primi favellalori e l'uso di coloro, che
vennero dopo, banno imposto alla lingua italiana. Comechè il trascurarle non
induca sempre oscurità (avoid obscurity of expression) pure importa moltissimo
che sieno osservata, poichè ogni elocuzione irregolare apparisce plebea (un
solecismo). E perciò grande si è la stoltezza di coloro, che vando cercando
negli autori antichi i costrutti contro grammatica, e quelli come pellegrine
eleganze pongono nelle scritture: dal che ottengono effetto contrario al buon
desiderio: per ciocchè o portano oscurità nella sentenza, o in fastidiscono i
lettori facendo ridere gli uomini di lettere, non ignari che quelle strane
forme sono la più parte errori, o di amanuensi o di stampatori o di autori
plebei, de'quali non fu piccol numero anche nel bel secolo dell'oro (errata). Terzo,
siccome sono molli' vocaboli, secondo che è dello, i quali usati già da ' buoni
scrittori han no acquistata certa nobiltà e fanno nobile il conversare, così
pure sono molli modi, i quali, avendo in sè certa gentilezza, il fanno elegante,
e non essendo propri degli stranieri, gli danno quel paliyo colore, e direi
quasi fisonomia , per cui ciascuna favella da ogni allra si distingue. In che
precisamente sia riposta que sta vaghezza, che si chiama civilita o “urbanità”,
si è difficile dichiarare; e perciò assal meglio che con parole, si può
mostrare cogli esempi. Porrò qui dunque alcuni modi volgari, ed al fianco di
essi i moderni urbani o civile. Ciò che loro venisse in grado. A chicsa non
usava giammai. Seppegli reo. Ciò che loro piacesse. Non era solita di andare in
chiesa. Gli parve cosa calli va. Fece rivivere. Il prese per marito. “Era il
giorno in cui” -- Egli domandò al servo certa cosa. Ben io mi ricordo. A vila
recò. Il prese a marito. “Era il giorno che” – “Egli domandò il servo di certa
cosa” -- Ben mi ricorda, o ben mi torna a mente. Vicino di quell'isola.
Non-Upper: Viveva a modo di bestia. “Vicino a quell'isola” Upper: “Viveva come
una bestia” Moltissime sono le forme somiglianti a que ste, le quali, sebbene
non vadano per la bocca de ' comunali scrittori, pure sono chiare e naturali ,
e per cerla loro indicibile gentilezza recano diletto. Vogliono però essere
parcamenle adoperate, perocchè in troppa copia ſarebbero il discorso ricercato;
e questo difetto dobbia mo schivare anche a pericolo di parere negligenti . La
negligenza è mancanza di virtù (salvo quando e falsa – nulla piu difficile che
falsare la negligenza), che rende meno lodevole il discorso, ma non meno
credibile: e l'affettazione è deforme vizio, che al dicitore toglie autorità e
fede. Modo più sconcio si è quello di coloro, i quali, per vaghezza di parere
eleganti ed SUO esperti della PATRIA LINGUA – LINGUA PATRIA -- patria lingua,
compongono prose con parole e modi fuor d'uso, e costruzioni contorte alla
boccaccesca; e della stessa guisa fanno versi oscuri e senza grazia e senza per
bo, e si argomentano poi di avere imitato Aligheri o Petrarca. Ma che altro per
verità fanno costoro, se non se muovere a sdegno i buoni ingegni, e dare
occasione al volgo di ridersi di quei pochi, che studiano a’libri antichi?
Un'altra generazione di scrillori (e questa è dei più ), alzato il segno
dell'anarchia, gridando che l’USO è l'ARBITRO della lingua (Wittgenstein), si
fa beffe di ogni gentilezza e di ogni proprietà: guida per entro l'idioma
nativo parole e forme forestiere, e il guasta sì, che non gli lascia di se non
la sola terminazione delle voci. Cosi due sette di contraria opinione
vorrebbero partire la repubblica letteraria. L'una tiinida e superstiziosa restringe
la lingua a que' termini, in cui stette nel trecento: l'altra licenziosa ed
arrogante vuole che ogni ar gine si rompa sì, che le purissime fonti del civil
conversare si facciano torbide e limacciose. Affinchè appaia manifesto il torlo
di questi se diziosi, dirò che cosa sia lingua ; e dalla sua definizione trarrò
alcune conseguenze. La serie de' segni e dei modi vocali instituiti a rappre
sentare ogni generazione di pensieri, o, per meglio dire, ad esprimerc tulle
quante le idee, ond’è formata la scienza di una patria, è ciò che dicesi lingua
(come l’italiano dal latino, o il pidgin e il creole che e il francese). Da
questa definizione si deduce che nè una sola città nè un'età sola può essere
autrice e signora della lingua italiana – Roma e la citta della lingua romana;
ma che è forza che alla formazione di questa abbia avuto parte la nazione
intera, cioè tutti gli uomini congiunti di luogo e di costumi, che hanno idee
proprie da manifestare; e che a scernere il fiore dalla crusca abbiano dato e
diano opera gl'illustri scrittori . E così avvenne di vero nella formazione e
nell'incremento di questo, che Alighieri chiamò, ironicamente, il volgare
d'Italia, poichè, come dice il Bembo, e un siciliano e un Pugliese e un Toscano
e e un Marchegiano e un romagnolo e un lombardo e un veneto vi posero mano.
Tutte le parole dunque per tal guisa formate, che vagliono ad esprimere con
chiarezza i pensieri, potranno essere con lode usate, sieno elle an tiche o
moderne; chè le moderne ancora deb bono essere benignamente accolle, quando sie
no necessarie a segnare una idea novella. Quella facoltà, che fu conceduta agli
antichi, non si può togliere ai presenti uomini; perciocchè, se non si possono
prescrivere limiti all'umano sapere, nè meno alla quantità dei segni delle idee
si potrà prescrivere (quark, querk). Per la qual cosa ſu e sarà sempre lecito
a' sapienti, qualvolla la necessità il richiegga, l'inventare una nuova
espressione (“Deutero-Esperanto”) e un nuovo modo. Questa risposta è alla selta
dei superstiziosi. Ora ai libertini (Bennett – meaning-liberalismo –
libertinismo semiotico – Locke – liberty) brevemente diremo che la lingua
italica non è la lingua del volgo, ma, come è delto, si è quella, che gli
illustri scrittori di ogni secolo hanno ricevuta per buona, e che perciò quando
si dice che appo l'uso è la signoria, la ragione e la regola del parlare, non
si vuol dire l'uso del volgo, ma de' buoni scrittori. I più antichi die dero
vita e forma alla lingua romana, ed i posleri loro la arricchirono e la
potranno arricchire, non senza grande biasimo potranno toglierle l’essere suo.
Siccome ad ogni mazione è spe ma ciale la fisonomia e certa foggia di vestire,
cosi e speciale al idio-letto le voci ed i modi propri e figurati, i quali
hanno attenenza co'diversi costumi delle diverse genti; e perciò coloro, i
quali vogliono introdurre licenziosamente nell'idioma nativo espressione e modi
forestieri – implicate, non impiegato -- operano “contro ragione”, e, mentre ambiscono di essere tenuti uomini liberi
e filosofi, fanno mostra d'obbrobriosa ignoranza. Non si lascino dunque
sopraffare i gio vanelli da quei beffardi filosofastri, che con trassegnano per
derisione col nome di purista chi studia scrivere italianamente ; ma alla co
storo petulanza coll'autorità di Cicerone ri spondano arditamente che colui ,
il quale la patria favella vilipende e deforma, non solo non è oratore, non è
poela , ma non è uomo (Cic. de orat. I. 3.). Quarta e ultima, se le parole
fossero sempre composte ugualmente, non sarebbero graziose a chi ascolla o
legge; e perciò un altro elemento della eleganza si è la variet . Il discorso
può ricevere varietà da sei luogh , che ad uno ad uno ver remo a dichiarare
brevemente, seguitando Pallavicini. Accade tante volte di dover nominare replicatamente
la cosa medesima, e ciò produce noia agli orecchi, i quali sopra tutti i sentimenti
del corpo sono vaghi di varietà; onde per isfuggire la ripetizione delle voci
sono molto giovevole il sinonimo, quando la piccola differenza, che è in essi,
non tolga al discorso laproprietà necessaria ; per non peccare contro la quale
sarà mestieri aver considerazione, co me allrove si è detto, al vero
intendimento de vocaboli. Se, a cagion d'esempio, dovendo si cambiare
l’espressione “fanciullo”, si prendesse l’espressione “infante”, si osserverà
che questa, venendo dal verbo fari, segna non parlante, e che perciò non può strettamente
essere sempre sostituita a quella di “fanciullo”. Il secondo dai sei luogo
della varietà sta nel ra presentare una cosa pe' suoi effetti congiunti, come,
a cagion d'esempio, se poeticamente dicessimo; il sole velava i pesci, per dire
era il fine dell'inverno: al germogliare delle piante, per dire al tornare
della primavera. Con somma grazia e novità Aligheri rappresentò la sera pe'
suoi effetti dicendo: Era già l'ora, che volge il desio a' naviganti, e
inlenerisce il core lo di, che han detto a' dolci amici addio; E che lo nuovo
peregrin d'amore punge, se ode squilla di lontano, Che par il giorno pianger,
che si muore. Questo fonte di varietà è abbondantissimo, e possiamo vederne un
esempio in Bernardo Tasso, che in cento modi segna il sorgere del giorno. Nel
rappresentare le cose pe' suoi effetti porrai cura che questi non destino al
cun pensiero sordido od abbietlo, e che nel le scritture famigliari la
congiunzione loro coll'oggetto sia mollo nola, sicchè non paia puplo ricercata.
Il terzo luogo dai sei modi sono le definizioni o epiteto o apposizione delle
cose, o sia le brevi descrizioni loro, le quali si possono prendere invece
delle cose stesse , o que ste indicare per alcuna loro speciale proprietà; come
chi per nominare Giove dicesse il padre degli uomini e degli Dei, o per dire la
fortuna, Colei, che a suo senno gi infimi innalza ed i sovrani deprime. Il
quarto luogo dai sei modo si è l'uso promiscuo del signato attivo, medio, o
passivo da un verbio Potrai dire : Raffaele colori questa tavola , ovvero, da
Raffaele fu colorita questa tavola; e secon do che chiederà il bisogno, userai o
questo o quello segno. Il quinto luogo dai sei luoghi è la qualita (categoria
d’Aristotelel'uso negativo (o infinito – privazione) invece dell’affirmativo o
positivo; come chi sosliluisse alla proposizione positiva o affirmative
seguente, ma con signato negativo: Il sole si oscurò, quest' altra proposizione
splicitamente negative, per mezzo dell’adverbo di negazione, “non”: Il sole non
isplendette”. Il sesto luogo dai se luoghi e la metafora (you’re the cream in
my coffee), per la quale si può maravigliosamente variare il discorso, ora volgendo
in “senso” (segnato, strettamente) metaforico – Sensi non sunt multiplicanda
praeter necessitatem – uso metaforico -- un concetto allre volle espresso con
termini propri: ora usando una metafora tolta o dal genere o dalla specie o da
cose animate o da cose inanimate: ora quelle, che si presentano ai sensi : ora
le altre, che si riferiscono agli altri sentimenti del corpo. Ornamento, dal
quale l'elocuzione riceve molta gravità, e la sentenza. La sentenza o dogma o
assioma o principio o adagio o gnomico o proverbo (“Methinks the lady doth
protest too much” what the eye no longer sees the heart no longer grieves for”)
si è verità morale ed universale, segnata con la brevità, che all'intelletto
sia lieve il comprenderla ed il ritenerla. Tali sono le seguenti. Ipsa quidem
virlus sibimet pulcherri. ma ncrces. Quidquid erit, superanda omnis for tuna
ferendo est. La mala ineple non ha mai allegrezza di pace. Proprio de'tiranni è
il temere. La buona coscienza è sempre sicura . Avvegnachè la sentenze sia più
accomodata a quella conversazione che tratta di materie gravi, nulladimeno
possono adornare molte altre specie di componimenti, e perfino le lettere
famigliari, se ivi con moderazione sieno adoperate. Dico che sieno adoperate
con moderazione, perchè il soverchio uso delle sentenze, anche nelle materie
più gravi, è indizio che lo scrittore vuol ostentare sapienza, e perciò il fa
parere affettato . In cotal vizio cadde ro molli scrittori del secol nostro, i
quali me ritamente furono tacciali di “filosofismo” di Borsa, che in una sua dissertazione ra giopò
del presente gusto degl'italiani. Scon venevolissimo è l'abuso e talvolta anche
l'uso della sentenza pe' discorsi, che trattano di cose mediocri o umili. Ma
che diremo poi росо senno di coloro, che guidano in teatro i servied altre persone
rozze ed agresli a parlamentare ed a spular tondo, come se dal pergamo
predicassero? Questo è modo tanto sconcio, che il volgo slesso ne rimane
infastidito, on d'è qui da passare con silenzio. È da lodarsi segnatamente
nelle opere morali o politiche l'elocuzione, che a quando a quando sia ornata,
ma non tessuta di sentenze, la copia soverchia delle quali, stanca i lettori
invece di sollevarli, come si può sperimentare leggendo le opere morali di
Seneca. Lo scrittore dal quale più che da ogni altro si apprende a fare buon
uso della sentenza, è Cicerone, nelle cui filosofia mai non pare che quelle
sieno condotte nel discorso a pompa, ina sempre vi nascono naturalmenle per
recar luce e diletto. Diciamo alcuna cosa anche del concetto, onde viene grazia
o piacevolezza ai componimenti. Concetto propriamente si dice una certa
proposizione, che per essere nuove ed espresso con brevi parole recano altrui
diletto e maraviglia e scuoprono il sottile ingegno di chi le dice. Ve n'ha di
due maniere. La prima è dei delti gravi, l'altra dei ridevoli, che con proprio
nome si chiama una facezia. Gli uni e gli altri nascono da’ medesimi luo ghi, e
differiscono, secondo Cicerone, solamente in questo: che i gravi si traggono da
cose oneste; i ridevoli da cose deformi o alcun poco turpi: ma pare veramente
che a far ri devole un dello, sia necessario, il più delle 1 volle, che esso
comprenda in sè alcune idee discrepanti congiunte insieme di maniera, che la
congiunzione loro ben si convenga con una terza idea. Ciò sia chiaro per un
esempio. Un buon ingegno de' nostri tempi fcce incidere in rame la figura di un
vecchio venerabile con lunga barba, vestito alla francese, ornato di frangie e
di feltucce e tutto cascante di vezzi, e sotto vi pose queste parole. Traduzione
d' Omero di M. C. Tultii ne fecero le risa grandi. Se il ridicolo di questa
figura consistesse nel solo accoppiamento dell'imagine dell'uomo antico e grave
con quella de' giovani leziosi, ci ſarebbe ridere anche l'imagine di una sirena,
che è composta di due contrarie nature; lo che per verità non accade, ed
accadrebbe solamente qualora si dicesse che la bella donna , che termina in
pesce, figura delle folli poesie ricordate da Orazio nella Poetica. Pare dunque
manifesto che il ridicolo di sì falta deformità si generi dalla convenienza che
è tra esse e la cosa, cui si vogliono assomigliare. Per ciò s'intende quanto
diriltamente Castiglione dichiari che si ride di quelle cose, che hanno in sè
disconvenienza, e par che slieno male senza però slar male. Affinchè prima di
tutto si vegga che da’ luoghi, donde si cava la grave sentenza, si possono ancora
cavare i molli da ridere, re cherò l'esempio, che ne dà Castiglione. Lodando un
uom liberale, che fa comuni cogli amici le cose proprie, si polrà dire, che ciò
ch'egli ha, non è suo: il medesimo si può dire per biasimo di chi abbia rubato,
o con male arti acquistato quello che tiene. Di un buon servo fedele si suol dire:
non vi ha cosa che a lui sia chiusa e sigillata: e que sto similmente si dirà
di un servo malvagio destro a rubare. Le maniere de concelli ingegnosi sono
pres sochè infinile , e di moltissime ha ragionalo Cicerone nel terzo libro
dell'Oratore, ma noi toccheremo qui solamenle alcune principali . Cicerone
distingue primieramente le maniere graziose , che consistono nelle parole, da
quelle che stanno nella cosa , o che si esprimono col parlare continuato. Egli
dice che consistono nella cosa quelle (sieno gravi o piacevoli ), che mulale le
parole non cessano di generare maraviglia o riso: tali sono le narrazioni
verisimili, e fatte secondo il costume e le varie condizioni degli uomini, e di
queste molte ve n'ha nel Decamerone di Boccaccio. Una seconda consiste nella
imitazione de’ costumi altrui fatta per modo di parlare continuato, come quella
che fece Crasso, il quale in una sua orazione contraffacendo un uom supplichevole
con queste parole, per la tua nobiltà, per la tua famiglia, ne imitò cosi bene
la voce e gli alti, che mosse la gente a ridere; e proseguendo, per le statue,
distese il braccio, ed accompagnò la voce con geslo e con imitazione si
naturale, che le risa scoppiarono maggiori. Queste sono le due maniere, che
consistono nella cosa, e che si esprimono col parlar continuato. Quelle che maggiormente
si attengono alla materia che qui si tratta sono le maniere di que'concetti, la
grazia de quali sta nella parola. Recbiamone esempi. Alcuni molli graziosi si generano
in virtù della metafora. Avendo Lodovico Sforza duca di Milano eletta per sua
impresa una spazzetta, con che voleva segare se essere disposto a cacciare dall'Italia
gli oltremontani, domanda alcuni ambasciatori fiorentini, che loro ne paresse.
Quelli risposero. Bene ce ne pare, salvochè molle volle avviene che chi spazza
tira la polvere sopra di sè. Più grazioso ė il motto, quando ad alcuno, che
metaforicamente abbia parlato, si risponde cosa inaspettata continuando la metafora
stessa. Tale si fu detto il Cosimo de' Medici, il quale a' Fiorentini
ſuoruscili, che gli mandarono a dire che la gallina cova, rispose. Male potrà
covare fuori del nido. Anche il paragonare cose vili e piccole a cose grandi è
spesso cagione di ridere, come in questi versi del Berni: E prima , iodanzi
tutto, è da sapere che l’orinale è a quel modo tondo, Acciocchè possa più cose
tenere, E falto proprio come è falto il mondo. Dobbiamo in questa maniera della
facezia guardarci dal fare sovvenire il compagno conversazionale di cose laide
e stomachevoli, affiochè la piacevolezza non degeneri in buffoneria: lo che
sovente accade a coloro, che non sono piacevoli per naturale disposizione. Molti
molti ridevoli si formano per via di iperbole [“Every nice girl loves a
sailor”] accrescendo o diminuendo alcuna cosa. Diminui ed accrebbe a un tempo
le cose Cicerone parlando giocosamente di suo fratello, che essendo di piccola
slatura aveva cinto il fianco di una spada' smisurata. Chi ha, disse, cosi legato
mio fratello a quella spada? Dall’equivoco procede spesso i motti freddi ed insulsi,
ma spesse volte ancora gli arguli. Argulo parmi il seguente in biasimo di una
donna, che fosse di molli. Ella è donna d'assai: il qual molio potrebbe ancora essere
usato per lodare alcuna femmina prudente e buona. Molla venustà è in que’ delli,
che invece di esprimere due cose ne esprimono una sola, per la quale l'altra
s'intende (IMPLICATURA, SOTTITESSO). Assai leggiadro è questo in cui si favella di un'amazzone dormiente,
recato ad un esempio da Demetrio Falereo: in terra aveva posto l'arco, piena
era la faretr , e sotto il capo aveva lo scud: il cinto esse non isciolgono
mai. Similmente è grazioso il nominare con buone parole le cose non buone, come
fece lo Scipione, secondo che narra M. Tullio, con quel centurione, che non si
era trovato al conflitto di Paolo Emilio contro Annibale. Il centurione
scusavasi di sua negligenza col dire. Io sono rimasto agli alloggiamenti per
farli sicuri; perchè, o Scipione, vuoi dunque tormi la civiltà? Cui rispose
Scipione. Perchè non amo gli uomini troppo diligenti. Sono assai argute quelle
risposte, per le quali si DEDUCE da una medesima cosa il contrario di quello
che altri deduceva. Appio Claudio disse a Scipione. Lo maraviglio che un uomo ďalto
affare, quale tu sei, ignori il nome di tante persone. Non maravigliare,
rispose Scipione, perocchè io non sono mai 69 blato sollecito d’imparare a
conoscer molti, ma a far si, che molti conoscano me. Per egual modo Parnone
rispose a colui che chiamava sapientissimo il tempo: Di pari dunque potrai
chiamarlo “ignorantissimo”, perchè col tempo tutte le cose si dimenticano. Il
concetto della risposta conversazionale può essere grazioso solamente perchè
racchiude alcun insegnamento non aspettato da colui che fa la domanda. Fu
chiesto ad uno spartano, perchè si facesse crescere la barba, e quegli rispose.
Acciocchè mirando in essa i peli canuli io non faccia cosa, che all età mia
disconvenga. Hauno grazia similmente alcuni detti, perchè mollo convengono al
costume della persona, alla quale si attribuiscono. Essendo un colal uomo beone
caduto inſermo, era assai mole stalo dalla sete. I medici a piè del suo letto
parlavano tra loro del modo di trargli quella molestia, quando l'infermo disse
: Ponsate di grazia, o signori, a togliermi di dosso la febbre, e del cacciar
via la sete lasciate la briga a me solo. loducono a ridere anche que’ detti,
che procedono da sciocchezza o goffezz , finta o vera che ella sia. Tali sono
le due seguenti terzine del Berni: lo ho sentito dir che Mecenale Diede un
fanciullo a Virgilio Marone, che per martel voleva farsi frate; E questo fece
per compassione, ch'egli ebbe di quel povero cristiano, Che non si desse alla
disperazione. si può similmente cavare il ridicolo dalle parole composte di
nuov , che esprimono al cuna deformità del corpo, o dell'animo, come furono
queste usate dal Boccaccio: picchia. pello ; madonna poco.fila ; lava-ceci ;
bacia santi. Si falte maniere, che direi quasi deſormità della lingua, poichè
dall'uso si allonta pano, essendo convenienti alla cosa segnata stanno bene, e
perciò inducono a ridere e han lode di graziose ; ma se poi in forza dell'uso
divengono proprie, perdono , a somiglianza delle vecchie metafore, alquanto
della grazia primiera. Osserva Demetrio Falereo che la grazia del detto proviene
alcuna volla dall'ordine solamente, quando una cosa posta nel fine produce un
effetto, che posta nel mezzo o nel principio nol produrrebbe, o il produrrebbe
minore. Egli reca l'esempio seguente di Senofoole, che, parlando dei doni dali
da Ciro a certo Siennesi, disse. Gli donò un cavallo, una vesle, una collana, e
che i suoi campi non fossero guasti. L'ullimo dono è quello dove sta la grazia,
parendo cosa nuova, che si donasse a siennesi ciò che egli possedeva: se quel
dono fosse stalo collocato prima degli altri non avrebbe avuto grazia alcuna.
Bello pel medesimo artificio ci pare un detto di Benedetto XIV. Accomiatandosi
da lui due personaggi di religione luterana, egli avvisa di benedirli e di
ammonirli. Era di vero assai agevol cosa il fare che egli no ricevessero con
grato animo quell'atto di amore paterno: ma il venerabile vecchio ollenne il
buon effetto parlando così. Figliuoli, la benedizio ne de vecchi è acceita a
tutte le genti; il Signore v'illumini. Ingegnosissimo si è que sto detto per
l'ordine suo maraviglioso. Colla prima affeltuosa parola, “Figliuolo,” il papa
procacciasi la benevolenza del compagno conversazionale. Nella sentenza , la
benedizione de’vecchi è accetta a tulle le genti, chiude la prova della con
venevolezza di ciò ch'egli vuol fare. In quel l'io io vi benedico, trae la
conseguenza delle promesse. Nella precazione poi ripiglia la dignità di
pontefice, che accortamente aveva quasi deposta da principio e solto cortesi pa
role nasconde il documento, che a lui si ad dice di porgere a chi è fuori della
chiesa romana. Questo ci basti d'aver ragionato pei delli graziosi e piacevol ,
chè il voler parlare di tulle le maniere loro o semplici o miste sarebbe
officio di chi volesse trattare solamente di questa materia: e diciamo con
maggior brevità de’ concetli sublimi. Alcuni haimo chiamato sublime
qualsivoglia concetto, coi nulla manchi di grazia e di perfezione ; ina qui si
vuol prendere la parola nel segnato , in che viene usata da ' più de' moderni
reltorici e perciò così detiniamo i concetto sublime. Concetto sublime si
dicono quelli, che rappresentano con brevi parole l'idea di alcuna potenza o
forza straordinaria, per la quale chi ode resla compreso di alla maraviglia.
Tali sono i seguenti . Giove nel primo libro dell'Iliade promette a Teli di
vendicare Achill , e dopo il conforto delle sue parole i neri Sopraccigli
inchinò: sull immortale Capo del sire le divine chiome Ondeggiaro, e tremonne
il vasto Olimpo. Questo concetto, il quale ci fa maravigliare della potenza di
Giove, cesserebbe di essere sublime se con lunghezza di parole fosse segnato:
perchè quella lunghezza sarebbe contraria alla rapidità dell'alto divino e farebbe
che il pensiero del poeta non venisse improvviso alla mente di nostro compagno
conversazionale, che è quanto dire non generasse maraviglia. Sublime è ancora
quel luogo di T. Livio nella allocuzione di Annibale a Scipione. Ego Annibal
pelo pacem, poichè la parola Annibal reca al pensiero la virtù, le imprese, la
fero cia di quel capitano. Medesigiamente si fa maniſesta una straordinaria
fortezza di animo ne'due luoghi seguenti. Seneca, nella Medea, fa dire alla
nudrice: Abiere Colchi: conjugis nulla est fides, Nihilque superest opibus e
tantis tibi. Medea risponde: Medea superesto Corneille, ad imitazione di Senec
: Nerine: Dans un si grand revers que vous reste- t- il ? Med. Moi. In luogo
del nome di Medea il poeta francese pose il pronone, ed ottenne effetto
maraviglioso e colla brevità e con quella cotal pienezza di suono, che è nella
voce “moi”. Il poeta latino col nome di Medea destò nel compagno
conversazionale la memoria della potenza, della sapienza e della magnanimità di
quella maga. Divisata così la natura de' motti graziosi e piacevoli e de'
sublimi, e restando a dire al cuna cosa dell'uso, che se ne può fare, ripe
teremo ciò, che già detto abbiamo delle sentenze, cioè che lo scrittore si
guardi dal fare troppo uso de' concetti ingegnosi e graziosi e de' sublimi,
poichè non è cosa tanto contraria alla grazia e alla grandezza, quanto l'artificio
manifesto e l'affettazione. Le grazie si dipinsero ignude appunto per insegnare
che elle sono nemiche di tutto che non è ingenuo e naturale. La grandezza
similmente non va mai disgiunta dalla semplicità, e piccole appaiono sempre quelle
cose, che sono piene d'ornamenti; imperciocchè la mente soffermandosi in
ciascun d'essi riceve molle e divise imaginet le in luogo di quella imagine
sola, che ci rappresenta la cosa continuata ed una. Male adoperano coloro che
non avendo rispetto alla materia, di che favellano, nè alle persone ne alla
modestia nè alla gravità conveniente allo scrittore, colgono tutte le
occasioni, che loro porgono o le cose o le parole, per trar materia di
motleggiare; perocchè invece di mo strare acutezza d'ingegno appaiono loquaci
ed insulsi. Che dovrà dirsi poi di que , che abusano dell'ingegno per empiere
le scritture di freddi e falsi concelti, di riboboli, di bislicci e
d'indovinelli? di que', che tengono per finis sime arguzie le allusioni delle
parole, che erano la delizia del Marino e de' suoi seguaci? Diremo che nali non
sono per ricreare gli ani mi e sollevarli dalla fatica, e per indur ſesta e
riso, ma per noia, fastidio e sfinimento di chi è costretto di udirli. Se il
discorso si fa strada all’animo per gli orecchi, è necessario che egli sia accompagnato
dall' armonia, della quale niuna cosa ha maggior forza negli uomini. L'armonia
ci dispone al pianto e all'ira, e ci rallegra e ci placa; e lulle le genti,
avvegnachè barbare, sono tocche dalla dolcezza di lei; laonde gran de
mancamento sarebbe, se lo scrittore ad ac crescere efficacia alle sue parole
non se ne valesse. Dalla greca voce d.gpótely (armosin), che segna connettere,
è derivata la voce “armonia”. I maestri di musica insegnano, che essa consiste
nell'accordo di più voci sonanti nel medesimo punto; ma coloro, che parlano del
l'arte retorica e della poelica, presero questa parola quasi nel significato ,
che i maestri di musica prendono quella di melodia , come si vede aver fatto
Aristotele, che usò in questa significazione ora la voce melos, ora la voce
armonia. La melodia consiste nella altenenza, che hanno rispettivamente i gradi
successivi di un suono nel salire dal grave all'acut : e noi direino che
rispetto al discorso l'armo nia sta nell'altenenze delle lettere o delle sil
labe o delle parole, che si succedono con quel la certa legge che si affà alla
natura dell'or gano dell'udito. L'armonia, di che parliamo, è di due maniere,
semplice o imitative. L’una ba per fine soltanto la dileltazio ne degli orecchi,
l'altra, oltre la dilettazione degli orecchi, la imitazione del suono e dei
movimenti delle cose inanimate e delle animate, e quella degli umani affetti:
colle quali imitazioni inaggiormente ella si rende accetta all'intelletto e gli
animi sigrioreggia. La dilettazione degli orecchi si ottiene con parole
costrutte e disposte in modo analogo, come è dello , alla natura dell'organo
del l'udito e fuggendo tutte le voci e tutti gli accozzamenli di esse, che
producono sensazio ne spiacevole. L'imitazione poi si fa adope. rando e
componendo suoni o gravi o acuti o inolli o robusti, secondo che meglio si
affanno a ciò che si vuole imitare. Diciamo alcuna cosa più largamente e dell'
una e dell'altra armonia, l’armonia semplice e l’armonia composita o imitativa.
Le parole, le quali, come tutti sanno , si compongono di vocali e di consonanti
, sono più o meno armoniche, secondo che le lettere delle due specie suddelte
si trovano disposte con certa proporzione. Le vocali fanno dolce il vocabolo le
consonanti robusto. Ma le troppe vocali, che si succedono , producono quel
suono spiacevole, che si dice iato; le troppe consonanti fanno le parole aspre
e diſficili a pronunciare: così l'incontro delle sillabe somiglianti produce la
cacofonia, Circa le parole non molto armoniche, ma approvate dall' uso, diremo
chę elle non si banno a rigettare; ma si deve aver cura di collocarle in guisa,
che il loro suono disarmonico serva al l'armonia di tutto il discorso. Anzi sono
da commendare quelle lingue che ricche si trovano di vocaboli diversi di suono,
i quali , giunti insieme con bell'arte, sogliono rendere maravigliosa l'armonia
del conversare. Sebbene, circa l'arte del collocare le parole con armonia, non
possa darsi maestro infuori dell' orecchio avvezzo alla lettura de' classici
scrittori, pure non sarà del tutto vano il dire più particolarmente alcuna cosa
delle parti, onde l'armonia si coropone. E prima di tutto è a sapere che
l’altenenza tra le lettere, le sillabe e le parole, dalle quali risulta
l'armonia, sono di due ragioni: cioè altenenze di tempo, poichè si pronunciano
o in tempi uguali o disuguali; e attenenza di suono, poichè ogni sillaba
differisce dall'altra per aculezza e gravità e per più o meno di dolcezza o di
asprezza. Diciamo prima delle attenenze di tempo. Pie chiamamo i Latini quella
certa quantità di sillabe, che pronunciandosi in tempi eguali, si potevano
misurare colla battuta del piede nel modo che oggi ancora fanno i suonatori. E,
poichè si pronunciavano più o meno sillabe (attesa la varia conformazione delle
parole) in ispazi uguali di tempo, avvenne che lunghe si dissero quelle che
occupavano la maggior parte del tempo misurato dalla battuta, e brevi le altre,
che occupavano la parte minore. “Coelum”, per esempio , si compone di due
sillabe e si pronuncia in ugual tempo che ful-mi-na, che è di tre : perciò
coelum è un piede di due lunghe, e ſulmina è un pie de di una lunga e di due
brevi. I piedi sono di molte specie, e ciascuna ha il suo nome. Ve n'ha de'
semplici di due sillabe, che sono o due brevi o due lunghe , una breve e una lunga
, o una lunga e una breve: ve n'ha di tre sillabe, che per la varia
combinazione delle brevi e delle lunghe risultano di otto specie: ve n'ha
finalmente più di cento specie dei composti, cioè formali dall' unione di due piedi
semplici. Dall'indelernipala quantità di piedi disposti con legge analoga alla
natura dell'organo del l'udito umano, la qual legge si sente nell'anima e definire
non si può, nasce il numero; e similmeple dall ' unione determinata di varii
piedi, i versi, che sono molle maniere, se condo la qualità de' piedi, onde
sono composti. Dalla varia qualità e quantità de’ versi nascono poi le differenti
specie del metro. A rendere armonioso il verso si congiunge al pu nero il
suono, che, siccome abbiamo accennato, si genera dalla proporzione, con che
sono di sposte le consonanti e le vocali. Da ciò nasce che, sebbene talvolta i
versi abbiano il medesimo número, non hanno il medesimo suono, ma variano nella
loro armonia maravigliosamente: per la qual cosa interviene che dalla unione di
molti versi che abbiano il medesimo numero, come a cagion d'esempio, di
esametri, si possono generare molle ed assai varie armo pie: la diversa upione
di queste armonie di cesi, “ritmo”. Come nella poesia dal ipovimento di molti versi
upili nasce il ritmo poetico , così da quello di minuti membri d' indeterminala
mi sura nasce quello della prosa, il quale pure è di varie sorla, siccome
avremo occasione di osservare in appresso. Ora veniamo a dire del l'armonia
della favella italiana. Gl’italiani non hanno determinata la quantità nelle
sillabe, come si vede aver fatto i latini , per la qual cosa nemmeno i piedi
hanno potuto determinare. Alcuni letterali del sesto decimo secolo, fra' quali
il Caro, tentarono di rinnovare fra noi i versi esametri ed i pentametri, ma
quanto poco (per la in sufficienza della lingua nostra) al buon volere
rispondesse l'effett , apparirà dai seguenti versi di Claudio Tolomei, i quali,
se non sono molto aiutati dall'arte del recitante, non possono ricevere
soavità. Ecco il chiaro rio, pien eccolo d'acque soavi, Ecco di verdi erbe
carca la terra ride. Scacciano gli alni i soli co' le frondi e co'ra (mi
coprendo; Spiraci con dolce fato auretta vaga. A noi servono invece di piedi le
sillabe é gli accenti, e quindi è che da un determinato numero di sillabe e da
una determinata positura di accenti nasce il numero, onde si generano molte
specie di versi. Omettendo le di spute de'rettorici e le loro opinioni circa
questa materia, faremo qui alcun cenno solamente rispetto agli accenti. Le
parole sono di una o più sillabe : se di una soltanto , l'accento è su quella,
come in tu , me, no, si : se di più o egli è nell'ullima, come in mori, o nella
pri 79 ma, come in tempo, o nella penullima come in andarono, o prima di essa,
come in concedea glisi. L’indicati accento si dice “acuto”, perchè alzano la
pronuncia : dove questi non sono, si trova il “grave”, che l'abbassano. Gli
acuto e il grave alzando ed abbassando
il discorso, por tano seco certa proporzione di tempo, e perciò tengono fra noi
il luogo de' piedi Jalini, e formano varie specie di versi, che, secondo, la
quantità delle sillabe, si dicono o pentasillabi o senarii o seltenarii o
ottonarii o novenarii o decasillabi o endecasillabi. Dalle varie unioni di questi
nascono i diversi metri. E il ritmo nasce nel modo, che si è detto parlando
della lingua latina, e circa il verso e circa la prosa. Non si contenta l'animo
upano dell'armonia, onde è ricreato solamente l'orecchio, ma gran demente si
piace di que' suoni, che più vivamenle ci pougono innanzi il segnato; e questo
specialmente egli ricerca nella poesia, la quale o avendo, o mostrando di avere
per suo principal fine il diletto, dee apparire più d'ogni altro discorso
ordinala, e splendida: sarà quindi utile cosa l'investigare quale sia la virtù
imitativa delle parole. Questa e l’armonia imitativa. Dalla mescolanza delle
lettere liquide e delle vocali risulta infinita varietà di vocaboli dell’imitazione
delle grida, de’suoni, de’romori e de’movimenti, e chi, porrà mente alla nostra
lingua troverà, secondo che osserva il Bembo, voci sciolle, languide, dense,
aride, morbide, riserrate, tarde, mutole, rolle, impedite, scorrevoli e
strepitanti. Perciò è che variando la composizione di questi suoni si potranno
ordinare .e versi e ritmi, che ogni grido o romore o movimento vagliano ad imi.
tare. Jofinili esempi bellissimi di si ſalta imi. tazione sono nella Divina
Commedia : ma basti qui la sola descrizione dello strepito, che Dante udi nell'Inferno:
Quivi' sospiri, pianti, ed alti guai risonavan per l'äer senza stelle, Perch'io
al cominciar ne lagrimai. Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore,
accenti d'ira, voci alte ' e fioche, e suon di man con elle facevano un
tumulto, il qual s'aggira sempre in quell'aria senza tempo tinta, Come l'arena,
quando il turbo spira . Del medesimo genere sono i seguenti versi del
Poliziano. Di stormir, d'abbaiar cresce il romore: Di fischi e bussi tutto il
bosco suon : Del rimbombar de' corni il ciel rintrona. Con tal romor, qualor
l'äer discorda, Di Giove il foco d'alta nube piomba : Con tal tumulto, onde la
gente assorda, dall'alte cataratte il nil rimbomba. Con tal orror del latin
sangue ingorda Sonò Megera la tartarea tromba.Il Parioi ci fece sentir il
guaire di una ca goolina, e il risponder dell' eco in questi bellissimi vers.
Aita, aita, Parea dicesse ; e dall'arcate volte a lei l'impielosita eco
rispose. Siccome il succedersi delle parole ora va lento or celere, è manifesto
che questo, che si può chiamare movimento del discorso, ba somiglianza coi
movimenti delle cose, e che per ciò aver dee virtù d'imitare le azioni loro.
Recherò qui per maniera d'esempio alcuni luo ghi cavali da' poeti. Odesi il
furore e l'impeto del vento in questi versi di Dante : Non altrimenti fatto che
d'un vento Impetüoso per gli avversi ardori, Che fier la selva senza alcuu
rallento , E i rami schianta , abbatte, e porta i fiori; Dinanzi polveroso va
superbo, E fa fuggir le belve ed i pastori . Mirabilmente Virgilio descrisse il
tumullo dei venti all'uscire della grotta di Eolo : Qua data porta ruunt et
terras turbine per flant. Incubuere mari, totumque a sedibus imis Una Eurusque,
Notusque ruunt, creber que procellis Africus, et vaslos volvunt ad sidera flu
clus. Insequitur clamorque virum , stridorque rudentum. Fra i versi che
esprimono la caduta de corpi sono bellissimi i seguenti : E caddi come corpo
morto cade ; il qual verso è cadente, come il corpo che cade. Insequitur
praeruplus aquae mons. In queste parole di Virgilio si sente il piom bare
dell'acqua precipitosa : ed eccellentemente fece sentire il medesimo suono il
Caro: E d' acque un monte intanto Venne come dal cielo a cader giù . In virtù
di quest'altro verso dello stesso Caro, una nave sparisce in un subito, e si
sente il romor dell'acqua che l'inghiotte : Calossi gorgogliando e s'aſfondò.
Lo stesso con una sola parola lunga e scor revole dipinse il procedere del
carro di Net tuno : Poscia sovra il suo carro d'ogni intorno Scorrendo
lievemente, ovunque apparve Agguagliò il mare e lo ripose in calma. Nelle
seguenti parole di Virgilio quasi sen tiamo a stramazzare il bue ; Procumbit
humi bos. Dell’armonia che imita gli affetti col suono , Onde conoscere per
qual modo gli affelli vengano imitati dall'armonia , uopo è d'inve sligare
quali altenenze essi abbiano col suono e quali col namero. In quanto alle
altenenze si ponga mente che ad ogni sorta di affetli (1) risponde un
particolar molo del l'organo vocale , per cui si formano voci di verse secondo
la diversità de' medesimi affetli ; all'allegrezza risponde il riso , alla
mestizia il pianto ; ed il riso ed il pianto si manifestano con suono al tutto
diverso : così presso tutte le geoli la subita maraviglia è significata dal
l'esclamazione ah , ovvero oh ; il lamento dall' eh, o dall’ahi ; e la paura
dall'uh. Que ste voci, che da principio sono elfelti naturali delle aſſezioni
dell'animo, diventano poi, merce dell'esperienza , segni di quelle : per la
qual cosa interviene che i vocaboli composti di ma, niera , che facciano mollo
sentire il suono di quelle leltere, che alle predette voci primitive si
assomigliano , avranno virtù d'imitare o questa o quella affezione. Le parole,
che s'in, nalzano per la a o per l'o , che sono lettere di largo suono, saranno
acconce ad esprimere l'allegrezza e gli affetti nobili ed alli : quelle, che
declinano per la é e per l'i , che sono lettere di molle suono , saranno
convenienti alla malinconia ed agli umili e miti affetti. (1) Omnis enim motus
animi suum quemdam a natura habet vullum , et sonum et gesium (Cic. de Orat. ).
84 quelle , che si abbassano nell' u potranno e sprimere le cose paurose e le
perturbazioni dell'animo, che ne procedono. Questa particolare virtù delle
parole viene poi rafforzata dalle attenenze , che le passioni hanno col numero.
Volgendo la considerazione alle varie passioni , si potrà conoscere che l'
uomo'nell'ira è fatto impetuoso , frettoloso nell'allegrezza , lento nella
mestizia , svarialo nell' amore, immobile nella paura. Quindi av. viene che la
musica non solamente si giova delle note gravi o delle acute, ma delle rapi de
e delle tarde modulazioni a risvegliare ogni sorta d'affetto . A somiglianza di
quest' arte maravigliosa , anche la naturale favella, il suono ed il numero
adoperando , innalza o abbassa gli accenli, rallenta od accelera il corso delle
parole, secondo la natura degli affetti , che di esprimere intende. Con quest'
arte medesima l'accorto scrittore compone i ritmi diversi secondo la tenuità o
la gravità della materia, e secondo le qualità della persona che parla. Ma di
questo avremo altrove occasione di favellare. Ora in confer . mazione di quanto
abbiamo detto intorno gli affetti, recheremo alcuni esempi. Come la lettera a
innalzi il verso e lieto il faccia, si può conoscere da quel solo verso del
Petrarca : Voi ch* ascoltate in rime sparse il suono; il qual verso sarebbe
rimesso se dicesse: O voi, che udite in dolci rime il suono ; sostituendo 1'i
alla a. Veggasi come Dante seppe significare uno stesso concetto con due
diverse armonie, che rispondono a due diversi affelti. Il conte Ugo lino
sdegnalo, e Francesca d' Arimino dolente dicono all’Alighieri di esser presti a
rispon dere alla sua domanda. Ma lo sdegnato dice con suono aspro e terribile :
Parlare e lagrimar vedrai insieme ; e quella mesta con dolcissimo e tenue suono
: Farò come colui che piange e dice. Maravigliosamente esprime Dante con voci
aspre lo sdegno : E disse, taci, maladelto lupo, Consuma dentro le con la tua
rabbia. La velocità de' pensieri, che procedono dal l'aſſello , apparisce in
questo esempio dello stesso poeta : Dunque che è, perchè perchè ristai? Perchè
tanta viltà nel core allelte ? Perchè ardire e franchezza non bai ? Un verso,
che esprime luogo pauroso e cupo, si è questo : 10 venni in loco d'ogni luce
mulo. Dove si vede che se Dante, in vece di muto, avesse delto privo, il verso
non avrebbe messo nell'animo quel sentimento d'orrore. La e , che è lettera di
suono lento, basso ed oscuro , rende sommamente imitativi i se gucnti versi :
Buio d'inferno e di notte privata D'ogni pianeta solto pover cielo Quant' esser
può di nuvol tenebrata. In virtù di somiglianli armonie producono gli scriltori
que' maravigliosi effetti, che la più parte degli uomini sentono nell'animo ,
ene ignorano il magistero. Di queslo cercai mani. festare la natura , non già
perchè io pensi che colui che scrive debba avere di continuo alle mani la
regola ; chè anzi ho sempre creduto la dolcezza e proprietà del suono, al pari
d'ogni allra vaghezza poetica ed oratoria , nascere spontaneamente ; ma questo
volli fare, perchè stimai che l'investigar le occulte ragioni del. l'arte aiuti
l ' intelletto a dirittamente giudi carne , e quindi a formare quell'interior
senso si necessario a comporre lodevolmente, e quel l'abito , che prendono gli
orecchi alla lettura de'ben giudicati esemplari. Nulladimeno per compiacere
agli orecchi non si vuol mai turbare quell'ordine delle parole, in virtù del
quale diventa chiara l'elocuzione. Se per esprimere qualsisia o movimento o
suono od affello coll'armonia, o per formare un pe riodo numeroso e grave ci
faremo oscuri, nes suna lode al certo ce ne verrà. Nè solamente dobbiam sempre
conciliare l'ordine domandato dagli orecchi con l'ordine sopraddello , ma
spesso ancora con quello , che rende più evi. denti o più efficaci i concetti ,
del quale ora ci rimane a parlare, siccome di sopra abbiamo promesso. Parliemo
della collocazione dell’espressione, per la quale si rende ‘efficace’ la
mozzione conversazionale. È manifesto che in ciascun periodo le pa role o le
proposizioni si possono , senza to gliere la chiarezza , alcuna volta posporre
o anteporre l'una all'altra in più maniere ; ma è da por mente che , fra le
molte possibili permutazioni, poche sono quelle che meritino di essere lodate ,
e che spesso una solamente si è l'ottima. Ho udito dire da molti che il più
delle volte l'ordine migliore delle parole nella proposizione si è l'ordine
diretto, e que sto in verità nell'italiana favella è spesso da preferirsi
all'inverso , segnatamente nei die scorsi didascalici o in quelli ove non si ma
nifesta alcun affetto ; ma certo egli è che l'or. dine diretto ( prescindendo
dai mancamenti che aver può rispello all'armonia) è alcuna volla degno di
biasimo, siccome freddo ed inefficace. A quale legge dunque dovremo ubbidire ,
ol. tre a quella già stabilita circa la chiarezza e l'armonia, nel collocare le
parole e le propo. sizioni a fine di rendere più vive le descri zioni e più
efficace l'espressione degli affetti ? La filosofia ci mostra che le idee
tornano alla mente associate in quell' ordine , che vennero all' anima per
l'impressione delle cose ester 88ne, o in quello , che si genera in virtù della
forza particolare di ciascuna idea, essendo che le più vivaci, o quelle che
maggiormente si attengono a' nostri bisogni, si risvegliano pri ma dell'altre ;
e questo mostrandoci , ella ne insegna che , se vogliamo fedelmente ritrarre
nelle menli altrui cio che abbiamo veduto o imaginiamo di vedere, v ciò, che
sentiamo, ci è duopo di formare la catena delle parole se. condo quella delle
nostre idee, per quanto il comporta il genio della lingua. Questa verità
verremo ora con alcuni esempi mostrando, Si osservi primieramente nel seguente
esem pio, tolto dall'Ariosto, come nella descrizione delle cose, che non sono
in moto, sieno poste innanzi all'animo dell'ascoltalore quelle idee, che prima
farebbero impressione ne' sensi del riguardante, e poscia succedano a mano a
mano le altre secondo loro qualità e silo : La stanza quadra e spazïosa pare
Una devola e venerabil chiesa , Che su colonne alabastrine e rare Con bella
architellura era sospesa . Sorgea nel mezzo un ben locato altare, Che avea
d'innanzi una lampada accesa, E quella di splendente e chiaro ſoco Rendea gran
lume all'uno e all'altro loco. La prima impressione, che riceverebbero gli
occhi di chi mirasse un somigliante luogo, sa rebbe certamente la forma e
l'ampiezza di esso, e tosto occorrerebbe alla ' mente la cosa alla quale somiglia
, cioè la devota e venerabil chiesa : indi l'allenzione del riguardante si
indirizzerebbe alle parti del luogo più appari scenti, le colonne alabastrine e
rare : queste chiamano il pensiere a fermarsi alcun poco sulle qualità
dell'architellura , indi alle parli . più minute, cioè all'altare, alla
lampada, alla luce, che si spande d'intorno . Quanto giovi disporre le parole
nell'ordine, in che le idee sono naturalmente impresse nei sensi dalle
successive modificazioni delle ester ne cose, si può conoscere da questo
esempio di Virgilio , il quale , volendo rappresentare all'imaginazione nostra
il greco Sinone trallo al cospetto di Priamo, si esprime cosi : Namque ut
conspectu in medio turbatus, inermis Constitit , atque oculis Phrygia agmina
circumspexit. La collocazione di queste parole è secondo l' ordine , nel quale
avrebbero proceduto le sensazioni di colui , che avesse veduto cogli occhi
propri sinone, e che l'imagine di quella vista si riducesse a memoria. La prima
cosa, che gli verrebbe all'animo , sarebbe il luogo ov'era condotto Sipone,
conspectu in medio; indi la persona di lui colle sue più distinte qualità ,
turbatus , inermis ; poi l'azione, constitit ; poi la parte del' vollo , che
subito chiama a sè l'altenzione del riguardante , co Die quella , che è indizio
dello stato dell'ani ma, oculis ; poi le cose , sopra le quali gli occhi si
volsero , Phrygia agmina; infine l'ultima e lenla azione degli occhi dipinta colla
tarda parola circumspesil. go Un altro esempio dello stesso Virgilio dimo. slrerà
come sieno poste nel proprio luogo pro posizioni e parole. Ecce autem gemini a
Tenedo tranquilla per alla ( Horresco referens ) immensis orbibus (angues
Incumbunt pelago , pariterque ad litora tendunt : Pectora quorum inter fluctus
arrecta , jubacque Sanguineae exsuperant undas : pars cae lera pontum Pone
legit, sinualque immensa volumine lerga. Fit Sonitus, spumante salo , jamque
arva tenebant ; Ardentesque oculos suffecti sanguine et igni, Sibila lambebant
linguis vibrantibus ora . و Colui che fosse presente al descritto caso ,
osserverebbe primamente di lontano due cose indistinte venir del luogo che gli
fosse al co spetto, gemini a Tenedo ; indi le acque per le quali nuotassero,
tranquilla per alta ; al l'avvicinarsi di quelle due indistinte cose, egli
comiocerebbe a distinguere il loro divincolare ; poi ecco che le due cose, che
da prima indi stinte si mostravano , si vedrebbe essere due serpenti, angues, i
quali più s'accostano e più li vedi , e più discerni l'azione loro ; prima del
gittarsi sul mare , poi del girarsi al lido , incumbunt pelago , pariterque ad
litora lendunt ; ed a mano a mano più visibili la . cendosi le qualità de'
serpenti , si vedrebbero i pelti erti sui flutti ed alte le creste sangui. gne,
e il rimanente de'corpi con grandi volute nuolare, pectora quorum ec .
Finalmente udi rebbe il suono dell' acque , e ne vedrebbe le spume. Pervenuti
al lido i serpenli, discerne rebbe i loro occhi ardenli e sanguigni , ne
ascollerebbe i fischi, e vedrebbe a vibrare le lingue, fit sonitus ec. Per
l'addotto esempio maniſestamente si vede che nel collocare le parole secondo la
catena di quelle sole idee, che verrebbero al. l'animo di chi il descritto caso
avesse veduto, sta l'arte di rendere evidenti le descrizioni : di qualità che
all'uditore sia avviso non di udir raccontare ma di vedere cogli occhi pro pri.
Nel rappresentare colle parole le sole idee che vengono naturalmente all'animo
di chi mira le cose , e di chi è mosso dagli affetti, consiste l'arte del
particolareggiare : chi tra passasse Test limite cadrebbe nella prolissi tà, e
nella minutezza , la quale rende stucche voli que' poeti che eccessivamente
particola reggiando si pensano di produrre l'evidenza. Siccome poi le cose
hanno più o meno di forza sull'animo nostro a misura che più o meno vagliano a
concitare l'amore o l'odio, o a mettere timore ; così interviene talvolta , che
esse al tornar che fanno alla mente tengono quell'ordine , che è secondo i
gradi della ri. spettiva loro forza. Perciò è che qualvolta le idee in virtù
delle parole sieno ordinate con formemente a siffatta legge, il discorso è
caldo e passionato; e freddo e di nessun efletto se l'ordine delle parole
discorda da quello delle idee. Nel libro IX dell'Eneide veggendo Niso l'amico
Eurialo già presso ad esser morto dai Rutuli, cosi esclama: Me me (adsum qui
feci) , in me conver : tite ferrum , O Rutuli , mea fraus onnis : nihil iste
nec , ausus, Nec potuit : coelum hoc , et conscia si dera testor. Volendo il
poeta esprimere le veemenza della passione di Niso, soppresse il verbo
interficile, e pose innanzi alle altre la voce me quarto caso, poichè la prima
idea, che viene all'ani. mo del giovanetlo , si è quella della propria persona
, che egli vuole sacrificare per l'amico suo ; poi vengono le altre parole
ordinata Diente seguitando la della legge. Similipente il Petrarca : E i cor,
che indura e serra Marle superbo e fero, Apri tu, padre, inlenerisci e spoda .
Se invece egli avesse dello : Apri tu , padre, intenerisci e snoda I cor, che
indura e serra Marte superbo e ſero, l'elocuzione sarebbe riuscita fredda,
perciocchè la prima imagine che si presenta al commosso animo del poeta, sono i
cuori, i quali egli con quelle prime parole quasi pone innanzi a Dio, affinchè
si piaccia d'intenerirli. Accade alcuna volta che lo scrittore vuole accrescere
vigore alla propria sentenza , e in questo caso non dee disporre le sue parole
a modo, che all'uditore paia di aver inteso tutto al prinio detto, ma far sì ,
che le idee vengano all' animo di lui crescendo gradatamente, come nel seguente
esempio : Tu se' buono, santo, divino. E in quest'altro del Boccaccio : Ri.
prenderannomi, morderannomi, lacereran nomi costoro. Similmente metterà bene il
collocare l'ay verbio dopo il verbo e l'addiettivo dopo il sustantivo ,
qualvolla sieno posti nel discorso alfine di accrescergli vigore. Perciò è che
me. glio si dirà : io ti amerò sempre , che io sempre ti amerò: è facile il
sentire come questa seconda collocazione riesca fredda. Molli preclari ingegni,
e Ira questi il Caro, hanno biasimato il Boccaccio, perchè troppo
frequentemente pone il verbo alla fine del pe riodo; e per verità l'hanno
biasimato a ragio ne ; perchè non solo con ciò si toglie al di. scorso la
varietà, ma anche perchè il più delle volle si viene a turbare la naturale
associa zione delle idee. Alla quale associazione se porrà mente lo scrittore
troverà sempre molivo onde approvare o disapprovare l'ordine che egli avrà
posto nelle sue parole. Lunga opera sarebbe il trattare qui minutamente questa
ma teria e il prescrivere le regole applicabili a tutti i casi particolari ;
queste si possono age volmente dedurre dalla regola generale, che abbiamo
assegnata , e perciò stimiamo che qui 94 basti fare qualche altra osservazione
intorno ad alcuni luoghi, ne'quali il verbo è posto in ultimo. Avendo il
principe Tancredi, presso il Boc caccio, rimproverato Ghismonda di avere eletto
per suo amatore Guiscardo di nazione vile, e non uomo dicevole alla nobiltà di
lei, così ella, rinfacciandogli il fatto rimprovero, gli dice : in che non
taccorgi che non il mio pec cato , ma quello della fortuna riprendi. Qui chiaro
si vede che se Ghismonda avesse dello : non taccorgi che non riprendi il mio
pec cato , ma quello della fortuna, avrebbe par. lalo freddamente. Il figliuolo
di Perolla, in T. Livio, sdegnato che il padre suo gli abbia in. pedito di
uccidere Annibale, si volge alla pa tria dicendo: o Patria , ferrurn , quo pro
te armatus hanc arcem defendere colebam, hodie minime parcens, quando pater
extor. que, accipe. Ne'due cilati luoghi son poste innanzi le idee, che prima
si presentano ale l'animo passionato di colui che favella, e in ullimo è il
verbo, che apporta luce alla mente sospesa dell'ascollatore. Se T. Livio avesse
detto : 0 Patrin , accipe ferrum ec. , oltrechè avrebbe parlalo fuori del modo
naturale di colui che ha l'animo commosso, avrebbe an cora mancato di
quell'arte, che l'altenzione altrui si procaccia: imperciocchè qualvolta egli
ci porge innanzi il ferro, col quale il giovane voleva difendere ostinatamente
la rocca, subito la niente nostra sta attendendo impaziente menle che cosa
esser debba di quel ferro; e, poiché ode la risoluzione di esso giovane, re sla
preso da subita maraviglia e ne riceve dilelto. Nel collocare le parole secondo
la catena delle idee, si vuol porre ' grande cura di con ciliare quest' ordine
con quello che è richiesto dall'orecchio e dal genio della lingua , al quale
non si può contrariare. Qualvolta 10 scrittore ciò pervenga ad ottenere, sembra
che le sue parole siensi di per sé poste al luogo loro, e che chiunque avesse
voluto dire la stessa cosa l'avrebbe detta a quel modo. Que sta si è quella
facilità, che molti avvisano di poter conseguire , ma spesso invano a ciò si
affaticano e sudano. Parliamo del carattere del discorso. Avendovi posti
innanzitulli gli elemenli, onde si compongono le prose e le poesie , ac cade
ora di ragionare più parlicolarmente delle leggi della convenevolezza , o sia
del decoro , di che abbiamo di sopra falto cenno alcuna volta. Come dalla
mescolanza de'selle colori fatta con legge si genera la varietà e la vaghezza
nella imagine delle cose dal pittore imitate, cosi dalla mescolanza degli
elementi predetti , similmente falta con legge, nasce la varietà e la venustà
delle prose e delle poesie . Colui che si facesse ad accozzare e ad ammassare
alla rinfusa parole nobili , modi urbani, mela fore, traslali, igure , sentenze,
ec. , verrebbe certamente a comporre di buona materia as sai deforme Perſella
riuscirà posizione, allorchè le parole e i modi e l'ar monia e le figure
verranno e ben divisale le une con le altre e lulle insieme, secondo i fini che
lo scrillore si propone, secondo la maleria della quale ſavella, secondo la
condi. zione sua e di coloro che l'odono , secondo i luoghi in cui parla ; chè
in queste tulle cose consiste il decoro. Dal decoro nasce la leggia dria , che
risplende nelle più belle opere del. l'arle, e senza di esso nessuna cosa al
mondo è pregevole. Conciossiachè poi varii sono i fini speciali , che lo
scrittore si propone , varii i subbielli, di che può ragionare, varie le uma ne
condizioni e le circostanze, conseguita che varii pur sieno i generi e le
specie de' con ponimenti per loro proprio carattere distinti. Il qual
carallere, per le cose delle di sopra, definiremo nel modo seguente : Il
carattere del discorso si è la contemperanza degli ele nepli, da ' quali
risultano la chiarezza e l'or. namenlo, ſalta secondo le leggi del decoro. E
perciocchè la principal legge del decoro si è quella , che riguarda il fine,
che ci pro poniano , quando altrui manifestiamo i nostri concelli , a questo
volgeremo tosto la nostra considerazione, Chi scrive inlende o a convincere o ä
pero suadere o dilellare altrui. Secondo questi tre fini nasceno tre generi di
scrivere o tre caralleri si diversi , che vogliono essere di stigli e particolarmente
considerati ; cioè il fi losofico , il persuasivo, il poelico. Di questi di
reno prima alcuna cosa in generale , indi ne accenneremo le specie. In quanto
al carattere del discorso filosofico, Ufficio de'flosofi si è il mostrare
altrui la verità, e perciò le loro scritture intendono a fare che il lettore od
ascoltatore non sola . menle venga di buona voglia nella sentenza a lui esposta
, ma che sia costretto anche suo malgrado a vevirvi, che è quanto dire ch'egli
rimanga convinto . Se pertanto ci verrà fallo di scuoprire quella virtù del
linguaggio , per la quale si genera il convincimento , ci saranno subito
manifeste le qualità , onde il carallere filosofico si distingue dagli altri.
Il convincimento si genera nell'animo o qual volta per via de' sensi percepiamo
l'attenenza ſra alcune qualità, e in questo caso diciamo esser convinti dal
fatto, o qualvolta ci vien posta innanzi una serie di proposizioni insie me
collegate ' e procedenti da una o da più altre conformi a'falli , le quali si
chiamano principii ; ed in questo secondo caso diciamo di essere convinti con
evidenza di ragione. A costringere gli animi con questa evidenza in . lendono i
filosofi, ed a tal fine son loro neces sarii i vocaboli di singolare
significazione ed i modi precisi ; imperciocchè se nella catena delle
proposizioni che formano il ragionamento , una sola vi fosse di perplesso
significalo, o che accrescesse o menomasse di un solo elemento iniportanle
alcuna idea, si mulerebbero le at tenenze delle dette proposizioni, dal che
proce derebbe l'errore , come accade nelle operazioni arilmeliche, qualvolta ,
no solo numero si ponga iu luogo di un altro, Se agli uomini venisse dalo (che
Dio volesse) di ordinare la lin gua a modo che dalle percezioni delle qualità
semplici delle cose fino alle più complesse idee d'ogni maniera non fosse
vocabolo di mal fer ma significazione, non sarebbe malagevole il ragionare
dirittamente in qualsivoglia altra Ina teria , come si ragiona nella matemalica
; inn perciocchè in virtù de'segni ben determinali si verrebbe al conoscimento
delle allenenze delle idee complesse grado per grado fino ai loro principii; e
per tal forma ciascuno potreb be sempre rendersi certo della enunciata verità .
Da tutto ciò si raccoglie che nella precisio ne delle parole e dei modi sta la
virtù di con vincere ; e che perciò essa precisione esser dee la prerogativa
dello scrivere filosofico. L'uso della metafora pertantoe delle figure può
divenire larghissima fonte d'errori, per ciocchè è facile che l'animo umano
ingannato dalle similitudini, di che si formano le meta fore, e commosso dagli
artificii travegga, e quindi si faccia a comporre le nozioni, non secondo la
natura delle cose , ma secondo le apparenze e la capricciosa indole della
fantasia. Il sistema del Malebranche , ch'ebbe tanti se. guaci e disputatori
(per lacere di molli altri ) procede da una similitudine. E si dovrà dunque
nello scrivere insegnali vo schivare ogni metafora ed ogni figura, e renderlo
secco e ruvido, come quello de'ma temalici? V'hanno certamente alcune malerie (
e tale è per avventura la ideologia ) , le quali richieggono un linguaggio
pressochè simile a quello della geometria o dell'algebra ; ma non è perciò che
le altre parti della filosofia, ed anche talvolta la stessa austera scienza
delle idee, non dimandino ornamento sobrio e ve recondo. Niuna materia
filosofica vuol essere molto mollo fregiala, acciocchè il verisimile, in forza
degli artifizii oratorii , non venga ad invadere . il luogo del vero, nė paia
che il filosofo voglia invescare e prendere altrui : nulladimeno è necessario
che a quando a quando l'intelletto del leggitore, affaticato dal lungo
ragionare, trovi riposo, e venga alleltato, senza che la esposta verità rimanga
oscurala . Perciò il filo soro collo schivare le parole barbare, rance , oscure
e disarmoniche toglierà ogni ruvidezza al suo discorso, e gli darà grazia e
leggiadria convenevole co' modi urbani e gentili , colle vereconde metafore
scelte a maggiore schiari. mento di quanto per le parole ben determi nate fu
espresso ; colla brevilà e colla varietà de'modi, con alcune naturali figure,
quale sa rebbe l'interrogazione, e specialmente coll’ar. monia facile e piana ,
e con tutti gli allri modi naturali alla tempérala favella. Questo carallere
filosofico fu si ben divisato da Cicerone, che io stimo convenevole cosa di
recare le sue parole Temperata e famigliare è l'orazione de’ filosofi: non è
composta» di modi popolari; non è legata a cerle regole d'armonia, ma discorre
liberamente. Niente sa d'iralo, niente d'invidioso, niente di inirabile, niente
di astulo. Casla, vereconda, quasi pudica vergine, onde piuttosto ragionamento
che orazione può nominarsi. Parliamo del discorso di carattere persuasive o protrettico. Poichè
abbiamo dato contrassegno del carattere filosofico, veniamo a fare il medesimo della
mozzione conversazionale persuasiva. “Persuadere” segna propriamente far
credere altrui alcuna cosa; dal che manifeslo apparisce essere grande la
differenza tra il “convincimento” e la “persuasion”. Perchè siamo convinti è
forza che conosciamo ogni proposizione che compone un ragionamento fino alla
prima percezione, dalle quali dipende il principio fondamentale di quello. Perchè
siamo “persuasi” basta che il ragionare abbia per fondamento o l'opinione o
l'apparenza o l'autorità (non come l’intende Courmayeur). Molti dicono, a
cagion d' esempio, di essere “persuasi” che il sole si giri intorno la terra,
ed altri che la terra si volga intorno al proprio asse. Gli uni prestano fede
all'apparenza, gli allri al detto degli uomini sapienti. Ma di quello che
credono non sanno porgere altrui vera dimostrazione. Da questo esempio, e da
infiniti altri, si può vedere che la persuasione non è sempre generata dal
conoscimento di ogni proposizioe che si richieg
gono nella dimostrazione, e che per conseguente a trarre le volontà, ed a
tenere le menti del più degli uomini, non importa semipre il dimostrare
sollilmente alla maniera del filosofo, ma giova di far uso di qualsi voglia
verisimile principio: di comporre imaginazioni che abbiano faccia di verità: di
adoperare figure che, perlurbando l'aninmo di nostro compagno conversazionale,
conformino i pensieri di lui secondo la nostra volontà di guisa, che, se egli
sia per venire nella nostra sentenza, precipitosamente vi corra . Ma tutte
queste cose si vogliono ado perare a modo, che il discorso abbia sempre
apparenza di vera dimostrazione; perciocchè gli uditori di qualsivoglia condizione
sempre domandano a conversatore che sia loro mostra la verità. Converrà quindi
dedurre il discorso, per natural guisa e chiaramente, e da esso rimovere ogni
proposizione ed ogni artificio, nel quale apparisca alcuna ombra di falsità.
Primo ufficio del conversatore si è il provare la sua proposizione nella
divisata maniera. Secondo, il dilellare. Terzo, il commovere; accorgimento si
richiede nelle prove; sobriela degli ornamenti che intendono al diletto;
veemenza nel concitare gli affetli. Con queste arti si perviene a trionfare ed
a governare la volontà di nostro compagno conversazionale. Per le cose dette si
conosce che il conversatore, comechè dice di voler dare esatta dimostrazione di
quanto afferma, questo non fa sempr : del che si può aver prova nella disputa,
che fa in contraddilorin, per le quali talvolta appaiono vere due sentenze, una
delle quali, essendo opposta all'altra, deve di necessità esser ſalsa
(reduction ad absurdum, introduduzione della negazione). Non è dunque l'arte
della conversazione veramente l'arte di dimostrare (prendendo questa parola
nello stretto segnato del filosofo) ma, come la define Dionigi d'Alicarnasso, “l'arte
di farsi credere”. Ma qui potrà per avventura sembrare che, avendo io nel sopra
indicato inodo divisata la natura di una mozzione conversazionale persuasiva,
de abbia fat 10 un'arte d'inganno. Chi però cosi pensasse а porterebbe opinione
falsissima; perciocchè non si ſa inganno agli uomini adoperando a bene
quell'arte, che sola si conſà all'indole della più parte di essi. Pochi sono
coloro, che pos sono essere falli capaci della verità per via di sollile ed
esatto ragionamento; anzi avviene il più delle volte che, sembrando molti
falsissimo il vero e piacesse a Dio che così non fosse), è forz , per
guadagnare l'opinione foro, venire ad alcuna utile verità per le strade del
verisimile; e questo non è certo ingannare, ma giovare la umana famiglia. Vero
ufficio dei conversatori si è l ' usare l'eloquenza non ad inganno, ma per
indurre gli uomini a fuggire il vizio, a seguitare la virtù e la verità; per
metter fine alle conlese, per sedare i tumulli, per sollevare l'autorità della
legge contro il volere di coloro, che il privato bene antepongono a quello
della repubblica: che se alcuni malvagi intellelli abusano di tutte le arli
civili, dovremo per questo sbandirle dal Roma e ricondurre gli uomini a viver
di ghiaude? Finalmente e la mozzion conversazionale di carattere poetico, come
in Heidegger. La poesia fou dai romani inventata per proprio diletto, e poscia
dagli autori della vila civile ad ammaestramento di esso popolo adoperala.
Piacque ad aleuni a solo ricreamen to dell'animo usarla, ma i più nobili poeti
sotto il velame delle favole, delle imitazioni e dei mirabili concetti
pascosero la dottrina , e con locuzione accesa nella fantasia e con soavi armonie
si aprirono la strada alle menli volgari, le quali all'insegnamento dei
filosofi sarebbero stale ritrose. Per lo che niuno può dubitare che chiunque si
dispone a fare una mozzione conversazionale poetica non debba cercare di
piacere alla più parte degli uomini. Questo fece ad imagine degli antichi il
nostro Alighieri, la cui divina Commedia leggevano anche le persone d'umile
condizione, e ne traevano documenti a ben vivere. Questo ſecero l'Ariosto e il
Tasso, e cosi dee fare chiunque ha vaghezza di essere salutato un autore di una
mozzione conversazionale poetica. Se dunque investigheremo quali sieno quei
modi che dilettano il più degli uomini, e quali sieno que' che li noiano,
giungeremo a conoscere quali convengano e quali disconvengano al carattere
della mozzione conversazionale poetica . E primieramente e palese che le
espressione apportano diletto e colla materiale struttura loro e colla qualità
delle idea, che recano alla mente; perciò è che l'essere del carattere poetico
dall'una e dall'altra di queste cose dovrà generarsi. Una delle qualità
necessarie alla mozzione conversazionale poetica sarà dunque la più squisita
armonia, onde siano dilettati i sensi ed appagato l'intelletto in virtù della
imitazione. Dell'armonia abbiamo dello abbastanza, perchè passeremo tosto a dire
della natura delle idee dilettevoli. Il diletto si genera negli animi da ciò
che, dolcemente i sensi movendo, fa operare la mente senza tenerla in fatica: e
perciò è che le imagini dei corpi diversi e tulte quelle cose e que’ concetti,
che hanno virtù di risvegliare gli affetti, ci recano maraviglioso piacere e le
idee astratte all'incontro non lo ci recano, perciocchè, se non sono mollo
complesse, fanno lieve impressione nell’animo; se molto complesse, abbisognano
di molta attenzione, e perciò affaticano la mente. Proprii, saranno dunque del
carattere poetico i vocaboli e i modi acconci a svegliare ad un tempo la rimembranza
di molte sensazioni dilettevoli ed a concitare le varie passioni ed a rendere
sensibili coll'aiuto delle similitudini tolte dalle cose corporee i più sottili
concetti della mente. Cogli aggiunti opportunamente scelti vengono segnata la
passione o l’azione, e gli usi delle cose e le qualità loro proprie, le quali
in virtù dei soli nomi sustantivi non verrebbero all'animo di nostro compagno
conversazionale, o ci verrebbero debolmente; perciò al poeta conviene
l'adoperare essi aggiunti più frequentemente che all'oralore, quale dipinge
meno parli colarmente le cose, siccoine colui che non ha per fine principale il
diletto. Colla metafora si dà corpo a una nozione astratta, coi tropi si pone
dinanzi agli occhi della mente quella sola parte o qualità dell'obbietlo, che
prima si presenterebbe al senso di colui che cogli occhi del corpo il mirasse.
Adoperando i predetti modi, si perviene a dare a’ concetti intellettuali forma
sensibile guisa, che nostro compagno conversazionale, direi quasi, non più per
segni percepisce le cose, ma le vede, e con mano le tocca. Affincho palesemente
si vegga questa prerogativa, che sopra tutt e rende il carattere poetico
distinto dagli altri, recherò ad esempio alcuni concetti intellettuali,
convertendoli in forma sensibile. Tutti i viventi muoiono. La sede del romano
impero fu da Costantino trasferitu a Bisanzio Il popolo facilmente mula
consiglio. Quello ch' ei fece dai tempi di Romolo, sino a quello dei Tarquinii.
Quello concetto si dice intellettuale, siccome quelli che si denno giudicare
secondo il segnato proprio di ciascuna parola; sensibili saranno, qualvolla
sieno espressi di maniera che giudicare si debbano secondo l'apparenza o la
similitudine, siccome divengono i predelti Trasformandoli nel modo seguente. La
morte batte egualmente alle capanne de poveri ed a’ palagi de’ re. Posciachè
Costantin lo quila volse contro il corso del ciel, che la seguiu Dietro quel
grande , che Lavinia Wolse. Infida è ľaura popolare. E guel cliei fe' dal mal
delle Sabine Al do Tor di Lucrezia. Queste finzioni che assai di lettano, e perchè
contengono manifeste similitudini e perchè racchiudono veri intellettuali
concetti, sono talmente proprie della mozzione conversazionale poetica, ch'elle
sarebbero sconvenevoli nei discorsi, che non hanno per fine primario il diletto.
Come queste poi si addicano più a cerle specie, che a certe altre, vedrenio a
suo Juogo. Ora bastea di avere in genere contra-segnata la natura del carattere
poetico, onde apparisca che tengono mala strada coloro, i quali cercando
"fama tra i poeti fanno pompa ne’loro versi di dottrina e di soltile
ingegno, ed espongono i loro pensieri con ordine troppo minuto e distinto. I
concetti che si cavano dall’intrinseco della filosofia, recanó seco molta
oscurità e difficoltà, specialmente quando vengono segnato co' vocaboli e
commodi loro proprii, e perciò sono contrarii al diletto, che è il fine del
poet , o, come altri vuole, il mezzo necessario ad indurre il giovamento. E
quando si dice che il poeta dev'essere filosofo, non si vuol dire che a modo
dei filosofi debba scegliere, ordinare e segnare il concetto, ma che egli usi
molto di filosofia nello scegliere le materie più utili agli uomini, e nel dare
a quelle e forma e veste conveniente alla natura di ciascuna. Che se talvolta egli
vorrà togliere alcun concetto dalla filosofia, lo toglierà dalla superficie e
non dal profondo seno di lei, in quel modo, che ha fatto il Petrarca, qualvolta
si è giovato della filosofia di Platone, come si vede nel seguente esempio. Per
le cose mortali, che son scala al fattor chi ben le stima, D'una in altra
sembianza potea levarsi all'alta cagion prima. E in altri luoghi moltissimi si
vede con qual arle e cautela dalla flosofia nella poesia egli abbia trasportati
i concetti, gli abbia temperati ed ornati, sicchè non hanno nè ruvidezza alcuna
nè oscurità, ma naturalezza, novità, e magnificenza, che sono qualità popolari,
che è quanto a dire poetiche. C’e una e altra specia del discourse di carattere
filosofico. Le materie, intorno le quali cade l'insegnamento, sono: la
matematica, la fisica , la metafisica, la morale, la politica, l'arte oratoria
e la poetica, le arti liberali e le meccaniche, e tutte le conoscenze che da queste
principali procedono, ciascuna delle quali essendo più o meno astratta ,
richiede o maggiore o minore soltigliezza d'ingegno e forza di attenzione in
chi le consider: per la qual cosa interviene che dovendo i conversatori usar
parole e modi con venevoli alla natura di ciascuna delle dette materie, ne risultano
diverse specie di caratteri insegnativi più o meno austeri. Rispelto poi alle
persone, cui vuolsi mostrare la verità, giova osservare che elle sono di due
maniere. Alcune letterale ed alcune mezzanamente istruite. Alle prime, che sono
avvezze al ragionamento, si converrà stretto sermone: più diffuso alle altre,
le quali hanno bisogno che le cose sieno esposte loro per minuto, ed anche
talvolta per via di similitudini e di esempi chiarile. Per tal cagione il
discorso filosofico prende spesso alcuna delle forme del persuasivo, senza mai
perdere però la precisione, che forma l'essenziale sua proprietà. Di tal sorta
sono molte mozzione conversazionale indirizzati all'insegnamento de' giovani, e
i dialoghi e le epistole filosofiche, le quali vengono usate affinchè certe
materie depongano alquanto della nativa loro austerità, ed allin cbè i
conversatori affaticati trovino riposo nelle digressioni e in altre parti
accessorie. C’e una e altra specia di discourse di carattere pesuasivo o
protrettico. Se al mondo fossero uomini dirittamente sapienti e perfettamente
savi, sicchè astuzia e lusinga di oratore non potessero negli animi loro, vana
riuscirebbe l'arte del persuadere, perciocchè tutti richiederebbero di essere
convinti con precisa e poco adorna favella: ma Blo non sono quaggiù nel mondo
cose perfette, e perciò è che, sebbene tutti gli uomini avvisando di poter
essere condotti alla verità per via di vera dimostrazione, sdegnino i manifesti
artificii; pure non v'ha alcuno, che vaglia a resistere alla seduzione di
astuta eloquenza; dal che si ricava che l'arte del persuadere si può adoperare
con ogni sorta di persone; po pendo menle però che quanto maggiore negli ascoltanti
è l'aculezza dell'intelletto e la sapienza, altrellanto esser deve la cura
nell'ora tore di occultare l’artificio. Dovranno dunqne i modi del discorso
persuasivo tanto più avvicinarsi a quelli del filosofico, quanto piu le
persone, cui si favella, sono sapienti ed arcorte; ed all'incontro tanto più
dovranno lingersi, direi quasi, del COLORE (Farbung) poetico, quanto nel
conversatore è minore l'altitudine ad argo nentare sottilmente: e la ragione di
questo si è che, a misura che negli uomini manca l'acı fezza dello intelletto,
cresce la forza della fan. tasia, dell'opinione e delle passioni. Ma no è
perciò che, anche favellando a sì falte persone, debba l'oratore ornare il
discorso d'imagini fantastiche a modo che esso perda le apparenze della buona
dimostrazione; essendo che' il popolo stesso, il qual pure, come è detto,
presume di sapere ragionare sottilmente, sde gna quella orazione che gli par
vuota di ragioni. Dovrà dunque il discorso persuasivo aver sempre l'aspetto di
vera dimostrazione; ma colale aspetto poi sarà diverso, secondo la maggiore o
minor perspicacia delle persone, che si vogliono persuadere, le quali si
possono dividere in tre schiere. La prima è degli uomini letterati : la seconda
degli uomini che banno convenevole discrezione di mente: la terza del popolo
basso. Per le quali tre schiere tre specie di carattere persuasivo procedono.
La prima partecipa alquanto delle qualità del genere filosofico: la terza di
quelle del poelico: la seconda è stile medio e media fra le due. Della prima
specie e le allegazione, che l’avvocato pronuncia al cospetto de' giudici;
della seconda i discorsi morali, la storia, l’elogio, ed altre opere intese a
persuadere circa il giusto e l'onesto le persone discrete; della terza la
predica e la allocuzione e il parlamento, che si fanno al popolo ed a; soldati.
Siccome poi varia si è la condizione delle persone che favellano, e varie le
cose di cui si può favellare, interviene che secondo queste e quelle verrà il
carattere persuasivo a dividersi in altre specie: e perciocchè le per le cose
si possono considerare di tre ragioni, cioè di nobili, di mezzane e di umili,
piacque a' retorici di restringere sotto tre soli nomi i molli membri del
carallere persuasivo, e questi sono: il sublime, il temperato ed il tenue. Che
a ciascuna di queste specie si addicano e voci e modi particolari, è facile
comprendere e chi non vede che al discorso rivolto a celebrare le lodi di un
eroe o di un sapiente si convengono maniere diverse da quelle , che sarebbero
accomodate a descrivere o a lodare l’amenità della villa? Che la lettera
famigliare intenla a persuadere qualsivoglia verità ad alcuno, dev'e di natura
diversa dall' orazione che tralla della cosa medesima? Paren sone e I 2 domi
che qui non sia bisogno di allargarsi troppo in parole, una sola cosa ricorderò
, cioè, che von solamente si addicano a cfascuna spe. cie particolari maniere,
ma ancora particolare collocazione di parole e particolare armonia .
Imperciocchè l'animo di chi favella , essendo secondo i varii casi o tranquillo
o perturbato, o elevato o umiliato , non è dubbio che, nel seguitare questi
diversi affetti, variamente si devono ordinare le idee, e colle idee le paro
le, e che similmente dee variare l'armonia , se vero è ch'ella soglia naturalmente
, qualvolta favelliamo, accompagnare i moti dell'animo, Oltre di che vuolsi
considerare che que' che parlano alla moltitudine, o scrivono cose da
proferirsi ad alla voce , sogliono muoverla e modularla con diverso andamento
da quello che userebbe colui, il quale famigliarmente ragionasse e
tranquillamente in angusto loco alcun fatto narrasse ; e perciò il ritmo di que
ste due specie di favellare è fatto diverso dalla necessità di pronunciare a
modo, che le nostre parole sieno ascoltate volentieri, e quan do in luogo
pubblico di gravi negozii a molti parliamo, e quando in camera a pochi di qual
sivoglia materia. Quale sia poi quella deter minala armonia, che in ciascun
caso convenga, insegnare uon si può. Qui basti l'avvertimento, chè l’esempio de
classici scrittori assai meglio ne può ammaestrare. Penso che sia convenevole
cosa il collocare fra le specie del carattere persuasivo anche quello che si
addice alla istoria; e ciò per le seguenti ni. Uſlicio dell'istorico si è di
produrre coll'insegnamenlo la prudenza civile e militare, il che si ottiene col
porre innanzi all ' animo del lettore i fatti importanti e le cagioni e gli
effelli di quelli. Al qual line, è mestieri di descrivere avvenimenti d'ogni ma
piera e particolari e generali, assalti , uccisioni , incendii, battaglie, saccheggi,
trattazioni, páci congiure, delilli e
virtù; di palesare nelle concioni poste in bocca ai re, ai magistrati, ai
capilani, i gravi consigli e i documenti della politica ; di esprimere i
caratteri delle passioni, e di usare le più luminose sentenze. Le quali tulle
cose vogliono essere significate con modi che varino secondo il variare della
maleria. Comechè uguale a sè medesimo sia sempre il carattere della storia,
cioè grave , siccome si addice a chi le gravi cose racconta , certo egli è che
secondo la differenza degli avvenimenti dovrà variare nel sostenersi e nello
innalzarsi, ed apparire nelle concioni più alto ed eſti cace, nelle descrizioni
più ameno ed ordinato, e spesso più veemenle nella persona degli uo mini ivi
introdolli a parlare, ma sempre temperato in quella dello scrittore, che da
ogni parteggiare dee mostrarsi lontano. Non può dunque convenire al caraltere
storico nè l'autorità filosofica, la quale sarebbe contraria alle malerie , nè
la poetica pompa , che torrebbe fede alla narrazione ; perciò é forza che gli
sieno proprie le prerogative generali del ca. rattere persuasivo, dal quale
differisce sola mente per le qualità speciali di sopra accennale. C’e una e
altra specia del discourse di carattere poetico. Se ſu bisogno dividere in alcune
specie il carattere persuasivo a cagione della maggiore o minore altitudine
delle menti umane a di scerncre la verità, ciò non occorrerà circa il carallere
poetico ; imperciocchè tanto gli uo. mini di sottile ingegno , quanto quelli ,
in cui la fantasia prevale all'intelletto, hanno tulli dinanzi al poela una
medesima disposizione. Se il popolo porge orecchio alle finzioni noe. tiche ,
quasi come a cose vere, i sapienti le riguardano come simboli della verità e
quasi come leggiadri sogni della filosofia , e in questo loro dolce ricreamento
sdegnano ogni austerilà e fino l'apparenza delle faticose forme filoso . fiche
. Perciò è palese che il poeta rivolge sem . pre le parole ad vomini, i quali,
sieno di qual sivoglia condizione , amano che la mente loro şia condotta ad
operare senza fatica . Da que. sto si ricava che ogni specie di carattere poe
tico dovrà avere sempre la prerogativa di schivare, come dicemmo di sopra, le
idee che tengono in falica l'intelletto, e rappresentare quelle , che vestile
di forme sensibili, eserci. citano la imaginativa. Non sarà dunque diviso in
ispecie questo genere per rispelto della diversità degl'intel letti , ma della
condizione del poeta o delle persone che introduce a parlare, e delle varie
cose , che ei ſa subbietto del canto. Ma, prima di entrare in questo proposito
, parni che sia da togliere una falsa opinione circa la natura della poesia.
Sono alcuni i quali avvisano che 115 ma il l'essenza di lei consista nel metro,
e fra que sti è il Melaslasio , il quale nella sua esposi zione della Poetica
d'Aristotele sostiene che la lavella metrica, per essere l'istrumenlo con che
l'imitazione si fa , ne forma l'essenza . Ma io domanderei voleplieri a coloro
che cosi la pensano , qual nome vorrebbono dare all'Eneide tradolla in favella
sciolta dal metro? Le daranno per avventura nome di prosa? L’espressione
“prosa” altro non segna che discorso senza metro, e per ciò verranno a dire
solamente che quell'illustre racconto è fatto sce. mo di quella sola qualità,
di che grandemente si diletta l'orecchio, ma non già di tutte le altre, che
stabiliscono la natura dei discorsi composti a fine di diletto. Dal che appare
manifesto che un altro general nome è bisogno per distinguere i discorsi
composti per dilettare. E quale è a ciò più accomodalo vocabolo che quello di
poesia? L’espressione “poeta”, secondo sua origine , significa facilore o
vogliam dire fabbricatore; e perciò poesia sonerà lo stesso che fabbricazione o
finzione, e tali sono di necessità quasi tutti i discorsi, che si compongono a
fine di dilellare, essendo che il nudo vero non è dilettevole sempre e in ogni
sua parle: perciò Varchi dice nell'Erco laro, che il verso non è quello che
faccia principalmente il poeta; e che Boccaccio talvolla più poeta si mostra in
una delle sue Novelle, che in tutta la Teseide. Ed Orazio afferma che a
distinguere la poesia da ciò che essa non è, basta disgiungerne le membra, cioè
loglierle il metro, e allora si vede manifestamente che il carattere non le si
toglie. Conchiudiamo pertanto, che il metro induce diſſerenza di specie ma non
determina la natura del genere; e stabiliamo che a tutti i discorsi che hanno per fine il dilettare con metro o
senza , si conviene il nome di “poesia”. Ora veniamo alle specie. Talvolta il poeta
rappresenta la persona d'uomo, che cantando, dice laudi degli Dei e degli Eroi;
talvolta quella , ch'esprime i moti dell'allegrezza, dell'affanno o dell’amore,
o solamente gli scherzevoli con cetli. Le poesie di questa maniera solevano
dagli antichi essere cantate sulla “lira,” e perciò presero il pome di “lirica”,
e tuttora il conservano. Varie essendo le passioni e le cose che esprimere si
possono dal conversatore lirico, interviene che ancora il canto si divide in
varie specie, che tutte poi si riducono a tre, come nel carattere persuasivo:
cioè al sublime, al mediocre ed al tenue. Ciascuno di questi canti ha qualità
sue proprie. Magnificenza e gravità di mod , di sentenze e di arinonia , e
splendore d'illustri parole e di concetti fantastici convengono a chi celebra
le laudi degli Dei e degli Eroi, ed esprime alte e generose passioni: più tenui
maniere e parole e più soave armonia a chi esprime gli affelli meno gravi e
canta di subbielli meno nobili: quegli poi , che dice i mili affetti o gli
scherzi o le umili cose, avrà nelle sue parole piacevolezza e semplicità da
ogni fasto lontana, ed armonia soave e varia , ma sempre tenue. Alla detta
varietà d'armonie, mirabilmente poi servono i metri, alcuni de' quali portano
secofl'umiltà , altri la mediocrità , altri l'allezza dell'armonia. Sono molti
esempi di questa varietà in Petrarca, Si ponga mente ai modi, al metro, al
ritmo delle due canzoni d'amore , una delle quali comincia, Chiure, fresche e
dolci ucque; e l'altra, Di pensiero in pensier, di monte in monte; e si vedrà
la prima essere in tutte le sue parti piena di soavità, di gentilezza e di grazia,
e l'allra di robustezza e di gravità. Talvolta il poeta narra gl ' illustri
ſalli ; tal volla i mediocri; e talvolta i piacevoli: indi si generano i poemi
epici, i romanzi , i poemi burleschi e le novelle. Talvolta poi introduce a
parlare o le persone illustri o le mediocri o le umili , e quindi provengono le
tragedie, le commedie , le egloghe pastorali e le pisca torie . Ognuna di
queste specie, siccome è pa lese , ha modi ed armonia convenevole alla maleria
ed alla condizione delle persone. Perciò è che il poeta , specialmente nella
tragedia, nella commedia e nell' egloga, ove se medesimo nasconde introducendo
altri a par lare, dee rendere alquanto umili i modi, l'ar monia di guisa , che
lo spettatore , ascollando le tragiche persone o le coniche, abbia a dire :
così parlerebbero gli uomini di questa o di quella condizione, se loro naturale
favella fos sero i versi . Giovi questo generale avverli mento , perciocchè non
si possono mostrare i certi limili, fra i quali dee slarsi ciascuna spe 118 rie
. Tutte hanno nell'intero loro corpo faltezze particolari , alle quali colui
che ben vede di stintamente le raffigura : pure a quando a quando or questa or
quella viene a parteci. pare dell ' altrui colore di guisa , che l'epico nelle
forti passioni innalza le parole e i modi al pari del cantore degl'inni; e il
più sublime lirico parra alcuna volla , siccome fa l'epico. Lo stesso
interviene delle allre specie , fra le quali per fino la commedia talora si
leva a gareggiare colla Tragedia , e la tragedia al dire l'Orazio , spesso , si
duole con sermone pe destre. Nelle opere dell'arle, siccome in quelle dels la
nalura, si scorge infinita diversilà , ma per questa spesso non è tolto che moltissimi
indi vidui della medesima specie , sebbene molto dissimili, non sieno
egualmente belli e prege voli. Questo vedesi manifestamente per le la vole
colorite da' celebri dipinlori, de'quali uno essendo il fine, cioè quello
dell'imitare la bella natura, non in tutti una apparisce la sembianza del loro
dipingere. Raffaello, Correggio, Domenichino, Caraccio, Tiziano e Paolo, i
quali cerlo non mancano nelle regole invaria bili dell'arte , sono fra loro
assai differenti. Tutti mostrano invenzione lodevole e lodevole composizione,
belle forme , ben disposto colo. rito e conveniente a ciascuna cosa: tutti esprimono
i costumi e gli affelli, ma ciascuno d'essi ſa delle predette e di altre virtù
una cotale mislura, che siamo condolti a dire che nessu. 1 Til no di loro ha la
maniera dell'altro, comechè Tulli sieno eccellenti. Questa, che i pillori chia
mano maniera, è similmente comune a' filosofi, agli oratori, agli storici ed
a'poeli. Quanti scriltori sono tenuli meritevoli di pari commendazione, sebbene
tale fra loro sia la diſſerenza, che spesso ciascuno solamente a sè me, desinio
ed a nessun altro assomiglia ? La rinsposizione dell'ingegno e delle affezioni
dela l'animo, che in ciascun uomo è diversa, è cagione che le dette maniere sieno
di numero pressochè infinito. Alcuno de' famosi scriitori ha il pregio della
perspicuità, alcuno della eleganza, allri della grazia, altri dell'aculezza.
Questi è grave e maestoso: quegli delicato e molle: chi è breve e robusto: chi
copioso , chi úrbano e chi veemente: ma tali poi sono tutti, che, se alcuno di
noi desiderasse di ottener gloria di ottimo scrillore, sarebbe incerto a quale
di loro volesse essere somigliante. L'accennata maniera particolare, per la
quale ciascuno scrittore è distinto dagli altri, si è quella che gli antichi
chiamarono “stile” (cf. Tannen, Conversational style), prendendo questa voce
dall'istrumento che per iscrivere adoperavano. La stessa parola “stile”, presa
più largamente che non fanno i filosofi, segna comunemente il carattere in
genere o in ispecie : ma è palese che, filosoficamente parlando, si è bene
d'usarla nel senso leste dichiarato. Ond'è che assai propriamente diremo in
generale, carattere filosofico, caruilere persuasivo o poetico; ed in ispecie
carattere oralorio, lirico, epico, tragico, sublime, medi cre e tenue : e stile
di Demostene, di Cicerone, di Ortensio, di Omero, di Virgilio: percioc chè nei
primi fu il solo carattere persuasivo, negli altri il poelico; ma in ciascuno
ebbe una particolare maniera, che modificando il carattere, l’essere suo non
gli tolse. E chi volesse invesligare le cagioni da che proceda colale maniera,
che stile si appella, vedrebbe ch'elle sono le qualità dell'intellello, della
fantasia di ciascuno scrillore, e le qualità degli affetti, a cui egli ha l'
animo disposto : laonde volendo dare alcuna definizione dello stile, paroi che
far si potesse nel modo seguente. Lo stile si è il carattere modificato secondo
le qualità dell'intellelto , della fantasia e degli affelli dello scrittore. Parliamo
sommeramente del modo di acquistare la qualita necessaria a conversare
civilmente. Ora che abbiamo poluto conoscere che cosa sia lo stile , non sarà
indarno l'investigare co me si possa acquistare forza, grazia e vaghezza nello
scrivere ; e che è quanto dire come si possa formare lo stile convenevole e
pulito. Se lo stile si genera per la qualilà dell ' in tellelto , della
fantasia e degli affetti dello scrit tore, vera cosa è che, a formarlo
convenevole e pulito , bisognerà rendere perfette le mento vate tre cagioni il
più che si può. L'uomo nasce fornilo dell'intelletto, cioè della facollâ di
sentire, di percepire , di alten. dere, di paragonare, di giudicare, di
astrarre, di ricordarsi, di imaginare , ma d'uopo è che queste lacollà vengano
poscia diriltamente usate ed esercitale, onde sia generala quella virtù
pressochè divina , che si appella la ragione, la quale consiste nell'abito di .
paragonare in sieme i sentimenti distinti dell'anima e le idee, di derivar dai
falli pariicolari le nozioni gene. rali ; di anteporre o posporre le une alle
altre, di congiungerie o di separarle, secondo la con venienza o disconvenienza
loro , e secondo i loro gradi di più o di meno. A formare que sl’abito , sarà
bisogno di studiare le opere de' filosoti, che trattano soltilmente delle cose
na lurali, delle proprietà dell'intelletto e del cuore umano ; di apprendere l
' istoria , senza la co gnizion della quale, al dire di Cicerone, l'uo mo si
rimane sempre fanciullo ; di osservare la nalura , di pralicare fra le diverse
condi. zioni degli uomini , e di operare ne privati negozii e ne' pubblici . Ad
arriccbire l'imagi. nativa, la quale è l'abito di recare all'animo la
reminiscenza delle qualità sensibili che più ci muovono e dilellano ; di
congiugnere insie me con verisimiglianza quelle , che sono di. sgiunte in
nalura , e di significare per siinili tudine delle cose corporee i concelli
astralli, non solo metterà bene di leggere gl'inventori di nuove e vaghe
fantasie , ina di por menle a tutto ciò che ai sensi porge diletlo , sia nelle
azioni degli uomini e degli anigali sia nel l’esteriore aspelto e movimento
delle cose inanimate ; e soprattullo gioverà di ben con siderare le somiglianze
che fanno fra loro le cose di qualsivoglia genere e specie ; chè que sto si è
il fonte , dal quale si derivano le vuo ve e maravigliose metafore. Di molla
ulilità sarà poi all'intellelto ed all'immaginativa lo sludio de' precelli
dell'arte oratoria e della poetica, i quali, essendo il compendio di quanto ove
i filosofi hanno osservato intorno le cagioni, onde piacciono e dispiacciono le
opere degli scrillori, apportano quella luce, che un uomo solo nel breve spazio
della vila studierebbe indarno di procacciarsi colla sola virtù del proprio
ingegno. Vuolsi però sull'osservanza de'precelli avvertire ciò che nell'arle
poetica osserva Zanotti; cioè che le cagioni del piacere e del dispiacere
trovate da’ filosofi, essendo cagioni universali ed indeterminale, mostrano
bensi i luoghi , non vogliono che si ecceda o si manchi, ma non prescrivono poi
a qual segno si debba giugnere o rimanere , per non ecce dere o non mancare;
ond' è che, a fare buon uso del precello , è bisogno di quella discre. zione ,
che si acquista con lungo sludio e fatica . Rispetto agli affelli, io mi penso
che, sel) bene sieno da natura, pure a conciliarli in al trui grande aiuto si
possa trarre dall'arte . Se l'amore, l'odio, l'ira, la mansuetudine , la
misericordia ed allre affezioni dell'animo na. scono da cagioni determinale,
come per eseni. pio l'amore da bellezza e da virtù, l’odio da male qualità del
corpo o dell'animo altrui, non v'ha dubbio che gli aſſelti medesimi si deb bono
in chi legge risvegliare per virtù della viva' rappresentazione di quelle
cagioni : dal che si raccoglie che lo scrittore, considerando le varie
disposizioni degli uomini passionali, e le cagioni, per le quali la passione si
genera, avrà materia onde gli animi perlurbare. Cosi per aiuto dell'arte verrà
ad operare in altrui quell'eſello, che imperſellamente avrebbe operalo mercè
della sola naturale sua disposi. zione. Da quanto è dello apparisce che la
scienza avvalora l'intellelto e l'immaginativa , ed aiuta a muovere gli affetti,
e che perciò ella si è il fonte dello scrivere rettamente. La scienza poi è
generala negli umani intellelli da due cagioni: queste sono: la naturale
disposizione delle organo corporale e l'azione delle cose esterne sopra di esso;
sì falte ca. gioni sono di necessità diverse in ciascuno ; perocchè non è da
credere che si possano tro vare due corpi nella stessa maniera conforma li ; ed
è poi certamente impossibile che uno riceva dalle cose esterne nell'animo le
mede sime impressioni che un altro. Per la qual cosa avviene che diversa in
ciascuno si generi la scienza , e quindi diversa la forza dell'in gegno e
dell'imaginaliya, diversa la qualilà degli affetti, e per conseguente anche lo
stile, che da queste procede, deve riuscire diverso . Dal che si vede che
imprendono opera dispe rala coloro, che si affaticano ad imitare lo stile
d'altri. E alcuni pur sono che andando passo passo sull' orme di Dante, del
Petrarca o del Boccaccio , avvisano alla costoro gloria di per venire ; ma le
opere loro per verità , in fuori di un poco di pulita buccia, niun sugo hanno.
Che cosa dovremo dunque apprendere dagli scrittori ? Rispondo che si vuole
apprendere la lingua e i modi acconci ad esprimere chia ramente, ornatamente e
convenevolmente i no stri concelli. Da questo scrillore ci sludieremo di
procacciare una cosa , da quello un'altra , a seguileremo sempre la nostra
natura , secondo l'esempio di Dante, il quale lasciò scritto di sè : lo mi son
un che, quando amore spira , nolo, ed a quel modo che delta dentro, vo
significando. Che se allrove disse a Virgilio: Tu se' lo mio maestro e lo mio
autore, Tu se' solo colui , da cui io loisi Lo bello stile, che mi ha fallo
onore, non intese già d'avere tolto al maestro la ma niera propria di quel
poeta , ma sibbene la qualità , onde il carattere poetico é differente dal
filosofico e dal persuasivo. E chi è che pon senta la differenza che è dallo stile
di Dante a quello di Virgilio? Rimane per ultimo a dire degli autori , che
coloro che amano di scrivere nell'italiana favella , devono scegliere a maestri.
Nulla dirò dello studio della lingua greca e della latina, perciocchè essendo
notissimo che nell'una e nell'altra scrissero coloro, che insegnarono a tutto
il mondo, e che questa nostra da quelle procede, ciascuno conosce di per sé
quanta ulilità trarre se ne possa. Mi ristringerò dunque a fare alcuna parola
de' solo il conversatore italiano, che agli altri si devono preporre. E prima è
a sapere che nel secolo XIV alcuni prosatori ed alcuni poeti diedero al volgar
nostro tanta proprietà e grazia, che nessuno ha poi polulo eguagliarli: che nel
secolo XV questo volgare ſu quasi abbandonalo per soverchio amore della lingua
latina e per pusillanimità degli uomini d’Italia : che nel secolo XVI ſu dal
Fortunio e dal Bembo ridollo a regole deter. minate ; e da molti ſu nobilmente
adoperato in varii generi di scritture : che nel secolo XVII fu da talupo acconciamente
impiegato ed ar ricchito di voci perlinenti alle scienze , fu da alcun altro
scrillo con eleganza, ma venne da moltissimi in parte corrotto e rivolto in
vanilà di falsi concelli: che nel XVIII finalmente ſu da pochi bene usato , e
da moltissimi con pa role e modi forestieri vituperato . Tale essendo stata la
fortuna di questa bellissima lingua, chi potrà dubitare che oggi non sia a noi
sa lutevole il consiglio, che ci porgono gli uomini sapienli , cioè quello di studiare
agli antichi esemplari? Se nel buon secolo della lingua la lina si stimava
essere opera di gran probllo ai giovani il molto leggere gli antichi scrittori
del Lazio, quanto maggiormente non si dee credere che lo studiare i nostri sia
per giovare a noi, che viviamo in un secolo , ove gl'ita liani, pressoché tutti
, più delle cose forestiere che delle proprie dilettandosi, scrivono sì, che
punto non pare alle loro scritture che sieno stali allevati in Italia?
Verissimo si ė (anche parlando delle arti) quello che dicono i politi ci, cioè
che qualvolta le cose sieno pervenule a corruzione, bisogna richiamarle ai loro
principii. Questa sentenza dovrebbe essere dinanzi all'animo di tutti coloro,
che amano il profitto de' giovani nelle lettere umane ; pure sono al cuni cbe ,
deridendo coloro che studiano i lesti della lingua, dicono essere sciocchezza
il darsi tanto pensiero delle parole ogni qualvolta si 1centisti , abbia cura
dei concelli ; come se il recare alla mente altrui i nostri concelli non
dipenda dalla virtù di ben accoviodate parole. Colali persone, avendo posla
loro usanza o ne' soli domestici negozii o in alcuna scienza o arte, nè mai
data opera allo studio della lingua, vilipendono ciò che non conoscono, e
perciò, non avendo au. torità , non meritano alcuna risposta. Tutti gli uomini
di mente discreta non si maraviglie ranno, se qui vengono consigliati i
giovanetti a studiare prima nelle opere de’ trecentisti, ne’ quali è dovizia di
vocaboli proprii e di forme gentili, e chiarezza e semplicità e urba nità e
maravigliosa dolcezza , ed a riserbare agli anni loro più maturi lo studio dei
cinque che scrissero eloquentemenle di cose gravi e magnifiche. Ma per
avventura alcuno dirà: non dobbia. ino noi essere intesi dagli uomini del
nostro secolo e cercare di piacer loro seguendo l'usanza? Perchè dunque vorremo
che la gioventù studii ancora quelle opere, ove si trovano, ol tre le voci ed i
modi, che sono fuor d'uso, e barbarismi e pleonasmi e solecismi ed equivocazioni,
e talvolta negligenza e stranezza nel costrutti? Perchè non vorremo
consigliarla piullosto a leggere i soli scrillori del cinquecento, i quali
seguitando le regole grammati. cali dettate dal Fortunio e da Bembo, non solo
scrissero correttamente, ma trattarono eloquen temente di varie ed importanti
materie? A queste obbiezioni risponderemo che si dee se guire l'usanza, del buon
conversatore, l'usanza del volgo; che non si vuole negare che in molle opere
del trecento non si trovino ma non fra la copia delle maniere proprie, nobili e
graziose, varii difelli; ma che per questo non ci rimarremo da consigliare la
gioventù di avere sempre caro sopra tutti quel secolo beato, e di leggere per
tempo i suoi eccellenti scrittori, poichè ci teniamo certi che quanto è difficile
il rendersi famigliari e domestiche le maniere native e gentili, altrettanto è
facile di perdere l’abito di peccare contro la grammatica e contro l’uso. La
predetta virtù non si può acquistare se non con lungo esercizio : il diſello si
può togliere assai agevolmente dopo lo studio della grammatica, e dopoche per
la filosofia e per la erudizione ci verrà dato di ben conoscere il valore delle
parole e di ben distinguere la lingua nobile dalla plebea, e le maniere, che
per vecchiezza ban no perduta la grazia e la forza pativa, da quel le che sono
ancora belle ed efficaci. Quanto allo studio de'cinquecentisti, non du bitiamo
che ei sia per essere ulilissimo, essen do che molli eccellenti scrittori di
quel tempo adoperarono la lingua, che appresero da Alighieri, da Boccacio, da Petrarca
e dagli altri tre centisti , emulando mirabilmente i romani in molli generi di
scrilture: ma teniamo per ſermo che convenga alla gioventù di avvezzarsi al
candore ed alla semplicità del trecento prima di cercare lo splendore, la ma
gnificenza, la copia e l'altezza de' pensieri nei cinquecentisti. Perciocché
lulti coloro, che sfor zano di parere magnifici e splendidi primaché dalla
filosofia sieno ſalli ricchi di cognizioni, fanno l'orazione loro bella nella
buccia, una nell'intrinseco vana e puerile. Non potendo i giovanelli esprimere
con verila se non quei pensieri e quegli allelli, che sono proprii del la
tenera età , troveranno assai comodale al bi sogno le parole ed i modi usati
da'trecentisti, la più parte de'quali, come que' che vissero nell'infanzia
dell'italico sapere, scrissero di tenui materie. Verrà poi quel tempo maturo,
in che a'giovani farà mestiero di alzare a'gravi concelli lo stile, ed allora
apprenderanno da Guicciardini gravità e nerbo; dal Segretario fiorentino
sobrietà ed evidenza; dal Caro copia, efficacia e gentilezza; dal Casa
splendore e magnificenza ; dal Galileo ordine e precisione; d’Ariosto e da Tasso
i pregi lulli, ond' ė divina la poesia. Ma allo studio di quesli e degli altri
molli, che fecero glorioso il secolo di papa Leone, non avranno l'animo ben di
. sposto se non coloro, cui prima sarà piaciuto di allingere ai puri fonti del
trecento, da'quali derivarono i sopraddetli abbondantissimi fiumi. Questo, o
Giovani, è quanto ho stimato op portuno di porvi dinanzi per indirizzarvi nel
cammino delle lettere, alle quali inolti vanno per vie distorte e per lo contrario.
Vi ho mo strato quali sieno gli elementi della Elocuzio ne; come nel
contemperarli secondo le leggi del decoro si loronino i varii caratteri; e
final. mente come lo stile proceda da naturale di sposizione e come col sapere
si perfezioni. Darò fine coll'avvertirvi, se vero è che la scienza e l'esempio
fanno l'arte, è vero altresì che arte senza uso poco giova: onde, se dallo
stile cercate onore, vi sarà bisogno di neditare mollo, di leggere molto e di
scrivere mollissimo. Grice: “It may be said that my transcendental Kantian approach
to cooperative rational conversation is a response to Costa’s totally
empiricist (or ‘sensista’ as he prefers) invocations of ‘chiarezza’ (my
imperative of conversational clarity), and brevita, eleganza, and all the
categories that inform the maxims. Paolo Costa. Keywords: la teoria sensista
della communicazione – idea dei chi proferisce la proposizione “Me diletta
l’odore di questa rosa piu del colore”, cooperiamo, e la risponsa di nostre
anime e “Contrariamente, a me mi diletta il colore di questa rosa piu
dell’odore” -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Costa” – The Swimming-Pool
Library.
Costanzi (Pozzuolo Umbro).
Filosofo. Grice: “I like Costanzi; possibly my favourite of his essays is the
one on ‘amore’ and ‘morte’ – eros and Thanatos for the Oxonian!” Si laurea a Bologna.
Ensegna a Bologna. Altre opere: “Pensiero ed essere” (Perrella, Roma);
“Varisco: l’uno e i molti” (Perrella, Roma); “Noluntas” (Perrella, Roma); “Schopenhauer”
(Roma); “L'asceta moderno” – L’asceta -- Arte e storia, Roma; Spinoza,
Universitas, Roma); “Il sentito in Platone” -- Arte e storia, Roma); “L'ascetica
di Heidegger” Arte e storia, Roma); “L'ascesi di coscienza e l'argomento
d’Aosta”, Arte e storia, Roma); “Meditazioni inattuali sull'essere e il senso
della vita” Arte e storia, Roma); “La terrenità edenica del Cristianesimo e la
contaminazione spiritualistica” (Patron, Bologna); “La donna angelicata e il
senso della femminilità nel Cristianesimo” (Patron, Bologna); “La filosofia
pura, Alfa, Bologna); “Il senso della storia, Alfa, Bologna); “Sul prologo di
Zarathustra (Nietzsche e Schopenhauer) con trad. dello stesso Prologo, in
Ethica; “L'etica nelle sue condizioni necessarie, Ed.ni di Ethica, Bologna); “L'estetica
pia, Patron, Bologna); “L'ora della filosofia, R. Patron, Bologna); “L'uomo
come disgrazia e Dio come fortuna” (Alfa, Bologna; “La critica disvelatrice” (Ed.ne dell'Istituto
di Filosofia dell'Bologna, Bologna); “Amore e morte” (L. Parma, Bologna); “La singolarità
della diada: compimento di un itinerario senza vie” (Cooperativa libraria universitaria
editrice, Bologna); “L'equivoco della filosofia cristiana e il cristianesimo-filosofia”
(Clueb, Bologna; e ragioni della miscredenza e quelle cristiane della fede,
Clueb, Bologna); “La fede sapiente e il Cristo storico” (Sala francescana di
cultura Antonio Giorgi, Assisi); “La rivelazione filosofica” (Sala francescana
di culturaAntonio Giorgi, Assisii); Il Cristianesimo: filosofia come tradizione
di realtà” (Sala francescana di cultura, Assisi); “Breviloquio della sera” (Sala
francescana di culturaAntonio Giorgi, Assisi); “L’immagine sacra” (Sala francescana
di cultura, Assisi); “L'identità del Lumen publicum nelle privatezze di Anselmo
e Tommaso” (Il Cristianesimo-filosofia, Le Lettere, Roma); Opere, E. Mirri e M.
Moschini, Bompiani, Milano). Sgarbi torna a Tuoro per presentare l'opera omnia
del filosofo Teodorico Moretti-Costanzi, "UmbriaLeft. Il filosofo imagliato dal Sessantotto,
"il Giornale"Dizionario Biografico degli Italiani. Teodorico Moretti
Costanzi. Keywords: l’essere, il sentito, ascesi (verbo?), Zarathustra, il
singolo della diada, l’uno e i molti, nolere, nolitum, volitum, amore/morte,
eros/tanatos, immagine sacra, imaginatum, essere, un essere, due esseri, le due
esseri entrambi – rivelazione – la rivelazione filosofica – a new discourse on
metaphysics: from genesis to revelations – un nuovo discorso di metafisica: del
genesi alle rivelazione. – Zarathustra e cristita -- nollere in Schopenhauer --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Costanzi” – The Swimming-Pool Library.
Courmayeur (Torino).
Filosofo. Grice: “The most interesting thing about Courmayeur’s philosophy is
that he is a count; unlike Locke, or the common-or-garden English Oxonian
philosopher who doesn’t have a dime, this one has, as the Italians say, ‘all
the money in the world’! That helps with philosophy! His forte is moral
philosophy AND HEGEL, which proves that Hegel becomes the taste of aristocrats
and not just dons like Bosanquet!” - Dall'antica famiglia valdostana dei Passerin
d'Entrèves et Courmayeur. Ottenuta la maturità classica al Massimo d'Azeglio di
Torino, si laurea con Solari con “Hegel” (Torino, Gobetti). Studia sotto
Ruffini e Einaudi la filosofia politica del medio evo e il concetto di costituzione.
Insegna a Torino. Fu capitano di complemento degli Alpini e membro del CLN, dal
quale venne nominato, primo prefetto di Aosta. Fu all'origine dello statuto
della regione autonoma Valle d'Aosta.
Fra le sue opere più note, Il concetto dello stato, è considerata da
molti la sintesi del suo pensiero storico-filosofico. Oltre che filosofo del diritto e storico del
pensiero politico, viene considerato il fondatore della filosofia politica
italiana come disciplina a sé stante, finalmente distinta dalla filosofia dello
stato. Paradossalmente ciò avviene proprio col saggio, “Il concetto dello
stato”. Ben diversamente dall'ordinamento tematico della “Staatslehre” come
pure dall'ordinamento cronologico per filosofi in uso nella filosofia politica,
ordina la filosofia politica secondo uno schema concettuale schiettamente
filosofico: "il concetto di forza – forzare ", "il concetto di
potere" (il verbo ‘potere’); "il concetto di autorità – auctoritas
--". Il concetto di faccia dello stato, secondo una scala di qualificazione
crescente. Il concetto di "forza" (il forzare) e qualificato di un
imperativo, un mando o commando efficace. Il concetto di "potere"
(potere del giurato) contiene il concetto di forza (il forzare – come un mando
o imperativo efficace), ma organizzato in una istituzione e qualificato dal
‘giurato’. Finalmente la terza faccia, il concetto di "autorità" come
contenendo la second faccia del potere del giurato, qualificato da una concetto
di legge variable: la promozione del giurato, la promozione del bene comune (la
res publica), o la promozione della piccolo patria. Altre opere: Il concetto
dello stato (Torino: Giappichelli); “La Valle d'Aosta, Bologna: Boni); “La
filosofia della politica, Torino: UTET); “Filosofia politica nel medio evo
italiano” (Torino: G. Giappichelli); “La filosofia politica d’Alighieri”
(Einaudi, Torino); “Morale, diritto ed economia, Pavia: Libreria Internazionale
F.lli Treves); “Morale, Roma: Athenaeum); “Appunti di storia delle dottrine
politiche: la filosofia politica medioevale, Torino: Giappichelli); “Il concetto dello stato in Zwingli", in
Filosofia del diritto, Roma); La teoria del diritto e della politica in
Inghilterra all'inizio dell'età moderna, Torino: Istituto giuridico della R.
Università); “Obbedienza e resistenza” (Roma/Ivrea, Edizioni di Comunità). La
piccola patria, Milano: Franco Angeli); Obbligazione Politica, Pensa
Multimedia. Dizionario biografico degli
italiani. Biblioteca civica Passerin d'Entrèves. Grice: “It’s only natural that
Courmayeur had such an intricate concept of ‘state’ – he was born in a
minority, like Russell, who was born in a place which some called England, some
called Wales. The situation is so borderline that it reminded me of my
ancestors, the Ingvaeonic – and see all the problem the Frisians are having in
Germany! Now they do recognise the ‘anglo-frisiche’ – but hardly allow them to
vote!” “It is not clear how the collectivity has any bearing on the third state
of ‘state’ – the ‘auctoritas’ – but then perhaps ‘auctoritas’ is the wrong
concept, since it just means ‘author’ – Courmayeur is making the point that all
authority is legitimate authority. “You have no authority” means ‘you have no legitimate power’ – and you have no power,
means you have no legal force, and you have no force means you cannot command!”
As Courmayeur would say: it’s all different in valaestan, the vernacular of
Aosta, which hardly has the same status as Italian (since giuridically Aosta
belongs to Italy) or French (since French is the official language, along with
Italian). But don’t ask that imperialist Crystal for an answer!” Alexandre
Passerin d'Entrèves et Courmayeur. Alessandro Passerin d’Entrèves et
Courmayeur. Courmayeur. Keywords: piccolo patria, il concetto dello stato,
filosofia politica versus staatslehre, prima faccia: il forzare come imperativo
efficace; seconda faccia: il potere come il forzare organizzato in una
istituzione e qualificato dal giurato; la terza e ultima faccia: l’autorita,
come il potere qualificator da una legge centrata in un concetto ideale
variabile: il giurato, il bene comune (res publica), la piccolo patria. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Courmayeur” – The Swimming-Pool Library.
COTRONEO
(Campo
Calabro). Filosofo. Si laurea Messina sotto Volpe con “L’implicatura di Kierkegaard”.
Ensegna a Messina. “Scritti”. “Lo storicismo di Cotroneo”. Altre opere: “Bodin
teorico della storia” (Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane); “Croce e
l'Illuminismo” (Napoli, Giannini); “I trattatisti dell'arte storica” (Napoli, Giannini);
“Storicismo antico e moderno” (Roma, Bulzoni); “Rareta e storia” (Napoli,
Guida); “Societa chiusa, società aperta” (Messina, Armando Siciliano Editore);
“La ragione della libertà” (Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane); “Trittico
siciliano: Scinà, Castiglia, Menza” (Roma, Cadmo); “Momenti della filosofia
italiana” (Napoli, Morano); “Questione post-crociane” (Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane); “Tra filosofia e politica” (Soveria Mannelli,
Rubbettino); “Le idee del tempo. L'etica. La bioetica. I diritti. La pace,
Soveria Mannelli, Rubbettino); “Un viandante della complessità. Morin filosofo
a Messina, Annamaria Anselmo, Messina, Armando Siciliano Editore); “Croce e
altri ancora, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Etica ed economica” (Messina,
Armando Siciliano Editore); “La virtù” (Soveria Mannelli, Rubbettino); “Croce
filosofo italiano, Firenze, Le Lettere); “Illuminismo, Napoli, La scuola di Pitagora);
“Libertà” (Napoli, La scuola di Pitagora); “Storia della filosofia, Napoli, La
scuola di Pitagora); “Positivismo, Napoli, La scuola di Pitagora); “Filosofia
della storia, Napoli, La scuola di Pitagora); “Rinascimento, Napoli, La scuola
di Pitagora); “Aristotele e Perelman, Retorica vecchia e nuova” introduzione
(Napoli, Il Tripode); La retorica di Aristotele, retorica antica, Perelman, Itinerari
dell'idealismo italiano, Napoli, Giannini, Raffaello Franchini, Teoria della
pre-visione” (Messina, Armando Siciliano Editore, Croce, La religione della
libertà. Antologia degli scritti politici, Soveria Mannelli, Rubbettino, Il
diritto alla filosofia, Atti del Seminario di studi su Raffaello Franchini” (Soveria
Mannelli, Rubbettino); “Croce filosofo, Atti del Convegno di studi, Napoli-Messina”
(Soveria Mannelli, Rubbettino); La Fenomenologia dello spirito” (Napoli,
Bibliopolis); Cavour, Discorsi su Stato e Chiesa” (Soveria Mannelli, Rubbettino,
Letteratura critica Giovanni Reale, Girolamo Cotroneo , in Dario Antiseri e
Silvano Tagliagambe , Storia della filosofia, Milano, Bompiani, Lo storicismo
di Cotroneo, Soveria Mannelli, Rubbettino, Giuseppe Giordano, Tra Storia della
Filosofia e Liberalismo, in Bollettino della Società Filosofica Italiana, Roma, Carocci, Giuseppe Giordano, Rivista di
storia della filosofia, Milano, Franco Angeli, Girolamo Cotroneo, in Treccani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Girolamo Cotroneo. Keywords: retorica, retorica di
Aristotele, retorica nuova, retorica moderna, Perelman, rareta e storia, Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Cotroneo” – The Swimming-Pool Library.
COTTA (Firenze).
Filosofo. Grice: “My favourite explorations by Cotta are three: ‘per che
violenza?” – “dalla guerra alla pace: un itinerario filosofico” and a
secondary-literature study on ‘i concordati’ --- which is MY philosophy. You
see, Plato thought that the soul resided in the brain – cool as he was – but
Aristotle corrected him: it resides in the HEART – Cicero loved that and coined
‘cum-cor’ – i.e . something like my cum-operare: your hearts convene!” --
Grice: “I would say Cotta is Italy’s H. L. A. Hart, with a bonus – he wrote on
essentialism, deontic logic, and from war to peace!” Figlio di Alberto, studioso di scienze
forestali, e Maria Nicolis di Robilant. Da parte di madre è discendente diretto
di Eulero. Studia a Firenze presso l'istituto dei barnabiti La Querce. Si
laurea a Firenze. Chiamato alle armi con il grado di sottotenente, il giorno
dell'annuncio dell'armistizio, è in Friuli. Scioltosi l'esercito, scende in
barca lungo l'Adriatico per raggiungere l'Italia non ancora occupata dai
tedeschi. Ammalatosi di malaria, dopo svariate traversie decide di raggiungere
il Piemonte, dove partecipa alla guerra di resistenza come comandante di una
brigata partigiana nella VII Divisione Autonoma "Monferrato". È tra i
primi ad entrare a Torino nei giorni della liberazione. Per la sua partecipazione
alla guerra partigiana gli vengono attribuite la Medaglia di bronzo al valor
militare e la Croce di guerra. Dopo gli studi sul pensiero politico
dell'Illuminismo i suoi interessi si sono incentrati sulla filosofia
giusnaturalistica, che è stato in grado di fondere con elementi della
fenomenologia. Autore di saggi sulla visione politica di Montesquieu,
Filangieri, Aquino ed Agostino, dedicandosi in seguito a riflessioni teoriche
sul diritto e sulla politica. Insegna a Torino, Perugia, Trieste, Trento,
Firenze, Roma, e Teramo. Fu tra i componenti del comitato promotore del
referendum abrogativo della legge sul divorzio. Altre opere: “La società; “Il
concetto di ‘legge’ in Filangieri” (Torino, Giappichelli); “Il concetto di ‘legge’
in Aquino” (Torino, Giappichelli). “Il concetto di Roma come città in
Agostino”; “Filosofia e politica nell'opera di Rousseau”; “La sfida
tecnologica”; “L'uomo tolemaico” – la ferita narcissista di Galileo – “Quale
Resistenza?, Perché la violenza; “Il normato: tra il giurato e l’obbligato”; “Il
diritto nell'esistenza. Linee di ontofenomenologia giuridica”; “Dalla guerra
alla pace”; “l’uomo, la persona, il diritto umano”; “Il pensiero politico di Montesquieu,
Bari, Laterza); “L’inter-soggetivo giurato”; “I limiti della politica, “Il
sistema di valori e il diritto”; Perché il diritto Quid ius?” (Brescia, La
Scuola). Stante la concessione chirografata dall'ex re Umberto II, Cotta puo
fregiarsi del titulo nobiliare di “conte”, sia pure del tutto informalmente
stante l'instaurazione dell'ordinamento repubblicano e la XIV disposizione
finale e transitoria della Costituzione. Il conte Sergio Cotta. Keywords:
l’inter-soggetivo, il giurato, il normato. La prima ferita narcissista, Filangieri,
giurato, l’uomo galileano, l’obbligato, il normato, Latin ‘normare’ – not
recognized in Dizionario etimologico – il giurato d’entrambi – il concordato
d’entrambi – fenomenologia – Roma citta – polis, politea, res publica –
pubblico e privato -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cotta” – The
Swimming-Pool Library.
CREDARO (Sondrio).
Filosofo. Grice: “I like Credaro; it is as if he invented the universities! I
especially love the way he connects it all, in that uniquely Italian way, with
the ‘assoluto’!” Si laurea a Pavia, dove
fu convittore del Collegio Ghislieri, divenne insegnante di liceo. Wi recò a
Lipsia per perfezionarsi nella psicologia filosofica sotto Wundt. Insegna a
Pavia. Ministro della Pubblica Istruzione del Regno d'Italia nei governi Luzzatti
e Giolitti IV -- istituì il Liceo
moderno. Relatore nella presentazione della Legge che istitutiva dei Corsi di
perfezionamento, o più comunemente Scuole pedagogiche, di durata biennale, di
preparazione per l'esercizio all'ispettorato o per la direzione didattica delle
scuole. Fu l'ispiratore della legge Daneo-Credaro, che stabiliva che lo stipendio
dei maestri delle scuole elementari fosse a carico del bilancio dello Stato, e
non più dei Comuni, contribuendo così in maniera determinante all'eliminazione
dell'analfabetismo in Italia. Prima di questa legge, infatti, i comuni di
campagna e quelli più poveri, specie nel Sud, non erano in grado di istituire e
mantenere scuole elementari e pertanto rendevano di fatto inapplicata la legge
Coppino sull'obbligo scolastico. Si
interessa attivamente dei problemi agricoli e forestali di Sondrio. Autore di
numerosi saggi, in particolare sui Kant eHerbart. Commissario Generale Civile della Venezia
Tridentina, ossia la suprema autorità del Trentino-Alto Adige che sta per essere
fannesso all'Italia. In tale veste tentò una politica particolarmente
conciliante verso la minoranza di lingua tedesca e rispettosa dell'ordinamento
amministrativo de-centrato della regione. In seguito, anche a causa delle
pressioni dei nazionalisti, la sua politica nei confronti della minoranza di
lingua tedesca si fece più intransigente. Testimonianza ne è la cosiddetta Lex
Corbino,elaborata da Credaro, sull'istituzione di scuole elementari nelle nuove
province che è considerata da una parte della storiografia strumento per
potenziare la presenza italiana soprattutto nel territorio misti-lingue della
regione a danno della minoranza tedesca. Ciononostante, sube l'assalto di una
squadra d'azione fascista che lo costrinse alle dimissioni per far luogo
all'insediamento di un prefetto di Trento. Termina quindi la sua carriera
politica in disparte rispetto al regime che si andava consolidando. Altre
opere: “Lo scetticismo degli platonisti (Roma, Tip. alle Terme Diocleziane); La
libertà di volere (Milano, Tip. Bernardoni); G. F. Herbart, Torino, Paravia),
“Razionalismo trascendente in Italia” Catania, Battiato); Wundt (Milano,
Società Anonima Editrice Dante Alighieri). Andrea Di Michele,
L’italianizzazione imperfetta. L’amministrazione pubblica dell’Alto Adige tra
Italia liberale e fascismo, Alessandria, Edizioni dell’Orso, Analfabetismo, Dizionario
biografico degli italiani, Credaro un italiano d'altri tempi articolo di Sergio
Romano, Corriere della Sera, Sondrio. Se il nome di Carneade non è completamente ignorato dalle
persone colte, che non si occupano di storia della filosofia, si deve alla parte
giuridica del suo pensiero, la cui conoscenza è tratta quasi interamente da
pochi frammenti della famosa orazione (quasi-Trasimaco) *contro* il concetto
dello giusto tenuta a Roma frammenti conservati da Lattanzio, il quale li ha
presi dal trattato della repubblica di Cicerone. Questa orazione alla Trasimaco
*contro* la coerenza del concetto dello giusto – gius – giustiziato, juratum,
giurato cf. Cicero jusjuratum -- , che fa epoca nella storia della cultura del
popolo romano, non deve essere considerata solamente un episodio della vita di
Carneade, una semplice millanteria del facondo oratore, che volesse fare impressione
sugli animi dei Romani; ma il suo contenuto deve venire integrato colle altre
vedute di Carneade per cercarne il legame ed esaminarne il valore. A tale fine
bisogna anche qui muovere dallo stoicismo. L'orazione *contro* lo giurato
(Cicerone – iusiuratum) giustiziato ha qualche rapporto con esso? Si sa che
tutti e tre i filosofi ambasciatori -- Carneade accademico, Diogene stoico e
Critolao peripatetico -- durante il lungo soggiorno a Roma, sia per invito
avuto dalla cittadinanza, che in quel tempo godeva la pice decorsa tra la
battaglia di Pidna e la terza guerra punica, sia di propria iniziativa, per
desiderio di far mostra di tutta la potenza della loro parola e della loro
scienza filosofica, a beneficio eziandio della causa che patrocinavano, aprirono
un corso di conferenze (A. Gell . Noct. Att. VI, 14, 8-10. Macrob. Saturn., 5,
I , p.147-150). É probabile che tutti e tre filosofi – Carneade accademico,
Critolao peripatetico del liceo – e Diogene stoico -- abbiano scelto
l'argomento delle loro orazioni dalla filosofia pratica, come quella che interessa
vivamente i loro ospiti, tutti dati alle armi, agli affari, alla politica, all'amministrazione;
anzi e le cito supporre che ciascuno abbia esposte le idee della sua scuola –
l’accademia, il liceo, e la stoa -- intorno al “giurato” – Cicerone iusiuratum,
il principio o imperativo più importante della vita pubblica e privata. Il soggetto
del giurato – Cicerone, iusiuratum – dove soddisfare pienamente le esigenze e i
desideri dell'uditorio, poichè i romani, a ragione o a torto, si credeno gli
uomini più giusti (giuratura, iusiuraturus) e alla virtù del giurato (Cicerone
iusiuratum) attribuivano la grandezza, alla quale era pervenuta la propria
patria. In questa ipotesi lo stoico Diogene, con parola modesta e sobria, come
attesta Polibio, che ebbe opportunità di ascoltarlo, spiega ai Romani l'idealismo
morale e il cosmo-politismo della sua setta. L'anima di tutti gli uomini è
uguale; e come tutte le cose uguali si attraggono, cosi anche gli esseri
razionali; per ciò l'istinto della società è insito nella stessa ragione, la
quale insegna a ciascuno di noi che esiste una sola città , un solo stato, la
grande società umana; ciascuno si sente parte integrante di questo immenso
organismo governato da una sola legge (ius) e da un solo diritto, la retta
ragione (ius). Questa legge (ius) conforme alla natura si fa sentire in tutti,
immutabile, sempiterna, divina; invita col comando al dovere, col divieto
allontana dalla frode. È suprema, assoluta; non è lecito crearne altre
contrarie, nè abrogarla totalmente o parzialmente; non voto di popolo, non
decreto di senato possono dispensare dall'ubbidirla; nessuno ha bisogno
d'interprete per comprenderla; è la medesima in Atene e in Roma, oggi e domani
e sempre; l'inventore e il promulgatore di essa è uno solo, il maestro e il
comandante di tutti, Dio. Chi non vi obbedisce, va contro la natura e per questo
fatto solo soffrirà tutte le pene. L'uomo pensa e opera moralmente (mos:
costume) solo in quanto conformasi a questa unica legge; e poichè questa è la
medesima in tutti gli uomini, tutti debbono tendere allo stesso scopo, al bene
universale. Il uomo non deve vivere per sè, ma per l'umanità; l'interesse
personale deve essere asso lutarnente subordinato a quello umano (1) Cic. , de
fin . III , 64 ; de rep ; III, 33 ; Plut. , de comm. notit. XXXIV, 6. Zeller,
p. 285 e 8). In questo stato politico ed etico regna perfetta concordia ed
armonia. Tutti i cittadini hanno vivo il sentimento dell'ordine, coltivano la
virtù e reprimono gli appetiti irrazionali, che sono la causa dell’inimicizia e
della guerra (bellum, polemos). Sono sottomessi alla volontà divina, al fato,
alla serie universale e interminabile delle cause e degli effetti. I doveri
fondamentali sono il giurato (iusiuratum), in qua virtutis splendor est
maximus, e la benevolenza e la beneficenza.Questedue virtù sono le basi della
società civile (Cic. , de fin . III, 67). Intorno ad esse Diogene puo parlare a
lungo ai Romani, perchè nella Stoa e stato soggetto di molte dispute e di scritti.
Il suo tutore Crisippo gli aveva insegnato in proposito una dottrina propria. Tutti
gli altri esseri sono nati per il bene degli uomini e degli dei, due uomini per
formare una popolazione, una società, una comunanza, una communita, un comune;
è inerente alla natura che tra l'uomo e il genere umano, come tra parte e
tutto, interceda un diritto naturale. Colui che lo osserva è giusto (promuove
il giurato – iusiurato); ingiusto chi lo trasgredisce. Tra il diritto pubblico
e quello privato non avvi opposizione (Cic. , de fin . III, 67). Un uomo non si
trova in rapporti giuridici con una bestia, ma solo con suo simile. Affinchè si
realizzi il regno del giurato (iusiuratum) e della moralità occorre che la
perfetta ragione sia presente in tutti. La ragione invece si trova solamente
nel sapiente; si formarono quindi gli stati singoli, che tengono divisa
l'umanità. Come gli stati, così le istituzioni che li governano sono effetto di
errore e stoltezza: quali l’istituzione del matrimonio, l’istituzione della
famiglia, l’istituzione della proprietà, l’istituzione dela moneta, l’istituzione
del ribunale, l’istituzione del ginnasio (Diog. L. VII, 33 e 131). Stato
conforme alla natura umana, con istituzioni veramente buone, non esiste. Edotto
di questo idealismo politico, puo sul Campidoglio il pretore romano A. Albino,
uomo erudito e versato nella lingua greca, dire per ischerzo volgendosi a
Carneade. “A te, Carneade, non sembra io sia un pretore, nè questa una città,
nè in essa abitino cittadini). A cui Carneade, che subito capisce di essere stato
preso per il collega della Stoa. “A questo stoico non sembra cosi.” I filosofi
ateniesi non lasciano di contendere neppure in paese straniero; o certo
Carneade e stato assai lieto di osservare che al senso pratico dei romani la
dottrina de' suoi avversari si presenta come assolutamente *ridicola*; e
tornato in patria , credette il fatto degno di essere raccontato a' suoi
discepoli (L'aneddoto è ricordato da Clitomaco. Cic. , Ac. II , 137). Sogliono
gli storici narrarci che Carneade tenne a Roma *due* discorsi ispirati a scopo
opposto. Il primo giorno dimostra l'esistenza del diritto naturale e loda la
giustizia (il giurato – il iusiuratum – dike – cf. lex). Il secondo giorno
sostenne tutto il contrario; onde gridano all'immoralità, all’audacia e alla
sfacciataggine del filosofo, che non si vergognò di difendere contraddizione si
anorme. Anche non tenendo conto che, se si applicasse questo criterio , tutta
la filosofia dei accademici sarebbe un' immoralità, perchè il loro metodo e di
difendere in ogni quistione le soluziori opposte. Idue discorsi (tesi ed
antitesi, positio e contra-positio, posizione e contra-posizione), tenuti in
giorni successivi, abbiano un'unità perfetta (la sintesi, o com-posizione) e si
propongano il medesimo fine: mostrare la falsità della dottrina della tesi di
Diogene intorno al giurato; e siccome costoro in questa parte della filosofia,
molto più che in altre, sono dipendenti da Platone e da Aristotele, bisogna
prendere le mosse da questi. Leggiamo in Lattanzio. Carneades autem, ut Aristotelem
refelleret ac Platonem, justitiae patronos, prima illa disputatione collegit ea
omnia , quae pro justitia dicebantur, ut posset illa, sicut fecit, evertere. Carneades,
quoniam erant infirma, quæ a philosophis adserebantur, sumsit audaciam
refellendi, quia refelli posse intellexit (Lattanzio , Instit. div. V , 14 ; V
, 17. 2-4.). E al trove. Nec immerito extitit Carneades, homo summo ingenio et
acumine, qui refelleret istorum (Platone e Aristotele ) orationem et iustitiam,
quæ fundamentum stabile non habebat, everteret, non quia vituperandam esse
iustitiam sentiebat, sed ut illos defensores eius ostenderet nihil certi, nihil
firmi de iustitia disputare (Ibid. Epit. 55, 5-8). Di qui è evidente che la
prima orazione non era che un esordio, un'introduzione, uno sguardo storico
alla questione, un'esposizione delle idee accettate da Diogene, che Carneade
s'appresta a confutare nel vegnente giorno (Cic., de rep. III, 12);
confutazione, la quale non aveva per iscopo di vituperare la giustizia in sé,
ma di colpire i filosofi avversari, o almeno la loro teoria dommatica – il
domma.Non è la virtù stoica, che Carneade demole, ma il sapere. Su questo si dovrà
tornare più innanzi. E caso a noi pervennero frammenti solamente della seconda
orazione. Questa sola offriva una filosofia nuova, dava una scossa inaspettata
e forte all'intelligenza dei romani. Perciò eam disputationem, qua iustitia
evertitur, apud Ciceronem L. Furius recordatur (Lattanzio , Instit. dio. I.
c.). E noi ora possiamo tentare di ricostruire questo singolare di scorso nelle
sue linee generali. Per Carneade, non esiste una giustizia (giurato –
iusiurato) naturale nè verso due uomini. Se esso esistesse le medesimecose
sarebbero giurate (iusiurata) giuste o ingiuste, buone o cattive, morali o
immorali, per ogni uomo, come le cose calde e le fredde, le dolci e le amare.
Invece chi conosce il mondo e la storia, sa che regna una grandissima diversità
di apprezzamenti morali e giuridici, di consuetudini tra il popolo romano e il popolo
sabino, da Roma a Sabinia, dal Tevere al Trastevere, da tempo a tempo. I
cretesi e gli etoli reputano cosa onesta il brigantaggio. I Lacedemoni
dichiarano loro proprietà tutti i campi che potevano toccare col giavellotto. Gli
Ateniesi solevano annunciare pubblicamente che loro apparteneva ogni terra che
producesse olive e biade. I barbari galli stimano disonorevole cosa procurarsi
il frumento col lavoro, invece che colle armi. I romani vietano ai Transalpini
la coltivazione dell'ulivo e della vite, per impedire la concorrenza ai loro
prodotti e dar a questi un valore più elevato. Gli semitici egiziani, che hanno
una storia di moltissimi secoli, adorano come divinità il bue e belve di ogni
genere. I semitici Persiani, disprezzano gli dei dell'Ellade, ne incendiarono i
tempii, persuasi essere cosa illecita che gli dei, i quali hanno per abitazione
tutto il mondo, fossero rinchiusi tra pareti. Filippo il Macedone idea e
Alessandro manda ad esecuzione la guerra contro i greci per punire quei numi. I
Tauri, gli Egiziani, i barbari galli (“Norma”) e i Fenici credeno che
tornassero assai accetti alle loro deità il sacrifizio umano. Si dice: E dovere
dell'uomo che fa il giurato (iusiuratum) ubbidire alla legge. Quale legge? A la
legge di ieri, o alla legge di oggi? A quelle fatte in questo lato del Tevere,
o nel Trastevere? Se una un imperativo o una legge suprema, universale, trascendente,
kantiana, costante s'impone alla coscienza dell’uomo, come pretende Diogene,
coteste variazioni non sarebbero possibili. Perciò non esiste un diritto
naturale, nè un uomo che per natura arriva al giurato (iusiuratum). Il diritto (ius)
è una invenzione dell’uomo a scopo di utilità e didifesa; come prova anche il
fatto che non raramente la legge, le quale e fatta dal sesso maschile, assicura
a questo sesso un particolare vantaggio a danno di quello femminile. Nessuna ‘legislazione’,
attentamente esaminata, appare l'espressione di un imperative o principio
fisso, naturale, vero, immutabile, divino. Invece al profondo osservatore non
isfugge che ogni disposizione legale move da ragione di utile e viene cambiata
appena non risponde più ai bisogni e agl'interessi di coloro che hanno nelle
mani il potere. Ogni nazione cerca di provvedere al proprio bene e considera,
per istinto di natura, gli animali e le altre nazione come istrumenti della
propria conservazione e felicità (Cic., de rep . III, 12-21). La storia insegna
che ogni popolo che diventa grande, potente, ricco, non pensa ai vantaggi
altrui, ma unicamente ai proprii. Voi stessi o Romani, disse Carneade parlando
a un Scipione Emiliano, il futuro distruttore di Cartagine e di Numanzia, a
Lelio il saggio, al letterato Furio Filo, a Scevola il futuro giureconsult ,
all'erudito Sulpicio Gallo, algrande oratore Galba, al vecchio Catone,
l'implacabile nemico di Cartagine, al fiore di tutta la cittadinanza e alla
presenza dei colti ostaggi achei trasportati in Italia, tra i quali il grande
storico e generale Polibio. Voi stessi, o Romani, non vi siete impadroniti del
mondo colla giustizia. Se volete essere giusti, restituite le cose tolte agli
altri, ritornate alle vostre capanne a vivere nella povertà e nella miseria. Il
criterio direttivo della vostra vita non e il
giurato (iusiuratum), bensi l'utilità, che invano cercate di mascherara;
poichè voi, coll'intimare la guerra per mezzo di araldi, col recare *in-giurie*
sotto un pretesto di legalità, col desiderare l'altrui , col rubire, siete per
venuti al possesso di tutto il mondo. Ma per temperare il cattivo effetto, che
avesse potuto produrre negli animi dei Romani questa audace analisi dei fattori
della loro grandezza politica, l'avveduto ambasciatore ateniese ricorda altri
esempi, che sono celebri e lodati in tutto il mondo. Rammenta la ben nota
risposta data dal pirata catturato ad Alessandro il grande. Io infesto breve
tratto di mare con una sola fusta, con quel medesiino diritto, col quale tu, o
Alessandro, infesti tutto il mondo con grande esercito e flotta. Il
patriottismo, questa virtù somma e perfetta, che suole essere portata fino al
cielo colle lodi, è la negazione del giurato (iusiuratum), perchè si alimenta
della discordia seminata tra gli uomini e consiste nell'aumentare la prosperità
del proprio paese, naturalmente a danno di un altro, coll’nvadere violentemente
il territorio altrui, estendere il dominio, aumentare le gabelle. Patriotta è
colui che acquista dei beni alla patria colla distruzione di altre città e
nazioni, colma l'erario di denaro, rese più ricchi i concittadini. E, quel che
è peggio, non solo il popolo e la classe incolta, ma eziandio i filosofi
esortano e incoraggiano a commettere cotali atti ingiusti. Cosicchè alla malvagità
non manca neppure l'autorità della scienza. Ovunque regnano inganno e ingiustizia,
che invano si tentano di nascondere e legittimare. Tutti quelli che hanno
diritto di vita e di morte sul popolo sono tiranni. Ma essi preferiscono chiamarsire
per volontà divina. Quando alcuni, o per ricchezze, o per ischiatta , o per
potenza, hanno nelle mani l'amministrazione di una città, costituiscono una
setta. Ma i membri prendono il nome di “ottimato”. Se il popolo ha il
sopravvento nel maneggio dei pubblici affari, la forma di governo si chiama
libertà; ma è licenza. Ma poichè gli uomini si temono l'un l'altro, e una
classe ha paura dell'altra, interviene una specie di *patto* o contratto fra
popolo e potenti e si costituisce una forma mista di governo, dove la giustizia
è un effetto non di natura o di volontà, ma di debolezza. Ed è naturale che
cosi avvenga. Se l'uomo deve scegliere tra le seguenti condizioni: recare *in-giuria*
e non riceverne; e farne e riceverne; nè farne, nè riceverne, egli repute ottima
la prima, perchè soddisfa meglio i suoi istinti. Poscia la terza, che dona
quiete e sicurezza; ultima e più infelice la condizione di chi sia costretto ad
essere continuamente in armi, sia perchè faccia, sia perché riceva *in-giurie”.
Adunque alla Hobbes lo stato naturale dei rapporti tra uomo e uomo è la lotta
(uomo uominis lupo), la guerra, la discordia , la rapina, la violenza ,
l'inganno, in una parola, la negazione del giurato (giusgiurato). La giustizia
è una virtù che si esercita per effetto di debolezza e per proprio tornaconio.
Ma Diogene, come vedemmo, considera il giurato (iusiuratum) verso gli uomini.
Carneade dove notare che l’istituzione del tempio esiste solamente nel
l'immaginazione de' suoi avversari e dei filosofi, dai quali essi attinsero i loro
principii. Non si acquista, non si allarga potere, non si fonda regno senza le
armi, le guerre, le vittorie; le quali alla loro volta in generale
presuppongono la presa e la distruzione di città. E dalle distruzioni non vanno
immuni le oggetti addorati nei tempi, ne dalle stragi si sottragge il sacerdote
del tempio; né dalle rapine i tesori e gli arredi sacri. Quanti
trofei di divinità nemiche, quante sacre immagini, quante spoglie di tempii
resero splendidi i trionfi dei generali romani! E non sono cotesti sacrilegi?
Non sono atti di somma ingiustizia? No, innanzi al giudizio del popolo,
all'opinione della gente colta, degli storici, dei letterati, questa è gloria,
è patriottismo, è prudenza, sapienza, giustizia. Dunque la giustizia non solamente
non viene osservata in pratica, ma non esiste nep pure in fondo alla coscienza
generale dell’uomo. Anch'essa viene subordinata all'utile. Ma non s'arresta qui
la critica di Carneade. Con un esame sottile e profondo dell'antinomia esistente
tra i due concetti del ‘scitum’ e del ‘giurato’ e della natura morale dell'uomo
quale in realtà è, e quale egli si crede e vorrebbe essere, Carneade ha
chiarito un contrasto del cuore (ragione pratica) e della mente (ragione
teorica) umana, che tuttavia rimane e che ha servito di fondamento alle teorie
utilitaristiche inglesi di tempi a noi vicini. Lo ‘scitum’ – la sapienza
politica comanda al Cittadino di accrescere la potenza e la ricchezza della
patria, estenderne i confini e il dominio, renderne più intensa la vita con nuove
sorgenti di guadagni e di piaceri; e tutto questo non si può compiere senza
danno di altre genti. Il giurato (iusiuratum) invece comanda di risparmiare
tutti, di beneficare i propri simili indistintamente, restituire a ciascuno il
suo, non toccare i beni, non turbare i possedimenti altrui, non sminuire la
felicità d'alcuno. Ma se un uomo di stato vuole essere giusto, non ha mai
l'approvazione de' suoi amministrati, non gloria, non onori, i quali il popolo
attribuisce non al giusto (che promueve il giurato) e onesto e inetto; bensì al
sapiente, al prudente, all'accorto. Non per il giurato, ma per il ‘scitum’ i generali
di Roma hanno il soprannome di grandi. La violenza, la forza, la negazione
del giurato, hanno dato potere e consistenza agli stati. Ma per nascondere la
propria origine e fuggire la taccia de negare il giurato (iusiuratum), il
popolo, fatto grande e divenuto dominatore, va immaginando delle favole da
sostituire alla storia vera, come il mercante arricchito agogna un titolo di
nobiltà. Le stesse qualità, e solamente le stesse, mantengono gli stati liberi
o forti. Non ha nazione tanto stolta, la quale non preferisce il comandare con
la negazione del giurato, all'ubbidire con la promozione del giurato
(iusiuratum). La ragione di stato e la salvezza pubblica vincono e soffocano il
sentiment *dis-interessato*. Uno stato vuole vivere a prezzo di qualsiasi
negazione del giurato (iusiuratum), perchè sa che alla vittoria, con qualunque
mezzo acquistata, tien dietro la gloria. Nel concetto degli antichi, la fine
della propria nazione non sembra avvenimento naturale, come la morte di un
individuo, pel quale questa non solo è necessaria, ma talvolta anche
desiderabile. L'estinzione della patria era per essi in certo qual modo
l'estinzione di tutto il mondo. Dato questo concetto e un sentimento della
gloria diverso e molto più intenso che non sia in noi moderni, doveno in certa
guisa parere *giustificati* (giusti-ficati – fatto giurato – iusiuratum --
anche gli atti di violenza e di frode, che avevano per I scopo la conservazione
e la potenza del proprio stato; o, per meglio dire, il popolo e gl'individui
non hanno coscienza di un principio o imperativo che governa la propria vita.
Credeno, i Romani pei primi, di promovere il giurato (iusiuratum) e invece sommamente
negano il giurato (iusiuratum). Carneade fu il primo a chiarire questa opposizione
tra fatto e idea, tra sapienza machiavelica politica e il giurato (iusiuratum)
(Cic. , de fin. II , 59). Il medesimo conflitto tra il giurato e il ‘scitum’
dimostra egli esistere nella vita privata, intendendo per sapiente l'uomo che
sa difendere il proprio interesse; e giusto colui che non lede quello degli
altri. Sono suoi i seguenti esempi, tolti dalla vita giornaliera e assai chiari
e appropriati alla vita romana affogata negli affari. Un tale vuole vendere uno
schiavo, che ha l'abitudine di fuggire, o una casa insalubre. Egli solo conosce
questi difetti. Ne rende avvisato il compratore? Se si, s'acquista fama di uomo onesto, perchè non inganna,
maeziandio di stolto, per che vende a piccolo prezzo, o non vende affatto; se
no, sarà reputato sapiente, perchè fa il proprio interesse, ma malvagio, perchè
inganna. Parimenti, se egli s'incontra in uno che vende oro per oricalco, o
argento per piombo, tace per comperare a buon prezzo, o indica al venditore lo
sbaglio e sborsa di più per l'acquisto? Solamente lo stolto vorrà pagare a
maggior prezzo la merce. Se un tale, la cui morte a te recherebbe vantaggio,
sta per porsi a sedere in luogo, dove si nasconde serpe velenoso, e tu il sai,
dovrai avvertirlo del pericolo , o tacere? Se taci, sarai improbo, ma accorto; se
parli, sarai probo, ma stolto (Cic., de rep. III, 34). Dunque qui pure si
presenta la contraddizione: chi è giusto, è stolto ; chi è sapiente, è ingiusto.
Ma in questi casi si tratta di una quantità maggiore o minore di denaro e di
vantaggi più o meno rilevanti, e v'ha chi potrebbe essere contento e felice
della povertà. Ma quando andasse di mezzo la vita, il conflitto diventerebbe
più spiccato. Un tale in un naufragio, mentre è poco lontano dall'affogare,
vede un altro più debole di lui mettersi in salvo appoggiandosi a una tavola, che
vale a sostenere uno solo. Nessuno testimonio è presente. Si fa sua la tavola e
si pone in salvo, lasciundo che l'altro perisca. Oppure, se, dopo che i suoi
furono sconfitti, incontra nella fuga un ferito a cavallo, che va sottraendosi
al ferro dei nemici inseguenti, lo getterà a terra per porre se stesso in
sella, o si lasce raggiungere e uccidere. Se egli è uomo sapiente, si salva a
qualunque costo. Ma se poi antepone il morire al far morire, sarà giusto, ma
stolto. Tale è il giudizio che intorno al suo operato porteranno il uomo. Cosicchè il giure naturale, la giustizia
naturale è stoltezza. Il giure civile è sapienza politica. Tutto è lotta
d'interessi. Si ha ragione di credere che Carneade nel suo discorso *contro* il
giurato civile tocca anche la questione della schiavitù, dicendo essere un
fatto che nega il giurato (iusiudicatum) naturale, che uomo servisse a uomo --
principio che, riconosciuto vero, puo essere assai valido per far conoscere
quanto esteso fosse il dominio della negazione del giurato e dare alla sua tesi
una grande forza. E ciò si induce a credere dal vedere che in più frammenti il
difensore del giurato, ossia il suo contraddittore, viene svolgendo la tesi
opposta, perchè la schiavitù, rettamente conservata, torna a utilità del stesso
schiavo, il quale sotto un governo buono e forte vive in maggiore sicurezza e
viene meglio educato che allo stato di libertà; e come Dio comanda all'uomo,
l'anima al corpo, la ragione alle parti appetitive dell'anima, cosi il
conquistatore tiene a freno il conquistato, il quale diventa tali appunto
perchè e peggiore di quello . Un tenue indizio ci sarebbe anche per farci
credere che egli risolve il rimorso nella paura della pena, negando che fosse
un sentimento più profondo e disinteressato. Diogene obbietta che in questa ipotesi
il malvagio sarebbe semplicemente un incauto e il buono uno scaltro (Cic . de
leg. I , 40 e s.). In conclusione: per Diogene, fondamento della morale e del
diritto è l'inclinazione ad amare gli uomini e a rispettare la divinità,
inclinazione che ha radice nella natura, la quale sola offre la norma per
distinguere il giurato dalla sua assenza, il bene dal male. Per Carneade,
generatrice del diritto è l'utilità, e l'utilità sola, e ogni giudizio morale e
altrettanta opinione, la quale non deriva da un imperativo kantiano, o un
principio naturale fisso, come provano la loro varietà e il dissenso degli
uomini (Cic. , de leg. I, 42 e s). Alla teoria
giuridica di Carneade non si deve attribuire un significato di domma o dommatico,
che sarebbe in cotraddizione colle premesse teoretiche della sua filosofia. L'egoismo
e l'utilitarismo proclamato da Carneade in opposizione all'idealismo morale di
Diogene, non è una dottrina *precettiva*, alla Kant (il sollen) ma
l'investigazione e l'esposizione di un fatto psicologico e sociale – come il
principio cooperativo di Grice. Carneade non pare credere all'effetto pratico
della morale normativa e si limita ad analizzare il cuore dell’uomo, la ragione
pratica, saggezza, prudential, il quale, per la sua tendenza nativa, è assai
lontano dal realizzare il precetto dommatico stoico. Ma da filosofo prudente
s'astiene dal proporne del proprio precetto (idiosincrazia). Nota il fatto che
si presenta all'osservazione quotidiana con tutti i caratteri della
verosimiglianza più alta e sforzano a credere o ad operare; ma nè costruisce una
teoria assoluta, ne formula un domma. iusiuro: swear to a binding formula. NA
Wundt/1/IV/D/XIII/1 Estate Wilhelm
Wundt Zeitungsausschnitte 100. Geburtstag Wundt 1932. Last changed 2016-02-25
NA Wundt/III/1001-1100/1098/461-462. Estate Wilhelm Wundt Brief von Luigi
Credaro an Wilhelm Wundt Last changed 2016-01-13. Luigi Credaro.
Keywords: i sofisti, il giurato, iusiuratum, Carneade, il secondo discorso,
contro Democrito, ragione pratica (saggezza), ragione teorica, a philosopher in
political linguistics: German minority, Italian majority in Trento. Il prefetto
di Trento. Lingua tedesca, lingua italiana, ordinamento
amministrativode-centrato, Wundt, Kant, razionalismo trascendente, Herbart,
scetticismo, accademia, prima accademia, seconda accademia, terza accademia, liberta di volere, freewill, volere libero, ambiascata
ateniense a roma, influenza dell’academia nell’elite romana – l’accademia come
perfezionamento per la dirigenza romana, Wundt, positivismo, suggestione, i
primordii del kantismo in Italia, Hegel vacuo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Credaro” – The Swimming-Pool Librrary.
crespi (Milano). Filosofo.
Grice: “Crespi is an interesting figure; Strawson calls him an Englishman since
he became a Brit! My favourite is his edition of Marcauurelio’s remembrances –
which is a n irony: he was a roman, but left his remembrances in Hellenic; and
the Italians needed a translation! It would be as if Pocahontas’s remembrances
were in Anglo-Saxon!” Collaboratore della Critica sociale, si avvicina alle
posizione modernista. Collaboraa Il Rinnovamento, L'Unità, La Rivoluzione
liberale, Coenobium. Emigrato durante il fascismo, ospita numerosi esuli antifascisti.
Altre opere: “Le vie della fede” (Roma, Libreria editrice romana); “Sintesi religiosa”
(Firenze, Tip. Bonducciana di A. Meozzi); “L’impero romano” (Milano, Treves);
“Dall'io al tu” (Modena, Guanda). Nunzio Dell'Erba, Rosselli e Sturzo,
"Annali della Fondazione Ugo La Malfa", Luigi Sturzo, Mario Sturzo,
Carteggio, Roma, Edizioni di storia e letteratura-Istituto Luigi Sturzo, Giovanni
Bonomi, Angelo Crespi, Cremona, Padus). Angelo Crespi. Grice: “His essay on
Antonino is brilliant – his philosophy of history is controversial. FKeywords:
la filosofia dell’impero romano, impero, impero romano, impero britannico,
funzione dell’impero, funzione storica dell’impero, filosofia imperial,
imperialismo, imperialismo romano, imperialism britannico, post-imperialismo,
Antonino. Filosofia della storia – aporie,
lingua latina, impero romano, lingua nazionale, nazione romana, nazione
italiana, lingua italiana, lingua fiorentina, lingua toscana, toscano, -- Refs.:
Luigi Speranza, “Crespi e Grice” – The Swimming-Pool Library.
CRESPO.
Croce
(Pescasseroli).
Filosofo. Grice: “I would think the fashionable Englishwoman may think Croce is
the most important philosopher that ever lived!” -- vide under “Grice as
Croceian” -- Grice as Croceian: expression and intention -- Croce, B.,
philosopher. I genitori appartenevano a due abbienti
famiglie abruzzesi: la famiglia Sipari, quella materna, originaria della stessa
Pescasseroli, ma radicatasi anche in Capitanata e Terra di Lavoro,
particolarmente legata agli ideali liberali, e l'altra, quella paterna,
originaria di Montenerodomo (in provincia di Chieti), ma trapiantata a Napoli,
legata invece ad una mentalità di stampo borbonico[9]. Croce crebbe in un
ambiente profondamente cattolico, dal quale però, ancora adolescente, si
distaccò, non riaccostandosi più per tutta la vita alla religiosità
tradizionale. Il terremoto di Casamicciola A diciassette anni perse i
genitori, Pasquale Croce e Luisa Sipari, e la sorella Maria, periti durante il terremoto di Casamicciola,
nell'isola d'Ischia, dove Croce si trovava in vacanza con la famiglia. Un
terremoto durato non più di 90 secondi ma dalla potenza devastatrice enorme - e
per questo rimasto come esempio terribile di distruzione nel modo di dire delle
popolazioni coinvolte - dove lo stesso Benedetto rimase «sepolto per parecchie
ore sotto le macerie e fracassato in più parti del corpo. Il "problema del
male", in sottofondo alla sua filosofia ottimistica sul progresso, rimarrà
insoluto, se non addirittura negato, e dietro le quinte del suo pensiero,
influenzato da questi eventi giovanili come evidenziato dalle meditazioni
private dei Taccuini personali. Quegli anni furono i miei più dolorosi e cupi:
i soli nei quali assai volte la sera, posando la testa sul guanciale, abbia
fortemente bramato di non svegliarmi al mattino, e mi siano sorti persino pensieri
di suicidio.Fra i primi ad accorrere in suo aiuto fu il cugino Paolo Petroni,
la famiglia del quale lo assisté affettuosamente nei mesi seguenti nella loro
residenza di campagna a San Cipriano Picentino, paese non troppo distante da
Salerno. In seguito a questo tragico episodio fu affidato, assieme al fratello superstite
Alfonso, alla tutela del cugino Silvio Spaventa, figlio della prozia Maria Anna
Croce e fratello del filosofo Bertrando Spaventa, che, mettendo da parte dei
dissapori storici che aveva con la famiglia Croce, lo accolse nella propria
casa a Roma, dove il giovane Benedetto trascorse gli anni dell'adolescenza ed
ebbe modo di formarsi culturalmente[14] fino all'età di vent'anni. Nel circolo
culturale nella casa dello zio Silvio, Croce ebbe modo di frequentare
importanti uomini politici ed intellettuali tra cui Labriola che lo inizierà al
marxismo. Pur essendo iscritto alla facoltà di giurisprudenza dell'Università
di Napoli, Croce frequentò le lezioni di filosofia morale a Roma tenute dal
Labriola. Non terminò mai i suoi studi universitari, ma si appassionò a studi
eruditi e filosofici, trascurando il pensiero hegeliano, di cui criticava la
forma incomprensibile. Il ritorno a Napoli Lasciata la Roma troppo accesa
di passioni politiche, Tornò a Napoli, dove acquistò, per abitarvi, la casa
dove aveva trascorso la sua vita Giambattista Vico, il filosofo napoletano
amato da Croce per la concezione filosofica anticipatrice, per certi aspetti,
della sua. Nel 1890 fu tra i fondatori della Società dei Nove Musi, un cenacolo
di intellettuali. Compì numerosi viaggi in Spagna, Germania, Francia e
Regno Unito mentre nella sua formazione culturale cresceva l'interesse per gli
studi storici e letterari, in particolare per la poesia di Giosuè Carducci, e
per le opere di Francesco De Sanctis. Attraverso Antonio Labriola con cui era
rimasto in contatto, si interessò al marxismo, di cui però criticava come
astorica la visione che dava del capitalismo. Da Marx risalì alla filosofia
hegeliana che cominciò ad apprezzare e ad approfondire. La fondazione de
La critica e la vita politica Nel gennaio del 1903 uscì il primo numero della
rivista La critica, con la collaborazione di Giovanni Gentile, e stampata a sue
spese, allorché subentrò l'editore Laterza. Venne nominato per censo senator e fu
Ministro della Pubblica Istruzione[16] nel quinto e ultimo governo Giolitti. Con regio decreto dgli fu concesso il titolo
di "Nobile". Elaborò una riforma della pubblica istruzione che fu poi
ripresa e attuata da Giovanni Gentile. Posizione nella prima guerra
mondiale «Ardenti e vivacissime furono in quei dieci mesi le polemiche tra
«interventisti» e «neutralisti», come erano chiamati non si può dire che [gli
interventisti] avessero torto, come non si può dire che l'avessero i loro
oppositori, perché dissidî di questa sorta non sono materia, nonché di
tribunali, neppure di critica scientifica, e hanno questo carattere entrambe le
tesi, appassionatamente difese, sono necessarie per l'effetto politico e, come
suona il motto, che, se una delle due opposizioni non ci fosse, converrebbe
inventarla. Più di un cosiddetto «neutralista» si sentiva talvolta scosso dalla
tesi avversaria e inclinava ad accoglierla, e il medesimo accadeva a più di un
«interventista. Storia d'Italia Bari, Laterza) Il filosofo, nella scelta tra le
due posizioni, neutralismo o interventismo alla prima guerra mondiale, si
rivolse alla prima; ma il suo era un neutralismo che contemperava le posizioni
liberali con la possibilità dell'intervento (rimase comunque poco favorevole
alla guerra, e, non obbligato ad arruolarsi, per limiti di età - 49 anni -, non
andò mai al fronte a differenza di altri intellettuali come D'Annunzio,
volontario. Scriveva a Bigot che era pronto ad accettare quella guerra che
saremo costretti a fare, quale che sia, anche contro la Germania, ad accettarla
come una dolorosa necessità, risoluto a non provocarla per ragioni
antinazionali e settarie» (B. Croce, Epistolario, Napoli) Il rapporto con
il fascismo L'iniziale fiducia al governo fascista Benedetto Croce nella
sua biblioteca Inizialmente Croce fu vicino al fascismo[19]. Ascoltò e applaudì
il discorso di Mussolini al teatro San Carlo di Napoli, durante l'adunata
preparatoria per la marcia su Roma. In occasione delle votazioni al Senato,
successive all'uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti, fu tra i
225 senatori che votarono la fiducia al governo Mussolini, insieme a Giovanni Gentile
e Vincenzo Morello. In seguito Croce spiegò in un'intervista che il suo non era
stato un voto fascista, aveva votato a favore del regime perché pensava che
Mussolini, se sostenuto, poteva esser sottratto all'estremismo fascista a cui
Croce faceva risalire la responsabilità del delitto Matteotti. «Abbiamo
deciso di dare il voto di fiducia. Ma, intendiamoci, fiducia condizionata.
Nell'ordine del giorno che abbiamo redatto è detto esplicitamente che il Senato
si aspetta che il Governo restauri la legalità e la giustizia, come del resto
Mussolini ha promesso nel suo discorso. A questo modo noi lo teniamo
prigioniero, pronti a negargli la fiducia se non tiene fede alla parola data.
Vedete: il fascismo è stato un bene; adesso è divenuto un male, e bisogna che
se ne vada. Ma deve andarsene senza scosse, nel momento opportuno, e questo
momento potremo sceglierlo noi, giacché la permanenza di Mussolini al potere è
condizionata al nostro beneplacito. Croce scrisse su Il Giornale d'Italiache il
regime mussoliniano «non poteva e non doveva essere altro che un ponte di passaggio
per la restaurazione di un più severo regime liberale». La rottura e il
Manifesto degli intellettuali antifascisti Il filosofo abruzzese si allontanò
definitivamente dal regime allorché, su sollecitazione di Giovanni Amendola,
scrisse il Manifesto degli intellettuali antifascisti in replica al Manifesto
degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile. Lo scritto, pubblicato sul
quotidiano Il Mondo, tra l'altro sosteneva: «Contaminare politica e
letteratura, politica e scienza è un errore, che, quando poi si faccia, come in
questo caso, per patrocinare deplorevoli violenze e prepotenze e la
soppressione della libertà di stampa, non può dirsi nemmeno un errore generoso.
E non è nemmeno, quello degli intellettuali fascisti, un atto che risplende di
molto delicato sentire verso la patria, i cui travagli non è lecito sottoporre
al giudizio degli stranieri, incuranti (come, del resto, è naturale) di
guardarli fuori dei diversi e particolari interessi politici delle proprie
nazioni. In che mai consisterebbe il nuovo evangelo, la nuova religione, la
nuova fede, non si riesce a intendere dalle parole del verboso manifesto; e,
d'altra parte, il fatto pratico, nella sua muta eloquenza, mostra allo
spregiudicato osservatore un incoerente e bizzarro miscuglio di appelli
all'autorità e di demagogismo, di proclamata riverenza alle leggi e di
violazione delle leggi, di concetti ultramoderni e di vecchiumi muffiti, di
atteggiamenti assolutistici e di tendenze bolsceviche, di miscredenza e di
corteggiamenti alla Chiesa cattolica, di aborrimenti della cultura e di conati
sterili verso una cultura priva delle sue premesse, di sdilinquimenti mistici e
di cinismo. Per questa caotica e inafferrabile "religione" noi non ci
sentiamo, dunque, di abbandonare la nostra vecchia fede: la fede che da due
secoli e mezzo è stata l'anima dell'Italia che risorgeva, dell'Italia moderna;
quella fede che si compose di amore alla verità, di aspirazione alla giustizia,
di generoso senso umano e civile, di zelo per l'educazione intellettuale e
morale, di sollecitudine per la libertà, forza e garanzia di ogni
avanzamento.» Secondo Norberto Bobbio, il Manifesto degli intellettuali
antifascisti sancì l'assunzione da parte di Croce del ruolo di «coscienza
morale dell'antifascismo italiano» e di «filosofo della libertà. Lo scritto
segnò inoltre la rottura dell'amicizia con Gentile, a causa delle ormai
inconciliabili divergenze filosofiche e politiche. In seguito Croce fu l'unica
voce fuori dal coro tollerata dal regime. Il ruolo di Croce come coscienza
dell'antifascismo è testimoniato, tra gli altri, da Primo Levi, che nel 1975
ricordò che negli anni del fascismo e della guerra, segnati per gli
antifascisti da smarrimento morale, isolamento e incertezze, solo «La Bibbia,
Croce, la geometria, la fisica, ci apparivano fonti di certezza. Il mio
liberalismo è cosa che porto nel sangue, come figlio morale degli uomini che
fecero il Risorgimento italiano, figlio di Francesco De Sanctis e degli altri
che ho salutato sempre miei maestri di vita. La storia mi metterà tra i
vincitori o mi getterà tra i vinti. Ciò non mi riguarda. Io sento che ho quel
posto da difendere, che pel bene dell'Italia quel posto dev'essere difeso da
qualcuno, e che tra i qualcuni sono chiamato anch'io a quell'ufficio. Ecco
tutto.» (Lettera a Alfieri) Rifiutò di entrare nell'Accademia d'Italia, e
dopo un breve appoggio al movimento antifascista Alleanza Nazionale per la
Libertà, fondato dal poeta Lauro De Bosis, si allontanò dalla vita politica, continuando
peraltro ad esprimere liberamente le sue idee politiche, senza che il regime
fascista lo censurasse, almeno esplicitamente. L'unico atto di ostilità
violenta ed esplicita compiuto dal fascismo verso Croce fu la devastazione
della sua casa napoletana avvenuta nel novembre del 1926[29]. Negli anni
successivi, quelli della sua affermazione e del cosiddetto “consenso”, il
fascismo ritenne Croce un avversario poco temibile, sostenitore com'era della
tesi di un fascismo inteso come "malattia morale" inevitabilmente
superata dal progresso della storia. Inoltre la fama di Croce presso l'opinione
pubblica europea lo proteggeva da interventi oppressivi da parte del regime.
Ebbe altresì blandi rapporti culturali con intellettuali in qualche modo vicini
al regime, anche se marginali, come un carteggio epistolare con il
tradizionalista Julius Evola, a cui espresse l'apprezzamento formale per due
opere, da pubblicare presso Laterza con il benestare dello stesso Croce, Saggi
sull'idealismo magico, Teoria dell'individuo assoluto e, successivamente, La
tradizione ermetica. Il governo fascista richiese ai docenti delle università
italiane un atto di formale adesione al regime in base all'articolo 18 del
regio decreto (il cosiddetto giuramento di fedeltà al fascismo). A seguito di
tale provvedimento, i docenti avrebbero dovuto giurare di essere fedeli non
solo "alla patria", secondo quanto già imposto dal regolamento
generale universitario del 1924, ma anche al regime fascista. In
quell'occasione, Croce incoraggiò professori come Guido Calogero e Luigi
Einaudi a rimanere all'università, «per continuare il filo dell'insegnamento secondo
l'idea di libertà. Se la sua figura fu importante per l'area politica del
liberalismo, la sua scuola ebbe durante tutto il ventennio fascista una platea
assai più ampia di allievi[36]: del resto, già prima dalle sue idee avevano
tratto esempio anche Antonio Gramsci[37] e il gruppo comunista de L'Ordine
Nuovo.Polemica sulla Giornata della fede La non adesione di Croce al fascismo
parve messa in discussione dal gesto compiuto durante la Guerra d'Etiopia,
quando il filosofo, in occasione della "Giornata della fede" donò la
propria medaglietta da senatore accompagnandola con questa secca lettera al
presidente del Senato: «Eccellenza, quantunque io non approvi la politica del
Governo, ho accolto in omaggio al nome della Patria, l'invito dell'E.V., e ho
rimesso alla questura del Senato la mia medaglia, Il gesto “suscitò negli
ambienti dell'antifascismo italiano, in patria e all'estero, sorpresa, dolore e
polemiche” che colpirono dolorosamente Croce. Al termine di un drammatico
colloquio con Bianca Ceva, inviata a sostenere il punto di vista degli
antifascisti, dopo un iniziale tentativo di giustificazione, Croce affermò:
“dica che io sono sempre lo stesso, che sono sempre con loro. Il regime varò la
legislazione antisemita (Croce non era presente nell'aula del Senato, quale
forma di protesta; egli fu uno dei pochi a esprimersi contro di esse a livello
pubblico). Il governo inviò a tutti i professori universitari e i membri delle
accademie un questionario da compilare ai fini della classificazione
"razziale". Tutti gli interpellati risposero. L'unico intellettuale
non ebreo che rifiutò di compilare il questionario fu Croce. «L'unico
effetto della richiesta dichiarazione sarebbe di farmi arrossire, costringendo
me, che ho per cognome CROCE, all'atto odioso e ridicolo insieme di protestare
che non sono ebreo, proprio quando questa gente è perseguitata.[40]» Il
filosofo, invece di restituire compilata la scheda, inviò una lettera al
presidente dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, in cui scrisse
sarcasticamente: «Gentilissimo collega, ricevo oggi qui il questionario
che avrei dovuto rimandare prima del 20. In ogni caso, io non l'avrei riempito,
preferendo di farmi escludere come supposto ebreo. Ha senso domandare a un uomo
che ha circa sessant'anni di attività letteraria e ha partecipato alla vita
politica del suo paese, dove e quando esso sia nato e altre simili cose?»
(Benedetto Croce a Luigi Messedaglia, Presidente dell’Istituto Veneto di
Scienze, Lettere e Arti di Venezia, in A. CAPRISTO, L’espulsione degli ebrei
dalle accademie italiane, Torino, Zamorani,) Croce fu quindi espulso da quasi
tutte le accademie di cui era membro, comprese l'Accademia Nazionale dei Lincei
e la Società Napoletana di Storia Patria. All'Istituto Veneto di Scienze,
Lettere ed Arti, unica accademia che lo mantenne socio, alla fine della guerra
Croce riconoscerà il merito di non averlo espulso durante il regime fascista. Dopo
aver denunciato la persecuzione degli ebrei, Croce però critica anche gli
atteggiamenti degli ebrei stessi, sia quelli che avevano aderito al fascismo,
sia quelli che vivevano "separati", ritenendo la specificità ebraica
come pericolosa per gli ebrei stessi: «Quando s'iniziò l'infame persecuzione
contro gli ebrei, io ebbi, con un brivido di orrore, la piena rivelazione della
sostanziale delinquenza che era nel fascismo, come chi fosse costretto ad
assistere allo sgozzamento a freddo di un innocente e mi misi di lancio dalla
loro parte con tutto l'esser mio per fare quello che per loro si poteva a
lenire o diminuire il loro strazio. Molti danni e molte iniquità compiute dal
fascismo non si possono ora riparare per essi come per altri italiani che le
soffersero, né essi vorranno chiedere privilegi o preferenze, e anzi il loro
studio dovrebbe essere di fondersi sempre meglio con gli altri italiani;
procurando di cancellare quella distinzione e divisione nella quale hanno
persistito nei secoli e che, come ha dato occasione e pretesto in passato alle
persecuzioni, è da temere ne dia ancora in avvenire l'idea di popolo eletto,
che è tanto poco saggia che la fece sua Hitler, il quale, purtroppo, aveva a suo
uso i mezzi che lo resero ardito a tentarne la folle attuazione... [essi]
disconoscono le premesse storiche (Grecia, Roma, Cristianità) della civiltà di
cui dovrebbero venire a fare parte.» (Lettera a Cesare Merzagora)
Espresse quindi una posizione di perplessità per il sionismo. Il rientro nella
vita politica Dopo la caduta del regime Croce rientrò in politica, accettando
la nomina a presidente del Partito Liberale Italiano. Durante la Resistenza
cercò di mediare tra i vari partiti antifascisti e nel 1944 fu Ministro senza
portafoglio nel secondo governo Badoglio, benché non stimasse né il Maresciallo
né il re Vittorio Emanuele III, a causa della loro compromissione col fascismo.
Subito dopo la liberazione di Roma (giugno 1944) entrò a far parte del secondo
governo Bonomi, sempre come ministro senza portafoglio, ma diede le dimissioni
qualche mese dopo. Egli avrebbe
preferito l'abdicazione diretta del sovrano in favore del piccolo Vittorio
Emanuele (con rinuncia di Umberto al trono), la reggenza a Badoglio e
l'incarico di capo del governo a Carlo Sforza, ma i rappresentanti del Regno
Unito si opposero.[46] Al referendum sulla forma dello Stato (2 giugno 1946)
votò per la monarchia, inducendo tuttavia il Partito Liberale (di cui rimane
presidente) a non schierarsi, per far sì che prevalesse sulla questione piena
ed effettiva libertà di scelta, e dichiarando in seguito: «il buon senso fece
considerare a quei milioni di votanti favorevoli alla monarchia, che, se anche
essi avessero riportato la maggioranza legale, una monarchia con debole
maggioranza non avrebbe avuto il prestigio e l'autorità necessaria, e perciò
meglio valeva accettare la forma nuova della Repubblica e procurar di farla
vivere nel miglior modo, apportandovi lealmente il contributo delle proprie
forze.»[48] Benedetto Croce con Enrico Altavilla e il Capo
provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola Concetti che Croce aveva, nella loro
sostanza, già espresso; ben prima che Umberto II, nel messaggio ribadisse tale
indicazione. Eletto all'Assemblea Costituente, non accettò la proposta di
essere candidato a Capo provvisorio dello Stato, così come in seguito rifiutò
la proposta, avanzata da Luigi Einaudi, di nomina a senatore a vita. Si oppose
strenuamente alla firma del Trattato di pace, con un accorato e famoso
intervento all'Assemblea costituente, ritenendolo indecoroso per la nuova
Repubblica. Fonda a Napoli l'Istituto italiano per gli studi storici
destinando per la sede un appartamento di sua proprietà, accanto alla propria
abitazione e biblioteca nel Palazzo Filomarino dove oggi ha sede la Fondazione
Biblioteca Benedetto Croce. Presidente dell'associazione PEN International e,
negli stessi anni, entrò a far parte del Consiglio di Amministrazione
dell'Istituto Suor Orsola Benincasa di Napoli. Per un ictus cerebrale rimase
semiparalizzato e si ritirò in casa continuando a studiare: morì seduto in
poltrona nella sua biblioteca il 20 novembre 1952, all'età di 86 anni. I
funerali solenni si tennero nella sua Napoli e le sue spoglie tumulate nella
tomba di famiglia al Cimitero di Poggioreale. Il rapporto con la cultura
cattolica «Pure filosofo quale sono io stimo che il più profondo rivolgimento
spirituale compiuto dall'umanità sia stato il cristianesimo, e il cristianesimo
ho ricevuto e serbo, lievito perpetuo, nella mia anima[53]» Il rapporto
di Croce con la cultura cattolica variò nel corso del tempo. Agli inizi del
Novecento i filosofi idealisti, come Croce e Gentile, avevano esercitato
assieme alla cultura cattolica una comune critica al positivismo ottocentesco.
Alla fine degli anni venti vi era stato un progressivo allontanamento della
cultura laica e idealistica dalla cultura cattolica. Croce, pur non essendo un
anticlericale militante, riteneva importante la separazione liberale tra Chiesa
e Stato, propugnata da Cavour. La Chiesa con i Patti Lateranensi aveva ormai
raggiunto un rapporto equilibrato con le istituzioni statali italiane
distaccandosi quindi dalle posizioni politiche antifasciste dell'idealismo
crociano. Croce fu contrario al Concordato e dichiarò apertamente in Senato che
«accanto o di fronte ad uomini che stimano Parigi valer bene una messa, sono
altri per i quali l'ascoltare o no una messa è cosa che vale infinitamente più
di Parigi, perché è affare di coscienza. Mussolini gli rispose dichiarandolo
«un imboscato della storia», e accusando il filosofo di passatismo e di viltà
di fronte al progresso storico. Quando Croce scrisse la Storia d'Europa nel
secolo decimonono, il Vaticano criticò aspramente l'autore che difendeva le
filosofie esaltanti una religione della libertà senza Dio. Il Sant'Uffizio pose
all'Indice nel 1932 questo libro ma, non ottenendo negli anni successivi da
Croce un qualsiasi ripensamento, ninserì nell'elenco dei libri proibiti tutti i
suoi scritti. La polemica anti-concordataria crociana vide l'adesione del
giovane filosofo nonviolento e liberalsocialista Aldo Capitini che a Firenze, a
casa di Luigi Russo, aveva avuto modo di conoscere Croce, a cui aveva
consegnato un pacco di dattiloscritti che il filosofo napoletano aveva
apprezzato e fatto pubblicare nel gennaio dell'anno seguente presso l'editore
Laterza di Bari con il titolo Elementi di un'esperienza religiosa. In poco
tempo gli Elementi diventarono uno tra i principali riferimenti letterari della
gioventù antifascista. La posizione personale di Croce nei confronti della
religione cattolica è ben espressa nel suo saggio Perché non possiamo non dirci
"cristiani", scritto nel 1942. Il termine "cristiani"
inserito nel titolo tra virgolette non voleva indicare l'adesione a un credo
confessionale, bensì la consapevolezza di un'inevitabile appartenenza culturale
rappresentata nella sua particolare prospettiva dal fenomeno del cristianesimo:
non si trattava di una professione di fede cristiana dovuta a un rinnegamento
dell'agnosticismo come volle fare intendere la propaganda fascista[60], ma di
riconoscere il valore storico e di «rivolgimento spirituale»: «Il
cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l'umanità abbia mai
compiuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di
conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non
maraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un miracolo, una rivelazione
dall'alto, un intervento di Dio nelle cose umane, che da lui hanno ricevuto
legge e indirizzo affatto nuovo. Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori
scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo
confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate. Tutte, non escluse
quelle che la Grecia fece della poesia, dell'arte, della filosofia, della
libertà politica, e Roma del diritto: per la capacità dei princìpi cristiani di
contrastare il neopaganesimo e l'ateismo propagandati dal nazismo e dal
comunismo sovietico[61]:» «...sono profondamente convinto e persuaso che
il pensiero e la civiltà moderna sono cristiani, prosecuzione dell'impulso dato
da Gesù e da Paolo. Su di ciò ho scritto una breve nota, di carattere storico,
che pubblicherò appena ne avrò lo spazio disponibile. Del resto non sente Ella
che in questa terribile guerra mondiale ciò che è in contrasto è una concezione
ancora cristiana della vita con un'altra che potrebbe risalire all'età
precristiana, e anzi pre-ellenica e pre-orientale, e riattaccare quella
anteriore alla civiltà, la barbarica violenza dell'orda?[62]» Croce, in
sintesi, vede nel cristianesimo il fondamento storico della civiltà occidentale
ma non ripudia l'immanentismo radicale del suo pensiero che vede nella
religione un momento della realizzazione storica dello spirito che si avvia,
superandolo, ad una più alta sintesi.[63] All'Assemblea Costituente
lotterà contro l'inserimento, voluto dalla DC, e dal comunista Togliatti[64],
dei Patti Lateranensi nel secondo comma dell'articolo 7 della Costituzione
della Repubblica Italiana, giudicandolo come "sfacciata prepotenza
pretesca". In vista delle elezioni politiche del 1948, tuttavia, si
accordò con il segretario della Democrazia Cristiana, Alcide De Gasperi, per
dare vita a un manifesto comune, Europa, cultura e libertà, contro i
totalitarismi passati e presenti. A seguito della vittoria della DC, replicò
severamente ai laici benpensanti schierati col Fronte Popolare che
sbeffeggiavano il ceto umile e contadino di cui era composto in prevalenza
l'elettorato cattolico: «Beneditele quelle beghine di cui ridete, perché
senza il loro voto e il loro impegno oggi non saremmo liberi.» Nel 1950,
lasciando disposizioni per la sua morte (che avverrà tre anni dopo) scriverà
invece che la sensibilità religiosa della moglie cattolica le consentirà di
evitare che un sacerdote tenti di "redimerlo" all'ultimo minuto,
perché è "cosa orrenda profittare delle infermità per strappare a un uomo
una parola che sano egli non avrebbe mai detta". Croce fu legato sentimentalmente e convisse
con Angelina Zampanelli, fino alla morte di lei. La coppia prese alloggio a
Palazzo Filomarino, a Napoli. Angelina, sofferente di cuore, morì poco più che
quarantenne a Raiano, dove insieme a Croce ella soggiornava spesso d'estate,
presso il Palazzo Rossi-Sagaria, ospiti della cugina del filosofo, Maria Teresa
Petroni, moglie di Valentino Rossi. Croce sposa a Torino, con rito religioso e
poi civile, Adele Rossi, da cui ebbe cinque figli: Giulio, Elena, Alda, Lidia
(moglie dello scrittore e dissidente anticomunista polacco Gustaw
Herling-Grudziński) e Silvia.Il filosofo, oggi, deve non già fare il puro
filosofo, ma esercitare un qualche mestiere, e in primo luogo, il mestiere
dell'uomo.» (Benedetto Croce, Lettere a Vittorio Enzo Alfieri, Sicilia
Nuova Editrice, Milazzo. L'opera di Croce può essere suddivisa in tre periodi:
quello degli studi storici, letterari e il dialogo con il marxismo, quello
della maturità e delle opere filosofiche sistematiche e quello
dell'approfondimento teorico e revisione della filosofia dello spirito in
chiave storicista. Come idealista, ritiene che la realtà sia quella che viene
concepita dal soggetto, in quanto riflesso della sua idea e interiorità, ed è
convinto che la razionalità e la libertà emergano nella storia, pur tra immani
difficoltà. La filosofia idealista riconduce totalmente l'essere al pensiero,
negando esistenza autonoma alla realtà fenomenica, ritenuta il riflesso di
un'attività interna al soggetto; l'idealismo, come in Hegel, implica una
concezione etica fortemente rigorosa, come ad esempio nel pensiero di Fichte
che è incentrato sul dovere morale dell'uomo di ricondurre il mondo al
principio ideale da cui esso ha origine; in Croce questo ideale è la libertà
umana. Definito da Gramsci "papa laico della cultura italiana", a sua
filosofia ha goduto di enorme credito nella cultura italiana del XX secolo,
perlomeno fino agli anni settanta e ottanta, in cui si sono levate molte
critiche verso il suo approccio, ritenuto superato. Croce fu un intellettuale
rispettato anche al di fuori dell'Italia: la rivista Time gli dedicò la
copertina negli anni '30[7], e negli anni 2000, contestualmente alla
rivalutazione del pensiero crociano, si è registrato l'interesse della collana
editoriale dell'Università di Stanford, mentre la rivista statunitense di
politica internazionale Foreign Affairs lo inserì tra i pensatori più attuali
tra quelli del '900, accanto a intellettuali come Isaiah Berlin, Francis
Fukuyama e Lev Trotsky. Parallelamente allo studio del marxismo, Croce
approfondisce anche il pensiero di Hegel; secondo entrambi la realtà si dà come
spirito che continuamente si determina e, in un certo senso, si produce. Lo
spirito è quindi la forza animatrice della realtà, che si auto-organizza
dinamicamente divenendo storia secondo un processo razionale. Da Hegel egli
recupera soprattutto il carattere razionalistico e dialettico in sede
gnoseologica: la conoscenza si produrrebbe allora attraverso processi di
mediazione dal particolare all'universale, dal concreto all'astratto, per cui
Croce afferma che la conoscenza è data dal giudizio storico, nel quale
universale e particolare si fondono recuperando la sintesi a priori di Kant e
lo storicismo di Giambattista Vico, suo altro filosofo di riferimento. Da
destra, Giovanni Laterza, Stefano Jacini, Croce e Luigi De Secly. Il divenire e
la logica della dialettica, in Hegel e in Marx, è esso stesso verità in
movimento; anche per Croce la verità è dialettica, ma occorre esprimere un
giudizio storico ed esistono delle regole che arginano la pretesa giustificativa
di ogni fenomeno: in Croce lo Spirito - in quanto intelletto umano - si
realizza nella storia ma nel rispetto della libertà. Per questo ogni fatto è
quindi calato nella realtà storica, ma questo non può giustificare, con la
scusa del divenire e del progresso, aspetti deplorevoli come, ad esempio, il
totalitarismo fascista o comunista, il primo come necessario (concezione di
Giovanni Gentile e della sua idea di realtà come atto puro di pensare e agire)
e il secondo come fase storica obbligata (seguendo il concetto marxiano della
dittatura del proletariato, di cui il filosofo tedesco parla nella sua teoria
"razionalista" del materialismo storico). Quindi il materialismo
dialettico di Engels e quello storico di Marx sono da ritenersi errati. In
questo, il suo storicismo si differenzia dal pensiero di un altro filosofo
liberale, Karl Popper, secondo cui dialettica e storicismo finiscono invece per
generare quasi sempre totalitarismo (concezione assai diffusa nel pensiero del
liberalismo novecentesco). Al contrario di Popper e Arendt, per Croce la radice
totalitaria è proprio nell'antistoricismo, cioè nel rifiuto dello storicismo
stesso. Il neoidealismo entrò in crisi, sostituito da nuove filosofie come
l'esistenzialismo e la fenomenologia; sempre in nome del libertà e
dell'umanesimo, Croce critica l'esistenzialista Martin Heidegger, divenuto poi
anti-umanistico e colpevole di accondiscendenza verso il nazismo, definendolo
anche "un Gentile più dotto e più acuto, ma sostanzialmente della stessa
pasta morale"[79]; esprime così nel 1939 un tagliente giudizio sul
filosofo di Essere e tempo: «Scrittore di generiche sottigliezze, arieggiante a
un Proust cattedratico, egli che, nei suoi libri non ha dato mai segno di
prendere alcun interesse o di avere alcuna conoscenza della storia, dell'etica,
della politica, della poesia, dell'arte, della concreta vita spirituale nelle
sue varie forme - quale decadenza a fronte dei filosofi, veri filosofi tedeschi
di un tempo, dei Kant, degli Schelling, degli Hegel! -, oggi si sprofonda di
colpo nel gorgo del più falso storicismo, in quello, che la storia nega, per il
quale il moto della storia viene rozzamente e materialisticamente concepito
come asserzione di etnicismi e di razzismi, come celebrazione delle gesta di
lupi e volpi, leoni e sciacalli, assente l'unico e vero attore, l'umanità.
[...] E così si appresta o si offre a rendere servigi filosofico-politici: che
è certamente un modo di prostituire la filosofia.» (Conversazioni
Critiche, Serie Quinta, Bari, Laterza. L'asserzione di Hegel che "la
storia sia storia di libertà" viene da Croce inquadrata nella sua
concezione dialettica della libertà vista nel suo iniziale nascere, nel
successivo crescere e infine nel raggiungimento di uno stadio finale e
definitivo di maturità.[74] Croce fa proprio questo detto hegeliano
chiarendo però che non si vuole «assegnare alla storia il tema del formarsi di
una libertà che prima non era e che un giorno sarà, ma per affermare la libertà
come l'eterna formatrice della storia, soggetto stesso di ogni storia. Come
tale essa è per un verso, il principio esplicativo del corso storico e, per
l'altro, l'ideale morale dell'umanità». I popoli e gli individui anelano sempre
alla libertà, e come dice Hegel «ciò che è razionale è reale» (cioè la ragione concepisce
quello che può diventare reale) e «ciò che è reale è razionale» (cioè esiste
un'intrinseca razionalità, anche minima, in ogni fenomeno storico, anche se non
tutto il reale è ovviamente razionale). Alcuni storici, senza ben rendersi
conto di quello che scrivono, sostengono che ormai la libertà ha abbandonato la
scena della storia. Ma affermare che la libertà è morta vorrebbe dire che è
morta la vita. Non esiste nella storia un ideale che possa sostituire quello
della libertà «che è l'unica che faccia battere il cuore dell'uomo, nella sua
qualità di uomo». Ciò significa che la libertà non è una fase di presa di
coscienza che conduce allo Stato etico o al socialismo, venendo superata, ma è
essa stessa la verità nel divenire, non una fase. Egli critica Hegel, poiché
secondo lui il filosofo ha concepito la dialettica in modo riduttivo, ovvero
semplicemente come dialettica degli opposti, mentre secondo Croce sussiste
anche una logica dei distinti: non ogni negazione è infatti opposizione, ma può
essere semplice distinzione. Ciò significa che certi atti ed eventi devono
essere sempre considerati appunto distinti rispetto ad altri ordini di atti ed
eventi, e non ad essi opposti. Elabora, quindi, un vero e proprio sistema, da
lui denominato la filosofia dello spirito. Inoltre, la prima importante
differenza con Hegel è che nel sistema crociano non vi rientra né la religione,
né la natura. La religione sarebbe infatti un complesso miscuglio di elementi
poetici, morali e filosofici che le impediscono di presentarsi come forma
autonoma dello Spirito. La natura poi non è altro che l'oggetto
"mascherato" dell'attività economica, è il frutto della
considerazione economica diretta al mondo. Qui la realtà in quanto attività
(ovvero produzione dello spirito o della storia) è articolata in quattro forme
fondamentali, suddivise per modo (teoretico o pratico) e grado (particolare o
universale): estetica (teoretica - particolare), logica (teoretica-universale),
economia (pratica - particolare), etica (pratica - universale). La relazione
tra queste quattro forme opera la suddetta logica dei distinti, mentre
all'interno di ognuna di esse si ha la dialettica degli opposti.[73]
All'interno dell'estetica infatti si ha opposizione dialettica tra bello e
brutto, all'interno della logica, l'opposizione è tra vero e falso; nella
economia tra utile e inutile e infine nell'etica tra bene e male.
Estetica Croce scrisse anche importanti opere di critica letteraria (saggi su
Goethe, Ariosto, Shakespeare e Corneille, "La letteratura della nuova
Italia" e "La poesia di Dante"). Egli si mosse nell'ambito della
sua teoria estetica che mirava alla scoperta delle motivazioni profonde
dell'ispirazione artistica. Quest'ultima era ritenuta tanto più valida quanto
più coerente con le categorie di bello-brutto. La prima parte della teoria
estetica la ritroviamo in opere come Estetica come scienza dell'espressione e
linguistica generale, Breviario di estetica e Aesthetica in nuce. In seguito
modificò questa iniziale teoria stabilendo per la storia un nesso con la
filosofia. L'estetica, dal significato originario del termine aisthesis
(sensazione), si configura in primo luogo come attività teoretica relativa al
sensibile, si riferisce alle rappresentazioni e alle intuizioni che noi abbiamo
della realtà. Come conoscenza del particolare l'intuizione estetica è la
prima forma della vita dello Spirito. Prima logicamente e non cronologicamente
poiché tutte le forme sono presenti insieme nello spirito. L'arte, come aspetto
dell'Estetica, è una forma della vita spirituale che consiste nella conoscenza,
intuizione del particolare che: come forma dello spirito, come creatività
non è sensazione, conoscenza sensibile che è un aspetto passivo dello spirito
rispetto ad una materia oscura e ad esso estranea; come conoscenza (prima forma
dell'attività teoretica) non ha a che fare con la vita pratica. Bisogna quindi
respingere tutte le estetiche che abbiano fini edonistici, sentimentali e
moralistici; quale espressione di un valore autonomo dello spirito, l'arte non
può né deve essere giudicata secondo criteri di verità, moralità o godimento;
come intuizione pura va distinta dal concetto che è conoscenza dell'universale:
compito proprio della filosofia. L'arte può essere definita quindi come
intuizione-espressione, due termini inscindibili per cui non è possibile
intuire senza esprimere né è possibile espressione senza intuizione. Ciò che
l'artista intuisce è la stessa immagine (pittorica, letteraria, musicale ecc.)
che egli per ispirazione crea da una considerazione del reale, nel senso che
l'opera artistica è l'unità indifferenziata della percezione del reale e della
semplice immagine del possibile. La distinzione tra arte e non arte risiede nel
grado di intensità dell'intuizione-espressione. Tutti noi intuiamo ed esprimiamo:
ma l'artista è tale perché ha un'intuizione più forte, ricca e profonda a cui
sa far corrispondere un'espressione adeguata. Coloro che sostengono di essere
artisti potenziali poiché hanno delle intense intuizioni ma che non sono capaci
di tradurre in espressioni, non si rendono conto che in realtà non hanno alcuna
intuizione poiché se la possedessero veramente essa si tradurrebbe in
espressione. L'arte non è aggiunta di una forma ad un contenuto ma espressione,
che non vuol dire comunicare, estrinsecare, ma è un fatto spirituale, interiore
come l'atto inscindibile da questa che è l'intuizione. Nell'estetica dobbiamo
far rientrare anche quella forma dell'espressione che è il linguaggio che nella
sua natura spirituale fa tutt'uno con la poesia. L'estetica quindi come una
«linguistica in generale». Dall'estetica deriva la critica letteraria crociana,
espressa in molti saggi. Della logica, Croce tratta essenzialmente nella Logica
come scienza del concetto puro[83]); essa corrisponde al momento in cui l'attività
teoretica non è più affidata alla sola intuizione (all'ambito estetico), ma
partecipa dell'elemento razionale, che attinge dalla sfera dell'universale. Il
punto di arrivo di questa attività è l'elaborazione del concetto puro,
universale e concreto che esprime la verità universale di una determinazione.
La logica crociana è anche storica, nella misura in cui essa deve analizzare la
genesi e lo sviluppo (storico) degli oggetti di cui si occupa. Il termine
logica in Benedetto Croce assume quindi un significato più vicino al termine
dialettica ovvero ricerca storiografica. In genere, la Logica di Croce è
lontana da criteri scientifico-razionali, e si ispira ai metodi
dell'immaginazione artistica e dell'eleganza estetico-letteraria, nei quali il
filosofo raggiunge risultati eccellenti. Di carattere decisamente diverso è
invece la filosofia delle scienze fisiche, matematiche e naturali delle quali
Croce non si occupa affatto nei suoi studi. Del resto, come segnala Geymonat
nel suo Corso di filosofia - immagini dell'uomo, «la vera indubbia grandezza di
Croce va cercata assai più nella sua opera di storiografo, di critico
letterario, ecc., che non nella sua opera di filosofo. Gentile ai tempi del
direttorato alla Scuola normale di Pisa. In ogni caso la logica e la filosofia
della scienza è stata sviluppata in Italia da altre correnti di pensiero
contemporaneo a quello crociano, con studiosi fra quali Peano e lo stesso
Geymonat. Un orientamento parzialmente diverso ebbe invece Giovanni Gentile
che, pur criticando gli eccessi del positivismo, intrattenne anche rapporti con
matematici e fisici italiani e cercò di instaurare un rapporto costruttivo con
la cultura scientifica. Invece Croce ebbe con la logica e la scienza un
rapporto difficile. La sua posizione portò in Italia nella prima metà del
Novecento ad uno scontro dialettico fra due culture contrapposte: quella
artistico-letteraria e quella tecnico-scientifica. Il rapporto conflittuale con
le scienze matematiche e sperimentali Un caso emblematico del giudizio di Benedetto
Croce nei confronti della matematica e delle scienze sperimentali è la sua nota
diatriba con il matematico e filosofo della scienza Federigo Enriques, avvenuta
il 6 aprile 1911 in seno al congresso della Società Filosofica Italiana,
fondata e presieduta dallo stesso Enriques. Questi sosteneva che una filosofia
degna di una nazione progredita non potesse ignorare gli apporti delle più
recenti scoperte scientifiche. La visione di Enriques mal si confaceva a quella
idealistica di Croce e Gentile, come pure a gran parte degli esponenti della
filosofia italiana di allora, per lo più formata da idealisti crociani.
Croce, in particolare, rispose ad Enriques[84], liquidando in modo deciso -
"antifilosofico" secondo Enriques - la proposta di considerare la scienza
come un valido apporto alle problematiche filosofiche e sostenendo, anzi, che
matematica e scienza non sono vere forme di conoscenza, adatte solo agli
«ingegni minuti» degli scienziati e dei tecnici, contrapponendovi le «menti
universali», vale a dire quelle dei filosofi idealisti, come Croce medesimo. I
concetti scientifici non sono veri e propri concetti puri ma degli
pseudoconcetti, falsi concetti, degli strumenti pratici di costituzione
fittizia. «La realtà è storia e solo storicamente la si conosce, e le
scienze la misurano bensì e la classificano come è pur necessario, ma non
propriamente la conoscono né loro ufficio è di conoscerla nell'intrinseco. Sul
tema Benedetto Croce sostenne, tra l'altro, che: «Gli uomini di scienza
[...] sono l'incarnazione della barbarie mentale, proveniente dalla
sostituzione degli schemi ai concetti, dei mucchietti di notizie all'organismo
filosofico-storico.» (Benedetto Croce da Il risveglio filosofico e la
cultura italiana, A proposito dello sviluppo novecentesco della logica
matematica e dell'introduzione dei formalismi simbolici, ad opera di matematici
e filosofi quali Gottlob Frege, Giuseppe Peano, Bertrand Russell, Benedetto
Croce dichiarerà: «I nuovi congegni [della logica matematica] sono stati
offerti sul mercato: e tutti, sempre, li hanno stimati troppo costosi e
complicati, cosicché non sono finora entrati né punto né poco nell'uso. Vi
entreranno nell'avvenire? La cosa non sembra probabile e, ad ogni modo, è fuori
della competenza della filosofia e appartiene a quella della pratica riuscita:
da raccomandarsi, se mai, ai commessi viaggiatori che persuadano dell'utilità
della nuova merce e le acquistino clienti e mercati. Se molti o alcuni
adotteranno i nuovi congegni logici, questi avranno provato la loro grande o
piccola utilità. Ma la loro nullità filosofica rimane, sin da ora, pienamente
provata.» (Benedetto Croce da Logica come scienza del concetto puro,Anni
dopo, ancora scriveva che: «Le scienze naturali e le discipline
matematiche, di buona grazia, hanno ceduto alla filosofia il privilegio della
verità, ed esse rassegnatamente, o addirittura sorridendo, confessano che i
loro concetti sono concetti di comodo e di pratica utilità, che non hanno
niente da vedere con la meditazione del vero.» (Benedetto Croce da
Indagini su Hegel e e schiarimenti filosofici e ribadiva come: «Le
finzioni delle scienze naturali e matematiche postulano di necessità l'idea di
un'idea che non sia finta. La logica, come scienza del conoscere, non può
essere, nel suo oggetto proprio, scienza di finzioni e di nomi, ma scienza
della scienza vera e perciò del concetto filosofico e quindi filosofia della
filosofia.» (Benedetto Croce da Indagini su Hegel e schiarimenti
filosofici. Tuttavia ebbe altresì un cordiale e rispettoso scambio epistolare
con Albert Einstein. Secondo diversi storici e filosofi (es. Giorello, Bellone,
Massarenti), l'influenza antiscientifica di Croce e di Gentile[90] sarebbe
stata fortemente deleteria sia sul piano dell'istituzione scolastica per gli
orientamenti pedagogici della scuola italiana, che si sarebbe indirizzata
prevalentemente agli studi umanistici considerando quelli scientifici di
secondo piano, sia per la formazione di una classe politica e dirigente che
attribuisse importanza alla scienza e alla tecnica e portando, per conseguenza,
ad un ritardo dello sviluppo tecnologico e scientifico nazionale. «[La
scuola] sarà caratterizzata dal primato dell'umanesimo letterario e in
particolare dell'umanesimo classico. Tutte le istituzioni culturali saranno improntate
al primato delle lettere, della filosofia e della storia. Giorello nel
quarantennale della morte di Croce ha scritto che "predicò la religione
della libertà e per questo gli siamo riconoscenti. Ma la sua condanna della
scienza e la sua estetica hanno causato danni gravissimi alla nostra cultura.
Che ora esige riparazione. Lo stesso
Giorello però ha in parte ritrattato l'affermazione, negando che sia da
attribuire a Croce il mancato sviluppo scientifico italiano, adducendo che
quelle che lui considerava una "colpa" sarebbero da accreditare
maggiormente alla Chiesa, agli scienziati stessi e alla classe politica, più
che all'idealismo, che trascura le scienze ma nemmeno le ostacola, definendo la
filosofia di Croce «interessante sotto altri profili, ma poco interessante, quando
si parla di scienza. Croce riteneva le scienze umane e sociali prive di
qualunque validità e del tutto inutili per lo studio dei fenomeni umani. Lui
stesso dichiarò più volte di non riuscire a capire perché si dovesse sprecare del
tempo a studiare «i cretini, i bambini e i selvaggi, quando esistono pensatori
come Kant. ilosofia della pratica «La legge morale è la suprema forza della
vita e la realtà della Realtà.» (Filosofia della pratica. Etica ed
economica, Laterza, Bari) Economia ed etica vengono trattate in Filosofia della
pratica. Economica ed etica. Croce dà molto rilievo alla volizione individuale
che è poi l'economia, avendo egli un forte senso della realtà e delle pulsioni
che regolano la vita umana. L'utile, che è razionale, non sempre è identico a
quello degli altri: nascono allora degli utili sociali che organizzano la vita
degli individui. Il diritto, nascendo in questo modo, è in un certo qual senso
amorale, poiché i suoi obiettivi non coincidono con quelli della morale vera e
propria. Egualmente autonoma è la sfera politica, che è intesa come luogo di
incontro-scontro tra interessi differenti, ovvero essenzialmente conflitto,
quello stesso conflitto che caratterizza il vivere in generale. Croce critica
anche l'idea di Stato etico elaborata da Hegel ed estremizzata da Gentile: lo
Stato non ha nessun valore filosofico e morale, è semplicemente l'aggregazione
di individui in cui si organizzano relazioni giuridiche e politiche. L'etica è
poi concepita come l'espressione della volizione universale, propria dello
spirito; non vi è un'etica naturale o un'etica formale, e dunque non vi sono
contenuti eterni propri dell'etica, ma semplicemente essa è l'attuazione dello
spirito, che manifesta in modo razionale atti e comportamenti particolari.
Questo avviene sempre in quell'orizzonte di continuo miglioramento umano. Teoria
e storia della storiografia «La storia non è giustiziera, ma
giustificatrice» (Benedetto Croce, Teoria e storia della storiografia) La
storia e lo spirito: lo storicismo assoluto Giambattista Vico Come si
evince anche da Teoria e storia della storiografia la filosofia di Croce,
ispirata soprattutto a Giambattista Vico, è fortemente storicista. Per ciò, se
volessimo riassumere con una formula la filosofia di Croce, questa sarebbe
storicismo assoluto, ossia la convinzione che tutto è storia, affermando che
tutta la realtà è spirito e che questo si dispiega nella sua interezza
all'interno della storia. La storia non è dunque una sequela capricciosa di
eventi, ma l'attuazione della Ragione. La conoscenza storica ci illumina a
proposito delle genesi dei fatti, è una comprensione dei fatti che li giustifica
con il suo dispiegarsi. Si delinea in quest'ottica il compito dello storico:
egli, partendo dalle fonti storiche, deve superare ogni forma di emotività nei
confronti dell'oggetto studiato e presentarlo in forma di conoscenza. In questo
modo la storia perde la sua passionalità e diviene visione logica della realtà.
Quanto appena affermato si può evincere dalla celebre frase «la storia non è
giustiziera, ma giustificatrice». Con questo afferma che lo storico non giudica
e non fa riferimento al bene o al male. Quest'ultimo delinea, inoltre, come la
storia abbia anche un preciso orizzonte gnoseologico, poiché in primo luogo è
conoscenza, e conoscenza contemporanea, ovvero la storia non è passata, ma viva
in quanto il suo studio è motivato da interessi del presente. Il bisogno
pratico, che è nel fondo di ogni giudizio storico, conferisce a ogni storia il
carattere di "storia contemporanea", perché, per remoti e remotissimi
che sembrino cronologicamente i fatti che vi entrano, essa è, in realtà, storia
sempre riferita al bisogno e alla situazione presente, nella quale quei fatti
propagano le loro vibrazioni.La storiografia è in seconda istanza utile per
comprendere l'intima razionalità del processo dello spirito, e in terzo luogo
essa è conoscenza non astratta, ma basata su fatti ed esperienze ben precise.
Anche se subisce l'influsso dello storicismo di Voltaire, Croce critica gli
illuministi e in generale tutti coloro che pretendono di individuare degli
assoluti che regolino la storia o la trascendano: invece la realtà è storia
nella sua totalità, e la storia è la vita stessa che si svolge autonomamente,
secondo i propri ritmi e le proprie ragioni. La storia è un cammino
progressivo per cui «Nulla c'è al di fuori dello spirito che diviene e
progredisce incessantemente: nulla c'è al di fuori della storia che è per
l'appunto questo progresso e questo divenire. Ma il positivo destinato a
superare storicamente la negatività dei periodi bui della storia non è una
certezza su cui adagiarsi: questa consapevolezza del progresso storico deve
essere confermata da un impegno costante degli uomini in azioni i cui risultati
non sono mai scontati né prevedibili. La storia diviene, allora, anche storia
di libertà, dei modi in cui l'uomo promuove e realizza al meglio la propria
esistenza. La libertà si traduce, sul piano politico, in liberalismo: una sorta
di religione della libertà o di metodo interpretativo della storia e di
orientamento dell'azione, che è imprescindibile nel processo del progresso
storico-politico, come si evince dal volume del 1938 La storia come pensiero e
come azione Per Croce la libertà può essere apprezzata solo difendendola
costantemente in maniera dialettica, poiché la storia è necessariamente
contrasto. Chi desideri in breve persuadersi che la libertà non può vivere
diversamente da come è vissuta e vivrà sempre nella storia, di vita pericolosa
e combattente, pensi per un istante a un mondo di libertà senza contrasti,
senza minacce e senza oppressioni di nessuna sorta; e subito se ne ritrarrà
inorridito come dall'immagine, peggio che della morte, della noia
infinita.» (La storia come pensiero e come azione). Ciò però non vuol
dire che Croce giustifichi la violenza come necessaria; nello stesso saggio
ammonisce infatti che «la violenza non è forza ma debolezza, né mai può essere
creatrice di cosa alcuna, ma soltanto distruggerla». La concezione
storica crociana ebbe grande seguito in Italia per molto tempo ed ebbe notevole
influenza anche all'estero, ad esempio per quanto riguarda la formazione del
maggior storico americano del nazismo, George Mosse. Croce interviene al
congresso liberale. Croce critico letterario, specie quello di Poesia e non
poesia, esercitò molta influenza successiva, quasi una "dittatura
intellettuale sulla cultura italiana, ma ricevette anche critiche: ad esempio
furono ritenute scorrette, "pseudoconcetti" (riprendendo una parola
usata da Croce), poiché non presentate come opinione personale ma come veri
canoni estetici, varie tesi, come la sua opposizione alle novità letterarie
europee, esemplificate dalle stroncature verso gran parte dell'opera di
Gabriele D'Annunzio, Giovanni Pascoli (di cui apprezzò solo alcune parti di
Myricae e dei Canti di Castelvecchio criticando i saggi e le poesie civili),
del crepuscolarismo e di Giacomo Leopardi: di quest'ultimo salvò, nei Canti,
gli idilli e i canti pisano-recanatesi, ma criticò le poesie "dottrinali"
e polemiche (in particolare i Paralipomeni della Batracomiomachia e la
Palinodia al marchese Gino Capponi) e le opere filosofiche (apprezzò solo una
minima parte delle Operette morali), affermando che quella leopardiana non era
vera filosofia, ma solo uno sfogo poetico in prosa, inferiore comunque alle
liriche, dovuto esclusivamente alle condizioni fisiche e psicologiche del poeta
recanatese. Croce non considera Leopardi un vero filosofo, come Schopenhauer, a
cui invece riconosce dignità filosofica ma che non apprezza come individuo
poiché ritenuto cinico e indifferente, ma solo un pensatore, il cui pensiero è
essenzialmente al servizio della sua poesia. Sulla scorta di Francesco de
Sanctis, esprime simpatia umana al poeta recanatese per lo spirito civile, l'impegno
e la lotta eroica contro le sofferenze fisiche, come espresso nella poesia La
Ginestra. Egli fu grande ammiratore soprattutto del Carducci, in quanto
classicista, razionale e sentimentale al tempo stesso, ma senza scadere nel
sentimentalismo irrazionale, e, a proposito del decadentismo e degli autori di
questo movimento, scrisse, in Del carattere della più recente letteratura
italiana: «Nel passare da Giosuè Carducci a questi tre, sembra, a volte, come
di passare da un uomo sano a tre malati di nervi». La polemica contro il
decadentismo è figlia di quella contro il positivismo: Croce sostiene che il
misticismo decadente, che egli disapprova come sintomo di vuoto spirituale e
filosofico (Croce è razionalista e idealista al tempo stesso), è figlio dello
scientismo positivistico e delle pseudoscienze da esso generate (come lo
spiritismo): «Di qua il positivismo, di fronte il misticismo; perché questo è
figlio di quello: un positivista dopo la gelatina dei gabinetti, non credo
abbia altro di più caro che l'inconoscibile, cioè la gelatina dove si coltiva il
microbio del misticismo». Le opere di Croce spaziano dalla filosofia, alla
storiografia, all'aneddotica, alla critica letteraria e all'erudizione storica.
Qui si indicano le più importanti. Per un elenco completo si veda L'opera di
Benedetto Croce, bibliografia a cura di S. Borsari, Napoli, Istituto italiano
per gli studi storici, I principi dell'estetica crociana, oltre ad essere
formulati in opere organiche, trovarono anche applicazione critica in prefazioni
e curatele di opere altrui. Tale è, ad esempio, la prefazione all'opera di
Tommaso Parodi, Poesia e letteratura: conquista di anime e studi di critica,
pubblicata postuma nel 1916 da Laterza, a cura del Croce. Il filosofo
napoletano collaborò inoltre con numerosi articoli su vari argomenti pubblicati
su molti giornali e riviste stranieri e italiani (Cfr. Panetta, Settant'anni di
militanza: Croce, tra riviste e quotidiani) Ad esempio la sua collaborazione
con il quotidiano Il Resto del Carlino durò per più di 40 anni. Filosofia dello
spirito Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale Logica
come scienza del concetto puro Filosofia della pratica. Economica ed Etica
Teoria e storia della storiografia; Problemi di estetica e contributi alla
storia dell'estetica italiana La filosofia di Vico Saggio sullo Hegel seguito
da altri scritti di storia della filosofia Materialismo storico ed economia
marxistica Nuovi saggi di estetica Etica e politica. La poesia. Introduzione
alla critica e storia della poesia e della letteratura La storia come pensiero
e come azione Il carattere della filosofia moderna Discorsi di varia filosofia;
Filosofia e storiografia; Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici; Perché
non possiamo non dirci "cristiani"; Primi saggi Cultura e vita morale
L'Italia. Pagine sulla guerra Pagine sparse; Nuove pagine sparse; Terze pagine
sparse; Scritti e discorsi politici; Carteggio Croce-Vossler; B. Croce - G.
Papini, Carteggio; Il caso Gentile e la disonestà nella vita universitaria
italiana; Saggi sulla letteratura italiana del Seicento La rivoluzione
napoletana del 1799 La letteratura della nuova Italia; I teatri di Napoli dal
Rinascimento alla fine del secolo decimottavo La Spagna nella vita italiana
durante la Rinascenza Conversazioni critiche Storie e leggende napoletane
Manifesto degli intellettuali antifascisti Goethe Una famiglia di patrioti ed
altri saggi storici e critici Ariosto, Shakespeare e Corneille Storia della
storiografia italiana nel secolo decimonono; La poesia di Dante Poesia e non
poesia Storia del Regno di Napoli Uomini e cose della vecchia Italia Storia
d'Italia; Storia dell'età barocca in Italia Nuovi saggi sulla letteratura
italiana del Seicento Storia d'Europa nel secolo decimonono Poesia popolare e
poesia d'arte Varietà di storia letteraria e civile Vite di avventure, di fede
e di passione Poesia antica e moderna Poeti e scrittori del pieno e del tardo
Rinascimento La letteratura italiana del Settecento Letture di poeti e
riflessioni sulla teoria e la critica della poesia Aneddoti di varia
letteratura Isabella di Morra e Diego Sandoval de Castro Edizione nazionale La
casa editrice Bibliopolis ha in corso di pubblicazione l'edizione nazionale
delle opere di Benedetto Croce, promossa con Decreto del Presidente della
Repubblica. Eugenio Montale, Tutte le poesie, Milano, Mondadori, Enciclopedia
italiana Treccani alla voce "neoidealismo" Emanuele Severino, La filosofia dai Greci al
nostro tempo. La filosofia contemporanea, Milano, Rizzoli, Giulio Giorello, Dimenticare
Croce? Benedetto Croce - Senato Partito Liberale Italiano «nato nel 1924,
sciolto durante il fascismo e ricostituito». In Enciclopedia Treccani alla voce
"Partito Liberale Italiano" Pagina jpg del Corriere del
Mezzogiorno: Luigi Mosca, L'America innamorata di Croce. La prestigiosa rivista
USA "Foreign Affairs" lo incorona tra i pensatori più attuali, Einaudi
infatti sosteneva che «il liberismo non è né punto né poco "un principio
economico", non è qualcosa che si contrapponga al liberalismo etico; è una
"soluzione concreta" che talvolta e, diciamo pure, abbastanza
sovente, gli economisti danno al problema, ad essi affidato, di cercare con
l’osservazione e il ragionamento quale sia la via più adatta, lo strumento più
perfetto per raggiungere quel fine o quei fini, materiali o spirituali che il
politico o il filosofo, od il politico guidato da una certa filosofia della
vita ha graduato per ordine di importanza subordinandoli tutti al
raggiungimento della massima elevazione umana.» (in G.Einaudi, Il buongoverno.
Saggi di economia politica, a cura di E. Rossi, Il filosofo, rispettivamente
nel 1919 e nel 1922, dedica ai paesi degli avi, sia paterni che materni, due
monografie, intitolate Montenerodomo: storia di un comune e due famiglie e
Pescasseroli, uscite per Laterza e in seguito collocate in appendice alla
Storia del Regno di Napoli (Laterza, Bari).
È noto, a tal proposito, l'aneddoto narrato in un testo coevo, secondo
il quale il padre del filosofo, prima di morire tra le macerie, avrebbe detto al
figlio «offri centomila lire a chi ti salva». Cfr. C. Del Balzo, Cronaca del
tremuoto di Casamicciola, Tip. De Blasio e C., Napoli, Un'analisi di quella
traumatica esperienza anche in relazione all'opera di Croce è in S. Cingari, Il
giovane Croce. Una biografia etico-politica, Rubbettino, Soveria Mannelli, Il
problema del male nell’indagine di Cucci. Testimonianza di Croce sul
terremoto Benedetto Croce, Memorie della
mia vita, Istituto italiano per gli studi storici, Napoli 1966. "Il superstite è accolto allora nella
casa romana del politico Silvio Spaventa, cugino del padre e fratello del
filosofo Bertrando. Il lutto, lo spaesamento, l’adolescenza: non stupisce che
questa miscela abbia precipitato il giovane in una crisi d’ipocondria; e
l’ostentato contegno olimpico dell’adulto deriva forse da questo periodo
oscuro. «Quegli anni», confessa l’autore del Contributo, furono «i soli nei
quali assai volte la sera, posando la testa sul guanciale, abbia fortemente
bramato di non svegliarmi al mattino». Nella Roma del trasformismo, Benedetto
si chiude in biblioteca. Ma a scuoterlo è Antonio Labriola, che con le lezioni
sull’etica di Herbart gli offre un appiglio cui aggrapparsi nel naufragio della
fede. Croce ricorda di averne recitato più volte i capisaldi sotto le coperte,
come una preghiera": v. A cento anni dal “Contributo” di Croce, di Matteo
Marchesini, Sole 24 ore, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Ministri
della Pubblica Istruzione, su storia.camera.
Ultimo Governo Giolitti, su storia.camera. A. Jannazzo, Croce e la corsa verso la
guerra, in Idem, Croce e il prepartito degli intellettuali, Edizioni La Zisa,
Palermo, Giorgio Levi della Vida, Fantômes retrouvés, Diogène, Antonio Gnoli,
Benedetto Croce e il suo fantasma, in la Repubblica, Camera dei deputati -
Portale storico Giugno 1924; citato in
G. Levi Della Vida, Fantasmi ritrovati, Venezia, Salvatore Guglielmino/Hermann
Grosser, Il sistema letterario. Guida alla storia letteraria e all'analisi
testuale: Novecento; Casa Editrice G. Principato S.p.A., . Salvatore Guglielmino/Hermann Grosser, Sambugar,
Salà, Letteratura italiana, Croce e il manifesto antifascista. Primo Levi, Potassio, in Il sistema
periodico, poi in Opere, Torino, Einaudi, «La più efficace difesa della civiltà
e della cultura si è avuta in Italia, per opera di Benedetto Croce. Se da noi
solo una frazione della classe colta ha capitolato di fronte al nemico a
differenza di quel che è avvenuto in Germania, moltissimo è dovuto al Croce. (Guido
De Ruggiero) Osserva Nicola Abbagnano nella sua Storia della filosofia: «Il
regime fascista, certo per costituirsi un alibi di fronte agli ambienti
internazionali della cultura, consentì tacitamente a Croce una certa libertà di
critica politica; e Croce si avvalse di questa possibilità [...] per una difesa
degli ideali di libertà... Negli anni del fascismo e della seconda guerra
mondiale la figura di Croce ha assunto perciò, agli occhi degli italiani, il
valore di un simbolo della loro aspirazione alla libertà, e ad un mondo in cui
lo spirito prevalga sulla violenza. E tale si mantiene a distanza di anni. Il
terzo volume del carteggio tra Croce e Laterza (l'editore delle opere crociane)
offre una grande quantità di esempi delle difficoltà di mantenersi in
equilibrio “tra l'opposizione concreta e organizzata al fascismo, e l'adesione
o la cinica indifferenza”. Esempi “quasi tutti orientati però verso una precisa
direzione: quella dell'autocensura, a volte praticata, altre volte
orgogliosamente respinta... Tra i molti casi che potrebbero essere citati a
illustrazione di questo atteggiamento, è notevole quello sorto attorno alla
dedica apposta da Paolo Treves, nel libro sulla filosofia di Tommaso
Campanella, al padre Claudio, scrittore e parlamentare socialista, famigerato
tra i fascisti soprattutto per il celebre duello ingaggiato con Mussolini. La
dedica recitava: “A mio padre, che mi additò con l'esempio la dignità della
vita”. Laterza scrive a Croce accostando, con diplomatica sottigliezza, la
lettura di un volgare trafiletto anticrociano e antilaterziano sul “Lavoro
fascista” alla questione della dedica, che egli propone al Treves di limitare
“alle prime tre parole essenziali, non essendo opportuno motivarla allo stato
attuale delle cose”. Alla lettera Croce risponde il giorno dopo,
tranquillizzando Laterza sulla “purezza” del lavoro storico del Treves e
sull'assenza in esso di riferimenti al presente, e aggiungendo, con maliziosa e
retorica ingenuità: “ma veramente non capisco perché vi abbia fatto senso
quella dedica affettuosa di un figlio al padre. O che la dignità della vita (il
corsivo è ovviamente di Croce) è un fatto politico del giorno?”. Comunque sia,
la dedica uscì poi nella versione “purgata”. Maurizio Tarantino, recensione a
Benedetto Croce-Giovanni Laterza, Carteggio, a c. di Antonella Pompilio,
Napoli, Roma-Bari, Istituto italiano per gli studi storici, Laterza, “L'indice”. L'episodio è narrato con dovizia
di particolari in una lettera di Fausto Nicolini a Giovanni Gentile riportata
da Gennaro Sasso in Per invigilare me stesso, Bologna, Il mulino, Alessandro
Barbera (a cura di), La biblioteca esoterica. Carteggi editoriali Evola-Croce-Laterza,
Roma, Fondazione Julius Evola, Cesare Medail, Julius Evola: mi manda Don Benedetto,
in Corriere della Sera, Cfr. la prefazione del testo Lettere di Julius Evola a
Croce. Regio Decreto Legge, Disposizioni sull'istruzione superiore (pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, Flavio Fiorani, Francesca Tacchi,
Storia illustrata del fascismo, Giunti Editore, 2000,91 La Repubblica, Giuseppe Giarrizzo rivendicò
con una punta di orgoglio l'essere annoverato tra i “nipotini” di Croce (se,
nel corso di uno sgradevole scontro, sono stato per Ernesto De Martino un
«basco verde di Palazzo Filomarino. Giarrizzo, Giuseppe, Di Benedetto Croce e
del filosofare sine titulo, Archivio di storia della cultura: Napoli: Liguori, si veda: Antonio Gramsci, Il materialismo
storico e la filosofia di Benedetto Croce
B. Croce, Epistolario, I, Napoli, Istituto italiano per gli studi
storici, La vicenda è descritta e analizzata da Gennaro Sasso, La guerra
d'Etiopia e la “patria”, in Per invigilare me stesso, Bologna, Il mulino, Pierluigi
Battista, Corriere della Sera, B. Croce, Taccuini di lavoro, Napoli, La
tentazione antisemita di tre antifascisti liberali Dante Lattes, Ferruccio Pardo, Benedetto
Croce e l'inutile martirio d'Israele. L'ebraismo secondo B. Croce e secondo la
filosofia crociana Michele Sarfatti, Il
ritorno alla vita: vicende e diritti degli ebrei in Italia dopo la seconda
guerra mondiale, pag. 111 Peter
Tompkins, L'altra Resistenza. Servizi segreti, partigiani e guerra di
liberazione nel racconto di un protagonista, Il Saggiatore, Croce rimase fermo
sulle sue posizioni: l'unica condizione alla quale i partiti antifascisti
dell'opposizione avrebbero accettato di entrare nel governo di Badoglio era
l'abdicazione di Vittorio Emanuele III. Era stato il re, disse Croce, ad aprire
le porte al fascismo, favorendolo, appoggiandolo e servendolo per vent'anni». Tompkins, Piero Operti, Lettera aperta a
Benedetto Croce, Torino, Lattes, Giuseppe Mazzini (1948), poi in Scritti e
discorsi politici, II, Bari, Laterza, 1963,451; sulle caratteristiche
"affettive" del pronunciamento di Croce al referendum, vedi Fulvio
Tessitore, Il percorso psicologico dalla monarchia alla repubblica attraverso i
Taccuini di lavoro di Benedetto Croce, in Benedetto Croce e la nascita della
Repubblica. Atti del convegno tenutosi presso il Senato della Repubblica,
Soveria Mannelli, Rubbettino, "non
sono veri liberali...coloro che si fregiano, come ora taluni hanno preso a
fare, del nome di monarchici, perché il liberalismo non ha altro fine che
quello di garantire la libertà" e se "la forma Repubblicana gli offre
questa...garanzia quando non gliene offre sicura la monarchia, sarà anche
eventualmente repubblicano" (Taccuini di lavoro; "se il tentativo la
duplice abdicazione di Vittorio Emanuele III e di Umberto II] fallisse, noi
sosterremo il partito della Repubblica, adoperandoci a farla sorgere temperata
e non sfrenata, sennata e non dissennata" (Taccuini di lavoro. Benedetto
Croce, mai nominato, formalmente rifiutò prima ancora che la sua ventilata
nomina potesse concretizzarsi.» (In Davide Galliani, Il Capo dello Stato e le
leggi, Volume 1, Giuffrè Editore, Ente Morale, su UniSOB.na. URL consultato il
30 ottobre 2018. Senato della
Repubblica-Cinecittà Luce, Il filosofo della libertà: Napoli - il funerale di
Benedetto Croce B. Croce, Maria
Curtopassi, Dialogo su Dio: carteggio 1941-1952, Archinto, Il carteggio fra
Croce e Maria Curtopassi è stato pubblicato presso la casa editrice Archinto da
Giovanni Russo, autore anche della nota introduttiva, Maurizio Griffo, Il
pensiero di Benedetto Croce tra religione e laicità. La citazione è tratta da: B.
Croce, Taccuini di lavoro, vol. 6, Napoli. Croce, Perché non possiamo non dirci
anticoncordatari. Discorso contro i patti lateranensi, tratto da: Benedetto
Croce, Discorsi parlamentari, Bardi editore, Roma, Atti parlamentari della Camera:
Guido Verucci, Idealisti all'Indice. Croce, Gentile e la condanna del
Sant'Uffizio, Laterza, Aldo Capitini, La compresenza dei morti e dei viventi,
Il Saggiatore, Milano, La Critica. Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia
diretta da B. Croce, Il ministro dell'Educazione Nazionale, Giuseppe Bottai
alluse ironicamente all'operetta crociana con un articolo intitolato Benedetto
Croce rincristianito per dispetto (In Ruggiero Romano, Paese Italia: venti
secoli di identità, Donzelli Editore,Perché non possiamo non dirci "cristiani,
in La Critica, 20 novembre 1942; poi in Discorsi di varia filosofia, Laterza,
Bari 1945 B. Croce, M. Curtopassi, Dialogo
su Dio. Carteggio op.cit. ibidem.
F.Focher, Rc. a F. Capanna, La religione in Benedetto Croce. Il momento
della fede nella vita dello spirito e la filosofia come religione, Bari 1965,
in Rivista di studi crociati, Sandro Magister, Colloquio con Vittorio Foa (Da
l'Espresso, Documenti) In Vittorio
Messori, Pensare la storia: una lettura cattolica dell'avventura umana,
Paoline,Nello Ajello, Solo per amore, "La Repubblica, Gennaro Sasso, Per
invigliare me stesso, Bologna, Il mulino, 1989,36-9 Nel registro mortuario di Raiano, vicino a
L'Aquila, viene indicata erroneamente come "moglie del senatore Benedetto
Croce" Benedetto Croce e l'amore
Ottaviano Giannangeli, Benedetto Croce a Raiano, in "L'Osservatore
politico letterario", Milano-Roma, n. 10, ottobre 1964 Morta Alda Croce, figlia di Benedetto
Croce È morta Silvia Croce l'ultima nata
del filosofo Morta Lidia, l'ultima figlia
ancora vivente di Benedetto Croce. Si è spenta a Napoli a 93 anni Il
pensiero filosofico di Benedetto Croce - senato B. Croce, La storia come
pensiero e come azione, Laterza, Bari Saggio sullo Hegel Croce, da "papa laico" a grande
dimenticato Renzo Grassano, La filosofia
politica di Karl Popper: 1 - La critica della dialettica hegeliana e dello
storicismo; commento a La società aperta e i suoi nemici e Miseria dello
storicismo di Popper Croce e il
totalitarismo Carteggio
Croce-Omodeo Georg Wilhelm Friedrich
Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Bompiani, Milano In opposizione al
positivismo che voleva riportare la storia ad una forma della scienza, Croce si
era interessato dell'estetica nella quale avrebbe dovuto essere compresa la
storia; cfr. La storia sotto il concetto generale dell'arte, Bari 1919 Per questo motivo Croce della Divina Commedia
di Dante apprezza la prima cantica dell'Inferno in quanto risultato di una
forte e sentita intuizione-espressione, mentre apprezza meno la cantica del
Paradiso dove Dante mescolerebbe poesia e filosofia Nella premessa datata «novembre 1908» Croce
scrive di aver trattato l'argomento nello scritto intitolato Lineamenti di una
logica come scienza del concetto puro pubblicato negli Atti dell’Accademia pontaniana
nel 1905. In effetti però avverte Croce che il volume «È una seconda edizione
del mio pensiero, piuttosto che del mio libro» (B. Croce, Logica, Cent'anni di
ricerca in Italia. Un passato da salvare, conferenza del prof. Carlo
Bernardini, dal sito Centro Studi Enriques, B. Croce, La storia come pensiero e
come azione, Laterza, Bari. Quel che si scrivevano Einstein e Croce Dimenticare Croce? (Corriere della Sera) La scienza negata. Il caso italiano, Codice
Edizioni, l'Italia della scienza negata (dal blog de Il Sole 24 Ore) Ministro dell'Istruzione del governo
Mussolini, promotore della riforma scolastica varata in Italia nel 1923 Lucio Lombardo Radice in O. Pompeo Faracovi
(a cura di), Federico Enriques, Approssimazione e verità, Belforte, Livorno
1982 Giulio Giorello, Dimenticare
Croce?, in Il Corriere della Sera, L'arretratezza dell'Italia in campo
scientifico è il risultato di cattive scelte dei politici da una parte e di
resistenze culturali e di incapacità degli scienziati stessi a comunicare
dall'altra e che quindi risultano indipendenti dall'idealismo crociano. A
livello culturale, casomai, esistono altre forze che potrebbero essere imputate
del ritardo scientifico, si veda per esempio la nefasta influenza della Chiesa
in merito ad alcuni aspetti delle ricerche bioetiche. La mia perplessità nei
confronti di Croce non riguarda le pretese conseguenze della sua filosofia
sullo sviluppo tecnico-scientifico del nostro Paese. Mi sembra che sia una
polemica datata e ormai superata. Non credo che dalle posizioni
antiscientifiche di Croce derivi un ritardo della società italiana nei
confronti della scienza. Quella di Croce è una filosofia interessante sotto
altri profili, ma poco interessante, quando si parla di scienza e quindi è
deficitaria sotto il profilo di una seria trattazione del problema della
conoscenza.» (Giulio Giorello), in È vero che Croce odiava la scienza? -
Dialogo tra Giulio Giorello e Corrado Ocone, Vincenzo Matera, Angela Biscaldi,
Mariangela Giusti, Elena Pezzotti, Elena Rosci, Scienze umane - Corso integrato,
Marietti Scuola,9. Benedetto Croce, La
storia come pensiero e come azione, Laterza, Bari, Nicola Abbagnano, Storia
della filosofia, Lorenzo Benadusi, Giorgio Caravale, George L. Mosse's Italy:
Interpretation, Reception, and Intellectual Heritage, Palgrave Macmillan, Sambugar,
Salà, Letteratura italiana Paolo
Ruffilli, Introduzione alle Operette morali di Leopardi, ed. Garzanti Sebastiano Timpanaro, Classicismo e
illuminismo nell'Ottocento italiano
Croce, Schopenhauer e il nome del male
Si riferisce a d'Annunzio, Fogazzaro e Pascoli Riportato in Mario Pazzaglia, Letteratura
italiana III Benedetto Croce, Del carattere
della più recente letteratura italiana, in Letteratura della nuova Italia,
Bari, Dino Biondi, Il Resto del Carlino, Edizioni Nazionali istituite anteriormente
alla legge su Ministero per i Beni e le Attività Culturali, concernente
l'«Edizione Nazionale delle opere di Benedetto Croce. Integrazione della
composizione della Commissione» su Ministero per i Beni e le Attività
Culturali, VISTO il D.P.R. 14 agosto 1981 istitutivo dell'Edizione Nazionale
delle opere di Benedetto Croce».Bibliografia Guido Fassò, Croce, Benedetto, in
Novissimo Digesto Italiano, diretto da A. Azara e E. Eula, Torino, Utet, Carlo
Antoni, Commento a Croce, Venezia, Neri Pozza, Alfredo Parente, Il pensiero
politico di Benedetto Croce e il nuovo liberalismo, Sergio Solmi, Il Croce e noi,
in "La Rassegna d'Italia", La letteratura italiana contemporanea, a
cura di Giovanni Pacchiano, Milano, Adelphi). Fausto Nicolini, Benedetto Croce,
Utet, Torino, Ottaviano Giannangeli, Benedetto Croce a Raiano, in
"L'Osservatore politico letterario", Milano-Roma, (ora in Id.,
Operatori letterari abruzzesi, Lanciano, Itinerari). Damiano Venanzio Fucinese,
Dieci lettere inedite di Croce, in "Dimensioni", Lanciano, Ulisse
Benedetti, Benedetto Croce e il Fascismo, Roma, Volpe Rditore, Roma, Gennaro
Sasso, Benedetto Croce. La ricerca della dialettica, Napoli, Morano, Nicola
Badaloni, Carlo Muscetta, Labriola, Croce, Gentile, Roma-Bari, Laterza (in
part. di Muscetta: La versatile precocità giovanile di Benedetto Croce. Profilo
della sua lunga operosità, Critica e metodologia letteraria di Croce, Croce
scrittore: multiforme unità della sua prosa). Gianfranco Contini, La parte di
Benedetto Croce nella cultura italiana, in Altri esercizi, Torino, Einaudi, Gennaro
Sasso, La "Storia d'Italia" di Benedetto Croce. Cinquant'anni dopo,
Napoli, Bibliopolis, Paolo Bonetti,
Introduzione a Croce, Editori Laterza, Claes G. Ryn, Will, Imagination and
Reason: Babbitt, Croce and the Problem of Reality (1986). Emma Giammattei,
Retorica e idealismo, Il Mulino, Bologna, 1987. Gennaro Sasso, Per invigilare
me stesso. I taccuini di lavoro di Benedetto Croce, Bologna, Il Mulino, 1989. Giuseppe
Galasso, Croce e lo spirito del suo tempo, Milano, Il Saggiatore, Croce e la
cultura meridionale. Atti del convegno di studi, Sulmona-Pescasseroli-Raiano, a
cura di Giuseppe Papponetti, Pescara, Ediars, Toni Iermano, Lo scrittoio di
Croce con scritti inediti e rari, Napoli, Fiorentino, Antonio Cordeschi, Croce
e la bella Angelina. Storia di un amore, Milano, Mursia, Gennaro Sasso,
Filosofia e idealismo. I - Benedetto Croce, Napoli, Bibliopolis, Pier Vincenzo
Mengaldo, "Benedetto Croce", in: Profili critici del Novecento,
Torino, Bollati Boringhieri, 1998. Giovanni Sartori, Studi crociani, Bologna,
Il Mulino, Ottaviano Giannangeli, Croce e la riconquista dell'Abruzzo e Due
monografie e un appunto, in Scrittura e radici. Saggi, Lanciano, Carabba, Croce
filosofo. Atti del convegno internazionale di studi in occasione del 50º
anniversario della morte: Napoli-Messina, Soveria Mannelli, Rubbettino, Ernesto
Paolozzi, L'estetica di Benedetto Croce, Napoli, Guida, Fabio Fernando Rizi,
Benedetto Croce and Italian fascism, University of Toronto Press, Toronto, M.
Visentin, Il neoparmenidismo italiano, I. Le premesse storiche e filosofiche:
Croce e Gentile, Napoli, Bibliopolis, Maria Panetta, Croce editore, Napoli,
Bibliopolis, Guido Verucci, Idealisti all'indice. Croce, Gentile e la condanna
del Sant'Uffizio, Laterza, Roma-Bari, Girolamo Cotroneo, Croce filosofo
italiano, Firenze, Le Lettere, Giuseppe Gembillo, Benedetto Croce, filosofo
della complessità, Soveria Mannelli, Rubbettino, Antonio di Mauro, Il problema religioso
nel pensiero di Benedetto Croce, Milano, FrancoAngeli. Marcello Mustè, La
filosofia dell'idealismo italiano, Roma, Carocci, Marcello Mustè, Croce,
Carocci, Roma, Emma Giammattei, I dintorni di Croce. Tra figure e corrispondenze,
Napoli, Guida, Giancristiano Desiderio, Vita intellettuale e affettiva di
Benedetto Croce, Macerata, Liberilibri,G. Galasso, La memoria, la vita, i
valori. Itinerari crociani, a cura di E. Giammattei, Napoli, Istituto italiano
per gli studi storici - il Mulino, Carlo Nitsch, «Diritto»: studio per la voce
di un lessico crociano, in JusOnline, IV. Pirro, filosofia e politica in Benedetto
Croce, Roma, Bulzoni, G. Sasso, Croce. Storia d'Italia e Storia d'Europa,
Napoli, Bibliopolis, Michele Lasala, Il lirico sospiro di un istante.
L'estetica crociana e i suoi critici, in "Quaderni di Diacritica", Roma,
Diacritica Edizioni, Roma, G. Sasso, Croce e le letterature e altri saggi,
Napoli, Bibliopolis, Silvestri Paolo, “Rileggendo Einaudi e Croce: spunti per
un liberalismo fondato su un’antropologia della libertà”, Annali della
Fondazione Luigi Einaudi, Silvestri Paolo, “Liberalismo, legge, normatività.
Per una rilettura epistemologica del dibattito Croce-Einaudi”, in R.
Marchionatti,Soddu (Eds.), Luigi Einaudi nella cultura, nella società e nella
politica del Novecento, Leo Olschki, Firenze, Silvestri P., Economia, diritto e
politica nella filosofia di Croce. Tra finzioni, istituzioni e libertà,
Giappichelli, Turin, Giuseppe Russo, Croce e il diritto: dalla ricerca della
pura forma giuridica all'irrealtà delle leggi, in Diacronìa. Rivista di storia
della filosofia del diritto, Voci correlate Istituto italiano per gli studi
storici Fondazione Biblioteca Benedetto Croce Liberalismo Manifesto degli
intellettuali antifascisti Premio nazionale di cultura Benedetto Croce. Treccani
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana.Benedetto Croce, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.Benedetto
Croce, su Dictionary of Art Historians, Lee Sorensen.Opere di Benedetto Croce /
Benedetto Croce (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl.Opere di
Benedetto Croce, su Open Library, Internet Archive.Opere di Benedetto Croce, su
Progetto Gutenberg.Audiolibri d su LibriVox.(FR) Pubblicazioni di Benedetto
Croce, su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de
l'Innovation.Bibliografia di Croce, su Internet Speculative Fiction Database,
Al von Ruff.Benedetto Croce, su storia.camera, Camera dei deputati.Benedetto
Croce, su Senatori d'Italia, Senato della Repubblica.Benedetto Croce, in Il
contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Scheda sul sito del Senato, su notes9.senato. L'Istituto italiano per
gli studi storici fondato da Benedetto Croce, su iiss. La Fondazione Biblioteca
Benedetto Croce, su fondazionebenedettocroce. Una bibliografia di Benedetto
Croce, su rivista.ssef. Una bibliografia di Benedetto Croce con corredo di
riassunti delle opere e piccoli s aggi, su nuovorealismo.Biografia di Benedetto
Croce con elenco opere, su giornaledifilosofia.net. Il problema
dell'impressione nella ricerca filosofica del giovane Croce, su
giornaledifilosofia.net. L'elenco dei volumi dell'Edizione Nazionale, su
bibliopolis. Benedetto Croce, su Camera - Assemblea Costituente, Parlamento
italiano. Le riviste di Benedetto Croce on line. Accesso full text a «La
Critica. Rivista di letteratura, storia e filosofia» ai «Quaderni della
“Critica”» su bibliotecafilosofia.uniroma1. Benedetto Croce, il filosofo
liberale, sul RAI Filosofia, su filosofia.rai. Alessandra Tarquini, Benedetto
Croce, il filosofo liberale, Radio3, Benedetto Croce. Keywords. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Croce: implicatura: intenzione, espressione, e
communicazione”
curcio (Noto). Filosofo. Grice:
“Curcio is what we could call at Oxford a poet; he wrote a little book
‘Esistentee,’ an obvious parody on Sartre, ‘L’essistentialismo e un umanesimo.’
– His background is philososophical though, and it shows!” Ensegna a Noto e
Messina. Direttore Generale per l'Ordine Ginnasiale. Altre opere: “Armonia e dissonanza” –
consonanza e dissonanza (Noto) – etimologia di armonia – cognata con ‘armento’
e ‘aritmetica’ – “La sfinge” – “La piramide”. “Il prezzo della salute” (Noto).
Commenti, libri I-XXIV – Roma” – “Il giro del templo” (Bonacci, Roma);
“Mottetto” (Bonacci, Roma); “Fugato” (Bonacci, Roma); “II grano di follia”
(Bonacci, Roma); “Senza più peso” (Bonacci, Roma); “Assolo, (Bonacci, Roma); “A
due voci” (Bonacci, Roma); “L'avita vocazione” (Bonacci, Roma); “Esistente”
(Bonacci, Roma); “Altri occhi” (Bonacci, Roma); “Le due cene” (Bonacci, Roma);
“Sitio” (Bonacci, Roma); “Consummatum” (Bonacci, Roma); “Derelictus” (Bonacci,
Roma); “In horto” (Bonacci, Roma); “Paradossale” (Bonacci, Roma); “Felix”
(Bonacci, Roma); “Deliramentum” (Bonacci, Roma). Corrado Curcio. Keywords: esistenti
-- Lucrezio, Foscolo, Leopardi, Alighieri, Gentile, Diano, Sicilian philosophy.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Curcio” – The Swimming-Pool Library.
Curi (Verona).
Filosofo. Grice: “I like Curi; unlike me, we would call him a prolific
philosopher; my favourite are his reflections on ‘eros’, ‘amore’ and bello, but
he has also written on various topics related to maleness -- Si laurea a Padova. Insegna a Padova. Membro
dell’Istituto Gramsci Veneto. Formatosi alla scuola di Diano, Gentile e Bozzi, incontra
Cacciari. A partire da quel topos, si avvia un sodalizio estremamente solido e
fecondo, all'insegna di una comune ricerca del nuovo, e di un impegno
teoretico rigoroso, che va oltre il piano strettamente della speculazione, in direzione
di una pratica civile. Filosofa sul nesso politica-civilita e guerra e sul
concetto di ‘polemos’ – cf. Grice epagoge/diagoge “”War is war” – Eirene --,
lungo la linea che congiunge Eraclito a Heidegger. Valorizza la narrazione, sia
intesa come mythos, sia concepita come opera cinematografica. Medita su alcuni
temi fondamentali dell'interrogazione filosofica, quali l'amore e la morte, il
dolore e il destino. Altre opere: “Endiadi: figure della dualità”
(Feltrinelli, Milano); “La filosofia come ‘bellum’” (Bollati Boringhieri,
Torino); “La forza dello sguardo” – Lat. vereor – warten: to see --; “Meglio
non essere nati: la condizione umana” – cf. la condition humaine”, Malraux);
“Lo schermo” (Raffaello Cortina Editore, Milano); “Un filosofo al cinema,
Bompiani, Milano).Quello che non e filosofo, ma ha soltanto una verniciatura di
casi umani, come il maschio abbronzato dal sole, vedendo quante cose si devono
imparare, quante fatiche bisogna sopportare, come si convenga, a seguire tale
studio, la vita regolata di ogni giorno, giudica che sia una cosa difficile e impossibile
per lui. A questo maschio bisogna mostrare che cos'è davvero la filosofia, e
quante difficoltà presenta, e quanta fatica comporta.” (Platone, Lettera
settima). La libertà non è soltanto l'essere-liberati DA lle catene né soltanto
l'esser-divenuti-liberi PER la luce, ma l'autentico essere-liberi è
essere-liberatori DA il buio. La ridiscesa nella caverna non è un divertimento
aggiuntivo che il presunto "libero" possa concedersi così per svago,
magari per curiosita. E esser-ci dentro tutto, essa soltanto, il compimento autentico
del divenire liberi. Heidegger, L'essenza della verità, Franco Volpi, Milano).Ne
“La brama dell'avere” si ha un attento e puntuale riesame sia
storico-filosofico che critico-filologico della fondamentale categoria
esistenziale dell'”avere” – “the have and have-nots” -- alla luce dell'odierno assetto
socio-comunitario. Cf. Grice on “H” for “Hazzes” “x H y” Curi focuses on ‘ekhein’ which would then
correspond to Grice’s “H” --. Altre opere: “Il coraggio di pensare,
manualistica di filosofia, Loescher editore, Torino); “Il problema dell'unità
del sapere nel comportamentismo” (CEDAM, Padova); “Analisi operazionale e operazionismo”
(CEDAM, Padova); “L'analisi operazionale della psicologia” (Franco Angeli,
Milano); “Dagli Jonici alla crisi della fisica” (CEDAM, Padova); “Anti-conformismo
e libertà intellettuale: per una dialettica tra pensiero e politica” (Padova) –
cfr. Grice on non-conformismo – “Psicologia e critica dell'ideologia” (Bertani,
Roma); “La ricerca” (Marsilio, Venezia); “Katastrophé. Sulle forme del
mutamento scientifico” (Arsenale Cooperativa, Venezia); “La linea divisa.
Modelli di razionalita' e pratiche scientifiche nel pensiero occidentale” (De
Donato, Bari); “Pensare la guerra. Per una cultura della pace” (Dedalo, Bari) –
cf. Grice on ‘eirenic effect’ – pax et bellum – si vis pacem para bellum. ex
bello pace. “Dimensioni del tempo” (Franco Angeli, Milano); “Einstein”
(Gabriele Corbo, Ferrara); “La cosmologia filosofica” (Gabriele Corbo,
Ferrara); “La politica sommersa. Per un'analisi del sistema politico italiano,
Franco Angeli, Milan); “Lo scudo di Achille. Il PCI nella grande crisi” (Franco
Angeli, Milano); “L'albero e la foresta. Il Partito Democratico della Sinistra
nel sistema politico italiano, con Paolo Flores d'Arcais, Franco Angeli,
Milano); “Metamorfosi del tragico tra classico e moderno, Bari); “La repubblica
che non c'è” (Milano); “Poròs. Dialogo in una società che rifiuta la bellezza,
Milano); L'orto di Zenone. Coltivare per osmosi” (Milano); “Amore duale”
(Feltrinelli, Milano); “Platone: Il mantello e la scarpa” (Il Poligrafo,
Padova); “Pensare la guerra. L'Europa e il destino della politica, Dedalo,
Bari); “Pólemos. Filosofia come guerra, Bollati Boringhieri, Torino); Ombra
della’ idea. Filosofia del cinema fra «American beauty» e «Parla con lei»,
Pendragon, Bologna); “Filosofia del Don Giovanni. Alle origini di un mito
moderno, Bruno Mondadori, Milano); “Il farmaco della democrazia. Alle radici
della politica, Marinotti, Milano); “La forza dello sguardo, Bollati
Boringhieri, Torino); “Skenos. Il Don Giovanni nella società dello spettacolo”
(Milano); “Libidine” (Milano). Un filosofo al cinema, Bompiani, Milano); Meglio
non essere nati. La condizione umana tra Eschilo e Nietzsche, Bollati
Boringhieri, Torino); Miti d'amore. Filosofia dell'eros, Bompiani, Milano); Pensare
con la propria testa” (Mimesis, Milano); “Straniero, Raffaello Cortina Editore,
Milano); “Passione” (Raffaello Cortina Editore, Milano . La porta stretta. Come
diventare maggiorenni” (Bollati Boringhieri, Torino); “I figli di Ares. Guerra
infinita e terrorismo, Castelvecchi, Roma . La brama dell'avere; Il Margine,
Trento); “Il mito di Narciso sul Umberto
Curi. Keywords: have, habere, habitus, comportamentismo, behaviourism. La brama
dell’avere, anticonformismo, guerra e pace – Eirene – cosmologia anthropologia –
l’orto di Zenone – lo scudo d’Achille – I figli di Marte -- il mantello e la scarpa libido -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Curi” – The Swimming-Pool Library.
cusani:
(Solopaca).
Filosofo. Grice: “I love Cusani; for one, I was born at Harborne, but nobody
cares; Cuasani was born in Solopaca, and there’s a ‘corso Cusani’, and a
‘Biblioteca Cusani’.” Grice: “Cusani would have been friend with Bosanquet;
both are Hegelians – Italians, after SOME Germans, were the first to endorse
the philosophy of the absolute spirit inmanent to dialectic – Cusani does
attempt to respond to a criticism on the ‘assoluto’ brought up by Hamilton (of
all people), and consdtantly refers to the ‘metafisica dell’assoluto’ – a ‘progetto,’
he humply titles it!” Figlio di Filippo e Caterina Cardillo, nacque al capoluogo
distrettuale e di comprensorio del Regno delle Due Sicilie. Membro dei
Pontaniani. Frequenta il circolo del marchese Basilio Puoti, insieme a Sanctis
e Gatti. Punto di partenza della sua
filosofia, comune a buona parte del circolo del’hegelismo di stanza a Napoli,
dei quali e un esponente, fu Cousin, il fondatore della “storiografia
filosofica”. Insegna a Montecassino, e al collegio Tulliano di Arpino, dove fu
affiancato da Spaventa, chiamato poi a sostituirlo. Si stabilisce a Napoli nel
proprio studio privato. I saggi di Cusani furono pubblicati su “Il progresso
delle scienze, delle lettere e delle arti” e “Museo di filosofia”. La seconda
fu da lui stesso fondata. Molti dei saggi di filosofia più impegnati furono
pubblicati in L’Antologia, di Firenze. Scrisse inoltre note e recensioni nel
periodico l'Omnibus e nella Rivista napolitana.
Molte delle sue opere sono archiviate presso la Biblioteca "Stefano
Cusani" di Solopaca. Idealista
hegeliano ed esponente dell’ecletticismo filosofico di Cousin. Opere: “Della
fenomenologia, il fatto di coscienza intersoggetiva”; “Del metodo filosofico”;
“Storia dei sistemi filosofici”; “Della materia della filosofia e del solo
procedimento a poterlo raggiungere”; “Il romanzo filosofico”; “La poesia
drammatica”; “L’assoluto – l’obbjezione d’Hamilton”; “Logica immanente e logica
trascendentale”; “Compendio di storia di filosofia”; “Della lirica considerata
nel suo svolgimento storico e del suo predominio sugli' altri generi di
poesia”; “Economia politica e sua relazione colla morale”; “L’essere e gli
esseri: disegno di una metafisica”; “Percezione dell’esistenza”. Nel comune di
Solapaca è stato indetto nel un anno di
celebrazione in occasione del centenario della nascita nel comune di Solopaca.
Il corso Stefano Cusani gli è stato intitolato a Solopaca. Sanctis lo cita
nella autobiografia. Cusani dato alla stessa filosofia, ha maggiore ingegno del
superbissimo Gatti, ed e mitissima natura d'uomo. Sale al tavolo degli oratori
con tale fervore dialettico che a tutta la persona grondava onorato sudore» (G.
Giucci, Degli scienziati italiani formanti parte del VII congresso in Napoli
nell'autunno del 1845: notizie biografiche, Napoli. L'amico coetaneo Cesare Correnti, patriota
milanese legato ai circoli Napoli, insegnante nella Scuola di lingua italiana
da lui fondata, gli dedicò un necrologio. Ecco un altro amico, un'altra fiorita
speranza di questa nostra Napoli sparire a un tratto a noi d'intorno. Ben dissi
a un tratto, poiché la sua non lunga malattia parve un momento agli amici. La
filosofia specialmente nol sedussero, in modo che a più severi studi non
volgesse l'acuto e fervidissimo spirito, e a bella armonìa si composero
nell'anima sua. Rivista europea», ripr. in Scritti scelti, T. Massarani, Forzani,
Roma). «Rivista europea», ripubblicato in Scritti scelti, T. Massarani,
Forzani, Roma, Dizionario biobibliografico del Sannio, Napoli, "Il Progresso",
"Il Lucifero","Omnibus"; "Rivista napolitana", Sanctis,
La letteratura ital. nel sec. XIX, II, La scuola liberale e la scuola democratica
N. Cortese, Napoli; G. Oldrini, Gli hegeliani di Napoli. A. Vera e la corrente
"ortodossa" (Milano); F. Zerella, Filosofia italiana meridionale”; “Dall'eclettismo
all'hegelismo in Italia”. Cusani e la filosofia italiana: Vico, Galluppi,
Mamiami, Colecchi, Rosmini. Nasceva in Solopaca, una
volta Distretto di Caserta, oggi Circondario di Cerreto Sannite (Benevento) il
23 dicembre 1816, Stefano Cusani da Filippo e Caterina Cardillo. Suo padre,
insigne avvocato, fu sollecito della educazione di questo come di altri quattro
suoi figliuoli, che, affidati alle cure di un suo fratello germano a nome
Matteo, sacerdote, mandolli in tenera età a imcominciare e compiere i loro
studî in Napoli. Ivi Stefano, ch'era il secondogenito di cinque fratelli,
frequentava i più rinomati Istituti privati di quel tempo (che allora
l'insegnamento pubblico esisteva sol di nome), si distingueva fra gli
altri condiscepoli in ognuno di questi, così che in breve, compiuti gli studi
letterarî fu giocoforza mettersi a studiare le scienze della facoltà che doveva
seguire. Fu questo il solo brutto periodo di sua vita. Suo padre voleva fare di
lui un Avvocato civile, come suol dirsi, e quindi fu obbligato a studiare leggi
e pandette, per le quali discipline non si sentiva la benchè minima
inclinazione, anzi, a dir vero, sentiva per esse la più marcata avversiono; ma
buon figlio e docile essendo, per non dispiacere al padre, che tanti sacrifizî
avea fatti e faceva per lui, come per gli altri fratelli, a malincuore sempre,
ma sempre tacendo, giunse fino ad esser Avvocato, ed a fare la pratica presso
uno de'luminari del Foro Napoletano. Da questo momento incomincia il suo grande
sviluppo intellettuale. Non potendone più, la rompe col padre, dicendosi
avverso ai processi, ed allo studio di essi, e ad ogni altro artifizio da
causidico. La rompe con quella pratica noiosa, che tralascia ed abbandona; ed
ottiene dal padre stesso, che ragionevole e savio uomo era, di poter attendere
a quegli studi che più alla sua indole si affacevano. Fioriva in quel tempo, a
Napoli, la scuola del Marchese Basilio Puoti, ed egli, incontratosi con
Stanislao Gatti che fu poi indivisibile amico e compagno, vi si getto a
capofitto, e fu in poco tempo il più caro e pregiato discepolo del Marchese,
come l'amico e compagno del De Sanctis, del Mirabelli, e di tutta quella
pleiade che in quel tempo arricchirono Napoli di filosofi insigni. Ma a
quell'ingegno che s'andava ogni giorno più sviluppando e fortificando di sani e
severi studî, parve angusto oramai quest'orizzonte, o volse l'ala, e la di
instese con intensità ed ardore allo studio della filosofia. Ben cinque
anni decorsero di volontaria prigionia nel suo studiolo, ovo ridottosi, o
giorno e notte indefessa mente attendeva a' prediletti studî, e si beava di leggere
Platone nel testo, chè familiare la lingua gli era ; come pure si fece a
studiare la lingua alemanna per mettersi al corrente dei progressi della
filosofia, e per meditare e studiare le dottrine e teorie dell'Hegel, ultimo
filosofo tedesco di quella epoca. Uscito dopo questa epoca a nuova vita
incominciò a scrivere sul Progresso, una Rivista di scienze e letteratura,
diretta dal Baldacchini, articoli su questioni filosofiche; e, dopo un anno,
era già conosciuto in tutta la Napoli pensante. In questo torno di tempo si
apri un concorso per la Cattedra di filosofia e matematica, nel Collegio
Tulliano di Arpino, e lui fu prescelto per titoli ad occuparla. Vi andò e vi
trovò il suo amico Emmanuele Rocco, che v'insegnava letteratura. Vi stette un
anno e vedendosi in una cerchia troppo angusta alla sua attività, si dimise, e
fece ritorno in Napoli, conducendo con sè anche l'amico Rocco. Quivi apri
studio privato unitamente al Gatti di filosofia, e dal bel principio quello
studio fioriva per numerosa gioventù, che accorreva a udire le sue lezioni. In
breve fu lo studio più affollato di Napoli. Le ore che aveva libere dallo
insegnamento le occupava a scrivere articoli di filosofia che si pubblicavano
sulle Riviste Napoletane di quel tempo, il Progresso che usciva in fascicoli
voluminosi, la Rivista Napoletana di Scienze, Lettere ed Arti, il Museo di
Scienza e Letteratura, ove collaboravano per la lor parte Antonio Tari,
Francesco Trinchera, ed altri; e sul Progresso il Colecchi ed
altri. Non andò guari e s'incontrò col Mamiani in quistioni di alta
Metafisica, o ne usci onorato dell'amicizia e della riverenza dell'insigno
filosofo. Il suo intelletto altamente speculativo destava ammirazione perchè si
elevava ad altezze tali filosofiche che non gli si potevano contrastare. In
quel tempo si agitò una polemica tra V. Cousin, filosofo francese, ed un
insigne filosofo inglese, il cui nome ora non mi sovviene; dopo varî articoli
scambiatisi parea che l'inglese avesse preso il di sopra, ed il Cousin, che lui
credeva più dell'altro stare nel vero, avesse dovuto soccomberé. Allora senza
frapporre tempo in mezzo egli entrò terzo nella quistione e scrisse epubblico
una serie di articoli che costrinse l'inglese a desistere dalla polemica, ed il
Cousin a scrivergli una lettera di ringraziamenti e di felicitazioni, e con la
quale lo chiamava, e si firmava suo cugino. Si radunava il Congresso dei
Filosofi in Napoli nell'ottobre del 1845, o lui ne dovea far parte; ma non
sapendosi se il Borbone lo avesse permesso, o meno, erasi ridotto in patria a
villeggiare con la moglie e due piccini, l'uno lattante e l'altro di due anni.
Il Congresso fu permesso, i filosofi si riunirono in Napoli, e lui fu invitato
espressamente a farvi ritorno; che anzi il Presidente della Sezione “Filosofia
speculativa” a cui egli apparteneva, non volle aprire la sessione s'egli non
fosse arrivato. Cosi corse in Napoli solo, lasciando in patria la famiglia, che
poi sarebbe andato a rilevare, dopo finito e sciolto il Congresso. Fu questa la
causa della sua morte! Arrivato in Napoli vede gli amici - con essi si
intrattiene passeggiando -- suda; è l'ora già che s'apre la Sessione -- essi ve
lo accompagnano a piedi per goderselo di più -- vi si arriva. Egli era
sudatissimo -- entra e n'esce dopo quattro lunghe ore di discussione; quel
sudore lo avea già colpito a morte. Si riduce a casa, si ricambia le mutande -
la camicia era troppo tardi! Incomincia dopo poco tempo una tosse secca,
stizzosa, ch'egli non cura, perchè forte e robusto era; e questo fu il peggiore
dei divisamenti. Ritorna in patria per ripigliare la famiglia e ridursi in
Napoli, poiché si era alla vigilia del novembre. Si riapre lo studio, si
riprendono le lezioni; il maggior numero degli alunni affluito gli rinfocola
l'ardore, ch'ei metteva in esse, e parla dalla cattedra per lunghe ore, e poi
agli alunni più provetti che gli propongono dubbi o problemi a risolvere, parla
pure ad alta voce, e quella tosse insidiosa non lo lascia, anzi invida della
sua noncuranza lo avverte spesso del suo malefico potere, interrompendogli il
discorso, e forzandolo per poco a tacere. Le cose durarono ancora così per
altri 10, o 12 giorni, e finalmente la emottisi tenne dietro a quella tosse
funesta, e fu giuocoforza sottomettersi a quanto l'arte salutare poteva e
sapeva consigliare, ma invano tutto! Chè una tisi florida si svolse, ed in meno
di due mesi si spense la robusta complessione di S. Cusani! Tale fu quest'uomo,
che a 30 anni la morte rapiva a'suoi, alla scienza, alla patria. Nato a 23
dicembre 1816, moriva a 2 gennaio 1816. Dissi rapito alla patria, e
giustamente, poichè egli da giovanissimo appartenne alla Giovine Italia, e in
Napoli fu sempre il più ardente fra i patrioti. Egli con altri preparò e
cooperò con ardore al movimento del '18 che poi non potė vedere! La sua casa
era il convegno di Carlo Poerio, L. Settembrini, S. Spaventa, P. Mancini, e di
tutti gli altri illustri compromessi politici di quel tempo, con i
quali si congiurava, si faceva propaganda, e si organizzava la
rivoluzione. Fu cosi caro a questi tutti che se un giorno solo nol vedeano, si
tenea por certo la visita loro in sua casa; ed il Poerio, addoloratissimo della
sua malattia, volle ed ottenne che fosse stato medicato, curato ed assistito
infino all'ultimo istante di sua vita dal fido o dotto medico Alessandro Lo
Piccolo. L'esequie furono imponenti pel concorso di amici,
che formavano tutte le notabilità scientifiche, patriottiche e
letterarie. Il lutto per la sua perdita fu sentito generalmente per Napoli, che
in lui salutava la giovine scienza, e che per lui si metteva a paro di altre
città d'Italia, che fiorivano per altissimi ingegni ed insigni filosofi, come
il Mamiani, il Rosmini, il Gioberti, ed altri, se quella vita non si fosse
spenta nel mezzo del cammino! La cura della filosofia di Cusani
d’Ottonello ha il merito di riproporre all’attenzione una figura di rilievo
della cultura filosofica napoletana dell'Ottocento. Benché scomparso in
giovanissima età, nel gennaio 1846 (eranato nel dicembre del 1815, o forse del
1816, come i piú sostengono), Cusani lascia di sé traccia profonda,
testimoniata dalla considerazione in cui e tenuto, per tacer d’altri, da
Sanctis, o dalla valutazione che di lui dette Gentile. Con Gatti ed altri può
essere inserito - come nota il curatore nella nitida e puntuale introduzione
nell'ambito dell'hegelismo napoletano, oltrecché in quello piú generale
dell'eclettismo alla Cicerone. Opportunamente si avverte però che Hegel
costituisce per Cusani un potente polo d'attrazione, ma non il filosofo
fondamentale. In realtà si può forse con fondamento aggiungere, pur senza
ricorrere ad una indagine falsamente sottile, che resta in ombra, nellepur
autorevoli e acute analisi dedicate alle ascendenze cousiniane ed hegeliane di
Cusani, un filosofo fondamentale che sicuramente ispira la filosofia piú
significativa di Cusani: Vico. La costruzione del sistema eclettico cui Cusani
dichiara di dedicarsi segna una fase già tarda dell'eclettismo napoletano e
giungeva al termine di un decennio assai ricco di suggestioni in questa
direzione negli ambienti culturali napoletani. È sicuramente da condividere
l'affermazione del curatore secondo il quale il sincretismo avvertibile in
Cusani non impedisce però l'emergere di un nucleo speculativo che deborda dalla
semplice trama delle affermazioni altrui. In questo senso il problema del
metodo filosofico e il connesso problema della storia italiana segnano sin
dall’inizio lo sforzo speculativo di Cusani, la cui originalità trova subito
sulla sua strada Vico. Collaboratore della Temi napoletana, dell'Omnibus
letterario, scrive prevalentemente sul “Progresso.” Sin dalprimo scritto,
Filosofia in Italia, il tema della storia italiana appare questione teorica
centrale. Non a caso una ricerca storica da l'occasione a Cusani di porre il
problema che gli sta acuore, sin dalla citazione tratta da Guizot che apre la
nota. I fatti sonomeme affermazioni al problema della storia trova subito
sumanibus letterario ma are i grandiuti al fatto che risguardato, en per il
pensiero, ciò che le regole della morale sono per la volontà. Egli è tenuto di
conoscerli, e di portarne il peso, ed è solo allorché ha sodisfatto a questo
dovere, e ne ha misurato e percorso tutta l’estensione, che gliè permesso di
montare verso i risultamenti razional. Il rinnovato interesseper la storia
italiana che si registra-- che né l'Antichità, né i tempi di poco anteriori a
questi che viviamo avevano mai risguardato -- non sembrano a Cusani casuali, ma
dovuti al fatto che l'intendimento si rivolge a indagare i grandi ordini di
fenomeni per scoprire e prendere inconsiderazione i fatti e le ragioni, una
storia ed una filosofia. Il bisogno di comprendere e giudicare il fatto,
piuttosto che esserne solo spettatore (e dunque di verificare una diversa
attitudine della storia italiana), esalta questa parte immortale della Storia,
cioè il conoscere il legamento fatalista della causa e dell’effetto, le
ragioni, i fatti generali, le idee da ultimo ch'essi celano sotto il manto
della loro esteriorità. Onde ch’egli è d'uopo sceverar con chiarezza e con
precisione la differenza di queste due parti della storia italiana che sono per
cosí dire il corpo e l'anima, la parte materiale, e la parte spirituale di
tutti gli avvenimenti esterni e visibili, che compongono la nazione italiana,
secondo che dice Vico. Il rifiuto, che Cusani trae dalla lezione vichiana, di
affidarsi a pre-mature generalità, e con formole metafisiche per soddisfare il
mero bisogno intellettivo, è una traccia decisiva per comprendere il suo
pensiero. L'annotazione di Gentile, secondo il quale l'osservazione storica non
è piú l'integrazione della psicologia, bensí la costruzione stessa della
filosofia, può commentare l'intero itinerario filosofico di Cusani, che si
consuma nell'arco di pochissimi anni. Il discorso sul metodo che Cusani compie
si basas in dall'inizio su una acquisizione precisa: un sistema o una filosofia
consistono nel loro stesso metodo. Nel primo saggio veramente organico (Del
metodo filosofico e d'una sua storia infino agli ultimi sistemi di filosofia
che sono si veduri uscir fuori in Germania – Hegel -- e in Francia -- Cousin)
Cusani parla addirittura di un metodo generale, il quale presiede
all'investigazione dell'unica e universal verità. La filosofia è dunque la
regina scientiarum che consente di ricondurre ad “unità” il sapere, e a tal
pro-posito l'assimilazione dei termini è dichiarata apertamente, a proposito
dell’analisi psicologica, la quale segna il punto di partenza della
riflessione, ed è la base unica dell'immenso edificio filosofico, il solo
solido fondamento, il suo atrio e il suo vestibolo. E nel saggio, “Del reale
obbietto di ogni filosofia” (Il Progresso) ribadisce e chiarisce che lo studio
de’ fatti della natura umana, o de’ fenomeni psicologici, vuoto del tutto
riuscirebbe, se invece di tenerlo come base d'ogni ulteriore investigazione, si
volesse considerare come il termine stesso della filosofia. Il secolo
decimottavo si è trovato dunque di fronte al centrale problema del metodo
filosofico. Se è vero che nella storia italiana è tutta quanta la filosofia
italiana, occorre riconoscere il merito insuperabile di quella mente
divinatrice e profonda che avea posta nel mondo la nazione italiana. Vico,
definito – nella nota sul Nuovo Dizionario de sinonimi della lingua italiana di
Niccolò Tommaseo, quell'altissimo lume d'Italia, con una locuzione che
introduce un discorso, ingiustamente trascurato, sulla tradizione filosofica
meridionale, piú volte ripreso dal Cusani. Lo studio di Vico qui esaminato è
appunto il “De antiquissima Italorum sapientia”; nel quale potentemente convinto
della relazione che stà tra il pensiero (l’animus, il segnato) e la parola (il
segno), fecesi ad investigar quello degli antichi romani e italici nostri
maggiori, cavandolo per avventura da quella lingua italiana ch'era nelle bocche
volgari degli uomini. Il rapporto tra spontaneità e riflessione, che tanta
parte ha in Cusani, è dunque introdotto sotto il segno di Vico. Si ponga mente
alle affermazioni che seguono il passo già citato, allorché Cusani insiste sul
fattoche veramente il Vico porta opinione che tutto l'antico (antichissimo)
pensiero o sapienza italiana era in quella lingua italiana ch'egli disamina, e
dalla quale intende rimetterlo in luce, e che se la lingua italiana non e opera
di un filosofo, ma sibbene il prodotto spontaneo delle facoltà nell'uomo
italiano, se innanzi che venissero adoperate nella costruzione e nel
concepimento del sistema di un filosofo, di cui pur e il necessario strumento
espressivo e communicativo, esisteva nella massa de’ popolo italiano. Insomma,
quella che è stata chiamata la svolta hegeliana del Cusani, va valutata alla
luce di una ispirazione legittimamente riferibile a Vico. Si veda il Saggio su
la realtà della humanitas di Vincenzo De Grazia (Il Progresso), già sul crinale
della svolta hegeliana. L'epigrafe di Cousin posta all'inizio ritorna sul
problema che sta a cuore a Cusani, e che ne determina l'originale ricerca. Ci
ha due spezie di filosofie. La prima spezie di filosofia studia il fatto, lo
disamina, e lo descrive, riordinandoli secondo le loro differenze o
somiglianze, e potrebbesi però denominare filosofia “elementare” o immanente.
L’altra spezie di filosofia comincia ove si ferma la prima, investigando la
*natura* de’ fatti, e intendendo di penetrare la loro ragione, la loro origine,
il lor fine, e potrebbesi denominare filosofia trascendente, o filosofia prima.
La citazione dai Frammenti filosofici serve in realtà a Cusani pergiungere alla
fondamentale affermazione secondo cui, esaurita nel secolo precedente la
filosofia elementare, e necessario che si cominciasse asentire il bisogno di
nuovi problemi, e che l'ontologia ricomparisse nel dominio della speculazione
filosofica. Insomma la disamina del fatto immanente elementare (il segno) deve
servire a rintracciarne la natura, le origini, le relazioni, che è il vero fine
supremo della filosofia prima. Ma questo è possibile (e l'eclettismo di Cusani
si dimostra non mero sincretismo, ma sapiente innesto di elementi concorrenti a
rafforzare le personali ipotesi speculative) soprattutto all’italiano, chi può vantare
una tradizione filosofica ininterrotta che ha in Vico il suo vate supremo. Il
bisogno dell’ontologia ha ulteriori ragioni in Italia, dove la filosofia trova
terreno fecondo emotivo di continuità. Ed è la tradizione ontologica de’
filosofi italiani, e il predominio costante della filosofia prima o
trascendente in Italia sulla elementare o immanente, non solo in tempi che era
cagione universale nel mondo della scienza, ma eziandio allorché fortemente
altrove ponevasi la base d'ogni filosofia ed all'apo genere a nostri e
quell'indole elementare, e molto studiavasi in essa. Di qui nacque quell'indole
speculativa che si è sempre accordata in genere al filosofo italiano, anche
quando discendevano alla pratica ed all'applicazione de’ principi. É di vero se
si pon mente alla Storia, e si consideri che dalla scuola italica di Crotone o
da Pittagora suo fondatore, passando per i filosofi di Velia (Senone),
arrivando fino all’apparizione di quella meraviglia del Vico, si troverà che la
verità da noi accennata apparisce luminosa e in tutta la sua pienezza. Dunque
continuità della tradizione, rivendicazione della propria originalità
speculativa, e soprattutto applicazione esemplare del metodo storico come
proprio della storia della filosofia. Già affrontando il problema della
fenomenologia semiotica, Cusani non manca di annotare, con una affermazione che
resta sostanzialmente immutata nella sua produzione, a riprova del vichismo
naturale della sua ispirazione, che l’italiano è cosí fortemente incluso
intutta la morale che ne forma il subbietto perenne, e non si può farne
astrazione senza far crollare tutto l'edificato da quelle. Del resto nel saggio
Del reale obbietto d'ogni filosofia, posto sotto il segno di Vico – la cui “De
constantia Philosophiae” fornisce l’epigrafe, Cusani ha chiarito che la umana
intelligenza, di cui si ricerca e scopre una storia naturale, una volta
esaurita l’investigazione della natura, ripiega progressivamente verso il
subbietto stesso di quelle investigazioni, e rientrando dall'esterno nell'interno,
fa se stessa obbietto della sua conoscenza. La morale nasconode questo
percorso, allorché il filosofo ritorna sopra se stesso dopo indagare il mondo
esterno. La svolta hegeliana può a questo punto arrivare, ma a sua volta
innestandosi su questa ricerca di una legge onde si regge il mondo. Il dilemma
su un oggetto immutabile della conoscenza, e della mutabilità al tempo stesso
del fatto che il pensiero trascendente va indagando, diventatra la questione
centrale. Spesso Cusani torna nella sua opera, che riesce difficile in questa
sede indagare in dettaglio, sulle permanenze della storia italiana e sulle
variazioni. Nel Saggio analitico sul diritto e sulla scienza ed istruzione
politico-legale d’Albini, significativamente impostato il tema, e sempre ricorrendo
a Vico. In Italia fu primo tra tutti Vico che intende ala ricerca d'un
principio universale ed immutabile del diritto e che questo ponesse nella
ragione, unica fonte dell'assoluta giustizia, distinguendo esattamente il
diritto universale, o filosofico, dal diritto storico. Anzi, la debolezza della
cultura filosofica italiana può essere addebitata al mancato studio di Vico il
cui esempio non frutto gran bene, ch'io mi sappia all'Italia,non essendo le sue
teorie accettate da'suoi contemporanei, perché forse troppo superiori
all'intelligenza comune, fino al punto che l’italiano perde, com'a dire, la sua
particolare fisionomia, rivestendo un'indole forestiera – come i fanatici di
Hegel con la sua lingua foresteriera! -- Se non che questo che al presente
diciamo fu molto piú pronunciato in Beccaria e Verri non furono che
perfettissimi seguitatori dell'Helvelvinitius e del Rousseau, quanto
all'ipotesi del Contratto sociale, che in il vichismo dunque, se accolto,
avrebbe garantito la continuità e originalità della filosofia italiana. Infatti
la cultura napoletana da in questo senso testimonianza della continuità
speculativa della filosofia proprio attraverso la tradizione vichiana.
Filangieri, ma soprattutto Pagano, ritennero l'elemento tradizionale italiano,
che li riannodava a tutta l'erudizione. Anche quando nel Museo di letteratura e
filosofia soprattutto, e la Rivista napoletana, piú evidente si coglie la
lettura di Hegel, Cusani testimonia la persistenza sicura della lezione
vichiana. Senza rotture, ma sviluppando le tematiche e gli interessi, nel
saggio Della lirica considerata nel suo svolgimento storico, ove – come ha
notato Oldrinisi incontra un esplicito richiamo alle lezioni hegeliane di
filosofia della storia, Cusani riprende con vigore la questione fondamentale.
Ora poiché l'uomo è il subbietto storico per eccellenza a volere istabilire lal
egge che governa tutte le accidentalità variabili delle vicende umane, la
filosofia non puo che cercarla nelle modificazioni della stessa umanita. Questo
punto di partenza, che il Vico, per il primo, prescrisse alla filosofia della
storia, facendo che le sue ricerche rientrassero nella coscienza psicologica
dell’italiano, e si cercasse di spiegar questo per mezzo della sua propria
natura, ma eziandio tutti i fatti di cui egli è causa, ingenera tanto
vantaggio, che da un lato tolse la specie umana dall'esser considerata come
mezzo da servire ad altri fini, e dall'altro la rialza sopra la natura, di cui
vuole sene fare prodotto o artificio. In che misura l'hegelismo, rintracciabile
nella preoccupazione di garantire l'unità del sistema attraverso l'unità della
filosofia, deve tener con toda un lato della matrice vichiana del pensiero di
Cusani e dall'altro dello sforzo di costruire l'edificio eclettico della filosofia
in modo originale? Andrebbe qui indagato, con cura e minuziosità che questa
sede non consente, il tema del senso comune in piú luoghi richiamato da Cusani.
Sipensi al saggio apparso sul « Museo », Idea d'una storia compendiata della
filosofia, proprio dove il tema della filosofia assume intonazioni sicuramente
hegeliane. Purtuttavia, sebbene l'uomo sia conscio nell'intimo della sua
coscienza della sua libertà, e riconosca in sé stesso il potere di cominciare
una serie di atti, di cui egli è causa; ciò nondimeno non può non iscorgere
eziandio, che la sua volontà è posta sotto il dominio e la soggezione d'una
legge, che diversamente vien denominata secondo che diverse sono le occasioni,
alle quali essa si applica, contrassegnandosi ora come legge morale, ora come
ragione, ed ora comesenso comune. L'indipendenza speculativa che Cusani
manifesta nel rimeditare tutti i contributi all'interno della sua riflessione è
evidente, e su questo tema operante nei confronti dello stesso Vico. Esaminando
la questione del fatalism e della libertà (giustamente si ricorda come sia
questa la questione piú importante che si possa scontrare nella filosofia della
storia, dai primi agli ultimi scritti presente inche di sua volone causar in
Cusani), nell'Idea d'una storia compendiata della filosofia, Cusani ha qualcosa
da rimproverare a Vico stesso, da altri peraltro erroneamente collocate tra gli
storici fatalisti -- cosí Livio si distingue da Machiavello e da Vico; e
sebbene Livio da maggiore influenza alla parte passiva e fatale dell’italiano
nella storia; ciò nondimeno non si è data che ai secondi, a cominciar da
Machiavello, la nota del storico fatalista. Se è vero infatti che Vico cerca
nell'italiano il principio e la legge dello svolgimento dell'umanità, egli ebbe
però il torto di essere esclusivo, in quanto non ha riconosciuto l'influenza
della natura italiana sull'italiano. Si annota come a Cusani fin dai primi
studi si affacci il dilemma tra pensiero come condizione e pensiero come
condizionato: se una legge governa lo svolgimento dell'intelligenza, la storia
è da intendersi fatalisticamente costretta entro i termini di una legge fissa
del pensiero? Del resto in un saggio nel Progresso (e non compresa nei due
volumi degli Scritti, forse perché firmata — come del resto altre note raccolte
da Ottonello — con la sola sigla S. C.), Elementi di Fisica sperimentale e di
meteorologia di M. Pouillet, Cusani ritorna sul metodo delle scienze e sulla
accostabilità tra scienze morali e scienze fisiche. Dappoiché la scienza della
natura e sottoposta nella sua ricerca a metodi certi e sicuri, e l'umana
intelligenza punto da quelli non dipartendosi, seguitò attesamente le sue
investigazioni, i progressi rapidi e continuati succedettero ai lenti e quasi
invisibili dell'antichità. Il successo di queste scienze — come di ogni scienza
— è nel metodo, cosi che da meglio che tre secoli lo spirito umano procede, in
questa special branca delle sue conoscenze con tanta fidanza, e direi quasi,
contanta certezza de' suoi risultamenti, che nissun'altra scienza per
avventurapuò con questa venire al paragone. Si badi, le scienze fisiche non
costituiscono altro che una special branca delle conoscenze dello spirito
umano. Dunque occorre applicare anche alle altre branche metodi certie sicuri,
come è possibile dal momento che la storia universale dell'Umanità, che pone la
Storia al centro dell'investigazione, racchiude,com'a dire, in un corpo tutto
lo svolgimento intellettivo della spezie. Ecco perché nel saggio Della lirica,
a proposito della legge della evoluzione ideale dell'umanità nel progresso
storico, Cusani nota che questo è di proprio particolar dominio di quella
scienza, che sorta gigante in Italia per opera di quella maraviglia del Vico,
costituisce ora il centro intorno a cui si svolgono tutti gli sforzi del
secolo. Simili le espressioni usate nella recensione agli Elementi di Fisica
sperimentale, allorché della storia universale dell'Umanità nota che forma a
questi nostri tempi il punto di mezzo, intorno di cui si volge e gravita tutto
il processo del lavori del secolo. Il ricco saggio “Idea d'una storia
compendiata della filosofia” è a questo punto da considerare fondamentale. La
connessione che la storia ci rivelatra libertà e necessità, ci consente di
rintracciare la legge necessaria del progresso storico. Noi sappiamo che la
filosofia del popolo italiano non è altra cosa se non lo spirito del popolo
italianom non già come si manifesta
nella sua religione spontanea, nelle sue arti, nella sua costi-in se stesso
aveva, artea, un concertelli avvenimee metafisica. cipale delle sourcetuzione
politica, nelle sue leggi e costumi, ma come si rivela nell'esilio inviolabile
del pensiero puro, che riferma il piú alto grado al quale possada sé stesso
elevarsi. Cusani ha, a tal proposito, filosofato nel saggio “Della poesia
drammatica” un concetto che poi si ritrova in seguito. Egliè il vero che sotto
la varietà degli avvenimenti del fatto e della vita stessa della società
italiana è nascosa la legge suprema e metafisica che li governa,e che il
filosofo tenta di scoprire, e ne fa l'obbietto principale delle sue ricerche,
ma all’italiano, ch'é, come dice quell'altissimo ingegno di Vico, il senso
della nazione italiana e dato tutto al piú di sentirla, ma non deve essere suo
scopo di manifestarla, dove all'ispirazione vichiana pare già si aggiunga,
insinuandosi, una suggestione hegeliana. Nello saggio Della lirica, Cusani
ribadisce l'argomento. Se la filosofia non deve fat suo scopo, come altrove
dicemmo, parlando della poesia drammatica, la rivelazione di essa legge secondo
la quale l'umanità si svolge nello spazio e nel tempo, puf tuttavia non potrà
certo cansarla nella sua manifestazione storica, cioè nel suo progresso
attraverso delle nazio ultima recension Felice Roman son sottoposti alla legge
storica in generale, la quale le impronta quasi una seconda indole, ed è questa
poi, che fa che i filosofi sieno, come diceVico, il senso della nazione
italiana. Sorprendentemente, nell'ultima recensione pubblicata sulla « Rivista
napolitana », Liriche del Cav. Felice Romani, quasi ad emblematica chiusura,
Cusani ripete. Vico innanzi tuttia veva formolata questa solenne verità,
proclamando che il filosofo e
ilblematica sblata questa sojeni filosofi ne sinnestare Hegedea
d'uneinnanzi Qui l'eclettismo cusaniano ha voluto innestare Hegel sulla
tradizione italiana custodita e proclamata, specie allorché, nella idea d'una
storia, riprende il tema di una ragione fondamentale, di una idea filosofica
fondante le manifestazioni della vita umana, per cui la religione e soprattutto
la filosofia già ricordata sono riconducibili ad una legge razionale. Un'altra
citazione, non giustificata in questa sede, si rende necessaria per la sintesi
che riesce a conseguire, in specie sul tema del senso comune. Allorché il
movimento filosofico o riflessivo passa dalla fede alla scienza,e dalle
credenze popolari alle idee della ragione, e si trova d'essere giunto a
scoprire il pensiero celato dapprima sotto FORMA SIMBOLICA, e che si traduce
nell’istituzione, nella costume, nella filosofia e e nelle industria, egli
fatto quasi banditore della verità scoperta, l'annunzia per farla conoscere
alle masse, le quali non avrebbero potuto pervenire sino a quel segno che tardi
e lentamente. È in questo senso che il filosofo accelera il movimento delle
masse, e da qui nasce ancora che egli stesso e indugiato nel movimento che è
loro proprio. Dappoiché se le masse accettano la nuova luce che loro arreca il
filosofo, sono d'altra parte lente e ritenute nell'abbandonare le vecchie
opinioni, che il tempo ha rese abituali, e bisogna innanzitutto che esse
comprendano ciò che loro viene rivelato, e lo comprendanoa loro modo, cioè
facendo che discenda in certa guisa dalle forme astratte della scienza alle
forme pratiche del senso comune. Dunque il filosofo comprende e spiega
nient'altro che ciò che l’intelligenza spontanea dei popoli crede
istintivamente, e pertanto, lafilosofia non è che la spiegazione del senso
comune. Possiamo a questo punto scoprire l'errore di chi ha collocato Vico e
Machiavelli tra un storico fatalista como Livio, dappoiché, se a tuttaprima
poteva parere, che l’italiano appo costoro fosse schiavo dell’istituzione, in
quanto che queste venivano considerate come cose non procedenti dall’italiano
stesso, pure, allorché si vide che l’istituzione none che la manifestazione
esterna, il segno, e la realizzazione delle idee del popolo italiano, libertà
umana nella creazione degli avvenimenti del mondo. Come si risolve pertanto il
problema della libertà? Si pone inquesti termini l'interrogativo. La ragione è
dunque il fondamento della libertà; ma ragione e libertà sono da intendersi
esclusivamente riferitisare appunto che il problema della libertà investa
soltanto l'azione soggettiva (non intersoggetiva o collettiva) che ha per
teatro la storia. In realtà però, proprio per l'ampia visuale che egli propone
della storia globalmente intesa, la libertà non è solo quella dell'individuo o
soggetto italiano che si affranca dai condizionamenti dell'istinti -- vità, ma
anche quella che costituisce la linea intelligibile di tutto lohere nelle pella
sciente quella con il. La soluzione che si può intravedere in Cusani, concorde
ed omogenea allo sviluppo della questione della scienza e del metodo nell'intera, intensa elaborazione culturale
di Cusani è forse quella contenuta nella Idea d'una storia. Resta certo il
rammarico del mancato approfondimento delle tante tematiche che a questa
risposta devono riferirsi, in particolare sulla politica e sulla estetica. Ma
la sintesi che Cusani propone rimane oltremodo significativa. L'ordine adunque
degli avvenimenti, la provvidenza, o legge dell'intelligenza umana, è quella
legge che Iddio stesso ha imposta al
mondo morale, e che non differisce dalle leggi della natura, se non per questo,
cioè che la legge imposta al mondo morale non distrugge punto la libertà
individuale, essendo ché è permezzo della libertà che si compiono i destini
della intelligenza, laddovele legge della natura e compita senza il concorso
della libera volontà. Stefano Cusani. Keywords: l’assoluto, il relative,
spirito soggetivo, spiriti soggetivi, spirito oggetivo, storiografia filosofica
di Cousin, unita latitudinale della filosofia, l’assoluto di Bradley, Hamilton,
l’obbjezione all’assoluto, l’essere e la metafisica, gli esseri e la
metafisica, economia e morale, la fenomenologia, il fatto di coscienza
intersoggetiva, hegelismo, Vico, Galluppi, Mamiami, Colecchi, Rosmini. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Cusani” – The Swimming-Pool Library.
cutelli (Catania).
Filosofo. Grice: “Cutelli is like Hart, a jurisprudent, rather than a
philosopher!” Si laurea a Catania. Un saggio e il “Patrocinium pro regia
iurisdictione inquisitoribus siculis concessa”. Vuole escludere dal "privilegium
fori" numerosi delitti come la resistenza a pubblico ufficiale, ed omicidio
anche tentato. Altro saggio: “Codicis legum
sicularum libri quattuor” dove manifesta un'idea di politica amministrativa che
mira a creare un centro unificatore e un ministro superiore, cui fosse affidato
il compito di amministrare e dirigere la monarchia, ottenendo il rilancio
economico, la riduzione delle spese e il riequilibrio del conto fiscale. Si
recò a Napoli. Acquista il feudo di Mezza Mandra Nova. Altro saggio: “Catania restaurata”. Altro
saggio: “Supplex libellus.”Acquistò il feudo di Alminusa e il borgo già creato
da Giuseppe Bruno, figlio del fondatore Gregorio, per atto del notaro Pietro
Cardona di Palermo. Ad Aliminusa dota la chiesa di Santa Anna e stabilisce un
legato di maritaggio di dieci onze l'anno in favore di una figlia dei suoi
vassalli, come si scorge dal suo testamento redatto innanzi al notaio Giovanni
Antonio Chiarella di Palermo. Acquista il feudo di Cifiliana. Il suo testamento rivela la volontà di
destinare una parte dei suoi possedimenti alla fondazione di un collegio d'huomini
nobili in cui si dovesse studiare filosofia: il Convitto Cutelli, o Cutelli.A
Catania gli sono dedicati una piazza sita sul percorso della centrale via
Vittorio Emanuele II e il Liceo Classico "Mario Cutelli". Dizionario biografico degli italiani. Una utopia di governo. La formazione
dell'élite in Sicilia tra Settecento ed Ottocento. Il "Collegio
Cutelliano" di Catania, in "Quaderni di Intercultura". Conte di
Villa Rosata. Conte Mario Cutelli di Villa Rosata e signore dell’Alminusa.
Keywords. homosocialite, boys-only, male-only, Convitto Cutelli, élite filosofica,
all-male establishment, Oxford as non-co-educational – the coming of
Somerville! – Grice’s play group as an all-male play group, the idea of
nobilita, nobility. --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cutelli” – The
Swimming-Pool Library.
dalmasso
(Milano).
Filosofo. Grice: “Dalmasso is what at Oxford we call a ‘derivative’
philosopher, and at Cambridge a ‘Derrideian’! But he’s written some original
work too, mostly as editor, as in “La passione della ragione” – he has also
explored ‘discourse’ in terms of ‘rationality’ and ‘fairness’ – In my model,
both conversationalists are symmetrical, so questions of unfairness do not
apply! I took the inspiration from Chomsky!” – Si laurea a Milano. Insegna a
Calabria, Roma, Pisa, e Bergamo. Membro della Societa Italiana di Filosofia
Teoretica. Studia Derrida, ha commentato “La voix et le phénomène” e “De la
grammatologie (Jaca Book). Comments on “L’offerta obliqua” e “Passioni” --Dai
problemi del soggetto del discorso e della genesi del segno nel dibattito sul
nichilismo i suoi interessi si sono rivolti alla ragione in rapporto all'etica
e Hegel. Pubbllica in Oltrecorrente, di Magazzino di Filosofia. Altre opere: Hegel,
probabilmente. Il movimento del vero (Milano: Jaca).Hegel e l'Aufhebung del
segno, Chi dice io. Chi dice noi (duale). L’implicatura del noi duale. Razionalità
e nichilismo, Jaca, Milano, La passione della ragione. Il pensiero in gabbia.
La politica dell’imaginario, la verita in effetti. La sovranita in legame.
Etica e ontologia: fatto, valore, soggetto, l’interosoggetivo. Il tra noi.
Di-segno – la giustizia nel discorso. – Hegel e l’Aufhebung del segno. L'implicatura del noi duale.
L’intreccio fra sapere e ragione Il tema della filosofia di Dalmasso riguarda
la domanda originaria. Domanda e origine sono problemi del pensiero
che, fin dall’inizio della filosofia, non costituiscono un approccio
di controllo e di dominio dell’esistenza, quanto piuttosto un ripiegamento
su sé stessi che si interroga sulla propria genesi. In termini meno
esistenziali e più antichi tale questione occupa il posto dell’anima.
Dalla consapevolezza dell’incombere della morte nel primo stasimo
dell’Antigone al costituirsi, per così dire, di un’interiorità nella sofistica
e in Platone, l’anima (animatum) ha funzionato come principio originario
in una forma diversa che il dominio. Principio che annoda e che manifesta,
secondo vie non solo immediate e speculari, il logos (la ragione), il
noein come conoscenza e misura di un ordine. Quando il nous, attraverso
Aristotele, acquista tutto il suo sviluppo concettuale e strategico,
nel pensiero tardo-antico, a partire da Plotino, l’ anima rimane ed
è ribadita come il luogo e il venire a coscienza del rapporto con lo
stesso “nous,” cioè con il formularsi dell’originario (uno, bene o
atto che sia). Grice e Dalmasso scelgono di leggere Bradley e Hegel.
Scelta motivata da loro interessi di ricerca, ma anche, più ampiamente,
dall’attualità di un linguaggio che è in grado di riformulare questioni
sull’assetto moderno del sapere e sul soggetto – e l’intersoggetivo --
di tale sapere. Su un ‘noi’ duale, che, nella esplicita strategia hegeliana,
articola e raddoppia il ruolo di due anime. Sapere su di un noi duale è
comunque per Hegel un sapere sulle strutture di un noi duale chi, che
sono in grado di formulare una domanda originaria. Il testo, di
cui Bradley propone alcune note essenziali di commento, riguarda i paragrafi
dal 440 al 458 della “Psicologia razionale” sezione della Filosofia
dello Spirito contenuta nella edizione dell’Enciclopedia. A differenza
dell’“antropologia”, in cui due anime sono considerate come l’aspetto
immediato della vita dello spirito (le due anime considerate come il
sonno dello spirito, problemi del rapporto delle due anime con I due corpori,
questioni del sonno, della veglia, delle sensazioni ecc.) la Psicologia
non è scienza delle due anima, ma scienza del sapere intorno alle due
anime, cioè scienza veramente tale, nella sua portata concettuale.
Per Bradley e Hegel, ‘scienza’, Wissenschaft, ogni scienza, e soprattutto
quella scienza massimamente rigorosa che è la filosofia (‘regina
scientiarum) è scienza sempre di secondo grado: scienza che controlla e
che ha come oggetto la sua stessa genesi. La filosofia e la regina
scientiarum, la scienza che misura il negativo rispetto al suo assunto
e al suo stesso metodo, scienza che è in grado di smarcarsi dal piano del
suo stesso sapere e di comprendere il rapporto dinamico, generativo
e mai astrattamente “speculare” o reflessivo delle due anime, in cui la inter-conoscenza
si costituisce. Così, nel caso del testo commentato da Bradley, i contenuti
della psicologia sono curiosamente tutti diversi da quelli che nell’assetto
della fine dell’Ottocento e del primo Novecento ci si aspetterebbe da
una psicologia del tipo elaborato a Oxford dai Wilde lecturer in ‘mental
philosophy”: Stout, -- cf. Prichard – cit. da Grice, “Intention and
dispositions”. La psicologia filosofica o razionale non è scienza delle leggi
delle anime o psichai, ma del movimento generativo delle leggi delle
anime o delle psichai. I testi che sono oggetto del commento di
Bradley sono, come Bradley nota, estremamente difficili. Prima di cominciare
Bradley fa qualche rilievo sul problema della difficoltà in generale
nella lettura del testo di Hegel. La questione si pone secondo tre punti
di vista. Innanzi tutto come questione della natura e della destinazione
del testo. Ad esempio l’ “Enciclopedia delle scienze filosofiche”, nel
nostro caso, è pensata come un riassunto delle lezioni per i ‘tuttee’.
In secondo luogo il problema del significato espresso, del voler dire
del discorso hegeliano. In terzo luogo, che è quello decisivo, la questione
del metodo di composizione del testo di Hegel, metodo che riguarda,
d’un colpo solo, due anime: mittente e recipiente. Questioni, dette altrimenti,
di sintonizzarsi con il testo che, per quanto riguarda il metodo
filosofico di Hegel, non può essere altro che ripercorrere l’elemento
generativo del significato di ciò che Hegel explicitamente communica.
Senza di questo incessante ripercorrimento a livello della genesi
del testo, il suo ‘segnato’ posse appare incomprensibile o appiattito.
Appiattito come su di una superficie, in modo che il gioco delle interpretazioni
del tutee, anche nel caso si tratti di studioso molto qualificato, tende
spesso a sbizzarrirsi in grovigli di ipotesi filologiche o di carattere
ideologico-metafisico. Il minimo comun denominatore è la perdita
del nesso fra il segnato di ciò che è detto nel testo con li movimento generativo
di tale segnato. Così si può separare perfino il concetto di negativo
dal concetto di generazione sovrapponendo l’uno sull’altro e rendendo
incomprensibili entrambi. Questione che si pone in modo non infrequente,
anzi malessere spesso diffuso anche nel commento di Bradley. Iniziamo
la lettura partendo dalle prime righe del par. 440. Lo spirito si è
determinato divenendo la verità dell’anima e della coscienza, cioè
la verità di quella totalità semplice e immediata e di questo sapere.
Adesso il sapere, in quanto forma infinita, non è più limitato da
quel contenuto, non sta in rapporto con esso come con un oggetto, ma è
sapere della totalità sostanziale, né soggettiva né oggettiva, ma
intersoggetiva. ll problema del rapporto fra il sapere e la ragione
inaugura qui il dibattito sulla scienza della psiche. L’intreccio fra
sapere e ragione inizia a dipanarsi nel paragrafo seguente:
L’anima è finita nella misura in cui è determinata immediatamente,
cioè determinata per natura. La coscienza è finita nella misura
in cui ha un oggetto. Lo spirito è invece finito, “insofern ist
endlich,” nella misura in cui esso, nel suo sapere (in seinem Wissen)
non ha più un oggetto, ma una determinatezza, nel senso che è finito
per via della sua immediatezza e — che è la stessa cosa — perché è soggettivo,
è cioè come il Concetto. Lo spirito è finito nella misura in cui esso,
nel suo sapere, non ha più un oggetto, ma una determinatezza. Lo spirito
sembra essere quell’attività in grado di contenere e controllare l’intreccio
fra la ragione e il sapere, anche se ora solo nella forma dell’immediatezza.
L’intreccio si organizza su due poli: la ragione e il sapere. Essi si
implicano reciprocamente . A seconda che si consideri come concetto
la ragione o il sapere. Qui è indifferente ciò che viene determinato
come concetto dello spirito e ciò che viene invece determinato come
realità o “Realität” di questo concetto. Se infatti la ragione assolutamente
infinita, oggettiva, viene posta come concetto dello spirito, allora
la realità è il sapere, cioè l’intelligenza; se invece è il sapere a
essere considerato come il concetto, allora la realità del concetto
è questa ragione e la realizzazione (Realisierung) del sapere consiste
nell’appropriarsi della ragione. La finitezza dello spirito
pertanto consiste in ciò: il sapere non comprende l’Essere
in-sé-e-per-sé della sua ragione. In altri termini: la ragione non si
è manifestata pienamente nel sapere.4 C’è un dislivello dunque
strutturale con la ragione che funziona nel sapere. Dislivello
strutturale che per i greci era invece costituito dal rapporto fra il
sapere e la verità. Comunque la realtà, considerata come realtà del sapere
o come realtà della ragione, si costituisce e funziona per Hegel come un
farsi che è un intreccio inestricabile. Una purità e verginità dell’origine
è introvabile. La questione di un sapere dello/sullo spirito si
articola ulteriormente nel paragrafo 442: Il procedere dello
spirito è sviluppo (Entwicklung) nella misura in cui la sua esistenza,
il sapere, ha entro se stessa l’essere — determinato in sé e per sé,
cioè ha per contenuto, “Gehalte,” e per fine, “Zweck” il razionale,
“Vernunftige.” L’attività di trasposizione è dunque puramente e soltanto
il passaggio formale nella manifestazione e, in questa, è ritorno
entro sé, “Rückkehr in sich.” Nella misura in cui il sapere, affetto
dalla sua prima determinatezza, è soltanto astratto, cioè formale, la
meta dello spirito è quella di produrre il ri-empimento oggettivo, “die
objective Erfüllung hervorzubringen,” e quindi, a un tempo, la libertà
del suo sapere. In questo testo il movimento del sapere e il suo saperne
si articola come questione della conoscenza dell’originario. Tale
questione, che ha la forma del ritorno, è pensabile come libertà. L’avventura
dello spirito che è sempre un appropriarsi, un far proprio, qui, e secondo
la radicalità della sua struttura, funziona come appropriarsi del sapere
e coincide con l’avventura della libertà. Il cammino dello spirito
consiste pertanto nell’essere spirito teoretico, cioè nell’avere
a che fare con il razionale nella sua determinatezza immediata, e di
porlo adesso come il suo. Il cammino consiste innanzi tutto nel liberare
il sapere dal presupposto e, con ciò, dalla sua astrazione, e rendere
soggettiva la determinatezza. Poiché in tal modo il sapere è in sé e
per sé determinato come sapere entro sé, e poiché la determinatezza
è posta come la sua, quindi come intelligenza libera, il sapere
è volontà, spirito pratico, il quale innanzi tutto è anch’esso
formale. Il sapere a un contenuto che è soltanto il suo. Esso vuole immediatamente,
e adesso libera la sua determinazione di volontà dalla soggettività e
l’intersoggetivita che la condiziona come forma unilaterale del proprio
contenuto. In tal modo gli spiriti divieneno come spiriti liberi,
nel quale è rimossa quella doppia unilateralità. Lo scorcio teorico fornito
in questo paragrafo merita una puntualizzazione. Abbiamo in precedenza
accennato alla cornice della psicologia filosofica o razionale come progetto
scientifico: scienza delle anime che si pone come scienza dei fattori generativi
delle anime. Il percorso dei spiriti che si sforzano di conoscere
se stessi, che tentano di comprendere l’esperienza della lor libertà,
che nella Fenomenologia dello spirito prende la via della morale come
storia, in queste pagine prende la via della psicologia come scienza
della libertà. Che il sapere possa afferrare se stesso, possa appropriarsi
di sé. La strategia hegeliana implica che l’originario, per i soggetti
(l’intersoggetivo) e per il sapere, funzioni e sia conoscibile come effetto
di questo appropriarsi che è etico, pratico. Se non si pensa il significato
del sapere e di suoi soggetti come etico, pratico, i soggetti del sapere
si dibatteno «in una bi-lateralità»: la rappresentazione che i soggetti
fano di sé come suoi e l’immediatezza di tale rappresentazione. Le
libertà dell’anime è pensabile come lo spiazzamento in cui i soggetti
del sapere conosceno il loro essere fatto, nonostante e attraverso
il loro co-fare (co-operare) impossibilitato a cogliere l’identità fra
sé e le loro immagini. Questa divisione e dislivello interno che è
l’impossibilità di cogliere l’origine del proprio costituirsi è per
Hegel l’Intelligenza (cf. H. L. A. Hart, su Holloway, “Language and
Intelligence” – Signs). Nel montaggio linguistico di questo testo tale divisione
e tale dislivello vanno ad occupare il posto della classica opposizione
fra il dentro e il fuori. L’intelligenza, in quanto è questa unità
concreta dei due momenti — vale a dire, immediatamente, di essere ricordata
entro sé in questo materiale esteriormente essente, e di essere immersa
nell’essere fuori-di-sé mentre entro sé si interiorizza col proprio
ricordo —, è intuizione. Il cammino dell’Intelligenza sta proprio
nel battere in breccia l’opposizione fra il dentro e il fuori. Le
intelligenza, quando ricordano inizialmente l’intuizione, poneno
il contenuto del sentimento nella propria interiorità, nel loro proprio
spazio e nel loro proprio tempo. In tal modo il contenuto è immagine,
liberata dalla sua prima immediatezza e dalla dualità astratta rispetto
all’altro soggetto, in quanto essa è accolta nella dualità del noi. Questo
battere in breccia, visto dal punto di vista dell’intelligenza, è l’immagine.
L’intelligenza possiede dunque le immagini. L’intelligenza è il
Quando e il Dove dell’immagine. L’immagine è per sé “trans-eunte”,
nomade, da una anima ad altra anima, e
l’intelligenza stessa, in quanto attenzione, è il tempo e anche lo spazio,
il Quando e il Dove, dell’immagine. L’intelligenza però non è
soltanto la co-scienza e l’esserci delle proprie determinazioni,
bensì, in quanto tale, ne è anche i soggetti e l’In-sé. Ricordata nell’intelligenza,
perciò, l’immagine non è più esistente, ma è conservata inconsciamente.
Nell’Anmerkung dello stesso paragrafo Hegel inaugura la metafora del
pozzo notturno per definire il funzionamento dell’intelligenza
come un luogo in cui sono conservate immagini e rappresentazioni che
l’intelligenza stessa non conosce. Hegel prosegue la sua indagine
attraverso una sorta di tiro incrociato fra intuizione ed immagine,
mettendo in azione uno stile agostiniano alla “De magistro”. Anche la
nozione, classica, di “re-praesentatum” (il rappresentato) entra, ricompresa
e ripensata, come dall’interno, nel movimento produttivo dell’intelligenza.
La nozione di “memoria” (stato temporario totale) è anch’essa ripercorsa,
nella sua struttura classica, come movimento attivo e imprendibile,
funzionante nell’intelligenza e produttiva di essa, in una svolta
decisiva del paragrafo. L’intelligenza è la potenza che domina
sulla riserva di immagini e il rappresentato che le appartengono. Essa
è quindi congiunzione e sussunzione libera di questa riserva sotto
il contenuto peculiare. L’intelligenza si ricorda ed interiorizza
in modo determinato entro quella riserva, e la plasma immaginativamente
secondo questo suo contenuto. Essa è quindi fantasia, immaginazione
SIMBOLIZZANTE, allegorizzante o poetante. Questa formazione immaginativa
più o meno concrete, più o meno individualizzate, e ancora delle sintesi
nella misura in cui il materiale, in cui il contenuto intersoggettivo
conferisce un esserci al rappresentato, proviene dal Trovato, “dem
Gefundenen,” dell’intuizione. Passività, evidenza, sorpresa di fonte
al darsi originario delle cose riguarda perciò per Hegel un movimento
che ha come suo elemento lo scenario dell’intersoggetività. Il trovato
dell’intuizione, incontro, evidenza, accoglienza della realtà è pensabile
in un registro che è già una traduzione, ‘trans-latum.” È nel registro
di una traduzione (“trans-latum”) che nel percorso di questo testo di
Hegel, di una traduzione (trans-latum) del fuori nel dentro e viceversa,
che si può avvistare ciò in filosofia si chiama realtà. Quando
l’intelligenza, in quanto ragione, parte dall’appropriazione dell’immediatezza
trovata entro sé, cioè la determina come un “universale”, ecco allora
che la sua attività razionale procede dal punto attuale, “dem nunmehrigen
Punkte,” a determinare come essente ciò che in essa si è sviluppato
in auto-intuizione concreta, procede cioè a rendere se stessa Essere,
cosa, il reale. L’intelligenza stessa così si fa essente, si fa cosa, si
fa il relae. Quando è attiva in questa determinazione, l’intelligenza
si estrinseca, “aussernd,” produce, “produzierend,” intuizione: è
fantasia che si esprime in un “segno,” “Zeichen machende Phantasie,”
token-making fantasy – fantasia che fa segno, fantasia che segna. L’intelligenza
esiste in quanto fantasi. Tesi non immediatamente prevedibile nel
dispositivo, intricato, di questo percorso hegeliano. Tesi cui
pure spinge, con rigorosa necessità, questa analisi scientifica delle
anime – una anima segna, l’altra capisce. Questo testo di Hegel innesca consapevolmente
una polemica ed anche una riformulazione metodologica radicale
nei confronti della tradizione empirista, dei sensisti, di Condillac
e degli ideologues. Attraverso le scorribande dell’intelligenza
fra sapere e “segno” (Zeichen, la fantasia che fa segno, la fantasia che
segna), scienza e realtà, attraverso e al di là della dialettica fra il
positivo e il negativo, fra i soggetti e la verità ecc, Hegel afferma
che l’intelligenza è il suo atto. Esistere non è l’immediatezza di un
che rispetto a se stessi, ma è l’atto in cui, in un contenuto determinato,
l’intelligenza si rapporta a se stessa. La fantasia è il punto
centrale in cui l’universale e l’essere, il proprio e il trovato,
l’interno e l’esterno – cf. Bradley, relazione interna, relazione esterna --
sono perfettamente unificati. Le sintesi precedenti dell’intuizione,
del ricordo ecc., sono unificazioni del medesimo momento, tuttavia
si tratta pur sempre di sintesi. Solo nella fantasia l’intelligenza
non è più come il pozzo indeterminato e come l’universale, bensì è
come singolare, cioè come intersoggettività CONCRETA nella quale l’relazione
è determinata sia come essere sia come universale.L’intelligenza è
intersoggettività concreta solo nella fantasia condivisa. Tale questione
è chiarita dal seguito della stessa Anmerkung. Tutti riconoscono che
le immagini della fantasia costituiscono tali unificazioni del proprio
e dell’interno dello spirito con l’elemento intuitivo. Il loro contenuto
ulteriormente determinato appartiene ad altri ambiti, mentre qui
questa fucina interna va intesa soltanto secondo quel momento
astratto. In quanto attività di questa unione, la fantasia è ragione,
ma è ragione formale, solo nella misura in cui il contenuto in quanto
tale della fantasia è indifferente. La ragione in quanto tale, invece,
determina a verità anche il contenuto. Nell’Anmerkung successiva
nello stesso paragrafo Hegel opera la svolta decisiva nel percorso
che qui ci interessa: In particolare bisogna ancora rilevare
questo fatto. Poiché la fantasia porta il contenuto interno a immagine
e a intuizione, e ciò viene espresso dicendo che essa lo determina
come essente, non deve sembrare sorprendente l’espressione secondo
cui l’intelligenza si fa essente, si fa cosa, si fa il relae. Il contenuto
dell’intelligenza, infatti, è l’intelligenza stessa, e lo è altrettanto
la determinazione che essa gli conferisce. L’immagine prodotta
dalla fantasia è intersoggettivamente intuitiva, mentre è nel segno (Zeichen,
token) che la fantasia aggiunge a ciò l’autentica intuibilità (eigentliche
Anschaulichkeit); nella memoria meccanica, poi essa completa in sé
questa forma dell’essere. L’immagine solo nel “segno” (Zeichen,
token) è autentica intuibilità di ciò che è. L’essente è coglibile come
“segno” (Zeichen, token) non come dato, come dono. Dato e dono non sono pensabili,
ma neppure sperimentabili nella forma della presenza, cioè in un darsi
(che, in termini hegeliani, è la materia dell’intuizione). Essi sono
già trascritti nel contenuto interno dell’intelligenza, cioè come un
segno (Zeichen, token). L’elemento imprendibile, enigmatico della conoscenza
è il segno (Zeichen, token) e non il dato, il dono. Nella struttura di questo
testo Hegel afferma che il non proprio, il non nostro sovrasta e spiazza
nella forma del segno (Zeichen, token), non nella forma del dono. In questa
unità, procedente dall’intelligenza, di una rappresentazione autonoma,
“selb-ständiger Vorstellung,” e di una intuizione, la materia dell’intuizione
è certo innanzitutto un qualcosa di accolto, di immediato e di dato,
“ein aufgenommenes, etwas unmittelbares oder gegebenes,” per esempio
il colore della coccarda e affini. In questa identità però l’intuizione
non ha il valore di rappresentare positivamente e di rappresentare
se stessa, bensì di rappresentare qualcos’altro. Essa è un’immagine
che ha ricevuto entro sé una rappresentazione autonoma dell’intelligenza
come anima, che ha ricevuto, cioè, il suo segnato. Questa intuizione è
il segno (Zeichen, token). L’intuizione, rapportata scientificamente
alla sua origine, ha la forma del segno (Zeichen, token). Tale forma ha una
struttura che coinvolge i termine stessi dell’intelligenza. L’intelligenza
sembra funzionare in una deriva di cui il segno (Zeichen, token) costituisce
una sorta di cerniera, snodo in cui l’intelligenza stessa è tolta-conservata.
L’intuizione che immediatamente e inizialmente è qualcosa di dato
e di spaziale, “gegebenes und raumliches,” una volta impiegata come
segno (Zeichen, token) riceve la determinazione essenziale di essere
soltanto come intuizione rimossa. Questa sua negatività è l’intelligenza.
Perciò la figura più autentica dell’intuizione, che è un segno
(Zeichen, token), è di essere un esserci nel tempo: un dileguare, “Verschwinden,”
dell’esserci mentre l’esserci è. Inoltre, secondo la sua ulteriore
determinatezza esteriore, psichica, la figura più vera dell’intuizione
è un essere-posta dall’intelligenza, esser-posta che viene fuori dalla
naturalità propria, antropologica, dell’intelligenza stessa: è il
tono, “Ton,” cioè l’estrinsecazione riempita dell’interiorità annunciantesi.
Il “tono” che si articola ulteriormente in vista del rappresentato determinate
è il dis-corso –dis-cursus – general principles of rational discourse -- e un
sistema del discorso è la communicazione. In questo ambito il “tono” conferisce
a una sensazione, una intuizione e un rappresentato un *secondo* (duale) esserci, più elevato
dell’esserci immediato. In generale conferisce loro un’esistenza
che ha valore nel regno dell’attività rappresentativa. Questo progetto
hegeliano di una scienza della psiche tenta qui un ulteriore radicale
approccio alla genesi dell’intelligenza. L’intuizione, in quanto
funzionante come segno (Zeichen, token), riceve la determinazione essenziale
di essere soltanto come intuizione rimossa, “zu einem Zeichen gebraucht
wird, die wesentliche Bestimmung nur als aufgehobene zu sein.” In questo
esser rimosso, tolto-conservato dell’intuizione sta l’origine dell’intelligenza.
La negatività di cui essa è fatta si intreccia strutturalmente alla nozione
di tempo. L’intuizione non è dominabile da due soggetti se non nella
forma del dopo, un dileguare dell’esserci mentre esserci è. Quell’altro
intreccio che costituisce l’intuizione, l’intreccio fra il dentro e
il fuori si esprime nel “tono,” suono articolato. Il tono, visto in rapporto
ad una rappresentazione determinata, è il discorso (“Rede”) e il sistema
del discorso è la lingua (Sprache) e la communicazione. A questo punto del
suo percorso la strategia di Hegel si incontra con il privilegio greco
e platonico accordato all’espressione, la parola, al logos in quanto vivente
pronunciato, detto, dictum – cf. indice, segnalato, segnato. Come nel
Cratilo di Platone anche in Hegel l’espressione come segno è centrale nella
vita dell’intelligenza, ma di una centralità che occupa il luogo di un
movimento originario ed imprendibile. Per un commento critico
ed esplicativo dei paragrafi della «Psicologia» nella sezione sullo
«Spirito soggettivo», anche per ciò che concerne le fonti di Hegel e la
saggistica relativa, cfr. La «magia dello spirito» e il «gioco del concetto».
Considerazioni sulla filosofia dello spirito soggettivo nell’Enciclopedia
di Hegel, Milano, Guerini e Associati, 1995. ↩︎ Uso la recente traduzione di
Vincenzo Cicero (Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio,
ed. 1830, Milano, Rusconi, 1996) che ritengo puntuale ed avvertita
delle questioni poste dal testo, nonostante la discutibilità di alcune
soluzioni su cui per altro pesa in certa misura la resistenza ad abbandonare
traduzioni familiari e consolidate. Grice: “There’s something otiose
about the ‘faciendi signum’ of the Romans, why not just ‘signare’?” – Who or
what ‘makes’ the sign of a dark cloud (=> rain)?” “While it seems natural
enough to say that a dark cloud is a sign of rain,it or better, that a dark cloud signs *that* it
may rain, I wouldn’t say that the cloud “MAKES” anything --. Grice: “It’s sad
that Hegel’s Latin wasn’t that good – the Romans used ‘signare’ (Italian
‘segnare’) much more than they did use ‘significare’. “With all my love and
kisses” “You used to sign your letters ‘with all my love and kisses” – Sam
Browne --. Horatio Nicholls – aka as something else. Gianfranco Dalmasso.
Keywords: sign-make, fare segno, fare segno a se – zeichen Machen, to sign
versus to signify -- Bradley, Hegel, io, noi, intersoggetivo, Hegel on Zeichen,
zeichen-machende fantasie” – zeichen-interpretand fantasie” -- “l’implicatura
del noi duale” “il tra noi” – la prossimita del tra noi -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Dalmasso” – The Swimming-Pool Library.
dandolo
(Varese). Filosofo. Grice: “I love Dandolo; you know why? Because
he was an amateur, not a professional; I mean, he was a country gentleman and
an earl, so if he philosophised it wasn’t for the colour of the money! Plus, he
owned a lovely ‘palazzo,’ which I would call ‘villa’! Neoguelfo. Figlio dal
conte Vincenzo e Mariana Grossi. Il padre era esponente della Municipalità di
Venezia, ma dopo il trattato di Campoformio, con il quale si sancì la fine
della Repubblica, dovette esulare in Francia. Venne in seguito nominato da
Napoleone senatore del Regno italico e conte. Fu anche governatore civile della
Dalmazia. Passa quindi un'infanzia assai agitata; fu cresciuto da una
"cameriera disattenta" e poi sballottato per vari collegi. Si laurea
a Pavia. Passa alcuni anni girando per l'Europa e conducendo una vita mondana.
In questo periodo venne a contatto con illustri personalità culturali
politiche dell'epoca. Venne sospettato dal governo austriaco di aver
partecipato alle congiure degli anni precedenti, e per questo fatto rientrare
in modo coatto in Italia (senza tuttavia essere perseguitato). In Italia, si
dedica ampiamente alla filosofia, e sposa la sorella di Bargnani; uno dei cospiratori
mazziniani. Morta la sposa affida ad un amico i figli. Sposa la contessa
Ermellina Maselli, da cui ebbe altri due figli. I primi due figli presero parte
alle Cinque giornate e ad altre operazioni belliche e lo stesso Tullio fu uno
dei principali autori della rivoluzione e capo della rivolta varesina (scoppiata
in concomitanza con quella di Milano), ma a Roma, durante la difesa della
repubblica di Mazzini, Su figlio muore e l’altro rimase gravemente ferito.
Questo evento tocca molto Tullio che tuttavia, pur dovendosi prendere cure
molto onerose del superstite, continua comunque i suoi studi di filosofia. Sui
due figli raccolse un gran numero di documenti, memorie e storie pubblicati in
“Lo spirito della imitazione di Gesù Cristo esposto e raccomandato da un padre
ai suoi figli adolescent: corrispondenze di lettere famigliari: riicordi
biografici dell'adolescenza d'Enrico e d'Emilio Dandolo, Milano). Un filosofo
che fece delle critiche alla sua attività fu Tommaseo, ma risultò essere
piuttosto duro ed aspro, tanto da scrivere. “Fin da giovane scarabocchiò
librettucci compilati o piuttosto arruffati. Né di quelli che scrisse dal
venticinque al cinquantacinque sapresti quale sia il più decrepito e il più
puerile. Ma fece due opere buone, un figliolo che morì valentemente in Roma
assediata da Galli vendicatori delle oche; e un altro figliolo che scrisse la
storia, e direi quasi la vita della Legione Lombarda capitanata da Manara, libro
di senno virile e d'affetto pio.” I suoi saggi trattano gli argomenti più vari:
dalla pedagogia all'autobiografia, da quelli di carattere storico a quelli
religiosi. Molti di essi sono schizzi letterari e filosofici o riguardano
descrizioni di viaggi, città e munomenti. Inoltre, scrisse molto intorno alla
storia romana antica, alla nascita del Cristianesimo, al Medioevo e al
Rinascimento, pubblicando anche molti discorsi e documenti inediti. Più che ad
un contributo critico, mira a dare un'informazione non faziosa per una migliore
conoscenza del passato. Questi suoi scritti storici sono molto diversi fra di
loro. In alcuni predilige uno stile aulico, mentre in altri un tono popolare e
facile; trattando ora gli argomenti con approssimazione ed ora dando al
racconto la coinvolgenza di un romanzo. Altre opere: “Roma”; “Napoli”
(Milano); “Firenze”; “Torino”; “La Svizzera”; “Il Cantone de' Grigioni” (Milano);
“Prospetto della Svizzera, ossia ragionamenti da servire d'introduzione alle
lettere sulla Svizzera); “La Svizzera considerata nelle sue vaghezze
pittoresche, nella storia, nelle leggi e ne' costume”; “Venezia”; “Il secolo di
Pericle”; “Schizzi di costume”, “Il secolo d'Augusto”; “Semplicità” (o rapidi
cenni sulla letteratura e sulle arti”; “Album storico poetico morale, compilato
per cura di V. de Castro” (Padova); “Reminiscenze e fantasie. Schizzi
letterari, Peregrinazioni. Schizzi artistici e filosofici (Torino); Roma e
l'Impero sino a Marco Aurelio” (Milano); “Firenze sino alla caduta della
Repubblica”; “Il Medio Evo elvetico”; “Racconti e leggende”; “La Svizzera
pittoresca, o corse per le Alpi e pel Jura a commentario del Medio Evo
elvetico; “I secoli dei due sommi italiani Dante e Colombo; “Il Settentrione
dell'Europa e dell'America nel secolo passato; “L'Italia nel secolo passato; Il
Cristianesimo nascente; La Signora di Monza. Le streghe del Tirolo. Processi
famosi del secolo decimosettimo per la prima volta cavati dalle filze
originali, ibid. 1855 (rist. anast., Milano); Il pensiero pagano ai giorni dell'Impero.
Studii, Il pensiero cristiano ai giorni dell'Impero. Studii; Il pensiero pagano
e cristiano ai giorni dell'Impero. Studii; “Monachesimo e leggende. Saggi
storici; “Roma e i papi. Studi storici, filosofici, letterari ed artistici, Il
secolo di Leone Decimo. Studii, Lo spirito della imitazione di Gesù Cristo
esposto e raccomandato da un padre ai suoi figli adolescenti (corrispondenza di
lettere famigliari). Ricordi biografici dell'adolescenza d'Enrico e d'Emilio
Dandolo, Milano); “La Francia nel secolo passato, “Corse estive nel Golfo della
Spezia; Il secolo decimosettimo, Ragionamenti preliminari ed indici ragionati
degli studi del conte Tullio Dandolo su Roma pagana e Roma cristiana pubblicati
ad annunzio e prospetto dell'opera, Assisi (estr. da Stella dell'Umbria); “Ricordi di
Tullio Dandolo”; “Lettera a D. Sensi. Indice della materia, Assisi); “Ricordi”;
“Ricordi inediti di G. Morone gran cancelliere dell'ultimo duca di Milano, a
cura di D., Milano; Alcuni brani delle storie patrie di Giuseppe Ripamonti per
la prima volta tradotti dall'originale latino dal conte T. Dandolo, Il potere
politico cristiano. Discorsi pronunciati dal Ventura di RaulicaR. P., a cura di
Dandolo, Milano); “Vicende memorabili narrate da Alessandro Verri precedute da
una vita del medesimo di G. A. Maggi, a cura di D., A. F. Roselly de Lorgues. Ricordi,
primo e secondo periodo, Assisi. di Roberto Guerri, direttore delle Civiche
raccolte storiche di Milano. Colloqui
col Manzoni, T. Lodi (Firenze). Treccani, Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiano. LA FILOSOFIA ROMANA. Nei primi secoli
della repubblica i romani non diedersi pensiero di filosofia. Appena ne
conobbero il nome. Intenti da principio a difendersi, poi a consolidare la loro
dominazione sui popoli vicini, la loro saviezza fu figlia della sperienza e
d'un ammirabile buon senso affinato dalle difficoltà esteriori in mezzo a cui
si trovarono collocati, e dal godimento di un'interiore libertà, le cui
procelle incessanti valevano ad elevare ed afforzare gli animi. Volle taluno
che le instituzioni del re Numa non andassero digiune di pitagorismo. Gli è da
credere piuttosto, avuto riguardo all'ordine cronologico, che Pitagora
attignesse nelle dottrine sacerdotali del secondo re di Roma qualcuna delle sue
teoriche intorno la religione. Allorchè i romani strinsero i primi legami
co' greci delle colonie italiche e siciliane, non credettero di ravvisare che
leggerezza mollezza e corruzione in que' popoli i quali a ricambio
qualificarono i romani di barbari. Sul finire della prima guerra punica fu resa
nota ai vincitori la letteratura drammatica de greci; e vedemmo Livio Andronico
avere per primo tradotto tragedie, le quali cacciarono di scanno i versi fescennini,
i giuochi scenici etruschi e le informi atellane. Ennio, oltre ai componimenti
poetici di cui facemmo menzione, voltò in latino la storia sacra di Evemero,
scritto ardito, inteso a dimostrare che gli dei della Grecia altro non erano
che antichi uomini dalla superstizione divinizzati. I romani non videro nelle
ipotesi del filosofo che un oggetto di mera curiosità. Non erano ombrosi come
gl’ateniesi, non avevano peranco sperimentato qualc’azione efficace la
filosofia esercitar potesse sulla religione. Accolsero del pari con
indifferenza la sposizione poetica che del sistema d'Epicuro loro presentò
Lucrezio. Germi erano questi gettati in terreno non preparato ancora à
riceverli. La conquista non tardò a dischiudere colla Grecia più facili
mezzi di comunicazione. I conquistatori trasportarono in patria schiavi tra’
quali vi avevano non filosofi, ma retori e grammatici; e loro fidarono
l'educazione de' proprii figli. L'introduzione degli studii filosofici in
Roma risale alla celebre ambasceria di Carneade accademico, Critolao
peripatetico, Diogene stoico. Avidi di brillare e lusingati dall'ammirazione
che destavano in un popolo non avvezzo a sottili investigazioni, quei tre
fecero pompa di tutta la profondità e desterità della loro dialettica ad
abbagliare la romana gioventù che loro s'affoltava intorno, incantata di
scovrire usi dianzi ignorati della parola. I magistrati s'adombrarono di
cotesto subitano commovimento. I vecchi Se. natori armaronsi di tutta
l'autorità delle prische costumanze per respingere studi speculativi, che teme
vano come pericolosi e disprezzavano come futili. Catone il censore ottenne che
si allontanassero tosto dalla romana gioventù i retori che davano opera a
distruggere le più venerate tradizioni e a smovere le fondamenta della morale.
I sofismi di Carneade, il quale faceva pompa della spregevole arte di sostenere
a piacimento le opinioni più contraddittorie, forne a Catone plausibili
argomenti di vituperarlo. Sicchè i primordi della filosofia furono
contrassegnati in Roma da sfavorevoli apparenze. Il rigido Censore non prevede
che, un secolo dopo, quella filosofia che aveva voluto proscrivere, meglio
approfondita e meglio conosciuta, sarebbe il solo rifugio del suo pronipote
contro le ingiurie della fortuna e la clemenza di Cesare. Non possiamo
trattenerci dal simpatizzare con que’ vecchioni, i quali opponevano al torrente
da che avvisavano minacciata la patria lor capegli canuti e la loro antica
esperienza, evocando a respignere pericolose novatrici dottrine la religione
del passato e le tradizioni di seicent anni di vittorie di libertà
divirtù. Ma se a codesto spontaneo sentimento tien dietro la riflessione,
saremo costretti di riconoscere che a rintuzzare il progresso della
filosofia ed anco de sofismi di Grecia, il senato mal si appose con quel
suo violento procedere. Tutto ciò che è pericoloso racchiude in sè un principio
falso che è sempre facil cosa scovrire. Affermare il contrario sarebbe
muovere accusa alla Divinità, quasi ch'ella con innestare il male nella conoscenza
del vero avesse teso un laccio all’umana intelligenza. Convien dunque
adoperarsi a dimostrare la falsità delle opinioni perniziose, non
proscriverle alla cieca, quasi rifuggendo esaminarle conscii
dell'impossibilità di confurtarle. Sì ardua impresa rispondere agli
ateniesi sofisti? o sì difficile dimostrare che quelle loro argomentazioni
pro e contra lo stesso principio di morale erano assurde? O sì
temerario lo appellarsene, ne' cuori romani, a’sentimenti innati del vero e del
giusto, il risvegliare in quelle anime ancor nuove sdegno e disprezzo per
teoriche, le quali, consistendo tutte in equivoci, dovevano vituperosamente
cadere dinanzi la più semplice analisi? Catone anda altero dell'ottenuta
vittoria. Gli ambasciadori ateniesi furono tosto rimandati. Per un secolo
ancora severi editti, frequentemente rinnovati, lottarono contro ogni nuova
dottrina. Ma l' impulso era dato, nè poteva fermarsi. I giovani romani
conservarono impresse nella memoria le dottrine dei sofisti. Era poi e
riguardarono la dialettica di Carneade non tanto come un sistema che conveniva
esaminare, quanto come una proprietà che stava bene difendere. Giunti ad età
provetta nel bivio d'abbandonare ogni speculazione filosofica o di disobbedire
alle leggi, furono tratti a disobbedire dalla loro inclinazione per le lettere,
passione la quale, dacchè è nata, va crescendo ogni dì, siccome quella che ha
riposte in sè medesima le proprie soddisfazioni. Gli uni tennero dietro alla
filosofia nel suo esiglio ad Atene. Altri mandarono colà i loro figli. I
capitani degli eserciti furono i primi a lasciarsi vincere apertamente da
questa tendenza generale degli spiriti. L'accademico Antioco fu compagno di
Lucullo. Catone il censore cedè egli stesso, a malgrado delle sue declamazioni,
alla seduzione dell'esempio, ed assistè alle lezioni del peripatetico Nearco.
Silla fece trasportare in Roma la biblioteca d'Apellico di Teo. Catone d'Utica
allorch'era tribuno militare in Macedonia peregrino in Asia a solo oggetto
d'ottenere che lo stoico Atenodoro abbandonasse il suo ritiro di Pergamo e si
conducesse a dimorare con lui. Pure gli spiriti che con siffatto
entusiasmo s'abbandonarono alle filosofiche investigazioni non trovavansi da
studii anteriori preparati ad astratte speculazioni. Ne avvenne che la
filosofia penetra in coteste menti dirò come in massa e nel suo insieme. Ma non
s'indentificò col rimanente delle loro opinione. La sua efficacia fu nel tempo
stesso più gagliarda e mento continua che in Grecia. Più gagliarda nelle circostanze
importanti nelle quali l'uomo trascinato fuori del circolo delle sue abitudini
cerca appoggi, motivi d'agire, conforti straordinarii. Meno continua perchè, se
niun evento tnrbava l'ordine abituale, ella ridiventava pe’ romani una scienza,
piuttostochè una regola di condotta applicata a tutti i casi della vita
sociale. Che se non iscorgiamo in Roma individui che a somiglianza dei sapienti
della Grecia consacrassero alla filosofia esclusivamente il loro tempo. Non ci
appare nè anche, ad eccezione di Socrate, che i greci abbiano saputo trarre
dalla filosofia quegli efficaci soccorsi che invigorivano gli illustri
cittadini di Roma in mezzo ai campi, nelle guerre civili, tra le proscrizioni,
allora suprema. I romani si divisero in sette. Effetto della maniera
d'insegnamento di cui i retori greci usavano con essi. Per la maggior parte
schiavi od affrancati, dovevano costoro, qualunque fosse il loro convincimento
o la loro preferenza per queste o quelle dottrine, studiarsi di piacere a'
padroni; ond'è che chiaritisi come una tale ipotesi respignesse colla sua
severità o stancasse colla sua sottigliezza, affrettavansi di sostituirne altra
più accetta. Tali sono i risultamenti della dipendenza. L’amore stesso del vero
non basta ad affrancare l'uomo dal giogo. S’egli non abjura le sue opinioni, ne
cangia le forme; se non rinnega i suoi principii, li sfigura. Allorchè a
questi retori schiavi succedettero i retori stipendiati, le dottrine diventarono
derrata di cui itanto per greci trafficarono, e della quale per
conseguenza lasciarono la scelta a' compratori. Le varie sette non trovarono
in Roma uguale favore. L'epicureismo benchè in bei versi esposto ed insegnato
da Lucrezio, vi fu dapprima respinto, non la sua morale di cui bene non si
conoscevano ancora i corollarii, quanto per la raccomandazione che faceva
d'attenersi ad una vita speculativa e ritirata, aliena non meno da fatiche che
da pericoli. Gli è questo difatti il principale rimprovero che fa Cicerone alla
filosofia epicurea. I cittadini d'uno stato libero non sanno concepire la
possibilità di porre in dimenticanza la patria, perciocchè ne posseggono una; e
considerano come colpevole debolezza quell'allontanamento da ogni carriera
attiva, che sotto il dispotismo diventa bisogno è virtù di tulli gli uomini
integri e generosi. L'epicureismo ebbesi per altro un illustre seguace; nè qui
vo' accennare d'Atlico, che senza principii senza opinioni fu bensì amico caldo
e fedele, ma cittadino indifferente e di funesto esempio, avvegnachè sotto
forme eleganti insegnò alla moltitudine ancora indecisa e vacillante come
chicchessia può accortamente isolarsi e tradire con decenza i proprii doveri
verso la patria. Il romano di cui intendo parlare è Cassio che fino
dall'infanzia si consacrò alla causa della libertà, e rinunziando ai piaceri alle
dolcezze della vita, non ebbe che un pensiero un interesse una passione, la
patria. Fu centro della cospirazione contro Cesare; e dolendosi di non potere
sperare in un'altra vita, muore dopo avere corso un arringo continuamente in
contraddizione colle sue dottrine. Le sette di Pitagora, di Aristotile, e
di Pirrone incontrarono a Roma ostacoli d'altra maniera. La prima, per una
naturale conseguenza del segreto in cui si avvolse fino dal suo nascere,
contrasse affinità con estranie superstizioni; perciocchè uno degli
inconvenienti del mistero, anche quando n'è pura l'intenzione primitiva, è di
fornire all' impostura facile mezzo d'impadronirsene. Nigido Figulo è il solo
pitagorico di qualche grido che abbia fiorito in Roma. L'oscurità aristotelica
ebbe poche attrattive per menti più curiose che meditative. L'esagerazione
pirronista per ultimo ripugna alla retta ragione de’ romani. Il platonismo che
ancor non era ciò che di. venne due secoli dopo per opera de' novelli
platonici. Lo scetticismo moderato della seconda accademia, e lo stoicismo
furono i sistemi adottati in Roma. Lucullo, Bruto, Varrone sono platonici. Cicerone,
a cui piacque porre a riscontro tutte le varie dottrine, inclina per
l'indecisione accademica. Lo stoicismo solo fu caro alla grand'anima di Catone
Uticense. “Non possum legere librum Ciceronis de Se. nectute, de
Amicitia, de Officiis, de Tusculanis Quæstionibus, quin aliquoties exosculer
codicem, ac venerer sanctum illud pectus aflatum celesti Qumine. ERASM.
in Conviv --. M. Tullio adotta egli per convinzione i sistemi filosofici della
nuova accademia, o diè loro la preferenza perchè più propizii all’oratore in
fornirgli arme con cui combattere i proprii avversarii! Corse grand' intervallo
tra un Cicerone ambizioso, e un Cicerone disingannato. Ciò che pel primo era
oggetto subordinato a speranze a divisamenti avvenire, diventa pel secondo un
bisogno del cuore, un'intensa occupazione della mente. Ei pose affetto alle
dottrine del platonismo riformato; e a quelle parti della morale in esse
contenuta di cui si tenne men soddisfatto, altre ne sostituì fornitegli dallo
stoicism. E propriamente ecclettico, od amatore del vero e del buono ovunque lo
riscontrava. Ad imitazione di Platone pose in dialoghi i suoi scritti
filosofici. Per eleganza di stile ed elevatezza di concetti non cede al
modello. Per chiarezza e per ordine lo vince. Ne cinque libri, De finibus,
intorno la natura del bene e del male si propose una meta sublime; la ricerca
cioè del bene supremo; in che cosa consista; come si consegna; ove dimori. Tu
cerchi però inutil mente in quelle pagine da cui traluce tanta sapienza
plausibile soluzione del quesito. Gli antichi ingolfandosi in cotali disamine
faceano ricerca di ciò che trovare non potevano; chè gli è impossibile che il
bene supremo rinvengasi in ordine di cose che necessariamente è imperfetto.Verità
che il Vangelo ci rese ovvia insegnandoci come la felicità sognata dai gentili
pel loro saggio non sia fatta per uomo mortale, essondechè stanza le è
riserbata imperibile sublime. In che cosa consiste il sommo bene? Ecco di
che venivano continuamente richiesti i filosofi. Epicuro ed Aristippo
rispondevano, nel piacere; Jeronimo, nell'assenza del dolore; Platone, nella
comprensione del vero, e nella virtù che ne è conseguenza; Aristotile, nel
vivere conformemente alla natura. Cicerone associa le sentenze di Platone e
d'Aristotile, e si appose meglio di quanti nell'arduo arringo l'avevano
preceduto. Dalle più elevate astrazioni sceso ad argomenti che si
collegano co' bisogni e co' vantaggi dell'uomo, M. Tullio si propose nelle
Tusculane di cercare i mezzi adducenti alla felicità. Cinque ne noverò; il
dispregio della morte; la pazienza ne' dolori; la fermezza nelle varie prove;
l'abitudine di combaltere le passioni, e finalmente la persuasione che la virtù
dee unicamente cercare premio in sè stessa: e la dimostrazione di cotesti
assiomi si fa vaga, sotto la penna del filosofo, di tutte le grazie
dell'eloquenza. All' Anima, egli scrive, tu cercheresti inutilmente un'origine
terrestre, perocchè nulla in sè accoglie di misto e concreto; non un atomo
d'aria d'acqua di fuoco. In cotesti elementi sapresti tu scorgere forza di
memoria d'intelligenza di pensiero, valevole a ricordare il passato a
provvedere al futuro ad abbracciare il presente? Prerogative divine sono queste
, nè troveresti mai da chi sieno state agli uomini largite, se non 'da Dio. È
l'anima pertanto informata di certa quale sua singolar forza e natura ben
diverse da quelle che reggono i corpi tutti a noi noti. Checchè dunque in noi
sia che sente intende vuole vive; divina cosa certo è cotesta; eterna quindi
necessariamente esser deve. Nè la divinità stessa, quale ce la figuriamo,
comprenderla in altra guisa possiamo, che come libera intelligenza scevra
d'ogni mortale contatto, che tutto sente e muove, d’eterno moto ella stessa
fornita. L’anima umana per genere e per natura somiglia a Dio. “Dubiterai
tu, a veder le meraviglie dell'universo, che tal opera stupenda non abbiasi (se
dal nulla fu tratta, come afferma Platone) un creatore; o se creata non fu,
come pensa Aristotile, che ad alcun possente moderatore non sia data in
custodia? Tu Dio non vedi; pur le opere sue tel rivelano: così ti si fa palese
dell'anima, comechè non vista, la divina vigoria, nelle operazioni della memoria
nel raziocinio nel santo amore della virtù.” I discepoli d'Epicuro,
commentando, esagerando ciò che vi avea d'incerto d'oscuro nei principii del
loro maestro. l'universo nato dal caso affermarono, negarono la provvidenza,
piegarono all'ateismo. Tullio si fa a combatterli nel suo libro Della natura
degli Dei. Le lettere antiche non inspiraronsi mai di più sublime
eloquenza. Vedi primamente la terra, collocata nel centro del mondo,
solida, rotonda, in sè stessa da ogni parte per interior forza ristrella; di
fiori d'erbe d'arbori di messi ammantarsi. Mira la perenne freschezza delle
fonti, le trasparenti acque de' fiumi, il verdeggiare vivacissimo delle rive,
la profondità delle cave spelonche, delle rupi l'asperità, delle strapiombanti
vette l’elevazione, delle pianure l'immensità, e quelle recon. dite vene d'oro
e d'argento, e quell' infinita possa di marmi. Quante svariate maniere
d'animali! quale aleggiare e gorgheggiar d'uccelli e pascere d'armenti, ed
inselvarsi di belve! E che cosa degli uomini dirò, che della terra costituiti
cultori non consentono alla ferina immanità di toruarla selvaggia, all’animalesca
stupidità di devastarla, sicchè per opera loro campi isole lidi mostransi vaghi
di case, popolati di città! Le quali cose se a quella guisa colla mente comprendere
potessimo, come le veggiamo cogli occhi; niune in gettare uno sguardo sulla
terra potrebbe dubitar più oltre che esista ia provvidenza divina. “Ed
infatti, come vago è il mare! come gioconda dell'universo la faccia! Qual
moltitudine e varietà d'isole é amenità di piani, e disparità d'animali,
sommersi gli uni nei gorghi, gnizzanti gli altri alla superficie, nati questi a
rapido moto, quelli all’imobi, lità delle loro conchiglie! E l'acre che col
mare con: fina qua diffuso e lieve s'innalza, là si condensa e accoglie in
nugoli, e la terra colle piove feconda ; e ad ora ad ora pegli spazii
trascorrendo ingencra i vento ti, e fa che le stagioni subiscano dal freddo al
caldo loro consuete mutazioni, e le penne de' volatori sostiene, e gli animali
mantien vivi.” 5 Giace ultimo l'etere dalle nostre dimore disco. stissimo, che
il cielo e tutte cose ricigne, remoto confine del mondo; per entro al quale
ignei corpi con maravigliosa regolarità compiono il loro corso. Il sole, uno
d'essi, che per mole vince di gran volte la terra, intorno a questa s'aggira,
col sorgere e il tramontare segnando i confini del giorno e della notte;
coll'avvicinarsi e il discostarsi quelli delle stagioni; sicchè la terra,
allorehè il benefico astro s'allontana, da certa qual tristezza è conquisa;
pare che invece insieme col ciclo ši allegri allorchè torna. La luna, che a
dire de matemateci, è più che una mezza terra, trascorre pe' medesimi spazii
del sole, ed ora facendoglisi incontro; ora dipartendosi, que' raggi che da lui
riceve a noi trasmette; ed avvengonle mutazioni di luce; perciocchè talora
postasi innanzi al sole lo splendore ne oscura ; talora nell'ombra della terra
s'immerge e d'improvviso scompare. Per quegli spazii medesimi le stelle che
denominiamo vaganti girano intorno a noi e sorgono e tramontano ad uno stessso
modo; il moto delle quali ora è affrettato ora s'allenta ora cessa;
spettacolo di cui altro avere non vi può più ammirando e più bello. Tiene
dietro la moltitudine delle non vaganti stelle, delle quali sì precisa è la
reciproca giacitura , che si poterono ad esse applicar nomi di determinate
figure. “E tanta magnificenza d'astri, tanta pompa di cielo, qual sano
intelletto mai potrà figurarsele surte dal raccozzarsi di corpi qua e là
fortuitamente ? Chi potrà credere che forze d' intelligenza e di- ragione
sprovvedute fossero state capaci di dar compimento a tali opere delle quali ,
senza somma intelligenza e robusta ragione, ci sforzeremmo inutilmente di
comprendere, non dirò come si sieno fatte, ma solo quali veramente sieno?” Dopo
d'avere additato virtù e religione siccome scaturigini del bene, maestre di
felicità, dopo d'avere spaziato pegli immensi campi d'un'alta e confortevole
metafisica, dopo di avere falto tesoro negli insegnamenti della greca filosofia
di ciò ch'essa mise in luce di più puro e sublime intorno l'anima e Dio;
argomento degno della gran mente di Cicerone era la felicità, non più studiata
e ricercata pegli individui, ma per le nazioni; ed a sì nobile soggetto
consacrò i suoi trattati, in gran parte perduti, Della repubblica e Delle
leggi. Nei frammenti che ce ne restano scorgiamo essersi il filosofo serbato
fedele al suo assioma favorito: - nella giustizia divina contenersi l'unica
sanzione dell'umana giustizia. u Fondamento primo d'ogni legislazione,
egli scrive, sia un generale convincimento che gli Dei sono di tutto
arbitri, di tutto moderatori; che benefattori del. l'uman genere scrutano che
cosa è in sè stesso ogni uomo, che cosa fa, che cosa pensa, con quale spirito
pratica il culto ; sicchè i buoni sanno discernere dagli empii. Ecco di che gli
animi voglionsi compene. trati, onde abbiano la coscienza dell' utile e del
vero.” Ma se M. Tullio della virtù della felicità delle leggi ravvisava nella
religione le scaturiggini, la religione voleva che santa e pura fosse,
onninamente sgombra dalle supestizioni dalle credulità, da che vituperata
miravala. A tal uopo dettò l'aureo trattato De divinatione, nel quale usò d'un
argomentare nel tempo stesso seyero e faceto, con abbandonarsi in isferzare la
credulità e la sciocchezza a'voli più opposti della sua proteiforme
eloquenza. Capolavoro di Cicerone è il libro Degli Officii , ossia de'
doveri morali degli uomini in qualunque condizione si trovino essi collocati. I
Greci ebbero costume di spaziare troppo ne' campi delle filosofiche astrazioni;
le loro dottrine trovarono meno facile applicazione a' casi pratici della vita
, perchè sovraccaricate di vane disputazioni , oppurtune più spesso a
trastullare l'imaginazione, che ad illuminare l'intelletto. Tullio grande e
saggio anche in questo volle spoglia la sua filosofia di quell' ingombro, e
ricondussela alla più semplice e precisa espressione degli inculcati doveri. 6
Cicerone ( scrive- a proposito del libro degli Officii un critico tedesco) fu
dotato di luminosa intelligenza di rello giudizio di gran. de altività,
doti opportunissime a coltivare la ragione, a fornirle argomento d' incessanti
meditazioni. Ma Cicerone non possedeva lo spirito speculativo che si richiede a
poter ben addentrarsi ne' primi principii delle scienze : il tempo venivagli
meno a minute indagini, la sua indole stessa fare non gliele poteva famigliari.
Uomo di stato più che filosofo, le scienze morali lo interessavano per quel
tanto che gli servivano a rischiarare le proprie idee intorno ad argomenti
politici. Vissulo in mezzo a rivoluzioni, quali traversie non ebbe egli a
sopportare ! Niun politico si trovò mai in situazione più propizia per fare
tesoro d'osservazioni intorno l'indole della civile società, la diversità de'
caratteri, l'influenza delle passioni. Pure cotesta situazione sua stessa era
poco alla a fornirgli opportunità d’approfondire idec astralte o meditare sulla
natura delle forze invisibili, i cui visibili risultamenti s'appalesano nell'
umano consorzio. La situazione politica in cui M. Tullio si trovò
collocato improntò la sua morale d'un carattere speciale. Gli uomini dei quali
ed a’ quali ragiona sono quasi sempre della classe a cui spetla d'amministrare
la repubblica: talora, ma più di rado, rivolgesi agli studiosi delle lettere e
delle scienze. Per la moltitudine de cittadini hannovi bensì qua e là precetti
generali comuni applicabili agli uomini tutti; ma cercheresti inutilmente
l'applicazione di que' precelli alle circostanze d'una vita oscura e modestà.
Caso invero singolare! Mentre le forme del reggimento repubblicano
raumiliavano l'orgoglio politico con dargli a base il favore popolare, i
pregiudizii dell'antica società alimentavano l'orgoglio filosofico, con
accordare il privilegio dell'istruzione unicamente a coloro che per nascita o
per fortune erano destinati a governare i loro simili. In conseguenza di questo
modo di vedere i precetti morali di Cicerone degenerarono sovente in politici
insegnamenti. Coi trattati “Dell' amicizia” e “Della vecchiezza” M.
Tullio a confortevoli meditazioni ebbe ricorso onde ricreare la propria mente
dalla tensione di più ardui studii e dagli insulti della fortuna. E veramente
che cosa avere vi può sulla terra di più dolce e santo d'una fedele amicizia?
Che cosa vi ha di più dignitoso e simpatico d'una vecchiezza onorata e felice ?
Cice, rone in descrivere quelle pure e nobili dilettazioni consulto il proprio
cuore: beato chi trova in sè stesso l' inspirazione e la coscienza della virtù!”
-- Conte Tullio Dandolo. Tullio Dandolo. Keywords: storia della filosofia
romana – ambasceria di Carneade – e tutto il resto! -- “Il secolo di Augusto”;
“Roma e l’impero fino a Marc’Aurelio” “Corse estive nel Golfo della Spezia”;
roma pagana “indici ragionati degli studi del conte Tullio Dandolo su Roma
pagana” -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dandolo” – The Swimming-Pool
Library.
Daniele
(San
Clemente). Filosofo. Grice: “Daniele is an interesting philosopher, if you are
into numismatics, his pet topic!” Figlio di Domenico e Vittoria De Angelis,
studia a Napoli, dove frequenta gli intellettuali della città. Entra in
amicizia con vari studiosi tra cui Genovesi, Cirillo, ed Egizio. Cura
un'edizione delle opere di A. Telesio, illustre filosofo cosentino, lavoro che
gli procurò l'interesse di intellettuali di giornali letterari dell'epoca,
specialmente per l’epistola dedicatoria e la vita del Telesio filosofo in
purgato latino. Cura la pubblicazione le “Opuscoli” di Mondo, che era stato il
suo primo maestro, premettendovi una dotta prefazione di tutte le veneri e la
grazie pellegrine dell’idioma toscano, che merita gli elogi di Zanotti. Pubblica
le nuove “Orazioni” latine di Vico, ch’erano state lette da quest’altissimo
ingengno mentre filosofava sull’eloquenze e la colloquenza alla Regia
Univerista. Publicca la l’aureo romanzo de Longo – que sembra dettato
dall’amore, reso in volgare da Caro, con deliziosa e spontanea gracia, faciendo
un dono preziossimimo agli ananti della toscana favella – corredandolo di una
dotta prefazione escritta con ammirabile purita di lingua. A San Clemente cura le
proprietà della famiglia. Si dedica al studio dell’antico e agli studi della
classicità acquisendo documentazioni – collezione epigrafica -- e creando una
collezione di oggetti antichi legati al territorio di San Clemente. Pubblica una
critica ad alcuni studi sulle storia di Caserta (“Crescenzo Espersi Sacerdote
Casertano al Signor Gennaro Ignazio Simeoni, un ufficiale di artiglieria
napoletano”). Il marchese Domenico Caracciolo lo fa richiamare a Napoli dove
entra nella segreteria di Stato. Riordina la raccolta delle leggi e dei diplomi
dell'imperatore Federico II. E nominato "regio istoriografo", carica
che era stata di Vico e di Assemani. Alla carica era associato un sussidio
economico. Pubblicò Le Forche Caudine illustrate (Napoli), lavoro che gli
permise di entrare all'Accademia della Crusca. Ricoprì nella Reale Accademia di
Scienze e Belle Lettere, creata da Ferdinando IV, la carica di censore per le
memorie delle classi terza e quarta. Riceve l'incarico di sistemare la
biblioteca della Collezione Farnese, in seguito confluita nella Biblioteca di
Napoli. Divenne uno dei 15 soci dell'Accademia Ercolanese, dove cura la
pubblicazione degli studi su Ercolano e Pompei. Suo malgrado anzi fu coinvolto,
a causa della sua vicinanza con gli intellettuali vicini alla repubblica, nei
fatti che successero dopo la caduta della Repubblica partenopea. Perse tutti
gli incarichi e di conseguenza torna agli amati studi. Pubblicò un saggio di
numismatica, Monete antiche di Capua, con la descrizione delle monete capuane di
cui sei inedite. Sotto Bonaparte, riottenne le sue cariche e l'anno dopo
divenne segretario perpetuo dell’Accademia di storia e di antichità e fu
nominato direttore della Stamperia Reale. Fu anche socio dell'accademia
Cosentina, della Plautina di Napoli, e dell'Accademia Etrusca di Cortona. Altre
opere: “Antonii Thylesii Consentini Opera” (Napoli); “Crescenzo Esperti
Sacerdote Casertano al Signor Gennaro Ignazio Simeoni” (Napoli) – una lettera
sotto un falso nome in cui dimonstra la vera origine di Caserta --; “Le Forche Caudine illustrate” (Caserta) –
dove stabilisce il vero luogo ove furono piantati que’ gioghi sotto cui
passarono le vite legion romane, provando con compoisoa e ben adattata
erudizioone, chef u la Valle d’Arpaia, contro l’opinione di Cluvero, Olstenio,
e di altri eruditi di chiaro nome --; “I Regali Sepolcri del duomo di Palermo
riconosciuti et illustrate” (Napoli) – imprese anche ad illustrare le tombe de’
re di Sicilia. Rispende in questa la purita della lingua, e la ‘erudizione piu
estesa, che possa desiderarse tanto nella patria storia degli antichi tempi, ,
quanto in quella del medio evo -- “Monete antiche di Capua” (Napoli) dove interpreta le antiche monete di Capua gia
pubblicate fino al numero di dodici, ne pubblica altre sei del tutto ignote
agli eruditi; e nel fine dell’opera tratta in un erudite discourse del culto di
Giove, di Diana, e di Ercole presso i Campani. Opera inedita: Ricerca storica,
diplomatica, e legalle sulla condizione feudale di Caserta; Vita e Legislazione
dell’Imperatore Federico II, “Codice Fridericiano” contenente tutta la
legislazione di Federico. Propurca l’onoro di iiverine region storiografico,
segretario perpetuo dell’accademia ercolanese e l’accademia della Crusca.– che
le merita membro della Crusca – Vita ed opuscoli di Camilo Pellegrino il
giovane; Topografia dell’antica Capua illustrate con antichi monumenti; Il
Museo Casertano. “Cronologia della famiglia Caracciolo di Francesco de Pietri”
(Napoli). Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Danilele epigrafista e l’epigrafe probabilmente sua
per la Reggia di Caserta,La collezione epigrafica del Daniele a Caserta; Una
pagina di storia dell’Anfiteatro Campano, Francesco Daniele: un itinerario
emblematico, in classica a Napoli, La famiglia Daniele e i suoi due palazzi in
San Clemente di Caserta: note genealogiche ed araldiche, descrizione degli
edifici superstiti e ipotesi e proposte per la loro corretta attribuzione”; Daniele
e lo studio del mondo antico” -- Lettere di Francesco Daniele al principe di
Torremuzza”; “Lettera di Francesco Daniele a Giovanni Paolo Schultesius”, Lettere
di Francesco Daniele al dottor Giovanni Bianchi di Rimini” Pseudonym:
‘Crescenzo Esperti’. Francesco Daniele.
Keywords: filosofia antica, roma antica, filosofia romana, l’antico in Roma
antica, l’antico, idea dell’antico, ercolano, pompei, collezione farnese,
palazzo Daniele, San Clemente, Caserta. Opera di Mondo, A. Telesio. “Regio
Istoriografo,” carica cheera state di Divo e di Assemani, Giove, Diana, Ercole,
Campania, le vinte legion legion romane, l’origine di Caserta, A. Telesio,
filosofo. Mondo, filosofo, opuscoli. Romanzo di Longo reso in volgare da Caro,
vita di Talesio, orazioni sull’eloquenza di Vico, valle d’Arpaia, gioghi, re di
Sicilia, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Daniele” – The Swimming-Pool Library.
Dati (Siena). Filosofo.
Grice: “Dati is a good one if you are into Ciceronian rhetoric as given a
running commentary by an unknown philosopher from Siena! – But mind, he also
wrote, like Shropshire, on the immortality of the soul!” Noto per il suo
manuale di grammatica Elegantiolae. Erasmo lo loda come uno dei maestri italiani
di eloquenza. Nato da una agiata famiglia senese, passò la maggior parte della
sua vita a Siena. Studia con Filelfo. Dopo aver insegnato per qualche tempo a Urbino,
torna in patria e insegna retorica. E nominato segretario di Siena. Altre
opere: Elegantiolae. L'Isagogicus libellus pro conficiendis epistolis et
orationibus fu stampato per la prima volta a Ferrara da Andrea Belfortis.
Elegantiae minores; “Opusculum in elegantiarum
precepta cum Jodoci Clicthovei Neoportunensis et Jodoci Badii Ascensii
commentariis; “Ascensii in epistolarum compositionem compendium”; “Sulpitii de
epistolis componendis opusculum”; “Tabule in Augustino Datto contentorum
index”; “Francisci Nigri elegantie regularum elucidatio”; “Magistratum
Romanorum nominum declaratio”; “Ortographie regularum Ascensiana
traditio. De grecis dictionibus apex ex Tortellio depromptus.” “Augustini
Datii Senensis opera (Siena) – include diciassetteopusculi: I piu importanti
sono: “Oratium libri septem”, “Fragmenta senensium historiarium libris tribus;
“Isagogicus libellus pro conficiendis epistolis et orationibus” – ristampato
“Elegantiarum libellus”. Le Elegantiolae, ristampato ocon cari titoli, era
considerato "il manuale par excellence". Sirve da base per i “Rudimenta
grammatices” di Perotti. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, “Plumbinensis Historia”, Firenze, SismelEdizioni
del Galluzzo. Vedi Bandiera, “De laudibus eloquentiae A. Datii” – Grice: “Dati
is into ‘elegance’ but he is also into ‘regulae’, which are a bit like my
maxims – my maxims can be exploited for ‘effect’ – and those are the types of
rules that Dati is interested. Sadly, his philosophy has been interpreted as
that of a mere linguist or grammarian prescribing on how to write letters! But
he surely was a pre-Griceian who is looking for ‘rational’ pragmatic reasons to
the effect of a most effective, yet ‘elegant,’ communication. Many examples can
be philosophical: ‘women are women’, ‘war is war’. ‘Women are women’ is not
meant as a substitutation for Parmenides’s law, x = x. Such an utterance would
be, “Every thing is identical with itself.” “War is war” is different in that
‘war’ is uncountable, and we can keep the singular ‘is’ of Parmenides’s law, x
= x. But why do we consider ‘War is war’ a tautology? Because it is the
exemplification of ‘x = x” – Now, some philosophers claim that ‘war is war’ –
or Parmenides law, for that matter, isn’t not a ‘patent tautology’, since it needs
to be formalized in the predicate calculus, and the predicate calculus is not
decidable, i.e. there is no algorithm for its interpretations which render its
formulae tautologous. Augustinus Datus. Augustinus Dathus. Agostino Dati. Keywords:
retorica, grammatica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dati” – The Swimming Pool
Library.
Delfino (Padova). Filosofo. Grice:
“Delfino is what we at Oxford would call a ‘philosophical mathematician,’ and
in Italy, an astrologer – his specialty was the ‘motum’ of the ‘ocatva
sphaera’!” “But he also wrote on algorithms!” Ensegna a Padova. Erudito dalle
multiformi attività, fu attivo a Padova nel filone dell'aristotelismo padovano
rinascimentale: sicuramente studioso di logica e matematica, ebbe chiara fama
di matematico e di astronomo. Altre opere: “De fluxu et refluxu aquae maris”
(Venezia); “De holometri fabrica et usu in instrumento geometrico, olim ab
Abele Fullonio invento: Acc.); “Disputatio de aestu maris et motu octava
sphaera, Johann Niklaus Stupanus, Abel Foullon, Padova, In Accademia Veneta Paulus
Manutius. Dizionario biografico degli
italiani. Federicus Dolphinus. Federicus Delphinus. Federico Dolfin. Federico
Delfino. Keywords: first sphere, second sphere, third sphere, fourth sphere,
fifth sphere, sixth sphere, seventh sphere, eighth sphere – prima sphaera,
seconda sphaera, tertia sphaera, quarta sphaera, quinta sphaera, sexta sphaera,
septima sphaera, octava sphaera, holometria, fabrica holometri, aristotelismo
padovano vs. platonismo fiorentino – aristotele – platone – padova naturalism –
Firenze idealism – filosofia della percezione – prospettiva -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Delfino” – The Swimming-Pool Library.
Delia
Deliminio
Delogu (Nuoro). Filosofo. Grice: “We can
call Delogu a Griceian; at least he has written a little tract that he entitled
‘questioni di senso’ – which is all that my philosophy is about!” Si laurea a Sassari
e, come vincitore di una borsa di
studio regionale di perfezionamento in Dottrina dello Stato, ha collaborato
all’attività didattica e di ricerca con Pigliaru. È stato redattore del
periodico del seminario di Dottrina dello Stato Il Trasimaco, fondato e diretto
da Pigliaru. Come vincitore di concorso ha insegnato Filosofia e Storia
nei licei. Ha preso servizio a Sassari in qualità di ricercatore. Come
vincitore di concorso ordinario, è prof. associato e prof. ordinario di Filosofia morale presso la
Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Sassari. Cofonda
i Quaderni sardi di filosofia e scienze umane. Fonda e diretto i Quaderni sardi
di filosofia letteratura e scienze umane. Fa parte del comitato
scientifico della rivista “Segni e comprensione” -- dell’Lecce. È stato
direttore del Centro studi fenomenologici a Sassari, fonda e diretto la sezione
sassarese della Società Filosofica Italiana. È stato direttore della
Scuola di specializzazione per la formazione degli insegnanti a Sassari. Gli è
stato conferito il Premio Sardegna-Cultura e il Premio Giuseppe Capograssi,
dalla giuria presieduta da Giovanni Conso, presidente dell’Accademia dei
Lincei. Organizza numerosi convegni, tenutisi in Sardegna, generalmente a
Sassari. Tra questi: Realtà impegno progetto in Pigliaru, Libertà e
liberazione; Etica e politica in Capograssi; Tuveri filosofo, Dettori filosofo,
Esperienza religiosa e cultura contemporanea, Le nuove frontiere della medicina
tra etica e scienza, Vasa filosofo, Nella scrittura di Satta,; Filosofia e
letteratura in Karol Wojtyla; Attualità di Noce; Scrittura e memoria della
Grande Guerra . Ha partecipato in qualità di relatore ai convegni su
Merleau-Ponty (Lecce), Mounier (centro E. Mounier Reggio Emilia), Sartre (Bari,
Università Roma TRE, La Sorbona di Parigi), Gramsci (Cagliari), Intellettuali e
società in Sardegna nell’Ottocento (Cagliari), Capograssi (Roma), Noce (Roma); Tuveri (Cagliari), SSatta,
(Trieste); su Corpo e psiche: l’invecchiamento (Chiavari), su I vissuti: tempo
e spazio (Chiavari); è stato relatore al Corso di formazione su Fenomenologia e
psico-patologia promosso dal Dipartimento di salute mentale di Massa
Carrara. Ha tenuto lezioni seminariali sul pensiero fenomenologico di Wojtyla
a Lublino; Capograssi, sul Diritto penale internazionale a Ginevra, sul
pensiero filosofico politico nella Sardegna dell’Ottocento a Zurigo. È
stato responsabile del gruppo di ricerca dell’Ateneo sassarese su L’etica nella
filosofia italiana e francese contemporanea, PRIN. Collabora alle riviste
Annuario filosofico, Rivista internazionale di Filosofia del diritto, Nouvelle
Revue théologique; al Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, alla
Enciclopedia Filosofica edita da Bompiani. Ha diretto il Master Mundis per la
Dirigenza Scolastica promosso da Sassari in collaborazione con la conferenza
nazionale dei Rettori. Premio "Sardegna-Cultura" Premio
"Giuseppe Capograssi”. Altre opere: “Insegnamento e implicamento
empiegamento della filosofia nella scuola secondaria, Tipografia editoriale
moderna, Sassari); “La critica di Merleau-Ponty alla concezione tomista
dell’uomo e della libertà in S. Tommaso nella storia del pensiero, Teoria e prassi in A. Pigliaru, Quaderni
sardi di filosofia e scienze umane, La Filosofia Cattolica in Italia, Quaderni
Sardi di filosofia e scienze Umane); “Pluralismo culturale ed educazione in
Colloquio interideologico,“ Orientamenti Pedagogici", La Filosofia
dell’educazione in A. Pigliaru; in Quaderni Sardi di filosofia e scienze umane,
Se la corrente calda… Un itinerario filosofico: Péguy, Sorel, Mounier, Sartre,
Quaderni Sardi di filosofia e scienze umane, M. Ponty, Esistenzialismo,
Marxismo, Cristianesimo,, Editrice La Scuola, Brescia); Né rivolta né
rassegnazione: saggio Su Merleau-Ponty, Ets, Pisa); “Le corpori nell’esperienza
morale” Quaderni Sardi di filosofia e scienze umane, Non vi è terza (né altra
via) nell’ “Esprit” di Mounier, Quaderno Filosofico, “Temporalità e prassi” in
S. Weil, Progetto, Temporalità e prassi in
Sartre in Sartre, teoria scrittura impegno, V. Carofiglio e G. Semerari,
Ed. Dedalo, Bari, Una filosofia disarmata Merleau- Ponty in Esistenza impegno
progetto in Merleau-Ponty, G. Invitto, Guida, Napoli); “Storia e prassi” in La
ragione della democrazia, Ed. Dell'oleandro, Roma, Giuseppe Capograssi e la
cultura filosofico-giuridica in Sardegna, Quaderni sardi di filosofia e scienze
umane, Note per una fenomenologia della esperienza religiosa; in Chi è Dio.
Università Lateranense, Herder, Roma, Storia della cultura
filosofico-giuridica, Enciclopedia della Sardegna, La Filosofia etico-politica
di Dettori e la cultura sardo-piemontese tra Settecento e Ottocento, Quaderni
Sardi di Filosofia e Scienze Umane, Il nucleo di vita e di luce del Rousseau
capograssiano in Due convegni su Capograssi, F. Mercadante, Giuffè, Milano, Filosofia
e società in Sardegna tra Settecento e Ottocento in “La Sardegna e la
rivoluzione francese” M. Pinna, Editore, La Filosofia giuridica e
etico-politica negli intellettuali sardi della prima metà dell’Ottocento: Azuni,
D. FoisTola, G. Manno in Intellettuali e società in Sardegna tra Restaurazione
e Unità d’Italia, Editore, Le Radici fenomenologico-capograssiane di S. Satta
giurista-scrittore; in Salvatore Satta giurista-scrittore, U. Collu, Edizioni,
Nuoro); “Soggetto debole, etica forte: da S. Weil a E. Levinas; in Le
Rivoluzioni di S. Weil, G. Invitto, Capone Editore, Lecce, Pigliaru e Gramsci
in Socialismo e democrazia, Archivio sardo del movimento operaio contadino e
autonomistico, Tracce del postmoderno in Weil, in Moderno e postmoderno nella
filosofia italiana oggi, U. Collu, Consorzio per la pubblica lettura S. Satta,
Nuoro, Società e filosofia in Sardegna Tuveri, FrancoAngeli, Milano, Cultura
barbaricina e banditismo in Pigliaru e M.Pira in L’Europa delle diversità,
FrancoAngeli, Milano, Prospettive fenomenologiche nella cultura contemporanea;
in Quaderni sardi di filosofia letteratura e scienze umane, Asproni e i
filosofi sardi contemporanei in Giorgio Asproni e il suo ‘Diario Politico’,
Cuec, Cagliari, Domenico Azuni, Elogio
della pace, a cura di, Assessorato Regionale alla Pubblica Istruzione,
Cagliari, Multi-dimensionalità della esistenza, in Quaderni sardi di filosofia,
letteratura e scienze umane, D.A. Azuni filosofo della pace, in Francia e
Italia negli anni della rivoluzione, Laterza, Bari); “La Preghiera in J.Sartre
in Esperienza religiosa e cultura contemporanea, a cura di, Diabasis, Reggio
Emilia); Note su “Etica comunitaria” e etica planetaria, in Quaderni sardi di
filosofia, letteratura e scienze umane, Temporalità esistenza sofferenza, in
Esistenza e i vissuti Tempo» e Spazio, A. Dentone, Bastogi, Foggia); Le
Relazioni Intermediterranee e il pensiero di D.A. Azuni, in Il regionalismo
internazionale mediterraneo nel 50º Anniversario delle Nazioni Unite, Consiglio
Regionale della Sardegna, Cagliari, La Festa e la via: una lettura
fenomenologica, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Corpo
e psiche: l’invecchiamento in Minkoswski, in Corpo e psiche, A. Dentone,
L’invecchiamento, Bastogi, Foggia, Cosmopolitismo e federalismo nel pensiero
politico sardo dell’Ottocento, in Il federalismo tra filosofia e politica.
Edizioni, Questioni Morali); La prospettiva fenomenologica, Istituto Italiano
Di Bio-etica, Macroedizioni, Cesena, L’etica della mediazione, in Il problema
della pena minorile, FrancoAngeli, Milano, La filosofia in Sardegna, Etica
Diritto Politica, Condaghes, Cagliari, Antonio Pigliaru, La lezione di
Capograssi, a cura di, Edizioni Spes, Roma); Note su Del Noce e il nichilismo;
in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Repubblica e
civiche virtù, in Lezioni per la repubblica. La festa è tornata in città,
Diabasis, Reggio Emilia, K. Wojtyla, L’uomo nel campo della responsabilità, a cura
di, Bompiani, Milano, Federalismo e progettualità politico-sociale in Carlo
Cattaneo e Giovanni Battista Tuveri, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura
e scienze umane); Cattaneo e Tuveri in Carlo Cattaneo temi e interpretazioni,
M. Corrias Corona, Centro Editoriale Toscano, Firenze, Al confine ed oltre. La
sofferenza tra normalità e patologia, Edizioni Universitarie, Roma); J. Sartre, Barionà o il figlio del tuono, a cura
di, Marinotti, Milano, Due Filosofi militanti: Carlo Cattaneo e Giovanni
Battista Tuveri in Cattaneo e Garibaldi. Federalismo e Mezzogiorno, A. Trova,
G. Zichi, Carocci, Roma, Esperienza e pena in Satta in Nella scrittura di
Salvatore Satta, Magnum, Sassari, Note Introduttive alla filosofia di Wojtyla,
Orientamenti Sociali Sardi); Note sul cristianesimo di Pigliaru, Orientamenti
Sociali Sardi, Nov-Dic., Etica e santità in Simone Weil; in Etica contemporanea
e santità, Edizioni Rosminiane, Stresa); Legge morale e legge civile in Natura
umana, evoluzione ed etica. Annuario di Filosofia, Guerini e Associati, Milano,
V. Jankélévitch, Corso di filosofia morale, a cura di, Raffaello Cortina,
Milano); Filosofia e letteratura in Karol Wojtyla, Urbaniana University Press,
Roma, La phénoménologie de l’agir moral selon Karol Wojtyla, in Nouvelle Revue
Theologique, Prefazione all’analisi
dell’esperienza comune in Giuseppe Capograssi, in La vita etica, F. Mercadante,
Bompiani Milano, La noia in Jankélévich, in In Dialogo con Vladimir
Jankélévich., Lisciani Petrini, Mimesis, Milano); La filosofia di Capograssi in
Esperienza e verità- Capograssi filosofo
oltre il nostro tempo, Il Mulino, Bologna, L’eredità di Capograssi nel pensiero
di Pigliaru, in Antonio Pigliaru. Saggi Capograssiani, a cura di, Edizioni
Spes, Roma, Ragione e mistero, in
Orientamenti Sociali Sardi, XV, . Il pensiero di Noce sul Magistero della
Chiesa, in Attualità del pensiero di Augusto Del Noce, , Cantagalli, Siena, Contro
lo scientismo. Una esperienza di vita, in Gesù Di Nazareth all’UniversitàAzzaro,
Libreria Editrice Vaticana, Roma, . Libertà di coscienza e religione, in Martha
C. Nussbaum, in Nel mondo della coscienza: verità, libertà, santità, Centro
Internazionale di Studi Rosminiani, Stresa, Individuo Stato e comunità in Pigliaru,
in Le radici del pensiero sociologico-giuridico, A. Febbrajo, Giuffré, Milano,
. La pace e la guerra nel pensiero di Cimbali e Vecchio docenti nell’Sassari in
Scrittura e memoria della Grande Guerra, A. Delogu e A.M. Morace, Pisa,
ETS, Questioni di senso- Breviario filosofico,
Donzelli, Roma, . La vita e il diritto nell’opera di Satta, Nuoro, Lezione di
commiato di Antonio Delogu, La Nuova Sardegna, 02 marzo , su
lanuovasardegna.gelocal. Remo BodeiAntonio Delogu, su youtube.com. Festival di
filosofia. Antonio Delogu. Grice: “I wouldn’t consider Sardegna part of Italy,
as Sicily isn’t – they are part of the Italian republic – the ‘stato’ – but
geographically, they are not part of the peninsula – the Greeks are especially
precise about that: “Graecia magna” EXCLUDED Sicily!” The logo of his review,
“Segni e comprensione” is a rebus, in that a few letters are missing. The idea
is that the thing STILL SEGNA the proposition that this is about signs and
comprehension. Keywords. “segno e comprensione” s_gn_ e c_mp-rension-“ “segni e
comprensioni” le corpori nella perizia morale, etica comunitaria, etica
universale. -- -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Delogu” – The Swimming-Pool Library.
Demaria (Vezza d’Alba). Filosofo. Grice:
“Demaria is what we at Oxford would call a philosophical theologian! And a
dynamically realist at that!” Famoso per numerosi
studi sulla tomistica. Frequenta il seminario di Alba, entrò come
aspirante presso i salesiani di Penango Monferrato (Asti). Continua gli studi
nel liceo di Valsalice (Torino). Studia a Roma. Insegna a Torino e a Roma. Nel
corso della sua carriera fu docente di: Storia delle religioni, Missionologia,
Filosofia dell’educazione, Teologia Fondamentale, Teologia Dogmatica, Dottrina
sociale della Chiesa, Sociologia dell’Educazione. Negli anni cinquanta
avviò una feconda condivisione spirituale, teologica e filosofica con don Paolo
Arnaboldi, fondatore del Fraterno Aiuto Cristiano FAC con l'attivo
incoraggiamento di San Giovanni Calabria. Frequentò assiduamente le sedi del
FAC sia a Vezza D'Alba sia a Roma. Strutturò la sua metafisica realistico
organico dinamica. Negli anni sessanta fondò con Giacomino Costa il
Movimento Ideoprassico Dinontorganico M.I.D., oggi divenuto l'associazione
Nuova Costruttività. Insieme con Paolo Arnaboldi fecero opera di formazione e
divulgazione del realismo organico dinamico presso ambienti imprenditoriali
collegati all'U.C.I.D.. Giacomino Costa strutturò volutamente la grande e
innovativa impresa dell'Interporto di Rivalta Scrivia ( il così detto
"porto secco" di Genova) come applicazione dell'"organico
dinamico" differenziandola dalle imprese tipicamente liberiste.
Negli anni settanta fu il referente culturale delle "Libere Acli"
movimento dei lavoratori cattolici fuoriusciti dalle Acli a seguito della
"ipotesi socialista" che portò alla "sconfessione di Paolo
VI" e alla frattura del movimento. Continuò nell'ambiente dei lavoratori
cattolici con la formazione e la diffusione della "ideoprassi"
(modello di sviluppo) "organico dinamica", una vera ideologia
cristiana alternativa a quella liberal capitalista e a quella marxista
comunista. Tommaso Demaria tiene un seminario sul realismo Dinamico
a Verona presso il Centro Toniolo nel 1980. Negli anni ottanta fu intensamente
attivo nella formazione alla nuova cultura cristiana organico dinamica a
Torino, Verona, Vicenza, Roma con corsi, seminari e numerose pubblicazioni. Tra
tutti i corsi tenuti merita una specifica menzione per la testimonianza
documentale completa tramite registrazione video, presso il Centro Toniolo di
Verona su invito di don Gino Oliosi. Proseguì il lavoro di san Tommaso
d'Aquino e affermava l'incompletezza del tomismo, incapace di cogliere
l'organismo come categoria ontologica a sé stante. L'integrazione della metafisica
realista con l'organismo alla metafisica realistica integrale, strumento di
straordinaria importanza per la vita quotidiana. Lo studio dell'organismo in
quanto tale, in particolare nella sua dimensione di "struttura organica
funzionale", si rivelerà infatti importantissimo per lo studio e lo
sviluppo della società in generale ma in particolare per quella prassi
economica nota col nome di "Sistemi di Qualità" che fa appunto
dell'organicità il proprio fondamento. La possibilità di percepire l'organismo
in quanto tale entità diversa dall'organismo fisico, specifica Demaria, passa
attraverso la percezione dell'ente dinamico. Grande importanza assume
l'organicità nella gestione del sociale perché esso consente di definire con
precisione il bisogno di razionalità dell'umanità che supera le possibilità
dell'essenza della persona. Questa necessaria unità dell'agire della persona
nell'umanità che ne perpetua la presenza, in campo politico/ideoprassico egli
stesso la definisce come comunitarismo all'interno del suo testo "La
società alternativa". L'indagine sui dinamismi profondi della
società industriale e l'osservazione con metodo realistico oggettivo della
realtà storica globale nella sua consistenza ontologica portano Demaria a
sviluppare una metafisica per molti aspetti nuova ed originale. Aderisce
al tomismo e conferma la validità del realismo di Aquino per tutto ciò che è in
“rerum naturae” quindi per gli enti che esistono già in natura. Coglie la
necessità di innestare sul realismo tomista nuovi strumenti metafisici per
comprendere la realtà degli enti che non esistono in natura perché costruiti o
generati dall'uomo, le trasformazioni dell’essenza della persona operata dalla
liberà delle sue scelte, la natura profonda degli enti interumani (famiglia,
azienda, stato, …), l'interpretazione della realtà storica e il suo
indirizzamento. Il cambio d’epoca Individua un cambiamento d’epoca
con valore ontologico (che cambia l’essere, la forma della società) nella
rivoluzione industriale che con l’apporto della energia meccanica a
integrazione e sostituzione del lavoro umano dinamizza la società oltre una
soglia mai varcata prima nella storia. La società dinamizzata dalla rivoluzione
industriale giunge a una radicale trasformazione da “statico sacrale” a
“dinamico secolare”. Si tratta di una trasformazione qualitativa e non solo
quantitativa dei cambiamenti sociali che coinvolge l’”essere” della società. La
differenza fondamentale sta in questo: la società preindustriale (statico
sacrale) era dominata dalla natura e in questo modo ripeteva sempre sé stessa
nonostante i cambiamenti fenomenici (la vita di un romano non era così diversa
da quella di un medievale), la società industriale invece si è in larga parte
sganciata dal condizionamento della natura ed è obbligata a progettare e
costruire continuamente il proprio futuro…. Ma con quali criteri? È a questo
livello che interviene l’indagine metafisica della realtà storica il cui scopo
è proprio scoprire l’essenza profonda della realtà storica appunto. Il
realismo dinamico ontologico Riconosce nel tomismo e nella metafisica di San
Tommaso la validità nel contesto “statico sacrale” ma limiti nella
interpretazione della nuova realtà storica “dinamico secolare”. Osserva che
l’interpretazione data alla storia da Hegel prima e da Marx dopo, sono entrambe
errate e ne critica il fondamento soggettivista e la natura ateo
materialista. Integra quindi il tomismo tradizionale inaugurando la nuova
metafisica dinamica ontologica organica fondata sulla scoperta dell’ente
dinamico o anche ente di secondo grado. Dalla osservazione di ciò che
nasce di una relazione umana (entre uomo 1 e uomo 2) scopre che oltre agli
“enti di primo grado”, gli enti la cui
essenza già è (tutti quelli che già sono in natura – uomo 1 e uomo 2), esistono
altri “enti di secondo grado”, gli enti la cui essenza non è, ma si fa
attivisticamente nello spazio e nel tempo, e la cui nascita, vita e morte sono
costituite dalla esistenza di una relazione tra le persone (ad esempio il
concetto colletivo di ‘diada’ conversazionale, la famiglia, l’azienda sono enti
inter-umani. Una diada e un “ente dinamico” il cui comportamento è simile a
quello della monada – l’uomo, il soggeto,
un organism – ma la diada non e un ente fisico, ma costituito
dall’insieme di cose e di persone. Una diada e ugualmente animato da un
principio vitale, in cui le due parti (soggeto S1 e soggeto S2) e il tutto (la
diada) sono in reciproco equilibrio che ne genera e ne conserva la vitalità.
Quando viene meno questo reciproco equilibrio tra l’organismo di secondo grado
(la diada) tutto e le sue parti (le membra, gli organi, le cellule – uomo 1 e
uomo 2 – le monade) l’organismo perde la sua vitalità, si ammala e può arrivare
alla morte (e così avviene per la diada, la famiglia, l’azienda, la comunità).
Indaga osservando la realtà con metodo metafisico, realistico, oggettivo sulle
“regole”, sulla “razionalità”, o il razzionale, che sottende la vita e la
vitalità di un “ente dinamico” individuando cinque “trascendentali dinamici”
che sono le caratteristiche necessarie e sufficienti in un “ente dinamico”
per restare vivo e vitalmente operante. Sul fronte della
interpretazione della “storia” osserva che la sua complessità non può essere
indagata con un metodi analitico partendo dalla suddivisione del tutto della
diada nelle sue monade. Serve il metodo della “sintesi” e quindi dalla
sommatoria, aggregazione, integrazione dei singoli “enti dinamici” in realtà e
altri organismi via via più complessi e ampi, giunge al tutto che definisce
come “un ente universale dinamico concreto” senza il quale il singolo ente
dinamico non avrebbe né senso né valore metafisico. Del resto è abbastanza
intuitivo comprendere che nessun ente storico può esistere fuori dal contesto
che l’ha generato. Per esempio una semplice azienda di scarpe non può esistere
nel deserto separata da tutte le vie di comunicazione, dagli operai, dai
clienti, dalle fonti di energia eccetera. Raccoglie e coordina le sue
scoperte nella nuova metafisica realistico-dinamica che aggregata alla
metafisica eealistico-statica di Aquinocostituisce nell’insieme delle due
componenti, la statica e la dinamica, la metafisica realistico-integrale.
Con il nuovo strumento della metafisica realistico-integrale individua la
giusta forma della società che definisce organico dinamica – o “dinontorganica”
-- come vera alternativa alle due forme di società “false”, la capitalista e la
marxista di cui stende una dettagliata critica. Comprende che la nuova
società dinamica secolare avviatasi per l’effetto della rivoluzione industriale,
è costruita in vero dalla ideo-prassi, ossia dalla ideologia come prassi
razionalizzata. Una definizione corrente che sia avvicina al concetto di ideo-prassi
è modello di sviluppo, intendendo con questo la necessità di un cambio di
paradigma strutturale nella costruzione della società. Precisa meglio questa
terminologia chiarendo che il tipo di sviluppo riguarda il cambiamento di
essenza profonda di una società mentre invece il modello riguarda le
innumerevoli e forse infinite varianti all’interno del medesimo tipo che si
devono calare nei concreti ambiti temporali e geografici. Le
“ideoprassi”, cioè i tipi di società, riconosciute da Tommaso Demaria sono tre
(3): capitalista, marxista, “dinontorganica” e queste sono costruite secondo i
rispettivi modelli. Perciò all’interno della società di tipo capitalista avremo
molteplici modelli anche molto diversi tra loro dal punto di vista fenomenico
ma identici dal punto di vista dell’assoluto di riferimento (cioè del tipo), in
questo caso il denaro con la relativa competitività necessaria per
conquistarlo. Analogamente avviene per le altre due ideoprassi: la ideoprassi o
società di tipo marxista, con l’assoluto della dialettica oppresso/oppressore
(la vecchia lotta di classe) e la ideoprassi o società di tipo dinontorganico
con il proprio assoluto costruttivo radicato nella dialettica della sintesi in
funzione della vita. Nella società dinamica secolare, che è laica e
profana, la religione non è più accettata come fondamento. Così anche la persona
libera e sovrana che ha il suo posto nella società statico sacrale non può esistere
in quanto nella società dinamica secolare fin dalla nascita la persona umana
viene continuamente ri-manipolata dalla ideo-prassi corrente (capitalista o
marxista). La persona umana trova la sua giusta collocazione nella società se
riconosce la sua nuova natura di persona cellula, componente libera in un
organismo sociale più grande. Come persona cellula rimane sempre persona umana
libera ma al contempo svincolata dalle logiche servo/padrone, oppresso/oppressore
del marxismo. L’Economia e un tema ampiamente trattato dal Demaria che
individua tre tipi di economia: la capitalista, la marxista/comunista, la economia
dinontorganica. Dopo aver profondamente analizzato e criticato le prime descrive
in dettaglio i fondamenti della economia dinontorganica. Per brevità riportiamo
qui la differenza del concetto di impresa capitalista ed impresa dinontorganica.
L’impresa capitalista è un'attività economica professionalmente organizzata al
fine della produzione o dello scambio di beni o servizi. Si avvale di un
complesso di beni strumentali, il mezzo concreto (l’azienda): immobili, sedi,
attrezzature, impianti, personale, metodi, procedure, risorse. Si tratta di
“cose” e tra queste anche il personale/forza lavoro. Anima suprema dell’impresa
capitalista è il profitto e secondariamente la creatività imprenditoriale a
servizio del profitto. La socialità dell’impresa diviene un fatto ambientale ed
incidentale innegabile ma secondario. Quindi l’impresa (con la relativa
azienda) capitalista sè una “cosa” ridotta a capitale e lavoro. L’impresa
dinontorganica, la vera natura profonda dell’impresa, è organismo dinamico
economico di base dell’attuale società industriale o postindustriale. E’un vero
organismo dinamico, una realtà complessa, non fisica ma prodotta dall'uomo,
costituita dalla sintesi di cose e di persone autonome e cellule dell’organismo
impresa, animata da un proprio principio vitale e perciò capace di vivere ed
agire a titolo proprio. E’quindi impresa umanissima, affrancata dal
materialismo capitalista. Anima dell’impresa è la costruttività nel suo
triplice aspetto economico, sociale e “ideo-prassico”, che eleva la creatività
al di sopra del solo profitto e che soddisfa ad un tempo la le esigenze della società
globale e della impresa, quali il profitto, comunque necessario ma non
sufficiente. In ambito ecclesiologico le scoperte come da sua frequente
dichiarazione , si collocano nel solco del Magistero della Chiesa Romana
Cattolica. Cinque delle sue saggi, che contengono nell’insieme il corpo della
sua opera, portano impresso l’imprimatur che attesta l’assenza di errori in
ambito di fede e morale cattolica. La scoperta dell’“ente di secondo
grado” (ente generati dalle relazioni tra le persone) e della persona “cellula”
(individuo libero che riconosce di essere parte di un organismo più grande)
sono in analogia scaturite dalla riflessione sull’essere della Chiesa
(l’insieme dei cristiani) in comunione con il corpo mistico di Cristo. Il
cristiano con il battesimo cambia il suo essere e diviene uomo nuovo. Quindi la
persona umana (in questo caso il cristiano) è contemporaneamente “ente di primo
grado (“in rerum naturae”) che ente di secondo grado (ente dinamico) come
membro della Chiesa che costituisce il corpo mistico di Cristo. La Chiesa così
concepita è il primo ente dinamico sacro della storia. Mentre il primo ente
dinamico laico e profano dell’epoca dinamico secolare post rivoluzione
industriale è l’azienda industriale. Pur accogliendo nella sua
“metafisica realistica integrale” (la metafisica realistica “statica” più la
“dinamica”) il tomismo in toto, il suo pensiero genera dispute con i tomisti
classici del tempo che non riconoscono alla Chiesa (e nemmeno alla azienda
industriale ) la natura di “ente di secondo grado” ma unicamente la
caratteristica di “ente di relazione” che per Demaria è insufficiente per
interpretare la complessità della realtà storica industriale e la relativa
mobilitazione. La Dottrina Sociale della Chiesa e L’Ideoprassi Dinontorganica
Alla Dottrina Sociale Della Chiesa riconosce ogni validità. Ne segnala tuttavia
la incompletezza in quanto costituita da norme etiche e morali rivolte
principalmente alla persona libera e sovrana ed atte ad incidere sul suo
comportamento come singolo per migliorare in senso cristiano la società. Rileva
che la società non è più solo costruita dalle norme morali di persone libere e
sovrane ma anche e soprattutto dalla “ideoprassi” (ideologia come prassi
razionalizzata sintesi di persone e strutture) corrente, dal suo dinamismo e
dalle sue razionalità interne autocostruttive proprie della società “dinamica
secolare”. Pertanto per incidere sulla società contemporanea che è “dinamica
secolare”, laica e profana, serve una vera e propria nuova e completa
“ideoprassi”, certamente laica e profana ma compatibile con i valori cristiani
cardinali. All'interno di questa nuova “ideoprassi” Demaria vede inseriti tutti
gli insegnamenti della Dottrina Sociale Cristiana. Da soli e senza una propria
“ideoprassi” tali insegnamenti tendono a generare delle “para-ideologie” che
hanno effetti locali e temporanei. Per ottenere effetti di trasformazione
duraturi ed è necessario avviare azioni che contengano la giusta razionalità e
caratteristiche (i 5 trascendentali dinamici) capaci di innescare cicli
autocostruttivi. Altre opere: “Catechismo missionario” (Torino, SEI, La
Religione, Colle Don Bosco, Elledici); “Il fiume senza ritorno. Dramma
missionario, Colle Don Bosco, Elledici, La pedagogia come scienza dell'azione,
Salesianum, Sintesi sociale cristiana. Metafisica della realtà sociale
(presentazione di Aldo Ellena), Torino, Pontificio Ateneo Salesiano, Senso
cristiano della rivoluzione industriale, Torino, CESPCentro Studi don Minzoni, ca.
Strumento ideologico e rapporto fede-politica nella civiltà industriale,
Torino, CESPCentro Studi don Minzoni, ca. Presupposti dottrinali per la
pastorale e l'apostolato, Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Cristianesimo
e realtà sociale, Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Realismo
dinamico, Torino, Istituto Internazionale Superiore di Pedagogia e Scienze
Religiose, Il Decreto sull'apostolato dei laici : genesi storico-dottrinale,
testo latino e traduzione italiana, esposizione e commento, Torino, Leumann
Elle Di Ci, Catechismo del cristiano apostolo: la Salvezza cristiana, Torino,
Istituto Internazionale Superiore di Pedagogia e Scienze Religiose, Punti
orientativi ideologico-sociali (a cura del Movimento Ideologico Cristiano
Lavoratori), Bologna, Luigi Parma, Pensare e agire organico-dinamico, Milano,
Centro Studi Sociali); “Ontologia realistico-dinamica” (Bologna, Costruire); “Metafisica
della realtà storica. La realtà storica come ente dinamico” Bologna, Costruire,
La realtà storica come superorganismo dinamico: dinontorganismo e dinontorganicismo,
Bologna, Costruire, L'edizione Realismo dinamico, Bologna, Costruire, L'ideologia cristiana, Bologna, Costruire, Sintesi
sociale cristiana. Riflessioni sulla realtà sociale, Bologna, Costruire); “La
questione democristiana, Bologna, Costruire, Il Marxismo, Verona, Nuova
Presenza cristiana, Ideologia come prassi razionalizzata, Arbizzano, Il Segno, Per
una nuova cultura, Verona, Nuova Presenza cristiana, La società alternativa,
Verona, Nuova Presenza cristiana, Verso il duemila: per una mobilitazione
giovanile religiosa e ideologica, Verona, Nuova Presenza cristiana, Un tema
complesso sullo sfondo dell'ideologia come strumento ideologico, Verona, Nuova
Presenza cristiana, Confronto sinottico delle tre ideologie. Quarta serie, Roma,
Centro Nazareth, Scritti teologici inediti. Roma, Editrice LAS. Letteratura su
Tommaso Demaria Ugo Sciascia, Per una società nuova:inizio di una ricerca
partecipata ., Bologna, L. Parma, Ugo Sciascia, Crescere insieme oltre
capitalismi e socialismi : rifondazione culturale dall'Italia, per l'Europa, al
mondo. Napoli, Edizioni Dehoniane, Mario Occhiena, Riscoperta della realtà : un
itinerario filosofico esistenziale,Torino, Gribaudi, Pizzetti Luigi, Culture a
confronto. Sussidio per l’educazione religiosa e civica nelle scuole medie
superiori, La voce del popolo edizioni, Brescia, Fontana, Stefano, Apertura a
“tutto” l’essere, in Nuove Prospettive, Palmisano, Nicola, Quanto resta della
notte? : analisi e sintesi del medioevo novecentesco all'alba del Duemila,
Roma, LAS, Giuseppe Tacconi, La persona e oltre: soggettività personale e
soggettività ecclesiale nel contesto del pensiero di Tommaso Demaria, Roma,
Libreria Ateneo Salesiano, Gruppo studio scienza cristiano-dinontorganica di
Vicenza , Realismo dinamico : il problema metafisico della realtà storica come
superorganismo dinamico cristiano / riduzione dell'opera di Tommaso Demaria ,
Altavilla (Vicenza), Publigrafica, Gruppo studio scienza cristiano-dinontorganica
di Vicenza ,L'ideo-prassi dinontorganica: la costruzione dinamica
realistico-oggettiva della nuova realtà storica : revisione del saggio L'ideologia
Cristiana, Altavilla (Vicenza), Publigrafica, Mauro Mantovani, Sulle vie del
tempo. Un confronto filosofico sulla storia e sulla libertà, Roma, Libreria
Ateneo Salesiano, Lorenzo Cretti , La quarta navigazione : realtà storica e metafisica
organico-dinamica, Associazione Nuova Costruttività -Tipografia Novastampa ,
Verona, Donato Bagnardi, Costruttori di una Umanità Nuova . Globalizzazione e
metafisica, Bari , Edizioni Levante, Oliviero Riggi, L'ideoprassi cristiana per
una società alternativa; implicanze filosofiche, Roma, Università Pontificia
Salesiana, Giulio Pirovano, Roberto Roggero, Uniti nella diversità, UK, Lulu
Enterprise, Mauro Mantovani, Alberto Pessa e Oliviero Riggi , Oltre la crisi;
prospettive per un nuovo modello di sviluppo. Il contributo del pensiero
realistico dinamico (atti dell'omonimo convegno tenuto a Roma), Roma, Libreria
Ateneo Salesiano, Stefano Fontana, Filosofia per tutti: una breve storia del
pensiero da Socrate a Ratzingher, Verona , Fede & Cultura. Nuova Costruttività,
La Vita, su dinontorganico. Scritti
teologici inediti, Roma, Editrice LAS, Mario Gadili, San Giovanni Calabria:
biografia ufficiale, Cinisello Balsamo, San Paolo, Per la ri-educazione
all'amore cristiano nel campo economico-sociale: per una valida teoria della
pratica e una adeguata pratica della teoria; Genova: Crovetto, Atti del
convegno: Per la ri-educaziaone all'amore cristiano tra le aziende, tenustosi a
Rapallo e atti del convegno: Programmazione economico-sociale e amore
cristiano, tenutosi a Rapallo, Massaro, I problemi dell'economia ligure :
un'unica iniziativa ma buona. A Rivalta Scrivia la succursale del pletorico
porto di Genova., in LA STAMPA, C.G.N., Il ministro Andreotti inaugura il nuovo
complesso della Rivalta, in Sette Giorni a Tortona, LIBERE A. C.L.I., Sette
domande sulle A.C.L.I. e la svolta di Vallombrosa e sette risposte delle Libere
A.C.L.I., Milano, Centro Studi, Acli "federacliste", Per un impegno
ideologico Cristiano, Torino, ALC-FEDERACL, Tacconi, La persona e oltre: soggettività
personale e soggettività ecclesiale, LAS, Realismo dinamico, Bologna,
Costruire, Il Marxismo, Verona, Nuova Presenza cristiana, Confronto sinottico
delle tre ideologie. Roma, Centro Nazareth, La società alternativa, Verona,
Nuova Presenza Cristiana, Sintesi sociale cristiana. Metafisica della realtà
sociale (presentazione di Ellena), Torino, Pontificio Ateneo Salesiano, Presupposti
dottrinali per la pastorale e l'apostolato., Velate di Varese, Edizioni Villa
Sorriso di Maria, Cristianesimo e realtà sociale., Velate di Varese, Edizioni
Villa Sorriso di Maria, Paolo Arnaboldi, Demaria e Morini, I consigli
pastorali, diocesani e parrocchiali alla luce di una pastorale
organico-dinamica, Velate di Varese, FAC-Villa Sorriso di Maria, Luigi Bogliolo
e Stefano Fontana, Prospettive del Realismo Integrale. Pensare il trascentente.
La questione metafisica dell'ente dinamico. Dialogo con Bogliolo. Apertura a
tutto l’essere in Nuove Prospettive, Realismo
dinamico Giacomino Costa Realismo Tomismo Neotomismo Comunitarismo, Vita, opere
e ragionata a cura dell'Associazione
Nuova Costruttività., su dinont-organico. Tommaso Demaria. Keywords: Tuomela,
we-thinking, cooperation and authority -- Luigi Cipriani, communicazione e
cultura, dynontorganico – dinamico ontico organico -- l’implicanza di Speranza,
implicanza, implicatura, implicazione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Demaria”
– The Swimming-Pool Library.
Demetrio (Milano). Filosofo. Grice:
“Demetrio and the semiotic tacit’ – “Grice: “Demetrio philosophises, in a
Grecian, way, on the ‘tacit’ – literally, the unuttered --.” Grice: “While
‘tacit’ may implicate that the vehicle is phonic, it need not be – any
non-expression is a tacit act --.” “And like me, Demetrio holds that there is a
whole communication involving the un-expressed, or tacit – or ‘suprressed’ as
the scholastics preferred. Grice: “I like Demetrio. You see, Demetrio is sa
good one. – and he enriches the Griceian vocabulary. I use ‘imply’ for
implicatum and implicitum; but Demetrio, due to the richness of the Italian
language, can play with the ‘tac’ root. I often refer to the implicit as the
tacit – and the tacit is nothing but the ‘silent’ –Demetrio has this brilliant
essay on the ‘sentiments’ wich are ‘taciuti’. A ‘sentimento’ is taciuto’ when
it is tacit, implicit, not explicit – his favourite scenario is a loving couple
– the silence of love – he has also played with the ‘senses’ of ‘silent,’ but
it is the ‘tacit’ root that he explores most and relates to my
explicit/implicit, tacit/non-tacit distinction!” – Le sue ricerche promuovono
la scrittura di se stessi, sia per lo sviluppo del pensiero interiore e auto-analitico,
sia come pratica filosofica. Insegna a Milano, è ora direttore scientifico del
Centro Nazionale Ricerche e studi autobiografici della Libera università
dell'Autobiografia di Anghiari e dei “Silenziosi”. Altre opere: “Educatori di
professione. Pedagogia e didattiche del cambiamento nei servizi
extra-scolastici” (Scandicci, La Nuova Italia, Tornare a crescere); “L'età
adulta tra persistenze e cambiamenti” (Milano, Guerini, La ricerca qualitativa
in educazione” (Scandicci, La Nuova Italia); Apprendere nelle organizzazioni.
Proposte per la crescita cognitiva in età adulta, Roma, NIS); “Immigrazione e
pedagogia interculturale. Bambini, adulti, comunità nel percorso di integrazione,
Firenze, La Nuova Italia); “L'educazione nella vita adulta. Per una teoria
fenomenologica dei vissuti e delle origini, Roma, NIS, Raccontarsi); “L'autobiografia
come cura di sé, Milano, Cortina, Educazione degli adulti: gli eventi e i
simboli, Milano, C.U.E.M., Viaggio e racconti di viaggio. Nell'esperienza di
giovani e adulti, Milano, C.U.E.M.); “Bambini stranieri a scuola. Accoglienza e
didattica interculturale nella scuola dell'infanzia e nella scuola elementare,
Scandicci, La Nuova Italia, Agenda interculturale. Quotidianità e immigrazione
a scuola. Idee per chi inizia, Roma, Meltemi, Il gioco della vita. Kit autobiografico.
Trenta proposte per il piacere di raccontarsi, Milano, Guerini); Pedagogia
della memoria. Per se stessi, con gli altri, Roma, Meltemi); “Elogio
dell'immaturità. Poetica dell'età irraggiungibile, Milano, Cortina, Una nuova
identità docente. Come eravamo, come siamo, Milano, Mursia); “L'educazione
interiore. Introduzione alla pedagogia introspettiva, Scandicci, La Nuova
Italia, Di che giardino sei? Conoscersi attraverso un simbolo” (Roma, Meltemi);
“Preparare e scrivere la tesi in Scienze dell'Educazione, Milano, Sansoni); “Istituzioni
di educazione degli adulti. Il metodo autobiografico” (Milano, Guerini); “Istituzioni
di educazione degli adulti” (Milano, Guerini); Album di famiglia. Scrivere i
ricordi di casa, Roma, Meltemi, Scritture erranti. L'autobiografia come viaggio
del se nel mondo, Roma, EDUP, Ricordare a scuola. Fare memoria e didattica
autobiografica, Roma, Laterza, Manuale di educazione degli adulti, Roma,
Laterza, Filosofia dell'educazione ed età adulta. Simbologie, miti e immagini
di sé, Torino, UTET Liberia, L'età adulta. Teorie dell'identità e pedagogie
dello sviluppo, Roma, Carocci, Autoanalisi per non pazienti. Inquietudine e
scrittura di sé, Milano, Cortina); “Istituzioni di educazione degli
adulti. Saperi, competenze e
apprendimento permanente, Milano, Guerini, Didattica interculturale. Nuovi
sguardi, competenze, percorsi, Milano, Angeli, In età adulta. Le mutevoli
fisionomie, Milano, Guerini, Filosofia del camminare. Esercizi di meditazione
mediterranea, Milano, Cortina, La vita schiva. Il sentimento e le virtù della
timidezza” (Milano, Cortina, La scrittura clinica. Consulenza autobiografica e
fragilità esistenziali, Milano, Cortina, L'educazione non è finita. Idee per
difenderla, Milano, Cortina); “Ascetismo metropolitano. L'inquieta religiosità
dei non credenti, Milano, Ponte alle Grazie); “L'interiorità maschile. Le
solitudini degli uomini” (Milano, Cortina, La religiosità degli increduli. Per
incontrare i «gentili», Padova, Messaggero, Perché amiamo scrivere. Filosofia e miti di
una passione, Milano, Cortina, Senza figli. Una condizione umana, Milano,
Cortina, ,Educare è narrare. Le teorie, le pratiche, la cura, Milano, Mimesis);
“Beati i misericordiosi. Perché troveranno misericordia, Torino, Lindau); “I
sensi del silenzio. Quando la scrittura si fa dimora, Milano, Mimesis, La
religiosità della terra. Una fede civile per la cura del mondo, Milano,
Cortina, Silenzio, Padova, Messaggero, Green autobiography. La natura è un
racconto interiore, Anghiari, Booksalad, Ingratitudine. La memoria breve della
riconoscenza, Milano, Cortina, Scrivi, frate Francesco. Una guida per narrare
di sè, Padova, Messaggero, La vita si cerca dentro di sé. Lessico
autobiografico, Milano, Mimesis, Terra, Milano, Dialogos, Foliage. Vagabondare
in autunno, Milano, Cortina, Duccio Demetrio. Keywords: maschile, omossesuale,
perseo, medusa, solitudine, filosofia del maschile, il maschile,
homo-socialite, lo sguardo maschile, virilita, virus, virtu, il concetto del
maschile nella roma antica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Demetrio” – The
Swimming-Pool Library.
Desideri: Grice: “I like Desideri; he
would be what we at Oxford call a ‘philosopher of perception,’ and therefore
his keywords have been aisthetsis, sensation, and the rest – he has also played
with some Latinate, like ‘imaggine dell’imagine’ and with ‘empathy.’ He
endorses a Griceian sort of empathetic theory, as evidenced in the idea of
‘comprehension,’ a latinate term for English ‘understanding.’ “He has beautiful
handwriting,’ while there is a hygienic interval between I and thou, thou
getest what I mean! That he is HOPELESS at philosophy.” Insegna a Firenze. Cura
Nietzsche, Kant, Benjamin, Kafka. Altre opere: “Il tempo e la forma” (Roma,
Editori riuniti); “Il fine del tempo” (Genova, Marietti); “La scala della giustizia”
(Bologna, Pendragon); “Il velo di Iside: coscienza, messianismo e natura nel
pensiero romantico” (Bologna, Pendragon); “L'ascolto della coscienza” (Milano,
Feltrinelli); “Aporia del sensibile” (Genova, Il melangolo); “Il passaggio
estetico” (Genova, Il melangolo); “Forme dell'estetica: dall'esperienza del
bello al problema dell'arte” – “L’esperienza del bello” (Roma-Bari, Laterza); “L’ esperienza e
la percezione riflessa: estetica e filosofia psicologia (Milano, Raffaello
Cortina); “La misura del sentire: per una ri-configurazione dell'estetica” (Milano-Udine,
Mimesis); “Origine dell'estetico: dall’emozione al giudizio” (Roma, Carocci); “Percezione ed estetica” (Brescia,
Morcelliana). Fabrizio Desideri. Keywords: consentire, “i consenzienti del
bello” – perizia del bello – imago imaginis – il bello -- costellazione
griceiana, aporia, il riflessivo, l’esperienza del bello, il sentire, sensum,
sentiens, sensus, sentire e esperienza, esperimentare, esperienzare, emozione,
giudizio, giudicare, espressione dell’emozione, contenuto proposizionale, il volitum,
il co-sentire del bello, Grice, Sibley, meta-property, second-order property,
aesthetica, Sibley on Grice, Scruton on Sibley on Grice ---- -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Desideri” – The Swimming-Pool Library.
Diacceto (Firenze). Filosofo.
Grice: “I love Cattano – Amo Cattani – who philosophised so avidly on ‘amore’ –
in fact, he philosophised in three different ‘symposia’: ‘primo simposio,’
‘secondo simposio’ and ‘terzo simposio’ – and so outdoes Plato by far!” Figlio di
Dionigi Cattani di Diacceto e Maria di Guglielmo Martini. Suo padre era uno dei
tredici figli del filosofo Francesco Cattani da Diacceto, chiamato il Vecchio o
il Pagonazzo per distinguerlo dal nipote. Divenne un canonico della
Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze. Protonotario apostolico. Nominato
vescovo di Fiesole, dopo il ritiro dello zio Angelo Cattani da Diacceto.
Durante la sua carica, termina la costruzione del monastero di Santa Maria
della Neve a Pratovecchio, già iniziata da suo zio. Restaurò l'Oratorio di San
Jacopo a Fiesole e la Chiesa di Santa Maria in Campo a Firenze, e supervisa i
lavori di restauro del Duomo di Fiesole, progettando la forma
dell'abside. Studiò diritto continentale e frequentò l'accademia
fiorentina. Filosofo prolifico. Pubblicò le opere, in latino e in italiano, di
suo nonno e incarica Varchi di scrivere la sua biografia, che fu pubblicata
assieme a Tre libri d’amore e un panegirico all’amore del vecchio Cattani a
Venezia. Altre opere” Gli uffici di S. Ambruogio vescovo di Milano: in volgar
fiorentino (Fiorenza: Lorenzo Torrentino); “Sopra la sequenza del corpo di
Christo” (Fiorenza,: appresso L. Torrentino); “L'Essamerone di S. Ambruogio
tradotto in volgar fiorentino” (Fiorenza: Lorenzo. Torrentino); “L’autorità del
Papa sopra 'l Concilio” (Fiorenza: appresso i Giunti); “Instituzione spirituale
utilissima a coloro che aspirano alla perfezzione della vita” (Fiorenza:
Giunti); “L'Essamerone” (Fiorenza: appresso Lorenzo Torrentino); “La superstizzione
dell'arte magica” (Fiorenza: appresso Valente Panizzi & Marco Peri). I tre
libri d'Amore, filosofo et gentil'hvomo fiorentino, con un Panegerico
all'Amore; et con la Vita del detto autore, fatta da M. Benedetto Varchi (In
Vinegia: appresso Gabriel Giolito de' Ferrari). Ricerche su Diacceto: Cultura
teologica e problemi formativi e pastorali. Firenze: Università degli Studi di
Firenze, Facoltà di Lettere e Filosofia. Dizionario biografico degli italiani. FRANCISCI
CATANEI DIACETII PATRICII FLORENTINI IN DIVINI PLA. tonis Sympoſium Enarratio
ad Clementem VII.Pont.Max . Amoremdiftinguit atq, definit,antequam rei
explicatio nem aggrediatur. رازدا ( 1 Ntequam Sympoſi enarrationem aggredia mur
, operæprecium eſt uidere, quid perA morem ſitnobis intelligendum . Secus enim
fieri nequit , ut diuinú Platonem de Amore diſſereniem intelligamus. Solec
itaqduplici capite definiri. Autenim pingui Mineruade, finitur, aut exacta
quadam ratione. Siqui dem pinguiMinerua,omnis appetentia, quæ cungilla
ſit,Amorrectèdici poteſt. Sinautē exacta ratione, Amor eſt deſiderium
perfruendæ &effingendæ pulchritudinis. Quapro pter quot ſunt appetitus,
totidem elle amores neceſſe eſt. Atqui ue rum efficiens propter intimam
fæcunditatem appetitextra fe effice re:appetit quoqz ſeruare quodeffecerit.
Vnde & diuinus Iohannes Omnia,inquit,per ipſum facta ſunt, & feorfum ab
ipſo nihil , quod factum eſt:ſignificans,non ſolùm ex Deo, ideft,ex uero
efficiente res effe ,uerumetiam eaſdem citra dei auſpicia nihilfieri. Dionyſius
quo que Areopagita ſplendor Chriſtiane theologię, Amor, inquit,entiū auctor,
cùm lupereminenterin bono antecederet,minimèpaſſuseſt ipſum in ſeipſo manere,
quaſiſterile lit: ſed ipſum impulit ad opus ſe, cundùm exceſſum omnia
efficientem . Seruat autem propterea om nium cauſa,beneficio fupereminentis
amoris : quandoquidem non fimplici prouidentia extra ſe procedens ſingulis
entium immiſcetur. Quapropter quidiuinorum peritiſunt, Želotem ipſum appellant,
quaſi uehementem entium amatorem . Acuerò &res ipfæ femper in auctorem
reſpiciunt&conuertuntur, proindeqz afiectantipſi adhæ rere: Adheſionem enim
ultima conſummatio fequitur.Huncautem appetitum ſiquis furorem amatorium dicat,
recte appellauerit. Non folùm uerò inferiora in auctorem femper propenſa ſunt,
uerume tiam quæ funt eiuſdem ordinis ſeipfa mutua quadam charitate com
plectuntur. Simile enim ſimili ſemper adhæret,utinuetere prouer bio eſt. Hoc
autem propterea euenit, quoniam fimilitudo ſeruat ab foluités,diſsimilicudo
uerò contrarium efficit, Quapropter diuinus N 146 FRANCISCI CATA NEI DIA ČETI
Hierotheus in hymnis amatoris,Amorem ,inquit,fiue diuinum , li ueangelicum
,fiue intellectualem , ſiue animalem,ſiue naturalem dixe ris,unificam quandam
conciliantem facultatem intelligimus, qua fuperiora ad inferiorum prouidentiam
:quæ ueró funt eiuſdemordi nis, ad mutuam quandamcommunionem :inferiora uerò ad
fuperio rumconuerſionemmouentur. Verùm huncappetitum, qui poftre mòrebus
aduenit,aliuslongè antecedit, rebus adueniens inter exor dia.Principio quidem
diuina ſtatim quàm ab auctoreſunt; in partes proprietates eſſentiales procedere
concupiſcunt. Diuina enim a . &tusprimiſunt; horum uerò abſolutio ſua
functio eſt.Conftantenim diuina exagente potentia, ac ſua functione, quafi ex
calefaciendi fa cultate calefactionecipfumactu calefaciens. Atqz in huncſenſum
lo cutus eſt Plato in 10.Libro Reip.dicens,diuina feipfa efficere.Signi ficat
enim ex primo fecundoğactu diuina conftare. Quod etiam len fiſſe Ariſtotelem
,ex his quędicuntur in undecimo Rerumdiuinarū, perſpicuum
eſt.Intellectus,inquit,actus eſt. Actus autem per fe illius uita optima
&fempiterna. Dicimus autem Deum eſſe animal ſem . piternum optimum. Quare
uita &æuum continuum & æternum ineſtdeo . Ineft quod & materiæ
primæ appetitus ad formam : qui quidem amordici poteft,quandoquidem merito
formæ boniipfius particeps fit.Eft & alius appetitus, quo res compoſitæ
ſibiipfæ cohæ reſcere amant , optimus eorum conciliator, quæ natura diſsident.
Quemſagax naturæ interpres ſedulò obſeruans, non dubitat capta to cæli fauore
poſſe rerum aſymmetriæ , quæfitex materia , mederi. Virenim naturæ ſtudioſus,
quaſi Lunam è cælo in terram carmini: bus trahens,uim animæ facilè
ductilis,utinquitPlotinus, per cælum generationi inſinuat. Quægeneratio ueluti
excuſſo morboin fuam integritatem farciri poteft.Dehis latius in ſequentibus
agendum no biseſt. In plenumappetitio omnis qua bonum ſibi res adeſſe cupi unt,
amor dici poteſt,ſiueappetitus inanima, ſiuealibiſit, ſiue artis, ſiue
uirtutis,ſiue ſapientiæ , ſiue cuiuſcunqz alterius. Hactenus de eo amore,
quipinguiquadam Minerua nuncupatur. Amor autem qui exacta ratione dicitur,primò
quidem diuinæ animæineft, fi Plotino credimus. Pulchritudo enim in intellectu
primùm apparet. Siigi tur amoror pulchritudinem ſequitur,reſtat utanimæ primò
inſit: quæ quidem intellectui deinceps eſt. Affectat autem anima diuinam pul.
chritudinem uſqz adeo impotenter, ut aliquid pulchrum in fe effi. ciaț. Sed nos
longè aliter diuinum Platonem interpretati, credimus primum amorem cum prima
pulchritudine maximè natura con iunctum eſſe. Quapropter cùm primapulchritudo
intellectui infit, eidem quoq ineſſe amorem ; habere autem originem ex
intelligen tia, IN SYMPOSIUM PLATONIS ENARRATIO, 147 tia,quandoquidem
appetentia omnis fequitur cognitionem . Atue rò diuina anima gemino amore,
nonaduentitio quidem& acciden tario , ſed euidenti &intimo prædita eſt.
Nam&perfrui pulchritudi ne,eandemớper modumſeminis & naturæ in ſeipſa
exprimerecon cupiſcit : & in materiamtransferre affectat idearum
participationes. Sed de his in primo &fecundo libro de Amore ſatis abundèdiſſerui
mus, &in ſequentibus uberrimèdiſleremus. Animaquoquenoſtra præter hos
amores dupliciter in pulchrum aliquod uehementi deli derio inhæret,uelgratia
pulchræ prolis procreandæ , quali pulchrū in pulchro procreari oporteat (
atąhicamoranimam in generatio nem deorſumą trahit )uel gratia recuperandæ ueræ
pulchritudinis, quamdeſcendens nimia generationis cupiditate amiſerat. Quicun
que igitur ſpectaculo ſenſibilis pulchritudinis rectè utitur, is profe. étò
facillimèrecuperat alas, quibus ad diuinam pulchritudinem at collitur.
Rectèigiturimmortales,ut inquit Homerus, Amoremap pellarunt Alationem :
quandoquidem amore in diuinum rapimur. Expoſitio primifermonis,qui Phadrieft:
Actenus declaratūeſt quid ſit amor, pingui Minerua, quid fit exacta ratione
nuncupatus. In præſentia uerò reftat uc Phædri ſermonem aggrediamur, in quo
Phædrus non de eo qui proprièeſt Amor, ſed deeo potius appecitu , qui rebus
adue nitinter exordia,principiò uerba facit. Cornumèrans uerò ea com moda,
quibus amoris beneficio participamus, in eum tranſit amo rem , quiab umbratili,
Auxaſ pulchritudine ad ueram pulchritudi nemnos reuocat.Sedagèdum uideamus,quid
Chaos, quid Terra, quid Amorfit,tum in mundo intelligibili,tum in
anima,tuminmun do ſenſibili,in quibus hæcinueniuntur. Verumàmundo intelligibi
liexordiendum eft,modò priusconſter,Chaoseſſe ubiqellentiæru ditatem:
Terramuerò effentiæ firmitatem : Amorem autem eſſe Ap petitum . Plato in
Philebo dicit,primòelle perſeunum ſiue Deum, ab ii. lo fuere
Terminum&Infinitum ,quartum eſlemiſtumex his,quod dicitur per fe ens. Ego
uerò Plotinum ſequutus , non puto Termi num & Infinitumelleduas ſoliditates
ſuprà ens,quemadmodúcom miniſcitur Syrianus & Proclus:fed quod àperfe uno
primo profuit; quà eſtactusprimus,& aliquid in fe ,dici Terminuni, quoniam
eſt quiddefinitum ac terminatum: quà uerò eſt actus primus, habens po teſtatem
agendi,acper actionem perfici debet,dici Infinitum : quate nus utrung ſimul
complectitur,diciEns. Quocirca rectè à Placone . er N 2 148 FRANCISCI CATANEI
DIACETII miſtumappellatur , quoniamtermini &infiniti naturaper fe habet.
Chaosigiturin mundointelligibili nihil eft aliud , quàm miſtumex termino ac
infinito , id eft, ipſum per feens,quod ratione poteſtatis
dicitur,perfectioniobnoxium . Poftchaos eſt Terra, quoniam ens ipfum ,
quodeftchaos,ſtatim fequitur ſtatus deſignatus per Terram . NamutPlato docet in
Sophiſte,mundusintelligibilis conftat exel ſentia ,ftatu ,motu ,eodem , diuerſo
. Status autê nihil eft aliud, quàm firmitas, per quam fingula manent idipſum
quod funt. Quamo brem autemfirmitas eſſentiædeſigneturperterram , paulo poſt
de. clarabitur. Poft terrameft amor:nam ens ipſum cùm fit actus pri: mus,
perficitur perintimam actionem ,quieſt primus &intimus mo tus,habens
originem ab infinito ipſius entis, ficuti ſtatus eſtà termi. no. Quapropterà
Platone motus ponitur in Sophiſte tertium ele . mentum ,utprius ſitens,
deindeftatus, deinde motus, id eſt, interior actio ipſius entis,quæpropriè Vita
dicitur. Vnde &Ariſtoteles in undecimo Rerumdiuinarum actü per feipfius intellectus
aſſeruiteſ ſe uitam optimam &ſempiternam . Inter actionem ac potentiam a.
gendi,medius eft agendiappetitus,principium actionis.Namagen ti prius
ineſtagendi facultas ,deinde agere affectat,deinde agit. Ecce igitur quomodo
appetitus agendi mediumobtinet locum inter po tentiam &actionem ,cuius eſt
principium .Nam potentia omnis, quç cunc ſit ,deſiderat appetitőz ſuum actum .
Quod etiam euenitprimæ materiæ ,ut Ariſtoteles ait . Sed de his paulopoft.
Rectè igitur dicta eſt, poſt Terram eſſe Amorem, id eſt, poſt eſſentiæ
firmitatem ,qui propriè Status dicitur, efle principium intimæ actionis, quæ
Vita appellatur,cùm ſitprimus motus, cuius beneficio ensin ideas diſtin Ctum
eſt.Ex quo patet etiam quomodo amoranteceditdeos omnes, utinquit Parmenides.
Parmenides enim infueuit ſub Deorum appel latione ideas intelligere. Nam ſiens
diſtinguitur peruitam & motū intimum , Vitæ autem appetituseſt principium ,
necefle eft appeci tumhuiuſmodi ideis eſſe priorem . Recte igituramor,quieft
appeti. tus,antecedit deos omnes, ideft ,ideas. Sedut ad terram redeamus,a
nimaduertendum eft fecundùm Pythagoricos,ab ideis fuere mathe mata, à
mathematis uerò res naturalesnon : quod uelint res natura les ſecundùm materiam
&formameſſe à mathematis ( licenim ſunt abideis )ſed uoluntà mathematis
eſſe figuras rerum naturalium , qui busconftituuntur. Proinde mathemata
appellantur à Platone ob ſcura intelligibilia,quoniam pendent ab ideis, quæ
funt clara intelli gibilia :ſicuti corporum imagines & umbræ ,quæ funt
obſcura ſenſi bilia,à corporibusnaturalibus pendent,quæſunt ſenſilia clara. Sed
de his latius in fexto de Rep. Rectè igitur ex proprijs figuris rerum natu. 1
349 IN SYMPOSIVM PLATONIS ÉNARRATIO. FC naturalium Placo in Timæodeſignat
earundemingenium . Propte: reaignem & terram ac cæteraid genusex triangulis
componit.Ari ſtoteliquoqs placet,naturalianon ſine accidentibus quibuſdam de.
finiri, quemadmodum patet in quinto Primæ philofophiæ , quem iuniores fextum
exiſtimant. Idem quoque aſſerit Plotinus. Sed quorſum hæc:Nempeutintelligamus,
per proprias rerum natura lium figuras delignari rerum ipfarum naturam . Atqui
palàm eſt, teſ ſeramelle propriam terræ figuram , quæ ineptiſsimaeftad motum:
quo fit,ut recta ratione terraſignificet firmitatem . Quodetiamex eo conijcere
poſſumus, quoniam terrà tanquam immobilis eſt totius centrum. Vnde & Plato
in Phædro , Sola , inquit ,in deorum æde manet Veſta. Siigitur terræ ſuapte
natura debeturteffera, terrauti que ſtabiliserit.Vnde &Plato in Timæo
componit folam teſſeram ex triangulisduum æqualium laterum rectangulis, ut eius
oftendat admotumineptitudinem . Verùm dehis fufius in Timæo. Terrai: gitur
firmitatis prærogatiuamubiq præ ſe fert. Hec quidem de mun do intelligibili.
Animauerò ab intellectu primo prodit , ſicuti intel: lectus ab ipſo perſeuno ,
fi Plotino crédimus,ńső ,quiPlotinum ſe cuciſunt,Porphyrio &Amelio,
quanquam Syrianus &Proclus alio ter fenciant. Dionyſius quoq & Origenes
contendunt, ab ipfo per ſeuno eſſe cummentem ,tum animam ,tum materiam ,
Chriſtianum dogma potius quam Platonem ſequuti. Anima igitur cùm ſit ab in
tellectu,ut inquit Plotinus,primofuzeproceſsionis momento inſig. nis prodit
idearum notis. Prodit quo® intelligendi prædita facul tate Nam quemadmodum
intellectus ab ipfo per feuno procedens inde fecum affert unitatis participationem(
quod ſummum eſtipſius intellectus, & quo ipſum per ſe unum attingit) ſic
& animam proce dens ab intellectu indeſecum affert facultatis
intellectualis idearum que participationem.Ergo anima primo ſuæ proceſsionis
momento habet idearum expreſsionem , habet & facultatem intelligendi, qua
non folùm intimasnotiones,uerumetiam ideas intueatur. Sic enim intellectum
auctorem exactè refert.Non continuò tamen perfecta a nimadici
poteſt,quandoquidem debet habere aliquid proprium ac ſuum .Atqui intellectus etli
primo ſuæproceſsionismomento per ſe unius participationeunum eft: per intimam
tamen ac primam actio . nem , quædicitur per ſe uita ,cuius ope ſeipſum in
ideas diſtinguit, quaſi Geometria in ſua Theoremata ,per ſe animal efficitur
:per in telligentiam uerò uitæ ſummum ,përſe intellectus, ac mundusintel
ligibilis. Sic &in anima , quæ primo ſuæ proceſsionis momento fa cultate
intelligendi ideiső participac, quaſi cæra imprimentis ligno, intimailla prima
ac ſua actio , per quamfeipfam in rationes diſtin 3 1 N 3 150 FRANCISCI CATANEI
DIACETII guit, ac per quam propriè animadicitur ,uita eſt participarò, mo. tus
autemper fe.Cuiusſummumeſt ſecunda participatione intelle, ctus, ratiocinatio
autem perfe. Quo fit ,ut inſtar intellectus ſit orbi cularis. Intellectus enim
circulus eft. Dicitur autem propriè motus, quoniam fecum habet & tempus.
Quemadmodum enim primus motus eft in anima, ſic & primum tempus. Nec
quenquam pertur bet in eadem eſſentia animæ idearum participaciones, hoceſt, no
tionesipfas,acrationes formisrationeqz diſtinctas eſſe. Namintelle. ctus &
ratiocinatio in eadem anima, quorum alter in participacio. nesidearum ,altera
uerò in rationes dirigitur,formæ quoque ratio nisis diſcrimen inter fe habent.
Differunt autem notiones à rationi. bus,quoniam notiones (ſicenim voipatæ
præanguſtia linguæ appel. lamus: ſicuti aéyous rationes ) tanquam impartibiles
acfimpliccs latent in penetralibus ipſius animæ, ſoliintellectui obuiæ .
Rationes uerò multiplices explicatæớz ſuntſimiles ratiocinationi, cum qua
habenc affinitatem . VtræQ tamen ſunt tum ſibiipfis,tum animæ ſubiecto i dem.
Intellectum , quianimæ ſuus eſt, Ariſtoteles appellat intelle. & tum
agentem ,ratiocinationem uerò intellectum potentiæ ,quidiui. duuseltacdiſcurſu
agit.Omnes enim animæſuo quæqmodo intel lectu auctoreacprimo participant,qui
omnibuscomuniseft,in quo tanğzin centro lineæ copulantur.Atqideft,quod rectè
inquit The. miſtius,deſententia Ariſtotelis,unum eſſeagentem intellectum illu
minantem ,illuminatos autem ac ſubinde illuminantes complures. Vnum ,inquam
intellectum agentem ,quoniam eſt unus,qui reuera acprimò eſt :complures autem ,
qui ſunt animarū , illuminati quidē, quoniãprimi intellectus particepes ſunt:
illuminantes uerò, quoniã ex his principia hauriunt potentiæ intellectus. Verùm
de his alibi exquiſitius.Ergo anima primo ſuæproceſsionis momento etli inſig.
niseſt idearum participationibus,etliprædita eftintelligendifaculta te,quoniam
tamen nondūin eam actionem prorupit,quain ſuas rati ones interius
diſtinguitur,nondumin eam , quaeaſdem.proſequitur perpetiambitu , quibus
propriè anima cognominatur,Chaos dici poteft.Eftenim Chaos,utdictum eſt
,effentia rudis. HocautēChaos fequitur Terra.Nam animæ eſſentia etſimotuieſt
obnoxia (perpe tuò enim tum generatur,tum interit,ut in Parmenide dictüeſt,
quan doquidem motus repetita quadãuiciſsitudine conficitur) ſemper ta
menmanet,necmotudiſperditur. Amorautem eſtappetitus prorū. pendi in motum: quo
tum diſtinguitur in ſeipſa, tum etiam abſolui-. tur.AmoritaQ cùmprincipium ſit
racionā ,rationes autem ſintidea rum ſimilitudines,meritò dicitur
deosantecedere.Hæc quidem dea. nima. In mundo autem ſenſibili Chaos materia
eſt,quam Platoin Ti inro IN SYMPOSIUM PLATONIS ENARRATIO. 151 I. 11 mæo temere
agitatam Auitantem appellat:materia,inquam ,omni no expers formæ,ſuapte natura,
acſpuria quadam ratione cognobi lis, ut in Timæo dictum eſt.Idautem nihil eft
aliud , quàm cognobi lemeſſe per comparationem ad formam ,ut Ariſtoteles
inquit. Hæc materia abeſtab omniperfectione, omnino deo contraria , ut Plato
ait, infimum ac fæx totius proceſsionis, infra quam duntaxat ipſum nihil
inuenias,principium omnis aſymmetriæ. Vnde& Plotinusi, pſum per ſe
malumappellauit. Huic nonnulli putant ineſſe poten tiam ,perquam formæ
ſubijciatur.Sed mea quidem ſententia mace ria eiuspotentiaomninoidem ſunt. Nam
per defectum totius per fectionis eftunum : ſicuti deus perexceſſum eſtunum .Ad
hæc, condi tionis formalis aliquo modo particeps foret. Cùm igitur ſit unum per
defectum ,eo quòd careat omni perfectione : erit etiam obnoxi generis, cùm
citra auſpicia formæ uel extrinfecus aduenientismane renequeat. Profecto
quaeſtunum per defectum , & cafus abente, di citurmateria: quàuero eſt
obnoxii generis,dicitur ſubiectum , pro pterea quòd ſubeſſe debet. Vnde &
Plato ueluti matrem appellauit in Timæo,eo quòdrecipiat. Ariſtoteles quoçidem
cognomentum materiæ tribuit,quando ſubeſt. Sic fortèmelius, quàm utThemiſtio
uiſumeft : cui placet,materiam eſſe earum rerum , quæ nondum faétæ aut ortæ
ſunt:ſubiectum uerò earum, quæ iam ſunt actu :quo fieri,ut materia fit cum
priuatione, ſubiectum cum priuatione non ſit. Sub iectum itaq dicit tum
firmitatem , tum etiã potentiam priuationém que.Firmitatem quidemdicit, quoniam
ſubiectum generationis ma nes,contraria uerò abeunt,ut Ariſtoteles inquit.
Fitenimex aere ig. nis, non quà eſtaer, ſed quàaccidit ei ut ſit aer. Potentiã
autemdicit, quoniam performã perfici poteſt: non enim fecus fit boni particeps:
quo fit,ut formam uehementiſsimèappetat. Eſt enim forma diuinū &bonum
&appetibile ,ut Ariſtoteles inquit.Hisita perſpectis, pa. tet materiam ,quà
eſtunum ,per defectūtotius perfectionis eſſe Cha. os.Eius autem firmitas
deſeruiens generationi, Terraeſt. Appetitus autem formæ recta ratione amordici
poteſt.Rectèigiturdictum eſt, in mundo ſenſibili uia generationis primoeſſe
Chaos,deindeTerra, poſtea Amorem ſequi.Patetquocßex his ſententia Parmenidis.
Nã uia generationis,priorineſtmateriæ appetitusformæ , quàm forma. Forma autem
ideæ participatio eſt in materia.Quapropter ſiidea de usdicitur,fecundùm
Parmenidem , idegutiớparticipatio,hoceft,for ma,dicetur diuinum.
Amorigitur,hoceft formæ appetitus, Deosi plos,ideft,diuinas
participacionesmeritò dicitur antecedere. Dictú Auñ eft hactenus, quid
GitChaos,quid Terra,quomodo amorſitantiquiſ N 4 152 *** * 1s cÌ CATANE1 DIA
CETII fimus; atqid tumin mundointelligibili,tumin anima, tum in mun do
ſenſibili. Nunc uerò ea commoda uidenda ſunt , quæ ex amore nobis eueniunt.
Animaduertendumtamen eſt,uirtutes eſſe animæ noftræ purificationes. Animaenim
dumingenerationem delabitur,morta li hoc eđeno inficitur , neglectis plerunq;
diuinis, quorum cognata eft :quodin decimode Rep. diuinus Plato indicat,
dicens, animas quæueniuntin generationem , ſumpto potu ex Amelita flumine ad
CampumLethæumdeſcendere. Significat enim ex materiæ com mércio animis alioqui
diuinis ineſſe negligentiam obliuionemére. tum diuinarum . Reuocatur igitur
anima tumin ſui ipſius curam, tumin memoriam diuinorum ,miniſterio uirtutum
,quarumbenefi. cio maculas abñcit, quibus ueluti inuſta erat propter materiæ
for. des.Vnde &Ariſtotelesin ſeptimo libro de Naturali auditu dicit,
perturbationes in nobis fedari quandoque natura, utpueris euenit, quando @ ex
alñs,ſignificans uirtutes, quarum opè perturbationes excutiuntur.Ergo
amorcauſanobiseft uirtutumomnium ,quarum beneficio maxima bona conſequiinur,
hoc eſt, ipſam ſapientiam . Namſapientia ex moribus ſuſcipit incrementum
.Veritasenimpræ ſtò animæ fit per uirtutes expurgatæ , inftarauri quod igne
defæca tur. Quod & Ariſtoteles quo & clara uoce afſeritin ſeptimo deNa
turali auditu. Sedquamobrem amor uirtutum nobis cauſa eſt: An prior nobis
ſénſiliū cognitio ineſt approbatiocs, perinde ac libona fint: quo euenit, ut
fiant expetibilia: hanc fequitur appetitus(fierie nim nequit,appetitum
nonexpetere idipfum , quod ueluti bonum à ſenſu comprobatur )hunc ſequitur
proſequutio. Appetitus enim principiummotus eſt. Vnde&Ariſtoteles in tertio
libro de Ani ma progreſsioneni animalium imaginationi appetituig acceptam
refert. Voluptas autem profequutionis conſequutionisfruitioniſą eft finis. Illa
igitur uirtus,quæanimæ cum appécitu conſentienti mo dum legemő indicit
proſequendi expetibilis , Ciuilis appellatur. Quæuerò ita confirmat animam
,utetiam profequutionem abomi. netur, Purgatio. Atquæita defæcat, ut ab
expetibili uix commo ueatur , iure Sanctitas dicipoteſt. hæc nos deò nonhabenti
uirtu tem , (ut inquit Plotinus, alioquiflagits eſſet obnoxius:quodeti. din
fatetur Ariſtoteles, eiuső enarratorAlexander Aphrodiſiæus) hæc inquam, nos deo
fimiles facit. Vnde & Plato in Theäteto , Fu. ga , inquit , hinc ad deum ,
iplius dei fimilitudo eft. Similitudi nem uerò iuſticia & ſanctitas cum
prudentia præſtant. His ita perſpectis , uidere poſſumus ; quomodo amor
uirtutum cauſa . lit. Quod Phædrus adſtruere contendit. Pudor, inquit , reuo cans
IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO. 23 3 3 čansnosà turpibus, præter hæc æmulátio
ad honeſta inultans,no- , bis fternit muniti uiam ad præclarè rectei uiuendum .
Altera e nim dū in honeſtis ſuperari neſcit, alter ueròeuitando extrema, ſem
per habet ob oculos mediocritatem .Quoeuenit, ut quicquid magni præclarię
efficimus, horum ope efficiamus. Quid aucem amore promptius aut in nobispudorem
excitat, aut ſuſcicatçmulacionem : Amorenimuel abiectiſsimum quemq,licgnauum
reddit ad uirtu tem conſequendam ,ut numine percitus uideatur. Amorquoq;fica
mans amatúmque inſtruit,utnon æquè ſibi erubeſcendum ducant, quàmſialterum ab
altero ſcelerisacfocordiæ iure coargui poſsit. Ha ctenus adſtructumeſt ,
Amoremuirtutes ciuiles efficere, atqz id fyl logiſmo &ratione. In præſentia
uerò adſtruendum ,ex eodem quo que eſſe cum purgatiorias,tum etiam purgati
animi uirtutes : quarü beneficio ſapientiæ acfelicitatis participamus. Cuius
quidem rei Al ceſtidis atop Achillis fabula admonemur. Operæprecium uerò eſt
noſſe prius, animam trahi in generationem affectuuitæ ſenſibilis, cu ius
lenocinis impura redditur:aſcendere uerò ad diuina affectu uitæ intelligibilis,
quæ inprimisanimæpuritatê exigit. Vitæ quidem fen fibilis ſummumeſtopinabile,in
quo nihilconitantiæ ,nihil firmitatis inuenias. Atuita intelligibilis
ubiqueritatem præſefert. Sed dehis latius agemus in fequentibus,ubi
declarabimus, quid aſcenſus deſcen ſusţzanimæ ſit, quid ſibi Plato uoluerit in
decimode Rep.dicens, a nimas in generationem deſcendere per Cancrum, per
Capricornum uerò ad diuina aſcendere. In præſentia uerò fatis ſitgeminum huncaf
fectum geminæquoquitæ nobis auctorem eſſe. Sed iam fabulæmy ſterium
aggrediamur. Alceſtis, inquit, Peliæ filia amans Admetum uirum ,pro eo mori
uoluit. Dijuerò facinore delectati, eam ab infe ris in uicam reuocarunt.
Alceſtidem puto eſſe animam , quęiaminue ritatem incumbat. Admetum uerò credo
ipfas eſſe ſenſibilium notio nes, quibus anima ad uera intelligibilia
excitatur: impuritate uerò ſenſibilis uitæ impedita,eis rectèuti nequit.
Quapropter ſenſibilem uitam exuendam intelligit, quamfibi deſcendens in
generationem induerat, alioqui nunquam uoricompos euaſura. Hinceſt,quòd mo ri
Alceſtis dicitur.Dij uerò in uitā reuocarunt. Quandoquidem de. poſita ſenſibili
uita , in ſuam puritatem reſtituta eſt.Qua igitur mori tur, hoc eſt ,quà exuit
ſenſibilem uitam, uirtutibus purgatorijsinniti tur.Namexuere uitam ſenſibilem
,nihileft aliud, quàm animam ita defæcari,ut ne ipfam quidem admittat
expetibilisproſequutionem . In quo uirtus purgatoria conſiſtit. Quà uerò in
puritatem reſtitu. ta eſt,prædita eſt uirtutibus animi iampurgati. Virtus
enimhuiu £ ک 294 FRANCISCI CATANEI DIACETII ! modinonin purificatione,fedpotius
in ipfa puritate conſiſtit. Purifi 'catio enim motio quædameſt. Atpuritas
motionis terminus. Con fummatio igituruirtutis potius in termino motionis ,
quàmin ipſa motionecõliſtere debet. Sititaqß puritas confummatio uirtutis, qua
quidem diſcimus etiam abipfo ſenſibili uix commoueri. Præclarum utic eſt
&longèmaximū,& quod longo uſuacdiuina quadam ſor teuix
comparatur,neceſſariūtamen ad fapientiam felicitatem con fequendam ,ita
paratuminſtructumós eſſe ,ut corporeas tantùm fen tias affectiones,cetera
prorſusabiunctus.Longè uero errat,quicunos Orpheumimitatus, exiſtimat, dum
ſenſuum lenocinis delinitur, fim bi in ueritatem patere aditum . Hicenim
ſenſibilium notionibus,qua tenus ducuntadueritatem ,uti nequit, ſed quà ſunt
duntaxat ſenſibi. lium. Quo euenit ,utumbras,hoceft ,fimulachrū Eurydices
captans, falſis opinionibus diſtrahatur.Iure igitur Orpheum fürentibusfae minis
dilaniandū irati di propterſcelus expofuerunt. Verùmquid euenit animæin
puritatem iamredactæ . An talem uiteſtatum ſapien tia ſequituradhæſioc in deum
, quod ſuum cuiusqz bonumeſt: Ani maenim adminiculo utitur ſenſibilium ad
ueritatem conſequendă. Namſenſibilia imagines ſunt rerum diuinarum. Vnde et
Plato in Ti mæo idem fermètribuitanimædiuinæ ingeniū,quod priusin mun. di
corporeexplorauerat, ut à Simulachro, tanſ ab inſtrumentoad exemplarrectè fiat
aſcenſus. Ergo ueritatemintelligibilem plerungs accedimus adminiculo
ſenſibilium :quorum notiones in ipſa intelli gibilia
excitantanimam.Dimittimusautem ſenſibiliūnotiones ,ubi primumintelligibilia
conſecuti ſumus, ex quorum contactu fapien tiamreportamus. Sapientiã uerò
felicitas bonumo conſequuntur. Dehis uberrimèin Socratis oratione agendum nobis
eſt. Horumſa nè Achillis Patrocli ( fabula nosadmonet. Achilles,inquit,mortuo
Patroclo amante mori uoluit: diuerò admirati facinus, non ſolum in uitam
reuocarunt,uerumetiam beatorum inſulas deſtinarunt illi habitandas.Patroclum
puto animamipſamaſcendentem ad uera itt telligibilia adminiculo ſenſibilium .
Achillem uerò ſenſibilium notio nes in anima. Mortuus eft Patroclusamans, id
eft, eò ufog proceſsit anima,ut non amplius ſenſilium notionibus indigeat,quibus
innita tür.Quo fit,ut ſenſilium notiones uſui deſinantelle animæad intelli
gentiam comparandā.Hinceſt quòd mori Achilles dícitur. Dij uerò huncuolunt
reuiuiſcere,quoniam animæ pro notionibus ſenſibiliú fiuntobuia ipſa
intelligibilia :unde fapientia comparatur. Ex ſapien tia ueròfelicitas euenit
& bonum ,quod eſt beatorum inſulas Achilli habitãdas deſtinari. Sed quomodo
dicitur amansamato pręſtantius eſſe: An ſi comparetur uisintelligendi ad id
quod intelligitur, longè I melius IN 155 SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO.
meliuseſt id quodintelligitur. Intelligibile enim mouet nõ motū, ut Ariſtoteles
inquit in undecimo Rerum diuinarum.Mouet enim tan quamamatū. At uerò
intellectus ab ipſo intelligibili mouetur. Vis enim intelligendi producit
actionem in ipſum intelligibile, quæ intel ligentia appellatur.Ex quo diuinus
Plato in ſexto deRep.dicit,ueri tatem intelligibili,ſcientiam uerò intellectui
ineſſe.Quodetiam uolu iſle Ariſtotelem alibi declarabimus. Licetin ſexto
inſtitutionū Mo ralium aliter ſentire uideatur. Sin uerò ſenſibilium notiones,
quibus anima in uera intelligibilia excitatur,comparentur ad eam facultatē, qua
intelligimus,quisambigat longè minoris eſſe æſtimandas : Pen dencenim à
ſenſibilibus,ſuntázanimæintelligenti aduentitiæ . Plato igitur quando
dicitamatum eſſe deterius amante, non deipfo intel, ligibili
intelligit(quodreuera amatumeſt: id enim longè pręſtat)ue rum de notionibus
ſenſibilium inanima, quæ &ipfæ propterea ama tum dicuntur,quoniam uſui
ſuntanimæ ad uerum intelligibile con ſequendum .Hæfanè intelligente animalongè
ſunt deteriores. Cu ius rei indiciūeſt, quòd intelligens anima affinitate
coniuncta eſt cũ ipſo intelligibili.Intellectusenim ,ut rectè inquit
Ariſtoteles, rerum intelligibiliumeft,eiuſdem @ eſtutrunca contemplari. Quandoqui
demeadem contemplatio eſtomnium ita coniunctorum , ſicuti etiã ſenſus, &rei
ſenſibilis. Quo euenit,ut deſiderio agatur ueritatis. Ato ideſtquod inquit
Plato, Amans propterea amato præſtantius effe, quod diuino furore agitur. Verùm
quid ſibiuult Plato dicens, longe magis dijs cordi eſſe,ubi amatum , in gratiam
amantis moritur, quàm ubiamansin gratiam amatirAnmoriamansin gratiam amati,
nihil eſt aliud, quàm animam incumbentemin ucritatem , abijcere uitam
fenfibilem ,ne ſenſilium notiones, quæ ſuntuſuiadueritatem compa randam ,irritæ
ſint: Amatumenim ſenſiliūnotionesſignificat. Quod exeo aſſeritur, quoddictum
eſt,amatum amante eſſe deterius. Fiunt autem irritx , filieimpedimento
ſenſibilis uita . Amatū uerò moriin gratiamamantis,ſignificat notiones ſenſibiles
uſui non eſſe amplius, quòd intelligens animain ipſam ueritatem intueatur :
quod re uera amatum eſt. Siigiturmulto plus eſt omnino negligere notiones ſen
lilium , intuente animaueritaté, quàm deporre uitam ſenſibilem , ut notiones
ſenſilium ad ueritatem uſui ſint:multo plus utiq; erit , a matū pro
amante,hoceſt, Achillem in gratia Patrocli: quàm amans pro amato
,hoceſtAlceſtidē in gratiam Admeti mori. Quapropter quid mirūgli Achilles ad
maiorem honorē cuectus eſt: Anima enim exuero intelligibili non ſolum ſapientia
,uerumetiam ipfam felicita temreportat. Quod quidem eſt ,Achilliin uitam à dis
reſtitu to beatorum inſulas habitandas deſtinari: cùm Alceſtidi in uitam
reuocari ſatis fuerit. 257 2 156 IN SYMPOSII SECVNDVM SER: MONEM QVI PA VSAN
IAE TRIB Vlo tur expoſitio. ) Voniamà Pauſania dictum eſt, totidemeſſe Amores,
quot ſunt Veneres:oportetexplicare in primis Vene rem ,
quideaſit:alioquiphiloſophia amoris( quod qui dem in præfentia quærimus )
lateat nos neceſſe eſt. Plotinus igitur putat, Venereineffe ipfam animam ,
proindecaulamamoris efficientem . Sunt etiam & alij, qui aliter ſen .
tiunt,magnialioqui uiri, ſed quos in præſentia dimittere conſilium eſt. Vir
enim fapientiæ ſtudioſus,ut inquit Dionyſius, ſatis ſibi factu cenſere
debet,ſinon alios laceſſendo,fed quàm ualidis poteſt rationi bus,quam
putateſfeueritatem ,audacter aſſerat. Ego uerò Hermiæ libenter aſſentior, qui
credit per Venerem pulchritudinē ſignificari. Argumento , in Phædro dictum eſſe
furorem amatorium , & optimū effe furorum omnium , & ex
optimis.Exoptimis quidem , quoniam ſenſibilis pulchritudo,à qua amor excitatur,
optima ac præſtantiſsi ma eſtomnium , quæcunq ſenſui offeruntur: nam &
exquiſiciſsima diuinorum ſimilitudo eft, quæ optima ſunt, & ſenſui omnium
perſpi caciſsimo ficobuiam .Viſusenim alios ſenſus longè ſuperat. Cùm e. nim
cæteri ſenſus,uel fi nulliſint uſui,cognitionis gratia per fe expeti biles
ſint,ut Ariſtoteles inquit :præ ceteris tamen uidendi facultatein optamus,
quippe qua exquiſitius cognoſcimus. Quapropteruiden di facultatem ad
intelligentiam traducere folemus,ut etiam intellige reuidere ſit. Quod
&Ariſtoteles indicauit. Nam & in tertio uolumi ne eius
libri,inquoadſtruendi deſtruendic locos docet, & in primo de Moribus
adNicomachum , Sicut,inquit,pupillain oculo,licintel lectus eſt in anima.Patet
igicuramorem ex optimis eſſe, cùm ex pul. chritudine ſenſibili excitetur,quę
optimaeſtomnium quæcunq hic ſunt. Optimum autem eſſe facile dabit is, quem non
latuerit intelligi bilem pulchritudinem, cuius eſt Amor,indagancibus bonum
obuia fieri: quippe quæ boni penetralia ingredientibus in ueſtibulo occur
rat.Siigiturfuroramatorius tumexoptimis eſt,quodexcitatur ſen fibili
pulchritudine:tum etiam opcimus, quoniam in pulchritudi nem intelligibilem
dirigitur , huius autem patrocinium Veneri cri butumeſt, utPlato inquit in
Phædro :quoniam dij alij alñs furori bus præſunt, Mulæpoetico, Apollo
uaticinio, Myſterijs autem Bac chus: ſicúz Amor, qui
Veneremcomitatur,pulchrorum dux puero. rum , IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO.
157 . 5 rum , eorumſcilicet animorum , quos pulchriuehementer prouocat
{pectaculü :quotuſquiſpambigat, perVenerempulchritudinem in . dicari : Nuncuerò
quid ipſa ſit Pulchritudo uidendum eſt . Quod pulchritudo ſitex eorumnumero,
quæmodum habēt qualitatis,uni cuiqué palàm eſſe poteft. Quòdautemmodum habeat
eius qualita tis , quæ uidendifacultati obuia ſit,idquoqueperſpicuum puto.Nam
&pulchritudo ſenſibilis ueræpulchritudinis fimulachrum ab una uidendi
facultate percipitur. Ea uerò qualitasuiſibilis, quæ fecüdum ſuperficiemexcenta
eſt,Colordici poteft. Quæuerò nullam patitur extenſionem , ſed temporis puncto
ubiquediſcurrit, Lumen appella tur. Eft & alia qualitas uilibilis ,quæ
tanquam imago acflos ellenti alis perfectionis allicit rapítque in borum.Id
igitur quodhabetmo dum eius qualitatis quæ uiſui obuia eſt, imago
acfloseſſentialis per fectionis,alliciens rapiens in bonum ,reuera
eſtPulchritudo:quod que huius particeps fit,Pulchrum appellatur. Cæterum
pulchritudi nieuenit,ut delicata,utiucunda,utamabilis ſit. Delicata,eo quodfe.
quitur perfectionem eſſentialem.Iucunda,eo quòddelectat. Amabi. lis ,eo quòd
allicit rapita.Hincpatet,quàm hallucinationis coarguê dinon ſint,
quiafferuntpulchrum à bono differre, tãquam extimum ab intimo.Eſto pulchrum
omnebonum eſſe: neque tamen uiciſsim . Quid tum poftea.Num continuò
ſequitur,bonum quidem genus ef ſe ,pulchrūuerò ſpeciem ? Alioqui&
ſapiens,& iuftum , & perfecta &cetera generis eiuſdé,boniquo ipfius
ſpecies eſset. Sapiensenim omnebonumeft,ficédecęteris: nõtamen uiceuerſa.Nūcuerò
neck perfectum ,negiuſtum , ne s fapiens boni ſpecies ſunt,alioquieſſent
quoqſpecies unius. Simpliciſsimum enim optimúmg in idem cõſpi rant:non minúſą
Vnius participãt omnia; quàmboni. Atquotuſ quisqaſſeruerit,unum
eſſegenus,fiquidem genus totum eſt : totum uerò partibus obnoxium: Siigitur
unum eft genus,non utiqueerit citra partes. Atuerò unumomnino &undequaque
impartibile eſt, quemadmodum in Sophiſtedeclaratur.Sedagedum ſidetur bonum
eſſegenus, quídnam id poterit:Nónneperfectio eſsentialisactuseſt: Quodexeo
patere poteſt, quòdeſsentiæ beneficioomnia ſunt id ip ſumquod ſunt. Viuensuitæ
beneficio uiuens eſt. Quo euenit,utuita uiuentis actus ſit. Animabeneficio
motusanima eft: fed quocuſquif queambigat,motumeſse animæ actūł Ignis beneficio
formæ ignis eſt. Tuncenim reuera eſtignis,cùm primūignis formamactu habet. Quis
autem non uideat formam actum eſse ignis:Quoeuenit,utre Eta ratione dici
poſsit, perfectionem eſsențialem actum eſse. Actum autem omnemeſse bonum
,neminem inficias iturum puto, quando quidemi merito actus unicuiqz bonumineſt.
Nónneignieſseignem ; 158 FRANCISCI CATANEI DIACETII bonumeſt:Atquis ambigat per
formam ,quieſt actus, ignemeſſeig nēNónne quo anime eſſe animā,uiuęciéeſſe
uiuens, bonüeſt:Ve rùmalterūbeneficio uitæ ,altera beneficio motus, quorūutergeſta
ctus,id euenire palàm eſt.Exñs patere puto, perfectionem eſſentialē
bonüeſſe,uiciſsimo bonüaliquodeffentialem eſſe perfectionê.Quii gitur affirmat,
pulchrumàbono differre, tanquam extimum ab inti mo,etſi nõibit
inficias,fibonuminuniuerſum accipiatur, pofſe dari, gracia
diſſertationis,idipſumgenus effe :contender tamen,fedebono uerba facere, non
quatenus in uniuerſum ſimpliciter accipitur, fed quatenus particulare
definituma eſt,ſuam præſe ferens duntaxateſ ſentialem rerum perfectionem .
Atque id quidem affirmat recta ra. tione . Nampulchritudo ingenium
modumýzhabens accidentis,re uera extimaelt,quodab ipfa
rationeexploditur.Atperfectio eſfētia, lis, quam ſequitur pulchritudo , reuera
intima:quod ex co aſseritur, quoniam unumquodąeſſentia conſtat. Hinc quidem
uidere poſlu . mus,primā pulchritudinem neğz efle ideas,necin ideis . Ideas
enim ab omniaccidentis ingenio procul eſſe perſpicuumeſt. Namipſum per ſeensin
ideas diſtinctumeſt : quaſi Geometria in ſua Theorema ta. Quemautem lateat
Theoremata non eſſe geometriæ accidentia: Sed ſubeft quærere,ubi nam&quo
pacto lintideæ . Vtrumânt in eo ,in quo ſunt,uel tanquam forma in materia, uel
tanquamaccidés in ſubiecto, uel tanquam in caufa effectus, uel tanquam actus in
eo quod perfici debet,uel-tãquam totum in toto ,uel totum in partibus, uel pars
in parte , uel parsiu toto.Fieri enim nequit,ut fecus in aliquo aliquid ſit.
Namgenus &ſpecies totius partium ( habent ingenium . An ex diuiniPlatonis
fententia,ideas eſſe in ipfo perfe animalidicen dumeft:Namin Timäo aperta uoce
aſserit,Opificem munditot for mas mundo exhibere,quot ſpeciesmensuideratin ipfo
per ſeanima. li.ex quo patet, idearum diſcrimen in ipfo per ſeanimali primò
eſse. Reliquumeſtutuideamus, quo pacto in ipſo per feanimali ſintidex .
Anuelutiforma inmateria eſse nequeunt. Non enim per fe animal materia eſt,
quando alterius beneficio noneſtactu . Sed neque tano accidens in ſubiecto .
Quis enim contendat ideas eſse accidentia, quando idearum ſimulachra
foliditateseſse perſpicuum eſt,utignis, & terra, & cætera generis
eiuſdé:Non ſuntquoq tanquãin caufa effe. ctus , quandoquidemeſsentpoteſtate.
Nücuerò ideæ acti funt. Quo modo autem eſse poſsunt tanquam actus in eo quod
perfici debet? Namper feanimal uita ipfa ,non ideis, tanquam actu animaleſt. At
nequetanquam totum in toto , neque tanquam totum in partibuseſ ſe dicendum eſt
. Non enim totum ſunt ideæ , quoniammultitudini ſunt obnoxiæ. Totumuerò
unumeft. Nónneſi tanquam partemin parte IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO. 159 1
parte eſſe concedamus, oportet quoque nos concedere, tam per ſea nimal,quàm
ideas,alicuius totius partes eſſe : Atcuiúſnam pars fu eritipſum per ſe
animal:Reftatigitur, ideas eſſe in ipfo per fe animali tanquamin toto partes.
At id eft, quodin Timæodiuinus Plato fi bi uoluit,dicens Opificēmundi tot
formas mūdo èxhibere, quot fpe cies mènsuideratin ipſo per
ſeanimali.Quemadmodum enim forme quas mundo exhibuit mundiOpifex , continentur
in mundo , tano in toto partes:ficetiam ſpecies, quas mundi Opifex eſt
imitatus,in ip ſo per le animalicontineri pareſt. Abipſo autem per ſèuno
procedit primò ens: quodintima functioneabfolutum , quæ uita dicitur,fit per
ſeanimal. Vitaenim uiuentiseſt actus. Ipſum autem per ſeanimalui tæ beneficio
cùm totum ſit, in partes quoce diſtribuatur neceſſe eſt . Totumenim& partes
ſimul ſunt. Quapropteripſum per ſe animal quemadmodum habet exuitauc totū
ſit,ex eadem quoqhabet,ut ſe ipſum diſtinguat in partes: partes aüt huiuſmodi
ideæ ſunt.Ex quoli cetadmirari nõnullos:quicõminiſcunturideas aduenire
extrinfecus ei in quo funt,tãquam actü informi naturæ . Quo genere peccarenul
lummaius poſſunt, qui amant uideri Platonisftudiofi.Hecdiximus, nõſtudio
quempiã laceſſendi ( quod à uiro philoſopho alienum ſem per duximus) fed
quoniam ſunt nonnulli , qui dum alteros auidius quàm decetinfectantur,nõ
cômittuntutipſiiurenõ poſsint coargui. Nãduxnoſter Marſilius , etſi alicubi
dicitideas excrinſecus accedere, Chriſtianis fortè quibuſdam adftipulatus:ubi
tamen exactèrem Pla tonicam tuetur,longè aliter ſentit. Exhis quædicta ſunt patere
arbitror, primā pulchritudinem non efle ideas, quemadmodumnonnulli
ineptèaſſerunt. Sed neçetiam effe primò in ideisin præſentia declarandumeſt.
Plato in Timæo di cit mundum eſſe pulcherrimum omniumquæcunq genita ſunt: eſse
autemalicuius ſimulachrum , quodratione ac fapientia ſola compre, hendi
poteſt:adhæcmundumpulcherrimum natura opus optimum que eſſè :effe , inquam ,
animal animatum intelligens.Ex quo intelli, gere poſſumus, de
Platonisfententia,id exemplar quodmundiOpi fex eſt imitatus, tūanimal eſſe, tum
etiã pulcherrimum . Quapropter pulchritudinem primò eſſe ipſius per ſe
animalis,non idearum : nam ipſum per fe animal ideas antecedit. Adhæc, ſi
pulchritudo exuberan tia quædamexterioreſtintimæ perfectionis : intimauerò
perfectio ne ipſum per ſe animal fit : quis non uidet,ipſius per fe animalis
prima pulchritudinēeſſe : Quomodo igitur idearu : Dehis tum paulo poft
diſſerendūnobiseſt , tūetiã in libro de amore ſatis abūdediſſeruimus: Hactenus
oſtenſum eſt, quid Venus ſignificet, quid ſit pulchritu do ubiſit.In præſentia
uidendum eſt, nunquid pulchritudo materia B 160 FRANCISCI CATANEI DIACETII
ſitamoris,an potins finis.Nonnulli ſunt, quidicantde Platonis fen tentia
,pulchritudinemeſſe materiam amoris. Nampulchritudo cau fa eſt amoris,non
tanquam principium efficiens eius actus qui eſta mare , fed tanquam obiectum
.AtueròſecundumPlatonicosactuum animæ animaipſa eſtefficiens:obiecta uerò
ſuntmateria, circaquam actumillumproducit anima. Quaproptercum hacratione
pulchri. tudo materia ſitamoris,propterea Venusdicitur amoris mater.Nam
materiam eſſe tanquammatrem ,efficiensuerò tanquam patrem ,con tendunt
Philoſophi. hæcilli ferèaduerbum . Sed non poſſum non uehementer admirari,
quihæcproferunt in medium , uiri alioquigra ues &magni, &quos arbitror nihillatere
potuiſſe, in his præſertim quæ pertinent adintegram caſtamos Platonis
Ariſtotelisęzintelli. gentiam . Non ſolum enim quæ dicta ſunt,Platoni
Ariſtotelicpug. nant, uerùm etiam pugnant &rationi, pugnant quoque&his
quæ ab eiſdem alibidicta ſunt.Primò quidem Plato in ſextodeRep.libro dicit, fjs
quæ intelliguntur inefleueritatem :intelligentiuerò ineſſeſci entiam
,ueritatemcz intellectu percipi. Quo euenit,ut ueritasannexa ſit
intelligibili:ſcientia uerò intellectui. Siigitur ita fehabet,quomo do ueritas
ſcientiæ materia erit fecundùm Platonem :Veritas enim ſci entiæ longè
præſtat:quod nulla ratione eueniret, fi materia eſſet. Ari ftoteles quomin
undecimoRerum diuinarum , Expetibile, inquit, &intelligibile mouetnonmotum
, quodalterumapparens, alterum reuerabonum eſt.Mouereautem nonmotūquotuſquiſque
materię tribuerit:Etpaulo poft,Intellectus,inquit, abintelligibili mouetur.
Intelligibile autemalter ordo fecüdum le. Addit&hoc:Mouet icaqz
tanquamamatum . Ex quibusliquidò patere poteſt, expetibile intel. ligibilegs finis
ipſius habere ingenium . Siitam expetibile &intelligi bile mouetut finis,
pulchritudo autē expetibilis intelligibilisőseſt: quomodo materia eſſe poterit:
Atprimapulchritudo ſoli intellectui eſtobuia,quemadmodum oſtēſum eſt ,cùm
fitiplius per ſe animalis: eftetiamexpetibilis, quandoquidébonum quoddam eſt
,bonum au tem quà bonum ſemperexpetibile.Poſſent &alia multa afferri in me
dium ,quibus oftenderetur de Platonis Ariſtotelisés ſententia obie ctum nõ eſſe
materiam actuum animæ. Quæ quidem propterea omi fimus, quandoquidemijs, qui uel
breuem deambulatiunculam cum Platone Ariſtoteleđß fecerint,notiſsimaſunt.Atuerò
&rationi recla mat,obiectum ueluti materiãeſſe. Materia enim folet eſſe id
ex quo ali quid fit .Nó fiūtaūtex obiectis animæactus,ſed potius funt circa
obie éta . Quo euenit,ut obiecta materia eſſe nequeat. Adhæc bonüexpeti
bileeſt, quandoquid exeo appetimus quodbonãelt: nõuiciſsimeſt bonüpropterea
quòdexpetimus.Expetibile autē obiectõeſt,quo fit, utbonum IN SYMPOSIVM PLATONIS
ENARRATIO . 16i 2:13 I utbonum obiectum ſit:Gaddas,obiectüeſſemateriam ,bonum
quoqs materia fit neceſſe eſt. At quaratione aſserendum , bonumipſummā teriam
eſſe : Pugnantquoque fibiipſis.contenduntenim pulchrum à bono ſeiungi,
tanğſpeciem àgenere. Quo fit, ut pulchrum boni ſpecies fit :bonum ueròde
pulchro tanquamde ſpecie dicatur. Siigi tur pulchrum eſt bonum ,bonumuerò
materiam eſſenequit,quo pa eto pulchrum materiam eſſe dicendum eſt: Quapropter
meaquidem ſententia aſſerendum non eſt, pulchritudinem eſſe materiamamoris, fed
potiusfinem.Cui quidem ſententiæ Plato Ariſtoteleső adſtipu lătur. Verumfi
pulchritudo ingenium habet illius, cuius gratia : quo pacto Amorem
exoriridicendum eſt : Anubi primumcognoſcendi facultas,pulchritudinem
utdelicatam , ut iucundam ,utamabilem co probat,ſtatim uisappetēdiexcitatur
.Appetitus enim cognitionem fequaturneceſse eſt. Dumigitur appetens exoptat
ſibi adeſse ac per frui delicato , iucundo ,amabili,utinde plenitudinem hauriat
uolupta tis,eữactú circa pulchritudinem producit, qui appetere dicitur.Qui
quidemreuera Amoreſtappellandus,hoceft,appetitus &deſideriū perfruendæ
pulchritudinis.Huius deſiderñ efficiens cauſa,uiseſtap . petendi:pulchritudo
illud ,cuiusgratia. Quænam uerò materia ſit, in Socratis oratione
declarabimus,exponentes, quid nobis per Peniam fit intelligendum , quam
eſſematrem amoris affirmat Plato . Quod quidem euidens argumentum uideri
poteſt, pulchritudinem non ef ſemateriam amoris.Nunquam enim dicit Plato ,
Venerem ( quæ pul chritudinem ſignificat ) matrem eſse amoris , ſed potius
amorem co , mitari ſequio Venerem ,quippe quiVenerisipſius eſt ,in Venerēms
dirigitur. Quæ quidem omnia finis ſuntipſius, non materiæ . Nonnulliſunt,
quidicant,quiſquis deſiderat, quodammodo poſsi dere id quod ab eodeſideratur:
idq eſse deſiderācis uirtutis propriū. Adſtruūt autē hocipſum dupliciratione,
tumquoniam deſiderium omne antecedête cognitione lubnititur ( cognitio autem,
quædã pof ſeſsio eſt) tum quóniam inter deſideransacdeſideratum congruentia
ſemper ſimilitudo@intercidit.Fieri autem nequit, utidquod deſide. ratur,à
deſiderante quodammodonon participetur. Alioqui nulla eſſet inter utrung
congruentia, nulla ſimilitudo. Sed mea quidē ſen tentia cómentitiử hoceſt.Nã
deſideransomne,quà deſiderans, cogni tione priuatur. Cuius rei indiciū eſt, quod
ex antecedête cognitione deſideratquiſquis deſiderat. Quo fit,ut recta ratione
uis deſiderãdi di catur cęca eſse,quippe àqua cognitio ſeiūcta fit,quæuiſio
appellatur. Atfieri nequit,ut quicquid cognitione priuatur,non priueturetiã ea
poſſeſsione,quęmerito fitcognitonis. Sed fortè dicent,nõ ficfeadui uum
reſecare, ut uelint,deſiderãs,quàdeſiderans, merito cognitionis cognit 1 3 162
FRANCISCI CATANEI DIACETII habere quodämodo poffefsionem illius,quod
delideratur: fed eadū taxatratione habere,qua cognofcit.Nosaūtenitemuroſtenderenec
etiã cognoſcésqua cognofcēs,habere ali zrei cognobilis poſſeſsionē
dūcognoſcit.Vtrūuerò id affequemur,alñ iudicabūt.Nobisſatis erit afferre in
mediū ,nõ quæ adeo premất alios,eospræſertim ,quosuelu tinaturæmiraculū ſoliti
ſumusadmirari:fed quę caſtūueritatis fecta torējaſsertoreo decere
arbitramur.Quod quidem ſignumoboculos ſibi ſemper proponere debet, quicũceſt
fapientiæ ſtudioſus.Côten dimus igitur,cognitionēnullo pacto eſſerei cognobilis
poffefsionē. Nãcognitionem eſſe per modumuiſionis, nemo eftomniū qui rectè
poſsitambigere.Cognitio.n.inipſum cognobile à cognoſcētedirigi tur, quafi in
ipſum uilibile uifio.At poſſeſsio nullā habet cumuiſione affinitatem . Non
enimqui poſsidet quodãmodo intuetur, ſedquali manu tenet,accöplectitur id ipſum
quod poſsidetur. Quoeuenit, ut poſſeſsio potius ingenium fapiat tactionis.
Siigitur cognitio uifionis imitatur naturam ,poffefsio uerò non imitatur, quo
pacto dicendum eft ,cognitionem eſſe poſſeſsionem . Adhæc,uerum &
bonūnonidē funt.Quod ex eo patere poteft,quòdnoneadē facultate percipiütur: In
uerum dirigitur cognofcendifacultas,in bonūuerò appetendi.Ex
ueriperceptioneaſseueratio certitudoớa reportatur:exboni poſſeſsi onecóplexu (
uoluptas. Si igitur cognofcens, quà cognoſsēs quodā modopoſsideret,uoluptatisquo
particeps fieret. Voluptas enim boni poſseſsionêcomitatur.Atuoluptas facultaté
cognoſcentem no perficit,fed appetētem .Quapropterdiuinus Plato bonü noftrumin
miſto quodã ex lapiétia uoluptate coſtituit: quarüaltera, id eſt,ſapi entia intellectum
:altera uerò,hoceſtuoluptas , uoluntatem perficit. Sed de his infequentibus
comulatiſsime agemus. Hactenus often ſum eſt, quicūą deſiderat,huncipsūnon
poſsidere ,necquà deſiderat, nec quà cognoſcit.In preſentia uerò
declarandûeft,neclimiltudinem quoos poſseſsionem aliquo modo auteſse autdici
debere. Quodreli quüerat ut adſtrueretur.Quæcun $ igitur fimilia ſunt,aut
propterea dicuntur ſimilia , quòdcerto quodã tertio participent ( cuiuſmodico,
plura alba aut calida ſunt )aut quoniã alterü alteriſimileeſt,non tamé uiciſsim
:quemadmodūuiuenti Socrati pictus autæneus ſimilis eſt, quãdo uiuentem Socratem
quodãmodo imitatur. Nemo tamen pro pterea fanę mentis contendet,uiuentē picto
auteneo ſimilē eſse. Quo genere,homo per uirtutes deo ſimilis fit,ut rectè inquit
Plotinus.Sen lilia quoqhocpacto intelligibilib. ſimilia ſunt, quæ nihil cum
eisha bentcõmune,niſi nomen. Quodquidem clara uoce diuinusPlatoin Parmenide
Timæocz teftatur. Ex quo Ariſtotelis ratio contra ideas de tertio hominefacilè
diluitur. Quæcũçaūt ſuntidonea,utrecipiãt, cuiuſmodi informis materia eſt,
& cætera generis eiuſdem , fimilia & ipſa dici poffunt, tū ijs
quærecipiuntur,tumis quæ efficiunt.Horum eniin 11 IN SYMPOSIVM PLATONIS EN
ÅRRATIO. 163 be Inic enim poteſtas quædam ſimilitudo uidetur eſſe. Dicitur quo
&effi ciens finiſimile, quoniã efficiensomne à fine mouetur: illius enim
gra tia omnia ſunt. Vnde &Ariſtoteles in undecimo Rerūdiuiuarū ,Ěx
petibile,inquit, & intelligibile mouētnon mota:quaſi efficiens motu moueat.
Quod paulo poſtexpreſsit,dicés: Intellectus ab intelligibili mouetur. lis itaq
expoſitis,uidendū eſt, quopacto deſiderãs, ei quod deſideratur fimile eſt,
cuius ſimilitudinem meritò fibi deſiderati inſit poſſeſsio.Non
eſtigiturdeſiderásſimile eiquod deſideratur, quoniã tertio quodamparticipent.
Alioquiutrunqz alteri pari ratione ſimile eſſet. Quod quidem ñseuenit, quæhoc
pacto ſimiliaſunt,quando in tertio cócurrunt. Atdeſideras &idquod
deſideraturita fe habent, ut idquod deſideraturnomotūmoueat,deſiderãs uerò
moueatur:Quo euenit,ut ſecus id , quod deſideratur, deſiderāti: ſecus autem
deſiderás ei,quod deſideratur,ſimile ſit. Siigitur quæ cõcurruntin tertio, ſibi
in uicem ſimilia ſunt:deſiderans uerò &id quoddefideratur non ſimili
côditioneſimilia ſunt:quis ambigat,eadētertñ quoq nõ participare : Non ſunt
quoqz ſimilia ,eo quòd alterü alteri duntaxat ſimile ſit:alio , quiaut alterum
alteriusſimulachrū imagóą eſſet ,autfaltē imitaretur. Nuncuerò neutrūaut
alterũimitatur,aut alterius imago exmplumue eft.Sed nec quoqeo pacto ſimilia ſunt,
quo recipiensautei quodre cipitur,auteiunde eſt principiū motus ſimile dicitur.
Neutrumenim recipientis habet ingeniū, quandoquidem alterum eſtran efficiens,
alterútanſ illud cuiusgratia efficitur. Reſtat igitur, fi qua eft ſimilitu do
,utdeſideras &id quod defideratur propterea fimilia ſint, quoniã id quod
deſideratur tãğexperibile mouer:deſiderãs uerò eft efficiés . Quã quidē
fimilitudinēnemoeſtomniã quidiſsimulet. Quis enim ambigat, inter finem atoßea
quæ in finĉprogrediãtur, ſimilitudinem quandãaffinitatēc eſse:Quoenim pacto eo
côtéderent, niſi aliquid inde reportarent, quod in uſumbonūĝz ſuum uerteretur .
Sed hæc ſimilitudo cógruencia (znullădicit poſseſsionem . Nã propterea effici
ens finiſimile eft, quod efficiésmoueri poteſt, finis aūtmouere.Poſse aūtmoueriadfinem
,nulla finispoſseſsio eſt:finis enimpoſseſsio actu eft,poſse aūtmoueripotencia.
Quomodo igitur huiuſmodi ſimilitu : do poſseſsionēdicit . Adhæc
lidefideransratione ſimilitudinis ali quomodo poſsiderid quod deſideratur,id
quidē actu eſse neceſse eſt. Quod aūtactu pofsidetbonū,habet quogiãactu
&uoluptatē, quão doquidēactupfruitur. Quis aūt afseruerit,deſiderãs quà
deſiderãs iã bono gfrui,diliniriq uoluptate:Nãdeſideriūmotio quædã uidetur,
quãdo motionis pricipiūelt.Voluptasaŭt motionis terminus.Cõti getigitu ridē
ſimulmoueri,acno moueri.Quod fieri nulla ratione po teft :Ěxhis perſpicuñeſse
arbitror,deſiderãsminimèilliusparticipare ģddeſideratur.Verùmhæc paulo
altiusrepetëda sūt. Omnia quæcũ queſunt, poft primūingenita cupiditate urūtur
pociūdi illius : quip pe ex cuius poſseſsioneſuum cuique bonumineſt. Cupiunt
autem 164 FRANCISCI CATANEI DIACETIÍ quam uehementiſsimeſingulaſibibonumadeſle.
Quidenim eſlea maret,niſiid fibi proforet: Appetentiauerò omnis ex
cognitioneſus mit exordia. Fieri enimnequit,ut alicuius cupiditas aliqua fit,
cuius non fuerit &cognitio.Hæcquidem cognitio no intelligencia eſt,non
ratiocinatio ,non opinio , ſiue cogitatio,nõ ſenſus aliquis, ex his quos
particulares uocamus,fed longèhæcomniaantecedit. Singula enim ftatimquàmfunt,
intimoquodamnatiuoç ſenſu præſentiunt, in au Ctorem ,unde
uenerunt,libieſſeproperandum , indebonumuberri mèadfequutura.Hicquidem ſenſus,
quem IntimūNaturęgsappella mus,principiūeſt, quo mūdusintelligibilis in uită
intelligēciāõpro cedat.Nãuita intelligentiaõprogreſsioeftin bonū.Progreſsio
aūtin appecētiã reducitur. Quofit,utappetētiauitæ intelligentiæis princi
piūſit. At appetētia omnis cognitione fubnititur. Quapropter cùm nulla prior
cognitio fuerit, quàmea, quamūdus intelligibilisſtatim , quàmeft,præféntit ex
auctore ſibi bonūadfuturū (quem ſenſumInci mum uocamus)ſequens eft,ut
inhunceundem uitaintelligentiáque reducatur.Pari pacto de animadicendum eſt.
Namhic ſenſusperpe. tis illius motionis ratiocinationis & ipſiusauctor eſt.
Vnde& Iambli chus,cætera quidēdiuinus, in hocaūtuerè diuiniſsimus.Effentie,
in quit,animæ ipfiusingenitaquedamineft deorum cognitio ,omniiu dicio
melior,antecedens electionem ,ratiocinationem , demonſtrati onem omnem : quæ
quidem interexordia inhærens in propriam cau fam ,coniúcta eſt cumeo
animæappetitu ,qui ſubſtantificus bonieft: Plotinus quo @ aſserit,omnia naturæ
opera eſſe Theoremata,quip pe quæex intima quadã naturæ cognitione orta
ſint.Hoc fenfu &ele menta in propria loca feruntur.Vnde &illi,
meaquidem ſententia, audiendinonſunt, qui ñſdem tribuunt appetitum in ſua loca
proce dendi,adimuntuerò cognitionem appetitus huiuſmodi principium , quaſi
abextima intelligentia dirigantur .Namfieri nequit,utextima fit
cognitio,appetitusuerò intimus. Appetitus enim cognitionem fequitur,eiuſdemqz
rei eſt cognoſcere & appetere. Huncienſum ue . teres Magiobſeruauere,
hincopera ſuæ arcis feliciſsimè auſpicantes. Hunceundem in hymno naturæ Orpheus
quietum acline ſtrepitu appellauit . Quippe in quemnoncadaterror, quando nulla
indiget ope externorum , fed totus in boni quaſi uiſionem incumbat . Qua
propter mea quidemfententia , quemadmodum concupiſcendiira ſcendió cupiditas
ſuã habet ſentiendi facultatē,electio uerò ratiocinā dig atintelligédi
facultatē uolūtas, quibus nitătur ( alioquin he quidé quod
reuerabonüeſt,illęuerò qa bonūuidetur,nequico deſiderio cöplecterentur) fic
& cómunisrerü omniūappetitus,quo in bonum dirigūrur, ſuāhaberecognitioné (
quë nature ſensűrite nücupamus) ġd bonü præſentiatur,neceſſe
eſt.Hecquidēcognitio quéadmodūnā 1 IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO. 169
eſtbonipoſſeſsio ( alioqui nunquam in bonum progreſsio fieret ) fed potius
poſsidēdi principiū :pari ratione neccæteras cognitiones,pof ſeſsiones eſſe
dicendüeſt, ſedprincipia uias@ potius in poſſeſsionem . Quo fit,utrecta
rationedici nequeat,AmoremPulchripoſſeſsionem habere,quòdantecedête
cognitioneſubnicatur, quaſicognitio ſitpof feſsio quædam . Quomodoautemnon
folùm Amor, fed appetentia omnis,media ſitinter idquodbonum eſt,atquenonbonum :
quidper Porum , quidper Peniam Amoris parentesdiuinus Plato ſibi uelit, in
Socracis oratione uberrimèenitemur oſtendere. Hactenus declarauimus
Pulchritudiném eſle Amoris finem , non materiam : declarauimus quoqs
Amoremnullam habere pulchritu dinis poſſeſsionem , quemadmodumnõnulli comminiſcuntur
. In præſentia declarandum eſt,quænam , qualésque pulchritudines ſint.
Quoquidem declarato,uidebimusquinam ,qualéſoamores ſint. Fi eri enim
nequit,utcitra pulchritudinem ſit Amor. Vbiigitur fem per pulchritudinem
fequitur, non ſolùm totidem eſſe amores, quot ſunt puichritudines, pareſt:
uerùm etiam expulchritudinisingenio amoris eſſencia ,uires, opera
ſuntæſtimanda. Sediamrem ipfamag grediamur. Rerum genusunumintelligibileeſt,
ſenſibile alterum . Rurſus intelligibile in partes duas diuiditur, in clarum
ſcilicet &ob. {curum .Intelligibile clarum dici poteft, quod ſuapte natura
obuiam fit intellectui,necalio adnititur; cuiuſmodi funt ideæ fiuemundus in
telligibilis, ac liquid aliud tale eſt, quod non indiget adminiculout maneat.
Obfcurumuerò intelligibile ,quod nonnili in claro intelligi bili apparet:
cuiuſmodi mathemata ſunt, quæ habent in ideis quic quid participant
firmitatis.BrõrinusPythagoricus in eo libro, qui de Intellectu cogitationem
inſcribitur,Cogitatio ,inquit, intellectu ma ioreſt,ſicut & cogitabilemaius
intelligibili. Intellectus enim ſimplex eft ,citra compoſitionem ,id quod primò
intelligit:huiuſmodi autem ſpeciem dicimus:eftenim citra partes, citra
compoſitionem aliorum primum . At cogitatio tummultiplex eſt , tum
partibilis,id quod fe cũdo intelligit:ſcientia enim demonſtrationeớ nititur.
Simili ratio ne ſe habentipſa cogitabilia. Hæcautē ſunt ſcibilia demonſtrabilia
ipſac uniuerſalia, quę ab intelle &tu per rationem comprehenduntur. Ex
quibuscolligere poſſumus, intelligibile clarum per illud ſignifi cari,
quoddicitur, fine partibus,fine compoſitione aliorum primum. Obſcurūuerò per
illud , quod dictur, Scibile ,demoſtrabile, uniuer ſale. Nam cogitabilia omnia,
cuiuſmodi ſunt obſcura intelligibilia, ipfacemathemata,non attinguntur quafi
recto quodamintuitu, quê admodum euenit claro intelligibili:fed per rationem ,
& quandam ,ut fic dixerim ,ab ideis declinationem acdeſcenſum . Suntautē
mathematare uerafluxus eorum generum ,quæcuque 166 FRANCISCI CATANEI DIACETII
rèentiintellectuíçinfunt, intelligibilium , idearum imagines, ex empla
ſenſibilium ,eandem habentia ad ideas comparationem ,quam habétumbræ
&imagines in ſpeculis aduera corpora,quę& àcorpo ribus profluunt, &
in eiſdem ,& beneficio eorundem , ſenſui fiuntob uiam.Sicutig
&mathemata funt ab ideis, &in ideis apparent, & i, dearum beneficio
habéntfirmitatem . Sicuti autemipſuminelligibile in clarumobſcurū <
diuiditur: eodempacto &ſenſibile in clarum ob ſcurūgs diuidendum
eſt.Senſibile clarūdicitur, quodprimò acrecto quodamtramite ſenſui fit obuiam ,
quodą ſuapte natura opinabile eſt, utcælum ,ut elementa , & reliqua corpora
naturalia . Obſcurum uerò, quod,etſi ſub ſenſum cadit,pendet tamen ex
corporenaturali tū quatenus fit ,tumetiamquatenusapparet. Hæcſunt corporum natu
ralium imagines ac ſimulachra, quæ & à corporibus naturalibus pē dent,
&citra eadem ſtatim dilabuntur,necſenſuifiuntobuiam . Hu iuſmodi autemſunt
umbræ in aquis, in ſpeculis @ imagines. Addunt Syneſius &Proclus, eſſe
quorundam corporum naturalium profu uia ,ad certam intercapedinem integrum
feruantia characterem .Quę nõambigunt mirisquibuſdã machinis à Magis
impetiſolere, fiquã do quenquam perderein animo éſt.Hæc cùm & ipſa
ſimulachraquæ damſint ſub obſcuro illo fenſili collocari poſſunt. Architas
Tarenti nus in eo libro,cuide intellectu & ſenſu titulus eft,quæcunqdicütur
eſſe, in pares ordines gradusi diſtinxit, afcenſum fieri uoluitàde, terioribus
ad meliora, quippe in quibus deteriora comprehenderē tur.Diuinus quoạPlato in
fexto de Rep. declarat,quatuoreſſererű gradus, qualeſas ſintä animænoftræ uel
habitus uel facultates, qui. bus uniuerfam illam rerum diſtributionem
cognoſcimus.Quæom nia non erubuit ab Archita ad uerbum ferè mutuari. Quodquidem
ös,qui aliquando legerint Architæuerba, luce clarius patere poteſt. Sed magnacontrouerſia
eſt,in quonam rerum ordineanimaipſa col locari debeat, quicß de ea contempletur
. Nam ſi in mentemani mæ præſtantiſsimum intuemur,noneftcurhæſitemus
intelligibilis generiseſſe ac diuini.Contrà uerò ſi cæteras facultates
penlitemus, rė rum naturalium ordini adſcribemus. Sinuerò utrūos ſimul,necinter
diuina cõnumerabimus ( quodomnino à motu materiaớ abhorrēt ) necinter ea,quæ
naturalia ſunt, quandoquidem ſupra fenfilia non af cendunt. Mensautem genus
ſenlibile longè ſuperat. Themiſtius in ter Peripatecicos nõ poſtremæ
auctoritatis dat manus extremeratio ni : proindecs contendit, animæ ipſius,
quaſimedijgeneris ſit, media quoơſciệtiãeſſe,cuiuſmodi ſuncdiſciplinæ.
Anobisuerò lögè abeſt, ut credamus, cã eſſe mentē Ariſtoteli, utnaturalis
intellectü contēple tur. Quid enim eo illuſtrius eſſe poteſt,quodin ſecüdo de
Animadir ctum 1 IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO 167 1 &umeft:Intellectus
fortè diuinum quiddameſt &impatibile. Quin etiam nihil
prohihet,inquit,partem animæ aliquam ſeparari:liquidē nullius corporis actus
eſt.Præterea & illud :deintellectu autemnon dumpalàmeſt,namuidetur aliud
genusanimæ eſſe időzſeparari,tan quamæternumà caduco. In primoautem de partibus
animaliumex erta uoce ait:Naturalemphiloſophum non de anima omnidiſſerere,
quandoquidem non omnisanima natura eſt.Et in fecundo de Gene ratione animalium
,folam mentemextrinfecus accedere,eamąfolam diuinam eſſe , cùm eiusactio no
communicet cumactione corporali. Præterea in quinto Rerumdiuinarum ( quêpleriq
falsò fextum au tumant, fi credimus Alexandro Aphrodiſixo) Naturalis, inquit,ip
. ſius eſtnon omnemanimam contemplari,ſed quandam ,quæcunque non ſine materia
fit.Etinundecimo eiuſdem operis, cum de Deolo queretur : Vita,inquit,poteſteſſe
optimanobis,f ed breui. Sicenim femper illud:nobis autem fieri nequit. Ex
quibus intelligi poteft,ex fententia Ariſtotelis contemplationem de intellectu
ad facultatem naturalem non pertinere . Proinde aliam quandamſcientiam eſſe,
quæanimæ ingenium contempletur. Diuinusquoque Plato anima ipſam , quando ſeparabilisæternacpeſt,ſub
eflentia concludit.Proin de intelligibilis generiseſſedubitandum non
eſt.Quòdfiquis obříci at Timæum Platonis ,in quo multa de animeingenio
differuntur,cui nihilominus de Natura tituluseſt:nosutią quemadmodum non dif
fitemur elle princeps eius dialogi uotum, naturę opera contemplari:
ficquoqzimusinficias, quçcungibicótinentur,naturam effe.Multa enim præ ſe
fertilledialogus, quæ naturæ ingenium longè fuperant. Nectamen continuò
commiſcerimateriasobrjciendum eſt. Fuite nimoperæprecium de iis etiam fieri
meditationem , quorumopus, & organum natura eſt . Huncautem eſſe diuinū
opificem ,diuinamą. animam ,Plato afferit.Ex his perſpicuum eſt,rationalem
animam ge neris intelligibilis effe,non quidem obſcuri, quemadmodummathe. mata
ſunt:fed talis potius,cuiuſmodimūduseſtintelligibilis.Nãani marationalis
necalieno indiget adminiculo ,utmaneat, & fuapte na tura intellectui fit
obuiã. Eftenimuera & abſoluta participacione, quicquid per
femūdusintelligibilis eſſe dicitur. Verūtamen animad uertendum eſt,animam
propterea à mente declinare, quòduergitin corpus. Quo fit,ut tumſui
ipſius,tumalterins dicatur eſſe,ut rectèin quitProclus. Siquidem ipſius, quòd
eſſentia ſeparabilis æternáque eſt:alterius autem , quòdin corpus
propenſa,eſſentiam uitāçcorpo ri impartitur. Hinceuenit,utalteram quãdam animã
producat: cu ius ope molem agitetacregat. Hæcanima irrationalis appellatur,
quæſoligenerationi deſeruit, plena ſeminum earum rerum , quæ cunque cum materia
commnicandæ ſunt . Hæc in præſentia de 268 FRANCISCI CATANEI DIACETII
animafatis ſint:Namin fequêtibus eius philoſophiam uberrimècon.
templabimur.Ergo animam rationalemègenere intelligibili,irratio nalemuerò
èſenſibilieſſe aſsèremus . Quod etiam Plato ſignificauit in Timxo , appellans
animam irrationalem mortale animæ genus; mortale autem omneſenſui obnoxium eſt.
In plenum colligere poſ ſumus,ſub claro intelligibili animamrationalem , ideasý
, hoceſtin telligibilem mundum ,quamprimam quoộmentem ,primumens,ac perſe
animalappellant:ſub obſcuro uerò Mathemataconcludi.Cla rumuerò
ſenſibilecomplectiirrationalemanimam ,complecti & om nia corpora naturalia
, cælum ,elementa, quæibexhis coaleſcunt,ani malia,plantas,& cætera generis
eiufdem . Obſcurum uerò imagines in fpeculis,umbrásque in aquis, & fiqua ſunt
alia id genus . Adhęc & ea profluuia corporum naturalium ,de quibus paulo
ante mencio nemfecimus. His ita perſpectis,dicendumefttotidem eſlepulchri
tudines , quot rerum ordinės ſunt. Quapropter eſſe pulchritudinem
intelligibilem ,effe quoqj & ſenſibilem . Rurſusa intelligibilempul
chritudinem tumdarameſſe, tumobſcuram . Claramquidem , tum
quæmundiintelligibilis eſt,tum etiam quæeſtanimæiplius.Obſcu ram uerò eam effe
, quam in mathematiscontemplari poſſumus. At ſenſibilem pulchritudinem cum
animæ irrationalis fiue naturæ , tum etiam corporum naturalium eſſe dicimus :
quamquidem claram ap. pellamus.Quęuerò imaginümumbrarumã eft, &
fiquaſuntalia id genus obſcuram appellari par eſt. Ergo pulchritudo
mundiintelli gibilis reuera cæleſtis acdiuiua eft appellanda, cuinihil non
elegans admiſcetur, nonconcionum , undequaqcompofita, undequaqfibi
ipficonfentiens. Animequoqrationalispulchritudo coeleſtis acdi. uinadici
poteft:quæ tantum abeft,utmateriæ ſordibus immiſceatur, ut etiam cumprima
pulchritudine ferè coniuncta ſit.Atueròpulchri tudo tumirrationalisanimæ,
tumetiam corporum naturalium ,non fine materia eſſe poteſt . Anima enim
irrationalis ſuapte natura circa corpora diuiduaeft , ut Plato inquit:
undeuulgarisacplebeia pulchritudo meritò appellatur, quòdhabet cum materiacommerci
um. Siigitur duo pulchritudinisgenera funt,cæleſte ſcilicetacplebe ium
:coeleſtisautem pulchritudo uniuerſum intelligibile complecti tur, ſiuemundi
intelligibilis ſit, ſiue mathematum ,ſiue animæratioria lis: plebeia uerò
univerſum ſenſibile: totidem quoq eſse amorumge nera neceſse eſt. Quapropter
amor ,qui cæleſtis pulchritudinis eſt,& ipſequoc cæleſtis:qui uerò plebeiæ
pulchritudinis,plebeius & ipfe nuncupabitur. Sed agedū, exquifitius uidédữelt,quomodo
Àmorcircà pulchri tudinauerfetur.In ſuperioribus declaratum eſt, Amoremeſse
appe. 1 titum . IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO . 169 titum deſideriumộ
pulchritudinis. Pulchritudo enim bonum quoddameſt:bonumautem omne expetibile.
Quo fic,ut pulchritu, do uim moueat appetendi.Huius autemactus circa pulchritudinem
amorappellatur.Primusigitur acperfectiſsimus amor,circa primam pulchritudinem
uerſatur:quæ in ipfo per feanimali primùm appa ret ,ut pauloante dictum eſt.
Sedquomodo primus amor circa pri mampulchritudinem uerſatur:An non ſolumin
primam pulchritu dinem incumbit,ut inde particulam hauriat uoluptatis (qua uis
per ficitur appetendi)uerum etiam principium eſt, quo in eadem ellen tia mundi
intelligibilis aliquid pulchrūconcipiatur: Hoc autem ni hileft aliud, quàm
pulchritudinem mundiintelligibilis, quæ tano ſpectaculum intellectui fitobuiam
, in eodem concipi permodum ſe minis acnacuræ . Huiuſmodi autem conceptus, eius
facultatis uis eſt, per quammundusintelligibilis extra ſe pulchritudinem poteft
effi cereEx. quo perſpicuum eſt,Amoremeffe principium producen di,quæcunq
diuinam pulchritudinem imitantur. Nam fieri nequit, utpulchritudinis ſemina
producant extrinſecus pulchritudinem ,ni. fi & ea quoqproduxerit, in quibus
apparet pulchritudo. Quapro pter integra abſolutacz amoris definitio eſt,ut
defiderium ſit non ſo lùm perfruendæ ,uerum etiam effingendæ pulchritudinis:ut
in hoc quoqàquouisalio diſcrepet appetitu ,quòd cæteriduntaxaruolup tate
contenti ſint, quam hauriantex boni poſſeſsione, hic autem ada datetiam
efficaciam.Pari ratione de anima dicendumeft, in qua cùm fituera participacio
pulchritudinis ,uera quocß Amoris parcicipatio fit neceſſe eſt. Amorigitur in
anima, qua pulchritudine perfrui con cupiſcit,eandem affectateffingere permodum
ſeminis ac naturæ ,cu, ius eſt imago. Natura ueró animæ rationalis inſtrumentum
( quam ſecundam animam appellant)habetab anima ſuperiore pulchritudi nem :fed
&ipſa per modum feminis. Quandoquidemper hanc ani marationalis componit
uerſatớp materiam , in qua pulchritudo per modum ſpectaculi apparet.Meritò
igitur in anima gemini ſuntamo res:alter, qui eius pulchritudinis eft, quam
anima à mundo intelligi bili mutuatur:alter uerò qui in eam pulchritudinem
dirigitur , quæ per modum ſeminis in natura fecundamanima effulget. Hicquidem
amoraffectans ſeminariam pulchritudinem , transfert in materiam pulchritudinis
illius participationem ,quandopulchritudinis ſpecta culum in ea anima
effingerenequit. Exquo amorhuiuſmodi totius generationis re uera principium
eſt. In omniautem anima rationali geminus uiget amor. Namubi ſecundùm eſſentiam
æterna eſt, cor pus habet & ipſaſempiternum , quod uita donec: in quo
explicet fuæ pulchritudinis imaginem . Anima enimquàanima,uicam alicui exhi р
170 FRANCISCI CATANEI DIACETIT bere debet:quo fit, cùmfemper animafit,uitam
quoc alicui ſemper exhibeat. Idautem eſſe corpusneceſſeeſt.Cuienim
alteri,nificorpo ri,uitamexhiberepoteſt:Acid corpus,cui uita ſemper exhibetur,
ce leſti conditione participare dicendum eſt. Quapropter anima om nis
rationalis,habet corpus æternum , quod Vehiculum appellant, cuiſemper uitam
imparciatur.HæcquidēProcliſententia eſt. Quan quamPlotinus &lamblichus
credantpoſſefieri, utanima noftrae. tiam quandoơ ſine corpore fit. Sed dehis
alibi latius. Ariſtoteles quo in fecundo libro deGeneratione animalium , Omnis,
inquit, animæ ſiueuirtus,ſiuepotentia ,corpus aliquod participare uidetur, idő
magis diuinum ,quàmea quæ elementa appellantur. Ex quibus uerbis colligere
poſſumus,Ariſtotelem cenſuille, cum animaradio nalialiquod effe corpus,quod
cæloproportionereſpondeat. Quod etiam Themiſtius in ea paraphraſi, quam in
primum librumde A nimaedidit, de mente Ariſtotelis affirmat. Quapropter in omni
ani. marationali geminus eft amor. Quorum alter pulchritudinemin telligibilem
,alter ueròſeminalem explicare in corpore materias af fectat. Quo euenit,utinanima
omnirationali,cæleftis ſit amor,lice tiam & plebeius. Habet & alia
ratione utrun amorem animano ſtra.Nam liquando ſenſibilis pulchri ſpecie
excitata præcipitatina moremexplicandorum feminum ,proindeq pulchro illo potiri
im potenter affectat,ut pulchram ſobolem in eo progeneret,plebeio a
moreoccuparidicendumeft. Rapit enim deorſum implicatớ ani mamgenerationi
huiuſmodiamor. Quod quidemanimæ maximu malumeſt. Atuerò fieodem pulchro
nonadgenerationem , ſed ad contemplationem utatur,quaſihuius beneficiodiuinæ
pulchritudi nisreminiſcatur, quis ambigat,amore diuino incendir Quandoqui dem
in diuinam pulchritudinem reuocatur , unde facilis in bonum eítaſcenſus. Quo
fit, ut hic amor ſummopere laudandus extollen á dusclit: ille uerò ſummopere
uituperandus. Declaratumeft, quid Venusſignificet : declaratum quoque quid fit
pulchritudo, ubi fitprimò, ubi deinceps : quòdpulchritu do
noneſtamorismateria,fed finis : quòd nonelt idex , necin ideis: quòd amor
nullam habet pulchri poſſeſsionem , ſed potius mer dium tenet locum inter
pulchrum atque non pulchrum : quod to. tidem ſunt amorum genera , quot
pulchritudinum : quòd pul chritudo omnis ad cæleſtem plebeiámque reducitur ,
quo fit ut amor partim plebeius , partim cæleſtis ſit : quòd in omni ani. ma
rationali utrunque amorem ſit inuenire , in noftra autem duplici ratione. In
præſentia uerò reſtat , ut diuiniPlatonis fer e uc uc moncm IN SYMPOSIUM
ENARRATIO. 170 PLATONIS moneminterpretemur.Pauſanias apud Platonem laudaturus
Amo rem ,improbatPhædrum , quodliclaudarit,quali unus ſimplex (pa mor,atą is
rectus honeſtusõpeſſet. Quoniam uerò non unus ſim plexoelt,oportet,inquit,
declarare nos prius, quot ſunt Amores, quis laude dignus, quis minimé.Eftautem
laudedignus,qui bonus & àbono ,& in bonum . Qui uerò necbonuseſt, neqz
à bono, neq; in bonum :tantum abeſtutlaudari debeat,ut etiam uituperatione ſit
di gnus. Qui uerò cauſa eſt maximorum bonorum ,hunc ipſum bonū effe
,nemoeſtomnium qui ambigat. Contrà uerò , quimaximorum malorum cauſaeſt, nónne
&ipfemalus eſt putandus. Quapropter illé reuera
laudanduseſt,quibonorumnobis auctor eſt. Contrà ue rò ille uituperandus,à quo
nobismala eueniunt. Videndum igitur primò,quot ſunt amores. Amor,inquit, femper
Venerem comita tur. Quapropterfi una eſfet Venus,unus &Amor utique eſſet. At
quoniam duo ſunt Veneres, altera cælo nata, fine matre quę cæleſtis
Venusdicitur: altera uerò ,quæ Plebeia nuncupatur, ex loueac Dio ne progenita :
propterea duos eſfe Amores neceſſe eſt. Quorū alter .cæleftis eft,
illeſcilicet, qui cæleſtem Venerem : alter uero plebeius, qui plebeiam
comitatur.Dux ,inquit,Veneres ſunt,hoceft,duo pul chritudinis genera :ut
Plotinum ,alios omittamus. NamPlotinus putat, Venerem eſleipſam animam .
Nosautem oſtendimus interex ordia ſermonis huius,ex his quæ à Platone dicuntur
in Phædro, Ve nerem nihil aliud, præter pulchritudinem , ſignificare. Cui
quidem ſententiæ Hermias Ammonius adftipulatur.Namin Phędro,ubiex ponit illud
Platonis,Furorisamatorñpatrociniū tributum eſſe Ve. neri,apertè dicit ,Venerem
ſignificare pulchritudinem . Sed Hermiæ auctoritas contra Plotinum
afferendanoneſt. Satis autem mihi ſit, poſſe ex Platonis ſententia
probabiliratione defendere,Venerem ef ſe pulchritudinem . Quod quidem etiam
obnixè contenderem , ni magnus Plotinusmeremoraretur.Tantum enimei uiro
tribuendű cenfeo ,utexiſtimem , huncipſum primo longè eſſe propiorë quàm tertio
, fiue is ſitNumenius Pythagoræus,fiue lamblichus Chalcidæ us (quem inter
homines deum facit Iulianus Imperator) ſiueſitmag . nus Syrianus,quem Proclus
non ſecus acnumen colic. Ergo dug Ve neres, hoceſt, duo pulchritudinis genera
ſint: quarum alteramdi cit Cælo natam finematre:alteram louis Dionesof ſtirpem
. Vetus eſt dogma(cui Plotinus, quiğz Plotinum ſequuti ſunt,Porphyrius, Amelius
Longinusadftipulantur)tria effe rerü omnium principia, Perſeunum ,Mentem ,
Animam .Aperſeuno eſſe Mentem , quam uocant Mundumintelligibilem , à Menteeſſe
Animam , ab Anima uerò uniuerſum ſenſibilem mundumprocedere. Per ſe unum rebus
P 2 172 FRANCISCI CATANEI DIACETIL elargiri unitatem :Mentemſiue
mundumintelligibilem elargiricon ftantiam :Animamueròmotum . Rurfus ,per ſeunum
quandoque Cælumappellari,Mentemuerò Satúrnum , Animam louem . His itaqz
conſtitutis,poſſumus dicere,E Cælo,hoceft, ex primo rerum omnium principio,
quodper ſe unumdicitur,natameffe Venerem , ideſt,primam pulchritudinem
,quæprimò in ipſo perſe animali ef fulget. Natam ,inquam ,exipſo per reuno,
quoniam intellectus fiue ipfum perfe animal, in quoeſt prima pulchritudo,ex
ipſo perfe uno prodïjt.Natam porrò ſinematre,quoniam proceſsio huiuſmodi nul
Ioantecedente indiget fubiecto, quemadmodum rebus naturalibus euenit. Prodit
enim ſecundum à primo , per fimplicem quandam proceſsionem ( ſicuti lumen à
Sole prodit ) eius potentia totaeft. in producentis uirtute. Quo pacto dicimus &animam
ab intelle ctu , & materiam ab anima prouenire. In toto hocproceſſu concin
git, ſex rerumordines obſeruare. Ipfum per fe unum , Mundumin telligibilemn
,Animam ipſam ,Naturam animæ inſtrumentum , Cor pusMateriam , . Infra autem
noneſt deſcenſus. Vnde & Orpheus, In ſexta,inquit,progeniecantilenæ ornatum
finite. Quod ctiamin Philebo uſurpat diuinus Plato.Poteft &alia ratione,
acnondeteri ore fortaſſe, Veneremdici Cælifiliam eſſe. Namin Cratylo dictum
eſt,Cælum efle aſpectum in fuperiora intuentem : Saturnum purita tem
intellectus: Iouem uerò uiuentem , & perquemuita, ita ſcilicet, atis
aſpectus, quo mundusintelligibilis per fe unum intuetur, Cæ. lumappelletur: is
uerò, quo ſeipſum uidet , Saturnus, quali lit pura intelligentia , in ueritatem
incumbens : Iupiter uerò ſit Mundusin telligibilis,quatenus uidet feextra
feipſum participabilem eſſe .Qui quidem dicitur mundi opifex , quandoquidem
mundi principium eſt.Quo euenit, ut recta ratione tum uiuens dicatur, tum etiam
per quemuita. Viuens quidem, quoniamprincipium eſtefficiendi. Ac uero per quem
uita , quoniam fingula ſuum hinc habent efficiendi modum. Is igituraſpectus,
qui in ſuperiora intuetur, merito in eum ſenſum reduci poteft, quem naturæ
paulo ante appellauimus.Qui propterea Cælum recta ratione dicitur , quandoquidem
principi umeſt, quo per fe bonum ſingula præfentiant. Huius quidem Cæ li
Venusfilia dici poteſt: quoniam pulchritudo intelligibilis, quæ cæleſtis Venus
eſt, hinc habet originem. Nam hicſenſus princi piumeftuitæ. Quo fit, ut etiam
ſit principium pulchritudinis. Pul chritudo ením uitam fequitur,ut dictumeft.
Eft autem fine matre: quoniamnondummateria erat, quæmaterappellatur: quando pri
mapulchritudo longè materiani antecedit. Plotinus uidetur àdi uino
Platonediſſentire,qui dicit, Veneremcæleftem Saturni ſtir pem IN SYMPOSIVM
PLATONIS ENARRATIO , fo pemeſſe.Putat enim Veneremeſſe animam ,quæ àprimo
intellectu procedit.Sed hęchactenus de cæleſti Venere.Nuncuerò de plebeia
agendűeft.Plato dicit,plebeia Venerem louis acDiones ſtirpē eſſe, afferens habere
matré,quãCæleſtis Venusnon habebat. Iupiter ſig nificatMundianimā,
quemadmodūpatet ex his ,quædicútur in Phę dro.Magnus uciądux in Celo
lupiter,citans alatū currum ,primus incedit,exornans cuncta,prouide diſponens.
Huncſequitur deo. rumdæmonumą exercitus,per undecim partes ordinatus. Solà
autem in deorumædemanec Veſta.Ex quibus uerbis palàm effe po teft,
louemeſſemundi animam . In Philæbo quoque dicit Plato, In magno loue eſſe
regium intellectum , eſſe & regiam animam : lig. nificans,mundi animam
tumuninerſaliintelligentia,tumetiam uni uerſaliuita præditameſſe. Ergo Iupiter
mundi anima eſt; ſecun , dùm Platonem . Dione autem Materia dici poteſt. Anima
enim quælupiter appellatur,mundumproducere debet. Mundusautem materia indiget.
Quo fit, ut mundo neceſſaria ſit, non quidem ſim pliciter,fed ex
ſuppoſitione.Námſidomus fieri debet, talis aut talis materia fit neceffe eft.
Vnde &Ariſtoteles materiam appellauit ner ceſsitatem ex ſuppoſitione. Plato
quoqiri Timæo dicit; mundum ex mente &neceſsitate,id eft, ex materia eſſe
conſtituium : quaſi ma teria neceſſaria fit. Si igituranima mundum producere
debet , mà. teriam quo producat neceſſeeſt. Quo euenit, ut Dionérectara tiónė
diči poſsit :quandoquidemand trüdros,hoceſt,à loue trahit ori ginem.Eft itaque
plebeia Venus,louis Dioneső filia :quoniam ſe minaria naturæ pulchritudo tum
pendet à mundi anima , cuius eſt inſtrumentum ad generationem , tum etiam
materiam mundo ne . ceſſariam reſpicit: quæ propterea amat eſſe mater, quòd
ſuopte in. genio gremium eſt formarum omnium. Dicitur autem plebeia;
quandoquidemi cūſenſu materias commercium habet. Quod enim àmateria
ſeiungiturubi , ueritatis participat, cæleftem diuinámque conditionem præ fe
ferre credendum eft. Ergo cùm duæ fint pul chritudines,diuina fcilicet,ac plebeia,
duo quoque Amores ſint ñes ceſſeeſt. Amor enim femper pulchritudinem ſequitur.
Diuinæ pul chritudinis Amor diuinuseſt : qui non folùm diuina pulchritudi: ne
perfrui affectat, uerùm etiam hanc candem exprimere per mo dum feminis. Plebeiæ
pulchritudinis amor&ipfe plebeius. Hic autem principium eſt generationis ,
quando pulchritudinem ini materiaper modum ſpectaculi exprimere nequit, citra
formarum omniumexplicationem : Sed ambigi poteſt,quo pacto dictum ſic, quot
ſunt pulchritu dines, totidem efle Amores, Nónne pulchritudo finis Amoris eft :
is 31 p3 174 ERIKOISCI CATANEI DIACETIT At vero quid prohibet, fi
finiseſtunus,ea quæ ſuntgratia illius,mul taelle: Sicut etiam nihil prohibet,
exemplar unum eſſe, multa ue. rò quæreferuntexemplar. Vnus enimHercules eſt:
Herculisautem imagines complures. Vnde&illud Platonis in Timæo in contro
uerliam trahitur,propterea, inquit,munduseft unus , quoniamex emplar
unumimitatur. Nam ſiunius exempli multæ imagines eſſe poflunt,quomododictum eſt
mundum propterea unum eſſe,quo. niam exemplar unum imitetur : Ariſtotelescùm
uellet oftendere, Mundum eſſeunium ,ex tota ſua materia conſtitutum effedixit.
Edli enimaliudmundus eft,aliud ſua mundo eſſentia : non tamen conti nuo
euenit,ut uel plures fintmundi,uel plures contingat fore: qua. ſi ſpecies, quæ
fit in materia , femper amet eſſe uniuerfale. Suntau tem plura ſub eadem
fpecie, quæcunque ſibi ſuæ materiæ aſſumunt particulam :ut equus,utleo , &
fi quaſuntalia generis eiuſdem . At ueròquæcunqextota materiafua conſtant, hæc
quidem ſingulain ſingulis funt.Exhisautem mundus eſt. Dehisabundèin primo li
brodeCælo agitAriſtoteles. Vnde colligere poſsumus,materia copiam
,multitudinemindicare ſingularium .Quod etiam in undeci. moRerumdiuinarumclara
uoce dictum eſt. Verumenimuero de claremus primò diuinum Platonem rectè
dixiſse, qui aſseruit in Ti. mæo,mundumpropterea unumeſse, quòd exemplar unum
imita. tur.Deinde declarandum nobis eſt, totidem efse Amores, quotſune
pulchritudines.Tametfi pulchritudo finis eſt Amoris. Plato igitur oftenſurus,muudum
eſse unum ,non ex eo oftendit, quòdmateria eſtuna (quemadmodum Ariſtoteles
fecit ) nec.exco, quòdmundi eſsentia in corpus unum occurrat ,ficut
Stoicicomminiſcuntur. Aut enim ſolus,aut maximèuſus eſt præcognofcente cauſa
,quemadmo. dum inquit Theophraſtus.Nam mundum eſse unum , acceptumre. fert
exemplaricaufæ . Sienim exemplar unum, opifex unus,neceſse eft & mundum
eſseunum . Nam opifexunus dum perfectiſsimèexo primit exemplar unum , omnes
exprimendi numeros impleat ne ceſse eſt. Alioquinon perfectiſsimèexprimeret.
Huiuſmodi autem expreſsio nonniſi in uno perfectiſsima eſt. Si enim multa
eſsent, quæ perfectiſsimè exprimuntur , quid prohiberet , in infinituma bire :
At aſserere , ab uno opifice infinitos eſse mundos , ſtupidi omnino mancipñ
eſt. Non eft igitur dicendum , multa eſse quæ perfectiſsimè exprimuntur. Sed
neque etiam aliud alio eſse perfe ctius, quandoquidem perfectiſsimum obuiam
fieret. At fi uel plu. ra, uel exquiſitius in perfectiſsimo continentur, nónne
cætera fu perfluent:Quaproptermeaquidem ſententia, rectè adſtructum eft, Si 1
IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO . 13. Si exemplareſt unum, opifex unus, neceſse
eſt &mundum eſseu num .Acexemplareſſeunum ,opificem unum , facilè oftendi
poteſta Sienim multa exemplaria eſſent,autæquè perfecta dixeris,autaliud alio
ex his præſtantius. Fieri autem nequit, ut æquè perfecta fint, quandoquidem
ſingula ualerent idem . Quo euenit, ut unum fatis ſit. Sin autem aliud alio
perfectiuseft,nónne in id ,quod eſt præſtan tius,ſemper opifex intuebitur unde
& cætera nulli uſui fuerint. Si. mili ratione de opifice adftruendum .
Quapropter recte dictumeſt à diuino Platone, Mundum propterea unum eſſe, quòd
exemplar unumimitetur. Quo fit,ut facillimè ea ratio refutari poſsit, quæ co
nabatur oſtendere,non continuòmundumeſfeunum , quòd exem plar
unumimitaretur:quando uidemus,exemplaris unius multa ſi mulachra eſſe.
Namomnino fierinequit, utmulta ſimulachra exem plarisſint unius, ſi ſit opifex
unus, ifíp perfectiſsimus : cuiuſmodi mundi opifex eſt.Nam multitudo
fimulachrorum ,autex opificis de bilitate : autex multitudine uarietateof fic.
Quòdfiobijcitur, ani marum ideameſleunam , opificem unum , huncés
perfectiſsimum : complures tamenanimaseſſe. Adhæc,leonis autequi, & fiqua
ſunt generis eiufdem , ideam eſſe unam , complura tamen quæ ideam i
plamimitentur. Nos ad hæcreſpondeamus,non eſſe animarum om nium ideam unam,
proinde nec exemplarunum . Sed fingulas ani mas, ſingulas habere ideas. Vnde
& animæ omnesrationales, de Pla tonis fententia,fpecie differunt.
Quodetiamſenliſſe Ariſtotelem non ambigimus. In his,inquit ,quæ ſunt ſeorſumà
materia, idem res ipfaeft,& fuum rei eſſe . At intellectum ſiue rationalem
animam ſe orſum eſſe ,ſecundùm Ariſtotelem facilè dabuntij, qui multis in lo
cis Ariſtocelis uerba attentè legerint. Themiſtius in tertio libro de Anima
dicit de mente Ariſtotelis, intellectum illuminantem eſseu num ,
illuminatosuerò aclubinde illuminantes complures. Quoe. uenit,uttum multi
ſint,tum etiam ſpecie differences. Quapropter & animarum diſcurſiones ,
& uitæ , ſpecie differunt: ſicut etiam &cor pora. Sedde his alibi
latius agendum eſt. Satis eſt auteminpræſen tia declaraſſe,animarum omniumnon
eſſeideam unam . Soluitur & alia ratio .Nam propterealeoniseftidea una ,
exemplar unum , par ticipatus uerò mulci:quoniam idquodexprimit in materia, non
eſt unum ac perfectum ,ficutimundiopifex unus perfectusoz eſt. Con currunt enim
dij mundani, & cælum ac cauſæ particulares, ad i pfam rerum generationem .
Quod etiam Ariſtoteles clara vocete ſtatur,dicens,ab homine & ſole hominem generari,
Hactenusdeclaratum eft,liexemplareſtunū, quo pacto id, quod P4 176 FRANCISCI
CATANEI DIACETII exemplarimitatur,unumeft, quo pacto contingitmultitudinem in
cidere.Nuncuerò reſtat,ut eirationi reſiſtamus, qua adftruitur, non elle
totidem Amores, quotpulchritudines, propterea quòd concin git finemeſſeunum
:complura uerò, quæ illius gratia ſunt. Nampul chritudò finiseft
amoris.Dicimusigitur,id quod habetrationemfi nis,expetibile effe:atqzidquod
reueraomnium finiseſt, reuera quo que acmaximèexpetibile .Quapropterquoniamper
ſeunum &per febonnmomnium eſt finis ,reuera & primòab omnibus effe expe
tibile. Vndeapud Ariſtotelem legas,bonumid efTe, quodomnia ap petunt.
Significatur enim idquodab omnibus, fed pro ſua cuiuſque facultate
,expetitur,eſleid ,quodreueraac primò bonumeſt. Cum itaqs expetibile moueat
appetitum , ubi plura expetibilia ſunt, toti demeſſe appetitus generaneceſſe
eſt. Appetitus enim ſemper expeci bile ſequitur,eiuſdem eftutrunqß contemplari;
quaſi natura con iuncta lint.Vbiuerò unumexpetibile,appetendigenusunumquo.
queſitoportet. Quo fit,cùm unum idem's omnibus commune bo ,
numſit,unumquoqlıtomnibuscommuneappetendi genus.Om nia enim ſibi bonumadeffe
cupiunt:cuius gratia agunt, quicquida gunt. Atqz ita in cunctis unum eſt.
Præter autem id bonum ,quod cùmprimòbonumſit,omnibusadeſt,ſuntalia &
bonorum genera, quorumſuus cuiuſeftappetitus: cuiuſmodi pulchrumeft, cuiuſ
modiiuſtī , & fi qua ſuntgeneris eiuſdem . Rectè igiturà diuino Pla tone
dičtum eſt,totidem effèAmores,quot ſunt Veneres. Venus énimpulchritudo eſt:amor
autem pulchritudinis deſiderium . Cum igiturduæ ſint pulchritudines,altera
diuina accæleſtis,altera plebe. ia ac ſenſui obnoxia: ſintóshæc genera duo
expetibilium :neceffe eft, totidem quoq; effe appetendigenera,qui duo
ſuntAmores. Atque ſicmea quidem fententia fortèmelius, quàm quibus uiſumeft,
pul chritudinem Amoris eſſe materiam . Ex his ratio illa facilè diffolui
tur.Adftruitenim polito appetibili uno , contingere, ut complures illius fint
appetitus. Cui quidem manus dandæ ſunt , non tamen continuo pluraelle appetendi
genera: quod quidem adſtruendum érat. Nam pulchritudo fi unafit , etſi nihil
prohibet inultos illius Amores efle , unum tamen fuerit amandi genus. Quoniam
uero duæ pulchritudines ſunt, duoquoq amandi genera ſint neceffe eſt. Acą hanc
ego exiſtimo ueriſsimam diuini Platonis ſententiam èffe : arguimerito, quòd
Amorum alterum cæleftem , alterum ple bcium appellauit:quoniami altera
pulchritudo diuina ſeparabiliság dicitur,altera plebeia,accumimateria
communićañs: quali ex inge nio appetibilis appetitus ipſe ſitæſtimandus.
Hactenus IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO, 177 Hactenus de his amoribus
tranſegimus, quiomnibus animis inſunt , ſiue hæ deorum ſint, fiue dæmonum ,
ſiue illius generis, quodcorpus caducum ſibi induit, cuiuſmodi hominum animę
funt. Nunc uerò ñ amores ſunt expediendi, qui propriè hominum dici
poſſunt,ſiuenos rapiant in generationem , ſiue in diuinam pulchri tudinem
reuocent. Atqui ſenſibilis mundi huius pulchritudo , intel ligibilis
exemplarisógillius eſt imago. Huius quàm ſimillima eſtcu iufuis hominis
pulchritudo. Anima enim omnis rationalis totius inanimati curam habet: ut in
Phædro dictum eſt. Quofit,utquaf : cung ſpecies ſortiatur, ſiue deorum uitam
uiuens , ſiue cæleſtem ac dæmonicam ,fiuecorpus terrenum , elementarech nacta,
totius ſem per ingenium præ ſe ferant. Quapropter compacta mortali corpori,
etſi uideturanguſti carceris miniſterio detineri, omnem tamen in eo explicat
uniuerſi facultatem , quaſi ubicunqz ſit uniuerſum produs ctura. Ex quo ueteres
Theologi hominem paruum mundumap pellarunt. Fieri enim nequit,quando anima
omnis eft uniuerſum ,. quin profuo efficiatingenio ,ubicunq efficit. Hinc legas
apud Pla tonemin primo libro de Legibus, hominem eſſe miraculum quod. dam
diuinum ,in animantium genere , fiue ludo ſeu ſtudio quodam à ſuperis
conſtitutum . In ſeptimo quoc eiuſdem operis , Deus, in quit, omni beato
ſtudiodignus eſt :homo uerò deiludo eſt fietus.Ex quibus uerbis colligi poteſt,
hominem habereomnia in numerato, quæcunqmundus ipfe habet. Nampropterea dicitur
dei ludo con ftitutus,quoniam ueluti Simia deum ipſum imitatus , fuo quodam
modo fit uniuerſum . Siigitur hæcitafe habent, quis ambigat,homi- . nis
pulchritudinem ipſius mundi pulchritudinis quàm ſimillimarn effe: Quicuno itaq;
huiuſmodiſpectaculo delectatus, in Amorem declinat generationis, hic plebeio
amore detineri iure dicitur. None nim obaliud quæritaffectató pulchrum ,niſi
quoniam credit ſepol fe in co generationem conſummare. Amator autem
talisaggreditur, quodcunqobtigit,ſiue mas ſit, ſeu fæmina. Fæminãquidem , quoni
amhocinſtrumentū neceſſariū eſt ad generationē.Fieri enim nequit, utcitra
fæminam generatio abſoluatur. Fæmina enim ſi credimus Ariſtoteli,materiçuicem
gerit:Eſtenim fæmina mas lęſus, utillein quit. Marē uerò ,quoniã quandoquſą
adeo inſanit, uſą adeo impo tenti uoluptate delinitur,ut credat ſeibi
generationé conficere pofle, unde ſummum hauriat uoluptatis. Quofit,ut cecus
omnino in pudo. rem temere graſſecur. Amatautēcorpus magis quàm animữ. Quan .
doquidéanimus diuina res eſt ,diuino amoreprofequenda. Ille uerò iã totusà
diuino abhorret. Quo fit,ut corpus magis probet uolupta tū miniſteria
exhibitură. Amatquo & potius ſinementehomines, 178 FRANCISCI CATANEI
DIACETI prudentes.Quoniam non facile eft prudentes decipere, qui mente
ualentacnitunturratione.Noneftautem conſilium , ea incommoda in præſentia
recenſere, quçtalesamatores ſuis amatis adeffe cupiunt. Quidenimaliuddiu noctub
cogitant,niſiquo pacto ualeant uolup tatem explere: Vndeſiamatipauperes fuerint
, ſine neceſſarös , ſine clientelis,lineamicis ,adheline omnianimi cultu ,
cuiuſmodi ſuntdi ſciplinæbonarumartium , ſinequibus nemo uirmagnus eſle poteft,
denią fine diuina philoſophia, quæ homines facit prudentiſsimos, miruminmodum
gaudent,quafiex calamitatibuseorum ſuam felici tatem
auſpicaturi.Quapropterimprobandi,reiciendi,inſectandig ſunt,tanquam
maximèpernicioſiac noxij, quippequigenus huma nummaximis detrimentis,bonisuerò
nullis afficiant. Quid igitur mirumfi legibus cautum eſt,nullo pacto uulgares
amatores audien dos eſſe, quaſi impudentiſsimiiniuſtiſsimiĝzlint: Huiuſmodi
igitur ac fimilium affectuũauctoreſtilla ſenſibilis pulchritudo , quam Ve
neremplebeiam appellat Plato. Trahitenim , utdictum eſt, rapitớs
animamadcorpora (quodanimæmaximummalumeſt ) niſi optimi morešdiuiniacobftet
philoſophia,cuius beneficio ueritatis partici pamus. Atuerò ſipulchritudo
ſenſibilis ſit inſtrumentum addiuină pulchritudinem , Venuscæleſtis rectè
dicitur:affectusõz ille,qui cir ca hancuerſatur, Amorquoq cæleſtis iure
appellatur. Prouocatau tem ad diuinam pulchritudinem ,non fæminæ pulchritudo
,ſed ma ris. Amatorenim diuinus,cùm probè nofcat fæminamgenerationi deſeruire,
in mareuero generationem expediri non poſle, abhorreat autem penitusà
generatione (quandoquidem totus in diuinum in hæret)fit utiqz maſculæ
pulchritudinis & fectator adeò &admira tor: quippe qui pulchro uti
amet,non tanquam in quo explicet ſemi nalem pulchritudinem ( quemadmodum euenit
plebeio amatori) fed tanquam inſtrumento, quo in domeſticam pulchritudinem , ac
tumdeinde in diuinamattollatur. Probat autemnon pueros adhuc mentis
expertes,fed adoleſcentes, quimente ualere iam cceperint. In certum eſtenim ,an
pueri uirtute præditi futuri ſint. Ille autem in pri mis uirtutem , optimum
(Banimi habitum admiratur. Ergo adole ſcens ubi furentem amicumcontemplatur,
quàm omni uirtutum ge nere abundet,non minus obferuareac colere debet, in omne
oble quium paratiſsimus,quàmdeorum immortalium ſtatuas colendas cenfet. Scit
enim cumeo diuinum ad omnetempus habitare: proin de nihil aliud fibicogitandum
efle,niſiquo pactoualeatomneuirtu tumgenus explicare,utdiuino amatore dignus
amatus & uideatur & fit.Hactenus Pauſaniæ ſermonem explicaſſe ſatis
erit. Nam quæ dicunturde Ariſtogitonis &Harmodñjamicitia,quæíz deuarijsa
mandi legibus, tum apud Græcos,tumetiam apud Barbaros, expli canda alijs
relinquimus. Nobis enim ea duntaxat proſequi conſi
liumeft,quæuideanturadPhiloſophiam pertinere. Grice: “If these Italians,
pretentious as some are, want to use more than one surname – their loss!” – Grice:
“It was an excellent idea of Diacceto to
translate is grandfather’s Latin works (‘enarratio’) of Plato’s little dialogue
on the unspeakable vice of the Greeks into ‘vulgar Florentine!” -- Franciscus
Cathaneus. Franciscus Cataneus, Diacetius. Francesco de Cattani da Diacceto. M.
Francesco Cattani da Diacceto. Francesco Cattani di Diacceto. Diacceto. Keywords:
diacetius, amore, “la sequenza del corpo” “l’autorita del papa” -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Diacceto” – The Swimming-Pool Library.
Diano (Vibo Valentia). Filosofo. Grice: “I
love Diano, but Italians usually take him to be a bit too Hellenic; recall that
a true Roman considers himself a Troian, i. e. an enemy of a Greek! But as a
scholarship Midlands boy from Clifton to Corpus, I’m a Dianian!” Compie gli studi classici al Liceo Filangeri di Vibo
Valentia, allora Monteleone Calabro. Rimane orfano di padre all'età di 8 anni e
questo fu un evento che segnò la sua vita e molte delle sue scelte
giovanili. Nel 1919 si trasferisce a Roma, dove si iscrive alla Facoltà
di Lettere della Sapienza ove segue le lezioni di Nicola Festa e Vittorio
Rossi. Il suo progetto è di laurearsi con una tesi in Letteratura greca, ma la
necessità di iniziare a lavorare lo spinge a scegliere una via più breve e nel novembre
del 1923 si laurea con 110 e lode con una tesi su Giacomo Leopardi, un poeta
che amò subito e che lo accompagnò nel corso di tutta la sua vita.
Immediatamente inizia a insegnare letteratura latina e greca, dapprima come
supplente e poi, dall'ottobre del 1924, di ruolo come vincitore di concorso a
cattedra. La sua prima nomina è a Vibo Valentia, cui segue un periodo di alcuni
anni a Viterbo e una breve parentesi al Liceo Vittorio Emanuele II di Napoli.
Nella città partenopea frequenta la casa di Benedetto Croce, ma in seguito il
giovane Carlo Diano si allontanerà decisamente dal gruppo dei crociani. Dal
novembre del 1931 è trasferito a Roma, dove insegna prima al Liceo Torquato
Tasso e in seguito al Liceo Terenzio Mamiani. Sempre a Roma, nel 1935, consegue
la libera docenza in lingua e letteratura greca. È fatto oggetto di inchieste
ministeriali e pressioni per il suo rifiuto di iscriversi al Partito fascista,
come chiedeva il suo ruolo di dipendente pubblico. Né mai si iscrisse.
Nel settembre del 1933, su incarico del Ministero degli Esteri, è lettore di
lingua italiana presso le Lund, Copenaghen e Göteborg, incarichi che ricoprì
fino al 1940. Gli anni in Svezia e Danimarca non furono solo utili per
apprendere alla perfezione lo svedese e il danese, ma segnarono un profondo
cambiamento. Il contatto con l'ambiente scandinavo gli spalancò la visione
della grande cultura liberale nord europea e l'amicizia di poeti, letterati e
studiosi scandinavi, tra cui lo storico delle religioni Martin Persson Nilsson
e lo scrittore ed esploratore Sven Hedin, dei quali traduce anche alcune
opere. Al suo ritorno in Italia ricopre un incarico presso la
Soprintendenza bibliografica di Roma e dal gennaio del 1944 all'aprile del 1945
è a Padova in qualità di Ispettore dell'istruzione classica presso il Ministero
dell'Educazione Nazionale della Repubblica Sociale Italiana. Grazie a questo
ruolo e obbedendo alla propria coscienza, all'insaputa di tutti, aiuta molte
persone a mettersi in salvo dalla persecuzione fascista e nazista. Dal
dicembre del 1946 ricopre gli incarichi di Papirologia, Grammatica greca e
latina, Storia della filosofia antica, Letteratura greca e Storia antica presso
la Facoltà di Lettere dell'Bari. Nel 1950 vince il concorso alla cattedra di
Letteratura greca ed è chiamato a Padova a ricoprire, presso la Facoltà di
Lettere dell'Università, la cattedra che era stata di Manara Valgimigli. A
Padova rimarrà ininterrottamente fino alla sua morte. Più volte Preside della
Facoltà di Lettere e Filosofia, fondò e diresse il Centro per la tradizione
aristotelica nel Veneto. Molte delle sue traduzioni dei tragici greci
sono state messe in scena dalla Fondazione del Dramma Antico a Siracusa, al
Teatro Olimpico di Vicenza, a Padova, portate in giro nei teatri italiani,
interpretate da noti attori quali Elena Zareschi, Arnaldo Ninchi, Ugo Pagliai.
Grandi le sue traduzioni, per la ricerca filologica, la lettura rivoluzionaria
e la bellezza dello stile in versi, fra le altre, dell'Alcesti, dell'Ippolito,
dell'Elena, dei Sette a Tebe, dell'Edipo Re, del Dyskolos di Menandro.
Cura, fra le altre cose, l'edizione di tutto il teatro greco per Sansoni e la
traduzione dei Frammenti di Eraclito, volume della Fondazione Lorenzo
Valla. Insignito di numerose onorificenze (Valentia Aurea, Premio
Nazionale dei Lincei, Medaglia d'oro della Città di Padova ecc.) e membro di
numerosissime accademie in Italia, in Europa e in USA, ebbe profonde e durature
amicizie tra gli altri con Salvatore Quasimodo, Sergio Bettini, Mircea Eliade,
Walter F. Otto, Ugo Spirito, Giulio Carlo Argan, Bernard Berenson, Rocco
Montano, Santo Mazzarino, Carlo Bo, Károly Kerényi, Martin Persson Nilsson,
Renato Caccioppoli e molti altri fra i maggiori protagonisti della vita
culturale e artistica del 900. Tra i suoi allievi più noti troviamo il
filosofo ed ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari. Per i suoi amplissimi
studi e i suoi contributi originali su Epicuro è da tempo riconosciuto a
livello internazionale come uno dei maggiori e più autorevoli studiosi del filosofo
di Samo. Nei suoi scritti teorici, principalmente in Forma ed Evento e in
Linee per una fenomenologia dell'arte, fonda un vero e proprio sistema
filosofico in cui filologia, studi storici, filosofici, sociali, storia
dell'arte e la storia delle religioni si integrano a creare un nuovo metodo di
indagine. Fondamentale, a tale scopo, è la creazione delle due categorie
fenomenologiche di "forma" ed "evento", che gli permettono
non solo di esplorare l'intera civiltà greca, ma possono divenire strumento di
analisi generale di una cultura. Altre opere: “Commento a Leopardi”; “Commemorazione
virgiliana. Dall'Idillio all'Epos” (Boll. Municip. Viterbo); “ Il titolo De
Finibus Bonorum et Malorum” (FBO). “L'acqua del tempo” (Roma, Dante Alighieri);
“Note epicuree, SIFC); “Questioni epicuree, RAL); “La psicologia di Epicuro,
GFI); “Epicuri Ethica (edidit adnotationibus instr. C.D. Florentiae, in aedibus
Sansonianis, “Lettere di Epicuro e dei suoi nuovamente o per la prima volta
edite da C.D., Firenze, Sansoni); “Aristotele Metafisica, Libro XII. Bari); “La
psicologia d'Epicuro e la teoria delle passioni, Firenze, Sansoni); “Lettere di
Epicuro agli amici di Lampsaco, a Pitocle e a Mitre, SIFC); Voce Aristotele in
Enciclopedia Cattolica); “Edipo figlio della Tyche. Commento ai vv.1075-1085
dell'Edipo Re di Sofocle, Dioniso); “Forma ed evento: principi per un'interpretazione
del mondo greco” (Venezia, Neri Pozza); “Il mito dell'eterno ritorno,
L'Approdo); “Il concetto della storia nella filosofia dei greci, in: Grande
antologia filosofica, Milano, Marzorati); “La data della Syngraphé di
Anassagora. Scritti in onore di Carlo Anti, Firenze); “Linee per una
fenomenologia dell'arte” (Venezia, Neri Pozza); “La poetica dei Feaci. Memorie
dell'Accademia Patavina); “Pagine dell'Iliade, Delta); “Note in margine al
Dyskolos di Menandro” (Padova, Antenore); “Menandro, Dyskolos ovvero Il
Selvatico, testo e traduzione, Padova, Antenore); “Martin P.Nilsson,
Religiosità greca, (traduzione) Firenze, Sansoni); “Saggezza e poetica degli
antichi”; “Orazio e l'epicureismo” (Atti Istituto Veneto); “La poetica di
Epicuro, Rivista di Estetica); “La filosofia del piacere e la società degli
amici, Boll. del Lions Club di Padova); “D'Annunzio e l'Ellade, in L'arte di
Gabriele D'Annunzio, Atti del Convegno Int. di Studio); “L'uomo e l'evento
nella tragedia attica, Siracusa, Dioniso); “Il contributo siceliota alla storia
del pensiero greco, Palermo, Kokalos); “Euripide, Ippolito (traduzione e cura).
Firenze, Sansoni); “Eschilo, I Sette a Tebe, Firenze, Sansoni); “Menandro,
Dyskolos ovvero il Selvatico, Sansoni); “Meleagro, Epigrammi traduzione di C.D.
(con una tavola di Tono Zancanaro) Vicenza, Neri Pozza); “Epikur und die
Dichter: ein Dialog zur Poetik Epikurs, Bonn, Bouvier); “Saggezza e poetiche degli
antichi, Venezia, Neri Pozza); “Gotthold Ephraim Lessing, Emilia Galotti,
(traduzione) Milano, Scheiwiller); “Euripide, Alcesti (traduzione e cura)
Milano, Neri Pozza); “Euripide, Elettra, (traduzione e cura), Urbino, Argalia
Editore); “Voci Eoicurus e Epicureanism per Enciclopedia Britannica); “Il
teatro greco. Tutte le tragedie, C.D. Firenze, Sansoni); (di C.D. Saggio
introduttivo. Traduzioni: Eschilo, I Sette a Tebe; Euripide, Alcesti, Ippolito,
Eracle, Elettra, Elena, Le Fenicie, Oreste, Le Baccanti). Epicuro, Scritti
morali, Trad. C. Diano, Padova, CLEUP); “Euripide, Medea, (traduzione e nota di
C.D.) Padova, Liviana); “Aristofane, Lisistrata (traduzione e cura) Padova,
Liviana); “Anassagora padre dell'umanesimo e la melete thanatou in L'Umanesimo
e il problema della morte, Simposio Padova Bressanone); “Studi e saggi di
filosofia antica, Padova, Antenore); “Scritti epicurei, Firenze, Leo Olschki);
“La tragedia greca oggi, Nuova Antologia); “Limite azzurro, Milano,
Scheiwiller); “Eraclito, Frammenti e testimonianze, (traduzione e cura) Milano,
Fondazione Lorenzo Valla); “Epicuro, Scritti morali, Milano, BUR); Platone, Il Simposio (traduzione e cura),
Venezia, Marsilio); Il pensiero greco da Anassimandro agli stoici, Torino,
Bollati Boringhieri, Introduzione di Massimo Cacciari. e Lia Turtas. Introduzione Jacques Lezra.
Curatele Platone, Ione, Roma, Dante Alighieri, M.T.Cicerone, De finibus bonorum
et malorum, GFI, Omero, Iliade. Libro I, Firenze Bemporad, Platone, Dialoghi Convito,
Fedro, Alcibiade I e II, Ipparco, Amanti, Teage, Carmide, Lachete, Liside,
Bari, Laterza, 1934 (II ed. 1945); Il teatro greco: tutte le tragedie, Firenze,
Sansoni); “Eraclito, I frammenti e le testimonianze, Milano, Fondazione Lorenzo
Valla, Arnoldo Mondadori Editore); “Epicuro Giovanni Gentile Tragedia greca. TreccaniEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Carlo Diano, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Opere di Carlo Diano, . Carlo
Diano Forma y evento, Madrid, Circulos Bellas Artes (estratto traduz.
spagnola)Brian Duignan, Carlo Diano, Epicureanism, in Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc. Carlo Diano, nel sito "Il Ramo di
Corallo", di Francesca Diano. Carlo Alberto Diano. Carlo Diano. Keywords:
il segno della forma, il simposio ovvero dell’amore, Mario l’epicureo –
homosocialite – forma, segno, convite, Orazio, Virgilio, filosofia roma antica.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Diano” – The Swimming-Pool Library.
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