L'uomo è un sistema vegetativo, un sistema riproduttivo, un sistema animale e un sistema spirituale. Ciascuno di questi quattro sistemi umani è attivo e si muove; ed ha, come natu- rale, la causa del suo movimento fuori di se, nella natura. La natura della causa esterna che move è corrispondente e proporzionata alla natura della sfera interna che è mossa; mentre è una stessa natura che fa l'una per l'altra, ed è sempre la seconda che move se stessa con la prima natura. Ma se l'accidente, esterno o interno che sia, se la irragione- vole cattiva natura interviene, e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio umano o naturale modifica la qualità della causa motrice, e ne muta la relazione, e ne altera la proporzione con la interna sfera umana, questa si altera e si disordina. Il disordine della sfera direttamente colpita si comunica alle altre, ed è una successione e una complica- zione di morbi; ma, isolati o uniti, non vi sono che quattro morbi umani essenziali: i vegetativi, i riproduttivi, gli ani- mali, gli umani o mentali. La patologia preistorica dice che di questi quattro morbi il primo è stato il morbo vegetativo. L'uomo primitivo, uscito sano, valido ed innocente dalle mani del Creatore, rimane sano, finché rimane innocente; non ammala che per irragionevole arbitrio estemo o naturale ; non è esposto che agli accidenti meccanici, alle malattie trauma- tiche. Ma l'animale umano è, a differenza degli altri, capace di colpa; egli trasgredisce il precetto e oltrepassa la natura: felice colpa, perchè lo fa accorto di poterla oltrepassare. Di là dalla natura l'uomo trova se stesso : trova la sua libertà e la sua propria natura, e fa della necessità animale, istin- tiva ed involontaria, una necessità umana, spirituale e volon- taria: e così di colpevole ritorna innocente. Ma non è più la primitiva innocenza dell'animale ignaro e meccanico; è l'innocenza dell'uomo che si vede nel suo interno, e si sa libero ; e liberamente vuole se stesso, ed ama e venera la sua propria natura. Ma bentosto egli oltrepassa questo se stesso, supera questa sua natura, e diviene di nuovo colpevole, e Le opere scientìfiche e la filosofia della natura. 173 si rifa sempre di nuovo innocente, finché non abbia raggiunto tutto se stesso e la sua vera natura spirituale, e non sia com- piuto il fato umano. Così V uomo naturale diventa in prin- cipio civile, e poi da una civiltà passa in un' altra. La civiltà ha certamente i suoi morbi ; e sopratutto nel mo- mento del passaggio e della colpa il morbo si impadronisce dell'uomo, e cresce e si moltiplica ed imperversa. Allora l'uomo è annoiato di se stesso, e perciò si corrompe. E il morbo, fecondato dalla corruzione, genera nuovi e più cru- deli morbi. La corruzione sensuale moltiplica i morbi vege- tativi ; le voluttà naturali e preternaturali generano i morbi riproduttivi. Le cause psichiche non moltiplicano solo le cause naturali, ma operano anche per proprio conto, gene- rano per diretta azione le malattie nervose e le psichiche. D'altra parte, nelle nature più elette, invece di una corru- zione sensuale, nasce un principio di fermentazione intellet- tuale, che dà origine alle malattie dello spirito. Ma tutto questo avviene con una certa legge. Tre grandi civiltà si succedono: la prima naturale, la seconda umana, la terza divina. E ciascuna ha il suo proprio carattere e la sua par- ticolare natura; e ciascuna si corrompe, ed ha le sue proprie e particolari malattie. La civiltà naturale quando è nel suo primo fiore e nella sua perfezione originaria è senza morbi, altro che accidentali e meccanici ; ma la sua corruzione porta seco le cause fìsiche e chimiche, e genera morbi fisici e morbi chimici: cause cosmiche, naturali, che danno origine a morbi naturali, sopratutto vegetativi, prima ai morbi nutri- tivi, e più tardi ai morbi formativi. La civiltà umana — il paganesimo — nel suo fiore è di nuovo senza morbi ; ma la sua corruzione porta seco le cause umane, sensuali, passio- nali, e dà origine ai morbi riproduttivi ed ai morbi animali: ai nervosi prima, e quindi ai psichici. La civiltà divina — la cristiana — nel suo primo fiore è del pari senza morbi ; essa è la reazione della medicatrice natura umana, è la gua- rigione dell'anima e la salute del corpo, rimedio radicale 174 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. di tutti i morbi umani. Ma la reazione eccede tosto il segno della umana natura, ed è principio di nuovi morbi. Mistica e tutta entusiasmo e religioso sentimento, essa reca le cause mistiche, che danno origine alle malattie psichiche mistiche e religiose. La corruzione cristiana riproduce la corruzione pagana, e con le cause passionali rinnova le antiche malattie. Ma di sotto alle rovine del primo spunta il secondo cristia- nesimo, la nuova e vera civiltà divina, e riconduce le cause spirituali e le nuove malattie mentali. Quando quest'ultima civiltà avrà raggiunta la sua definitiva perfezione, allora spa- rirà il male e l'uomo spirituale sarà di nuovo senza morbi, come era in principio l'uomo animale. Tale è il primo e più generale risultato, la prima legge della patologia storica : l'uomo ha quattro vite, quattro anime, ed ha quattro qua- lità di morbi, che sono le categorie primarie della patologia. Ma ciascuna anima può oltrepassare nell'uno o nell'altro senso quei limiti della sua attività entro i quali ha luogo la oscillazione normale ; ed allora concepisce un morbo positivo o negativo, stenico ovvero astenico. Sono queste le cate- gorie secondarie della patologia. La categoria primaria, la natura e la qualità fisiologica del morbo, è l'essenziale, e mai non manca, né può mancare ; invece la categoria secon- daria, il grado e la quantità innormale, può mancare, e manca infatti, o non è sensibile ed apparente. Certo non vi è qua- lità senza quantità ; ma nelle piccole applicazioni cliniche la quantità innormale può mancare del tutto, perchè è sup- plita dalla quantità normale ; nelle grandi applicazioni sto- riche la categoria secondaria trasparisce sempre dentro alla categoria primaria. Le categorie primarie e secondarie ci danno la pianta della patologia storica; non l'edilìzio con tutte le sue parti. Le quattro grandi sfere contengono minori sfere, i quattro grandi sistemi contengono sistemi sempre più piccoli : appa- recchi, organi, tessuti, elementi istologici: le anime gene- rali non esistono veramente che nelle anime elementari o Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 175 cellulari. I fatti sono complessi organici e naturali di cate- gorie, le più generali chiuse nelle più particolari, e queste ricoperte dalla loro buccia innominabile ed accidentale. A forza di aggiungere categorie a categorie il vacuo si riempie e si consolida l'astrazione ('). La patologia storica congegnata dal De Meis è veramente originale ( 2 ); e sebbene, volendo dedurre da pochi principi e compendiare in pochi schemi tutti i fatti umani, abbia tal- volta dell'artinzioso, non è certo nel complesso senza genia- lità, e coglie con acume i nessi che legano i singoli morbi alle varie forme della civiltà umana. IV. Ancora il terzo periodo — b) La filosofia della natura ( 3 ). La creazione secondo il De Meis. La lotta del De Meis contro la teoria darwiniana. 11 suo metodo trimorfo. La dimostrazione dei suoi principi. L'accidentale e il necessario nella sua concezione filosofica. 11 De Meis non poteva limitare la sua speculazione entro l'ambito della jatronlosofìa : dalla sua stessa concezione di ( J ) V. Delle prime linee della patologia storica, Prelezione, Bologna, Monti, 1866, passim. ( 2 ) Della sua patologia storica l'A. scrive (Delle prime linee della pa- tologia storica, p. 63): « ...Sarà vera o falsa, buona o cattiva...; ma sarei curioso, e ben vorrei vedere chi di questa bazzecola, come d'ogni altra mia piccola cosa infino a una menoma parola, sarebbe capace di reclamare la priorità ». - Nella prel. qui cit. l'A. non tracciò che lo schema generale di questa sua costruzione. Ma svolse poi l'argomento nel successivo corso di lezioni universitarie, mai dato alle stampe. Cfr. SICILIANI, Gli hegeliani in Italia, 1. cit., p. 526. ( 3 ) V. qui addietro, p. 156, nota ( 1 ). Per gli argomenti trattati in questo paragrafo, si vedano: / naturalisti (1865), La natura a volo d'uccello: Forza 176 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. questa, oltre che dall'indole del suo ingegno e dall'influenza dell'ambiente intellettuale nel quale era stato educato, egli doveva essere e fu infarti condotto alla costruzione di una filosofìa della natura. Ma se egli parte dall'affermazione che l'essere è pensiero, e non vede chiaro il significato di questa identità e non ne deduce logicamente tutte le conseguenze, se egli pone le fondamenta in modo arbitrario e nelle singole parti confuse e cozzanti fra loro, non può innalzare un edifizio solido e fermo. E la sua filosofìa della natura è infatti un castello in aria, sebbene edificato con ingegnosità, pazienza e tenacia ammirevoli. Sono pagine che succedono a pagine, volumi che succedono a volumi, e rivelano una profonda conoscenza dello svolgimento di tutte le scienze mediche e naturali, dai tempi più antichi fino a quelli in cui viveva l'Autore: geo- logia, chimica, fisica, zoologia, anatomia umana e compa- rata, fisiologia, patologia, terapia; e sono ipotesi e conquiste scientifiche messe in relazione con sistemi filosofici e con periodi storici ; sono analisi di animali e di vegetali, di specie, di classi, di ordini, di generi; e descrizioni di organi, di funzioni, il cui nascere e modificarsi vuol essere spiegato dal crearsi della idea divina. Ma in tutta la costruzione si risentono le conseguenze della incertezza fondamentale. Il De Meis afferma che creare è diventare, è spiegare suc- cessivamente le forme di cui si ha il germe nel proprio es- sere. Il pensiero originario compie la propria creazione, e di semplice essere si fa a poco a poco pensiero assoluto ( x ). Ma poi aggiunge che il pensiero è il fondamento, il tetto e e materia (1865), Un nuovo corpo semplice (1865), / tipi vegetali (1865), Deus creavit (1869), / tipi animali ([parte prima], 1872; e parte seconda, 1875), Filosofia e non filosofia (1883), Darwin e la scienza moderna (1886), ecc. (*) V. Deus creavit, Dialogo I, nella Rivista bolognese, 1869, p. 736 e segg. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 177 la travatura dell'edilìzio della natura. Egli viene così ad am- mettere che il pensiero non basta ad esaurire tutta la realtà, perchè il fondamento e la travatura non sono tutto l'edifizio. Non resta dunque fedele alla concezione idealistica, secondo la quale la natura è un momento del pensiero, che si risolve interamente nel pensiero stesso, e senza la quale lo sviluppo del pensiero non sarebbe né completo, né possibile. Egli distingue nella natura due gradi e due modi di creazione: l'una sensibile, individuale, l'altra tipica, ideale, individuale anch' essa. La prima creazione è quella che F idea dell' uomo fa dell' individuo umano; ma 1' idea del- l'uomo è naturale, e le idee naturali restano latenti finché l'idea divina, prima causa di sé e della natura, le renda attuose, le fecondi e ne determini la trasformazione. Quando l'idea divina è naturata nell'uomo, la creazione cessa nella natura e ricomincia nella storia, finché l'uomo si è ricongiunto al suo principio, e l'idea divina esiste tutta in forma di idea spirituale. Anche l'idea spirituale esiste solo legata all'acci- dente, cioè come individuo. Quindi, come nella natura, così nello spirito accade una doppia creazione : quella dello spi- rito individuale e quella dello spirito universale. Il primo ripercorre le forme storiche passate dell'umanità sino all'at- tuale, l'altro crea le nuove e più perfette forme storiche. La storia della natura umana, quella della natura vivente e quella della natura cosmica sono le tre forme vitali di uno stesso assoluto individuo temporale, il mondo. Sono tre crea- zioni : una divina, eterna, infinita; l'altra essa pure ideale, ma temporale e finita, universale e particolare insieme; la terza materiale, individuale, accidentale. Dio si realizza nel mondo, e il mondo nell'individuo; quindi anche Dio si realizza nell'individuo. L'universo fa nel tempo come Dio fa nell'eternità: comincia nella forma più semplice del suo essere, la natura; si divide in due forme opposte, il vegetale e l'animale, e infine si raccoglie in una Del Vecchio-Veneziani - 12. 178 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. forma completa, lo spirito umano. Le forme dell'idea divina passano eternamente l'una nell'altra, senza annullarsi; e così pure le forme dell'idea naturale; ma nella materia una forma esclude l'altra, e però nell'individuo sensibile, pur rimanendo tutte idealmente, spariscono via via sensibilmente. Come un mammifero passa per le forme animali inferiori e le proto- vertebrate prima di assumere ra sua forma specifica, così l'in- dividuo umano principia selvaggio, e poi riproduce le tre forme moderne essenziali, ed è prima immaginativo, indi ra- gionatore, e finalmente pensatore: medio evo, risorgimento, tempo nuovo. L'uomo ordinario, nel suo sviluppo, si arresta alle forme storiche già create; l'uomo di genio crea forme nuove, opera come spirito universale, traendo da Dio l'im- pulso e l'ispirazione creatrice. E sempre esisteranno oltre ai più, agli uomini evolutivi, anche i pochi, i creativi, finché, come la natura, anche l'umanità non sia giunta alla sua forma vera, già tracciata da Dio. E perciò ora coesistono i vari gradi e le varie forme in cui il tipo divino si squaderna nella natura. Questi gradi sono una scala di mezzi e fini, in cui la forma inferiore è organo e mezzo all'esistenza della supe- riore. Il ciclo tipico concepisce il moto creativo e produce il ciclo superiore. Quando la natura è fatta, comincia la vita; e quando è chiusa la creazione vitale comincia lo spirito umano. I cicli secondari, anche prima di essersi svolti inte- ramente, cominciano a produrre i tipi corrispondenti del ciclo superiore. E la creazione ideale è creazione sensibile ; la creazione di una specie è produzione di molti individui in cui appare la nuova forma. Il concetto precede l'esecuzione, e la successione effettiva e naturale presuppone la succes- sione logica, ideale. La funzione è la vita, la forma è la natura, che precede il contenuto vitale, e non se ne lascia tuttavia assorbire e soverchiare ; e quando il contenuto spa- risce la forma rimane. Nei tipi superiori la funzione assorbe e domina sempre più la forma, ma la sua vittoria non è mai Le opere scientìfiche e la filosofia della natura. 179 completa. L'equilibrio fra la forma e il contenuto si rista- bilisce non nel corpo, ma nello spirito umano. La vita passa come il tempo; la natura è più tenace. Altra è la successione di tempo, altra di idea. La suc- cessione naturale va non da ciclo a ciclo, ma da tipo a tipo ; e perciò in tutte le epoche della creazione tutti i tipi primari sono, più o meno completamente, rappresentati. Ogni tipo incomincia col riprodurre i tipi formali che lo pre- cedono, indi prende la sua forma propria, e infine arieggia al tipo che gli deve succedere ('). Anche diverso è il modo di accrescimento nella natura, nella vita e nello spirito. Essendo la natura pura esteriorità, i corpi inorganici crescono per moltiplicazione quantitativa esteriore, e non hanno altra unità che la loro forma comune. Nello spirito, che è pura interiorità, la esterna moltiplicità diviene interna e qualitativa. Infine, essendo la vita uno spi- rito naturale, un misto di esteriorità e di interiorità, di appo- sizione e di intuscezione, Tessere organico si sviluppa per una moltiplicazione quantitativa ed esterna e per una molti- plicazione interna e qualitativa, con prevalenza dell'una o del- l'altra secondo che si tratti di una forma più o meno pros- sima alla natura. Mai la vita è tanto esterna che non abbia la sua interiorità ; mai la forma organica è tanto molteplice che non abbia la sua unità. Ma quest'unità è diversa nel vege- tale e nell'animale. Nel vegetale la vita di ogni individuo elementare si unifica nella vita comune dell'aggregato; nel- l'animale deve prevalere l'unità dello spirito umano, e l'in- dividuo, semplice e libero al di fuori, è molteplice e tutto qualificato al di dentro. Le forme superiori ( 2 ) sono la chiave ( 1 ) V. / tipi animali, [parte prima], Bologna, Monti, 1872, pp. 322-23, 332-33, 336-38, 422-23; parte seconda, 1875, pp. 670, 1098, 1101-103, 1131-132. - Cfr. Lettere sulta patologia storica, pp. 6-8. ( 2 ) V. / tipi animali, [IJ, pp. 494-96. 180 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. necessaria a spiegare ed interpretare le inferiori, per se stesse oscure, indistinte, indeterminate; e sono alla loro volta spie- gate dalle forme inferiori in cui appariscono nella primitiva semplicità. Ma il riscontro non è utile se non cade sulle forme fra le quali corre una particolare e più diretta e più intima relazione tipica, secondo il vero metodo evolutivo, in cui l'idea unisce le forme ed organizza le serie, non col metodo empirico, capace solo di conclusioni generali arbitrarie, arti- ficiali, ovvero, se alla vacuità sostituisce il preconcetto dar- winiano, di una inestricabile confusione. Come Giorgio Hegel aveva combattuto e denigrato il Newton ('), così il De Meis lancia in quasi tutte le sue opere strali frequenti contro il Darwin e i darwiniani. Il naturalista inglese è per lui un genio, ma il genio dell'ignoranza, perchè pone il cieco caso in luogo della ragione vitale ( 2 ). Egli pre- tende che tutte le forme dell'intera serie animale sieno venute l'ima dall'altra per l'aggiunta di sempre nuove particolarità organiche nate a caso, e perchè utili ritenute nella selezione naturale, e trasmesse dall'eredità, senza che mai in una forma nulla preesistesse dell'altra che da essa proviene. Il De Meis afferma che qui c'è un progresso sul Lamark, in quanto la modificazione dell'essere vivente è primitiva, spontanea, in- (') Il De Meis dice che la proposizione in cui si compendia la scienza dell'astronomia : « I sistemi solari sono i primi uomini, il cosmos è il mondo umano primitivo... non è possibile che alla filosofia della natura: motivo per cui Newton, il divinissimo astronomo, non la sapeva altrimenti ; egli nel cielo ci vedeva Dio, e per questo ci voleva poco, ma non ci vedeva l'uomo». - Dopo la laurea, li, p. 195. - Cfr. ivi, pp. 26-7. ( 2 ) V. / tipi animaci, [I], pp. 143-156; e cfr., pel giudizio del De Meis circa la teoria darwiniana, Dopo la laurea, II, pp. 195-99, 257-58; Deus creami, 1. cit., passim; Darwin e la scienza moderna, pp. 22-35; / tipi ani- mali, [I], passim; II, pp. 760, 1079-82, 1085, e passim; Filosofia e non filo- sofia, pp. 11-12; Lettera sulla patologia storica, pp. 6-9; ecc. Le opere scientifiche e la filosofìa della natura. 181 genita, e non prodotta soltanto da agenti esterni; ma egli non sa comprendere come si possa affermare che tale modifi- cazione è casuale, irrazionale, e che la ragione c'entra poi, introdotta dal caso. Ammette che in ciascuna delle teorie di Mosè, Zaratustra, Firdusi, Diodoro, Lamark, Darwin, è qualcosa di ragionevole, cioè di serio e di vero. La verità più ragionevole, sebbene espressa in modo goffo e materiale, è quella di Mosè: Deus creavit! — la meno ragionevole è quella darwiniana. La teoria adattativa del Lamark e quella selettiva del Darwin, pur essendo tutte e due sbagliate, hanno di vero lo schema comune, ed è questo: gli animali formano tutti una sola famiglia naturale ; il principio che unisce e lega le forme è l'eredità; il principio della divergenza delle forme è la variabilità. Se non che questi tre punti debbono essere integrati rispettivamente così : gli animali sono tutti in fondo uno stesso animale ; la generazione è creazione ; la variabilità deve essere determinata, perchè nella natura e nella scienza la potenza sta nella determinazione. Secondo il De Meis, è vero che l'individuo varia senza legge e senza ragione, fuorché quella di essere individuo accidentale; ma varia anche con ragione, perchè è posto fra la cieca necessità della natura e la conscia assoluta libertà dello spirito umano. Dio è il grande modincatore, il vero e solo creatore dei nuovi organi e delle nuove funzioni vitali, perchè una funzione è un'idea, e per creare un'idea ci vuole un'idea. 11 non essere non può creare l'essere, l'irrazionale non può creare la ragione, la natura ossia l'accidente non può creare i tipi e le funzioni. Senza l'idea divina non po- trebbe nascere dall' antropoide 1' antropo, intercorrendo fra loro una differenza ideale anche, e di gran lunga, maggiore dell'organica, e neppure potrebbero nascere nuove forme, perchè ogni fonma ha un suo proprio valore assoluto, e si svi- luppa secondo il ritmo assoluto del mondo, secondo il disegno eterno della creazione. L'idea, e non il sangue, fa l'unità delle forme vitali. Fra coloro che non riducono la scienza 182 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. ad una storia accidentale, alcuni — i seguaci della scienza antica, essenzialmente religiosa e intuitiva — ammettono due storie ideali, una fuori della natura e del mondo, un'altra secondaria, riflesso della prima, sviluppantesi nel seno della natura e dell'essere vivente; gli altri, i seguaci della scienza moderna, riflessiva, non riconoscono che la forma e la storia intrinseca alla natura, all'animale, allo spirito umano, con- siderando la storia extramondana come un effetto ottico ope- rato dalla intuizione. Vi sono tre maniere diverse di considerare le forme vi- tali ('). L'una consiste nel distinguere fra gli elementi comuni a tutte quelli che sono propri di alcune soltanto. E si consi- derano questi elementi formali come caratteri costitutivi di un tipo più o meno comprensivo. È la maniera astratta, quella di Linneo, di Jussieu, di Decandolle, di Cuvier, di Milne Edwars, di Owen. V'è una seconda maniera, che si rias- sume tutta nella frase : una forma è simile ad un'altra perchè il figlio è simile al padre e il padre all'avo. Questo è pel De Meis il finis Poloniae, la comune e l'internazionale della scienza moderna. Vi è infine una terza maniera, che con- siste nel cogliere la forma nel suo movimento, e considerare i vari tipi come i momenti evolutivi di un tipo ideale assoluto, il quale è l'unità, la verità, la ragione, il principio e il ter- mine di tutte; e questo tipo è il vero animale. È la maniera concreta, quella di Schelling, di Hegel, di Oken. Dopo di loro il solo Baer l'ha presentita, ma non ne ha fatta una applicazione sistematica e conseguente alle varie forme animali. Il De Meis dice che egli intende di fare un tentativo di questa specie. Secondo lui, tutte le forme preesistono idealmente l'una nell'altra; tutte preesistono in una forma (') V. / tipi animali, [I], pp. 519-21 ; cfr. II, pp. 760-61, 796-97, 1083- 94, 1131-39. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 183 germinale di cui sono lo sviluppo creativo, interno, spon- taneo. La creazione consiste nella determinazione ideale originaria di schemi indeterminatissimi, e nella loro delimi- tazione naturale, ossia accidentale. Una forza interna a un dato momento, aiutando le condizioni esterne da lei stessa preparate, trasforma l'embrione in larva e la larva nell'in- dividuo completo, facendolo attraversare una serie di forme l'una più perfetta dell'altra, immagine della palingenesi uni- versale. Questa forza ricevette una prima spinta dalla gene- razione. L'uomo dà l'impulso prima alle forme semplici e generali, quiescenti l'una nell'altra, che sono nella natura e pur non sono naturali; le desta, le crea, le differenzia, le delimita; dei puri e semplici momenti della legge formale fa delle forme vive, reali, accidentali; muove la materia in- forme a creare il sistema solare e l'uomo a traverso alla serie delle forme cosmiche e vitali. L'uomo eterno, l'uomo intelletto umano, è dietro al caos ed a tutte le forme, è la forma, l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in cui lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta par- ticolarità esiste, ma nella forma di principio, di universa- lità, di necessità, ed in questa contraddizione consiste la sua attività creatrice. Il pensiero assoluto si trasferisce e si effettua nella realtà dell'universo, e lo fa a sua immagine, e seco vi trasporta il metodo assoluto della sua evoluzione attuale. La forma è un principio e una forza indipendente dalla funzione (') ; e questa forza ha una legge che ne deter- mina lo sviluppo e l'azione, ed è la stessa*legge dell'uni- verso, è il metodo della natura, del vegetabile, dell'animale e dell'uomo, il metodo insomma di tutto il creato, perchè è quello intrinseco alla divinità creatrice. Secondo questa legge, ogni sviluppo essenziale si fa in tre momenti: tesi, antitesi, sintesi. Al movimento puro, assoluto, astratto, corrisponde il (0 V. / tipi animali, II, pp. 962-63. 184 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. movimento concreto della forma, ai tre momenti ideali corri- spondono tre tipi sensibili : amorfo, antimorfo, teleomorfo ('). E perciò l'universo è una gran trilogia: è amorfo nella na- tura, antimorfo nella vita, teleomorfo nello spirito umano. La natura (amorfopan) è indifferenza senza opposizione essen- ziale ; è tutta forma senza unità, senza fine, senza ragione, senza la forma della forma. La vita (antipan) è essenzialmente opposizione fra corpo ed anima, fra molteplicità ed unità, fra vegetale ed animale. Esiste fra vegetale ed animale una doppia antitesi : l'una di natura e l'altra di funzione (antitesi psichica e antitesi corporea). Lo spirito umano (teleopan) è teleomorfo. Lo spirito è 1' opposizione spinta all' estremo, poiché l'antitesi non è più solo fra corpo ed anima, fra senso e sensibile, ma fra intelligenza e intelligibile, fra Dio e l'uomo. Lo spirito comincia con l'opporsi alle idee e finisce per riconoscersi in quelle, e con lo stesso colpo si riconosce nelle cose : sì che egli è l'unità reale e distinta delle cose e delle idee. L'anima nella natura è interna, nel vegetale apparisce al di fuori, ma è corporea; nell'animale diventa corporea, ma rimane particolare; nell'uomo diviene assoluta, universale e puramente ideale, e la opposizione è finalmente risoluta e conciliata. La natura, la vita, lo spirito umano hanno ciascuno a sua volta il proprio sviluppo trilogico essenziale. Questo metodo trimorfo, come egli stesso lo chiama, è per il De Meis il filo ariadneo che deve guidarlo a traverso al labirinto delle forme vegetali ed animali. Per lui tutte le forme e i tipi più eterogenei e dissimili sono in realtà uno stesso identico animale in via di formazione : l'uomo ( 2 ). E dei tipi animali egli vuol tracciare la storia ideale ( 3 ), per- W V. / tipi animali, [I], PP . 194-95, 245-48, 295-98; e II, PP . 716, 1103-104. ( a ) V. / tipi animali, [I], p. 318. ( 3 ) V. / tipi animali, II, pp. 906-7. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 185 seguendola a traverso alla descrizione. Confessa che la descri- zione gli riesce troppo completa e determinata, mentre ogni tipo è sfumato ed evanescente innanzi alla sua realizzazione, è il mobile oscuro che da dentro fa forza e opera lo sviluppo creativo, cominciando da sé, creando a mano a mano le pro- prie determinazioni. Invece i sistematici ordinari ■(*), tutti intenti alla diagnosi delle forme, poco si curano delle diffe- renze di quantità ; essi hanno bisogno di caratteri qualita- tivi specifici, possibilmente esclusivi, precisamente quelli più materiali, che non significano nulla appunto perchè non passano in altre forme. Tipo è forma con significato. Questi sistematici hanno una logica difettiva a forza di astrazione; non pensano che nel quanto è rinchiuso il quale. Seguono la vecchia tendenza separatrice, diagnostica, arti- ficiale, bisognosa di abissi e avida di caratteri esclusivi, iso- latori ( 2 ). La nuova morfologia invece cerca le comunanze e le transizioni, benché non arrivi ancora a ravvisare la tran- sizione ideale dove manca quella materiale. Per la vera morfologia il primo è la forma, che pone i lineamenti gene- rali dell'essere; poi viene la funzione ideale che la acco- moda e la modifica; e in ultimo viene la funzione reale e la selezione naturale. I darwiniani invece ignorano l'omo- 0) V. / tipi animali, II, pp. 873 e 913-14. ( 2 ) V. / tipi animali, II, pp. 933-34; cfr. [I], pp. 458, 467, 481, e II, pp. 738, 1007-8. Dopo aver chiarita la differenza fra le due morfologie, l'A. soggiunge che il suo scritto è un lavorìo tutto di pensiero, condotto con un organo che nel cervello dei naturalisti, darwiniani o antidarwiniani ch'ei sieno, dev'essere assolutamente atrofizzato: « è tutta da capo a fondo (apriti cielo)... una ricostruzione a priori. Ma lo scandalo sarà piccolo, perchè non ci sarà di certo chi ci si voglia rompere il capo. Questo scritto non si fa per stamparlo, si stampa per farlo ; e si fa per uso e consumo esclusivo, e per supremo divertimento dell'autore, che quando sarà tutto stampato tirerà tanto di chiavistello sulle pochissime copie che ne avrà fatto tirare ». Op. cit., II, pp. 938-39. 186 Le opere scientìfiche e la filosofia della natura. la formale; per essi la funzione è tutto e fa tutto, ed è una funzione prodotta dall'organo, la nutrizione, non la fun- zione essenziale, «principiale)), a loro ignota e inconcepibile, Le dottrine materiali non hanno nulla a che fare con la scienza, perchè questa non è la ragione dell'uomo che la fa, ma la ragione della cosa. Il caratterizzatore vede crollare come castelli di carta le sue classificazioni più o meno inge- gnose. 11 rimedio è uno solo: a Non caratterizzare, non clas- sificare; pensare e ripensare ('). Seguendo il metodo trimorfo, si riconosce che nel vege- tale l'amorfofito è indifferente ed informe; l'antifìto è il centro della formazione, il punto in cui si spiega l'opposi- zione fra il corpo e l'anima vegetale ; nel teleofito le due sfere sono egualmente sviluppate. Il vegetale amorfo è l'alga, prima chimicamente e poi anatomicamente semplice, indi molteplice, ma tutta disgregata nei suoi elementi cellulari. 11 vegetale antimorfo è da un lato la felce vegetativa, dal- l'altro il fungo riproduttivo. Il vegetale teleomorfo è il coti- ledonato, in cui la forma vegetativa e la forma riproduttiva sono egualmente sviluppate. Analogo è lo sviluppo tipico dell'animale. L'amorfozoo è informe e indifferente; nel- l'antizoo, punto centrale di tutta la formazione, si sviluppa l'opposizione fra corpo e anima, fra sistema vegetativo e sistema riproduttivo ; nel teleozoo i due opposti sviluppi sono riuniti e in giusta proporzione fra loro. L'amorfo animale è il protozoo, cioè il rizopode e l'infusorio; l'antimorfo è il radiario, il mollusco e l'articolato; il teleomorfo è il verte- brato: pesce, anfibio, rettile, uccello, mammifero. I nomi di amorfozoo, antizoo e teleozoo sono preferibili a quelli di vertebrato ed invertebrato, che esprimono solo la presenza o l'assenza di un elemento secondario. Finché il De Meis sta fedele al suo programma di dimo- strare solo col farli muovere i principi filosofici ai quali (!) / tipi animali, [I], p. 555; cfr. II, p. 865. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 187 crede, egli lavora a meraviglia: originali le applicazioni alla scala degli esseri viventi, alle varie forme della vita, della scienza, della filosofìa, della storia; particolarmente geniali e nuove le applicazioni alla patologia. Ma a volte — rare volte, è vero — egli sente il bisogno di tentare una dimostrazione logica di quei principi, e riesce invece, senza avvedersene, a dimostrarne 1' ìnsuffìcenza, 1' arbitrarietà, la nebulosità. Ciò gli accade nel Deus creavit, e nei tre dia- loghi : / naturalisti ; Forza e materia ; Un nuovo corpo sem- plice ('). Nel Deus creavit — già lo abbiamo visto — egli tenta, senza riuscirvi, di dimostrare che il pensiero è fin dal primo momento essere. Nei Dialoghi affronta lo stesso pro- blema in forma più concreta : ricerca il punto in cui l'essere ed il pensiero si identificano, lo ricerca con la sicurezza di chi sappia di rintracciare cosa esistente nella realtà ; e con lo stesso metodo, lo stesso procedimento, lo stesso linguaggio, e quasi la stessa mentalità con cui un naturalista potrebbe studiare un essere da lui non visto ancora, ma del quale, per descrizione autorevole e per indizi indiretti e certi, gli fosse nota l'esistenza e i caratteri. 11 vero lutto è l'uomo, l'uomo come pensiero, in cui l'uomo della natura, che in sé ricompendia tutta la natura, si risolve ed unifica perfettamente. Ma come questo pensiero eterno passa nel realizzarsi per tutti i gradi della natura ? E che è questa natura ? Quale il suo primo grado ? Retroce- dendo nella storia del processo naturale si perviene ad un muro saldo, incrollabile, oltre al quale non si può andare: quel muro è la materia. Certo la materia suppone lo spazio; ma spazio senza materia non ci può essere. Chi dice spazio ( ] ) / naturalisti, Diagolo 1°, nella Civiltà italiana, Firenze, gennaio 1865, pp. 54-57; La natura a volo d'uccello: Forza e materia, Dialogo, nella Ci- viltà italiana, Firenze, febbraio 1865, pp. 103-7, 115-19; La natura a volo d'uccello: Un nuovo corpo semplice, Dialogo, nella Civiltà italiana, Firenze, aprile 1865, pp. 6-9. 188 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. dice tempo, e chi dice tutti e due dice moto; e dir moto è dir qualche cosa che si muove, è dire — insomma — la materia, moto immobile, forza latente ed inerte dell'universo. La forza diviene sempre materia a traverso un suo sviluppo : da forza chimica, semplice affinità, a forza fìsica, e da forza fìsica a forza meccanica, e infine corporea. Ogni forza è la materia della forza inferiore ed il germe della superiore : e così il moto è il tempo materializzato; il tempo è lo spazio divenuto più materiale. Sempre la materia è la realtà, il limite di una forza; e la forza è la materia nel suo spon- taneo svolgimento. La forza del pensiero da principio non pensa ancora, ma si vuol pensare, ed è chiusa nella forza semplice in cui tutte le forze speciali sono latenti ; e come la più forte, le urta di sotto e fa uscire la forza chimica, che si comunica a tutta la massa della forza semplice, sì che tutto diventa forza chimica reale, affinità e materia puramente chimica ; e fa di questa affinità informe un imponderabile informe, e di questo un informe ponderabile, un corpo sem- plice informe. L'uomo senza influsso di esterno accidente, mentre egli era da per tutto ed era tutto, non poteva scegliere un punto del tempo e dello spazio in cui operare la trasformazione della materia semplice in corpo sémplice. E l'operò in un punto del tempo e dello spazio che erano tutto il tempo, tutto lo spazio. ((Quell'attimo, quello spazierello» si riempì di ma- teria reale, naturale, diventò da spazio ideale spazio reale, interminato, e con esso cominciò la natura. La forza del pen- siero, come ha trasformato il moto, la forza semplice, in forza chimica, così trasforma questa in forza fìsica, e la forza fìsica in forza meccanica; e dallo stesso oscuro fondo fa scaturire dietro a quelle forze la materia chimica, che si trasforma in materia fìsica e indi in meccanica; e all'ultimo in vera materia, in corpo chimico imponderabile, pondera- bile. È la materia semplice che successivamente si modifica e si realizza; è la proprietà chimica, è la speciale natura Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 189 fisica, è la figura meccanica, geometrica, cristallina, che si aggiunge alla forza chimica imponderabile, ponderabile, e le dà un primo corpo ed una nuova realità; gli è un corpo incorporeo, una materia immateriale, una realità non sensi- bile. Le forze, e le loro forme, le loro proprietà, sono sem- plici, indifferenti, indistinte; esse sono avviate all'atto, alla esistenza naturale, ma non ci sono giunte ancora. La forza è molto pensiero e poca natura, e non ha tal realità e tal valore da fare di uno spazio-pensiero uno spazio-natura; ma la proprietà è più natura che pensiero ed è perciò atta ad empire di se lo spazio ; onde appena il pensiero umano dietro a quelle tre forze fa scaturire quelle tre semi-materie, subito mette fuori lo spazio, e lo distende, e vi spiega le tre pro- prietà; e queste vi portano seco le loro forze, e le dissemi- nano egualmente in tutti i suoi punti. Non perciò lo spazio è pieno ed ha compiuta realtà. Egli è estensione, è materia, ma non corpo, perchè non è ancora sensibile. 11 primitivo pensiero umano ha dentro di sé un limite che è esso stesso pensiero, ed è il germe e l'origine del senso; di questo limite fa lo spazio-pensiero e il tempo-pensiero, e il moto, la forza-pensiero, e persino il qualcosa, la materia pensiero: e tutto questo rimane dentro di lui, rimane lui stesso, ed è ancora poco men che pura ragione e semplice pensiero. Ma poi egli, premendo di più su quel limite, fa dello spazio-pensiero uno spazio-estensione, e di questo un corpo sensibile prima al corpo, e poi, per mezzo del corpo, anche all'anima. E poi, facendo del moto-pensiero un moto reale, farà del tempo-pensiero un tempo durata; e poi farà tutta la natura, e la vita — il vegetale — , e l'anima — l'ani- male ; e all'ultimo si rifa pensiero, e pensa se stesso e l'opera sua. Di quel suo limite originario, che era un senso-pensiero, egli ha fatto a poco a poco un senso-senso. E di questo senso farà nella natura formata vari sensi distinti, e così farà del- l'anima. Se noi facciamo la storia della natura, troviamo all'origine della forza e della materia uno stesso identico 100 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. germe, il quale è in uno pensiero umano e senso umano originario. Quel germe, pur mantenendo sempre la sua ori- ginaria identità, si sviluppa di grado in grado, ed è prima natura, poi vegetale, poi animale, e da ultimo uomo; e in ogni grado conserva quelle due cose opposte, la forza e la materia, sempre distinte e sempre unite in una perfetta iden- tità. Nell'uomo, nell'io, nel pensiero reale, l'unità delle due cose opposte è naturata, personificata, e incorporeamente corporalizzata. Questa unità veduta nella nostra natura ci fa più facilmente riconoscere l'unità dei due elementi nelle nature inferiori, la psichica, la vitale, la naturale. Nell'af- ferrare ciò consiste la scienza. Questa è la storia della natura amorfa, in cui tutto è quiete ed immobilità, in cui non c'è che un corpo semplice, omogeneo, uniforme, informe. Poi — dice l'Autore — verrà la natura antimorfa, lo sviluppo delle forze e delle materie, il caos. Infine vedremo sorgere una nuova forza, che a tutte le forze del caos darà una legge e una norma, a tutte le materie una forma comune ; e sarà la natura olomorfa, il cosmo. E vedremo la forza cosmica trasformarsi nella forza vitale, e la forma cosmica divenire la forma vitale, vegetale. E con questo programma egli termina il secondo dialogo, Forza e materia; ma non pubblica più che un terzo dia- logo (*), nel quale riassume la storia del pensiero umano, che da prima tutta interna, tutta dentro un punto, si squaderna poi nello spazio e si sgomitola nel tempo, e all'ultimo si ritrasforma di natura in pensiero, e si riduce di nuovo ad un punto, e questo punto è l'io. Come in principio il punto originario, così ora il punto individuale si trasforma tutto; ma la trasformazione non si fa, come allora, tutta in un atto, (*) Il dialogo (Un nuovo corpo semplice) è preceduto da questa nota : « Il presente dialogo è indipendente dai precedenti », - Sappiamo già che il De Meis lavorava spesso frammentariamente. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 191 bensì successivamente. L'io è un animale naturale, indi- viduale; ma gli ii sono molti, e sono come molti punti, molti tempi in un solo tempo, e tutti fanno come uno spazio intellettuale nello spazio naturale, La trasformazione umana universale, come quella dell'individuo umano, « si sgomi- tola nel tempo e si srotola nello spazio, e intanto si raggo- mitola e torna ad arrotolarsi nella storia ». E perciò la storia umana è una storia naturale di tempo e di spazio, è una cronologia e una geografìa. La storia umana e la storia della natura, essendo creata dal pensiero, è in ogni sua fase totale e universale ; solamente non appare e non diventa reale che in certi punti di tempo e di spazio: in certe epoche, in certi luoghi, in certi corpi e in certi ii. È facile scorgere che il De Meis non è felice quando vuole risalire ai principi sui quali ha fondata la sua costruzione. Invero non si capisce come quel suo pensiero originario, avendo nel senso un limite interno, possa non avere anche un limite esterno, e tutta la natura, che invece deve ancora nascere; ne si capisce come quel pensiero, a furia di premere e caricare sul proprio limite, possa fare del senso-pensiero un senso-senso ( x ), possa, in altre parole, trasformarsi da forza in materia. Ma l'Autore non ha il più lontano dubbio di star tentando la soluzione di un problema forse insolubile, certo insoluto. Che forza e materia sieno due cose distinte ed opposte, ma unite ed identiche è per lui una verità certa, positiva, reale. Egli dichiara che non ha la pretesa di di- mostrare, ma solo di far presentire la verità, come la pre- sente egli stesso ( 2 ) : e certo di quella verità da lui pre- sentita non riesce a dare una dimostrazione logica. In una pagina ( 3 ) che onora il suo senso poetico più che la sua 0) Cfr. Gentile, La filosofia in Italia dopo il 1850, 1. cit., PP . 299-300. ( 2 ) V. Forza e materia, 1. cit., p. 119. ( 3 ) V. / naturalisti, Dialogo I, 1, cit., pp. 56-7. 192 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. profondità filosofica, egli afferma che il corpo è un vegetale, è l'inferno, l'anima è parte materiale e parte immateriale ma sempre naturale, il pensiero è il paradiso, e di pensiero noi siamo tutti uni in Dio ; e per descrivere il suo paradiso tratteggia con poche belle linee il paradiso dantesco. Come Dante non può significar per verba il trasumanare, così egli stesso non può chiarirci come 1' universo si unifichi nel- l'uomo; solo ci dice con slancio lirico che quella è la sua fede. Alla fede in quanto è davvero tale e solo tale, ed è ardente, profonda, incrollabile, sarebbe certo vano, se pur fosse possibile, 1' opporre argomentazioni. Ma ai prin- cipi che di quella fede sono oggetto, e vengono posti a fon- damento di una costruzione scientifico-filosofica, si può e si deve chiedere se sieno suscettibili di avere dall'esperienza una conferma o dalla logica una dimostrazione. La risposta è negativa. Quanto alla conferma dell'esperienza, il De Meis dice ( l ) che con le idee si scopre, è vero, la sostanza delle forme e si tien dietro al loro movimento essenziale ; ma il controllo è la stessa realtà che deve rimanere inalterata ed intatta, ed è il fatto che deve essere riprodotto nella sua integrità, e con tutte le sue condizioni essenziali. Ma se l'Autore ammette l'esistenza di realtà e di fatti che non sono idee, e che solo con le idee possono venir scoperti nella loro sostanza e seguiti nel loro movimento, dovrebbe indicare un terzo termine, atto a valutare la rispondenza fra gli altri due. Non lo indica. Ma è chiaro che il terzo termine non può essere per lui che la stessa idea, giudice e parte in causa ( 2 ). Il controllo di cui egli ha parlato manca; e non poteva non mancare. Nell'ambito dell'idealismo assoluto non può esistere un controllo esterno, ne si può senza essere (') V. / tipi animali, [I], p. 378. ( 2 ) Cfr. Dopo la laurea, II, pp. 154-158. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 193 incoerenti ammettere l'esistenza di una realtà che non sia l'idea o il pensiero. Quanto alla dimostrazione logica dei suoi principi, ab- biamo veduto che le rare volte in cui il De Meis la tenta non la raggiunge, e cade in contraddizioni, come quando, dopo aver affermato che il pensiero è l'essere, ne ragiona come di un pensiero che pensa l'essere, e considera l'essere come puro essere e non pensiero ('); o incorre in errori, come quando afferma che il pensiero originario ha nel senso un limite interno senza avere un limite esterno; ovvero si appiglia ad ipotesi degne di un alchimista ostinato alla ri- cerca della pietra filosofale, come è quella della forza che diviene materia premendo e calcando sul suo proprio limite ( 2 ). La sua filosofìa della natura, riposando su principi che possono essere oggetto di fede, ma non possono avere dal- l'esperienza un controllo né dal ragionamento una conferma, è una costruzione che può essere, ed è difatto, ingegnosa e bella, ma è del tutto arbitraria. Di ciò mai ebbe alcun sospetto l'Autore, sempre fermo nella sua fede hegeliana, vita della sua vita, anima della sua anima ( 3 ). Egli non intendeva di cercare una soluzione nuova; solo si proponeva di svolgere ed elaborare una soluzione già da altri raggiunta. La sua opera è fallita perchè aveva come presupposto e come base quella conciliazione dell'essere e del pensiero, della forza e della materia, che contrariamente a quanto egli cre- deva non era stata raggiunta da nessuno, e meno che mai po- teva esserlo da chi, avendo studiata analiticamente la natura, si ribellava a tagliare il nodo gordiano negando la natura stessa o riducendola a una mera forma spirituale ('). ( J ) V. Deus creavit. {-) V. Forza e materia. ( 3 ) V. Della medicina sperimentale, p. 3 ; e cfr. tutte le opere del De Meis. ( 4 ) Il De Meis non è d'accordo col Berkeley, che « sopprime la natura » ; Del Vecchio-Veneziani - 13 194 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. Una costruzione speculativa della natura, quale l'idea- lismo assoluto e la riduzione della natura a pensiero esigono, dev'essere tutta una deduzione necessaria per considerarsi compiuta e riuscita. E in una deduzione logica e necessaria l'accidente come tale non può trovar luogo. Non si dimentichi, del resto, die l'idea dominante in tutte le assidue e lunghe meditazioni del De Meis intorno alla natura, l'idea informativa di tutti i suoi studi era, come egregiamente la definiva il Fiorentino ( ! ), « l'idea di con- trapporre al predominio dell'accidente, che è il lato debole del darwinismo, una spiegazione più intima e più razionale delle forme, attraverso delle quali progredisce e si dispiega la vita della natura... una ragione superiore, che regola lo sviluppo dei tipi della vita naturale, finche non si dispieghi, e non si allarghi nell'uomo e nella coscienza ». Si trattava dunque per il De Meis di superare quello scoglio contro il quale, a suo vedere, naufragava il darwini- smo; di evitare la trasformazione dell' accidente in Deus ex machina, al quale far ricorso perchè o dove non soccorra una ragione superiore o una spiegazione più intima e razionale. Il De Meis appunto dice e ridice, anche per quanto si riferisce alla natura, che la filosofia vive nella sfera della necessità e della certezza assoluta ( 2 ); ma in contrasto con questa esigenza afferma anche l'indispensabilità dell'acci- dente in tutti i momenti della creazione. Ora l'accidente, che è dichiarato indispensabile, o è razionalmente necessario, cioè deducibile a priori, e allora deve rientrare nella costru- zione speculativa come elemento interno, e non esteriore, sicché non può più dirsi propriamente accidentale ; o è la né col Fichte, nel cui sistema la natura « c'è soltanto quanto basta per far la coscienza, ed è quindi ridotta ad una espressione astratta ». Cfr. Preno- zioni, PP . 47-8, 90. ( x ) La filosofia contemporanea in Italia, p. 55. ( 2 ) V. Dopo la laurea, II, p. 126; ecc. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 195 negazione della necessità razionale e della deduzione a priori, ed in questo caso la dichiarazione della sua indispen- sabilità costituisce il confessato fallimento della costruzione speculativa. Il De Meis oscilla fra le due alternative, senza sapersi appigliare né all'una né all'altra. Questa non meno di quella avrebbe significato il riconoscimento della con- traddittorietà della sua impresa. Invero l'accidente sembra necessario per lui a costituire nella catena dello sviluppo creativo l'anello iniziale e gli anelli di saldatura tra i frammenti non altrimenti congiun- gibili. L'anello iniziale, poich'egli dice che « quando non c'era la natura e quindi l'accidente » era impossibile al- l'uomo (ossia all'idea di Uomo, che come fine deve prece- dere e determinare lo sviluppo), senza arbitrio e « senza in- flusso di esterno accidente », di scegliere un punto del tempo e dello spazio in cui operare la iniziale trasformazione della materia semplice in corpo semplice ('). Gli anelli di salda- tura, in quanto dice che l'accidente, elemento costitutivo della natura, è necessariamente compreso nel processo della funzione ; che « ogni tipo vivente è già idealmente quello che dee succedergli, ma non basta a crearlo, a produrlo real- mente nella natura, senza il concorso di cause accidentali e d'esterni influssi » ( 2 ). E in generale tutto il processo e lo sviluppo della natura per il De Meis consegue la realtà solo in quanto l'accidente interviene e concorre con l'idea alla produzione del risultato. Il fatto è anche idea, ma l'idea non è reale e non esiste che nel fatto ( 3 ); « il principio e la potenza della vita... è sempre unito a un qualche elemento materiale e meccanico che lo fa reale e par- ticolare, che è quanto dire individuale ed accidentale » ('). ( r ) Forza e materia, 1. cit., p. 106. ( 2 ) / mammiferi, p. 67. ( 3 ) V. Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Un. di Modena. ( 4 ) Degli elementi della medicina, p. 31. 196 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. Egli considera i vari tipi carne momenti evolutivi di un tipo ideale assoluto, l'uomo eterno; crede che tutte le forme preesistano in forme germinali di cui sono lo sviluppo crea- tivo interno e spontaneo ; ma la creazione non consiste sol- tanto (( nella determinazione ideale originaria di quegli schemi indeterminatissimi », sì anche « nella loro delimitazione na- turale, o sia accidentale ». E molte volte ripete che la natura è accidente e che l'idea spirituale esiste solo legata all'ac- cidente ('). Ma qui appunto si potrebbe obiettare alla nostra os- servazione, che noi dobbiamo approfondire il concetto del- l'accidente che il De Meis afferma. Legato all'idea, intrin- seco alla natura, l'accidente che egli fa entrare in campo a determinare e spiegare lo sviluppo non è, come l'accidente dei darwiniani, puramente estrinseco e meccanico: ha anzi esso medesimo una necessità interiore ; è il momento della antitesi, senza il quale non potrebbe svolgersi la sintesi crea- tiva. L'uomo eterno, dice appunto il De Meis, è « la forma, l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in cui lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta particolarità esiste, ma nella forma di principio, di universalità, di neces- sità : ed è in questa contraddizione che consiste la sua attività creatrice » ( 2 ). Per questa via parrebbe risolversi la difficoltà nella quale ci appariva impigliato il pensiero del De Meis. Che se anche altrove egli identifica il puro accidentale col male, non vi sarebbe contraddizione con la universalità e necessità rico- nosciuta sopra all'accidente; ma distinzione di due specie di accidenti o di nature: l'interna e l'esterna; necessaria la prima, accidentale in senso proprio la seconda. Il De Meis difatti parla esplicitamente di una natura esterna che viene ( x ) Deus creavit, 1. cit., p. 742, ecc. ( 2 ) / tipi ammali, II, pp. 1080-1, e passim. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 197 a dare l'ultima mano alla natura interna, di un agente esterno ed accidentale che non era compreso nel processo della natura interna, non era calcolato nella evoluzione vitale, e oltre a modificare, sia pur solo superficialmente e quantita- tivamente, le forme, e favorire la trasformazione, e provocare la nuova interna creazione e lo sviluppo di germi latenti, « può fare e fa certamente di più, v'introduce qualche cosa di accidentale e di naturale ». Di fronte a questo accidente, esterno sta l'interno : « vi è già — soggiunge il De Mfeis — nella forma latente un principio di accidente. Essa è sem- plice ed una, ma nella sua unità vi è un germe di differenza e di moltiplicità, vi è l'attitudine e la disposizione a dividersi in molti e diversi, ed è un accidente indeterminato e scolo- rato, pura possibilità di farsi, più che non è, accidentale. L' accidente esterno feconda 1' accidente interno e gli dà corpo e colore, e ne fa una realità accidentale e natu- rale... » (*). Gli agenti esterni stimolano, promuovono, de- terminano, ma Dio opera la trasformazione ("). L'accidente può render conto delle differenze secondarie, non giunge ai veri gradi della formazione ( 3 ). Esiste dunque una storia interna, essenziale, ed una esterna, accidentale ( 4 ); ed esi- stono due sorta di accidente: uno necessario ed essenziale, l'altro secondario e individuale ( 5 ): il primo, ((l'accidente necessario, assoluto », realizza l'evoluzione creativa ideale, intrinseca, assoluta della forma animale; accompagna ogni realtà, circoscrive esteriormente le forme, e fa esistere gli individui; l'altro, «l'accidente accidentale», nasce dall'in- treccio dei processi e dal cozzo inevitabile delle cause na- ( J ) Lettera sulla patologia storica, pp. 3, 7-9. Cfr. Deus creavit, passim. ( 2 ) Dopo la laurea, II, p. 197. ( 3 ) / tipi animali, [I], p. 148. ( 4 ) / tipi animali, II, pp. 760-1. Cfr. Deus creavit, 1. cit., p. 737 e passim. ( 5 ) Deus creavit, I. cit., p. 768. 198 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. turali, delle quali una è la darwiniana concorrenza vitale, da cui deriva la formazione delle varietà, delle specie, dei ge- neri, ma la sua azione non potrebbe estendersi fino ai tipi (*). (( La natura finisce per essere, come la società umana, una lotteria. Finisce, ma non comincia; e non è una lotteria da capo a fondo », perchè ha le sue basi ideali e le sue leggi ne- cessarie ( 2 ). Se non che arrivati a questo punto noi possiamo doman- darci : l'obiezione che abbiam detto potersi muovere al nostro rilievo delle difficoltà inerenti al pensiero del De Meis, è veramente risolutiva ? Questo approfondimento del concetto di accidente, questa distinzione delle due specie di esso, interna o necessaria ed esterna o accidentale, elimina vera- mente la contraddizione nella quale ci era sembrato che questa filosofia della natura si involgesse ? L' accidente interno consiste nella indeterminazione e molteplice possibilità della forma latente ; ma intanto il De Mleis più volte afferma che senza il concorso di esterno acci- dente la possibilità non passerebbe all'atto, non si farebbe realtà di natura. Tra la potenza e l'atto bisogna che s'inse- risca un mediatore perchè il passaggio avvenga. Sicché l'ac- cidente esterno è da lui riconosciuto indispensabile non sol- tanto per l'esistenza degli individui, ma anche per la pro- duzione reale dei tipi nella natura. E del resto la stessa molteplice possibilità in cui è fatto consistere l'accidente necessario, del pari che l'intreccio dei processi dal quale si fa nascere 1* accidente accidentale, possono essere a loro posto in una concezione puramente causale e meccanica della natura (per esempio in quella cartesiana), ma non sono più a posto in una dottrina finalistica, nella quale il termine finale (l'uomo eterno) preesiste a tutto il processo di sviluppo e lo genera esso medesimo. (0 / tipi animali, II, pp. 1131-32. ( 2 ) / tipi animali, [I], p. 145. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 199 Voler dimostrare che nella natura si compie uno sviluppo teleologico, e non saper negare che vi s*ia anche qualche cosa di ciò che il Darwin vi scorge, ossia che la natura finisce per essere, come la società umana, una lotteria, è contraddizione non conciliabile tra l'intenzione e il resultato. E si potrebbe anche aggiungere che una contraddizione è nello stesso intervento dell' accidente esterno a spiegare la patologia. L'intero edinzio della patologia storica costruito dal De Meis crollerebbe, se non intervenisse l'accidente ((accidentale», perchè solo «se l'accidente, esterno o in- terno che sia, se la irragionevole cattiva natura interviene, e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio umano o naturale modifica la qualità della causa motrice, e ne muta la relazione, e ne altera la proporzione con la interna sfera umana, questa si altera e si di sor dima » ('). Ora si ricordi che per il De Meis la malattia corrisponde al passaggio dall'in- nocenza alla colpa, a cui succede il passaggio ad una forma superiore d'innocenza, alla libertà. Se questa forma superiore, che è il fine dello sviluppo, non è raggiungibile che attraverso a questo processo, il processo è necessario, e necessari, non accidentali sono i suoi momenti : la tesi, l'antitesi e la sintesi. Ma allora come può il momento dell'antitesi essere un ac- cidente violatore della ragione ? In un idealismo assoluto, e particolarmente nel ritmo dialettico che si svolge nel movi- mento degli opposti, il momento negativo non è meno neces- sario che il positivo a dare con la negazione della negazione la più alta realtà. Come può dunque in questa concezione filosofica trovar luogo l'accidente « accidentale » del De M|eis ? Come può un accidente siffatto, cioè un accidente estrinseco, che rompe la necessità e viola la ragione, essere costitutivo della natura quale dev'essere intesa in un idealismo assoluto, cioè come pensiero o ragione ? 0) Delle prime linee della patologia storica, p. 13. 200 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. Queste contraddizioni si collegano con una profonda, in- conciliabile contraddizione interna del pensiero del De Meis. È in fondo il contrasto fra il naturalista e il filosofo idealista, contrasto che si svolge anche nell'antitesi fra l'ardente e costante aspirazione a ricongiungere ed unificare la fisiologia con la filosofia, e lo scrupolo della divisione del lavoro, che talvolta si riaffaccia: ((la metafisica ai metafisici, a noi la fisiologia » ('). Questo è il suo conflitto intemo non superata, che si potrebbe estendere ben oltre il suo caso individuale. Invero se la natura è, come il De Meis sostiene, idea e natura a un tempo, la divisione del lavoro non è possibile: il fisiologo non può essere tale se non è prima filosofo; la fisiologia non può essere costruita se non è costruita prima la metafisica. E costruita non da altri, ma dal fisiologo stesso, come altrove il De Meis riconosce ( 2 ); perchè, secondo il principio vichiano ed hegeliano, per il De Meis il fare sol- tanto ci dà il vero conoscere : « criterio del vero è il farlo » . Dal che sarebbero pure derivate conseguenze contrarie alle conclusioni del De Meis intorno ai rapporti fra la teoria e la pratica medica. Infatti come può la separazione della jatrofilosofia dall'attività del medico pratico conciliarsi con l'unità del vero col fatto? Se la vera scienza è la storia, perchè è la realtà vivente, non varrà anche per la jatrofilo- sofia la massima che criterio del vero è il farlo ? E non sarà quindi contraddittorio il dichiararla disgiunta dalla pratica, e quindi inutile come tutte le cose eccellenti, virtù, giustizia, arte, religione, scienza ? Ed ecco il criterio della verità della jatrofilosofia nella pratica, nella clinica, nella cura delle ma- lattie, secondo voleva il Tommasi ( 3 ). Anche qui il De Meis ( x ) Lettere fisiologiche, 1. cit., p. 35. Cfr. Dopo la laurea, II, p. 74 e passim, là dove si riconosce come necessaria, sia pur soltanto al sapere « po- sitivo », la « divisione del lavoro ». ( 2 ) V. Idea della fisiologia greca, pp. 70-71 ; e altrove. ( 3 ) V. La natura medicatrice e la storia della medicina, p. 23 e passim. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 201 mostra di non aver raggiunta la piena coerenza del suo pen- siero, né la piena consapevolezza delle esigenze dei suoi principi. Egli, come ogni naturalista, riconosce la funzione del- l' accidente ; ma il rapporto e il contrasto fra il necessario e l'accidentale, fra ciò che è conoscibile e costruibile a priori e ciò che è dato solo dall'osservazione sperimentale, rimane in lui insoluto. Ed egli non riesce a vincere le difficoltà che anche Hegel aveva incontrate nel costruire la sua filosofìa della na- tura, la quale è certo la parte più debole del suo sistema. L'errore fondamentale del De Meis è consistito in questo : che egli ha attribuite le deficenze della filosofìa della natura hegeliana a cause fortuite e soggettive, e non ha scorto che le cause erano intrinseche al sistema, per se stesso tale da non consentire che vi fosse inquadrata una filosofia della natura compiuta, razionale e concreta ad un tempo. E andò cercando per tutta la vita una soluzione non raggiunta ancora, sempre credendo di lavorare solo alla dimostrazione e alle applica- zioni di quella, che egli stimava già scoperta da Giorgio Hegel.
Sunday, February 27, 2022
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