NALITICO I. Antichità — Oggettivismo. Oggettivismo primitivo — da Talete ad Anas- sagora pag. 3 Soggettivismo pratico individualista —So- fisti. Soggettivismo pratico universalista —So- crate » 4 Oggettivismo ideale assoluto — Platone . » 5 Soggettivismo incompiuto — Aristotile . . » 6 II. Tempo moderno — Soggettivismo. Soggettivismo pratico intuitivo —Stoicismo. Epicureismo. Scetticismo. Neoplatoni- smo. Cristianesimo » 8 Oggettivismo ideale particolarista — Ro- scellino. Occam » Oggettivismo sensibile — Bacone. Condillac. Diderot,d’Holbac. . „ * * , 18 Passaggio alla soggettività — Hame. Kant. . » 2Q Oggettivismo ideale universalista —S. An- seimo. S. Tommaso. Scoto . » 24 Digitized by Google Soggettivismo tendente alla oggettività — Cartesio .... Oggettivismo assoluto — Geulinx. Molle- branche. Spinosa 31 Oggettivismo dogmatico individualista — Lcibnitz. Wolf » 34 Passaggio alla soggettività —Berlielei/. Kant » 44 111. Tempo recente — Soggettivismo assoluto. Soggettivismo trascendentale — Kant . . » 48 Soggettivismo assoluto astratto — Fichte . » 80 Oggettivismo assoluto — Schelling ...» 89 Soggettivismo positivo assoluto — Hegel . » 102 CoNCHIUSlQiSE Lastoriadellamedicina . , , , Cosa è lo Stato? Lo Stato è l'uomo grande; è la società umana individuata. L'ha detto Aristotile: lo Stato è la società che basta a se stessa. 11 che appunto vuol dire che lo Stato è il grande organismo umano, l'individuo gran- de, compiuto in sé stesso, indipendente ed assoluto. IL L' uomo piccolo è una scala ascendente di fun- zioni. Egli ha per base la funzione vegetativa, per cui mangia e beve e si nutre, veste panni, abita un nido e si riproduce: la funzione riproduttiva è l'apice, e la corona della vita vegetativa. Egli è questo il sistema dei suoi bisogni mate- riali, vegetativi ed animali. Ma 1' uomo elementare non è soltanto un vege- tabile compenetrato e avvolto da un animale; egli è anche un animale, un'anima, sormontata dall'unità dello spirito, avviluppata e compenetrata dalla coscienza umana. La riproduzione è la corona della vita vege- Digitized by VjOOQIC — 4 — tale ; la coscienza è la corona della vita animale ; e la coscienza assoluta è la corona e F apice della vita spirituale. Come spirilo l'uomo è per prima cosa, e per prima base, morale. La moralità, la virtti privata, è la forma più naturale dello spirito : essa è il patrimonio dell'individuo, e resta confinato e chiuso in lui. Il dritto è F uomo aggrandito; egli è l'individuo che si aggiunge una porzione della natura esterna; ed è una estensione del suo corpo , e della sua anima; ampliazione della sua natura organica, ed esplicazione della sua natura giuridica spirituale. E a tutto questo sovrasta F Io, la libera coscienza, che è come il perno intorno a cui tutto gira: centro e circonferenza del circolo umano. L'Io è la conoscenza di se. Nella pura coscienza l'uomo conosce sé come sé, come semplice forma; ed egli aspira a conoscere anco F interno di se, la sua propria natura. E Si conosce infatti: nell'arte, come bello, e per dir così semi-infinito: nella religione, come infinito sensibile; nella scienza, come infinito di pensiero, e sì come pensiero infinito. Tale è il sistema spirituale nell' uomo piccolo , nelF individuo particolare. III. NelF uomo grande, nell' organismo politico-indivi- duale che si chiama lo Stato, ci sono le stesse funzioni. Ci è la funzione economica, agricola, industriale, commerciale : produzione materiale, frumento o libro; trasformazione ed assimilazione; circolazione e scambio; nutrizione e consumazione: relazione sensibile fra tutti gl'individui dei quali il corpo sociale è formato. Digitized by VjOOQIC Ci è la funzione morale, non più chiusa nell'in- dividuo, ma estesa alla società, manifestata come re- lazione attuale fra gì' individui umani. La morale in- dividua diventa dritto comune; materia della polizia, e del dritto penale. Nessun uomo ha il dritto di of- fendere e usar vie di fatto contro un altro uomo, perchè tutti hanno il dritto che la loro coscienza mo- rale sia rispettata. Il reo non fa contro uno, ma con- tro tutti; e non è quindi uno o pochi, sono tutti contro di lui: il sentimento della comune natura u- mana reclama la sua punizione. Nessun uomo ha il dritto di maltrattare un bruto; perchè non è il bruto, è il sentimento della fondamentale unità della natura umana e animale eh' egli ferisce e maltratta in tutti gli uomini civili e sensibili. La morale individua è il rispetto della natura; il dritto morale è l'azione conforme ai fini, ai principii, ai sentimenti naturali. Egli è dunque una relazione psichica, spirituale, poiché spirituale è il suo fine. Ci è la funzione giuridica, ed è la relazione del- l'individuo coi suoi annessi naturali agli altri indi- vidui similmente costituiti di cui la società è formata. Quello che invade 1' altrui , non occupa solo una por- zione di natura; egli occupa e viola l'anima di un uomo, la quale è pur quella di tutti gli uomini, mem- bri di uno stesso corpo sociale; e perciò tutti si le- vano contro l'ingiusto invasore. Questo tutti è la legge, che funziona e si esercita in forma di Tribunale. La legge penale sta di rincontro alla barbarie, alla pas- sione violenta ed alla guerra privata; un tribunal* criminale è in realtà una corte marziale. La legge civile è il principio e la regola della pacifica deci- sione: essa è la libera ragione che si leva di mezzo agli opposti interessi; e il contrasto troncato in germe, Digitized by VjOOQIC — 6 — e definito in forma di piato, non solo non giunge, ma neppur tende alla violenza ed alla guerra. La guerra è la barbarie; la civiltà è la pace, perchè è la legge, e perciò questa a ragione è detta civile; e i suoi sono tutti giudici di pace. Ci è finalmente V Io comune , conoscenza e volere generale; ed è, come tale, una funzione formale a cui servono di contenuto e di soggetto tutte le funzioni speciali. s IV. Cosa è dunque lo Stato? Lo Stato è T insieme di tutte le funzioni materiali ed economiche, morali e giuridiche, in quanto sono unificate nell'Io comune, che tutte le penetra e le regola, ed è il punto a cui mette capo ogni particolar movimento, e da cui parte ogni azione generale. Lo Stato è adunque l'Io, la coscienza sociale. Tale è la forma: il contenuto è la virtù pubblica, il dritto civile, il dritto penale, e la pubblica economia. Lo Stato è il giusto, dice l'Albicini. Sì certamente; ma il giusto non è che una parte del suo contenuto; è un elemento della sua natura, il quale piglia neir or- ganismo giuridico la sua forma particolare, e la sua realtà naturale. Ma un principe non è solo un Gran- Giudice, e un Parlamento non c'è soltanto per fare il Codice Civile. — Giusto io lo piglio in senso di legge: e la legge io la piglio in senso di relazione umana in genere. — Ed io allora la piglio in senso di rela- zione cosmica universale. Bisogna finirla una volta con le idee vaghe ed astratte, e con le parole indeter- minate e generali. Lo Stato è la virtti; dice il Montesquieu: la virtìi è il suo principio ed il suo fondamento, e il vizio è Digitized by VjOOQIC la sua rovina. Idee generiche, astratte, indeterminate, piene di confusione e di errori. La virtù, la morale, non è che un elemento , ed una sfera dello Stato. Essa ò per se individuale; ma quando esce dall'individuo, e promove o turba e nega l'ordine sociale inferiore, e per così dire individuale, essa allora di privata diventa pub- blica, ed appartiene allo Stato. Che se dall' infima sfera delle relazioni individuali l'azione si leva alla sfera giu- ridica, o se anche penetra nella sfera politica, allora essa perde man mano il suo carattere morale. Un de- litto politico è per poco un non-senso, quando non è che politico: e tale egli è quando l'animo è puro. Omnia mwnda mundis: puro vuol dir non-individuale, assoluto, generale. E allora non è a parlar di delitto e di colpa: in politica non ci è che prudenza ed im- prudenza, serietà e leggerezza, verità ed errore, suc- cesso ed insuccesso. Lo Stato ordina i premi e le pene, e le proporziona alla loro natura morale, giuridica o poli- tica : se non che una pena politica è quasi un non-senso: essa in realtà non è che un semplice fatto di guerra, un puro atto di difesa. — La virtù, dirà il Montesquieu, io la piglio in senso di forza, di energia politica. — Ed io la piglio in senso di energia magnetica, elettrica, nervosa, muscolare. — Le antiche repubbliche erano fondate sulla sobrietà e sulla severa continenza, sulla parsimonia e la povertà del privato cittadino. Roma cadde perchè vi penetrò la ricchezza, la voluttà, il lusso dell'Asia. Quella io chiamo virtù, questo vizio, rilassatezza, corruzione, dice Montesquieu, e ripete Napoleone III, e con lui tutti, dal primo all'ultimo, i francesi. — francesi, questa che voi fate non è la storia, è il fatto; è la materia appena un po' digros- sata, non è l'idea che la determina e la informa; è il fenomeno, non è il pensiero della storia. E lo vedrete. Digitized by VjOOQIC — 8 — Lo Stato è il ben essere, la prosperità, la ric- chezza, dice il Fourier. Sì, certamente: anche questo è lo Stato: ed egli cura la produzione, promove ogni maniera d'industria, e favorisce il commercio con istituzioni, e leggi , e procedure speciali. Ma la ric- chezza non è che il sostrato , il sottosuolo dello Stato. La ricchezza è la materia , lo Stato è il pensiero : 1' una è il corpo , T altro è l' anima. L' anima fa il corpo , ma non è corpo per questo; e l'Economia politica non è la Politica, non è lo Stato. Il principio dello Stato è la religione, è la Bibbia degli Ebrei, diceva l'Aquila di Meaux, e per quel tempo non volava male. Ora però, sarebbe il peggio che si potesse dire. Cotesto ora non è piti un volare, è uno strisciar per le terre, o come talpa andar per le cieche latebre, odiando la luce e il puro* e libero aere della ragione. E se monsignor Dupanloup pure insiste e per- fidia, allora io dico che il principio dello Stato è l'arte, è la Divina Commedia e il Decamerone , il Barbiere di Siviglia e la Trasfigurazione. Tanto ci ha che far l'una quanto l'altra, ed io avrò altrettanta ragione. Il principio dello Stato è Dio, dirà monsignor Dupanloup. — Sì, certamente; ora finalmente ci siamo. Non è però il Dio della Religione e dell'Arte, ma il Dio del corpo sociale , il Dio dello Stato. Questo è che co- stituisce i Re, che direttamente o per suoi organi crea tutti i poteri e le autorità politiche; e questo Dio non abita nel cielo; lassù non v' è che il Dio della Natura: il Dio dello Stato abita nel petto del cittadino, ed è a lui eh' egli ubbidisce quando rende ubbidienza alle autorità che ne sono i ministri, il braccio e la parola. Digitized by VjOOQIC — 9 — V. Lo Stato non e corpo, è anima. Anima è sapere e volere, coscienza e azione; e la funzione dello Stato come Stato consiste nel sapor di essere, e nel volere essere Stato. Questa non è che la sua forma ; ma que- sta forma è appunto il vero Stato; e la coscienza as- soluta ch'egli ha di sé, e l'azione comune in cui questa si traduce e si spiega, è per l'appunto la sua funzione essenziale. La coscienza dello Stato per intrinseca ed assoluta necessità prende una esistenza naturale, e spontanea- mente si crea il suo particolare organismo. Essa è l'anima; ed il sistema dei poteri politici è il corpo che si crea , e in cui si fa reale. È una creazione im- mediata e diretta, ovvero indiretta e mediata, come quella d' ogni principio vitale; ma in definitivo è la coscienza pubblica, ed è sempre lo Stato che crea i poteri e le autorità dello Stato. Questa funzione crea- trice è 1' elezione. Ma questo corpo in cui l'anima generale si tra- duce e si concentra, in realtà non è che una pura anima: è il semplice potere legislativo. Quest'anima effettiva ed attuale creata dall'elezione, si crea a sua volta il suo proprio corpo. Tale è 1! esercito : l' esercito amministrativo e l' esercito militare ; e la finanza è il sangue di questo corpo generale. L' esercito amministrativo serve per eseguire o render possibili tutte le funzioni, che compongono la triplice natura dello Stato: la funzione economica, la morale, e la giuridica. Un magistrato, un impie- gato, il ministro, il Sovrano, è un soldato; e il suo onore è d'ubbidir fedelmente alla legge, all'anima dello Stato. Digitized by VjOOQIC — 10 — L'esercito militare ha un ufficio anche pili essen- ziale. Esso serve allo Stato per essere, per esistere; gli serve a difendersi dalle potenze nemiche, esterne o in- terne, che ne minacciano la vita economica, politica o morale. Il soldato è il braccio della legge, e dello Stato; il suo ufficio è di respinger l' assalto o l' insulto di un altro Stato , e di reprimere le passioni colpevoli che si sfrenano contro la legge del suo paese, e le isti- tuzioni del proprio Stato: nobile ed alto ufficio tanto nel primo come nel secondo caso. I due eserciti sono entrambi assoldati. Sono il corpo, e il sangue vi dee circolare. Il potere legisla- tivo è l'anima; ed è perciò che non è pagato. Il So- vrano ha una lista civile perchè unisce in sé le due nature: egli è il tratto d' unione fra il potere legisla- tivo e l'esecutivo, e personifica in lui l'unità dello Stato : ed è perciò eh 9 egli è sacro. VI. Sovranità, potere legislativo, potere esecutivo ; tutto questo è forma di forma : la forma essenziale , il vero Stato , è T Io assoluto , la coscienza e la volontà ge- nerale. Ma non vi è la pura coscienza e l'astratto volere, e non è possibile una funzione puramente formale. Si è conscii di essere questo o quello , si vuole e si fa sempre qualche cosa : e lo Stato conosce e fa da un lato, e dall'altro esegue, la legge economica, la legge penale, la legge civile. Il Sovrano, il legislatore, V impiegato, il soldato , tutti vogliono che lo Stato sia; vogliono che sia prospero, giusto, savio, forte di tutte le fotze morali, e che possa tutte liberamente spie- garle, ed esser felice. L'Io è la forma; la forza econo- mica, la virtù, il dritto, è il contenuto dello Stato. Digitized by VjOOQIC — li — Ma la forma prevale, e domina il contenuto. La morale domina l'economia: la produzione non è pos- sibile, e il guadagno non è realizzabile s'egli è im- morale. Il dritto domina la morale: la virtù pubblica impone alla virtù privata. L'Io, la pura funzione for- male, domina e modifica tutte le funzioni speciali che sono il suo essenziale contenuto: lo Stato domina e modifica il dritto e la morale. Un assoluto vince l'al- tro: tutti per sé assoluti, sono fra loro assolutamente relativi. Il volgo riguarda come piti eccellenti gli as- soluti inferiori, perchè piti naturali, e di più imme- diata e più sensibile idealità. Il più alto è per lui l'ordine morale; che sovrasta e primeggia sull'ordine giuridico ; 1' ordine politico è subordinato a tutti e due. In realtà il più eccellente è l'ordine dello Stato, perchè più generale, e più assoluto e divino; e quando l'ar- monia fra i tre ordini e le tre funzioni si rompe, è la funzione formale, la funzione assoluta dell'essere, quella alla quale appartiene il primato, e prende sopra l' altre la mano. Scoppia la rivoluzione dal basso o dall'alto: ribellione, colpo di stato. Slealtà, tradi- mento, illegalità, delitto. È vero. La coscienza mo- rale lo riprova, la coscienza giuridica lo condanna; ma v'è (vi può essere) una coscienza superiore che l'approva; e se non è la coscienza politica dei con- temporanei, sarà di certo la coscienza politica degli avvenire. La storia approverà il colpo di stato e la rivoluzione popolare, quando è vera funzion di essere: quando cioè l' essere apparente dello Stato non cor- risponde al suo vero essere , a quello che esso è nella coscienza del corpo sociale, sia che oltrepassi, o sia che rimanga al di sotto di questa misura ideale. Invadere la proprietà d' un cittadino è ingiusto; ma lo Stato può farlo; ed è una giusta ingiustizia, Digitized by VjOOQIC — 12 — ed una legale illegalità, perchè in tal guisa realizza il suo essere, il benessere della comunità, o dell 7 intiero corpo sociale. La ragione e il titolo è la pubblica utilità. Questo è un vedere solo il lato esterno del fatto, che vi è di certo e non può mai mancare, ma non la sua vera ragione. Si vede la comodità sensibile, ma non si vede il suo interno principio, l'essere generale realizzato. Ma non è meraviglia. I nostri codici sono poco men che tradotti dal francese, e le nostre leggi fatte esse pure dal risorgimento, parlano la sua lingua e ne riflettono le idee. Ammazzare un uomo è ingiusto ed immorale: è un violar l'ordine naturale; è un toglier all'uomo una proprietà che 1' uomo non ha creata. Ma lo Stato anche questo può fare. Lo Stato è funzion di essere; egli è, vale a dire una forza : e l' elemento di questa forza è la sua cor- rispondenza e la possibile eguaglianza con la coscienza generale. Lo Stato è debole quando il suo concetto resta al di sotto o supera quello del corpo sociale. — Il secondo, e non già il primo, è di gran lunga il caso dello Stato Italiano. — Egli è perciò che quando la società vede nella pena di morte un elemento di so- lidità, ed un pegno di sicurezza generale, abolirla è un errore: è una fallace utopia, una velleità teo- rica, difetto di serietà pratica, scipita sentimentalità, filantropia fuor di proposito; bontà di cuore forse, ma certo debolezza di mente, che ad altro non condur- rebbe che a crescer la debolezza, già così grande, dello Stato, accrescendo la distanza che lo divide dalla co- scienza pubblica, di cui deve render l' imagine , ed es- sere la fedele espressione. Quando l'opinione sarà pro- gredita; quando la coscienza dei pochissimi si troverà in armonia con la coscienza dei moltissimi, allora lo Digitized by VjOO'Q IC — 13 — Stato sarà forte, e allora la pena ingiusta, immorale ed inumana della morte si potrà, e si dovrà senza altro indugio, abolire; perchè allora il paese, divenuto meno incolto e per dir così più spirituale , avrà cessato di riguardarla come un elemento di esistenza; e non sen- tirà il bisogno di una garanzia sensibile tanto barbara e immane. Allora non saranno soltanto pochi pubblicisti ignoranti e frivoli, ed alcuni legislatori ridicoli, sa- ranno moltissimi, se non pur tutti, a reclamarne T abolizione. Si parla sempre dell'utilità della pena di morte. È l'argomento dei sostenitori, ed è l'achille degli oppositori. Questo è da una parte e dall' altra un ver- gognoso errore. Necessità non è utilità; e quando lo Sta- to opera in funzion di essere, egli è in una sfera ideale e assoluta, superiore alla regione della utilità e del senso. Ma questo sì vergognoso errore era la verità del Ri- sorgimento; ed è perciò che non se ne vergognava, anzi l'accettava, e ne andava giustameute superbo: il senso e l'utilità era tutta la sua filosofìa, ed egli condannava allora la pena capitale come non utile. Ve- nuto più tardi a miglior sentimento, il Risorgimento respingeva P utilità , e condannava la pena di morte come utile. Egli scambia per utilità la necessità ideale; e non si vergogna, perchè questo sofisma è la sua verità: egli è il da ubi consistam della filosofia posi- tiva. Ma se ne vergognerà di certo quando di risor- gimento sarà passato a secolo decimonono. Ammazzare un uomo, turbarne i dritti, e vio- larne il possesso, attentare all'esistenza dello Stato, che è quanto dire alla vita delle sue istituzioni, è immorale ed ingiusto; e sarà assai di più ammazzare moltitudini di uomini, insignorirsi, recare in sé il" dominio (e sia pur l'alto dominio) delle loro pro- Digitized by VjOOQIC — 14 — prietà, e distruggere uno Stato. Questo il "cittadino non lo può, non lo dee fare; ma può e dee talvolta farlo lo Stato. L' usurpazione e la violenza privata è ingiusta; la violenza pubblica e la pubblica usurpa- zione non è giusta; è più e meglio di questo, è po- litica; e si chiama guerra e conquista, e non più violenza ed usurpazione. La guerra è buona, e la conquista è giusta le- gittima e veramente politica, (e dico buona, legittima, giusta per convenzione, ed in mancanza d'altre parole) quando in esse lo Stato opera in funzione di essere: quando guerreggia e conquista per* vivere per essere, o per diventare quello che è in sé, e deve anche attual- mente essere. Vi sono società naturali, che la violenza, l'ar- bitrio, la passione, il caso in una parola, divide in più corpi sociali , per cui di uno si formano più Stati. Ma in tutti rimane la coscienza della loro identità po- litica, e della loro natura storica comune. Yi sono ancora società originariamente separate, in cui T accidente, cioè l'arbitrio, la violenza, le pas- sioni umane, col concorso di altri accidenti ed op- portunità naturali, crea una coscienza comune. La lingua, vale a dire la comunità e la somiglianza fon- damentale dei dialetti (non mai la loro identità, che non e' è mai, e non può esserci in natura, ed è una finzione assurda dei pedanti) è l'organismo sensibile, e l'espressione approssimativa, e la meno inadeguata, di quella nuova coscienza. La comune storia è il pro- cesso per cui di un gruppo accidentale di popoli e di Stati si forma a poco a poco un tutto naturale e vivente con una interna unità e un' anima generale. La geografia è la condizione esterna dello sviluppo, e l' occasione più o meno accidentale di questa for- mazione ideale. Digitized by VjOOQIC — 15 — La comune coscienza che si è conservata dopo lo spartimento dello Stato unico originario, non è più coscienza, ma tende a ripigliare l'antica forma e la primiera attività; e la coscienza comune che si è svi- luppata in un gruppo di Stati eterogenei non è che il sentimento della loro comune unità: e nell' un caso e nell'altro questo sentimento èia nazionalità , la co- scienza nazionale. E nell' uno come nell' altro caso ciascuno Stato si trova diviso in se stesso; è un' anima scissa , con due coscienze distinte ; che l' una è la co- scienza propria di Stato, l' altra è la coscienza comune di nazione. Esso è dunque in realtà due anime, due esseri, uno attuale, e l' altro possibile; il primo è Stato, l'altro non è che nazione: la nazione è la possibilità naturale dello Stato. Ma esso anche quest'altra parte di sé vuol recare ad atto; esso ha bisogno di esser tutto il suo essere, e irresistibilmente aspira a far della sua coscienza politica effettiva, e della sua coscienza nazionale astratta, una sola coscienza reale. Egli è perciò che lo Stato fa la guerra, e conquista gli Stati conna- zionali. È la buona guerra, e la legittima conquista; ma è ancora il processo barbaro, violento, inconsa- pevole, passionale, irrazionale. Era altra volta la buona soluzione; ora è divenuta cattiva: il decimonono secolo è tempo di coscienza e di ragione, e non ammette che la soluzione consapevole, volontaria e razionale. Questo succede quando in tutti i corpi sociali si svi- luppa più o meno egualmente di sotto alla loro par- ticolare e diversa coscienza politica la comune co- scienza nazionale. Tutti allora aspirano, e tutti fini- scono per fondersi in un soIq corpo di nazione, in una stessa società, in cui l'antica coscienza nazionale si eleverà e si perderà ben presto nella coscienza po- litica comune. Non è più. la soluzione forzata, è la soluzione spontanea e razionale. Digitized by VjOOQIC — 16 — Egli è nel primo modo che si sono costituite le nazioni moderne; formazioni accidentali, prodotti di guerre e di conquiste senza ragione, e di nozze for- tunate. Tu felix Austria, tu felix Gallia, etc... nube. La co- scienza nazionale non esisteva, è venuta dopo. L'Au- stria felicemente accozzava delle società affatto etero- genee, fra cui non vi è stato che un principio di fu- sione. Si è formato senza dubbio nella Boemia, nel- T Ungheria , nella Iugo-Slavia, una coscienza austriaca; ma la vera coscienza politica è la coscienza boema, ungherese e slava; e ciò perchè l' austriaca è una co- scienza astratta, occasionale, non è una possibilità na- turale effettuata e completa; non è lo sviluppo e la realtà della coscienza nazionale. La Francia riuniva con lo stesso metodo delle nozze, delle guerre in- giuste e delle astute diplomazie , degli Stati meno inomogenei, in cui pur v* era un avanzo di un'antica lingua comune, testimone di una comune coscienza, di politica rimasta puramente nazionale, reminiscenza di una potente antica unità; lingua avventizia e forzata, ma che aveva finito per essere adottata; coscienza av- ventizia, ma che era pur venuta, ed aveva finito per es- sere la comune essenziale unità del mondo romano. Ed ecco perchè quei corpi insieme posti finirono per formar le membra di un solo corpo morale: fatte però le dovute e ben note eccezioni. Ora la Francia avrebbe l' intenzione di seguitare in questa via, ed applicare ancora il metodo antico, barbaro, medieyale; ma si oppone la natura e la ragione. La ragione è la coscienza nazionale, è la lingua, ed è la storia. La natura è la geografia: un fiume non è un confine, ma una via ed un mezzo di unione. La Francia è fuor dei suoi confini naturali e nazionali. La soluzione spontanea razionale e naturale delle Digitized by VjOOQIC — 17 — quistioni nazionali era serbata al secolo della ragione; ed è l'Italia che ne ha dato al mondo l'esempio, ed è il suo onore immortale, e il suo vero primato civile e morale. Questo esempio la sorella dell'Italia, la Grecia, si appresta ad imitarlo. La natura lo richiede: la greca penisola è un tutto geografico perfettamente circo- scritto; si direbbe una regione, un nido apprestato per una sola razza. La ragione lo esige e lo impone; lingua, storia, coscienza nazionale, solo in parte ve- nuta a coscienza politica, tutto è comune alla Grecia; e v' è un altro comune principio che la unisce, ed è la religione. Tutto dunque chiede l'indipendenza e r unità della Grecia, tutto vuole che la Nazione Greca diventi lo Stato Greco; ma l' Inghilterra non vi trova il suo conto, e con tutte le forze si oppone, e l'Europa delle crociate, divenuta la positiva e irreligiosa Europa del Risorgimento , custodisce e protegge con una edi- ficante unanimità il barbaro e immondo straniero, il musulmano oppressore. L' Italia è stata piti fortunata. Un grand' uomo uscito dal suo sangue, pervenuto ad. assidersi sopra un nobile trono straniero, rammentava l'antica madre per la quale giovanetto aveva pugnato, e pugnava ancora per essa, e le dava la mano a farsi di una nazione astratta, uno Statò reale. Italiano, io non so che questo. Tutto l'altro io l'ignoro, perchè la Storia non è ancor venuta, e non ci ha giudicato sopra. Ora non vi è che la morale e il dritto, e le piccole pas- sioni politiche dei francesi, tutti incompetenti nella quistione. Ma di quel che il grand' uomo ha operato per l'Italia siamo competenti noi; e non sono ingrati tutti gì' Italiani. L'Italia per viriti propria, e per generoso aiuto, che appena è che possa dirsi straniero, è salita dalla 2 Digitized by VjOOQIC — 18 — coscienza nazionale alla coscienza politica. Ma se quella è forte e potente, questa è ancor debole ed incom- pleta. Le sette antiche coscienze politiche, nelle quali la sua coscienza nazionale era scissa, non si sono tutte egualmente amalgamate in una coscienza poli- tica comune* Le deboli sono scomparse; ma ve n' è qualcuna forte, che resiste e permane, ed è l'antica coscienza piemontese. Il Piemonte ha tre coscienze in lotta fra loro. La coscienza nazionale, che in lui era, ed è senza dub- bio ancor forte, non si è pienamente trasformata. Essa è rimasta nazionale , astratta; ed ha solamente prodotto di sé una coscienza politica italiana debole, parziale, incompleta, poco men che astratta, piena di riserve e di eccezioni. Essa è incompleta e debole di tutta la realtà e la forza che rimane alla vecchia e tenace co- scienza piemontese, di cui la permanente è l'espres- sione. Questo Sammarlino lo ignora ; ed è in una per- fetta buona fede. Egli in tra v vede in lui una forte coscienza nazionale, e allato a una profonda coscienza municipale (certo indebolita da quello che era prima) vi trova un chiaroscuro di coscienza politica italiana, e dice: io sono quanto si può più essere italiano. E se lo crede. Sammartino non ha tutti i torti : egli è senza dubbio italiano; ma quel suo quanto si può essere, o quanto altri sia, è una sua esagerazione. Nobile esa- gerazione, inganno volontario e generoso, illusione che genera in lui la coscienza nazionale, la quale fa sentirgli il bisogno di giustificarsi ai proprii occhi e agli altrui. Ma in tanta complicazione il valente uomo non ha tale abito e tal forza d'analisi da rendersi conto del proprio essere, per cui diviene il giuoco della sua immaginazione. Egli è perciò che è in buona fede. Tutti gli uomini ci sono qual pili qual meno allo stesso modo. Digitized by VjOOQIC — 19 — Ma il tempo è galantuomo ; e s* egli ha potuto sviluppare in tutto il mondo antico una coscienza romana: se sulla vera coscienza magiara , czeca e jugo- slava ha potuto inserire una coscienza austriaca; se finalmente nella tedesca Alsazia e nella Lorena punto del mondo francese, ha potuto (incredibile a dirsi, e mostruoso a pensare) destare una coscienza politica francese: ben saprà creare una vera coscienza italiana in quel Piemonte, che pure è il primo fra tutti i paesi della moderna Italia: in quel Piemonte, che nel mo- mento in cui la grande storia italiana del Medio Evo aveva termine, quando tutto intorno taceva, s'avviliva e s'abbandonava, e la nazione intiera scendeva nella tomba della servitù straniera e papale, egli solo non s' abbandonava ; e che rimasto jnfino allora nell'ombra, sorgeva a un tratto giovane e vigoroso, e ripigliava in sua mano il filo e creava la nuova storia italiana, e per lui ed in lui l'Italia viveva ancora. E quando a nostra memoria si riapriva 1' antica tomba , e l'Italia vi scendeva di nuovo , rimaneva egli solo sulla breccia, e lottava animosamente, eroicamente, e compiva alla fine il destino della patria: onore a cui dalla provvi- denza della storia era visibilmente riserbato. Ah non tutti gl'Italiani sono ciechi e ingrati! Certo il tempo saprà identificare la coscienza piemontese, che dopo tanta e così grande storia, fuor di proporzione con la materiale grandezza di quella nobile provincia, è na- turale sia permanente e resista alla grande coscien- za politica italiana. E sarà allora galantuomo davvero. Quando ciò sia avvenuto, e che in tutta l'Italia non vi sarà che una sola coscienza politica, allora non vi sarà più soltanto una grande nazione, ma un vero e forte Stato Italiano. Digitized by VjOOQIC — 20 — VII. L'Io, la coscienza sociale, è adunque il vero e proprio elemento dello Stato; ed è una funzione pu- ramente formale che domina e modera e modifica la funzione giuridica, e la funzione morale. Lo Stato toglie la vita, e turba e invade la proprietà del cittadino; fa la guerra per esser quello eh 9 egli è, o quel che dev'essere, e toglie la proprietà, la vita, Tessere in- dipendente, allo Stato vicino. Tutte cose che l'uomo privato non può fare, e che gli sono permesse, dove- rose anche talvolta y quando, divenuto uomo pubblico, la sua coscienza s' immedesima e si confonde con la coscienza assoluta dello Stato. Allora è illecito e reo tutto ciò eh' egli può far nel suo particolare interesse, ma è lecito e buono tutto ciò che fa in vista dell' in- teresse generale. La fusione e l'amalgama succede sempre in una certa misura, ed è tanto pili completa quanto l'uomo è più alto locato, finche nel capo dello Stato i due interessi non ne fanno più che un solo. Dal momento che si separano, il tiranno è perduto: egli allora non è pih lo Stato, è un altro; è un corpo estraneo contro a cui l'intiero organismo si solleva, e scoppia la crisi. La crisi, la rivoluzione, è un pro- cesso di guarigione. Il morbo è la tirannia, l' anarchia: forme dello stesso disordine; tutte e due passione e sfrenato arbitrio; ed anarchia tutt' e due. U&rche non è né questo, ne quello; né uno, né pochi, ne molti, ne tutti: V arche è la ragione. Il principio dello Stato, la sua vita, il suo vero essere, non è il giusto, non è il morale, non è l' eco- nomico. Tutto questo egli lo contiene in sé; ma come Stato egli è l'unità consapevole organizzatrice e mo- Digitized by VjOOQIC *^ — SI — deratrice di tutte le forme, di tutti gli organi, di tutte le funzioni sociali. Questo è lo Stato, e qui finisce l'attività politica, la vita pubblica; ma qui non finisce la vita umana, e non è anche tutta la storia. Sotto allo Stato vi è il dritto, la morale, la pub- blica economia; ma vi è sopra allo Stato un mondo piìi etereo, piìi,assolutò ed universale che non è il suo; vi è il mondo dell'arte, il mondo della scienza, e il mondo della religione. Il mondo della verità è di sopra al mondo della natura e dell'azione. Lo Stato è l'unità, la coscienza, la forma pili alta, e la pili perfetta e più generale esistenza delle fun- zioni a lui inferiori. Lo Stato non è che la base e la reale possibilità delle funzioni a lui superiori. L'Arte è una funzione naturale, e perciò rimane affatto individuale. Vi è un mondo estetico, ma non vi è una società artistica : vi sono soltanto degli artisti e dei poeti ; e la parte dello Stalo è di render possi- bile lo sviluppo del talento estetico, e rispettarne la spontaneità ed il libero giuoco. Egli non ha dritto sull'artista se non quando egli abusa e tradisce l'Arte, ed esce dalla sua natura. L'Arte non è la morale o il dritto, e può essere immorale e ingiusta a sua posta: ma finché rimane Arte la sua immoralità non contamina, e la sua ingiu- stizia può esser sublime, atta solo a sollevare e forti- ficare i caratteri, non mai ad avvilire e degradar l' animo umano. Ma dal momento che essa esce dalle sue condizioni di Arte, essa non è pili che immorale ed ingiusta, e allora lo Stato interviene: interviene in nome della giustizia offesa, e della morale violata; funzioni inferiori, che gli sono tutte e due subordi- nate, ch'egli dirige ed ha in sua tutela. Digitized by VjOOQIC — 22 — L'Arte non è la religione, e può a sua posta essere empia ed irreligiosa: ma la sua irreligione è sublime ispiratrice di grandi e puri pensieri , e di re- ligione vera e pura. Che s' ella trasgredisce le proprie sue leggi, ed esce dalle sue condizioni vitali, e non è più che semplice e sguaiata irreligione; in tal caso lo Stato non interviene. Egli dirige e modera le fun- zioni che sono al di sotto e dentro di lui, ma non amministra la verità religiosa che gli è superiore. L'Arte non è la Scienza; è in un certo senso il suo contrario : che s' ella esce dalla sua natura di senso ideale, e si atteggia a ragione e a idea; tanto peggio per lei. La Religione è una funzione dirò così spiritiforme: la sua natura è sensibilmente spirituale, ed il suo carattere è di essere naturalmente universale. Egli è perciò che mentre l'arte rimane nella sua inconsape- vole particolarità, la religione viene a coscienza, e si forma un Io sociale superiore all'Io dello Stato: e di fuori e di sopra alla società politica si forma una società religiosa. Il luogo di questa alta società non è la terra, è il cielo: l'uomo religioso ha i piedi su que- sto umile suolo, ma la sua anima è altrove. La sua funzione è tutta celeste; essa è riflessione e adempi- mento del destino umano: contemplazione della infi- nita natura dell'uomo, rappresentata nel mondo infinito della grande fantasia; conseguimento della infinita fe- licità mediante il possesso dell' infinito della religione. La funzione religiosa dello Stato è di render possibile la formazione, e libero lo sviluppo e l'azione, della società religiosa. La religione non è né scienza, né arte, ne eco- nomia, ne morale. Essa può dunque essere a sua posta inestetica e goffa, creare simboli mostruosi e informi, Digitized by VjOOQIC — 23 — miti ributtanti e triviali; può professar tutti gli errori filosofici, astronomici, teologici, politici che vuole. Tanto meglio per lei; sarà più creduta, e più stimata e rispettala. Può la religione professare tutte le assurdità mo- rali e giuridiche che le piace. Può attribuire a Dio tutte le passioni umane, sopratutto le pili barbare, e pih perverse e colpevoli, quelle che l'uomo mo- derno pih si rimprovera, e maggiormente arrossisce quando se ne lascia sorprendere e dominare. Sarà per lei tanto meglio: maggiore sarà la riverenza, il terrore religioso, il timor di Dio. La religione può a suo beneplacito credere ed insegnare che i figli sieno responsabili dei peccati dei padri, come lo insegnava e lo credeva Mosè, in un tempo ed in un paese in cui non v' era ancora il Dritto Romano , e il Codice Civile era di là da venire. Se questo vi fosse stato , non sarebbe venuto in mente a Mosè una siffatta idea, e non avrebbe insegnato un così sterminato errore. Quella era pertanto la ve- rità giuridica e la verità religiosa del suo tempo: due gradi e due forme non per anco distinte, confuse ancora in una verità sola. Oggi la distinzione è av- venuta: la verità giuridica del Codice Mosaico, con- vinta e condannata di falsità, è sostituita dalla verità giuridica del Codice Civile, nel modo istesso che al- l'astronomia di Giosuè e del Santo Uffizio è sotten- trata l'astronomia di Copernico e di Galileo. Ma co- me verità religiosa è rimasta in piedi: crede il popolo ed il comune che l' innocente è colpito col reo dalla vendetta divina: e si crede anche oggi come tre mila anni sono il dogma che insegna che la colpa del primo uomo s' è naturalmente trasmessa a tutti gli uomini. Questo dogma non è che l'applicazione in grande del Digitized by VjOOQIC — 24 — principio giuridico-religioso di tre mila anni sonò, e quel che lo rende piti meraviglioso, e perciò più cre- dibile al popolo ed al comune, si è che quella colpa era la curiosità di sapere, il bisogno di conoscere il vero : jcolpa grave, imperdonabile agli occhi del dogma religioso. Un dogma simile viola apertamente il Codice Civile, e violentemente urta ed offende il 'senso mo- rale; ma non è che una offesa ed una violazione re- ligiosa, e lo Stato non interviene per far rispettare il Codice Civile ed il senso comune. La rappresentazione succede in una sfera superiore, e lo Stato ne rende possibile lo sviluppo e libera la manifestazione, e la rispetta qualunque ella sia. Ma se l' azione religiosa esce di questo campo, e deposto il proprio carattere, si spinge nella sfera dello Stato, e diventa irreligiosa- mente immorale, ingiusta ed impolitica, allora lo Stato interviene, e si fa rispettare. Questo inevitabilmente succede alle religioni che di spirituali si fanno tem- porali. Peccato è loro e non naturai cosa: di loro è la colpa e non dello Stato : e perciò tanto peggio per loro. Finalmente, al di sopra dello Stato, e sì dell'Arte e della Religione , vi è la scienza , la filosofìa. Ma qui l'individuo s'identifica e si perde nel puro assoluto universale, per cui l'Io filosofico non prende alcuna forma naturale. Non vi è quindi una società filosofica, vi è soltanto il mondo della filosofia, il mondo del pensiero , della verità assoluta. Lo Stato non interviene in nessun caso in questo ultimo empireo: egli né il dee, né il può; egli è natura, e non ha presa su ciò che non è naturale. Lo Stato non può entrare nella sfera della scienza senza disertare la sua, senza perdere il suo carattere essenziale, e cessar di essere Stato. Lo Stato del decimonono secolo lascerà dunque insegnare chi vuole, e checché vuole, anche il Prete Digitized by VjOOQIC — 25 — ed anche il Demagogo? — Non già; non mai. Insegnare non è pensare e recare in mezzo il proprio pensiero; è invece agire, educare e preparare all'azione, ed appartiene quindi allo Stato; e insegnare un principio rep ugnante e contraddittorio a quello dello Stato, è uno scalzare lo Stato, che non può certo trovarci il suo conto. Lo Stato è funzion di essere, di vivere; e nes- suno ha gusto di lasciarsi ammazzare, sia di ferro o sia di veleno; e i cattivi principii sono velenosi allo Stato. 11 principio politico dei Gesuiti è la Religione, la loro; e quello a cui in ultima analisi tutto mette capo, ed a cui il cittadino ubbidisce, è l' autorità religiosa. Il principio dello Stato moderno è invece l'Io, la ragione; è la coscienza pubblica, la pubblica opinione; e quello a cui il cittadino ubbidisce, è lui stesso: in ciò con- siste la libertà civile. Il principio del Demagogo è la libertà sensibile, e T eguaglianza materiale. Il principio dello Stato mo- derno è la libertà ragionevole, l'eguaglianza assoluta, ideale. Egli è perciò che lo Stato limita e nega la libertà del Demagogo e del Prete, e li pone tutti e due fuor dello Stato — né elettore né eleggibile — e fuor della scuola — né maestro pubblico, né insegnante privato. Il giornale è una scuola, e non può quindi godere una libertà illimitata. Ogni cosa ha il suo limite nella sua propria natura, e la libertà ha il suo limite nella natura dello Stalo. Questa è la libertà vera e buona, perchè concreta: la libertà indefinita, astratta, è la stolta, .assurda, micidiale e pestifera; e perciò lungi da noi. La libertà non appartiene che alla libertà. Solo quella stampa, queir insegnamento, e quella qua- lunque siasi attività dee poter liberamente agitarsi Digitized by VjOOQIC — 26 — e spiegarsi nella sfera dello Stato, che ne osserva e professa il principio generale, e vive dello stesso elemento assoluto. La religione, l'arte, la scienza non sono assolutamente libere che nel proprio ele- mento, e nella loro sfera speciale, e qui lo Stato non può, non dee, non ha facoltà di mettere il piede. E però quando io vedo un Ministro chiuder la bocca a un insegnante né demagogo né prete, ma liberale, perchè professa delle particolari idee che in un certo mondo — Dio sa che mondo — non sono ricevute ed accettate; io lo rispetto troppo per dir eh' egli abusa delle sue facoltà, ma dico che varca il limite, ed oltre- passa la sfera dello Stato : dico che agisce in nome di un principio particolare, religioso o scientifico, io non lo so; so soltanto che non è il suo; e non ha come Stato facoltà di porvi la mano: e che il Ministro mi scusi, e mi perdoni il Consiglio Superiore. Lo Stato non è adunque che la possibilità effettiva e naturale della vita artistica, della società religiosa, e della pura attività scientifica. La sua funzione con- siste nel renderle tutte e tre possibili mediante l'Istru- zione e la Pubblica Educazione ; ma non ha ufficio , e non può altrimenti intervenire nell'arte, a pro- mulgar le leggi del gusto, e prescriver la rettorica e la poetica mediante decreto: e così non può decre- tare la verità religiosa. Non vi è, non vi può essere, una religione dello Stato: cotesto è un controsenso, un non senso, un errore. Sent from the all new AOL app for iOS INDICE. BIBLIOGRAFIA - A) Opere di Angelo Camillo De Meis .... Pag. XI B) Studi sul De Meis - Opere ed articoli che a lui accen- nano - Recensioni di suoi scritti » XIX CAPITOLO I. La vita e la storia del pensiero di A. C. De Meis. Sommario I. La famiglia e i primi anni II. Nel R. Collegio di Chieti HI. La vita intellettuale a Napoli dal 1840 al 1850. Le scuole private. Gli studi letterari, filosofici, scientifici IV. Il De Meis a Napoli. I suoi studi. La sua scuola privata . Pag. 2 » 3 » 5 » 6 » 11 V. Gli avvenimenti del 1 848. Il 1 5 maggio a Napoli .... » 15 VI. Le vicende del De Meis nel 1849. 11 processo e l'esilio. La dimora in Francia. Il De Meis medico VII. A Torino «quando l' Italia era colà » . Il De Meis e i suoi amici : Bertrando Spaventa, Francesco De Sanctis, Diomede Marvasi. La corrispondenza col De Sanctis. L'attività intel- lettuale del De Meis e la sua « metempsicosi » Vili. L'anno 1859. Il De Meis professore all'Università di Modena. Il ritorno a Napoli IX. Il De Meis a Bologna. L'insegnamento. La vita famigliare, sociale e politica. La morte. Il testamento X. La personalità del De Meis. Lo svolgimento del suo pensiero. Perchè la sua opera è frammentaria » 21 » 27 » 43 » 50 » 59 2011318 VI Indùice. XI. I momenti di sviluppo del pensiero del De Meis. Suddivi- sione delle opere Pag. 73 Sommario . . Pag. 78 » 79 » 85 » 97 » 101 » 110 Pag. 126 I. II. III. IV. V. Il «Dopolalaurea» La storia della filosofia esposta dal De Meis. L'antichità o il periodo dell' oggettivismo. Il passaggio dall' oggettività alla soggettività. La filosofia moderna o soggettiva La filosofia hegeliana giudicata dal De Meis Rapporti fra medicina e filosofia. La medicina hegeliana . Influenza dell'hegelismo sulla scuola medica napoletana. Il De Meis e gli altri hegeliani di Napoli. Limite tra la fisiologia e la metafisica , CAPITOLO III. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. CAPITOLO II. Il «Dopolalaurea» e1*orientamentofilosofico. Sommario I. // primo periodo. Gli scritti scientifici giovanili dal 1841 al 1850. Lettere geologiche sul M. Majella negli Abruzzi (1841). Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza alle dottrine della morfologia (trad. dal ted., 1842). Saggio sintetico sopra 1' asse cerebro-spinale e la diagnosi delle sue malattie per rispetto alla loro sede (1843). Intorno l'asse cerebro-spinale (trad. dal lat., 1843). Considerazioni anato- miche sul salasso locale (1845). Teoria dell'ascoltazione (1848), Dello stato e del carattere attuale delle scienze naturali ( 1 848). Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica - Parte prima: Del principio vitale (1849); Parte seconda: Idea della fisiologia greca (1849) » 127 II. // secondo periodo. Le opere scientifico-filosofiche dal 1850 al 1863. Idea generale dello sviluppo della scienza medica in Italia nella prima metà del secolo (1851). Del metodo delle scienze mediche (1853). Considerazioni sopra l'infiam- . Sommario . 1. Il momento rivoluzionario e il momento moderato del De Meis. L'evoluzione delle sue idee politiche e la trasformazione del partito liberale italiano li. L* idea dello Stato. Lo Stato come campo libero all' arte, alla religione, alla scienza e alla filosofia. Lo Stato e l'indi- viduo. Stato e nazione. Stato oggettivo e Stato soggettivo. Il limite dello Stato III. L'idea della sovranità. Il culto per la dinastia Sabauda . . IV. La lotta contro il pensiero e contro 1' azione del partito pro- gressista. Il suffragio universale e lo scrutinio di lista. II giurì. La legislazione e le ingiustizie sociali. Il socialismo secondo V. VI. VII. il DeMeis Contro l'abolizione della pena di morte Il divorzio. La donna I rapporti fra lo Stato e la Chiesa. L'abolizione delle cor- porazioni religiose. Le corporazioni religiose e l' insegnamento. Le spese del culto e i culti non cristiani. L' Italia e il papato. Vili. Lo Stato e l'istruzione pubblica. Insegnamenti obbligatori e insegnamenti facoltativi. I tre gradi di ogni insegnamento scien- tifico. Le facoltà universitarie. Il liceo Magno e l' istituto tecnico Indice. VII inazione dei vasi sanguigni (1853-1854). I mammiferi (1858). Fisiologia (1859). Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena nell'anno scoi. 1859-60. Gl'ippo- cratici e gli antippocratici (1860). Lettere fisiologiche (1860) Pag. 135 III. // terzo periodo. Le opere scientifico-filosofiche dal 1863 al 1891 . - a) La jatrofilosofia. La medicina sperimentale. La medicina storica o razionale. La medicina religiosa. La natura medicatrice. La patologia storica IV. Jlncora il terzo periodo. - b) La filosofia della natura. La creazione secondo il De Meis. La lotta del De Meis contro la teoria darwiniana. Il suo metodo trimorfo. La dimostra- zione dei suoi principi. L' accidentale e il necessario nella sua concezione filosofica . CAPITOLO IV. Le idee politico-sociali e pedagogiche. » 156 » 175 Pag. 204 » 205 » 211 » 221 » 228 » 237 » 239 » 244 , . . Vili Indice. medico. L'insegnante unico. Gli esami. La libertà d'inse- gnamento. . . , , IX. I malefici della cattiva coltura e del « signor Mazzini » . Due discordi Sacerdoti d'idee: il De Meis e il Mazzini CAPITOLO V. Le idee estetiche e religiose. Sommario I. La coltura letteraria del De Meis. Il suo stile. Il suo episto- lario. I suoi giudizi sulla terminologia scientifica, sulla lingua italiana, sull' affratellamento delle lingue e sull' uso del fran- cesismo. Il De Meis critico letterario II. La profonda religiosità del De Meis. La sua negazione di un Dio personale e la sua critica del Dio cartesiano, del- l' antinomia kantiana e dei dogmi dei Santi Padri. Il suo giudizio sui culti non cristiani, sul cristianesimo e sulle varie forme di esso III. La «metempsicosi» dell'arte e della religione nella filosofia secondo il De Meis. La storia del genere umano: oriente, antichità, tempo moderno o cristianesimo. Il tempo moderno : medio evo, risorgimento, secolo XIX. Il mondo latino e il germanico. Il risorgimento o negazione e i suoi prodotti : il romanzo, la filosofia positiva, la musica. Il secolo XIX e l' unificazione di tutte le correnti umane. La religione e l'arte considerate come gradi e forme del vero. Valore degli argo- menti storici e logici addotti dal De Meis IV. Ottimismo e misticismo del De Meis. Rapporti tra il suo hegelismo e il suo misticismo e la sua mentalità scientifica. Significato e valore della sua filosofia della natura. Lettere geologiche sul Monte Majella negli Abruzzi, nel Lucifero, Gior- nale scientifico - letterario - artistico - industriale, Napoli, Filippo Cirelli, Anno IV, dal 10 febbraio 1841 al 2 febbraio 1842, N. 22, pp. 175-176; N. 24, pp. 191-192; N. 28, PP. 222-223; N. 32, PP. 255-256. Uomini utili alla società: Samuele Pierantoni, nel giorn. // Vigile di Chieti, anno I (1841), suPPl. al N. 22. Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza alle dottrine della morfologia. Memoria letta alla classe fisico-matematica della Reale Ac- cademia bavara delle scienze dal Prof. Martius, il dì 8 maggio 1841, dal tedesco voltata in italiano da A. C. De Meis, nel «Filiatre-Sebezio» Giornale delle scienze mediche diretto e compilato dal cav. Salvatore De Renzi, anno XII, volume XXIII, Napoli, Tip. del Filiatre-Sebezio, 1842, Fascicolo 134, febbraio 1842, pp. 115-128; fascicolo 135, marzo 1842, pp. 188-192. Saggio sintetico sopra l'asse cerebro-spinale e la diagnosi delle sue malattie, per rispetto alla loro sede di A. C. De Meis socio dell'Accademia degli aspiranti naturalisti e medico aggiunto dello Spedale degl'Incurabili. Pre- sentato al 5° congresso degli scienziati italiani - convocato in Lucca. Na- poli, Coster. 1843, (pp. 41, in -16°). Intorno l'asse cerebrospinale. Memoria di Giuseppe Meneghini tradotta dal latino da A. C. De Meis per cura e per uso dello studio privato del prof. Pietro Ramaglia, Napoli, Barnaba Cons, 1843, (pp. XVIII - 276, 8°). Considerazioni anatomiche sul salasso locale, presentate al VII Congresso degli scienziati italiani celebrato in Napoli, Napoli, Stab. Coster, 1845, (PP- 59, 8°). Teoria dei fenomeni acustici della respirazione, Napoli, F. Vitale, 1848, (pp. 96, in -8°). [Dedicato a Luigi La Vista]. Teoria dei fenomeni acustici della circolazione, citato dall'Autore in Teoria dell'ascoltazione, Torino, Pomba, 1850, p. Vili [La Teoria dell'ascolta- zione (v. infra) riunisce sotto un titolo comune questa dissertazione e la precedente]. Dello stato e del carattere attuale delle scienze naturali. Discorso di A. C. De Meis presidente dell'Accademia dei naturalisti di Napoli - detto nella pubblica adunanza del 16 gennaio 1848. Napoli, Stab. tip. all'insegna dell'Ancora, 1848, (pp. 16). A . C. De Meis deputato di Abruzzo Citra agli elettori della sua provincia, (pp. 14, 8°, con la data di Napoli, 8 maggio 1848). Discorso inaugurale di A. C. De Meis neli'assumere l'ufficio di rettore del Collegio Medico. Pronunziato il dì 7 maggio 1848 e pubblicato dagli alunni del Collegio Medico, Napoli, F. Vitale, 1848. Proposta di un nuovo sistema di insegnamento pel Collegio Medico. Napoli, Federico Vitale, 1848, (pp. 24, in -8°). Discorso di A. C. De Meis ex-rettore del Collegio Medico nel deporre il suo ufficio, pronunciato il 18 giugno 1848, Napoli, Vitale, 1848. Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica. A. C. De Meis già deputato al Parlamento. [Manifesto di pp. 4, in -8°, con la data: 13 marzo 1849]. Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica di A. C. De Meis già deputato al Parlamento Nazionale. Parte prima : Del principio vitale. Napoli, F. Vitale, 1849, (pp. 90, 8°). [«Lezioni orali, raccolte per cura degli uditori ed amici dell'Autore, e, lui assente, da essi pubbli- cate ». (Cfr. la bibliografia che precede la Teoria dell'ascoltazione, To- rino, Pomba, 1850). Sono nove lezioni, dedicate a Pietro Ramaglia]. Bibliografia. XIII Chiarimenti al teorema di Hamberger sull'azione dei muscoli intercostali, Napoli, 1849. Fisiologia generale - II - Evoluzione logica del principio vitale - Idea della fisiologia greca per A. C. De Meis ex-deputato, Napoli, Stab. tip. al- l'insegna dell'Ancora, 1849, (pp. 142, in -16°). [Dodici lezioni in conti- nuazione dei Nuovi elementi ecc.]. Teoria dell'ascoltazione, Torino, Cugini Pomba e comp. edit., 1850, (pp. XVI - 296, in -16°). Idea generale dello sviluppo della scienza medica in Italia nella prima metà del secolo. Note di A. C. De Meis. Torino, 1851, Tip. Pavesio e Soria, (pp. VIII-96, 16° picc). [Dedicate alla memoria di Luigi La Vista e di Casimiro De Rogatis]. Del metodo delle scienze mediche. Lettera al professore Carlo Demaria, To- rino, 3 novembre 1853, in Giornale della R. Accademia medico-chirur- gica di Torino, anno VII, voi. XX, Torino, 1854, Tip. di G. Favale e Compagnia, N. 11, 1° giugno 1854, (pp. 176-192). Considerazioni sopra l'infiammazione dei Vasi sanguigni nel Giornale della R. Accad medico-chirurgica di Torino, Tip. di G. Favale e Compagnia, anno VI, voi. XVII, Torino, 1853, N. 17, 10 giugno 1853, pp. 209- 228; anno VI, voi. XVIII, Torino, 1853, N. 29, 10 ottobre 1853, pp. 177-209; N. 32, 10 novembre 1853, pp. 321-336; N. 33, 20 novem- bre 1853, Pp. 379-393; N. 35 e 36, 10 e 20 dicembre 1853, pp. 465- 503; anno VII, voi. XX, Torino, 1854, N. 11, 1" giugno 1854, pp. 143- 158; N. 12, 15 giugno 1854, PP. 218-230; N. 13, 1° luglio 1854, pp. 257-263. [Nella seconda, nella terza e nella quarta puntata il titolo è : Considerazioni sopra la flogosi dei Vasi sanguigni. Nella quinta puntata e nelle successive il titolo è : Considerazioni critiche sopra la flogosi ecc.]. / mammiferi, Volume 1°, Introduzione, [fase. 1° e 2°], Torino, 1858, Tip. del Picc. Con. d'Italia (pp. 176: incompleto). [L'opera è preceduta da un'affettuosa lettera dedicatoria « al professore Francesco De Sanctis a Zurigo ». Sulla copertina dei Mammiferi si legge: « Quest'opera si com- porrà di tre volumi : il primo conterrà YIntroduzione, il secondo i Generi, il terzo le Specie dei mammiferi, e sarà pubblicata a fascicoli di circa 5 fogli a ragione di centesimi trenta per ciascun foglio. Tutta l'opera sarà composta di circa 70 fogli... »]. Fisiologia, Torino, Tip. Franco, figli e C, 1859, pp. 109, 8°. (Estratto dalla Nuova enciclopedia popolare del Pomba). XIV Bibliografia. Gl'ippocratici e gli antippocralici, nella Rivista contemporanea, Torino, dalla Società l'Unione tip. editrice, 1860, Volume vigesimo, anno ottavo, Pp. 425-434. Lettere fisiologiche. Lettera I, nella Rivista contemporanea, Torino, dal- l'Unione tip. editrice, 1860, voi. vigesimosecondo, anno ottavo (pp. 20-36). [Definizione della vita], pp. 2, in -8°. [Il De Meis, sotto la data di Modena 30 aprile 1860, espone l'idea del corso di fisiologia iniziato in quella Università « e che con dispiacere sono ora costretto ad interrompere ». Cfr. infra: Prelezione al corso di fisiologia ecc.]. Agli elettori di Manoppello, (pp. 8, in -16°). [Data, Napoli 16 febb. 1861]. Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena nel- l'anno scolastico 1859-60, Napoli, Stabil. tipogr. di T. Cottrau, 1861, pp. 18, in -8°). // Collegio Medico-chirurgico di Napoli e la « Monarchia nazionale », Na- poli, Stab. tip. F. Vitale, (pp. 14, 8°). [Polemica anonima contro il gior- nale la Monarchia nazionale. Reca la data del 2 gennaio 1862]. Degli elementi della medicina, Prelezione di A. C. De Meis professore di storia della medicina nella R. Università di Bologna, detta il 10 dicem- bre 1863, Bologna, Monti, 1864, (pp. 62, in -8°). Della natura medicatrice. Lettera prima al prof. Cesare Taruffi, in Bullettino delle scienze mediche pubblicato per cura della Società medico-chirur- a gica di Bologna. Bologna, Tipi Gamberini e Parmeggiani, 1864, Serie 4 , voi. 21«, (pp. 464-469). La chimica fisiologica, Lettere, Fano, 1865 (nel giornale L'Ippocratico, III, voi. 7, estr. di pp. 65, in -8°). [Sono due lettere: I. La vita; 2. La chimica inorganica. - Il De Meis si era proposto di scriverne dodici, e di pubblicarle pei tipi del Le Monnier. Questi insistette molto, anche per mezzo di Marianna Florenzi-Waddington, per averle dall'Autore ; ma invano]. / naturalisti, Dialogo 1°, nella Civiltà Italiana, Firenze, Niccolai, dir. da A. De Gubernatis, 22 gennaio 1865, pp. 54-57. La natura a volo d'uccello : Forza e materia, Dialogo, nella Civiltà Italiana, Firenze, Niccolai, dir. da A. De Gubernatis, 12 febbraio 1865, pp. 103- 107; 19 febbraio 1865, pp. 115-119. La natura a volo d'uccello: Un nuovo corpo semplice, Dialogo, nella Civiltà Italiana, Firenze, 2 aprile 1865, pp. 6-9. [Questo dialogo e i due pre- cedenti sono citati nei Tipi animali (v. infra), [parte prima], p. 246, col titolo: / tipi naturali]. Bibliografia. XV A . C. De Meis deputato di Chieti ai suoi elettori, Bologna, Monti, 1865, (pp. 44, in -8°). [Reca la data: Bologna 7 novembre 1865]. / tipi VegetaU. Ad uso delle scuole italiane, Bologna, Monti, 1865, (pp. 96, in -16° picc). [È, dedicato alla contessa Teresa Gozzadini]. Lettere [il testo: lettera] sulla patologia storica. Lettera I. Si dimostra che l'uomo era in origine assolutamente sano. Estr. dal Bull, delle scienze mediche di Bologna, serie V, voi. I, p. 385, (pp. 12, in -8°). Delle prime linee della patologia storica, Prelezione al corso di storia della medicina per A. C. De Meis, detta l'8 gennaio 1866, Bologna, Monti, 1866 (pp. 75, in -8°). // sovrano, nella Rivista bolognese, periodico mensuale di scienze e lette- ratura, compilato dai proff. Albicini, Fiorentino, Siciliani e Panzacchi, Bologna, Monti, 1868, voi. I, (pp. 79-87). [Ristampato, con notizie e documenti della polemica a cui lo scritto diede luogo tra il Carducci e il Fiorentino, dal CROCE, nella Critica, Vili (1910), pp. 401-421]. [Dichiarazione] nella Gazzetta dell'Emilia, anno IX, N. 68, 9 marzo 1868. [Si riferisce alla polemica ora accennata. Fu pubblicata anche nel giornale La Patria di Napoli, a. Vili, N. 72, 13 marzo 1868; e fu ri- stampata dal CROCE, nella Critica, Vili (1910), pp. 416-418]. // sovrano. Al signor G. B. Tahiti. [Articolo Il|, nella Rivista bolognese, Bologna, Monti, 1868, voi. I, (pp. 185-208). [È una lettera, con la data: Bologna, 16 marzo 1868]. Dopo la laurea - Vita e pensieri [parte prima|, Bologna, Monti, 1868, (pp. 448, in -16°); parte seconda, Bologna, Monti, 1869, (pp. 266). (Le prime cinque lettere (1863-66) erano state pubblicate qualche anno prima nel giornale L'Ippocratico di Fano. L'Intermezzo II (parte seconda, pp. 46-60) fu pubblicato nella Rivista bolognese, 1868, fascicolo del novembre, pp. 971-981, poco prima della pubblicazione del volume]. La natura medicatricc e la storia della medicina, Lettera al prof. Salvatore Tommasi, Bologna, Monti, 1868 (Estratto dal fase. 8° della Rivista bo- lognese, pp. 24, in -8°. Data: Bologna 20 luglio 1868). [Fu pubblicata anche nel Morgagni, a. X, agosto 1868, pp. 549-575]. Della medicina sperimentale, Prelezione, Bologna, 1869, (pp. 29, in -8°). |Fu pubblicata anche nel Morgagni di Napoli, XI, 1869, pp. 161-189]. Lo Stato, nella Rivista bolognese, 1869, pp. 3-31, 153-194 e 453-475. Deus creavit, Dialogo I, nella Rivista bolognese, 1869, pp. 724-773. Della utilità dello studio della storia della medicina, [Prelezione], Estratto dalla Rivista Partenopea [del 1870], (pp. 4, in -8°). XVI Bibliografia. Testa e Bufalini. Lettere IV, Fano, Lama, 1870 (estr. dall'Ippocratico). Sintesi ed episintesi, Prelezione al corso estivo 1870, Bologna, Monti, 1870, (pp. 13, in -8°). (Pubblicata sotto il titolo di « Prelezione » nei Tipi animali (v. infra), [parte prima], pp. 5-17). / tipi animali, Lezioni, [parte prima], Bologna, Monti, 1872, (pp. 587, in -16°); e parte seconda, 1875, (pp. 585-1143). [La «Prelezione» era 3 stata pubblicata prima (v. Sintesi ed episintesi). La lezione VII ([1], 125- 156) fu pubbl. nel Giornale napoletano di filosofia e lettere, dir. da B. Spaventa, F. Fiorentino e V. Imbriani, febbraio 1872, pp. 69-93, col titolo: / tipi animali (Da Linneo a Darwin)]. Prenozioni, Bologna, Tip. di G. Cenerelli, 1873, (pp. 126, in -16°). Del concetto della storia della medicina, Prelezione, Bologna, Monti, 1874, (pp. 26, in -8°). La medicina religiosa, Prelezione, Bologna, Monti, 1875, (pp. 24, in -8°. Fu pubblicata anche nel Giornale napoletano di filosofia e lettere, scienze morali e politiche, diretto da Francesco Fiorentino, Anno I, voi. I, fase. 2 aprile 1875, pp. 265-280). All'onorevole signor commendatore Gaspare Monaco La Valletta senatore del Regno, presidente dell'Associazione costituzionale di Chieti, Bolo- gna, Monti, 1879, pp. 20, in -8°). [È, una lettera, con la data: Bologna, '17 maggio 1879]. // canonico di Campello e la stampa tedesca, nella Gazzetta dell Emilia, anno 1881, nn. 319, 320, 321, 322. [Anonimo. Si finge tradotto dal tedesco]. La malattia dell' on. Sella, nella Gazzetta d'Italia, [giorn. di Firenze], N. 43, 12 febbraio 1882. [Anonimo]. Agli elettori del 1° Collegio di Chieti, Bologna, Monti, 1882, (pp. 79, in -8"). [Data: 19 ottobre 1882]. Filosofia e non filosofia, Discorso inaugurale per la riapertura degli studi nella Imperiale Accademia di Krenztburg del dott. E. K. Mayow, prof, di zoologia in detta Università, tradotto dal tedesco, Bologna, Monti, 1883, (pp. 20, in -8°). Francesco De Sanctis, Bologna, Fava e Garagnani, 1884, [Estratto dai nu- meri 8-11 della Gazzetta dell'Emilia, opuscolo di pp. 18, in -16°, firmato « Camillo ». Ristampato nel volume In memoria di Fr. De Sanctis, Na- poli, Morano, 1884]. Bibliografia. XVII Bertrando Spaventa [Necrologia di], nella Gazzetta dell'Emilia (Monitore di Bologna), a. XXIX, N. 54, 23 febbraio 1883 (>)• Francesco Fiorentino, Necrologia, Bologna, Fava e Garagnani, 1884. - [Estratto dalla Gazzetta dell'Emilia, 28 dicembre 1884, N. 359. Opu- scolo di pp. 10, in -16°, anonimo]. Spagnolismi e francesismi. Note di AngeiAntonio Meschia (-) maestro ele- mentare in Zangarona Albanese, Bologna, Monti, 1884, (pp. 80, in -16° picc). Darwin e la scienza moderna, Discorso del prof. Camillo De Meis per la solenne inaugurazione degli studi nella R. Università di Bologna nell'anno scolastico 1886-87, Bologna, Monti, 1886, (pp. 35, in -8°). [Stampato anche neWAnn. della R. Univ. di Bologna]. Rialzare gli studi, Estratto dal giornale L'Università, Bologna, 1887, Società Tip. già Compositori, (pp. 12, in -8°). Repubblica o monarchia (Da un album), nel Sancio Panza, Bollettino quo- tidiano di Bologna, stampato e redatto nella sede dell'Esposizione Emi- liana, N. Primo, 12 maggio 1888; segue una polemichetta nel giorn. cit. numeri 3, 5, 6, 8, 10. [La pagina d'album e la polemica furono ripro- dotte in un opuscolo, edito a Bologna, Fava e Garagnani, 1889]. Corso di storia della medicina nella Università di Bologne - Appunti sul- l'introduzione al corso e sulla medicina orientale, nell'Università, Bo- logna, A. Idelson, 1890, (pp. 246-250, 310-312, 487-491). [Uscì pure in un opuscolo di pp. 8, in -8°, estratto dall'Università, Bologna, Azzo- guidi, 1890]. Lettere di A. Camillo De Meis a B. Spaventa, pubbl. da G. GENTILE, Napoli, Melfi e Joele, 1901, per nozze Salza-Rolando, (pp. 32, in -16°). [Tre lettere ed un telegramma del De Meis sono state pubblicate in Maria Teresa di Serego-Allighieri Gozzadini, seconda edizione ampliata con pref. di G. CARDUCCI, Bologna, Zanichelli, 1884, pp. 498-499, 570, 613, 630-631 (la prima è la dedicatoria dei Tipi vegetali); una lettera da G. CANEVAZZI, Autografi inediti pubblicati per le auspicatissime nozze del tenente nobile Orazio Toraldo di Francia con la gentile signorina Gina Mazzoni, celebrate in Firenze il III luglio MCMXI, Modena, Soc. tip. Modenese, 1911, pp. 11-12. Altre lettere del De Meis sono state pubblicate dal CROCE nel volume Silvio Spaventa - dal 1848 al 1861 - Lettere scritti documenti, Napoli, Morano, 1898; e negli articoli su // De Sanctis in esilio - Lettere inedite, nella Critica, XII (1914), pp. 85, 161, 241, 321, 405; ed una in FRANCESCO De SANCTIS, Lettere da Zu- rigo a Diomede Marvasi, Napoli, Ricciardi, 1913, pp. 137-138. Il Croce preparava anche, sin dal 19i4 ('), un florilegio del carteggio inedito del De Meis per gli Atti dell'Accademia Pontaniana. Molte lettere del De Meis sono possedute da Bruto Amante, e saranno probabilmente pub- 2 blicate a spese del Consiglio Provinciale di Chietij). ( La religione cristiana è già distrutta nel mondo civile latino; vive solo nell'ancor barbaro mondo germanico; la riforma è il secondo medio evo germanico. Il soprannatu- rale non illude più. All'epica religiosa del medio evo, ed all'epica giocosa del risorgimento, parodia generica del so- ( l ) Questo pensiero risulta dalle pagine del Dopo la laurea, pur senza esservi enunciato esplicitamente, e chiarisce le apparenti contraddizioni notate dal GENTILE, La filosofia in Italia dopo il 1850, 1. cit., p. 302. Le idee estetiche e religiose. 295 prannaturale nel principio, poi caricatura smaccata e cinica della religione, succede la drammatica senza soprannaturale. Nel XVI secolo la distruzione è compiuta in Italia; in Francia erano irreligiosi i pochi uomini colti, ma la nazione era incolta, e per questo la riforma potè attecchirvi, come vi attecchì nel secolo XVII il giansenismo, una riforma miti- gata; ma nel secolo XVIII la Francia, divenuta centro di coltura, fu anche centro di incredulità. Il secolo XVIII è il secolo della filosofìa sofistica e negativa. Alla tragedia del Voltaire, priva di vita poetica quando ha per fine l'irreli- gione, ed a quella dell' Alfieri, in cui tutto è umano e naturale, succede la lirica moderna, che « non lascia alcun margine fra sé e l'assoluta riflessione, e giunge all'ultimo limite della poesia » ('). Anche in Germania, in parte per riflessione spontanea e in parte per influenza del ri- sorgimento italiano divenuto sud-europeo, si è iniziato il risorgimento, che differisce dal latino in quanto non è la semplice rappresentazione del naturale, ma la negazione del soprannaturale, rappresentata e sviluppata nelle sue conse- guenze. Secondo il De Meis, i due risorgimenti, il latino e il germanico, che già nel sec. XVII reagivano l'uno sul- l'altro, nel XIX si fondono in un solo risorgimento, un solo mondo di poesia e di pensiero, in cui la religione, divenuta indifferente, è appunto per questo perfettamente tollerata. E a questa fusione delle due Europe in una sola Europa spirituale seguirà certo fra non molti secoli la fusione in una sola Europa giuridica e politica. Il secolo XIX durerà finché duri l'uomo. S'inizia nel secolo XVII, quando a lato a Bacone — che mettendo fin da principio fuori causa lo spirito non lo ritrova più in se- guito, e nega la possibilità di conoscerlo, consolidando la opera del risorgimento negativo, — sorge Cartesio, che con- ( 2 ) Dopo la laurea, [I], p. 200 e segg. 296 Le idee estetiche e religiose. verte subito il dubbio nell'intima certezza di sé, del pen- siero del suo pensiero ( 1 ). Il vangelo di Gesù è quello del cuore, il vangelo di Giovanni quello della fantasia, il Di- scorso del metodo è il vangelo dello spirito. Tu es Petrus : il cogito cartesiano è la pietra su cui sorgerà la vera Chiesa cattolica, un edifizio che avrà le proporzioni dell'universo ed accoglierà tutto il genere umano, destinato a formare un solo ovile sotto un solo pastore, il pensiero. Dopo Cartesio, il moderno Anassagora, viene Kant, il Socrate moderno, che leva di mezzo la metafìsica e la natura, e parla dello spirito, uno spirito fenomenico sì, ma dal quale egli fa sca- turire la vita, la virtù, la morale, attribuendo alle cose dello spirito un pregio infinito. Vero è che questo infinito, questo divino, questo assoluto e universale non è che individuale. Ma solo per Socrate. Dopo di lui viene Platone — leggi Fichte — , che con profonda intuizione vede come l'univer- sale e il particolare di Socrate si compenetrino in una sola unità. E dopo Platone viene Aristotele ( 2 ), viene Giorgio He- gel, che nulla concede alla intuizione e alla fantasia, procede con rigore, esattezza e precisione, tanto che il suo regno non durerà solo diciotto secoli, come quello dell'antico Aristo- tele, ma diciottomila, o meglio finché duri questo attuale genere umano. Giorgio Hegel, ponendosi nella posizione di Cartesio, rifa per intero il processo della conoscenza e trova il processo della creazione. Questo grande movimento, che si compie nel nord, si era iniziato nel sud ( 3 ) ; ma il sangue del Bruno era stato ver- sato invano ed il Vico non era stato compreso da nessuno, ( 1 ) Pel giudizio del De Meis circa il sistema cartesiano, v. qui addietro, pp. 282-83; ecfr. p. 301. ( 2 ) Cfr. qui addietro, pp. 86-87. ( 3 ) V. Dopo la laurea, [I], pp. 209-211. Le idee estetiche e religiose. 297 un po' per colpa del papato e molto più pel carattere delle loro creazioni, che erano intuizioni isolate del genio, più che momenti di uno sviluppo storico ordinato e necessario. La storia del pensiero moderno è una storia tutta settentrio- nale. La Germania è la nuova Grecia europea. Nel mondo latino non giunge che tardi l'eco indebolita e sfigurata della grande filosofia. Cartesio, il padre della filosofia moderna, non procede dal Bruno, non è inteso dal Vico, né dal Gio- berti finché egli non si fu « spapificato » ; Spinoza fa rab- brividire l'Italia e la Francia. Il De Meis riteneva che a Napoli si fosse sempre conservato, in mezzo al risorgimento, un fil di tradizione del Bruno e del Vico: la quale, così guasta e superficiale come era diventata nelle mani degli avvocati, pure era stata bastante a farne un paese a parte; ma credeva che i germi gettati dal pensiero italiano avessero germogliato in Germania. Bertrando Spaventa si era molto preoccupato del problema della filosofia nazionale ('). E il De Meis accoglieva in questo proposito l'opinione del suo Ber- trando, da lui ritenuto il primo filosofo vivente dell'Italia, e forse di tutta l'Europa, « la Germania inclusive » ( 2 ). Ora che la storia del pensiero filosofico moderno sia concen- trata tutta esclusivamente nella sola Germania — conce- dendo soltanto un posto al cogito cartesiano — è una opi- nione che lo Spaventa, e a traverso lo Spaventa il De Meis, accettano dai romantici tedeschi. Ad essi, e a tutti coloro che hanno fede assoluta di essere nel vero, il nostro Autore rassomiglia anche in questo, che il valore di ogni singolo filosofo è per lui in ragione diretta della distanza che lo (') V. BERTRANDO SPAVENTA, La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, a cura di G. GENTILE, Bari, Laterza, 1909; e Fram- menti di studi sulla filosofia italiana nel secolo XVI, nel Monitore biblio- grafico di G. Daelli, Torino, 1852, nn. 32, 33. ( 2 ) V. Dopo la laurea, [I], pp. 288-290. 298 Le idee estetiche e religiose. separa dalla sua propria concezione. Caratteristici in questo proposito i giudizi circa il Rosmini e la evoluzione del pensiero giobertiano ( l ). Dopo Hegel, secondo il De Meis, religione e poesia cedono in Germania il posto alla teologia e all'estetica. Nel mondo latino la tradizione cartesiana si è dispersa; è rimasto padrone del campo il risorgimento sofìstico, ateo e negativo. Ma l'uomo non può vivere senza un Dio, e il tempo mo- derno, quando il risorgimento ebbe distrutta la religione cri- stiana, si volge al passato, al medio evo sacerdotale e sim- bolico, e moltiplica gli sforzi per creare una nuova reli- gione. Sforzi vani, che la religione cristiana, religione di Dio, del vero spirito, della sua trinità, della sua umanizza- zione, è l'ultima di tutte le religioni, e solo potrà trasfor- marsi e purificarsi. Mentre questi vani sforzi si compiono nella Germania volgare — non in quella pensante — , nel sud, dove un ele- mento pensante manca, la parte più elevata, non però pen- sante e moderna, tardivamente inaugura il secolo XIX: è un secolo XIX non filosofico, perchè non è rischiarato che da un debole raggio di riflessione ; è pseudo-religioso e pseudo-poetico; si apre col Concordato e col Genio del Cri- stianesimo, parti infelici della riflessione travestita da imma- ginazione ("). La riflessione, non avendo piena coscienza di sé come nel mondo germanico, coesiste nel mondo latino a fianco alla poesia; e dà origine ad una pseudo-epopea, al romanzo ( 3 ), genere ibrido, anfibio, tra la storia e la finzione, tra la poesia e la prosa, tra l'arte e la scienza. Il romanzo, genere equivoco, compare per la prima volta nel principio del secolo XIX dell' antichità, ricompare nel nostro se- (!) V. Dopo la laurea, [I], pp. 415, 435, ecc. ; II, pp. 29-35, ecc. ( 2 ) V. Dopo la laurea, [I], pp. 211-218. ( 3 ) V. Dopo la laurea, [I], pp. 226-252. Le idee estetiche e religiose. 299 colo XIX, e rinasce in Germania, col Goethe, genio equivoco, tra la poesia e la prosa, in cui l'universo si riflette tutto intero; si sviluppa in Inghilterra, paese equivoco, tra latino e ger- manico, e raggiunge la sua perfezione in Italia, paese equi- voco anch'esso, mezzo liberale e poetico e mezzo prosaico e papale, e precisamente in un uomo, come Goethe a cui somiglia, equivoco: Alessandro Manzoni. Si osservi che il De Meis, una volta stabilito che il romanzo è un genere equivoco, trova che sono equivoci tutti gli individui e tutti i popoli presso i quali il romanzo fio- risce, prendendo — si noti — la parola equivoco nella acce- zione di misto e complesso, sì che ad ogni popolo e ad ogni individuo potrebbe indifferentemente applicarsi. Dopo lo Scott e il Manzoni, il romanzo va perdendo il carattere epico, e diventa sempre più storico, riflessivo e prosaico con l'Hugo e con la Sand, finché in Paul De Kock e Edgardo Poe la prosa assorbe ed avviluppa in se la poesia. Nel risorgimento moderno, come nell'antico, la lotta co- mincia antireligiosa e finisce antifilosofica: prima la riforma, uno scetticismo che distrugge 1' Olimpo cattolico ; poi il deismo, uno scetticismo più progredito; infine l'ateismo, uno scetticismo assoluto, la pessima delle filosofie. « E non è finita ancora la triplice serie » ('), osserva il De Meis, fedele sempre alle sue triadi. La Germania è per tre quarti prote- stante; la Francia è prevalentemente deista, e in parte atea; l'Italia ha una ventina di milioni di analfabeti, tutti papo- temporali ; i semi-analfabeti sono in gran parte demagoghi. Il risorgimento produce quella filosofia che è la bestia nera del De Meis, la filosofia positiva. Era la filosofia che gli aveva preso fra i suoi artigli, strappandolo alla fede hege- liana, un caro amico — rimasto tale malgrado la irreconci- ( l ) Dopo la laurea, [I], p. 354. 300 Le idee estetiche e religiose. liabile opposizione delle opinioni filosofiche — Pasquale Villari, al quale così frequenti e amichevoli frecciate sono dirette nel Dopo la laurea (') ; era la filosofia che accoglieva la teoria dell'evoluzione del Darwin; era la filosofia opposta alla hegeliana nel principio, nella essenza, nel metodo. Mai il De Meis si lascia sfuggire una occasione di combatterla : trova che la filosofia scettica dichiara irraggiungibile la na- tura delle cose; ma la filosofia nuova, la filosofia positiva o iperscettica, non ne fa neppur materia di dubbio o di discus- sione, ed è una filosofia dell'apparenza, cioè una filosofia antifilosofica ("). Il risorgimento iperscettico non può trovare la verità, perchè ha l'occhio sempre rivolto alla natura esterna, e non mai alla natura interna, al pensiero dell'uomo, che è la verità stessa. Secondo il De Meis, la filosofia sedicente positiva è di fatto negativa, poiché nega il negabile, la cono- scenza dell'essenziale, e non pone che la conoscenza del- l'apparente, del reale e dell'accidentale, che nessuno ha mai pensato a negare. Questa pseudo filosofia si sviluppa come la vera. Il primo atto è il principio; la scena è in Italia: Telesio scopre l'ap- parenza come principio. Il secondo atto è il metodo ; la scena è dapprima in Italia, poi in Inghilterra; il metodo galileo- baconiano, ovvero induttivo sperimentale, ha due parti: la descrizione e la legge dei fenomeni. Il terzo atto è il sistema, che ha pure due parti : la classificazione e la filiazione dei fenomeni. La filosofia positiva è una terza corrente, che si caccia fra la corrente poetica e la filosofica, ed è il sangue della (') V. qui addietro, pp. 9 nota ( 1 ), 35-36; Dopo la laurea, passim; cfr. PASQUALE VlLLARI, La filosofia positiva e il metodo storico, nel Politecnico di Milano, fascicolo di gennaio, 1866; e B. SPAVENTA, Scritti filosofici, p. 311, nota ( 2 ), per quanto si riferisce alle critiche mosse a questa pubbli- cazione dal WYROUBOFF, dal MamIANI, dal FIORENTINO, dal TOCCO. ( 2 ) V. Dopo la laurea, [I], p. 355 e segg. Le idee estetiche e religiose. 301 filosofia; l'osservazione e l'esperienza ne è lo stomaco; l'in- duzione baconiana il polmone sanguificatore ; la legge posi- tiva il torrente della circolazione; ed essa, la filosofia, è il cervello, in cui il sangue positivo diventa anima e pensiero speculativo. Giorno verrà in cui lo stomaco baconiano non avrà più nulla a digerire, né il polmone a respirare; e la natura divenuta tutta sangue circolerà dentro dell'uomo. Al- lora questa terza corrente, tutta e sempre prosaica, sarà dive- nuta un mare, ed avrà confuse le sue acque col mare della religione, della poesia e della filosofia. La terza parte del gran dramma della filosofia cristiana è il tempo nuovo. Dopo la riflessione negativa del risorgi- mento, la filosofia moderna, come ogni filosofia, muove alla ricerca di un principio. Il nuovo Talete è Giordano Bruno ; il nuovo Pitagora è il Leibnitz. Per passare dal naturalismo dina- mico del Bruno e dal neo-pitagorismo e, per così dire, dal- l'atomismo ideale leibnitziano, dal principio naturale al prin- cipio umano, occorreva un nuovo Anassagora, e venne Car- tesio. Il principio cartesiano, come tutte le cose del mondo, nasce non perfetto; in Cartesio è uovo o tutt' al più em- brione ('). Il secondo atto della filosofia moderna si volge al metodo. Nel perfezionare il metodo antico, l'antica dia- lettica, proporzionatamente alla più perfetta natura del prin- cipio moderno, e nell' esplorare più completamente il prin- cipio, consiste il lavoro del secondo atto del secolo XIX, che termina poco dopo la fine del secolo XVIII. L'atto terzo è il sistema, è il principio di Cartesio e dello Spinoza, del Kant e dello Schelling, corretto e metodicamente sviluppato. Ed è nella sua essenza, se non nella sua esecuzione, il si- stema più compiuto e perfetto, ne altro ve ne potrà mai es- sere in eterno. Il principio è il germe e l'assoluta possibilità dell'universo, ed è quindi uno, come uno è l'universo; tutti (') Cfr. qui addietro, PP . 282-83, 295-97. 302 Le idee estetiche e religiose. i principi a traverso ai quali la riflessione greca è passata non sono che le forme e i gradi della sua cognizione. « E uno è per conseguenza il metodo : e quando si giunge a un punto nel quale il principio contiene in se il tutto % e il metodo si confonde col processo evolutivo del principio, e il sistema è il tutto spiegato; quando la filosofìa giunge a comprendere il creante e il creato in un attivo processo di creazione » ('), non ha più dove andare, a meno che non voglia indietreggiare, come fece la Grecia dopo Aristotele, o uscir dell'universo. E se il tempo moderno non vuole indietreggiare, bisogna che si contenti del suo nuovo Aristotele. Non è possibile un terzo Aristotele, perchè il tempo antico ha ricevuto nel moderno il perfezionamento essenziale, il solo di cui fosse capace : di og- gettivo è diventato soggettivo, di totalità immobile vivo pro- cesso di cognizione e di creazione. Vivo di riflessione filoso- fica, non d'immaginazione. Un sistema, per concreto che sia, è sempre un'astrazione, e l'astrazione è la morte dell'anima umana. L'anima vive finché la fa, ma quando l'ha fatta, quan- do della realtà vivente, ossia di se stessa, ha composto quel- l'estratto che si chiama pensiero filosofico, allora l'azione si arresta, e con l'azione è finita la vita. Quando Aristotele ha creato un grande sistema, perfetto e compiuto per l'antichità, lo spirito antico vi si chiude come in un sepolcro per secoli ; e torna alla vita solo quando ricomincia a sentire e a fan- tasticare. Quando la Germania ha creato il vero sistema del mondo, e recata la religione cristiana nella forma di un cristianesimo assoluto, allora la vita si congela nell'astra- zione, e lo spirito germanico rimane assiderato. Ma presto si scuote, e, brancolando nel buio dell'astrazione hegeliana, trova il risorgimento negativo ed ateo ed il risorgimento ne- gativo-positivo. Congiungendosi col primo, produce mostri filosofici ed aborti strani ; col secondo la medicina naturali- (') Dopo la laurea, [I], p. 373 e segg. Le idee estetiche e religiose. 303 stica e la storia naturale materiale. Ma la Germania mate- rialistica e naturalistica è più morta della Germania hege- liana. Come la pura riflessione, così la pura contemplazione è la morte. La vita è pensiero apparente, è unità di rifles- sione e di contemplazione, di metafìsica e di filosofìa posi- tiva, di poesia e di filosofìa. La storia universale è una sequela di creazioni, identiche fra loro quanto al ritmo e alla legge, sempre più pure e perfette quanto al contenuto, che comincia dalla pura forma dello spazio, e termina nella forma più pura del tempo. Ogni creazione ha come fine la creazione successiva ; ciascuna vive di quella dalla quale nasce e serve di alimento a quella a cui dà origine, che le si sovrappone e l'avviluppa in se stessa, senza distruggerla. Così dalla natura nasce il regno vegetale, da questo l'animale, dall'animale l'uomo finito e particolare, e da questo l'uomo universale. Tutto questo è il regno umano inferiore, e tutto si spiega nella forma dello spazio, e coe- siste come nella natura. L'uomo di sopra, il regno umano universale, ha esso pure la sua storia, ed è una serie di sfere, che l'uria avviluppa l'altra; prima l'arte, poi la reli- gione, poi lo spirito, che universalizza la natura, e dà valore assoluto e infinito al particolare e al finito. Tlàvta qsI . Eterna è solo l'idea ed immortale è soltanto la natura. Come la natura, così l'uomo, lo spirito umano, natura anch'esso, ha una legge inflessibile e costante. « Sono due nature diverse, certo, e ciascuna ha la sua legge partico- lare e propria, ma in fondo è una natura sola, ed una sola legge naturale » ('). Le forme e gli elementi naturali ed umani sono del pari indistruttibili, e la legge comune della loro attività è immutabile: nascere, crescere, decadere e perire è destino comune agli uomini, agli animali, alle piante ( x ) Dopo la laurea, [I], p. 113; cfr. pp. 180-84, e passim; ed / tipi animali, [I], pp. 332-33, 336-37; ecc. 304 Le idee estetiche e religiose. e ai sistemi planetari. Ma gli elementi della natura sono l'uno fuori dell'altro, e anche quando si combinano non si compenetrano ; quelli dello spirito sono compenetrati ed inti- mamente unificati, ne mai si scompagnano nella realtà, va- riando solo quanto alla proporzione. E il prodotto piglia forma e natura dall'elemento preponderante e più attivo. La natura è come una scala a piuoli ; lo spirito come una scala a corda, che raggiunta la meta si raggruppa in se stessa. Nell'uomo-cosmos gli elementi spirituali erano tutti in uno stato di assoluta quiete e di completa indifferenza : solo il genio, l'immaginazione era attiva da principio; poi entrò in attività il senso. Anche la natura, poiché si muove, deve avere il senso naturale, nella forma inferiore di senso chimico ed in quella superiore di senso meccanico. Poi l'uomo di sistema solare si fece pianta; nella pianta l'unico elemento spirituale attivo è il senso chimico. Nell'animale v'è il senso meccanico in nuove forme; v'è un arco diastaltico, di cui l'impressione, il senso naturale è il primo atto, e l'ultimo è il movimento, la contrazione; e nel sommo dell'arco comin- ciano ad entrare in azione gli altri elementi umani : imma- ginazione, sensazione, memoria, e ristretta in una sfera tutta animale una piccola induzione, e per poco la famiglia umana, e talvolta la società umana in forma animale. Finalmente nell'uomo entra in attività la coscienza, la riflessione, e con questa gli elementi spirituali superiori, la poesia, la religione; manca la riflessione della riflessione, la scienza; predomina il senso (vegetale, animale ed umano). Questo è lo stato naturale di cui parla il Rousseau. Nel secondo tempo l'atti- vità passa alla fantasia, e si conciliano le disuguaglianze fra gli uomini. Queste si vanno poi via via accentuando per opera della riflessione, che si è andata rinvigorendo alle spese del sentimento e dell'immaginazione. Ma contemporaneamente a questo processo di divisione e di analisi, si compie nella storia un lavoro di unificazione e di sintesi. La grande ragione avviluppa la piccola, poiché è sempre la facoltà superiore Le idee estetiche e religiose. 305 che unifica in sé e dà la sua forma alla facoltà inferiore, da cui riceve in contraccambio la vita. Questa seconda co- scienza non è un trovato della odierna metafisica, che anche Aristotele parlava di due vovg, l'uno poietico o attivo, l'altro patetico o passivo ; e nel secolo XVI qualcuno fu arso vivo per aver parlato di quel secondo spirito ( l ). La vera vita dello spirito, unità vivente, è in una molti- tudine di individui ad un tempo ; e però la storia dello spirito si compone di una successione di grandi unità ("'). Il primo stato embrionale del genere umano è la natura (il De Mteis, hegeliano e medico, prende spesso come termine di con- fronto l'organismo umano); la vita fetale è il vegetabile e l'animale; terza muda è quella dell'uomo positivo, l'infante del genere umano. Egli con la sua piccola positiva riflessione vede intorno a se un mondo finito, e si fa un Dio finito e posi- tivo; non soddisfatto di questo breve corso mortale, senza scopo in se stesso, sogna una seconda vita, ha fede in essa, ed è religioso. Questa religione, questa fede, si trasforma a poco a poco in un ideale, in un caro sogno poetico. Poi dalla prima nasce una seconda coscienza, e l'uomo intui- tivo diventa — quarta muda — l'uomo riflessivo e intellet- tuale. La nuova coscienza, mentre si appropria la coscienza finita e positiva, imprime in tutte le diverse funzioni umane il suggello della sua infinita unità, pur lasciandole nella loro distinzione naturale; e così permangono l'agricoltore, l'avvo- cato, il medico, e via dicendo. Ma nella sfera superiore le due coscienze si unificano, ed il poeta ed il prete rimangono assolutamente identificati nel pensatore, perchè una volta svi- luppata la coscienza intellettiva l'uomo non può più deporla per ritornare uomo positivo ovvero semi-uomo, così come non poteva deporre la coscienza positiva e tornar ad essere (') V. Dopo la laurea, [\], pp. 169-74. ( 2 ) V. Dopo la laurea, [I], pp. 112-28, 149, 152 e segg. Del Vecchio-Veneziani - 20. 306 Le idee estetiche e religiose. animale. E la poesia si trasforma in estetica; la religione in critica e in filosofia. Oggi la poesia non c'è più al mondo, perchè essa non è una combinazione di fantasia che afferra e trasforma e di natura afferrata e idealizzata ; ma è una sola unità, « è l'universo pervenuto a grado di spirito, che inconsciamente si trasforma e si purifica nella conscia anima di un solo uomo, spettatore più che autore della sua propria trasformazione ». È un fatto di ragione che la vita umana comincia con l'assoluta barbarie, col puro senso materiale e col semplice istinto naturale; e termina nella riflessione intellettuale, che è la vera vita e l'assoluta e definitiva civiltà. È un fatto di osservazione e di ragione che si va dall'una all'altra passando per la forma intermedia della immaginazione. La religione e l'arte è il regno dell'immaginazione: è una barbarie civile ed un senso spirituale. L'epica è la poesia immaginativa e barbara, e perciò più perfetta; la lirica è la poesia riflessiva e civile, e perciò più imperfetta; la drammatica è la forma intermedia. Essa è più riflessiva dell'epica, e sviluppa un elemento di questa; è epico- religiosa nell'antichità, raggiunge la perfezione nel risorgimento, e decade nel secolo XIX, nel greco-romano come nel latino-germanico, per eccesso di riflessione. Analogo arco descrive la lirica, che sviluppa un elemento della drammatica, e, finita come poesia, durerà come lirismo filosofico finché duri il secolo XIX, ossia finché duri il genere umano. La poesia sensibile ed oggettiva è la barbarie dello spi- rito umano, la filosofia intellettuale e soggettiva è la sua ci- viltà ; dall'una all'altra si passa a traverso la forma inter- media della religione, che è tutt'insieme oggettiva e sog- gettiva, è sensibilmente intellettuale, è la barbarie civile dello spirito umano. La religione più barbara, più naturale, più oggettiva e più epica è la religione indiana; la più civile, più umana, più soggettiva e più lirica è la cristiana. Tra la Le idee estetiche e religiose. 307 religione epica orientale e la religione lirica occidentale, la religione passa per una stazione intermedia, la Grecia, e vi prende una forma intermedia, la forma drammatica. Nella religione indiana troviamo tutti gli elementi e tutti i carat- teri di un sistema religioso completamente sviluppato; il politeismo greco è la prima caduta della religione, la quale risorge nel tempo moderno. L'oriente moderno, ossia il medio evo, pone gli elementi essenziali della religione, che sono quelli stessi del pensiero, nella vera forma religiosa; l'anti- chità moderna, ossia il risorgimento, spezza questa forma; il secolo XIX, il vero tempo moderno, li pone nella forma di pensiero : invece della riflessione filosofica del medio evo è una filosofia religiosa. L'oriente è essenzialmente epico; la Grecia è, nella sua stessa epopea, principalmente dramma- tica; il tempo moderno è tutto umano e tutto divino ed è tutto lirico e riflessivo. E del tempo moderno il medio evo è religioso ed epico; ma è un'epica lirica, ispirata dalla grande riflessione: tale è la poesia dantesca. Il risorgimento è irreligioso e drammatico. Il fantastico si cangia nel mera- viglioso; poi il meraviglioso stesso sparisce dalla poesia. Il secolo XIX è di nuovo religioso ed è tutto lirico: il prin- cipio è epico-lirico; poi viene la drammatica, che comincia storica e finisce cittadinesca e domestica; e all'ultimo viene una lirica tutta stravolta per voler essere ultra-poetica. Ormai la riflessione ha superata l'immaginazione; il sentimento e la fantasia sono stati oltrepassati e ravviluppati dentro al pensiero; quindi quella del nostro tempo deve essere una poesia lirica, drammatica ed epica ad un tempo; il prodotto di tutte le facoltà riunite, la filosofia vivente, poetica e religiosa, la filosofia dell'universo, cioè dell'uomo. 11 se- colo XIX, cominciato lirico-poetico, termina lirico-prosaico- filosofico-poetico-religioso ed assolutamente cristiano. La poesia non è morta; ha subita una metempsicosi, uscendo 308 Le idee estetiche e religiose. dalla forma di immaginazione per entrare in quella di filo- sofìa, e in quella vive ed eternamente vivrà. La forma e l'elemento della poesia e della religione è, come abbiamo visto, l'immaginazione. Quando il risorgimento ha distrutta l'immaginazione, allora il sentimento, che prima era in germe, assorbe tutto l'uomo e tutta la natura. E sorge la musica f 1 ), forma di poesia della quale il sentimento è solo elemento e sola sostanza, e il tempo V unica forma. La musica è l'ultima delle arti ; la poesia è la prima. Le arti plastiche usano una materia più naturale, meno ideale, deb- bono sostenere con questa una lotta più lunga, e giungono più tardi a perfezione. Viene prima la scultura, poi la pitiura. Certo la musica è nata, come tutto il resto, con l'uomo; ma nel medio evo antico è un esercizio secondario, subor- dinato alla poesia e alla religione ; nel risorgimento sofistico è bensì un'arte, ma rimane di gran lunga inferiore alla scul- tura e alla pittura ; nel medio evo moderno la musica è epico- religiosa, e rimane subordinata alla religione. Solo nel risor- gimento moderno la musica si sviluppa, mentre le arti pla- stiche decadono: dapprima, nel risorgimento drammatico, la musica non è che un compimento e un aiuto del dramma ; acquista un proprio assoluto valore solo nel risorgimento li- rico, che è il tempo della negazione del pensiero, ossia del- l'essenziale, e quindi è il tempo del nulla. Questo vuoto sentimento si traduce in un vuoto suono, che diviene arte e poesia. La musica è dunque una lirica vacua, è un'arte oltre-lirica, è l'arte del nulla. È l'ultimo prodotto del risorgi- mento, ed è quello che meglio ne scopre il carattere, poiché il fine è il grande rivelatore. Ma il nulla al quale il risor- gimento mette capo, se in apparenza è la fine, in realtà è il principio, quello stesso dal quale in origine usciva Funi- verso. Da quel punto istesso l'universo, ossia l'uomo, rico- H V. Dopo la laurea, [I], pp. 310-333. Le idee estetiche e religiose. 309 mincia da capo, tutto intero, in seno alla filosofìa. Questa nuova creazione è il tempo dell'essere, il secolo XIX, che ha per necessaria preparazione il risorgimento progressiva- mente negativo e per divisa: negazione di negazione. Il se- colo XIX nega quel vuoto universo di suoni ; fa della musica quello stesso che già prima ha fatto della poesia, la dissolve a poco a poco ; comincia dallo snaturare la musica a furia di sapere e di meditazione, dando sempre meno alla me- lodia e sempre più all'armonia, e la riduce ad essere una scienza musicale. Questo è già avvenuto in Germania, dove allato al risorgimento scorre il tempo moderno; nell'Europa italo-celtica prevale ancora il risorgimento lirico, e tocca ormai l'estremo punto dell'assoluta negazione; già la musica si avvicina al suo limite prosaico ; già il pensiero positivo comincia a sopraffare e ad assorbire il sentimento e l'imma- ginazione. Il tempo moderno è la vita che rinasce dal seno della morte, la fede che spunta dalla negazione. Non il tempo moderno dell'antichità, perchè sopravviene nell'anima ro- mana, mentre il dramma del risorgimento si era combattuto nell'anima greca, ma il vero tempo moderno, il nostro se- colo XIX, che è la continuazione e l'adempimento del risor- gimento cristiano. In questo secolo il sentimento dell'uma- nità, che è un aspetto del sentimento della natura, prenderà la sua vera forma in una nuova poesia, nella quale la lirica, la drammatica e l'epica saranno ricomposte in una unità assoluta e definitiva. L'unificazione non è però avvenuta ancora nel campo della poesia, né in quello della religione e della filosofia. La poesia primitiva o naturale, invariabile come la natura, sussiste presso il popolo analfabeta; e c'è la poesia medio- evale e quella del risorgimento, immodernate e ormai vuote. Così è delle forme religiose (*). Analogamente delle forme 0) Cfr. qui addietro, pp. 287-88. 310 Le idee estetiche e religiose. filosofiche : esiste presso il popolo apostolico primitivo la filosofia primitiva o religione ; ed esiste pure la filosofia me- dioevale, la scolastica del secolo XIX, e la filosofia del risor- gimento, con tutte le sue gradazioni progressivamente scet- tiche e negative e con tutte le sue forme positive. Abbiamo oggi la massima complicazione di indirizzi e di forme ; non è però difficile distinguere le diverse funzioni storiche in atto, né prevedere un continuo avvicinarsi ad una assoluta unità. A questa teoria del De Meis si mossero da Silvio Spaventa e da altri obbiezioni ('), che possono ridursi sostanzialmente a questa : Come può lo spirito umano perdere due delle sue funzioni essenziali, l'arte e la religione ? Il De Meis risponde che Silvio Spaventa ha ragione se, basandosi sulla filosofia kantiana, afferma che lo spirito umano sarà sempre tratto a fare degli assoluti giudizi religiosi ed estetici, ad unire al concetto della mente la intuizione che deve dargli corpo e vita; ma ha torto se crede che la intuizione da accompa- gnare all'ideale debba essere sempre fantastica e falsa. Nel principio l'intuizione religiosa e l'intuizione estetica è creata dalla fantasia, ed è a vicenda distrutta perchè non è la vera, non è assoluta, e non agguaglia l'assoluto concetto; e di qui nasce da una parte una serie di capolavori tutti relati- vamente perfetti — se son davvero capolavori — , perchè l'ideale dell'arte, come finito ch'egli è, può accordarsi con una intuizione finita; e ne viene dall'altra parte una serie di religioni tutte imperfette e però tutte transitorie, perchè l'ideale religioso è infinito, e la fantasia non sa creare che delle immagini finite. Ma le due serie hanno una legge, perchè ( ] ) V. Dopo la laurea, II, pp. 19-46; e cfr. Poesia ed arte, Lettera di G. FRANCESCHI al De Meis, nella Rivista bolognese, 1868, pp. 1045-51. Il Franceschi dice che il De Meis, togliendo all'uomo la religione e la poesia, lo abbassa all'abbaco e al pane ; egli non comprende che il De Meis intende anzi di innalzarlo alla sua filosofia religioso-poetica. Le idee estetiche e religiose. 311 hanno un termine : e il loro termine non può essere che la vera e reale intuizione corrispondente al concetto dell'arte ed all'ideale della religione. E difatti abbiamo da un lato una serie di forme estetiche l'una meno perfetta dell'altra, e sempre meno rispondenti alle condizioni assolute dell'arte; e sono sempre meno naturali e spontanee, meno epiche e fantastiche, sempre più spirituali, liriche, filosofiche e reali; e sì l'intuizione dell'arte è sempre meno lieta e bella, e più trasparente ed immediata all'ideale. È, dunque una serie regressiva e discendente. La serie religiosa è al contrario ascendente e progressiva. Ogni forma religiosa è meno fan- tastica, più razionale, più reale della precedente. Per cui l'ultima, la cristiana, è assolutamente vera e perfetta; in essa al mondo della ragione corrisponde un mondo fanta- stico quanto esser può più adeguato e spirituale : il cristia- nesimo non ha altro difetto che quello di essere una reli- gione. La religione cristiana si va sempre più perfezionando; e il suo perfezionamento consiste nell'essere sempre più storia, più realtà, più verità, e sempre meno religione. E così per contrarie vie, l'una scendendo e l'altra montando, la religione e l'arte corrono al loro fine, al vero. Il vero è l'eguaglianza della realtà e dell'idea, del pensiero e del- l'intuizione. L'intuizione estetica, da principio fantastica e non realmente assoluta, diventa a gradi sempre più somi- gliante al concetto assoluto dell'arte, finché raggiunge l'asso- luta e reale intuizione. Allora la natura è concepita come un solo essere vivente, indipendente, assoluto; e ciascuna sua parte è intuita come membro dell'intero, ed assoluta essa stessa : giacché le due intuizioni ne fanno una sola. La intuizione religiosa, essendo finita, non è adeguata alla sua idea, che è infinita. La verità religiosa non è mai la vera, perchè è una combinazione di finito e di infinito, anzi che di infinito con infinito. Ma la intuizione religiosa si va sempre più allontanando dalla forma naturale, e si fa sempre più veriforme fino a diventar vera ; il che avviene quando 312 Le idee estetiche e religiose. l'infinito ritrova se stesso, ed è a un tempo concetto e intuizione. Allora al falso succede il vero, e la religione fi- nisce. Questo non è perdere una funzione; è risolvere e trasfigurare. Le funzioni inferiori dello spirito, come la mo- rale, il diritto, lo Stato, conservano una esistenza separata, perchè partecipano ancora della qualità della natura; ma la religione e l'arte hanno per oggetto il vero; sono i gradi e le forme del vero pensiero, e perciò quando il pensiero ac- quista una esistenza distinta, esse la perdono e rimangono unificate in lui. L'arte è per sua natura illusione e la reli- gione è per sua essenza errore ; ora l'illusione è fatta per trasformarsi in certezza e realtà, l'errore in verità. L'arte si trasforma nella vera cognizione naturale ; la religione nella vera cognizione spirituale. In questa trasformazione consiste la storia; il suo compimento è il fine della civiltà ed il limite del progresso umano, che è temporalmente indefinito, ma idealmente determinato. L' ideale è provvisorio, e sparisce nell'idea. Così termina la parabola religioso-poetica, della quale il primitivo oriente è il ramo ascendente; l'antichità pagana, tutta arte e mistero, è la cima; ed il ramo che discende è l'era cristiana, in cui la religione e l'arte vanno progressi- vamente diventando più riflessive, sino a ridursi ad essere, oggi, il pensiero e la scienza cristiana. L'uomo moderno cerca l'ideale e trova l'idea, cerca il concetto dell'arte e trova il vero concetto, cerca il divino fuori di se e trova in se l'umano; cerca il sovrannaturale e trova il naturale. Il nuovo uomo crede e pensa; e pensando ricrea l'universo, dal suo pensiero una prima volta creato. Questo nuovo universo è un'opera d'arte in cui la forma eguaglia il concetto ; ed il concetto fatto conscio di se vince la forma, ed è bello e sublime ad un tempo. Questo nuovo universo è un capo- lavoro, di cui il nuovo uomo, poeta e critico insieme, intende il magistero; è un tempio, di cui il pensiero umano è il nume Le idee estetiche e religiose. 313 e ciascun uomo il sacerdote, che a quel Dio sacrifica ciò ohe è in lui di non buono. E il nuovo uomo continua questa creazione con azioni generose ed alti pensieri. « Ed è così che egli è più che mai non sia stato religioso e poeta, quando non è più che scienziato e libero pensatore ». L'uomo parte dalla tenebrosa unità della natura e del senso, e, a traverso la piccola riflessione e la grande immaginazione, giunge alla luminosa unità della riflessione intellettiva, av- vivata dalla fede religiosa e poetica, che sole restano della religione e della poesia. Naturalmente gli argomenti logici addotti dal De Meis a sostenere la sua tesi della « metempsicosi » della religione e dell'arte nella filosofia hegeliana sono validi solo se si ammette l'esistenza di un concetto assoluto, universale, defi- nitivamente vero, al quale le intuizioni estetiche e le reli- giose possano gradatamente adeguarsi; solo, in una parola, se si accoglie l'hegelismo dell'Autore. Il compendio di storia del genere umano tracciato per convalidare queste argomentazioni non raggiunge lo scopo, perchè in esso non la storia conduce alla dimostrazione, ma la dimostrazione, se pur non modifica la storia, certo la coglie nei momenti e negli aspetti a lei giovevoli, sorvolando sugli altri. E le molte e molte pagine che l'Autore consacra alla dimostra- zione della sua tesi riescono invece a dimostrare questo : che egli ha avuta la somma fortuna di trovare nella sua conce- zione dell hegelismo la sua filosofia, la sua religione e la sua poesia. Il De Meis è certo che le tre grandi correnti umane, — la contemplativa religioso-poetica che nasce dalla natura e la riflessi vo-filosofica che, nata dalla precedente, si suddivide in altre due : la filosofica positiva o filosofia della sostanza e Tanti filosofica negativa che bentosto diviene afilosofica, nega- tivo-positiva, pseudo-riflessiva o filosofia dell'apparenza — , dopo aver proceduto isolate fino al secolo XIX, suddivi- 314 Le idee estetiche e religiose. dendosi in altre molte correnti o scienze pseudo-positive, accennano oggi a ri convergere. L'unità dell'apparenza e del pensiero, con la precedenza di questo su quella, è l'unità del pensiero. Per avere l'unità della natura non basta che le due filosofie astratte si fondano in una sola filosofia con- creta; bisogna che la corrente religioso-poetica mescoli le sue acque con la corrente unificata della filosofia. La cor- rente filosofica, scaturita dalla religione e dalla poesia, tor- bida in principio, si allarga, si purifica, diviene trasparente sino a perdere ogni potere nutritivo; ma poi, a poco a poco, invade e travolge il tutto, l'uomo e la natura, la religione e la poesia; e fa di tutto una sola unità vitale. E allora la filosofia sarà la vita, sarà l'unità spontanea ed armoniosa della natura : un pensiero pieno d'amore vivificherà una natura piena di fantasia, l'amerà come natura umana, e l'adorerà come natura divina. Qui alcuno potrebbe chiedersi : in questa identificazione della filosofia con la vita, non subirà la filosofia stessa un assorbimento analogo a quello subito dall'arte e dalla reli- gione ? La forma superiore non sarà la vita e l'azione ? Ma il De Meis non distingue dalla vita quella sua filosofia del- l'avvenire. Egli afferma che è difficile precisare come tale unificazione vitale si compia, e perchè quest'opera è appena cominciata, e perchè avviene nella profondità del pensiero, al di sotto della coscienza. Sono cose tanto lontane — dic'egli — e c'è di mezzo una tal nebbia di tempo avve- nire, che è impossibile vederci chiaro: bisogna contentarsi di averne un'idea generale, a Ma — soggiunge — a questa generalità io ci credo, e giurerei, tanto ne sono certo, che le cose passeranno così in generale ; e che tutto anderà a terminare nella fusione di tutte le forze, di tutte le cono- scenze, e di tutte le realtà, in una sola vita umana » {'). La sua filosofia sarebbe forse un atto di fede?L'uomo è un sistema vegetativo, un sistema riproduttivo, un sistema animale e un sistema spirituale. Ciascuno di questi quattro sistemi umani è attivo e si muove; ed ha, come natu- rale, la causa del suo movimento fuori di se, nella natura. La natura della causa esterna che move è corrispondente e proporzionata alla natura della sfera interna che è mossa; mentre è una stessa natura che fa l'una per l'altra, ed è sempre la seconda che move se stessa con la prima natura. Ma se l'accidente, esterno o interno che sia, se la irragione- vole cattiva natura interviene, e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio umano o naturale modifica la qualità della causa motrice, e ne muta la relazione, e ne altera la proporzione con la interna sfera umana, questa si altera e si disordina. Il disordine della sfera direttamente colpita si comunica alle altre, ed è una successione e una complica- zione di morbi; ma, isolati o uniti, non vi sono che quattro morbi umani essenziali: i vegetativi, i riproduttivi, gli ani- mali, gli umani o mentali. La patologia preistorica dice che di questi quattro morbi il primo è stato il morbo vegetativo. L'uomo primitivo, uscito sano, valido ed innocente dalle mani del Creatore, rimane sano, finché rimane innocente; non ammala che per irragionevole arbitrio estemo o naturale ; non è esposto che agli accidenti meccanici, alle malattie trauma- tiche. Ma l'animale umano è, a differenza degli altri, capace di colpa; egli trasgredisce il precetto e oltrepassa la natura: felice colpa, perchè lo fa accorto di poterla oltrepassare. Di là dalla natura l'uomo trova se stesso : trova la sua libertà e la sua propria natura, e fa della necessità animale, istin- tiva ed involontaria, una necessità umana, spirituale e volon- taria: e così di colpevole ritorna innocente. Ma non è più la primitiva innocenza dell'animale ignaro e meccanico; è l'innocenza dell'uomo che si vede nel suo interno, e si sa libero ; e liberamente vuole se stesso, ed ama e venera la sua propria natura. Ma bentosto egli oltrepassa questo se stesso, supera questa sua natura, e diviene di nuovo colpevole, e Le opere scientìfiche e la filosofia della natura. 173 si rifa sempre di nuovo innocente, finché non abbia raggiunto tutto se stesso e la sua vera natura spirituale, e non sia com- piuto il fato umano. Così V uomo naturale diventa in prin- cipio civile, e poi da una civiltà passa in un' altra. La civiltà ha certamente i suoi morbi ; e sopratutto nel mo- mento del passaggio e della colpa il morbo si impadronisce dell'uomo, e cresce e si moltiplica ed imperversa. Allora l'uomo è annoiato di se stesso, e perciò si corrompe. E il morbo, fecondato dalla corruzione, genera nuovi e più cru- deli morbi. La corruzione sensuale moltiplica i morbi vege- tativi ; le voluttà naturali e preternaturali generano i morbi riproduttivi. Le cause psichiche non moltiplicano solo le cause naturali, ma operano anche per proprio conto, gene- rano per diretta azione le malattie nervose e le psichiche. D'altra parte, nelle nature più elette, invece di una corru- zione sensuale, nasce un principio di fermentazione intellet- tuale, che dà origine alle malattie dello spirito. Ma tutto questo avviene con una certa legge. Tre grandi civiltà si succedono: la prima naturale, la seconda umana, la terza divina. E ciascuna ha il suo proprio carattere e la sua par- ticolare natura; e ciascuna si corrompe, ed ha le sue proprie e particolari malattie. La civiltà naturale quando è nel suo primo fiore e nella sua perfezione originaria è senza morbi, altro che accidentali e meccanici ; ma la sua corruzione porta seco le cause fìsiche e chimiche, e genera morbi fisici e morbi chimici: cause cosmiche, naturali, che danno origine a morbi naturali, sopratutto vegetativi, prima ai morbi nutri- tivi, e più tardi ai morbi formativi. La civiltà umana — il paganesimo — nel suo fiore è di nuovo senza morbi ; ma la sua corruzione porta seco le cause umane, sensuali, passio- nali, e dà origine ai morbi riproduttivi ed ai morbi animali: ai nervosi prima, e quindi ai psichici. La civiltà divina — la cristiana — nel suo primo fiore è del pari senza morbi ; essa è la reazione della medicatrice natura umana, è la gua- rigione dell'anima e la salute del corpo, rimedio radicale 174 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. di tutti i morbi umani. Ma la reazione eccede tosto il segno della umana natura, ed è principio di nuovi morbi. Mistica e tutta entusiasmo e religioso sentimento, essa reca le cause mistiche, che danno origine alle malattie psichiche mistiche e religiose. La corruzione cristiana riproduce la corruzione pagana, e con le cause passionali rinnova le antiche malattie. Ma di sotto alle rovine del primo spunta il secondo cristia- nesimo, la nuova e vera civiltà divina, e riconduce le cause spirituali e le nuove malattie mentali. Quando quest'ultima civiltà avrà raggiunta la sua definitiva perfezione, allora spa- rirà il male e l'uomo spirituale sarà di nuovo senza morbi, come era in principio l'uomo animale. Tale è il primo e più generale risultato, la prima legge della patologia storica : l'uomo ha quattro vite, quattro anime, ed ha quattro qua- lità di morbi, che sono le categorie primarie della patologia. Ma ciascuna anima può oltrepassare nell'uno o nell'altro senso quei limiti della sua attività entro i quali ha luogo la oscillazione normale ; ed allora concepisce un morbo positivo o negativo, stenico ovvero astenico. Sono queste le cate- gorie secondarie della patologia. La categoria primaria, la natura e la qualità fisiologica del morbo, è l'essenziale, e mai non manca, né può mancare ; invece la categoria secon- daria, il grado e la quantità innormale, può mancare, e manca infatti, o non è sensibile ed apparente. Certo non vi è qua- lità senza quantità ; ma nelle piccole applicazioni cliniche la quantità innormale può mancare del tutto, perchè è sup- plita dalla quantità normale ; nelle grandi applicazioni sto- riche la categoria secondaria trasparisce sempre dentro alla categoria primaria. Le categorie primarie e secondarie ci danno la pianta della patologia storica; non l'edilìzio con tutte le sue parti. Le quattro grandi sfere contengono minori sfere, i quattro grandi sistemi contengono sistemi sempre più piccoli : appa- recchi, organi, tessuti, elementi istologici: le anime gene- rali non esistono veramente che nelle anime elementari o Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 175 cellulari. I fatti sono complessi organici e naturali di cate- gorie, le più generali chiuse nelle più particolari, e queste ricoperte dalla loro buccia innominabile ed accidentale. A forza di aggiungere categorie a categorie il vacuo si riempie e si consolida l'astrazione ('). La patologia storica congegnata dal De Meis è veramente originale ( 2 ); e sebbene, volendo dedurre da pochi principi e compendiare in pochi schemi tutti i fatti umani, abbia tal- volta dell'artinzioso, non è certo nel complesso senza genia- lità, e coglie con acume i nessi che legano i singoli morbi alle varie forme della civiltà umana. IV. Ancora il terzo periodo — b) La filosofia della natura ( 3 ). La creazione secondo il De Meis. La lotta del De Meis contro la teoria darwiniana. 11 suo metodo trimorfo. La dimostrazione dei suoi principi. L'accidentale e il necessario nella sua concezione filosofica. 11 De Meis non poteva limitare la sua speculazione entro l'ambito della jatronlosofìa : dalla sua stessa concezione di ( J ) V. Delle prime linee della patologia storica, Prelezione, Bologna, Monti, 1866, passim. ( 2 ) Della sua patologia storica l'A. scrive (Delle prime linee della pa- tologia storica, p. 63): « ...Sarà vera o falsa, buona o cattiva...; ma sarei curioso, e ben vorrei vedere chi di questa bazzecola, come d'ogni altra mia piccola cosa infino a una menoma parola, sarebbe capace di reclamare la priorità ». - Nella prel. qui cit. l'A. non tracciò che lo schema generale di questa sua costruzione. Ma svolse poi l'argomento nel successivo corso di lezioni universitarie, mai dato alle stampe. Cfr. SICILIANI, Gli hegeliani in Italia, 1. cit., p. 526. ( 3 ) V. qui addietro, p. 156, nota ( 1 ). Per gli argomenti trattati in questo paragrafo, si vedano: / naturalisti (1865), La natura a volo d'uccello: Forza 176 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. questa, oltre che dall'indole del suo ingegno e dall'influenza dell'ambiente intellettuale nel quale era stato educato, egli doveva essere e fu infarti condotto alla costruzione di una filosofìa della natura. Ma se egli parte dall'affermazione che l'essere è pensiero, e non vede chiaro il significato di questa identità e non ne deduce logicamente tutte le conseguenze, se egli pone le fondamenta in modo arbitrario e nelle singole parti confuse e cozzanti fra loro, non può innalzare un edifizio solido e fermo. E la sua filosofìa della natura è infatti un castello in aria, sebbene edificato con ingegnosità, pazienza e tenacia ammirevoli. Sono pagine che succedono a pagine, volumi che succedono a volumi, e rivelano una profonda conoscenza dello svolgimento di tutte le scienze mediche e naturali, dai tempi più antichi fino a quelli in cui viveva l'Autore: geo- logia, chimica, fisica, zoologia, anatomia umana e compa- rata, fisiologia, patologia, terapia; e sono ipotesi e conquiste scientifiche messe in relazione con sistemi filosofici e con periodi storici ; sono analisi di animali e di vegetali, di specie, di classi, di ordini, di generi; e descrizioni di organi, di funzioni, il cui nascere e modificarsi vuol essere spiegato dal crearsi della idea divina. Ma in tutta la costruzione si risentono le conseguenze della incertezza fondamentale. Il De Meis afferma che creare è diventare, è spiegare suc- cessivamente le forme di cui si ha il germe nel proprio es- sere. Il pensiero originario compie la propria creazione, e di semplice essere si fa a poco a poco pensiero assoluto ( x ). Ma poi aggiunge che il pensiero è il fondamento, il tetto e e materia (1865), Un nuovo corpo semplice (1865), / tipi vegetali (1865), Deus creavit (1869), / tipi animali ([parte prima], 1872; e parte seconda, 1875), Filosofia e non filosofia (1883), Darwin e la scienza moderna (1886), ecc. (*) V. Deus creavit, Dialogo I, nella Rivista bolognese, 1869, p. 736 e segg. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 177 la travatura dell'edilìzio della natura. Egli viene così ad am- mettere che il pensiero non basta ad esaurire tutta la realtà, perchè il fondamento e la travatura non sono tutto l'edifizio. Non resta dunque fedele alla concezione idealistica, secondo la quale la natura è un momento del pensiero, che si risolve interamente nel pensiero stesso, e senza la quale lo sviluppo del pensiero non sarebbe né completo, né possibile. Egli distingue nella natura due gradi e due modi di creazione: l'una sensibile, individuale, l'altra tipica, ideale, individuale anch' essa. La prima creazione è quella che F idea dell' uomo fa dell' individuo umano; ma 1' idea del- l'uomo è naturale, e le idee naturali restano latenti finché l'idea divina, prima causa di sé e della natura, le renda attuose, le fecondi e ne determini la trasformazione. Quando l'idea divina è naturata nell'uomo, la creazione cessa nella natura e ricomincia nella storia, finché l'uomo si è ricongiunto al suo principio, e l'idea divina esiste tutta in forma di idea spirituale. Anche l'idea spirituale esiste solo legata all'acci- dente, cioè come individuo. Quindi, come nella natura, così nello spirito accade una doppia creazione : quella dello spi- rito individuale e quella dello spirito universale. Il primo ripercorre le forme storiche passate dell'umanità sino all'at- tuale, l'altro crea le nuove e più perfette forme storiche. La storia della natura umana, quella della natura vivente e quella della natura cosmica sono le tre forme vitali di uno stesso assoluto individuo temporale, il mondo. Sono tre crea- zioni : una divina, eterna, infinita; l'altra essa pure ideale, ma temporale e finita, universale e particolare insieme; la terza materiale, individuale, accidentale. Dio si realizza nel mondo, e il mondo nell'individuo; quindi anche Dio si realizza nell'individuo. L'universo fa nel tempo come Dio fa nell'eternità: comincia nella forma più semplice del suo essere, la natura; si divide in due forme opposte, il vegetale e l'animale, e infine si raccoglie in una Del Vecchio-Veneziani - 12. 178 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. forma completa, lo spirito umano. Le forme dell'idea divina passano eternamente l'una nell'altra, senza annullarsi; e così pure le forme dell'idea naturale; ma nella materia una forma esclude l'altra, e però nell'individuo sensibile, pur rimanendo tutte idealmente, spariscono via via sensibilmente. Come un mammifero passa per le forme animali inferiori e le proto- vertebrate prima di assumere ra sua forma specifica, così l'in- dividuo umano principia selvaggio, e poi riproduce le tre forme moderne essenziali, ed è prima immaginativo, indi ra- gionatore, e finalmente pensatore: medio evo, risorgimento, tempo nuovo. L'uomo ordinario, nel suo sviluppo, si arresta alle forme storiche già create; l'uomo di genio crea forme nuove, opera come spirito universale, traendo da Dio l'im- pulso e l'ispirazione creatrice. E sempre esisteranno oltre ai più, agli uomini evolutivi, anche i pochi, i creativi, finché, come la natura, anche l'umanità non sia giunta alla sua forma vera, già tracciata da Dio. E perciò ora coesistono i vari gradi e le varie forme in cui il tipo divino si squaderna nella natura. Questi gradi sono una scala di mezzi e fini, in cui la forma inferiore è organo e mezzo all'esistenza della supe- riore. Il ciclo tipico concepisce il moto creativo e produce il ciclo superiore. Quando la natura è fatta, comincia la vita; e quando è chiusa la creazione vitale comincia lo spirito umano. I cicli secondari, anche prima di essersi svolti inte- ramente, cominciano a produrre i tipi corrispondenti del ciclo superiore. E la creazione ideale è creazione sensibile ; la creazione di una specie è produzione di molti individui in cui appare la nuova forma. Il concetto precede l'esecuzione, e la successione effettiva e naturale presuppone la succes- sione logica, ideale. La funzione è la vita, la forma è la natura, che precede il contenuto vitale, e non se ne lascia tuttavia assorbire e soverchiare ; e quando il contenuto spa- risce la forma rimane. Nei tipi superiori la funzione assorbe e domina sempre più la forma, ma la sua vittoria non è mai Le opere scientìfiche e la filosofia della natura. 179 completa. L'equilibrio fra la forma e il contenuto si rista- bilisce non nel corpo, ma nello spirito umano. La vita passa come il tempo; la natura è più tenace. Altra è la successione di tempo, altra di idea. La suc- cessione naturale va non da ciclo a ciclo, ma da tipo a tipo ; e perciò in tutte le epoche della creazione tutti i tipi primari sono, più o meno completamente, rappresentati. Ogni tipo incomincia col riprodurre i tipi formali che lo pre- cedono, indi prende la sua forma propria, e infine arieggia al tipo che gli deve succedere ('). Anche diverso è il modo di accrescimento nella natura, nella vita e nello spirito. Essendo la natura pura esteriorità, i corpi inorganici crescono per moltiplicazione quantitativa esteriore, e non hanno altra unità che la loro forma comune. Nello spirito, che è pura interiorità, la esterna moltiplicità diviene interna e qualitativa. Infine, essendo la vita uno spi- rito naturale, un misto di esteriorità e di interiorità, di appo- sizione e di intuscezione, Tessere organico si sviluppa per una moltiplicazione quantitativa ed esterna e per una molti- plicazione interna e qualitativa, con prevalenza dell'una o del- l'altra secondo che si tratti di una forma più o meno pros- sima alla natura. Mai la vita è tanto esterna che non abbia la sua interiorità ; mai la forma organica è tanto molteplice che non abbia la sua unità. Ma quest'unità è diversa nel vege- tale e nell'animale. Nel vegetale la vita di ogni individuo elementare si unifica nella vita comune dell'aggregato; nel- l'animale deve prevalere l'unità dello spirito umano, e l'in- dividuo, semplice e libero al di fuori, è molteplice e tutto qualificato al di dentro. Le forme superiori ( 2 ) sono la chiave ( 1 ) V. / tipi animali, [parte prima], Bologna, Monti, 1872, pp. 322-23, 332-33, 336-38, 422-23; parte seconda, 1875, pp. 670, 1098, 1101-103, 1131-132. - Cfr. Lettere sulta patologia storica, pp. 6-8. ( 2 ) V. / tipi animali, [IJ, pp. 494-96. 180 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. necessaria a spiegare ed interpretare le inferiori, per se stesse oscure, indistinte, indeterminate; e sono alla loro volta spie- gate dalle forme inferiori in cui appariscono nella primitiva semplicità. Ma il riscontro non è utile se non cade sulle forme fra le quali corre una particolare e più diretta e più intima relazione tipica, secondo il vero metodo evolutivo, in cui l'idea unisce le forme ed organizza le serie, non col metodo empirico, capace solo di conclusioni generali arbitrarie, arti- ficiali, ovvero, se alla vacuità sostituisce il preconcetto dar- winiano, di una inestricabile confusione. Come Giorgio Hegel aveva combattuto e denigrato il Newton ('), così il De Meis lancia in quasi tutte le sue opere strali frequenti contro il Darwin e i darwiniani. Il naturalista inglese è per lui un genio, ma il genio dell'ignoranza, perchè pone il cieco caso in luogo della ragione vitale ( 2 ). Egli pre- tende che tutte le forme dell'intera serie animale sieno venute l'ima dall'altra per l'aggiunta di sempre nuove particolarità organiche nate a caso, e perchè utili ritenute nella selezione naturale, e trasmesse dall'eredità, senza che mai in una forma nulla preesistesse dell'altra che da essa proviene. Il De Meis afferma che qui c'è un progresso sul Lamark, in quanto la modificazione dell'essere vivente è primitiva, spontanea, in- (') Il De Meis dice che la proposizione in cui si compendia la scienza dell'astronomia : « I sistemi solari sono i primi uomini, il cosmos è il mondo umano primitivo... non è possibile che alla filosofia della natura: motivo per cui Newton, il divinissimo astronomo, non la sapeva altrimenti ; egli nel cielo ci vedeva Dio, e per questo ci voleva poco, ma non ci vedeva l'uomo». - Dopo la laurea, li, p. 195. - Cfr. ivi, pp. 26-7. ( 2 ) V. / tipi animaci, [I], pp. 143-156; e cfr., pel giudizio del De Meis circa la teoria darwiniana, Dopo la laurea, II, pp. 195-99, 257-58; Deus creami, 1. cit., passim; Darwin e la scienza moderna, pp. 22-35; / tipi ani- mali, [I], passim; II, pp. 760, 1079-82, 1085, e passim; Filosofia e non filo- sofia, pp. 11-12; Lettera sulla patologia storica, pp. 6-9; ecc. Le opere scientifiche e la filosofìa della natura. 181 genita, e non prodotta soltanto da agenti esterni; ma egli non sa comprendere come si possa affermare che tale modifi- cazione è casuale, irrazionale, e che la ragione c'entra poi, introdotta dal caso. Ammette che in ciascuna delle teorie di Mosè, Zaratustra, Firdusi, Diodoro, Lamark, Darwin, è qualcosa di ragionevole, cioè di serio e di vero. La verità più ragionevole, sebbene espressa in modo goffo e materiale, è quella di Mosè: Deus creavit! — la meno ragionevole è quella darwiniana. La teoria adattativa del Lamark e quella selettiva del Darwin, pur essendo tutte e due sbagliate, hanno di vero lo schema comune, ed è questo: gli animali formano tutti una sola famiglia naturale ; il principio che unisce e lega le forme è l'eredità; il principio della divergenza delle forme è la variabilità. Se non che questi tre punti debbono essere integrati rispettivamente così : gli animali sono tutti in fondo uno stesso animale ; la generazione è creazione ; la variabilità deve essere determinata, perchè nella natura e nella scienza la potenza sta nella determinazione. Secondo il De Meis, è vero che l'individuo varia senza legge e senza ragione, fuorché quella di essere individuo accidentale; ma varia anche con ragione, perchè è posto fra la cieca necessità della natura e la conscia assoluta libertà dello spirito umano. Dio è il grande modincatore, il vero e solo creatore dei nuovi organi e delle nuove funzioni vitali, perchè una funzione è un'idea, e per creare un'idea ci vuole un'idea. 11 non essere non può creare l'essere, l'irrazionale non può creare la ragione, la natura ossia l'accidente non può creare i tipi e le funzioni. Senza l'idea divina non po- trebbe nascere dall' antropoide 1' antropo, intercorrendo fra loro una differenza ideale anche, e di gran lunga, maggiore dell'organica, e neppure potrebbero nascere nuove forme, perchè ogni fonma ha un suo proprio valore assoluto, e si svi- luppa secondo il ritmo assoluto del mondo, secondo il disegno eterno della creazione. L'idea, e non il sangue, fa l'unità delle forme vitali. Fra coloro che non riducono la scienza 182 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. ad una storia accidentale, alcuni — i seguaci della scienza antica, essenzialmente religiosa e intuitiva — ammettono due storie ideali, una fuori della natura e del mondo, un'altra secondaria, riflesso della prima, sviluppantesi nel seno della natura e dell'essere vivente; gli altri, i seguaci della scienza moderna, riflessiva, non riconoscono che la forma e la storia intrinseca alla natura, all'animale, allo spirito umano, con- siderando la storia extramondana come un effetto ottico ope- rato dalla intuizione. Vi sono tre maniere diverse di considerare le forme vi- tali ('). L'una consiste nel distinguere fra gli elementi comuni a tutte quelli che sono propri di alcune soltanto. E si consi- derano questi elementi formali come caratteri costitutivi di un tipo più o meno comprensivo. È la maniera astratta, quella di Linneo, di Jussieu, di Decandolle, di Cuvier, di Milne Edwars, di Owen. V'è una seconda maniera, che si rias- sume tutta nella frase : una forma è simile ad un'altra perchè il figlio è simile al padre e il padre all'avo. Questo è pel De Meis il finis Poloniae, la comune e l'internazionale della scienza moderna. Vi è infine una terza maniera, che con- siste nel cogliere la forma nel suo movimento, e considerare i vari tipi come i momenti evolutivi di un tipo ideale assoluto, il quale è l'unità, la verità, la ragione, il principio e il ter- mine di tutte; e questo tipo è il vero animale. È la maniera concreta, quella di Schelling, di Hegel, di Oken. Dopo di loro il solo Baer l'ha presentita, ma non ne ha fatta una applicazione sistematica e conseguente alle varie forme animali. Il De Meis dice che egli intende di fare un tentativo di questa specie. Secondo lui, tutte le forme preesistono idealmente l'una nell'altra; tutte preesistono in una forma (') V. / tipi animali, [I], pp. 519-21 ; cfr. II, pp. 760-61, 796-97, 1083- 94, 1131-39. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 183 germinale di cui sono lo sviluppo creativo, interno, spon- taneo. La creazione consiste nella determinazione ideale originaria di schemi indeterminatissimi, e nella loro delimi- tazione naturale, ossia accidentale. Una forza interna a un dato momento, aiutando le condizioni esterne da lei stessa preparate, trasforma l'embrione in larva e la larva nell'in- dividuo completo, facendolo attraversare una serie di forme l'una più perfetta dell'altra, immagine della palingenesi uni- versale. Questa forza ricevette una prima spinta dalla gene- razione. L'uomo dà l'impulso prima alle forme semplici e generali, quiescenti l'una nell'altra, che sono nella natura e pur non sono naturali; le desta, le crea, le differenzia, le delimita; dei puri e semplici momenti della legge formale fa delle forme vive, reali, accidentali; muove la materia in- forme a creare il sistema solare e l'uomo a traverso alla serie delle forme cosmiche e vitali. L'uomo eterno, l'uomo intelletto umano, è dietro al caos ed a tutte le forme, è la forma, l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in cui lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta par- ticolarità esiste, ma nella forma di principio, di universa- lità, di necessità, ed in questa contraddizione consiste la sua attività creatrice. Il pensiero assoluto si trasferisce e si effettua nella realtà dell'universo, e lo fa a sua immagine, e seco vi trasporta il metodo assoluto della sua evoluzione attuale. La forma è un principio e una forza indipendente dalla funzione (') ; e questa forza ha una legge che ne deter- mina lo sviluppo e l'azione, ed è la stessa*legge dell'uni- verso, è il metodo della natura, del vegetabile, dell'animale e dell'uomo, il metodo insomma di tutto il creato, perchè è quello intrinseco alla divinità creatrice. Secondo questa legge, ogni sviluppo essenziale si fa in tre momenti: tesi, antitesi, sintesi. Al movimento puro, assoluto, astratto, corrisponde il (0 V. / tipi animali, II, pp. 962-63. 184 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. movimento concreto della forma, ai tre momenti ideali corri- spondono tre tipi sensibili : amorfo, antimorfo, teleomorfo ('). E perciò l'universo è una gran trilogia: è amorfo nella na- tura, antimorfo nella vita, teleomorfo nello spirito umano. La natura (amorfopan) è indifferenza senza opposizione essen- ziale ; è tutta forma senza unità, senza fine, senza ragione, senza la forma della forma. La vita (antipan) è essenzialmente opposizione fra corpo ed anima, fra molteplicità ed unità, fra vegetale ed animale. Esiste fra vegetale ed animale una doppia antitesi : l'una di natura e l'altra di funzione (antitesi psichica e antitesi corporea). Lo spirito umano (teleopan) è teleomorfo. Lo spirito è 1' opposizione spinta all' estremo, poiché l'antitesi non è più solo fra corpo ed anima, fra senso e sensibile, ma fra intelligenza e intelligibile, fra Dio e l'uomo. Lo spirito comincia con l'opporsi alle idee e finisce per riconoscersi in quelle, e con lo stesso colpo si riconosce nelle cose : sì che egli è l'unità reale e distinta delle cose e delle idee. L'anima nella natura è interna, nel vegetale apparisce al di fuori, ma è corporea; nell'animale diventa corporea, ma rimane particolare; nell'uomo diviene assoluta, universale e puramente ideale, e la opposizione è finalmente risoluta e conciliata. La natura, la vita, lo spirito umano hanno ciascuno a sua volta il proprio sviluppo trilogico essenziale. Questo metodo trimorfo, come egli stesso lo chiama, è per il De Meis il filo ariadneo che deve guidarlo a traverso al labirinto delle forme vegetali ed animali. Per lui tutte le forme e i tipi più eterogenei e dissimili sono in realtà uno stesso identico animale in via di formazione : l'uomo ( 2 ). E dei tipi animali egli vuol tracciare la storia ideale ( 3 ), per- W V. / tipi animali, [I], PP . 194-95, 245-48, 295-98; e II, PP . 716, 1103-104. ( a ) V. / tipi animali, [I], p. 318. ( 3 ) V. / tipi animali, II, pp. 906-7. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 185 seguendola a traverso alla descrizione. Confessa che la descri- zione gli riesce troppo completa e determinata, mentre ogni tipo è sfumato ed evanescente innanzi alla sua realizzazione, è il mobile oscuro che da dentro fa forza e opera lo sviluppo creativo, cominciando da sé, creando a mano a mano le pro- prie determinazioni. Invece i sistematici ordinari ■(*), tutti intenti alla diagnosi delle forme, poco si curano delle diffe- renze di quantità ; essi hanno bisogno di caratteri qualita- tivi specifici, possibilmente esclusivi, precisamente quelli più materiali, che non significano nulla appunto perchè non passano in altre forme. Tipo è forma con significato. Questi sistematici hanno una logica difettiva a forza di astrazione; non pensano che nel quanto è rinchiuso il quale. Seguono la vecchia tendenza separatrice, diagnostica, arti- ficiale, bisognosa di abissi e avida di caratteri esclusivi, iso- latori ( 2 ). La nuova morfologia invece cerca le comunanze e le transizioni, benché non arrivi ancora a ravvisare la tran- sizione ideale dove manca quella materiale. Per la vera morfologia il primo è la forma, che pone i lineamenti gene- rali dell'essere; poi viene la funzione ideale che la acco- moda e la modifica; e in ultimo viene la funzione reale e la selezione naturale. I darwiniani invece ignorano l'omo- 0) V. / tipi animali, II, pp. 873 e 913-14. ( 2 ) V. / tipi animali, II, pp. 933-34; cfr. [I], pp. 458, 467, 481, e II, pp. 738, 1007-8. Dopo aver chiarita la differenza fra le due morfologie, l'A. soggiunge che il suo scritto è un lavorìo tutto di pensiero, condotto con un organo che nel cervello dei naturalisti, darwiniani o antidarwiniani ch'ei sieno, dev'essere assolutamente atrofizzato: « è tutta da capo a fondo (apriti cielo)... una ricostruzione a priori. Ma lo scandalo sarà piccolo, perchè non ci sarà di certo chi ci si voglia rompere il capo. Questo scritto non si fa per stamparlo, si stampa per farlo ; e si fa per uso e consumo esclusivo, e per supremo divertimento dell'autore, che quando sarà tutto stampato tirerà tanto di chiavistello sulle pochissime copie che ne avrà fatto tirare ». Op. cit., II, pp. 938-39. 186 Le opere scientìfiche e la filosofia della natura. la formale; per essi la funzione è tutto e fa tutto, ed è una funzione prodotta dall'organo, la nutrizione, non la fun- zione essenziale, «principiale)), a loro ignota e inconcepibile, Le dottrine materiali non hanno nulla a che fare con la scienza, perchè questa non è la ragione dell'uomo che la fa, ma la ragione della cosa. Il caratterizzatore vede crollare come castelli di carta le sue classificazioni più o meno inge- gnose. 11 rimedio è uno solo: a Non caratterizzare, non clas- sificare; pensare e ripensare ('). Seguendo il metodo trimorfo, si riconosce che nel vege- tale l'amorfofito è indifferente ed informe; l'antifìto è il centro della formazione, il punto in cui si spiega l'opposi- zione fra il corpo e l'anima vegetale ; nel teleofito le due sfere sono egualmente sviluppate. Il vegetale amorfo è l'alga, prima chimicamente e poi anatomicamente semplice, indi molteplice, ma tutta disgregata nei suoi elementi cellulari. 11 vegetale antimorfo è da un lato la felce vegetativa, dal- l'altro il fungo riproduttivo. Il vegetale teleomorfo è il coti- ledonato, in cui la forma vegetativa e la forma riproduttiva sono egualmente sviluppate. Analogo è lo sviluppo tipico dell'animale. L'amorfozoo è informe e indifferente; nel- l'antizoo, punto centrale di tutta la formazione, si sviluppa l'opposizione fra corpo e anima, fra sistema vegetativo e sistema riproduttivo ; nel teleozoo i due opposti sviluppi sono riuniti e in giusta proporzione fra loro. L'amorfo animale è il protozoo, cioè il rizopode e l'infusorio; l'antimorfo è il radiario, il mollusco e l'articolato; il teleomorfo è il verte- brato: pesce, anfibio, rettile, uccello, mammifero. I nomi di amorfozoo, antizoo e teleozoo sono preferibili a quelli di vertebrato ed invertebrato, che esprimono solo la presenza o l'assenza di un elemento secondario. Finché il De Meis sta fedele al suo programma di dimo- strare solo col farli muovere i principi filosofici ai quali (!) / tipi animali, [I], p. 555; cfr. II, p. 865. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 187 crede, egli lavora a meraviglia: originali le applicazioni alla scala degli esseri viventi, alle varie forme della vita, della scienza, della filosofìa, della storia; particolarmente geniali e nuove le applicazioni alla patologia. Ma a volte — rare volte, è vero — egli sente il bisogno di tentare una dimostrazione logica di quei principi, e riesce invece, senza avvedersene, a dimostrarne 1' ìnsuffìcenza, 1' arbitrarietà, la nebulosità. Ciò gli accade nel Deus creavit, e nei tre dia- loghi : / naturalisti ; Forza e materia ; Un nuovo corpo sem- plice ('). Nel Deus creavit — già lo abbiamo visto — egli tenta, senza riuscirvi, di dimostrare che il pensiero è fin dal primo momento essere. Nei Dialoghi affronta lo stesso pro- blema in forma più concreta : ricerca il punto in cui l'essere ed il pensiero si identificano, lo ricerca con la sicurezza di chi sappia di rintracciare cosa esistente nella realtà ; e con lo stesso metodo, lo stesso procedimento, lo stesso linguaggio, e quasi la stessa mentalità con cui un naturalista potrebbe studiare un essere da lui non visto ancora, ma del quale, per descrizione autorevole e per indizi indiretti e certi, gli fosse nota l'esistenza e i caratteri. 11 vero lutto è l'uomo, l'uomo come pensiero, in cui l'uomo della natura, che in sé ricompendia tutta la natura, si risolve ed unifica perfettamente. Ma come questo pensiero eterno passa nel realizzarsi per tutti i gradi della natura ? E che è questa natura ? Quale il suo primo grado ? Retroce- dendo nella storia del processo naturale si perviene ad un muro saldo, incrollabile, oltre al quale non si può andare: quel muro è la materia. Certo la materia suppone lo spazio; ma spazio senza materia non ci può essere. Chi dice spazio ( ] ) / naturalisti, Diagolo 1°, nella Civiltà italiana, Firenze, gennaio 1865, pp. 54-57; La natura a volo d'uccello: Forza e materia, Dialogo, nella Ci- viltà italiana, Firenze, febbraio 1865, pp. 103-7, 115-19; La natura a volo d'uccello: Un nuovo corpo semplice, Dialogo, nella Civiltà italiana, Firenze, aprile 1865, pp. 6-9. 188 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. dice tempo, e chi dice tutti e due dice moto; e dir moto è dir qualche cosa che si muove, è dire — insomma — la materia, moto immobile, forza latente ed inerte dell'universo. La forza diviene sempre materia a traverso un suo sviluppo : da forza chimica, semplice affinità, a forza fìsica, e da forza fìsica a forza meccanica, e infine corporea. Ogni forza è la materia della forza inferiore ed il germe della superiore : e così il moto è il tempo materializzato; il tempo è lo spazio divenuto più materiale. Sempre la materia è la realtà, il limite di una forza; e la forza è la materia nel suo spon- taneo svolgimento. La forza del pensiero da principio non pensa ancora, ma si vuol pensare, ed è chiusa nella forza semplice in cui tutte le forze speciali sono latenti ; e come la più forte, le urta di sotto e fa uscire la forza chimica, che si comunica a tutta la massa della forza semplice, sì che tutto diventa forza chimica reale, affinità e materia puramente chimica ; e fa di questa affinità informe un imponderabile informe, e di questo un informe ponderabile, un corpo sem- plice informe. L'uomo senza influsso di esterno accidente, mentre egli era da per tutto ed era tutto, non poteva scegliere un punto del tempo e dello spazio in cui operare la trasformazione della materia semplice in corpo sémplice. E l'operò in un punto del tempo e dello spazio che erano tutto il tempo, tutto lo spazio. ((Quell'attimo, quello spazierello» si riempì di ma- teria reale, naturale, diventò da spazio ideale spazio reale, interminato, e con esso cominciò la natura. La forza del pen- siero, come ha trasformato il moto, la forza semplice, in forza chimica, così trasforma questa in forza fìsica, e la forza fìsica in forza meccanica; e dallo stesso oscuro fondo fa scaturire dietro a quelle forze la materia chimica, che si trasforma in materia fìsica e indi in meccanica; e all'ultimo in vera materia, in corpo chimico imponderabile, pondera- bile. È la materia semplice che successivamente si modifica e si realizza; è la proprietà chimica, è la speciale natura Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 189 fisica, è la figura meccanica, geometrica, cristallina, che si aggiunge alla forza chimica imponderabile, ponderabile, e le dà un primo corpo ed una nuova realità; gli è un corpo incorporeo, una materia immateriale, una realità non sensi- bile. Le forze, e le loro forme, le loro proprietà, sono sem- plici, indifferenti, indistinte; esse sono avviate all'atto, alla esistenza naturale, ma non ci sono giunte ancora. La forza è molto pensiero e poca natura, e non ha tal realità e tal valore da fare di uno spazio-pensiero uno spazio-natura; ma la proprietà è più natura che pensiero ed è perciò atta ad empire di se lo spazio ; onde appena il pensiero umano dietro a quelle tre forze fa scaturire quelle tre semi-materie, subito mette fuori lo spazio, e lo distende, e vi spiega le tre pro- prietà; e queste vi portano seco le loro forze, e le dissemi- nano egualmente in tutti i suoi punti. Non perciò lo spazio è pieno ed ha compiuta realtà. Egli è estensione, è materia, ma non corpo, perchè non è ancora sensibile. 11 primitivo pensiero umano ha dentro di sé un limite che è esso stesso pensiero, ed è il germe e l'origine del senso; di questo limite fa lo spazio-pensiero e il tempo-pensiero, e il moto, la forza-pensiero, e persino il qualcosa, la materia pensiero: e tutto questo rimane dentro di lui, rimane lui stesso, ed è ancora poco men che pura ragione e semplice pensiero. Ma poi egli, premendo di più su quel limite, fa dello spazio-pensiero uno spazio-estensione, e di questo un corpo sensibile prima al corpo, e poi, per mezzo del corpo, anche all'anima. E poi, facendo del moto-pensiero un moto reale, farà del tempo-pensiero un tempo durata; e poi farà tutta la natura, e la vita — il vegetale — , e l'anima — l'ani- male ; e all'ultimo si rifa pensiero, e pensa se stesso e l'opera sua. Di quel suo limite originario, che era un senso-pensiero, egli ha fatto a poco a poco un senso-senso. E di questo senso farà nella natura formata vari sensi distinti, e così farà del- l'anima. Se noi facciamo la storia della natura, troviamo all'origine della forza e della materia uno stesso identico 100 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. germe, il quale è in uno pensiero umano e senso umano originario. Quel germe, pur mantenendo sempre la sua ori- ginaria identità, si sviluppa di grado in grado, ed è prima natura, poi vegetale, poi animale, e da ultimo uomo; e in ogni grado conserva quelle due cose opposte, la forza e la materia, sempre distinte e sempre unite in una perfetta iden- tità. Nell'uomo, nell'io, nel pensiero reale, l'unità delle due cose opposte è naturata, personificata, e incorporeamente corporalizzata. Questa unità veduta nella nostra natura ci fa più facilmente riconoscere l'unità dei due elementi nelle nature inferiori, la psichica, la vitale, la naturale. Nell'af- ferrare ciò consiste la scienza. Questa è la storia della natura amorfa, in cui tutto è quiete ed immobilità, in cui non c'è che un corpo semplice, omogeneo, uniforme, informe. Poi — dice l'Autore — verrà la natura antimorfa, lo sviluppo delle forze e delle materie, il caos. Infine vedremo sorgere una nuova forza, che a tutte le forze del caos darà una legge e una norma, a tutte le materie una forma comune ; e sarà la natura olomorfa, il cosmo. E vedremo la forza cosmica trasformarsi nella forza vitale, e la forma cosmica divenire la forma vitale, vegetale. E con questo programma egli termina il secondo dialogo, Forza e materia; ma non pubblica più che un terzo dia- logo (*), nel quale riassume la storia del pensiero umano, che da prima tutta interna, tutta dentro un punto, si squaderna poi nello spazio e si sgomitola nel tempo, e all'ultimo si ritrasforma di natura in pensiero, e si riduce di nuovo ad un punto, e questo punto è l'io. Come in principio il punto originario, così ora il punto individuale si trasforma tutto; ma la trasformazione non si fa, come allora, tutta in un atto, (*) Il dialogo (Un nuovo corpo semplice) è preceduto da questa nota : « Il presente dialogo è indipendente dai precedenti », - Sappiamo già che il De Meis lavorava spesso frammentariamente. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 191 bensì successivamente. L'io è un animale naturale, indi- viduale; ma gli ii sono molti, e sono come molti punti, molti tempi in un solo tempo, e tutti fanno come uno spazio intellettuale nello spazio naturale, La trasformazione umana universale, come quella dell'individuo umano, « si sgomi- tola nel tempo e si srotola nello spazio, e intanto si raggo- mitola e torna ad arrotolarsi nella storia ». E perciò la storia umana è una storia naturale di tempo e di spazio, è una cronologia e una geografìa. La storia umana e la storia della natura, essendo creata dal pensiero, è in ogni sua fase totale e universale ; solamente non appare e non diventa reale che in certi punti di tempo e di spazio: in certe epoche, in certi luoghi, in certi corpi e in certi ii. È facile scorgere che il De Meis non è felice quando vuole risalire ai principi sui quali ha fondata la sua costruzione. Invero non si capisce come quel suo pensiero originario, avendo nel senso un limite interno, possa non avere anche un limite esterno, e tutta la natura, che invece deve ancora nascere; ne si capisce come quel pensiero, a furia di premere e caricare sul proprio limite, possa fare del senso-pensiero un senso-senso ( x ), possa, in altre parole, trasformarsi da forza in materia. Ma l'Autore non ha il più lontano dubbio di star tentando la soluzione di un problema forse insolubile, certo insoluto. Che forza e materia sieno due cose distinte ed opposte, ma unite ed identiche è per lui una verità certa, positiva, reale. Egli dichiara che non ha la pretesa di di- mostrare, ma solo di far presentire la verità, come la pre- sente egli stesso ( 2 ) : e certo di quella verità da lui pre- sentita non riesce a dare una dimostrazione logica. In una pagina ( 3 ) che onora il suo senso poetico più che la sua 0) Cfr. Gentile, La filosofia in Italia dopo il 1850, 1. cit., PP . 299-300. ( 2 ) V. Forza e materia, 1. cit., p. 119. ( 3 ) V. / naturalisti, Dialogo I, 1, cit., pp. 56-7. 192 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. profondità filosofica, egli afferma che il corpo è un vegetale, è l'inferno, l'anima è parte materiale e parte immateriale ma sempre naturale, il pensiero è il paradiso, e di pensiero noi siamo tutti uni in Dio ; e per descrivere il suo paradiso tratteggia con poche belle linee il paradiso dantesco. Come Dante non può significar per verba il trasumanare, così egli stesso non può chiarirci come 1' universo si unifichi nel- l'uomo; solo ci dice con slancio lirico che quella è la sua fede. Alla fede in quanto è davvero tale e solo tale, ed è ardente, profonda, incrollabile, sarebbe certo vano, se pur fosse possibile, 1' opporre argomentazioni. Ma ai prin- cipi che di quella fede sono oggetto, e vengono posti a fon- damento di una costruzione scientifico-filosofica, si può e si deve chiedere se sieno suscettibili di avere dall'esperienza una conferma o dalla logica una dimostrazione. La risposta è negativa. Quanto alla conferma dell'esperienza, il De Meis dice ( l ) che con le idee si scopre, è vero, la sostanza delle forme e si tien dietro al loro movimento essenziale ; ma il controllo è la stessa realtà che deve rimanere inalterata ed intatta, ed è il fatto che deve essere riprodotto nella sua integrità, e con tutte le sue condizioni essenziali. Ma se l'Autore ammette l'esistenza di realtà e di fatti che non sono idee, e che solo con le idee possono venir scoperti nella loro sostanza e seguiti nel loro movimento, dovrebbe indicare un terzo termine, atto a valutare la rispondenza fra gli altri due. Non lo indica. Ma è chiaro che il terzo termine non può essere per lui che la stessa idea, giudice e parte in causa ( 2 ). Il controllo di cui egli ha parlato manca; e non poteva non mancare. Nell'ambito dell'idealismo assoluto non può esistere un controllo esterno, ne si può senza essere (') V. / tipi animali, [I], p. 378. ( 2 ) Cfr. Dopo la laurea, II, pp. 154-158. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 193 incoerenti ammettere l'esistenza di una realtà che non sia l'idea o il pensiero. Quanto alla dimostrazione logica dei suoi principi, ab- biamo veduto che le rare volte in cui il De Meis la tenta non la raggiunge, e cade in contraddizioni, come quando, dopo aver affermato che il pensiero è l'essere, ne ragiona come di un pensiero che pensa l'essere, e considera l'essere come puro essere e non pensiero ('); o incorre in errori, come quando afferma che il pensiero originario ha nel senso un limite interno senza avere un limite esterno; ovvero si appiglia ad ipotesi degne di un alchimista ostinato alla ri- cerca della pietra filosofale, come è quella della forza che diviene materia premendo e calcando sul suo proprio limite ( 2 ). La sua filosofìa della natura, riposando su principi che possono essere oggetto di fede, ma non possono avere dal- l'esperienza un controllo né dal ragionamento una conferma, è una costruzione che può essere, ed è difatto, ingegnosa e bella, ma è del tutto arbitraria. Di ciò mai ebbe alcun sospetto l'Autore, sempre fermo nella sua fede hegeliana, vita della sua vita, anima della sua anima ( 3 ). Egli non intendeva di cercare una soluzione nuova; solo si proponeva di svolgere ed elaborare una soluzione già da altri raggiunta. La sua opera è fallita perchè aveva come presupposto e come base quella conciliazione dell'essere e del pensiero, della forza e della materia, che contrariamente a quanto egli cre- deva non era stata raggiunta da nessuno, e meno che mai po- teva esserlo da chi, avendo studiata analiticamente la natura, si ribellava a tagliare il nodo gordiano negando la natura stessa o riducendola a una mera forma spirituale ('). ( J ) V. Deus creavit. {-) V. Forza e materia. ( 3 ) V. Della medicina sperimentale, p. 3 ; e cfr. tutte le opere del De Meis. ( 4 ) Il De Meis non è d'accordo col Berkeley, che « sopprime la natura » ; Del Vecchio-Veneziani - 13 194 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. Una costruzione speculativa della natura, quale l'idea- lismo assoluto e la riduzione della natura a pensiero esigono, dev'essere tutta una deduzione necessaria per considerarsi compiuta e riuscita. E in una deduzione logica e necessaria l'accidente come tale non può trovar luogo. Non si dimentichi, del resto, die l'idea dominante in tutte le assidue e lunghe meditazioni del De Meis intorno alla natura, l'idea informativa di tutti i suoi studi era, come egregiamente la definiva il Fiorentino ( ! ), « l'idea di con- trapporre al predominio dell'accidente, che è il lato debole del darwinismo, una spiegazione più intima e più razionale delle forme, attraverso delle quali progredisce e si dispiega la vita della natura... una ragione superiore, che regola lo sviluppo dei tipi della vita naturale, finche non si dispieghi, e non si allarghi nell'uomo e nella coscienza ». Si trattava dunque per il De Meis di superare quello scoglio contro il quale, a suo vedere, naufragava il darwini- smo; di evitare la trasformazione dell' accidente in Deus ex machina, al quale far ricorso perchè o dove non soccorra una ragione superiore o una spiegazione più intima e razionale. Il De Meis appunto dice e ridice, anche per quanto si riferisce alla natura, che la filosofia vive nella sfera della necessità e della certezza assoluta ( 2 ); ma in contrasto con questa esigenza afferma anche l'indispensabilità dell'acci- dente in tutti i momenti della creazione. Ora l'accidente, che è dichiarato indispensabile, o è razionalmente necessario, cioè deducibile a priori, e allora deve rientrare nella costru- zione speculativa come elemento interno, e non esteriore, sicché non può più dirsi propriamente accidentale ; o è la né col Fichte, nel cui sistema la natura « c'è soltanto quanto basta per far la coscienza, ed è quindi ridotta ad una espressione astratta ». Cfr. Preno- zioni, PP . 47-8, 90. ( x ) La filosofia contemporanea in Italia, p. 55. ( 2 ) V. Dopo la laurea, II, p. 126; ecc. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 195 negazione della necessità razionale e della deduzione a priori, ed in questo caso la dichiarazione della sua indispen- sabilità costituisce il confessato fallimento della costruzione speculativa. Il De Meis oscilla fra le due alternative, senza sapersi appigliare né all'una né all'altra. Questa non meno di quella avrebbe significato il riconoscimento della con- traddittorietà della sua impresa. Invero l'accidente sembra necessario per lui a costituire nella catena dello sviluppo creativo l'anello iniziale e gli anelli di saldatura tra i frammenti non altrimenti congiun- gibili. L'anello iniziale, poich'egli dice che « quando non c'era la natura e quindi l'accidente » era impossibile al- l'uomo (ossia all'idea di Uomo, che come fine deve prece- dere e determinare lo sviluppo), senza arbitrio e « senza in- flusso di esterno accidente », di scegliere un punto del tempo e dello spazio in cui operare la iniziale trasformazione della materia semplice in corpo semplice ('). Gli anelli di salda- tura, in quanto dice che l'accidente, elemento costitutivo della natura, è necessariamente compreso nel processo della funzione ; che « ogni tipo vivente è già idealmente quello che dee succedergli, ma non basta a crearlo, a produrlo real- mente nella natura, senza il concorso di cause accidentali e d'esterni influssi » ( 2 ). E in generale tutto il processo e lo sviluppo della natura per il De Meis consegue la realtà solo in quanto l'accidente interviene e concorre con l'idea alla produzione del risultato. Il fatto è anche idea, ma l'idea non è reale e non esiste che nel fatto ( 3 ); « il principio e la potenza della vita... è sempre unito a un qualche elemento materiale e meccanico che lo fa reale e par- ticolare, che è quanto dire individuale ed accidentale » ('). ( r ) Forza e materia, 1. cit., p. 106. ( 2 ) / mammiferi, p. 67. ( 3 ) V. Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Un. di Modena. ( 4 ) Degli elementi della medicina, p. 31. 196 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. Egli considera i vari tipi carne momenti evolutivi di un tipo ideale assoluto, l'uomo eterno; crede che tutte le forme preesistano in forme germinali di cui sono lo sviluppo crea- tivo interno e spontaneo ; ma la creazione non consiste sol- tanto (( nella determinazione ideale originaria di quegli schemi indeterminatissimi », sì anche « nella loro delimitazione na- turale, o sia accidentale ». E molte volte ripete che la natura è accidente e che l'idea spirituale esiste solo legata all'ac- cidente ('). Ma qui appunto si potrebbe obiettare alla nostra os- servazione, che noi dobbiamo approfondire il concetto del- l'accidente che il De Meis afferma. Legato all'idea, intrin- seco alla natura, l'accidente che egli fa entrare in campo a determinare e spiegare lo sviluppo non è, come l'accidente dei darwiniani, puramente estrinseco e meccanico: ha anzi esso medesimo una necessità interiore ; è il momento della antitesi, senza il quale non potrebbe svolgersi la sintesi crea- tiva. L'uomo eterno, dice appunto il De Meis, è « la forma, l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in cui lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta particolarità esiste, ma nella forma di principio, di universalità, di neces- sità : ed è in questa contraddizione che consiste la sua attività creatrice » ( 2 ). Per questa via parrebbe risolversi la difficoltà nella quale ci appariva impigliato il pensiero del De Meis. Che se anche altrove egli identifica il puro accidentale col male, non vi sarebbe contraddizione con la universalità e necessità rico- nosciuta sopra all'accidente; ma distinzione di due specie di accidenti o di nature: l'interna e l'esterna; necessaria la prima, accidentale in senso proprio la seconda. Il De Meis difatti parla esplicitamente di una natura esterna che viene ( x ) Deus creavit, 1. cit., p. 742, ecc. ( 2 ) / tipi ammali, II, pp. 1080-1, e passim. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 197 a dare l'ultima mano alla natura interna, di un agente esterno ed accidentale che non era compreso nel processo della natura interna, non era calcolato nella evoluzione vitale, e oltre a modificare, sia pur solo superficialmente e quantita- tivamente, le forme, e favorire la trasformazione, e provocare la nuova interna creazione e lo sviluppo di germi latenti, « può fare e fa certamente di più, v'introduce qualche cosa di accidentale e di naturale ». Di fronte a questo accidente, esterno sta l'interno : « vi è già — soggiunge il De Mfeis — nella forma latente un principio di accidente. Essa è sem- plice ed una, ma nella sua unità vi è un germe di differenza e di moltiplicità, vi è l'attitudine e la disposizione a dividersi in molti e diversi, ed è un accidente indeterminato e scolo- rato, pura possibilità di farsi, più che non è, accidentale. L' accidente esterno feconda 1' accidente interno e gli dà corpo e colore, e ne fa una realità accidentale e natu- rale... » (*). Gli agenti esterni stimolano, promuovono, de- terminano, ma Dio opera la trasformazione ("). L'accidente può render conto delle differenze secondarie, non giunge ai veri gradi della formazione ( 3 ). Esiste dunque una storia interna, essenziale, ed una esterna, accidentale ( 4 ); ed esi- stono due sorta di accidente: uno necessario ed essenziale, l'altro secondario e individuale ( 5 ): il primo, ((l'accidente necessario, assoluto », realizza l'evoluzione creativa ideale, intrinseca, assoluta della forma animale; accompagna ogni realtà, circoscrive esteriormente le forme, e fa esistere gli individui; l'altro, «l'accidente accidentale», nasce dall'in- treccio dei processi e dal cozzo inevitabile delle cause na- ( J ) Lettera sulla patologia storica, pp. 3, 7-9. Cfr. Deus creavit, passim. ( 2 ) Dopo la laurea, II, p. 197. ( 3 ) / tipi animali, [I], p. 148. ( 4 ) / tipi animali, II, pp. 760-1. Cfr. Deus creavit, 1. cit., p. 737 e passim. ( 5 ) Deus creavit, I. cit., p. 768. 198 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. turali, delle quali una è la darwiniana concorrenza vitale, da cui deriva la formazione delle varietà, delle specie, dei ge- neri, ma la sua azione non potrebbe estendersi fino ai tipi (*). (( La natura finisce per essere, come la società umana, una lotteria. Finisce, ma non comincia; e non è una lotteria da capo a fondo », perchè ha le sue basi ideali e le sue leggi ne- cessarie ( 2 ). Se non che arrivati a questo punto noi possiamo doman- darci : l'obiezione che abbiam detto potersi muovere al nostro rilievo delle difficoltà inerenti al pensiero del De Meis, è veramente risolutiva ? Questo approfondimento del concetto di accidente, questa distinzione delle due specie di esso, interna o necessaria ed esterna o accidentale, elimina vera- mente la contraddizione nella quale ci era sembrato che questa filosofia della natura si involgesse ? L' accidente interno consiste nella indeterminazione e molteplice possibilità della forma latente ; ma intanto il De Mleis più volte afferma che senza il concorso di esterno acci- dente la possibilità non passerebbe all'atto, non si farebbe realtà di natura. Tra la potenza e l'atto bisogna che s'inse- risca un mediatore perchè il passaggio avvenga. Sicché l'ac- cidente esterno è da lui riconosciuto indispensabile non sol- tanto per l'esistenza degli individui, ma anche per la pro- duzione reale dei tipi nella natura. E del resto la stessa molteplice possibilità in cui è fatto consistere l'accidente necessario, del pari che l'intreccio dei processi dal quale si fa nascere 1* accidente accidentale, possono essere a loro posto in una concezione puramente causale e meccanica della natura (per esempio in quella cartesiana), ma non sono più a posto in una dottrina finalistica, nella quale il termine finale (l'uomo eterno) preesiste a tutto il processo di sviluppo e lo genera esso medesimo. (0 / tipi animali, II, pp. 1131-32. ( 2 ) / tipi animali, [I], p. 145. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 199 Voler dimostrare che nella natura si compie uno sviluppo teleologico, e non saper negare che vi s*ia anche qualche cosa di ciò che il Darwin vi scorge, ossia che la natura finisce per essere, come la società umana, una lotteria, è contraddizione non conciliabile tra l'intenzione e il resultato. E si potrebbe anche aggiungere che una contraddizione è nello stesso intervento dell' accidente esterno a spiegare la patologia. L'intero edinzio della patologia storica costruito dal De Meis crollerebbe, se non intervenisse l'accidente ((accidentale», perchè solo «se l'accidente, esterno o in- terno che sia, se la irragionevole cattiva natura interviene, e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio umano o naturale modifica la qualità della causa motrice, e ne muta la relazione, e ne altera la proporzione con la interna sfera umana, questa si altera e si di sor dima » ('). Ora si ricordi che per il De Meis la malattia corrisponde al passaggio dall'in- nocenza alla colpa, a cui succede il passaggio ad una forma superiore d'innocenza, alla libertà. Se questa forma superiore, che è il fine dello sviluppo, non è raggiungibile che attraverso a questo processo, il processo è necessario, e necessari, non accidentali sono i suoi momenti : la tesi, l'antitesi e la sintesi. Ma allora come può il momento dell'antitesi essere un ac- cidente violatore della ragione ? In un idealismo assoluto, e particolarmente nel ritmo dialettico che si svolge nel movi- mento degli opposti, il momento negativo non è meno neces- sario che il positivo a dare con la negazione della negazione la più alta realtà. Come può dunque in questa concezione filosofica trovar luogo l'accidente « accidentale » del De M|eis ? Come può un accidente siffatto, cioè un accidente estrinseco, che rompe la necessità e viola la ragione, essere costitutivo della natura quale dev'essere intesa in un idealismo assoluto, cioè come pensiero o ragione ? 0) Delle prime linee della patologia storica, p. 13. 200 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. Queste contraddizioni si collegano con una profonda, in- conciliabile contraddizione interna del pensiero del De Meis. È in fondo il contrasto fra il naturalista e il filosofo idealista, contrasto che si svolge anche nell'antitesi fra l'ardente e costante aspirazione a ricongiungere ed unificare la fisiologia con la filosofia, e lo scrupolo della divisione del lavoro, che talvolta si riaffaccia: ((la metafisica ai metafisici, a noi la fisiologia » ('). Questo è il suo conflitto intemo non superata, che si potrebbe estendere ben oltre il suo caso individuale. Invero se la natura è, come il De Meis sostiene, idea e natura a un tempo, la divisione del lavoro non è possibile: il fisiologo non può essere tale se non è prima filosofo; la fisiologia non può essere costruita se non è costruita prima la metafisica. E costruita non da altri, ma dal fisiologo stesso, come altrove il De Meis riconosce ( 2 ); perchè, secondo il principio vichiano ed hegeliano, per il De Meis il fare sol- tanto ci dà il vero conoscere : « criterio del vero è il farlo » . Dal che sarebbero pure derivate conseguenze contrarie alle conclusioni del De Meis intorno ai rapporti fra la teoria e la pratica medica. Infatti come può la separazione della jatrofilosofia dall'attività del medico pratico conciliarsi con l'unità del vero col fatto? Se la vera scienza è la storia, perchè è la realtà vivente, non varrà anche per la jatrofilo- sofia la massima che criterio del vero è il farlo ? E non sarà quindi contraddittorio il dichiararla disgiunta dalla pratica, e quindi inutile come tutte le cose eccellenti, virtù, giustizia, arte, religione, scienza ? Ed ecco il criterio della verità della jatrofilosofia nella pratica, nella clinica, nella cura delle ma- lattie, secondo voleva il Tommasi ( 3 ). Anche qui il De Meis ( x ) Lettere fisiologiche, 1. cit., p. 35. Cfr. Dopo la laurea, II, p. 74 e passim, là dove si riconosce come necessaria, sia pur soltanto al sapere « po- sitivo », la « divisione del lavoro ». ( 2 ) V. Idea della fisiologia greca, pp. 70-71 ; e altrove. ( 3 ) V. La natura medicatrice e la storia della medicina, p. 23 e passim. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 201 mostra di non aver raggiunta la piena coerenza del suo pen- siero, né la piena consapevolezza delle esigenze dei suoi principi. Egli, come ogni naturalista, riconosce la funzione del- l' accidente ; ma il rapporto e il contrasto fra il necessario e l'accidentale, fra ciò che è conoscibile e costruibile a priori e ciò che è dato solo dall'osservazione sperimentale, rimane in lui insoluto. Ed egli non riesce a vincere le difficoltà che anche Hegel aveva incontrate nel costruire la sua filosofìa della na- tura, la quale è certo la parte più debole del suo sistema. L'errore fondamentale del De Meis è consistito in questo : che egli ha attribuite le deficenze della filosofìa della natura hegeliana a cause fortuite e soggettive, e non ha scorto che le cause erano intrinseche al sistema, per se stesso tale da non consentire che vi fosse inquadrata una filosofia della natura compiuta, razionale e concreta ad un tempo. E andò cercando per tutta la vita una soluzione non raggiunta ancora, sempre credendo di lavorare solo alla dimostrazione e alle applica- zioni di quella, che egli stimava già scoperta da Giorgio Hegel.
Sunday, February 27, 2022
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