Se il concetto di infinito è stato dal sorgere della filosofia e della scienza, uno degli oggetti più costanti delle menti, il progresso verso una definitiva soluzione scientifica delle difficoltà che esso presenta non fu tuttavia che straordinariamente lento. A ciò à sopratutto contri¬ buito il rilegare, come a priori, 1’ infinito fuori del campo appunto della conoscenza scientifica. Poiché quando si ammette senz’ altro che, essendo 1' intelletto umano finito non si può pretendere eh' esso arrivi a comprendere l’in¬ finito (1), s’è già troncata la questione senza neanche avei’la posta, s’è lasciato intatto il mistero che sembra involgerla. Già tutti i concetti che in qualche modo eb¬ bero una stretta attinenza con altri concetti teologici dovettero per questo attendere a lungo prima di venir trattati in modo veramente scientifico. La oscurità miste- (1) V. Hobbes, De corpore, cap. XXVI, l ; Descartes, Principien, ediz. Kirclimann, p. 12,14, 66 ; Galilei, Opere (Milano, 1811) X, 350-51 ; Locke, Essai/ on human nnderslan iing, ediz. Ward, World Library, pag. 152; Hume, Treatise, ediz. Selby-Bigge, 26. 32,39,43; cfr. anche Jevons, Principia of Science, 2“ ediz. pag. 766-768. 4 IL CONCETTO DI INFINITO riosa del concetto di infinito si ripercorse naturalmente negli oggetti nei quali esso poteva trovare applicazione, come il tempo, lo spazio, la materia, l’universo, l’essere. Anzi si cominciò dapprima ad accorgersi delle difficoltà della nozione di infinito non cosi in astratto, ma nell’e¬ same degli oggetti ai quali la infinitezza pareva doversi attribuire. Tanti secoli prima della ripresa della questione per Locke, trattarono il problema con sommo acume dialettico gli Eleati (1). Le difficoltà che condussero Zenone a ne¬ gare la realtà dello spazio non sono punto illusorie (2). Nò altre furono quelle che spinsero poi Kant ai risultati della estetica trascendentale. Sebbene più d’uno storico della filosofia davanti ai tropi di quell’ acutissimo filosofo sentendo l’imbarazzo suo a confutarli, abbia stimato po¬ terli chiamare sofismi o false sottigliezze che chi le esa¬ minasse da vicino e colla necessaria acutezza non dovreb¬ be tardare a riconoscere evidentemente per tali. E più d’ uno nel confutarli à seguito, come lo Zeller, Aristo¬ tele (3) che in questo se in altro mai fu infelicissimo. (1) Sugli Eleati e la loro importanza, vedi specialmente la Kriti- sche Geschichte der Philosophie del Dùhring, 3" ediz. p. 34-51. (2) Cantor, Geschichte der Matematik, I, 170 : “ Bei ihnen (i tropi degli Eleati) handelt es sich um Schwierigkeiten, denen in der That -wcder der Pbilosoph noch der Mathematiker in aller Strenge gerecht werden Kann. . . . Zwei Jakrtausend und mehr haben an dieser zàhen Speise gekaut, und es ware unbillig von den Griechen des funften vorcbristlichen Iabrhunderts zu verlangen, dass sie in Klarbeit gewe- sen seien iiber Dinge, welche freilich anders ausgesprocben noch Strei- tigkeiten unserer Gegenwart bilden. „ (3) Pht/s., VI, 9. Aristotele crede di confutare Zenone (V. anche O. Apelt, Beitrdge sur Geschichte der Grieschischen Philosophie, Leip¬ zig, 1891, p. 275) col dire che la dimostrazione da lui data riposa sulla falsa K IL PROBLEMA. COSMOLOGICO. & I matematici, i quali spaventati dalle conti-addizioni svelate dagli Eleati avevano dovuto per forza rinunciare a far uso del concetto di infinito e lasciar tanto tempo infruttuoso l’ardimento di Antifonte (1), continuarono a lungo ad aiutarsi altrimenti per non derogare alla rigo¬ rosa esattezza delle loro dimostrazioni (2). Cosi 1’ idea di infinito non compare mai esplicitamente nella geome¬ tria antica. E Archimede ebbe seguaci anche dopo che il calcolo infinitesimale ebbe chiaramente mostrati i suoi cosi fecondi vantaggi. Ragione principale di ciò fu il non avere l’autore stesso del concetto tecnico dell’ infinite¬ simo, saputo mai nè pienamente giustificarlo, nè dargli un significato preciso, si che egli molte volte ebbe a espri- supposizione che il tempo consti di singoli momenti (éx -J 5 v 9181 aio Èrtovi come se la critica di Zenone non valesse indifferentemente tanto per il continuo dello spazio che per quello del tempo istesso. Cfr. Cantor, id., 173. Er (Aristotele) lòst das Paradoxon der Duschlaufung dieser unendlich vielen Raumpunkte in endlicher Zeit, durch das neue Pa¬ radoxon, dass innerhalb der endlichen Zeit unendlich viele Zeittheile von unendlich Kleiner Dauer anzunehmen seien. „ — Sul concetto di infinito in Aristotele vedi specialmente Phys., Ili, 4 - 7 , De Coelo, I, 5 . Aristotele dà una divisione dei vari generi di infinito, che come sempre 0 spessissimo presso lui è più una spiegazione di parole che di con¬ cetti. Inoltre è la sua trattazione oscura e affatto manchevole. Egli non accetta che l’infinito potenziale, il quale nasce dal non trovar la nostra immaginazione alcun limite così nel togliere come nell’aggiun- gere ; rifiuta l’infinito attuale. L’infinito, dice egli, non è grandezza nè à parti così, come il suono è per sò invisibile (Phya., Ili, 4 ). Non esiste dunque in realtà, perchè non v’ è grandezza cui possa attri¬ buirsi. Ma la contraddizione ch’egli crede dover evitare rigettando il concetto dell’ infinito attuale è appunto nascosta invece in quello del continuo. Altrimenti egli non avrebbe così leggermente creduto di aver superate le difficoltà degli Eleati. (li Montucla, Histoire cles recherches sur la quadrature du eercìe. Paris, 1831, p. 44. ( 2 ) Hankel, Zur Geschickte der Matliematik ivi Alterthum und Mit- ielaltcr, p. 120 . t> IL CONCETTO DI INFINITO juersi sulla sua nozione in modo affatto contradittorio (1). E se i filosofi non riuscirono a chiarire i loro concetti riguardanti l’infinito trascurando la maggior parte di aiutarsi con un esame accurato dalle difficoltà che in¬ contravano anche i matematici, questi dal canto loro si sono del pari in grau parte appagati dei risultati, senza sentire troppo acuto il bisogno di rendersi conto esatto del significato di concetti dei quali avevano a fare un continuo uso (2). Che anzi per le difficoltà, oscurità o -contraddizioni dell infinito tranquillamente si rimettevano (1) Leibniz, anche quando si esprime più razionalmente intorno ai concetti infinitesimali, conserva pur sempre in fondo una evidente am¬ biguità sulla natura generale del concetto di infinito. Lascia infatti alla metafìsica, senza risolverla egli stesso, la questione se si diano propriamente degli infinitamente piccoli rigorosi; e cosi tiene pure per indifferente considerare per tali gli infinitesimi o soltanto per ar¬ bitrariamente piccoli. Negli ultimi anni (dopo il 700) egli inclina però più a tenere l’infinito rigoroso per una finzione. V. Leibniz, Opera omnia, ediz. Dutens I, 107 e Leibniz;il/af/iema</se/»e Schriften, Gerhardt I' , e 389, dove Leibniz pare considerare gli infinitesimi come quantità finite variabili e cfr. Gerhardt II, 288; IV, 93; V, 322; VII, 08 e 273; Erdmann 118, 128, 18-1, dove egli parrebbe ammettere l’in¬ finitesimo attuale. In altri luoghi egli è affatto incerto; ed. Dutens II, 267-68; Gerhardt, III, 81,499,516; IV, 63 e vedi specialmente un passo ivi p. 91-92. (2) Infatti un secolo circa dopo l’adottamento del calcolo, nel 1784, una delle prime accademie d Europa, quella di Berlino, presieduta da uno dei più grandi matematici, da Lagrange, apriva un concorso sul concetto dell’infinito matematico; diceva tra altro ai concorrenti... On demande... une thdorie clairc et precise de ce qu’ on appelle Influì en mathcmati jue. On sait que la haute Geometrie fait un usage continuel des infiniment grands et des infiniinent petits. Cependant les Geomètres et meme les analystes anciens, ont eviti* soicneusement tòut ce qui approche de l’infini, et des grands Analystes moderr.es avouent que les termes grawleur infmie sont contradictoires. L’Acad^mie sou- haitc donc qu’ on explique comment on a déduit tant de theorèmes vrais d une supposition contradictoire „. Nouveaux Mémoires de l’Acad. •des Sciences. Berlin 1786, p. 12-13. E IL PROBLEMA COSMOLOGICO. ■come molti si rimettono tuttora, ai metafisici (1). L’uni¬ co filosolo dal quale si sarebbe potuto aspettare qualche dilucidazione definitiva, il Corate, il quale era tanto ver¬ sato nelle matematiche e che di esse à dato una cosi bella e tuttora insuperata sistematica trattazion generale, non solo non fece fare un passo alla questione, ma neppure seppe bastantemente apprezzare i grandi meriti del lavoro del Carnot, il quale preparava la soluzione definitiva. Solo Locke e Kant sono cosi i filosofi che fecero verso di essa un passo decisivo: Kant però si direbbè che lo fece in sen¬ so reazionario, chè se Locke avesse decisamente cangiato li suo metodo empirico e psicologico con un metodo cri¬ tico, come egli in realtà è qualche volta inconsapevol¬ mente vicino a fare, avrebbe egli stesso còlto 1’ ultimo irutto della sua fine analisi. Ad ogni modo è merito di Locke, oltre aver risolto l’infinitamente piccolo e grande nel processo formale della mente, l’aver dimostrato come un tale concetto sia solo propriamente applicabile a gran¬ dezze, al numero, al tempo ed allo spazio. Con ciò ogni nebuloso abuso scolastico e metafisico di esso, era reso impossibile, e ogni sua applicazione ad altro che a con¬ cetti di grandezze diventava una pura metafora (2). Rilacendosi da Locke e approfittando della luce che il Carnot aveva gettato sulla natura dell’infinitesimo, il Duhnng à finalmente completata la razionalizzazione di (1) V. Leibniz, passo citato, Gerhardt IV 91-92 e Montucla, Risto!re des mathématiques III, 119: quanto alle questioni che la metafisica può sollevare sulla natura dell’infinito, il matematico “ a droit de ne s en pas plus embarasser que des disputes des physiciens sur la na- <ure de 1 etendue et du mouvement. „ * (2) Locke, On human Umlerst , cap. XVII, 1 e 6, p. 147 8 IL CONCETTO DI INFINITO questo concetto (1). L’infinito assoluto aveva però il Diihring costantemente rifiutato come la più assurda contraddizione* in tutti i suoi scritti matematici e filosofici. Soltanto- neH’ultima sua opera matematica arrivò egli ad una lu¬ minosa distinzione dell’infinito assoluto dal relativo. La sua dimostrazione è però unicamente geometrica, e non insieme aritmetica ; manca quindi di generalità. Cosi si spiega come egli ritenga ancor ora inammissibile l’ap¬ plicazione dell infinito al tempo, che egli à assurdamente e colla più gran forza di convinzione fatto finito nel pas¬ sato (2). Il Diihring vide che ove il concetto di infinito non venisse dapprima reso chiaro e incontradittorio nella matematica, la ròcca in apparenza più forte rimarrebbe in piedi a difesa del mistificante concetto. La nozione di infinito non è però specificamente matematica ; essa ap¬ partiene a quel campo del pensiero, in cui anno comuni le radici o i principi e la matematica e la logica. La. soluzione di un problema cosi universale non può esser diversa, ove esso venga formulato con la dovuta astra¬ zione ed esattezza, sia che la si cerchi nel campo della metafisica o della concezione universale dell’essere, sia che la si cerchi nel puro campo della matematica. Non (1) V. Nat Uri iche Dialéktik (1865), questo libro d’oro di puro criti¬ cismo, la cui prima edizione è esaurita da molti anni senza che il' Diihring si decida a ripubblicarlo, malgrado il viro desiderio di molti suoi ammiratori, quali per un esempio il v. Gizicky e il Riebl. Vedi specialmente dello stesso, nei “ Xeue Grundmitteln u. Erfindungen zur Analysis, ecc. „ il capitolo terzo. L’analisi critica dell’infinitesimo ivi data riassumiamo noi brevemente nel numero seguente, modificandola però nel senso della corretta legge del numero determinato. V. sotto. (2) Cursus der Philosophie, p. 18, 19, 27, 64 ; Logik und KVssen- schaftstheorie, 191 segg. E IL PROBLEMA COSMOLOGICO. 9 è un differente problema quello di Zenone di Elea, da quello che occupò a cosi grande distanza di tempo i ma¬ tematici dal seicento in poi. 2. In tutti i problemi filosofici o matematici riguar¬ danti il concetto di infinito, le difficoltà ànno la loro comune radice nella contraddizione fondamentale nascente dalla posizione di un infinito numericamente dato e com¬ piuto nel finito stesso. Cosi l’infinitesimo, e già prima l’indisivibile di Cavalieri, fu pensato assurdamente quale risultato di una infinita divisione, o come F elemento più piccolo d’ogni grandezza assegnabile, di cui si intègra ogni grandezza finita. Più piccolo di qualunque quantità data fu pensato l’infinitamente piccolo, e maggior d’ogni data grandezza Finfinitamente grande, arrivando anche qui ad una infinità compiuta, come raggiungibile per via di una sintesi successiva. Tra lo zero e una comunque piccola grandezza dovrebbe dunque esistere qualcosa di intermedio. Questa ibrida quantità non dovrebbe esser zero ma neppure perù una determinata quantità per quanto arbitrariamente piccola. Essa dovrebbe esser mi¬ nore d’ogni quantità assegnabile o qualcosa che esprima l’ultimo irraggiungibile grado di piccolezza immaginabile c prima dello zero (1). Minore d’ogni quantità assegna- (1) Modificando la nozione galileiana del momento, già Ilobbes de¬ finisce il conatus (concetto che doveva poi diventare il fondamento della teoria newtoniana), il moto lungo uno spazio minore di qualsiasi assegnato. Egli conserva, però, malgrado l’equivoca definizione, come dell infinitamente grande (De Corpore, c. VII, il, 12 e 13) cosi del- infinitesimo un giusto concetto. Di quest’ultimo aveva intesa infatti a essenziale relatività. V. De Corpore, c. VII, 13; e c. XV, 2: “ De- limemus Conatum esse motum per spatium et tempus minus q’uam quarn 10 IL CONCETTO DI INFINITO bile è però soltanto lo zero (1) ; una quantità non può venir immaginata oltre ogni assegnabile grandezza ; tra la quantità e lo zero non vi è cotesta assurda finzione. A meno che il dire: « minor d’ogni data quantità » abbia quod datar, id est determinatur, sine expositione vel numero assignatur ìaest per punctum. Ad eius definitiouis explicationem meminisse oportet per punctum non intelligi id quod quantitatcm nullam habet, sive quod nulla ratione potest dividi (niliil enim est eiusmodi in rerum natura) sed id cuius quantità* non consideratili-, boc est cuius neque quantitas neque pars ulta inter demonstrandum computatur; ita ut punctum non habeatur prò indivisibili ; sed prò indiviso. Sicut edam instans sumen- dum est prò tempore indiviso non prò indivisibili. - Similiter Conatus ita mtelhgendus est, ut sit quidem motus sed ita ut neque tempori in quo fìt ncque lineai per quam fit quantitas, ullam comparationem habeat in demon- stratione cum quantitate temporis vel line* cuius ipsa est pars ; quanquam sicut punctum cura puncto, ita « onatus cum Canata comparaci potest et unus altero maior vel minor reperiri. „ Vedi anche c. XXVII, 1.- 11 Poisson, tra'moderni, ammetteva invece nel modo più esplicito l’assurdo concetto dell infinitesimo di cui sopra è parola. Egli dice: “ Un infini- ment petit est une grandeur moindre que toute grandcur donnée de la meme nature. On est conduit naturellement a ridde des infiniment petits, lorsqu’on considère les variations successives d’une grandeur soumise à la loi de continuiti. Ainsi, le tcmps croit par des degrés mo.ndres qu’ aucun intervalle qu’on puisse assigner, quelque petit quii soit. Les espaces parcourus par le différents points d’un corps croissent aussi par des infiniment petits, car chaque point ne peut fi er d une posdion à une autre, sans traverser touts les positions intermédiaires, et l’on ne saurait assigner aucune distance, aussi petite qu on voudrn, entre deux positions successives. Les infiniment petits ont donc une existence rielle, et ne sont pus seulement un mo.ven d’in- vestigation imagini par les giometres. „ Traile de mécanique, Bru¬ xelles, ’38, p. 6-7. ’ O) l’er questa ragione non pochi matematici, quali Jacopo Bernou- 11 e “oto^amente Eulero, pensarono l’infinitesimo come assoluta- mente nullo. Anche Galileo, sebbene con altro linguaggio, scompone il continuo esteso in infiniti punti inestesi o nulli senza però trovar poi il modo di farlo generare da quelli. V. Galilei, Opere , X, 550-351 Sopra gli atomi non quanti di lui vedi Lasswitz, Galilei ’sTlieorie der Materie, 1 lerteljahrsschrift f wiss. l'hilosph. XIII, 1889. E IL PROBLEMA COSMOLOGICO. 11 a riferirsi non a qualcosa di effettivo o di dato, ma alla nostra mente o al nostro volere come ragione della infi¬ nita divisibilità, potendo noi sempre supporre una quan¬ tità più piccola di ogni qualunque piccola quantità data. Come nella serie dei numeri noi possiamo farci un con¬ cetto dell’infinito aggiungimento di unità a unità, cosi possiamo farcene uno della possibile divisione dell'unità all’infinito. Un tal concetto non rimane tuttavia che il campo d’una operazione che non può per la sua natura venir mai compiuta. La infinita divisione come la infinita addizione non possono mai senza contraddizione consi¬ derarsi come eseguite. Non si può con un salto oltrepas¬ sare un’infinità di operazioni, ponendo l’ultima come già compiuta, che invece non può mai essere. Ciò che e- siste o è dato numericamente quale totalità non può esser che in numero determinato (1). Un numero infinito come qualcosa di dato o compiuto nel finito medesimo è un concetto impossibile perchè vorrebbe porre ciò che in¬ sieme viene a negare. Ammesso dunque che abbia a dirsi di una quantità che essa è minore d’ogni possibile quan¬ tità data, ciò potrà solo razionalmente significare che è pur sempre possibile suppor quella come ancor più pio¬ ti) È questa la legge formulata dal Diihring nelle varie sue opere filosofiche e matematiche sotto il nome di legge del numero determi¬ nato (Gesetz der bestimmten Anzahl). Cfr. Kant: Kritikd. reinen Vcrn. edizione Kirchmann pag. 432: “ Sohald etwas als quantum discretum angenommen wird, so ist die Menge der Einheiten darin bestimmt, daher auch jederzeit einer Zahl gleich. „ Il Diihring però, e qui sta il grave errore della sua teoria dell’infinito, à tralasciato come il Kant di aggiungere che tale legge à valore appunto, come diciamo noi, solo in riguardo a grandezze che si lasciano concepire come to¬ talità, ossia in riguardo a grandezze comprese tra limiti. I 12 IL CONCETTO DI INFINITO cola di una qualunque data comunque già piccola per sè. La illimitatezza riposa sul concetto della infinita possibilità della ripetizione, non è dunque un concetto di effettività, ma di mera possibilità. Il moto nevi realizza come si crederebbe l’assurdità di una infinita divisione o di una infinità di parti nel finito. Moto non è che il concetto di ciò che la stessa cosa si trova seguentemente prima in un luogo e poi in un altro. I sensi non fanno che abbracciare un dato nu¬ mero di posizioni diverse, e l’intelletto non trova altro che il fatto ossia la cangiata posizione. Noi non possiamo formarci nè pretendere altro chiaro concetto che quello del passaggio da un punto all’altro ; possiamo solo, ove ce ne sia la ragione, interpolare delle posizioni inter¬ medie a piacere senza limite alcuno ; ma effettivamente nè la natura nè noi possiamo fis:arne altro che un nu¬ mero determinato. È una illusione il credere che un punto, ad esempio, nel muoversi in linea retta vei’so un altro punto fisso, e trascorrendo secondo il concetto comune di un movimento assolutamente continuo, per ogni posi¬ zione, trascorra con ciò effettivamente, se posso dir cosi, per ogni grado di piccolezza. La posizione di infiniti punti distinti in una determinata estensione è sempre e solo una possibilità ma non mai un fatto compiuto. Di due punti immediatamente aderenti noi non abbiamo as¬ solutamente concetto alcuno. Punti inestesi o coincidono, o anno una posizione diversa, e allora anche una deter¬ minata distanza. 11 punte non può che passare da uno ad un altro punto, comunque noi idealmente possiamo astrarre da cotesti trapassi e considerare unicamente la » E IL PROBLEMA. COSMOLOGICO. 13 infinita possibilità (li posizioni diverse. La stessa illusione è nel dire che una quantità cresce per gradi minori di ogni comunque piccola grandezza data. E vero che m matematica le quantità continue crescono per gradi e che ogni nuovo incremento elementare possiamo immarginar¬ celo già per sè stesso composto di ancor più piccoli in¬ crementi elementari all’infinito. Ma oltre che nella realtà bisogni: che esistano dei limiti a questa illimitatezza che è solo della facoltà della nostra mente, è anche vero che le quantità non constano di elementi per sè esistenti, e che invece noi solo distinguiamo in esse delle divisioni e sta¬ biliamo dei limiti che per sè non sono dati. Il concetto di continuità ne involge uno infinitesimale che però in¬ chiude solo la possibilità di un infinito porre di limiti, ma non una infinità di limiti posti; esso è quindi come quello dell’iufiuitamente piccolo un concetto di pura pos¬ sibilità. La illimitatezza nella scomponibilità in parti che pos¬ sono in ogni caso venir fatte ancora più piccole che una qualunque piccola grandezza data, e dunque ciò che di razionale s’ à a sostituire al concetto nebuloso dell’ in¬ finitamente piccolo. Con ciò viene evitata quella ipostasi o per cosi dire insostanziazione di un modo di azione del nostro intelletto, o di una mera possibilità, la quale è inchiusa nel falso concetto della grandezza minore di ogni altra assegnabile, come di qualcosa realmente esi¬ stente quasi mèta irraggiungibile ma pur reale di una infinità di operazioni. Non esiste un ultimo piccolo o infinitesimo, ma solo una infinita possibilità di rimpiccio- limento. 14 IL CONCETTO DI INFINITO Si deve dunque pensare che il differenziale è nel cal¬ colo una grandezza finita relativamente piccola, la quale- nel complesso delle operazioni può e deve rappresentare ad arbitrio ogni grado di piccolezza. Si tratta per e.-em- pio, dice il Diihring, di una lunghezza; può questa, come infinitamente piccolo, essere secondo le circostanze un milionesimo di millimetro ovvero una distanza solare. L’ essenziale non istà in queste eventuali determinazioni, ma nel pensiero che in luogo di quella grandezza, scelta in relazione a un tutto come parte insignificante, possano nelle operazioni sostituirsi altre ed altre senza limite alcuno sempre più piccole verso lo zero (1). L’ infinito o la illimitatezza non è dunque ipostasiata nel differen¬ ziale, si bene sta nel nostro pensare che questa gran¬ dezza rappresenta qualunque grado di piccolezza oltre- il suo. Razionalizzato cosi il concetto fondamentale del calcolo, non à più ragione quella ripugnanza che i mi¬ gliori matematici anno sempre sentito per quella oscura- ipotesi o idea falsa, come la chiamava Lagrange (2), del- 1’ infinitamente piccolo. L’ analisi è dunque, dice il Diihring, un calcolo d’ approssimazione, ma si noti bene- non di semplice approssimazione, bensì di approssima¬ zione infinita. I sensi trascurano nel piccolo le quantità insignificanti che loro non sono più percettibili, e se fatti più acuti procederebbero del pari in analoghe propor¬ zioni; cosi fa il calcolo nel trascurare quantità che nelle (1) V. l'reyeinet: Étude sur la métaphysique du haul calcul, 1860,. p. 32. Cfr. Carnot : Rc/lexions sur la métaphysique du calcili infinitesima!, 4* edizione, pagine 16, 17 e 18. (2) Comte: Cours de philosophie positive , I, 263. E IL PROBLEMA COSMOLOGICO. 15 loro funzioni darebbero in ultimo per risultato una gran¬ dezza che per la sua ultima piccolezza non à importanza alcuna. Accanto a quantità finite si trascura nel risultato e con ragione, un infinitamente piccolo, poiché è nella sna natura di poter venire senza fine rimpicciolito verso lo zero (1). 3. Idealmente c’ è dunque un abisso tra 1’ infinitesimo e lo zero; uon quello ma questo è il limite dell’ infinito rimpiccoliinento, e prima dello zero non vi sono che quantità in realtà sempre finite, comunque possano se- •condo il bisogno venir supposte sempre più piccole verso di esso. D’ altra parte nella direzione opposta dell’ infi- jiitamente grande si à analogamente a distinguere tra (1) Non altro significava il luminoso concetto del Carnot delle equa¬ zioni imperfette. Tuttavia egli non arrivò a dar l’ultima chiarezza alla nozione dell’infinitesimo. Infatti non avrebbe altrimenti creduto vi fosse bisogno (per dimostrare come i risultati del calcolo in apparenza sol¬ tanto approssimativi, siano in realtà esatti) oltre che della considera¬ zione dell’arbitrarietà del differenziale, anche di una dimostrazione della compensazione degli errori. Il Comte poi frantese affatto ciò che di veramente importante e duraturo conteneva lo scritto del Carnot, e ravvisò così il merito di lui appunto nella dimostrazione della compensa¬ zione degli errori (V. Cours de philosophie positive , I, 244 e 223), la teoria invece dell’arbitrarietà delTinfinitesimo la trovava più sottile che •solida (id. 2(57). — Il concetto della rigida uguaglianza degli antichi venne definitivamente superato con Leibnitz e Newton. Ciò che però non venne schiarito e rimase oggetto di tutte le lunghe innumerevoli dispute a cui diede luogo il calcolo differenziale, fu un giusto concetto di ciò che avesse a significare la trascuranza, nelle equazioni, dell’infi- nitamente piccolo. Dopo Carnot la relatività del concetto del differen¬ ziale s’è sempre più fatta strada nelle menti dei matematici. Ma non basta questo a razionalizzare l’infinitesimo. Dove colla relatività di esso si ammette però ancora (v. ad es. Montucla : Histoire des maih., HII, 264-G5) che questo possa divenir minore d’ogni quantità assegna¬ bile, s’è pur sempre lontani da una esatta concezione scientifica. 16 IL CONCETTO 01 INFINITO questo e 1’ infinito assoluto o transfinito (1). Qui come¬ ta si à una differenza qualitativa: nell’ un caso si à an¬ cora a fare con delle grandezze, nell’ altro il concetto proprio di grandezza è scomparso. Il non aver distinto questi due concetti non à forse meno contribuito della contraddizione di un infinito com¬ piuto nel finito stesso, implicato nel falso concetto del differenziale e del continuo, a rendere cosi pieno di sup¬ poste insolubili difficoltà il problema di cui ci occupiamo. AU’infinitamente piccolo risponde perfettamente l’infini- tamente grande. Abbiamo qui un accrescimento senza fine come là un illimitato rimpicciolimento ; in entrambi i casi ci è data la norma di un’operazione che non deve poter mai venir considerata come compiuta, poiché essa deve rispondere alla illimitata possibilità di ripetizione- delia nostra mente, con la quale dunque non c’è gran¬ dezza per quanto piccola o grande di cui non si possa sempre raggiungere un’altra ancora più piccola o grande. Attribuito ad una data grandezza il concetto di infini¬ tamente grande non significherà quindi altro che essa, comunque già grande, può senza fine venir considerata ancor sempre più grande secondo il bisogno. In ogni caso non sarà però ella mai altro che finita ; come la nostra sintesi benché non abbia limite, pure in fatti non può (1) Chiamo infinito assoluto o transfinito, a distinzione dell't/t/unVo relativo (infinitamente piccolo o grande), ciò che il Diihring dice illi¬ mitato (Unbegrcnzt, II) e il Cantor, e dietro lui il Wundt e il Lasswitz chiamano appunto transfinito (<o ). Del resto una volta riconosciute queste differenze essenziali, nulla impedisce di adoperare anche solo e indifferentemente la parola infinito , lasciando al contesto l’ulteriore specificazione. E IL PROBLEMA COSMOLOGICO. 17 mai esercitarsi che nel finito. Anche 1’infinitamente grande è un concetto di mera possibilità e non mai di effettività; non è quindi propriamente applicabile ad alcuna gr an¬ dezza determinata (1). La serie progressiva dei numeri nella sua illimitata addibilità è il più chiaro esempio dell’infinitamente grande. Noi non possiamo mai arrivare ad un ultimo membro delle serie, perchè la possibilità di aggiungerne altri riman sempre la medesima. E nella natura dell’infinitamente grande di non poter venir mai compiuto. La illimitatezza non è neppur qui data ogget¬ tivamente, ma sta invece in questo che la grandezza in¬ finitamente grande può rappresentare ad arbitrio una grandezza sempre maggiore oltre la sua. Inteso cosi è senz’altro chiaro che rinfinitamente grande non è un infinito in atto e non può senza con¬ traddizione venir scambiato con questo. L’aver confuso l’infinito assoluto o transfinito coll’infinitamente grande è appunto la cagione che condusse chi mirava a un esatto (1) Locke, On bum. Underst, pag. 148. “ ... our idea of infinity being, as I tbink, an endless growing idea, biit tbe idea of any quan- tity tbe inind kas being at that tirae terminated in tbat idea (l'or be it as great as it will, it kan be no greater tban it is), to join infinity to it, is to adjust a standing measure to a growing bulk. „ — id., p. 150: “... we can bave no more thè positive idea of a body infinitely litle, than we have thè idea of a body infinitelv great; our idea of infinity being, as I may so sey, a growing and fugitive idea, stili in a boundless progression that can stop nowhere „ — e p. 295-96 : all our ideas of in¬ finity... return at least to that of number always to be added; but thereby never amounts to any distinct idea of actual infinite parts. We bave, it is true, a clear idea of division, as often as we will think of it; but thereby we have no more a clear idea of infinite parts in matter, than we have a clear idea of an infinite number, by being able stili to add numbers to any assigned nember we have : 18 IL CONCETTO DI INFINITO e chiaro concetto di quest’ultimo a rifiutare risolutamente il primo, dopo averlo trovato incompatibile colla nozione di quello. Mentre l’infinitamente grande esprime una il¬ limitata possibilità, il transfinito esprime invece una ef¬ fettività compiuta cui l’infinitamente grande non arriva mai. Nel transfinito ogni grado di ingrandimento è già anticipatamente dato : esso è realmente maggiore di ogni assegnabile grandezza, e dal finito non c’è modo di farlo originare, sebbene ogni finito sia in esso. La facile ob¬ biezione che nessuna grandezza è la più grande perchè le possono sempre venir aggiunte altre unità, non tocca 1 infinito assoluto, ma solo una irrazionale nozione del- 1 infinitamente grande, partendo ella da un falso concetto del transfinito, secondo il quale si avrebbe questo a lasciar pensare come un tutto, ossia, contrariamente all’assunto, ■cume finito. Il concetto di totalità applicato al transfi¬ nito è trascendente, benché tale non sia il transfinito per sé. Se l infinito assoluto non può venir esaurito dalla nostra sintesi, non è questa una ragione per rifiutarne il concetto : la sua natura consiste infatti appunto in ciò di non poter venir rappresentato come una totalità ossia esaurito per mezzo di una sintesi successiva delle sue parti. Rifiutarlo perchè non si lascia trascorrere da un capo all altro, è rifiutare il transfinito perchè appunto tale, ossia perchè non è finito, o perchè non si trovano eudless divisibility giving us no more a clear and distinct idea of actunllv infinite parts, than endless addibility, if I may so speak, gi- ves us a clear and distinct idea of an actually infinite nuinber: both being onlv in a power stili of increasing thè nuinber, be it already as great as it will. „ È IL PROBLEMA COSMOLOGICO. 19 ia esso le proprietà che dal suo concetto sono precisa- jnente escluse. Mentre nell’infinitamente grande la nostra sintesi è quella che aggiunge membro a membro ; nell’infinito as¬ soluto troviamo noi sempre ogni ulteriore membro come .già innanzi esistente prima che la nostra sintesi lo abbia raggiunto, indipendentemente da essa. È dato quindi così il numero infinito, se numero può questo ancora chiamarsi, che è in realtà la negazione di esso e con ciò di ogni determinazione nel grande. Il numero infinito non è più nè pari nè dispari, e neppur quindi aumenta¬ bile più, nè diminuibile. Esso è dunque qualcosa di af¬ fatto compiuto, al contrario dell’infinitamente grande che -è in un continuo'flusso ; e sta a questo come all’infini- tamente piccolo sta lo zero. Come nello zero non c’è più possibilità di rimpicciolimento, cosi non ce n’è più di in¬ grandimento nel transfinito. Questo è la negazione della grandezza misurata nel grande, e lo zero la negazione della grandezza in generale e con ciò della grandezza nella direzione deH’infinitamente piccolo (1). Lo zero come l’infinito assoluto sono non tanto quantitativamente quanto per qualità diversi da ogni altra grandezza- L’in- finitamente piccolo e grande sono in un continuo flusso, lo zero e il transfinito sono invece forme fisse ; il prin¬ cipio generativo dei primi non è applicabile ai secondi. DaH’infìnitamente piccolo allo zero e dall’infinitamente grande all’infinito assoluto c’è, a dir proprio, un salto (2). (1) V. Duhring: Neue Grundmlttel, ecc., pag. 430. (2) Lo zero e l’infinito assoluto si fanno dunque riscontro. Ed erra «quindi il Lasswitz che nega esserci qualcosa di corrispondente a que- 20 IL CONCETTO 1)1 INFINITO Nel primo caso il passaggio sta non nel rimpiccio¬ lire all’infinito per successive divisioni la quantità pic¬ cola in modo che avanzi pur sempre un resto, ma nel¬ l’ultimo atto risolutivo col quale si sottrae interamente il resto stesso. Nell’un caso si riman sempre nel campo deU’infinitamente piccolo, nell’altro si salta propriamente dalla quantità al nulla di essa. Una quantità non viene mai esaurita col sottrarre ripetutamente anche all’infi¬ nito una nuova parte del sempre nuovo resto ; bisogna togliere in ima volta l’intero resto altrimenti si avrà una convergenza continua verso l’irraggiungibile zero, ma non mai propriamente lo zero. E solo in quest’ul¬ timo caso sarebbe veramente esaurita la grandezza. Non bisogna prender per esaustione reale una infinita ap¬ prossimazione. Ciò che matematicamente si chiama esau¬ stione è solo tale fino ad un infinitamente piccolo ; ma questo vien da essa lasciato inesaurito. La vera esau¬ stione non à luogo che con un salto, ossia con un vero passaggio. La interpolabilità infinita di posizioni tra punto e punto non toglie che da posizione a posizione il passaggio debba rimanere E come v’è un salto da un punto a un altro in una linea, cosi v’è da un punto al punto ultimo col quale la grandezza finisce. Solo col st’ultimo. (Lasswitz: Zum Problem der Continuitdt, Philosoph. Monats - hcfte XXIV, pag 27); come pure e più erra il Wundt che crede ca¬ dere nel differenziale ogni differenza essenziale tra l’infinito e il tran¬ sfinito.* Wundt: Kant’s Kosmologische Antinomien u. das Problem der Unendlichke.it Philos. Studien II, 527: (che) das Intinitesimalsy.nhol ebenso gut in Siane einer uncndlich zudenkenden Abnahme einer* gegebener Grosse, wie im Sinne des bereits vollzogenen I’rocesses- dieser Abnahme gedacht werden kann. Ilier fàllt niimlich ein wesen- tlichcr Unterscbied des Infiniten und Transfiniten vollig hinweg (! !). E IL PROBLEMA. COSMOLOGICO. 21 passaggio allo zero si à però un risultato differente non tanto per quantità quanto per qualità dagli altri. D’altra parte lo stesso risultato qualitativamente dif¬ ferente si à nel secondo caso del passaggio dall’infini- tainente grande al transfinito. Praticamente si può con- cliiudere è vero dal caso dell’incoutro di due rette a di¬ stanza infinitamente grande al caso delle parallele, in quanto si astrae dallo sbaglio infinitamente piccolo, e si pone come identico il risultato solo infinitamente appros¬ simativo. In realtà però mentre il punto d'incontro si allontana infinitamente aH’avvicinarsi delle due rette al parallelismo senza raggiungerlo, raggiunto che questo sia, esso è scomparso, essendo per sè la infinita esten¬ sione della linea la negazione della possibilità d'uu punto d’incontro, poiché questo le farebbe finite; ed à luogo allora quella illimitatezza od infinità assoluta della retta, la quale è la negazione della grandezza misurata nel grande, come lo zero è la negazione della grandezza in generale (1). Un indubitabile significato reale si lascia dare al transfinito, come vedremo in séguito soltanto nella serie infinita dei processi del tempo passato. Il nostro regresso che assume qui la forma dell’infinitamente grande, pro¬ cede in base al transfinito della realtà, poiché esso trova e suppone necessariamente come dati sempre piu membri della serie di quelli che esso raggiunge. Se si fosse co¬ stretti a pensare l’universo infinito in estensione si a- vrebbe una seconda applicazione reale del nostro con¬ ti) Diihring , luogo citato. 22 IL CONCETTO DI INFINITO «etto ; ma rimanendo insolubile la questione se la natura sia o no infinita (1), non si à che l’applicazione di esso allo spazio puro. Ed ecco la dimostrazione che dà di que¬ sta il Dtihring, colla quale egli stabilisce appunto la clas¬ sica distinzione dell’infinito relativo dall’infinito asso¬ luto. — La tangente di un angolo che differisce da 90° ■di una infinitamente piccola differenza, è come la rispet¬ tiva secante infinitamente grande. Ad ogni grado di riin- piccioliinento della differenza risponde un grado di in¬ grandimento della tangente e della secante dell’angolo. Cosi il punto in cui le linee si tagliano si fa sempre più lontano ; rimane però sempre dato un incontro reale delle linee fin che sia data una per quanto piccola divergenza da 90°. « Se si à invece una differenza uguale a zero ■ossia se non se ne à alcuna, non si à nemmanco più propriamente una secante nè una propria tangente. En¬ trambe le linee loro corrispondenti non si tagliano più. Nel caso dello zero o, ciò che sarebbe lo stesso, per la «osecante e la cotangente di 0’ non esiste più alcuna grandezza, allo stesso modo che «nello zero medesimo. Intatti la illimitatezza di una linea non è già una quan¬ tità della stessa j ella è invece l’assenza d’ogni determi¬ nazione quantitativa. In tal modo allo zero dall’una parte corrisponde dall'altra l’illimitato non quanto (das gros- senlose Unbegrenzte).Il caso dell’infinitamente grande si distingue da quello dell’infinito assoluto per questo, che la possibilità (della illimitata estensibilità) non figura come per sè data, ma vien 'riferita alla nostra attività. (1) Vedi sotto n. 5. E IL PROBLEMA COSMOLOGICO. 23 Di pio quest’ultima possibilità vien sempre rappresentata coinè dipendente d«i un’altra, in modo che dall’infinito rimpicciolimento e dal grado di questo dipende l’infinito ingrandimento e rispettivo grado costantemente corri¬ spondente (1) ». 4. Una distinzione simile a quella del Diihring à fatto in riguardo all’infinito il Cantor, seguito in ciò dal Wundt (2) e seguito pure, sebbene con qualche riserva, dal Lasswitz; ad essa fa però assolutamente difetto quella spiccata razionalità che è la caratteristica del pensiero filosofico del Diihring. Crede il Cantor che la serie dei numeri si lasci pensare non solo come compiutamente- infinita, ma come compiuta totalità ; egli stima che si lasci pensar radunato in un tutto ogni numero intero positivo (3). L’aver sconosciuto l’inapplicabilità del con¬ cetto di totalità al transfinito è la cagione dell’assurda nozione che s’è fatto il Cantor di questo. Infatti perciò à egli potuto credere che il transfinito pnssa trovarsi nel finito stesso quasi come suo sostrato, e servire cosi alla spiegazione del continuo e dei numeri irrazionali (4). Ma qui non si ferma il Cantor : chè anzi la vera origi¬ nalità della sua dottrina vede egli nelle differenze essen¬ ziali da lui trovate nel campo stesso dell’infinito asso¬ luto (5). Si tratta infatti per lui sopratutto dell’amplia- zione o proseguimento della reale serie dei numeri intieri (1) Duhrinq, luogo citato, pagine 88-80. (2) Logik H, 127-128 (1883). (3) Cantor: Grundlagen einer Mannichfaltigkeitslehre, 1883, pag. 1-3; Zur Lehre vom Transfinite)!, 1890, pag. 42, 43 e 45. (4) Grundlagen, pag. 8, 30. Zur Lehre pag. 35. (5) Zur Lehre, pag. 9 ; Grundlagen, pag. 13. 24 IL CONCETTO DI INFINITO oltre l’infinito medesimo. Egli non ottiene solo un unico numero intiero infinito, si bene una infinita serie di tali numeri come benissimo tra loro distinti. Vi sarebbero cosi infinite classi di numeri ; la l a classe sarebbe la serie dei numeri finiti 1. 2. 3... v..., ad essa terrebbe die¬ tro la 2 a classe composta di successivi numeri intieri in¬ finiti in ordine determinato ; dopo la 2 a si verrebbe alla 3 a e alla 4 a classe e cosi all’infinito (1). In tal modo na¬ turalmente l'infinito propriamente detto (das eigentlicbe Uiiendliche) non sarebbe ancora il nero infinito (das walire Unendliche) o l’assoluto. Chè anzi il Cantor e- spressamente fa notare che in tal guisa non si arriverà mai a un limite ultimo, e neppure a una sia pur soltanto approssimativa comprensione dell’assoluto, il quale solo è un infinito non più oltre aumentabile. Con ciò il trans • finito, quantunque determinato e maggiore d'ogni finito, avrebbe assurdamente comune col finito il carattere della illimitata aumentabilità (1). Il Cantor dà per esempio -del transfinito la totalità dei numeri finiti, confessa però non darsi, o almeno pel nostro intelletto, una totalità •dei numeri transfiniti, ossia l’assoluto o il vero infinito non poter venir concepito, quantunque necessariamente postulato. Qui dunque ritorna la difficoltà del problema, e questa volta il Cantor confessa di non saperla scio¬ gliere. Con ciò dà egli stesso involontariamente la mi¬ glior critica della sua teoria dell'infinito. Il suo transfi¬ nito del resto non è in fondo altro che l’infinito dell’in- ■telletto di Spinoza, come or ora vedremo. (1) Grundlagen, pag. 3. (2) Id. pag. 44 ; Zur Lehre, pag. 8, 33, 48. E IL PROBLEMA COSMOLOGICO. 25 Illusorie come la infinita totalità sono le altre proprietà •clie il Cantor crede dover attribuire ai suoi immaginari numeri della nuova serie al di là dell’infinito. Cosi il non esser questi più soggetti alla legge di commutazione (1) è una evidente assurdità che rivela una inesatta conce¬ zione dell'infinito assoluto. Questo infatti è indifferente in riguardo al più e al meno. Ad esso non si può nè ag¬ giungere nè togliere, come quello che non si lascia ori¬ ginare per via di operazioni. Per poter ad esso aggiun¬ gere qualche cosa converrebbe pensarlo dato quale com¬ piuta totalità. Dia è falso che l'infinito si lasci concepire in tal guisa ; cosicché invece di operare con esso si opera inavvedutamente con una quantità pur essa finita (2). Il concetto formulato dal Diihriug dell’infinito assoluto non è nella storia della filosofia e della matematica del tutto senza precedenti, per quanto la critica da lui fatta •dell’infinitesimo possa assai più facilmente rannodarsi a quella del Locke e di Ivant da una parte, e dall’altra a quella di Carnot, che non si lasci questa sua nuova distinzione rannodare a’ suoi precedenti storici (3). Vera¬ ci) Cantor: Grundlagen, 11, 14, 15. (2) Vedi più sotto n. 7. (3) Bradwardinus distingue nel suo trattato De Continuo, come e- spone il Cantor (Geschichte d. Mathematik li, 107-109), “ zwei Unend- lichkeiten, die kathetische und die synkathetische. Katlietisch oder einfach unendlich ist eine Grosse die kein Ende hat. Synkathetisch unendlich ist eine Griisse der gegenùber es eine endliche Gròsse giebt und ein andsres gròsseres Endliche, und wieder Eines gròsser als jenes Gròssere, und so oline dass ein Letzes sicb fiinde, welckes den Abschluss bildete; aucli dieses ist immer eine Gròsse, aber nickt wenn es mit Gròsserem verglicken wird. Man erkennt leicht dass das kathe- tisck Unendliclie Bradwardinus das Ueberendliche oder Transfinite ‘26 IL CONCETTO DI INFINITO mente l’infinito positivo di Descartes, di Bruno e di Spi¬ noza è un coricetto che tradisce un’origine quasi del tutto- ancora scolastica. L’infinito inteso coinè attributi neces¬ sario dell’essere è una concezione affatto inscientifica co¬ mune ai tre citati filosofi, e mostra chiara la sua deri¬ vazione da altri concetti teologici ; quantunque esso non avesse in Bruno questa sola origine (1). unserer neuerer Philosophen ist, dem von Anfang an das Merkmal der - Begrenztheit, welches deu endlichen Gròssen zukommt fehlt, wàhrcnd das synkathetisch Unendliche mit denjEndlosen oder Infinitcn ùbercin- stimmt, welches aus der endlichen Grosse durcli unbegrenztes Wa- chsen hervorgelit. „ (1) Il Bruno capovolge la dottrina [di Aristotele: risolve ardita¬ mente e con grande acume il continuo ne’ minimi onde liberarsi dalle contraddizioni svelate da Zenone, come farà poi anche ma meno feli¬ cemente Hume, e accetta l’infinito nel grande: gli atomi e la infinità del mondo. (V. Acrotismus, art. XLII, citato dal Tocco, Le opere la¬ tine di G. Bruno, p. liti: De Minimo, I, VI). Devcsi però avvertire- che il minimo è pel Bruno ancora una grandezza che ei pensa giusta¬ mente, come farà anche Ilobbes, relativamente trascurabile nel calcolo; il progresso infinito nelle divisioni è solo una continua possibilità della mente, mai un’effettività. Egli non nega alla immaginazione (o- alla ratio, a distinzione della mensì di poter ulteriormente suddivi¬ dere il minimo aU’infìnito, “ dum non promere subiectae credat con- formia rei. — Intìnitae progressioni iinaginationis seu mathesis natura non respondet neque ullus usus artitìcialis obsecundat. De Min. I, 6, 7, 8. Tuttavia anche alla matematica vorrebbe Bruno dare una base atomistica, facendo valere pel concetto del corpo matematico ciò che vale per quello del corpo fisico. In questo anzi non seppe Bruno liberarsi dalla influenza dell’aristotelismo, pel quale- ciò che vale della materia doveva naturalmente valere dello spazio. Il suo strano tentativo ricorda l’antica dottrina delle linee indivisibili o atomiche di Senocrate, anch’essa stabilita per evitare le stesse con¬ traddizioni del continuo messe in chiaro dalla critica degli Eleati. (V. nello scritto -epì à-riuiov ypaujLùv Apelt, Beitrcige z. Geschichte d. Griech. Philosoph. dove ne è anche data la traduzione, pag. 271 e seg.) Della dottrina atomistica di Bruno riconosce giustamente il merito il Lasswitz (G. Bruno u. die Atomistik, Viertelsjahrsschift f. icissensch.■ E IL PROBLEMA COSMOLOGICO 27 Tuttavia alcune importanti considerazioni sono co¬ muni al Cusano (1) e a quest’ultimo sulla natura dell’infi¬ nito ossia sull’esistenza di un unico infinito in riguardo al quale non possa esservi divisione possibile uè disu¬ guaglianza se misurato immaginariamente da misure dif¬ ferenti (2). L’infinito assoluto considera poi Spinoza come dato nei noti due cerchi l’uno dei quali è dentro all’al¬ tro e che non si toccano nè sono concentrici, esempio ricavato da Cartesio (. Principii , II, 33, 34, 35) e da Spi¬ noza medesimo già illustrato nella esposizione dei prin¬ cipii cartesiani della filosofia. Ma come è impossibile che la materia mossa tra due cerchi possa realmente divi¬ dersi all’infinito, cosi è impossibile farsi un concetto di una infinità assoluta di disuguaglianze come effettuata dalla relazione di quelli. Poiché data questa infinità non è nè può essere ; altrimenti la potremmo anche pensare effettuata in un qualunque segmento di linea da’suoi punti infiniti. Una tale infinità non può cosi che venir riferita alla facoltà della nostra mente quale suo fonda¬ mento ; non può esser che un caso di infinita possibilità come lo è quello dell'infinitamente grande. Philos. Vili, 33): “ Bruno hat darci» (lcn erkenntnisstheoretiscben Aus- gangspunkt seiner Monadologie sicli das bleibendc Verdienst erworben, den Atombegriff klar und wiederpruchslos dargestellt zu haben. So lange das Atom nur als Letzes der Theilung gilt, blcibt es immcr fra- glich, ob man auf ein solches Kommen masse ; erst die Einsicht, dass es ein Krfordcrniss dcs Erkennens isteinErstes der Znsammcnsetzung zn liaben, macht den Atombegriff za einem nothwendigen. (1) Cusano, Dada ignoranza, 1- 4, 5, 13, 14. (2) Già Aristotele, abbiamo visto, aveva tenuto per inapplicabile ad ogni grandezza Tintìnito attuale, ma perciò appunto ne aveva rifiutato il concetto. 28 IL CONCETTO 1)1 INFINITO Il caso (lei due cerchi si lascia ricondurre a quello d’ogni grandezza continua. Ora l’esame del continuo non può per sè mai darci l’infinito assoluto ; il continuo ri¬ ceve i termini che noi segniamo in esso senza lasciarsi però mai esaurire da successive suddivisioni. Con ciò esso non ci dà che il campo di una regola d’operazioni infi¬ nite, rimanendo pur sempre finiti i risultati di queste. Che le parti del continuo non si lascino esprimere con alcun numero (nullo numero explicari possunt) significa solo che sarebbe, contradittorio pensare come raggiunto il risultato d’ima operazione infinita ossia da ripetersi senza fine. Il continuo non ci dà insomma che l’infinito relativo. E così ciò che Spinoza distingueva dall’infinita- mente grande non è in realtà l’infinito assoluto ; esso è soltanto lo stesso infinito relativo nella direzione opposta del primo, ossia nella direzione del piccolo (1). Ammette inoltre Spinoza che l’infinito propriamente detto può es¬ ser suscettibile di più e di meno. Ma non è esso allora cangiato nel finito ? (2) e non dice egli altrove (3) che (1) Lo Spaventa, Saggi critici, p 256-7, seguendo Hegel trovava la distinzione dello Spinoza dell'infinito della immaginazione da quello dell’intelletto veramente profonda, e ravvisava in questo ultimo fissato il vero concetto dell’infinito assoluto che trascende ogni determinazione. Infatti però, come s’è visto, esso non può rappresentare che lo stesso infinito della immaginazione. (2) Vedi lettera XXIX. In complesso questa importante lettera parmi mostrare molta incertezza malgrado il tono suo dommatico e tanto si¬ curo. I due unici esempi che Spinoza porta dei molti che ei dice avrebbe potuto addurre dell’infinito dell’intelletto, non sono omogenei. La infinità dei moti che furono, e la infinità delle disuguaglianze dei due cerchi non cadono sotto uno stesso concetto. Lo stesso abbiamo notato del transfinito del Cantor, il quale dovrebbe del pari esprimere appunto e l’intervallo ( 0.1) come totalità infinita, e il complesso della serie dei numeri intieri positivi. (3) Etica, I, prop. XV. E IL PROBLEMA COSMOLOGICO. 29 è un assurdo che un infinito possa essere il doppio di un altro ? A questo assurdo risultato arrivano tutti quelli che pensano potersi dare l’infinito nel finito medesimo. Di Locke già s’è visto qual razionale concetto egli a- vesse deU’infinitamente piccolo e grande. Egli non seppe tuttavia considerare l’infinito altro che nella illimitata addibilità e divisibilità, per cui non intese l’ir.finito as¬ soluto. Locke analizzò con una grande acutezza soltanto le funzioni dell’intelletto in riguardo all’infinito, non però il riscontro loro oggettivo. Infatti era questo per Locke ancora Dio, il quale oltre i confini raggiungibili dal nostro pensiero coll’illimitato progresso, riempiva tanto l’infinito del tempo che quello dello spazio (1). Ed è cosi che egli poteva pensare esser l’idea positiva di in¬ finito troppo ampia per una capacità finita e angusta come la nostra (2). Kant scioglie trionfalmente tutte le difficoltà che a- veva incontrate Locke nell’esame dello spazio (3), e fissa l’idealità di questo ; una idealità che se è conseguenza delle stesse ragioni che l’avevano fatta necessaria agli Eleati, à però, un significato e una giustificazione scien¬ tifica di gran lunga superiore. Ma quanto al concetto proprio di infinito egli non fa un passo oltre Locke. E neppure Hume era andato più oltre sulle tracce di quest’ultimo. E’ non seppe anzi per il metodo suo empi¬ rico apprezzare la bella trattazione lockiana dell’infinito, in cui la funzione sintetica della mente trovava una cosi (1) Locke : Essay on Human Under ai, pag. 134, 135. (2) Id. pag. 152. (3) Id. pag. 131, 135 e 154. 30 IL CONCETTO DI INFINITO giusta e importante bencliè non del tutto consapevole applicazione. Hurne, senza esaminare particolarmente l’in- finitamente grande, si volge in special modo a considerare l’infinito nel piccolo (1). Ciò che più, come già Bruno, imbarazza il grande scozzese è la considerazione della in¬ finità nel continuo, ossia della infinita divisibilità, la quale egli non distingue dall’infinito esser diviso, ossia dalla in¬ finita divisione effettuata (2). Il suo empirismo, confon¬ dendo il reale colla forma, lo porta a stabilire lo spazio come composto di punti visibili e sensibili (meno risolu¬ tamente però nella « Inquiry ») (3) ; e il tempo della somma dei minimi delle sensazioni. « Come può, si do¬ manda egli, un infinito numero di infinitamente piccoli non dare una grandezza infinitamente grande? o, come può un tal numero esser compreso allo stesso modo in una data grandezza che in una doppia di quella? Come può passare il tempo da un punto all’altro per un nu¬ mero infinito di parti reali successivamente esaurientisi ? Sono in conclusione le stesse contraddizioni svelate dap¬ prima da Zenone. Questi aveva conchiuso col negare lo spazio e il moto ; Hume invece accusa la ragione stessa senza dare soluzione alcuna definitiva (4). L’aver con¬ fuso la forma col reale, e il non aver più acutamente esaminate le funzioni sintetiche della mente sono la ra¬ gione della infruttuosità delle sue ricerche sull’infinito. Locke è insomma l’unico tra’ filosofi moderni, o al¬ ti) Treaiise pag. 26, 32, 39, 43. (2) Id. pag. 26, 29; Essays, edizione World Library, pag. 378-79. (3) Exsai/s, pag. 379. (4; Hume: Essai/s, pag. 380. È IL PROBLEMA COSMOLOGICO. 31 meno sino al Diiliring, che segna un notevolissimo pro¬ gresso nella razionalizzazione del concetto di infinito. D’al¬ tra parte tra’ matematici, dopo le lunghe discussioni sulla natura dell’infinitesimo, si fa strada, è vero, con Carnot, e col Cauchy, in séguito, l’opinione della arbitrarietà del differenziale, ma riman pur sempre come sfondo oscuro l’infinito esatto, una sfinge che i matematici dichiarano spettare ai filosofi di interrogare. E con ciò la mente è ben lontana ancora dal trovarsi appagata. Con Gauss poi, e dietro a lui col Riemann e con lo Steiner e con tutti i geometri anti-euclidèi, la nebbia che avvolgeva l’infinito s’è fatta ancora più fitta, e rimarrà cosi quale indizio dello spirito mistico dell'epoca nostra, la quale non sente quel bisogno vivo e quell’amore della chiarezza che cosi grande aveva il secolo decimottavo (1). (1) Nfe i filosofi del nostro secolo sono certo fatti per confortarci della mistica incertezza dei matematici e sbugiardare così il notato carattere generale dello spirito del decimonono dicontro al secolo precedente. (V. più sotto di Hamilton e Spencer n. 8). 32 IL, SÓNCETTO DI INFINITO II. 5. Dove l’universo, come presso Democrito e gli Epi¬ curei, o presso Bruno e Spinoza si stabilisce dommati- camente infinito, la filosofia non s’è ancor spogliata di tutti gli elementi puramente poetici. Col criticismo mo¬ derno la questione della reale estensione dell’universo si è fatta essenzialmente empirica. La illimitatezza della no¬ stra concezione dello spazio non ci garantisce una infi¬ nità oggettiva materiale (1). Empiricamente non si lascia dimostrare nè la finitezza nè la infinità dell'universo; (1) È chiaro che chi volesse supporre un riscontro materiale asso¬ lutamente completo della nostra concezione infinita dello spazio cor¬ rerebbe dietro una chimera. La nostra rappresentazione dello spazio il la sua spiegazione nella costante unità della coscienza e nella sua libertà del porre e dell’oltrepassare continuamente il posto. Ora a questa funzione mentale non si deve attribuire senz’altro un significato oggettivo. Al contrario fa il Urtino infinito il mondo appunto perchè è infinito lo spazio, ritenendo che la materia stia allo spazio come questo a quella: “ e se non v’ha differenza tra spazio e spazio, non c’è nessuna ragione che solo quel breve tratto occupato dal nostro sistema planetario sia pieno e tutto il resto dell’immenso spazio vuoto. „ Cfr. Schopenhauer ( Die Welt als Wille ecc. I, 588). il quale commenta gli argomenti affatto ineritici del Bruno e vorrebbe farli servire a dimostrare anche la infinità del tempo. E IL PROBLEMA COSMOLOGICO. 33 altro che il finito noi non possiamo raggiungere e non possiamo mai giudicare se altro non vi sia più oltre da raggiungere nella realtà; se essa stessa abbia o no dei limiti come gli à costantemente la nostra rappresenta¬ zione. L’infinito come tale non può diventar oggetto della nostra esperienza; ma se questa è per la sua natura li¬ mitata, non perciò dobbiamo pensar limitata la realta in¬ conscia. Il concetto nostro dell’universo sarebbe dunque sempre solo comparativo. Certo è però che praticamente l'universo sarà per noi costantemente finito, poiché altro che in limiti finiti non può venir da noi conosciuto. Il principio della costanza della materia e della forza non basta, come crede il Rielil (1), a dimostrare la fini¬ tezza della massa dell'universo. Seia massa si fa infinita, dice egli, verrebbe a mancarle con ciò ogni determina¬ zione quantitativa, il che è incompatibile col concetto stesso di massa. Ogni determinazione le mancherebbe però naturalmente se considerata solo nella sua trascendente totalità, non mai invece nel finito ; nè d’altro che di masse finite può aver ad occuparsi la scienza. 11 grande principio della costanza della materia e della forza, nota an¬ cora il Riehl, diventerebbe una mera e inutile tautologia, data la infinità loro; non potendo evidentemente l’infinito venir nè aumentato nè sminuito. Neppur questo è giu¬ sto. Il principio in discorso sarebbe tautologico se sta¬ bilisse appunto la costanza della materia infinita come tale; non se, come esso fa, stabilisce quella del finito in essa datoci. Infatti la conservazione costante del finito (1) Riehl, Ber pMosoph. Kriticismus, III, 303-305. 34 IL CONCETTO DI INFINITO non è (lata analiticamente colla inalterabilità quantita¬ tiva dell’infinito, poiché come l’infinito non è toccato da addizione o sottrazione, cosi potrebbe, posta infinita la materia, il finito in essa assolutamente crearsi o anni¬ chilarsi senza contraddizione alcuna. G. Mentre la estensione e la massa dell’universo sono presumibilmente finite, ma nessuna necessità apriorica od empirica ci sforza a pensarle piuttosto finite che in¬ finite; in riguardo al tempo concorrono invece necessità dell’esperienza e della mente a farlo nel regresso asso¬ lutamente infinito. Il problema cosmologico del tempo non à tuttavia avuto sinora una soluzione definitiva. A il tempo reale mai avuto principio? Vi fu nell'uni¬ verso o nell’essere un primo cangiamento? E se il tempo non à avuto principio, ed è nel passato infinito, come può senza contraddizione venir pensata cotesta sua in¬ finità ? Che il cangiamento abbia una volta cominciato è, per il principio di causalità, impossibile ammettere. Xa causa di un cangiamento deve cercarsi a priori in un cangia¬ mento anteriore e cosi via all’infinito. Un cangiamento assoluto è empiricamente impossibile e a priori inconce¬ pibile. Vi sono nell’essere ultime ragioni dei processi, ma non ultime cause. In ogni punto del tempo è esistita la serie delle variazioni. Non che nel concetto di sostanza si trovi unita necessariamente coll’esistenza l’azione, come crede il Rielil (id. 309), e che non lasciandosi quindi disgiungere il fare dell’essere dalla sua esistenza, venga ad esser perciò inconcepibile la sostanza scompagnata dal cangiaménto. Inconcepibile sarebbe solo una esistenza E IL PROBLEMA. COSMOLOGICO. 35 vuota, ossia scompagnata dalla essenza; la forza potrebbe però concepirsi ovunque come in equilibrio stabile, e con ciò l’universo come privo di ogni mutamento. Vi è una condizione del divenire cbe non entra mai come membro nella serie causale: è questa il fondamento ultimo d’ogni fenomeno, la ragione della loro possibilità. Un tal fondamento riman quindi come fuori del tempo ossia veramente eterno, senza origine nè fine. Non è cosi dei cangiamenti o degli stati momentanei dell’essere. Lo stato precedente a un dato momento nella serie molte¬ plice dei cangiamenti, se fosse sempre esistito, non avrebbe mai prodotto un effetto cbe si origina solo nel tempo; auche quello deve dunque aver avuto una causa, e cosi all’infinito. Delle cause non ve ne può essere una cbe da sè inizi assolutamente una serie; ogni causa di cangia¬ mento è essa stessa un cangiamento, e suppone con ciò un’altra causa, un altro stato cbe la spieghi ; tutto è se- guenza nella serie, e un principio assoluto è un assurdo. Una prima causa del cangiamento per cui avvenga qual¬ cosa cbe anteriormente non era, non è in alcun modo a connettersi coll’esperienza. La fine della primitiva quiete nell’ essere senza una causa che la faccia cessare è un pensiero irrealizzabile; esprimerebbe una sponta¬ neità incomprensibile, anche formalmente, cbe noi non possiamo accettare sensa derogare alle leggi della cono¬ scenza e della natura. Come la legge della causalità non conduce fuori della causalità empirica (al tradizionale Dio o Assoluto), cosi non conduce fuori del cangiamento. Esenti da mutazione rimangono soltanto la sostanza e le sue qualità originarie, ossia in generale gli elementi, 36 IL CONCETTO DI INFINITO per cui solo sou possibili le variazioni. La causalità è applicabile unicamente ai cangiamenti, di modo che causa di un cangiamento non può mai esser che un altro can¬ giamento, non una cosa come tale. E quindi unicamente l’ideniico che sta a base del vario fenomenico che non à nè causa nè ragione, se non quella almeno che con lo Schopenhauer potremmo chiamare la ragione dell’essere, o di identità: la medesimezza con sè stesso è infatti la ragione della sua eterna esistenza. Dove non c’è varia¬ zione non c’è causa da ricercare; poiché causa non è che la ragion reale del cangiamento. Una variazione che non procedesse in base a qualcosa di stabile è un assurdo. Degli elementi non si dà quindi nè generazione nè cor¬ ruzione alcuna. L’essere non è mai causa; le cause che la scienza rintraccia sono cangiamenti, e le leggi sono la uniformità e costanza del loro succedersi. Tanto l’essere universale quanto la materia e la forza sono fuori della catena causale: non sono per sè causa, si bene la ragione della connessione stessa causale. E cosi l’essere non si può porre quale ultimo anello della causalità; tanto il più remoto fenomeno immaginabile quanto il presente presupponendo l’essere, il fare dell’essere. Un sistema dinamico non può mai per sè stesso ori¬ ginarsi da un sistema statico, come neminanco può a questo passare. Sempre le forze si son misurate a vicenda, ed elementi di esse si son fatti equilibrio ed altri ànno prodotto dei cangiamenti col lavoro meccanico; ed equi¬ librio e lavoro sono sempre stati necessari da una parte per conservare i cangiamenti lenti concretatisi, ossia in generale le forme durevoli, e d’altra parte per alimentare E IL PROBLEMA. COSMOLOGICO. 37 la vicissitudine o la vita nell’essere. Il voler dunque tro¬ vare un principio della mutazione sarebbe lo stesso che credere che la materia una volta non sia esistita. Il sor¬ gere della coscienza a un dato momento nell'universo, che il momento innanzi noi possiamo immaginare come affatto privo di vita conscia, non è uua creazione asso¬ luta, nè rappresenta una infrazione alle nostre leggi della conoscenza. Perchè quell’apparizione della vita conscia noi non l’abbiamo a pensare che come una combinazione di elementi, nè di elementi v'è creazione, poiché essi esi¬ stono eterni. Pensare la combinazione come occasionata dallo svolgersi delle variazioni non à nulla di sovran¬ naturale. Certo la coscienza nella sua natura generale non à causa; ad essa come agli elementi ultimi d’ogni realtà è applicabile soltanto ciò che s’è detta la ragione dell’essere. Altra è però la questione della sua fenome¬ nologia- In questa come nella fenomenologia generale la causalità à il suo regno. Se la coscienza al pensiero si presenta come originata dal nulla, gli è perchè le sue cause, nella loro natura oggettiva materiale, non possono in essa evidentemente comparire. Gli elementi di co¬ scienza, o meglio le disposizioni alla coscienza nella realtà inconscia sono ora come latenti o neutralizzate : una data combinazione materiale ecco ne suscita la luce subitanea. Il sorgere del cangiamento in generale implicherebbe invece una derogazione alla legge fondamentale della mente; noi non lo possiamo in modo alcuno concepire, e la realtà empirica ci costringe ad ammettere il contra¬ rio. Il variabile non è per sè stesso intelligibile senza un identico a sostrato. La identità dell’io come dà ori- Il concetto di infinito 38 gine alla ragione logica cosi la dà a quella del cangia¬ mento reale. Le diiferenze come tali non possono farsi contenuto della coscienza; per esserlo anno a venir rife¬ rite a una totalità identica. Ammesso che cangiamenti potessero avvenire senza conseguire ad altri, verrebbe .a mancare la connessione dei fenomeni secondo leggi co¬ stanti ; il concetto di natura perderebbe la sua unità e la scienza con ciò ogni fondamento. Le leggi del pen¬ siero si incontrano invece con quelle della realtà. È chiaro che come la mente è la condizione inevitabile della esperienza, e con ciò del nostro mondo fenomenico, cosi le sue leggi o funzioni generali devono anche di quello esser leggi a priori, o assolutamente valide indi¬ pendentemente da ogni esperienza. Ciò non toglie tutta¬ via che coteste leggi possano venir trovate, come vengo¬ no in realtà, consone alla natura propria delle cose, ossia non imposte loro direi quasi arbitrariamente, perchè nelle cose sono le stesse leggi quantunque impensate. Che anzi in riguardo al fatto dell'esperienza, in riguardo alla u- nità sistematica della scienza e dell’essere, potrà trovarsi necessario di veder nelle leggi che la coscienza applica a priori alle cose nuli’altro che un riverbero o meglio null’altro che l’espressione soggettiva delle determina¬ zioni autonome della stessa realtà inconscia. Ponendo un principio del tempo reale e con ciò un cominciamento delle causalità non si sfugge d’ altronde alla domanda : e perchè non prima ? Se il primo cangia¬ mento non ebbe causa, o perchè è esso avvenuto solo, mettiamo,parecchi quadrilioni di secoli fa?È vero che non si ammette una causa che l’abbia chiamato all’esistenza, ma E IL PROBLEMA COSMOLOGICO. 39 nemruanco si dice che qualche cosa l’abhia impedito di nascere prima. Per questo, per quanto lo si allontani dal presente, esso riesce sempre troppo vicino. Richiamarsi alla originarietà dell'essere come fa il Duliring (1), alla sua effettività indipendente da ogni pensiero e da ogni ragione, richiamarsi alla natura della realtà inconscia, cui il pensiero non può mai ricevere completamente in sè stesso, mai fondare in senso assoluto, ma soltanto am¬ mettere come fatto, non è permesso quando intanto alla stessa effettività della natura impensata dell’essere evi¬ dentemente si contraddice. Si contraddice, dico, poiché, lasciando da parte l'analogia del pensiero che ammesso il cangiamento non sa vedere come esso possa originarsi in modo assoluto, noi non abbiamo in realtà conoscenza alcuna di un cangiamento cui un altro non preceda, ti¬ gni cangiamento che apparentemente si presenta come tale — il nuovo nell’evoluzione — noi lo riduciamo è vero alle forze o forme, agli elementi costanti dell’essere de’ quali non c’è ragione a domandare; ma il perchè della loro manifestazione appunto in un tale momento e non in altro, è nell’ininterrotto cangiamento collaterale, occa¬ sionai e in rapporto a quello. Ben possiamo invece ri¬ chiamarci noi alla assoluta autonomia della realtà, che nulla ammettiamo contro il suo reale manifestarsi, quando diciamo che in senso assoluto non c’è una ragione del perchè quest’oggi, poniamo, sia proprio ora e non sia già stato in passato o non abbia piuttosto a venire in futuro, che v’è tanto poco ragione di questo suo essere (1) Logik. il, Wi-scnschaftsftheorsie, p. 191. 40 IL CONCETTO DI INFINITO presente che della esistenza stessa universale : dacché come questa non à inai avuta fuori di sè la ragione del suo essere, così nemmanco il suo fare, il suo divenire in¬ terno. In qualunque punto del tempo noi fissiamo l’essere, non lo troviamo mai privo di determinazioni, perchè que¬ ste sono autonome; e dal suo stato in dato momento di¬ pende ogni sua ulteriore evoluzione ; come però non c’ è un momento in cui l’essere non sia,nemmanco ve n’è uno in cui esso non abbia un suo stato determinato. E cosi che del divenire v’ è sempre la ragione in un divenire anteriore, ma del divenire in senso assoluto, v’è tanto poco un perchè quanto dei suoi durevoli elementi. In ciò che esiste è la ragione di ciò che esisterà ; in ciò che à esistito la ragione di ciò che esiste. Nella origina¬ ria nebulosa è la ragione dell’attuale disposizione del si¬ stema nostro solare, ed in altri processi cosmici ebbe essa stessa la sua origine, i quali se la scienza non può oggi rintracciare, non è però assolutamente impossibile che un giorno ella trovi, e che ad ogni modo sono ne¬ cessariamente avvenuti. 7. Il cangiamento non à dunque avuto principio. Ed ecco appunto dove sorgono specialmente gravi, e a molti filosofi son parse insormontabili, le difficoltà del proble¬ ma cosmologico del tempo. Si è sempre trovato (1), e ( 1) Cusanus, Opera, Complementura theologicum, c.ap. 8, p. 1113: «Si enim numerare possumus decem revolutiones praeteritas, et centum, et mille, et omnes ; si quis dixerit non omnes esse numcrabiles, sed practeriisse infinitas, et dixerit imam futuram revolutionem in futuro anno, essent igitur tunc infinitae et una, quod est impossibile. „ — Bacone, Novum Organimi , odi/.. Fcllow, p. 224. Lib. I, 48 : « Ne- E IE PROBLEMA. COSMOLOGICO. 41 Kant è il filosofo che più vi à attira’ o l'attenzione, che ponendo la mancanza d’ogni principio nella serie regres¬ siva delle cause, si viene conseguentemente ad ammet¬ tere che un’infinità di cause si sia esaurita, una infinità di cangiamenti sia realmente tutta trascorsaci che con¬ traddice al concetto di infinito, ed è quindi assurdo ac¬ cettare. Non solo Ivant, ma anche, tra gli altri, il più acuto forse dei filosofi post-kantiani, il Duliring (1) à trovato qui una insuperabile contraddizione, ed è stato da essa spinto a stabilire che il cangiamento nel mondo abbia ad un dato punto cosi casualmente senza ragione alcuna avuto un assoluto principio nell’essere, cosa evi- quc.cogitari potest quomodo seternitas dofluxerit ad lume diem; cum distinctio illa, quae recipi consuerit. quod sit in¬ finitum a parte ante et a parte post, nullo modo constarò possit; quia inde sequeretur quod sit unum infinitum alio infinito maius, atque ut consumetur infinitum et vergat ad finitum. » — Hobbes, il quale dichiara insolubile la questione dell’ infinito in riguardo al problema cosmologico, ammette tuttavia cautamente la infinità del tempo nel passato e non si lascia ritenere dalla contraddizione di un infinito mag¬ giore di un altro che sarebbe data dalla relazione dell’infinito passato a momenti diversi della serie temporale. Non sa però pensar l’infinito assoluto in modo razionale poiché crede di vincere quella supposta contraddizione obbiettando: « similis demonstratio est siquis ex co quod numerorum parinm numerus sit infinitus, totidem esse conclu- deretur numeros pares quod sunt simpliciter numeri, id est pares et impares simul sumpti ». De corpore IV, c. XXVI, 1. - La impos- sib lità del « regrcssus in infinitum in causis efficienticibus » era un prin¬ cipio riconosciuto della scolastica. È vero però che gli scolastici lo fa¬ cevano ancor più che a dimostrare un principio del tempo, o, secondo loro, del mondo, servire a dimostrare (seguendo Aristotele nella sua dimostrazione del primo motore) la necessità di una prima causa as¬ soluta. ossia ontologica. Cfr. il libro apocrifo II c. 2 della Metafisica di Aristotele, secondo il quale non solo la serie dell* cause nel pas¬ sato, ma anche quella del futuro sarebbe contraddittoria. (1) Cursus der Philosophie, Lo./ik. luoghi citati. 42 • IL CONCETTO DI INFINITO dentemente assurda, e tanto più per chi come lui è sur un terreno affatto critico e scientifico. Io trovo al con¬ trario che la illimitatezza della serie regressiva dei can¬ giamenti si lascia senza contraddizione alcuna concepire infinita o, più propriamente, assolutamente infinita. 11 Dtlli- ring, non à compreso come l’infinito assoluto possa at¬ tribuirsi anche a ciò che è per sé numerabile. E cosi alla infinità dei cangiamenti nel tempo ritroso, che è l’u¬ nico caso dove una tale applicazione sia necessaria, egli à fatto invece quella ingiustificata della sua manchevole legge del numero determinato. La difficoltà da me superata sta in questo, cui nes¬ suno, per quanto io mi sappia, à mai badato sin’ora (I): i cangiamenti infiniti di cui si discorre non involgono contraddizione perchè essi non sono nè furono mai dati come totalità, ossia come complesso di una serie infinita. Acciò la contraddizione esistesse, bisognerebbe che s’am¬ mettesse tacitamente un principio del cangiamento. Di fatti altrimenti nell’ assenza d’ ogni principio come si può dire : ora, in questo momento si è esaurita uua se¬ rie infinita di cangiamenti ? Ma da quando dunque ? Si pensa con un tratto indefinito di tempo di avvi¬ cinarsi di più all’ infinito del passato (2), mentre in- (1) Questa soluzione è gù\ brevemente enunciata nella mia Lettera filosofica a I Simirenko, Torino, Roux 1890, p. 15 (2) Schopenhauer, Parcrga u. Paralipomena 0“ cdiz. I, ILI : . Wenn cin erster Anfang nicht gewesen wure, so tornite die jetzige reale Gegenwart nicht erst, jetzt seyn, sondern wiire schou liingst gewesen, dcnn zwischen ihr und dem ersten Anfange miisscn mir irgend einen. jedoch bestimmten und begriinzten Zeitraum annehmen, der min aber, wenn wir den Anfung liiugnen, d. h. ihn ins Unendliclic hinaufruckén, mit hinaufriickt », ecc. ecc. E tL PROBLEMA. COSMOLOGICO. 43 vece noi ne rimangbiaino sempre alla medesima distanza. Qualunque punto del tempo si scelga, anche milioni di milioni di secoli addietro nel passato, noi siamo sem¬ pre tanto vicini lo stesso all’infinito di prima. Come noi per quanto risalghiatno addietro non possiamo esaurire l’infinito che fu, cosi non dobbiamo inavvertentemente ammettere che l'essere sia ne’ suoi cangiamenti partito da un punto per quanto distante da noi. Poiché in realtà ogni e qualunque suo cangiamento ne à sempre avuti dietro a sè una stessa infinità di altri. Non è che l’es¬ sere avendo dovuto compiere i cangiamenti in senso in¬ verso di quello che noi tenghiamo nell’abbracciarli venga con ciò ad aver esaurito una infinità di variazioni. Il tempo nella sua durata bisogna considerarlo analoga¬ mente a una retta che in una direzione è assolutamente infinita e nell’altra in ogni momento terminata, ma pro¬ lungabile a piacere all’infinito. Come non implica con¬ traddizione far terminare a un punto una linea assolu¬ tamente infinita, cosi non la implica il passato assoluta- mente infinito che si termina nel presente e può prolun¬ garsi senza limite nel futuro. L’errore di Kant e del Diiliring e di tanti altri sta nel credere che posta la serie regressiva infinita si ab¬ bia con ciò una totalità infinita. L’infinito passato in¬ vece non è nè può essere un tutto, e non ammette quindi alcuna determinazione numerica, pur contenendo in sè ogni numero. Tale infinità non involge, come crede il Diihring, l'assurdo di una contata (o percorsa , come direbbe Kant) serie infinita (den Widerspruch einer abgezàblten unen- dlicher Zalilenreihe) ; in qual modo potrebbe una tal se- 44 IL CONCETTO DI INFINITO rie esser contata ? Non s’accorge il Diihring che con ciò egli ammette già quello che ei vorrebbe dimostrare, os¬ sia un principio del tempo reale ? In verità è quella serie non contata, ma innumerata e innumcrabilc , ciò che detto di un infinito non inchiude punto contraddi¬ zione. Il moto non à principio nel tempo, e: sino a un punto qualunque del tempo è trascorsa una infinita se¬ rie di cangiamenti — non si equivalgono esattamente. Con è trascorsa si vorrebbe tacitamente porre come dato ciò che è impossibile a darsi. Di fatti la contraddizione scompare subito che si dice : la serie dei cangia¬ menti nel passato è infinita. É trascorsa sembra rin¬ chiudere l’idea di un punto iniziale della serie, dove (die i cangiamenti non si possono considerare un tutto o come serie completa senza contraddire al concetto di ogni assenzadiprincipio. Una infinità di cangiamenti, unainfinità di momenti del tempo non è trascorsa, sibbene l’infinito trascorre sempre, e in ogni momento è esistitala serie dei processi La successione perpetua è appunto la forma della infinità del tempo. Se si dice che l’infinito è trascorso si scambia, a jiarlar esattamente, il suo concetto, ponendo in vece sua quello del finito, o almeno si combinano in¬ sieme due concetti incongruenti. Poiché ammettendo che una infinità di movimenti è trascorsa o s’è esaurita nel passato, noi raduniamo in un tutto ciò che per sua natura non può mai venir radunato. Il concetto di in¬ finito e quello di totalità sono incommensurabili. Una totalità è sempre raggiungibile con una sintesi succes¬ siva delle sue parti, non cosi 1’ infinito. Diciamo invece: le serie dei cangiamenti del passato è infinita — quale K IL PROBLEMA COSMOLOGICO. 45 contraddizione nel pensare che ogni cangiamento avve¬ nuto è stato preceduto da un altro ? Dov’è qui l’assurdo di un tatto infinito che avrebbe dietro a sè ogni momen¬ to del tempo ? I fenomeni per sè non suppongono se non i fenomeni che immediatamente li precedono ; e come non c’è qui contraddizione, cosi per quanto noi ci traspor¬ tiamo addietro nel tempo, mai la troveremo. (1) Come à fatto il tempo reale a giungere all’ ora presente dall’infinito ? È potuto giungere dall’ infinito perchè non è mai partito. Se fosse a un dato punto par¬ tito non sarebbe potuto giungere. E tanto concepibile 1’ infinito verso il quale tende la serie che quello dal quale essa procede ; nell’un caso e nell’altro si deve solo avvertire di non fare un insieme o un complesso di ciò che non è mai dato come tale, ossia un insieme in cui ogni momento dell’ infinito fosse anticipatamente com¬ preso. Kant nell’antinomia (2) spiega dapprima egli stesso che l’infinità di una serie consiste nel non poter questa venir mai compiuta per mezzo di una sintesi successiva e che il concetto di fatalità non è altro che la rappre¬ si) Lo Schopenhauer à creduto di sciogliere il sofisma Kantiano con un altro sofisma, distinguendo tra assenza di principio e infinità del tempo. Egli cosi infatti obbietta alla tesi della 1“ antinomia : « Ue- brigens besteht das Sophisma darin, dass statt der Anfangslosigkeit der Reihe der Zustànde, ivovon zuerst die Rede, plutzlich die Endlosigkeit (Unendliclikeit) derselben untergeschoben und nun bewiesen wird, was Xiemand bezweifelt, dass dieser das Vollendetsein logisch widerspreclie und dennocb jede Gegenwart das Ende de Vergangenheit sei. Das Ende einer anfangslosen Reilic làsst sich aber immer denken, oline ihrer Anfangslosigkeit Abbruok zu tbun : wic sich aneli umgekehrt der An- fang einer endlosen Reihe denken làsst. » Die AVelt als Wille ecc. G‘ ediz. I, 58G-87. (2) Kritik der reinen Venunft, ediz. Kirchmann p. 3G4, 3GG, 3G0. 4G IL CONCETTO DI INFINITO sentanone della sintesi completa delle sue parti. Dun¬ que anche secondo lui dovrebbe il concetto di totalità non esser applicabile ad una serie infinita. Tuttavia per dimostrare che le cose coesistenti non possono essere in¬ finite, alla loro infinita sostituisce egli appunto il con¬ cetto contradittorio di un tutto infinito ; ed à bel giuoco nel rigettare quindi un tale assurdo. Ecco la sua dimostra¬ zione . un tutto infinito per venir pensato tale dovrebbe lasciarsi esaurire per mezzo di una sintesi successiva ; ma l ’infinito non può mai venir cosi esaurito, dunque una totalità infinita di cose coesistenti non può con¬ siderarsi come data. Insomma dice Kant : una infinità non potrebbe venir numerata ossia non potrebbe esser finita, dunque non può esser data; vien rigettato l’infinito semplicemente perchè è altra cosa che il finito. — Non 1 infinito per sè, solo l’infinito nel finito è realmente un assiudo, poiché come tale dovrebbe esser necessaria¬ mente dato tutto. Ogni insieme di cose deve perciò con¬ tenere soltanto un numero finito di elementi numerabili. Ma quanto al temilo non c’è ragione di negarne la infinità ; numerabili sono i processi da un punto a un altro della serie, non la serie stessa in senso assoluto, perchè ella non è mai data come un tutto, Is eli infinito assoluto o transfinito che è proprio del tempo, non abbiamo più veramente una grandezza ma 1 assenza di essa, poiché è data la necessità della man¬ canza di un limite nel regrèsso, ed una tale mancanza è oggettivamente mallevata come nello schema spaziale della mente essa lo è soggettivamente. La ragione della infinità dello schema spaziale, come di quella della serie E IL PROBLEMA COSMOLOGICO. 47 dei numeri sta nel soggetto ; la infinità invece della se¬ rie causale à la sua ragione nell’ oggetto o nella realtà estramentale. E appunto solo nell’infinito del tempo pas¬ sato che si lascia necessariamente attuare un significato reale del transfinito. Poiché una simile illimitatezza as¬ soluta è bensi anche dello spazio, ma soltanto dello spa¬ zio ideale o matematico, in quanto questo viene ogget- tivato e lo possibilità che realmente è solo nella funzione mentale vien naturalmente considerata come oggettiva e per sé esistente indipendentemente da noi. L’infinità del passato non à, come tale, determinazione alcuna quanti¬ tativa, non si lascia esprimere col numero ; in essa è invece ogni numero e può porsi ogni determinazione ri¬ manendo ella assolutamente indeterminata. Cosi la di¬ stanza di due punti nel tempo, per quanto grande la si immagini, se si à riguardo alla sua relazione all’infinito del tempo anteriore, non significa nulla per questo ap¬ punto che l’infinito assoluto essendo propriamente la negazione di ogni grandezza nel grande non può venir posto in relazione con altre grandezze. La nostra fan¬ tasia non può correre che all’ infinitamente grande del passato ; solo la mente ne intende la infinità assoluta. Della seriedel tempo non possiamo ottenere una as¬ surda totalità ; per padroneggiare quella bisogna uscire dal cangiamento e volgersi al fondamento della infinità temporale, ossia all’essere come presente in ogni mo¬ mento e come fonte d’ogni possibile. Meravigliarsi che la più grande grandezza immagi¬ nabile non sia più vicina all’infinito assoluto che la più piccola, è analogo al meravigliarsi che la più ampia co- 48 IL CONCETTO DI INFINITO noscenza dei fenomeni non arrivi più vicino alla cosa in sè che la conoscenza più limitata. Qui come là si tratta di una differenza qualitativa che nou si lascia esaurire pei \ aiiazioni di quantità. L apparente paradosso che con una comunque grande grandezza non s’è mai più vicini che con altra infinitamente minore al transfinito, riposa in questo, che le due grandezze vengono riferite a quello senza mantenere di esso il giusto concetto, ma consideiandolo invece come una quantità determinata; nel qual caso sarebbe veramente un assurdo dire che da esso disti ugualmente un dato punto e un altro che fosse prima o dopo di questo. Come nel transfinito del passato non c è assolutamente un termine, cosi esso non è rag¬ giungibile in alcun modo; dunque tutte le grandezze sono per riguardo ad esso insignificanti. Parimenti è un assurdo credere di poter addizionare una unità al tran¬ sfinito ; si può solo addizionarla al finito. I/accresci— mento esisterà pertanto in riguai do ad un segmento fi¬ nito di retta, ma non in riguardo alla retta stessa nella sua infinità. In una retta infinita nelle due direzioni è indifferente il far la divisione più in un punto che in un altro da quello lontanissimo ; le due rette risultanti sono sempre lo stesso transfinito e con ciò sempre uguali. Nella retta co’__a _ b _ m rx - A — Aoo e oo’B ossia ( co’A-H AB ) — B oo uguale cioè (A oo — AB). Si vede cosi contrariamente alla dottrina del Cantor (1) (1) Dice il Cantor che: “ Zu einer unendlichen Zalil, wenn sie als bestimmt und vollendet gedacht wird, selir «ohi cine endliche hinzu- gelugt und mit ihr vereinigt werden kann, oline dass kierdurch eine Aufhebung der letzeren bewirkt wird ; nur der umgekerte Vorgang, die llinzufugung einer unendlicker Zahl zu einer en dlicbcn, wenn diese E IL PROBLEMA COSMOLOGICO. 349 che oo-t-1 ( <> —J— 1 secondo la sua notazione) non è mag¬ giore di <», nè 1-f-o è differente da essendo co’A + A B = A B + oo. Non v’è infinito maggiore d'al¬ tro infinito: tanto sarebbe infinito il tempo ritroso se la serie dei cangiamenti fosse terminata migliaia di secoli fa, quanto se esso continui all’infinito a trascorrere an¬ cora. Il passato si può misurare tanto a minuti che a secoli, e dirlo eguale, se fosse lecito così esprimersi, a numero infinito di minuti o a uno infinito di secoli; non pertanto sarebbe sempre lo stesso infinito nè più nè meno. E la ragione di ciò è che la quantità transfinita non è misurabile. La immensità supera ogni numero, come direbbe Spinoza. Nella infinita serie delle cause è da pensarsi un nu¬ mero di esse (se tale può chiamarsi), maggiore di ogni numero assegnabile ; oltre ogni raggiungibile anello la natura ne offre costantemente altri ulteriori. Nella na¬ tura la contraddizione non può esistere ella non ef¬ fettua il passaggio che da un momento a un altro ; e questo passaggio non può farsi attraverso l’infinito. Per quanto noi risalghiamo all’indietro nella serie causale, come non troviamo contraddizione pel pensiero, cosi non la troviamo nella realtà. Essa ci offre sempre e solo un ziierst, gesetzt wird, bewickt die Anfhebung der letzeren, ohne dass eine Modification der ersteren eintritt. „ (Grundlagen ecc. p 11); e più oltre (p. 14): “Ist co die erste Zalil der zweiten Zalilenelasse, so iiat man: 1+01=10, dagegen u> 4 .i-=(coq-l), wo (co- 1 - 1 ) eine von co durchaus ver- schiedene Zahl ist. Aiif die Stellung des Endliclien konmtes also alles an.„ Una tale inapplicabilità della legge di commutazione ai numeri tran¬ sfiniti dovrebbe pel Cantor servire inoltre a dimostrare come tali nu¬ meri debbano poter essere e pari e dispari insieme o anche nè pari nè dispari. (Id. p. 15). 50 If, CONCETTO DI INFINITO. dato cangiamento e la sua causa. II fenomeno non ri¬ chiede per la sua spiegazione la totalità della serie delle cause anteriori, si bene soltanto la causa immediata¬ mente antecedente; e il principio di ragione domanda uni¬ camente la immediata condizione e non una totalità di condizioni. In quanto la stessa richiesta si rivolge suc¬ cessivamente alla causa della causa e cosi via all’infi. nito, si viene a domandare costantemente una nuova con¬ dizione e questa è un nuovo membro della serie e niente di più. Al tempo è essenziale la posizione in atto di un solo momento. Fatta astrazione dai cangiamenti, e supposto l’essere affatto immoto in una rigida stabilità assoluta, noi lo poniamo però sempre in qualunque punto del tempo ideale che noi fissiamo ; la sua esistenza la poniamo cosi ne¬ cessariamente infinita nel passato. Or come può nascere la contraddizione se noi in uno qualunque di questi punti pensiamo invece l’essere universale nel flusso del can¬ giamento? Assurda è la posizione di un tutto infinito, quale non può qui esser dato, poiché la successione per¬ petua è la forma dell’infinito del tempo; noi abbiamo qui una serie che in riguardo al nostro procedere a ri¬ troso nel tempo da fenomeno a fenomeno è infinitamente grande, e per sé è transfinita come la tangente dell’an¬ golo di 90° (1). (1) Il Wundt è condotto a credere (Philos., Stadie„ II, 520. Kant’s kos- mologuchen Antinonien n.das l’roblem dea Unendl.) che l’applicazione de concetto di transfinito non sia possibile nel problema cosmologico del tempo. Egli crede un tal concetto trascendente, che invece non è e cosi gli viene a mancare un concetto che esprima la infinità ogget¬ tiva ossìa 1 eternità del processo della natura. Il concetto limite del E IL PROBLEMA. COSMOLOGICO. 51 in. 8. Kant credette che la sua dottrina della idealità del tempo e dello spazio o della transcendentalità in generale, spiegasse la supposta antinomia del problema cosmologico, e rendesse con ciò inutile e vana la ricerca di una soluzione. Ma appartenga o no il tempo e lo spazio al reale in sè, riman sempre tuttavia la questione se questo, che Kant non può a meno di accettare, si abbia a pensai’e come fondamento di un mondo fenome¬ nico finito ovvero di uno infinito. Non vale rispondere che la serie regressiva delle percezioni nostre non può essere realmente infinita perchè come tale impossibile, e neppure finita perchè nessun limite dei fenomeni può venir concepito come assoluto, e dichiarare con ciò insolubile la questione. Dacché l’oggetto trascendentale condiziona realmente, come egli ammette (1) un determinato regresso empirico, per un esempio nell’ordine dei corpi celesti ; doveva Kant pur ammettere che rimaneva sempre a ve- regresso infinito (o a dir proprio infinitamente grande) non è già un concetto trascendente della creazione quale dovrebbe, secondo il Wundt, accettare ogni spiegazione filosofica della natura (v. Wundt, Ueber das Posmolog. I roblcm, Yiertelsjahrszeitscb. I, 128); quel suo concetto limite nuli’ altro è invece appunto die l’infinito assoluto del tempo oggettivo, in base al quale è possibile il nostro infinito (infinitamente grande) regresso. Il non aver considerato l’eternità del fare della natura, e specialmente il non aver badato die l’in¬ finito regresso è in realtà per la natura un perpetuo progresso, il cui concetto non può venir altrimenti pensato che per via del tran¬ sfinito, 6 stata la causa per cui il Wundt concepì il tempo passato sotto il concetto deH’intinitamente grande concordando in fondo col Kant, come il Lasswitz si trova in questo d’accordo con lui. (L. Ein Beitrag zum Kosmol. Proli. Viertels. I, 343). (1) Kritik der reinen Vermnft, ediz. cit., 428. 52 IL CONCETTO DI INFINITO dere se l’oggetto trascendentale determinasse un possibile regresso finito od influito (11. Perchè se per lui tuttii processi compiutisi da tempo remotissimo ad ora non si¬ gnificano altro che la possibilità deirallungamento della catena dell’esperienza dalla percezione attuale indietro alle condizioni che la determinano nel tempo; pure egli, per ciò che s’è sopra citato, non può negare che il pos¬ sibile regresso delle nostre percezioni secondo le sogget¬ tive leggi della mente, non supponga un regresso ogget¬ tivo determinato dalla realtà inconscia indipendente¬ mente da ogni esperienza (2). Trasportati a indefinita distanza dal nostro sistema solare, avremmo noi sempre ancora nuove percezioni? E cosi, trasportati indefinita¬ mente addietro nel tempo vedremmo noi necessariamente sempre nuovi cangiamenti? Poiché la nostra necessaria produzione dello schema dello spazio e del tempo, non potrebbe per sè far si che noi avessimo nuove percezioni dove l’oggetto trascendentale non le condizionasse e si mostrasse con ciò finito. Lo spazio e il tempo ideali non sono per sè garanti di una corrispondente possibile per¬ cezione. Non una necessità del nostro concetto a priori del tempo, ma il principio di causalità richiede la infinità della serie regressiva dei cangiamenti. Poiché non si può conchiudere la mancanza di un principio del tempo (1) Cfr. Schopenhauer, Parerga, I, 112-113. (2) “ Die wicklichen Dinge der vergangenen Zeit si nel in dm tran- scendentaien Gegenstand der Erfahnmg gegeben ; sie sind aber ftir mieli nur Gegenstànde und in der vergangenen Zeit wicklich, sofern als ich ecc. „ ild. p. 4!0). — Saranno però dunque sempre non null’altro, come dice Kant poco sotto, ma qualcosa di più della possibilità dell’allungamento della catena dell’esperienza dalla presente percezione indietro alle condizioni che la determinano nel tempo. E IL PROBLEMA. COSMOLOGICO. 53 da questo, che ogni limite è necessariamente da noi pensato come relativo. La relazione di termine e termi¬ nante è infinita come quella di soggetto e oggetto ; per¬ ciò appunto vuota ; essa nulla può aggiungere al conte¬ nuto reale cui viene applicata. Come il pensiero dell’es¬ sere impensato, che è la forma in cui comprendiamo il reale, nulla toglie alla realtà estraraentale od in sè della cosa, allo stesso modo la relazione mentale di limite e limitante non può evidentemente mettere nella realtà il suo secondo termine se nella realtà non è dato. Questo secondo termine, il limitante, rimane, se si astrae da ogni altra considerazione, un puro complemento ideale (1). 9. Il Riehl non seppe neppur egli superare o scio¬ gliere la falsa contraddizione che Kant e Dtihring, per non dir che di loro, credettero inchiusa nella concezione di una serie regressiva infinita di cangiamenti. Visto che la contraddizione stava nel concetto di una infinità la quale quei filosofi avevano pensato necessariamente (1)11 Hamilton il quale (Lcctures un Metaphysics, lettura38; On logie I, p 101-104) segue Kant nelle antinomie, non giunge che a questo ri¬ sultato, di pensare in riguardo all’infinito del tempo e dello spazio, che se la ragione non ci fa piegare necessariamente nè da una parte nè dall’altra, pure in realtà il tempo e lo spazio dehban essere o finiti o infiniti. (Cfr. del resto l’acume (!) del Mill nella sua confuta¬ zione del Hamilton, La philosnphie de IL, cap. VI, p. 90). Ho Spencer poi, che à fatto la sua più alta educazione filosofica presso del Hamilton appunto e del suo scolare Mansel, seguendo il maestro dichiara que¬ stioni insolubili tanto quella riguardanti l’infinità del tempo e dello spazio che quella della divisibilità della materia e altre ancora. Egli pensa, cerne è noto, che i concetti di spazio, di tempo, di moto, di materia e di forza si mostrino in ultima analisi inconcepibili e ci la¬ scino sempre del pari nell’alternativa tra due opposte assurdità, Vedi cap. Ili, § 15-18 e cap. IV dei First Principles, la quale io stimo certo l’opera più infelice del filosofo inglese. 54 IL CONCETTO M INFINITO data come totalità, egli pensò di sfuggirla col negare la numerabilità o la reale distinzione e indipendenza nu¬ merica nella catena delle cause e delle variazioni (1). Numerabili, dice egli, sono le cose, non i processi. In quanto le cose sono od appaiono spazialmente divise, deve è vero valere ciò die il Duhring à formulato come legge del numero determinato; ma altrettanto, séguita il Kiehl, è certo che quella presupposizione non vale per i processi temporali. Questi non sono, secondo lui, per sé stessi distinti numericamente : è solo per la nostra di¬ stinzione mentale che essi ottengono una tale determina¬ tezza. Un argomento dunque che vale per il numero non può senz’altro venir applicato al tempo, poiché mancano in questo per sé considerato e non riferito allo spazio, degli effettivi processi indipendenti, separati l’uno dal¬ l’altro, o posti insomma come numerabili. Noi possiamo distinguere dei processi nel tempo soltanto in determi¬ nato numero finito, nessun processo è però indipendente (1) Il Itielil (Ber phUosopliischc Kriticismus, li. 12f>) inclinava dap¬ prima decisamente a porre col Duhring un principio del cangiamento. Soltanto nella 2“ parte del 2° tomo, uscita è vero quasi un decennio dopo, tormentato dalla necessità del principio di causalità cangiò opi¬ nione (quantunque non lo abbia fatto notare egli stesso esplicitamente); ma per uscire dalla presunta contraddizione dell’ infinito regresso, pensò, al contrario di prima, i processi come assolutamente, e con ciò assurdamente continui. V. id. II, 124, 12C, 1S4. 185, 2n8; cfr. Ili, 304, 307. Si vede del resto evidentemente clic il Riehl oltre aver cangiato di parere, non ò nemmanco ancor ora troppo certo della sua nuova teo¬ ria; poiché la tratta troppo brevemente e troppo alla larga, come se gli scottasse di dover render più minuto conto di ragioni che a lui stesso non possono parere troppo convincenti Ciononostante l'opera sua e specialmente la seconda parte del secondo tomo è un lavoro filosofico non solo di grande valore, ma anche molto attraente, il che è una cosa assai rara. 1C II, PI10HI.EMA COSMOLOGICO. 55 e distinto da quello che immediatamente lo precede o segue. — Il Rielil, non sapendo come uscire dalla sup¬ posta contraddizione à dunque rinunciato a concetti di cui l’esatto pensiero scientifico non sa nè può lare a meno, senza che ciò del resto gli abbia giovato per la elimi¬ nazione della temuta assurdità come più innanzi vedremo. La questione dell’infinito riguarda tanto il tempo che lo spazio. Solo si à sempre a distinguere tra l’esistenza loro ideale ; cioè il loro schema mentale, e la loro esi¬ stenza reale. Non numerabile possiamo noi solo pensare lo spazio ideale, lo spazio o l’estensione materiale dob¬ biamo invece necessariamente porla numerabile : poiché estensione reale è coesistenza, e la continuità assoluta non può essere reale ma soltanto ideale ; altrimenti essa inchioderebbe la contraddizione dell’infinito compiuto nel finito, chè senza parti è solo il continuo della rappre¬ sentazione. Porre la continuità assoluta come effettiva è non spiegar nulla e mettere il mistero nella realtà, ri¬ nunciando a comprenderla. L’irriducibile noi lo dobbiamo soltanto rilegare negli atomi sia dello spazio che del tempo reali. I tropi degli Eleati non valgono meno con¬ tro il continuo del tempo che contro quello dello spazio; non meno contro lo spazio percorso da un pendolo in una oscillazione, che contro il tempo in questa impie¬ gato. In parti ultime non si può dividere il tempo nè lo spazio ideale, perchè essi nè sono composti nè si ori¬ ginano da una sintesi di parti, come in fatti non pos¬ sono venire analiticamente scomposti in ultimi elementi semplici, e sono conseguentemente l’uno e l’altro divisi¬ bili all’infinito ; ma non è cosi del tempo e dello spazio leali, dove la natura viene necessariamente aH'atto. IL CONCETTO DI INFINITO 60 Dice il Hiehl che solo il nostro intelletto scompone l’accadere temporale in singoli processi, e che questi solo per ciò ci appaiono indipendenti, che partono da cose spaziali e si trasmettono ad altre cose nello spazio (id. Ili, 280, 287, 309). Un processo secondo lui può aver indipendenza solo perchè vien riferito alle cose nello spazio e non al tempo unicamente. Ma è naturale che tutti i processi siano nel mondo materiale (e non vengano soltanto da noi) schematizzati per dir cosi nello spazio, poiché essi non sono altro che cangiamenti della realtà spaziale, e unicamente i processi della coscienza in sè considerati possono venir riferiti al tempo come tale senza riguardo allo spazio. Difatti non pensa ora il Rielil che sia concepibile una materia assolutamente continua come lo spazio mentale, ossia non costituita da atomi ? (v. id. Ili, 307 ; cfr. II, 278 e 284). Anche della materia allora si dovrebbe dire che gli elementi distinti solo la nostra mente li pone. Come può egli dun¬ que affermare ripetutamente che soltanto la riferenza dei processi temporali allo spazio ci faccia considerar questi come distinti e per sè numerabili? Voler negare la nu¬ merabilità nel tempo reale o ne’ suoi processi dovrebbe al contrario anche secondo il Riehl esser lo stesso che negare nello spazio gli atomi o le cose ossia gli aggrup¬ pamenti durevoli degli atomi. Ogni grandezza nella realtà à parti elementari, non esclusi i cangiamenti; un certo gi’ado di cangiamento è una somma di successivi cangiamenti minimali. Ma il pensiero come per istinto sembra rifuggire dalla conce¬ zione dell’atomo o minimo temporale, perchè colla de¬ terminatezza scompare quel che di vago e di nebuloso E ir, rKOBI.EMA COSMOLOGICO. 57 die altrimenti conserva la concezione (lei tempo, e per cui la mente non avverte o avverte assai meno la inin¬ telligibilità di quello. Colla posizione dell'atomo o minimo, la natura non più oltre scrutabile del tempo si affaccia bruscamente all’intelletto. Il tempo come rappresenta¬ zione rimane naturalmente strettamente continuo pur es¬ sendo discreti i processi reali, cliè la sua continuità as¬ soluta ideale è una proprietà necessaria dipendente dalla natura della coscienza, la quale tra due processi per quanto infinitamente vicini interpola pur sempre la sua unità. Non c’è un minimo concettuale del tempo come c’è invece e si richiede il minimo reale. I n minimo nella rappresentazione del tempo sarebbe un punto inesteso, e considerarlo come elemento della durata tanto varrebbe quanto rendere impossibile il concetto di questa (1). Non deve più urtarci l’accettar gli atomi, o meglio la concessione atomistica, per la materia, che accettarla in riguardo alla forza e al cangiamento. Non crediamo siano più intelligibili gli elementi materiali che quelli del divenire. La facoltà nostra mentale di pensare gli (1) Lo Schopenhauer trattando nella “ Quadruplice radice del prin¬ cipio di ragione „ (p 93-96) del tempo del cangiamento, mette in piena e con ciò stridentissima luce il concetto ch’egli à della continuità assoluta del tempo, quale egli trova acutamente espresso presso Ari¬ stotele. “ Come tra due punti v’ è ancor sempre una linea, dice egli, così tra due ora vi è ancor sempre del tempo. È questo il tempo del cangiamento ; esso è come ogni tempo divisibile all’ infinito e per con¬ seguenza il cangiamento percorre in esso un numero infinito di gradi per i quali dal primo stato nasce a poco a poco il secondo. „ Egli conchiude con Aristotele dalla infinita divisibilità del tempo, che ogni contenuto di esso e con ciò ogni cangiamento, o il passaggio da uno stato all’altro deve essere infinitamente divisibile, e che dunque tutto- ciò che diviene s’origina in fatti da punti infiniti. 58 IL CONCETTO DI INFINITO atomi come ulteriormente divisibili vale per tutti e due gli ordini senza diminuire perciò la necessità che à la mente di ammetterli. Quel sentimento direi quasi di disagio clic par darci questa necessità, non è in fondo che ca¬ gionato da quella nostra come ripugnanza a riconoscere che l’analisi mentale della realtà deve a un dato punto arrestarsi. La mente deve arrivare ed arriva, ad elementi i quali non sono più oltre scomponibili, altrimenti il reale potrebbe sciogliersi nel pensiero.La divisibilità ideale non porta con sè una reale divisione. Solo il tempo ideale può venir diviso a piacere all' infinito, e non à quindi elementi numerabili, ma il tempo reale col suo vario con¬ tenuto fenomenico è di sua natura numerabile; quantun¬ que noi, come ci accade per gli atomi della materia, non arriviamo direttamente a’ suoi elementi. Non meno delle cose o degli elementi delle cose sono anche i processi nu¬ mericamente distinti. E se in astratto la grandezza non à divisione, essa non può tuttavia nella realtà venir esattamente concepita che come risultante di una imme¬ diata ripetizione numerica d’uno stesso identico. L’assenza di elementi reali è solo nel nostro pensiero che può a- strarre da ogni divisione nel considerare una grandezza, ed è pienamente libero di dividerla o accrescerla all’ in¬ finito, allo stesso modo che esso procede co’ numeri. Tanto la natura che il pensiero ànno del resto la possi¬ bilità dell’infinito accrescere e interpolare ; ma ne’ loro prodotti non possono dare che il determinato : l’infinito si riferisce solo al loro operare, non al loro operato. Il concetto del continuo assoluto applicato al tempo reale sarebbe del resto affatto inutile anche quando fosse É ÌL PROBLEMA. COSMOLOGICO. B9 giustificato. Poiché empiricamente un tal continuo noi non lo incontreremmo mai. Il fatto che noi della sintesi della natura (come dice Diihring in qualche luogo della Dialettica), non abbiamo altro che rappresentazioni di effettività, non ci dà il diritto di fare delle possibilità del nostro pensiero la misura della realtà. Come in sé sia fatto il passaggio da un punto del tempo all’ altro, non può venir inteso. Tanto varrebbe domandare perché esiste il tempo o magari l’essere stesso nella sua -effet¬ tiva natura Voler ancora spiegare gli elementi del tem¬ po è uno sconoscere la natura del pensiero ; noi non li possiamo ridurre ad altro perchè il tempo non è un pro¬ dotto della mente, è condizione anzi dell’esperienza, e non à una natura puramente logica. Il passaggio è una determinazione della realtà che noi non possiamo che riflettere. Sarebbe lo stesso voler spiegare gli atomi della materia; noi non possiamo che ammetterli o riconoscerli; una pretesa spiegazione di essi è assurda poiché il pen¬ siero non è tutta la realtà, ma vien confinato da qualcosa che se pò dare ad esso un contenuto formale, non può però dare il suo essere. Da un grado a un alti’O del cangiamento si fa il passaggio in quanto il cangia¬ mento stesso ci si mostra come fatto compiuto. Noi non dobbiamo quindi illuderci col concetto misterioso del continuo assoluto di penetrare più addentro nel fare della natura, nel divenire dei fenomeni. Noi non possiamo mai altro che constatare gli avvenuti cangiamenti, nuH’altro possiamo. E cosi in realtà non conosciamo come il can ¬ giamento, ma che il cangiamento s’è fatto. Tornando ora alla soluzione del Rielil, nemmanco col HO IL CONCETTO DI INFINITO fare la serie dei cangiamenti assolutamente continua sfugge egli, secondo crede, alla temuta e presunta con¬ traddizione dell’infinito compiuto od esaurito. E 1' er¬ rore suo si fa più stridente e palese quando egli so¬ stiene che la infinità del tempo si mostrerebbe esaurita se si dovesse pensare ad un suo fine nel futuro. Ei crede che solo in tal caso, per evitare la contraddi¬ zione, si dovrebbe ammettere un principio assoluto del tempo. E così fa dipendere, cosa enorme, la infinità del regresso dalla infinità del progresso nel futuro. Ma la fine del tempo non è invece punto contradditoria. É questa una questione di natura empirica; e cosi secondo lui non dovrebbe esser allora inconcepibile e contraddittorio nep¬ pure un principio del tempo. Il tempo reale, ove fossero date le condizioni di un equilibrio universale, potrebbe finire ad ogni momento senza assurdità alcuna. Poiché ad ogni modo nella natura ogni fine non è della serie infinita ma dell’ultimo cangiamento. Del resto, sia pure, ammettiamo che i processi non siano per sé distinti e numerabili, ma siano invece assolutamente continui. Dice il Riehl che le oscillazioni di un pendolo sono senza dubbio determinate numericamente (id. Ili, 309). Ora come risponderebbe egli alla domanda — nè vi può in modo alcuno sfuggire — se si debba pensare che in¬ sieme sommate le oscillazioni dei pendoli che possono dall’eternità esser mai esistiti in infiniti mondi, possano venir compresi da un numero finito ? E se no sotto quale concetto una tale somma o regola di somma dovrà venir pensata ? — A ciò non à egli risposta. E più ancora come risponderà il Riehl a quest’altra È IL PROBLEMA COSMOLOGICO, (51 domanda : il numero delle terre dall'eternità ad ora nate e morte è egli infinito o finito ? Poiché qui manifestamente abbiamo delle esistenze separate, indipendenti, numerabili anche secondo lui. L’unica giusta risposta è che un tal numero è necessaria,nente infinito, o, propriamente, transfi¬ nito. Nel corso perpetuo del tempo non solo non è con¬ traddittorio, sibbene è necessario che un infinito numero di corpi celesti (dato che le moderne teorie cosmiche siano, come pare, inevitabili) abbia gradatamente avuto nascita e morte. Con ciò come non vi fu un primo can¬ giamento, nemmanco vi fu una prima terra. 10. Il concetto dell’infinito assoluto o transfinito è ap¬ plicabile solo alla serie regressiva dei cangiamenti, non alla progressiva. La natura di questa consistendo ap¬ punto nel crescere suo continuo verso il futuro non può cadere, se infinita, che sotto il concetto dell’infinitamenfe grande. Poiché in nessun punto iminaginabi'e del futuro non si sarà compiuta, a partire da un punto qualunque del tempo precedente, una infinità assoluta di cangia¬ menti. E ciò che si avrà sarà solo la continua possibilità di sempre nuove mutazioni. La questione però se real¬ mente nella natura dell’essere sia la disposizione a qne- s'.o infinito futuro è affatto empirica, non essendoci, co¬ me s’è visto sopra, alcuna difficoltà che a priori ci im¬ pedisca di pensare possibile un termine d’ogni cangia¬ mento in un qualunque momento avvenire. Il concetto del tempo per sé non ci dà alcuna soluzione; la questione è puramente di fatto. La soggettiva possibile anzi neces¬ saria illimatezza dello schema spaziale non porta seco necessariamente un infinito riscontro nella esistenza ma- IL CONCETTO 1>I INFINITO 62 teriale oggettiva; allo stesso modo neppure la illimita¬ tezza del tempo ideale porta con sè quella del tempo reale ossia una serie infinita di reali cangiamenti. Essa non ci impedisce in modo alcuno di considerare come pos¬ sibile un limite del mondo nel tempo. Se noi siamo sfor¬ zati di pensare ad un tempo vuoto non è però il pensiero di esso che gli dà un contenuto reale in ogni suo mo¬ mento. Essendo che per sè stesso la vuota durata tanto è del reale come del nulla ; sebbene la durata non rimane mai nel nostro pensiero priva adatto di contenuto, in quan¬ to la permanenza dell’essere, indipendentemente dallo svol¬ gersi o no esso in fenomeni, non può mai mancare di farle riscontro. Ed è in questo una grandissima diffe¬ renza tra la rappresentazione dello spazio e quella del tempo. Mentre a niun punto arbitrario del tempo viene a mancare il contenuto materiale, non così necessaria¬ mente ad ogni punto dello spazio. A parte i cangiamenti in cui l’universo si svolge è evidente che non può ad. esso venir applicato il concetto di una determinata du¬ rata. Come esso è sempre quello che è, cosi il tempo non à a suo riguardo significato alcuno. In un qualunque momento inesteso del tempo 1’ essere è completo, è tutto ciò che è stato e tutto ciò che sarà. Se dun¬ que nel futuro venisse realmente a mancare ogni mu¬ tazione nell’essere, questo potrebbe solo impropriamente venir considerato come nel tempo; la durata dal punto in cui il cangiamento sarebbe cessato à soltanto senso perchè noi la immaginiamo misurata da quella piena di cangiamenti della nostra coscienza. Intanto la meccanica non ammette assolutamente la È IL PROBLEMA COSMOLOGICO. 63 possibilità del passaggio di un sistema da uno stato di¬ namico ad uno statico. E cosi il tempo futuro è indub¬ biamente infinito nel senso di una progressione senza fine (1). Tra le due infinità del passato e del futuro sta il momento presente, il quale inchiude la realtà eterna, la realtà che fu e che sarà. La pienezza dell’essere non ci sfugge come parrebbe a considerarlo nella infinita sua fenomenologia. L’essere è sempre tutto presente, non c’ è elemento di cui possa dirsi che sia stato o che abbia a originarsi. Certamente l’interesse nostro va al suo svol¬ gersi ne’ cangiamenti per cui solo ci si svela la sua na¬ tura e per cui solo noi ci commoviamo e viviamo. Che per la coscienza l’essere immoto in una rigida inerzia non avrebbe valore alcuno. Tuttavia la infinita possibi¬ lità del cangiamento è tutta nell’essere in un qualunque punto matematico del tempo. E cosi T importanza del tempo finito non si perde di contro alla infinità passata e futura del processso : ogni momento del tempo ci dà l’essere sub specie aeternitacis, nè altra mai è stata la esistenza della realtà che quella del momento. Solo in questa considerazione della permanenza eterna del reale possiamo noi comprenderne la infondata e infondabile natura sistematica. Lo sguardo alla in¬ cessante evoluzione può troppo facilmente far conside¬ rare le interne determinazioni dell’ essere come transi¬ torie. Che l’evoluzione sia tale quale noi l’andiamo sco¬ prendo non è altrimenti a intendersi. Giova quindi, per la concezione universale dell’esistenza, oltre che aver (1) Vedi anche le considerazioni del Sleyer, Mechanick iter l Verme, p. 309-312. 64 IL CONCETTO DI INFINITO riguardo allo svolgimento di un sistema parziale nel tempo considerare gli altri sistemi parziali del cosmo nel loro coesistente diverso grado di svolgimento, per cui si lascia forse quasi pensare come in ogni momento attuata nello spazio la evoluzione temporale dei singoli mondi. Nello spazio e nel tempo, da cosa a cosa, da processo a processo, per il filo della causalità materiale spiega l’essere la sua unità. Alla necessaria necessità logica ri¬ spondi la effettiva unità materiale della esistenza. L’u¬ nità dello spazio e del tempo nella rappresentazione non basterebbero per sè a escludere una radicale disparità nel reale. Se lo spazio e il tempo fossero puramente forme ideali nascerebbe il problema del come la realtà non possa dare origine a duplicità di sorta. E la qui- stione si scioglie solo in quanto si riconosce che l’unità stessa del reale è che crea quella dello spazio e del tempo. Le proprietà dello spazio sono esse stesse di na¬ tura meccanica, nè altrimenti potrebbero le leggi della natura esprimersi in relazioni di spazio ; nelle necessità spaziali è la logica immanente delle forze della na¬ tura. Due spazi differenti sono un assurdo non solo avuto riguardo al pensiero, ma anche in riguardo alla ogget¬ tiva realtà materiale. Il pensiero per sè non trova alcun impedimento a riunire ogni spazio in uno spazio unico nel vuoto schema spaziale e non può trovar quindi ra¬ gione di considerarlo come disuniforme. Nella realtà poi la pluralità degli spazi vorrebbe dire pluralità di esseri. Ora una tale pluralità non solo non può mai venir oggetto del nostro pensiero e per noi non può quindi E IL PROBLEMA. COSMOLOGICO. 65 assolutamente esistere, ma è dalla realtà smentita, per¬ chè anche l’esperienza colla omogeneità universale della materia mostra esser l’essere uno. Le posizioni delle distanze nello spazio reale non sono che rapporti di forza ; ogni elemento dell’ esistenza materiale è quindi nello stesso unico spazio ; non esistendo cosi ele¬ mento alcuno fuori d’ogni relazione cogli altri. Analo¬ gamente è del tempo reale ; la sua unità suppone quella dello spazio materiale e dipende insieme dalla univer¬ salità del cangiamento. Per la natura radicalmente omo¬ genea delle cose e per la temporalità d’ogni cangiamento è uno anche il tempo oggettivo. E cosi che i principii meccanici si estendono presu¬ mibilmente e con sempre maggior certezza ad ogni massa dell’universo, a ogni sistema di stelle fisse e gruppo di sistemi. Poiché la base dell’esistenza è di natura mecca¬ nica. Solo la sensazione come tale o il campo della co¬ scienza ne resta fuori e riceve dalla spiegazione mecca¬ nica una eterogenea sebbene costante e parallela illustra¬ zione. L’unità dell’essere non à riscontro in una fantasti¬ cata e contraddittoria unità cosciente universale; rifrange invece per dir cosi la sua unità in quella di molteplici coscienze individuali. L’unità oggettiva estramentale e la unità della coscienza: due abissi del pari inscrutabili ma rispondentisi. Albana e all’altra sta a base e direi quasi a tergo quella che noi non possiamo concepire che col concetto formale di ragione o di fondamento unitivo e subfenomenico dei due fatti. Non è meno inscrutabile l’una unità dell’altra, sebbene quella della coscienza im¬ plica per sé quella materiale oggettiva. Infatti che cosà 66 II- CONCETTO DI INFINITO di meno oltre analizzabile dell’unità radicale che con la mutazione si appalesa esistere negli elementi dell’essere? Come spiegare la effettiva comunione delle sostanze, il fatto che lo stalo di un atomo porti seco un dato altro stato di un altro? Queste riflessioni ci richiamano alla infondata originarietà delle cose, e alla natura per così dire superficiale della conoscenza e del pensiero. Quelli sono resti refrattari ad ogni ulteriore analisi; nè già per difetto del nostro istrumento, ma per la necessaria na¬ tura stessa del conoscere, chè altrimenti la realtà do¬ vrebbe cessare di esistere come distinta dal pensiero. La analisi à necessariamente de’ limiti, i quali non anno però bisogno d’esser limiti della conoscenza nel modo in cui falsamente per lo più vengono intesi, quasi indizi di limitatezza di contro a una sia pur solo logicamente pos¬ sibile conoscenza superiore. Come non è incondizionatamente applicabile al reale il principio di ragione, tanto meno lo sono altri concetti essenzialmente relativi quali quelli di grandezza e di scopo. Se l’universo è infinito, non à evidentemente per ciò stesso determinazione alcuna quantitativa; se finito è vero però che in relazione ad una sua parte esso à una grandezza determinata, sebbene nell’estenzione va¬ riabile da un momento all’altro ; e che possiamo quindi dirlo più piccolo di una grandezza posta mentalmente superiore alla sua ; che anzi possiamo anche considerarlo infinitamente piccolo in relazione all’infinito assoluto dello spazio ideale. Ma in sè non si potrebbe dirlo propria¬ mente nè grande nè piccolo, perchè fuori di esso non vi è nulla che possa darci una unità di misura. E del pari E IL PROBLEMA. COSMOLOGICO. (37 è affatto relativo il concetto di durata e inapplicabile perciò in modo incondizionato all’essere. Questo non dura nè tanto nè poco; e la ragione di ciò è che esso non è nel tempo. Considerando però la serie dei cangia¬ menti, al contrario di quanto ci accade per lo spazio, lo schema ideale del tempo riceve necessariamente un contenuto reale perfettamente corrispondente. E scio¬ gliendo la difficoltà che più che tale a molti filosofi è parsa sinora una stridente contraddizione, abbiamo visto che come per mezzo del tempo si fa possibile il cangia¬ mento, il quale altrimenti sarebbe contraddittorio, cosi per il cangiamento trova una necessaria applicazione alla realtà oggettiva l’infinito assoluto o transfinito.
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