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Wednesday, October 6, 2021

Grice ed Alici

  I DILEMMI DELL’INDIVIDUALISMO E IL PARADOSSO DELLA RECIPROCITA’. IPOTESI E GIOCHI Premessa. Love and duty are the cement of society (J. Elster). Love and duty are not the cement of modern societies... The mechanism is reciprocity. Seemingly altruistic behavior, based on versions of the ‘I’ll-scratch-your- back-if-you-scratch-mine’ principle, require no nobility of spirit... Greed and fear will suffice as motivations; greed for the fruits of cooperation, and fear of the consequences of not reciprocating the cooperative overtures of others (K. Binmore). Chi tra questi due autori, citati in esergo, ha ragione? Il filosofo Jon Elster che vede nell’amore il “cemento della società”, o l’economista Ken Binmore che considera invece la reciprocità strumentale, basata su egoismo e paura, come il meccanismo sufficiente per tenere assieme le società moderne? Oppure le cose sono più complicate? In questo scritto ci proponiamo di penetrare all’interno delle dinamiche della gratuità, della reciprocità e del tipo di razionalità che sottostanno ad esperienze economiche che potremmo chiamare “sociali”, come sono quelle dell’Economia di Comunione [cf. Bruni e Pelligra (2002)]. In particolare ci domandiamo a quali condizioni un soggetto o un’impresa mossi da una razionalità diversa da quella standard possano sopravvivere e svilupparsi in un contesto dove esiste una eterogeneità di soggetti interagenti. Inizieremo (§ 1) evidenziando le caratteristiche base dell’idea di razionalità che muove l’homo oeconomicus, cioè l’agente considerato “standard” dalla teoria economica convenzionale. Quindi, nella sezione 2, introdurremo un tipo di agente non standard, mosso da una razionalità in cui l’azione donativa ha una ricompensa intrinseca. Questo fa in modo che la reciprocità possa assestarsi come equilibrio stabile. Nella sezione 3 vedremo che, quando agenti eterogenei interagiscono tra di loro, le cose si complicano e gli esiti non sono più scontati. Per far questo ci serviremo della forma più elementare di giochi evolutivi; saremo, così, in grado di mostrare i risultati più interessanti del modello, che espliciteremo nelle conclusioni. * Alessandra Smerilli f.m.a. è dottoranda di ricerca in economia presso l’Università La Sapienza di Roma, dipartimento di Economia Pubblica. Luigino Bruni è ricercatore presso l’Università di Milano-Bicocca, Dipartimento di Economia. Gli autori ringraziano Nicolò Bellanca, Luca Crivelli, Fabio Gori, Benedetto Gui, Vittorio Pelligra e Luca Zarri per utili suggerimenti e critiche a precedenti versioni.  1  1. Perché è così difficile cooperare (per l’economia)? L’idea di razionalità è dove sono maggiormente concentrate le assunzioni della scienza economica circa il comportamento umano, che potremmo anche chiamare antropologia. La razionalità economica, non cerca, principalmente, di descrivere il comportamento “quale è” nella realtà, ma piuttosto di individuare dei criteri di comportamento ottimo, razionale appunto, che fanno in modo di poter individuare tra i tanti comportamenti possibili quelli ottimizzanti – anche se tra analisi descrittiva e normativa esiste poi uno stretto rapporto. Le caratteristiche base dell’idea standard di razionalità economica, possono essere sinteticamente enucleate guardando alle assunzioni, che restano spesso implicite, del “gioco” più famoso utilizzato oggi in economia: il cosiddetto Dilemma del prigioniero. Esso, nell’ambito della Teoria dei Giochi1, è usato per mostrare come la ricerca dell’individualistico tornaconto, in molte situazioni (in particolare in quelle dove non è possibile stipulare un contratto vincolante per le parti), non solo non porta al bene comune, ma neanche al bene privato dei singoli individui. La logica che sottende il gioco è usata per spiegare molti dei dilemmi dovuti all’assenza o al mal funzionamento dei mercati: dall’inquinamento, alla congestione del traffico, alle difficoltà della cooperazione. Il gioco rappresenta l’interazione tra due (o più) individui, che chiamiamo Adamo ed Eva, identici (hanno le stesse informazioni e la stessa struttura di preferenze, i due elementi che fanno la diversità tra gli agenti economici –a cui va aggiunto, nel caso di imprese, il potere di mercato). Adamo ed Eva si trovano a scegliere in una situazione strategica di interdipendenza, ciascuno sa di avere di fronte un soggetto identico a sé, con le stesse preferenze, e entrambi conoscono la struttura del gioco (le ricompense, o pay-off associati agli esiti, che dipendono dalle proprie azioni e da quelle dell’altro/i). Quali sono le preferenze? Per restare nel concreto, pensiamo ad una situazione famigliare: la raccolta differenziata dei rifiuti (ma il ragionamento, come il lettore capirà immediatamente, è di portata più universale). L’ordine di preferenze dei nostri due giocatori, e in generale dell’homo oeconomicus standard che di norma l’economista ha in mente quando descrive il mondo, sono le seguenti: 1) al primo posto Adamo ed Eva mettono: “l’altro fa la raccolta e io no”. A questo esito del gioco associamo il punteggio massimo, diciamo 4 punti. 2) al secondo posto “tutti la facciamo, me compreso” (p. 3), 3) al terzo “nessuno la fa” (p. 2) 4) al quarto “solo io faccio la raccolta differenziata” (p. 1). 2 La tabella e il grafico sottostanti (che sono due modi diversi di rappresentare questa situazione, rispettivamente in forma normale ed estesa) rappresentano sinteticamente la struttura del gioco. 1 La teoria dei giochi è oggi pervasiva nella teoria economica. Essa è soprattutto un linguaggio che consente di rappresentare in modo molto efficace interazioni (chiamate “giochi”) di tipo strategico, cioè situazioni nelle quali i guadagni, non solo monetari (chiamati pay-off, ricompense), dipendono dalle scelte degli altri individui interagenti con lui, e non solo dalle proprie. La teoria dei giochi ha oggi un campo di applicazione molto vasto, che va dalla collusione tra imprese all’inquinamento, dalle scelte elettorali al rapporto paziente-psicologo. 2 Va notato che sebbene, per semplicità e per ragioni di chiarezza espositiva, abbiamo assegnato pay-off numerici (ipotesi che verrà eliminata nelle prossime sezioni), in realtà siamo all’interno di un orizzonte di tipo ordinalistico: di per sé i valori numerici non possiedono alcun significato, e quello che conta è l’ordine delle preferenze individuali.  2  Data una tale struttura di preferenze, si dimostra facilmente che Adamo ed Eva, se sono razionali, sceglieranno entrambi di non-cooperare (non fare la raccolta differenziata), ritrovandosi così al terzo livello di preferenza (con due punti ciascuno: 2,2), una situazione “dominata” dalla cooperazione reciproca (fare tutti la raccolta), in cui avrebbero ricevuto tre punti ciascuno (3,3). Tabella 1: Il dilemma dell’individualismo3 ADAMO  Coopera Coopera 3,3 1,4 Non coopera Noncoopera 4,1 2,2      Nella rappresentazione in forma estesa: Gli esiti del gioco esprimono bene le caratteristiche base dell’idea di individuo che l’economia normalmente segue nel costruire i suoi modelli: il suo mondo ideale è quello in cui gode dei benefici (ad esempio un mondo non inquinato) senza sostenerne i costi che preferisce trasferire sugli altri, se può (separare i rifiuti, depositarli in raccoglitori diversi, ecc. ). Da qui il dilemma: si dimostra facilmente che, poiché si trova di fronte uno/a con la stessa “razionalità” e preferenze, la soluzione del gioco è che entrambi si ritrovano al terzo livello dell’ordinamento di preferenze, cioè nessuno fa la raccolta differenziata, quando invece ciascuno avrebbe preferito che tutti la facessero (che infatti si trova al 2° posto). E la realtà delle nostra città e del nostro pianeta ci dice quanto questi “dilemmi” siano reali e urgenti, e quanto le scelte sociali non si discostino poi tanto dal modello astratto utilizzato dall’economia! Tutto ciò ci dice che la soluzione del gioco, e gli esiti dilemmatici dipendono sostanzialmente da due ipotesi base circa la razionalità: l’individualismo (ragionare esclusivamente nei termini di “cosa è ottimo, o meglio, per me”), e la strumentalità (la bontà di una azione si misura sulla base della sua capacità di essere un mezzo per ottimizzare i pay-off, non per il suo valore intrinseco).4 Date queste ipotesi, la non- 3 Nella tabella i numeri (i pay-off) esprimono “utilità”, quindi il più è preferito al meno. Il primo numero si riferisce a Eva, il secondo ad Adamo. Nell’appendice abbandoniamo i “numeri” e passiamo ad un caso più generale (dove i pay-off sono espressi in lettere, ordinate non in modo cardinale). 4 Va aggiunto che non tutte le interazioni rappresentabili come “dilemma del prigioniero” portano a risultati dilemmatici e sub-ottimale a causa dell’antropologia sottostante. Si pensi, ad esempio, agli  3  cooperazione (nessuno fa la raccolta) è un equilibrio stabile del gioco (o equilibrio di Nash5), dal quale nessuno dei giocatori ha convenienza a spostarsi unilateralmente, a meno che non si sia capaci di stipulare un patto vincolante.6 Se un patto vincolante non è possibile (si pensi alle interazioni quotidiane con numerosi agenti, come nel traffico stradale) o troppo costoso, non cooperare risulta la strategia ottimale per due ragioni: se suppongo che l’altro sia razionale (individualista e strumentale) allora se cooperassi mi avvierei allo sfruttamento (1 punto); se invece ho buone ragioni per pensare che l’altro non è razionale o, come dice Dawkins (1976) “ingenuo”, e che quindi si lascerà sfruttare, ho una ragione in più per non cooperare (otterrei infatti 4 punti). Quindi l’esito dilemmatico è una combinazione di paura (à la Hobbes) e di opportunismo: se va male casco in piedi e non mi lascio sfruttare, se va bene prendo tutto. 2. Una razionalità con ricompense non materiali In un mondo fatto di individui mossi da questa razionalità la cooperazione può essere raggiunta solo quando siamo capaci di auto-vincolarci a delle regole non opportunistiche, per un bene individuale maggiore: “io ti gratto la schiena se tu la gratti a me”, è, in mille varianti, il tipo di cooperazione che può emergere tra soggetti razionali in questo senso. Dawkins 1976 (cap. 10), lo chiama “altruismo reciproco”, individuando un comportamento pro-sociale in tutte le specie animali, dove però l’altruismo disinteressato non esiste, ma è solo maschera di più sottili forme di egoismo.7 In ogni caso la cooperazione è interamente condizionale (ti aiuto a condizione che tu lo faccia a me). Viene comunque spontaneo chiedersi se negli esseri umani ci sia qualcosa di diverso, in termini di socialità, rispetto alle scimmie o alle formiche. Al di fuori di questi specifici casi nei quali la cooperazione può emergere, un atto che non punti a rendere massimo il proprio interesse, di breve o di lungo periodo, è considerato irrazionale o ingenuo, poiché si diventa pasto degli altri individui più aggressivi, che cresceranno e prospereranno a spese degli ingenui. Forse molti degli atti di cooperazione a cui assistiamo nella vita quotidiana possono trovare la loro spiegazione sulla base di questo tipo di logica individualistica e strumentale (e condizionale). Non tutti però. E’ infatti nostra convinzione che la convivenza civile, e le dinamiche economiche, conoscono anche altre forme di cooperazione, che possono emergere sulla base di un ragionamento mosso da un tipo diverso di razionalità. In quanto segue, cercheremo di esplorare le implicazioni che scaturiscono dalla seguente domanda: come cambia il “gioco della vita in comune” se complichiamo la visione antropologica sottostante i modelli economici? L’elemento di diversità (rispetto all’approccio standard) che qui introduciamo, è la presenza di un valore intrinseco ingorghi stradali: questi sono perfettamente rappresentabili come dilemmi del prigioniero, ma sarebbe impreciso definire gli automobilisti che escono per andare a lavoro “individualisti e strumentali”, ma abbiamo a che fare con un problema di mancanza di coordinamento in scelte collettive, che se vogliamo rimanda anch’esso a dimensioni culturali (come la capacità di addivenire a patti sociali vincolanti), ma, antropologicamente, è meno coinvolgente di casi dilemmatici che riguardano l’inquinamento o il rapporto con il fisco. Questo per dire che la teoria dei giochi è un linguaggio che trascende l’ambito economico e la sua tipica forma di razionalità; e infatti essa è utilizzata anche per modelizzare agenti mossi da forme razionalità non strumentali (come in parte stiamo facendo anche noi qui). 5 Dal nome del matematico John Nash che nei primi anni cinquanta introdusse questa nozione di equilibrio stabile. 6 Il fatto che nella realtà concreta riusciamo a non cadere nel dilemma dipende dal fatto che spesso riusciamo a disegnare patti o contratti vincolanti, con sanzioni. 7 Dawkins mostra che anche il richiamo di allarme che certi uccelli emettono per avvisare il gruppo dell’arrivo di un predatore, a rischio anche della propria vita, è il risultato di un “calcolo” egoista – l’uccello può più facilmente salvare la sua vita se tutto lo stormo si sposta e non rimane isolato.  4  associato a comportamenti di gratuità, da cui discende la possibilità di sperimentare una cooperazione, o reciprocità, non primariamente strumentale e condizionale. Questo agente economico intende pertanto la “reciprocità” diversamente da come essa è usata oggi in economia8. Rispetta l’ambiente, paga le tasse o edifica la casa rispettando i vincoli del piano regolatore (tutte faccende cooperative), ad esempio, perché questi comportamenti sono per lui/lei dei valori, perché gli/le danno una ricompensa intrinseca, e non solo strumentale (i vantaggi materiali della cooperazione, che pure sperimenta). Questo diverso tipo di agente non è quindi puramente consequenzialista come invece è l’agente-individuo. Non valuta cioè la bontà delle azioni solo sulla base delle conseguenze che tali azioni producono, ma tiene conto sia di una componente deontologica, più legata ai valori, sia di una componente procedurale, più legata ai tipi di relazione all’interno delle quali le sue azioni si sviluppano. Sa inoltre che la sua azione è pienamente efficace se anche gli altri si comportano allo stesso modo (se reciprocano), ma non condiziona il suo comportamento a quello degli altri (come invece farebbe l’homo oeconomcus-individuo standard). Al tempo stesso, se gli altri si comportano sulla base della stessa razionalità e degli stessi valori intrinseci, allora egli soddisfa al massimo le sue preferenze, e anche il benessere sociale aumenta. In base ad una tale struttura di valori, o cultura della reciprocità gratuita, al primo posto dell’ordine di preferenze questo tipo di agente economico non mette, diversamente dal tipo standard, “tutti cooperano tranne me”, ma “tutti, me compreso, cooperiamo”, o doniamo. E questo perché il comportamento in sé è parte integrante del suo sistema di valori. Al secondo posto dell’ordine di preferenze pone: “l’altro coopera, io no”; al terzo posto “io coopero, l’altro no” e al quarto “nessuno coopera”. Per capire questi valori si può partire dalla struttura di ricompense (i pay-off, cioè i numeri che misurano le ricompense) del “dilemma del prigioniero”, ma occorre aggiungere, o sottrarre, ai pay-off materiali una componente intrinseca, sulla base della teoria classica della felicità, nella quale il comportamento buono in sé, o virtuoso, ha una ricompensa intrinseca. Così, se un soggetto ha fatto propria la “cultura della reciprocità gratuita” o, per usare un’espressione più forte ma anche più corretta, della comunione, quando egli coopera e la controparte no (pensiamo sempre all’esempio ambientale, o, se si vuole, ad un rapporto di amicizia), il suo pay-off, materialmente uguale a 1 (come nel gioco standard), aumenta a causa delle ricompensa intrinseca (che poniamo pari ad uno), attestandosi a 2. Se egli invece non coopera ma la controparte sì, ecco allora che il pay-off, pur essendo materialmente pari a 4, diminuisce a 3, perché si inserisce una sanzione intrinseca (4 – 1 = 3) – si pensi a chi, pur avendo fatto propria la cultura della reciprocità, in una certa azione non è coerente perché non riesce a vincere la tentazione del vantaggio materiale: la sua soddisfazione sarà comunque minore a causa della sanzione intrinseca (che potremmo chiamare anche insoddisfazione o senso di colpa). Il mondo peggiore (pay-off = 1) è quello in cui ciascuno è chiuso in se stesso: qui il pay-off è 1 perché si parte da quello materiale (2) e gli si sottrae il valore intrinseco (2 – 1 = 1). Il mondo migliore è invece la reciprocità, un incontro di gratuità: (4), il pay-off materiale della cooperazione (3) più la componente intrinseca della gratuità.9 8 Sui vari usi della categoria di reciprocità nella teoria economica, cf. Crivelli (2002). 9 Questo ordine di preferenze dipende dall’ipotesi che la componente intrinseca dei pay-off sia costante e pari ad uno. Un’analisi più approfondita dovrebbe studiare i casi quando la motivazione intrinseca è maggiore, minore o uguale alla componente materiale. Non è da escludere, ad esempio, che all’aumentare di quest’ultimo dovrebbe aumentare la tentazione di tralasciare gli aspetti intrinseci. Se fare, ad esempio, la raccolta differenziata diventa estremamente costoso e laborioso, il numero di quelli, anche bene intenzionati, che la faranno diminuirà. Inoltre, una tale analisi ammette la possibilità di confronti   5  La componente intrinseca dell’azione è legata alla teoria classica della felicità: la felicità, essendo il risultato di una vita virtuosa, è fuori dalla logica strumentale: la virtù è praticata perché ha un valore intrinseco, non per un calcolo strumentale costi/benefici. La virtù, in particolare quella civica, ha bisogno di reciprocità perché porti ad una vita pianamente realizzata, ma non può pretenderla, solo attenderla dalla libertà dell’altro. Ecco perché dagli antichi fino ad oggi alla felicità è associato un elemento paradossale: essa ha bisogno di reciprocità, ma solo la gratuità può suscitarla senza pretenderla.10 Un “gioco di reciprocità” (intesa nel senso appena detto), che rimane sempre del tipo “dilemma del prigioniero”, può essere dunque rappresentato come segue:11 Tabella 2: IL PARADOSSO DELLA RECIPROCITÀ ADAMO   Dona Non-Dona   Dona 4,4 2,3 Non-Dona 3,2 1,1 Rappresentiamo anche questo gioco in forma estesa:      Dalla tabella, o dall’albero decisionale, si nota che se i due giocatori hanno questa stessa struttura di preferenze, l’unico esito stabile del gioco (o Equilibrio di Nash), dal quale cioè nessuno è incentivato a spostarsi, è “dona-dona”. Quindi per interpersonali di utilità, cosa peraltro non inusuale quando l’utilità attesa si calcola con la funzione di Von Neumann Morgernstern. Per un’analisi approfondita dei pay-off psicologici cf. Pelligra (2002). 10 Sul paradosso della felicità cf. Bruni (2004), capp. 1-2. 11 Il modello che può essere considerato il capostipite dei giochi del tipo “gioco di reciprocità” è quello introdotto da Sen (1967).  6  questi giocatori-persone donare (o cooperare) è strategia strettamente dominante,12 e l’unico equilibrio stabile del gioco è la reciprocità o la comunione (dona/dona).13 Cosa ci suggerisce questo gioco, pur nella sua estrema semplicità? Se sono un soggetto che ha questi valori non ho alternative a cooperare: gli altri possono rispondere o meno, e quindi il mio benessere/felicità è incerto (stando al gioco precedente, posso ottenere in termini materiali 2 o 4 punti): ciononostante per me l’unica possibilità, l’unica azione razionale, è cooperare, o come abbiamo detto, donare. Così, per fare un esempio, se sono alle prese con un fornitore difficile, non ho alternative al donare: potrò trovare reciprocità o no, ma in ogni caso l’alternativa “non-dona” – che, nella pratica, significherà ogni volta qualcosa di diverso – è per me la peggiore (perché è sempre dominata dalla cooperazione) a causa della ricompensa (sanzione) intrinseca. E’ questo un soggetto che per alcune scelte “non calcola” i costi e i benefici – che senso ha fare la raccolta differenziata se solo io la faccio? – ma agisce sulla base di un valore, o di una norma etica interiorizzata. 14 Ciò spiega, tra l’altro, perché in certe società l’ecologia o il rispetto delle norme civili sono messe in pratica anche in contesti nei quali sarebbe razionale (nel senso standard) non farlo – il classico fazzoletto di carta buttato fuori dal finestrino quando nessuno ci osserva, e quindi nessuna sanzione può essere applicata.15 D’altro canto, davanti a queste nostre considerazioni qualcuno potrebbe obiettare: ma se ipotizzate che gli individui traggano soddisfazione dall’azione stessa, diventa banale spiegare l’emergere della cooperazione. In effetti l’idea è semplice, ma ci auguriamo non banale. In particolare, gli aspetti più interessanti intervengono quando pensiamo che nel mondo reale, nel mercato in particolare, non sappiamo normalmente con chi stiamo giocando, se abbiamo cioè di fronte un soggetto del primo tipo o uno del secondo. E qui entriamo in quello che possiamo chiamare il paradosso della reciprocità o della comunione, che possiamo sviluppare sinteticamente come segue, mettendo assieme i vari pezzi fin qui costruiti: a) Una vita buona ha bisogno di reciprocità genuina; b) la reciprocità genuina però non viene suscitata se la logica che ci muove è primariamente strumentale; c) la risposta dell’altro, la reciprocità, non possiamo pretenderla, ma solo attenderla dalla libertà dell’altro; d) cooperare porta quindi a due esiti diversi (indicati con 2 o 4) in base alla risposta o non risposta dell’altro; 12 Per comprendere questi risultati, si consideri che ognuno sa che l’altro ha di fronte due possibili scelte: donare e non donare, e, date le loro preferenze, qualunque scelta faccia l’altro per ciascuno è preferibile donare (considerando anche il pay-off intrinseco): se infatti l’altro giocatore (Adamo) sceglie “donare” i punti di Eva sono 4 (mentre la mossa “non-dona” avrebbe portato solo 2 punti); e anche se Adamo scegliesse “non donare”, Eva preferisce sempre “donare” che gli dà 2 punti invece di 1 (che è il pay-off di “non-dona/non-dona”). 13 Può valere la pena specificare che qui con “donare” non si intende l’altruismo o la filantropia (che possono restare atti individualisti): donare è sinonimo di ciò che la cultura cristiana chiama amore-agape, e cioè un atto gratuito ma che ha sempre di mira la reciprocità, il rapporto personale con l’altro. 14 Qualcuno potrebbe obiettare sostenendo che più che di una diversa forma di razionalità in questo caso siamo in presenza di un soggetto che ha solo preferenze diverse, ma la cui razionalità resta quella standard strumentale (perché in fondo anche lui/lei massimizza la propria utilità). Noi preferiamo pensare che una persona che agisce mossa da motivazioni intrinseche sia più efficacemente rappresentabile da una forma di razionalità che Max Weber chiamava “rispetto ai valori” che non dalla classica razionalità strumentale, che si caratterizza proprio per il suo essere tutta basata sul calcolo: qui infatti il nostro soggetto cooperativo fa le sue scelte non sulla base di un calcolo, ma per un valore. 15 È ovvio che esiste una circolarità (virtuosa o viziosa) tra motivazioni intrinseche e il comportamento degli altri concittadini: su questo cf. Bruni e Pelligra (2003).    7  e) Per questo la “vita in comune è fragile”, come anche i filosofi – da Aristotele in poi - ci insegnano, perché essa dipende dalla risposta degli altri. 3. Quale evoluzione? Facciamo ora un passo avanti, e ci domandiamo cosa succede quando soggetti standard e soggetti non standard (il secondo tipo che abbiamo appena descritto) interagiscono tra di loro. Sono situazioni che gli economisti stanno iniziando a studiare, soprattutto negli ultimi anni. Sono ormai numerosi i modelli con agenti altruistici che interagiscono con agenti auto-interessati16. Qui ipotizziamo quattro casi, che, con diversi gradi di astrazione, possono rappresentare alcune situazioni reali che vengono a verificarsi quando l’interazione avviene tra soggetti diversi, perché mossi da culture diverse. Utilizzeremo, allo scopo, i rudimenti della teoria dei giochi evolutivi, nella sua forma più elementare, il cui elemento innovativo è l’introduzione della componente immateriale del pay-off corrispondente alla ricompensa intrinseca. Ipotizzeremo cioè i nostri giocatori immersi in un ambiente abitato da popolazioni diverse, dapprima due , e poi tre. La teoria dei giochi evolutivi utilizza lo stesso linguaggio, e in buona parte la stessa metodologia, della biologia evolutiva: tra più popolazioni esistenti in un dato ambiente, nel tempo sopravvive quella che ha la fitness – capacità di adattamento – maggiore. Se due popolazioni hanno la stessa fitness sopravvivono entrambe, ma se una ha una fitness minore delle altre è destinata all’estinzione17, non nel senso biologico del termine (morte di tutti i soggetti di quella specie), ma che quel comportamento non verrà riprodotto, e saranno imitati i comportamenti vincenti. Il dibattito sull’applicazione di una tale metodologia agli essere umani e alle loro popolazione è aperto, e controverso18. In quanto segue noi non intendiamo abbracciare la filosofia, né la metodologia, dei giochi evolutivi: riteniamo soltanto che il linguaggio dei giochi evolutivi ci aiuti a mettere in luce dinamiche, che riteniamo reali, non facilmente individuabili con linguaggi diversi. Il nostro è quindi un esperimento, che ci piacerebbe, in futuro, portare avanti, mettendo a quel punto in questione alcuni assiomi che nell’attuale teoria dei giochi evolutivi ci appaiono troppo semplificati, come il concetto di fitness: semplificati, ma non inutili, come speriamo di mostrare. 3.1 Primo caso: Tipi 1 e Tipi 2, non riconoscibili Come primo caso facciamo le seguenti ipotesi: a. esistono solo due tipi tra loro non riconoscibili: chiameremo tipi 1 quelli standard, e tipi 2 quelli non-standard (o di reciprocità). b. Le ricompense intrinseche sono determinanti per la scelta (che, come visto, fanno sì che per il tipo 2 sia sempre razionale, perché strettamente dominante, “donare”). Ma per la sopravvivenza nel tempo di un tipo di agente, la cosiddetta fitness (misurata 16 La versione più semplice di tali modelli si può trovare nel Manuale di microeconomia (cap. VII) di R. Frank (2003). Un testo classico è quello di Axelrod (1984), e un recente studio, basato su evidenza sperimentale, è quello di Bowles et alii (2001). Un modello vicino a quello qui presentato è Sacco e Zamagni (1994). Interessanti considerazioni metodologiche si trovano in Crivelli (2002). 17 Vale la pena specificare che mentre nella biologia evolutiva l’unità di selezione è il gene, in economia l’unità di selezione è il comportamento; inoltre, mente in biologia la trasmissione è ereditaria in economia essa avviene per imitazione. Sono i vari comportamenti adottati e imitati che rendono un agente più efficiente di un altro. 18 Un contributo importante a questo riguardo è l’articolo The evolutionary turn in game theory di Robert Sugden (2001).  8  dal valore medio dei pay-off materiali), contano solo i pay-off materiali, non i pay- off dovuti alla ricompensa intrinseca. c. I pay-off materiali sono i seguenti19: Coopera – coopera: b Non coopera – coopera: a Coopera – non coopera: d Non coopera – non coopera: c Con a>b>c>d d. La probabilità di incontrare un tipo 1 è p1, mentre quella di incontrare un tipo 2 è p2, dove, per la definizione di probabilità, p2 = 1- p1 In questo primo caso lo scenario non è roseo per i tipi 2: si dimostra, infatti, che a sopravvivere saranno solo i tipi 1, e questo risultato è indipendente dalla percentuale di tipi 1 e 2 presente nella popolazione: infatti, anche se i tipi 2 fossero la quasi totalità (ex. 99%) dell’universo, sarebbero destinati ugualmente all’estinzione perché sistematicamente sfruttati dagli individui. RISULTATO 1.1. SE VALGONO LE IPOTESI PRECEDENTI (a. – d.), SOPRAVVIVONO SOLO I TIPI 1, PER OGNI VALORE DI p1 e p2.20 Se supponiamo un intervento ridistributivo dello Stato che preleva risorse dai tipi 1 per sostenere i tipi 2 (es. ciò che avviene normalmente nei sistemi di stato sociale con le imprese sociali), il gap di fitness si riduce, e in certi casi potrebbe essere nullo, consentendo così la co-esistenza dei due tipi. 3.2 Caso 2: Tipi 1 e Tipi 2, ma “riconoscibili” Situazione diversa se ipotizziamo che i due tipi siano, per l’esistenza di un qualche segnale, riconoscibili, e che il tipo2 decida di interagire soltanto con i suoi simili21. Aggiungiamo, quindi l’ipotesi: 19 Rispetto ai giochi delle prime due sessioni, ora ricorriamo esplicitamente a pay-off ordinali, dove la sola condizione rilevante nella misurazione dei pay-off è il loro ordine, e cioè che “a” sia maggiore di “b”, “b” di “c” e “c” di “d”. 20 Dimostrazione. Indichiamo con Fi la fitness dei tipi 1, e con Fp la fitness dei tipi2. F1 =p1c+p2a F1=p1c+(1-p1)a F2= p1d+(1-p1)b La tesi F1>F2 equivale quindi a: p1(b-a) + p1(c-d) > b-a, per p1 = 0 la disuguaglianza diventa a>b ed è quindi vera per p1 = 1 la disugualglianza diventa c>d ed è quindi vera osservo che ∀ valore di p1∈(0,1), p1(c-d) >0 p1(b-a) > b-a (perché b-a è minore di zero) quindi:F1>F2 ∀valoredip1∈[0,1].Èpossibileinoltredimostrare[Weibull(1995)]che,pertuttiigiochi di questo tipo, quale che sia la posizione iniziale di partenza, l’unico equilibrio evolutivamente stabile verso cui si converge nel tempo è quello che prevede l’estinzione di una delle popolazioni, nel nostro caso dei tipi 2.  9  e. i tipi sono riconoscibili e l’interazione è selettiva (il tipo 2 gioca solo con i simili). Se la riconoscibilità è perfetta (cioè la probabilità di simulazione è nulla), si dimostra facilmente che sarebbero i tipi 2 a sopravvivere. Infatti, in questo caso vale il Risultato 2.1. SE IPOTIZZIAMO PERFETTA RICONOSCIBILITÀ DEI TIPI (ipotesi b. – e.), SI ESTINGUONO I TIPI 1. 22 Questo secondo risultato ci dice già qualcosa d’importante: la riconoscibilità, anche quando non perfetta (come nella realtà normalmente avviene), aumenta la fitness dei tipi 2: ciò spiega, ad esempio, l’emergere del fenomeno della “rete”, una realtà tipica dell’economia sociale. Le varie componenti ed espressioni dell’economia sociale tendono infatti a cercarsi e scegliersi l’un l’altra: reti di imprese, reti di consumatori che insieme preferiscono le imprese sociali, reti di imprese (si pensi ai consorzi di cooperative, di veri livelli), risparmiatori e consumatori (il fenomeno delle banche etiche e della finanza etica). Nella realtà, però, supposto che un agente 2 voglia evitare di interagire con i tipi 1 (cosa da non dare per scontata), la perfetta riconoscibilità o la simulazione nulla sono comunque altamente irrealistiche (sono troppi i soggetti con i quali un’impresa e anche una persone interagisce: lavoratori, finanziatori, concorrenti, fornitori, consumatori ...). E’ quindi necessario ricorrere ad altre ipotesi per giustificare teoricamente lo sviluppo delle imprese sociali nel tempo. E’ quanto di cerca di fare negli altri due casi. 3.3 I tipi diventano tre Introduciamo ora un terzo tipo che si aggiunge ai due precedenti. Potremmo chiamarlo civile. Ipotizziamo che: f. il tipo 3 gioca una strategia “colpo su colpo”,23 una strategia intermedia (rispetto alle altre due più “radicali” dei tipi 1 e 2, che, rispettivamente, cooperano mai e sempre), che lo fa cooperare con chi coopera, e non cooperare con chi non coopera. Quest’ultimo coopera quindi con chi coopera, e non coopera con chi non coopera. Il tipo civile, non attribuendo un valore intrinseco (o attribuendogliene uno troppo basso) all’azione donativa, non ha “cooperare” come strategia dominante; ma se ha di fronte un tipo 2, pur riconoscendolo, non lo sfrutta preferendo reciprocare. E’ un 21 La correlazione esclusiva tra tipi può avvenire per almeno due ragioni: o perché l’agente sceglie il tipo preferito che viene riconosciuto attraverso un segnale (che deve essere affidabile), oppure perché si trova in un cluster, cioè in un’area nella quale si trovano soltanto soggetti dello stesso tipo – pensiamo, ad esempio, ad una comunità locale, dove la probabilità che un agente si trovi ad interagire con uno “like- minded” è altissima, ed è indirettamente proporzionale al numero di forestieri presenti in quella comunità. In questa situazione, i casi interessanti si trovano sui confini, dove la probabilità di interazioni miste aumenta (pensiamo agli effetti dell’introduzione di pratiche e comportamenti nuovi da parte di missionari o di emigranti). Il segnale, inoltre, per essere efficace dovrebbe essere troppo costoso da imitare da parte dei tipi 1, come l’adesione ad un codice di comportamento o ad una struttura di valori molto forte (come nelle botteghe del commercio equo e solidale, o nelle imprese di Economia di Comunione). 22 Dimostrazione. Con riconoscibilità perfetta, la probabilità di incontrare un tipo simile è 1, mentre la probabilità di incontrare uno diverso è 0. Quindi F1 =(0(a)+1(c))=c, mentre F2 = (0(d) + 1(b)) = b, quindi: F2 > F1 23 Rispetto a quella classica (Axelrod 1984), questa versione di “colpo su colpo” è modificata, poiché non inizia sempre con un atto di cooperazione, e poi il gioco non è ripetuto.  10  soggetto leale, che per questo chiamiamo “civile”. Si ipotizza quindi l’esistenza di un “segnale”, utilizzabile solo dal tipo civile, che gli permette di discriminare perfettamente tra i tre tipi che ha di fronte – si ipotizza quindi che le altre due imprese non possono, o non vogliono, utilizzare quel segnale (pensiamo, ad esempio, a chi pur sapendo di rischiare entrando in un ambiente molto opportunistico, rifiuti l’idea della “nicchia” e accetti di scendere in campo, non utilizzando quindi il segnale di riconoscibilità). Cosa succede in questo caso? Innanzitutto è possibile vedere come la fitness del terzo tipo (indicata con F3) è sempre maggiore di quella del tipo 2 (F2). Infatti vale il: Risultato 3.1. SE E SOLO SE VALGONO LE IPOTESI PRECEDENTI (a. – d., f.) SI HA: F3 > F2 ∀ VALORE DI a,b,c,d, ∀ VALORE DI p1, p2, p3.24 Un secondo aspetto che emerge, è che l’evenienza che la fitness dei tipi 2 possa risultare maggiore di quella degli 1 dipende dalla percentuale di tipi 3 (civili) presente nella popolazione: più quest’ultima è alta, maggiore è la fitness dei tipi 2 e minore quella dei tipi 1. Qui per semplicità supponiamo che: g. gliscartitraipay-offsianougualitraloro,cioèchesia:(a–b)=(b–c)=(c–d). Tali scarti possono essere visti, rispettivamente, come “vantaggio dello sfruttamento”, “premio della cooperazione” e “costo della coerenza”. Anche nell’esempio numerico delle precedenti sezioni tali scarti sono uguali (tutti pari ad 1). Con queste semplificazioni, vale il seguente Risultato: Risultato3.2.SEVALGONOLEIPOTESIa.–d.,f.,g.,F2>F1SEESOLOSEp +p <p 25 123 Il Risultato 3.2. ci dice ancora qualcosa d’importante: la sopravvivenza dei tipi2 dipende anche dall’esistenza, e dal numero, degli agenti del terzo tipo, cioè di soggetti che, pur non attribuendo un valore intrinseco all’azione del cooperare (o donare), non “sfruttano” il comportamento cooperativo (come fa invece il tipo 1), ma reciprocano, rispondono alla cooperazione. Per questo denominare questi tipi “civili”. Questo risultato può essere utilizzato anche a sostegno del ruolo della “cultura civile”: la sopravvivenza e lo sviluppo di imprese e soggetti più radicali, come i tipi 2, dipendono anche dalla cultura civile presente nell’ambiente dentro il quale operano. Di qui l’importanza duplice della diffusione della “cultura”, alla quale le imprese sociali non possono non attribuire grande importanza. Le imprese dell’EdC, ad esempio, dedicano un terzo dei propri utili alla formazione alla cultura del dare: da una parte la cultura rinforza le motivazioni intrinseche dei tipi 2, e dall’altra contribuisce ad aumentare e rafforzare il senso civico e la cultura della cooperazione dalla quale, indirettamente, dipende anche la loro sopravvivenza e il loro sviluppo. 24 Dimostrazione: supponiamo, per assurdo, che la tesi non sia vera : Dovràessere:F3 ≤F2 =>p1c+p2b+p3b ≤ p1d+p2b+p3b = > p1c ≤ p1d, disuguaglianza che non e’ mai verificata essendo, per ipotesi, c>d. 25Dimostrazione: p1d + p2b + p3b > p1c + p2 a + p3c ⇔ p1 (d − c) + p2 (b − a) + p3 (b − c) > 0 ;<=> p1(c−d)+p2(a−b)<p3(b−c)⇔p1+p2 <p3.  11  Una terza implicazione del risultato 3.2. è il prendere coscienza che affinché i tipi 2 possano svilupparsi, i tipi civili debbono essere abbastanza numerosi. In particolare, si dimostra – Risultato 3.3. – che la fitness dei tipi 3 è maggiore di quella dei tipi 1 se e solo se i tipi 3 sono in numero maggiore dei tipi 2 – sulle implicazioni di questo avremo modo di tornare nell’ultimo paragrafo. Ipotizzando, come nei risultati precedenti, l’uguaglianza tra gli scarti, abbiamo infatti: Risultato3.3.SEVALGONOLEIPOTESIDELLEMMA3.2,F3>F1 SEESOLOSEP2<P3.26 Rappresentiamo le due fitness nello spazio delle fitness e di p2. 0 P2* 1 P2 F1, F3 Dal grafico emergono due ordini di considerazioni. Primo, il valore soglia di P2 (P2*)27 oltre il quale F3 diventa minore di F1 dipende dalle pendenze delle due rette, rispettivamente a per F1 e b per F3: (a – b) misura infatti il vantaggio che i tipi 1 hanno rispetto ai 3 per la presenza dei tipi 2 (che sfruttano): quindi minore è questo vantaggio, maggiore è la quota di tipi 2 che i tipi 3 possono tollerare (se a=b le due rette sarebbero parallele). Secondo, si nota che i tipi 3 perdono fitness con l’aumento dei tipi 2, e la differenza di fitness massima si ottiene in corrispondenza di P2 = 0. E’ il meccanismo che potremmo chiamare “i figli delle rivoluzioni che uccidono i padri”, perché li considerano troppo radicali, come i francescani di seconda generazione che rimossero Francesco dal governo dell’ordine, perché con il suo radicalismo impediva – a loro dire – lo sviluppo del francescanesimo più moderato e minacciava la morte stessa del movimento. 3.4 Quando le motivazioni intrinseche influenzano anche la fitness Infine, nell’ultimo scenario, ipotizziamo che la motivazione intrinseca, la componente non materiale dei pay-off, possa avere un effetto non solo sulla scelta ma anche sulla fitness. Finora non abbiamo fatto ciò per un senso di realismo: io posso persuadermi a vivere nella piena correttezza verso tutti perché attribuisco a tali comportamenti un valore intrinseco: se però poi non arrivano i risultati economici, se ho 26 Dimostrazione:F3 >F1 <=>p1c+p2b+p3b>p1c+p2a+p3c <=> p2pb + p3b > p2pa + p3c <=> p2 (b-a) > p3 (c-b) <=> p2 (a-b) < p3 (b-c) p2 < p3. 27 Il valore soglia P2* (con le restrizioni che abbiamo fatto) è pari a P3, come sappiamo dal risultato 3.3. F1 F3  12  ad esempio costi troppo elevati, la mia fitness ne risente. Ora però abbandoniamo questa semplificazione, e ipotizziamo che la fitness sia influenzata anche dalle motivazioni. Alcuni esperimenti28, ad esempio, dimostrano come i comportamenti ispirati da motivazioni intrinseche e da logiche di gratuità, oltre a non avere buoni sostituti - nel senso che in tali casi altre forme di incentivi monetari non funzionano - portano anche una maggiore efficienza in termini di risultati. Perché quindi non ipotizzare una fitness influenzata anche dalle motivazioni intrinseche? Le fitness del primo e del terzo tipo restano le stesse (questi due tipi non hanno motivazioni intrinseche), mentre cambia quella del tipo 2, dove la motivazione intrinseca è rappresentata da un ε>0,29 che viene aggiunto ai pay-off materiali. Le fitness dei tre tipi diventano perciò le seguenti: h. F1 =p1(c)+p2 (a)+p3 (c) F2 =p1 (d)+p2 (b)+p3(b)+ε F3 =p1 (c)+p2 (b)+p3 (b)30 Da questo punto in poi rimuoviamo anche l’ipotesi g. che avevamo assunto per semplicità. In questo caso si dimostra che è possibile che la fitness dei tipi 2 sia maggiore anche di quella dei tipi 3. Vale infatti il: Risultato 4.1. SE VALGONO LE IPOTESI a. – d., f., h.: 1. F2≥F3,SEESOLOSEε≥p1(C–D)31E 2. F2≥F1,SEESOLOSEε≥P1(C–D)+P2(A–B)+P3(C-B)32. C’è un rapporto diretto tra ε e (c –d) [dove (c – d) misura il “costo della coerenza”] per la fitness dei tipi 2, poiché è quanto questi perdono per “essere coerenti con la loro cultura” (ottenendo “d”) quando interagiscono con i tipi 1, invece di giocare, come i tipi 3, non-coopera (ottenendo così “c”, che è maggiore di “d”). Il valore più piccolo che può assumere ε (cioè l’effetto materiale delle motivazioni intrinseche) affinché valga la disuguaglianza F2>F3, è ε* = p1 (c – d). Possiamo quindi osservare che, maggiore è il costo della coerenza (c – d), maggiore dovrà essere il valore-soglia ε* . Inoltre, c’è un rapporto diretto anche tra ε* e p1: se i tipi 1 sono, relativamente, molto numerosi, allora ε* dovrà essere più alto (e viceversa in caso contrario). Pensiamo, per fare un esempio, ad una impresa di Economia di Comunione che nel campo della legalità si comporta come un tipo 2: paga le tasse, rispetta le leggi, per una norma etica alla quale attribuisce un valore intrinseco, non strumentale. Un tale imprenditore se opera in un mercato nel quale il “costo della coerenza” è molto alto o i soggetti opportunistici sono relativamente molti, per non estinguersi dovrà fare in modo che le proprie motivazioni etiche si traducano in maggiore fitness in una misura relativamente maggiore rispetto allo stesso imprenditore operante in un mercato più “civile” e dove i soggetti opportunisti sono meno; come a dire che più un mercato, e una 28 Rustichini e Gneezy 2000. 29 A rigore potrebbe anche essere minore di 0. 30 Ipotizziamo quindi che solo i tipi 2 e non i 3 “civili” abbiamo motivazioni intrinseche. 31Dimostrazione:F2 ≥F3 ⇔p1(d)+p2(b)+p3(b)+ε>p1c+p2b+p3b⇔ ε ≥ p1(c−d). 32Dimostrazione:F ≥F⇔p(d)+p(b)+p(b)+ε≥p(c)+p(a)+p(c)⇔ 21123123  ε ≥ p1(c−d)+ p2(a−b)+ p3(c−b) 13  società, premia i “furbi” (con condoni, ecc.) e penalizza i tipi cooperativi (con leggi che non riconoscono sgravi fiscali per le imprese sociale, ad esempio), più questi ultimi dovranno far sì che le motivazioni etiche si riflettano in maggiore efficienza, altrimenti non sopravvivono. Affinché valga invece la seconda disuguaglianza, F2≥F1, il valore-soglia di ε, che chiameremo ε ̊, dovrà essere: ε ̊ = P1(C – D) + P2(A – B) + P3(C- B). E quale il rapporto tra i tipi 3 e i tipi 1? A questo è dedicato il Risultato 4.2.: Risultato 4.2. SE VALGONO LE IPOTESI DEL RISULTATO 4.1, F3>F1, SE E SOLO SE P2 < P3 (b − c) 33. (a − b) Come interpretare questo risultato? (b – c) è il vantaggio dei tipi 3 rispetto ai tipi 1 (solo i tipi 3 cooperano con i tipi 2 ottenendo “b”), possiamo quindi chiamarlo il “premio della cooperazione”, mentre (a – b) è il vantaggio dei tipi 1 rispetto ai 3, perché è il “premio dello sfruttamento” che gli standard ottengono nei confronti dei tipi 2, al quale invece i tipi civili rinunciano. Dal Risultato 4.2. emerge un’affermazione a prima vista inquietante: affinché si affermino i tipi 3 (sui tipi 1) sarà necessario che i tipi 2 non siano troppi; in ogni caso questi ultimi potranno essere tanto più numerosi quanto più il “premio della cooperazione” sovrasta il “premio dello sfruttamento”. Se infatti i tipi 2 sono numerosi essi diventano “pasto” per i tipi 1, che hanno così un vantaggio relativo sui tipi civili. Il risultato potrebbe, infine, essere ulteriormente rafforzato se che quando un tipo 2 incontra un altro tipo 2 ottiene un “di più” dovuto alla reciprocità (il pay-off diventerebbe in questo caso a). i. F2=P1 (d)+P2(a)+P3(b)+ε La fitness dei tipi 2 potrebbe così essere maggiore di quella dei tipi 3 e 1 con un ε anche minore rispetto al valore del risultato4.1.: Risultato 4.3. SE VALGONO LE IPOTESI DEL RISULTATO 4.1 E L’IPOTESI i. 1. F2≥F3,SEESOLOSEε≥p1(C–D)+P2(B–A)34E 2. F2≥F1,SEESOLOSEε≥P1(C–D)+P3(C-B)35 Chiamiamo ε** il valore soglia di ε, affinché valga la disuguaglianza F2≥F3 e, ricordando che la quantità (b – a) è negativa, possiamo subito notare che ε**≤ ε* (il valore-soglia del lemma 4.1). Similmente, ε ̊ ̊ = p1 (c – d) + p3(c –b) è minore di ε ̊. Le motivazioni intrinseche e il “di più” della reciprocità si rafforzano a vicenda e rappresentano una strada molto interessante per future esplorazioni di questo terreno, ancora quasi del tutto inesplorato dalla scienza economica. 33 Dimostrazione: F < F ⇔ p (c ) + p (a) + p (c) < p c + p b + p b ⇔ p <p (b − c) . 1 3 1 2 3 1 2 3 2 3(a−b) 34Dimostrazione:F2 ≥F3 ⇔p1(d)+p2(a)+p3(b)+ε≥p1c+p2b+p3b⇔ ε ≥ p1(c−d)+ p2(b−a). 35Dimostrazione:F ≥F⇔p(d)+p(a)+p(b)+ε≥p(c)+p(a)+p(c)⇔ 21123123    ε ≥ p1(c−d)+ p3(c−b) 14  5. Conclusioni e discussione Riassumiamo i punti ai quali siamo giunti ragionando, con l’aiuto della teoria dei giochi, attorno alle prospettive e alle sfide di uno scenario economico nel quale fanno la loro comparsa soggetti diversi da quello standard. Un primo punto emerso in diverse parti di questo scritto è che un agire economico improntato alla gratuità e alla reciprocità, o alla comunione, in un ambiente abitato da agenti eterogenei non cresce con la politica dell’aumento numerico: escludendo l’ipotesi di perfetta riconoscibilità dei tipi, abbiamo infatti visto che l’aumento numerico, di per sé non basta a far sì che i tipi 2 sopravvivano. Sono invece tre gli aspetti strategicamente cruciali affinché esperienze rette da una logica come quella delineata possano svilupparsi: a) Lavorare sulla cultura media della società (che noi abbiamo espresso con il “terzo tipo”, quello civile): il messaggio che emerge una volta che abbiamo esteso la dinamica ai terzi tipi è che i tipi 2 possono sopravvivere e svilupparsi soltanto all’interno di un’economia civile, un’economia nella quale sono numerosi gli agenti leali, che pur non attribuendo un alto valore intrinseco all’azione donativa (e quindi non hanno “donare” come strategia strettamente dominante in tutti i tipi di gioco), sono comunque corretti se incontrano un agente cooperativo, non lo sfruttano e cooperano con esso. Poiché le motivazioni intrinseche dipendono in parte dall’approvazione sociale, esiste un effetto di “complementarietà strategica”: tanto più tali comportamenti sono diffusi, tanto più saranno premianti36. Infatti, uno sviluppo interessante del modello potrebbe essere quello di vedere sotto quali condizioni i tipi 1 possono trasformarsi evolutivamente in tipi civili, ma in questo scritto non lo abbiamo fatto. Va comunque aggiunto che se è vero che un impegno culturale che si limita a rafforzare le motivazioni intrinseche dei soggetti di tipo 2 non può bastare, al tempo stesso, però, questa seconda direzione ricopre un ruolo fondamentale, per evitare che nel tempo scompaia il tipo 2 e ci si assesti sul terzo tipo: crediamo che un mondo senza soggetti che, almeno in certi contesti, donano incondizionalmente, sarebbe un mondo più povero. b) La presenza di tipi civili ci dice che nel tempo saranno questi ultimi gli unici a sopravvivere, a meno che le motivazioni intrinseche si riflettano nei pay-off ed il loro “riflesso” (il nostro ε) sia relativamente grande. Questo risultato è già di per sé significativo: anche se in determinati contesti la motivazione intrinseca non riesce a migliorare la performance dei tipi 2, la presenza, magari solo transitoria, dei tipi 2 svolge un importante ruolo civile e culturale: permette cioè che l’incontro (o equilibrio) si assesti sulla reciprocità e non scivoli nella mutua diffidenza. Senza l’esistenza dei tipi 2, o, paradossalmente, senza il loro sacrificio, i tipi civili non avrebbero potuto sperimentare la reciprocità, perché in un mondo popolato solo da loro e da tipi standard, l’unica esperienza possibile è la diffidenza reciproca, la non cooperazione37. Ciò serve a gettar luce sul significato culturale e civile che nella storia hanno esperienze radicali, 36 Ciò implica la possibilità di equilibri multipli ordinabili, cioè la stessa popolazione può essere altamente inefficiente o altamente efficiente a seconda che un numero anche piccolo, al limite anche un solo soggetto, decida di cooperare. 37 E’ infatti verosimile che i tipi 3, quelli civili, abbiano nel loro “programma” la possibilità della cooperazione perché nell’ambiente esiste, o è esistito, il tipo 2: certo si potrebbe teoricamente ipotizzare che i tipi 3 cooperino tra loro anche in assenza dei tipi 2, ma, storicamente, la cultura civile dell’umanità è andata avanti grazie all’esistenza di esperienze totalitarie che hanno creato categorie nuove che poi hanno contaminato la cultura generale: pensiamo, ancora una volta, al cristianesimo, o, più recentemente, ai movimenti ecologisti, antirazziali o di emancipazione della donna.  15  come il primo cristianesimo di Gerusalemme e la sua comunione dei beni totale, certe forme di monachesimo, e in generale i primi tempi dei fondatori di nuovi carismi (si pensi, per tutti, ad un Francesco d’Assisi e alla sua vicenda storica): simili esperienze non sempre sono riuscite a sopravvivere con tutta la loro radicalità, ma senza di quelle chi è venuto in contatto con loro (nella nostra metafora, i “tipi civili”) non avrebbero potuto elevare il livello della convivenza Senza coloro che si sono fatti imprigionare, e hanno dato la vita per i diritti o per la libertà, oggi l’umanità sarebbe meno libera e meno diritti sarebbero riconosciuti. Un po’ come avviene con il sale, che si perde nella massa ma dà quel “di più” al tutto. La metafora del sale non è però l’unica presente in quel codice della cultura occidentale che è il Vangelo: vi è anche quella della “città sul monte”, una città che illumina la “città sotto monte”. La dinamica evolutiva potrà condurre l’economia sociale, e l’economia di comunione, o sul sentiero “sale della terra” o in quello “città sul monte”; ma, in entrambi i casi, occorre che la cultura rafforzi le motivazioni intrinseche: è forse questo il messaggio culturale che i “nostri giochi” volevano dare. 16  Bibliografia: Araujo, V. (2000) “Quale visione dell’uomo e della società?”, in Bruni, L. e V. Moramarco (a cura di), L’Economia di comunione: verso un agire economico a ‘misura di persona’, Milano: Vita e Pensiero. Aristotele (1979), Etica Nicomachea, Milano: Rusconi. Axelrod, R. (1984), The evolution of cooperation, New York: Basic Books. Binmore, K. 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