Grice ed Agamben – nudi – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Grice: “Agamben is a terribly complex philosopher, and a
fascinating one – he has philosophised on things I did: ‘fantasma,’ as used by
Aristotle in ‘Interpretatione,’ the unsaid and the unsayable (indicible), that
Aganbem might apply to ‘il ragazzo’ – or ‘fanciullino’ – he has philosophhised
on ‘love’ (amore – eros – idea dell’amore – and semiology of the sphynx,
imagine, and imagine perverse – the use of bodies (uso dei corpi) and ‘silence’
(il silenzio nel linguaggio): lingua, iinguaggio, dialetto – verita – the
sacred dimension of language in swearing – ‘sacramgneto del linguaggio – the
logic of commands and the commandmets – the power and the glory – he obviously
enjoys in word play! Flosofo. D’antica famiglia veneziana di origine armena, si
laureò in Giurisprudenza nel 1965 con una tesi su Simone Weil. Ha scritto
diverse opere, che spaziano dall'estetica alla biopolitica. A Roma, sempre
negli anni sessanta, frequenta con intensità Elsa Morante, Pier Paolo Pasolini
(interpreta l'apostolo Filippo nel film Il Vangelo secondo Matteo), Ingeborg
Bachmann. Nel 1966 e nel 1968 partecipa ai seminari promossi da Martin
Heidegger su Eraclito e Hegel a Le Thor. Nel 1974 si trasferisce a Parigi, dove
frequenta Pierre Klossowski, Guy Debord, Italo Calvino e altri intellettuali,
mentre insegna all'Università Haute-Bretagne. L'anno seguente ha lavorato a
Londra, mentre dal 1986 al 1993 ha diretto il Collegio internazionale di
filosofia a Parigi, frequentando, tra gli altri, Jean-Luc Nancy, Jacques
Derrida e Jean-François Lyotard. Dal 1988 al 2003 ha insegnato alle Università
degli Studi di Macerata e di Verona. Dal 2003 al 2009 ha insegnato presso
l'Istituto Universitario di Architettura (IUAV) di Venezia. Sempre nel
2003 ha abbandonatoper protesta contro i nuovi dispositivi di controllo imposti
dal governo statunitense ai cittadini stranieri che si recano negli Stati Uniti
d'America, cioè lasciare le proprie impronte digitali ed essere
schedatil'incarico di professore illustre all'New York. In precedenza era stato
professore invitato in altre istituzioni, tra cui l'Università Northwestern,
l'Università Heinrich Heine di Düsseldorf e la European Graduate School di Saas-Fee.
In seguito "si è dimesso dall'insegnamento nell'università italiana".
Oggi dirige la collana Quarta prosa presso l'editore Neri Pozza e organizza un
seminario annuale presso l'Parigi Saint-Denis. Tra gli autori che ha
studiato e proposto: Walter Benjamin, Jacob Taubes, Alexandre Kojève, Michel
Foucault, Carl Schmitt, Aby Warburg, Paolo di Tarso, ma anche Furio Jesi, Enzo
Melandri e in genere trattando temi di filosofia politica, biopolitica (in
particolare i concetti di stato di emergenza, esilio e autorità), mistica
cristiana ed ebraica, angelologia, storia dell'arte e letteratura. Collabora
con "aut-aut", "Cultura tedesca" e con diverse altre
riviste di filosofia. In occasione della laurea honoris causa in teologia
presso l'Friburgo il 13 novembre ha
pronunciato la conferenza Mysterium iniquitatis, poi tradotta in Il mistero
del male. H ricevuto il Premio europeo Charles Veillon per la saggistica e
nel il Premio Nonino "Maestro del
nostro tempo". Il pensiero di Giorgio Agamben, benché caratterizzato
da una omogeneità che copre tutto l'arco evolutivo delle sue opere, può essere
per comodità suddiviso in due momenti distinti. A fare da spartiacque è un
testo fondamentale: Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, il quale si
inscrive nelle tematiche e nel dibattito sollevati dalle ricerche di Foucault
attorno al biopotere, indagando il rapporto fra diritto e vita e sulle
dinamiche dei modelli di sovranità. La prima riflessione agambeniana
predilige tematiche estetiche, in particolar modo letterarie, nel contesto di
un grande confronto con il pensiero di Martin Heideggerche ha conosciuto
personalmente partecipando ai seminari estivi tenuti in Provenza ncon quello di
un altro filosofo a lui caro: Walter Benjamin, autore del quale curò la prima
edizione italiana delle opere complete per Einaudi, ritrovando anche un
discreto numero di testi inediti (tra cui quelli nascosti e conservati da
Georges Bataille alla Biblioteca nazionale di Francia e riscoperti da Agamben
nel 1981 tra le carte di Bataille presenti nella biblioteca); la collaborazione
con Einaudi si interruppe per sopravvenute incomprensioni con l'editore.
All'inizio degli anni novanta alcuni suoi allievi hanno fondato la casa
editrice Quodlibet. I suoi studi hanno riguardato varie tematiche, dal
linguaggio alla metafisica, approfondendo il significato dell'esistenza del
linguaggio e dei suoi limiti referenziali esogeni ed endogeni., dall'estetica
nella quale indaga sulle relazioni intercorrenti fra filosofia ed arte
chiedendosi se quest'ultima permetta una differente espressione del linguaggio
rispetto alla prima, all'etica che approfondisce le tematiche e gli aspetti
emergenti dal contesto dei lager nazisti. A sostegno del pensiero di
Agamben riguardo alla sua concezione della "nuda vita" vale infine
quanto scritto in un articolo pubblicato in data 17 marzo intitolato Chiarimenti: «È evidente che
gli italiani sono disposti a sacrificare praticamente tutto, le condizioni
normali di vita, i rapporti sociali, il lavoro, perfino le amicizie, gli
affetti e le convinzioni religiose e politiche al pericolo di ammalarsi. La
nuda vitae la paura di perderlanon è qualcosa che unisce gli uomini, ma li
acceca e separa.» Homo sacer A partire dal concetto latino di homo sacer,
la sua ricerca principale si svolge nei seguenti volumi (ripresi nell'edizione
definitiva: Homo Sacer. Edizione integrale. I. Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda
vita, II,1. Stato d'eccezione, 2003 II,2. Stasis. La guerra civile come
paradigma politico, Il sacramento del
linguaggio. Archeologia del giuramento, Il regno e la gloria. Per una genealogia
teologica dell'economia e del governo, II,5. Opus Dei. Archeologia
dell'ufficio, Quel che resta di
Auschwitz. L'archivio e il testimone, Altissima povertà. Regole monastiche e
forma di vita, IV,2. L'uso dei
corpi, Al cinema Ha interpretato il
ruolo di Filippo nel film del 1964 Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo
Pasolini. Opere: “Jarry o la divinità del riso”, in Alfred Jarry, Il supermaschio, trad. G.
Agamben, Milano: Bompiani (poi Milano: SE,) André Breton e Paul Éluard,
L'immacolata concezione, trad. G. Agamben, Milano: Forum, (poi Milano: ES).
L'uomo senza contenuto, Milano: Rizzoli, 1970 (poi Macerata: Quodlibet)
(contiene: «La cosa più inquietante», «Frenhofer e il suo doppio», «L'uomo di
gusto e la dialettica della lacerazione», «La camera delle meraviglie», «Les
jugements sur la poésie ont plus de valeur que la poésie», «Un nulla che
annienta se stesso», «La privazione è come un volto», «Poiesis e praxis», «La
struttura originale dell'opera d'arte», «L'angelo malinconico») José Bergamin,
in José Bergamín, Decadenza dell'analfabetismo, trad. Lucio D'Arcangelo,
Milano: Rusconi, (n.ed. Milano: Bompiani)
La notte oscura di Juan de la Cruz, in Juan de la Cruz, Poesie, trad. G.
Agamben, Torino: Einaudi, Stanze. La parola e il fantasma nella cultura occidentale,
Torino: Einaudi (ristampato Einaudi) (contiene: «Prefazione», «I fantasmi di
Eros», «Nel mondo di Odradek. L'opera d'arte di fronte alla merce», «La parola
e il fantasma. La teoria del fantasma nella poesia d'amore del '200»,
«L'immagine perversa. La semiologia dal punto di vista della Sfinge») Marcel
Griaule, Dio d'acqua, trad. G. Agamben, Milano: Bompiani, 1978 Infanzia e
storia. Distruzione dell'esperienza e origine della storia, Torino: Einaudi. Contiene:
«Infanzia e storia. Saggio sulla distruzione dell'esperienza», «Il paese dei
balocchi. Riflessioni sulla storia e sul gioco», «Tempo e storia. Critica
dell'istante e del continuo», «Il principe e il ranocchio. Il problema del
metodo in Adorno e in Benjamin», «Fiaba e storia. Considerazioni sul presepe»,
«Programma per una rivista») Gusto, in Ruggiero Romano , Enciclopedia Einaudi, 6, Torino: Einaudi, L'io, l'occhio, la voce, in Paul Valéry,
Monsieur Teste, trad. Libero Salaroli, Milano: Il Saggiatore, nuova ed. Milano:
SE; poi in La potenza del pensiero, Il
linguaggio e la morte. Un seminario sul luogo della negatività, Torino: Einaudi
(ristampato Einaudi,) La fine del pensiero, Paris: Le Nouveau Commerce, 1982 Un
importante ritrovamento di manoscritti di Walter Benjamin, in «aut-aut»,
(numero intitolato «Paesaggi benjaminiani»), Firenze: La Nuova Italia, La
trasparenza della lingua, in «Alfabeta», Milano: Coop. Intrapresa, Il viso e il
silenzio, in Ruggero Savinio, Opere 1983, Milano: Philippe Daverio, 1983 Il
silenzio del linguaggio, in Paolo Bettiolo , Margaritae, Venezia: Arsenale,
1983, 69–79 Idea della prosa, Milano:
Feltrinelli, (poi Macerata: Quodlibet) (contiene: «Soglia», «I: Idea della
materia, Idea della prosa, Idea della censura, Idea della vocazione, Idea
dell'Unica, Idea del dettato, Idea della verità, Idea della Musa, Idea
dell'amore, Idea dell'immemorabile», «II: Idea del potere, Idea del comunismo,
Idea della giustizia, Idea della pace, Idea della vergogna, Idea dell'epoca,
Idea della musica, Idea della felicità, Idea dell'infanzia, Idea del giudizio
universale», «III: Idea del pensiero, Idea del nome, Idea dell'enigma, Idea del
silenzio, Idea del linguaggio, Idea della luce, Idea dell'apparenza, Idea della
gloria, Idea della morte, Idea del risveglio», «Soglia. Kafka difeso contro i
suoi interpreti») Quattro glosse a Kafka, in «Rivista di estetica», Torino: Rosenberg
& Sellier, La passione dell'indifferenza, in Marcel Proust, L'indifferente,
trad. Mariolina Bongiovanni Bertini, Torino: Einaudi, Il silenzio delle parole, in Ingeborg
Bachmann, In cerca di frasi vere, trad. Cinzia Romani, Bari: Laterza,
1989, V-XV Sur Robert Walser, in
«Détail», Paris: Pierre Alféri et Suzanne Doppelt (l'Atelier Cosmopolite de la
Fondation Royaumont), autunno La comunità che viene, Torino: Einaudi, 1990
(n.ed. Torino: Bollati Boringhieri) (contiene: «La comunità che viene:
Qualunque, Dal Limbo, Esempio, Aver luogo, Principium individuationis, Agio,
Maneries, Demonico, Bartebly, Irreparabile, Etica, Collants Dim, Aureole,
Pseudonimo, Senza classi, Fuori, Omonimi, Schechina, Tienanmen»,
«L'irreparabile») Disappropriata maniera, in Giorgio Caproni, Res amissa, G.
Agamben, Milano: Garzanti, 1991 (poi in Categorie italiane, 89–103) Kommerell o del gesto, in Max
Kommerell, Il poeta e l'indicibile, Genova: Marietti, VII-XV (poi in La potenza
del pensiero, Bartleby, la formula della
creazione, Macerata: Quodlibet. Contiene: Gilles Deleuze, Bartebly o la formula
trad. Stefano Verdicchio; G. Agamben, Bartebly o della contingenza: Lo scriba o
della creazione, La formula o della potenza, L'esperimento o della
decreazione») Nota introduttiva a: René, Il testamento della ragazza morta,
trad. Daniela Salvatico Estense, Macerata: Quodlibet, 7–8 Maniere del nulla, in Robert Walser, Pezzi
in prosa, trad. Gino Giometti, Macerata: Quodlibet, 7–11 Il dettato della poesia, in Antonio
Delfini, Poesie della fine del mondo e poesie escluse, Daniele Garbuglia,
Macerata: Quodlibet, VII-XX (poi in
Categorie italiane, 79–88) Homo sacer.
Il potere sovrano e la nuda vita, Torino: Einaudi, 1995 (ristampa 2008)
(contiene: «Introduzione», «Logica della sovranità», «Homo sacer», «Il campo
come paradigma biopolitico del moderno», «») Il talismano di Furio Jesi, in
Furio Jesi, Lettura del Bateau ivre di Rimbaud, Macerata: Quodlibet, 1996, 5–8 Mezzi senza fine. Note sulla politica,
Torino: Bollati Boringhieri, 1996 (contiene: «Avvertenza», «I: Forma-di vita,
Al di là dei diritti dell'uomo, Che cos'è un popolo?, Che cos'è un
campo?», «II: Note sul gesto, Le lingue e i popoli, Glosse in margine ai
Commentari sulla società dello spettacolo, Il volto», «III: Polizia sovrana,
Note sulla politica, In questo esilio. Diario italiano 1992-94») Per una filosofia
dell'infanzia, in Franco La Cecla, Perfetti e indivisibili, Milano: Skira,
1996, 233–40 Categorie italiane. Studi
di poetica, Venezia: Marsilio, 1996 (contiene: «Premessa», «Comedia», «Corn.
Dall'anatomia alla poetica», «Il sogno e della lingua», «Pascoli e il pensiero
della voce», «Il dettato della poesia», «Disappropriata maniera», «La festa del
tesoro nascosto», «La fine del poema», «Un enigma della Basca», «La caccia
della lingua», «I giusti non si nutrono di luce», «Il congedo della tragedia»).
Nuova edizione (Roma-Bari: Laterza, ), accresciuta di otto testi e con un nuovo
sottotitolo: Studi di poetica e di letteratura. Verità come erranza, in
«Paradosso», 2-3 (numero intitolato «Sulla verità», Massimo Dona), Padova: Il
Poligrafo, 1998, 13–17 Image et mémoire,
Paris: Hoëbeke, 1998 (contiene: «Aby Warburg et la science sans nom»,
«L'origine et l'oubli. Parole du mythe et parole de la littérature», «Le cinéma
de Guy Debord», «L'image immémoriale») Quel che resta di Auschwitz. L'archivio
e il testimone. Homo sacer. III, Torino: Bollati Boringhieri, 1998 (contiene:
«Avvertenza», «Il testimone», «Il musulmano», «La vergogna o del soggetto»,
«L'archivio e la testimonianza», «») Introduzione, in Giorgio Manganelli,
Contributo critico allo studio delle dottrine politiche del '600 italiano,
Macerata: Quodlibet, 1999, 7–18 La
guerra e il dominio, in «aut-aut», 293-294, Firenze: La Nuova Italia,
settembre-dicembre 1999, 22–3, poi anche
in: Paolo Perticari , Biopolitica minore, Roma: Manifestolibri Il tempo che resta. Un commento alla «Lettera
ai romani», Torino: Bollati Boringhieri, 2000 (contiene: «Prima giornata.
Paulos doulos christoú Iësoú», «Seconda giornata. Klëtós», «Terza giornata.
Aphörisménos», «Quarta giornata. Apóstolos», «Quinta giornata. Eis auaggélion
theoú», «Sesta giornata», «Soglia o tornada», «Appendice. Riferimenti testuali
paolini», «») Araldica e politica, in Viola Papetti , Le foglie messaggere.
Scritti in onore di Giorgio Manganelli, Roma: Editori Riuniti Un possibile
autoritratto di Gianni Carchia, in «Il manifesto» (supplemento «Alias» 26),
Roma, 7 luglio 200118 Le pire des régimes, in «Le monde», Paris, 23 marzo 2002
The Time That Is Left, in «Epoché», VII, 1, Villanova: Villanova University, 1–14 L'aperto. L'uomo e l'animale, Torino:
Bollati Boringhieri, 2002 (contiene «Teromorfo, Acefalo, Snob, Mysterium
disiunctionis, Fisiologia dei beati, Cognitio experimentalis, Tassonomie, Senza
rango, Macchina antropologica, Umwelt, Zecca, Povertà di mondo, L'aperto, Noia
profonda, Mondo e terra, Animalizzazione, Antropogenesi, Tra, Desoeuvrement,
Fuori dall'essere», «») Nota, in Ingebor Bachmann, Quel che ho visto e udito a
Roma, Macerata: Quodlibet, 2002 (con Valeria Piazza) L'ombre de l'amour, Paris:
Rivages, 2003 Stato di Eccezione. Homo sacer II, 1, Torino: Bollati
Boringhieri, 2003 (contiene: «Lo stato di eccezione come paradigma di governo»,
«Forza di legge», «Iustitium», «Gigantomachia intorno a un vuoto», «Festa lutto
anomia», «Auctoritas e potestas», «Riferimenti bibliografici») Intervista a
Giorgio Agamben (sullo Stato di eccezione) in Antasofia 1, Mimesis, Milano
2003. Genius, Roma: Nottetempo, 2004 (poi in Profanazioni, 7–18) Il giorno del giudizio, Roma:
Nottetempo, 2004 (poi in Profanazioni,
25–38) La potenza del pensiero. Saggi e conferenze, Vicenza: Neri Pozza,
2005 (contiene: «La cosa stessa», «L'idea del linguaggio», «Lingua e storia»,
«Filosofia e linguistica», «Vocazione e voce», «L'io, l'occhio, la voce»,
«Sull'impossibilità di dire io», «Aby Warburg e la scienza senza nome»,
«Tradizione dell'immemorabile», «*Se. L'assoluto e l'Ereignis», «L'origine e
l'oblio», «Walter Benjamin e il demonico», «Kommerell o del gesto», «Il Messia
e il sovrano», «La potenza del pensiero», «La passione della fatticità»,
«Heidegger e il nazismo», «L'immagine immemoriale», «Pardes», «L'opera
dell'uomo», «L'immanenza assoluta») Profanazioni, Roma: Nottetempo, 2005
(contiene: «Genius», «Magia e felicità», «Il Giorno del Giudizio», «Gli
aiutanti», «Parodia», «Desiderare», «L'essere speciale», «L'autore come gesto»,
«Elogio della profanazione», «I sei minuti più belli della storia del cinema»)
Introduzione, in Emanuele Coccia, La trasparenza delle immagini. Averroè e
l'averroismo, Milano: Bruno Mondadori, 1995,
VII-XIII Che cos'è un dispositivo?, Roma: Nottetempo, 2006 L'amico,
Roma: Nottetempo, 2007 Ninfe, Torino: Bollati Boringhieri, 2007 Il regno e la
gloria. Per una genealogia teologica dell'economia e del governo. Homo sacer
II, 2, Vicenza: Neri Pozza, 2007 (nuova ed. Torino: Bollati Boringhieri, 2009)
(contiene: «Premessa», «I due paradigmi», «Il mistero dell'economia», «Essere e
agire», «Il regno e il governo», «La macchina provvidenziale», «Angelologia e
burocrazia», «Il potere e la gloria», «Archeologia della gloria» preceduti,
intervallati e seguiti da Soglie, «Appendice: L'economia dei moderni», «») Che
cos'è il contemporaneo?, Roma: Nottetempo, 2008 Signatura rerum. Sul Metodo,
Torino: Bollati Boringhieri, 2008 (contiene: «Avvertenza», «Che cos'è un
paradigma?», «Teoria delle segnature», «Archeologia filosofica», «») Il
sacramento del linguaggio. Archeologia del giuramento. Homo sacer II, 3,
Roma-Bari: Laterza, 2008 Nudità, Roma: Nottetempo, 2009 (contiene: «Creazione e
salvezza», «Che cos'è il contemporaneo?», «K.», «Dell'utilità e degli inconvenienti
del vivere fra spettri», «Su ciò che possiamo non fare», «Identità senza
persona», «Nudità», «Il corpo glorioso», «Una fame da bue», «L'ultimo capitolo
della storia del mondo») (con Emanuele Coccia) Angeli. Ebraismo, Cristianesimo,
Islam, Vicenza: Neri Pozza, La Chiesa e
il Regno, Roma: Nottetempo, (con Monica
Ferrando) La ragazza indicibile. Mito e mistero di Kore, Milano: Electa
Mondadori, Altissima povertà. Regole
monastiche e forma di vita. Homo sacer IV, 1, Vicenza: Neri Pozza, Opus Dei. Archeologia dell'ufficio. Homo
sacer II, 5, Torino: Bollati Boringhieri,
Il mistero del male. Benedetto XVI e la fine dei tempi, Roma-Bari:
Laterza, Pilato e Gesù, Roma: Nottetempo, Qu'est-ce que le commandement?, Parigi:
Bibliothèque Rivages, Il fuoco e il
racconto, Roma: Nottetempo, L'uso dei
corpi. Homo sacer IV, 2, Vicenza: Neri Pozza,
To Whom Is Poetry Addressed?, in "New Observations", Stasis La
guerra civile come paradigma politico. Homo sacer, Torino: Bollati
Boringhieri, L'avventura, Roma: nottetempo, Pulcinella ovvero Divertimento per li
regazzi, Roma: nottetempo, Che cos'è la
filosofia?, Macerata: Quodlibet, Che
cos'è reale? La scomparsa di Majorana, Vicenza: Neri Pozza, Autoritratto nello studio, Milano:
Nottetempo, Karman. Breve trattato
sull'azione, la colpa, il gesto, Torino: Bollati Boringhieri, Creazione e anarchia. L'opera nell'età della
religione capitalista, Vicenza: Neri Pozza,
Homo Sacer. Edizione integrale (1995-), Macerata, Quodlibet, Il Regno e il Giardino, Vicenza: Neri
Pozza, Lo studiolo, Collana Saggi,
Torino, Einaudi, . A che punto siamo? L'epidemia come politica, Macerata,
Quodlibet, Note Giulia Farina, Enciclopedia della
letteratura, Garzanti, 1997 p.9 Con il
quale progetta una rivista. Cfr. l'ultimo capitolo di Infanzia e storia,
Einaudi, Torino. Giorgio Agamben Al
quale si rivolge con L'amico, Nottetempo, Roma. Cfr. la lettera di solidarietà
di Carla Benedetti dell'11 gennaio 2004 su "Nazione indiana": la pagina sul sito della scuola. Del quale ha diretto per qualche tempo le
edizioni complete presso Einaudi, prima di abbandonare il progetto per
contrasti con la casa editrice. cfr. la lettera a "la Repubblica" del
13 novembre 1996. . Tra l'altro ha
lavorato per il Warburg Institute negli anni,grazie alla cortesia di Frances
Yates . Altri autori di cui si è
occupato sono Charles Baudelaire, Robert Walser, Paul Valéry, Antonio Delfini,
Giorgio Manganelli, Max Kommerell, Elsa Morante, Giovanni Pascoli, Victor
Segalen, Giorgio Caproni, Patrizia Cavalli, Marcel Proust, Arnaut Daniel
ecc. Paolo Vernaglione, TEOLOGIAIl
«Mistero del male» di Giorgio Agamben. Fuga dal tempo del dominio [collegamento
interrotto], in il manifesto, Lettera ad H. Arendt, 1970 (The Hannah Arendt
Papers at the Library of Congress) Roberto
Gilodi, BenjaminUno «straccivendolo» alla ricerca capillare dei rifiuti di
Baudelaire, in Alias, Roma, il manifesto, cite web
url=http://iep.utm.edu/a/agamben.htm
G.Agamben, Chiarimenti Andrea
Cavalletti, "La guerra civile, paradigma della politica" Archiviato
il 4 marzo in ., il manifesto Prima
della pubblicazione di Stasis, questo volume era numerato II,2. Thomas Carl
Wall, Radical Passivity: Levinas, Blanchot and Agamben, postfazione di William
Flesch, Albany: State University of New York Press, 1999 Philippe Mesnard e Claudine Kahan, Giorgio
Agamben à l'epreuve d'Auschwitz: temoignages, interpretations, Paris: Éditions
Kimé, Eva Geulen, Giorgio Agamben zur Einführung, Hamburg: Junius,Alfonso
Galindo Hervas, Politica y mesianismo: Giorgio Agamben, Madrid: Biblioteca
nueva, Asselin e Jean-Francois Bourgeault , La littérature en puissance autour
de Giorgio Agamben, Montréal: VLB, Calarco e Steven DeCaroli , Giorgio Agamben.
Sovereignty and Life, Stanford: Stanford University Press, 2007 Francesco Valerio
Tommasi, Homo sacer e i dispositivi. Sulla semantica del sacrificio in Giorgio
Agamben, «Archivio di filosofia », Justin Clemens, Nicholas Heron e Alex
Murray, The Work of Giorgio Agamben. Law, Literature, Life, Edinburgh:
Edinburgh University Press, 2008Greg Bird. Containing Community: From Political
Economy to Ontology in Agamben, Esposito, and Nancy. Albany: State University
of New York Press, Leland de la Durantaye, Giorgio Agamben: A Critical
Introduction, Stanford: Stanford University Press Alex Murray, Giorgio Agamben,
London-New York: Routledge, Thanos Zartaloudis, Giorgio Agamben. Power, Law and
the Uses of Criticism, London-New York: Routledge, (DE) Oliver Marchart, Die politische
Differenz zum Denken des Politischen bei Nancy, Lefort, Badiou, Laclau und
Agamben, Berlin: Suhrkamp, William Watkin, Literary Agamben: Adventures in
Logopoiesis, London-New York: Continuum, Vittoria Borsò et alii ,
BenjaminAgamben, Wurzburg: , Konigshausen & Neumann, Lucia Dell'Aia , Studi su Agamben, Milano:
Ledizioni, (con saggi di Witte, Liska,
Dell'Aia, Talamo, Miranda, Recchia Luciani) Francesco Valerio Tommasi,
"L'analogia in Carl Schmitt e Giorgio Agamben. Un contributo al
chiarimento della teologia politica", in L'ircocervo, /1.Jacopo D'Alonzo,
"El origen de la nuda vida: política y lenguaje en el pensamiento de
Giorgio Agamben", in Revista Pléyade, C. Salzani, Introduzione a Giorgio
Agamben, Il Nuovo Melangolo, (HR) Mario
Kopić, Giorgio Agamben, «Tvrđa», 1-2, ,
44–93. Flavio Luzi, Quodlibet. Il problema della presupposizione
nell'ontologia politica di Giorgio Agamben, Stamen, Roma . E. Castano, Agamben
e l'animale. La politica dalla norma all'eccezione, Novalogos, Carlo Crosato, Critica della sovranità.
Foucault e Agamben. Tra il superamento della teoria moderna della sovranità e
il suo ripensamento in chiave ontologica, Orthotes, V. Bonacci , Giorgio Agamben. Ontologia e
politica, Quodlibet Lucia Dell'Aia e
Jacopo D'Alonzo , Lo scrigno delle segnature. Lingua e poesia in Giorgio
Agamben, Istituto Italiano di Cultura, Amsterdam . Con uno scritto inedito di
G. Agamben (Porta e soglia) e contributi di: L. Dell'Aia, R. Talamo, C.
Salzani, J. D'Alonzo, V. BorsòColilli.
Bios (filosofia) Zoé (filosofia) Homo sacer Altri progetti Collabora a
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Commons contiene immagini o altri file su Giorgio Agamben Opere di Giorgio
Agamben, . Opere riguardanti Giorgio Agamben, . Giorgio Agamben, su
Goodreads. italiana di Giorgio Agamben,
su Catalogo Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com. Giorgio
Agamben, su Internet Movie Database, IMDb.com.
Catherine Mills, Giorgio Agamben, su Internet Encyclopedia of
Philosophy. L'aperto. L'uomo e l'animale. Recensione da LiberCensor.net.
Agambeniana. delle opere di Giorgio
Agamben, ferma al gennaio 2004, su agamben.web.fc2.com. Jacopo D'Alonzo, di Giorgio Agamben (aggiornata al dicembre )
, su filosofia-italiana.net. 9 aprile 13
aprile ). "Il frutto maturo della redenzione", Toni Negri su Agamben
Altissima povertà. Regole monastiche e forma di vita recensione da Sitosophia
Il mistero del male Traduzione spagnola nel 68esimo numero del magazine
messicano "Fractal". Agamben.
Keywords: nudi, Ereignis, eye, occhio, occhi, polifemo, argo, i marziani di
Grice – la etimologia accettata – ‘porre davanti agli occhi” – binocularismo –
monocularismo – algarotti, il sacramento del linguaggio – Fjeld -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice ed Agamben” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51711128401/in/photolist-2mPYYve-2mMx3Tk-2mLLMp2-2mLMaMX-2mKAuZM-2mFT3it-2mFT2vb-2mFXqcz-2mFU9hT-2mFU9hY-2mFU9hs-2mFT3hm-2mFU9hx-2mFXqcE-2mFT3hr-2mFNtjG-2mDcYKz-2mDcG8r-2mDcJUZ-2mD53dA-2mDcHuz-2mD94Xi-2mDaeCf-2mDaeWB/
Grice ed Agazzi –
Apollo febo, ovvero, l’impegno della ragione – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Genova).
Grice: “I like [Emilio] Agazzi; his tutees thought he was into the ‘impegno
della ragione,’ but then MY tutees thought that I was into the philosophical
grounds (as in coffee) of rationality: intentions, categories, ends – I go by “H.
P. Grice,” so surely I can find an acronym that would NOT leave the essential
“H” out – as in Speranza’s GHP – a highly powerful or hopefully plausible
version of Myro’s system G – “in gratitude to Paul Grice.” Grice: “Agazzi is a
marxist – cf. my ontological Marxism, I am one, too – so his ‘ragione’ is
Hegelian – he has also philosophised on Croce, and idealism, but the idea that
there is ‘impegno’ behind reason is tutorial – surely reason is a natural
faculty that does- not require much of an ‘impegno’ – the more impegno, the
less rational you will be counted – if he means that!” -- Filosofo. Agazzi
nacque a Genova. Qui conseguì la maturità classica a la laurea in lettere e filosofia
con una tesi su Il pensiero filosofico di Piero Martinetti presso l'Università
Statale. Fu assistente volontario di storia della filosofia dapprima a Genova
dal 1945 al 1954, dove fu in particolare influenzato dal pensiero di Adelchi
Baratono, ordinario di filosofia teoretica, e successivamente, dal 1954 al
1964, a Pavia (ove in particolare collaborò con Ludovico Geymonat e Vittorio
Enzo Alfieri); contemporaneamente, dal 1949 al 1972, insegnò filosofia nei
licei di Genova, Voghera e Pavia. Nel 1964 conseguì la libera docenza in storia
della filosofia moderna e contemporanea; dal 1965 al 1968 insegnò filosofia
della religione nella facoltà di Lettere e filosofia a Milano, in particolare
riprendendo il suo interesse per Piero Martinetti; mentre nella stessa facoltà
insegnò dal 1969 al 1982 filosofia della storia, ottenendo un incarico stabile
dal 1973. Dalla seconda metà degli anni
Settanta si dedicò in particolare allo studio della filosofia tedesca moderna
contemporanea, accentrando la sua attenzione sulla Scuola di Francoforte, città
in cui svolse ricerche approfondite ed ebbe contatti con docenti universitari;
negli stessi anni frequentò ripetutamente università tedesche, polacche e
jugoslave. Impegno politico Da sempre
attento agli sviluppi del pensiero marxista in Italia e in Europa, accompagnò
la sua intensa attività di ricerca scientifica ad un attivo impegno politico:
esponente del Partito Socialista Italiano negli anni Cinquanta, nei decenni
successivi aderì dapprima al PSIUP, quindi al PDUP e a Democrazia Proletaria.
Collaborò in varie forme a molte riviste e quotidiani della sinistra (tra gli
altri Il Lavoro Nuovo, l'Avanti!, Mondoperaio, Quaderni Rossi, Passato e
Presente, Classe); nel 1983 fondò la rivista di teoria politica Marx centouno. Dopo il 1986, gravemente ammalato, dovette
rinunciare ai suoi studi, lasciando nel 1990 l'insegnamento. Morì a Pavia il 25
settembre 1991. Archivio L'archivio di
Emilio Agazzi e gran parte della sua biblioteca sono stati do 1992 dagli eredi
alla Fondazione Turati, dove è tutt'ora conservato presso l'archivio della
Fondazione; il fondo contiene quaderni di appunti, manoscritti e materiali di
lavoro per il periodo dagli anni Quaranta agli anni Ottanta del Novecento. Opere: “Croce e il marxismo” (Einaudi); “Linee
fondamentali della ricezione della teoria critica in Italia”; “L'impegno della
ragione” (Cingoli, Calloni, Ferraro, Milano, Unicopli); Filosofia della natura.
Scienza e cosmologia, Piemme, Casale Monferrato); “La filosofia di Piero
Martinetti, Sandro Mancini, Amedeo Vigorelli e Marzio Zanantoni, Edizioni
Unicopli, Milano, . Traduzioni Jürgen Habermas, “Etica del discorso” -- Laterza,
Bari-Roma Note Agazzi Emilio, su SIUSA Sistema Informativo
Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. 21 febbraio . Fondo Agazzi Emilio, su SIUSA Sistema
Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Collezione Emilio Agazzi su Fondazione di studi storici "Filippo
Turati". 21 febbraio . E.
Capannelli ed E. Insabato , Guida agli Archivi delle personalità della cultura
in Toscana tra '800 e '900. L'area fiorentina, Firenze, Olschki, Scuola di
Milano Emilio Agazzi, su
siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le
Soprintendenze Archivistiche.Collezione Emilio Agazzi su Fondazione di studi
storici "Filippo Turati". Filosofia Filosofo Professore1921 1991 18
novembre 25 settembre Genova Pavia. Emilio Agazzi. Agazzi. Keywords: Apollo
febo, ovvero, l’impegno della ragione; etica del discorso. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice ed Agazzi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51795578729/in/dateposted-public/
Grice ed Agazzi –
dialettica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bergamo).
Grice: “[Evandro] Agazzi has all the best intentions, but perhaps he lacks a
Lit. Hum. background – he basically approaches my topic of “logica filosofica”
which he contrasts with ‘logica matematica,’ and he has a special tract on my
pont about ‘formalismo’,’ which I later called ‘modernism’ – “ragioni e limiti
del formalismo” – his essay on ‘mondo incerto’ reminds me of my ‘intention and
uncertainty’!” – Filosofo. Figlio di Agazzi, ordinario di pedagogia presso la
Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Cattolica di Milano e preside
della Facoltà di Magistero, fu allievo di Gustavo Bontadini e amico di Ludovico
Geymonat, con cui a lungo collaborò, durante gli studi di filosofia presso
l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e di fisica presso
l'Università Statale di Milano. In seguito si è perfezionato all'Oxford, a
quella di Marburg ed a quella di Münster; dal 1963 è libero docente in
Filosofia della scienza e dal 1966 in Logica matematica. Evandro Agazzi
ha inizialmente insegnato Geometria superiore, Logica matematica e Matematiche
complementari presso la facoltà di Scienze dell'Genova; ha insegnato altresì
Logica simbolica presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, Filosofia della
scienza e Logica matematica presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di
Milano. Dal 1970 è Professore di Filosofia della scienza presso l'Genova
e dal 1979 detiene la cattedra di Antropologia filosofica, Filosofia della
scienza e Filosofia della natura presso l'Friburgo in Svizzera. È stato
professore invitato nelle Berna, Ginevra, Düsseldorf, Pittsburgh ed anche
all'Stanford; è dottore honoris causa dell'Córdoba (Argentina). Ha
presieduto numerose associazioni filosofiche nazionali e internazionali:
Società Filosofica Italiana, Società Italiana di Logica e Filosofia delle
scienze, Società svizzera di Logica e Filosofia delle scienze, Federazione
internazionale delle Società filosofiche; è stato membro del Comitato Nazionale
per la Bioetica. Attualmente è presidente della Académie Internationale de
Philosophie des Sciences e dell'Institut International de Philosophie.
Pensiero I settori ai quali Evandro Agazzi ha rivolto prevalentemente i suoi
interessi sono stati: la filosofia generale della scienza, la filosofia di
alcune scienze particolari (matematica, fisica, scienze sociali, psicologia),
logica, teoria dei sistemi, etica della scienza, bioetica, storia della
scienza, filosofia del linguaggio, metafisica antropologia filosofica,
pedagogia. Attualmente le sue ricerche riguardano per un verso la
caratterizzazione dell'oggettività scientifica e la difesa di un realismo
scientifico basato su un approfondimento delle nozioni di riferimento e di
verità, con le relative implicazioni di tipo ontologico, per un altro
l'approfondimento del concetto di persona e delle varie conseguenze che ne
derivano, in particolare nel campo della bioetica. Filosofia della
scienza La riflessione di Agazzi assume come punto di partenza la necessità gnoseologica
di stabilire nella conoscenza scientifica «la più perfetta forma di conoscenza
oggi a disposizione dell'uomo». Su questa base, anche i metafisici devono
necessariamente passare per l'epistemologia, intesa come fondazione delle
«strutture metodologichedella scienza». L'epistemologia, come la intende
Agazzi, assume la scienza come un sapere oggettivamente rigoroso: tuttavia
l'oggettività in questione non è quella metafisica delle essenze o quella
fisica delle qualità, bensì un'oggettualità e intersoggettività. Sulla
base di questi due punti, come Agazzi specifica nel suo celebre libro
intitolato Temi e problemi di filosofia della fisica, l'oggetto di una
disciplina scientifica è la cosa, esaminata da un punto di vista tale per cui
il ricercatore si pone grazie a una precisissima impostazione metodologica,
tramite la quale ritaglia su una cosa un aspetto (oggettività), condiviso dai
ricercatori che accettano gli stessi criteri di oggettivazione
(intersoggettività). Il rigore scientifico cessa di essere inteso in senso
dialettico e confutatorio o in senso matematico e quantitativo: è piuttosto
inteso nel senso di dar ragione tramite l'immediato empirico o il mediato
logico. In questa prospettiva, la scienza assume la forma di un
linguaggio che parla di un universo di oggetti. La configurazione della scienza
è caratterizzata da quattro peculiarità: è realistica, giacché fa
costante riferimento alla realtà; è relativa, giacché costituisce il proprio
oggetto; è rigorosa, giacché ha una valenza che è sia logica sia linguistica; è
responsabile, giacché si pone il problema etico delle conseguenze che da essa
scaturiscono. Per Agazzi, la filosofia non deve però limitarsi a fare queste
riflessioni sulla scienza: deve anche operare un'incessante ricerca del fondamento,
sia attraverso la critica dello scientismo e dell'ideologismo, sia attraverso
la proposta di quello che Agazzi chiama, in I compiti della ragione, un «uso
costruttivo della ragione: quello che si avvale dell'argomentazione, quello che
cerca di comprendere e, al massimo, di persuadere». Opere: “Lógica Simbólica”;
“Temi e problemi di filosofia della fisica”; “Il bene, il male e la scienza”; “Introduzione
ai problemi dell’assiomatica”; “Le geometrie non euclidee e i fondamenti della
geometria”; “I sistemi fra scienza e filosofia”; “Studi sul problema del
significato”; “Scienzia e fede. Nuove prospettive su un vecchio problema”; “Storia
delle scienze La filosofia della scienza in Italia nel '900”; “Filosofia,
scienza e verità”; “Logica filosofica e logica matematica”; “Quale etica per la
Bioetica?” “Bioetica e persona”; “Cultura scientifica e interdisciplinarità Interpretazioni attuali dell’uomo: filosofia,
scienza, religione Il tempo nella scienza e nella filosofia; “Filosofia della
natura, Scienza e cosmologia”; Prefazione di F. Minazzi. “Novecento e
Novecenti”; “Paidéia, verità, educazione”; “Valore e limiti del senso comune”;
“Scienza”; “Le rivoluzioni scientifiche e il mondo moderno”; “Ragioni e limiti
del formalismo”. Note Cfr. l'articolo
”Don Carlì, una vita al Seminario. Un libro per l'uomo cuore di Città Alta“, in
L'eco di Bergamo, Giovedì 20 novembre 42.
Storia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Le fonti, Volume 1,
Alberto Cova, Vita e Pensiero, Milano, 2007557.
Scuola di Milano Epistemologia Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio
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Evandro Agazzi, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Evandro Agazzi, su BeWeb,
Conferenza Episcopale Italiana. Opere di
Evandro Agazzi, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Pagina personale di Evandro Agazzi sul sito
dell'Genova. Valori e limiti del senso comune, Evandro Agazzi, Milano, FrancoAngeli.
Evandro Agazzi. Agazzi. Keywords: dialettica, significato, segno, segnato,
segnante, seminarone a Genova ‘studi sul problema del significato’ – Grice,
Peirce, segno, segno e comunicazione, segno per comunicare, comunicazione che
lascia segno, tiro al segno – segno naturale --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Agazzi” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51794238487/in/dateposted-public/
Grice ed Agostino –
GIVSTIZIA – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Grice: “I like Agostino; he has philosophised
exactly about what I did: identita personale; libero albitrio; and some of the
topics that I philosophised with H. L. A. Hart, notably ‘parole di giustizia,’
and ‘bias’: ‘violenza e giustizia’ -- Filosofo.
Consegue la laurea in giurisprudenza nel 1968. Ha insegnato nelle Lecce,
Urbino e Catania. Ordinario è professore di Filosofia del diritto e di Teoria
generale del diritto presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata, in
cui ha diretto il Dipartimento di "Storia e Teoria del Diritto".
Insegna altresì alla LUMSA e alla Pontificia Università Lateranense ed è
professore visitatore in diverse università straniere. Tra i maestri che hanno influenzato il suo
pensiero figurano Sergio Cotta e Vittorio Mathieu. Particolare attenzione è
dedicata nella sua produzione scientifica alla teoria della giustizia, alle
tematiche della bioetica, e quindi alle problematiche della tutela del diritto
alla vita, alla teoria della famiglia.
Nel suo scritto La sanzione nell'esperienza giuridica, del 1989,
sostiene e riattualizza la teoria retributiva della pena. Già membro del Consiglio Scientifico
dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, attualmente è Presidente onorario del
Comitato nazionale per la bioetica, di cui è membro fondatore e di cui è stato
presidente negli anni 1995-1998 e 2001-2006. Ricopre inoltre la carica di
Presidente dell'Unione Giuristi Cattolici Italiani. È membro della Pontificia
Accademia per la Vita. È stato direttore
di Iustitia e Nuovi Studi Politici; attualmente è condirettore della Rivista
Internazionale di Filosofia del Diritto. Dirige per l'editore Giappichelli la
collana Recta Ratio. Testi e studi di Filosofia del diritto, nella quale sono
apparsi più di cento volumi. È inoltre editorialista del quotidiano Avvenire.
Grazie a queste cariche e alle sue pubblicazioni, oggi D'Agostino è considerato
uno degli intellettuali di riferimento del movimento teocon italiano. Ha coordinato la sessione "I cattolici,
la politica e le istituzioni" nell'ambito dei lavori del X Forum del
Progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana sui 150 anni dell'Unità
d'Italia. Polemiche sul tema
dell'omosessualità Ha suscitato polemiche la constatazione di D'Agostino per
cui le unioni omosessuali sono «costitutivamente sterili»: la constatazione fu
ripresa dal ministro Mara Carfagna nel 2007 che affermava che «non c'è nessuna
ragione per la quale lo Stato debba riconoscere le coppie omosessuali, visto
che costituzionalmente sono sterili» e che «per volersi bene il requisito
fondamentale è poter procreare». Opere: “La
sanzione nell'esperienza giuridica”; “Una filosofia della famiglia”; “Diritto e
Giustizia”; “Filosofia del diritto, Parole di Bioetica, Parole di Giustizia, Lezioni
di filosofia del diritto”; “Lezioni di teoria generale del diritto, Bioetica,
nozioni fondamentali, Il peso politico della Chiesa, Un Magistero per i
giuristi. Riflessioni sugli insegnamenti di Benedetto XVI, Bioetica e Biopolitica. Ventuno voci
fondamentali Corso breve di filosofia
del diritto, Jus quia justum. Lezioni di
filosofia del diritto e della religione
Famiglia, matrimonio, sessualità. Nuovi temi e nuovi problemi. Carfagna:
"Gay costituzionalmente sterili" da La Repubblica. Francesco
D’Agostino. Francesco D’Agostino. D’Agostino. Agostino. Keywords: giustizia, ius
quia iustum non ius quia iussum – iussum – iubeo, perh. ‘jus habere’ to regard
as right. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Agostino” – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51794746919/in/dateposted-public/
Grice ed Agresta –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Mammola). Grice: “I would hardly call
Agresta a philosopher, but then my working site was formerly a Cisterian
monastery and bore the name of San Giovanni il Battista, so who am I to judge?!
In any case, I always wondered why Loeb (in the Macmillan edition) cared to publish
the four volumes of letters of Basil (of Blackwell fame) – now I know – Agresta
dedicated his life to this saint – In a way I drew from him in my netasteousia,
i. e. transubstantatio – how a pirot-1 becomes a pirot-2 – a human becomes a
person. Pater used to say that at Oxford it’s all about Hellenism, no Ebraismo!
Yet Agresta, an Italian, of sorts -- he
was half-Greek! – is a good example, alla Basil, of how troublesome those with
a classical – i. e. Graeco-Roman – education found all those ‘heresies’ of the
Christian dogma! Three persons in one – and the rest of them. Hardie used to
tell me, ‘Lay the blame on the Christian doctrine, not on Aristotle’s theory of
the substdance!” -- Filosofo. Abate
Generale dei Basiliani d'Italia è ritenuto tra i più illustri dell'ordine
Basiliano. Nato a Mammola (RC) il 10 gennaio 1621, morì a Messina il 23
Dicembre 1695. Al battesimo fu chiamato Domenico, figlio di Giovanni Michele
Agresta e di Dianora Scarfò. Inizia i primi studi alla Grancia Basiliana di
Mammola, continua al seminario di Gerace, a 16 anni frequenta gli studi
superiori a Napoli, ma viene colto da febbre maligna e miracolosamente come
egli afferma recupera la guarigione ritornando a Mammola. Dopo due anni il 23
luglio 1639 veste l'abito di San Basilio Magno nel monastero del San Salvatore
di Messina. Abbandonando il nome Domenico prende quello di Paolo; l'anno
successivo viene consacrato sacerdote nella basilica di Sant'Apollinare di
Ravenna, ricevendo il nome di Apollinare e inizia la professione monastica. Don Apollinare Agresta dotto teologo,
filosofo, studioso, storico e scrittore. Nel 1669 fu insignito del titolo di
Maestro di sacra teologia. Negli anni successivi il 24 luglio 1675, viene
nominato Abate Generale dell'Ordine dei Basiliani d'Italia da Papa Clemente X,
con l'incarico di riorganizzare l'ordine dei Basiliani; nel 1680 veniva ancora
confermato, poi riconfermato da Papa Innocenzo XI, ed ancora un'altra volta nel
1692 da Papa Alessandro VIII. Conservò la carica fino alla morte. Ha rivestito incarichi prestigiosi.
Giovanissimo viene insignito di numerose cariche: è responsabile di diversi
monasteri della Provincia di Calabria e d'Italia, introduce nuovi metodi di
studio per gli studenti, procurandosi fama e onore dalle comunità locali e religiose.
Ricopre la carica di Abate al monastero di S. Onofrio, presso Monteleone oggi
Vibo Valentia, regge successivamente la Grangia di San Biagio del monastero
basiliano di San Nicodemo di Mammola (RC); ma anche fu inviato al monastero
italo-greco di San Giovanni Theresti di Stilo (RC), a reggere il monastero di
Mater Domini in Nocera de' Pagani nella Campania, e dopo viene nominato
Procuratore Generale della Badia di Grottaferrata, oggi Monastero di Santa
Maria di Grottaferrata, meglio conosciuto come Monastero di San Nilo. RomaChiesa di San Basilio (Stemma visibile
sugli archi della Chiesa) RomaChiesa di
San Basilio (Lapide a conferma della edificazione voluta da Don Apollinare
Agresta) L'Agresta ebbe sempre a cuore il decoro nel culto e delle costruzioni
ed arredamenti degli edifici religiosi. Fu edificata da lui nel 1682 la Chiesa
di San Basilio agli Orti Sallustiani a Roma, che si trova in Via San Basilio
vicino a Piazza Barberini, come conferma una lapide marmorea in latino dentro
la chiesa. Nella Grancia Basiliana di Mammola edificò una cappella in onore di
San Nicodemo Abate Basiliano e affidatala alla sorella Vittoria vi fece
collocare le reliquie del santo (in seguito al terremoto le reliquie sono
conservate nella cappella di San Nicodemo nella Chiesa Matrice di Mammola). Si
adoperò per la costruzione del Collegio di San Basilio a Roma. Nel monastero di
Rosarno restaurò la cappella della Madonna. Acquistò campi e case e restaurò
numerosi monasteri permettendo ai monaci di vivere una vita più comoda. Donò
indumenti liturgici in tutti i monasteri basiliani. I Monaci Basiliani del Monastero di
Grottaferrata (Roma) devotamente ricordano il loro Generale conservandone, con
cura gelosa, un guanto pontificale. Marco Petta eFrancesco Russo, studiosi e
storici del Monastero di Grottaferrata, sono state le ultime due personalità
religiose che hanno scritto in ricordo dell'Abate Generale Don Apollinare
Agresta, consultando all'interno del monastero la vasta biblioteca che conserva
scritti di grande valore e importanza.
Nel Museo Diocesano di Reggio Calabria, si può ammirare un reliquario a
braccio, che conserva le reliquie di San Giovanni Thereste, donate dall'Agresta
quando ricopriva la carica di Abate del Monastero italo-greco di Stilo. Un ritratto in giovane età del monaco è
pubblicata nel libro "Mammola" di Don Vincenzo Zavaglia. Autore di
numerose pubblicazioni, i libri di Don Apollinare Agresta, a distanza di
secoli, ancora oggi vengono consultati e citati da numerosi ricercatori e
studiosi, tra le sue opere più importanti ricordiamo: “Vita di San Basilio
Magno” (Roma) -- ancor oggi pregevole per le molte notizie che ci dà dei
monasteri basiliani delle Calabrie e d'Italia --; “Vita di S. Giovanni Theristi”
(Roma); “Vita di San Nicodemo A.B. (Roma Privilegi e concessioni fatti dal Gran
Conte Ruggero al sacro archimandritale Monastero di Giov. Theristi (Roma);
Constitutiones Monachorum Ordinis S. Basilii Magni Congregationis Italiae (Roma)
Compendio delle Regole o vero Costitutioni monastiche di S. Basilio raccolto
dal Bessarione (Roma). Sono rimaste inedite alcune biografie riguardanti San
Luca di Tauriano, il beato Stefano di Rossano, San Proclo di Bisignano, la
beata Teodora Vergine, San Onofrio di Belloforte e San Fantino di
Tauriana. D. Vincenzo Zavaglia, Mammola,
Frama Sud, Chiaravalle C. Marco Petta, Apollinare Agresta Abate Generale
Basiliano, Tipogr. Italo-Orientale S. Nilo Grottaferrata 1981. Apollinare
Agresta, in Enciclopedia Treccani, 1929 Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Monastero di Santa Maria di
Grottaferrata o Monastero di San Nilo, su abbaziagreca. Santuario di San
Nicodemo, su sannicodemodimammola. Foto di Don Apollinare Agresta alla giovane
età di 24 anni, su flickr.com. Apollinaire
Agresta. Agresta. Keywords: stato laico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed
Agresta” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690466087/in/photolist-2mT4DT6-2mKH9Gx/
Grice ed Ajello – filosofia italiana –
Luigi Speranza
(Napoli). Grice: “I love Ajello; bevause he was a Plathegelian, while I’m an
Ariskantian; I always found Plathegel very HARD to understand, Ajello doesn’t;
there’s something in an Italian that makes Hegel’s Dutchiness very
comprehensible, even more so than to the Dutch themselves!” Filosofo --
discepolo di Puoti, aprì uno studio privato come maestro ma ebbe vita stentata
fino a quando ottenne un posto al ministero dell'Istruzione. Partecipa ai moti e per questo fu licenziato
in tronco. E arrestato e gli e vietato
l'insegnamento pubblico e «di far uso anche moderatissimo della stampa» , per
cui dove tornare all'insegnamento privato della filosofia e della
letteratura. Seguace convinto della
filosofia hegeliana, che contribuì a diffondere in Italia, basa la sua
filosofia soprattutto sull'Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio.
Opere: “Della muliebrità della volgar letteratura dei tempi di mezzo”; “Napoli
e i luoghi celebri delle sue vicinanze”; “Discorsi di storia e letteratura” -- Enciclopedia
Italiana Treccani alla voce corrispondente
Opere di Giambattista Ajello, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. CONSIDERAZIONI SULLA
MULIEBRITA DELLA VOLGAR LETTERATURA DEI TEMPI DI MEZZO DI GIAMBATTISTA AJELLO.
Di questa operetta del signor Ajello, della quale han già tenuto parola vari
giornali del regno, sorge in ul timo luogo a dar contezza ilProgresso. Nè ciò
senza ra gione, perocchè , essendo l'Ajello uno de'collaboratori de' quali il
nostro giornale si pregia, il nostro qualsiasi.giu dizio sarebbe forse paruto
sospetto , e noi , diffidandone a ragione , abbiamo aspettato che ci avesse
preceduto quello di altri non ligati a lui collo stesso. vincolo di amicizia.
Per la qual cosa avendomi io in particolare , senza dissi- ' mulare a me stesso
la malagevolezza di giudicar l'opera di uno amico, tolto l'incarico di qui
ragionarne mi converrà avvertire che riassumerò le idee dell'Ajello non dal
solo libretto di cui è qui sopra rapportato il titolo , m a da un suo lungo
articolo ancora inserito nella Rivista Napolitana, nel quale , rispondendo
l’Ajello alle o b biezioni del culto giovine Stanislao Gatti (2), ha meglio 69
(1) Anno.3.° fasc.IV. Museo di letteratura e filosofia , vol.I.° pag . 60.
opera periodica compilata per cura di Stanislao Gatti, alla quale
auguriamotuttoquel successo đi che l'ingegno del Direttore ci è larga
guarentigia. CONSIDERAZIONI SULLA MULIEBRITA' sviluppato le sue idee e
dileguato quei dubbi che per a v ventura avrebbono potuto far nascere. Dall'uno
e l'altro lavoro cercherò cogliere il pensiero dell'autore qual si c o n viene
a chiunque prenda a disaminare un'opera nell'in teresse solo del progresso del
pensiero, non già per m i serabili e grette vedute individuali , per le quali
cercasi trovare una contraddizione in ogni pagina e far la guerra non ai
principi, m a agl'individui, privilegio di separazione alla repubblica
letteraria solo concesso. Ecco dunque la serie delle ragioni principali dall'A
jello discorse e rapportate , quanto più per m e si potrà, colle sue stesse
parole. Ogni qualvolta si porti la nostra attenzione sui versi ed opere di arte
che ci ha tramandato l'antichità ed a quelle che nel medio evo ebber vita, non
sipuò non re star colpito dalla capital differenza che le separa. Nelle prime
nate in mezzo alle culte e pulite società di Grecia e di Roma , vediamo farsi
della donna quel conto che d'ogni cosa si farebbe da cui ci provvenisser
soltanto vo luttuose dolcezze 'e vivaci e corporali diletti: laddove nelle
séconde, comunque nate in mezzo a feroci e brutali pas sioni e lotte continue
di elementi tra loro pugnanti e d i scordi , son le donne reputate quasi di
superiore e più n o bil natura e fattevi obbietto d'uno entusiastico culto e
d'un devoto e mistico amore. Vediamo la passione espressa nei versi degli
antichi esser meglio ardenza di voglie ed e b brezza di sensual godimento che
puro e indefinito desio ed abbandonevole affetto ed obblio di se stesso e del
mondo nell'amata persona , come ne'poeti del medio evo si o s serva. E però
campeggiar ne'primi la gelosia ,la quale in sostanza (come bellamente si
esprime l’Ajello) è amor proprio , è poca o niuna stima dell'oggetto amato ,
spa rire interamente dalle opere dei secondi, cantori di una passione più
dell'antica disinteressata e gentile. Questo puro e spirituale amore , questa
stima ecces siva , questo universale e presso che religioso culto fatto nel
medio evo alle donne , è ciò che si chiama dall’Ajello muliebrità della moderna
letteratura con vocabolo di cui non starò affatto a disaminar la convenienza,
bastandomi aver significato ilpensiero che ad esso congiunge l'autore. É di
questo singolare e non mai più veduto fatto, il quale, se costituisce
ladifferenza del Tibullo dal Petrarca in quanto ai lor pensieri ed affetti amorosi
, forma un nuovo ed i m portante elemento della nostra letteratura , che rende
r a gione il suo libro ,cercando principalmente dare al fatto un fondamento ,
come l'autor dice, nella natura umana, avvalorando in tal modo e
psicologicamente spiegando quei fatti , c h e , storicamente affermati , son
mutabili e troppo speciali ed angusti perchè la Scienza della Storia debba
farne un gran caso. La qual trattazione spero non sem brerà inutile ad alcuno o
di mero passatempo, imperoc chè se la letteratura forma parte integrante della
vita di un popolo e quindi della sua storia, nè si può senza colpa per trattar
l'una trascurar l'altra, 'e se la patria nostra si è fatta felicemente studiosa
delle sue memorie del medio evo le quali, se non sono le più liete,sono certo
lepiù gloriose, il saggio dell'Ajelo non giunge certamente inopportuno , ed
egli riscuoterà senza dubbio il plauso di tutti coloro che rettamente sentono e
pensano.Ilche assaibe ne , nè poteva altrimenti accadere, intese lo stesso
Ajello il quale , mostrando nella sua introduzione esser quella tal muliebrità
principal differenza della moderna letteratura dal l'antica, massime
considerandola ne'suoi lontani effetti sulla vita ed il pensar delle nazioni,
ed i nuovi e signoreggianti elementi delle moderne lettere star nell'amore e la
morte ; assai logicamente concludeva doversi il lavorare intorno ad uno di
questi elementi reputare opera per la moderna critica importantissima. N o n
voglio con ciò dire essere egli stato il primo ad investigar le cagioni di
questa che con lui chiamerà volontieri muliebrità della moderna lettera tura ,
chè già , comunque per lo più senza prove e quasi dommaticamente assunte ,
varie opinioni eran corse sul l'oggetto e di reputati scrittori tutte e dallo
stesso Ajello a quattro ridotte nel seguente modo. Che il Cristianesimo in
'ispezialtà sia stato cagione del devoto e più puro amor per le donne. Parole del Conte Cesare Balbo nella sua lodatissima
vita di Dante. Ch'ei sidebba alle invasioni degl’arabi, massime alla vicinanza
dei mori di Spagna. Che soprattutto ei sia necessario e natu ralissimo
effetto delle sociali e locali condizioni in cui f u ron posti gl'invasori ,
poichè presero più ferma stanza sul territorio romano, e che ilfeudale
ordinamento ebbe aqui stato alquanto di consistenza e di stabilità. Che sieci
stato recato dalle genti germaniche con tutti gli altri lor costumi statici
narrati e descritti da C e sare, Tacito ed Ammiano Marcellino. Or, movendo
dalla prima opinione sostenuta precipua mente da scrittori Tedeschi per una
certa loro inehinevo lezza all'astratto e più per reazione alla miscredenza del
secolo passato , ecco le ragioni che ad essa oppone l'a u tore. Essere il fatto
di cui è parola apparso al secolo undecimo e però aver dovuto la cagione aver
prima ope rato. Or in quella sorta di tempi potea forse la Chiesa aver qualche
possanza , m a ogni buono effetto il qual d e rivasse proprio dall'indole della
religion cristiana , dovea esser contrastato e depresso fra la grossa ignoranza
e lo scompiglio e il grido di bestiali e matte passioni. Con che non s'intende
dire il Cristianesimo non avere avuto potere a quei giorni , m a che la sua
spirituale e gentil n a tura non potea avere in tanta barbarie e in si profonda
ignoranza pieno e libero effetto, ma scarso e poverissimo. In fatti la vera e
nobil sua natura troviamo sconosciuta , e praticato solo ciò che avea di più
esteriore e formale , e di Concilie di Papi contro i tornei, il duello e di giudizi
di Dio gridar vanamente. Aver senza dubbio il Cristianesimoconferito
potentemente a migliorar la condi zionefemminile,ma
nonperciòpotersidireche,eman cipando la donna, producesse poi quel puro amore e
reli gioso culto che nel medio evo si ottenne , essendo questi due fatti non
pur diversi , ma sino ad un certo segno in dipendenti e slegati , di sorta che
sonosi appresso scompagnati sempre e fuggiti. Esser l'amore cantato ne' tempi
di mezzo gentile e purissimo, m a si profano e quasi idolatra. Or se si
rifletterà che il Cristianesimo immoto e fisamente stretto cogli occhi al Cielo
e all'altra vita , come al solo vero scopo dell'uomo , tenga la terra un esilio
e transitoria stanza di sperimento , ed abbia sempre temuto che avesse pregio e
bellezza ; si vedrà che cosa dovesse pensar delle donne , di queste
possenti allettatrici de'cuori umani , delle quali non ci ha cosa che più
grande e general potere abbia sull'uomo , che meglio e con più forza il
discosti e distolga dai celesti e santipensieri. Ecco perchè il Cristianesimo ,
qual si mostrò nel decimo ed u n decimo secolo, promosse il celibato , popolò
di anacoreti i deserti della Tebaide e , riferendo ogni nostra mise ria al
malaugurato potere ed alle lusinghe della donna ( di che tristi e multiplici
esempi glie ne fornivano le s a cre carte-) vide in costeimen la compagna che
la se duttrice é quasi la principal nemica di lui, ed , anzi che confortarci ad
amarla , non ha fatto , nè fa tuttavia , che distorci dal porvi affetto grande
e terreno , come dal più tenace e periglioso laccio del nostro animo. Nel Romano
impero di Levante , ove più liberamente ed ef ficacemente la Religione
Cristiana operò , quel che era suo effetto averlo avuto , migliorar cioè la
condizion delle donne , come si può veder nelle leggi pubblicate da Giu
stiniano ; m a nessuna ombra trovarsi nelle opere di quel tempo della
muliebrità occidentale , niente d' amore che almen puro fosse e gentile.La
quale ultima cosa non es sendo giunto a produrvi dopo ben dieci secoli di non
contrastato impero ,tanto meno si potrebbe tener come cagione della muliebrità
della letteratura d'Occidente quando anche si volesse concedere che qui campo m
a g giore egli si avesse.ottenuto. Il che tanto più sembrerà vero in quanto si
osserverà quel grande ed universale amore , che nei cristiani poeti de'mezzi tempi
vediamo, trovarsi a un di presso in quei paesi ed in mezzo a quei popoli che
usaron di avere più mogli e chiuse le ten nero e schiave ; e più nel mezzodi
della Francia che in Italia, ove il Cristianesimo dominò maggiormente ; ed es
serne rimase le tracce più nella classe cavalleresca e g e n tile che nella
media e popolana , sulla quale sempre di L'influenza degli Arabi sulla
muliebrità dell'occiden tal letteratura vien rigettata dall'Ajello
sull'appoggio delle seguenti ragioni 1.o Perchè non ci si poteva da essi r e
care ciò che non avevano , essendo la loro letteratura , come tutta quella
delle genti orientali', obbiettiva e sensia gior potere il Cristianesimo
fa prova. magbile, e priva interamente ed ignara di quel profondo ed in
definibil desio , di quel levarsi dell'animo oltre ai confini del finito e del
presente in una sfera più pura e beata che pur cosi spesso accade trovar nella
nostra. La qual dif ferenza dell'araba dalla nostra letteratura trova una giu
stificazione a priori nel clima , stantechè , secondo l'Ajello , un clima
nordico o temperato farà le donne più caste e restie , quindi più stimate e
libere, e l'amore più disip teressato e gentile che sensuale ed ardente , ed
esprimente anzi il grido e il lamento d'un principal bisogno del cuore che un
corporale appetito ; dovechè sotto meridionale e caldissimo cielo , gli uomini
poligami ed , invece di dolci e sole compagne , chiuse le donne e soggette,
l'amore non rivestirà la stessa fisonomia . Essere il fatto di cui è parola
della natura di quelli che non si possono comunicare da un popolo all'altro ,
nè procedere da altro che da intrin seca e spontanea cagione. E ciò per non
essere l'amore cantato nel medio evo artifizioso o bugiardo , m a sì bene
profondamente sentito e spontaneo , e gli usi galanti e c a vallereschi
ingenerati e tenuti da universali bisogni e da affetti veraci e potenti tanto
che vediamo il culto per le donne penetrato sino nelle leggi barbare , le quali
provveg gono sempre a certi e già provati bisogni e non a quelli eziandio che
si possono temere . Oltrechè le usanze d'un p o polo possono derivare
da'suoibisogni ed affetti, non questi da quelle, massime in popoli giovani e
rozzi e però di altera e disdegnosa natura , ne'quali le usanze non sono mai
recate e tenute da capriccioso impero di moda o da servile imitazion degli
stranieri, come in più colti e vanitosi tempi interviene, ma
siderivanodaalcunbisognooopinionicheessiabbiano. 3.° Perchè la storia mostra
esser la gaia scienza passata in Ispagna,sededegliArabi-mori,dallaProvenza,checo
storo (dappoichè non se ne trova traccia in Oriente, ne le sociali condizioni
il concedevano ) ricevettero dai C r i stiani le costumanze cavalleresche , e
queste , invece di a p parir prima in Ispagna,poi nella Francia, in Alemagna e
finalmente nella remota e divisa Inghilterra , vedonsi apparir prima in
Provenza e in Alemagna e in Inghilterra ed assai più tardi nella Spagna che,per
la vicinanza dei Mori, avrebbe dovuto prima averle. Perchè infine, se i costume
dei Mori non furono indarno pei lor vicini, 'non è da credere che grandi
eprofondi ne fossero stati gli ef fetti a cagione delle sterminatrici guerre
religiose, e della differenza di culto e di lingua. Al che si aggiunga esser
tale la diversità del genio orientale da quel d'Occidente che quel che di arabo
si trovi nelle spagnuole scritture e dicristiano nelle arabe si possa
agevolmente scorgere. Escluse in questo modo le due prime opinioniche al
Cristianesimo ed agli Arabi riferiscono la muliebrità della occidental
letteratura , viene l'autore a fermar la sua opi nione , la quale si compone in
parte dalla unione delle ultime due", di quella , cioè che ai Germani
attribuisce il nuovo culto che ebber le donne , citando Tacito e gli altri
romani storici che di loro scrissero ; e dell'altra che , negandolo , il fa
singolarmente nascere dalla vita feudale ; opinioni che , cosi sole e divise
come sono, paiono al l'autore assai ristrettive ed anguste , e per giunta
inelte a spiegar tutto il fatto. Il che , volendosi fare, soggiunge con assai
d'accorgimento , è mestieri cercarne la cagione pro prio in grembo e
nell'indole dell'età che lo accolse e m o strò ; e però bisogna con ogni studio
possibile e partita mente'esaminar quello che costituisce il medio evo , in
somma quei generalissimi fatti che mutaron la faccia di Europa,e rovesciando
ilRomano Imperio,nascerfecero é detter forma e colore alle nuove società
d'Occidente . >> Or principali elementi della nuova civiltà essere il
roma no'; il cristiano e il germanico , nè trovandosi il nuovo amor del medioevo
nel primo elemento , nè derivar po tendo dal secondo , resta che in ispecie
almeno e sopra tutto dall'ultimo derivi. La venuta infatti d'un giovine é
poetico fatto non potersi altramente spiegare che per mezzo di coloro che
ristorarono la nostra vecchiezza con la robustezza e gioventù loro , e ci
affrettarono per la via di progresso e di moral perfezione. E poichè i Germani
stanziatisi nelle terre romane eran venuti sotto il doppio ed efficace potere
della civiltà antica e della religioncrie stiana , doversi perciò esaminar
questo fatto e questo scon tro , considerando i Germani 1.o come genti uscite
di tra 1 montana : come uomini barbari , pur non selvaggi :
come bellicosissimi : come stanziatisi isolati e di visi per le campagne , indi
costituitisi in feudale ordina mento : 5.0 come popoli giovani e vigorosi
accostati al potere di una civiltà antica e grande e d’una religione mansueta e
gentile. Questo quintuplice modo di copșide rare i Germani , bello senza dubbio
e fecondo d'impor tanti applicazioni , produce la suddivisione di questa se
conda parte del libro dell'Ajello in cinque capitoletti che riassunti
contengono: 1.° Ilfreddo e duro clima , sepa rando e concentrando le famiglie ,
e impedendo la poli gamia , dar naturalmente preminenza e crescer stima alle
donne ; e facendole più schive e pudiche , e di maggior verginal compostezza e
matronal decoro dotate , render p e r ciò l'amore assai più puro e devoto, anzi
quasi estatico e contemplativo. Con che l'autore non intende dire essere di
questa natura stato l'amore delle rozze e selvatiche genti venute sul
territorio romano , ma solo che in esse, come abitanti di settentrionali
contrade,esser ne dovea la natural disposizione e quasi il germe, il quale ,
ingenti litisi gli animi , n o n potea rimanersi luogamente ascoso, ed infecondo.
Essere i Germani venuti in Occidente genti barbare si m a non già selvagge e ,
per lo contatto col Cristianesimo e la romana civiltà, nel secolo undeci mo
pervenute a quel giovine stato di coltura che è il primo uscir della barbarie e
che eroico o poetico si chia merebbe , in cui l'amore ha più generale e grande
effi cacia , a differenza dei tempi selvaggi ove la sola parte brutale e
sensibile predomina , e degl'inciviliti ne'quali la civiltà , aguzzando la
facoltà riflessiva e scolorando l'im maginazione , toglie ogni prestigio e
possanza all'amore. Essere genti bellicosissime , presso le quali sogliono
tenersi in molto pregio le donne ; la qual cosa pruova l'autore con l'esaminare
in che mai psicologicamente con sista l'amore, e mostrando ch'è ilcompimento
dell'umana natura ; che perciò congiunge proprietà opposte , m a leo gandole
armonicamente ; che tutte le qualità virili pos sonsi ridurrre alla fortezza ,
le femminili alla debolezza ; e che in conseguenza chi daddovero è uomo ed ha
in se uso e coscienza di moral fortezza , più inclinar deve ad amare , e a
stringersi allato il timido e debil sesso ; tap topiù che i forti son più
magnanimi e di più aperto e gen tilcuore,eperòpiùproclivi all'amore. Che,
natalaca valleria, questa alla sua volta avere assai conferito a cre scere
stima edonore alle donne, le quali la storia stessa, in conferma di queste
teoriche ,mostra stimate più in Isparta che nelle altre parti di Grecia , ed in
Italia più tra gl'indo mabili Sanniti ed i bellicosi Romani che altrove. 4.° A
g giugnersi a ciò la feudalità la quale , per lasciar spesso alle donne e fino
in seno alla domestica vita un alto e quasi so vrano posto, dovette grandemente
aiutare il loro svolgimento morale , e perciò di molto conferire a farle
generalmente v e nire in considerazione ed opore , non già come causa unica ,
non essendo nè cosi generale nè efficace di tanto che possa pressochè sola
bastare a rendere ragione del fatto. Nel quinto capitolo finalmente , annodando
tutte le sparse fila del suo lavoro , ecco,coine l'autore formola la sua
opinione , la quale , per essere stata assai ben rias sunta da lui stesso
nell'indicata risposta al Gatti, mi per metterò qui trascriverla. » lo stimo ,
egli dice , che nel giovanile elemento della società di quel t e m p o , così
per la natural disposizione che ne recarono i vincitori per effetto dello stato
eroico a cui dopo la conquista per vennero, dell'indole forte e guerresca che
maggiormente si svolse tra noi , e della vita feudale nata dalla conquista,
fosse il fomite , il germe, e un'inchinevolezza grande ad amare e a stimar
molto le femmine. D'altra parte , nel Cristianesimo e nella civiltà romana era
1.o un pensiero é un principio opposto ; 2.° molta gentilezza e moral col tura.
Il pensiero e il principio opposto non avea potere di contraddire a quella
gagliarda e natural disposizione di giovane società : conciossiache , quanto
all'elemento r o m a no , per esser vecchio e stanco , eoltracciò in alcun modo
corretto e purificato dalla religion cristiana , se non era in esso l'amor puro
e devoto,neppure era l'amor bru tale e la disistima delle età antiche e pagane
; e quanto al Cristianesimo , sanno i miei leggitori quanto poco in quella
sorta di tempi valgan gl'insegnamenti , e le caute e fredde ragioni in mezzo al
grido e alla forza di caldi e giovani affetti , sempre più avvalorati da tante
cagio che ni,e poidallapresaepiaciutausanza.Rimaneanell'ele mento romano
e nel cristiano la gentilezza e la moral col tura ; e perocchè queste non
contraddicevapo, alla detta natural propensione , anzi , ingentilendo gli animi
e i m o di , aiutavanla e snodavano , furono subito accolte da quelle genti
rozze ; chè è nota la spontanea proclività nostra al vero ed al bello, massime
quando paion nuovi ed ignoti. In s o m m a , a dirla breve , ciò che nel
Cristianesimo e nella civiltà romana era contrario all'amore eccessivo e devo
to , fu da giovine e gagliarda forza vinto e depresso ;e ciò che non lo
impediva e vietava , m a aiutava e svol geva , fu spontaneamente accolto é
voluto. Questa parte io fo all'elemento romano e al cristiano; nė mi spiace
rebbe di farla anche agli Arabi in alcuna mapiera , pur chè in sostanza mi sia
conceduto ch'eglino , ingentilendo inostri,aiutarono ilfatto,nongiàcomunicandoneilger
me , o dandolo già bello e formato ,che è la sola cosa da me contraddetta.» E
più sopra lo stesso Ajello dice « Feci vedere che il fatto che io m'ingegdava
di spiegare ,mostrava chiaro uno scontro di nuovo e di antico ,di gioventù e
dim a turità e quasi una doppia e biforme natura : e che però dovea esser nato
da opposti e contrari elementi , o dallo scontro e fusione che io dissi del
mondo romano e cri stiano col barbáro'o germanico . Difatto , quanto alla parte
giovanile , primitiva e poetica , in Achille è quello a p punto che è nel
Tancredi del Tasso ; v'è tutto il verde è la rude e virginal gagliardia di un
giovine mondo. Se da Tancredi è diverso , mancagli il :sentir delicato e
gentile , e quella fina cortesia , e quella sociale e m o ral raffinatezza';
mancagli insomma l'elemento romano e'l cristiano che soli di tutto questo
potevano esser cagione. Ed io nel saggio il conferma i colla storia, mostrand o
: 1.o che se ci ha luogo in Occidente , dove con quasi pari forza si
scontrarono l'elemento romano e il germanico , questo luogo è il mezzodi della
Francia , vero anello e temperamento fra la preminenza romana d'Italia e il si
gooreggiante spirito franco del settentrione ; e che quivi udironsi i primi
canti d'amore , quivi la cavalleria prima apparve : 2.o che a tutti gli altri
grandi ed universali i Germani , o certo tanto inferiore a quello delle
nostre genti che ne soffrirono l'invasione fatti di quella età è comune
il doppio e biforme aspetto del nostro , e quanto alle lettere tolsi ad esempio
le cro nache e il poema di Dante , provando in tal modo che questa è la propria
rappresentativa sembianza del medioevo, e che però è necessario che ogni grave
e universale fatto dei mezzi tempi abbia la stessa impronta e natura . Ecco ,
se non andiamo errati , la esposizione fedele delle cose dall' Ajello discorse
con uno stile , del quale non potrò certamente essere io quello che porterà
giudi zio ; m a che alla universalità dei leggitori ha lasciato d e siderare
concisione maggiore, e minori proposte e promesse, massime in un libro ,
comunque di molta sostanza , picciola fare che si vcol dal dei nostri , nacque
e vive sotto lo stesso Sole naturalmente all' astratto , costretti , in non
dovrà tenermi , che o pullo esso mole pur sempre. Volendo poi dir qualche cosa
della questione brevi osservazioni sul merito alcune l'Ajello esercitato sulla
nostra letteratura da quei lurchi barbari, i quali mi pesano sull'anima peggio
, nè mi par vero ai verso la terra ladizione da loro tanto beneficio. E
primamente che , per amor belli ridenti Tedeschi natale , si piacciono gli
antichi costumi di che i poeti fan sempre descrivercene l'aurea semplicità di
tutta itempi antenati sia venuta pretensione la riforma rimotissimi, condonando
che dai loro rozzi e feroci ad essi la strana costumi; non posso comportarmi
nellostessomodo con chi , la Dio mercè di Virgilio e diDante.Inclinati , mi
permetterò contro il potere anzitratto d'una m a che siavi chi possa
riconoscere , perdonando non mai riprovevole i primi che irradiò la cuna difetto
di campo , a vagare tra le nuvole , non è maraviglia migliore si sforzino
dipingerci vaghi colori.Chiunque esser preoccupato che di quella egualmente
riguarda il presente lavoro alla donna , non temerò di affermare , il rispetto
, cioè zialmente mostravasi presso i Germani , il loro tempo non si trova nella
stessa posizione che antico adorno di tanti. E, per non parte sola de'costumi
trat che più spe di da non potersi affatto indicare quale aiuto o
incitamento avesse potuto riceverne. Già ormai tutti convengono a non prestar
moltissima fede all'opuscoletto sui costumi dei Germani, che Tacito si piacque
comporre mosso da profonda indegnazione per i pervertiti costumi de'suoi
concittadini. Le memorie dell'antica Roma sono sempre presenti al pensiero di
questo venerando scrittore , che , trasportandole là dove crede trovare ancora
energia,comunque selvaggia, di vita e mancanza di mollezza e di servitù ,
sperava puter far vergognare i suoi compatriotti della perdita di quelle virtù
cheu n tempo formarono la loro gloria e potenza , ed eran passate ad abbellire
la vita di u n popolo ta nto ad essi per intellettual coltura inferiore. O che
iom'iną ganno , o certo quanto di buono attribuisce Tacito, ai Germani
s'appartiene ai primi tempi della romana virtù. Dimostrarlo importerebbe
oltrepassare ilimitidel presente articolo , nè per fermo varrebbe molto alla
soluzione della questionecheho peroratralemani.Pure,ammessoche i Germani
pensassero essere nelle donne qualche divinità re e provvedenza e che tenessero
conto de loro consigli e sponsi , non saprei facilmente comprendere come possa
ciò aver contribuito, per quanto sivoglia menoma parte, a quello spiritualismo
d'amore che nel medio evo ebbe vita. Quella stessa opinione che Tacito
attribuisce aiGer mani la storia ha segnalato ne'selvaggi dell'America e n e
gli antichi Galli e nei Romani stessi, presso i quali le Sibille e le maghe e
le facitrici di sortilegi, femine tulle e credute inspirate , dimostrano la
generalità della stessa credenza figlia, come par sia chiaro,del Paganesimo.Ne
questa credenza stette meno in compagnia d'uno amor tutto materiale , anzi
presso di alcuni popoli colla disistima delle donne , come massimamente presso
i Germani ,.i quali , staudo allo stesso testimonio di Tacito , in nes suna considerazione
civile le aveano. Ma di questo così lontano ed Oscuro tempo sarebbe inutile
cosa occupar ci, potendo gli stessi Germani essere considerati più da vicino ,
quando , cioè , si son fatli vedere in mezzo di noi , fuori delle loro selve
natie : tanto più che lo stesso Ajello conviene esser quell'asserzione priva
d'ogni psico logico e scientifico fondamento, nè bastare fermarsi a' soli
Germani , ma esser necessario venirli seguitando noi conquistati paesi , e
vedere e notare come vi simutino e sfigurino per il poter della romana civiltà
ed anche della religione che vi trovano già stabilita e potente. Nella qual
trattazione progredendo ,l’Ajello ba poi,come bo disopra fatto vedere ,
lasciato una parte molto importante ai Germani sul mutato aspetto d'amore,
poggiandosi a ragioni le quali non mi sembrano tali da non poter meritare ós
servazione alcuna in contrario.Esse infatti si presentano a prima vista
sfornite di qualsiasi appoggio storico , e ri vestono un carattere a priori ,
di che l'autore stesso pare si compiaccia e faccia pompa a disegno. Il suolo
romano , egli dice , era occupato da genti venute di tramontana, barbare non
selvagge, bellicosissime e giovini accostate al potere d'una civiltà antica e
grande, e d'una religione mansueta e gentile , stanziatesi iso late e divise
per le campagne e poi costituitesi in feudale ordinamento. Or se in mezzo ad
esse poste in tali con dizioni muta sembianza l'amore e di passionato e caldo
si fa più puro e quasi contemplativo , fa d'uopo ad esse genti in quel m o d o
considerate recarne la cagione. Conciossiacchè gli uomini del settentrione, ove
le donne sono naturalmente più che altrove libere e stimate, amano d'uno amore
più modesto e divoto, benchè non irrequieto e torbido ,,e giunti sul territorio
nostro si trovarono non solo in uno stato di eroismo in cui l'amore ha più
generale e grande efficacia , m a forti abbastanza di tutta quella fortezza che
è madre di generosità e magnanimità, produttrici esse sole di vero e nobile
amore. Queste ragioni, comunque con tanto ingegno e forza di ragionamento
dall'autore discorse , non m i sembrano gran fatto ammessibili. Ed in vero
parmi che dopo aver con inolta giustezza l'autore osservato non doversi pene
trare nelle selve dei Germani per ispiegare i costumi che essi mostrarono in
tempi a noi più vicini , siasi poi di questa verità dimenticato nel corso del
suo ragionamen to. Or se la nuova letteratura cominciò dopo più secoli da che i
barbari si erano stanziati sul nostro territorio dopo che l'invasione era da
lunga pezza compiuta , ed il medio evo si andava già luminosamente svolgeodo ,
non so che abbiano a fare con noi gli usi, anche dati per veri, della
Scandinavia o della Pannonia , le abitudini di po poli nomadi e feroci con
quelle di società costituite e ci vili. Già molto tempo prima che venissero a
stabilirsi tra di noi , i barbari aveano subito tutto il potere della nostra
civiltà , e quando poi lo stabilimento fu fermato e cessò l'opera delle arsioni
e delle rapine , essa li dominò c o m piutamente e di quel che era proprio
dell'antica vita nulla potevano più ritenere , nè ritennero. Che si dirà dopo
più secoli passati in tale nuovo e tutto opposto ordinamento e condizione di
vivere , il quale delle loro selve restar non dovea nemmeno la reminiscenza ?
So che l'Ajello vorrebbe solo gli si concedesse essere ne'Barbari la natural
dispo sizione e quasi il germe il quale , collo ingentilirsi degli animi ,
produsse poi il suo frutto. Ma per i primi venuti quella disposizione , anche
concedendosi , dovea restare bene annullata e sparire nel caldo dei
combattimenti e delle stragi e d'una conquista assai fresca. I loro figli
doveano nascere ,e naquero infatti , romani , nè quindi poteva passare in loro
una disposizione tutta propria dello stato selvaggio di cui non aveano
cognizione , massimamente che quel rispetto della donna non era in essi la
conse guenza del sagro principio dell'uguaglianza dei dritti trai due sessi , e
che , non avendo una tradizione a custodi re , poco dovea restare o nulla si
conservò tra di loro delle antiche memorie. Nella quale opinione sempre
più mi vado confermando quando contemplo più da vicino icostumi di colesta
gente . Chi non conosce la poca pudicizia di Basina madre di Clodoveo , di
Fredegonda moglie di Chilperico, e di B r u nebaut regina di Austrasia ? «
Basterebbero , dice il chia rissimo e dotto Cesare Balbo, i fatti di Rosmunda e
di Romilda amostrare lanativaferociade'Longobardi,come quelli di Gundeberga e
di Teodora ad accennare tal b a r barie alquanto ingentilita e dalla principiante
cavalleria e forse anche dal loro conversare cogľ Italiani . non sa che nel più
antico poema dell'Allemagna , quello dei Niebelungen,» l'amore vi prenda poca
parte nelle azio. Vita di Dante. Chị ni , i guerrieri s'interessino a
passioni diverse dalla g a lanteria , le femine poco compariscono , non sono
l'og getto di culto veruno e gli uomini dalla unione con loro non sono nè inciviliti,
nè resi più mansueti, che gli antichi Germani vi compariscono
furbisfrontatamente, mancatori di fede e bugiardi? Chi sa in s o m m a quanto
erano pessimi i costumi di queste genti ,o che si consi derino sul loro suolo ,
o nel primo contatto con noi , potrà dire se mai poteva essere in loro
disposizione alcuna al culto della donna , ed ad uno spirituale e puro amore.
Al qual proposito mi si permetta appoggiarmi all'autorità, di uno storico
riputato di nazione Tedesca , e pero poco sospetto , il quale , cominciando dal
riconoscere che la sola trasmigrazione operi un rivolgimento in tutta la
maniera di essere , rompe quasi tutti i legami della vita domestica, nè a
riparare questi mali offre il m e n o m o rimedio , onde l'anarchia ed il mal
costume si dilatino per ogni dove e da per tutto recano il disordine e la
devastazione ; finisce col mostrare lo sfrenato e terribile disordine in che ,
quan do posero stanza in Italia , si trovarono i Longobardi , miscuglio di
generazioni racimolate da tutte le parti del mondo, popolo di rotti costumi e
stato però di pernicioso impero sui suoi disgraziati vicini. E questo che il Leo
dice dei Longobardi dicasi pure dei Franchi , la discesa de'quali in Italia fu
per questo bel paese, come sempre, la più terribile sventura che la provvidenza
nell'abisso del suo consiglio gli abbia giammai preparato. Dopo le quali
osservazionituttenon sipotrànonconchiuderechesemai in quelle genti
originariamente germane si mostrò qual che cosa che sentisse di rispetto alla
donna o di spiritua- lismo d'amore , fu perchè la nostra civiltà le investi c o
m piutamente , perchè sispogliarono del primo uomo , e non più Germani,ma
RomanioItalianituttidiventarono.Chè lo spiritualismo non si alimenta nell'amore
se non collo sviluppo dell'intelligenza , e spirituali,e mistici veramente non
furono nel medio evo che Petrarca e Dante , i più grandi uomini di quei tempi e
de'posteriori. Si vegga dunque se in quei petti di bronzo dei barbari poteva
mai Leo , Storia d'Italia. conservarsi nascosa e risplender poi una
fiamma che sola a cor gentile si apprende , e da rozzi e disleali uomini
maravigliosamente rifugge. Posso però dispensarmi dal con futare quella
generosità e magnanimità che loro l'Ajello attribuisce , poichè se mai possono
dirsi quei barbari forti di quella specie di fortezza che è di generosi
sentimenti produttrice, lascioal lettore pensarlo. E qui parmi il luogo di far
notare il poco conto te nuto dall' Ajello degli effetti prodotti sui barbari
dalle loro trasmigrazioni , errore essenziale , perchè la società ger mana ,
come è stato ben detto , fu modificata, spaturata , disciolta dall'invasione ,
ed il suo organizzamento so ciale peri come quello dei popoli invasi , gli uni
e gli altri non mettendone in comune che gli avanzi. Oltrechè ( colla
profondità sua solita osserva ilTroya ) « la grande trasmigrazione di genti
dovè necessariamente nel corso di più secoli trasmutare la faccia ed i parlari
della Germania di Tacito. Negli ultimi anni di Attila gli ottimati degli Unni
eran divenuti Romani pel lusso , e l'intera nazione in Europa godeva di stabili
sedi che le facevano aver men caro il suo antico viver da pomade. Le antiche
razze celtiche della Pannonia si eran confuse da lunga stagione coi Romani , e
quella provincia feconda sempre d'impe ralori avea fin dai tempi di Diocleziano
pressochè rimu tata la popolazione con le moltitudini sempre crescenti de'nuovi
barbari sopravvenutivi. La lingua tuttavia e le discipline romane prevalsero
per molte età nella Pannonia , e quando i Longobardi vi entrarono , già molti
discen depti di quei nuovi barbari eran divenuti romani. Pur non credo che gli
Unni ed alcuni altripopoli , de'quali ho toccato fin qui, avessero perduto
l'interaloro natura dopo Attila, sebbene abitassero nell'imperio. Ma il tempo
ed il vivere sul suolo romano cancellarono finalmente anche in tali barbari
l'impronta della loro indole natia » (1). (1) Storia d'Italia. Uno dei più
profondi e coscienziosi layori usciti alla luce in questo secolo. Dopo le
quali osservazioni non riusciranno molto ef ficaci tutte le ragioni desunte dal
clima c h e l'Ajello p r o duce in sostegno della sua opinione. Volere infatti
assumere che nei paesi meridionali sieno più bramose e sfac ciate le donne , e
sotto freddo cielo più schive e pudiche, non mi sembra possa essere appoggiato
dai fatti. Chè l'ot timo autore non potrebbe certo asserire più delle fioren
tine e milanesi donne essere schive e,pudiche le tede sche , più delle
napolitane o greche giovinette le donne di Francia, o d'Inghilterra ; la
pudicizia non dipendendo totalmente dal clima , m a nella massima parte
dall'edu cazione , dal principio morale e buon senso più o meno sviluppato di
ciascheduna nazione. Naturalmente le genti di un clima meridionale sono dotate
di una sensibilità m a g giore di quelle che vivono a settentrione , m a la
posizione de'due sessi è relativamente uguale nelle due contrade. Se le donne del
nord sono poco sensibili, per far sentire i maschi bisogna scorticarli. Quindi
la diversità del clima importerà a spiegare la maggiore o minore ardenza del
l'amore ; ma in quanto a quel misticismo o , mi si la sci pur dire , platonismo
dell'amore , pon saprei ben v e dere in che ilclima vi possa contribuire ,
essendo una cosa tanto poco del corpo che tutta nella regione dello spirito
risiede. È in questo senso che io trovo giustissima l'interrogazione del
Gatti.- Come può un fatto che ha per condizione naturale le nebbie ed i ghiacci
del nord trasportarsi e fruttificare ugualmente sotto il sole del m e z
zogiorno ? Alla quale interrogazione non è certo adequata risposta dire che il
fatto non era indigeno dei Germani, m a che questi ne portarono con loro il
germe, il quale sbucciò poi per opera dello scontro e della fusione dei vin
citori coi vinti. Questo germe portato da un clima lon tano e freddo in uno
meridionale, e che aspetta quisilen ziosamente per più secoli per poi
finalmente , cessati gli urti dei barbaricon uomini civili e compiuta la
fusione, uscir fuori come la ranocchia dopo la tempesta, io m'inganno , o è
troppo malagevole cosa a comprendersi. Nè posso ancora convenire
coll’Ajello che il freddo e duro clima faccia di sua natura libere e più
stimate le donne, quindi più divoto e rimesso l'amore , parendomi la
storiacontraddir del pari a tale asserzione tanto che non mi sarebbe difficile
mostrare la miglior condizione delle donde essere stata in ogni tempo in
ragione inversa della. Non inviderunt, è la bella espressione di Livio,laudessuasmu
lieribus viri romani , adeo sine obtrectatione gloriae alienue vivebatur ;
monumento quoque quod esset, tcmptum Fortunue muliebri aedificatum dedicatumque
est. freddezza del clima . E per non dilungarmi di troppo, io non so se mi
si possa negare l'importanza da esse olte nuta presso il popolo Ebreo , e la
continua bella mostra che vi fanno , e se possano mai obbliarsi ibei caratteri
di Debora e di Giuditta , della profetessa Olda , di Rut , di Sara , di Rachele
, della moglie di Tobia é d'innumere voli altre, e la venerazione di che gli
Ebrei le circonda vano , ed il purissimo amore di che furono l'obbietto , e
tutta finalmente la legislazione Ebrea che in tanta con siderazione, a
preferenza delle altre genti,le avea. Chiaro argomento che n o n le nebbie ed i
ghiacci , non la fero cia brutale delle orde vaganti producono stima alle donne
e danno purità all'amore , cose poste naturalmente nella ragion diretta dello
sviluppo del pensiero e dell'incivili mento , e della migliore organizzazione
individuale d'un po polo. Ecco perchè la donna fu sempre in Italia più che
altrove , avuta in pregio e stimata. Senza parlare della scuola antica italiana
o pitagorica, che dir si voglia , e degli antichissimi costumi Etruschi, presso
i quali le donne aveano molta importanza, ENEA fonda una città e dal nome di sua
moglie la chiama “Lavinia”. Son le donne Sabineche s'interpongono frai
combattimenti del Capitolino e riducono gl'inferociti guerrieri a concordia, ed
il nome di esse è imposto alle curie di Roma. Fra il duello degli Orazii e
de'Curiazii comparisce lagrimosa la sorella de'primi, e basta la morte di lei a
sospendere il gaudio pubblico della città. In tutti gl'intrighisuccessivi del
regno (come sem pre in Italia )le donne figurano. La libertà di Roma è
consolidata col sangue di Lucrezia , come più tardicon quello di Virginia , e
l'ardire e magnanimità di Clelia viene eternato con una statua equestre.
Veturia respinge le armi parricide di Coriolano, è cosi tanti e tanti altri
racconti che conservatici dal canto delle tradizioni mostra no potentemente la
verità di ciò che assumemmo di sopra. Fu a Roma innalzato un tempio alla
Fortuna muliebre (1), e fu dato il primo esempio di onori pubblici alle donne, le
quali vi sentivano in tanto alto grado la propria dignità e tanto vi aveano
d'importanza che spesso si dovettero le pubbliche assemblee occupar di loro che
vi si presentavano con petizioni e di tumulti l'empirono . In R o m a aveano le
donne il passo per le vie , non si poteva fare o dir cosa disonesta in loro
presenza , i giudici capitali non potevano citarle e coloro che le citavano in
giudizio non potevano toccarle, ut, dice bellamente Valerio Massimo, inviolata
manus alienae tactu stola relinqueretur. Chi non conosce le sorprendenti
prerogative delle Vestali ? Camminavano pre cedute da u n littore ;
incontrandosi con loro i consoli ed i pretori abbassavano , in segno di
riverenza , i fasci; andavano in cocchio anche quando gli altri per legge nol
potevano; avevano distinto sedile negli spettacoli ; la loro dichiarazione in
giudizio avea forza di giuramento , ed un reo di morte , che avea la fortuna
d'incontrarsi con lo ro , rimaneva assoluto. Tanto la verginità era in onore !
Ecco perchè quelle che eransi rimase contente d'un sol matrimonio , corona
pudicitiae honorabantur , e Spurio Carvilio, comunque per tolerabile cagione,
dice Valerio Massimo , avesseripudiato sua moglie , non fu meno segnato di
reprensione come colui che avea la fede coniugale al desiderio di figli
posposta. Il matrimonio era la comunione di tutt'i dritti divini ed umani , ed
era veramente bella l'istituzione della Dea Viriplaca , nel cui tempio i
coniugi in discordia concorrevano. Dea , dice lo stesso autore , coși chiamata
perchè placava i mariti , degna veramente di essere onorata e riverita anzi
adorala quanto altro I d dio , utpote quotidianae ac domesticae pacis
custos , in pari iugo charitatis ipsa sui appellatione virorum maiestati debi
tum ac feminis reddens honorem . Tralascio di ricordare co m e usciti
dell'infanzia i fanciulli eran dati in educazione ad una donna rispettabile del
parentado , e come sino alla età di quattordici anni aveano essi comuni colle
fanciulle gli studi della puerizia , e la esțesa coltura delle donne romane ,
massime negli ultimi tempi, come di cosa ormai troppo vulgare. Si che possiam
dire col Michelet che par v tendo
pressogl'Indianidall'amormistico,l'idealedella o donna riveste presso i Germani
i tratti d'una verginità selvaggia ed'una forza gigantesca, presso i Greci
quelli della grazia e della scaltrezza, per giungere presso i Romani alla
più alta moralità pagana, alla dignità virgi ne nale e coniugale. Ma , per
venire a tempi più vicini in mezzo allo universal degradamento , dice uno
storico, ilcui nome sarà pronunziato sempre con riverenza, le dame romane non
aveado perduto l'avvenenza e l'in gegno delle antiche matrone ,e d erano perciò
assai p o tenti. Anzi non ebber mai le donne tanto credito presso alcun governo,
quanto n'ebbero le romane nel decimo secolo. Sarebbesi detto che la bellezza
aveasi usurpato i drittidell'impero »E qualèilpaese,esclamailLeo,ol tre
l'Italia , dove la bellezza delle donne non dirò che accese, ma
solafecerisolvereipopoliallaguerra?dovele donne hanno più lungo tempo dominato,
non pur ne'negozi temporali , m a in quelli che appartengono alla coscienza? Nè
questa tradizione è stata,o potràessermai interrotta, chè vive e spira ancora
nelle donne d'Italia tutto ilsor riso di questo cielo d'incanto , tutta la
maestosa dignità di chi sentesi nato a grandi cose , ed esse inspireranno per
sempre l'ingegno dei poeti e degli artisti,e saran nostra guida e consiglio nel
periglioso progresso della vita. Esclusa cosi qualunque specie di potere dei
Germani sulla mutata sembianza di amore , penso doversi dire al. Histoire
Romaine. Cito con tanto più di piacere questo scrittore in quanto che egli è
uno de'pochissimi serittori di Francia i quali dotati di molto ingeguo e buon
gusto si giovano delle cose degl'Italiani rendendo loro giustizia. Si vegga
dopo di ciò se ilf reddoe duro clima renda più stimate e libere le donne, e
quindi rimesso e più di voto l'amore. Al mio modo di vedere, se l'amore può
essere ardente e bramoso senza che perciò abbia nulla di spirituale e di
contemplativo, quest'ultima qualità non può star però senza la prima. Petrarca
e Alighieri non avreb bero sublimato a tanta spirituale altezza i loro amori se
'amato non avessero ardentissimamente. È la storia di tutti gli amori nel medioevo.
Come dunque il fatto in parola o la muliebrità potea venirci dai freddi amori
dei fred dissimi uomini del nord ? trettanto della feudalità, opinione
sostenuta da uno scril tore di Francia troppo sventuratamente conosciuto, e dal
l’Ajello modificata con quel buon senso a lui proprio , e sull'appoggio di
ragioni che a m e sembrano sufficienti per escluderla del tutto. Non solo ( son
parole sensalissime dello stesso Ajello) perchè a și grande effetto ella è trop
po scarsa e lieve cagione, ma e perchè non è cosi ge nerale , nè efficace di
tanto che possa pressocchè sola b a stare a render ragione del fatto » È di
vero ( è lo stesso Ajello che ripete queste già conosciute ed indubitabili verità
) in Italia non è stata mai o pressocchè nulla , per chè le città conservarono
l'antica preminenza sulle c a m pagne, e gli uomini vissero anzi raccolti nelle
prime che divisi e sparsi per il paese, per non dir che proprio in quelle parti
, dove pria vigorosa ed ardita levò il volo l'italiana poesia , furon tosto i
signori o invogliati o co stretti a lasciar le castella e a venirne ad abitar
le città. Anche in Ispagpa ( per la subita invasione , o per non essere stato
mai quel paese fuor che in picciola parte s o g getto a Carlomagno) o non
furono feudi, o almeno in quel modo che in Alemagna in Francia e inInghilterra.
Eppure non si potrebbe dire che le donne italiane o spa gpuole fosser molto
meno stimate che le francesi , nè che la poesia in quelle due meridionali
contrade mostrasse uno amor manco devoto e gentile » Ciò posto ,trovo chiaro
che non si debba sul fatto in parola attribuir potere alcuno alla feudalità ,
conciossiacchè, per potersi un fatto chia mar legittimamente causa dell'altro,
è mestieri che siasi mostrata trai due una connessione necessaria e continua, e
, dove apparisca o manchi l'uno , l'altro apparisca o manchi delpari. E questi
requisiti abbiam veduto non convenire alla feudalità , perchè non stata in quei
luoghi ove la letteratura ebbe più notevolmente quel che l’Ajello chiama
muliebrità . Si perdoni quindi a chi , con un modo di giudicar tutto francese ,
crede spiegare ogni cosa con una causa sola, comunque non apparsa d a d dovero
che sul territorio di Francia, e che, non v e dendo al di là della Senna, cerca
con quella miseria di fatti che gli colpiscono lo sguardo metter fondo a tutto
l'universo. Il buon senso d'un Italiano non poteva m o strarsi
impacciato ugualmente , massime in riguardo alla feudalità , la quale tra noi o
non fu mai, o certo non vi si mantenne che come una eccezione , in guerra
continua col nostro modo di pensare e di sentire, senza importan tanza , senza
metter mai radice nei costumi. ciò che in ogni tempo ha segnalato il
carattere degl'Italiani , o m a g giononall'uomoma
aiprincipi,battersinonperun'in dividuo ma per una idea e che è stata la causa
della loro grandezza intellettuale e debolezza politica. Pure nel viver
disgregato e locale dei barbari con stituiti in feudale ordinamento crede
l’Ajello essersi svolte e rafforzate le domestiche affezioni ed aiutato lo
svolgi mento morale delle femmine , ed aver quindi molto contri buito a dar
loro pregio e riverenza. Alla quale opinione io non posso soscrivermi ,perchè
non mi pare che nella vita isolata dei castelli e di continua guerra possano
raf forzarsi le dome stiche affezioni , e molto meno aquistarvi pregio le donne
, ed avere impero sull'animo d' un signore assoluto e brutale e costretto a
trattar continuamente le armi , nè d'altro bramoso o sciente. Chè in una vita
tutta di sospetto e di disgregazione fisica e morale , la donna lontana dal
consorzio delle genti , nè conosciuta che dal solo feroce obbligato compagno
della sua vita, non è altro d'un fiore che non olezza, o a cui non giungano gli
sguardi delle innammorate giovinette. Ora dicasi se ne'costumi feudali poteva
rattrovarsi in uno stato tale da trarre i caldi sospiri degli amanti e i teneri
passionati versi degli erranti trovatori. Certo la privazione eccita il
desiderio e il fa più che mai bramoso ed irrequieto , m a egli è pur vero che n
o n si desidera l'ignoto , e le donne racchiuse nei feudali castelli erano
appunto uno ignoto che non può desiderarsi. Quindi , se ci ha luogo dove le
donne potevano aquistar pregio , erano per fermo le città italiane o i castelli
de'Signori nel modo come stavano in Italia, ne' quali le donne erano si
custodite, ma non sottratte agli sguardi degli amanti. A ciò si aggiunga
l'estrema ruzione dei costumi feudali cor nella lettera tura di quel tempo le
tracce più capaci di fare arrossire la gente; la violenza e le rapine che essi
concedevano largamente si più a lungo durarono in Germania, e pochis, che
lasciarono simo , come è chiaro , in Italia. Nè si potrà fare a meno di
conchiudere che la feudalità nè per se stessa , nè in concorrenza di altre
cause poteva dar gentilezza all'amore , nė vi contribui in realtà , perchè l'amore
fu veramente gentile e purissimo in Italia , dove la feudalità non ebbe vita ,
o almeno fu preminenza della vita cittadina che p o g giava sopra principi di
opposta natura. Oltrechè non do vrebbe dimenticarsi che il principio della
esclusione delle femmine dalla successione dei loro congiunti,almeno in con
correnza coi maschi , fu un principio tutto feudale e ri messo in vigore tra di
noi dai Germani , poichè già nella legislazione giustinianea era per opera,
come par Ed a questo luogo mi si permetta osservare quanto poco al vero
s'appongono coloro i quali sostengono averci i barbari trasfuso il sentimento
della indipendenza personale , e la feudalità aver fatto valere in Europa
ildritto della personale resistenza. Chè non so se quelsentimento si trasfonda
mai negl' individui distruggendoli o rendendoli schiavi, e se ottimo mezzo
possa essere la scimitarra dei barbari per coloro che sventuratamente ne
sentivano il peso , ed erano in quel modo conci che tutti sanno , sostituendo
alla maestà dell'imperio la forza brutale ed il governo
ditantipicciolitirannotti.Nè sosequalsentimento e dritto possa svolgersi in
tale sorta di tempi, ne' quali l'uomo era considerato come proprietà dell'altro
uomo, e l'uno dominava sull'altro , non in forza d'idee comuni ad entrambi, ma
per se stesso ed il suo compagno, il capriccio. Certo ove mi si dirà
coll'Ajello che i barbari » ri storaron la nostra vecchiezza con la robustezza
e gioventù loro , che ci fecer quasi nuovamente bollire e correre per le vene
il sangue, che a colpi di aste e di spade ci scos sero e ci affrettarono per la
via del progresso e di moral perfezione, è questo un linguaggio che intendo ,
ma quando si dirà che gli stessi barbari ci trasfusero il sen timento della
indipendenza individuale , non mi verrà fatto d'intenderlo ugualmente.
Conciossiacchè l'indipendenza non si sostiene che in forza d'una idea,ed
ibarbari non ci portarono alcuna idea puova. Al che mi pare avere
splendidamente supplito il Cristianesimo ed in particolarità . ro , del
Cristianesimo , all'intutto scomparso . sia chia e la Chiesa Romana. Fu
questa che sola in quei tempi si oppose al soprastanteimperio della forza bruta
con tutta l'energia della sua gioventù , cheproclamò altamente l'in dipendenza
del pensiero e dell'opinione, e svegliò quindi negli animi quel nobile
sentimento di dignità personale che i barbari avrebbero suffocato chi sa per
quanto tempo e stette in quel mar burrascoso del medio evo come ter ribile e
continua protesta contro le usurpazioni della for za. Fu ne'municipi d'Italia
che il dritto di resistenza si svolse ed, attulito solo per poco tempo,
primamente ri surse con più forza a vita novella. Cosi è a questa Niobe delle
nazioni che l'umanità dovrà esser grata della sua civiltà presente , a questa
veneranda vestale che non ha cessato mai di vegliare per mantener sempre vivo
il fuo. co sagro dell'incivilimento. Ecco come un uomo di cui il nostro paese
si onora, Luigi Blanclı , s'espriineva nell'antecedente fascicolo di questo
giornale a proposito dello stabilimento dei Normanni in Inghilterra. Or la
conquista e lo stabili iento dei Normanni inInghilterra, non ostante che
ilCristianesimo avea proclamalo il rispetto dell'uomo indipendentemente dalla
sua condizione o dellesuecircostanze accidentali,ma perchè dotato d'intelligenza,di
li bero arbitrio e di risponsabilità, non tenne conto di questo alto e salutare
principio, e considerò l'uomo vinto come cosa e non come persona, fatto
peresser posseduto e non governato. Dicasilostessodei Franchi, dei longobardi,
in riguardo ai quali l'opera su cennata del dottissimo Troya ha p o r tato una
luce immensa. Ogni buono italiano farà voti che lunga basli li vita a questo
nostro concittadino onde possa menare a fine il suo cosi bene incominciato
lavoro. DELLE VICENDE DELLA STORIA DELLA
DIVERSA FORMA CH'ELLA TOGLIE IN TUTTO IL SUO SVOLGIMENTO. Gli uomini prima
sentono senz'avvertire. Primachè l'io cominci a distinguersi dal non -me e
dall'assoluto,e a governare e correggerelasensibilità,e secondo sua volontà far
uso della ragione, ci ha un tempo ch'egli pressochè ignoto a sè stesso se ne
sta avviluppato e come un ascoso e tacito osservatore dei fatti sensitivi e
razionali , che indistinti e confusi gli si vengon mostrando nella coscienza.
Abbagliato e vinto dalla sensibilità e d o minatodallaragione,egliama,afferma,crede,enon
sadiamare,dicredere,diaffermare:permodo chesi direbbe ch'ei sia tutto passivo,
se in lui non fosse una spontanea attività, certo involontaria, ma ad ognimodo
un'attività , una forza insomma che in sè stessa ha la ragione e 'l principio
del suo movimento. Ma a questo primo periodo della vita intellettuale, secondo
che noi dicevamo , un altro succede di veramente opposta e contraria natura.
Perciocchè , svoltasi a poco a poco la volontà , in che pro priamente è posta la
personalità nostra , cominciamo a scorgere che ci ha alcuna cosa che
lecontraddice ,e però che non deriva o dipende da lei; che infinein mezzo a
tanta successione e mutabilità di fenomeni (che sono i volontari e i sensitivi
) ce ne ha di così fatti, che non m u tan viso come gli altri fanno , che in
mezzo a quel ma Ma perchè siavi riflessione (e si ponga ben mente a
questo, chè molto ce ne gioveremo) è mestieri che osservando d'una in altra
cosa si passi, che prima un lato se ne consideri, indi un altro, e cosi sempre
segui tando; è mestieri, a dir breve, della successione degli atli,non
sipotendo ben disaminare un obbietto,senza che gli altri si lascin da un canto',
e si dimentichino al menoperunmomento.Il perchè tra la spontaneità e la riflessione
tra l'altro è questa differenza, che la prima ha un veder largo, istantaneo e
complessivo, e la seconda un guardar lento, e uno scrutar succedevole e
parziale. E peròse riflettendo non abbiam tutte ad una ad una con siderato le
parti dell'obbietto, se giunti non siamo a quel supremo gradodellascienza, che possonsi
allaperfinerag gruppare e riunire le parti slegate e divise, e ricostruirne
quel tutto stato già scomposto e notomizzato, non cene viene che scienza
incompiuta, e l'erroreeziandio,sete ner vorremo per l'intero quello che sia
parte soltanto.E difatto pressochè sempre avviene che la riflessione tulta
quanta in un obbietto affisandosi, cosi trascurane e di mentica gli altri , che
anzi tempo si tiene in possesso di quella verità di cui non ha contemplato e
conosciuto che un solo e povero lato. Per il che nella riflessione (e il dichiareremo
innanzi più largamente), come in quella che per isvolgersituta ha bisogno della
successione degli aui e però del tempo, possonsi determinare tre periodi o
momenti che sivoglian dire. Nel primo il “me” e il “non-me” e i loro rapporti
son quelli che meglio fanno invito esolletico alla nostra attenzione. Nel
secondo , sviluppatici dal contingente, tro viamo l'assoluta nelle eterneverità
che sonoci rivelate reggiare, a quel continuo trasformarsi , stan saldi:
ed allora finalmente asceverar cominciamo e distinguere dal per sonale l'impersonale,
dal me ilnon-me e un certo che d’im mutabile e costante, che è quanto dire
l'assoluto. E pe rocchè sceverare, distinguere, recar l'osservazione d'una in
altra cosa è propriamente analizzare e un far uso della riflessione; questo
periodo ben è stato dai filosofi ad dimandato di riflessione e di analisi in
contrapposizione del primo che han chiamato della sintesi e della spontaneità
dalla ragione, e ne scopriamo la indipendenza dal me e dalla natura. Nel terzo
finalmente, che è il supremo grado della scienza , attraverso a quelle idee
assolute traguar diamo l'assoluta Sostanza , di cui quelle non sono che m a
nifestazioniedapparenzealcortoe debolesguardodella specie umana . Dalle quali
cose è manifesto che la rifles sione, come quella che è molto lenta nelsuo
lavoro, e che per l'intera cognizione di un obbietto è necessitata di guardarne
ciascun lato partitamento , terrà un periodo i m mensamente più lungo della
spontaneità , la quale di sua natura ha un'assai corta vita e fuggitiva.
Spontaneità e riflessione, questi dunque sono idue necessari periodi e le
inevitabiliforme del nostro pensiero. Nel primo ci son rivelate dalla ragione,
comunque al quanto confusamente , tutte le verità prime. Nel secondo null'altro
in sostanza aggiungiamo al giànoto;ma, per ciocchè entra in giuoco la
riflessione, distinguiamo, analizziamo, scopriamo i rapporti e la generazion
delle cose , e dove che prima tenevamo il vero soltanto, poscia abbiamo la
scienza: e, per dar alcun che di sensibile alle espressioni , nella spontaneità
la ragione svolgesi come in linea retta ; nella riflessione ella si rifà su
propri passi e conosciutasi alla perfine, sopra sé stessa si torce e si ri
piega. Ancora , se nella vita spontanea,tutto è congiunto nel pensiero inuna
inviolata e vergine unità , ed avvi vatoevestitodaglisplendidicolorid'una
giovaneevi gorosa immaginativa,cuiquellasminuzzatriceelentadella riflessione
non è ancor giunta a sturbare ed agghiaccia re; se in quel tempo trascuriamo e
quasi ignoriamo noi stessi, e ciecamente credendo alla ragione , ci diamo a tut
to che ci paja bello, vero o buono e ilseguitiamo abban donatamente nel caldo
d'un amore vivissimo;èmanifesto che quello è tempo di poesia , di canto ,
d'ispirazione , come il periodo che gli tien dietro è tempo di fredda e severa
analisi, di riflessione, che è quanto dire di filosofia: la qual cosa bene fu
antiveduta ed espressa dal Vico quando scrisse che tanto è più robusta la
fantasia,quanto è più debole il raziocinio. Però siccome nel primo periodo per
quel potere che dicemmo dei sensi e della fantasia , non chiediamo e non
adoriamo che il bello, o il bene e'l vero in tanto che belli; nell'altro
, fatti più rigidi é spassionati, al solo e nudo vero spezialmente ci
inchiniamo, avvegna che non potessimo mai più intutto distorci dalla bellezza.
Del rimanente ognun intende che questi due pe riodi , spontaneo e riflessivo,
non si limitano in maniera chequandol'unovengaamancare allorasolamente l'altro
cominci. Non ci ha mai in natura un limite e un taglio cosi netto tra le cose
succedentisi , che non ci sia nel digradare un cotal innesto,in cui lo spirar
della pri ma e'lnascer dell'altra vadansi percosidire sfumando, in quel modo
che nell'iride quei vaghi primitivi colori. E sul proposito notisi la bellezza
delluogo del Vico che abbiam voluto mettere innanzi a questo lavoro: nel qua le
oltre che in due righe è detto quel che altri han poi stemperato in tante
parole, scolpitamente è indicato quel l'inpestarsi che dicevamo dei due
periodi. Perciocchè tra l'etàdelsentireodellaspontaneità,equella del riset tere
, u n ' altra è frapposta dell' avvertire perturbato e c o m mosso , che è il
primo apparir della riflessione quando an cora in noi è grande ilpotere dei
sensi e della fantasia. Tutte queste cose (le quali verremo di mano in mano
applicando)volevano esserdettealquantopiùdistesamente e tratto tratto
avvalorate e dimostrate con una esatta e scrupolosa osservazione dei fatti di
coscienza ; ma le son cosìnote oggidi , che sarebbe stata operavana e fastidio
sa ; spezialmente dopo che quello stupendo ingegno del Cousin le ha esposte con
tanta efficacia e chiarezza in più d'una sua
scrittura.Ilperchèabbiamsolovolutotoccarle, per mostrar quali sieno in fatto di
filosofia le nostre opi nioni, per fermare almen brevemente le teoriche da cui
intendiamo dipartirci , e procedere in questo nostro ragio namento il più che
sapevamo ordinati e seguiti. PERIODO SPONTANEO Poemi o storie artistiche. Or
che abbiamo esposto brevemente e fermato quelle teoriche onde avevamo biso gno
, accostandoci e stringendoci al nostro 'subbietto , di ciamo che il primo
apparir della Storia è veramente nel poema , e nata che sia la prosa , nella
storia paramente ammirazion delle genti quel grandioso spettacolo ch'ei
oon sa bastevolmentea m mirare e magnificare. E qui è da notare che se la
Storia nasce poetica , questo avviene pel subbietto e per l'obbietto, vale a
dire che non pure avviene per lo stato dell'intel ligenza degli scrittori,
chein quei primi egiovani tempi ètutta spontanea e immaginosa, ma eziandio per le
con dizioni sociali di quella età ; essendochè le antiche società , quanto alle
moderne , eran semplicissime, siccome quelle in cui non era contrasto di
opposti elementi o principi , ed un solo , come il teocratico nell' Indie e
nell'Egitto , tutti gli altri arsorbiva e signoreggiava:la qual cosa non è a
dire quanto più armoniche e poetiche lefacesse.Sen zachè
sebensièintesochesiaspontaneità,echevalga quell'involontario e irriflessivo
svolgersidel pensiero;è chiaro che l'amore , il disinteresse , la gloria , il
patriot tismo, e tanti altri affetti tuttiespansivi,generosi e gran di , sono a
quei tempi le cause e gli stimoli e le occa sioni alla più parte degli
avvenimenti , e molti altri v a gamente adornano e illegiadriscono ; dovechè
nei tempi posteriori è un venir su di tanti piccioli e privati interessi, di
tante passioni misere e vili, di tante cupe frodi e in fami tristizie, che è
uno sconforto. Onde assai andrebbe lungi dal vero chi pensasse che Erodoto ,
per esempio , o Tucidide , sceverassero e scartassero dalla narrazione tutti
quegli avvenimenti che prosaici lor pareano e indegni delle loro nobilissime
istorie.Di prosaico poco o nulla vera nelle prime società, e quel poco eziandio
facea su quelle vive e immaginose menti dei Greci assai diversa impressione che
sulle nostre non farebbe. Quegli storici adunque non sceglievano fatti da
fatti, come ultimamente è stato scrit to , e che sarebbe opera da Boileau, ma
abbracciavano, od almeno credevano di abbracciar l'intero, il quale alle lor
menti si porgeva tutto fulgidamente colorato ed in vaga artistica, o
vogliam dire che altro più diretto scopo non abbia che la bellezza. Percosso
vivamente l'uomo dai fatti maravigliosi e grandiche glisuccedonointorno, olicanta
e li celebra nel primo impeto della sua maraviglia , o li narra agli avvenire,
non gli soffrendo il cuore che se ne porti iltempo si care e belle ricordanze,
e che abbia a toglier per sempre alle lodie alle nobilissima mostra . Se non
che costoro tutti intenti come sono alla bellezza delle loro istorie , saran
poco solleciti dispogliarla verità delle tante favole statevi aggiunte dalla
immaginazione e dall'ignoranza della gente,e per chè il racconto se ne faccia
più maraviglioso e attratti vo, assai ve ne introdurranno. Ed infatti seessile
narra no , nondimeno il più delle volte non mostrano di aggiu starvi fede,
secondo che fanno i nostri creduli e semplici cronisti. Manna, di acuta e
squisita intelligenza e carissimo amico nostro , scrivendo non ha guari delle
vicende , non della Storia moderna ma della Storia in idea, ha detto che la
Cronaca e la Ştoria filosofica son da tenere idue punti estremi di tutto il suo
svolgimento. In questo, a dirla schietta , non pos siamo affatto affatto
accordarci con lui,e poichèquicade in acconcio, vogliam fare un po'di contrasto
a questa sua opinione , e , cel creda , per solo amore alla verità ,
edancheperfermarquiunpensiero,chenoncièin contrato finora di trovar sostenuto
da alcuno. Che la Storia filosofica sia l'ultimo estremo da un canto, il
pensiamo e diciamo ancor noi, nè potremmo a l tramenti;ma
chelaCronacal'altrosia,questorisoluta mente neghiamo. E qui preghiamo il
lettore che non si è stancato di venirci seguitando , che voglia alquanto cre
scere la sua attenzione ; dappoichè dovendo farci da alto ed in fretta toccar
di molte cose, forse che il postro pen siero non si mostrerà così chiaro come
noi vorremmo ; e temiamo non si annebbi la verità col dir disordinato ed Oscuro
. Comunque le società dei tempi di mezzo , per le in vasioni e leoccupazioni dei
popoligermanici,che per cosi dire le rinnovarono e rinvigorirono , una
sembianza aves sero di freschezza e di gioventù; nompertanto si grande era in
loro la parte antica della caduta società,o vogliam dire l'elemento romano ,
che molto dal vero si scosterebbe chi le stimasse società semplici e primitive
, e quei fattie quella sembianza ch 'ei vi trova , volesse recare a ciasc un
tempo di nascente coltura : per non dire che all'elemento romano e al germanico
si aggiungeva l'ecclesiastico di. Or se noi troviamo la Cronaca nel Medio
Evo , non per questo dobbiam credere ch'ella sia d'ogni tempo di
nascentecoltura,echeaquelmodolaStorianascaosi risvegli. No certo, ch'ella nasce
poetica, tutto chè disordinata e incolta. Nasce neipoemi del Niebelungen, del Cid
lla, e ardita mente poetica; e se quella ci dà epistole,sermoni, eglo ghe ,
cronicacce ed altra merce cosi fatta ; questa ci of fre e novelle e poemi senza
fine,e versidiamore eprose di romanzi. niente inferiore, e cresceva la
contrapposizione e la guerra . Questo fece che accanto ad una cotalbarbara
selvatichezza stesse una cortesia e una gentilezza di tempi assai colti e
politi; ad un soverchiar della forza e ad una sfrenatezza senza confine ,
un'austera virtù ed un'idea assai svolta della moralità e della giustizia, e al
volo amoroso e spontaneo d'una giovane e bella poesia , lo strisciar lento è
vile di tanti scritti insipidi e senza vita. Di contraddizione c'era
dappertutto,finotraifattieleopinioni;ma inniente meglio si manifesta che nella
letteratura,spezialmente per quell'uso contemporaneo delle due lingue, volgare
e la tina, ch'eran come rappresentanti di due letterature, e che valsero a
meglio tenerle disgiunte e distinte. La la tina non era propriamente che un
po'di luce trasmessa, un povero barlume riflesso da tutto ľ antico
splendore,che non si era potuto interamente spegnere per quel soprav vivere e
durar della Chiesa dopo il misero cader dell' I m perio. Pertanto ell'era tutta
vecchia , squallida e scompa gnata dalla vita ; e dovea essere : perchè gli
scrittori la tini ( oltre ch'erano frati la più parte, viventisi,a quei giorni
assai ritirati e divisi dal mondo )per quel loroim. maturo e sciocco legger
negli antichi ,ebber della barba rieilmaleenon
ilbene;n'ebberoadirbreve,lagrossa ignoranza senza il verde , la vita , la
spontanea vigoria. Dal che provenne ch'eglino desser poi fuori di quelle smorte
eanfibie scritture, barbare a un tempo,e fredde e scolorate ; le quali solo il
Medio Evo poteaci dare , e di cui per mala ventura ci ha fatto si ricco e
grazioso pre sente. Con due lingue adunque nel Medio evo son due let terature
d'indole e di forma differenti: una tutta smorta, scarna e prosaica , l'altra
tutta fresca e bella , La Cronaca dunque è merce da mezzi tempi,
per ciocch'ella nacque dalle condizioni di quell'età , è veduta in altro tempo
d'incivilimento che spunti e ger mogli. Onde il signor Manna , per la
troppafretta forse, si è lasciato andare in un errore simigliantissimo a quello
del Vico , che pensò la Cavalleria potersi trovare in ogni tempo primitivo , e
sconobbe ch'ella fu ingenerața tra i crociati in Levante,
cosicchèvideroco'propri lor oc edellaTavola
Rotonda;ecompostasi'escaltritasilaprosa, nasce in Villehardouined in Joinville
che certo cronache non sono ; od almeno in Guglielmo di Tiro , in Alberto
d'Aix, inRaimondod'Agiles, inRauldiCaen, enegli altri entusiastici e vivaci
storici delle Crociate. E non si dica che tra costoro parecchi eran frati, e
che questo fatto in certo modo contraddica al nostro pensiero ; dappoichè anzi
il riferma assai bene , mostrando che tostochè essi usci ron di quelle
condizioni che dicevamo , altramenti scrissero le istorie loro. Basti dire che
di quei monaci altri furon ehi quei mirabili fatti che ci han narrato ; ed
altri furon sospinti in mezzo al mondo dall'improvviso turbinė che a quei
giorni sconvolse l'Europa, e dal vivissimo entusias mo che vi accese tutte le
menti Imperò vivendo eglino meno divisi dalla società , dettero finalmente alle
lor nar razioni quel colore e quella rappresentazion della vita e dei costumi
del tempo , che nelle cronache indarno cercherem mo , e che sarebbero affatto
perduti per noi, se non ci fosser rimase della volgar letteratura tante opere
bene rap presentevoli ed esprimenti, come sono, sebbene alquanto posteriori , le
novelle del Boccaccio e del Sacchetti, e le istorie del Villani, del Compagni e
del Malespini. enonsi tali cagioni , che son tutte proprie del Medio Evo , e
che in altre età indarno si cercherebbero. Ci mostri il sig. na non dico una
Cronaca Man ,maunsolframmentodiCro naca prima d'Erodoto.Quanto a noi,fermamente
pensiamo che se potessimo avere tutto quel che in Grecia si scrisse nanzi a
costui,non troveremmo ip mente che storiemaravigliosa poetiche , comechè
ordinate con manco d'arte , e quel che è più sicuro , poemi , e canti
guerreschi polari. Veramente ci fa maraviglia e po ingegno del Manna che
quell'avveduto non abbia scorto,che avendo eglidi viso tutto lo
svolgimento storico in artistico e filosofico, era necessità che quanto più si
ascendesse ai primi tem pi,piùdipoesiaed'artevisitrovasse.Orcome può trovarvi
egli quelle insipide ed agghiacciate cronache m o nacali? In esse , se ne
togliete l'ignoranza che è vera mente degna d'una cultura bambina , ilresto ci
sa più d'avanzo dispenta e grave letteratura,che di comincia mento d'una nuova
e leggiadra;e a dirla in due parole, non ci vediamo che elemento romano ed
ecclesiastico. E quando si pon mente che per lo più furon monaci i lor
compilatori, quasi intutto, come dicemmo , segregati dal mondo , e quel che è
più , non d'altro conoscitori che d'al cun latinoscrittore;quando sipon mente a
questo,non sappiamo chi possa far lungo contrasto e non accostarsi alla nostra
opinione. Manna adunque , scambiando un fatto con lo svolgimento
dell'idea,'equel che accade con quelcheé, ha creduto logico un antecedente
meramente storico efor tuito.E sipotrebbedirech'eglicredaalricorsodellena
zioni, se per divinare un fattoprimitivo ha toltoesempio non da nascente, ma da
rinascente coltura.Perciocchè vo lendo egli parlare dei napolitani storici, e
non trovando nei primi tempi che i cronisti longobardi, se n'è lasciato
ingannare,ed ha stimato che la Storia a quel modo na scesse;eche
inquellesueteoricheeipotessefermareche la Cronaca e la Storia filosofica
fossero gli estremi di tutto lo storicosvolgimento.Sei volevatrovare
nellanapolitana letteratura ilprimo apparir della Storia, almeno cercar lo
dovea in Guglielmo di Puglia, e in quel poema che serisse, allorchè le ardite e
fortunate imprese dei Nor manni fecer maravigliare questa estrema parte
d'Italia. Per lequali cose,conchiudendo diciamo ,cheleprime istorie sono i
poemi ,indi le narrazioni puramente artisti che ; che questo avviene pel
subbietto e per l' obbietto vale a dire , per lo stato dell'intelligenza dello
spetta tore , e per quello della società ch' ei ritraenei suoi rac conti :
infine che la Cronaca è scrittura propria dei mezzi tempi, e quanto alla Storia
moderna , ella è storico e non logico antecedente. PERIODO DI RIFLESSIONE
. Ilme, il non-me e I loro rapportic hiaman dunque i primi e sforzano la nostra
attenzione: e se questo è vero Storia morale o Secondo che detto abbiamo
, corta durata ha S. Momento del MB e NON-MB. politica. quel periodo di
spontaneità , e tosto nasce e si educa la riflessione per aver vita assai più
lunga e meglio svolta.Ve ramente ch'ella con quel suo analizzare e sminuzzare
ogni cosa,con quel suo lento e sospettoso procedere, or in
questoorainquell'obbiettopartitamente affisandosi,to glie ardire
allaimmaginativa, ed or ne soffocaeimpedi sce, or ne scolora ed agghiaccia ogni
spontanea creazione: nompertanto induce lo spirito umano , non certo in più
belle,ma inpiùgraviesodecontemplazioni,cheapoco a poco e come per mano il
trarranno a quella compiuta e ordinata scienza, che è l'ultimo obbietto , e
insieme la pace e 'l riposo della sua irrequieta intelligenza. Or noi dicemmo
che la riflessione di sua natura è parziale e suc cessiva , e che tutto ilsuo
svolgimento potrebbesi distin guere intrepartiomomenti,ondeilprimoèquellodel me
edelnon-me. E difatto,chivogliaun trattoprofon darsi nella coscienza, vedrà che
se ci son fatti che più chiamino e sforzino l'attenzione , certo sono i
sensibili, indiivolontario personali.Isensibilicomequellicheson manco intimi e
profondi,e quasi esterioriall'animo,sono i più vivi ed appariscenti, e imeglio
osservabili;eivo lontari o personali vengonsi lor mostrando allato tenace
mente, perciocchè l'impersonalità della sensazione indica subitamente e rivela
la personalità nostra , e quell' assi duo tramutarsi e succedersi dell'obbietto
ci reca al senti mento d'alcuna cosa che duri attraverso a quella indefi nita
varietà delle sensazioni, che è l'identità delsubbietto. Quanto
aifattirazionali,questiinverosono imenoap parenti, perchè non simostrando che
in mezzo allamu tabilità e alla determinazione dei sensitivi e dei volontari,
tolgon sembianza mutabile e determinata , e ci ha mestieri diaccorta e ben
ammaestrata osservazione per poterneli sceverare , e svestire di quella falsa e
mendace apparenza. (come vero è), ecco qual nuova faccią prenda la n o
stra intelligenza, e di quanto questo primo momento della riflessione si
discosti dalla spontaneità. In questa ilme non si scorgendo ancoradistinto da
quel che lo inviluppa e nasconde , e lasciandosi intutto andare a seconda della
ra gione e della sensibilità, senza mai volgersi indietro e por
menteasèstesso,èchiarocheseogniattoalloraèfe de, amor vivo e caldissimo, ed
estatica contemplazione ha da essere altresi pieno e bello di nobile
disinteresse ; doveché nel primo momento dellariflessione,per quel ne cessario
mostrarsi e dintornarsi della persona , per quel considerar la natura solo in
tanto che ne dia pena o di letto , come pressochè tutto è dubbio, amor proprio
, e sospettosa e lenta osservazione , cosi pure le opere nostre la più parte
generate da personali e interessate cagioni ; e se prima moveaci il bello,e il
bene e ilvero intanto che belli, muoveci dappoi l'utilità. Dicevamo che la
Storia si farà a cercar l'utile; poi con un tal rude passaggio alla moralità
sola il riduceva m o , come se niente altro esser ci potesse d'utilită , quivi
tutta si raccogliesse. Per voler soddisfare a questo dubbio, e farci incontro a
parecchie altre objezioni che ci sipotrebberofare,dichiareremoalquantomeglio
ilno stro pensiero, e il rafforzeremo in fretta almen tanto che basti. Tolto
via l'utilità fisica, che in verun modo non ci potrebbe venire dal racconto dei
fatti delle nazioni,l'uti Jità non può veramente esser posta , che nel giovare
al l'uomo o come agente morale, o come creatura intelli gente; perocchè non si
potendo allettare la sensibilità , alla Storia non resta che correggere la
volontà, o svolgere e saran per Però la Storia, dopo che si è mostrata
puramente artistica , vorrà avere uno scopo che le paja manco vano , e che dia
più pronti e certi frutti; vorrà insomma esser utile , ed eccovi apparir la
Storia morale , la quale , se più non guarderà la bellezza siccome unico ed
immediato suo scopo , se ne gioverà nondimeno per ornare ed avvivare i suoi
racconti, essendochè l'uomo , come dicemmo , po scia che l'ha un tratto
conosciuta , mai più non si di stoglie dalla bellezza. costantes generi ,
contumax etiam adversus tormenta servo rum fides. Ond'iomi maraviglio che
ilsignorMannaabbiapo tuto sconoscere questo si manifesto intendimento di
Tacito, dandogli uno scopo meramente artistico, com'ei si da rebbead Erodoto. E
mi pare che in questosbaglioeisia caduto , per aver troppo semplicemente diviso
tutta la vita storica inartistica e filosofica,nonbadando che seconla
riflessione si può dir che cominci l'amor del sapere ola filosofia, non per
questo ella è filosofia, intesaintuttala determinazion della parola , cioè la
scienza già ordinala formata ; e per dir più chiaramente , che innanzi all'ul
tima forma sua ben può la Storia esser riflessiva , e non esser pertanto ancor
filosofica. Il perchè non potendoegli di buona fedetrovare in Tacito la sua
Storia filosofica ha dovuto di necessità trovarvi l'artistica,quantunquela
Storia avesse in lui cangiato natura , essendochè l'artedi primo scopo e
signora ch'ella era , è divenuta istrumento ed ancella. SMomentodelleveritàassolute.-
Storia positive. Per affisarsi che faccia la riflessione al subbietto e all'ob
bietto e ai lor rapporti, verrà tempo alla perfine ch'ela sarà percossa da
quella strana immutabilità e indipendenza dei concetti della ragione; che anzi
quello stesso atten dere ed osservare i fenomeni sensibili e volontari sarà ca
gione che le si dimostri l'assoluto ; essendochè di due o più cose non pur
dissimiglianti ma opposte sieme e confuse ; più pensando ed osservando ne
distrigate e dintornate l'una", più l'altra vi si porgerà chiara edi
stinta. L'osservare che sopra una sorta di fenomeni non ha potere la volontà ,
e che lo stesso non-me non sipuò sottrarre a certe.leggi immutabilissime e
salde , fa chesi vadano sempreppiùdistinguendo e sceverando ifatirazio pali, e
apertamente se ne vegga la indipendenza dalsub bietto e dall'obbietto. Oltre
diche,inquellaguisachela impersonalità dei fati sensibili rivela e determina la
per sonalità dei volontari, cosi la mutabilità , la contingenza, la
naturafinita e dipendente dell'animonostroe delana tura,distintamente
cisvelal'immutabile,l'infinito,l'as soluto; l'essere, in una parola , il quale
non che dipen e strette in dere da altre cose , a tutte anzi è sostegno e
fondamento. In questo secondo suo momento adunque la rifles
sione,disviluppatasidal contingente,separaepone l'asso luto,o vogliam
direl'eterneveritàrivelatecidallaragio ne. E però ch'ella suole, dimenticando gli
antichi, tutta a'nuovi obbietti abbandonarsi, e massimamente dopo che ha
scorto, che ilme e ilnon-me non son poi gli ultimi termini della scienza , e
che ci ha alcun più degno e nobile obbietto intutto indipendente da quelli,e
che anzi abbrac cialiecomprende,e ponloroelimitieleggi,da'quali, tramutinsi
pure a lor posta , mai uscir non possono, o sottrarsene.E
megliovedràl'importanzae ladignitàdel l'assoluto , quando si sarà avveduta che
non ostante la caducità e l'impersetta natura del contingente, le verità
nondimeno stanno e sopravvivono.Di questo procederà che alle personali vedute
del primo momento altresuccederanno impersonali e disinteressate, e seprima
chiedevasi l'utile, il vero poi soprattutto si chiederà. Eosi la Storia che
abbiam veduto correr dietro al l'utile,volgerassi a più nobile scopo
escientifico,enon vorrà che il vero ; e purchè il trovi e narri, le parràdi
aggiungere l'ultimo e naturale suo scopo. Vero è, che non si essendo anco
giunto a tale con la scienza, che basti e valga a ricongiungere e riferire alla
prima Sostanza quelle assolute verità , e a considerare il vero come rive
lazione dell'infinita Intelligenza. Vorrà la Storia il vero, ma senza sapere
iltrovarlo infine che importi;e conside randolo partitamente nei fatti in tanto
che esistenti e a v venuti , scambierà il reale col vero , e solo vedrà negli
avvenimenti la vicina dipendenza di cause ed effetti, non si elevando mai a più
larga e lontana connessione. Per tanto degli Storici di questa età , sola e
prima cura sarà trovare i fatti e accertarli, mostrarne le immediate o poco
lontane cagioni, o almeno le occasioni e i rapporti, e solo che dieno una tal
quale narrazione di importanti e certi fatti , nissun pensiero si prendono del
rimanente, e par loro adempiuto ogni ufizio eche laStoriasiafatta.E non pen
sate ch'ei sipiglino affanno di virtù e di vizi,di giusto
edingiusto,diquestaoquellacredenza;evidanno a divedere una freddezza e un'indifferenza
, che c'è da sconsolarsene, per modo che vi sembra non abbian cuore,o senso
morale , e sien tutto pensiero e intelligenza. Il qual morale indifferentismo
stimiamo sia tra l'altro ingenerato dai
costumidiquelleetàch'essersoglionoassaiguastie dissoluti:onde avviene che
disperato si del miglioramento, appoco appoco l'animo vi si adusa, e dopo di
averli con siderato come un necessario male e durissima legge del l'umana
natura,finirà colvenire in quella tristae scon solante indifferenza , di che
non è stato che sia peggiore. Anche questa maniera di Storia vediamo adunque
inrap porto manifesto con l'obbietto e col subbietto , con lo svol gimento
progressivo dell'intelligenza, e con le sociali c o n dizioni dell'età in cui
suole apparire. Se non che , acció che non ci si dia non meritato biasimo ,
vogliam qui fare avvertire che se noi riferiamo la Storia al subbietto e al
l'obbietto, questo facciamo per guardar la cosa da più lati, e non perchè ci
sembri che quelli in sostanza sien diversi rapporti. Conciossiache limitando
noi l'obbiettività al solo mondo civile, il quale , come ha detto il Vico , è
fatto dall'uomo , ci avvediamo che il riferirvi la forma che vien prendendo la
Storia ,egli è come riferirla un'al tra volta allo svolgimento della nostra
intelligenza. Questi sono gli storici , che abbiam chiamato positivi. E molti
potremmo indicarne che più o meno van com presi in quel numero ; ma ci piace di
nominar soltanto il Davila e il Macchiavelli, come assai vivi esempi di que
stageneraziondinarratori.Solovogliamo quiricordare che se in molti di questi
storici alcun che ci ha di arti stico, morale o politico, non per questo non
son da te nere per positivi, quando loro intendimento sia stato il narrare
ifatti che veri stimavano senz'altra briga.Dap poichè se nell'ideale e nella
scienza tutto è ben distinto e determinato , nella realtà per contrario tutto
intrecciasi e confonde, e mai non si ha il fatto cosi nudo e segre gato dagli
altri che gli stan dallato , o che lo han pre ceduto o seguiranno , secondo che
la scienza lo ha de scritto. Cosi questa famiglia di Storici è a parer nostro
assai numerosa e comprensiva ; e risolutamente vi chiu diamo e 'l Guicciardini
e l'Hume e'l Gibbon e 'l Giannone e 'l Robertson , avvegnachè di costoro , chi
voglia solo un lato considerarne, alcuno dirà artistico, un altro forse
chiamerà morale o politico , e in quegli ultimi per avventura gli parrà già di
vedere l'ultima forma della Storia, che è la filosofica, e di cui or passeremo
a ragio nare . Per ilche,quando perassaisecolisièveduto un sorgere e fiorire, e
un cader d'imperi e di nazioni , una catena lunghissima di successi grandi ;
quando in somma il dramma storico dell'umanità di tanto è cre sciuto,che sene
può avereun'assai larga e svariata esperienza;èforzacheavedersicominci
allaperfine e un tal ritorno di avvenimenti al tornar delle stesse ca gioni , e
certi costanti rapporti e lontanissime dipendenze , e una certa comune natura
delle nazioni sotto alle dissi miglianze grandi che son tra loro. Oltre di che
al rovinare e mancar di tanti regni potentissimi, di tanti vasti e splendidi
imperi, che pare a non on d o vermi finire', e Storia filosofica. S.III. Momento
delle verità assolute come manifestazione La riflessione di sua natura , quanto
più va innanzi nel suo lavoro , della prima Sostanza. Tanto più visi addestra, ed
acquista di acume e di profondità, e noi tratto tratto più incontentabili ci facciamo
e vogliosi di sapere. Dopo di aver separato e distinto il
meeilnon-me,siamocielevatialquantopiùsu,edat traverso alla vicenda ed alle
permutazioni del contingente , abbiamo intraveduto e scorto l'assoluto in
quelle immu tabili verità, che son come le leggi del pensiero e della natura.
Ma giunti che siamo a questo punto di conoscenza , veggendo che quelle assolute
verità non derivano o dipendono di sorta dal subbietto e dall'obbietto ; qual
sia dimandiamo la lor sorgente e derivazione , di qual sostanza essi fenomeni
sieno manifestazione nella nostra intelligenza. E questa interrogazione torna
inevitabile e necessaria per quei due principi disostanzae dicausalità, che non
ci lascian mai , eche ad ogni fenomeno,ad ogni cosa che cominci,a trovare o
pensar ci sforzano una so stanza e unacagione.Le veritàassolute adunque noi ri
feriamo e leghiamo all'assoluta Sostanza,all'Essere crea tore e intelligente, e
quivi soffermasi la riflessione niente altro chiedend , vi si appaga e riposa.
e tutto in loro accogliere e stringere il futuro destino dei p o poli ;
non può la disingannata intelligenza non distorsi da quell'angusto e caduco
spettacolo, e non elevarsi a più larghe esublimi considerazioni. E scorgerà che
iregnie gl'imperi non son poi che apparenze peculiari e fuggenti, è che fra
tanta vicenda e permutazion di fortuna,duran nompertanto le umane generazioni e
governate da costan tissime leggi;e da tanti sanguinosi elacrimevolicasi,da
tanti mali e miserie incredibili, risorgon sempreppiù a m maestrate e
possenti,come se cavasser benedalmale,e a simiglianza d'un nobilissimo fiume,
il quale non che scemare e impaludarsi tra la rena e i sassi e i dirupi, sempre
crescendolesue acque,alteramenteprocedeverso l'infinito mare che l'attende.
Pertanto a quel modo che riferiamo le leggi del pensiero alla prima
Intelligenza , e le abbiamo per un suo apparire e rivelarsi nella ragione ;
così pure quelle discoperte ed osservate leggi dellaStoria riferiamo al primo
Essere, e le consideriamo come forma visibile dellamente e del disegno di lui
sopra il destino degli uomini , che è quanto dire come la stessa Provvi denza
divina. Quando adunque dalla mutabilità , dall'incostanza e dalla
contraddizione del reale , elevar ci sappiamo insino
all'idealeeilconsideriamocome espressionedellamente di Dio ; quando più non
vediamo nella Storia una for tuita o capricciosa successionediavvenimenti,ma
losvol gimento di un'idea nel tempo, e l'adempimento sopradi noidel
provvidodisegno del Creatore. Sorgerà quella Storia che detto abbiamo
filosofica; e , conciossiachè la riflessione non vada più oltre, questo è l'ultimo
e più n o bile grado a cui possa ella giungere. Or questo supremo
pensiero,questo provvido disegno di Dio sulle umane generazioni , certo in
niente meglio si dimostra che nella Storia della religione ; e se aggiun gete
che solo il Cristiano incivilimento pote acidare una cosi fatta Storia ; che ,
dalla nostra infuori, niun'altra religione non ha avuto un si chiaro e non
interrotto cam mino attraverso a tutte le età; che la scienza infine non avea a
cominciar da capo e far tutto di per sé, percioc ehè ella potea lavorare per un
sentiero ch'or silascia in travedere , or profondamente è segnato nei
Libri Santi ; non è dubbio che dei cinque elementi della Storia , che sono
l'industria, lo stato, l'arte, la filosofia e la religione , dovea quest'ultima
prima costringer l'attenzione dei nostri scrittori, e, lasciatisi da un canto
gli altri quat tro , informare a suo modo la Storia ,e invadere a prima giunta
e assorbire tutta la vita delle nazioni. Di qui av verrà che questa prima e
incompiuta Storia apparirà anzi teologica che filosofica. E tale infatti è
quella del Bossuet , per essersi quel dottissimo Vescovo tutto chiuso e
raccolto nel Cristianesimo , e fattolo centro , scopo e m i sura a tutta la
Storia dell'umanità. Ad ognimodo quello è il primo passo verso la Storia
filosofica , e il primo n a scere e incarnarsi di quella idea , che dopo meno
di un secolo vedemmo tanto allargarsi nell'Herder , che in quel suo stupendo
lavoro tutti abbracciò ed avvinse gli elementi della vita delle nazioni. Se non
che la Storia dell'umanità non si sarebbe per avventura a tanto alto grado
elevata nell' Herder, se QUEL MARAVIGLIOSO E POTENTISSIMO INGEGNO DI
GIAMBATTISTAVICO non avesse prima , con lo scriver la Scienza nuova, fondata ne
la filosofia. Di quest'opera straordinaria assai volentieri parleremmo ,
ch'ella è primo vanto e gloria nostra, e Dio sa quantoci gode il cuore in
pensare che abbiam noipure il nostro Dante; m a sarebbe un varcar quei limiti
che ci siampostiinquestolavoro:dappoichènon abbiam voluto intrattenerci intorno
alla scienza della Storia , m a solo indicare una opinione che avevamo del suo
progressivo svolgimento,cavandolo daquellodelpensieroumano.Non però di meno
vogliam mostrare che quell'idea che d'una vera e compiuta Storia filosofica
osservando e ragionando ci siam fatta , quella stessa aver partorito e
fecondato la Scienza nuova.Infatti, poichè il Vico dallo studio psico logico dell'uomo
ebbecavato quella sua comune natura delle nazioni, vale a dire le leggi
universalissime della Sto ria, andò fino a riferirle alla prima Cagione, e le
tenne espressione visibile del Consiglio divino ; ond'ei medesimo
scrisse,l'opera sua doversi riputare una Teologia sociale e una storica
dimostrazione della Provvidenza. E concios siache per potersi elevare , sccondo
che dicempo, dal reale all'ideale , ei bisogna che il primo ci sia noto,
as sai giovossi il Vico della FILOLOGIA DELLA LOQUELA DEL LAZIO, che al dir del
Michelet, è la scienza del reale, o dei fatti storicie delle lingue; e sull'ale
poi della filosofia cacciossi in quella potente e lontana astrazione. La
filologia adunque e la filo sofia , cioè le scienze del reale e del vero (ch'è
l'idea le ) , son le due fecondissime sorgenti a cui ha attinto la Scienza
nuova ; e una storica dimostrazione della Provvi denza è l'ultimo e proprio suo
obbietto. Ma se grande nella Scienza Nuova è la parte del l'uomo e di Dio che fuungran
passo do poche il Bossuet in Dio solo s'era affisato ), la parte del non-me o
della Natura è nulla , o incerta e poverissima; la qual cosa poi tanto crebbe e
ingigantissi nell'Herder per sual filosofia di quel tempo ,che l'uomo ne venne
presso cheschiavoallaNatura,ev'ebbeaperdereilsuoli bero arbitrio. Perciò questo
elemento tra l'altro devesi aggiungere alla Scienza Nuova;essendochè l’Uomo,Dio
e la Natura sono i tre obbietti alla filosofia , e questi stessi entrar
debbono,e in bell'armonia legarsi nella Storia, sesivorràch'ellasiacompiutae
perfetta,echearrivi a quell'idealesupremo cheil progresso della scienza ci
promette,e cheledotteedoperosefaticheditantichiari uomini del nostro vivente ci
fanno sperare non lontano Raccogliendo ora tutte le coseche inquesto secondo
periodo abbiam toccato ,diciamo che la Storia dopo di es ser nata artistica
vuol esser utile , indi vera , ed ultima mente filosofica; che questoavvieneper
l'obbiettoepelsub bielto , secondochè abbiamo or detto espressamente , or sol
tanto lasciato intravedere. Quanto alle vicende e al progressivo cammino della
Storia ,questo è il nostro pensiero. E qui porremmo fine al nostro lavoro se
tutti i lettori così fossero , li vorremmo. Ma ci ha di tali uomini , che non
san ve dere nei fatti che dissimiglianze e contraddizioni, e non si elevando
più che tanto, stringer non sanno più di due cose insieme, e non diciamo porre
un po' d'ordine e d'armonia in quel caos d'avvenimenti, ma nemmanco innalzarsi
a un sol pensiero, a un qualche men che vi la sen gran fatto. come noi cino
rapporto. Costoro certamente vorranno che tutta la Storia vadasi per cosi dire
a adagiare nel disegno che in fino a qui siam venuti delineando, e che d'ogni
Storico subito e chiaramente si possa diffinir la natura e 'l tempo del suo
venire ; e perocchè questo , non potendo essere non viene lor fatto, eccoveli
gridar tostoall'errore e al sistema : come se i casi valessero a romper le
regole, e come se negli uomini non fosse libero arbitrio , ed oltre alla
ragione non fosse la personalità del volere, la quale di quanto conturbi , e
modifichi , e arresti e affretti al l'idea il naturale e logico suo svolgimento
, non è chi non vegga. Per non dire che in alcuni storici la stima e l'imi
tazion dell'antico , in altri l'indole o le false opinioni o la povertà del
sapere son cause che sovente essi dienci parti fuori tempo ; e che ifatti
talvolta sembri che vadano a ritroso con le idee. E valga l'esempio delBotta
venuto troppo tardi per esser , com ' egli è , storico morale e p o litico.
Oltre di che alcuni , venuti nella intersezione di due periodi , e però
accogliendo quel che cade e quel che sor ge, hanno in quei loro scritti alcun
che d'indeterminato, il quale cosi n e asconde e sforma la vera faccia, che non
sapreste a quale specie di storici li dobbiate propriamente riferire. Cosi in
Livio vediamo a un tempo l'artistico e'l patriottico o politico e anche un po'
del morale , ed era mestieri per i tempi in che scrisse; in Sallustio ancora
l'artistico, ma il morale più determinatamente ; in Sveto nio quasi intutto il
positivo. Del rimanente il reale o quel che accade può ben rifermare , ma non
ha potere di con trastar l'ideale o quel che è: laonde se la nostra osser
vazione psicolologica è stata accurata,esatta e compiuta non ci si avrà a
contraddire , e le vicende della Storia quelle saranno , che abbiamo
fuggevolmente descritto.Giambattista Ajello. Ajello. Keywords: Roma antica
nella filosofia di Hegel. Refs: Luigi Speranza, “Grice ed Ajello” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51794314171/in/dateposted-public/
Grice ed Albergamo –
CROTONE – filosofia italiana – Luigi Speranza (Favara).
Filosofo. Grice: “Albergamo is a fascinating author – a very Italian
philosopher who can teach Lucrezio and the classics at the ‘gym,’ as they call
it, and yet survey the ‘storia delle scienze essate’ and the ‘storia delle
scienze empiriche.’ Alla Bridgman, he is into ‘the logic of the science.’ But
he can also define the ‘spirit’ in terms of ‘freedom.’ He has also analysed,
vis-à-vis- his interest in Galieleo and science, the very Italian idea (already
in Cicerone) of ‘super-stitio’ and magic – his approach to these matters is
phenomenological, which coming from Favara as he does, is understandable!”
-- Filosofo. e un pioniere della
filosofia della scienza in Italia. Nato a Favara, in provincia di Agrigento,
da Giacomo e Giuseppina Butticé. Suo nonno era un ricco proprietario di una
rinomata pasticceria di Favara. Il padre, ferroviere, fu trasferito prima a
Messina e poi a Palermo, portando con sé la famiglia. A causa di questi
trasferimenti, svolge gli studi liceali da autodidatta, conseguendo poi la
laurea in filosofia presso l'Palermo. Nel 1931, vinto il concorso a
cattedra di storia e filosofia, si trasferisce a Trapani, dove insegna al liceo
classico Ximenes, e dove sposa Maria Carmela Rizzo, da cui avrà quattro figli.
Insegna poi a Benevento ed infine a Napoli presso il Liceo classico statale
Vittorio Emanuele II, dal 1936 al 1967. Pressoché tutta l'attività
filosofica e didattica di Francesco Albergamo si svolge a Napoli, ed è
caratterizzata dal clima culturale molto vivo nella città di Benedetto Croce.
Come filosofo, si dedica a due principali linee di attività. La prima è
dedicata all'insegnamento ed alla didattica della filosofia, l'altra allo
studio del rapporto tra filosofia e scienza. In entrambe le linee, il suo
lavoro ha avuto una grande caratura culturale, e la sua personalità fu
considerata, nella città di Napoli, di grande spessore etico, per la generosità
e l'impegno che hanno contraddistinto la sua vita. Circa la prima linea,
il ricordo della sua attività didattica è rimasto a lungo nei tantissimi
giovani che hanno ricevuto una solida formazione filosofica di cultura laica,
razionale, liberale. Vero è che a Benevento, dove aveva insegnato per soli due
anni, gli è stata dedicata una strada che, significativamente, parte da
Piazzale Benedetto Croce per poi ricollegarsi a Via Francesco de Sanctis.
Al Liceo Classico Vittorio Emanuele tra i diversi allievi che si sono distinti
nel campo della filosofia e della cultura ricordiamo in particolare due delle
figlie di Benedetto Croce. Il suo nome è ricordato in una lapide dedicata alle
più illustri personalità che vi hanno insegnato, tra cui Giovanni Gentile.
Oltre all'insegnamento nei licei, è stato libero docente di filosofia teoretica
presso l'Napoli, dove ha svolto una intensa attività di corsi e
conferenze. Con i suoi manuali di storia della filosofia, e con numerose
pubblicazioni dedicate ai licei, FA costituisce un importante punto di
riferimento nella didattica della filosofia a livello nazionale, prima per il
classico e poi anche per lo scientifico. Una notevole attività è anche dedicata
alla formazione dei docenti di filosofia, con numerosi articoli, pubblicazioni,
corsi e conferenze. L'altra linea di attività, quella dedicata allo studio
del rapporto tra filosofia e scienza, si snoda lungo un arco di tempo molto
vasto, che va dall'inizio degli anni '30 fino alla sua scomparsa. I risultati
sono confluiti nella pubblicazione di importanti saggi filosofici. Di
formazione idealistica e kantiana, appena trasferitosi a Napoli, nel 1936,
instaura un rapporto stretto con Benedetto Croce, con frequenti visite e
colloqui nella sua abitazione a Palazzo Filomarino, guardata a vista dalla
polizia. Dalle sue lettere a Croce si evince un chiaro riconoscimento di
Croce come suo Maestro, oltre a forti sentimenti di devozione e di sincera
amicizia. In particolare, alla caduta del fascismo, esprime al Maestro la
sua "profonda gioia" perché "finalmente l'Italia comincia a
incamminarsi per la via maestra che le avevate additato", e prosegue poi:
"Gioiamo della gioia vostra e dei vostri cari: della gioia che ora, dopo
tutto quello che voi, giusto, avete sofferto, aleggia sulla vostra casa. Questo
rapporto si affievolisce a partire dai primi anni '50, quando più che la
filosofia fu la politica a provocare un allontanamento di Francesco Albergamo
dall'ambito crociano, per aderire progressivamente agli orientamenti ed alle
ideologie della sinistra e del marxismo. Già agli inizi degli anni '50, aderisce
al movimento dei "Partigiani della Pace", nato a Parigi nel 1949
sotto il simbolo della colomba della pace, appositamente dipinta da Pablo
Picasso,stringendo una forte amicizia con Lucio Lombardo Radice, Maurizio
Valenzi, Renato Caccioppoli, Ambrogio Donini e altri. Nell'estate del
1952 partecipò ad una delegazione in visita alla repubblica democratica
tedesca, assieme a Giancarlo Pajetta, Renato Guttuso, Francesco Flora. La
visita era, naturalmente, finalizzata a diffondere ed esaltare le "conquiste
del socialismo". Di ritorno dal viaggio, il Ministero dell'Interno dispose
il ritiro del passaporto, e quello della Pubblica Istruzione gli comminò una
ammonizione, come se avesse abbandonato il servizio senza autorizzazione,
mentre il viaggio era stato fatto nel periodo di chiusura estiva delle scuole.
Fu forse questo episodio, che Francesco Albergamo considerò una manifesta
soperchieria di stampo scelbiano, che lo indusse l'anno successivo ad
iscriversi al PCI, salutato da Togliatti con un cordiale telegramma di
benvenuto. Nel corso di tutti gli anni '50, partecipò attivamente alla
vita culturale e politica della città di Napoli, che in quel periodo era in
grande effervescenza. Il movimento culturale della sinistra napoletana non si
riconosceva pienamente in una ideologia, come afferma Gerardo Marotta, "ma
si fondava su un dibattito filosofico che traeva i suoi succhi da un corale
sforzo di comprensione del proprio tempo. Il dibattito raccoglieva e
valorizzava l'eredità culturale degli illuministi e degli hegeliani napoletani
del secolo precedente, attingendo alla lezione storicistica meridionale che va
da Vico a Croce, passando per F. De Sanctis e G. Salvemini, e collegandosi poi
al pensiero di Antonio Gramsci. L'Albergamo partecipa con conferenze che
venivano organizzate dalle associazioni culturali napoletane tra cui
"Cultura Nuova" ed il "Gruppo Gramsci", ed accetta, sia
pure a malincuore, una candidatura del PCI alle elezioni comunali di
Napoli. Il problema del rapporto tra filosofia e scienza viene visto in
termini di nuovi modi e nuovi contenuti per la didattica delle scienze e della
filosofia. Tra i primi in Italia, ed in aperta polemica con la scuola crociana
ed il clima dominante, Francesco Albergamo avverte i rischi, per lo sviluppo
della società italiana, di una cultura prevalentemente classica: Con la seconda
rivoluzione industriale che è in atto in tutto il mondo, noi italiani non ci
possiamo permettere il lusso di rimanercene ancorati ad una cultura
prevalentemente classica ed umanistica." L'Albergamo lavorò con la
passione di una intera vita, fino a pochi giorni dalla sua morte. L'ultimo suo
scritto uscì postumo su "Critica" marxista. In seguito alla sua
scomparsa il quotidiano comunista L'Unità dette notizia della sua scomparsa con
un lungo saggio. Possiamo, per semplicità di esposizione, dividere l'opera
dell'A in tre periodi. Nel primo periodo, il pensiero dell'Albergamo si muove
nel quadro di una concezione filosofica di tipo idealistica, dominata in Italia
da Croce e Gentile. Tuttavia, più che alle tematiche tipiche
dell'idealismo, è interessato ai problemi nuovi che si pongono al pensiero
filosofico a causa dello sviluppo impetuoso della scienza nel novecento, in
particolare nei settori della fisica relativistica e quantistica, della matematica,
e della biologia. Albergamo precorre, in una prospettiva idealistica, la
necessità di un dialogo costruttivo, osmotico, della filosofia con le
particolari discipline scientifiche ed empiriche. Nel primo lavoro
scientifico (1), richiamandosi all'insegnamento di Kant, sostiene che la
scienza, come esperienza dell'attività dello spirito, è resa possibile dalle
forme trascendentali. Tuttavia, sostiene l'Albergamo, gli sviluppi più recenti
della matematica (geometrie non euclidee, matematiche non archimedee, gli iperspazi,
ecc.) e della fisica (teoria della relatività di Einstein, meccanica
quantistica, principio di indeterminazione di Heisenberg) provano la
contingenza di tali forme trascendentali, . Affronta anche il problema,
fortemente dibattuto, dell'alternativa tra determinismo ed indeterminismo, e
perviene alla conclusione che anche l'alternativa indeterministica sia
egualmente legittima: la conoscenza scientifica può essere costruita anche se
si ignora il principio di casualità e si finge che i fenomeni si succedano a
caso, secondo le leggi matematiche della probabilità. Queste tesi originali
furono apprezzate e commentate , all'epoca, da diversi filosofi italiani, tra
cui C.Ottaviano, Aliotta, ed altri, fino a pervenire ad una ampia esposizione
della problematica filosofica connessa alla scienza del novecento. Il saggio La
critica della scienza nel novecento", pubblicato in prima edizione nel
1942 e poi più volte ristampato fu giudicato "assai pregevole" da
Croce. Di questa opera, Guido De Ruggero scrisse che essa "offre una delle
più efficaci sistemazioni speculative che io conosca delle vedute
pragmatistiche della scienza, compresa quella del Croce alla quale più strettamente
si connette. L'ambizione dell'Albergamo, che traspare chiaramente nei diversi
spunti critici nei confronti dei limiti dell'idealismo nell'affrontare il
problema della logica della scienza, è quella di "costituire una
confutazione dell'idealismo per via dell'idealismo stesso. In altre parole,
vuole in qualche modo superare la concezione che relegava la scienza nel limbo
degli "pseudoconcetti", per dare piena legittimità ai processi
conoscitivi, sia delle scienze esatte che delle scienze empiriche, restando
comunque ancorato all'idealismo. Benedetto Croce in qualche modo accetta
e favorisce la ricerca di A, giudica "assai ben pensato e ragionato"
il suo lavoro, ma rimane rigido nell'accogliere la storia della scienza come
parte integrante della storia della filosofia. Finito il periodo bellico,
l'attività dell'A si sviluppa poi in una serie di opere in cui
sistematicamente, ed in un quadro storico, vengono trattati i problemi della
logica delle scienze esatte e della scienze empiriche. In questo periodo A,
dirigendo per l'editore Laterza una collana di scrittori di teoria delle
scienze, propone alla cultura italiana la conoscenza di importanti pensatori
d'oltralpe, come Poincarè, Bergson, Bachelard, ed altri. Il secondo
periodo dell'attività di Francesco Albergamo può datarsi attorno ai primi anni
'50, ed è caratterizzato da un progressivo allontanamento da Croce e dalla sua
scuola, dovute alle difficoltà dell'Albergamo a trovare un pieno accoglimento
delle sue tesi sulla scienza, ed anche, in qualche misura, a diverse
valutazioni politiche. L'esigenza di Francesco Albergamo era quella di
dare piena legittimità filosofica alla logica del pensiero scientifico. Per
raggiungere questo obiettivo, era necessario operare un
"capovolgimento" dialettico nel rapporto Natura-Spirito della
filosofia crociana, allo stesso modo in cui Marx aveva operato nei confronti di
Hegel. Per Albergamo infatti "spiritualismo e materialismo costituiscono
in realtà una opposizione dialettica, nella quale di continuo ognuno dei due
deve vincere la resistenza opposta dall'altro... come già nella dottrina hegeliana,
così anche quella del Croce esige… un "capovolgimento", in maniera
che il suo oggetto…trovi proprio nel suo opposto la condizione per vivere e
svolgersi. Nel terzo periodo di attività, a partire dal 1967, quello della
massima maturità ed originalità, affronta una analisi sistematica delle forme
di "pensiero prelogico", inteso come "pensiero che,
spontaneamente, senza alcuna riflessione logica, veniamo indotti a formulare
per una suggestione tanto irresistibile quanto inconscia che inibisce la nostra
intelligenza. Analizza con grande attenzione tali forme di pensiero, sulla base
dei risultati e delle osservazioni di etnologi ed antropologi (da Frazer a
Levy-Bruhl, Levy-Strauss, H. Kelsen, ed altri), oltre che dei risultati della
scuola psico-analitica, da Freud a Cesare Musatti. Analizzando questa
poderosa base di osservazioni sperimentali, perviene ad individuare i
principali meccanismi della prelogica: automatismo associativo, intuizione
animistica, inibizione dell'intelligenza ad opera del sentimento. Vengono
così portati alla luce della consapevolezza quei processi inconsci ove si
generano mito e magia. Le molteplici e diverse credenze mitiche e
magiche, con la loro uniformità di struttura e le loro coincidenze spesso
sorprendenti, sono interpretate come il risultato di un automatismo psichico
inconscio, che persiste pur attraverso le situazioni storiche più
diverse. La tesi dell'Albergamo è che tali forme prelogiche, che sono
alla base dei miti, dei riti, e delle pratiche magiche dei popoli primitivi,
lungi dall'essersi esaurite con il progredire del pensiero scientifico e
filosofico, sono presenti in maniera diversa, non solo in età infantile ed in
alcuni soggetti psicopatici, ma anche nelle stesse persone colte, nonché in
alcuni ambiti dello stesso pensiero scientifico e filosofico. Accanto a questo
nuovo ed affascinante filone di ricerca, si intensifica l'opera di educatore,
con decine di opere destinate alla scuola, manuali , antologie , trattati,
nonché da studi e pubblicazioni sulla didattica delle scienze e della filosofia
degli scritti di Albergamo. Opere: “Saggio
di una concezione filosofica della scienza” (Napoli, Loffredo); “Disegno
storico della filosofia ad uso dei licei classici e degli istituti magistrali” (Milano,
Sig.); “La tesi finitista contro l'infinito attuale e potenziale” in Atti della
Società Italiana per il Progresso delle Scienze; “La filosofia di Spir”, in
Annuario Liceo Vittorio Emanuele di Napoli); “Critica del concetto di
infinito”, in Annuario Liceo Vittorio Emanuele di Napoli, “L'Italia di Augusto
e l'Italia oggi” in Augusto. Celebrazione nel bimillenario augusteo, a cura del
R. Provveditorato agli studi di Trapani, Trapani); Cura di I. Kant, Prolegomeni
ad ogni metafisica futura che vorrà presentarsi come scienza” (Bari, Laterza);
“Il criticismo kantiano e la scienza moderna” (in Atti della Società Italiana
per il Progresso delle Scienze); “Kant e la scienza moderna, in Archivio della
Cultura Italiana, “Le basi teoretiche della fisica nuova” (Padova, Cedam); “Filosofia
e biologia, in Sophìa; Recensione di A.V. Geremicca, Spiritualità della natura,
Bari, Laterza, «Sophia», “La critica
della scienza del Novecento” (Firenze, La Nuova Italia editrice); “Lo spirito
come attività creatrice” (Firenze, La Nuova Italia editrice); “Il concetto di
realtà e le scienze empiriche”, in Ricerche filosofiche. Rivista di filosofia,
storia e letteratura, n. unico; “Vitalismo e meccanicismo nel secolo XX”; in
Rivista di Fisica, Matematica e Scienze naturali; Versione, studio introduttivo
e note di G. Berkeley, Trattato sui principi della conoscenza umana” (Verona,
La Scaligera); “La matematica nella critica della scienza contemporanea, in
Sophia, L'ordine nel mondo degli oggetti, in Logos, Recensione di A. Marzorati,
Spiritualismo, Milano, Bocca, Sophia», La natura: Saggi filosofici, Verona, La
Scaligera); “Croce critico della matematica, in Rassegna d'Italia; “Storia della
logica delle scienze estate” (Bari. Laterza); “Traduzione, studio introduttivo
e note di H. Poincaré, Il valore della scienza” (Firenze, La Nuova Italia); “La
scienza nell'antichità classica, in A. Padovani (a c. di), Antologia filosofica,
Milano, Marzorati); “Traduzione, introduzione e note di H. Poincaré, La scienza
e l'ipotesi, Firenze, La Nuova Italia, Cura di La scienza nell'antichità
classica. Antologia filosofica, Como, Marzorati); “La scienza nel Rinascimento,
in Grande antologia filosofica, XI Scienza, natura e storia in Gramsci, in Società;
Introduzione a S. Laplace, Saggio filosofico sulla probabilità, Bari); “Cura e
introduzione di G. Bachelard, Il nuovo spirito scientifico, Bari, Laterza (Nuova
ed. riv, L. Geimonat eRedondi, Bari, Laterza). Storia della logica delle
scienze empiriche, Bari, Laterza); Le scienze naturali nella filosofia di
Croce, Bari, Laterza Il pensiero scientifico contemporaneo. Antologia storica; Le
scienze esatte e le scienze fisiche; Le scienze naturali, Firenze, La Nuova
Italia); Il pensiero scientifico nell' 800 e nel Questioni di storia contemporanea);
“Il millesimo anniversario della morte di Avicenna, in Rinascita, Il valore
teoretico della matematica, in Atti del Congresso di studi metodologici, Torino,
Torino, Introduzione a J. W. Goethe, Scienza e natura. Scritti vari, Bari,
Laterza); “presentazione di A.V. Geremicca. Prefazione a A.M. Frankel, Le
scienze naturali nella filosofia di Benedetto Croce, Bari, Laterza); “Cura di
E. Bergson, L'evoluzione creatrice, s. i. t., Mazara (Trapani) Le scienze nella dottrina crociana delle
categorie, in E FLORA (a c. di), Benedetto Croce, Milano, Malfasi Editore, La
critica della scienza oggi in Italia, Roma, Perrella); “Il dogmatismo religioso
contro la libertà e l'autonomia della scienza, in Il Calendario del popolo, La
vita nella dialettica della natura, in Società,
Recensione di S. Timpanaro, Scritti di storia e critica della scienza,
con una avvertenza di Sebastiano Timpanaro jr. (Firenze, Sansoni «Belfagor»); Recensione di C. Luporini, La
mente di Leonardo, «Belfagor», La geometria di Euclide non è la sola possibile,
in Il Calendario del popolo, Scienza e filosofia di Einstein, in Rinascita, Recensione
di H. Reichenbach, I fondamenti filosofici della meccanica quantistica,
«Società», Introduzione alla logica della scienza” (Firenze, La Nuova Italia);
“I rapporti tra la filosofia e le scienze nel liceo scientifico, in Convegno
nazionale di studio sulla didattica della filosofia I Licei e i loro problemi, Intuizione
e ragionamento nella matematica, in Atti del Convegno Nazionale "La
didattica della matematica nella scuola primaria", Roma, Matematica e realtà, in Società, “La teoria dei quanti nelle interpretazioni fenomenistica:
del Reichenbach”; in VIII Congrès International d'histoire des sciences, Florence
Milan, I, Paris, Direzione della sezione ‘Scienze’ del Dizionario Bompiani
degli autori di tutti i tempi e di tutte le letterature e redazione delle voci:
Albert Einstein, Luigi Galvani, Hendrik Anton Lorentz, Edme Mariotte, Carlo
Matteucci, Emile Meyerson, Hermann Walther Nernst, Julius Robert von Mayer
Storia della filosofia per i licei scientifici, voll. 3, Padova, Cedam, Sopravvivenza
della prelogica nel pensiero scientifico e filosofico, Stabilimento Tipografico
G. Genovese, Napoli, estr. da «Atti dell'Accademia di Scienze morali e
politiche della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli», Cura di A. Einstein, Filosofia e relatività,
Palermo, Palumbo, Pensiero e attività educativa nel loro corso storico, va.
Palermo. Palumbo; La natura: Saggi filosofici, Bologna, Patron); Fenomenologia
della superstizione, Roma, Editori Riuniti); Mito e magia, Napoli, Guida); L'educazione
scientifica, Milano, Vallardi, estr. da La pedagogia. Storia e problemi,
maestri e metodi, sociologia e psicologia dell'educazione e dell'insegnamento,
diretta dal Prof. Luigi Volpicelli, La ricerca umana. Storia della filosofia,
Palermo, Palumbo Problemi del pensiero.
Guida interdisciplinare per lo studio della storia della filosofia, Palermo,
Palumbo, La teoria dello sviluppo in Marx ed Engels, Napoli, Guida, Lo
strutturalismo di Claude Lévi-Strauss, in Critica marxista; Lo sviluppo
dell'Antropologia culturale, in Genus, La "Storia del pensiero filosofico
e scientifico" di Ludovico Geymonat, in Critica marxista, Il pensiero
filosofico e scientifico nell'antichità e nel medioevo, Napoli, La Città del
Sole (rist. del testo del 1963, con aggiunte di A. Gargano). Il pensiero
filosofico e scientifico in età moderna, Napoli, La Città del Sole 2006 (rist.
A. Gargano). Il pensiero filosofico e scientifico nell'età contemporanea,
Napoli, La Città del Sole (rist. A. Gargano). Fonti Fondazione Croce, Napoli
Lettere tra Croce e Francesco Albergamo e di Albergamo a Codignola, Gentile,
Ottaviano e Sciacca, In Giornale critico della filosofia Italiana settima
serie, XIV anno XCVII, fasc.I gen. Apr. Due lettere inedite di Croce a
Francesco Albergamo,in Rassegna Storica Salentina, La Veglia ed. Carmelo
Ottaviano, Recensione al Saggio di una concezione filosofica della scienza, in
Sophia, a.V n.3, luglio –sett. 1937, pp300–303 A. Aliotta, Recensione al Saggio
di una concezione filosofica della scienza, in Logos, R. Mck, Recensione al
Saggio di una concezione filosofica della scienza , in Journal of
Philosophy, 3Profondo cordoglio per la
scomparsa del compagno Albergamo, L'Unità, G. Marotta, Renato Caccioppoli, la
Napoli del suo tempo e la matematica del XX secolo, Napoli, la città del sole, Lettera
di F.Albergamo a M.F. Sciacca, 2Centro Internazionale i Studi Rosminiani,
Stresa, citat. Francesco Albergamo. Albergamo. Keywords: Crotone, il finito e l’infinito,
idea de la scienza, scientia, la scienza italica, la scuola di Velia, la scuola
di Crotone – la scuola di Girgentu – scienza naturale – scienza fisica – fisica
– fisica filosofica – scienza umana – scienza esatta – scienza empirica – anti-finalismo
– meccanicismo, galelei, il liceo classico, prmenide, zenone – la scuola di
crotone – girgentu – empedocle e i fenomeni – l’entita matematica alla scuola
di Crotone, disegno della storia della filosofia ad uso dei licei classici –
liceo classico – liceo scientifico – Benedetto Croce – carteggio
Croce/Albergamo – la logica della scienza – la non-sicenza, mito –
superstizione – animismo – l’italia nei tempi di Augusto ed oggi – la critica
della scienza in Italia oggi – lo spirito – lo spirito come liberta creatrice –
meccanicismo e vitalismo – il kantismo – la filosofia della scienza – la
metafisica – la filosofia nell’eta fascista – saggio filosofico sulla scienza –
la natura – saggi filosofici -- saggio
su una concezione filosofica della scienza – scienza della natura – pitagora e
la scienza della natura – fisicismo – naturalismo -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice ed Albergamo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51794412383/in/dateposted-public/
Alberti (Bologna).
Grice: “I like [Leandro] Alberti; his “Tutta Italia” is a must; his claim to
fame is to translate from Roman to Tuscan (no big deal there) what is deemed
the first ‘daemonological’ tract – Mirandola used ‘ludificatio,’ which was
vastly translated as ‘inganno’ or by Leandro as ‘illusioni’ – which has echoes
with Descartes’s malignant demon hypothesis and my “Some remarks about the
senses”!” – ‘Filosofo. Nato da Francesco Alberti, di origine fiorentina,
fu condotto agli studi umanistici dal noto medico e umanista Giovanni Garzoni.
Entrato nell'Ordine domenicano nel 1493, studiò teologia e filosofia con
Silvestro Mazzolini da Prierio continuando tuttavia a coltivare con il Garzoni
i propri interessi umanistici e storici. De viris illustribus,
Bologna 1517 Il primo risultato dei suoi studi fu il contributo che egli diede,
in soli 18 giorni, alla stesura dei De viris illustribus Ordinis Praedicatorum libri
sex in unum congesti, opera collettivacon il Garzoni, il Castiglioni, il
Flaminio e altridi biografie di domenicani, stampata a Bologna. Nel 1521
tradusse dal latino in volgare la Vita della Beata Colomba da Rieto
Tenuto al dovere della predicazione, fu «provinciale di Terra Santa»cioè
compagno nelle predicazioni itinerantidel maestro generale dell'Ordine, Tommaso
De Vio e del successivo maestro Francesco Silvestri: con quest'ultimo percorse
tutta l'Italianell'ottobre del 1525 era a Palermo e la Francia dove, a Rennes,
il 19 settembre 1528 morì il Silvestri. È poi attestato, a Roma, prendere parte
al capitolo generale nel giugno del 1530. Negli immediati anni successivi
rimase nel convento di Bologna, dove commissionò a fra' Damiano Zambelli le
decorazioni da eseguirsi nella cappella dell'Arca di san Domenico e i
bassorilievi eseguiti da Alfonso Lombardi, questi ultimi pagati dalla città
dopo la richiesta in tal senso avanzata dall'Alberti. In quest'occasione
scrisse un opuscolo sulla morte e la sepoltura del Santo, il De divi Dominici
Calaguritani obitu et sepultura, pubblicata nel 1535. Un'altra sua operetta, la
Chronichetta della gloriosa Madonna di San Luca, fu pubblicata nel 1539 ed ebbe
altre edizioni accresciute dal contributo di altri autori anonimi. Il 20
gennaio 1536 fu nominato vicario del convento romano di Santa Sabina, un
incarico che non dovette prorogarsi per più di due anni, giacché dal 1538 è
sempre documentato a Bologna. Fu anche inquisitore di Bologna probabilmente dal
1550 al 1551 o al 1552, anno della sua morte. L'opera più importante
dell'Alberti, dedicata ai sovrani francesi Enrico II e Caterina de' Medici, è
senz'altro la Descrittione di tutta Italia, pubblicata a Bologna nel 1550. Ad
essa seguirono in ottanta anni altre dieci edizioni a Venezia e due traduzioni
latine a Colonia: nell'edizione veneziana del 1561 si aggiungono per la prima
volta le Isole pertinenti ad essa, mentre quella del 1568 è arricchita dalle
incisioni di sette carte geografiche. Opera di geografia e di storia, ricalca
in gran parte la Italia illustrata di Flavio Biondo, ampliandola e
migliorandola nell'esposizione e nella citazione delle fonti, ma mostrando
scarso spirito critico, attenendosi egli «ai dati dei geografi antichi o, per
la parte storico-antiquaria, ad autori moderni di dubbia attendibilità come
Raffaele Volterrano o Annio da Viterbo: e solo quando vengono a mancare testi
precedenti ricorre a elementi di più diretta esperienza [...] parimenti nella
critica storica preferisce riferire insieme le differenti versioni, anche di
tempi e di valore molto diversi, senza prendere posizione». Opere: “De viris illustribus ordinis praedicatorum
libri sex in unum congesti” (Bologna); “De divi dominici calaguritani obitu et
sepulture” (Bologna); “Historie di Bologna”; “Libro detto Strega o delle
illusioni del demonio”; “Descrittione di tutta Italia, nella quale si contiene
il sito di essa, l'origine et le Signorie delle Città et delle Castella” (Bologna);
“De incrementis dominii veneti et ducibus eiusdem” (Lugano); “De claris viris reipublicae
venetae” (Lugano). Universal Short Title Catalogue, Scheda delle opere di
Leandro Alberti. Così scrive egli stesso: De viris, c.A. L. Redigonda, “Liber
consiliorum conventus Bononiensis, Archivio del convento di San Domenico,
Bologna. A. Battistella, Il Santo Officio e la Riforma religiosa in Bologna,
Bologna, G. Roletto, Le cognizioni geografiche di Leandro Alberti, in
Bollettino della Reale Società geografica italiana, Abele L. Redigonda,Dizionario
biografico degli italiani, 1, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Descrittione di tutta Italia in Il Genio
Vagante, Bergamo, Leading Edizioni, Massimo Donattini , Il territorio emiliano e
romagnolo nella descrittione di Leandro Alberti, Bergamo, Leading Edizioni, Michele
Orlando, La Puglia nell'odeporica domenicana di fra Leandro Alberti, in Rivista
di Studi italiani, ora al sito rivistadistudiitaliani La Puglia, introduzione e
note al testo dalla Descrittione di tutta Italia, Michele Orlando, UNI Service,
Trento, Liber Liber. Opere di Leandro Alberti, su open MLOL, Horizons Unlimited
srl. Opere di Leandro Alberti, Leandro Alberti, in Catholic Encyclopedia,
Robert Appleton Company. Descrittione di tutta l'Italia su culturitalia.uibk. ac.at.
LA STREGA; OSSIA, DELLE ILLVSIONI DEL DEMONIO. Dialogo composto dall’illustre e
molto dotco Prencipe Segnore Giovanfrancesco Pico della Miradola, segnore e conte
della Concordia, volgarizzato dal Ven. P. F. Leandro dell’Alberti, Bolognese, dell’ordine
de predicatori. LE PERSONE PARLANO. APISTIO -- FRONIMO -- DICASTO -- STREGA .
APISTIO. FRONIMO. Dimmi do juevacola cosi infreta caminando per la piazza ove
vendon sil herbe tanta moltitudine di popolo. FRONIMO. No loro, ma andiamo anche
noi un puoco, accio intedia mola cagione di tanto concorso, conciolia che puoco
di no potra esserela perduta di puochi passi. APISTIO. Noi in ver un
luogo. FRONIMO. Di quale augello ragioni tu en. APISTIO. Della strega. FRONIMO.
Tu giuog h i he Apistio. APISTIO. Pensa purche quello ho detto I ho detto no per
givo con e periscrizzo, ma da dovero Conciosia che debbia esser molto aggrado a
ciascun huomo, ma maggiormete alli gentili e curiosispiriti, di
conoscerequello, loqualeno hamaicon osciutolaantiquita. FRONIMO. Dunque
tuteaffas tichi diuuolerintendere quello chenon ha inteseuerunos APISTIO. Dunque
il timitacheiovogliammi persuadere diconoscerequello che non mai hanno volute
conseffarede haue r e intero li huom n i gradi e molto litterati, e pur se l’ha
a veranno inteso non appareinuer un luogo. FRONIM. Chi co far. APISTIO. L.oaugello
Strega. Béchegiahabbia lettot CollaliinfamelanotturnaStrega.E coficonfeffadino
sapere, di qualeger nerationedeucceglistalastregha. FRONIMO. Affaimi meraueglio
chefendo tu molto dotto nelli Poeti, ficomea mepare cunonhai lettocomeeraconsuetudinenellitem
pianti chi di esserscacciatofuoridelleporte & uscileftreghe cosa che
seraanoi aggradeuole, perche sepuotra comput: tare in uecediuiuandenel
pranso,quandoritornaremo. E forsi anchora ser amolto piu utile cosa chenon
sapiamo, intendendo qualche nuouo secreto. Conciolia che am e pa
te,etragioneuolmére istimo,fiapresa una Strega etiuieffer douecorre peruederla
tantamoltitudinedipopolo.mesco T a t o c o n li fanciulli. APISTIO. Habitano in
questi luoghi le streghe? O cercamente non mi serebbe grave di caminare
diecemiglia, peruederle. FRONIMO. Hor su, sea dunque non m a i uedeftiueruna, forfihora
fara satisfacco alla tua cu. riosauoglia. APISTO. sepur accadesse cheiopoteffi
ci trovare coteftoaugellodam e contantodesiderio cerco,eno giamai citrouato
Meftitia augurio infaufto edanno efpresso Peggio chel bubo annontia porge, etlega.
Anchorpurhouedutonellantichemaledittionifusknomi
nalalaStrega.Machecofasiaquella ediqual naturanon
ficouiene.EtiftimaPliniochesiaunafauola,quello cheers scritto deltelitreghecioe
che asciuccaueno collelabbra le p o p e delli fanciulli Da
uiciaticorpiaforzaegreffo. Er egliecoteftoluto offeruato pinsino dalli Heroici
tempi.' Quellecosemimoueno che sono venuti nellithalamieca. mere delli Proci, o
siano delli lascivi e molto libidino f i buo, m e n i cosidicendo Ouidio . Procàildimostraqualesiaqueftoangue
Chere-laceratoda questoanimale, Aforbeilsanguelaftregainfelice, Delle
Streghe gia preda fortelangue, Puoco iluagitofanciullefcouale, Et chi ederspello
agiuto allanodrice. bb ii conuna uergadispinobianco,ecome hannoqueda natu.
ra,chesonobråminosiucceglicon ilcapo grandeliocchi
fermi,ilbeccotoruo,epartedellepennecanute.colunghie
rampinate,eperciocolisuolenoefferechiamatepercheha n o confuetudine di Atridere
nella spauenteuole norte. Hor tu uediilnomela cagione diello,lanaturadiquella
&ancho talafigura comeegliestaraifcrittadalliantichi. APISTIO. Ben intendo
quelloturaccolima forsi sonodidiuersemanie re e generationi cotefte ftreghe,edi
differente natura,c o n cioliachefedice,comenon fuccianocollelabralepopedi
fanciullini, ma ch beueno ilsangue.Ilpche cofidiffe Ovidio Di notte ai fanciulliniuola
spesso Empiendo il petto dellionoffiosangue Siprefto conlalinguainfatiabile,
Chelsoccorso opportuno effernon lice: N o
paionoatecoteftiofficiifrafedellestreghe,tanto diuer Se nontidimoftranouaria&
anchorcontrarianaturaecó ditioner Erano ragioneuolmente da
efferiftimatiquelliaus gel li misericordiofi, liquali faceuano Ifficiodellanudrice,
ma quefti sonodaesserreputatigrandemêtenoceuoliema kegni dalli quali sono occisi
li fanciullini havendoli bevuto il sangue.FRONIMO. Iotediro'ilueroaniipaionopiupre
ftociascunadiquestecosefauolė,che altro.Mapurseuisiri trouaqualchecosadiueronellafauola
iopenso chenosias nonatiquelliaugelline anchor che se ritrouano nell’inerf.
Chalquinto giorno depuo fuo natale Perche quelli fallititolieuerfifiguranola
uecchianelliuc.. celli.Mabenpensofuflifattoquesto conloagiutodelliDe.
moniiiniquiemalederti cio echeliancidentiaugellihora appareuono in una forma
della nodrice ethora dellainlidia triceE. questomaggiorméte am e lofa credere
percheildi monio insegno il gioueuolerimedio contro delleincantas
tioniemaleficii,perliqualieranoligatelementi delli huo . mincio n inganni,econ
bugie,dicédofeefferGiano,uuole uachetreuoltetoccaffilioconlarburafrödaleporteetuscii
cioeconlafrondadeunoalberosimilealcitrono &treuol tesegnandocon dettafronda
le pietre chesono sottolain trata delluscio, bago ando la intrata con l’acq ua
, e com i m a d a gaanchorsefaceslino dell’altre cose che non erano sagre, ma
anzi a b omine uoli sacrileg i i e p o rtéri, Bé che anchor de quelle confedica.
Se poil infanti per la nocte oscura Vesla ecilsangue elucca con l’esperti
Labrila Strega,etintalmodo leindura. Cosine tempinoftrihannoconsuetudinedifare
le streghe, quando se narra che sono portare al giuoco di Diana. Guaftas no
nellecune lifanciullininuouamente natiche piangono,
dipoiincontinentiledanoligioueuolirimedi.Liquali, co m e
ainepare,fonoinloroarbitrioepoßianzadi doucrlida re. Imperhomeritamenteegliederiuatoquestonome.Ca
ciofia che queste crudeli e bestiali femine lequali cometter no tanta
scelerita,anchorda noi cosicome dalliantichi có. uenientemente sono chiainate
streghe. APISTIO. Hammi parccute inganni Fronimo pariméte inlieme con
moltialtri,cte dendo efferuero,quello chescioccamentediceiluolgo,cio eche
fononoloche feminuzze,lequaliuolanonellamezza notte alliconuiti, et alli delette
uoli piaceri carnali delle L e muriofianodellispiritidellaoscuranottee che
coteftefer minuzze guastinocon incantilifanciulli.FRON .Meglio potreste parlare
Apiftio.Conciosia che non mai fe debbe di re
checoloroerrano,liqualiapertamenteracontano quello che hanno con locchio
dellaragionechiaro e manifeftono puochihuomeniben docci, &
amaeftraticólacõținuaprati 1 caet . sa
etanchorfonoomatidebuonicoftumieuertuti. APISTIO. Io ti prometto
cheno'e-maiftatopossibiledieffermiper fuafo queftoche tu di percoralm o d o che
lhabbia creduto. FRON.Per qleragione,no teha poffuropsuadeiuecuno A PIST. Per
que f t ca , i n e che pare una cosa da ridere, come fiapoffibicleh e fattoun
cerchio et unto il corpo conno fo che unguento,in un'certo m o d o
erdettepoicecceparole coun no fochemormorio fecógiúganodettefemenuzze
incontinéte colli demonii infernali e che caualcanodinot. te souradiunolegnodettoGramitaconilqualesifuolecal
fecrareillino,elacanoua oyerosaliscanosouradiunacaura o diuno beccoo
diunomoncone,esiano portateper aria, eche trapallino li Spatji delli'uenti e
ricrouanfe alli cantie ballidi Diana,ediHerodiade, E cheiui giocano,mangio no
beueno,epiglianolasciui piaceri- Puruoglioanchorago giungere un altra cosa
cioechenonseaccozzanonelparla. re,ficomeho inteso conciofiache alcune dicono
efferpors tate moltoinalcoperaria, eraltrediconoappo diterraalcu ne
confeffanodiandaruifolamente con la imaginatione e noncon
ilcorpo,epoifermarsisouradellagodi Benacoo Hadi Garda, nellialtiffimimonti, vero
e chemolto m i m e raueglio chenondicanodiefferefermatefouradellacima delmõte Micalainsiemecon
Thalete overo sula cima del Mimante siano poste a caminare con Anaslagora, Ilquale
c -u n n o n t e n o n guar i d i s c o s t o d a Colophon e da continue neui affediato,
dacuife conoscelatempeftadebbe venire. Altrecacótano de esser portate allo albero
di Benevento det tolanuce,rebême arricordo.Ma qualee la cagionenosi fermano piu
presto nelterritoriodi Arpino piu vicino (fico/ me io penso) alla nostra regione
coueroportate alla Quer zadi Mario,etanchorfeno leparefaticadiandarepiudiß
costo perchenon sono portate per infino nella Cheronea alla Querza di Alessandro
Dicesianchorache hannoamo rosipiacerecolli demonii che non sono congiunti colli
corpirei on oerro. Ma dimmi un puoco Apistio, che toccame ci possono esser cotefti?
Chepiacerisouerinche modo poffo no haueceamorosisolazziconqueftauana, efintaimagine, efeminedicarne.
Ho letto come le larve oʻsianolenuo's ceuoliombre dellanorię e dellinferno
pigliano piaceri colli' morti etche combatteno con effi, e no con liuiui. FRONIMO.
Dimmi Apistio, seiosciorco tutteletue ragioni, fico me spero consentirai. APISTIO.
Io ti prometto di cosenti re. FRONIMO. Egli e certamente cosa da huomo ragioneuole,
e di sano intelletto, dilaffarsi muouere 'e guidare dalle ragio ni effcnipij,etdalleauthoritatidelli
antichi,lequaligia sono con cómun sentimento confermate,edipoi quiuifermarsi ma
moltomaggiornéte-eropera di coluicheedigradeinna gegno,echeha lógo
temporiuoltolilibridellidoctihuome ni. Donqueseiocolletueragioniticonduceroa
cosentirea quello decuihoratenemenibeffe,chefaraipoi? APIST. Che faro: Vimetterolemani.
FRON .Pensocheancho , sauiinetteraiipiedi. APISTIO. Ma nongianelliceppi.
FRONIMO. Deh non hogiamaicercaměte pensato co testo. Vero-e. chebengrandemece desiderocuintédique.
fto,accione uenghinellamia oppenione, collipiedi, e cole mani, ficomedire
sisuole. APISTIO.lononfifiutoquello chesperi, e desideri,sefaraiquelloche
tudietprometti. FRON. A me pare perilragionarehauemofattocaminan
do,chetuseimoltodottonellipoetidelliGentili,etanchora affai siaornato
dePhilofophia. APISTIO.Il mio Fronimo diquestohoranomiuogliodareiluanto cioeche
beninte dali Poeti et fia dotto nelli parlari. C o n c i o f i a c h e e g l i
e m o l tomaggiorelacognitioneadouereintéderequelliper co ialmodo chesouerchia le
forze decoluiloqualearrogáte? mente alcunauoltaselauoglia attribuire, hauendopuoco
ftudiatoinesli, ethauédolipuocapratica. Ilpercheegliegra demente necessarioa
coluiauoleintendereefli poeti e philosophi, diconoscereetintenderenon
triuialmenree grossa, mente la l i n g u a greca e latina. Et anchore gli e
bisogno d i hauere ben intese lifecreti,esentimenti extratti fuori delle
crerario della philosophia. Delliqualisonoornatiebenue ftitili poeti
emaggiormente Homero. De cui,ho udito che fuillustratoetaddobbatocon
grandiCómétariidaAristo. tileetanchora dallialtriPhilofophidelladottaschuola.
Anchor c h o r h o i n t e s o c h e s e sforzo il Plutarcho con
uno molto grande libro di attribuire ogni scientia, ogni arte, e finalmente
ognicosadiuinaethumana,aquellociecoHomero.Ilperá cheionegoeffereinme
quellacognitione perfetta,sicome tudi,m a no nego
pechoesfermiessercitatoalcuna'uolta per piaceredellanimomio inleggere
quelli,licomeiocercaffi lacognitionedellelingue econquasileggermētebeuendo
qualchi amaeftramétigioueuoliallicostumi,etanchora ac c i o n o n fufli
riputato ignorante, fra li amici e compagni , o c curendola occafione.Cosi
senóho beutalargamétela philosophia, de cui se dice che -e nascosta in detti
author i a l m a c o (l i come di r e si suole). I h o t o c c a t a e gustat a
con l a l o m i t a dellelabra. FRONIMO. Io credochetusiaconduttonon dalla
arrogantia ne anchor dalla fimulatione,m a solamen tedallauerita.Laqualeuertu ecollocatadaAriftotelenel
m e z z o fra ğiti uitii.Imphoche dimostri di n ó effer ignorare ne
anchortutiuátidisapereognicosa. Ecosiquellecosehaj dettodellanotitia
ecognitióedellipoeti nó fon discoftodal lauerita. CóciosiachePlatoneetAristorelesonopieniditer
ftimoniidiHomero,diHefiodo di Simonide, Pindaro,E u
ripide,edellialtriPoeti.Ilpercheiodubbiro affaichetu lia molto dottonella
philosophia decui pare non molto inte diedimoftridinonsapere.E cosiho
istimationeche dis mostrarai molte cose chesonodategiamolto tempo con
gregateinfiemenelfinedenoftriragionamenti,lequalidi. mostrihoradino sapere.
APISTIO. Io te diro, come sono alcune cose che qualche uolraci sonofuto donare
dalla natura leaza uer uno studio o fiano uertuti, ouero altre cose,fi come prencipiidelleuertude.
FRONIMO. Non per que, Atosonomacatodallamia oppenionem a anzi hai tu posto inme
maggiore dubitatione con corefta tua risposta.APII STIO. Chehaicudetcos 'FRONIMO.Iohodetto,e
dir Co cbe ragionocon uno Philosopho.Vero eiche meglio allhoramicauaro
questafantafia,pigliando prencipio imi perho da quiui,cioe se uuoi promettere
di responde -- re a quellecose,dellęqualiho desideriode interrogarti,
perlequalihauemo comenciatodiparlare. ĄPISTIO.Io DELLE STREGHE 8
to matrimonio prometto de responderti liberamente. Horlu addimanda.
FRONIMO. Dimm i il mio Apistio, hai tu giamai letto in Omero che anda li e V l
y f f e alli Cime r i i s. APISTIO. Si. Et anchora ho letto in chemodo
andodaquella gére chefa ua nellaariacaliginofa.cioe che erasenzauiada poceruien
trareiraggidelsole.FRON .Dimmeseltepiace,checol lafeces. APIST. Hoaffaicole.FRON
.Nó leggiamoquel leparolediessoingreco,lequalihoraledicoinnoftrouolga' re
cosi.lo fu quello che cauai fuora allhora allhora ilcoltello
dellacosciasecominciaidicauareconilscarpellounafofla, allamisuradiun
gomito,indiequindiincerchioetancho
rainfundeililibamini,cioelifacrificii,colleumbresAPIS. Tu hai molto egreggianiétedechiarato
il sentimento,eno manco ageuolmente isposteleparole. FRONIMO. Credo habe
bilettono una uoltam a louéte ligiuochidiDiana,eliballi collecompagne
Nymphe.APIST.Eglieuero,etu non re inganniapunto.FRON
.Anchoriopensochetuhabbiri, uoltoquelli libri douesonoscrittiliamorosi
ragionamenti, erlafciuisembiatide Anchiseconlaimpudica Venere eco 1 ·me
fufferogeneratimolti Baroninellitempiantichidicote Atifallacietingánatori Dei. APIST.Etanchoraquestosper
seuolueholetto. FRONIMO. Tu debbisapercome queftimal uagi Dimonii ingannaueno
con merauigliosi huominicheerano deditialleopererufticaliepastoralisico me
eracommunamente lauitadi quelliliqualifurono rie trouati nelli tempi Heroici.CosianchoraingannoilD
e m o nioPeleo pastorepadrede Anchise,conciolia che effo fico me diffecoluilaffolagreggedelli
porcielarmentonógus cidiscosto dallemura inuna ombrosa ualle forto laimagin ne
dellaThetide dea marina.cosiiftimatadalle genti.Et ac
ciomancoseaccorgessedelfrodo glifuin SEGNATO dauno altro frodulento demonio uno
delli Capitanii Grecichiama to Proteo con il qualepigliarebbe There madre de
Achille la qualedimostrauafiincentofigure.Ma benuedieconfi dera uno
altrofrodo,con loquale grandemente inganno, cioeche non dimost.raua di uuolere
commettere iltupro, n e anche lo a d u t l e r ' o , ma fi n s e d i u g o l e
r e contra h e r e i l l e c i. di quelli to matrimonio, Loquale con suoiuersiegreggiamere
carito Hesiodo, ficomeseuedenellescritturede Greci.Ilpchepra babilméte
dicemoeffer da quiui deducto ,cioedallo effem . pio diHefiodo,loEpithalamiodi
Catullo.Ilche anchorr dimoftrailtenoredelverso,chiaramétedemostradoquella
ancica facilitaetquestodechiarailcontinuo e sollecito ftu diodi
CatulloiseguitareliGreci,pcotalmodo che ispreffe
leintegreElegiediCallimacho,alcunauoltarendedoilsen timentoetaltreuolteisprimendoleparole.Anchora
inganno per co t a l via il demonio facilmente Paride, focto figura di quelle ore
Dec. Il quale fi come scriffe Colutho Thebano nellibrodellapresadi Helena, nosolamentepafceualeper
corelle del suo padre, ma anchorli Tori, eptal modo feue ftiuadelleueftimente che
pareuàun rozzopaftore etigno fantebifolco. Le quali cose, ampiamente con sue
scritture quellolerecita. In questo modo fece inuisibile il Demonio quello
Lidio paftore regale,con lainuersapaladelloanel
lo.cioeconquellapartegiacesottolagemma,epretiofapic tra,ma ciuolta,conlaquale
Atupro ecomesseilpeccatocon la Řeina.Il perche pigliauono li Demonii uariee
diuerfe fi gure alcunauoltadelle Dee,che erano uolgate,altreuokic leformaucnoineffigiadelleterrestre
Nymphe efouerere presentauenolefiguredelle Dee marine.Epercheeracredu c o c h e
s e nascondessino, con il suo ingegno sotto le unde del e tacqua accio
puotessino effer ucdure etpiu fortemente abr bruggiare licuoridellimiserie
ciechj huomeni, ftauanoa p po delliprofondiluoghi dellacqua doue dicontinuoper
driuoltarediquellacuisiritroualacandidafpumaet iuipa teuafussero
appodellenodrici,doue eranonudrigateda güellet Anchora
appareuanocolleimaginifintedi nuvoli, fi c o m e fauolefcaméte raccontano
appareffe Giunone ad Tinone, De cuifingononascelliilsuppositi Coéraur . Cofifin
gono d i c o s t cu i i o c c ħ I f f i o n e p pieta di Giove fu f f i
trasferito ne cieli, e fussi fatto secretariodiqllo,etpõstoufficio hauefli
ardireditécareGiunonedelftupro la qualela mentadosicon Giove uimando ad Ilione una
nuuolaafimilitudinedi Giu donc. cn la qualegiacedoIrionc,ecredendosi dipigliare
co amorosi piaceri con Giunione, ne ebbe li centauri. A l e r i demonii
apparecchiaueno prestigiicioefalsedemoftrationi, illusionie
incantarioni,collequaliiogannauenolegenci, popoli, etinescaueriocondoppiafrodeilcozzouolgo,ecan
choralidorcihuomeni.Ecosinonlaflauauerunocoloreet imagine della diuinita (la quale
con diuerse menzogne e bugie sifforciava di usurparlaetafeattribuirla) conlaquas
le'noncostringeffeilcozzoetignorantesecolo,afarsiadora
re,etanchoraleciïauaconlalasciuia.Cóciosiacheeglie.cee to che anchora eglivergognasse
Diana,laquale fugeuadi amare lauerginita accioforfitirassiasesllihaueanoiodio
la fozza libidine. I dl e c u i gioco, havemo scoperto in di forccio del
demonio. EcosisottoilnomedellaLuna(laquale senza uetun dubbio chiamauefli Diana
)raccótaueno fuffi fuergognata da Endimione,eda Hippolyto licome dimot
AtraFirmiano,fotto il nome di Diana ilqualepensava pers r e n e s e a quel
luogo. E il nome di Virb i o c i o e di tre volte huomo elaleggemolto
diligétemente cercata,doue fedo ueffe ponere,elemani
medicheuolidiEsculapiocheporr Sino agiuto alle piaghe debbost credere fuffero
tutte queke lecose fauole etillusionidelliDemonii,epurfeuifuffe qual che
cosache pareffeinuero fuffiftara iltuttofedebbe pene
Sareesserefattoperartemagica delDemonio.Vero-e-che
Efculapioalfinefupoipremiatoconlamercede epremia
delliincantadoriche/elamiserabilemorte. Concioliache eglienarrato da
tuttiliantichiauthori,qualmente fuoce cisodalfulguro,benchefianouarieoppenioniperqualecat.
gione,e per quale sacrilegio, fufficosi crudelmente Occio. I APIST . Dice
Vergilio che cosifufliocciso, percherefufciso Hippolyco dalla morte.Nonfajcu
cheduolendoHippolyco fugire dauanti da Theseo suopadre infuriaro loquale cerca
uadeucciderlosendelifalsameceaccusatodallamadregna
Phedraetsendofalitosouradellacarretta e(pauêtatilicat ualliperlimoftrimarini,f icomenarra
Seneca, cadėdofuoci delcarroploimpito,etracciatoemorto,sendoitoneline ferno fu
resuscitato,efanato da Esculapio Veroie-chedice Plinioche
cosifuflipercoffodalfulgureEfculapioe r cagio
nediCastoreedipolucefigliuolidiTjidareRe di Oebalia quello che scrive Tertulliano, cioechefur
& arfo dal cielo Esculapio, perche biasimeuolmente hauea
effercitatolamedicina.E cosiritrouiamomolto maggior us
dietanellanarrationedicotefta cosa chenellamorte diR o molo.Maegliebenvero
checiascunodiloro,e-ftatoreferi, 20c computato fra gli Dei,benche coftui fuffe
uno ladrone, e quellaltroun mago erincantatore.Vero -e-chemoltopiu mimaraueglio
digildo, e cuihorauoglioraccotare,cioe che nó ben péfaflılifattisuoiquelgradehuomo,ilğleerasoftēta
toetenatocórâreifperedaun certogrăprencipene giorni d e noftri agoli che le
ubrigaua di far. FRONIMO . I n altrom o d o scriffero Panaiaso,Poliantho,
Phylaccho,eThelefarcho Anchoraltcidicono p altrecagio nifuffeoccifodalceleftialefulgure
Esculapio. APISTIO. Deh no ti siag r a u e d i r a mentare il cutto, i m p e r
h o felti piace e tu ti ricordi. FRON . Io son côtéro.Furono
alcuni,liqualilcriffe tochecofifpauêteuolmétefuffeucciso percheresuscitoTyn
daro eno lifigliuoli,Vero:e-cheStaphylodiceno fuflire fufcitaroueruno da
Esculapiom a ben -e-uerochefusanato Hippolypo chefugiuada
Troezeneecofipquacaufa, fufli percoffo emorto dalfulgure. Ma Polyanthoscriue
che cosi fuffiuccisopchelibero lifigliolidi Pretodallasciochezza. E puo le
Philarcho esser li cio iter venuto p che a g i u r o li figlio bdi Phineo. Ma
fraquelli cħ háno voluto refufcitaffeimorci alcunidilorodicono
cheresuscitomoltidiquelliche furo noucefinella battaglia e guerra di Troia. Et altri
scriveno che resuscitaffede qlli chemancarono nella guerra de Tebani. Egliebenuerochenó
cimanca Telefarcho, che dice come fusse in tal modo percoflo ,perche se
fforzaua di riuo careallauita Orione nolorefuscito imperho.Anchoreglie
moltomanifefto uedere la guerra etan chor la battagliade Ilio, e di Troia, e
tuttilimodi delcome batrer ioisefece.E cosi designado ilcerchio ,accio demostra
Bidouiandarono,ecobarteronoThelamone e Peleo figlioli di Eaco.c doue
Olyffe,collialtri Troiani,fu portato dal De: monio ,egiapiunó cóparfe inuerun
luogo.APIST .Turac contimarauigliose cose.FRON .Sono certaméte marauia gliose
etanchor vere. Dipoiquelloprenicemádo indiuerfi: CC cuaniluoghie paeli, etanchora'per
infino nellaGermania etanchoradiroequefto etdouenonmandoépercercare
guelhuomo:Horlendopericolatocostui,uêneincoteftono Aroeccellete Caftello uno
dellsiuoi discepoli,chelaffoliues ftigiidelle sue malgradeuoli e diabolice
opere perinfinoallo noftrigiorni.Concioliachedesignaualaimaginediquella
chehaueafattoilfurto,etdimostrauelaa colui,a cuierano
Aatorobbarelesuerobbe,nellaincheftaradiacqua,osianel
kaamola,cocertifacrilegii.e fuperftitioni,etiujlefaceuauc dere la figura
iueftimenti con tuttiim o di erano fucoserua.
tiinrobbarequellacosa.Joconobbiunodaluimanifeftato, ilqualehauearobbatoleámolette
ciocalcuniremediicon troliueneficii,econtrodealorimali etoccultamere Shauca
portatoa casa,efecretamenteferratinelcophinonon lofa pendoueranapersona.Emi
ricordodel tempo pelquale la fciodettesoperftitionierinego lartemagicaS. e
caminaffis mo insiemediecegiorni,pareamenonsarebbonobafteuo bidaisprimeree
ramentare quellecose,lequaliho osferuar to enotato dellemanifefteinfidic del Demonioneanchor
ferebbonosufficientidipuorerenarrarelimodi,cheofferus elloperingannarelhuomo.Ilperchemericamenteie
chiar mato Saranaffo.Conciofia che sempre fu,e,et fara nemica
dellhumanageneratione,cosiincuttelealtre cose,come in quefta, decuihoggi hauemo
determinate di ragionare Quanto al modo che dimostra dipigliarecarnalipiaceriio
le dico che quello lo vuole negare (si com e contrario a t a n u
vidottiefauiihuomeni Jiquaidiconobauerloconosciutoda quellichelhanno
isprimentato,etanimosamente teftifica no
dihauerloudito)e-riputatoftoltoepazzodafanto.Ago itino il qualescrise con ieftimoniidi
coinufa a m a nel quintodecimo libro della CittadiDio,qualméresonostatoritro.
HatifouentedelliSelaaniepergersiFauni faftidiofialledon
De,chiamatidaluolgoIncucbbiioe chesefforcianodico
metterelafozzalibidineinfiemecolledonne etchesonori trouatidiquellichehannohauutoilsuodesiderio,pigliado.
ne amorosi piaceri con effe. Et anchor diceche sono alcuni alori demonii
chiamati da Galli Dusiili quali di continuoco grande importunita tentano le
donne per avere l a f c i u i p i š ceri, efouêtenedcuenenoalcocento dellilorobrimatid
e fiderij, ecotetidanoifonoderij Folleti. APISTIO. Ti priegoo, feguitapur
olera, FRONIMO . Horquantopettenne aluiaggiofannoper aria credocheanchor habbia
udito (cc c e t o se tu non l’hauer a j letro) come ne vemn e Ab b a r e n e l
l a Italiafouradiunavolátefaecada Pythagora, perinlinodal lo HyperboreoTempiodiPhebo.APIST.Ne
ancheque fto-e dame narcofto cóciosiachelhoritrovatoscrittodaun certo
Philosopho Platonico. FRON. Se bentutiramenta taiqueftecole, facilmerecrederaile
altri.Ilperchetu debbi Sapere qualmente comenciaffe cutiaquella Necyomátia di
Olyffe,dalcerchio,cioequellaartedidiuinaremediãtelicor pi morti.E
cosifacilmentepuo conoscerenon efferecosa
nuouaqueftifigmenticfittionidifarelicerchi,m a anzifos no
antichipreftigii,cfalse delusionilequalianchora hanno cercato di seguitare li Poeti
Latini. Cóciosiachesefinga Scipion c c avare con il ferro la cavata terra altre
,etutte qucile cose che seguitano,adeffempiodiOlyffe.Quanto alliragio
namenticolleombreo sianocollispiritiiotedico chesono molto piuantichi che
fufferoritrouatida Homero .Ilchef a cilmente quelli ilpoffon sapere, liqualiconoscono
fufferorj trouatiliuersidiOrpheop queftacagione,econosconoco m e Omero ha seguita
qt ou e l l o non solamente in nominare Tyresia ma anchora ha imparato essi nomi
congranfole lecitudine econnon menore offeruatione.Ilpercheferiue
GiustinoMartyre,come furon composti escrigriliprimiuer fidella Iliade ad
esempio delli primi uersi di Orpheo , liqua Jiera noi ntitulaci di Cerere. E
coliconuarü riti, costumiciof feruationiogniuno desiderayaecercauadihauer compagnia
familiarita e ragionamenticollimorti,per cotalmodo,che dipojera detto come
quelli scende vanto giu nellinferno . che narrafi
interaenefiaPythagora,poilògotempo dopo Orpheo etHomero ,edicesicome
uedessejuinelloinferno JanimadiHefiodo,ediHomero,cheeran tormentateper
quellecosehaueanoscrittodelliDei.E pqueftofediceche fu grădemete honoratoe
reueritodalli Croroniati, etancho sa molto piuperche racconto dihauere ueduto
efferui gran 1 demente cruciati, e martoriati quelli,che
refiutaueno di pigliare amorosi piacericolle sue dolcimogliere. Ma quanto
atrapassare per ilfpatio dellaria,ionon fo in che cosa dubiti, ouero p e c c h
e t u li maravegli. Con c i o l i a c h e a m e parc non importa,febene misuri
lepenne delliuenti con una laeta o con uno scanno ,ouero con una caura. Non fe
dice in qual m o d o fuffi portato Pythagora, o Empedocle, neinluunocarrodaduerote,oda
quatro,o dauno alatoPegaflo oda Dragoni,oda Olori,accio seguicaffeVes
nere,Medea ouerofulficondottoconduiserpentisottoil giouo comecòduceuano
Circe,ocollilioniamodo diCya
bele,o.colliLynciadessempiodiBaccho,ouerofuflitcapor tato in
altosouraEuropeelaterra Asidafecondo lacoluetų dinedi Triptolemeo,acciochequellofusliportato
lauorato redelle fructa, e questo coltore della philofophia, m a inueco furono
amenduoiingannati da Pallade cioe dalla astutia e melitia del demonio. APIST. E
cio mi ricordo d’avere udito narrare feno me inganno, di Simonemago, ilqualeebbe
are diméto diuuolereandareperaria imperhoinsuamalhora. Conciofiache desidetandodi
vuolersaliresouralaria.c fina
gēdodiuuolereascederenellaltocielo,ecosisendogiapore catomolto inalto dalliDemonii,percomandamétodiSan
toPietroapoftolfou laffato uenireconrátaftetagiu interra d a dettimalegni
fpiriti,chrópedofi tutte loffa,fu Ioétedella, uita.FRON.Ě forlianchehai udito
dinon so che Ethiopili quali haueanoinusanzadiimporeilfrenoe labrigliaalla
Dragoni, edipoiseggédosouradellaloro fchinaueneuano
inEuropa.Cosisediceeffernarratoda Ruggeri Bacchone. Ma
purcrcdaquellouipareilprudente edotrolettoredi questa cosa accio tu no pens
voglia ramétare liuoli di Dedalo , liquali se n o s o n o s e m p l i c e
menzogne, sono al m a c ocre duticomefrodiet inganni del demonio eta nchorajotaci
in che modo sparue Apollonio Tyaneo, dalla presentia di Domitiano Cesare. Oltro
dicio fetu confeffi fuffero appo, delli antichi lispiritiincubi e succubi,cioe
che si d i m o f t r a p e n o i n f o r m a e FIGURA DI MASCHI e di femine
donand o amor tofielafciuipiaceriimodo diciascuno feflo allimiseri
mor Y tali c o n
certiunguéti, accio appareffe a led vero alli altri che fufferotraffigurate e c
o n uerfeinunaaltrafiguradiffimiledallaprima.Ebenche,co teftohuomo
dotto,fingeffediessere trafinutato,non perho dicefufficóuersoinuno uccello
benchehaueffeufato quel® lamędememedicina. Ma bugiardamente narrafufftramu
tatoi uno asino. Anchor dicecheebbe gran cordoglioquel Ja femina, dubitandoperloerrorehauea
fattoinpiglia: relabuffolettache fufficangiatoLuciano inunoAlino.Il perche
dimoftroe non effereuarialaeffentiadella cosa,m a
lilaimagine.Etelloconquestochiaramente ilconfermo, econfettoche fendodiuenuto
Asino, hauearetenutolame te,elintellettodi Lucio. Etanchotanó edaistimarechegli
ueneffeinfantasiatalesopinio cioeditrasmurare la forma f e l non fuffi f u r a
c h i a r a fama come c o t e s t e cose erano molto inufanzaappodiquelledonnedi
Theffalia,ecome elle molio fe delectaueno letefsercitauenoineffe.Non lo con
fermoanchora quefto, quello Platonico Apulegio, chepoi boseguito:fingendo
diessereprimaitoin Theffaliaauanti tali perquale cagione non uoi credere
chesiano anchora fimilifpiricipenoftritempiscóciosiachecotestosecôferma có
tálietátiteftimoniicliqualiioglicamétaro,feltipiaceras Quanto
allunguento,iocredolosappi,perchediffusamen tenehascrittoil Syro Luciano el africano
Apulegio, uno in greco e l’altro in latino, Eco si se ha queste cose i scritte
da l u i. Dunque cheuuoledirecofiquellocophinetto,e quelletan te buffelette
equellooliodiquelladoma puoca istima nella sua CONVERSAZIONE. Di poi esfo m e d
e m e authoreledichiara dicendo.Incontanentefuunta delluny
guento,fufattaageuole dauolare.Edipoifoggionge. Dop po puoco spario di tempo
non douento altro cheuno cor, u o da norte.E cosi pareua aquelli,liquali
guardaueno,00€ tofingeuano diguardare fuflidiuenutouncoruodinotte. Io non mai
crederei, che ver uno se potesse t r a f f o r m a c e d i una specie
dicreatura in una altra osiaper uirtu de alcuno unguento overo per incanto magico.
No dimenoy voleuano quelle sreghe effecuedute ungersi decuine fatto fingeffe
diefferueftito diuna nuoua forma sendo priuo del laprimarSedricamenteioreferiscoleparolediquello
cosi diče.pigliaanchoraunpuocopiudellunguentoefatte& c. Et assai alcrecosescrissenelle
quali parecotuttiimodiquafi habbia uoluto seguitare ilSamosateno. Cóciosia
cheha fato tomentionedello Thebalicomormorio dellolio trasforma
uadiunaformanellalera edelliremediidellecosecontrodi quegli
incatiliqualifaceuanoritornare lhuomo alla prima figura. APIST.Perqualcagionecreditusiafattomentione
diquellemedicinedicose lequalieranoinagiucorio,econ. traquelliincanti,efrodimagicedFRON
. Segliepurcosa uera egioueuolein queste medicine,penso siapreso d’Arisotele. Nelle
operedecuiholettcohe e ripostofralemera uigliosecosecomee
cosuetudinechemuoionofacilmeteli Aliniperloodoredelle
rose.IlchesapendoLucianoeLucio finseno di mancare dallaformadellalino,de
cuiprimaha? ueano fintiessernefigurati.Oueroforse egliequiui nascosta
unalcracofa magica. Eglieda saperecome gia grandemente eran o infamate le donne
di Thessalia e di Thressa, che fa ceflino delliueneficii e dell’incanti, et
anchora era detto che fussi condutta la luna e m e nata secondo le piace u a
colli u e r sida quelle, e chiamatelefiffeftelledelcieloilche anchora
cracoftume delli Sabini ficomescriuc Oratio , etokro di cio diceuasifuffero inspirate
da Baccho eteranochiamateMis mallonecioeseguacidiBacchoporradolecornasicomefa
ceua ello,etanchoraeranodecreAdonidee furiauanocollo complicate ferpefrali Thyrliconillusioni
magice, etincáti, prestigii Et erano tenute in tanto honore e veneratione che
uuolsiintrare nella compagnia di quelle la Reina Olympia madre delgrade
Alessandro.loistimo forseche quelle cose paionobugie Quotrebbenohauerpresoprencipiodaquale
che fimilitudinee colore deluero.Pare anchor cosa piu pro babileche haueffono qualcheaccrescimentodadertiprodi
güemerauiglioseopere de demonii non senza qualcheue rofondaméto
dellauerahistoriacoloratoer adombratoco molteuanitatie fitrionichedallifonniilicomee
scrittoda. Synelio ilqualeuugleua haueffonohauutolefauoleantedit 1
tecCOG m i ricordo il qualesefforzodidimostrarecon grade ingegno inchemo
do haueffonolamaggiore partedellefauolefermo fonda mentodallahistoria
etanchorafforzofididimoftrarecome dipoi fufferofuco fouente ampiate in maggiore
cose effe fauolefondarefouta diefla verita dalla falra fama del cozzo vuolgo.E
coscredo iofcriuefleVergilioquelperso. La dotca carta teftese di Palephato
. 1 il Sole confinteparoleeconaflạipersuafioni,dauaad inte..
derealledonne di Thessalia, l equalinointēdeuanosimileco. Sfimilifinteopere,ouero
dagrande aftutiae faggacita.Ilper che fu uno greco chiamato Palepharo fe beu
teecofilialtii,daeflisonnü. Ecertamentenon sarebbe itaa to alcunäcánto brammoso
di uolgare e manifeftare quello cose, chefufsero hauute e uedutenefonnii,licome
ueduce fuoridel somnio collequalifufferotantotirauefforzatilhuo
minidimerauigliarsi. O quátofonoliueneficii,maleficiiec
incantationiramércate,iscritte, enátrate coli dalli Greci.co me dalli Latini, Percia
da Vergilio e detto di quella antifti tee sacerdotessa della stirpe de Mafsilli,
la qualeprometteua disciorelementidellihuomenicolliuerfi,cioedifarlifarefi come
lepiaceua, etdifarefermare lacquane fiumi,difareci
tornareadietrolipianetiedichiamare,etfareuenireafelc notturnemani
cioelispiritidellanotte.Anchoraperquesto senarranolemedicineerincantidiCirce,diMedea
diCar nidia,equellealtregenerationidiueleni,lequaliconduco. no
lhuomenialpazzescoamore chiamate da Theocrito Si cilianoPhiltre di Simetha
ecofida luiscritte,loquale regui, to Marone ne fuoiuersi. Puo efferche douiamo
pensare che fianotuttequestecose finte senza uerun fondamentos Ver
toechemiramentodhauerlettonelPlutarcho,quellafauo lacon gradeingenoe
segacicaritrouaradiAganice diThef falia, laqualenarracome conduceuaasuauoglia
laLuna. Ma cosi era la verita, chequella conoscendo la cagione che la Luna horaeraritondahoracornuta,
ethorapiuno seue deua, perlainterpositionedellaonibradellaterrafraeflaet
facomelecoduceuainquel tempo la Luna interra ficome: lepiaceua. Eco sidiconohaueffero
principio lalorifauoleda Veramente eglie molto chiaro qualmenteochelhuomeni
eranotramutaticolliincaptieueneficiiindiuerse figure sig c o m e bugiardamente
et anchora scioccamente parlaueno alcuniouerocheappareuonocosi. Ilpercheparenonsepose
finegare senzaqualcheAtoltitiachealmancoquellinonpa refsonoaleoadaltriefferefimilecofa.Non
tiraccordidi quello che tanto chiaramente se dice delle figliuole di Prei t o
cioe che impieno con falli m u g i t i e voci di animali li c a m pifet hauer
havuto paura dello aratro, eta nchora hauer,cer cole cornanellaleggierefronterCofice-narratacorestafas
uola;Come furonotre figliuole di Preto, le quali sendogia. Nel fiore della giouentu
e conoscendo seefter bellissimeintras.o nel Tempio di Giunone, spreggiarno la Dea
Giunone, cipucandosieffer piu belle diquella perilcheadiratala Dea ai miffe
tale folia inesse che le pareua fulsero diuenute in formadiuaccheilperche hauendopauradiportaree
con ducereloaratro fuggirononelleselue.CosinarraVergilio, con il testimonio di
Homero, ma Ovidio dice in altro modo cioechecosi diuennene nel furore e pazzia,che
glipareus dieffer douentate uacche nella Isola di Chea, perche haues no
consentitoaquelli haueanofurato alcuni animali dellar) mento d’Ercole. Le qualidi
poifuronoreduttease, etui suilluminatalafantasiada Melampo, ficomefu Lucio con
la rosa,m a dicono alcuni altri che furono fanatee ritornare
allaprimafiguradaEsculapio, siacomesi uoglia, cosiegtie narrato uariamente.Vero
e-oche intraffinoin fimilifurie pazzie, o fufli per ira opera del demonio,
overo pe t qualche corporale infirmita ritrouolantichita a quelle gios ucuolie diuerfici
medii. Ma tu debbe faperecome bebbero li Demonii uariie'diuersi modi, eranchoracótinuideingan
nareli uomini, in quelli tempi, nelli quali teneuano loim perio quali ditutto
il mondo, e non solamente per lifacerdo
dietAntiftitidelliTempii,cperlioracolierefpoftededi Ido lictimagini,m a anchora
ingannauenoper mezzodeals çunedonniciuole inspiratedalfalsoPichia,et
fraudolente Apollinc.E cosipercotcftimcoodinduceuanoglihuomen afare
ftupefattiemaraueglioldellelorooperationi et ins. uiluppauono
YA ma non gia con quello il quale seguito Varrone nelle Satire. Conciosiache
quello Litio e-moltopiu anticodicoteftoálcro Menippo. Ben che so che tu intendi
quello SIGNIFICA (SEGNA) Larva pur anche
io i uoglio ramentare, per parere disaperlo, etanchora per raj zentarlo
lecosihora horanon te occorrefi:Sono Larue mooceuoliombre dello inferno,ouero
ispauenteuole scon bodellanoue ele Lamieeranochiamarealcuneimagini efpiripimoltibrammosidelafciuiamorie
fozzipiaceri,es mche grandemente desideraueno dimangiarelhumana arneV.edimo
chefauoleeranocotefte.PurdimmiApi nonpaionoatecotestecoseche hauemo narrato s o
p r a molto similia quelle delliquali longamente dicesi dellemaluagie Streghe
dellanoftra etades APISTIO J n neticaame
paionoquasisimili.Iiperchehoraoccorrono a me quelle parole dell’antica fauvola
cioe Larva Lamia etIn cubicongutellodiersodi Ausonio. a l a p p a don o
quelli nelle precipitanti rouine delle scclerita , defotto colore della sagrata
religione.E perciopigliauono Qaric formeediuersefigure.Colisepuouedere e consider
rue Protheo figliuolo dell’Oceano appo de quasituttiipoet p.loquale ledemoftro
in formadiuariifimulacri efigure, ficomediceVergilioconloteftinioniodiHomero,cioeche
fubitosufatrohorrendoporco efuriosa Tigre, squammolo dragone,et una Lioneffa
con lafuluante egialda ceruice molte altre coseramentanodilui,che
lafloperbrcuita'. mente appareueno quellieccellentiBaroniche furono oce siliad
Ilio alVinicore.Coli anche liramenia in che m o d o agparessead
ApollonioTlaneouna fantasmaouetoappal tente figuradellaEmpusa,cioediunacerta
generationedi Larue o fiaspauenteuoleimagine auuotara a Diana,cheua
no,licomesefinge,conunopiedee conuertonseinuariefi gure et alcunauolcaincontinétechesisono
rappreferiate fpareno,epiunon feuedeno. Anchora dicesicomehauesse
conuerfácioneuna Larua,ofiaLamia,forrocoloredị hono .
Kuolematrimonio,conMenippo Cinico dd Dimofte bomio, Nora e-la
stregain cunede fanciulli, con quelladonnescasceleragine. FRONIMO. Hor
piuolcre, ramentiamo pur del altre cose, a c c i o f e possa donare egual
giudicio e g i u i t o senz pa u n t o di menzogna.Credo chetu fappi,qualmente
sonoscrittiiu finitiuersidelliueneficii,et incanci,dellilicquorie beuande delli
Pharmachiemedicine,etanchorsonocantate fauole fchedociele Nenie Marsice
cioelefauolede Marfi. Matu debbe sapere come sono iscritte e cantar ce o n una
certame Laphora e similitudine quelle cose che cosi leleggono ,cioè che
lhuomeni,liquali remigaueno gcupisceno colliporci, perledonneche lusinghe e
chebruggiasseHercole lendo unto con ilsangue di Nesa eche fufferoinstillasili amori
col li veleni di Colcho, cóciofiachechiaramenteseconosceful;
secosignificateemanifeftatelesceleratecompagnie epros phanimodidellasozza
enefanda libidine,collanridetteor seruationiecanti.Vero-e-cheuoglio tuintenda,come
non erano imperhodetci incantine anchora detre representatio
nifofficientidispauentare ueruno,m a folamente pigliauei no, epauentaueno
quelliche uuoleuano il perche narra Homero qualmente OliffeasfaltoCirce
incantatrice non con ildolcebaso,m a siconlagutocoltello.Jlqualecosi comená fu
presodal ciecoamore ,cosianchor nó fu inuiluppato dalli incantamenti: Li quali non
nuocenosenza malegna sottilita delli demonii. Leganoquellicheugoleno et acciocheuuoi
leno ufano uariearti, e diuersimodi.Pigliano il rozzo volgo con lafozza
libidine,ecolli deletreuoli,etlafciuipiacerie
giranoasequellichesonodeditiallauita ciuilecollericchez ze,econladouicia
epuranchoraltrinecoduconoasuoiuo“ tibenche puochi con lepromiffioni,econ laesca
dellaglo ria; ed ellhonori,cioe quelli chese sono dati allistudi della
philofophia. Ma quátopertenealliconuitiattédiben. Sedito, come quelli
inpartefonoyerietinparteimaginationiet ilusioni,non perhofarodiscoftonedisconueneuole
dalli antichi scrittori. ConcioGache ritrouiamoiscrittoda Herodor."
todellamenfa del Sole eda Solino essere-istimata quella
unacosadiuina.CosiritrouiamonellauitadiApollonio Tia teo neo , il convito
della spora di quello, la quale era riputata una dell’antidette Lamie o delle
Larve, o delle Lemire, eLeg.
giamoiui,coine'sparbinoliyasipareuanodioro,ediariento cheeranofulamenfa. Etincoralmodo
appareuanoiDes monii all’huomeni sottouarieimagini e figure chiamate da PhiloftraroEmpuse
eLamie eMormolichie,ofianoLate ue.Gia puocoavantihauemodechiarato
checosasianocos teftifpiriti,etombre.Ma quanto alleLamieritroviamoin Esaia
dicono.co m e raprefentanouna certa beftialefigura:AlcuniHebreial
trimentescriueno,dicendo come seintendeper leLamie alcune ombre e fpiriti furiosi,benche
siafattamêtione nelli Treni di Geremia propheca dellem a m m e ouero p o p e
della Lamia. Ma altriistimano fia derivato cotefto nome dal lapiaree spaccare
etalquantidallaLama cheuuoldirenok sagine,oispauenteuole pronfondita .E
dequindicredono sia derivato quel detto di Horatio. Ne traggiil fanciuluiuodepasciuta,
Lamia deluentre. AnchornarrafifusserogiaconduttinelspettacolodaProbo Cesare
molte Lamie.lu qual m o d o e figurafufli quella che inganno Menippo,non
lipuofacilmentecofidaaltroluogo conoscere quanto da Philostrato. Ilqualenarracomefu
ingamnatoeffo Cinicoda quellaLamia,quandoellafinger ua dipigliarloper marito, edipigliare
amorosi piaceri con quello. Parimente i o i s t i m o fulfi uccellato e s c h e
r n i r o Apollonio, quando
erapregarodaquellanonseincrodeliffenelli tormenti. Cofiera
ingannato,percheiftimauaefferele Lal miemoltofacileadouereamare
Hhuomeni,edipoipensaus che grandemente brammasino dehauere amorofi piaceri coneffi,enonmanicodipoicredeuache
mangiassimolecat ni humane. Ma il mio Apistioio techiariscoqualmentenon
fonotiratii demonii dalle brammofe voglie d eamorosi pia propheta il luogo
delle Lamie, doue famentione del fcontrodelliDemonii incubicioede quellichefedimostra
no allhuomeniinfiguradifemine, ecolidanolafciuipiace riallimaschi eriftimano
coftoroche siano leLamie dihur mana effigia dal mezzoin fue dal mezzoin
giu c e r i n e condutti da desiderii libidinosi, ma sono codutti
dalla malgradeuole invidia adimostrarecoreste cose accio ro uiniiso emandano
nelprecipitiodelli peccatilhumanagę.nerationeetalfinelaconducano nella
infernale dannatio ne doue efli sonoconfinatiinperpetuo.Etacciobenintens di
infiamniano cotestisceleraci spiriti,limiferi mortali,cioc
quelliimperhochefilaflinoingannare conunacerrafiam m a occoltam a non sono
efiinfiammarida quelli ilche ini teseilpoeta
Vergiloquandodiffe.Inspirainelliunooccolto fuogo. Conciosiachemi
arricordochefunariatodallaStre ga che quando se appresentata il demonio allisentimenti
suoi in diuerse e uarie forme haueainu sanza diconoscerlo e
didiscernerlodalliueri animali delliqualiello hauea pigli ato la forma in questomodo.Lepareua
che uiintraffenel pettouncertocalore,etuna certafiamma,per laquale era
certificatacome quelloerailDemonio.Anchoranarraua qualmenteera apparechiata alla
fpreuedura una fiamma đı fuoco, ficomele pareua nelgiuoco, douc conueniuano
tuttiauantila Donina, olaaukti del Demonio che seprefen cainformadiornatiffimaReina
con la quale fiammadice uache incontinentesecocceuanolecarni femagnono ren
dolemoftrateadeflafiamma.NonbrammanoliDemoni ilsanguehumano,neanchordesideranolecarniper
managiare , ma il tutto opera d o e p r o c a c c i a n o, a c c i o c o n d u
c h i n o lanimee corpi delli miseri mortali nelli sempiterni tormenti. Laqualcosaiofocheegreggiamente
inrenderai,quando udiraiparlareDicafto.Ilqualefebenuedoenonme ingan
palocchioperillongospatio,ame pare gia fiaallemani,a combattere con la strega. APISTIO
. Benben Fronimo. Tume haigiunto. Bêcheame paressedidisputarecoliuno degnoe
nobile caualiere,percheioteuedo vestito coriquel le ciuiliet
egreggieueftimente,ecintodiuna moltoornata {pata manon
credeuogiadidifputareconuno cheintens deffe tanto eccellentemente linascoffi
sentimenti delli P o c tihiftorici,Philofophi etanchora
delliChriftianiTheologi. Ilpercheconoscendoiolatuasufficientia,tipriegouoglitu
per talm o d o adaptare in cotefta parte che ciretta deluia, gio ,
gio,chepuoffi seguitareitgia comenciato ragionamento , et anchor puoffi
dimostrare dellaltre cose,con ilsecondo dit to,sicomegia hai fattoquelle prime
con il prino,ficomese fuoledire.cioe coli tanra facondia fortilica,e
dechiaratione chepossonointrareinme bendigefteedechiarateficome f avesse io ben
poi mastigare H o r n o perdiamo tempo, ma te priego seguita lagia comeciara
disputatione.FRON.Se rebbe bisogno dimolto piu dotro dim e ,et anchor sarebbe
necessariodino puoco,ebreue viaggio,m ad i longo tiposo in douere fatiffarealletue
humaniffime petitioni No dimen o pur mifforzaro disatisfare a tequáto
porro.Cerraméte farebbeuilan,eprivodiogniciuilita,feionon efsaudillele
gratioseetanchor honefte addimandedicoluide cuihogia conosciutoperlesueresposte
che grandemete desideraebrå ma deintéderelauerita.Dunqueseguirolagiacomenciata
difputatione,eramétaro quellecosepaionosianoaccómo date
aquelloauãtidiceuamo,quáto imperhociconcedera ilbreue spatiodel uiaggio.Giahauemodettomolte
coseet hora uoglio rispóderea quello tu dicesti cioe che pare nale
accozzanoleStregheisiemenelnarrarelecosefatteadeffe dal Demonio,eparenó
fecóuieneno inreferire quelle cose delloro sceleratogiuoco,ma cheunadiceinunmodo
elal t r a i n altro modo .I o ti r i s p o n d o che c o t e f t o puo intervenire o dalla paura o da mancamento
di memoria, perche c o m u n a mēte fonogroffe de ingegno,ecôradinedella
uilla.Anchor Sepuo cagionare et in col parlea malitia del demonio il qual
inganamano tuttoiunmedemomodo.E questofacilme. te lepuo conoscere nellantichiprestigii,etillusioni.
Concio Siacheegliealtrageneratione dejucătationinello Euflino altra nella
regione Taurica etaltra maniera nella Italia E fében consideraraj conoscerainon
esserfimiletotalmen re quella PharmaceutriadiTheocritoaquelladecuipar la Vergilio
cioenoii.e-fimilelartede ueneficii et incanta, menti unacon
altra.Anchorpareinteruenisseilfimilenel li oracoli e responsioni. Perche altre
erano le resposte date per le femine inspirate dalli malegni demonij,etaltre
erat n o quelle hauute per le aperture e coragini della terra, et altreanchoraquellecheeranopigliate
dallhuomeniper lifonnii nelli Tempii. HperchealcunidormiuanonelTem
piadiPaliphea,elmiedici Calabresianchora essihaucano confuetudine, con& Dauni,diriposarsiappodelsepolcrodi
Podalicio,ilqualePodaliciofufigliuolodiEsculapio efueca cellentejnedico.Anchora
emanifefto comesoleuanogia Geceaffaipersoneneltempio diEsculapio. Ilchenon
solas mene fuofferuatonellitenipi Heroicim a anchoraperinsie no allaeta di Antonino.
De cuiraccontaHerodiano chean doa Pergamo perlanti decta cagione.Anchoraleggiamo
q u a l m e n t e h a u e u a n o consuetudine li oracoli di dare r e f p o n f
i o n i p e r il mezzo di intier esta r u e, e t a n c h o r a p e r m e z e
zestatue,emediante anchoralecolombe,ofufferoquelle neriaugelliofusserofemine
disimile nome non loro,m a benfoperdetci modireuelaueno lecoseocculte etannon
tiaueno quelle doueano uenire. Anchora assai auttori narrano come erano farte
simili cose nella India per il mezzo del Jalberi, et in Dodone,ficomeracconto
Aleffandro Magno, Erano anchoraaliriliqualisubicamenteintcandolisopraun certo
furore narrauano marauigliore cose.Ecosi ritrouauoni
ficoteitietaltrimillimodi,ediuerfiJunodallaltroda reuela re lisecret,etannonciare
le coseda uenire.E come erano di uersespecie
egeneracionidellaugurii,ediuersilimodi del
fceleratorico,damanifestarelecoseoccoltee da aluontias rele cosedouéano
uenire,cosieranodiuerfi i sacrificiicollir quali sagrificaueno,eanchora
diuerfi'imodi dieffofcelefto prophano,eteffecrando sagrificio.Anchora erano
diuersili incantamentidelliantichi enon manco sonouarii nella10 ftra eta enon
manco sonofatticon altrisceleraticoftumie modi
chesoleuanofarequelliantichiRomani.Sononarra tealcunecosedallanticoCacone
nellilibridella agricoltu raditátasciocchezzache retrouansipuochile poffonoleg
gere senza gran riso etischerno.Nondimeno furono imper r h o i scritte DA UNO
UOMO ROMANO, il quale fu censore e triomphatore.
Ma quanto al moto.cioeinchemodo fiano portatedalDemonio ,equanto alluogodoue
fono ferma te tunon tidebbimerauegliare.Concioliachequellacosa che
e conåfuoingegno.bugiardafallace,etingannaterigcel i e quellafouentdee
piumodi,ediuatianaturainaquellache c-ueracefeaccostaallasemplicita.Ecorefto
efaciledauc derein quelle coseche hauemo ramentare,enon manco anchora se puo
conoscerepellifigmenti,e fauole de poeti, comefonola
fedariietanchorcótrarii.Etanchefpeffeuol
tequelloferitrovanellenarratehistorie.Ilperche fouente seritrovauna
cosascriccainduoietremodi,etanchorqual che uoltaipiuan o
cótrarioallalto,esepurno seranocorra tii alm a n c o seranno diuerse uarii.lisimile
intecujene anche nelleoppenionide philofophi, enellerefponfionidelli(auii
(ureconfolti,edoctoridelleleggicosipontificalicome imps riali conciolia che se
citrouano varieoppenioni circauna medema cosa,Manon maiimperhoseritrouaquea
cofa, nelle (criteurede Theologgi, eccettoche inquelle cosel e quali sono
communi coli alliPocci comealli Philofophi. M a inquelle cose,lequalipropriamentepertengonoadeffs
TheologgiciocnellicomandamentideIddio ecosinella! He cose, che
pertengonoallafedecatholica,etaliicoftumi, chefononeceffariiallafalurenoftranon
uifaricrouaucig. na diffenfionem a fonodatutti:narráciedęchiaraticongran deconcordiae
consonantia etinunomedesimomodo.Ve to-e-chelDemoniomalegno
amicodelladiffenfione,con c o m e -e-bugiardo et ingamatore cufi-e.uario,e
uerfipelle. accio dicameglio.Ilquale uocabolo segondoliftudiolid e l la lingua
latina e-cauaro kuorida quelle favole delle quali gia auantipädladimo,per
ilcuiinganno diceuanli effertraf murai Thuomeni nellilupitcoicomeingamaha
Pichau gora,Empedocle,Apollonio ellaleriantichiPhilofophi disi mile generatione
con ilcolore della dottrina,(üpercheula "Ha coteftilaciuoli,ecotefti
modi,colliqualifacilmenteuili quoreua tenereligari) ecosicomeanchoragia
tirauaafe de donneci uole con il mangiar e beuere, imbriagaree con lila sciui e
carnalii piaceri.cosi anche hora tira similmente a fe, Thuomiciuoli e
donniciuole c o n fimili piaceri,liquai c o m e chiaramente sevede furono
sprezzati da moltiPhilofophi. M a quelliPhilosophiconduceuaconmoldimodiafarliado es
tare cioeoconilcolore della capientia oucto con lasuperti
cionedellafallareligione.Concioliache perhauere e gra. di della cognitione,e
per ottenere la doutrina faceuano esto OrationielaudeuoliHinnialliOracoliquero
all Tempo dellifall Dei Per lequali cose gli pareuade impetrare la cognitione dellecose
chedoucano uenire,etanchor pareuali diotteniredicflereportatiperariaindiuersi
luoghi.E coj fendofatięquestecose con loagiuto delDemonio,quellilo attribuuano
ad una certa cosa diuua,che pareua fufli 11€ dettihuomeni.Inchemodo
altramentehauerebbonopor furouedeteli discepolidiPichagoraestofuo
precettoredif. putarehoranelTaucominiodiSicilia erhoranelMetaponto in cosi
puoco spacio di tempo. Per quale via f e r e b b e camminato per aria Empedocle
et anchora in che modo cofi
prestosouradellafactaferebbecorsoAbarc,perilchefuchia maco Acrobares Coluigrandementeseinganna,chicrede,
che Apollonioconosceffeaffaidellecose doueano uenireet
icheluicomidaflealliDemonijetquellilubbedisceno,per
paurahauciserodiluiFengeuaiDemonioaftutoemalus gio diesseremartoriato da
luietanchoradiesseresforzata accioche sendo quello inescato fottocolore della
finta diyi nita,dipoipiuforcemente seaccoftafse alalere cose etotal mente
rouinalenellipeccati.Ilche facilmente,fel apiace. i puotrai conoscere dal fine
che seguicaua .Sforzosi difare uccidereprimicramétePithagoranellaseditione,e
dipoidi farlotagliareipezzi.Amazzo Empedocle neluergognolo Iceco
loqualehaneacoduttoatantasciocchezza checrede ua dihauereortenuto ladiuinita.Ilperchecidiceuaallícom
pagniqualmentefcdoucuanoalegrare,concioliachenon farebbe piu uomo mortale m a douentar
ebbe Dio immortale. I m p e r h o c o f i f c c i f f e q u e l l o in greco , m
a i o l o voglio e mentareinuolgare.Remanetiuiinpace,conciolia che io f o n o a
u o i Dio immortale, e non piu mortale. O che morir con questa morte, quero di quella
decuiscriffe Democrito Troegenio, quando diceva, qualmenteello pendeouaucto
Seeta attaccato ad uno cornale con uno lacciuolo al collo églieda pensare
chelipaffalidicoteftauicaperin&igatio ne super persuasionedel Demonio. Anchora
non l contenu focdiquello inganno,et illusionem, a anche diceua come gia
erapassatalanimafuaperdiuerficorpicon questepar role grecelequale uolgarmente
lediro cofi.Gia tofuuna Lanciula etun fanciullo.Ecolialfinefuconducoallamor le
colleuocidelliDemonii,econilfpiandore dellefiaccole ficomeraccontaHeraclide.Forsianchorane
conduffiApof lonionelTempiternosupplicio con tanima insiemecoilcom p o. La
quale morte no parech e h a i n d e g n i a alli n j a g h i e t i n c a n t a
t ori. Con cio la che variamente egli e narrata la morte di esso, perche sono alcuni
che dicono come mori in Efeso ultriscriuenochemoriin Creta, et alquanti
alttiuuolero mancale inRhodo.Vero-e-chenon erainpiediilgodose
polcrodiquellonerempidi Philoftraco.Benchefuffyadors
toereueritaperDiodaalcunistoltiepazzi.ilquale scelera to costume ficomelaltri
frodidelDemonio manico etheb befinefrapuoco spatio di tempo.Cofianchoraporloayenimento
di messer Giesu Christo pero Imperadore di tutto il modo mancarono tutti li oracoli
respofte, edomesticiragio namétideliidolierdelifalfi Dei. Nelliqualierainusluppa.
toe strettamente legatoquasi tutto ilmodo.E cofiquello, dquale
apercaméte,epublicamentedauaresposteperliora coli per liIdoli,eper lialtrim o d
i hora fcioccamente parla
perleoscurecauernedesiderandolilasciyiecarnalipiaceri, fiqualihorasono
uergognofi cheallhoraallegentierano gloriosi.ltperche fa scritto quelparlares
Dignate Anchisa del Paphio coniugio. Ino solamétefuronoquellilasciin
piacerigloriofredigrar de reputatione ne tempi eroici , ma anchor nella era di Alessandro
e di Scipione. Alliquali fu attribuito cotefta gloria, che eranoistimatida molti
figlioli di Gioue.E questomolto maggiormenteemanifeftoperlehistorieche
iopossacon Ognidiligentia raccontare cioe cheera credutoche il D e . monjo
chesefaceuachiamareGiouein figuradiferpente hauessehaguto amorosipiacericon
lamadre diScipio ne, econOlympiamogliere delRe Philippo.Et eranoin
tantaoscuricadiméte checredeuonofulliGioueDio.Eco Gin coteftie fimilimoditicauane
peccatiquelli che erano la f c i u i libidinosi e carnali, m e s c h i a n d o
l i i mpe r h o a n c h o r a ce ii LIBRO PRIMO qualche colore di
supexftnione.Anchor cofiinelengaquelli, liqualidefiderauenoebrammauenola
gloria,eteccellencia dellihonorimondani,liqualitendofralimortalijeshauédo
proirontiatilecosedauenireper la conuerfaçione, familia cicacontinuahaueano
hauuto colliDemoni anchora fimile méte dopo lamorce
pronosticaueno.Ilperchefauolefcame tenarraflidiOrpheo comesendouiuofu riputaco
profeta. et dipoisendo morto fedice comedauaanchorresposte.È dicefle
anchorqualmentesendolitagliatoilcapo,dalledon ne Theeffe,ando
effocaponelLelbono ;etiuihabito in unaspauenteuoleruppeuaticinando
edandarefpoufioni perliIpiracolietaperturedellaterra.Portauanoanchora in
yoltali oracolidiAmphiarale diAmphilochouanie diuina torifendoanchee
gliuiuietil simile fecero doppo la morte, Ilche forsigrandementedefidero Empedocle
quidouuol. fiefferciputatoDio immortale.Fauolosamente anchorrac contano
comeeffercitayanolamiliciaelaguerraliReggi doppolamorte efaceuanobattaglia,ecombatteuanoa
cheandauanoacacciarelianimali,e luccellietcayalcauay
poficomenarrauanodiRhefoRedi Traciachecaualca, uainRhodope. Oltradiciodiceuano
comenosolamente fc eccicauano,etferappresentauenoleanimede quelli con
lopradellicerchii,edellisagrificiiramétatida Homero,m a anchora
spontaneamente,econalcunipattiinquelmodo, ficomeseriue Philoftrato,leappresentarsiAchillealTianeo,
etal Vinicore Protesilao,collaltri Capicanii fecero baccaglia co Priamo.Veroeche
lafaccia juoltiicoftumi,eliatti,ege Aidequelli,perchefonodialtra maniera emolto
diuerfi,e Yariida quelli chesonoiscrittida Homero eperchesonoan chor
diffimilidaquellichenarrano lhistoriediDarete Phri gio
ediDittoCreteseteinsegnanoquantosianolijnganoi delli Demoni
elebugiechehannopoftonellacognitione etanchorti dimostrano li noceuoli deliramenitie
pazziem e fchiatecollibuonicoftumi.PerilcheseilDemonio hauccel
laioebeffato,etingannatoperquestimodi quegliliqualise iftimauerosauiiedotti
credendo lecose contrarie e totalmente da l ragione discoste quale ci la cagion
ce h e t anto grandemente tuti marauegli diuditezediuedere molte co feuarie, diuerfe
collipiedilaconfegratahoftia.E cosiinquestomodo comanda quellofceleratonemico
deIddioachiunqueuuo leentrarenellasuaprofana,maledetta,eperfidecópagnia, che
abbandonino, preggino,etischetniscanolanoftra fan:
ciffimareligioneChriftiana.Imperhononsipuoaccozzare
neconuenireinsiemelabugiaefalsitacon laueritanellete n e b r e et oscurisa c o
n la luce n e a n c h o r la fuperftitione c o n lareligione.Io credo ilmio
Apistio,chehormaitutifiaaffaj certificato e chiarico cosipian pian caminando di
quello decuihauemocóferitoedisputatoetanchordi quellodel qualemi
addmandasti.Deh pertuafedeuediuedicola la Strega, che
eagrandiragionaméticonildotto Dicafto, nel portico avanti del sagrato tempio.
APISTIO. Diovi fa lui. DICASTO.Siatie benuenuti checosa ci e dinuouoil no
sciocchee pazze econtrarielunadellakira nelleStreghedenoftritempirM a
anzimaggiormente cu tidebbi merauigliarediquellaeccellentesapientiaepoffan
zadiChrifto,laqualetalmérehaoperato chequellohauca persuaduto ilDemonio malegno
eperuerfo inanti lo auek nimento di esso a tantiReggi,Oratorie Philofophi delle
genti,ficomecosaeccellente emolto meracigliosa edegna dogni sapientia hora a
pena ilpoffa perfuadere ad alcuni huomiciuoli e donniciuolecioeche lo adorano
loreuerisco Do Ihonorano,efacjonoquellecosecheglicomandae cos fiperqueftomodotu
odebbemacauegliarechequello chegiaerafatropublicamenteintuttoilmondo,etfratutte
le generationi sicomecosa honoreuole e gloriosa che hora H a fatta nelli
picciolie Atretti canto n i d a p u o c h i secretamente, e con ignominia e vergogna.
Ma voglio che tu ben consideri una cosa de divina gloria frale altricioeche
glie, tanto fodo,fermo,eftabileilfondanientodellatriomphantefede de Chrifto
chenon uvole ilDemonio peruerfo emalegno niuadinoallesuefcelerate
congregarioni,eradunamenti, neanchorauuole che conuersino con luile
Streghe,fepris manop reneganolasantiffimafedediChrifto,e Spreggiar
nolisagramemidellasagrosantaRomana Chiesa,econcul cano Kro Apiftio
APISTIO. Loaddimandamo ate.Conciolig che Fronimo noftro erio ftamo venuti quiaccio
udiama imperhosettipiace. STREGA .Heime doue fon giuntai DICASTO.Non
hauerpauraM a ftapurdibaonauoglia eparlasenzauerunpauéto.E nodubitaredi
meconiciofia cheiotiseruaroquátotihopromeffo ciocche'nóseraimar toriata
feliberamente manifeftarai iurre letue maluagic opere
lequalinonpoffonopioefferpalcofte,perchegiaho
liteftimonijcometuseiindettoerroreepeccato etanchot fulhai cófeffato fi comeiográdemenre
desiderauo. STREGA. Deh heime. Gia lho detto. Per qualecagionedonque m
itormentatidiuolerloanchoraunaltrauolrahora inten; dere? DICASTO ,Perche e
bisognodiritornarlo a confef faren o n solamente inantidi duoiu e r ditre
teftimoniim s anchoraauantidipiu etalfineanchedavantidituttoilpo polo
fedesideridiIchifare la pena tassata dalle leggi e a voi che setidi
questa'maledetta compagnia,per tantifacrilegii, et ā r e f c e l e r a t e o p
e r e c h e uoi facte. Vero e che gia h i a m e promessodi
faretuttoquellocheticomandaro,et10teho promesso
seruandotulepromiffioniantidectedinon confo gnartinellemani delGiudice ilqualeincontanentetifareb
b e brugiare cosi sendoli c o m a n d a t o dalle leggie.Hor a noir tic o m a n
d o altro eccetro che tu ramêti unálıca uolta quelle c o s e c h e t u h a i f
a t rco o l i demonii nel giuoco o s t a nel corso come fedice uolgarmente. STREGA.
O maladerco giuo co, O giuocoinfelicepme, mala fortemia.DICASTO .
Nonbisognanohoralagrime,non piantineanchegridi. STREGA.Deh
perquellahumanitaetgentilezzachein uoi leritroua,priegouinon mi uogliateperhora
piu darmi faftidio.M a fiaticontentidi concedermiun puoco fpatio di tempo ,etun
puoco diriposo narta tantochemiramentiiltutto ecolidipoiuinarraroognicosa
chehofatto:DICASTO. Piacédouigli cöcedero,quellochele piace,etaddimanda.
Conciosia chepoiraccotarajl tuttoconmegliore animo,
conpiuageuoleuoce,seespettaremoadintrarenelliragia namenti
perinfinoadomanc.Doue haueromolto Alberti (Bologna).
Grice: “I like [Leandro] Alberti; his “Tutta Italia” is a must; his claim to
fame is to translate from Roman to Tuscan (no big deal there) what is deemed
the first ‘daemonological’ tract – Mirandola used ‘ludificatio,’ which was
vastly translated as ‘inganno’ or by Leandro as ‘illusioni’ – which has echoes
with Descartes’s malignant demon hypothesis and my “Some remarks about the
senses”!” – ‘Filosofo. Nato da Francesco Alberti, di origine fiorentina,
fu condotto agli studi umanistici dal noto medico e umanista Giovanni Garzoni.
Entrato nell'Ordine domenicano nel 1493, studiò teologia e filosofia con
Silvestro Mazzolini da Prierio continuando tuttavia a coltivare con il Garzoni
i propri interessi umanistici e storici. De viris illustribus,
Bologna 1517 Il primo risultato dei suoi studi fu il contributo che egli diede,
in soli 18 giorni, alla stesura dei De viris illustribus Ordinis Praedicatorum
libri sex in unum congesti, opera collettivacon il Garzoni, il Castiglioni, il
Flaminio e altridi biografie di domenicani, stampata a Bologna. Nel 1521
tradusse dal latino in volgare la Vita della Beata Colomba da Rieto
Tenuto al dovere della predicazione, fu «provinciale di Terra Santa»cioè compagno
nelle predicazioni itinerantidel maestro generale dell'Ordine, Tommaso De Vio e
del successivo maestro Francesco Silvestri: con quest'ultimo percorse tutta
l'Italianell'ottobre del 1525 era a Palermo e la Francia dove, a Rennes, il 19
settembre 1528 morì il Silvestri. È poi attestato, a Roma, prendere parte al
capitolo generale nel giugno del 1530. Negli immediati anni successivi
rimase nel convento di Bologna, dove commissionò a fra' Damiano Zambelli le
decorazioni da eseguirsi nella cappella dell'Arca di san Domenico e i
bassorilievi eseguiti da Alfonso Lombardi, questi ultimi pagati dalla città
dopo la richiesta in tal senso avanzata dall'Alberti. In quest'occasione
scrisse un opuscolo sulla morte e la sepoltura del Santo, il De divi Dominici
Calaguritani obitu et sepultura, pubblicata nel 1535. Un'altra sua operetta, la
Chronichetta della gloriosa Madonna di San Luca, fu pubblicata nel 1539 ed ebbe
altre edizioni accresciute dal contributo di altri autori anonimi. Il 20
gennaio 1536 fu nominato vicario del convento romano di Santa Sabina, un
incarico che non dovette prorogarsi per più di due anni, giacché dal 1538 è
sempre documentato a Bologna. Fu anche inquisitore di Bologna probabilmente dal
1550 al 1551 o al 1552, anno della sua morte. L'opera più importante
dell'Alberti, dedicata ai sovrani francesi Enrico II e Caterina de' Medici, è
senz'altro la Descrittione di tutta Italia, pubblicata a Bologna nel 1550. Ad
essa seguirono in ottanta anni altre dieci edizioni a Venezia e due traduzioni
latine a Colonia: nell'edizione veneziana del 1561 si aggiungono per la prima
volta le Isole pertinenti ad essa, mentre quella del 1568 è arricchita dalle
incisioni di sette carte geografiche. Opera di geografia e di storia, ricalca
in gran parte la Italia illustrata di Flavio Biondo, ampliandola e
migliorandola nell'esposizione e nella citazione delle fonti, ma mostrando
scarso spirito critico, attenendosi egli «ai dati dei geografi antichi o, per
la parte storico-antiquaria, ad autori moderni di dubbia attendibilità come
Raffaele Volterrano o Annio da Viterbo: e solo quando vengono a mancare testi
precedenti ricorre a elementi di più diretta esperienza [...] parimenti nella
critica storica preferisce riferire insieme le differenti versioni, anche di
tempi e di valore molto diversi, senza prendere posizione». Opere: “De viris illustribus ordinis praedicatorum
libri sex in unum congesti” (Bologna); “De divi dominici calaguritani obitu et
sepulture” (Bologna); “Historie di Bologna”; “Libro detto Strega o delle
illusioni del demonio”; “Descrittione di tutta Italia, nella quale si contiene
il sito di essa, l'origine et le Signorie delle Città et delle Castella”
(Bologna); “De incrementis dominii veneti et ducibus eiusdem” (Lugano); “De
claris viris reipublicae venetae” (Lugano). Universal Short Title Catalogue,
Scheda delle opere di Leandro Alberti. Così scrive egli stesso: De viris, c.A.
L. Redigonda, “Liber consiliorum conventus Bononiensis, Archivio del convento
di San Domenico, Bologna. A. Battistella, Il Santo Officio e la Riforma
religiosa in Bologna, Bologna, G. Roletto, Le cognizioni geografiche di Leandro
Alberti, in Bollettino della Reale Società geografica italiana, Abele L.
Redigonda,Dizionario biografico degli italiani,
1, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Descrittione di tutta
Italia in Il Genio Vagante, Bergamo, Leading Edizioni, Massimo Donattini , Il territorio emiliano e
romagnolo nella descrittione di Leandro Alberti, Bergamo, Leading Edizioni,
Michele Orlando, La Puglia nell'odeporica domenicana di fra Leandro Alberti, in
Rivista di Studi italiani, ora al sito rivistadistudiitaliani La Puglia,
introduzione e note al testo dalla Descrittione di tutta Italia, Michele
Orlando, UNI Service, Trento, Liber Liber. Opere di Leandro Alberti, su open
MLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Leandro Alberti, Leandro Alberti, in
Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Descrittione di tutta l'Italia
su culturitalia.uibk. ac.at. LA STREGA; OSSIA, DELLE ILLVSIONI DEL DEMONIO.
Dialogo composto dall’illustre e molto dotco Prencipe Segnore Giovanfrancesco
Pico della Miradola, segnore e conte della Concordia, volgarizzato dal Ven. P.
F. Leandro dell’Alberti, Bolognese, dell’ordine de predicatori. LE PERSONE
PARLANO. APISTIO -- FRONIMO -- DICASTO -- STREGA . APISTIO. FRONIMO. Dimmi do
juevacola cosi infreta caminando per la piazza ove vendon sil herbe tanta
moltitudine di popolo. FRONIMO. No loro, ma andiamo anche noi un puoco, accio
intedia mola cagione di tanto concorso, conciolia che puoco di no potra esserela
perduta di puochi passi. APISTIO. Noi in ver un luogo. FRONIMO. Di
quale augello ragioni tu en. APISTIO. Della strega. FRONIMO. Tu giuog h i he
Apistio. APISTIO. Pensa purche quello ho detto I ho detto no per givo con e
periscrizzo, ma da dovero Conciosia che
debbia esser molto aggrado a ciascun huomo, ma maggiormete alli gentili e
curiosispiriti, di conoscerequello, loqualeno hamaicon osciutolaantiquita.
FRONIMO. Dunque tuteaffas tichi diuuolerintendere quello chenon ha
inteseuerunos APISTIO. Dunque il timitacheiovogliammi persuadere
diconoscerequello che non mai hanno volute conseffarede haue r e intero li huom
n i gradi e molto litterati, e pur se l’ha a veranno inteso non appareinuer un
luogo. FRONIM. Chi co far. APISTIO. L.oaugello Strega. Béchegiahabbia lettot
CollaliinfamelanotturnaStrega.E coficonfeffadino sapere, di qualeger
nerationedeucceglistalastregha. FRONIMO. Affaimi meraueglio chefendo tu molto
dotto nelli Poeti, ficomea mepare cunonhai lettocomeeraconsuetudinenellitem
pianti chi di esserscacciatofuoridelleporte & uscileftreghe cosa che
seraanoi aggradeuole, perche sepuotra comput: tare in uecediuiuandenel
pranso,quandoritornaremo. E forsi anchora ser amolto piu utile cosa chenon
sapiamo, intendendo qualche nuouo secreto. Conciolia che am e pa
te,etragioneuolmére istimo,fiapresa una Strega etiuieffer douecorre peruederla
tantamoltitudinedipopolo.mesco T a t o c o n li fanciulli. APISTIO. Habitano in
questi luoghi le streghe? O cercamente non mi serebbe grave di caminare
diecemiglia, peruederle. FRONIMO. Hor su, sea dunque non m a i uedeftiueruna,
forfihora fara satisfacco alla tua cu. riosauoglia. APISTO. sepur accadesse
cheiopoteffi ci trovare coteftoaugellodam e contantodesiderio cerco,eno giamai
citrouato Meftitia augurio infaufto edanno efpresso Peggio chel bubo annontia
porge, etlega. Anchorpurhouedutonellantichemaledittionifusknomi
nalalaStrega.Machecofasiaquella ediqual naturanon
ficouiene.EtiftimaPliniochesiaunafauola,quello cheers scritto deltelitreghecioe
che asciuccaueno collelabbra le p o p e delli fanciulli Da
uiciaticorpiaforzaegreffo. Er egliecoteftoluto offeruato pinsino dalli Heroici
tempi.' Quellecosemimoueno che sono venuti nellithalamieca. mere delli Proci, o
siano delli lascivi e molto libidino f i buo, m e n i cosidicendo Ouidio .
Procàildimostraqualesiaqueftoangue Chere-laceratoda questoanimale,
Aforbeilsanguelaftregainfelice, Delle Streghe gia preda fortelangue, Puoco
iluagitofanciullefcouale, Et chi ederspello agiuto allanodrice. bb ii conuna
uergadispinobianco,ecome hannoqueda natu. ra,chesonobråminosiucceglicon ilcapo
grandeliocchi fermi,ilbeccotoruo,epartedellepennecanute.colunghie
rampinate,eperciocolisuolenoefferechiamatepercheha n o confuetudine di Atridere
nella spauenteuole norte. Hor tu uediilnomela cagione diello,lanaturadiquella
&ancho talafigura comeegliestaraifcrittadalliantichi. APISTIO. Ben intendo
quelloturaccolima forsi sonodidiuersemanie re e generationi cotefte ftreghe,edi
differente natura,c o n cioliachefedice,comenon fuccianocollelabralepopedi fanciullini,
ma ch beueno ilsangue.Ilpche cofidiffe Ovidio Di notte ai fanciulliniuola
spesso Empiendo il petto dellionoffiosangue Siprefto conlalinguainfatiabile,
Chelsoccorso opportuno effernon lice: N o
paionoatecoteftiofficiifrafedellestreghe,tanto diuer Se nontidimoftranouaria&
anchorcontrarianaturaecó ditioner Erano ragioneuolmente da
efferiftimatiquelliaus gel li misericordiofi, liquali faceuano
Ifficiodellanudrice, ma quefti sonodaesserreputatigrandemêtenoceuoliema kegni
dalli quali sono occisi li fanciullini havendoli bevuto il sangue.FRONIMO.
Iotediro'ilueroaniipaionopiupre ftociascunadiquestecosefauolė,che
altro.Mapurseuisiri trouaqualchecosadiueronellafauola iopenso chenosias
nonatiquelliaugelline anchor che se ritrouano nell’inerf. Chalquinto giorno depuo
fuo natale Perche quelli fallititolieuerfifiguranola uecchianelliuc..
celli.Mabenpensofuflifattoquesto conloagiutodelliDe. moniiiniquiemalederti cio
echeliancidentiaugellihora appareuono in una forma della nodrice ethora
dellainlidia triceE. questomaggiorméte am e lofa credere percheildi monio
insegno il gioueuolerimedio contro delleincantas
tioniemaleficii,perliqualieranoligatelementi delli huo . mincio n inganni,econ
bugie,dicédofeefferGiano,uuole
uachetreuoltetoccaffilioconlarburafrödaleporteetuscii
cioeconlafrondadeunoalberosimilealcitrono &treuol tesegnandocon dettafronda
le pietre chesono sottolain trata delluscio, bago ando la intrata con l’acq ua
, e com i m a d a gaanchorsefaceslino dell’altre cose che non erano sagre, ma
anzi a b omine uoli sacrileg i i e p o rtéri, Bé che anchor de quelle
confedica. Se poil infanti per la nocte oscura Vesla ecilsangue elucca con
l’esperti Labrila Strega,etintalmodo leindura. Cosine
tempinoftrihannoconsuetudinedifare le streghe, quando se narra che sono portare
al giuoco di Diana. Guaftas no nellecune lifanciullininuouamente natiche
piangono, dipoiincontinentiledanoligioueuolirimedi.Liquali, co m e
ainepare,fonoinloroarbitrioepoßianzadi doucrlida re.
Imperhomeritamenteegliederiuatoquestonome.Ca ciofia che queste crudeli e
bestiali femine lequali cometter no tanta scelerita,anchorda noi cosicome
dalliantichi có. uenientemente sono chiainate streghe. APISTIO. Hammi parccute
inganni Fronimo pariméte inlieme con moltialtri,cte dendo efferuero,quello
chescioccamentediceiluolgo,cio eche fononoloche
feminuzze,lequaliuolanonellamezza notte alliconuiti, et alli delette uoli
piaceri carnali delle L e muriofianodellispiritidellaoscuranottee che
coteftefer minuzze guastinocon incantilifanciulli.FRON .Meglio potreste parlare
Apiftio.Conciosia che non mai fe debbe di re
checoloroerrano,liqualiapertamenteracontano quello che hanno con locchio
dellaragionechiaro e manifeftono puochihuomeniben docci, &
amaeftraticólacõținuaprati 1 caet . sa etanchorfonoomatidebuonicoftumieuertuti.
APISTIO. Io ti prometto cheno'e-maiftatopossibiledieffermiper fuafo queftoche
tu di percoralm o d o che lhabbia creduto. FRON.Per qleragione,no teha
poffuropsuadeiuecuno A PIST. Per que f t ca , i n e che pare una cosa da
ridere, come fiapoffibicleh e fattoun cerchio et unto il corpo conno fo che
unguento,in un'certo m o d o erdettepoicecceparole coun no fochemormorio
fecógiúganodettefemenuzze incontinéte colli demonii infernali e che
caualcanodinot. te souradiunolegnodettoGramitaconilqualesifuolecal fecrareillino,elacanoua
oyerosaliscanosouradiunacaura o diuno beccoo diunomoncone,esiano portateper
aria, eche trapallino li Spatji delli'uenti e ricrouanfe alli cantie ballidi
Diana,ediHerodiade, E cheiui giocano,mangio no beueno,epiglianolasciui piaceri-
Puruoglioanchorago giungere un altra cosa cioechenonseaccozzanonelparla.
re,ficomeho inteso conciofiache alcune dicono efferpors tate
moltoinalcoperaria, eraltrediconoappo diterraalcu ne
confeffanodiandaruifolamente con la imaginatione e noncon ilcorpo,epoifermarsisouradellagodi
Benacoo Hadi Garda, nellialtiffimimonti, vero e chemolto m i m e raueglio
chenondicanodiefferefermatefouradellacima delmõte Micalainsiemecon Thalete
overo sula cima del Mimante siano poste a caminare con Anaslagora, Ilquale c -u
n n o n t e n o n guar i d i s c o s t o d a Colophon e da continue neui
affediato, dacuife conoscelatempeftadebbe venire. Altrecacótano de esser
portate allo albero di Benevento det tolanuce,rebême arricordo.Ma qualee la
cagionenosi fermano piu presto nelterritoriodi Arpino piu vicino (fico/ me io
penso) alla nostra regione coueroportate alla Quer zadi Mario,etanchorfeno
leparefaticadiandarepiudiß costo perchenon sono portate per infino nella
Cheronea alla Querza di Alessandro Dicesianchorache hannoamo rosipiacerecolli
demonii che non sono congiunti colli corpirei on oerro. Ma dimmi un puoco
Apistio, che toccame ci possono esser cotefti? Chepiacerisouerinche modo poffo
no haueceamorosisolazziconqueftauana, efintaimagine, efeminedicarne. Ho
letto come le larve oʻsianolenuo's ceuoliombre dellanorię e dellinferno
pigliano piaceri colli' morti etche combatteno con effi, e no con liuiui.
FRONIMO. Dimmi Apistio, seiosciorco tutteletue ragioni, fico me spero
consentirai. APISTIO. Io ti prometto di cosenti re. FRONIMO. Egli e certamente
cosa da huomo ragioneuole, e di sano intelletto, dilaffarsi muouere 'e guidare
dalle ragio ni effcnipij,etdalleauthoritatidelli antichi,lequaligia sono con
cómun sentimento confermate,edipoi quiuifermarsi ma moltomaggiornéte-eropera di
coluicheedigradeinna gegno,echeha lógo temporiuoltolilibridellidoctihuome ni.
Donqueseiocolletueragioniticonduceroa cosentirea quello
decuihoratenemenibeffe,chefaraipoi? APIST. Che faro: Vimetterolemani. FRON
.Pensocheancho , sauiinetteraiipiedi. APISTIO. Ma nongianelliceppi. FRONIMO.
Deh non hogiamaicercaměte pensato co testo. Vero-e. chebengrandemece
desiderocuintédique. fto,accione uenghinellamia oppenione, collipiedi, e cole
mani, ficomedire sisuole. APISTIO.lononfifiutoquello chesperi, e
desideri,sefaraiquelloche tudietprometti. FRON. A me pare
perilragionarehauemofattocaminan
do,chetuseimoltodottonellipoetidelliGentili,etanchora affai siaornato
dePhilofophia. APISTIO.Il mio Fronimo diquestohoranomiuogliodareiluanto cioeche
beninte dali Poeti et fia dotto nelli parlari. C o n c i o f i a c h e e g l i
e m o l tomaggiorelacognitioneadouereintéderequelliper co ialmodo chesouerchia
le forze decoluiloqualearrogáte? mente alcunauoltaselauoglia attribuire,
hauendopuoco ftudiatoinesli, ethauédolipuocapratica. Ilpercheegliegra demente
necessarioa coluiauoleintendereefli poeti e philosophi,
diconoscereetintenderenon triuialmenree grossa, mente la l i n g u a greca e
latina. Et anchore gli e bisogno d i hauere ben intese lifecreti,esentimenti
extratti fuori delle crerario della philosophia. Delliqualisonoornatiebenue
ftitili poeti emaggiormente Homero. De cui,ho udito che
fuillustratoetaddobbatocon grandiCómétariidaAristo. tileetanchora
dallialtriPhilofophidelladottaschuola. Anchor c h o r h o i n t e s
o c h e s e sforzo il Plutarcho con uno molto grande libro di attribuire ogni
scientia, ogni arte, e finalmente
ognicosadiuinaethumana,aquellociecoHomero.Ilperá cheionegoeffereinme
quellacognitione perfetta,sicome tudi,m a no nego
pechoesfermiessercitatoalcuna'uolta per piaceredellanimomio inleggere
quelli,licomeiocercaffi lacognitionedellelingue econquasileggermētebeuendo
qualchi amaeftramétigioueuoliallicostumi,etanchora ac c i o n o n fufli
riputato ignorante, fra li amici e compagni , o c curendola occafione.Cosi senóho
beutalargamétela philosophia, de cui se dice che -e nascosta in detti author i
a l m a c o (l i come di r e si suole). I h o t o c c a t a e gustat a con l a
l o m i t a dellelabra. FRONIMO. Io credochetusiaconduttonon dalla arrogantia
ne anchor dalla fimulatione,m a solamen tedallauerita.Laqualeuertu
ecollocatadaAriftotelenel m e z z o fra ğiti uitii.Imphoche dimostri di n ó
effer ignorare ne anchortutiuátidisapereognicosa. Ecosiquellecosehaj
dettodellanotitia ecognitióedellipoeti nó fon discoftodal lauerita.
CóciosiachePlatoneetAristorelesonopieniditer ftimoniidiHomero,diHefiodo di
Simonide, Pindaro,E u ripide,edellialtriPoeti.Ilpercheiodubbiro affaichetu lia
molto dottonella philosophia decui pare non molto inte diedimoftridinonsapere.E
cosiho istimationeche dis mostrarai molte cose chesonodategiamolto tempo con
gregateinfiemenelfinedenoftriragionamenti,lequalidi. mostrihoradino sapere.
APISTIO. Io te diro, come sono alcune cose che qualche uolraci sonofuto donare
dalla natura leaza uer uno studio o fiano uertuti, ouero altre cose,fi come
prencipiidelleuertude. FRONIMO. Non per que, Atosonomacatodallamia oppenionem a
anzi hai tu posto inme maggiore dubitatione con corefta tua risposta.APII STIO.
Chehaicudetcos 'FRONIMO.Iohodetto,e dir Co cbe ragionocon uno Philosopho.Vero
eiche meglio allhoramicauaro questafantafia,pigliando prencipio imi perho da
quiui,cioe se uuoi promettere di responde -- re a quellecose,dellęqualiho
desideriode interrogarti, perlequalihauemo comenciatodiparlare.
ĄPISTIO.Io DELLE STREGHE 8 to matrimonio prometto de
responderti liberamente. Horlu addimanda. FRONIMO. Dimm i il mio Apistio, hai
tu giamai letto in Omero che anda li e V l y f f e alli Cime r i i s. APISTIO.
Si. Et anchora ho letto in chemodo andodaquella gére chefa ua nellaariacaliginofa.cioe
che erasenzauiada poceruien trareiraggidelsole.FRON .Dimmeseltepiace,checol
lafeces. APIST. Hoaffaicole.FRON .Nó leggiamoquel
leparolediessoingreco,lequalihoraledicoinnoftrouolga' re cosi.lo fu quello che
cauai fuora allhora allhora ilcoltello
dellacosciasecominciaidicauareconilscarpellounafofla, allamisuradiun
gomito,indiequindiincerchioetancho
rainfundeililibamini,cioelifacrificii,colleumbresAPIS. Tu hai molto
egreggianiétedechiarato il sentimento,eno manco ageuolmente isposteleparole.
FRONIMO. Credo habe bilettono una uoltam a louéte ligiuochidiDiana,eliballi
collecompagne Nymphe.APIST.Eglieuero,etu non re inganniapunto.FRON
.Anchoriopensochetuhabbiri, uoltoquelli libri douesonoscrittiliamorosi
ragionamenti, erlafciuisembiatide Anchiseconlaimpudica Venere eco 1 ·me
fufferogeneratimolti Baroninellitempiantichidicote Atifallacietingánatori Dei.
APIST.Etanchoraquestosper seuolueholetto. FRONIMO. Tu debbisapercome queftimal
uagi Dimonii ingannaueno con merauigliosi huominicheerano deditialleopererufticaliepastoralisico
me eracommunamente lauitadi quelliliqualifurono rie trouati nelli tempi
Heroici.CosianchoraingannoilD e m o nioPeleo pastorepadrede Anchise,conciolia
che effo fico me diffecoluilaffolagreggedelli porcielarmentonógus cidiscosto
dallemura inuna ombrosa ualle forto laimagin ne dellaThetide dea
marina.cosiiftimatadalle genti.Et ac ciomancoseaccorgessedelfrodo glifuin
SEGNATO dauno altro frodulento demonio uno delli Capitanii Grecichiama to
Proteo con il qualepigliarebbe There madre de Achille la
qualedimostrauafiincentofigure.Ma benuedieconfi dera uno altrofrodo,con loquale
grandemente inganno, cioeche non dimost.raua di uuolere commettere iltupro, n e
anche lo a d u t l e r ' o , ma fi n s e d i u g o l e r e contra h e r e i l l
e c i. di quelli to matrimonio, Loquale
con suoiuersiegreggiamere carito Hesiodo, ficomeseuedenellescritturede
Greci.Ilpchepra babilméte dicemoeffer da quiui deducto ,cioedallo effem . pio
diHefiodo,loEpithalamiodi Catullo.Ilche anchorr dimoftrailtenoredelverso,chiaramétedemostradoquella
ancica facilitaetquestodechiarailcontinuo e sollecito ftu diodi
CatulloiseguitareliGreci,pcotalmodo che ispreffe
leintegreElegiediCallimacho,alcunauoltarendedoilsen
timentoetaltreuolteisprimendoleparole.Anchora inganno per co t a l via il
demonio facilmente Paride, focto figura di quelle ore Dec. Il quale fi come
scriffe Colutho Thebano nellibrodellapresadi Helena, nosolamentepafceualeper
corelle del suo padre, ma anchorli Tori, eptal modo feue ftiuadelleueftimente
che pareuàun rozzopaftore etigno fantebifolco. Le quali cose, ampiamente con
sue scritture quellolerecita. In questo modo fece inuisibile il Demonio quello
Lidio paftore regale,con lainuersapaladelloanel
lo.cioeconquellapartegiacesottolagemma,epretiofapic tra,ma ciuolta,conlaquale
Atupro ecomesseilpeccatocon la Řeina.Il perche pigliauono li Demonii uariee
diuerfe fi gure alcunauoltadelle Dee,che erano uolgate,altreuokic
leformaucnoineffigiadelleterrestre Nymphe efouerere presentauenolefiguredelle
Dee marine.Epercheeracredu c o c h e s e nascondessino, con il suo ingegno
sotto le unde del e tacqua accio puotessino effer ucdure etpiu fortemente abr
bruggiare licuoridellimiserie ciechj huomeni, ftauanoa p po delliprofondiluoghi
dellacqua doue dicontinuoper driuoltarediquellacuisiritroualacandidafpumaet
iuipa teuafussero appodellenodrici,doue eranonudrigateda güellet Anchora
appareuanocolleimaginifintedi nuvoli, fi c o m e fauolefcaméte raccontano
appareffe Giunone ad Tinone, De cuifingononascelliilsuppositi Coéraur . Cofifin
gono d i c o s t cu i i o c c ħ I f f i o n e p pieta di Giove fu f f i
trasferito ne cieli, e fussi fatto secretariodiqllo,etpõstoufficio hauefli
ardireditécareGiunonedelftupro la qualela mentadosicon Giove uimando ad Ilione
una nuuolaafimilitudinedi Giu donc. cn la qualegiacedoIrionc,ecredendosi
dipigliare co amorosi piaceri con Giunione, ne ebbe li centauri. A l e r i
demonii apparecchiaueno prestigiicioefalsedemoftrationi, illusionie
incantarioni,collequaliiogannauenolegenci, popoli, etinescaueriocondoppiafrodeilcozzouolgo,ecan
choralidorcihuomeni.Ecosinonlaflauauerunocoloreet imagine della diuinita (la
quale con diuerse menzogne e bugie sifforciava di usurparlaetafeattribuirla)
conlaquas le'noncostringeffeilcozzoetignorantesecolo,afarsiadora re,etanchoraleciïauaconlalasciuia.Cóciosiacheeglie.cee
to che anchora eglivergognasse Diana,laquale fugeuadi amare lauerginita
accioforfitirassiasesllihaueanoiodio la fozza libidine. I dl e c u i gioco,
havemo scoperto in di forccio del demonio. EcosisottoilnomedellaLuna(laquale
senza uetun dubbio chiamauefli Diana )raccótaueno fuffi fuergognata da
Endimione,eda Hippolyto licome dimot AtraFirmiano,fotto il nome di Diana
ilqualepensava pers r e n e s e a quel luogo. E il nome di Virb i o c i o e di
tre volte huomo elaleggemolto diligétemente cercata,doue fedo ueffe
ponere,elemani medicheuolidiEsculapiocheporr Sino agiuto alle piaghe debbost
credere fuffero tutte queke lecose fauole etillusionidelliDemonii,epurfeuifuffe
qual che cosache pareffeinuero fuffiftara iltuttofedebbe pene
Sareesserefattoperartemagica delDemonio.Vero-e-che
Efculapioalfinefupoipremiatoconlamercede epremia
delliincantadoriche/elamiserabilemorte. Concioliache eglienarrato da
tuttiliantichiauthori,qualmente fuoce cisodalfulguro,benchefianouarieoppenioniperqualecat.
gione,e per quale sacrilegio, fufficosi crudelmente Occio. I APIST . Dice
Vergilio che cosifufliocciso, percherefufciso Hippolyco dalla morte.Nonfajcu
cheduolendoHippolyco fugire dauanti da Theseo suopadre infuriaro loquale cerca
uadeucciderlosendelifalsameceaccusatodallamadregna
Phedraetsendofalitosouradellacarretta e(pauêtatilicat ualliperlimoftrimarini,f
icomenarra Seneca, cadėdofuoci
delcarroploimpito,etracciatoemorto,sendoitoneline ferno fu resuscitato,efanato
da Esculapio Veroie-chedice Plinioche cosifuflipercoffodalfulgureEfculapioe r
cagio nediCastoreedipolucefigliuolidiTjidareRe di Oebalia quello che scrive Tertulliano, cioechefur
& arfo dal cielo Esculapio, perche biasimeuolmente hauea
effercitatolamedicina.E cosiritrouiamomolto maggior us
dietanellanarrationedicotefta cosa chenellamorte diR o molo.Maegliebenvero
checiascunodiloro,e-ftatoreferi, 20c computato fra gli Dei,benche coftui fuffe
uno ladrone, e quellaltroun mago erincantatore.Vero -e-chemoltopiu mimaraueglio
digildo, e cuihorauoglioraccotare,cioe che nó ben
péfaflılifattisuoiquelgradehuomo,ilğleerasoftēta toetenatocórâreifperedaun
certogrăprencipene giorni d e noftri agoli che le ubrigaua di far. FRONIMO . I
n altrom o d o scriffero Panaiaso,Poliantho, Phylaccho,eThelefarcho
Anchoraltcidicono p altrecagio nifuffeoccifodalceleftialefulgure Esculapio.
APISTIO. Deh no ti siag r a u e d i r a mentare il cutto, i m p e r h o felti
piace e tu ti ricordi. FRON . Io son côtéro.Furono alcuni,liqualilcriffe
tochecofifpauêteuolmétefuffeucciso percheresuscitoTyn daro eno
lifigliuoli,Vero:e-cheStaphylodiceno fuflire fufcitaroueruno da Esculapiom a
ben -e-uerochefusanato Hippolypo chefugiuada Troezeneecofipquacaufa, fufli
percoffo emorto dalfulgure. Ma Polyanthoscriue che cosi fuffiuccisopchelibero
lifigliolidi Pretodallasciochezza. E puo le Philarcho esser li cio iter venuto
p che a g i u r o li figlio bdi Phineo. Ma fraquelli cħ háno voluto
refufcitaffeimorci alcunidilorodicono cheresuscitomoltidiquelliche furo
noucefinella battaglia e guerra di Troia. Et altri scriveno che resuscitaffede
qlli chemancarono nella guerra de Tebani. Egliebenuerochenó cimanca Telefarcho,
che dice come fusse in tal modo percoflo ,perche se fforzaua di riuo
careallauita Orione nolorefuscito imperho.Anchoreglie moltomanifefto uedere la
guerra etan chor la battagliade Ilio, e di Troia, e tuttilimodi delcome batrer
ioisefece.E cosi designado ilcerchio ,accio demostra
Bidouiandarono,ecobarteronoThelamone e Peleo figlioli di Eaco.c doue
Olyffe,collialtri Troiani,fu portato dal De: monio ,egiapiunó cóparfe inuerun
luogo.APIST .Turac contimarauigliose cose.FRON .Sono certaméte marauia gliose
etanchor vere. Dipoiquelloprenicemádo indiuerfi: CC cuaniluoghie paeli,
etanchora'per infino nellaGermania etanchoradiroequefto
etdouenonmandoépercercare guelhuomo:Horlendopericolatocostui,uêneincoteftono
Aroeccellete Caftello uno dellsiuoi discepoli,chelaffoliues ftigiidelle sue
malgradeuoli e diabolice opere perinfinoallo
noftrigiorni.Concioliachedesignaualaimaginediquella
chehaueafattoilfurto,etdimostrauelaa colui,a cuierano
Aatorobbarelesuerobbe,nellaincheftaradiacqua,osianel
kaamola,cocertifacrilegii.e fuperftitioni,etiujlefaceuauc dere la figura
iueftimenti con tuttiim o di erano fucoserua. tiinrobbarequellacosa.Joconobbiunodaluimanifeftato,
ilqualehauearobbatoleámolette ciocalcuniremediicon
troliueneficii,econtrodealorimali etoccultamere Shauca portatoa
casa,efecretamenteferratinelcophinonon lofa pendoueranapersona.Emi ricordodel
tempo pelquale la fciodettesoperftitionierinego lartemagicaS. e caminaffis mo
insiemediecegiorni,pareamenonsarebbonobafteuo bidaisprimeree ramentare
quellecose,lequaliho osferuar to enotato dellemanifefteinfidic del
Demonioneanchor ferebbonosufficientidipuorerenarrarelimodi,cheofferus elloperingannarelhuomo.Ilperchemericamenteie
chiar mato Saranaffo.Conciofia che sempre fu,e,et fara nemica
dellhumanageneratione,cosiincuttelealtre cose,come in quefta, decuihoggi hauemo
determinate di ragionare Quanto al modo che dimostra dipigliarecarnalipiaceriio
le dico che quello lo vuole negare (si com e contrario a t a n u
vidottiefauiihuomeni Jiquaidiconobauerloconosciutoda quellichelhanno
isprimentato,etanimosamente teftifica no
dihauerloudito)e-riputatoftoltoepazzodafanto.Ago itino il qualescrise con ieftimoniidi
coinufa a m a nel quintodecimo libro della CittadiDio,qualméresonostatoritro.
HatifouentedelliSelaaniepergersiFauni faftidiofialledon
De,chiamatidaluolgoIncucbbiioe chesefforcianodico
metterelafozzalibidineinfiemecolledonne etchesonori trouatidiquellichehannohauutoilsuodesiderio,pigliado.
ne amorosi piaceri con effe. Et anchor diceche sono alcuni alori demonii
chiamati da Galli Dusiili quali di continuoco grande importunita tentano le
donne per avere l a f c i u i p i š ceri, efouêtenedcuenenoalcocento
dellilorobrimatid e fiderij, ecotetidanoifonoderij Folleti. APISTIO. Ti
priegoo, feguitapur olera, FRONIMO . Horquantopettenne aluiaggiofannoper aria
credocheanchor habbia udito (cc c e t o se tu non l’hauer a j letro) come ne
vemn e Ab b a r e n e l l a Italiafouradiunavolátefaecada Pythagora,
perinlinodal lo HyperboreoTempiodiPhebo.APIST.Ne ancheque fto-e dame narcofto
cóciosiachelhoritrovatoscrittodaun certo Philosopho Platonico. FRON. Se
bentutiramenta taiqueftecole, facilmerecrederaile altri.Ilperchetu debbi Sapere
qualmente comenciaffe cutiaquella Necyomátia di
Olyffe,dalcerchio,cioequellaartedidiuinaremediãtelicor pi morti.E
cosifacilmentepuo conoscerenon efferecosa
nuouaqueftifigmenticfittionidifarelicerchi,m a anzifos no antichipreftigii,cfalse
delusionilequalianchora hanno cercato di seguitare li Poeti Latini.
Cóciosiachesefinga Scipion c c avare con il ferro la cavata terra altre ,etutte
qucile cose che seguitano,adeffempiodiOlyffe.Quanto alliragio
namenticolleombreo sianocollispiritiiotedico chesono molto piuantichi che
fufferoritrouatida Homero .Ilchef a cilmente quelli ilpoffon sapere,
liqualiconoscono fufferorj trouatiliuersidiOrpheop queftacagione,econosconoco m
e Omero ha seguita qt ou e l l o non solamente in nominare Tyresia ma anchora
ha imparato essi nomi congranfole lecitudine econnon menore
offeruatione.Ilpercheferiue GiustinoMartyre,come furon composti
escrigriliprimiuer fidella Iliade ad esempio delli primi uersi di Orpheo ,
liqua Jiera noi ntitulaci di Cerere. E coliconuarü riti, costumiciof
feruationiogniuno desiderayaecercauadihauer compagnia familiarita e
ragionamenticollimorti,per cotalmodo,che dipojera detto come quelli scende
vanto giu nellinferno . che narrafi interaenefiaPythagora,poilògotempo dopo
Orpheo etHomero ,edicesicome uedessejuinelloinferno
JanimadiHefiodo,ediHomero,cheeran tormentateper
quellecosehaueanoscrittodelliDei.E pqueftofediceche fu grădemete honoratoe
reueritodalli Croroniati, etancho sa molto piuperche racconto dihauere ueduto
efferui gran 1 demente cruciati, e martoriati quelli,che
refiutaueno di pigliare amorosi piacericolle sue dolcimogliere. Ma quanto
atrapassare per ilfpatio dellaria,ionon fo in che cosa dubiti, ouero p e c c h
e t u li maravegli. Con c i o l i a c h e a m e parc non importa,febene misuri
lepenne delliuenti con una laeta o con uno scanno ,ouero con una caura. Non fe
dice in qual m o d o fuffi portato Pythagora, o Empedocle,
neinluunocarrodaduerote,oda quatro,o dauno alatoPegaflo oda Dragoni,oda
Olori,accio seguicaffeVes nere,Medea ouerofulficondottoconduiserpentisottoil
giouo comecòduceuano Circe,ocollilioniamodo diCya
bele,o.colliLynciadessempiodiBaccho,ouerofuflitcapor tato in
altosouraEuropeelaterra Asidafecondo lacoluetų dinedi
Triptolemeo,acciochequellofusliportato lauorato redelle fructa, e questo
coltore della philofophia, m a inueco furono amenduoiingannati da Pallade cioe
dalla astutia e melitia del demonio. APIST. E cio mi ricordo d’avere udito
narrare feno me inganno, di Simonemago, ilqualeebbe are diméto diuuolereandareperaria
imperhoinsuamalhora. Conciofiache desidetandodi vuolersaliresouralaria.c fina
gēdodiuuolereascederenellaltocielo,ecosisendogiapore catomolto inalto
dalliDemonii,percomandamétodiSan toPietroapoftolfou laffato
uenireconrátaftetagiu interra d a dettimalegni fpiriti,chrópedofi tutte
loffa,fu Ioétedella, uita.FRON.Ě forlianchehai udito dinon so che Ethiopili
quali haueanoinusanzadiimporeilfrenoe labrigliaalla Dragoni,
edipoiseggédosouradellaloro fchinaueneuano inEuropa.Cosisediceeffernarratoda
Ruggeri Bacchone. Ma purcrcdaquellouipareilprudente edotrolettoredi questa cosa
accio tu no pens voglia ramétare liuoli di Dedalo , liquali se n o s o n o s e
m p l i c e menzogne, sono al m a c ocre duticomefrodiet inganni del demonio
eta nchorajotaci in che modo sparue Apollonio Tyaneo, dalla presentia di
Domitiano Cesare. Oltro dicio fetu confeffi fuffero appo, delli antichi
lispiritiincubi e succubi,cioe che si d i m o f t r a p e n o i n f o r m a e
FIGURA DI MASCHI e di femine donand o amor tofielafciuipiaceriimodo diciascuno
feflo allimiseri mor Y tali
c o n certiunguéti, accio appareffe a led vero alli altri che
fufferotraffigurate e c o n uerfeinunaaltrafiguradiffimiledallaprima.Ebenche,co
teftohuomo dotto,fingeffediessere trafinutato,non perho dicefufficóuersoinuno
uccello benchehaueffeufato quel® lamędememedicina. Ma bugiardamente
narrafufftramu tatoi uno asino. Anchor dicecheebbe gran cordoglioquel Ja
femina, dubitandoperloerrorehauea fattoinpiglia: relabuffolettache
fufficangiatoLuciano inunoAlino.Il perche dimoftroe non
effereuarialaeffentiadella cosa,m a lilaimagine.Etelloconquestochiaramente
ilconfermo, econfettoche fendodiuenuto Asino, hauearetenutolame
te,elintellettodi Lucio. Etanchotanó edaistimarechegli
ueneffeinfantasiatalesopinio cioeditrasmurare la forma f e l non fuffi f u r a
c h i a r a fama come c o t e s t e cose erano molto
inufanzaappodiquelledonnedi Theffalia,ecome elle molio fe delectaueno
letefsercitauenoineffe.Non lo con fermoanchora quefto, quello Platonico
Apulegio, chepoi boseguito:fingendo diessereprimaitoin Theffaliaauanti
tali perquale cagione non uoi credere chesiano anchora
fimilifpiricipenoftritempiscóciosiachecotestosecôferma có
tálietátiteftimoniicliqualiioglicamétaro,feltipiaceras Quanto
allunguento,iocredolosappi,perchediffusamen tenehascrittoil Syro Luciano el
africano Apulegio, uno in greco e l’altro in latino, Eco si se ha queste cose i
scritte da l u i. Dunque cheuuoledirecofiquellocophinetto,e quelletan te
buffelette equellooliodiquelladoma puoca istima nella sua CONVERSAZIONE. Di poi
esfo m e d e m e authoreledichiara dicendo.Incontanentefuunta delluny
guento,fufattaageuole dauolare.Edipoifoggionge. Dop po puoco spario di tempo
non douento altro cheuno cor, u o da norte.E cosi pareua aquelli,liquali
guardaueno,00€ tofingeuano diguardare fuflidiuenutouncoruodinotte. Io non mai
crederei, che ver uno se potesse t r a f f o r m a c e d i una specie
dicreatura in una altra osiaper uirtu de alcuno unguento overo per incanto
magico. No dimenoy voleuano quelle sreghe effecuedute ungersi decuine fatto
fingeffe diefferueftito diuna nuoua forma sendo priuo del
laprimarSedricamenteioreferiscoleparolediquello cosi
diče.pigliaanchoraunpuocopiudellunguentoefatte& c. Et assai
alcrecosescrissenelle quali parecotuttiimodiquafi habbia uoluto seguitare
ilSamosateno. Cóciosia cheha fato tomentionedello Thebalicomormorio dellolio
trasforma uadiunaformanellalera edelliremediidellecosecontrodi quegli
incatiliqualifaceuanoritornare lhuomo alla prima figura.
APIST.Perqualcagionecreditusiafattomentione diquellemedicinedicose
lequalieranoinagiucorio,econ. traquelliincanti,efrodimagicedFRON .
Segliepurcosa uera egioueuolein queste medicine,penso siapreso d’Arisotele.
Nelle operedecuiholettcohe e ripostofralemera uigliosecosecomee
cosuetudinechemuoionofacilmeteli Aliniperloodoredelle
rose.IlchesapendoLucianoeLucio finseno di mancare dallaformadellalino,de
cuiprimaha? ueano fintiessernefigurati.Oueroforse egliequiui nascosta
unalcracofa magica. Eglieda saperecome gia grandemente eran o infamate le donne
di Thessalia e di Thressa, che fa ceflino delliueneficii e dell’incanti, et
anchora era detto che fussi condutta la luna e m e nata secondo le piace u a
colli u e r sida quelle, e chiamatelefiffeftelledelcieloilche anchora
cracoftume delli Sabini ficomescriuc Oratio , etokro di cio diceuasifuffero
inspirate da Baccho eteranochiamateMis
mallonecioeseguacidiBacchoporradolecornasicomefa ceua
ello,etanchoraeranodecreAdonidee furiauanocollo complicate ferpefrali
Thyrliconillusioni magice, etincáti, prestigii Et erano tenute in tanto honore
e veneratione che uuolsiintrare nella compagnia di quelle la Reina Olympia
madre delgrade Alessandro.loistimo forseche quelle cose paionobugie
Quotrebbenohauerpresoprencipiodaquale che fimilitudinee colore deluero.Pare
anchor cosa piu pro babileche haueffono qualcheaccrescimentodadertiprodi
güemerauiglioseopere de demonii non senza qualcheue rofondaméto
dellauerahistoriacoloratoer adombratoco molteuanitatie
fitrionichedallifonniilicomee scrittoda. Synelio ilqualeuugleua haueffonohauutolefauoleantedit
1 tecCOG m i ricordo il qualesefforzodidimostrarecon grade ingegno
inchemo do haueffonolamaggiore partedellefauolefermo fonda mentodallahistoria
etanchorafforzofididimoftrarecome dipoi fufferofuco fouente ampiate in maggiore
cose effe fauolefondarefouta diefla verita dalla falra fama del cozzo vuolgo.E
coscredo iofcriuefleVergilioquelperso. La dotca carta teftese di Palephato
. 1 il Sole confinteparoleeconaflạipersuafioni,dauaad inte..
derealledonne di Thessalia, l equalinointēdeuanosimileco.
Sfimilifinteopere,ouero dagrande aftutiae faggacita.Ilper che fu uno greco
chiamato Palepharo fe beu teecofilialtii,daeflisonnü. Ecertamentenon sarebbe
itaa to alcunäcánto brammoso di uolgare e manifeftare quello cose, chefufsero
hauute e uedutenefonnii,licome ueduce fuoridel somnio
collequalifufferotantotirauefforzatilhuo minidimerauigliarsi. O
quátofonoliueneficii,maleficiiec incantationiramércate,iscritte, enátrate coli
dalli Greci.co me dalli Latini, Percia da Vergilio e detto di quella antifti
tee sacerdotessa della stirpe de Mafsilli, la qualeprometteua
disciorelementidellihuomenicolliuerfi,cioedifarlifarefi come lepiaceua,
etdifarefermare lacquane fiumi,difareci
tornareadietrolipianetiedichiamare,etfareuenireafelc notturnemani cioelispiritidellanotte.Anchoraperquesto
senarranolemedicineerincantidiCirce,diMedea diCar
nidia,equellealtregenerationidiueleni,lequaliconduco. no
lhuomenialpazzescoamore chiamate da Theocrito Si cilianoPhiltre di Simetha
ecofida luiscritte,loquale regui, to Marone ne fuoiuersi. Puo efferche douiamo
pensare che fianotuttequestecose finte senza uerun fondamentos Ver
toechemiramentodhauerlettonelPlutarcho,quellafauo lacon gradeingenoe
segacicaritrouaradiAganice diThef falia, laqualenarracome conduceuaasuauoglia
laLuna. Ma cosi era la verita, chequella conoscendo la cagione che la Luna
horaeraritondahoracornuta, ethorapiuno seue deua,
perlainterpositionedellaonibradellaterrafraeflaet facomelecoduceuainquel tempo
la Luna interra ficome: lepiaceua. Eco sidiconohaueffero principio
lalorifauoleda Veramente eglie molto chiaro qualmenteochelhuomeni
eranotramutaticolliincaptieueneficiiindiuerse figure sig c o m e bugiardamente
et anchora scioccamente parlaueno alcuniouerocheappareuonocosi.
Ilpercheparenonsepose finegare senzaqualcheAtoltitiachealmancoquellinonpa
refsonoaleoadaltriefferefimilecofa.Non tiraccordidi quello che tanto
chiaramente se dice delle figliuole di Prei t o cioe che impieno con falli m u
g i t i e voci di animali li c a m pifet hauer havuto paura dello aratro, eta
nchora hauer,cer cole cornanellaleggierefronterCofice-narratacorestafas
uola;Come furonotre figliuole di Preto, le quali sendogia. Nel fiore della
giouentu e conoscendo seefter bellissimeintras.o nel Tempio di Giunone,
spreggiarno la Dea Giunone, cipucandosieffer piu belle diquella
perilcheadiratala Dea ai miffe tale folia inesse che le pareua fulsero diuenute
in formadiuaccheilperche hauendopauradiportaree con ducereloaratro
fuggirononelleselue.CosinarraVergilio, con il testimonio di Homero, ma Ovidio
dice in altro modo cioechecosi diuennene nel furore e pazzia,che glipareus
dieffer douentate uacche nella Isola di Chea, perche haues no consentitoaquelli
haueanofurato alcuni animali dellar) mento d’Ercole. Le qualidi
poifuronoreduttease, etui suilluminatalafantasiada Melampo, ficomefu Lucio con
la rosa,m a dicono alcuni altri che furono fanatee ritornare
allaprimafiguradaEsculapio, siacomesi uoglia, cosiegtie narrato uariamente.Vero
e-oche intraffinoin fimilifurie pazzie, o fufli per ira opera del demonio,
overo pe t qualche corporale infirmita ritrouolantichita a quelle gios ucuolie
diuerfici medii. Ma tu debbe faperecome bebbero li Demonii uariie'diuersi modi,
eranchoracótinuideingan nareli uomini, in quelli tempi, nelli quali teneuano
loim perio quali ditutto il mondo, e non solamente per lifacerdo
dietAntiftitidelliTempii,cperlioracolierefpoftededi Ido lictimagini,m a anchora
ingannauenoper mezzodeals çunedonniciuole inspiratedalfalsoPichia,et
fraudolente Apollinc.E cosipercotcftimcoodinduceuanoglihuomen afare
ftupefattiemaraueglioldellelorooperationi et ins. uiluppauono
YA ma non gia con quello il quale seguito Varrone nelle Satire.
Conciosiache quello Litio e-moltopiu anticodicoteftoálcro Menippo. Ben che so
che tu intendi quello SIGNIFICA (SEGNA)
Larva pur anche io i uoglio ramentare, per parere disaperlo, etanchora
per raj zentarlo lecosihora horanon te occorrefi:Sono Larue mooceuoliombre
dello inferno,ouero ispauenteuole scon bodellanoue ele Lamieeranochiamarealcuneimagini
efpiripimoltibrammosidelafciuiamorie fozzipiaceri,es mche grandemente
desideraueno dimangiarelhumana arneV.edimo chefauoleeranocotefte.PurdimmiApi
nonpaionoatecotestecoseche hauemo narrato s o p r a molto similia quelle
delliquali longamente dicesi dellemaluagie Streghe dellanoftra etades APISTIO J
n neticaame paionoquasisimili.Iiperchehoraoccorrono a me quelle parole
dell’antica fauvola cioe Larva Lamia etIn cubicongutellodiersodi Ausonio.
a l a p p a don o quelli nelle precipitanti rouine delle scclerita , defotto colore
della sagrata religione.E perciopigliauono Qaric
formeediuersefigure.Colisepuouedere e consider rue Protheo figliuolo
dell’Oceano appo de quasituttiipoet p.loquale ledemoftro in
formadiuariifimulacri efigure, ficomediceVergilioconloteftinioniodiHomero,cioeche
fubitosufatrohorrendoporco efuriosa Tigre, squammolo dragone,et una Lioneffa
con lafuluante egialda ceruice molte altre coseramentanodilui,che
lafloperbrcuita'. mente appareueno quellieccellentiBaroniche furono oce siliad
Ilio alVinicore.Coli anche liramenia in che m o d o agparessead
ApollonioTlaneouna fantasmaouetoappal tente figuradellaEmpusa,cioediunacerta
generationedi Larue o fiaspauenteuoleimagine auuotara a Diana,cheua
no,licomesefinge,conunopiedee conuertonseinuariefi gure et alcunauolcaincontinétechesisono
rappreferiate fpareno,epiunon feuedeno. Anchora dicesicomehauesse
conuerfácioneuna Larua,ofiaLamia,forrocoloredị hono .
Kuolematrimonio,conMenippo Cinico dd Dimofte bomio, Nora e-la
stregain cunede fanciulli, con quelladonnescasceleragine. FRONIMO. Hor
piuolcre, ramentiamo pur del altre cose, a c c i o f e possa donare egual
giudicio e g i u i t o senz pa u n t o di menzogna.Credo chetu fappi,qualmente
sonoscrittiiu finitiuersidelliueneficii,et incanci,dellilicquorie beuande delli
Pharmachiemedicine,etanchorsonocantate fauole fchedociele Nenie Marsice
cioelefauolede Marfi. Matu debbe sapere come sono iscritte e cantar ce o n una
certame Laphora e similitudine quelle cose che cosi leleggono ,cioè che
lhuomeni,liquali remigaueno gcupisceno colliporci, perledonneche lusinghe e
chebruggiasseHercole lendo unto con ilsangue di Nesa eche fufferoinstillasili
amori col li veleni di Colcho, cóciofiachechiaramenteseconosceful;
secosignificateemanifeftatelesceleratecompagnie epros phanimodidellasozza enefanda
libidine,collanridetteor seruationiecanti.Vero-e-cheuoglio tuintenda,come non
erano imperhodetci incantine anchora detre representatio
nifofficientidispauentare ueruno,m a folamente pigliauei no, epauentaueno
quelliche uuoleuano il perche narra Homero qualmente OliffeasfaltoCirce
incantatrice non con ildolcebaso,m a siconlagutocoltello.Jlqualecosi comená fu
presodal ciecoamore ,cosianchor nó fu inuiluppato dalli incantamenti: Li quali
non nuocenosenza malegna sottilita delli demonii. Leganoquellicheugoleno et
acciocheuuoi leno ufano uariearti, e diuersimodi.Pigliano il rozzo volgo con
lafozza libidine,ecolli deletreuoli,etlafciuipiacerie
giranoasequellichesonodeditiallauita ciuilecollericchez ze,econladouicia
epuranchoraltrinecoduconoasuoiuo“ tibenche puochi con lepromiffioni,econ laesca
dellaglo ria; ed ellhonori,cioe quelli chese sono dati allistudi della
philofophia. Ma quátopertenealliconuitiattédiben. Sedito, come quelli
inpartefonoyerietinparteimaginationiet ilusioni,non perhofarodiscoftonedisconueneuole
dalli antichi scrittori. ConcioGache ritrouiamoiscrittoda Herodor."
todellamenfa del Sole eda Solino essere-istimata quella
unacosadiuina.CosiritrouiamonellauitadiApollonio Tia teo neo , il convito
della spora di quello, la quale era riputata una dell’antidette Lamie o delle
Larve, o delle Lemire, eLeg.
giamoiui,coine'sparbinoliyasipareuanodioro,ediariento cheeranofulamenfa.
Etincoralmodo appareuanoiDes monii all’huomeni sottouarieimagini e figure
chiamate da PhiloftraroEmpuse eLamie eMormolichie,ofianoLate ue.Gia
puocoavantihauemodechiarato checosasianocos teftifpiriti,etombre.Ma quanto
alleLamieritroviamoin Esaia dicono.co m e raprefentanouna certa
beftialefigura:AlcuniHebreial trimentescriueno,dicendo come seintendeper
leLamie alcune ombre e fpiriti furiosi,benche siafattamêtione nelli Treni di
Geremia propheca dellem a m m e ouero p o p e della Lamia. Ma altriistimano fia
derivato cotefto nome dal lapiaree spaccare etalquantidallaLama cheuuoldirenok
sagine,oispauenteuole pronfondita .E dequindicredono sia derivato quel detto di
Horatio. Ne traggiil fanciuluiuodepasciuta, Lamia deluentre.
AnchornarrafifusserogiaconduttinelspettacolodaProbo Cesare molte Lamie.lu qual
m o d o e figurafufli quella che inganno Menippo,non
lipuofacilmentecofidaaltroluogo conoscere quanto da Philostrato.
Ilqualenarracomefu ingamnatoeffo Cinicoda quellaLamia,quandoellafinger ua
dipigliarloper marito, edipigliare amorosi piaceri con quello. Parimente i o i
s t i m o fulfi uccellato e s c h e r n i r o Apollonio, quando erapregarodaquellanonseincrodeliffenelli
tormenti. Cofiera ingannato,percheiftimauaefferele Lal
miemoltofacileadouereamare Hhuomeni,edipoipensaus che grandemente brammasino
dehauere amorofi piaceri coneffi,enonmanicodipoicredeuache mangiassimolecat ni
humane. Ma il mio Apistioio techiariscoqualmentenon fonotiratii demonii dalle
brammofe voglie d eamorosi pia propheta il luogo delle Lamie, doue
famentione del fcontrodelliDemonii incubicioede quellichefedimostra no
allhuomeniinfiguradifemine, ecolidanolafciuipiace riallimaschi eriftimano
coftoroche siano leLamie dihur mana effigia dal mezzoin fue dal mezzoin
giu c e r i n e condutti da desiderii libidinosi, ma sono codutti
dalla malgradeuole invidia adimostrarecoreste cose accio ro uiniiso emandano nelprecipitiodelli
peccatilhumanagę.nerationeetalfinelaconducano nella infernale dannatio ne doue
efli sonoconfinatiinperpetuo.Etacciobenintens di infiamniano cotestisceleraci
spiriti,limiferi mortali,cioc quelliimperhochefilaflinoingannare
conunacerrafiam m a occoltam a non sono efiinfiammarida quelli ilche ini
teseilpoeta Vergiloquandodiffe.Inspirainelliunooccolto fuogo. Conciosiachemi
arricordochefunariatodallaStre ga che quando se appresentata il demonio
allisentimenti suoi in diuerse e uarie forme haueainu sanza diconoscerlo e
didiscernerlodalliueri animali delliqualiello hauea pigli ato la forma in
questomodo.Lepareua che uiintraffenel pettouncertocalore,etuna certafiamma,per
laquale era certificatacome quelloerailDemonio.Anchoranarraua qualmenteera
apparechiata alla fpreuedura una fiamma đı fuoco, ficomele pareua nelgiuoco,
douc conueniuano tuttiauantila Donina, olaaukti del Demonio che seprefen
cainformadiornatiffimaReina con la quale fiammadice uache
incontinentesecocceuanolecarni femagnono ren dolemoftrateadeflafiamma.NonbrammanoliDemoni
ilsanguehumano,neanchordesideranolecarniper managiare , ma il tutto opera d o e
p r o c a c c i a n o, a c c i o c o n d u c h i n o lanimee corpi delli miseri
mortali nelli sempiterni tormenti. Laqualcosaiofocheegreggiamente inrenderai,quando
udiraiparlareDicafto.Ilqualefebenuedoenonme ingan palocchioperillongospatio,ame
pare gia fiaallemani,a combattere con la strega. APISTIO . Benben Fronimo. Tume
haigiunto. Bêcheame paressedidisputarecoliuno degnoe nobile caualiere,percheioteuedo
vestito coriquel le ciuiliet egreggieueftimente,ecintodiuna moltoornata {pata
manon credeuogiadidifputareconuno cheintens deffe tanto eccellentemente
linascoffi sentimenti delli P o c tihiftorici,Philofophi etanchora
delliChriftianiTheologi. Ilpercheconoscendoiolatuasufficientia,tipriegouoglitu
per talm o d o adaptare in cotefta parte che ciretta deluia, gio ,
gio,chepuoffi seguitareitgia comenciato ragionamento , et anchor puoffi
dimostrare dellaltre cose,con ilsecondo dit to,sicomegia hai fattoquelle prime
con il prino,ficomese fuoledire.cioe coli tanra facondia fortilica,e
dechiaratione chepossonointrareinme bendigefteedechiarateficome f avesse io ben
poi mastigare H o r n o perdiamo tempo, ma te priego seguita lagia comeciara
disputatione.FRON.Se rebbe bisogno dimolto piu dotro dim e ,et anchor sarebbe
necessariodino puoco,ebreue viaggio,m ad i longo tiposo in douere
fatiffarealletue humaniffime petitioni No dimen o pur mifforzaro disatisfare a
tequáto porro.Cerraméte farebbeuilan,eprivodiogniciuilita,feionon efsaudillele
gratioseetanchor honefte addimandedicoluide cuihogia conosciutoperlesueresposte
che grandemete desideraebrå ma deintéderelauerita.Dunqueseguirolagiacomenciata
difputatione,eramétaro quellecosepaionosianoaccómo date aquelloauãtidiceuamo,quáto
imperhociconcedera ilbreue spatiodel uiaggio.Giahauemodettomolte coseet hora
uoglio rispóderea quello tu dicesti cioe che pare nale
accozzanoleStregheisiemenelnarrarelecosefatteadeffe dal Demonio,eparenó
fecóuieneno inreferire quelle cose delloro sceleratogiuoco,ma
cheunadiceinunmodo elal t r a i n altro modo .I o ti r i s p o n d o che c o t
e f t o puo intervenire o dalla paura o
da mancamento di memoria, perche c o m u n a mēte fonogroffe de ingegno,ecôradinedella
uilla.Anchor Sepuo cagionare et in col parlea malitia del demonio il qual
inganamano tuttoiunmedemomodo.E questofacilme. te lepuo conoscere
nellantichiprestigii,etillusioni. Concio Siacheegliealtrageneratione
dejucătationinello Euflino altra nella regione Taurica etaltra maniera nella
Italia E fében consideraraj conoscerainon esserfimiletotalmen re quella
PharmaceutriadiTheocritoaquelladecuipar la Vergilio cioenoii.e-fimilelartede
ueneficii et incanta, menti unacon altra.Anchorpareinteruenisseilfimilenel li
oracoli e responsioni. Perche altre erano le resposte date per le femine
inspirate dalli malegni demonij,etaltre erat n o quelle hauute per le aperture
e coragini della terra, et altreanchoraquellecheeranopigliate
dallhuomeniper lifonnii nelli Tempii. HperchealcunidormiuanonelTem
piadiPaliphea,elmiedici Calabresianchora essihaucano confuetudine, con&
Dauni,diriposarsiappodelsepolcrodi
Podalicio,ilqualePodaliciofufigliuolodiEsculapio efueca cellentejnedico.Anchora
emanifefto comesoleuanogia Geceaffaipersoneneltempio diEsculapio. Ilchenon
solas mene fuofferuatonellitenipi Heroicim a anchoraperinsie no allaeta di
Antonino. De cuiraccontaHerodiano chean doa Pergamo perlanti decta
cagione.Anchoraleggiamo q u a l m e n t e h a u e u a n o consuetudine li
oracoli di dare r e f p o n f i o n i p e r il mezzo di intier esta r u e, e t
a n c h o r a p e r m e z e zestatue,emediante anchoralecolombe,ofufferoquelle
neriaugelliofusserofemine disimile nome non loro,m a benfoperdetci
modireuelaueno lecoseocculte etannon tiaueno quelle doueano uenire. Anchora
assai auttori narrano come erano farte simili cose nella India per il mezzo del
Jalberi, et in Dodone,ficomeracconto Aleffandro Magno, Erano
anchoraaliriliqualisubicamenteintcandolisopraun certo furore narrauano
marauigliore cose.Ecosi ritrouauoni
ficoteitietaltrimillimodi,ediuerfiJunodallaltroda reuela re
lisecret,etannonciare le coseda uenire.E come erano di uersespecie
egeneracionidellaugurii,ediuersilimodi del
fceleratorico,damanifestarelecoseoccoltee da aluontias rele cosedouéano uenire,cosieranodiuerfi
i sacrificiicollir quali sagrificaueno,eanchora diuerfi'imodi dieffofcelefto
prophano,eteffecrando sagrificio.Anchora erano diuersili
incantamentidelliantichi enon manco sonouarii nella10 ftra eta enon manco
sonofatticon altrisceleraticoftumie modi
chesoleuanofarequelliantichiRomani.Sononarra tealcunecosedallanticoCacone
nellilibridella agricoltu raditátasciocchezzache retrouansipuochile poffonoleg
gere senza gran riso etischerno.Nondimeno furono imper r h o i scritte DA UNO
UOMO ROMANO, il quale fu censore e
triomphatore. Ma quanto al moto.cioeinchemodo fiano portatedalDemonio ,equanto
alluogodoue fono ferma te tunon tidebbimerauegliare.Concioliachequellacosa
che e conåfuoingegno.bugiardafallace,etingannaterigcel i e
quellafouentdee piumodi,ediuatianaturainaquellache
c-ueracefeaccostaallasemplicita.Ecorefto efaciledauc derein quelle coseche
hauemo ramentare,enon manco anchora se puo conoscerepellifigmenti,e fauole de
poeti, comefonola fedariietanchorcótrarii.Etanchefpeffeuol tequelloferitrovanellenarratehistorie.Ilperche
fouente seritrovauna cosascriccainduoietremodi,etanchorqual che uoltaipiuan o
cótrarioallalto,esepurno seranocorra tii alm a n c o seranno diuerse
uarii.lisimile intecujene anche nelleoppenionide philofophi, enellerefponfionidelli(auii
(ureconfolti,edoctoridelleleggicosipontificalicome imps riali conciolia che se
citrouano varieoppenioni circauna medema cosa,Manon maiimperhoseritrouaquea
cofa, nelle (criteurede Theologgi, eccettoche inquelle cosel e quali sono
communi coli alliPocci comealli Philofophi. M a inquelle
cose,lequalipropriamentepertengonoadeffs TheologgiciocnellicomandamentideIddio
ecosinella! He cose, che pertengonoallafedecatholica,etaliicoftumi,
chefononeceffariiallafalurenoftranon uifaricrouaucig. na diffenfionem a
fonodatutti:narráciedęchiaraticongran deconcordiae consonantia
etinunomedesimomodo.Ve to-e-chelDemoniomalegno amicodelladiffenfione,con c o m
e -e-bugiardo et ingamatore cufi-e.uario,e uerfipelle. accio dicameglio.Ilquale
uocabolo segondoliftudiolid e l la lingua latina e-cauaro kuorida quelle favole
delle quali gia auantipädladimo,per ilcuiinganno diceuanli effertraf murai
Thuomeni nellilupitcoicomeingamaha Pichau gora,Empedocle,Apollonio
ellaleriantichiPhilofophi disi mile generatione con ilcolore della
dottrina,(üpercheula "Ha coteftilaciuoli,ecotefti
modi,colliqualifacilmenteuili quoreua tenereligari) ecosicomeanchoragia
tirauaafe de donneci uole con il mangiar e beuere, imbriagaree con lila sciui e
carnalii piaceri.cosi anche hora tira similmente a fe, Thuomiciuoli e
donniciuole c o n fimili piaceri,liquai c o m e chiaramente sevede furono
sprezzati da moltiPhilofophi. M a
quelliPhilosophiconduceuaconmoldimodiafarliado es tare
cioeoconilcolore della capientia oucto con lasuperti cionedellafallareligione.Concioliache
perhauere e gra. di della cognitione,e per ottenere la doutrina faceuano esto
OrationielaudeuoliHinnialliOracoliquero all Tempo dellifall Dei Per lequali
cose gli pareuade impetrare la cognitione dellecose chedoucano uenire,etanchor
pareuali diotteniredicflereportatiperariaindiuersi luoghi.E coj
fendofatięquestecose con loagiuto delDemonio,quellilo attribuuano ad una certa
cosa diuua,che pareua fufli 11€ dettihuomeni.Inchemodo altramentehauerebbonopor
furouedeteli discepolidiPichagoraestofuo precettoredif.
putarehoranelTaucominiodiSicilia erhoranelMetaponto in cosi puoco spacio di
tempo. Per quale via f e r e b b e camminato per aria Empedocle et anchora in
che modo cofi prestosouradellafactaferebbecorsoAbarc,perilchefuchia maco
Acrobares Coluigrandementeseinganna,chicrede, che
Apollonioconosceffeaffaidellecose doueano uenireet
icheluicomidaflealliDemonijetquellilubbedisceno,per
paurahauciserodiluiFengeuaiDemonioaftutoemalus gio diesseremartoriato da
luietanchoradiesseresforzata accioche sendo quello inescato fottocolore della
finta diyi nita,dipoipiuforcemente seaccoftafse alalere cose etotal mente
rouinalenellipeccati.Ilche facilmente,fel apiace. i puotrai conoscere dal fine
che seguicaua .Sforzosi difare uccidereprimicramétePithagoranellaseditione,e
dipoidi farlotagliareipezzi.Amazzo Empedocle neluergognolo Iceco
loqualehaneacoduttoatantasciocchezza checrede ua dihauereortenuto
ladiuinita.Ilperchecidiceuaallícom
pagniqualmentefcdoucuanoalegrare,concioliachenon farebbe piu uomo mortale m a
douentar ebbe Dio immortale. I m p e r h o c o f i f c c i f f e q u e l l o in
greco , m a i o l o voglio e mentareinuolgare.Remanetiuiinpace,conciolia che io
f o n o a u o i Dio immortale, e non piu mortale. O che morir con questa morte,
quero di quella decuiscriffe Democrito Troegenio, quando diceva, qualmenteello
pendeouaucto Seeta attaccato ad uno cornale con uno lacciuolo al collo églieda
pensare chelipaffalidicoteftauicaperin&igatio ne super persuasionedel
Demonio. Anchora non l contenu focdiquello inganno,et illusionem, a anche
diceua come gia erapassatalanimafuaperdiuerficorpicon questepar role
grecelequale uolgarmente lediro cofi.Gia tofuuna Lanciula etun
fanciullo.Ecolialfinefuconducoallamor le colleuocidelliDemonii,econilfpiandore
dellefiaccole ficomeraccontaHeraclide.Forsianchorane conduffiApof
lonionelTempiternosupplicio con tanima insiemecoilcom p o. La quale morte no
parech e h a i n d e g n i a alli n j a g h i e t i n c a n t a t ori. Con cio
la che variamente egli e narrata la morte di esso, perche sono alcuni che
dicono come mori in Efeso ultriscriuenochemoriin Creta, et alquanti
alttiuuolero mancale inRhodo.Vero-e-chenon erainpiediilgodose
polcrodiquellonerempidi Philoftraco.Benchefuffyadors
toereueritaperDiodaalcunistoltiepazzi.ilquale scelera to costume ficomelaltri
frodidelDemonio manico etheb befinefrapuoco spatio di
tempo.Cofianchoraporloayenimento di messer Giesu Christo pero Imperadore di
tutto il modo mancarono tutti li oracoli respofte, edomesticiragio
namétideliidolierdelifalfi Dei. Nelliqualierainusluppa. toe strettamente
legatoquasi tutto ilmodo.E cofiquello, dquale
apercaméte,epublicamentedauaresposteperliora coli per liIdoli,eper lialtrim o d
i hora fcioccamente parla
perleoscurecauernedesiderandolilasciyiecarnalipiaceri, fiqualihorasono
uergognofi cheallhoraallegentierano gloriosi.ltperche fa scritto quelparlares
Dignate Anchisa del Paphio coniugio. Ino solamétefuronoquellilasciin
piacerigloriofredigrar de reputatione ne tempi eroici , ma anchor nella era di
Alessandro e di Scipione. Alliquali fu attribuito cotefta gloria, che
eranoistimatida molti figlioli di Gioue.E questomolto
maggiormenteemanifeftoperlehistorieche iopossacon Ognidiligentia raccontare
cioe cheera credutoche il D e . monjo chesefaceuachiamareGiouein figuradiferpente
hauessehaguto amorosipiacericon lamadre diScipio ne, econOlympiamogliere delRe
Philippo.Et eranoin tantaoscuricadiméte checredeuonofulliGioueDio.Eco Gin
coteftie fimilimoditicauane peccatiquelli che erano la f c i u i libidinosi e
carnali, m e s c h i a n d o l i i mpe r h o a n c h o r a ce ii LIBRO
PRIMO qualche colore di supexftnione.Anchor cofiinelengaquelli,
liqualidefiderauenoebrammauenola gloria,eteccellencia
dellihonorimondani,liqualitendofralimortalijeshauédo proirontiatilecosedauenireper
la conuerfaçione, familia cicacontinuahaueano hauuto colliDemoni anchora fimile
méte dopo lamorce pronosticaueno.Ilperchefauolefcame tenarraflidiOrpheo
comesendouiuofu riputaco profeta. et dipoisendo morto fedice
comedauaanchorresposte.È dicefle anchorqualmentesendolitagliatoilcapo,dalledon
ne Theeffe,ando effocaponelLelbono ;etiuihabito in
unaspauenteuoleruppeuaticinando edandarefpoufioni
perliIpiracolietaperturedellaterra.Portauanoanchora in yoltali
oracolidiAmphiarale diAmphilochouanie diuina torifendoanchee gliuiuietil simile
fecero doppo la morte, Ilche forsigrandementedefidero Empedocle quidouuol.
fiefferciputatoDio immortale.Fauolosamente anchorrac contano
comeeffercitayanolamiliciaelaguerraliReggi doppolamorte
efaceuanobattaglia,ecombatteuanoa cheandauanoacacciarelianimali,e
luccellietcayalcauay poficomenarrauanodiRhefoRedi Traciachecaualca,
uainRhodope. Oltradiciodiceuano comenosolamente fc
eccicauano,etferappresentauenoleanimede quelli con
lopradellicerchii,edellisagrificiiramétatida Homero,m a anchora
spontaneamente,econalcunipattiinquelmodo, ficomeseriue
Philoftrato,leappresentarsiAchillealTianeo, etal Vinicore Protesilao,collaltri
Capicanii fecero baccaglia co Priamo.Veroeche lafaccia
juoltiicoftumi,eliatti,ege Aidequelli,perchefonodialtra maniera emolto
diuerfi,e Yariida quelli chesonoiscrittida Homero eperchesonoan chor
diffimilidaquellichenarrano lhistoriediDarete Phri gio
ediDittoCreteseteinsegnanoquantosianolijnganoi delli Demoni
elebugiechehannopoftonellacognitione etanchorti dimostrano li noceuoli
deliramenitie pazziem e fchiatecollibuonicoftumi.PerilcheseilDemonio hauccel
laioebeffato,etingannatoperquestimodi quegliliqualise iftimauerosauiiedotti
credendo lecose contrarie e totalmente da l ragione discoste quale ci la cagion
ce h e t anto grandemente tuti marauegli diuditezediuedere molte co feuarie,
diuerfe collipiedilaconfegratahoftia.E cosiinquestomodo comanda
quellofceleratonemico deIddioachiunqueuuo
leentrarenellasuaprofana,maledetta,eperfidecópagnia, che abbandonino,
preggino,etischetniscanolanoftra fan:
ciffimareligioneChriftiana.Imperhononsipuoaccozzare
neconuenireinsiemelabugiaefalsitacon laueritanellete n e b r e et oscurisa c o
n la luce n e a n c h o r la fuperftitione c o n lareligione.Io credo ilmio
Apistio,chehormaitutifiaaffaj certificato e chiarico cosipian pian caminando di
quello decuihauemocóferitoedisputatoetanchordi quellodel qualemi
addmandasti.Deh pertuafedeuediuedicola la Strega, che
eagrandiragionaméticonildotto Dicafto, nel portico avanti del sagrato tempio.
APISTIO. Diovi fa lui. DICASTO.Siatie benuenuti checosa ci e dinuouoil no
sciocchee pazze econtrarielunadellakira nelleStreghedenoftritempirM a
anzimaggiormente cu tidebbi merauigliarediquellaeccellentesapientiaepoffan
zadiChrifto,laqualetalmérehaoperato chequellohauca persuaduto ilDemonio malegno
eperuerfo inanti lo auek nimento di esso a tantiReggi,Oratorie Philofophi delle
genti,ficomecosaeccellente emolto meracigliosa edegna dogni sapientia hora a
pena ilpoffa perfuadere ad alcuni huomiciuoli e donniciuolecioeche lo adorano
loreuerisco Do Ihonorano,efacjonoquellecosecheglicomandae cos fiperqueftomodotu
odebbemacauegliarechequello chegiaerafatropublicamenteintuttoilmondo,etfratutte
le generationi sicomecosa honoreuole e gloriosa che hora H a fatta nelli
picciolie Atretti canto n i d a p u o c h i secretamente, e con ignominia e
vergogna. Ma voglio che tu ben consideri una cosa de divina gloria frale
altricioeche glie, tanto fodo,fermo,eftabileilfondanientodellatriomphantefede
de Chrifto chenon uvole ilDemonio peruerfo emalegno niuadinoallesuefcelerate
congregarioni,eradunamenti, neanchorauuole che conuersino con luile
Streghe,fepris manop reneganolasantiffimafedediChrifto,e Spreggiar
nolisagramemidellasagrosantaRomana Chiesa,econcul cano Kro Apiftio
APISTIO. Loaddimandamo ate.Conciolig che Fronimo noftro erio ftamo venuti
quiaccio udiama imperhosettipiace. STREGA .Heime doue fon giuntai DICASTO.Non
hauerpauraM a ftapurdibaonauoglia eparlasenzauerunpauéto.E nodubitaredi
meconiciofia cheiotiseruaroquátotihopromeffo ciocche'nóseraimar toriata
feliberamente manifeftarai iurre letue maluagic opere
lequalinonpoffonopioefferpalcofte,perchegiaho
liteftimonijcometuseiindettoerroreepeccato etanchot fulhai cófeffato fi
comeiográdemenre desiderauo. STREGA. Deh heime. Gia lho detto. Per
qualecagionedonque m itormentatidiuolerloanchoraunaltrauolrahora inten; dere?
DICASTO ,Perche e bisognodiritornarlo a confef faren o n solamente inantidi
duoiu e r ditre teftimoniim s anchoraauantidipiu
etalfineanchedavantidituttoilpo polo fedesideridiIchifare la pena tassata dalle
leggi e a voi che setidi questa'maledetta compagnia,per tantifacrilegii, et ā r
e f c e l e r a t e o p e r e c h e uoi facte. Vero e che gia h i a m e
promessodi faretuttoquellocheticomandaro,et10teho promesso seruandotulepromiffioniantidectedinon
confo gnartinellemani delGiudice ilqualeincontanentetifareb b e brugiare cosi
sendoli c o m a n d a t o dalle leggie.Hor a noir tic o m a n d o altro eccetro
che tu ramêti unálıca uolta quelle c o s e c h e t u h a i f a t rco o l i
demonii nel giuoco o s t a nel corso come fedice uolgarmente. STREGA. O
maladerco giuo co, O giuocoinfelicepme, mala fortemia.DICASTO .
Nonbisognanohoralagrime,non piantineanchegridi. STREGA.Deh
perquellahumanitaetgentilezzachein uoi leritroua,priegouinon mi uogliateperhora
piu darmi faftidio.M a fiaticontentidi concedermiun puoco fpatio di tempo ,etun
puoco diriposo narta tantochemiramentiiltutto ecolidipoiuinarraroognicosa
chehofatto:DICASTO. Piacédouigli cöcedero,quellochele piace,etaddimanda. Conciosia
chepoiraccotarajl tuttoconmegliore animo,
conpiuageuoleuoce,seespettaremoadintrarenelliragia namenti
perinfinoadomanc.Doue haueromolto ápiace re,felno uifera graue
uiritrouiacipresenti.APISTIO.NO parui Pauigraueaquellihuomeni
desiderosididottrinadiparz cicledesuoipaesia andarperinfinoaGnosocittadiCreta
allaspeluncae tempiodiGioueperudireleleggiualiee di Puiocomomento di
Minoffe,ediLicurgo,etferaame dun que faftiddioi
caminareunmiglio,accioimparqiuellecose lequalinfeo
sonovere,almancopaionouerifimilipladispu tatione di Fronimor FRONIMO .Hora mi
callegromolto perchetiucdotantoiftimareiionm e nialauerita, puran choraseben
nolhai certa cu faialmaco contodellafupility dinediefi.IIperchenoseraanchorame
grauedicitornare quidalnostroCaftelloperessercitiodelcorpo.DICASTO
Cofi.dunqucretornareridanoi,etioue aspettaro con gran
difio,Andatidunqueinpace,E tu guardianodellacarcere ritorna colala Strega,etu
Strega pensa benil turco, accio il polli ordinatamente,
efenzauerusiabugianarrare. IL SECONDO LIBRO DEL DIALOGO DETTO S a r e g a d e l
S i g n o r e Gio u a f r a c e s c o Pico dalla Mirandola &c .
molgariggiato dal Veń.P.F.Lcadro delli Albert Biologuese. LE PERSONE RAGIONANO.
DICASTO ,APISTIO, STREGA. FRONIMO, DICASTO . O fiatreeben uenuti.Atempo
fecigiúti,con Icioliachehorahoraseracondutto fuoridella pregionelaStrega
esecamenataauktidinoi. APISTIO. martoriare quel lachegiahacófeffatorAPIST.Deh
buonadónano-e-ita to portato quiuerunacosa da sormérarti Vero e cheFroni moetio
Gamouenutiquisolamétcp uedertietudirtietan chor p aiutarti quáto
potremo.FRON.In Heritacosi-e c o m e ha detto Apifio.STR ,Deh quäto grauemetemi
mars torianocotestemanettediferro,ecotefinodiegroppidelle legatureDeh cheioho
pauran o mi siendatimaggiori tor menti. F R O N .TipriegoDicafto,comanda chelasciolta.
D I C A S T O . I o son cöteto.O caualiere supresto sciogliela. STREGA Hormai
cominciaro'un SNN DELLE STREGHE 10 Ecco coco che e-menata legata.
STREGA.Eime,cime.Inquestomodo ferua sile p r o m i s s i o n i P e r q u a l c
a g i o n e u u o l e t i poco diripigliar lispiriti DICASTO. Sta
purdibuonauogliaperchetipromettodi n o n m a n c a r e i n u e r u n a c o s a
d i quello ti ho promesso o u t chetuserualepromiffionididireiluero senzabugia
edi narrareognicosaa punto diquelloferaiinterrogara.Siche racconta
iltuttointeramente. Vi prometta di feruarequello cheajho
promessoliberamétefenzaalcuna menzogna.DICASTO .Dunque comeciadinarrarequel
lecoselequalilaltrogiorno,etalichorahierifuiltardoam e folo
cöfeffaftiscriuendoleilNotaio.STREGA.Seuoilerar mencarete,elereducerete
amemoria,colleuoftré intercon gationirefponderocon quelordine,cheuoreti.DICASTO
AddimadatiuoiApiftioeFronimo,concótentolepofsetiin terrogare
cócioliachehoggifarauoltroquestospettacolo, cotesta impresa.Ma eglie be uero
che uoglio'effecuipresente acciola ammonisca
leusciffefuoridellacarreggiataçlıcome fifuole dire cheritorniallauiadrita.
APISTIO.Hor luStre g ad i m m i a n d a f t i m a i a l g i u o c o d i D i a n
a o u c r o d i H e r o d i a d e r STREGA. Si sono bene andata al giuoco m a
chel fia o diDianao diHerodiadenon il-fo.Conciosia chepia non houditoramentare
quelligiuochi.FRONIMO .Gia tedif Si b i e r i Apistio come il Demonio ingannava
i uomini in diversi modi. Il perche in queltempo, nelquale era adorata Diana
dalle genti, et era molto honorato e glorioso iln o m e d i q u e l l a p e r
ilm o n d o , p a r e u a u n a e c c e l l e n t e c o s a d i p o t e r
uiessereannoueratofralecompagnedieffaDiana.Benche
inpechofufferodetteuergininondimento eranochiamare Nimphe cioespore,
ecofilepiaceuadieffereaddimandate f p o s e, m a m a g g i o r m ē t e l e a g
gra di valo effetto et opra, ben che non fuffecercatacon
legitimorito,ecostume.Concia. siache erano iui continuiftuprietadulterii.
Perilche serie ueHomero nellisuoiuerfifouentequellacolgata sentens
tia,Nellamefchiaraamicitia.Imperho fauolescamentedi cano comely Dei
falsioueroquelli antichiBaconiebbero amorosipiacericonlacompagniadiDiana,ouero
diunal traNimpha,odiNapea odiOreade,odiDriadeFengrua noefferleNapeeleDee dellefelue,dellicolliemonticelli,
dellifiori,ficomediceuano esserele OrcadeNimphe delli monici I monni,ele
Driade Nimphedelli alberi, Anchora credeuang li
Gentili,etilgozzouolgo,chefufferoinamoracęleN i m pheMarineedellifiumi E.
Colifouenceleggerai di Cirene Leucotheafintadallantichieffecla Dea
Matutacioelauro ta chiamata Dea marina p c h e e r a s o u r a s t ā r c a k c
e m p o m a i s mino Et anchor ritrouacaiscrittodiCimgdecene cioediquel
laDea,laquale faceua acque care le onde marinesche, secondo le loro fauole,
nomanco uederai iscritto molte cose del laltrefinte Dee odelmare,odellifiumi.E
percheglipareua efleremolto piu sicuro diconuersareperlim o n i,che som
mergersi nellonde delacque etanchorpareuaeffercosa pia
aggradeuole.dimitromettersinelle cacciagionidiDiana,che
inuilupparfinelliprocellosiflutidi Tritono enelleondema r i n e s c h e, in per
ho maggiormente se deleitarono nel giuoco di Diana, ene balliesalci di quella
ficome cosepiuaggrade uoli, gioconde,e piaceuoli.Anchora tico dapoi molti altri
conlusingheuolimodi sottolafiguradiHerodiadeIdumea
laqualegrandementesedeletrauanelliColazzeuoliecraftu. Fattamentionedicotefto
giuoco di Diana, ouerdiHerodia
debelleleggiedecretidePonteficidouifiramécanoleleg. gifuronocófermateper
ilConcilio .Nelqualfu fatto quel l o f t a t u t o, che si dove f f e r o s
cacciare le maghe et incantatrici. FRONIMO.Deh
ptoafededimmiDicafto,iltimitueffere cotefto quelmedemo giuocode
cuinefattomemoria juic DICASTO .lote dito ilmio Fronimo.Sono uarieoppenio
nidiquestacosa,conciosiachesonoalcuni,chedicodnoe 6, etsonoaltriche uuoleno
siauna noua heresia.FRONIMO Dirolamiafancasia.Iocredochequelloinparcefiaantico
etinpartenuouo,cioenuouoquantoallenuouefuperftitio niceerimonie
iuihorsaesatino,ficometudicefti,parlando da Philosopho,chelfüfliantico quáto
allaesseruia,etsiuouq quanto alliaccidenti. DICASTO .Ben ben Fronimo,cerca
mente tuhaiiniaginatouna eccelletedistintione;conlaqua
keaffaicofefesciorånochehannodependentiada quelluo 8o,
dacuihannopigliaioalcunigrandeoccasione dierrore Iftimadochecotestedonnuzzesianosempreportatealgiuo
. RAZO. BIBLIOTECA EMANUELE LOORIO ) ff co solamente con la
fantasia enoni con ilcorpo. APISTIO. I D u n q u e ru istimiche le Streghe F a
n o sempre strafferrite e portatealgiuococon ilcorpo DICASTO.Nonfongiadi quefta
oppenione che sempre fano portate cola al giuoco con il corpo, perche a l c u n
a v o l t a f o n o f u s e r i t r o u a t e p c o c a le modo accostato f o u
r a di un travo c n tanto profondo sono chenofemiuanocosaalcuna
benchefufferofortemērebuf sate,etelledipoicredeuonodiefferstateportatealgiuoco,
é nondimenoeranojui. Anchora altreuoltesonostateuedo tefralegambe de
aleurie,efra lecoscie,esserui delle feope feratecon tanta fermezza chen o
sepuoreuano cauare fuori rida che fouente sono portare al giuoco e con ilcorpo
e con lanima,et altre uolte pur credendo di
efferportateinquelmodo,folamentesono iuipresentecon lafaritafiaetimaginatione:
DICASTO. Eglie alcunauolr ta preftigiodelDemonio ouerofalsademostrationeetuna
aftura delusione etaltreuolte efecondo che uoglionolestre
ghe.Imiricordodihauerelettonellilibridifrate Artigo,e
difrateGiacoboThodeschiMaeftriinTheologia dellordia ne de
fratiPredicatori,qualmenteeglienarraro diunaftee, ga laquale pensitu
occorca questo
quellechedormiuano,collequalecofe credeuanoeffe dieffereportate al
giuoco.APISTIO.Per qualcagione pafsaua quellispatiiintuttiduoi e modi fecon .
do che le piaceua,cioe con ilcorpo uigilando etanchor (per fe uolte folamēre
con lafantasiacioe quâdo le rincresceua i uiaggio.Ilpercheallhorafedendonelletto
ethauedodetto alcune diaboliche parole, regli rappresentavano tutte le com e!
del giuocoi una uerdanuvola etoscuracome lacqua det mare
ficomeuifufferorealmentestatepresente. FRONTIMO .Che cosa responderefti
alliaduerfarii. DICASTO. Primieramente cosiglirispondereicheiomi maraueglio
come uoglianomisuraretuttilimodidellisacrileggidelle fuperftitioni edelle
magiche uanitadi,con uno folom o d o delviaggio
alcunauoltaferuatoinunaregioneepaesedel mondo dauna certafcelefte
compagniadidonne profane e rubelledinostrafede ecosivoglianoiftéderequestacosa.
atuttelepartidelmodo.Et anchordireiche pěsanoforfidi Capere
scrittore di maggio te autorita dicoluilo racconta.Conciosa che fano
aflaicore daGratianoaltrimenteiscritteerivolte,enarraremolto di nerfeda quelle
chefuronopublicate nellicöcilii,edallion teficiIperche credoche coteftafussiuna
cagione fralaltre perlaqualeironfußlipercoralmodo approuatalacompilaa
tionedelDecretodaluifatta,dalliVenerabiliPadri della cose cheseucdeano in
quella regione,lequale sonod a n nate perilConcilio .Nondimeno se fanno imperho
affat core dellequalinonseleggefufferofattejui I fapere táto che glipäre
di potere coftrēģere tampiao f á n za
delDemono,laqualehebbedalprincipiodellasuacrea
tioneinunomoriario.Dipoianchoradireichecostoronon polionopatire che siaispofto
quelcestodellalegge co ilgiu diciode altrui,liqualicertameresonodi maggiore
dottrina acciachecauano fuoriquelle egiudicio,dieffi, coselequali pertegono
allanatura,da quellechesonopertinentiallafe de catholica.Anchorfefforzatiodi
dimoftrarelaperiamente cfenza uergogna chenon siaquellacosa,laqualenó poffor n
o negare chenon sipossa fare etanchorache non siafatta qualcheuolta,eccetto
senonlauuolenonegarecon suagiá de profomprione,etignominiacioe negando le
migliara deteftimonii.Mafotlianchoruno dimaggioranimodime direbbediuuoler
uedereun piufedele effempio delle leggi delConciliochefuffiramentatoda un
Chiefa, chefullofferuatainuecedileggiedallaquale non
fuffilicitoauerunodiappellare.Horlupuranchoragliuud côcederequelloche diconom a
consideraben cheglisiaan choraferratolaboccaad effraduerfarii con la tua ottima
di Aintione, ficomeam e pare erinueroegliecos. Perlaquale facilmentefepuo
conoscere,qualmente ilcorso ofiailgiuo co dicotefte donniciuole
ethuomiciuolineconuienein •parte con quello giuoco ,etinparte euarioe diuerfo
da quello .Conciosiache nonse dice quichese creda Diana
effereDeadelliPagni,neanchoraseuedonoquiui quelle che sono pur impercio communi
collealtrifuperftitionidelliGentili Pagani, etanchorafansiaffai schernieuituperiode
Dio,c 2 & ola i bialimeuoliofferuationqi,
uariiritiemaladettichefonofino insegnatidallimalignifpiritie Demonii a
questimiferih u o miciuolie donniciuole licomenellidannariunguéti da un
gerfi,nella deletratione difpargere ilsangue innocente del lifanciullininella
offeruationedelcerchio,nellimagichijn
cantamentinellaltrimoltidiabolicimaleficii,eneluiaggio) e discorso grande per l
a r i a con il corpo. Colui che e g a l
s e , che il Demonio non puotessemaggiormente mouere licor, pi,chenópoffonoruicilhuomeniinsieme,parládoimperho,
naturalmente,equantoalliprencipiinaturalidiciascunodia
effiiopenso,cheferebbedaefferreprouatoedánatocome
Heretico,perchediceilfan&iffimolobbo chenonepoffan, zafouradellaterrada
egualareaquelladelDemonio.Ants choraritrouianoneluangelioqualmente fu portato
Miffera GiesuChristonoftrosignordalDomoniosouradelMonte eranche foura
delpinnacolodel Tempio.E tenuto indubin tabilmėteuero dalli Theologgi c o m
efonoubbedienti cugi licorpi allefortarize separate o fiano alli spiriti ispogliati
del corpo, quátoperteneimperhoalmouereda luogoaluogo, ecoli
effifpiritinaturalmentelepuonomouere afuopiacess te purnon sianoimpediti
daIddio prima causa di tuttele creature ecosi quefta euna
disputationedellalegge natu rale cioefepoffonolispiritiignudie priuidimatermiao
u e te licorpilo no,m a chesianoportatida luogoa luogo questihuomenicdonne
inucritae senza menzogta,eglie, dispurationedel fatto cioe
fecost-e-ueramenteIlperchetu debbisapere chgeuadore-certochelepossafareunacolae
chetuuuoiintéderedapoieconoscerelee -fattaofefaci, i nólefacialtrimëreno
lopuotraiintendereeccettocheper
boccadelliteftimonii,ochelhauerannoeffifatto,oueroIba ueranno veduto coli
essere; overo l h a y e r a n o u d i t o d aquelli che l’averano fatto che
feranostatoueriet certie fidelihuo meni.E cosihora quanto apertene a noi
cioeche siano por : tatialmaledetto giuoco,queftirebelliidnoftrafantiflima
fede, Ma ve m o fermoechiaro eper cofa indubitabile peril mezzo de gran numero
di testimonii, liqualilhannomolto largamente narrato. FRONIMO. Non
/ermaraueglia se quelli ghellisciocchezzanoinan
tefto,cociofiachecoficompren dono laueritacollialtri.I]perche
ficomeilgloriosoIddione wahe ilben dalmale cofilhuomenidimalo animo,edima
laopeniojie,sefforzanodicauareilmale dalbene.Écolipa rimente
perlamalignitadellicatriuihuomeni sonoftateca uate tutteleHereniedallesagre
litterenonperdifettoecol pa dieflifagratissimilibri,efantissime littere,m a per
la p e r uerfamalitiadellhuomeni.APISTIO.Deh peramore de
Iddioaipriegononuogliateinterromperelemie interrogazioni. Benche gia abbia
deliberato de interrogar u i poi de dettecore purnon parehorailtempo,fiche ui
priegonon m i datiadeffo noglia m a laffatimi seguitare. DICASTO . Tu hai
ragioneilnostroApiftio,Seguitapur oltreer addis manda aleiquellochetipiace.
APISTIO.Su Stregadimy m i , Andavi tua l g i u o c o c o n l a n i m a i n s i
e m e c o n i l c o r p o , o s pur con uno senza laleros Viandaga e con
lanimae con ilcorpoinsieme. APISTIO. Come e chiamato quefto.
uoftrogiuocor'Eglie chiamato dallinoftriCom, pagni il DELLE STREGHE, giuoco della Donna. APISTI . Inchemodoane d a
ui tu col a r Deh c h e nogli andava, ma ben gli era portata. APISTIO.
Conchecofa: Con una Gramicadacascetareil Lino. APISTIO. Comefiapoffibi lequesto
chesiaportataquella,non la portandoueruno STREGA.Má beneraportatadalmio
amoroso. APISTIO. Chi-e-coftui STREGA. Ludovigo. APISTIO .
EglieforsiunoqualchehuomocosichiamatoSTREGA .. Nonhuomono,ma
ilDemonio,chesepresencauainfor ma dihuomo,loqualecredeuofuffiDia ĀPISTIO. Mima raueglio
assai certamenteche il demonio ingannatore del Ihuominihabbipigliato questo n o
m e de Chriftiani. FRONIMO .T u si marauegli che colui habbia pigliato quelto
nome deriuatodalliGentiliePagani,ilqualefefuoletraffi, gurare nello Angiolo
della luce. APISTIO. Tudici molto gagliardamente cheegliederiuatodalliGentili.
FRONIMO. Anchoraildicoche ederiuatodalliGentili.Concio
wachenonmairetrouaraiinuerunoluogone inGrecone ipLatino osiaconefsempio,ocon
origine (senonme ingå noimperho)dondefiaderiuato.Vero e che mi
ricordo di avere letto solamente ne Commentarii di Giulio Cesare r Litavico, da
cuidipoiun puoco-e.ftatopiegatoerecorto nella lengua franciefaer-e-detto Luilo
eriuoltatoanchor poi nella lingua del Lazio, e scritto Lodovico dovi quello se
referrisée. APISTIO. Nonuogliopiuoltrediqueftacofadisputare,
maggiormeieperhora,percheho deliberatoinqucho tem po divuolerragionare con
questanoftraStrega. FRONIMO .IlmioApiftio,hodettoquelloame pare,sempreim )
perhoapparecchiatodiudireleoppenionidepiudottiepia prudentidime. APISTIO .Non
piu.HorfSutrega.dehnó cisiamolesdtoi scoprireameinteramentelicuoilasciuipia
ceti. STREGA. Dimmi de checosahaitudelideriode ing. Tédereç. APISTIO.
Pareuaateunohuomo queftoruoamor roso: STREGA.Sipareuahuomoi tuttelemembrá cecet
tochenepiedi.Liqualisemprepareuano piedidiOcchari uoltati a dietro e riuerfatip
e r cotal m o d o c h e era riuolto'm dietroquellosuoleesseredauanti.APISTIO
.Per quale ca gionecredituDicafto chefinga,ilDemonio tuttelaltrem e bra dahuomo
elipiedidaOcchasDICASTO.Setulegt geraituttiliproceflidicotefteStreghefatti
dalliInquisito titu ritrouaraiinefliqualmente ilDiavolo osia ilDemo nio,o
periluoglichiamare Saranaqffuo,a n d o secangiain cffigiadi huomo,sempre
apparecontuttele membrada huomo,eccetto checollipiedi.Dilche inueritatidico
cheso uentemenesonomoltomarauigliato ecoliframe hopen f a t o c h e forfi q u e
f t a e la ragione. C i o e c h e I d d i o n ó p e r m e s techeelloisprima,e
fingatuttalauerafimilitudinedellbuo mo,acciononingannieslohuomo conlaeffigiahumana.
E laragioneperchenóhafimiliipiediallaltriniembradel ta finta EFFIGIA de llhuomo
credopossaessereperche-e-con fueto
diefferelignificatoperipiedinellimisticiparlaridella fcrittura leaffertionie
desiderose uoglieet imperho gli pore tariuoltiadietro.cioe cheha
lisuoidefideriisemprecontra de Iddio eriuoluicontrodelbenfare.Ma perchecagione
p i u p r e f t o h a u uoluto fingere li piedi
de Occa che daltro animale io confesso chiaramente di non
sapere,ccettofelnoix 1 ui fuffi ulfuflequalchenascostaproprietanelloccha,la
qualsee poi feffe ageuolmente adaptareallamalitia.Ve r o -e-che hora nonm i
arricordodihauereuedutoin Ariftotele che siaftai M offeruatafimile cofa da
quello,m a anzipiu presto dice; che-e-quella generatione di uccelli molto
uergognosa,fe ben m i r a m e n t o . FRONIMO. Diro dua parole Dicafto.
Puorrebbeessereanchorachelnoftronimico hauelliuolu to anchoraspargerealcune
occoltereliquiedellaantiqua Superftitione delli Genrili.A
cuieranogiafagcificateleocche fotroilfallofimulacroe fintaimaginedeInacho ede
Ina chide.Jlperchecosileggiamoin Ovidio. se Ne giova il Capiroglio per 'w a
Occa - e x f t a t o , $11.Turo,chelfeganon dia Inacho in lance Ma
sicomeuuoleno altricofifedebbe dire Inachide ioilfeganon traggiin piattor
DicePliniocome eraconsuetudinedipresentareilfigato
dellocchaadInachoDiodelloArgiuo fiume.Ilqualeuccel bo dilettaflimolto di
praticare perleacque. Ma che fuflifa . grisicatoad Inachide
parqueltofacilmenteseproua,cong cioliachefeuedeperlebiftoriedi Herodoto
comehauea. nouranzaliSacerdotidelliEgipriidimangiarelecarnidel le ocche, et era
i ui rece r i c a et adorata con grande superstiztione Isia cioe
Diana.Anchora-emoltopiufaggiala Occa. chenon-e il Canericomediceello et
chefacilmentecomo pe c o n meravigliosi modi il silentio della n o t t e e
conturba il teporo.AllaqualenottecredeuantoefferefourastanteDia
na.IlpercheforsipigliailDemonio lafiguradellipiedidi coreftouccello,peruuoler
dareadintenderallisuoiprofani
esceleratiseruitoridiquestariaemaluagiacompagniache debbianoseguitarequellouccelloin
ftareuigilanti,enon dormirecome quellofa ilquale eruigilanteedipuocofone no,e
quando ,etpigliare piaceri,equel tempo cósumarlo
nellisceleratiediabolicigiuochi.Anchor raccontasappodalcuniscrittoricome
egliequalcheparte di detto aagello bisogna farelaguardaemoltopreuifta
enon dorme etcofidebbono efferquelliche uanoalgiuococioe essereuigilanti et
ftarefuegliati c h e prouocaeteccitalefeminea libidines Puo essere
anchesegnodequalche occolto,epazzescoamo te,conciosia che fernroga iscritto qualnienceb
r a m m a r o n g leOcche dipigliarelasciuipiaceri con altragenerationede
animali.IlpercheritrouiamoscrittodaPlinio,comeseina? morarono le ocche di Oleno
fanciullo di Argo, e di Glauco sonatore di Cetra del Re Ptolomeo.Ma
egliebenueroche credo chemalefeacicordaffePlinioinquestoluogo,Cócio fia c h e q
u e l l o f a n c i u l l o n ó b e b b e nome Olen o, m a A m p h i
locodellapatriaOleno ficomeramientaTheophraftonelli broamatorio.E non
fuquellacosacoralmentefuoridiragio ne,perchegiafurono annoueratele palmedellipiedi
delle Ocche fraledeletteuolietaggradeuoliuiuandedellameo fa.E penso per quefte
de efferesignificatole pretiofiflime ui uáde
elaggradeuolicibidellaDeliamensa,cioedellamen
sadelSole,cheeranoperlaloroeccellentiadamettere auã tiruttiquellicibicheerano
dellamensa delSole di Ethio pia.Nellaquale non se legge;ui fuffero posti soura
de effa. auantiliconuitati,lipiedidelleOcche,conciosiacheanchor nonhauea
penfatoMeffalino Cocta,didoverliarrostire.Par ionoa m e cotestecosemolto piua
proposto che quello dico n o a l c u m i , cio e che le ocche abbiano prudenza
perche se narra che domesticamente conversaveno nelli bagnic on Lascido
Philosopho, Il perche io istimo chequestomodo dicon
uerfationcedibeneuolentia,piupreftofuffifimileaquello, c o n i l q u a l e c o
n u e r s a u a A i a c e L o c r e s e c o n il d r a g o n e . E c o s i
anchora pensonon fuffimolto discosto daquesta cosa,quel
lafamiliareuoce,laqualeudiua Socrate,etanchora iftimo
fuflimoltosimilequellaltrauoceper laqualediuinaua leca seoccolteetannotiaua
quelledauenire Atridea Laomea dontiade,sicomenarranoquelli
Versi,fccitcidaOrpheo con iltitolo dellepietre,ficome sedice.Non -e-anche total
'mente discostodaogniragioneloproprietadellanaturadi questo uccello ,quäto alla
uelocita del caminare che fanno nel uiaggio ,laquale uelocita e'molto fimile a
quella del giuocodelleStreghe.Ilperchenonretrouiamochefulsigia maiuerunoaugello
ilqualefaceffeapieditantolongouiag gio,quantoleOccheLequali uenerodalliMorini
lipopoli ( cioedal etancho fada Ciceroneilqualenonerauedutodaalcroeccettoche
dalai. DICASTO.Nonsolamente qucftointeruieneinuc
derelispettacolietfinteimaginidelDemonio m a anchors
nelliprodigiietapparitionidiuine,cioeche quellecosesono alcunauoltadapupchịuedute.Et
dimoftrate siano acciolas Gli altrisolamente ioramentato di quell u m e che era
soura delcapodifantoMartinozilquale fuueduto dapuochifico me
narraSeueroSulpitio etanchorpurdirbediquelaltro
lumecheilluminauaSantoAmbrogiochi padaua,loqualso JamérévedeuaPaulino.Ma
chequeltaimaginedel Demonio, solamente l i q u e d u t a dalla strega , i o d i
r o la mia o p p e li popoli Belgicichesonoliultimidellhuomeni,licomedice
Plinio,etcaminarono colliproprijpiediperinfinoaR o m a APISTIO .Dimini
Strega,Dimoftrauelo mai altrafornia delli piedi,quando ueniua da te,eccetto
chedi Occa. NO maidiniostroe alıcamente.APISTIQ.In chemodo
ueniualodatesSTREGA.Alcunauoltaaddima datodame
etanchefouentedaseisteffo.APISTIO.Neue n i y a m o s e m p r e in FORMA DI
UOMO. Si sempre fedimostrayaineffigiadi uomo quando pigliauaamorosi
piacecimeco, APISTIO. Q quegliconuna rugosa egia grinzafemina STREGA.Eie me
Eime,OimeOime.DICASTO .Dichehaitupaura Chi e quello che cifpaventa
Vedetile,uedetile DIGAS.Doui,douirSTREGA.Colti,cofti,almuro alm u to.DICASTO
.Informadecui?STREGA,Di Passece. DICASTO. Dehbémicati
comehorahapigliatolaeffigia diun molto libidinoso aụgello non contrasio
alcagioname codellamiala femina,laquale fouerchja conlasua infaçiabir
lecifrenatauogliaturcisimoftridellafozza libidite.APIE
STIO.Hoquantomimaraueglio chenonsiaverundinoi, cheuediquestafintaPafferă
eccecto,chiella.DICASTO . Ben iopoffomirare,m a gianonlapoffo yedete,e cosipara
menon siauérundiuoichelaueda.APISTIO.O certame marauigliolacosa.FRONIMO .Deh
uedetiinchemodo semarauegliailnostro Apistio.Matunonsimaraueglidello
anellodiGigeLidiopaftore,ramétato daPlatone, che piaceri yuoreuano eßerç gg 0
el 70 CO 21 el al di no del Tagnione, lo penso posla interuenire
questofacilmereperlami citia,egrande familiaritahacon quello. E cosioccorre per
janridettafamiliaritache-eportataefanellamantocioein
quellocherätoamanonsolamente conliocchima anchor confla poffanıza imaginaria. E
t anchora ilconosce e distize
guedallialtciuccellietanimali,quandoseglirappresenta,
ineffigiadiquegli,sicomehoudicoda effa,percheleparë una fiammaardente
glijmpinganelpetro,ilcheno leinter nienenelscontrodellialtrianimali.Giafolio
tregiorniche raccontotuttaspauentata dihauere uedutolantidettofuo amoroso
informadiunatortuofaserpecjuolainmododi un cerchio. FRONIMO.Cosi haitu letto
Apiftio,qualmen te apparelli ilD e m o n i o alliGentilii n effigia diserpe,et
ant chorainfimilitudinediaugelli.Nontiricordidihauerueda tonellilibricome
guidarcizoli CoruiAlessandroalloOrae culo eTempio diHamone,doui,egliandauas
APISTIO . Siholetto etanchorahorixouato,(febenmiricordo)com me
fecerolimileufficiopur ancheliDragoni.FRONI M O
,Chenedicudiquestecosemarauigliore?Non istimie f u c h e f u f f e r o q u e l
l i li demonii im a l u a g i i ,i n f o r m a d i C o r u i t Etanchor non
creditu fufferofimilmente liDemonii quel l i d u o i C o r u i a n n o v e r a
t i fra le g r a n d i m a r a y e g l i e d a Arifto tele,chestavanoin
CariacircailTempio diGioues D u n g perchetantonimarauegli conciolia
cheritrouiamoinPli nio come fufle usanza diuscire fuoridella bocca diAci fteaProconesiolauaga
anima di Hermolimo Glazomeno in fimileeffigiadeCorui.De cuisediceua
fauolofamence chiquellafullanimadieffo,non datuttiuedutam a Sola: mente
daalcunihuomeni. Mamancotutimarauegliaretti se tu fapefliquello
che-e-raccontato daAriftoteleetanchor dapiualtriscrittori,diquellohuomo
Thalio.APIST.Deb p e r t u a c o r t e s i a r a c o n t a q u e l l o g l i i
n t e r u e n i f f e . F R O GN l. i interueneuache
gliandauainantiedietrolaboccaunalimi le figura,laqualenon era ueduta
dallalecihuomeni.APIST. Dunquesenzaleggerezzadianimofepuo crederéaleuna
uoltachequellimuoiono,ficomediconoalcupniorkojjoue
derelibuoniereifpiritinelliassumpticorpiliqualinon fon ueduci geduti dallaltri&
FRONIMO. O fi fi,questa-e-cosacerta. Conciofia che e creduto questo a tanti
prodi,et eccellenti huomeni,liqualinarranocotefto etanchoraeglieda molti dotti
authori suco scritto.APISTIO . D i m m i b u o n a d o n n a , feļanchora
parritala paura,che haueuis S T R E G A .Si ben
feparte.coliperiluoftroragionare,come anchoraperlauo ftraprefentia.
APISTIO.pEoflibile chetuhaggicançapau ra del tuo amorosos Qime.Gia non lo
temeus, M a dipoiche sono condutta nella prigione,et haggio con : tra
suauogliaconfeffato linoftrilasciuipiaceri,grandemen
te,etoltrodiquellofiapoffibilediraccontaremi spauéta.E qualche uolca se
fermaaquellousciuolodellaprigione,eta quella
feneftrella,reprehendomiedimoftrandosimolto for
teturbatocomeco.Edipoimiprometteogniagiutorioper cauarmifuoridi quiui,purche
ioftiaquerae tacciperloaue nire,epianoconfeffiuerunacosama anzinieghiquelloche
gia ho confeffato.A P I S T I O . T e spauentauelom a i quando
tuandauialgiuocorSTREGA.No certamente.APIŞTIO Andauicu quiui ogni giorno,o pur
inqualche tempo deteira minato :S T R E G A .Viandauanella secondanotredopod
giorno dalSabbato,edipoida quindi nellaquarta notte, cioe'nellanottedelLune
edellaZobia.APISTIO.Glian daftimaidigiorno:STREGA.Nomai.FRONIMO.De quindi sipuo
anchorconoscere lereliquie dellamica super Aicione,fetutiramentarailj
ululatiuoci.egrida,fattiad He cate,altrimentechiamata Diana,eLuna,nellinotturni
Teja u i p e r l e C i t t a d e. A c u i f o l e u a n o f a r e o r a t i o n
e le d o n n e f i c o m e scriue Pindaro ,quando limaschi separati,secondo la
lo to usanzasoleuanoancheeglifareorationealSole,per con ikeguire liloroamorosi
piaceri.Ijpercheeradedicatolanoki " re a c o r e f t i r a g i o n a m e n
t i et a p p a c e n d o il g i o r n o , i n c o n t a . nientierano terminati
esiparlamenti.E percio leggiamo quel uerfo. M i h a fiato laspro oriente collieqai
anheli. APIS.Forhgiacesottodiquesuton a cosamoltopiuascoffa FRON.Chicosa APIST.
QuellochediceilgrecoPoeta Menandro.M a iolodicoinuolgare quelloieringreco
cofi. Com O nortererbisogno a tedi
affaicaénalipiaceri.D I C A S T O . Cerraméte ciascun di uoidotcaméte,m a
humanaméte par l a . M a i o u o g l i o r a c c o n t a r e u n a d i u i n a
fetentia e n o n c o s a d i paocomomento neanchoraproceduradalloinganneuole o
r a c o l o d i A p o l l i n e ,m a d a q u e l l a s o p r a n i a u e r i t
a d e I d d i o . APISTIO.N o n bisognatanto proemio,fu di presto,selti piace.
DICASTO.Ioildiro,nonhauerepauca. Cofidice C h r i f t o n e l u ä g e l i o . C
o l u i c h i m a l e o p e r a h a in o dio la luce. FRONIMO. Certamente
tuhairamentato quello chi e veriffimo.APISTIO.Horlu dimmio bona Strega chivuol
direche non andauati a questi balli e giuochidiDiana,odi Herodiade ouero ficome
le chiamatia quellidella D o n n a , nellaltrinortif Maaccio iodica piu
chiaraméte, perche non erauativoipresentelealtrinottiallimal gradevoli
prestigii, e b j a r m e g o l i i l l a f i o n id e l D e m o n i o r o u e r
p e r c h e n ó p a r e u a a teuifuffipresentes STREGA . I nollo fo.APIST .Te
appa recchiauicu,ouero loafpetrauicheteportaffe STREGA : C o s i f a c e u a f
a t t o il c e r c h i o m i u n g e u a , e f a l i u a a c a u a l l o d i un
fcanno, etincontanenteeraportataperariaper insinoak giuoco.Anchota
alcunauolaconculcauacolli piedilah o Atia fagratanelcircolo,conmoki
ischerni,etallhoraallhora sepresentavailmioLudouico,con ilqualepigliauaamorosi
piacerifecondochemipiaceua.APISTIO . Dichecofare. composto quefto uoftro
maladetto unguento :S T R E G A Fra laltticose, epermaggiorparte
fattodifanguedefanciul kini.APISTIO IncheparteteungeuitisSTREGA.Eime Mivergognodiraccontarlo.APISTIO.Dsefacciataetim
pudica meretrice,tutiuergognidinarrare quellocheto
nonseivergognatodifare?ŠTREGA .E coreftamocofi gran merauigliar
APISTIO.Sutielenara ferpe gera fuori I u e l e n o . V i a u i a d i fu i n c h
i l u o g o u n g e u i t u r S T R E G A . Giachefiabisognolodicahor
fuildiro.Vngenammiquel lifuoghicolliqualimi pongo asedere. APISTIO .Dehuer
deticonquantahoneftaibadetto.M ahograndesideriode intendere
inquantofpatioditempoeri túportatada cafa tuaperinfinoalgiuoco.STREGĂ .In
puocospatio.API STIO.Quátomo puocor STREGA.Inmanco dimezza: 1 hora.
APISTIO.Quanto eritu discostoda terraquando te
eriportata?STREGA.Tátoquanco-e-laltezzadiuna gius ftaforre.APIST.Ho pur gran
defideriode intendere quello che sifain questo uostro sceleratogiuoco.Iperche o
buona Strega se desideriche fa quiuenuro per douertiagiutare, de no
tirecrescadi narrare currequelle cose che iuisefanno per cotal modo
ficomelerappresentaffitotalmentea noi.Il faro sendo dunque giuntaal fiume
Giordano. APISTIO.Aspettaun puocoluSiregama dimme Fronimo;Che cola odiť
llfiumeGiordanos FRONIMO , Credo que ftaefferuna bugia del demonio
cioechesefacci tanto uiaggioperiosmoalfiume Giordaso in cofipuocofra
tjoditempos Perilchepensocheellodica queftinocabuli eccellentiluoghiaquestedonnuzze
acciomaggiormente leucceglie leinganniemoltopiu'letegalegalecollilega m i delin
o m i d eprimi e magnifici luoghi.. nore da creder t e c h e sia p o r t a t o
u n o h u o m o in m e z z a h o r a d e l l a I t a l i a n e l laAlia.Ma
forfihapigliatoSathanafloda quindiilcolore della fauolapchehabitauacola
Herodiade.Veroc chemol tomimarauegliononfingachesianporcate nellaScithia
alTempiodiDiana. Ilcheforsfiengerebbe quello fraudu tente nemico
dellhuomo,fefufficoli domestico e familiare il n o m e d e l l a S c i t h i a
, q u a n t o q u e l l o d e l Giordano: L o g u a leconosce ciascunchi ha
udito recitareiluangelio nellia grati Tempii. Dipoinon -e-molto conueneuole
quefto fute m e a quello fcelerato giuoco,m a fiben ferebbe a propofto quello
Taurico,non sagro m a facrilego perle crudeliffime a c c i f i o n i e f p a r
g i m e t e d is a n g u e . M a f o r s e l e c o n d u c e a d u n altro
fiuineiui uicino,efa parere alloro, che siano altroui. Benchesianodella
trilequaliconfeffanodinon esserepor tate allacqua ouero alfiumem a fiben foura
delle fomitati dellimonti,etiuifermate.DICASTO .Non pareameim possibileche
possonoefferportate alGiordanealmanco per fpatiodi due hore,ficome quasituttele
streghe fra fecouie neno, edicono.FRONIMO.Iftimitu chequellepoffong
misuraretantospatio,quanto/e-fraquestanostra patria ela
Siria,elaPheniciaincofipuocotempor DICASTO .Dimmi Fronimo. Non puo il Demonio
mouere li corpi afuopia cece FRONIMO .Si.Manon seguita pecho cheglimuor
uaincofipuocotempo cioecheleconducaosiasouradella terra,uerloloIlluciohora
chiamata SchiauoniaOuero alla finestrauersola Ibracia,quero alladestraper
lAfrica odero passandoilmare lonio eloEgeof,ouradiCorcitadelPelo ponesfloo,u r
a leCiclade,guardando Rhodo eCipro,ecosi leggendofiano porte foura della rippa
del G i o r d a n o . D E CASTO.Chi prohibiffecoteita cufarFRONIMO .Lituoj
dottori.DICASTO. I n che m o d o ilprohibisconosFRONI M O In quelmodo
cheuieraSantoThomafo.deAcquino come
nonpuoeffermoffatuttalagrandezzadellaterradal Demoniodaluogoaluogo,facendoliresistentialagranmae
Atranatura.Laqualeuierachefiarouinatoetotalmentegua
ftoloimegroordinedellecreature e delli elementi.Eglic c o n t r o l a n a t u r
a d e lc o r p o h u m a n o d i e f f e r p o r t a t o c o n c a n ta
celerisa con laquale insiensefe conferui et fi guasti.Ilper che uiueno
quellecose cheferebbe neceffario perloimpi todellaria chemancallino,perchenon
effendo in ueruna cosamutata lanaturadiquello gliferebbegrandeoftacolo e grande
contrariera.M a lepurfimuralie diuentaffipiura do
facilmenteseabbruggiarebbeedouentarebbe fuogo,er anchora
sedouentaffepiuspeffoefodo,maggiormentei m pedirebbe la uelocita,etageuolozza
delcorso.Anchoraiosi uogliodire piu chelecumoueflituttalariacon latuafantam Sia
ficomefermoilcielo Ariftotele conla sua etappodelki Greci
feceancheilsimulePhilopono,efimilmenteScotoap podelli fuoiseguaci anchora
serebbe cotto dite,sendouiin oppositol a intrinsecanatura f i a d o , e d e l l
i u č c i, o d e l l a r i a l e c ó s u m a r e b b e p i u t e m p o a s s a i
diquellochediconointerporui.APISTIO Vipriego,lagi cötenti,dilasare a
dechiararequefte sottilitadead uno altro giorno.HorsuStregaseguitaparoleo. S T
R E G A .Sendo dunque cola giuntivediamo federelaDonnadel giuoco 1 d e l
l a quätita.Perlaquale bife gnachesiaportatounapartedopo laleradieffo corpoper
quelgrandeuacuo dinullaariariempiuto.Iperchedaqui uiin Afiatoleo uiaogni
impedimento della resistencia del insieme 12 20 .Eglie staro Berno
molto conos al la 10 OL ud NI 10 Hal insiemeconilsuoamoroso:APISTIO Chie/coluie
S T R E G A. N o n lo so.M a soben questo che è uno belliffie m o h u o n o d i
u n a r i c c a u e f t e d i o r o m o l t o b e n a d d o b a t o . APISTIO
.Seguita pur.STREGA.Quiuiporrauamoal. sembianti receuendole,lecomanda chesiano
pofte rouradiunoscanno,edipoicicomandalidiamoindi sprégiodeIddio
dellipiedifoura,edipoianchoracúole che gliurinamo foura eche lifacia
motuttiliuituperii poffemo. APISTIO. O Diobuono,oimeche odidire?Chifu quele
Jotantomaluaggio huomo chetidequestesagradehoftie daportarea
coteftomaledetto,etiscommunicatogiuocot sciutoinquesto Caftello DICASTO.O
scelerato.O inico operuerfohuomo:fouidicoche credosiastatouno delj p i u s c e
l e r a t i h u o m e n i c h e m a i fi r i c e o u a f f i n o a l m ó d o .
I l p e t che hauendolo ritrouatoimbratato in mille sceleritadelo giudicai
fulli primieramente degradato,cioe priuato della compagnia delli miniftri di
Chrifto e dipoi ilconsegnai al Podefta,etello incontenente,segondola
ordinatione delle leggi,lofecebrugiare.APISTIO.DehStreganon laffareil
comenciato ragionamente. Poimangiamo,be temo,ecidiamo
amorofipiaceri.Hormaicheuvoletipia intendere?APISTIO.Voglioche
raccontiaparteper par teiltutto.Ma primadimmichecosamangiatic STREĠA .
Dellacarne edellialtricibi,chefifuolenousarenellicon
uiti.APISTIO.Dondebaueticotefteuiuande :STREGA . Vecidemo dellibuoim a eglieben
uero,che dipoi resusciz Tano. APISTIO. De chisono&STREGA.Sonodellinor
ftrinemici etanchora cauamo deluino fuoridelle uegge e
delliuaffelliacciopossiamobere.Et dipoichehauemomant giatoe benbeuutcoiascun
addimanda ilsuoamoroso,cioe Demonio informadihuomo'perfatiffareallasualibidino
fa uogliae con huomenichiedeno lesuc amorose, anche el 3 D i m o n i i i n e f
f i g i a d i b e l l i s s i m e p o l c e l l e , e g i o v a n e e in t a l
modo ciascunpigliaamorosipiaceriefatiffaallefireffrena, an del Tai pi na 5ell
ap Tin adi 60 laDonnadellehostieconsagrate.E quellaconallegrafaca oli cia e
gratiofi 36 teuoglie.DICAS.Paiono am e illusioni efauole quelle che diconio
dellibuoi.FRO.Sonosimiliaquellecosedellequali narrafauolescamente colui.
APISTIO.Chicola:FRONIMO.Conosco chetuvuoilodicainuolgare,quello che e scriccoin
greco,Hor fucosidice. Vápoje caminano e cuoi,ç
muggislenolecainidellibuoi.APISTIO .Vetaméte fono simili.Chedifferentiaechicaminafouradellaterrailcuoio
del buc,e che moto libra m u g g i f f e n o e ftridano le carni m e z z e
cotte, da queftoprestigioefincaimaginatione,cioechepiegatala p e l i e d e l b
u e g i a m a n g i a c a , f a l i l c a f o u r a li p i e d i : F R O N I K
MO.Gócederonoli antichichemandaffelauocelanauedi taggio di Argo ,etanchor
diflenoche diuinosu cauallo di Achille.MacoluichinonnjegaparlafsıXanho
cioeilca. HallodiHettore,iltimamochenegara ilPegaffo,cioeilca
uallocollealidePerfeo oilDedalo,ouero coluiloquale ci
portomarauigliosefpogliedelmoftrodiLibia,ilqualeAtrac ciaualatenerellaariacolle
ftridentialitAPISTIO.Masetu c r e d i c h e u o l i e f f a Strega, Per c h e f
o r r i d j e t u n e s a i b e f f e q u a d o c u l e g g i, q u a l m e n t e
le P a r c h a l i e p e i n e p o r t a r o no Perseo: FRONIM O . N o mirido
fe tu ftimichesianofacceque ItecoseconactedelDemonio,mafibenmi rido,etmene
fobeffefecuctedichesianofacteperopera etingegno del thuomo lopensochenone
/similemoftro,cioe difingere che l’huomo o ilcauallohabbialepenne
peruolare,odifins gerecheilcauallohabbiaintalmodo lalenguachelapossa
tiuolarlaepiegarlaperproferireleparole.cócioliachemol
siaugelletrisenzaalcunomiracoloperopera egradeactifs,
ciodellhuominiapuocoapocoimparanodiprofericemol
teparoleecofifendouiulaiileproferisconoS.e dunquese inlegna dirivolgerela
lengua acoteftiaugеlletiper cotale m r t che proferisconolhumane parole,quanto
maggiore menteseporradire chelopossanofarelefoftantieseparate osjano buoni
oreifpiritiecioe di poter riuolgere la lengua per labocca
dellianimalipercotalmodo che proferiscano dritamenteleparolesAPISTIO .Tu
dichequestofępuo fare. FRONIMO. Anche ilconfermo conciolia che solo
ciascundeeffifpiritidinaturaeguale.APISTIO Ilpuoise ftiprouarecon qualcheeffempio:
FRONIMO. Molto ben i pollo prouare,M a h o t a ne baftiano raccontato nel
fagta libro d e i N u m e r i,cioeche la Afina di B a l a a m
parloe.E dit conoeTheologgicheparloeperoperadellangiolo concio fiache effanon
fapeua c o s i lendoli quelloche dicesse, rivol tae conduta lalenguaadire
quello cheera commodo er ageuole per loeffercito delliHebrei.D e cuine hauea
gouee noe curailbuon Angiolo;sicomeraccontalascritturaecosi b o narrato quefto
effempio solamente accio io tacci quelle historiegia'narratede
quellibuoidelliGentili,che parlaro 00, APISTIO .DedimmiStrega.Noisapiamocomenon
hranno liDemoniicarneneoffadunque come mangiano, b e u e n o , e l u f f u r i
a n o r S a r e f p o n d i p r e f t o . S T R E G S A i c o n . me ame pare,
fonosimiliq,uantoallepartiuergognosealla carne,APISTIO.Patreftidarciuneffempio
diqualcheco fa c h e sia f i m i l e a q u e l l i suoi corpi. STREGA. N o lo so ben Ma
purpaionoaffaisimilialla ftoppaouecoalbambagio, quando e-coffrettoinsiemee
condeniaio.Cosipaionoquel lineltoccare,miasempre sonoimperho freddi.APISTIO . H
o r seguica piu a u a n t i . STREGA . P o i e r a u a m o satiatidelli carnali
piaceri erauamo portatiallenoftrecase.APISTIO . N o n tiueneuam a i
quiuiaúisitare: STREGA .E fpeffeuola te.Anchor qualche uoltaquando andaua
almercato,eritor naua accompagniauammi.E ricordammicome ritornando
acasaungiornofuiltardodalCaftello effendoegliinmia compagnia,tre uolte
pigliaffimoinsieme amorosi piaceri auantigiongeflia casa.APIS TIO.Quanto
-e-discottola tua casadallemura delCastellorSTREGA.Circadiun mi gliaro.
APISTIO.Danque non emarauegliafelfimoftro effomaluagio Demonio informa
dellamolto libidinofa paf feratM a pur Fronimo,iotedicoiluero,anchora non posso
capirceon ilmio ingengno cheuoglionosignificarecoretti tantosozzipiacericarnali.FRONIMO.Tidirolamiaopi
pênione Iopenso chefaccicotestoeslo ingánatoredellhuor
menipersatisfacealleffrenateuoglie diqueste facciate et
impudichemeretricilequalinonhannoiltimore'de Iddio, Chi e
quellofienochefacaminarelhuomosecondoilraa gioneuole appetito
egiustodifio.Ilperché remofio tantideta t o f r e n o d e l l a r a g i o n re
i m a n e l h u o m o c o m e u n o a n i m a l e hh LIO 10 Eté 11 1 TO
xrationale, efi comeunabeftia, ecosidipoidesidebraram. ma et anchora
cerca le cose da bestia ,etineffefedeletra. APISTIO.Ne
anchepercioeglieposibilechepoffacapite con lanimo donde poffono hauere tanti
lasciui piaceri DICASTO :Chehabbianograndipiacericredochelpoffa
interuenireperpiu cagioni,dellequalialcuneneraccontato Jarrelaffaropermaggiorehonefta.
Conciosiachehauemo a parlare sempre in cotalm o d o ,eprencipalmente incolga k
cheanchorlapudica orecchiauipoffaftare.Puodunque
guestointeruenire,almiogiudiciopercheseglidimostrail Demonio
maladettoinunamolto aggradeuole figura,cioc belladifaccia colliladrjocchiecon
ilgiocondo uolto con ciofiachepuocoimportaalDemonio difingeree difigura. Re una
formadiariaofozzao veramente bella, ecosifigura te
formeficomeparepoffonpiacereaquellicheuuoleinga nare
Ilperchecofilosinghaetiraquellemeschinelledonni ciuolea fecon effa
fintabellezzaecolliocchicosifigurati,
etconlafciuifembianti.Etanchoraacciochemaggiorment tele ingannano
fingonodieffereinamotatidiloro.11fimile fannouerfodiquelli sciagurati
huomeni,diinoftrandosi in forma di belle damiselle,ecosi uifanno apparerecuttele
proporcionidellemembra,etuttelebellezze,etuttililasci. uisembianti che
desidarano accio che meglio glipoffono ingannare. Dipoianchorgli
fannoparerequellipiaceriche hannoconqueftefinteimaginisianomoltomaggiori che
poffonohanerecolli'uerihuomeni,econ leueredonne: Hor pensacome sono
inganriati,etuccellatidalDemonio.Ecoh n a r c a u a quello scel e r a t o , e
(maledetto incantatore di Don Benedettoauantinominato.IIqualeraccontauaqualmeno
tegliparcuadihauerehauutomaggioredelectationecon il Demonjoiqueftafintaimagine
chiamatadase Armelina checon tuttelalaifemine,collequalihaueamaihauutolara
uipiaceri.Etaccionon pensaftiche con puochefefuffii m pazzatio o
tiuogliodireche questafozza bestia,piu presto cofilo chiamaro che h u o m o
anchora hauea hauuto uno fie gliuolodella propria sorella.Ionon dicocosache sia
secreta cóciosiachetuttequeftecosecheraccoratosonoiscrittenel ljgrocelli U p r o t e f l i f a t t i d i lui. Era tan
t o i m p a z z i t o d e t mt o i s e r o h uomo in queftodiabolico amore,epercotalmodo
beftialme t e brugiaua di cotefta fua Armelina. cioe del Demonio in do
ficomefannoduoicompagni insieme benchenonfuffo ucduta dalcunoaltro.
Ilperchefendouditocosi ragionare, n o n sendo ueduta quella pensaua chiunque
ludiua chefufti doucntatopazzo.Debuditelescelerateopete checostuifa
ceuaperamoredicotestasua Armelina nonbattiggjaua fanciulliniquando glierano
portati fecondo la conluetudi medeChristianiperdouerebattiggiare, ma hauendo
fino de battiggiarliconliremidadaacasasenza battesmno, o n consacrauale hoftic
quádo diceualam e s a benche fengeffe diconsegrarleecolligefti,econ un
certomormorio,perna fcondere lisuoifrodi,ecosifaceualeadorare alpopolo,non
fondoconsegrate.Veco-e-chesepur qualcheuolcadritame t e h a u e f f e
consegrate, alzando la sagrada hostia in alto per dimostrarla al popolo ci o e
ilcrocifissooaltrafu gura collipiedi riuoltiinsuinuituperioetiscerno de Iddio
edallasuafantiffimafede.Dipoileconseruauaperdarlealle
fccleratefemine,etallimaluaggihuomeni,accioleportaffe toalmaledettoetiscómunicato
giuoco.E coliquellodiabo tico ebeftialeamore era causa dicantipeccati. Anchora
-e nellam e d e m epazzia unaltroftoltoe pazzo,chiamato ilPi heao
ilqualetantopazzescamente amaunodiauolodetta dalui Fiorinache seglidimoftraiu
forma de femina,che fouente hămidettoiftaminandolo piupreftodiuuolerepa.
siteognimartorio,che abbandonaretantabelligimafer mina
conlaqualehahauutotantiamorosipiaceriquarant taanni. Eper
cotalmodo-erdivenutoatantapazzia chenå eredeefferaltroIddicohe
quella.Vedetiquantosonoinui, luppati costi meschinelli h u o m e n i nelle reti
del dem o n i o . Etanchor non pensati chesolamente commettano cotefti
fceleratispreciatori dellafantiffima c triomphacifima fede 1 formdai
femina,chesouentelhaueainsuacompagniaspas leggiandoper lapiazza,ecosiandauanoinsiemeragionan
f i c o m e sisuolela alząua con lafigura luie-figurataridottaalcontrario 11 1
hh ii f el diChristo,dellipeccaticircalasagrahoftiaereffagloriofiff
m a f e d e f e n d lo e g a t i d a q u e s t o p a z z e s c o a m o r e , m
a a n c h o c o m m e t c e n o dellaltri male opere senza numero . C o n c i o
Siache cobbano lecose dealiruiimbrattano ogniluogo col lisuoimaleficii
esouradelcurto sonosommerli coralmente n e l l i a d u l t e r i i, n e s t u p
r i i n c e s t i e f o r n i c a t i o n i. N o n h a n n o c o
spettodicommettere lipeccati con pacenti,sorelle,fratelli et
altrepersone.Vccidenoli fanciulliasciugano ilsangue di
quellifannouenireedescendece dalcieloacerbiflimetemi p e s t e g u a s t i n o
li c a m p i e l e f r u t t a c o n l a g r á d i n e, e g r a g n u o s la
con tanta ruina, che pare se ferebbono portati piu m o d e l Atamente quelliche
anticamente incantauano le feutta
controdelliqualidipoifufattalaleggeescrittanelledodeci tauole.APISTIO. Dunquenon
folamente sefforzano di daredannoallefrutta,etallealtrecose cheproducelaterra
ma ancheracercanoperogniuiadinuocereanoicon ilcic loe con laria checi copri:
Caccio so. DICASTO .Addimandalotua dei, APISTIO.
HaigiamaicuStregacommoffolituonice, Catto balenare laria? Sifpeffeuolte.
APISTIQ . Hai tu guaftele biade con la grandineouerotempeftas STREGA. Nouna
voltamalouentefi. APISTIO. Inchi modorSTREGA, Fatto chehauea
ilcerchioeccocheinco t i n e un u ei n i u a i l m i o Ludovigo , m a n o n i n
f o r m a di bu o m o mainfigura di fuoco. Allhoracomençiquenodiscedere del
lariafulgore,efenteuasituoni,ebalenaua il cielo edipoicas Scauala
grandineetempeftasouradellicampie prencipal mentesourade
quellicheeranonoftrinemici,delliqualide fiderauafufferotouinatie.guafti.APISTIO.Deh
dimmi, peramore:decuifaciuicucantarouina:STREGA.llface uaperodio,enon
peramore.FRONIMO.Miricordodi hauerlettoneuersi comeeDemoniifaceuanoli
ftrepiti,co fidicendoloingegnosopoetaOuidioinquestomodo nos minádolisottoilnome
delliDei,oueroquellimaleficiiicuc.. cedella persona dieffo.
Perqualagiutoquandouolfaftrenfor: Ifiumiinfoncisuoitornare e mosh
Inftabelcofe,ftabelfompreuenfi, Regietto,euenci echiamo
quandopiacemmi. Ma questanoftraSirega,piupotentechMeedeaeccitoan
thoralatempeftae grandine elaconduffefouradellebia de. Anchora tirano gli animi
dellbuomeni'ne peccati colli fuoilafciuipiaceri,perchelosinghanolisentimenticon
effi. Ilperchehomai-e-qualirinouatoquel detto diLucano in queftonoftroCastello
cosidicendo, Ārfenoiuecchi dillicitafiamma Netantola bevanda nofsia uale 1.
Quanto la modella caua l l a e r e t t o Ri f a t o i n f u c c o, l a m e n t
e f e i n f i a m m a: E perisce incantata,né piu fale Deluelen haufto pura del
defetto. Eraquelmaluaggio Don Benedetto,decuihauemo ragio nato de annisettanta
duoi,quando gliscacciaflimolafiami niadelfceleratoamore con laqualetanto ama
quella sua Armelina,o quellofuoDiavolo,informadifemincaon una altra
grandiffimafiamma uscitadiuna granftipadi legoed E cosiromaseturcoincenere.E
questo-e-ilmodo dascaccia re u n fuogo con laltro.Vine-unalcroin quefto fcelera
s a m o te rommerfochibaoltrodisettanciqueanni,etanchoruno altrocheha
vedutooccanta folfitü,Liqual andauano aldet toprofanoetifcommunicatogiuoco
delDiauoloottouolre m e s e l e c o s t -e f t a t o c o n o s c i u t o pe r t
e f t i m o n i o e c o n f e f f i o n fiede molti
dieffriniquiemaluaggihuomeni,chenon sono folamenteunao due puero treStreghe,m a
sonoingrande moltitudine,ecofiche non sono solamente ute o quatro stre
gonierscelecacimaschi,liqualiuannoa questo indiauolato
giuoco,ethannoquestiprofanipiaceri colliDemoniiinefli gia difemine,m a
egliesutotitrouatopercerto comeuiuar noingrannumero ecin
granmoltitudinpeercotalmodo che credono secondo la loro iftimatione che ui si
ritroua a quefta maledetta congregatione oltro di due migliaradi persone
APISTIO. Oh chefenteio diceslaantiquitasola,
mentebalaffatoinscrittoditreouetquarto Maghe digrå
Caccioconlamiavoceilmalfe fpiacemmi Carco dinebbie,enebbiealseren genero
m a ame parechenenoftri fama, giorniseritrouanomolte Medee,no puoche Candie, nó
una sola Ericho. FRONIMO. Tu cinaraucgliiche se ritrouano-secento M e d e e con
cijoria chetusaibecn h e son inuna Citra della lialiadodece
migliaradiCircecioedimeretrici,lequalisonotenuefora lenondimenotunon timeraueglidieffe.APISTIO
.Ben bente intendo.I percheperbuon rispetto,no bisognaalati mente cercareouero
inueftigareil sentiment dellpaarabo la perlinascostiluogbj. FRONIMO. Diroe
anche due pa role.loistimo chehabbiaIddio con sua gran prudemtia uos lutofermareestabilirelasuafanciffimafedenelliapimi
del lifideliindiuersimodiperfarecrescerepiu ampiamentein ogni canto la christia
n a r e l i g i o n e in q u e s t o infelice tempo, Helquale
pareuadiognicoladimale in peggio. APISTIO , Inchemodo FRONIMO. Prencipalmėteincemodi.E
primaperilfucceffodellecosegiapredetteetannunciate,de poiper
limviracolifattidiuinamente epoianchoraperillco prireche ha
fattoladiuinaprouidentiadellescelerirade de de corefti indiauolari riti,e
maledetteopere dellantidecco molto bialme uole giuoco.
Giahauemouedutouenireapun tole sanguinolenti guerre la crudele fame e carifteia
lahore tenda peftilentia licomegia auantjerano state annontiate diuinamente
permoltjarniHauerebbono forsipoffutocre derealcunifacilimenteper cotalmodo
oppreflidallagrans dezza di queste tribulationi che fusseroproceduteo casual
menico fatalmentedate calamitadi etribulationifelnon fuffisutonuouamente
fuegliaraeteccitatalafedeinquesto
noftroCastellocontantimiracolifattidallagloriosaVecgie ne Mariamadre
deIddio.Lequalicofeficomedaseconfer m a n o ,efortificanolafede
Chriftiana,cosianchora per acq denslaconfeffionedicotesteAtregheglida uigoria
eforza Per la quale confeffionee per il gran numero delli'teftimos nud i a m e
n d u o i li f e f f i c i o e c o s i d e l l i m a s chi com e d e l l e f e
y mine,cognoscemoapettamentequalmente liDemonijco
donemicietaduerfariidellafedeChriftiana Laquale e di tanta forza chequanto
maggiormente e con ognisuafor za,aftutia p e r fare dipoidello
unguentod a ungere di luoghiuergognofiquando uogliameoffereporcati algiuos co.
DICASTO. Acciononiftimatieffercoteftefavole eche fano sonniio
imaginationiechefianosolamenteillusioni, e non
siainverita,erealmentecioèdiandareper lecase di q u e f t o e d i q u e l l o a
d u c c i d e r e l i b a m b i n i, u i d i c o q u a l m e n t tefono
ftatoritrovatidellifanciullini,ben certamenteinfen
ci,cheanchorpigliauanolapopa,etillatte,liqualihaueano ledita
forate,elepiagheebucchisottoleunghini. APISTIO.
RefpondiStrega.Aflaimimaraueglio chenon greffino,eche cridaslinodetti
fanciullini,quando uoili trag tauatitantomale,echelipungeuati.S T R E G A .
Sonoal Ihora per coralm o d o indormentatic h e n o n feiitino. M a dipoiquando
sono fuegliaticridanoad alta uoce e piango no e Aridono
,efeinfermano,etanchoraalcunauoltamon teno. APISTIO. Perche non muoiono tutti.
Perchelifanamo.Conciosiacheglidiamodelligioueuo /
lireniedi,ecofilikberemo.Hiperchenetiramograndiguza dagni. APESTIO . Chi uiha
infignato questi cemedii STREGA . E demonii. APISTIO. Questo a meno n p a s
teverifimile.FRONIMO.Eperche.Non faitucomeit Demonio conosceleuirtudedelleherbe
,lequalianchora za aftucia,etingannilacercato di rouijare e di ofcurare,
tantomaggiormente se alza erefpiandeperognilato. APISTIO. O quáto ben lhai
codutto questo tuoragionaméto . M a horfu
dimmiobuonaStrega.Vccideftigiamaiuerun fanciullorSTREGA:Non un folo,m a
simolti.APISTIO . Conilcoltello oueroconlamazza.STREGA.Con laagus
gliaecollelabra.APISTIO fucbimodor STREGA.Ine trauamodinottenellecase
denoittinemici,perle porteet usci cheeranoapertia noi,dormeudo e loro
padriemadei cpigliauamoi fanciullini,econducendoli appo delfuogo ,
forauamoconlaaguglialortoleunghi,dipoiponendowic fabraasciugauamotanto
sangue,quantone puotevamote n i r e n e l l a b o c c a . E p a r t e d i q u e
l l o n e d e g l u t i u o , c i o e ilm a n dayagiùnelRomaco epartene
riseruauoinunabuffua o inuno uafetto piaa comeptatitis hanno
conosciuto lhuomenisanchortudebbifaperecome
giafuconoscrittemolteregoledamedicare nel Tempioda Esculapio,lequalidipoilecolse
Hippocrate,ele Scriffenelli suoi libcisicome citrouiamo.Anchor sono fccicci
molti g i o ueuolireinediciosialle piaghe,efedice,come contro delli
geleni,nellehistorie che furonoritrouatiperlifonnii. E puf anche leggiamo
qualmente soleuano dormire nel tempia diPasipheaenelláltri Tempiidelliifimati
DeidalliGentils ficomegiapiu auanti diceflimo,quellichi cercauauo li res
mediicontro delliinfirmitade,sapendo chegliserebbono
reuelatiperilsonnio.Ilperehetunon tidebbimarauegliaro
seanchoranerempipresentiglireuela ilDemonjoliremes diiaquestariaemaluaggia
generationedihuomeni,edifc mine lequalifrequêteméreconuerfano con lui,APIS TIO
Dichecosauidannospecáza,douiatihauerdaloro:S T R E GA.Longa
uita,Grandedoujtiaericchezze,econtinui pia cericarnalilequalihauemo,ene pigliamo
delettatione. APISTIO.Deh dimmiperquella fede chenonhai.Ti dok nologia maidelli
danaris Gia m e nc donoe ale quanti ucro'e che disparfono .Pur seruai alquanti
puochi quatrini.APASTIO.Veramentesonograndiricchezzeco tefte.Dehpensachecosapoi
serebbe felteprometteffeli T h e s o r i d i C r e s o q u e r o ci promett e s
s e m a g g i o r e d o u i r i a d i quella di Alessandro Magno ,cóciosia che
era portato lo ora. diquellodaquarantamigliara denuli,five-uero quello che
scriueCurtio,quero ficomediceilPlutarchoin Greco,ilqua
lecosidicoinuolgarepersatisfarea ciascuno eraportatolo
orodieffodadiecemigliaradigiogatiOrichiisulecarrette erdacinquemigliarade
Cameli. FRONIMO.Paredicon tentarsicoteftauilee fozza fecedihuomenie di
donnesele d o n a t a n t i p i a c e r i q u a n t o n ó h a u e a S a r d a n
a p a l l o ,n e S m i n dre,ne Stratone.E cosipiuolicanon cercanopurhabbiano,
queftipiaceridiabolici.APISTIO .Almáncoquelleerano h u m a n e e u e r e , b e
n c h e u e r g o g n o s e e b i a s m e uoli , m a q u e ftedelleStreghesono
coseda ridere,eda fars-beffe,esono: menzogne finteeuane.FRONIMO. Tunondirai che
quellesianowane,setu ben considerarai questo uocabulo pi 10 nie lo comentátitieecimaginarie cioe
parte finte,epartenuoue. DICASTO.Iftimo chequelle siano inparteuere cioe fon
dareinquellacosache-e-erinparcesianofallaciefinte,enó firmate
inuerunuerofondamento,emaggiormente circa diquelle
coke,dellequalenarranoalcunicomesecangiano in forma diGatteetinaltre figure di
animali,Ihuomenic d o n n e di questo maledetto giuoco,etche resuscitano libuci
che hånomágiato,sendolipoidatodellauerga dalladonna o dal Signore del giuoco,
fouradellapelledouiuisonoposto d r e n t o To f f a d i d e t t o b u o
mangiato. I p e r c h e f i a t i c e r t i c o m e tutte quefte cose sono
imaginacioni illufioni,etcose che cosifaapparere ilDemonio Icelerato,et aftuto
chesiano, mainueritanonsononeanchoraessolepuofare.Ma che
fianoalcunauokaporcatiperariaetchefouentemangiano
beueno,etdianslibidinofipiacericolliDemoniicofiin for madimarchicomeinformadifeminenon
e-danegare, neanchordariputarecosa falsanecontrariaallauerita.Puo trebbi
narrare afraicose confermate da digniffimi testimo nii fe v o n hauefli paura
che poi ui lamencafti di m e ,d i c e n do cheuihauefliingannatorobbandouiiltempoconcefloa
uoi da douer udire la Strega.APISTIO . Ti priego,fiacona tento di riferuare
cotefta curiora disputacione per infino a d o m a n e . D I C A S T O . G i a
-e-diputato quello ad altriragio .namenti,purmolticuriosi.Vero.e-fetu purtanto
brammi deintendere questo,fiaticontétodidisinarehoggiconmieco, benche
fiamonella uilla non mancarano imperhotandi cibiquantoseránoneceffariida
iftinguerelafame. FRONI M O .Non -e-darifutareilconuitodelloamico,douisiritroj
u a n o a f f a i d o t t i r a g i o n a m e n t ib , e n c h e p u o c h i c
i b i. C o n c i o fiachere-moltopiuaggradeuoleallifpiritigentili,etaquel l i c
h e s e d e l e t t a n o d e l l a d o t t r i n a il c o n u i t o o r n a t
o d i c u r i o l i parlamenti chede uariera edi moltitudine di uigande.
APISTIO.Piacémmi assaiciascunadicorefte cose.Perche c o n u n a si p a s c e il
c o r p o e c o n l a l t r a J a n i m o . D I C A S T O ,
HorchiederipuruoidallaStregaquelloche vipiace,laffal. to
coftuiquiVicarioetinmioluogo,perinsinoritornaroda noi.Perche uoglio impore
alsopraftäte della mensa,quello c h e d e b b i a f a r e. APISTIO
. S u S t r e g a d i . H a u e a il t u o a m o r roso'uerunsegno,con
ilqualeaddimandatodateuenesse n e l c e rchio : STREG A . S i h a u e a in q u
e s t o m o d o . c h e o g n i uolta chemi fuffidiscostatadalli altri,ecosi
sola due uole Ihauesichiamato incontanenteuiueniua. APISTIO .M a per quale
cagione non treouero quatro uolte. Non loso.Coferaammaestratadalui.Maanzimolto
for teme ammoniua nólochiamassetreuolte.APISTIO .Chi ne pensitu di questa cosa
Fronimos FRONIMO. Questi pattidel demonio daluipendeno,esonoin fua dispositio
ne,enon solamentequestipattimanifefti,m a anchor li occulti . D e l l i q u a l
i il n o s t r o f a n t o D o t t o r e A g o s t i n o i n s i e m e c ó a l
c u n i altri D o t t o r i n e h a n n o scritto . N o n d i m e n o p u r io
c t e do chenon sianaturalecaufainquesto numerodi duoine a n c h e p e n s o c
h e u o g l i a dimostra r e c o t e s t o il m i s t e r i o d e l l a
Diadeosadelladualita,dimostrato da Zarera Caldeo,per Pithagora alli Platonici. O liacoftuida
chiamare Zareia, frcome diceOrigenenellibrodelliPhilofophimenoni,o fa da
scriuereZarata ilcheulaPlutarchoCheroneodesignano doilMaestro di
Pithagora,dechiarando una parricoladel Dialogodi Timeo oueroanzisiada dire
Zaradaconciosia chenellibrodelleleggi,lanominatodaTheodorito Theo logo
ZaradonM.ache cosaimportaalDemoniodidisputa rediquestacosaediquestonome
loistimochequiuigia ce nascosto qualche inganno,equalche aftuta frode delD e m
o n i o m a l u a g i o. O u e r a n c h o r i o p e n s o c h e il f a c
c i a c c i o n ó se accordi con lavoce della santiffima Trinita,e cosi uuole
pareredinonapprouarequella.LaqualeeDio uiuentein sempiterno.O forsianchorailfaacciotiraetauertiscamag.
giormenteThuomodallaconsuetudinedellecerimonie del la nostra religion e
Christiana, A n c h o r a il puo fare per quale che altro ingannoetfro de il
quale noi non sapiamo ritrovato dalli antichi Gentilie Pagani sottoilnumero
pare.Loqua leuuoleuanofufficonsegratoalliinfericioeallispiritierano giu nel
profondo elo dispare allisuperi,cioe allispiritihabir tauano
Touradellicieli.APISTIO .Aftaisonfatiffatto.M e dimmi Strega.Conosceuitudiesser
ingánatada questotuo amoroso STREGA.Non mai.APISTIO.Come-e-posli! b i le cotesto: Quando tu vede u i d e s p a
r i c e l i d a n a r i , c h e c o s a ittimauiturSTREGA.In chemodo de
parefsinonon con, Sideraua,Vero-e-cheeglidame ritornaua,etmicompara uaconmolciamorofipiaceri,epercotalmodomi
legaua, chenon pensauaaltcochedela.APISTIO .Che cosaaddi mandaua che uuoleflida
tequando tiprometteua ianitecol
se,quandocidayatantipiacericarnali,echefingeuadiesser t a n t o g r a n d e m e
n t e i n a m o r a t o d i t e s STREGA. N o n a d i. mandauaaltrodameeccettocherenegasselafedediChri/
Stoenon uuoleffehauersperanzapiuinello,ma cheme ilu genocchjassealuieloadorasse
eloteneffeper Div. FRONIMO . O iniquiilimo,o fpurcissimo,o fceleratiffimofpiri
to detto ueramente dalliHebrei Sathanaflo ouero aduerfä rio,edalligreci
Diauolo,edalliLatiniCalunniatore.Se puo pensare maggiore calunnia,emaggiore
ingiuriacontrade iddio quáto eche faccicanta forza questo fcelefto colle fue
maluagie parole diuuolerlirobbareladiuinita,echelauor
gliaattribuireasecontantaatroganza,econ tante bugies
IlpercheforsihaamatoquestonomediDemonio osiaper dimostrarechehabbiala scientia
ouerper daretimorealle creature.Eglie uero cheecosasupremante aluipropria efa
miliare ditessere ordinaree comporre le isisidie et ingani,
Coliparimenteingannoilprimohuomo,sottoilnomedelli Dei donde-e-uscitoiluocabulo
del Calumniatore,ficomedi ceGiuftinophilosophoemartire. APISTIO .Sa Stregadi,
Inchemodo erasu discernuraeconosciutafralialuribuoni Christiani:STREGA.Non
uierauerunadifferentiaframe elialtri.AndauaallaChiesa,miconfessauaneltempo
della QuaresimaauantidelSacerdote decurtiemia peccatieco cerco che diquefto
Dipoi andauá collalori a comunicarmi alloálcare.E cosinon
eradifferenciaalcunaframe elaltre donne.Non uierauaane coteftecoreilmio
amoroso.Sola. mente eglimi comádaua che douessedirealcune cosepian
pian,enafcoftamentefacessealcuni arcilequalicosedetree faite altro da nienon
uuoleua. APISTIO :Racconta iltur to aparteperparte.Sendo nella Chiesane giorni
delle feste,comandauaame cheleggendoilSacerdote lamessa adaltauoce(sicome;Tesuole)diceffeiopianpian
ii ii Hon euero,tunenientpierlagolaequandoleuauaquel lola hostia
consagrara soura del suo Capo per dimostrarla atuttoilpopolo
acciochesiaadoracae reuericamoleus cheioriuoltafi liocchialtrowe,enon
laguadasse, etanchor micomandauarivoltafsilemani dopo lespallee piegaffele deta
sottoleueftimente incotestomodo ,sicome uoi uedeti io facio.cioecheglifaceffele
ficca.Dipoianchoramidiceua.
nondouesliscoprireuerunacosadellinoftriamorofipiaceri, al Confeffore n e
anchora di quelle cose che pertengono al giuoco.Egli iftimaua poiche non
importafle cosa alcuna se ben uuoleffedirealConfefforelealtrecoseoueronon ledi
ceffe.Voleuaanchora,chesendoandataa communicarmi, fecondolausanza
incontinentisendonimipoftal hoftia consagrata nella bocca, la giraffi fuora
fingendo di asciuca r mi la bocca e
laconferuaffenelfacciuoloperportarlaalgiuoco, accioilbeffalimo,
etischernissimoconquelli fceleratim o di,sicome disopra disse,etanchora perche
il conculcassimo collipiedicon quelliuituperiigiaauantiraccontati.Dipoi
portauadicontinuo due hoftieconsagratenella miaueste culite,percheellome
diceuache uieratālauectuineffefen dole portate in quel m o d o senza
riuerentia,m a anzicon uie tuperio,chemainonpuotrebbe
confeffarelinoftripiaceri, neanchoraaltracosa delgiaoco,benchefußiancheinterro
gata dallo Inquisitore n e con tormenti,ne con altrimodi. N o di meno
aftreggendommi imperholo Inquisitore em e pacciandommidiuuolermgirauemente
martociarefenon confefauaquestenostrescclerate operemi commando quel demonio maluaggio,
legetraßein queluafo,loqualehai uea portato a m e ilGuardiano della pregione
per farele mie necesitati.APISTIO. Facefti questoiscómunicato.com mandamentos
STREGA. O me mischinella, et infelice's bubbidi.Ma non ui rencresca diudire una
cosamolto hori rendae pauentosa cheoccorse.Rompendoioinfeliceescia gurata
quellesagratissimehoftienelfterco,con unuaerga, vide uscire da quelle il vivo
sangu e. FRONIMO. Che odi dire hoggi: Puoesserequesto Credocercamentechemai
piuno udiranolemie orecchie finilioperefcelerate etis communicate. DICASTO.
Andiamo un puoco nel giardino ecosiforsicaminandoefpasseggiandouiritornara lo a
ppetito. H o r f u r a m e n a la strega nella pregione. APISTIO.
Inueritauidicochenómaihauerebbecreduto che fe poteffino,non dico fare,m a pur
penfare tante fceleritade, tantemaluagioperee tante ifcomunicate cose,quante ho
udito hoggidalla Strega.Ilperche avanti facilmenre haverebbe perdonato
acoteftagenerationedihuominie didon ne credendo chefufferocondurrida qualche
leggierezza o ueroda qualchemancamento diceruello adintrareinque fto errore
etanchora iftimaua che fusserocotefteStreghe e Stregoniingannati dalle
apparentiuisioni e illusion e fittio nidelDemonio
etanchora(iodirolamiaoppenione)non giurarebbichenon sianoingannati, ma
hora11comebuono e fedele Chriftiano c o m e sono itato eth o creduto quello,
che debbe credereciascunuero Chriftiano, non mai con fentirebbifedouessedare
uenia,neperdonareacoresti ini. quifcelerati
emaluagginiolatori,efpreciatoridella nostra fantiflimafede. DICASTO. Se
tidimostraroche cotestoap pertenne alla Religione Christiana di douer credere
che sia noinuerirafattedaqueftifcelerarihuominialcunemaluag gie opere etseiɔti
conducero tantiteftimonii, ilperchne o n puottaifaredinon credere efferemolte
cosenellantidetro giuoco chesonouere,enonfintene ancho imaginate,m a Li come
siamo consue t i d i parlare che siano reali io penso che dipoinon
farajostinaraméter efiftentia. APISTIÓ. Ancho ranon sepiegailmio
animopiuinunaparte che nellaltra. DICASTO. Dimmifettepiace,Vedeftimairefuscitare
municate.APISTIO.Anchora iosondicoteftaoppenione
dinonudiremaipiufimilisacrilegginesimilihorrendeope te. FRONIMO. Dehperamore
deIddiopartiamocidi quietandiamoincontrodi Dicafto, feltipiace,cheritorna
danoi. APISTIO. Moltomipiace Andianio. DICASTO Hoben comeuafecifatiffattir
Vi-e-anchorarimastaalcuna cosa da dovere intendere. FRONIMO. D e h il n o f t r
o D i cafto,iotedico chepercotalmodo siamostomacati cheno
hauemopiubisognodipranso.Iotesoben direchesiamo per una uolta sariati uerunmorto.
APISTIO. Non maihoueduto tantomira, colo. DICASTO. Creditu che possono
resuscitare e mortis FRONIMO. Non lonegara no. Conciosache-e-quefta
cofamoltocancataefouente ramentaca dalli Poetietand chora-e-scrittadalli
Philosophi, e maggiormente da Platone. Liqualinarrano come resuscitarono
limorti,etusciros no dell’inferno. APISTIO. Ne ancho per queste cose m i
acqueto,incoteftaoperachi-e-ditantomomento. Ecolino
credoalliPoetinealliPhilofophidicioma libenaluange lioDICASTO.Io
tiuoglioproporreanchordelliefsempii dialtracosade cuinonlefamentionenella
fagrascrittura, Dimmi credi tu siano uscite le naui dalle Gad i cioe da quelle
due Isolecheso non elfinedella Bethicanellaetremita della terra
noftrauersolooccideniedouife diuide la Euro padallaA fricaretanchorchesianouscirefuoridelportode
VlissiponadiLusitaniaosiaPortugalljareche quelleriuolte versiol Zephiro siano
stato portate da circauentimigliara di ftaggi,o piuomanco fiacome
silioglia,perinsinoa quel larantoampiaterra(lagrandezzadecuianchornon fecor nof
c e) e cosi portando le hora il Zephiro
per il mare atlantico siano giunte allo Indico feno. APISTIO . Si lo credo .
DIGASTO.Tu locredi. MadimmiacuilocreditAPIST. A tantimercatapti
liqualiraccontanoin che modo hanno fattotaluiaggio souradellelarghespaledelmare
colle 11o dantinaui. DICASTO. Haicu maiparlatocon quellis. APISTIO. Non ho gia
ragionato con quelli ma pur alcunayol ia ragionando di cotesta cosa curiosacon
quelli liquali h a uerano udito daquelliche hannonauigato per detti luoghi lo
diceuano,etconfermauano che coli era. DICASTO. Il mio Apistio dimmi non ti
hauerebbono poffuto ingannare quegli. APISTIO. Deh, no chi serebbecoluichi dubi
tal, che l’huo m e n i gravi e gia maturi di conseglio si d e l e tra s s i n o
d i favole e di menzogn e s DICASTO. e dunque io producero quiuinelmezzo non
menore numero ditestimonii dinon manco grauica:edinon manco.oppenioneet istina
tione,de quellituoi liqualihanno cófermato con giuramer to come. Sono portate
algiuo cole streghe e li stregoni, come li demonii danno amorosipiaceriállhuomini
in effi g i a d i donne et alle donne in figura di huomini, e cotesto Thanno
havuto dalla bocca dies li stregoni e streghe conil 20 line old od
sagramento costretti chene dirai esera tu poi fatiffatto. FRONIMO. Se
potrebbedire ueramenteche coluinon fussiin talmodo satisfatto,fuffioscioccoo
pazzoouero oftinato. APISTIO. Deh pertuafede di'per quale cagione. FRONIMO.
Percio chequando sono moltidiunamedeme voce, 11on pare c o n u e n i e n t e c
h e sia u e r u n la d e b b i a n e g a r e eccettosilnofussida
qualchebuonaragioneper cotalm o po
costrettolaqualehabbiatåraforzacheportagettareal baffo
quellaoppenionecosiconfermata ditantihuomeni. Jlchecredotunon
habbi.APISTIO.Questatuaragionc h a puoca forza in quelle cose che paiono
louerchiare lefors ze dellanatura,m a ben affaine ha in quelle cose ne ueneno
nellulodellhyomo.Ilperche non ho fattodifficultadi crede
requelviaggiodellenauidiSpagna nella Indiaetaquella
terranuouaecofiaquellialtriluoghima benfogran diffisculta in credere il giuoco
di Diana. FRONIMO. Puo' esserre uno molto maggiormente contrario a quelli che
raccontano il viaggio della India che aquelli che narrano I givo;
codellanotturneHecare cioediDiana.Concioliache dets.
touiaggiononfugiamaipiùperuerun modo conosciuto dalla antichita,m a solamente
furono ritrovatialcunipuochi segnali con liqualidicono gia giongeffe non soche
naui dal JaIndiaal litto di Spagna. M a hora senauigadella Europa per il mare
di Ethiopia nella India. Eco si hora gia f o r o s r o
gnatiiporti,etilittinellecauoledepinte.Anchoraalpresen Refono ftato
ritrouatealcune Isoledi marauigliosa grandez za chemai non furono conosciute
dalli antichi.Et anche nonfumai ramentata nescrittaquellaampiaterra,emol to
marauigliosa per lasua grandezza retrouaraquesti anie ni paffatiLaquale,fefusiAtataconosciutadalliPhilofophi,
liqualiseimaginauanoesserepiuMondi nellordinedella natura,forsicon maggiore
ragione hauerebbono dimo, Atratolaloropazzia.Delle qualicofeinouamétecontantefa
ticheritrouare'non hanno fattopur uno puoco dimentione o Strabone,o
Ptolomeo,quero anchora quellialtri;che for no suco
reputatipiufauolatoridiefli.M a delle Streghe ne fattochiaramentione
nellilibridelliantichietanchor delli moderni.APISTIO.Io lento, m a nó
foimpechoin chem o do,apuocoapuocomouersilanimomio accioconsentialla
quaoppenione.Vero-e-cheuolétieriudireieteftimoniipro mellida Dicasto
diconducerliauantidinoinelmezzo,ec a n c h o r a d i s i d e r o d e i n t e n
d e r e d e l l e r a g i o n i se ne ha della l e tri,olcro di quelle che ha
detto. FRONIMO. Deh il mio Apiftio tu debbefaperecome-e-fegnodipuoca
Atabilicadi animodiuacillare,erdipiegarsimoquiidimo riuolgerli indimo
fermarsiedipoimouersidalluogodouieraferma, to. Conciosia che quelle
cose,dellequaliauanti diceuamo. Senonpareuanoateuerepurpareuano imperhomolte fi
milialuero dapoianchoracontradiceuie dicenichemeri tamente era da
esserecontradetroda tea similicose,m a ho ta c o n una certa inclinatione di
anim o confeffi dieffere tirar
toesforzatodidouercósentireallanostrafentétiaetoppeni one. llpercheame
pare(perdonamiperho)chemeritame tepuotreffieffernuotato diinstabilita
eccetto,setunon ha) ueffiusato iconia ,ouero simulatione,e ficcione. E cotefto
n o serebbe meraueglia, perchetuseiusatonellifintigiuochide gli Poeti
etanchoraseitumoltoeffercitatonelliDialoggidi Socrate.Perilche interujene che
lepersone sono usate in der tilibri, onon maio uero con gran difficulta
sepossono rimo ueredallidettimodi.APISTTO. Fronimo mio io non fingo in cosa
alcunane anche giudico che fiabi sognofra teem e de Ironia ouero simulatione,
ma io te dico il vero, che non quorejcofi prorontuosamente credere una
cosaditantom o mento.Ilperchepaream echedamegliodidubitare pur che modestamente
sefaccietanchoradiscoprireetidi e quindiledubbitationidellanimomio,cioemoa
temoa Di cafto,ficomescopreloinfermolesue infiaggionie piaghe. Al
Chirurgico,checrederefacilmente senzaragione.Cone
ciofacheiersententiadiungrandehuomo(fiben miricor do )come sedebbe andarepian
pian,edipaffoin passo in quellecoselequalipaionoche Couerchiano lepoftre forze
accioche se inconcanéti fufferosprezzate n o s a m o da nasco
ftoinuiluppatinellifrodi, epelcontrario,seincontanétefuf ferocredutedanoi
1100siamopresinelleceticollesuspicior ni delle fcioccheuecchiarelle.In
uero'fisonftato dubbioso nell’animo mio, c o s i m i p a r e u a d i d o u e r
dubitare N ó h o i m perhomai contraftato conlaninoostinaco.FRONIMO.
Secolie-echetusiadiquestobuonanimo cioeche uogli in coresta cosa
usarelintellettoenonla uolonta ,certaniente possemo havere buona speranza dite
. M a t i u o g l i o d a r e u n buonricordocosiinquesta cosa
decuihoradisputiamo.co m e n e l l a l t r i c h e p o r t a n o p e ricolo, e
sono de importanza (si o m e si s uole
dire) c i o e c h e p e r c o t a l modo fa c c i c h e n o n u a
diauantilauolontaallointelletto cosiuogliodire chenon uogliuna cosa seprimanon
hauetaibenintesa econosciu ta.M a sono alcunichecaminano pel contrario
nellordine delliftudiidelladottrinacioeprima diffiniendo,e concludendo con l a s u a uolonta, ouero secondo il suo u
uolere che cosasiailuero auanriben consideranoconlointelletroeffo vero
.APISTIO. Hogran seredintendere che cosa ha da direinqueftonoftro caso
Dicasto,Joqualeuedo ritornare d a noi. Certamente non puotrano essere(almio
giudicio ) eccettechedegneeteccellenticose,purcheluuoglia ferua tele
promisfioni. FRONIMO. Bisogna primeraméte iftin guere lanostra fame
edipoisifatiffaraallacuasete. DICASTO. Andiamo
perche-e-apparecchiatoilpranso.Dehpec noftrafedenon tardiamo piu conciosia che
affailongamen tehqucmohoggidisputatofichenonbisognapiu dimota re.Equando
poihaueremoinkaurato ilfarigatocorpo di quelloeglieneceffarioperla
continuarouinadelnaturale caloreintraremo poi nel giardino della disputationec
h e cirimane.fando fram e fe-e-uero imperho quel lo che ha narrato la strega.
DICASTO. P i a c i m m i,a d d o manda lantis dettiuitiiesceleritade,cioeche
spesieuoltefacionola penin tentiapelliufernodopo lamorte
etiuisianomartoriatigrai uemente.Non ferebbemegliocheleprohibiffeIddio non si
faceffino,che dipoi lhauerano fatte didarli la penitentias DIÇASTO.Meglio
certainére ferebbe felsereferisceque, Hoa
coluichihafattolemaluagieoperepercheselnonhain uefleoperatomale hauerebbe
fattoben per fo.APISTIO . DunqueperchenonleprohibiffeIddio.Non ferebbemag giore
cosa epiudiuina,lefusserodiuinamente 'uietare& DICASTO. Sono b e n u i e t
a t e c o n la l e g g e m a n o n c o n l o p e t e ra
CioeIddioļeprohibiscemediantelalegge,m a nowole per forzateniceIhuomo non
operia suo piacere.A P L S T I O Perche épermeņa da Iddiolamalgradeuole operatione,
et il peccato cioeperchepermettechelhuomo facciopecca to DICASTO.Perchere
liberolhuomo,er-e-infuoarbi. trioe volunta elibertadioperare ficome alai
piace,oilben oilmale.APISTIO.Nóferebbestatomeglio chenófufli
mainatocoluiloqualeconosceuaIddio,chedouea fouina rcin. APISTIO . JIP OICHE
HAVEMO SCACCI a t o l a f a m e c o l l i c i b i e u i u a n d e t i p r i e
t. g o Dicafto Inquisitore delliHeretici uoglieffer concento,chepossachiede
reinantidituttelaltrecele,una certa m i a dubitatione Laquale ha granden mente
feditolanimomio ,no con uno scrupulo niacon una agura láza,pen pur quelloche tu
uuoi.APISTIO.Non guarimi sa tiffanoquellecosechediconoalcuni della
pena,chi-edata da Iddioacoteftibiafimeuolihuoineni e donne, 3 e,per
teinquefe grandisceleritadeetiniquitade&DICASTO. Si
Terebbestatocertamentemeglio chenon fuffimai apo paruto almondo
coluichiperfeuerane peccatiper infinoal f i n e d i s u a u i t a , m a c h e f
u f f i m o r t o n e l u e n t r e d i sua madre. APISTIO. Maremainonfuffeftatoperuerunmodo
peii fituchelfuffemeglioperquello DICASTO.Perchi: APISTIO .Per luj.DICASTO
. Perdonamiilmio Apistio Tu parli moltoscioccamente. E poffibiletunoucoulideri
che questaje,unapazzescaquestionesConciofiachetanto
ifrasesonocorrarij,elloreniente cheuno-e-rouinatodallalt t r o : N o n f a i t
ü c h e n o n p u o i n t e r u e n i r e u e r u n a c o s a o sia p r o
fperaouerfineftraa niente chediinaginamorAPISTFO .
PerqualcagionedunquehacreatoDio coluiloqualecono fceua douefte andare
allieterni fupplitii DICASTO. Per sua fommaetinfinitabönta.APISTIO .Come
fiapoffibi. de coteftor DICASTO. Cofve-poffibile.Perche non sia for uerchiata
lainfinitabonra di Iddio dellaperuersa malitia dellhuomeni.E cosisenarra
cherespondeflesamo Pietro Apoftolo a Simon M a g o ,rendointerrogato da quello
quali di fimile cofa feben referisceClemente ladisputationefatta f r a ' e f i.
D i m m i u n p u o c o A p i s t i o ti p a r erebbe fuffi b e n c h e
ceffafliIddiodacantogranbeneficio cioedicreareleante m e pedrespettodellhuomo chel
doueffe dapoimale ufarec conciosia chereioperadifomina bontae de infinita
poteny tia Anchorasebenconsideraraiconlameitėtuatuttele uercudeetopere
dilddiodimostratealmondo tu uederái che secauafuorila Giustitia
dasemedeme,folamenteftren gédo quelliliqualipiuprestohanno puolutofuggire
fabori t e la benignita di quello che receuerla .N e anchora per
questoseiftingue ouero se diminuisce lamisericordia cory cioliachemanco punisce
quellicherechiederebbeilrigo redellagiustitia.Efouenteuseissequalche cosa daeflafcelel
tagine perpetratapfreie carciuiliuomeni edonne cauata d a I d d i o p e r q u a
l c h e m e g l i ore fine. De cui dice farito Agosttino, che
etantobuono,chenon permetterebbeueniffe ueruntmale fenonvuoletteda quello
trarne maggior ben. Ilche spefeuolte,li1100fempre,elftátoüeduto uscirnede kk
ii la cariftiadellauixuaglia.Etanchot conoscono
qualmėteseguicaronoperdettaingiustauendu ta
moltiegrandimisterilliqualiramentano con gran ciuerentia. Anchor per i tormenti
et occisioni, e crudelta de che feceroi Tiranni contro delli secui de Iddio,
cispiandelauercia egloriadicflimartiri.MachepiudirorPerlacrudelemots te e
durissimapaflione etuituperofamorte dimiffer Giefu
ChristoueroDioethuomo,apparuilainfissigabuontadeId dio riscuotando,eredimendo
tutta lhumana generatione dalla eternal morte, etaprendo
laportadellamilericordia ec anchordellaGiufticia.APISTIO .Dob quantoben hanno f
a t i f f a c t o a m e c o r e ft e tue ragioni. Cos i a n c h e p a r e a m e
c h i fiailueroquellochituhadetto.Ma horasendoiofatiffatre da re quanto
aquestedubbitationi pregoriuoglifeguicart il giacomenciato ragionamento auanti
delpranso,ciodi narrarecomeegliecoreftogiuoco cosavera enon finta ti
Titrouatnaelle fauole,sicomeprometteftįdidouer dimotta
re.FRONIMO.Vuotucredereatuttelhistorie APG
STIO.No.percheseritrouanodellefauolenarrate con co lorede historia,licome
equellafauola Samofatenacioe di
Luciano.Anchorasonomoltealtrehistoriepercoralmodo incertee
scritreinduoimodi,efouenteancheinpiu,tanto uarieediscopueneuolifrafediuna
medeme cosache paio n o ellernon guari discosto dallesemplicifauole. FRONIM O.
Certamenteturespondibenenonmancobeninten di.Ilperche ficome alcuna uolta
rispiande fralletenebreet maliilben, dallidottihuomeni, feben
forsinofiafutócon fiderato dalrozzo uolgo. E per dimostrare che colisia ftato
uoglio narrare alcunipuochi effempii,benche sepuotrebi
boiioramentareintiniti.Leggiamo qualnientefuflivendu -to ilgiusto Giosepho da
frategli,con graue loro peccato.Il rozzo uolgo non pensa piuolaa,m a solamente
eglieag , gradevoleihistoriam a lhuomenidottiedigranfpicito,pici
tofamenteconsiderandoauertisconoqualmenteperdetta iniqua
emaluagiamercantia,interuienechedipoifufatto Iosephoquasisignore,eRe
dituttoloEgittoecheliberoil padre efiategli etuccalafameglia dallamorte ,che
glifey rebibneteruenura per ofcurita dellefauoleun puoco
ditumedellauerita.colifral denarrationidellehistorieche sonofra le
contrarie,forfaucie ritroueraiunauera,ecosisendo Jaltce false,eneceffario dian
nouerarlefrallefauole.Conciofia chenon fie poflibile,che
combarrijlaueritaconlauerita. Mao Dicafto,amepare dintendere quello chiuorebbe
Apiitio . DICASTO. Chi cosa s. FRONIMO. Vna historia da molti teftimoniirappro
uataa cuinoferitrouaffealtranarrationecontrariadimag
gioreouerodiegualeauttorira.APISTIO. Jaueritatuhai dettoquello
chedesiderauo.DICASTO .Iuiprometiodi dimostrareche ficomepertenealli Chriftiani
didouercrede reche fifacciquestomaladetto e iscómunicatogiuoco.com
fianchegliapertene didouerlo iftirpare esuelgere,erouina re.
Ecofruipramettodiparcareaffaihiftorienon contrarie frafe, mafjben
moltoconcordeuolie fimili.Anchor uoglio farecodacui qui auanti la Strega,
elacostregnerocon ilgiu ramentoaccioconfeffiiluero.Suoguardiano della carces
tepreftoconducequivilaStrega.Efapiatiqualmére testi monii,che uiproducersoo n o
molti,esonopigliatidaquel di che fono ha u u w i dall’huomeni costretti colli
giuramenti et anchora sono iscrittipermemoriadequelliseguicaranodie tro anoiet
anche per approuarelauerita:APISTIO .Core ifto ho a piacere deintendere. Horfu
dunque comenza. DICASTO. Benche uipotrebbimádare a leggere li-libriferic
tidiqueste cose congransollecitudineefochecotestonon fpiacerebbe a Fronimo,
ilqualemoftra dihatere ftudiatoin tuttelegeneracionide
scrittoriperquelladegnadifpurcacio ne che hafacto,purno mi parephoradi farlo
perche cono fcoche Apiftio non remanerebbe contento ,ilquale dechias facon il
suo parlare tanto elegante di hauer gran pracicanel lilibriscritticon
ilpolitoetersoftilo,etanchorpacedilettat fi grandemente
dequelliscrittoripolitietben accommoda tinelparlare etornatidiun
certofaufto,epompadieloqué
tia,ecosiparechenonlipiacerebbonoquellialtrilibripriui dedetta
policita,edidettaelegátiadidire.APISTIO.Puo effer Dicasto che tu condanni
quesse figure di rhetorica hi uit Ea nico Zio U ouero cheforecilornato parlare
cofidellidersi come della prosa o fia sciolta oratione DICASTO. No.
Non maillofatto ne anchorfonperfarlo. APISTIO .E pur imperho usanza de
alcuniliqualiquandoharannointeleladoctrina dePaci
secioequellachire-scrittaperquestjúcellediuuolerilehet nire,ebeffate
lacontinuata oratione,ben ordinata ediftit tamentecomposta
collicoloriefigurerechorice,benichean
chotapurhoueggiutodellilibriiscrittiaPacifedaeflıBarn bacielegantemente
etornatamere compofi. DIGASTO . Vuoreftimai cuchefufliunodiquelliche sono
amouerati frallirozzietinelegatirconciosiachefocome colielegante
mentefecissecoSanGiovanniGrisostomo,ilmagno Baglio, Tee Gregorii in Greco, et
in Latino san Geronimo, Agoftino Ambrogio, Cipriano conmoltialcis APISTIO
cioefodaefenzaerroree senza fauple, laela quentia non solamente debbe
efferecondemnata eciproua. ta,ma anzidebbeefferdacuctilodataficomeeccelétebud
non fralliinortali,chi-e-approvatoconlaragione etauttori
tadelliantichiefapientidoctori. APISTIO. Chelibrifono coteftisetinchetempofuronofcrircis.
DIGASTO .Sono molti.Veto echealcunidieffifuronoscrittigiafesantaany
nifactunoui-e-chifucópoftonellanoftraeta. APISTIO. Chi furonoliauttoride
dictilibri. DICASTO.Credo chi f u f f e r o Belgici o e Galli, over Germani e
Thodeschi. Ma di que h o ultimo de cui h o det o Furono li scrittori duo i
Thodeschi. Liqualilif forzaron odispaccaree rompere limaghi incantatori, e le
Siregheconunmaltello, emolto piu'forter menteeconmaggiore
giustitia,chenonfeceNicocreonc ciránodi Cipro ad occidere collimaltelliAnaffarco
Abdeci de philofopho.APISTIO. De chiftillosono. DICASTO. Di quello
chiuolgarmétesechiamaPacifinocioeperque ftiuncelle Dimmi Scrifferoanche
egliikerli:DICASTO .Sialquátidiloco,ac ciolaffanoalcunididire
comeeraconuenièrenellantidetti sempidiscriuereinquelmodo,conciosiache
anchoracom batteuanocollinemicidellafededi Cbrifto colliuerft.Non mancano
anchoranenoftritempidi quelli liqualifacilme tesonoriratiallefagre
cosedellasantiffimafedediChrifto, conloelegåteftilo econ loaccomodato
parlare.Purchesia calta,e fobria EN 0 0 1 1 2 lo Y li libri . Et anchor
la strega la quale gire appropinqua a n i c i condutra dal Guardiano della
prigione forsiramentaradel laltrecofe altro diquellecha racco:ato che nófono
anche elleiscritrein uer un libro.DICASTO. Son contéto difare horacome
uuojparimpechochiedédoniperdouăzs,ledi toequalche cosa chenon fiaticonfueri
diudire. Cosiciofia fiqhcelle,m a fono (crittecon molta sottilira,quanto fiapof
fibileascriverediessamateria,decui parlano, ficomeimpe sho h a m m ipareet anchorsonofermati
con la verita delle teftimoniidefantihuomeni.E non folamentepareame co teftoma
anchoraamolijeccellentiTheologgi.Ilprencipio diquefto ultimo uolume comencia
dal Pontefice Maximo, ecil fin-erapprouato con la auttorica di Cesare.Gia ho
chiai ramenteefermamenteintefecome landdettolibrofu publicamente approvato
dalli dottori di sagra Theologia del Juniuerfita di Colonia Agrippina.
APIST10.Vuorej Dicaa ftochetuminarraffiquellecose lequalituhaipromeffodi
narrare al propofito noftro ofiano di quelle da quei luoghi cavate, overo de
altri luoghi accio le possam o meglio intendere con il cuo parlare concio sia
ch e meglio le dechiarara i narrandole tu.Tlperchefendo
anchorquiuipresentealladi fputationeilnoftroFronimo credocheanchealuinófera
grauediramentare dellalırecosecheforfinonfiritrouano Icricce,ficome p
suagétilezza hieriethoggi non liparuigra medinatraremoltecose degue ,chenon
fonoscritteinquel che de ben h o apparato le littere Grece e Latine, non di
meno imperhonionm i fono con menore Audio effercitato fralli Theologgi.
Liqualiłassanolapolitiaerornamento dellino caboli etanchora tantatersitudinedi
parlare folamente se fforzanodiconoscerelecosecome inueritafono. FRONIMO. Eglie
menoredanno quello delleparole che quello delia cognitizione delle cose. Mare-ben
neto cheioiftimo, chccoluidebbeellereffaltatoelodato fouradellaltriilqua
Jehalornarodelparlarecongiuntocon la cognitionedelle cofe cioefoura di quelli
chi hanno solaméte o lungoialtro. Vero
echesepurnonliposloviohauereamenduoi,iftima shec'megliodịhauere
lacognitionedellecose chelparla re polito,et ornato ,dieloquentia.Benche
ficome ho poflur coconoleereperiltuoragionare,pofseuilafare ftacediad.
domandare questa uenia eperdono. DICASTO. Io diro latinamente al meglio puoco.
Hor sucomenciaro. Auanti diognicosauoidoueresaperecome egliechiaroemanife.
fto,chicolui,chinegaffeesserelaDemonii,meritarebbedi
eserschacciatofuoridellacatholicaChiefia,licome grádea.
meiitecontrarioallasagra scrittura,e maggiormetre aluanı: gelio.APISTIO.Concedo
cotefto effer uerissimo sanza ver un dubbio. FRONIMO . Anche meritarebbe di
essere Scacciato coftuidisinileoppenione cioeche diceffenó effer
iDemonii,fuoridella Accademia edalLiceo.cioe fuoridel
JaschuoladiAriftotele.Concioliacheappo diPlatone e di tutiie Platonicie fationon
puoca memoria delli Demonii, acuinone-contrarioAristotele,m a
anzifouentenefamen tione non solamente nella Ethica, Politica e Rethoricama
anchor nell’altri luoghili qualihoranóscrivo. DICASTO. E ben vero che ne
faniioricordo, ma sonoimperhoinques Sto differentiate dalli nostri dottori
cioechequelliistimano aisianodelliDemonü buoniedellimaluagieperuersi.Ma noi
diceno che cutri i demonii sono perversi, iniqui, e malegni. Liquali benche li
nominamo sotto dicotetto nome Sat canasio e di diavoli pur piu chiaramente
anchora sono SIGNIFICATI per questo nome “demonio”. Il perche dice il Propheta
David, tutti li dei delle genti sono demonii e lo Apostolo Paulo anche egli
scrive. Non uuoreidouentafticompagni del i demonii e in uno altro luogo dice,
Credono e demonii, e tremanodi paura. Non fugia maiuerun huonofa uioche
dubitaffe,chequandolimalificiincantadori,eStre
gheeStregonirouinanolefruttacollisuoimaluagiincana elegano edipoisciolgono a
suopiacerelibeni del cagioni ? matrima nio,cioeche fannopermodo che licôgiugatinel
matrimo nionon poffoliohauerehonefti piaceriinsieme,edipoiqui dolepiaceglidanno
facultadipuoterli hauere,etche an. chora tormentano
lecreaturefuoridelconsuetomodo del lanatura
chenonsianofattedettecoseconpattieconuen tionidellDemonii.Boperqueftoetanche
permoltealtre cagionisonofateordinatemolte altrecosecontradicotefti
teretiniquihuomenje donine dalliTheologgi cosi antichi c o m e moderni
etanchora dalla facra scrittura, edalleleggi Canonice della santa Romana Chiesa
etanchordalleleg giImperialt.Imperbo cheritroviamoilcomandamentode Iddio
nelDeuteronomiocome fedebbonoucciderelima. leficietincantatori_ilfimilecomanda
nellLeutico,cioeche SranolapidatiliAriolie, quellichihanno ilfpitico Phitonico,
dioe lidiuinatori. E Gratiano radunaaffaicosenella vigesima festa causa de
decreti contro dicoteftifcelerati malefici. Anchora sepoffonouederequelle cose
chescriue SantoAgostione libridellaCittadiDio;edelladottrina Chriftiana
diqueftamaladetragenerationed /perchefepor fon piu p u o c h e cose raccontare
oltra di quello , che h a esso fantiffimoe doctissimo huomo
scrittoinquejluoghi. Iocacı giolimoderni Theologgi liqualinon puoco hanno
scritto contra dellimaleficietincantatori,eparimente anche con
trodellimaleficiter incantamenti sono anchora constituce leggicontradieffumaleficiemathematicinelleCiuilileg.:
gicioenel Codigo di Giustiniano Imperadore: FRONIMO. Anchor se vedono
affaicolene libride moderni philosophi.colide Platonici come de Peripatetici,
cioedilambli co di Proclo, e di Porphinio, lequali poffoneffer'moltoapro
pofito. APISTIO. Sicomeiononnegoche siano e demonii e
chepoffonfareaffaicofeconlafuaperfidamaliciacosián theio defidecochemifano
dechiarate quellecose, chipro, priamentepentengonoa quefte Streghe,
cioesedannoal giuoco ouero uisiano portate con ilcorpo enonfolamente con la
uolontao con una imaginatione, e finta reprefenta tione. DICASTO.Suole dare
gran faftidioquefta queftio. ne ecagionaregrandubioinmoltepersonetragendoneof
calionedalleparole del Concilio dell equaline faicoquanti mētione. Lequaliparoleleggonfinellaquintaquestiondel
LaurigesimafefaCausa.Ilperchecredonoalcuni noefferui presentialli
dettigiuochiqueftedonnuzze ehyomuzzicon il corpo,una solamente con
lainagniatione.M a alcuni altri diconoeffercocefto
giuocounanuouafpeciediHereliadi versa da quella antica superftitione.
Anchorà altrinuoletto chelafiatotalmente quellamedememacheiuifiafatiofo
lamételaquerellaetimpoftalaperda quellicheistimano essere Diana Dea overo
Herodia, ferebbediuerfanaturadelcapro dadiuerfopeco cipiouscita.Vero echesonoportatialliballieconuiti,etal
lila fciu i piaceri della norte uuolendo euigilando. Il perchie Fronimo e dame
approuata la tua diftin&ione della disputa rionedihieticon laqualeconchiudefticontecoteftogiud
codelle streghee malefiche e antico quanto alla essential e oftantiamare nuouo
quanto alliaccidenticide quanto - lecerimonie. FRONIMO
.Sehoritrouatonellantichefu, pecftilionidej Demonio ilcerchio,lounguento !,
lincanto, il caminare de lcl iorpi humani per il spacio dell a r t a , li
conviti apparecchiati di piaceri carnali donati all’huomeni e donne dalli
demonii in figura de maschi e di femine chi cosa ci manca piu
accionoiftimamoessereantico ilcommertiot familiarita dellis piritimaluagie
scelerati colliperuerfiet in quihuomini?M a percheseritrovano alcunecofe in
questo vituperoso etis communicato spettacolo di demonii hora da moltinarrate;
lequalinon fileggono fussero anticamente dimostrate ho detto lacagione,
cioecheiltuttoseattribuiffe allagrandiffima afturia emalignita,
delsceleratoeperuerfo n e m i c o dellhuomo.ilquale in diuersitempi a
diuerfiordim e gradidi huomini haue apparecchia tomoke aru, e modi dingannardi
accio che cosicondettiuarii coftumiecondi uecli ingannie piaceritrageffe efli
huomeni delle precipito ferovine delli peccati. DICASTO. Per cotefta ragione
assai ouerochicredonochi.fi cangianoe trasformanoe corpi
humaninęlicotpidi Gatge ode alorianimali, per opera del demonio e anchoraquel
liche affermaucnodiefferforfipentalmodo difcetuto il rapto della mente quando
sefachefeipuo bên conoscereic reconoscerepereffofel fia portato il
corpoinquelluogodo Disalisselamente consciosiachedicaSanpauloapoftolodi n o n
sapere cotesto:M a quefte Streghe q u a n d o sono portál te con ilcorponon
sonorapitecom låninocioe ficome G fuoledirenon sono in fpirito, ma purse.
Fussero rapite in questo modo ami al 01 tel do od th que Ich til che ON
efto ad LO me ol fal ad cit ced era din hadi ad 20 il a m i e piaciuto quello
chehaidetto APISTIO. D u g uoi cerdetechesianoportaticolaconilcorpo DICAS Sicre
dochesiano portatialcunauolraconilcorpo etalcuirauol ta che cosi facilmenre
posson esser ingannati cioe che rendo naadamente illurae schernitala imaginaria
potemiase pene fano, e gli parediessere portati corporalmente oltro di Carr
gatacheier nodelli colli del Morite idea, et anchorglipa
reditraparfareloAscaniolagodi Frigia,etanchodiandare oltro dello
ululatodelloaltiffimoMonte Caucaso dellai n diacollarmi delle Amazoni. E
péfano,diuolare colle penne di Dedalo sicome lepare nel sonno. Ma per queste
coseno fono perseguitatineprelidalli Inquisitori neanchorefsami nati, ne
tormentacinecondentatiouero giudicati.MAPer Questonoicerchiamoconogni
diligentiacocesti STREGONI E e Malefic iperche hanno renegato lafede di Chrifto
chipigliatononiel fantiffimo battesimo,e
promiTonodiferuaria.eranchorperchehanno ischernicoc beffaro Wlagraniéti della
santa Chiesa, et hanno sprezzato Christouero dioeuerohuomoredétoredelmodo
ethino adorato il nefandissimo e spur i f li mo demonio invece de Iddio,et
anchora permoliialtrimaleficii che hannofarro liquali serebbono troppo longhida
douerliraccărare. PER Quelle cose Et Altre fimilifatte contro de Iddioe
dellasua trionphantillima fede noili perseguitamo,elieffaminamo e facciamo
liprocessi e cosidipoiretrouati e conuinri nelle lorofceleritadepertalmodo che
non lopofson negare, dia moli nelle mani delli Reggi, Signori, PrencipieBaronio
gerodelliloro ufficialiaccioli puniscano egli diano la penitentia secondo che comandano
non solamente le leggi an . sichedella Chiesama anchoralenuoue etanchorane no.
ftrigiornirinunuate,primeramenteda Papa Innocencio Otrauo, ed a Papa Giulio
secondo.Vero-echetiammonia sco che ben auerufle da iftimare,che non
sianoporrato al giuoco corporalmente la maggiore parte di coreftirei huomini.
FRONIMO. Il nostro Dicasto hieriammoni Apistio egli feci intédere.comne n o
doueffe fprezzare e farfi beffe di I. quellochịe creduto da tutti o
uedr’alla maggior parte probabile cioechelepoffa fareintaleeralmodo.
Concioliachg ersententiadi Aristotele, come non erin tutto falsoquello chi-e
decto da tutti. Il che intendendo quel Glorioso Thomaso Acquistato annouerato
frallisanciper lasua bonta e piet ta ,&anchor p lasuaegreggia
dottrinarepucato frallieccel lenriffimidottoriiftimoefferedelliDemonii,liqualidaua
nocarnalipiaceriallhuomeni& alledonne ineffigiadima .
fchiedifemine:dertiIncubi esucubi equestomaggiormés teconfermonelsecondo libro
delle sententie, percheuiera. No molti saggi, prodi, & anchordorti huomenidicotefta
oppenione. I perche o Apiftio,non vuole contradirea quello
chive-statorenuroueroconiantapublicafama,& anchorap prouato con
ilcosentimientodicanti eccellenidottori.DICASTO.Ben etottimamentelhaiammonito
.M a anchor accio se posta haver maggior certezzadicotefta cosa,uien qui dame
stregae giura allisantiu angelii de Dio, liq uali ho posto fo r c o l e r u a m
a n i come tu vedi , di racontare, e di respondere il vero di quello ferai
interrogata. Esappiqualme tefeiubbrigara atalegiuramento chesetune mentiraiedi
raipur unam e n o m a bugia,no ritrouaraiperdono,ne remis fione; appo
dinoi,& anchorpurpensa dinonritrouarlanel Jaltromodo appo de Iddio. Ho
giarato, E cosisia ricerticheno uiingānaco;neanchorm i.DICASTO Dunn que dimmieratuportara'algiuococonilcorpo,ouerofajn
lamente con lanima o sia con la imagination. Con ilcorpoinsiemecon
lanima.DIGASTO .Come puotu saperedieffereftataportataperariacola con il corpo
congiunto con l’anima Perchejo toccava con que mani il demonio detto Ludovico.
DICASTO. Deh, chi co s a t o c c a u i t u r
Il corpo di quello. DICASTO. E m o quel tale, quale e ciascun delli
nostri. E porpiumolle. DICASTO .Vieranoquiuidellialtri colli corpi r O l i fi
in g r a n moltitudine. DICASTO. E cosi diconotuttilaloricheho giamai essaminato,
anchor sanza darlinerunmartorio & il simile anche diconodi
Inquisioridelaleriluoghi,cioechieframinando quellidi questamaladetra
compagnia comesimilmentehanno di [posti,vo discostandosi da quello cheh a
mconfessatoquel liinquesto medememodo. BENCHE SAPÍAMO checo teftanone la
cagioneperlaqualedebbianoeffermartoriati e puniti, ma anci per havervi o l a t
a e t o t a l a fede promessa nel facto battesimo non dimeno imperho tuttie
maschi e le femine di queftafceleratiffimaradunanzae compagnia.co fidiquestoCaftellocomedellaltriluoghidelmondo,coli
dellicaliacome fuori di essa dicono inqueftomodo etcone fermano esser il vero
di esservi portati corporalmente con quell’altre cose, delle quale ne ha detto
la strega. Et a c c i o maggiormente lo poffeti crederevi voglio narrare
unahifto siachenó fu favola ne anchorae cosaancicamangoua,Gia puochi mesi
paffari eta porcato nelle brazza della madre un faciulito maschio, fi
comesifuole aquella fortiffimaroc ca diquesto nostro castello chi'c circodata
di larghiffime fosseet incorniata di fortiffimeetanchoraaltiffimemura, hora
vedendo detto fanciullinoquello fceleratiflimo Don Benedetto Bernio
,ilqualefudipoibrugiaroperle suemale magieopereficomeauanti diceflimo) che
parlava all’hora copil Castellano della coccafuo parente, gliuieneincontinente
una brammosa e bestiale voglia di asciucarli il sangue. Al perche
moltogliparuipiulongoquelgiorno che non pa reaquelliJigualidebbono receuere
lamercededellesue Atentarefatichepertantobeftialeappetitoe desiderioham uça
diguftare dellinnocente sangue del destofanciullino. Hor sendo pur alfinegiunto
laoscura notte dellescelerira. de madref, efeceportarperaria al demonio
efermarfinel Ja casa doue giaceua ilmischinello fanciullo nella cuna.Et
asciugotantsoangue daquello infelice bambino,cheroma Sefi comeunatrasparente
ombra,che preko preftopalla, non hauendoeffigiahumana.Ma nomaiimpo faconosciu
itala cagione dellinfirmitadieffone della pallidezza perin finochenon
fugiudicatoecondannatoeffomaluagiohuo. m o al fuogo. Perche allhoraelloaddimaudo
perdonanza al padre del fanciullino, per il male havea farco. Ecosiandoe ri
cornoperariapassandofouradiquellealtemura dellanuje detta rocca laqualeuedericola. Vadimo
auantarfilantiqui cadelli antropophaggicive de quelli popoli di Scithia chi
magnaveno le carni dell’huomini, et anchora purmaraue
gliatlilanottraetadiquellihuominįhoraritrouatinelle110 de detmare Eoicide
orientale che ancheessisecibano colle carnihumaineconcioliachenelmezzo
dellaItaliain una regiunemoltohabitataefrequeritatadalli mortali, discolo da
ogniferitae bestialica, fi-e ritrovata una gradiliima c o m pagtira d’huomim
cosi maschi come femine laquale/e-par sciucapinftigatione del demonio
disanguehuinano. M a ritorijateStrega.Che piacerihaueuitunclloprelafciuccó un
corpodiaria STREGA. Non soc on chi corpo. Malo ben questo che havea molto
maggiori piaceri con lui che con il mio marito: DIGASTO Non faueuiumai paura,et
horrore efpauonto conoscendochi quello era il demonio, icon ilquale cu haueui
questi iscommunicati e sceleracipira c e r i : No. C o c i o sia che n o u e d
e u a a l t r o c h e una figura di huono. cccettochenepiedi,liqualinon
pareuano am eficonelafacciailperco, el altre membra. APISTIO. O chi figura o
chi aspetto o chi effiggia di finuto animale, er di finta bestia. FRONIMO.
Eglie imperho taleche nascon de lacrudeleaetasprezza
edimostraunagentileforma,et fuauemolilia con
altribeltadedallequalif.noquellidol cemente tiratielusengati.Fingono
lantichiche essercitarse Venere lufficio dicacciatrice cercando per le Selve li
lasci uti piaceri di Adono, ac c i o n e t r a g g e f f e à fe il cacciatore.
H perche dicelo ingenioso poeta. Noda il gignocchio al modo di Diana
Cintralauefte,ecaniellanimali. Della predafecuraadhorta, e inganna. Et anchora
non alorimére inganno ilpaftore Anchise,eccet t o c h e in q uel modo, che
e’aggradevole ad un huomo che habitasse nella villa. Cohanchorcalitafsiinun
cerco Hii Hio da Homero inchemodoferapresentopuressaVenereaus tididetto
Anchiseineffiggia egrandezzadiAdmeta uergi nie.llpcheiuisiritrouano
quelleparole greche lequali hora Jetaccio. DICAS.
Dehpertuafedeegentilezza,fiacontéto di Simile a Adameta
fanciulla pura. DICASTO. Chicora pensi tu uuolefli SIGNIFICARE quellasimi
Jitudine del Poeta: FRON .Non puo coildimoftranoquel le coseavanti precedono,&
anche quelle che seguitano. Conciofiache addomando coluichi caminaua solo disco
Ato dallisuoi buoi eloeccito efuegliocon ilsplendore e con Na gratiae lotiro a
douerfi inarauigliare, fingendoff mors ditrafferricleinbolgaré. APISTIO.
Horfudilleinquel modo che face f t i h ieri, quando tu dice f t i q u e l l
altri p u t greche nel nostro volgare. FRONIMO. Non semprese accorda
talacerra,ficomefisuoledireperdouerefuonarene anche
Temipresuccedennapiacevolmenteesecondoildifioleco Yefatte allaf provedurae prefontyofainéte,
Cojneltrasferim t ë i patlare greco in latino et in volgare n o n sid e b b e
face enzabuonpenserb esageublezzaditempo. DICASTO. Priegoti
cheluoglihoratrafferiregiustamente fepuoi,feair choranonpuoifarecome
uuoi,faalmegliotifiapoffibile. FRONIMO.Io son contento,pernonparere
diefferofti. nato. Cofiuuoledire. Dar Sre Venere nata delconante Gioue. Avanti
di Anchifein forma e figura,
taleecosidipoihauendoliraccontarolageneratione,esuc ceffionedelli fuoi antichi
con longhe fauole ,lo conduffe alfineallilasciuipiaceri. APISTIO. Holettocome
feciA n chise la meriteuole penitentia per dette cose,conciosia che f u p e r
cof f o d al fu l g u r e e cosi ritro o che gli fu a nnonciato qualmente
cofiglidouea interuenite.Ilperche ritrouiamo queluerso scritto in greco,
loquale hora hora cofi lo dico it? nolgare perchefo
uiferamoltoaggrado.LoadicatoGioue fediffecon lardente fulgure.E benche dimostra
chiello d o ideaefferpercoffo con talepena epunitione perrefpettodel peccato
chi era manifeatato, non dimenoanchora inanji fignifica c o m e colui ferebbe
punito dalli dei, il quale d e fideratebbe diuuolerehauere amorofi piaceri
elibidinofe deleteationicoeffiDei:Penichecôigegnofee maravigliose fauole
fingonolantichiqualmėte per simili cofe fuffjuccisa Semele figliuoladiCadmodallo
fulgure.N e anchorasong cótrarioa Callimacho,inquella cosa che se narra di
Tiresia at . ce che 710 qui Erg hon havuto figliuoli, conciofiache foué
tefe leggi delli figliuoli delli Dei. Anchemi ricordoqual méte
giadoidifadicellicomeerapurqualchefondamento delle favole. Pe č i l c h e s e g
l i c q u a l c h e fondamento d e c h i Cortijslono. Thebano
cioechisupriuatodesuederedallaDea Giunone perchehaueahauutoamorofipiacericon
Pallade,oalman cohauea cercatodihauerlibenchealtramenteloracconi
taCuidio.Vero-e-chi Callimacho,finge questa cosacon
'piuhoneftoparlaredicêdochecofigli interueneffe, perche uide Pallade ignuda.
FRONIMO. Chicosa ne hauemp per queata facola? APIS IO. Io te lo dico. Havemo
questo al mio parere chejopensoo al manco dubitochehanocge te quefte cose
efimulateefinite. FRONIMO. Ifimatuche apparefseno li Demonii in
quelliantichitempidiquelliB a Toni di Troia e di Grecia Li quali demoniic
redoche tufen do Chriftiano sianofermamenteda tetenuti effere una ria
emaluagiaschiattae generatione de spiritie APISTIO. O si. fi fermamente lo
credo. FRONIMO. De b n o n ti r i n f cresca di rispondere. Da chi procede che
pare tu non uogliccedere, chequellimaluagiTpiritidefideraffino,etanchecers
cassinodidarelafciuipiacerialledonne informa dihuomi ni &
allhuominiineffigia didonnecAPISTI0.Doh cbi e'beni gran cosa questa da doverti
rispondere. Io te lo dico. Per ciono locredo, perche non sapiamo qual
menrenolonjo i demonii di carnenedioffa, comenoi.Ilperchenon sipossono
delentareincoresticarnalipiaceri. FRONIMO. Egliepur una gran cosa Api f t i o
che tu n o n ti u u o i r a mentare di quello che f o u e n t e h a u e m o d e
ciall perche se tute lo ricordafi, noti maraueglia restine anchor direfti,
quello che horadi. Gia fpeffeuokre-e-ftatodetto, comedannoeflimaladeeti nemici
de Iddio erdellihuomini coteftifceleratipiacericar naliallihuomeni,er alle
donne n o n per delectatione,chi habbianoeflireispiriti ma
solamenteperingannaregli huomeni e conducerlinepeccati eralfinehell inferno
dove efli sono confinatii n perpetuo. APISTIO. Il mio Frenimo ti pregono t i
turbare, Pur anche io ho un dubio, Se l n o fussiperaltroeccettochep
qirarelhuomeninellipeccatino se ditebbe che haueffero . l fono dong
figliuoli quelli detti figliuoli delli Dei, pche lispi ricisenza carne
&oftanópoffono generare: FRON. Core Atanó epuoca dubitatione, cociolia che
facendo Moises, mer moria nel Genesisdelli figlioli
didioedellifigliolidell’homi ni furono alcuni che istimarono fuffero
SIGNIFICATI peili alli piaceri carnali hauutifralli demoniie le donne, &
altci,uno Jenofianosignificatililibidinosipiacerichehaueano lhomj.
Nidellagiustagenerationeeftirpedi Sech:collefeminedel
laingiuitagenerationedellaschiatadiÇainIlperche seale
cunauoltafeleggediqualchuno,chefulle decto figliuoloo di Gioue o di Apolline
non perhosedebbecrederechecoftui ueraméte fianato delsangue
delliDemonii,cóciohache nó hanno sangue,m a sedebbe iftimare chelsia nato del
semç di qualche huomo, dacuilhaueranpigliaro. Serebbonoass Saicosedar accontare
delmodo de cuipaiono esse regenerati gli figliuoli dalli demonii che hanno
libidinosi piaceri colle donne :m ape c non aggravare le orecchi e del pudico
lettore paream etitacerlene parlar volgare. Anchorpuo effe rche
qualcheuoltaquellichesono ftaroreputatifigliolidellidei
odelleDee:ssanoftatocubbati fendofanciullioidalle loro madre,peri
Demonii,sendoanchoressenelparto, etoccul, taméte postisottodiquelledóne.che
ingánauano etledaua n o libidinosi piaceri facédole parere cħefli lhaueffono
gene ratidiquellee cosico doppia le st mm De 70 li al frode leingånauano,cioe
pri mieramenre facendole parere che glicócepiffeno e parcuri
scenoedipoifacendolinudrigareinuecede suoifendo de altrui. Ma se p r f u f f i
q u a l c h u n o che vuolesse dice che in verita fuffero faci generaci quelli
chiamati dalla antichita fi gliuolie figliuoledelliDei,edelleDee,enon
efferstarafro deinportarli,ma checosifufferogeneratidalli Dei e dee (ben che
credo che sia il falso conci o s i a che conosco come sono alfaicose
fauole)direicome furonogeneratidelseme del JiuerihuominiportatodalliDemonii nel
tempo della concettione, quando dauano lasciui piaceri aquelle,E cosi in
questomodo sedefenderebbedaefliilnascimentodiEnea nellAsia e quello
diAchillenella Grecia, li quali furono digniffimi huominine tempi heroici, o
siadiquelli eccellenti Baroni,cosidiTroiacome dellaGrecia:
Alichorfepúotreb: bedirequalmentein questo modoconcepilaReinaOlim p i a m o g l
i e d i Philippo, Alessandro Magno, nella Macedonia e nella Italia lainadre del
grande Scipione Africano. DICASTO. Il nostro Fronimo cercamente paiono corefte
cose che tu hai raccorato molte semiglianti a quelle che narra santo Agostino.
FRONIMO. Dirotti anchor molto piu quanti come non solamente tirauano a fe li
Demoni t i n i q u i e fceleraci le femine collilasciuie carnali piacerim a
anchor tentaueno l’huomini del'maladetto uitio della sodomia, colli maschi. Il
perche facilmente era persuaso alli mortali cotesto sozzo e uergognoso amore de
fanciulli coll’essempio dequel lili quali erano tentati dalli demonii dicendo
che pigliaua. no il fioredies li fanciulli. Hebbe questo vergognoso e seele
rato uicio di contra natura primieramente origine dell’Asia, e' deindi nella
Grecia e nella Italia, e poi i puoco spatio dite po introperinfino nelli Celti
popoli della Gallia. Per il che non e dubbio che la captura e presa di Ganimede
in Troia non sia antica e non solamente e manifesto lo molto antico incendio e
ruina con il fuogo di Sodoma, di Gomorra ,edi quelle altreCitade della āfia,
appo delli Christiani e delli Giudei,m a anchoreramentatodalliGentili.Fu primo
au thore appreffodelliThracicosidi questopuzzulentouitio, come delculto&
honoredelliDei, Orpheo sendo andato di Asia nellaThracia,Veroe che sonoalcuni
altrichiuuole no fuffiilprimo inuentoredieffofcelerarissimopeccato,np Orpheo,ma
Thamira. Fugiapercotalmodouolgatoemãe nifeftatoqueftotantofceleratiffimo
uiio,che eracredutb dallireiemaluaggihuominichelfuffilicito. E cosi'pareja
appreffo delliCeltichelfuffefatizauerun punto dipeccato, ficome dice
Ariftotele.Veroeficomecrediamochesiaistin to
eruinatoinquellipaesiperilbeneficiodellafantissimafe de diChristo,
cosimaggiormente uie-ftacoinconsuetudine
appodelliPerfi,perlagiaanticasceleritae perchenon uie
ftarafermalaleggedimefferGiesu Christo perlaquale fan tiffimalegge conoscemo
quellochie bono,eche sedebbese guitareeparimêreintédemo quello chiemaloepeccato
e chi fedebbe fugire.E costilDemoniorio eperuersonon sol laniente ritrouo
quelli maladetti giuochi e quelli scelerati
piacericarnalipertirarealecosimilipiaceri quellefemine erano inclinate alla
libidine & anchoriquicandole alla ge. neratione dellifigliuolilanatura ,m a
anchora ritrouo questa abomizatione dellasozza esporçalibidine contra natura. E
non contento anchor di hauerla solamente ritrouatam a facciomaggiormente ne
tiraffiIhuomeni,anchorprometre? jua
diuersipremii,aquellichesefusserográdemetedelletrati &
efferciratiinefa.llperchepromesse adalcunila perpetua
vita,cioelaimmortalita,sıcomefeceaGanimede De quira scontano liibri qualmente
crederonolantichi,uonmácoim piamentechescioccamétechelfullportatojucielo.Ad al
trianchorpromesseloindiuinare,ficomeaBranco pastore, D e cuidiconocolle fue
faliole che glifuinspiratoilu perche loistimocheben sipuo
suonarelarecolta,(licomecomuna mentefedice quandosehaueratrascorsodallitempi
Heroi cicioeda quelli temp iquando furono quelli Baroni e huoi miniriputaci
Dei,ecapitaniiforciflimipecinsinoaScipione, perchecredonon
hritrouanochesianopiuftatesimilecofe. DIGASTO. Chi cosaditurTudebbe sapere
comesonoin teruenuteinognitempo,& inognieta qualchenotabilico ke.APISTIO.
Ma perchenon losano DICASTO, Affaibe fonomanifeftemanoimphotutte.APISTIO.Da
chipce de chenosianomanifeftate DICASTO. Perhora occorce noa me
duaragioni.Vnaeche sendo fcagiato ilDemonio malegno nemico dell’huomo dalla
segnoria del mondo p forza del sanguee dell atrjófantemortedimeßer Giesu
Christo non cofi importunaméte epublicamétecollesueillusioni
ingánalhuomo,Percheficomefcacciatoebaditobabitanel Jiluoghinascostiedeserti,m a
anticamente era adorato sot tospeciedidiuinita.Laltraragioneeperche
giaistendeuale retidello amore lafciuoatuttele generationi
dellbuomini, Ito 1 di Appolline
APISTIO. Io ti priego non parcarepiudicote fecofelequalesicomefonomanifesteam e
colifonomnara uigliofe, Ma uoreiintéderedi quellechesonooccorse peral tritëp
Ci, óciofiachecredosianopocheroseoccorse Haticinio . 1 te $ mmi ma
horaforzasigrandementedipore lilaciuolifolamente perpigliaredue
generationidhuoniinicioeliottimieliper limi . lo ad domando ottimi que gli che
se sono dedicati e cosegrati ad Iddio con tutte le sue forze havendo conculcato
esprezaroturteledelectationiepiacerianchor boneftidi questo mondo. Efa
continuamente a q u e s t i aspera e crudele guerra. M a sendofactaquesta
guerra danascostoetoccul tamente nosimanifestauerunacosadiquelle,eccettoche
alcuna volta per essempio e per salute delli altri. Poi io chiamo quell’altra
generatione pellima, cio e quella delle becer ghe edelli Seregonidelliquali
hora parlamo,Ta sai ben quanteminacie,equantitormétifienobisognoper cauatı
lifuoridellaboccaquellifuoiindiauolatiamori efceleratiffi mi
piaceri.Ilperchenon parlanoliberalmentedi quelli non liraccoranocome
fonio,eccettochecollisuoinefandiffi micompagnidelgiuoco. APISTIO.Dung anchor
iftéde J a r e t e d e l l a s c i u o amore il demoni o alli f a n t i huomini
e t a figura della ingainatrice Venereshauendosi pinto le guan c i e e le l a b
r a c o n la c e r u facio e con un bello colore, e c o n il
quellichitotalmentesefonoaugotatiaDior DICASTO . fetu hauefli
cognitionedelleuiteedelloperediquelliiscrit tenellilibrinon hauereftipuntodi
dubitatione.M a accio tu ne conosciqualchepartesepiunó lhauerai conosciuto,a
uogliopurraccontarealcune puoche cofe diquesti ottimi huominie fanti,
cioeinchemodo sefforzasse il demonio di doverli pigliare con lareteelaciuolodellalibidineelasciuo
amore. Narra Sufpitio Seuero, come fece ogni forza esso nemico dellhuomo per
ingánare quello gloriofifsimouescouo santo Martino in figura diGiouedi
Mercurio,diPallade,e di Venere,Dimmiilmio Apistio non iftimituchequando fefingeuade
esser Giove no gli promettesse delli Reamie dellelignoriere che quando
sedimoftrauaineffigiadi Mercurio chegliprometesselaeloquentia eladottrinaecogni
tiondei tuttelescientiehumane equandoseappresentaua in sunilitudine diPallade
che non glioffereffela fapientia,e
laprestancianellartemilitarelaqualegiahaueuasprezzato e renunciaror Chi cosa
puo tu pensare gli promettestesottola purpuriffo con lo quale tingono le femine
le maffelle con il bomagio, eccetto che diletteuoli elasciui piaceri N o n
penso tuchelfingefsediesserueftirodericcherobbe eueftimétidi
diuerficolori,ethauesse anche fintoin questa imagine liua
ghielusingheuoliocchipertirarlonellasciuo amoreset an chorchel ragionale
delasciui & libidinosi piacerisTi dira Athanafiosanto,conquantiuariinodi tentoilmalegno
spi ritoquellogloriofoabbate.S.Antonio nel deserto ,ilquale
Athanafiofcriffelauicaecostumidiquello.Anchore buon teftimoniolafreddaneue
diquátofuogodilibidinetentaffe ilserafico Franciefco nella quale accio
iltingueffeloincen / dio dieffo,segligeto dentro ignudo.Te inligaara anchor il
cespugliodellepungenti spinne quanta delicatezzadiamoro fipiaceri presentaffe
auantidellocchidellamente del pudi coe cafto santo Benedetto ,collequaleritrouo
ilgioueuoleri medio controditanta Cozzacosacruciandolapropria pelle
delsuodelicatocorpo. Non crediariimperhochelmanca di punco
anchehoradicicarealcunidellaturba emoltirudire nello pazze s c o a m o r e é
volgari piaceri carnali, pur che veda di possere, ma anzi di continuo
grandemente cerca con milli modi e con mille arti percoducerlinellasuamaluagia
eriauoglia. FRONIMO.Vi voglio narrare una cosa intervenuta ne nostri giorni a
comfermatione di quelloche ha detto il nostro Dicasto. Ho conosciuto uno huomo
molto essere citato nella militia, a piedi il qualehammi dico fovente di haver
havuto piaceri libidinosi o n il demonio, *credendo che* lfuffs una vera
femina. E fu in cotesto modo sicome egli narrava, chi era huomo semplice e
senza malitia. Sendo ello nella Toscana e caminando peralcune sue occurrentie
verso Pisa e venendo da un castello pur del Pisano, dovi havea perduto nel
giuoco de dadili danari, eco si molto di mala voglia lamentandosi
dellifanti& anchor ed Iddio per la per dutadielli, ecco rivede seguitare
dopo lui dui a cavallo che parevano mercatanti, e parevano che cavalcaflino
molto infretta, doue adietro diunodjeflisedeuaingroppadelcas uallo una femina
la quale dimostrando dinon poterepiyol troftarea canalloperlagran fretra che
facevano paruiche 3 scendeffe interra. Hor costuiuedendola bella &
anche sola pigliandola per la mane caminauano insieme e la inuito allo
allogiamente seco quando serebollo a Pisa, e cofi parupi che quella
gratiofamemreaccecai se l’invito. Eco si pur oltca caminando insieme e anchor
piacevolmente ragionando, canto colui se in siammo di amore di lei, che senza
ver un freno della giusta ragione, ec iecamente chiedendola de piaceri
dishonnestie quella consentendo linediuiénea quello che tanto pazzescamence
bramata. Ma' uditi cosa meravegliosa, come hebbe havuto li suo i s c e l e r a
t i d i s u r e i s c o s t i da ogni
ragione di huomo, ecco che incotenenti quasi tramortie diurene tanto manco di
animockegiacque nel campo dovi la vea comesso il fozzo peccato dalejhore come
mezzo morso.Vero eche foura giungendo e suoi compagni chi ne venevano dopo lui
d a longhi e ritrovandolo in coral modo giacere fanza forze corporali, il
portarono alla citta e fusei meti infermo, e gli cascarono tutti gli pelli
dalla persona e narrava come per tal modo vi fussero brugiate le calze nella
soperficie disoura comme selfulfiftatoil fuogo vero l’havesse brugiare. Dipoi
diceva comesericor dava che quella femina, ma piu presto quel diavolo in forma
di femina l’havea molto pregato cheldevesse getare a terra una
haftateneuaiimane douiuieranel Ja cima un ferro in forma di croce, cioe un
pedo, li corne noi diciano promettendoli di darli una molto piu bella lanza
segliubidiua. APISTIO. Molto mi ritrouo fatisfactoquae
toallipiacericarnaliprocuratidalli Demonii dalprincipio dellaniquita. FRONIMO.
Hor voglio chetuintèdicome ha ilDemonioquestausanzaperdouerpigliareThuomini, di
ufare ogni frodo nel conuerfare collhuomirificome iften desseuna
reteperinuilupparli.Ilperchenon solamente usa queftonelli piaceri carnalim a
anchor intutte le altre fami: liaritade. Etacciotupoffi conoscerechelfia
vervooghioh o racomenzare dalle bataglie di Troia. Che penfitu uuolefle
SIGNIFICARE quell Dragone di altezza di fette gomiti canto dia mestico
chibeueuacóAiaceLocrese& andaualiauantinel liuiaggi
demoftrådoltlauiarecoliftaua tantodimefticame teconlui,
ficomefuffiftatouncagnuolo. Che cosauogliono dimostrare le penne
diDedalo:e lealidelPegafloretuttel . laltcicose,annouerate frallimoftri delle
fauole Et anche quelli tapti prodigii emiracoli delli Philosophi C h e crediçu
uuoleffe direquellotantoaceleratouiaggio che fece Pythagora andando e
ritornando per u n aviam o l t o longa d a (t a . Jiaperinsino nella Isola de
Sicilia in cosi puoco tempo.Cor m e pensi tu puotesse caminare tanto spario di
paese cosiuelo cementeri come uno uccello Empedocle inchemodoisti
mitucheandaffecon tanta uelocitalicomelaborea Abaro fouradiunafaetadi Appolline
a vificare Pythagora. Di che luogo creditu uscisse quella voce, che refiro
Socrate, ma non losforzor Ghi vuol dire quel genio e familiare spirito di
Plotitro: Che significaquella Occa che habitava tanto dimesticamente con Jacy
de philosophore fic ome fono puochie philosophi in comparatione dellaltci
huomeni,cosianchor questoperuerfonemico dell’huomo tirauamolto piu delli
mortali nella uoragine precipitosa della sporcha libidine che litentaffidi
vanagloria. Enonfolamentelitencauaisteriormente e visibilmente, ma anchor f o u
e n t e interiormente e invisibilmente. E se tu pensarai che puoco importa
siano tentati l’huomin idal demonio dilasciuiaedi. Carnali piaceri o
interriormenteo veco isteriormente, te lasaperadire que itadifferentia Santo
Geronimo Il quale chiaramente scrisse ledicedi quelli
fantiheremite,doujraccontale grandi ten
tationipatirononeldesertodalliDemonii,ecoteftofeceper ammonitione di quelli doueano
uenire,Atchor 11on m a n coeglifcriffequellegranditentationichelfuftene,dicendo
qualmente inuna carne quasi morta solamente bugliua. noliincendii&
asperifuoghi della fozza libidine. APISTIO. Dung feaffatico anchor Venere, cio
e il demonio di u u o l e r combatare con Santo Geronim o colli dardi del a
puzzolente libidine? FRONIMO .E bensefforzo difaretutto quello puote &
anche non fece manco cru delleguerra con ilglorioso
Pontifice.SantoMartino,sotto questo n o m e di Venere ficome racconta Severo doveder
scriue li laciuoli e itele retida quello nemico in effigia di Venere. Ma
chelfedimoftrafiea santo Geronimo vi fibilmenteoueroiltentaffe interiormente,
non Ihaveto chiaro.Vero echecredotuhabbilettonelliantiquissimiau
thoridelliGentili,come hauea consuetudine Venere dim o were lhuomini
interiormente & ancoisteriorméte.Ma eglie ben ueroche quando
serapresentaalliocchicorporali,efaci lecoladadouer conoscerem a
quandosolamentesedimo A t r a nella imaginatione, & e c c i t c a e m u o u
e li sentimenti i n t e riorinonsonocosi facilmenteconosciutidaogniunolisecre
*titradimentietaftureinsidiediquella.Ilpercheeglie detto pellihinnidiOrpheo
Venereuifibileet inuisibile. Et anchora e detto che li amori u s c i f f e n o
d i quella f e c i s c o n o l a n i m e colle intellettualisaete. Imperhodice
Orpheo in quell altro himo greco coli in volgate noftrohorada me trasferito,
aparente e non aparenteo vero paiono e non paiono. E pur ancheinun
altrohinnocosiscriueingreco quello che hora diro volgarmente uuolendo dimostrare
che sianopercorso lanime colliintellecualidardi,queste fedissenolanime colle
intellettualisaete. Anchor feuedonoquelliuersi di Procolo
Platoniconellhinnofatto alla licia Venere in Greco uiauia da me co f i i n
volgare tra dotti acci o si manifestano le intellettuali nozze. Hauendo INDICIO
delle intellettuali nozze edel liincelletcualihymenei, cio e delli
intellettuali Dei delle nozze. APISTIO. Dice Apulegio che qlo spirito ilquale
couet s a u a t a t o d i m e s t i c a mente con SOCRATE era dio e no il demonio.
FRONIMO. Ma pel contrario scrive il Plutarco & a n Co Massimo Tirio
chiamadolo il demonio. Decujunodieffi ne hascrittoun libro,elalcrodui.
Perqualcagionefedicech unaltro demonio pigliafféilpatrocinioegouernodiplatone o
di Zenone ouer di Diogene Perche fu un altro demonio inolto domestico di
Plotino s9i veriraui dico che questo fa ceuanope ringanarli. Sono tutte
menzogne quellechedie cono alcuni comesonouarielenature del Demonio , cioe che
alcuni dieslisedeletranodigouernare le Cittade, ele co sedomeftice,
efamiliarieraltriuolentierifeoccupanonelle coferufticaneedella
uilla,etalquantiallegramente se in tromettono nellopre della terra,et anchora
fono reputati molti che habbino cur adelle cose marinesche. Sono tutte
coteste cose & aliri ale loeffercitarsi nellarmi della
battaglia. Ilperche fauolescame tenarrauano, cheinspirasseperlifomnijlamedicina
Esculapio e Podalicio, e che fussero T o u r a f t a n e i a l l e p r o c e l
l o s e o n d e etépeste delmare li Dioscuri, cioe Castore e Poluce figliuoli di
Gioue, et anchor dicevano che essercitasseno le opere della guerra dopo la
morte Rheslo & Achille, & in antichi tempi di Troia, Theseo.
ueroecheraccotauanochequelliprimi nascostamenteeffcrcitauanolarme,m a
questoultimoaper tamente enellampio campo. Racconialianchor perfama
checombatreffenellicampiepianuradi Marathono laeffi giadi Theseoper li
Atheniefi contradelli Medi, equeftoan che scriffe il Plurarcho. Deh vedi una
gran pazzia. Credeuano foftoro che li demonii fuffero lanime
separatedallicorpill., gerche diceuano che Asculapio medicaua, Minone e Rhal
damáto giudicaua,Scacciaua le gragnuole etépefteli Dioscurio sia Castore e
Polluce, Diuinaua Amphilocho, Mopro, Orpheo, eT rophonio,elebattaglie eguerre
trattaua Rhei fo, Achille,e Theseo .Ditutte coteste cose era authore ilD e r
monio,Ecacciolifuffero preftatelorecchie edato fede,ecoli
maggiormentefusserotiratilhuominieglifaceffinolifagri ficiilicomeallanime delli
Baroni signori & eccellenti huomini con una cerca vana speranza f , ing e
vano tutte queste cose. Dalle quali superstiitioni e inganni, non furono
contrarii Platone et Aristotele, e maggiormente scrivendo li libri delie
publice leggie disputando delle institutioni & artici uiliecittadinesche.
Anchor e cosa publica,comene noftri giorni son ftato tenuti e portati delli
demonii nelle guasta , deo sianoualidiuctro enelle annelli,& inaltrecose,
& anie chorcomequellineinici dell’huomini hanno dato resposte
perilgérre,perlacosta,&altrimembri dellimortali ficomie dalspiritodi
PythiaodiApolline,acciopoffemofacilmente coteste cose
elalorisimilisonniidellisciocchiepazziGecilie pagani,propriamente semilia
quelli narrati daalchunifa uolescaméte,qualmente alquanti
diquellifeeffeccicauano nella medicina,& alirihaueano cura e gouerno delli
naui. Gheuolilegnie delli gouernator idieffi, & chealquantierat no
sourastantialdiuinare,enon puochialleleggi, cono s c e r e come il
f c e l e r a c o nemco de Dio e dell'humana generatione ha pensato in diuersi
tempi diverse vie e modi de ingannare Ibuomofouo specie di familiarita.
APISTIO. In uerita cosiancheioistimo, DICASTO. Nó dubitarem a siapurdibuona
uoglia,cóciosiacheapuocoapuoco ne ue. rainella nostra ferma oppenione e vera
sententia. APISTIO. Ma nongiain questomodo.Maegliebenuerochemilasto coducere
dalleragionie dalliteftimonii. DICASTO.
Vieni qui Strega, esappiacome fei coffretracon quelmedeno giurainento
cheeriauanniesappia qualmente in brieuisem
raipunicaconilnostrofuogo,edipoiincontinenciconquell altro che mani o n
mancara: fe tu mentirai in pun to d i q u e k locheteinterrogarodeluoftromaladecco
giuoco, I doso,enon houerun dubbioin questa cola. DICASTO. Dimmi. Magirali e
beueti cola al giuoco uostro scele ratorVero
echequantoallipiacericarnaliaffaisiamofacil fatto.E cosipiu non bisogna
diaddimandartine. Simangiauadainquelmedemomodo ebeueua comeera cófueto
dimīgiareincasaconilmiomarito ,econlimieifir gluoli. FRONIMO.
HieritipropofiApistio iefsempio quel lamensadelsole cotanto noininarae
iamentara da Heroi doro,edaSolino,& anchordaPomponioMela.Ilperchetu debbe (appere
qualmenteil Demonioastuto ne cira affai dellipoueri e delcozza uolgo
collipiaceri della gola olico dellasperanza lo chiariffeneanchor
dicecheufcisfenoledittecarnifuo kidellaterrane che saliscenosouradicffamesa
béchelodi caHerodoco.VeroechePomponioMelae, GaioSotivo dicono
cheeranodiuinaméteportatedittecarni.Machies coluidi cosicozzoingegno chinon
adaerciscacome fussero quelleuiuandeecibilusingheuoliingamida ingannareil gufto
dellaignoranteturba,Et anche chi'e-coluidicofipuo R e
promissionidelledelettationicarnali.Che cosa pođemo istimare
uyolessunosignificare quelle carni poste souradellapridettamensadel Solerde
cuilefameir tione fanto Geronimo fcriuendo a Paulino,ficomedi una cosamolto
uolgata,emolto marauegliofarMachicofa fuffe nó co discorso co
discorso, il quale veda Solino contrario ad Herodoto, et il Mela contrario di
Solino chenon coilofcacomeuariament tee dimostrata quefta fuperftitioner
cóciofiache quello fcri ua qualmente eranoiuiportelecarni nelpratoappo della
citadalmagiftratonellaoscura notte,chesemangiauano nelgiorno,echedipoieradetto
daquellidel paesfeu,ffero uscitefuoridellaterrasEgliebenuerochediceSolinocome e
quellaméfainunluogodellombre,etiersempreapparec chiata abondantemente di
lauri,dolei, etaggradeuoli cibi, et uiuande,dellequaline puomágiareciascunchevuole
et atuetasuauoglia,ebenchenefianomágiatein grancopia da quellicheneuuoleno,non
dimeno imperho non mai mancano, ma sempre iuicresconodiuinamente. Ma Pomponio
non dicepurunamejionaparoladoue fifa questa mensa,o apreffodellaCittaouernoellaoscuracarcereeca
cetto che dice com e divinamente iui nascono li cibi. E ben o che cotetti Scrittorinon convienono
insiemein ogni cosa, purimperho eglie fermamentedacuttiquellicenuto feno za
contrarierac,omeèunamarauegliosacofa,&anzidiuis nalantidetto conuito del
sole. Ilchere-molto conueneuol le conquesto di Diana, sorella di Phebo o del
Sole sicome egli dicevano. Anchora istimono essere puoco a noftro proposito
quello che racconta PomponioMelanelladescricio, niedel Mondo cioeche
seritrovaunluogodoni continua mente tilpiandono grandi
fuoghinellaoscuranotteetpaio noefferiuiquafieffercitidi soldati chi occupano
ampiopa ose eriuifiano fermati suonandocimbalitamburini,fiauti, e trombeche
paionomoltomaggioredequelli cheusano Thuomini. Dimoftrauano anchora una
fimilitudine diC o n uito lincantamentiemagicheopere deOliffe,sendofpar
foilsangueintornointorno. Nelqualeluogo ui ueneuono li demonii, e t f i
demostravano in diverse et varie figure. In qual modo diceva il Vinitore, che
conuerfaffi l’anima di Olisse cauata da Homero collombre &imaginidi Pro
tefilaoedellialcriBaronificomedicePhiloftrato.Ma hora
lescelerateemaladetteStreghee Stregonidenoftritempi, TI ro fir Tiel TOY
MU feron ii be KTOV DIO I cavano il sangue
dalli fanciullini, epermaggiorpartelocon servano
nelliuafiperfarequelmaladettounguento, E bep che paiono
coteftecoseaffaisofficienci, per hauernarrato il detto convito, non dimeno
imperhouoglioanchorloggiun gere la mensa di Achille. APISTIO. Che cosa s e c a
m o g u e. fta fiammo pucadudire. FRONIMO. Non ti marabigliare E t anchorari
pricgonon uoglisprezzare quello ,che uoglio nafcare conciosiachenon
fingouerunacosa Ipera che senonmivuoicredereaddimadalotua Maflimo Tirio, Il che
fe f u f a r a i, te l o raccontara, ma anzi te lo dimostrara colle suecatre
scritctei o e iinarrara dimia certecosaiferittapermo lu i secoli, ci o e avant
i d i mill e s a n n i c o m e a c f u o i tempi fiz manifefta la Mensa di
Achille che eramolto simile a quella delle ftreghedouidicono chehocauiseggiono
mangiano'e beueno APISTIO. Il mio Fronimo io creda alle tue parole. FRONIMO.
Puc quando anchornonmiuuolesti credere, ioti moftrarebbi il libro
dell’antidetro authoree Greco e anche latino cbieapreffodim e. Nelquale
anchorvie foritto di unacerta isoladelmare Euffindouie il Tempio di Achille
Nella quale Cove n t e e f t a t o u c d u t o d a l u i, esso Achil e ch e ha
fatto conuiro a quellihuomini iuiandauano & che ha cono sciutoP atroclo
figluolo di Thete e altri demoni (& fico meeglidice)
lichoridelliDemonii.cio elemoltitudinidief ft& anchobaneucduto di
Dioscurichedannoagiatorioal., lenani
chepericolquotio,accioiolascidiramentarequello cheeffofcriffc.comeera
confuetudine diefferueduto nello Ili o le forze di Hertore. Ma co r e f t e c o
s e n o n p e r t e n g o n o a l conuito delleLemuri.APIST.Nó pareno
queftecolemol. todiscosto dalconuito diNereo edelloceano,delliqualine
fannomemoria diuerst-poeti.FRONIMO.Réfo I lmaligno Saftuto
nemicodellhuomocoreftivelenatiConuiti,accio
priuaffeIbuomodelloeccellentifmocouitodiChristo che: ha apparecchiato f o u r a
d e l l a mensa s u na e l suo R e a m o. M a h o r a, u r voglio raccontare,
non un convito finto e scrito dalli poeti ma w a maraveglosa cosa gia puochi
anni passati ha mi narrata da un grande huomo ornato cosi di eccellentedi
gnitacome didouitiae di ricchezze. Fuunbuonfacerdote nelle nelle
Alpi Rhetie cioe di Germania gia dodicianni fa ilqua le dovendo
portareilfagrosantouiarico del corpo di Messer Giesu Christo
adunogravementeinfernio: &efTendolimola to discosto, eaedendo dinon poterlo
cosiprefto portare ca minando apiedi,sicomeerailbisogno,falisuilcauallo e le
goflralcolloinona affaihonoreuolecaffetta dilegnos fan , tiffimosagramento, e
comenzoaffaiinfreta di caminareper f a c i s f a r e a l d e b i t o f u o. H o
r s e n d o a l quanto caminato f e g l i f e r ceincontrauno che
loinuitoascienderegiu del cauallo, et andare cô luiper uedere uno marauegliofo
fpetracolo.Ilche imprudentemente eglifacendo per uedere cotefta curiosa
cofacome fufcielo, ecco incontenentisentidiesserportato
perariainfiemeconcoliche Thauea inuitato, & in puoco spacio d itempo feue
diporre foura la cima diun akiflimo monte dovie rauna molto ampia &
ameneuole pianura, in/ c o r n i a r a da altissimi alberi e con pavente voli
ruppi se trata . Nel mezzo de coi ui fiue devano diversi e varii balli, &
an c h o t u t e le maniere de g i u o c h i c o l l e n i e n s e
apparecchiate dilautirdiuecficibi, & ancheseudiwanotutre le generationi de
fuoni e di deletteuoli canticono gni dolcezzaetrastullo cbrieuemenite semteuasi
& udeuafitutte quellecose, lequali suolenorallegrarelianime
dellhuomiui.Dilchenjoliomara uegliandosiilbuonefemplicefacerdotee purnonhauendo
ardimento diparlareperlagrannjaraueghia,& sendomez zo fuoridi feifteffo
glifuchiedutodal copagno, che lhauea condotto
quiuifeuvoleuaadorareefarerinerentiaallaM a donna cheera jui, &
ufferitliqualcheduono,fecondo che fa ceuanolaltriEraasederenelmezzo
unabellissimaReinari c a m e n t e u e f t i t a f, o u r a d i u n a r e a l e
f e g g e , a c u i l e p r e f e n t a u a ciascunaduoiaduoioaquattroaquattro
conuarioordine areuerirla & ad adorarla presentandolidiuerfi duoni.
Horudendo costuitainentare la Madonna e uedendola ornata
ditantofpiandoriedatantisergentiferuita istimochelafus filagloriofamadrediDio
eReinadelcieloedellaterra,cô ciofiachenon sapeva
checotestecosefufferoinaencioniere trouidelli Demroni
ilpercheselohaveffeiftimato,novaise rebbeandato.Horafrafeben
pensandochecofaglidouelle presentareperifdoi non
puoterleoffericepiuaggradeuole presenteallamadre che ilcorpo
fagratiffimodelluounige n i c o figliuolo, e c o l i a n d o d o u e f e d e u
a q u e l l a e t a d o r o l lia n ginocchiadoli alli piedi;
edipoileuádolidalcollolacafferra doueerail-fagrauiffimocorpodi Misser Giesu
Christo, divotamente u i l pa o f e n e l g r e m i o. O di cosa meravigliora,
ecco che incontinenti, come la hebbe poftasoura del gremio di
quellaReina,coliprestofparuilafeggedi oro elaReina erauifu con tuttaquella
moletudine,etcon ognicosa che pareuaiui,epiunonfuuedutopurun puoco diueftigiodi
quellinedelļicóukinedeli giuochi, neapparui quelloche fuffe fatrodelcompagnio.
Hor conoscendo ilfemplizzotro p r e t e come full e stata quest caos a opera
del demonio tutto smarrito e mezz o fuoridife fteffo comentio di pregare Ido
dio che non lo abbandonasse in quellifilueftri luoghipriui
diognihabitationedemortali.Ecosigirádohorindiequin dilocchi,eandadomo
qui,noliperquelliaspriluoghiper uedere sepuoteuaritrouare
qualcheueftigiodihuomini ac cioplotesse intenderedove fuffe, eritrouandofi
sempre in maggioriruineeboschie feluealfinpurranto caminoper quelle precipitose
ruppi, che dopo molto longa fatica, edoi po longospatioditempo con
grauiaffanniritrouo unpaz Atoredacuiintese,comeeradiscostoda quelluogodoue
andaua a portare ilcorpo di Christo da circa cento miglia , Poi che fu
ritornia:o con gran strache zza alla fuahabitatio ne
andodalMagistratodiMassimiliano Imperarore,erae coiolíiltuttoper ordineficome
horaio honartaro. Ma che coteste cosepoffoirefferfattedal Demonio telo dirano
Hi Theologgiliqualimostrano comelanatura dellicorpieub bediente alla uolonta
delle foftantie separate dalla materia quanroimpechó pertene almouere daluogo
aluogo.A n chora puotraiintêdereallaiessempiidellicorpihamanipot tatiperaria da
luogoaluogo,seryutoraidallilibridiFras teArrigo,etdi FrateGiacopo Thodeschi
eccellenti Theo Soggi dellordine'de Frati Predicatori chiamati il maltello,
loquale fecero,confirmandolocon affaiteftimoniodimoke cole che effi uideno
colliproprii occhi .Loquale maltello puotrai hauere,fetulouuoraiusarecontrodiquellicheso
noduri,enon uogliono credereiluero acciochetu lipieghi à douer
crederequellochesono abbrigaci ouero lilpacchi in cento migliara de pezzi.
APISTIO. Cenamentehoudij tounamarauigliosa cosa, laqualenon puooffuscare la
sera nottene anchose puo direche fusseun fomnio nechesalu ta cófeffataper
paura,ouero permatrocio,operqualche al trafintacagione.Ma
uorebbiintenderedachepuotepros cedere che sparislinotutte quelle cosenel
toccare diquella hoftia fagraca, concioliache li demonii, non solamentete m a n
o il toccare d i quella ma ancho cercano . e c o m a n da no che siano portate
assai di quelle al giuocoe di poi le fa m o gettare in terracon grādi scherni e
lifanno dare foucadelli piedi elifan faretuttequelle uergogne siposson fare,fico
m e disouraha parrato la Strega. DICASTO. Tunáti deb biper questomarauigliare
conciofiachefapiamo come se (pauentanoeDemonii perilsegnodella santissima
Croce,e nondimeno anchora qualche uolta apparisconoinfiguradi Chrifto
crocifisso accio piu facilmére posson ingånare lhuol.
mini.Inueritatidicochetunon timacauegliarestisetu ha. Yefli
Jettoleopereelauicadi santo Martino e di. S. Francesco di molti altri santi
eseancho. tuhauefliben effaininato come Messer Giesu Christo sendo anchor in
questa mortale CarneilqualescariaualiDemonii silasciotétatead esso De monio
eglipmeffecheloportafferouradelpinnacolodel
Tempio,edeindipoi'sourdaelmonte,& anchepermesle maggiorcosa,cioeche
fuffemalerattato da quelliperfidi Giudeiferui del demonio e tormentato, et
ultima menrecrocifico. Olcrodecio tupresupponichelaStreghenarrano
cheliDemoniiconculcano,ediano dellipiedisoucadelle hostie consegrare, ma non e
c o l i, con c i o l i a che non fanno corefto li Demonii m a/elbenverochelofa
questo lamay legnita dell’huomini asuggestione dieffiDemonii.Anchos
racredochecosicomefalafedeinsiemecon lariuerentia che fanno l’huomi in essa
santissima Croce,enella fagrolan (a hostia consagrata che il maladecto demonio
se ne fugge: cos ianchor uifaccifaretantiuituperiieffoperlagranmalistia de essi,
eper ilricuperio lifanno. Ma quanto al semplice u coprere. Credo chefuflila
semplicita diquello cagioneche sparefsinotutti quelli apparecchiamenti,
etuttequellalerico fé,emaggiormiére la forzadellafedefecechenon solamente non f
u ingannato in suo danno, ma anchor fece c h e f u p e r e serunoacciopuotes le
narrare allialorie dechiarare come quella cofa dequihocą parlamehepareua
effermoltodu biofa, cioelele streghe e STREGONI vano al giuoco con il cor
poouero solamente con la fantasia & imaginatione ouero se vi possono andare
punefleruera, & e verae non una imaginatione. Auchar permette alcuna uolta
la possanza de id dio,chesiaschernitoilsagramento elaCroce,ellaltricose diuine,
&alcunavoltano:segondochealuipare.E perchela fa,sepuosempredarequalcheragioneingenerale,mianon
re puo imperhosempre isplicarein particolare, conciolia chi e tanto rozzo e
grosso l’occhiodell intelletto poftro, a dovere INVESTIGARE li secreti della
divina magiesta. APISTIO. Hormai son satisfattocon queste ragioni, ecitrouomi
conten to rendouscitodellenere& ofcurecauernedelledubitatio pi.FRONIMO.Ben
uedisetuhaialtrodubbio,efupresto chiedelachiarezzaa Dicasto, perchegia glimolto
poffenti euelocicaualliquasi hannotiratoilcarrodelsoleappo del suo SEGNO,
quabto al nostro hemispherio, accio non bisognali poi remanere quicoteftanotte,
sendo ferate le porte del castello. Il percheftareffimomolto
maleagevoli,questanotte delfinuerno,in cotesto Monastero a pena comenzato doui
non stritrouaanchor uerun letto. APISTIO. Hamnipare. che non cifiaaltroda chiedere
eccetto che delliueneficii o fano incanti. DICASTO. Di che cosa dubith.
APISTIO. Se fouofatti veramenteo purchepaionoesserfacti solamente con la
imaginatione. Conciona che affai ha manifeftato la forza
delladiuinaGiusticiasempregiustaenon sempre co: nosciuta perche Iddio alcuna
volta permetta, fepursefallo, & alcuna volta il prohibisca. FRONIMO. Non te
ricordi di: Lucio Samofateno, e di Lucio Madautefo. APISTIO. Si ben. Et ancho
mi ricordo di hauere alcunauoltaletto dette 5 cose, & anchegiaduoigiornifaleho
uditoramentarea te. Ma egli e ben vero che dubito affainon fianofauolee che in
ueritanó fufferofattecofiquellecoseche se narrano in quel asino greco et anche
latino. FRONIMO. Coli come iono dubito che siano assai cose finte
emoltopiudiquellochelo Etanchor sepurcoliuuoi che sianotutte quellecose che for
n o ne detti libri fauole et imaginationi, cosi anche credo che dett e favole e
f i t c i of n i i a n o c a nate da qual che vero fondamento.Conciosia che il
nostro Divo Aurelio Agostino iftir mo chequelle trasformacioni e
tramutationiiscritteda Varrone cio edelliaugelli di Diomede, delle bestie di
Circee delli lupi di Archadia pigliaffono origine e principio da qual, che cofa
uera. Et anchor raccontanel decimo otcauo libro della Citta di Dio, comeerausanzanetepi'
suoi difaremol te coseaffaifimilia quellechenarraouerofingea pulegio. Veroe che
dice, come gli demonii non possono fare ver una cora con la forza della sua
natura se non la permette Iddio. Lioccolti giudici di cui, fono infinitie non
uisiritrouaimpe tho verun dieffiingiufto. IIperchesepare che li demoni fa ciono
qualche cosa similea quelleche ha creatolomnipo. tente euero Iddio, eche pare
chemutano una speciedi uno animaleinunaltra:ouerotramutanouna creatura in unal
tan,on euerochecofi,fia,maebenuerochecosifaappare teouero imprimendo
dettefpecieefigurefintenellimagi, natione e fantasia, overo mettendo avanti li
occh i corporali un altraf inta specie e figura. E cosi io ile di 5 lui
che ha conturbata la fantasia, diesser una cosa in luogo di analera & il
simile parera allaltci. non dimeno fera imperho quel medemo, overo gli prepora
una similitudine auktiloco chi la quale di continuoglifaraparereefferecofi,
ecosicre. deca dieffer veduto anchedall altri.E coteftanon egramel
raueglia,percheseun corpo puo ingannarelifeptimeci corporali e farli parere una
cosa altrimento di quello che e-fico m e vediamo che failuietro, il quale
imprime quell suocolore nellocchio percotalmodoche fa parere
tuttelaltrecosefimi leaTenelcolore, benche fianoaltrimentoinsecolorate,quá t o
maggior mete i spiriti ignudi da ogni corpo, cio e li demo qualche uolta
pareraacoi nit Quotrano conturbare la
fantasia er ingannare l’occhi elal trisentimenti delle creature inferioris E
coliin cotéfto modo iftimaraifuffero quelle operediquei Almi, e di quella
specie di quello prestance cauallo, chiporcaua li gradi pesi ladispu tatione
del philosopho, chdiifpucaua senza corpo le cose di Platone le astute opere
delli lupi di Arcadia, e liuerfi di Circe che trafformaronoli compagni di Oliffe.
Ecosituttecol tefte cosefedebbono attribuire al spirito imaginario, ouero alla
fantasia. che cosi era ingannata a cui pareua essere quel la cosa che non era.
Il simile anchor diremo della cerva in uecede Iphigenia, e li augelli i uece
delli compagni di Olisse, cioe chefufferoposte simili imaginie figure dalli
demonii auktilocchidellhuomini,opur ancheforliuifuffipoftauna uera
cerua,etancheueriaugellinóuiapparëdoIphigenia nelicompagnidiOliffe,o
sendoiuipresente,oueroportati in aloriluoghi. DICASTO. O quanto ben , e quanto
brieueme tehaicuraccontatoquellecosdei santoAgoftino,enóman co uere ficomeio
iftimo.Eglie ferma cóclufione tenuta dal li theologgiqualmente sono soggietti
naturalmente i sentimenti dell’huomini e la imaginatione e fantasia alla
poffanza delli demonii, perche sono essi sentimenti e imaginatione inferiorie
manconobili di dettefoftārie separate eprine di ogni corpo eco si sendo
piunobili,glisonosoggietrequei Accosemen nobili,Iipercheanchor uoglionarrare
alcune verissime coseacoteft opposito per confermare quello che havemo detto
Eglietaccotatonelleuitedesati Padri come fuacconciataunagiouenenper incanti
incoralinodo ch epare g a u n a sfrenar a cavalla. I perche sendo presentata
avanti di santo Machario, perle orationi dieffu fuleuato d avanti l’occhi
diciascun quel prestigio, equellaillusione del demonio, eco si pareva in quel
modo sicome era in verita. Puote il demonio commovere li interiori sentimenti a
molti, alliqua lipareuafufli altrimentequellameschinagiouine di quello che eram
a non puote mouere imperhoeffisentimentiinte tioridisanto Machario fortificati
principalmene con loadiu torio di Iddio aface parere quello che non era Anchor
non aftregnega la finta figura di quel huomo, che paceua uno asino nella Citta
di Salamina della Isola di Cipro,liocchi
diciascuncheloucdeuadaiftimarecbelfuffeun Alino.eca cetto di quella donna m a g
a el incadratrice laquale glih a . uea per talmodo conturbato la fantasia colli
suoi maleficii, che anchealuipareyadi esser douentato uno asino, ecosi portaua
le legna in vece di giumento.Vero erchefaugiutato per prudentia dialcuni
niercatanti Genoueh, liquali ue: la Chiesa perfareriuerétiaetadorare Iddio
iftimaronoche quello non fufleuna vera bestia, eco si cercarono di agiutar. e
difareportarelamerite uole pena alla incantatrice. In verita ui dico che
possono fare li m alegni demonii appare temoltecose altrimente di quello che
fono,epossonom o ueremoltecoseerappresentarlenella fantasia,efareparece u n a
cosa in altro m o d o di quello chi-e-et anchora fare i li mile nelli corporali
senrimenti in un medelimo huomo. Oltro dicio occorre che fono ingannati liocchi
di quelli che vedono, et ancho e conturbato l’occhio della mente, fendomoffa la
imaginatione. Anchorsıcome,giaauantidi ceffimo,puo esserportatoilcorpo per diuerfiluoghi.Ilger
cheinteruiene che quelliliqualinon ben e sollicitamente ellaminanoquestecosea
parteaperparte facilmente sono ingannati ecosi non ben chiaramentec onsiderando
lilibri delli doreielitterati huomininon possondcitta mente giudicare quanta
differentia e fralle cose create, equelle che uscis seno da qualche natura
delle creature efra quello chi e intiero, e quello chilerparte,efra iluero,e
quello che erfimile aluero,equellochedimostra lasuaimagine,equello che
dimoftraquelladaltrui.Enon ben pesanocon la giustabio y lanza la forza di tutta
la natura nelaportanza delli demonii Er alfineanchonon confiderano ligiudiciide
Iddio,liquali speffe uolte sono occultissimi anoi,ma impho sempresono
fatlicolomma giustitia. FRON. Hormaise appropinquala fera egia comencia di
apparere la oscura noite il oche l’hora tarda ciinuita di ritornare a casa.
Siche Apistio se non seifatis Gattopģīta nostra longa disputatione n ó poflo
piu ueder che. Chi inginocchiare e prostrare in terra aukti la porta del
coradobbian fareacciopollieffercôtéto.Cöcioliachetuhal poffutoconoscere come
queftomaladetto eriscommunica to giuoconon efictionene fauola. coliperli libri
dell’antichi, con e per l’opere fatte ne tempi nostri, e come egli e in
sostantia antichissimo e nuouo per molte conditionier che e Atato mutaro
secondo la maligna e perversa volonta delli demonii, eforsianchorlomutara,
percheetantalaasturiaelucili tadieffoiniquo inganrratoredell’huomini che
continuamen e cerca nuovi modi daposferingannarenoi. Ho dimoftrato a te li
Cerchi li unguenti, le parole magiche et incanti liu i a g o
giperligrandifpatidellariali lascivie libidinosi piaceri del li demonii che
sisonoritrouaricosi' ne tempi nostri, comene tempi delli Baroni antichi. E tho
dimostrato qualmente pen Saronolipecaerfi demoni di douer calonniaree
uituperare l’humana generationedallaprimaantiquitacioedalprimo huomo
perinfinoadhora.E comehaingannato Ihuomo collesueresposte,colliragionamenti con
lafamiliarita edi mestichezza,ecome ha cercatoperogniuiaemodo di ingå nare
ognifeffo,etognieracollifimulacri euarie imagini,et che
seesforzatodiufurpareladiuinita,e farsiadorarecome Dio,etche ha fatto
nuoceuoliconuitiallimortali,etcheliba portatoasimilitudinediun giumento
chehabbialeali, eco me hadesideratodihauer lisceleratiffimipiacericarnalicolo
lihuomini.M a perche iotiueggiohoramolto Atracco per tantouiaggiochehaifactocon
lanimotuoin diuerseregio nie paesi della [calia della Sicilia,etiolcrodel Ionio
mare e dello Eulino e tan cho r perche te ho codoico colli mei ragionamenti
nell’Africa nell'Asia, e perinsino alli Hiperborei Mode dovi non ci ho
condotto. Il perch es e ra h o ma i tempo ne debbicitornaremeco acasa. APISTIO.
Tudiiluero, liben hormaiehora.E cositecone uengo,emolto satisfaco. DICASTO. Se
i tudung content di quello chehauemodetto: Ec in uericaneuieninellanoftra
oppenione. APISTIO. Si certamente son contento, et inueritauidico, che credo
quello che e statodetto. DICASTO. Dicupurdado vero o pergivoco. APISTIO. Puo
effer quefto Dicasto, che tu iltimiche io dica quello per iscrizo e giuoco che
ha creduto tutta l’antiquita e tutta anchor la pofterit ad Io dico quello che
ancho confermano colli isperimenti & efsempii, li Poesi, Oratori, Hiftocici
leggitti, philosophi,theologgi, Ihuominipruden tili soldati lirufticie
contadini, beniche le ritrouano alcuni Sauioli, liqualiripucandosi piu
dotiefauiiditurcilaltri,che queftoniegano, DICASTO. Dung ficome io uedo tu hai
mutato oppenione. APISTIO. Che bisogna piu affirmarlo, Gia te l’ho detto, Eco
sipercheioho uefitolanimomiodi un altrohabitocuesta, epareame
dihauerritrouatola verita di quello cheprima non credeuo in questa cosa
giacendo nella nera et oscura tenebradella igriorantia e della fallita,
desiderograndemetediunutareilnome edipigliarneuna tro conueneuoleaquefto nuovo
habito, de cui hora son vefito. DICASTO. Molto mi piace , Eco li per fatiffare
alla tu honesta voglia cidarounnome
conuenientesicome addj mandi. Dug perlo auenire serai chiamato. PISTICO.
APISTIO.O. quantohammi piace queftonome.Horacoliper
ognimodouoglioefferchiamato. FRONIMO. Se piu non cirestacosa alcuna de cuitu
habbi desiderio de intendere. egli e hora che ci partiamo con buon al i centia
del Reverendo padre Inquisitore e che presto retorniamo al castello, Il perche
Vale Reverende padre. DICASTO. Ite tan in pace. Leandro Alberti. Alberti.
Keywords: diavolo, satana, mefistofele, angelo caduto, demonio, eudemonico.
Refs. Luigi Speranza, “Grice ed Alberti” – The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51794356528/in/dateposted-public/
Grice ed Alberti – della thoscana senz’autore -- filosofia ligure
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova).
Filosofo. Grice: “I like [Leon Battista] Alberti; of course he is from Genova –
Liguaria being the heart of my Italy, or the Italy of my heart!” – Grice: “I
like Alberti’s ramblings on love to his lawyer friend – a full page without a
p.s. – and it’s none of the Kantian conversational maxims or Ovidian tactics,
but just a prohibition to mingle with the ladies!” -- Italian philosopher, on ‘aesthetics.’ Cf.
Grice on sensation. Grice: “No one can fail to be enchanted by Lusini’s great
likeness of Alberti at the loggiato of the uffizi! Ah, if we had the same at
Oxford!” -- Genova-born essential Italian philosopherGrice, “I love his “De
statua”it’s more philosophical anthropology than aesthetics!” «Ci è un uomo che per la sua universalità parrebbe volesse
abbracciarlo tutto, dico Leon Battista Alberti, pittore, architetto, poeta,
erudito, filosofo e letterato» (Francesco de Sanctis, Storia della
letteratura italiana). Filosofo. Una delle figure artistiche più poliedriche
del Rinascimento. Il suo primo nome si trova spesso, soprattutto in testi stranieri,
come Leone. Alberti fa parte della seconda generazione di umanisti
(quella successiva a Vergerio, Bruni, Bracciolini, Francesco Barbaro), di cui
fu una figura emblematica per il suo interesse nelle più varie
discipline. Un suo costante interesse era la ricerca delle regole,
teoriche o pratiche, in grado di guidare il lavoro degli artisti. Nelle sue
opere menzionò alcuni canoni, ad esempio: nel "De statua" espose le
proporzioni del corpo umano, nel "De pictura" fornì la prima
definizione della prospettiva scientifica e infine nel "De re
aedificatoria" (opera cui lavorò fino alla morte, nel 1472), descrisse
tutta la casistica relativa all'architettura moderna, sottolineando
l'importanza del progetto e le diverse tipologie di edifici a seconda della
loro funzione. Tale opera lo renderà immortale nei secoli e motivo di studio a
livello internazionale da artisti come Eugène Viollet-le-Duc e John Ruskin.
Come architetto, Alberti viene considerato, accanto a Brunelleschi, il
fondatore dell'architettura rinascimentale. L'aspetto innovativo delle
sue proposte, soprattutto sia in ambito architettonico che umanistico,
consisteva nella rielaborazione moderna dell'antico, cercato come modello da
emulare e non semplicemente da replicare. La classe sociale a cui Alberti
faceva riferimento è comunque un'aristocrazia e alta "borghesia"
illuminata. Egli lavorò per committenti quali i Gonzaga a Mantova e (per la
tribuna della SS. Annunziata) a Firenze, i Malatesta a Rimini, i Rucellai a
Firenze. Presunto autoritratto su placchetta, (Parigi, Cabinet des
Medailles). Leon Battista nacque a Genova, figlio di Lorenzo Alberti, di una
ricca famiglia di mercanti e banchieri fiorentini banditi dalla città toscana a
partire dal 1388 per motivi politici, e da Bianca Fieschi, appartenente ad una
delle più nobili casate genovesi. I primi studi furono di tipo
letterario, dapprima a Venezia e poi a Padova, alla scuola dell'umanista
Gasparino Barzizza, dove apprese il latino e forse anche il greco. Si trasferì
poi a Bologna dove studiò diritto, coltivando parallelamente il suo amore per
molte altre discipline artistiche quali la musica, la pittura, la scultura, la
matematica, la grammatica e la letteratura in generale. Si dedicò all'attività
letteraria sin da giovane: a Bologna, infatti, già intorno ai vent'anni scrisse
una commedia autobiografica in latino, la Philodoxeos fabula. Compose in latino
il Momus, un originalissimo e avvincente romanzo mitologico, e le
Intercoenales; in volgare, compose un'importante serie di dialoghi (De familia,
Theogenius, Profugiorum ab ærumna libri, Cena familiaris, De iciarchia, dai
titoli rigorosamente in latino) e alcuni scritti amatori, tra cui la Deiphira,
ove raccoglie i precetti utili a fuggire da un amore mal iniziato. Dopo
la morte del padre, avvenuta nel 1421, l'Alberti trascorse alcuni anni di
difficoltà, entrando in forte contrasto con i parenti che non volevano
riconoscere i suoi diritti ereditari né favorire i suoi studi. In questi anni
coltivò soprattutto gli studi scientifici, astronomici e matematici. Sembra si
sia tuttavia concretamente laureato in diritto nel 1428 a Bologna, o forse a
Ferrara, nonostante le difficoltà economiche e di salute. Tra Padova e Bologna
intrecciò amicizie con molti importanti intellettuali, come Paolo Dal Pozzo
Toscanelli, Tommaso Parentuccelli, futuro papa Nicolò V e probabilmente Niccolò
Cusano. Per gli anni 1428-1431 poco si sa, benché debba escludersi che si
sia recato a Firenze dopo il ritiro del bandi contro gli Alberti, nel 1428, e
sia del pari assai poco probabile che al seguito del cardinal Albergati abbia
viaggiato in Francia e nel Nord Europa. A Roma Nel 1431 diventò
segretario del patriarca di Grado e, trasferitosi a Roma con questi, nel 1432
fu nominato abbreviatore apostolico (il cui ruolo consisteva per l'appunto nel
redigere i brevi apostolici). Così entrò nel prestigioso ambiente umanistico
della curia di papa Eugenio IV, che lo nominò (1432) titolare della pieve di
San Martino a Gangalandi a Lastra a Signa, nei pressi di Firenze, beneficio di
cui godette fino alla morte. Vivendo prevalentemente a Roma ma
spostandosi per periodi anche lunghi e per varie incombenze a Ferrara, Bologna,
Venezia, Firenze, Mantova, Rimini e Napoli. Le prime opere letterarie Tra
il 1433 e il 1434, scrisse in pochi mesi i primi tre libri de Familia, un
dialogo in volgare completato con un quarto libro nel 1437. Il dialogo è
ambientato a Padova, nel 1421; vi partecipano vari componenti della famiglia
Alberti, personaggi realmente esistiti, scontrandosi su due visioni diverse: da
un lato c'è la mentalità moderna e borghese e dall'altro la tradizione,
aristocratica e legata al passato. L'analisi che il libro offre è una visione
dei principali aspetti e istituzioni della vita sociale dell'epoca, quali il
matrimonio, la famiglia, l'educazione, la gestione economica, l'amicizia e in
genere i rapporti sociali: l'Alberti esprime qui un punto di vista
"filosofico" pienamente umanistico, che ricorre in tutte le sue opere
di carattere morale e che consiste nella convinzione che gli uomini siano
responsabili della propria sorte e che la virtù sia insita nell'uomo e debba
essere realizzata attraverso l'operosità, la volontà e la ragione. A
Firenze Statua di Leon Battista Alberti, piazza degli Uffizi a Firenze. Alberti
visse prevalentemente a Firenze e Ferrara, al seguito della curia papale che
fra l'altro partecipò al Concilio, ossia alle sedute ferrarese e fiorentina del
concilio ecumenico (1438-39) che dovevano riappacificare la chiesa latina e le
chiese cristiano-orientali, in particolare quella greca. In questo
periodo l'Alberti assimila parte della cultura fiorentina, cercando (invero con
moderato successo) d'inserirsi nell'ambiente intellettuale e artistico della
città; sono verosimilmente gli anni in cui nascono i suoi interessi artistici,
che si traducono da subito nella duplice redazione (latina e volgare) del De
pictura (1435-36). Nel prologo della versione in volgare, dedica l'opera a
Brunelleschi e menziona anche i grandi innovatori delle arti del tempo:
Donatello, Masaccio (morto già nel 1428) e i Della Robbia. Intorno al
1443, al seguito del pontefice Eugenio IV lasciò Firenze, ma con la città
continuò ad avere intensi rapporti legati anche ai cantieri dei suoi
progetti. De pictura Magnifying glass icon mgx2.svg De pictura. Del 1435-1436 è il De pictura,
scritto verosimilmente dapprima in latino e tradotto poi in volgare; se la
redazione latina, senza ombra di dubbio la più importante e ricca, sarà
dedicata al Gonzaga marchese di Mantova, per quella volgare l'Alberti redasse
una dedica al Brunelleschi che, trasmessa da un solo codice strettamente legato
al laboratorio personale dell'Alberti, forse non fu mai inviata. Il De pictura
rappresenta la prima trattazione di una disciplina artistica non intesa solo
come tecnica manuale, ma anche come ricerca intellettuale e culturale, e
sarebbe difficile immaginarla fuori dallo straordinario contesto fiorentino e
scritta da un autore diverso dall'Alberti, grande intellettuale umanista e
artista egli stesso, anche se la sua attività nel campo delle arti
figurative—attestata (benché in modi non lusinghieri) già dal Vasari—dovette
essere ridotta. Il trattato è organizzato in tre "libri". Il primo
contiene la più antica trattazione della prospettiva. Nel secondo libro l'Alberti
tratta di “circoscrizione, composizione, e ricezione dei lumi”, cioè dei tre
principi che regolano l'arte pittorica: la circumscriptio consiste nel
tracciare il contorno dei corpi; la compositio è il disegno delle linee che
uniscono i contorni dei corpi e perciò la disposizione narrativa della scena
pittorica, la cui importanza è qui espressa per la prima volta con piena
lucidità intellettuale; la receptio luminum tratta dei colori e della luce. Il
terzo libro è relativo alla figura del pittore di cui si rivendica il ruolo di
vero artista e non, semplicemente, di artigiano. Con questo trattato Alberti
influenzerà non solo il Rinascimento ma tutto quanto si sarebbe detto sulla
pittura sino ai nostri giorni. La questione del volgare Pur scrivendo
numerosi testi in latino, lingua alla quale riconosceva il valore culturale e
le specifiche qualità espressive, l'Alberti fu un fervente sostenitore del
volgare. La duplice redazione in latino e in volgare del De pictura manifesta
il suo interesse per il dibattito allora in corso tra gli umanisti sulla
possibilità di usare il volgare nella trattazione di ogni materia. In un
dibattito avvenuto a Firenze tra gli umanisti della curia, Flavio Biondo aveva
affermato la diretta discendenza del volgare dal latino e l'Alberti, ne dimostra
genialmente la tesi componendo la prima grammatica del volgare (1437-41), e ne
riprende gli argomenti difendendo l'uso del volgare nella dedicatoria del libro
III de Familia a Francesco d'Altobianco Alberti (1435-39 circa). Da qui
deriva la significativa esperienza del Certame coronario, una gara di poesia
sul tema dell'amicizia, organizzata a Firenze nell'ottobre 1441 dall'Alberti
con il più o meno tacito concorso di Piero de' Medici, una gara che doveva
servire all'affermazione del volgare, soprattutto in poesia, e alla quale va
associata la composizione dei sedici Esametri sull'amicizia da parte
dell'AlbertiEsametri ora pubblicati fra le sue Rime, innovative tanto nello
stile quanto nella metrica, che costituiscono uno dei primissimi tentativi di
adattare i metri greco-latini alla poesia volgare (metrica «barbara»).
Nonostante ciò, l'Alberti continuò a scrivere naturalmente in latino, come fece
per gli Apologi centum, una sorta di breviario della sua filosofia di vita,
composti intorno al 1437. Ritorno a Roma Chiusosi il concilio a Firenze, ritornò
con la curia papale a Roma. continuando a ricoprire il ruolo di abbreviatore
apostolico per ben 34 anni, fino al 1464, quando il collegio degli abbreviatori
fu soppresso. Durante la permanenza a Roma ebbe modo di coltivare i propri
interessi propriamente architettonici, che lo indussero a proseguire lo studio
delle rovine della Roma classica, come dimostra la stessa Descriptio urbis
Romae, risalente al 1450 circa, in cui l'Alberti tentò con successo, per la
prima volta nella storia, una ricostruzione della topografia di Roma antica,
mediante un sistema di coordinate polari e radiali che permettono di
ricostruire il disegno da lui tracciato. I suoi interessi archeologici lo
portarono anche a tentare il recupero delle navi romane affondate nel lago di
Nemi. Questi interessi per l'architettura che diventeranno prevalenti
negli ultimi due decenni della sua vita, non impedirono una ricchissima
produzione letteraria. Tra il 1443 e la morte compone una delle sue opere più
interessanti, il Momus, un romanzo satirico in lingua latina, che tratta in
maniera abbastanza amara e disincantata della società umana e degli stessi
esseri umani. Dopo l'elezione di Niccolò V, l'Alberti, come antico
conoscente, entrò nella cerchia ristretta del papa, dal quale ricevette anche
la carica di priore di Borgo San Lorenzo. Tuttavia i rapporti con il papa sono
considerati piuttosto controversi dagli storici, sia per quel che riguarda gli
aspetti politici che per l'adesione o la collaborazione dell'Alberti al vasto
programma di rinnovamento urbano voluto da Niccolò V. Forse venne impiegato
durante il restauro del palazzo papale e dell'acquedotto romano e della fontana
dell'Acqua Vergine, disegnata in maniera semplice e lineare, creando la base
sulla quale, in età Barocca, sarebbe stata costruita la Fontana di Trevi.
Intorno al 1450 Alberti cominciò ad occuparsi più attivamente di architettura
con numerosi progetti da eseguire fuori Roma, a Firenze, Rimini e Mantova,
città in cui si recò varie volte durante gli ultimi decenni della sua
vita. In tal modo dopo la metà del secolo l'Alberti fu la figura-guida
dell'architettura. Questo riconosciuto primato rende anche difficile
distinguere, nella sua opera, l'attività di progettazione dalle tante
consulenze e dall'influenza più o meno diretta che dovette avere, per esempio,
sulle opere promosse a Roma, sotto Niccolò V, come il restauro di Santa Maria
Maggiore e Santo Stefano Rotondo o come la costruzione di Palazzo Venezia, il
rinnovamento della basilica di San Pietro, del Borgo e del Campidoglio.
Potrebbe forse essere stato il consulente che indica alcune linee-guida o, ma
ben più difficilmente, aver avuto un ruolo anche meno indiretto. Sicuramente il
prestigio della sua opera e del suo pensiero teorico condizionarono
direttamente l'opera di progettisti come Francesco del Borgo e Bernardo
Rossellino, influenzando anche Giuliano da Sangallo. Morì a Roma, all'età
di 68 anni. Il De re aedificatoria Frontespizio Matteo de'
Pasti, Medaglia di Leon Battista Alberti. Magnifying glass icon mgx2.svg De re aedificatoria. Le sue riflessioni
teoriche trovarono espressione nel De re aedificatoria, un trattato di
architettura in latino, scritto prevalentemente a Roma, cui l'Alberti lavorò
fino alla morte e che è rivolto anche al pubblico colto di educazione
umanistica. Il trattato fu concepito sul modello del De architectura di
Vitruvio. L'opera, considerata il trattato architettonico più significativo
della cultura umanistica, è divisa anch'essa in dieci libri: nei primi tre si
parla della scelta del terreno, dei materiali da utilizzare e delle fondazioni
(potrebbero corrispondere alla categoria vitruviana della firmitas); i libri IV
e V si soffermano sui vari tipi di edifici in relazione alla loro funzione
(utilitas); il libro VI tratta la bellezza architettonica (venustas), intesa
come un'armonia esprimibile matematicamente grazie alla scienza delle
proporzioni, con l'aggiunta di una trattazione sulle macchine per costruire; i
libri VII, VIII e IX parlano della costruzione dei fabbricati, suddividendoli
in chiese, edifici pubblici ed edifici privati; il libro X tratta
dell'idraulica. Nel trattato si trova anche uno studio basato sulle
misurazioni dei monumenti antichi per proporre nuovi tipi di edifici moderni
ispirati all'antico, fra i quali le prigioni, che cercò di rendere più umane,
gli ospedali e altri luoghi di pubblica utilità. Il trattato fu stampato
a Firenze nel 1485, con una prefazione del Poliziano a Lorenzo il Magnifico, e
poi a Parigi e a Strasburgo. Venne in seguito tradotto in varie lingue e
diventò ben presto imprescindibile nella cultura architettonica moderna e
contemporanea. Nel De re aedificatoria, l'Alberti affronta anche il tema
delle architetture difensive e intuisce come le armi da fuoco rivoluzioneranno
l'aspetto delle fortificazioni. Per aumentare l'efficacia difensiva indica che
le difese dovrebbero essere "costruite lungo linee irregolari, come i
denti di una sega" anticipando così i principi della fortificazione alla
moderna. L'attività come architetto a Firenze A Firenze lavorò come
architetto soprattutto per Giovanni Rucellai, ricchissimo mercante e mecenate,
intimo amico suo e della sua famiglia. Le opere fiorentine saranno le sole
dell'Alberti a essere compiute prima della sua morte. Palazzo
Rucellai Facciata di palazzo Rucellai. Forse sin dal 1439-1442 gli venne
commissionata la costruzione del palazzo della famiglia Rucellai, da ricavarsi
da una serie di case-torri acquistate da Giovanni Rucellai in via della Vigna Nuova.
Il suo intervento si concentrò sulla facciata, posta su un basamento che imita
l'opus reticulatum romano, realizzata tra il 1450 e il 1460. È formata da tre
piani sovrapposti, separati orizzontalmente da cornici marcapiano e ritmati
verticalmente da lesene di ordine diverso; la sovrapposizione degli ordini è di
origine classica come nel Colosseo o nel Teatro di Marcello, ed è quella
teorizzata da Vitruvio: al piano terreno lesene doriche, ioniche al piano
nobile e corinzie al secondo. Esse inquadrano porzioni di muro bugnato a conci
levigati, in cui si aprono finestre in forma di bifora nel piano nobile e nel
secondo piano. Le lesene decrescono progressivamente verso i piani superiori,
in modo da creare nell'osservatore l'illusione che il palazzo sia più alto di
quanto non sia in realtà. Al di sopra di un forte cornicione aggettante si
trova un attico, caratteristicamente arretrato rispetto al piano della
facciata. Il palazzo creò un modello per tutte le successive dimore signorili
del Rinascimento, venendo addirittura citato pedissequamente da Bernardo
Rossellino, suo collaboratore, per il suo palazzo Piccolomini a Pienza (post
1459). Attribuita all'Alberti è anche l'antistante Loggia Rucellai, o per
lo meno il suo disegno. Loggia e palazzo andavano così costituendo una sorta di
piazzetta celebrante la casata, che viene riconosciuta come uno dei primi
interventi urbanistici rinascimentali. Facciata di Santa Maria
Novella Facciata di Santa Maria Novella, Firenze. Su commissione del
Rucellai, progettò anche il completamento della facciata della basilica di
Santa Maria Novella, rimasta incompiuta nel 1365 al primo ordine di arcatelle,
caratterizzate dall'alternarsi di fasce di marmo bianco e di marmo verde,
secondo la secolare tradizione fiorentina. I lavori iniziarono intorno al 1457.
Si presentava il problema di integrare, in un disegno generale e
classicheggiante, i nuovi interventi con gli elementi esistenti di epoca
precedente: in basso vi erano gli avelli inquadrati da archi a sesto acuto e i
portali laterali, sempre a sesto acuto, mentre nella parte superiore era già
aperto il rosone, seppur spoglio di ogni decorazione. Alberti inserì al centro
della facciata inferiore un di
proporzioni classiche, inquadrato da semicolonne, in cui inserì incrostazioni
in marmo rosso per rompere la bicromia. Per terminare la fascia inferiore pose
una serie di archetti a tutto sesto a conclusione delle lesene. Poiché la parte
superiore della facciata risultava arretrata rispetto al basamento (un tema
molto comune nell'architettura albertiana, derivata dai monumenti della
romanità) inserì una fascia di separazione a tarsie marmoree che recano una
teoria di vele gonfie al vento, l'insegna personale di Giovanni Rucellai; il
livello superiore, scandito da un secondo ordine di lesene che non hanno
corrispondenza in quella inferiore, sorregge un timpano triangolare. Ai lati,
due doppie volute raccordano l'ordine inferiore, più largo, all'ordine
superiore più alto e stretto, conferendo alla facciata un moto ascendente
conforme alle proporzioni; non mascherano come spesso si è detto erroneamente
gli spioventi laterali che risultano più bassi, come si evince osservando la
facciata dal lato posteriore. La composizione con incrostazioni a tarsia
marmorea ispirate al romanico fiorentino, necessaria in questo caso per
armonizzare le nuove parti al già costruito, rimase una costante nelle opere
fiorentine dell'Alberti. Secondo Rudolf Wittkower: "L'intero
edificio sta rispetto alle sue parti principali nel rapporto di uno a due, vale
a dire nella relazione musicale dell'ottava, e questa proporzione si ripete nel
rapporto tra la larghezza del piano superiore e quella dell'inferiore". La
facciata si inscrive infatti in un quadrato avente per lato la base della
facciata stessa. Dividendo in quattro tale quadrato, si ottengono quattro
quadrati minori; la zona inferiore ha una superficie equivalente a due
quadrati, quella superiore a un quadrato. Altri rapporti si possono trovare
nella facciata tanto da realizzare una perfetta proporzione. Secondo Franco
Borsi: "L'esigenza teorica dell'Alberti di mantenere in tutto l'edificio
la medesima proporzione è qui stata osservata ed è appunto la stretta
applicazione di una serie continua di rapporti che denuncia il carattere non
medievale di questa facciata pseudo-protorinascimentale e ne fa il primo grande
esempio di eurythmia classica del Rinascimento". Altre opere
Il tempietto del Santo Sepolcro. Attribuito all'Alberti è il progetto
dell'abside della pieve di San Martino a Gangalandi presso Lastra a Signa.
L'Alberti fu rettore di San Martino dal 1432 fino alla sua morte. La chiesa, di
origine medievale, ha il suo punto focale nell'abside, chiusa in alto da un
arco a tutto sesto con decorazione a motivi di candelabro e con lesene in
pietra serena sorreggenti un architrave che reca un'iscrizione a lettere
capitali dorate, ornata alle due estremità dalle arme degli Alberti. L'abside è
ricordata incepta et quasi perfecta nel testamento di Leon Battista Alberti, e
fu infatti terminata dopo la sua morte, tra il 1472 e il 1478. Del 1467 è
un'altra opera per i Rucellai, il tempietto del Santo Sepolcro nella chiesa di
San Pancrazio a Firenze, costruito secondo un parallelepipedo spartito da
paraste corinzie. La decorazione è a tarsie marmoree, con figure geometriche in
rapporto aureo; le decorazioni geometriche, come per la facciata di Santa Maria
Novella, secondo l'Alberti inducono a meditare sui misteri della fede.
Ferrara Il campanile del duomo di Ferrara. L'Alberti fu a Ferrara a varie
riprese, e sicuramente tra il 1438 e il 1439, stringendo amicizie alla corte
estense. Vi ritorna nel 1441 e forse nel 1443, chiamato a giudicare la gara per
un monumento equestre a Niccolò III d'Este. In tale occasione forse dette
indicazioni per il rinnovo della facciata del Palazzo Municipale, allora
residenza degli Estensi. A lui è stato attribuito da insigni storici
dell'arte, ma esclusivamente su basi stilistiche, anche l'incompleto campanile
del duomo, dai volumi nitidi e dalla bicromia di marmi rosa e bianchi.
Rimini Tempio Malatestiano, Rimini. Nel 1450 l'Alberti venne chiamato a
Rimini da Sigismondo Pandolfo Malatesta per trasformare la chiesa di San
Francesco in un tempio in onore e gloria sua e della sua famiglia. Alla morte
del signore (1468) il tempio fu lasciato incompiuto mancando della parte
superiore della facciata, della fiancata sinistra e della tribuna. Conosciamo
il progetto albertiano attraverso una medaglia incisa da Matteo de' Pasti,
l'architetto a cui erano stati affidati gli ampliamenti interni della chiesa e
in generale tutto il cantiere. Tempio malatestiano sulla medaglia
di Matteo de' Pasti. L'Alberti ideò un involucro marmoreo che lasciasse intatto
l'edificio preesistente. L'opera prevedeva in facciata una tripartizione con
archi scanditi da semicolonne corinzie, mentre nella parte superiore era
previsto una specie di frontone con arco al centro affiancato da paraste e
forse due volute curve. Punto focale era il
centrale, con timpano triangolare e riccamente ornato da lastre marmoree
policrome nello stile della Roma imperiale. Ai lati due archi minori avrebbero
dovuto inquadrare i sepolcri di Sigismondo e della moglie Isotta, ma furono poi
tamponati. Le fiancate invece sono composte da una sequenza di archi su
pilastri, ispirati alla serialità degli acquedotti romani, destid accogliere i
sarcofagi dei più alti dignitari di corte. Fianchi e facciata sono unificati da
un alto zoccolo che isola la costruzione dallo spazio circostante. Ricorre la
ghirlanda circolare, emblema dei Malatesta, qui usata come oculo. Interessante
è notare come Alberti traesse spunto dall'architettura classica, ma affidandosi
a spunti locali, come l'arco di Augusto, il cui modulo è triplicato in
facciata. Una particolarità di questo intervento è che il rivestimento non tiene
conto delle precedenti aperture gotiche: infatti, il passo delle arcate
laterali non è lo stesso delle finestre ogivali, che risultano posizionate in
maniera sempre diversa. Del resto Alberti scrive a Matteo de' Pasti che «queste
larghezze et altezze delle Chappelle mi perturbano». Per l'abside era
prevista una grande rotonda coperta da cupola emisferica simile a quella del
Pantheon. Se completata, la navata avrebbe allora assunto un ruolo di semplice
accesso al maestoso edificio circolare e sarebbe stata molto più evidente la
funzione celebrativa dell'edificio, anche in rapporto allo skyline
cittadino. Mantova Chiesa di San Sebastiano, Mantova.
Basilica di Sant'Andrea, Mantova. Nel 1459 Alberti fu chiamato a Mantova da
Ludovico III Gonzaga, nell'ambito dei progetti di abbellimento cittadino per il
Concilio di Mantova. San Sebastiano Il primo intervento mantovano
riguardò la chiesa di San Sebastiano, cappella privata dei Gonzaga, iniziata
nel 1460. L'edificio fece da fondamento per le riflessioni rinascimentali sugli
edifici a croce greca: è infatti diviso in due piani, uno dei quali interrato,
con tre bracci absidati attorno ad un corpo cubico con volta a crociera; il
braccio anteriore è preceduto da un portico, oggi con cinque aperture. La
parte superiore della facciata, spartita da lesene di ordine gigante, è
originale del progetto albertiano e ricorda un'elaborazione del tempio
classico, con architrave spezzata, timpano e un arco siriaco, a testimonianza
dell'estrema libertà con cui l'architetto disponeva gli elementi. Forse
l'ispirazione fu un'opera tardo-antica, come l'arco di Orange. I due scaloni di
collegamento che permettono l'accesso al portico non fanno parte del progetto
originario, ma furono aggiunte posteriori. Sant'Andrea Il secondo intervento,
sempre su commissione dei Gonzaga, fu la basilica di Sant'Andrea, eretta in
sostituzione di un precedente sacrario in cui si venerava una reliquia del
sangue di Cristo. L'Alberti creò il suo progetto «... più capace più eterno più
degno più lieto ...» ispirandosi al modello del tempio etrusco ripreso da
Vitruvio e contrapponendosi al precedente progetto di Antonio Manetti.
Innanzitutto mutò l'orientamento della chiesa allineandola all'asse viario che
collegava Palazzo Ducale al Tè. La chiesa a croce latina, iniziata nel
1472, è a navata unica coperta a botte con lacunari, con cappelle laterali a
base rettangolare con la funzione di reggere e scaricare le spinte della volta,
inquadrate negli ingressi da un arco a tutto sesto, inquadrato da un lesene
architravate. Il tema è ripreso dall'arco trionfale classico ad un solo fornice
come l'arco di Traiano ad Ancona. La grande volta della navata e quelle del
transetto e degli atri d'ingresso si ispiravano a modelli romani, come la
Basilica di Massenzio. Per caratterizzare l'importante posizione urbana,
venne data particolare importanza alla facciata, dove ritorna il tema
dell'arco: l'alta apertura centrale è affiancata da setti murari, con archetti
sovrapposti tra lesene corinzie sopra i due portali laterali. Il tutto,
coronato da un timpano triangolare a cui si sovrappone, per non lasciare
scoperta l'altezza della volta, un nuovo arco. Questa soluzione, che enfatizza
la solennità dell'arco di trionfo e il suo moto ascensionale, permetteva anche
l'illuminazione della navata. Sotto l'arco venne a formarsi uno spesso atrio,
diventato il punto di filtraggio tra interno ed esterno. La facciata è
inscrivibile in un quadrato e tutte le misure della navata, sia in pianta che
in alzato, si conformano ad un preciso modulo metrico. La tribuna e la cupola
(comunque prevista da Alberti) vennero completate nei secoli
successivi, secondo un disegno estraneo all'Alberti. I caratteri
dell'architettura albertiana Le opere più mature di Alberti evidenziano una forte
evoluzione verso un classicismo consapevole e maturo in cui, dallo studio dei
monumenti antichi romani, l'Alberti ricavò un senso delle masse murarie ben
diverso dalla semplicità dello stile brunelleschiano. I modi originali
albertiani precorsero l'arte del Bramante. I caratteri innovativi di Alberti
furono: La colonna deve sostenere la trabeazione e deve essere usata come
ornamento per le fabbriche; l'arco deve essere costruito sopra i
pilastri. Il De statua Il trattato, scritto in latino, è relativo alla teoria
della scultura e risale al1450 circa. Nel De statua, l'Alberti rielaborò
profondamente le concezioni e le teorie relative alla scultura tenendo conto
delle innovazioni artistiche del Rinascimento, attingendo anche ad una
rilettura critica delle fonti classiche e riconoscendo, tra i primi dignità
intellettuale alla scultura, prima di allora sempre condizionata dal
pregiudizio verso un'attività tanto manuale. Nel trattato che si compone
di 19 capitoli, l'Alberti parte, sulla scorta di Plinio, dalla definizione
dell'arte plastica tridimensionale distinguendo la scultura o per via di porre
o per via di levare, dividendola secondo la tecnica utilizzata: togliere
e aggiungere: sculture con materie molli, terra e cera eseguita dai
"modellatori" levare: scultura in pietra, eseguita dagli
"scultori" Tale distinzione fu determinante nella concezione
artistica di molti scultori come Michelangelo e non era mai stata espressa con
tanta chiarezza. Il definitor, lo strumento inventato da Leon Battista
Alberti. Relativamente al metodo da utilizzare per raggiungere il fine ultimo
della scultura che è l'imitazione della natura, l'Alberti distingue: la
dimensio (misura) che definisce le proporzioni generali dell'oggetto
rappresentato mediante l’exempeda, una riga diritta modulare atta a rilevare le
lunghezze e squadre mobili a forma di compassi (normae), con cui misurare
spessori, distanze e diametri. la finitio, definizione individuale dei
particolari e dei movimenti dell'oggetto rappresentato, per la quale Alberti
suggerisce uno strumento da lui ideato: il definitor o finitorium, un disco
circolare cui è fissata un'asta graduata rotante, da cui pende un filo a
piombo. Con esso si può determinare qualsiasi punto sul modello mediante una
combinazione di coordinate polari e assiali, rendendo possibile un
trasferimento meccanico dal modello alla scultura. Alberti sembra anticipare i
temi relativi alla raffigurazione 'scientifica' della figura umana che è uno
dei temi che percorre la cultura figurativa rinascimentale. e addirittura
aspetti dell'industrializzazione e addirittura della digitalizzazione, visto
che il definitor trasformava i punti rilevati sul modello in dati
alfanumerici. L'opera fu tradotta in volgare nel 1568 da Cosimo Bartoli.
Il testo latino originale fu stampato solo alla fine del XIX secolo, mentre
solo recentemente sono state pubblicate traduzioni moderne. I sistemi di
definizione meccanica dei volumi proposti dall'Alberti, appassionarono Leonardo
che approntò, come si può rilevare dai suoi disegni, dei sistemi alternativi,
sviluppati a partire dal trattato albertiano e utilizzò le "Tabulae
dimensionum hominis" del "De statua" per realizzare il
celeberrimo "Uomo vitruviano". Il Crittografo Alberti fu
inoltre un geniale crittografo e inventò un metodo per generare messaggi
criptati con l'aiuto di un apparecchio, il disco cifrante. Sua fu infatti
l'idea di passare da una crittografia con tecnica "monoalfabetica"
(Cifrario di Cesare) ad una con tecnica "polialfabetica", codificata
teoricamente parecchi anni dopo da Blaise de Vigenère. In The Codebreakers. The
Story of Secret Writing, lo storico della crittologia David Kahn attribuisce
all'Alberti il titolo di Father of Western Cryptology (Padre della crittologia
occidentale). Kahn ribadisce questa definizione, sottolineando le ragioni che
la giustificano, nella prefazione all'edizione italiana del testo albertiano:
«Questo volume elegante e sottile riproduce il testo più importante di tutta la
storia della crittologia; un primato che il De cifris di Leon Battista Alberti
ben si merita per i tre temi cruciali che tratta: l'invenzione della
sostituzione polialfabetica, l'uso della crittanalisi, la descrizione di un
codice sopracifrato.» Tra le altre attività di Alberti ci fu anche la
musica, per la quale fu considerato uno dei primi organisti della sua epoca.
Disegnò anche delle mappe e collaborò con il grande cartografo Paolo
Toscanelli. De iciarchia Iciarco e Iciarchia sono due termini usati
dall'Alberti nel dialogo De iciarchia composto nel 1470 circa, pochi anni prima
della sua morte (avvenuta nel 1472) e ambientato nella Firenze medicea di
quegli anni. Le due parole sono di origine greca ("Pogniàngli nome tolto
da' Greci, iciarco: vuol dire supremo omo e primario principe della famiglia
sua", libro III), e sono formate da oîkos o oikía "casa,
famiglia" e arkhós "capo supremo, principe, principio". Il
nome stesso di iciarco vuole esprimere quello che secondo il parere dell'autore
è il governante ideale: colui che sia come un padre di famiglia nei confronti
dello Stato. Secondo le parole dell'Alberti, "il suo compito sarà (...)
provedere alla salute, quiete, e onestamento di tutta la famiglia, fare sì che
amando e benificando è suoi, tutti amino lui, e tutti lo reputino e osservino
come padre" (ivi). Questo ruolo di "padre di famiglia" del
governante ideale era finalizzato, nella sua visione politica, ad una
stabilità, in definitiva "conservatrice", che permetterebbe di
governare senza discordie che, dilaniando lo Stato, nuocerebbero a tutto il corpo
sociale ("Inoltre la prima cura sua sarà che la famiglia sia senza niuna discordia
unitissima. Non esser unita la famiglia circa le cose (...) che giovano, nuoce
sopra modo molto., ivi). Il termine iciarco, nato coll'Alberti e
strettamente legato alla sua visione "paternalistica" del governo
dello Stato, non ebbe comunque alcun seguito e non risulta che sia mai più
stato impiegato nel lessico politico. Opere: “Apologi centum”; “Cena familiaris”; “De amore”; “De equo
animante (Il cavallo vivo); “De Iciarchia”; “De componendis cifris”; “Deiphira”;
“De picture”; “Porcaria coniuratio”; “De re aedificatoria”; “De statua”;
“Descriptio urbis Romae”; “Ecatomphile”; “Elementa picturae”; “Epistola
consolatoria”; “Grammatica della lingua toscana” (meglio nota come
Grammatichetta vaticana); “Intercoenales”; “De familia libri IV”; “Ex ludis
rerum mathematicorum”; “Momus”; “Philodoxeos fabula”; “Profugiorum ab ærumna
libri III”; “Sentenze pitagoriche”; “Sophrona”; “Theogenius Villa” -- Opere
architettoniche Palazzo Rucellai, Firenze, Via della Vigna Nuova Loggia
Rucellai, Firenze, Via della Vigna Nuova Facciata di Santa Maria Novella, Firenze,
Santa Maria Novella Abside di San Martino, 1472-1478, Lastra a Signa, Pieve di
San Martino a Gangalandi Tempietto del Santo Sepolcro, Firenze, Chiesa di San
Pancrazio Tempio Malatestiano (incompiuto), iniziato nel 1450 circa, Rimini,
Tempio Malatestiano Chiesa di San Sebastiano, 1460 circa, Mantova, Chiesa di
San Sebastiano Basilica di Sant'Andrea, 1472-1732, Mantova, Basilica di
Sant'Andrea (Mantova) Palazzo Romei, Vibo Valentia Manoscritti Liber de iure,
scriptus Bononiae anno 1437, XV secolo, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Fondo
manoscritti, Trivia senatoria, XV secolo, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Fondo
manoscritti. Cecil Grayson, Studi su Leon Battista Alberti, Firenze, Olschki, L.B. Alberti, De pictura, C. Grayson,
Laterza, 1980: versione on line Copia archiviata, su liberliber. Christoph L.
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Donatella Coppini, Firenze University Press, De re Aedificatoria In tale occasione manifestò il suo interesse
per la morfologia e l'allevamento dei cavalli con il breve trattato De equo
animante dedicato a Leonello d'Este. De Vecchi-Cerchiari, cit.95.
De Vecchi-Cerchiari, cit.104 Rudolf Wittkower, op. cit. 1993 Rudolf Wittkower,op. cit. 1993 Leon
Battista Alberti, De statua, M. Collareta, 1998
Mario Carpo, L'architettura dell'età della stampa: oralità, scrittura,
libro stampato e riproduzione meccanica dell'immagine nella storia delle teorie
architettoniche, 1998. Simon Singh,
Codici e Segreti45 David Kahn, The Codebreakers, Scribner. Il nome deriva dal
fatto che il libello, di appena 16 carte, è conservato in una copia del 1508 in
un codice in ottavo della Biblioteca vaticana. Lo scritto non ha epigrafe,
pertanto il titolo è stato assegnato in seguito: fu riscoperto infatti nel 1850
e dato alle stampe solo nel 1908.
viviamolacalabria.blogspot.com, viviamolacalabria.blogspot.com//09/esempio-tangibile-di-palazzo-nobiliare.html?m=1.
Leon Battista Alberti, De re aedificatoria, Argentorati, excudebat M. Iacobus
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umanistica tra Rimini e Faenza, in Brunelleschi, Alberti e oltre, F. Canali,
«Bollettino della Società di Studi Fiorentini», 16-17, 2008. V. C. Galati,
Riflessioni sulla Reggia di Castelnuovo a Napoli: morfologie architettoniche e
tecniche costruttive. Un univoco cantiere antiquario tra Donatello e Leon
Battista Alberti?, in Brunelleschi, Alberti e oltre, F. Canali, «Bollettino
della Società di Studi Fiorentini», 1F. Canali, V. C. Galati, Leon Battista
Alberti, gli 'Albertiani' e la Puglia umanistica, in Brunelleschi, Alberti e
oltre, F. Canali, «Bollettino della Società di Studi Fiorentini», G. Morolli,
Alberti: la triiplice luce della pulcritudo, in Brunelleschi, Alberti e oltre,
F. Canali, «Bollettino della Società di Studi Fiorentini», G. Morolli, Pienza e
Alberti, in Brunelleschi, Alberti e oltre, F. Canali, «Bollettino della Società
di Studi Fiorentini», Christoph Luitpold Frommel, Alberti e la porta trionfale
di Castel Nuovo a Napoli, in «Annali di architettura» n° 20, Vicenza leggere
l'articolo; Massimo Bulgarelli, Leon Battista Alberti,Architettura e storia,
Electa, Milano 2008; Caterina Marrone, I segni dell'inganno. Semiotica della
crittografia, Stampa Alternativa &a mp;Graffiti, Viterbo ; Pierluigi Panza,
“Animalia: La zoologia nel De Re Aedificatoria", Convegno Facoltà di
Architettura Civile, Milano, in Albertiana, S. Borsi, Leon Battista Alberti e
Napoli, Firenze, . V. Galati, Il Torrione quattrocentesco di Bitonto dalla
committenza di Giovanni Ventimiglia e Marino Curiale; dagli adeguamenti ai
dettami del De Re aedificatoria di Leon Battista Alberti alle proposte di
Francesco di Giorgio Martini in Defensive Architecture of the Mediterranean XV
to XVIII centuries, G. Verdiani,, Firenze, , III. V. Galati, Tipologie di
Saloni per le udienze nel Quattrocento tra Ferrara e Mantova. Oeci, Basiliche,
Curie e "Logge all'antica" tra Vitruvio e Leon Battista Alberti nel
"Salone dei Mesi di Schifanoia a Ferrara e nella "Camera Picta"
di Palazzo Ducale a Mantova, in Per amor di Classicismo, F. Canali «Bollettino
della Società di Studi Fiorentini», S. Borsi, Leon Battista, Firenze, . Roberto
Rossellini gli ha dedicato un film- documentario per la TV nintitolato
"L'età di Cosimo dei Medici" (88'). Architettura rinascimentale Rinascimento
fiorentino Rinascimento riminese Rinascimento mantovano Medaglia di Leon
Battista Alberti.TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Leon Battista Alberti, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Leon Battista
Alberti, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Leon Battista Alberti, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Leon Battista
Alberti, su MacTutor, University of St Andrews, Scotland. Opere di Leon Battista Alberti, su Liber
Liber. Opere di Leon Battista Alberti,
su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Leon Battista Alberti, . su Leon
Battista Alberti, su Les Archives de littérature du Moyen Âge. Leon Battista
Alberti, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. La
aggiornata degli studi albertiani dal 1995 in poi, e le informazioni più
recenti sulla ricerca albertiana, su alberti.wordpress.com. Il sito della
Société Internationale Leon Battista Alberti, su silba-online.eu. Biografia
breve, su imss.fi. Fondazione Centro Studi Leon Battista AlbertiMantova, su
fondazioneleonbattistaalberti. Momus, (testo in latino, Roma 1520), facsimile,
progetto Europeana agent/base/
Identitieslccn. Que' che affermano la lingua latina non
essere stata comune a tutti e' populi latini, ma solo propria di certi dotti
scolastici, come oggi la vediamo in pochi, credo deporranno quello errore
vedendo questo nostro opuscolo, in quale io raccolsi l'uso della lingua nostra
in brevissime annotazioni. Qual cosa simile fecero gl'ingegni grandi e studiosi
presso a' Greci prima e po' presso de e' Latini, e chiamornoqueste simili
ammonizioni, atte a scrivere e favellare senza corruttela, suo nome,
grammatica. Questa arte, quale ella sia in la lingua nostra, leggetemi e
intenderetela. I. Ordine delle lettere. i r t d b v n
u m p q g c e o a x z l s f ç ch gh
concordanze II. Vocali. Ogni parola e dizione toscana finisce
in vocale. Solo alcuni articoli de' nomiin l e alcune preposizioni finiscono in
d, n, r. Le cose in molta parte hanno in lingua toscana que' medesimi
nomi che in latino. Non hanno e' Toscani fra e' nomi altro che masculino
e femminino. E' neutrilatini si fanno masculini. Pigliasi in ogni nome
latino lo ablativo singulare, e questo s'usa in ogni casosingulare, così al
masculino come al femminino. A e' nomi masculini l'ultima vocale si
converte in i, e questo s'usa in tutti e' casi plurali. A e' nomi
femminini l'ultima vocale si converte in e, e questo s'usa in ogni caso plurale
per e' femminini. Alcuni nomi femminini in plurale non fanno in e: come,
la mano fa le mani. E ogni nome femminino, quale in singulare finisca in
e, fa in plurale in i: come la orazione, le orazioni; stagione, stagioni;
confusioni, e simili. E' casi de' nomi si notano co' suoi articoli, dei
quali sono vari e' masculini da e' femminini. Item e' masculini, che
cominciano da consonante, hanno certi articoli non fatti come quando e'
cominciano da vocale. Item e' nomi propri sono vari dagli
appellativi. Masculini che cominciano da consonante hanno articoli simili
a questo: 1. SINGULARE. EL cielo DEL cielo AL cielo EL cielo
O cielo DAL cielo. 2. PLURALE. E' cieli DE' cieli A' cieli E'
cieli O cieli DA' cieli. Masculini, che cominciano da vocale, fanno in
singulare simile a questo: 3. SINGULARE. LO orizzonte DELLO orizonte
ALLO orizonte LO orizonte O orizonte DALLO orizonte. PLURALE.
GLI orizonti DEGLI orizonti AGLI orizonti GLI orizonti O orizonti DAGLI
orizonti. E' nomi masculini che cominciano da s preposta a una consonante
hanno articoli simili a quei che cominciano da vocale, e dicesi: LO spedo, LO
stocco, GLI spedi, e simile. Questi vedesti che sono vari da quei di
sopra nel singulare, el primo articoloe anche el quarto; ma nel plurale
variorono tutti gli articoli. Nomi propri masculini non hanno el primo
articolo, né anche el quarto, e fanno simili a questi: Propri masculini,
che cominciano da consonante, in singulare fanno così: Cesare DI Cesare A
Cesare Cesare O Cesare DA Cesare. Nomi propri, che cominciano da vocale,
nulla variano da' consonanti, eccetto che al terzo vi si aggiugne d, e
dicesi: Agrippa DI Agrippa AD Agrippa, ecc. In plurale non
s'adoperano e' nomi propri, e se pur s'adoperassero, tutti fanno come
appellativi. E' nomi femminini, o propri o appellativi, o in vocale o in
consonante che e' cominciano, tutti fanno simile a questo: rdanze 5.
SINGULARE. LA stella DELLA stella ALLA stella LA stella O stella
DALLA stella. LA aura DELLA aura ALLA aura LA aura O aura DALLA
aura. PLURALE. LE stelle DELLE stelle ALLE stelle LE stelle O
stelle DALLE stelle. LE aure DELLE aure ALLE aure LE aure O aure DALLE
aure. E' nomi delle terre s'usano come propri, e dicesi: Roma superò
Cartagine. E simili a' nomi propri s'usano e' nomi de' numeri: uno, due,
tre, e cento e mille, e simili; e dicesi: tre persone, uno Dio, nove cieli, e simili.
E quei nomi che si referiscono a' numeri non determinati come ogni, ciascuno,
qualunque, niuno, e simili, e come tutti, parecchi, pochi, molti, e simili,
tutti si pronunziano simili a e' nomi propri senza primo e
quartoarticolo. E' nomi che importano seco interrogazione come chi e che
e quale e quanto e simili, quei nomi che si riferiscono a questi interrogatori,
come tale e tanto e cotale e cotanto, si pronunciano simili a e' propri nomi,
pur senza primo e quarto articolo, e dicesi: Io sono tale quale voresti
essere tu; e amai tale che odiava me. Chi s'usa circa alle persone,
e dicesi: Chi scrisse? Che significa quanto presso a e' Latini Qui e
Quid. Significando Quid, s'usa circa alle cose, e dicesi: Che leggi?
Significando Qui, s'usa circa alle persone, e dicesi: Io sono colui che
scrissi. Chi di sua natura serve al masculino, ma aggiunto a questo verbo
sono, sei, è, serve al masculino e al femminino, e dicesi: Chi sarà tua
sposa? Chi fu el maestro? Chi sempre si prepone al verbo. Che si prepone
e pospone. Che, preposto al verbo, significa quanto presso a e' Latini
Quid e Quantum e Quale, come: Che dice? Che leggi? Che uomo ti paio? Che ti
costa? Che, posposto al verbo, significa quanto apresso e' Latini Ut e
Quod, come dicendo: I' voglio che tu mi legga. Scio che tu me amerai. E'
nomi, quando e' dimostrano cosa non certa e diterminata, si pronunziano senza
primo e quarto articolo, come dicendo: Io sono studioso. Invidia lo move.
Tu mi porti amore. Ma quando egli importano dimostrazione certa e diterminata,
allora si pronunzianocoll'articolo come qui: Io sono lo studioso e tu el
dotto. E' nomi simili a questo: primo, secondo, vigesimo, posti dietro a
questo verbo sono, sei, è, non raro si pronunziano senza el primo articolo, e
dicesi: Tu fusti terzo e io secondo; e ancora si dice: Costui fu el quarto,
elprimo, el secondo, ecc. Uno, due, tre, e simili, quando e' significano
ordine, vi si pone l'articolo, e dicesi: Tu fusti el tre, e io l'uno. Il dua è
numero paro, ecc. Fra tutti gli altri nomi appellativi, questo nome Dio
s'usa come proprio, e dicesi: Lodato Dio. Io adoro Dio. Gli articoli
hanno molta convenienza co' pronomi, e ancora e' pronomihanno grande
similitudine con questi nomi relativi qui recitati. Adonquesuggiungeremogli.
De' pronomi, e' primitivi sono questi: io tu esso questo quello costui lui
colui. Mutasi l'ultima vocale in a e fassi il femminino, e dicesi: questa,
quella, essa. Solo io e tu, in una voce, serve al masculino e al
femminino. E' plurali di questi primitivi pronomi sono vari, e anche e'
singulari. Declinansi così: Io e i': di me: a me e mi: me e mi: da
me. Noi: di noi: a noi e ci: noi e ci: da noi. Tu: di te: a te e
ti: te e ti: o tu: da te. Voi: di voi: a voi e vi: voi e vi: o voi: da
voi. Esso ed e': di se e si: se e si: da se; ed Egli. Non troverrai
in tutta la lingua toscana casi mutati in voce altrove che in questi tre
pronomi: io, tu, esso. Gli altri primitivi se declinano così:
Questo: di questo: a questo: questo: da questo. Quello: di quello: a quello:
quello: da quello. Muta o in i e arai el plurale, e dirai: Questi:
di questi: a questi: questi: da questi. E il somigliante fa quelli.
E così sarà costui e lui e colui, simili a quegli in singulare; ma in
pluralecostui fa costoro, lui fa loro, colui fa coloro, di coloro, a coloro,
coloro, da coloro. Questo e quello mutano o in a e fassi el femminino
singulare, e dicesi:questa e quella; e fassi il suo plurale: queste, di quelle,
a quelle. Lui, costui, colui, mutano u in e e fassi el singulare femminino,
e dicesi: costei, lei, colei, di colei, ecc. In plurale hanno quella voce che
e' masculini, cioè: loro, coloro, costoro, di costoro, a costoro, ecc.
Vedesti come, simile a' nomi propri, questi pronomi primitivi non hanno el
primo articolo né anche el quarto. A questa similitudine fanno e' pronomi
derivativi, quando e' sono subiunti a e' propri nomi. Ma quando si giungono
agli appellativi, si pronunziano co' suoi articoli. Derivativi pronomi
sono questi, e declinansi così: El mio, del mio, ecc., e plurale: e'
miei, de' miei, ecc. El nostro, del nostro, ecc. E plurale: e' nostri,
de' nostri, ecc. El tuo. Plurale: e' tuoi. El vostro. Plurale: e'
vostri. El suo. E pluraliter: e' suoi, ecc. Mutasi, come a e'
nomi, l'ultima in a, e fassi el singulare femminino: qual a, converso in e,
fassi el plurale, e dicesi: mia e mie; vostra, vostre; sua e sue. In uso
s'adropano questi pronomi non tutti a un modo. E' derivativi, giunti a
questi nomi, padre, madre, fratello, zio, e simili, si pronunziano senza
articolo, e dicesi: mio padre, nostra madre, e tuo zio, ecc. Mi e me, ti
e te, ci e noi, vi e voi, si e sé sono dativi insieme e accusativi, come di
sopra gli vedesti notati. Ma hanno questo uso che, preposti al verbo, si dice
mi, ti, ci, ecc.; come qui: e' mi chiama; e' ti vuole; que' vi chieggono; io mi
sto; e' si crede. Posposti al verbo, se a quel verbo sarà inanzi altro
pronome o nome, si dirà come qui: io amo te, e voglio voi. Si al verbo
non sarà aggiunto inanzi altro nome o pronome si dirà: -i, come qui: aspettaci,
restaci, scrivetemi. Lui e colui dimostrano persone, come dicendo: lui
andò, colei venne. Questo e quello serve a ogni dimostrazione, e dicesi:
Questo essercitopredò quella provincia, e: Questo Scipione superò quello Annibale.
E' ed el, lo e la, le e gli, quali, giunti a' nomi, sono articoli, quando si
giungono a e' verbi, diventano pronomi e significano quello, quella, quelle,
ecc. E dicesi: Io la amai; Tu le biasimi: Chi gli vuole? Ma di questi,
egli ed e' hanno significato singulare e plurale; e, prepostialla consonante,
diremo e', come qui: e' fa bene; e' sono. E, preposti alla vocale, si giugne e'
e gli, e dicesi: egli andò; egli udivano. E quando segue loro s preposta
a una consonante, ancora diremo: egli spiega; egli stavano. Potrei in
questi pronomi essere prolisso, investigando più cose quali s'osservano, simili
a queste: Vi preposto a' presenti singulari indicativi, d'una sillaba, si
scrive in la prima e terza persona per due v, e simile in la seconda persona
presenteimperativa, come stavvi e vavvi; e ne' verbi, d'una e di più sillabe,
la prima singulare indicativa del futuro, come amerovvi, leggerovvi, darotti,
adoperrocci, e simile. Ma forse di queste cose più particulari
diremoaltrove. III. Seguitano e’ verbi. Non ha la lingua
toscana verbi passivi, in voce; ma, per esprimere elpassivo, compone con questo
verbo sono, sei, è, el participio preteritopassivo tolto da e' Latini, in
questo modo: Io sono amato; Tu sei pregiato; Colei è odiata. E simile, si
giugne a tutti e' numeri e tempi e modi di questo verbo. Adonque lo porremo qui
distinto. 1. INDICATIVO. Sono, sei, è. Plurale: siamo, sete,
sono. Ero, eri, era. Plurale: eravamo e savamo, eravate e savate,
erano. Fui, fusti, fu. Plurale: fumo, fusti, furono. Ero, eri,
era stato. Plurale: eravamo e savamo, eravate e savate, erano stati.
Sarò, sarai, sarà. Plurale: saremo, sarete, saranno. Hanno e' Toscani, in
voce, uno preterito quasi testé, quale, in questo verbo, si dice così:
Sono, sei, è stato. Plurale: siamo, sete, sono stati. E dicesi: Ieri fui
ad Ostia; oggi sono stato a Tibuli. ndere i link alle concordanze 2.
IMPERATIVO. Sie tu, sia lui. Plurale: siamo, siate, siano.
Sarai tu, sarà lui. Plurale: saremo, ecc. 3. OTTATIVO. Dio ch
'io fussi, tu fussi, lui fusse. Plurale: fussimo, fussi, fussero. Dio
ch'io sia, sii, sia stato. Plurale: siamo, siate, siano stati. Dio ch'io
fussi, fussi, fusse stato. Plurale: fussimo, fussi, fussero stati. Dio
ch'io sia, sii, sia. Plurale: siamo, siate, siano. 4. SUBIENTIVO.
Bench'io, tu, lui sia. Plurale: siamo, siate, siano. Bench'io
fussi, tu fussi, lui fusse. Plurale: fussimo, fussi, fussero. Bench'io
sia, sii, sia stato. Plurale: siamo, siate, siano stati. Bench'io fussi,
fussi, fusse stato. Plurale: fussimo, fussi, fussero stati. Bench'io
sarò, sarai, sarà stato. Plurale: saremo, sarete, saranno stati. E usasi
tutto l'indicativo di questo e d'ogni altro verbo, quasi come subientivo,
prepostovi qualche una di queste dizioni: se, quando, benché, e simili. E dicesi:
bench'io fui; se e' sono; quando e' saranno. 5. INFINITO.
Essere, essere stato. 6. GERUNDIO. Essendo
7. PARTICIPIO. Essente Dirassi adonque, per dimostrare
el passivo: Io sono stato amato; fui pregiato; e sarò lodato; tu sei
reverito. Hanno e' Toscani certo modo subientivo, in voce, non notato da
e' Latini; e parmi da nominarlo asseverativo, come questo: Sarei, saresti,
sarebbe. Plurale: saremo, saresti, sarebbero. E dirassi così: Stu fussi
dotto, saresti pregiato. Se fussero amatori dellapatria, e' sarebbero più
felici. IV. Seguitano e’ verbi attivi. Le coniugazioni
de' verbi attivi in lingua toscana si formano dal gerundio latino, levatone le
ultime tre lettere ndo, e quel che resta si fa terza persona singulare
indicativa e presente. Ecco l'essemplo: amandolevane ndo, resta ama; scrivendo
resta scrive. Sono adonque due coniugazioni: una che finisce in a,
l'altra finisce in e. Alla coniugazione in a, quello a si muta in o, e
fassi la prima personasingulare indicativa e presente; e mutasi in i, e fassi
la seconda; e così si forma tutto il verbo, come vedrai la similitudine qui, in
questo esposto: 1. INDICATIVO. Amo, ami, ama. Plurale:
amiamo, amate, amano. Amavo, amavi, amava. Plurale: amavamo, amavate,
amavano. Amai, amasti, amò. Plurale: amamo, amasti, amarono.
Ho, hai, ha amato. Plurale: abbiamo, avete, hanno amato. Amerò,
amerai, amerà. Plurale: ameremo, amerete, ameranno. In questa lingua ogni
verbo finisce in o la prima indicativa presente, e in questa coniugazione prima,
finisce ancora in o la terza singulare indicativadel preterito. Ma ècci
differenza, ché quella del preterito fa el suo o longo, e quella del presente
lo fa o breve. 2. IMPERATIVO. Ama tu, ami lui. Plurale:
amiamo, amate, amino. Amerai tu, amerà colui. Plurale: ameremo,
ecc. 3. OTTATIVO. Dio ch'io amassi, tu amassi, lui amasse.
Plurale: Dio che noi amassimo, voi amassi, loro amassero. Dio ch'io
abbia, tu abbi, lui abbia amato. Plurale: Dio che noi abbiamo, abbiate, abbino
amato. Dio ch'io avessi, tu avessi, lui avesse amato. Plurale: Dio che
noi avessimo, avessi, avessero amato. Dio ch'io, tu, lui ami. Plurale:
amiamo, amiate, amino. 4. SUBIENTIVO. Bench'io, tu, lui ami.
Plurale: amiamo, amiate, amino. Bench'io, tu amassi, lui amasse. Plurale:
amassimo, amassi, amassero. Bench'io abbia, abbi, abbia amato. Plurale:
abbiamo, abbiate, abbino amato. Bench'io avessi, tu avessi, lui avesse
amato. Plurale: avessimo, avessi, avessero amato. Bench'io arò, arai, arà
amato. Plurale: aremo, arete, aranno amato. 5. ASSERTIVO.
Amerei, ameresti, amerebbe. Plurale: ameremo, ameresti, amerebbero.
6. INFINITO. Amare, avere amato. 7. GERUNDIO.
Amando. 8. PARTICIPIO. Amante. Vedi come a e'
tempi testé perfetti e al futuro del subientivo mancano sue proprie voci, e per
questo si composero simile a' verbi passivi: el suo participio co' tempi e voci
di questo verbo ho, hai, ha. Qual verbo, benché e' sia della coniugazione
in a, pur non sequita la regola esimilitudine degli altri, però che egli è
verbo d'una sillaba, e così tutti e'monosillabi sono anormali. Né
troverrai in tutta la lingua toscana verbi monosillabi altri che questi sei:
Do; Fo; Ho; Vo; Sto; Tro. Porremogli adonque qui sotto distinti. Ma, per
esser breve, notiamo che e' sono insieme dissimili ne e' preteritiperfetti
indicativi, e ne' singulari degli imperativi, e nel singulare del
futuroottativo, ne' quali e' fanno così: DO: diedi, desti, dette.
Plurale: demo, desti, dettero. FO: feci, facesti, fece. Plurale: facemo,
facesti, fecero. HO: ebbi, avesti, ebbe. Plurale: avemo, avesti,
ebbero. VO: andai, andasti, andò. Plurale: andamo, andasti,
andarono. STO: stetti, stesti, stette. Plurale: stemo, stesti,
stettero. TRO: tretti, traesti, trette. Plurale: traemo, traesti,
trettero. In tutti e' verbi, come fa la seconda persona singulare del
preterito, così fa la seconda sua plurale; come amasti, desti, leggesti.
DO: da tu, dia lui. FO: fa tu, faccia lui. HO: abbi tu, abbia
lui. VO: va tu, vada lui. STO: sta tu, stia lui. TRO: tra tu,
tria lui. DO: Dio ch'io dia, tu dia, lui dia. FO: faccia, facci,
faccia. HO: abbia, abbi, abbia. VO: vada, vadi, vada. STO:
stia, stii, stia. TRO: tragga, tragghi, tragga. V. Seguita la
coniugazione in e. Questa si forma simile alla coniugazione in a.
Mutasi quello e in o, e fassi la prima presente indicativa. Mutasi in i, e
fassi la seconda, come qui: leggente e scrivente, levatone nte, resta legge,
scrive; onde si fa leggo, leggi, leggeva, leggerò, ecc. Solo varia dalla
coniugazione in ain que' luoghi dove variano e' monosillabi. Ma questa
coniugazione in e varia in più modi, benché comune faccia e' preteriti perfetti
indicativiin -ssi, per due s, come: leggo, lessi; scrivo, scrissi. Ma que'
verbi che finiscono in -sco fanno e' preteriti in -ii per due i, come esco,
uscii;ardisco, ardii; anighittisco, anighittii. Ma, per più suavità, nella
linguatoscana non si pronunziano due iunte vocali. Da questi verbi si
eccettuano cresco ed e' suoi compositi, rincresco, accresco, e simili, quali
finiscono, a' preteriti perfetti, in -bbi, come crebbi, rincrebbi. Item,
nasco fa nacqui, e conosco fa conobbi. E que' verbi che finiscono in mo fanno
e' preteriti in -etti, come premo, premetti; e quei che finiscono in do fanno
e' preteriti in -si, per uno s, come ardo, arsi; spargo, sparsi; eccetto vedo
fa vidi; odo, udi'; cado, caddi; godo, godei e godetti. E quegli che finiscono
in ndo fanno preteriti -si, per uno s: prendo, presi; rispondo, risposi;
eccetto vendo fa vendei e vendetti. Sonci di queste regole forse altre
eccezioni, ma per ora basti questo principio di tanta cosa. Chi che sia, a cui
diletterà ornare la patrianostra, aggiugnerà qui quello che ci manchi.
Dicemo de' preteriti, resta a dire degli altri. 1. IMPERATIVO.
Leggi tu, legga colui. 2. OTTATIVO. Futuro singulare:
Dio ch'io scriva, tu scriva, lui scriva. E così fanno tutti. Verbi
impersonali si formano della terza persona del verbo attivo in tutti e' modi e
tempi, giuntovi si, come: amasi, leggevasi, scrivasi. Ma questo si suole trasporlo
innanzi al verbo, giuntovi e', e dicesi: e' si legge; e' si corre; e massime
nell'ottativo e subientivo sempre si prepone, e dicesi: Dio che e' s'ami;
quando e' si leggera', e simile. VI. Seguitano le preposizioni.
Di queste alcune non caggiono in composizione, e sono queste: oltre,
sino, dietro, doppo, presso, verso, 'nanzi, fuori, circa.
Preposizioni che caggiono in composizione e ancora s'adoperano seiunte,
sono di una sillaba o di più. D'una sillaba sono queste: DE: de'
nostri; detrattori. AD: ad altri; admiratori. CON: con certi;
conservatori. PER: per tutti; pertinace. DI: di tanti;
diminuti. IN: in casa; importati. Di, preposto allo infinito, ha
significato quasi come a' Latini ut. E dicono: Io mi sforzo d'essere
amato. Quelle de più sillabe sono queste: SOTTO sottoposto
SOPRA sopraposto e dicesi ENTRO entromesso CONTRO
contraposto Preposizioni quali s'adoperano solo in composizione:
Re, sub, ob, se, am, tras, ab, dis, ex, pre, circum; onde si dice: trasposi e
circumspetto. VII. Seguitano gli avverbi. Per e' tempi, si
dice: oggi, testé, ora, ieri, crai, tardi, omai, già, allora, prima, poi, mai,
sempre, presto, subito. Per e' luoghi, si dice: costì, colà, altrove,
indi, entro, fuori, circa, quinci, costinci, e qui e ci, e ivi e vi. Onde si
dice: Io voglio starci, io ci starò, pro qui; e verrovvi e io vi starò, pro
ivi. Pelle cose, si dice: assai, molto, poco, più, meno. Negando,
si dice: nulla, no, niente, né. Affirmando, si dice: sì, anzi, certo,
alla fe'. Domandando, si dice: perché, onde, quando, come, quanto.
Dubitando: forse. Narrando, si dice: insieme, pari, come, quasi, così,
bene, male, peggio, meglio, ottime, pessime, tale, tanto. Usa la lingua
toscana questi avverbi, in luogo di nomi, giuntovi l'articolo, e dice: el bene,
del bene, ecc.; qual cosa ella ancora fa degli infiniti, e dicono: el leggere,
del leggere. Ma a più nomi, pronomi e infiniti giunti insieme, solo in
principio della loro coniunzione usa preporre non più che uno articolo, e
dicesi: el tuo buono amare mi piace. Item, a similitudine della lingua
gallica, piglia el Toscano e' nomisingulari femminini adiettivi e aggiungevi
-mente, e usagli per avverbi, come saviamente, bellamente, magramente.
VIII. Interiezioni. Sono queste: hen, hei, ha, o, hau, ma,
do. IX. Coniunzioni. Sono queste: mentre, perché, senza, se,
però, benché, certo, adonque, ancora, ma, come, e, né, o, segi (sic). E
congiunge; né disiunge; o divide; senza si lega solo a' nomi e agli infiniti. E
dicesi: senza più scrivere; tu e io studieremo; che né lui né lei siano
indotti; o piaccia o dispiaccia questa mia invenzione. E questo ne ha
vario significato e vario uso. Se si prepone simplice a' nomi, a' verbi, a'
pronomi, significa negazione, come qui: né tu né io meritiamo invidia. E
significa in; ma, aggiuntovi l, serve a' singularimasculini e femminini; e
senza l, serve a' plurali quali comincino da consonante. A tutti gli altri
plurali, masculini e femminini si dice nel-; e quando s sarà preposta alla
consonante, pur si dice: nello spazzo, nelle camere, ne' letti, nello essercito
di Dario, negli orti. E questo ne, se sarà subiunto a nome o al pronome,
significa di qui, di questo, di quello, secondo che l'altre dizioni vi si
adatteranno, come chi dice: Cesare ne va, Pompeio ne viene. E questo ne,
posposto al verbo, sarà o doppo a monosillabi o doppo a quei di più sillabe; e
più, o significa interrogazione o affirmazione o precetto. Adonque, doppo
l'indicativo monosillabo, la interrogazione si scrive, in la prima e terza
persona, per due n, la seconda per uno n, come, interrogando, si dice: vonne
io? va' ne tu? vanne colui? Nello imperativo si scrive la seconda per due n, e
dicesi: vanne, danne. La terza si scrive per uno, e dicesi: diane lui,
traggane. E questi monosillabi, la prima indicativa presente, affirmando, si
scrive per due n, e dicono: fonne, vonne, honne. Se sarà el verbo di più
sillabe, la interrogazione e affirmazione si scrive per uno n in tutti e'
tempi, eccetto la affirmazione in lo futuro, quale si scrive per due n, come
dicendo: portera' ne tu? porteronne. E questo sino qui detto s'intenda per e'
singulari, però che a' plurali siscrive quello ne sempre per uno n, come
andiamone. Non mi stendo negli altri simili usi a questi. Basti quinci
intendere e' principi d'investigare lo avanzo. E' vizi del favellare in
ogni lingua sono o quando s'introducono alle cose nuovi nomi, o quando gli
usitati si adoperano male. Adoperanosimale, discordando persone e tempi, come
chi dicesse: tu ieri andaremoalla mercati. E adoperanosi male usandogli in
altro significato alieno, come chi dice: processione pro possessione.
Introduconsi nuovi nomio in tutto alieni e incogniti o in qualunque parte
mutati. Alieni sono in Toscana più nomi barberi, lasciativi da gente
Germana, quale più tempo militò in Italia, come elm, vulasc, sacoman, bandier,
e simili. In qualche parte mutati saranno quando alle dizionis'aggiungerà o
minuirà qualche lettera, come chi dicesse: paire pro patre, e maire pro matre.
E mutati saranno come chi dicesse: replubicapro republica, e occusfato pro
offuscato; e quando si ponesse una lettera per un'altra, come chi dicesse:
aldisco pro ardisco, inimisi pro inimici. Molto studia la lingua toscana
d'essere breve ed espedita, e per questo scorre non raro in qualche nuova
figura, qual sente di vizio. Ma questivizi in alcune dizioni e prolazioni
rendono la lingua più atta, come chi, diminuendo, dice spirto pro spirito; e
massime l'ultima vocale, e dice papi, e Zanobi pro Zanobio; credon far quel
bene. Onde s'usa che a tutti gl'infiniti, quando loro segue alcuno pronome in
i, allora si gettal'ultima vocale e dicesi: farti, amarvi, starci, ecc.
E, mutando lettere, dicono mie pro mio e mia, chieggo pro chiedo,paio pro paro,
inchiuso pro incluso, chiave pro clave. E, aggiugnendo, dice vuole pro vole,
scuola pro scola, cielo pro celo. E, in tuttotroncando le dizioni, dice vi pro
quivi, e similiter, stievi pro stia ivi. Si questo nostro opuscolo sarà
tanto grato a chi mi leggerà, quanto fu laborioso a me el congettarlo, certo mi
diletterà averlo promulgato, tanto quanto mi dilettava investigare e raccorre
queste cose, a mio iudizio, degne e da pregiarle. Laudo Dio che in la
nostra lingua abbiamo omai e' primi principi: di quello ch'io al tutto mi
disfidava potere assequire. Cittadini miei, pregovi, se presso di voi
hanno luogo le mie fatighe, abbiate a grado questo animo mio, cupido di onorare
la patria nostra. E insieme, piacciavi emendarmi più che biasimarmi, se in
parte alcuna ci vedete errore. Que’ che affermano la lingua latina non
essere stata comune a tutti e’ populi latini, ma solo propria di certi dotti
scolastici, come oggi la vediamo in pochi, credo deporranno quello errore
vedendo questo nostro opuscolo, in quale io raccolsi l’uso della lingua nostra
in brevissime annotazioni. Qual cosa simile fecero gl’ingegni grandi e studiosi
presso a’ Greci prima e po’ presso de e’ Latini, e chiamorno queste simili
ammonizioni, atte a scrivere e favellare senza corruttela, suo nome,
grammatica. Questa arte, quale ella sia in la lingua nostra, leggetemi e
intenderetela. Ordine delle lettere I r t d b v n u m p q g c e o a x
z l s f ç ch gh Vocali a ę ẻ i o ô u ę è é ę Coniunctio ể Verbum ẻ
Articulus el ghiro girò al çio el zembo. e volse pôrci a’ porci quèllo chẻ ể pẻlla
pelle. [p. facsimile1] Tavv. 1-2. Roma, Bibl. Vaticana, Cod. Vat.
Reginense Lat. 1370, «Della thoscana senza auttore», cc 1r-v (cfr. p.
361) [p. 178] Ogni parola e dizione toscana finisce in vocale. Solo
alcuni articoli de’ nomi in l e alcune preposizioni finiscono in d, n, r.
Le cose in molta parte hanno in lingua toscana que’ medesimi nomi che in
latino. Non hanno e’ Toscani fra e’ nomi altro che masculino e femminino.
E’ neutri latini si fanno masculini. Pigliasi in ogni nome latino lo
ablativo singulare, e questo s’usa in ogni caso singulare, così al masculino
come al femminino. A e’ nomi masculini l’ultima vocale si converte in i,
e questo s’usa in tutti e’ casi plurali. A e’ nomi femminini l’ultima
vocale si converte in e, e questo s’usa in ogni caso plurale per e’
femminini. Alcuni nomi femminini in plurale non fanno in e: come, la mano
fa le mani. E ogni nome femminino, quale in singulare finisca in e, fa in
plurale in i: come la orazione, le orazioni; stagione, stagioni; confusioni, e
simili. E’ casi de’ nomi si notano co’ suoi articoli, dei quali sono vari
e’ masculini da e’ femminini. Item e’ masculini, che cominciano da
consonante, hanno certi articoli non fatti come quando e’ cominciano da
vocale. Item e’ nomi propri sono vari dagli appellativi. Masculini
che cominciano da consonante hanno articoli simili a questo:
singulare EL cielo DEL cielo AL cielo EL cielo O cieloDAL cielo
Plurale E’ cieli DE’ cieli A’ cieli E’ cieli O cieli DA’ cieli.
Masculini, che cominciano da vocale, fanno in singulare simile a questo: [p.
179] Singulare LO orizzonte DELLO orizonte ALLO orizonteLO orizonte
O orizonte DALLO orizonte Plurale GLI orizonti DEGLI orizonti
AGLI orizontiGLI orizonti ⟨O orizonti⟩ DAGLI orizonti.
E’ nomi masculini che cominciano da s preposta a una consonante hanno articoli
simili a quei che cominciano da vocale, e dicesi: LO spedo, LO stocco, GLI
spedi, e simile. Questi vedesti che sono vari da quei di sopra nel
singulare, el primo articolo e anche el quarto; ma nel plurale variorono tutti
gli articoli. Nomi propri masculini non hanno el primo articolo, né anche
el quarto, e fanno simili a questi: Propri masculini, che cominciano da
consonante, in singulare fanno così: Cesare DI Cesare A Cesare Cesare O CesareDA Cesare.
Nomi propri, che cominciano da vocale, nulla variano da’ consonanti, eccetto
che al terzo vi si aggiugne d, e dicesi: Agrippa DI Agrippa AD Agrippa,
ecc. In plurale non s’adoperano e’ nomi propri, e se pur s’adoperassero, tutti
fanno come appellativi. E’ nomi femminini, o propri o appellativi, o in
vocale o in consonante che e’ cominciano, tutti fanno simile a questo:
Singulare LA stella DELLA stella ALLA stella LA stellaO stella
DALLA stella. LA aura DELLA aura ALLA aura LA aura O auraDALLA aura. [p.
180] Plurale LE stelle DELLE stelle ALLE stelle LE stelle O
stelleDALLE stelle. LE aure DELLE aure ALLE aure LE aure O aureDALLE aure. E’
nomi delle terre s’usano come propri, e dicesi: Roma superò Cartagine. E
simili a’ nomi propri s’usano e’ nomi de’ numeri: uno, due, tre, e cento e
mille, e simili; e dicesi: tre persone, uno Dio, nove cieli, e simili. E
quei nomi che si referiscono a’ numeri non determinati come ogni, ciascuno,
qualunque, niuno, e simili, e come tutti, parecchi, pochi, molti, e simili,
tutti si pronunziano simili a e’ nomi propri senza primo e quarto
articolo. E’ nomi che importano seco interrogazione come chi e che e
quale e quanto e simili, quei nomi che si riferiscono a questi interrogatori,
come tale e tanto e cotale e cotanto, si pronunciano simili a e’ propri nomi,
pur senza primo e quarto articolo, e dicesi: Io sono tale quale voresti
essere tu; e amai tale che odiava me. Chi s’usa circa alle persone, e
dicesi: Chi scrisse? Che significa quanto presso a e’ Latini Qui e Quid.
Significando Quid, s’usa circa alle cose, e dicesi: Che leggi? Significando
Qui, s’usa circa alle persone, e dicesi: Io sono colui che scrissi. Chi
di sua natura serve al masculino, ma aggiunto a questo verbo sono, sei, è, serve
al masculino e al femminino, e dicesi: Chi sarà tua sposa? Chi fu el
maestro? Chi sempre si prepone al verbo. Che si prepone e pospone.
Che, preposto al verbo, significa quanto presso a e’ Latini Quid e Quantum e
Quale, come: Che dice? Che leggi? Che uomo ti paio? Che ti costa? Che,
posposto al verbo, significa quanto apresso e’ Latini Ut e Quod, come dicendo:
I’ voglio che tu mi legga. Scio che tu me amerai. E’ nomi, quando e’
dimostrano cosa non certa e diterminata, [p. 181]si pronunziano senza primo e quarto
articolo, come dicendo: Io sono studioso. Invidia lo move. Tu mi porti amore.
Ma quando egli importano dimostrazione certa e diterminata, allora si
pronunziano coll’articolo come qui: Io sono lo studioso e tu el dotto. E’
nomi simili a questo: primo, secondo, vigesimo, posti dietro a questo verbo
sono, sei, è, non raro si pronunziano senza el primo articolo, e dicesi: Tu
fusti terzo e io secondo; e ancora si dice: Costui fu el quarto, el primo, el
secondo, ecc. Uno, due, tre, e simili, quando e’ significano ordine, vi
si pone l’articolo, e dicesi: Tu fusti el tre, e io l’uno. Il dua è numero
paro, ecc. Fra tutti gli altri nomi appellativi, questo nome Dio s’usa
come proprio, e dicesi: Lodato Dio. Io adoro Dio. Gli articoli hanno
molta convenienza co’ pronomi, e ancora e’ pronomi hanno grande similitudine
con questi nomi relativi zs qui recitati. Adonque suggiungeremogli. De’
pronomi, e’ primitivi sono questi: io tu esso questo quello costui lui colui.
Mutasi l’ultima vocale in a e fassi il femminino, e dicesi: questa, quella,
essa. Solo io e tu, in una voce, serve al masculino e al femminino. E’
plurali di questi primitivi pronomi sono vari, e anche e’ singulari. Declinansi
così: Io e i’: di me: a me e mi: me e mi: dame. Noi: di noi: a noi e ci:
noi e ci: da noi. Tu: di te: ⟨a te⟩ e ti: te e ti: o tu: da te. Voi: di voi:
a voi e vi: ⟨voi e
vi⟩: o
voi: da voi. Esso ed e’: di se e si: se e si: da se; ed Egli. Non
troverrai in tutta la lingua toscana casi mutati in voce altrove che in questi
tre pronomi: io, tu, esso. Gli altri primitivi se declinano così:
Questo: di questo: a questo: questo: da questo. Quello: di quello: a
quello: quello: da quello. Muta o in i e arai el plurale, e dirai:
Questi: di questi: a questi: questi: da questi. [p. 182] E il
somigliante fa quelli E così sarà costui e lui e colui, simili a quegli
in singulare; ma in plurale costui fa costoro, lui fa loro, colui fa coloro, di
coloro, a coloro, coloro, da coloro. Questo e quello mutano o in a e
fassi el femminino singulare, e dicesi: questa e quella; e fassi il suo
plurale: queste, di quelle, a quelle. Lui, costui, colui, mutano u in e e
fassi el singulare femminino, e dicesi: costei, lei, colei, di colei, ecc. In
plurale hanno quella voce che e’ masculini, cioè: loro, coloro, costoro, di
costoro, a costoro, ecc. Vedesti come, simile a’ nomi propri, questi
pronomi primitivi non hanno el primo articolo né anche el quarto. A questa
similitudine fanno e’ pronomi derivativi, quando e’ sono subiunti a e’ propri
nomi. Ma quando si giungono agli appellativi, si pronunziano co’ suoi
articoli. Derivativi pronomi sono questi, e declinansi così: El
mio, del mio, ecc., e plurale: e’ miei, de’ miei,ecc. El nostro, del nostro,
ecc. E plurale: e’ nostri, de’ nostri, ecc. El tuo. Plurale: e’ tuoi. El
vostro. Plurale: e’ vostri. El suo. E pluraliter: e’ suoi, ecc. Mutasi,
come a e’ nomi, l’ultima in a, e fassi el singulare femminino: qual a, converso
in e, fassi el plurale, e dicesi: mia e mie; vostra, vostre; sua e sue.
In uso s’adropano questi pronomi non tutti a un modo. E’ derivativi,
giunti a questi nomi, padre, madre, fratello, zio, e simili, si pronunziano
senza articolo, e dicesi: mio padre, nostra madre, e tuo zio, ecc. Mi e
me, ti e te, ci e noi, vi e voi, si e sé sono dativi insieme e accusativi, come
di sopra gli vedesti notati. Ma hanno questo uso che, preposti al verbo, si
dice mi, ti, ci, ecc.; come qui: e’ mi chiama; e’ ti vuole; que’ vi chieggono;
io mi sto; e’ si crede. Posposti al verbo, se a quel verbo sarà inanzi altro
pronome o nome, si dirà come qui: io amo te, e voglio voi. [p. 183] Si al
verbo non sarà aggiunto inanzi altro nome o pronome, si dirà: -i, come qui:
aspettaci, restaci, scrivetemi. Lui e colui dimostrano persone, come
dicendo: lui andò, colei venne. Questo e quello serve a ogni
dimostrazione, e dicesi: Questo essercito predò quella provincia, e: Questo
Scipione superò quello Annibale. E’ ed el, lo e la, le e gli, quali,
giunti a’ nomi, sono articoli, quando si giungono a e’ verbi, diventano ·pronomi
e significano quello, quella, quelle, ecc. E dicesi: Io la amai; Tu le biasimi;
Chi gli vuole? Ma di questi, egli ed e’ hanno significato singulare e
plurale; e, preposti alla consonante, diremo e’, come qui: e’ fa bene; e’
corsono. E, preposti alla vocale, si giugne e’ e gli, e dicesi: egli andò; egli
udivano. E quando ⟨segue⟩ loro s preposta a una consonante, ancora
diremo: egli spiega; egli stavano. Potrei in questi pronomi essere
prolisso, investigando più cose quali s’osservano, simili a queste: Vi
preposto a’ presenti singulari indicativi, d’una sillaba, si scrive in la prima
e terza persona per due v, e simile in la seconda persona presente imperativa,
come stavvi e vavvi; e ne’ verbi, d’una e di più sillabe, la prima singulare
indicativa del futuro, come amerovvi, leggerovvi, darotti, adoperrocci, e
simile. Ma forse di queste cose più particulari diremo altrove.
Sequitano e’ Verbi Non ha la lingua toscana verbi passivi, in
voce; ma, per esprimere el passivo, compone con questo verbo sono, sei, è, el
participio preterito passivo tolto da e’ Latini, in questo modo: Io sono amato;
Tu sei pregiato; Colei è odiata. E simile, si giugne a tutti e’ numeri e tempi
e modi di questo verbo. Adonque lo porremo qui distinto. [p. 184]
Indicativo Sono, sei, è. Plurale: siamo, sete, sono. Ero,
eri, era. Plurale: eravamo e savamo, eravate e savate, erano. Fui, fusti,
fu. Plurale: fumo, fusti, furono. Ero, eri, era stato. Plurale: eravamo e
savamo, eravate e savate, erano stati. Sarò, sarai, sarà. Plurale:
saremo, sarete, saranno. Hanno e’ Toscani, in voce, uno preterito quasi
testé, quale, in questo verbo, si dice cosi: Sono, sei, è stato. Plurale:
siamo, sete, sono stati. E dicesi: Ieri fui ad Ostia; oggi sono stato a
Tibuli. Imperativo Sie tu, sia lui. Plurale: siamo,
siate, siano. Sarai tu, sarà lui. Plurale: saremo, ecc.
Ottativo Dio ch’io fussi, tu fussi, lui fusse. Plurale: fussimo,
fussi, fussero. Dio ch’io sia, sii, sia stato. Plurale: siamo, siate,
siano stati. Dio ch’io fussi, fusse stato. Plurale: fussimo, fussi,
fussero stati. Dio ch’io sia, sii, sia. Plurale: siamo, siate,
siano. Subientivo Bench’io, tu, lui sia. Plurale:
siamo, siate, siano. Bench’io fussi, tu fussi, lui fusse. Plurale:
fussimo, fussi, fussero. Bench’io sia, sii, sia stato. Plurale: siamo,
siate, siano stati. [p. 185] Bench’io fussi, fussi, fusse stato. Plurale:
fussimo, fussi, fussero stati. Bench’io sarò, sarai, sarà stato. Plurale:
saremo, sarete, saranno stati. E usasi tutto l’indicativo di questo e
d’ogni altro verbo, quasi s come subientivo, prepostovi qualche una di queste
dizioni: se, quando, benché, e simili. E dicesi: bench’io fui; se e’ sono;
quando e’ saranno. Infinito Essere, essere stato
Gerundio Essendo Participio
Essente Dirassi adonque, per dimostrare el passivo: Io sono stato
amato; fui pregiato; e sarò lodato; tu sei reverito. Hanno e’ Toscani
certo modo subientivo, in voce, non notato da e’ Latini; e parmi da nominarlo
asseverativo, come questo: Sarei, saresti, sarebbe. Plurale: saremo, saresti,
sarebbero. E dirassi così: Stu fussi dotto, saresti pregiato. Se fussero
amatori della patria, e’ sarebbero più felici. Sequitano e’ verbi
attivi Le coniugazioni de’ verbi attivi in lingua toscana si
formano dal gerundio latino, levatone le ultime tre ·lettere ndo, e quel che
resta si fa terza persona singulare indicativa e presente. Ecco l’essemplo:
amando, levane ndo, resta ama; scrivendo, resta scrive. [p. 186] Sono
adonque due coniugazioni: una che finisce in a, l’altra finisce in e.
Alla coniugazione in a, quello a si muta in o, e fassi la prima persona
singulare indicativa e presente; e mutasi in i, e fassi la seconda; e così si
forma tutto il verbo, come vedrai la similitudine qui, in questo esposto:
Indicativo Amo, ami, ama. Plurale: amiamo, amate, amano.
Amavo, amavi, amava. Plurale: amavamo, amavate, amavano. ⟨Amai, amasti, amò. Plurale: amamo, amasti,
amarono⟩.
Ho, hai, ha amato. Plurale: abbiamo, avete, hanno amato. Amerò, amerai,
amerà. Plurale: ameremo, amerete, ameranno. In questa lingua ogni verbo
finisce in o la prima indicativa presente, e in questa coniugazione prima,
finisce ancora in o la terza singulare indicativa del preterito. Ma ècci
differenza, ché quella del preterito fa el suo o longo, e quella del presente
lo fa o breve. Imperativo Ama tu, ami lui. Plurale: amiamo,
amate, amino. Amerai tu, amerà colui. Plurale: ameremo, ecc.
Ottativo Dio ch’io amassi, tu amassi, lui amasse. Plurale: Dio che noi
amassimo, voi amassi, loro amassero. Dio ch’io abbia, tu abbi, lui abbia
amato. Plurale: Dio che noiu abbiamo, abbiate, abbino amato. Dio ch’io
avessi, tu avessi, lui avesse amato. Plurale: Dio che noi avessimo, avessi,
avessero amato. Dio ch’io, tu, lui ami. Plurale: amiamo, amiate, amino.
[p. 187] Subientivo Bench’io, tu, lui ami. Plurale: amiamo,
amiate, amino. Bench’io, tu amassi, lui amasse. Plurale: amassimo,
amassi, ⟨amasse⟩ro. Bench’io abbia, abbi, abbia
amato. Plurale: abbiamo, abbiate, abbino amato. Bench’io avessi, tu
avessi, lui avesse amato. Plurale: avessimo, avessi, avessero amato.
Bench’io arò, arai, arà amato. Plurale: aremo, arete, aranno amato.
Assertivo Amerei, ameresti, amerebbe. Plurale: ameremo, ameresti,
amerebbero. Infinito amare, avere amato. Gerundio
Amando. Indicativo Amante. Vedi come a e’ tempi testé
perfetti e al futuro del subientivo mancano sue proprie voci, e per questo si
composero simile a’ verbi passivi: el suo participio co’ tempi e voci di questo
verbo ho, hai, ha. Qual verbo, benché e’ sia della coniugazione in a, pur
non sequita la regola e similitudine degli altri, però che egli è verbo d’una
sillaba, e così tutti e’ monosillabi sono anormali. [p. 188] Né troverrai
in tutta la lingua toscana verbi monosillabi altri che questi sei: Do; Fo; Ho;
Vo; Sto; Tro. Porremogli adonque qui sotto distinti. Ma, per esser breve,
notiamo che e’ sono insieme dissimili ne e’ preteriti perfetti indicativi, e
ne’ singulari degli imperativi, e nel singulare del futuro ottativo, ne’ quali
e’ fanno così: Do: diedi, desti, dette. Plurale: demo, desti,
dettero. Fo: feci, facesti, fece. Plurale: facemo, facesti, fecero.
Ho: ebbi, avesti, ebbe. Plurale: avemo, avesti, ebbero. Vo: andai,
andasti, andò. Plurale: andamo, andasti, andarono. Sto: stetti, stesti,
stette. Plurale: stemo, stesti, stettero. Tro: tretti, traesti, trette.
Plurale: traemo, traesti, trettero. In tutti e’ verbi, come fa la seconda
persona singulare del preterito, così fa la seconda sua plurale; come amasti,
desti, leggesti. Do: da tu, dia lui. Fo: fa tu, faccia lui.
Ho: abbi tu, abbia lui. Vo: va tu, vada lui. Sto: sta tu, stia
lui. Tro: tra tu, tria lui. Do: Dio ch’io dia, tu dia, lui
dia. Fo: faccia, facci, faccia. Ho: abbia, abbi, abbia. Vo:
vada, vadi, vada. Sto: stia, stii, stia. Tro: tragga, tragghi,
tragga. Sequita la coniugazione in e. Questa si forma simile
alla coniugazione in a. Mutasi quello e in o, e fassi la prima presente
indicativa. Mutasi in i, e fassi la [p. 189]seconda, come qui: leggente e
scrivente, levatone nte, resta legge, scrive; onde si fa leggo, leggi, leggeva,
leggerò, ecc. Solo varia dalla coniugazione in a in que’ luoghi dove variano e’
monosillabi. Ma questa coniugazione in evaria in più modi, benché comune faccia
e’ preteriti perfetti indicativi in -ssi, per due s, come: leggo, lessi;
scrivo, scrissi. Ma que’ verbi che finiscono in -scofanno e’ preteriti in -ii
per due i, come esco, uscii; ardisco, ardii; anighittisco, anighittii. Ma, per
più suavità, nella lingua toscana non si pronunziano due iunte vocali. Da
questi verbi si eccettuano cresco ed e’ suoi compositi, rincresco, accresco, e
simili, quali finiscono, a’ preteriti perfetti, in -bbi, come crebbi,
rincrebbi. Item, nasco fa nacqui, e conosco fa conobbi. E que’ verbi che
finiscono in mo fanno e’ preteriti in -etti, come premo, premetti; e quei che
finiscono in dofanno e’ preteriti in -si, per uno s, come ardo, arsi; spargo,
sparsi; eccetto vedo fa vidi; odo, udi’; cado, caddi; godo, godei e godetti. E
quegli che finiscono in ndo fanno preteriti -si, per uno s: prendo, presi;
rispondo, risposi; eccetto vendo fa vendei e vendetti. Sonci di queste
regole forse altre eccezioni, ma per ora basti questo principio di tanta cosa.
Chi che sia, a cui diletterà ornare la patria nostra, aggiugnerà qui quello che
ci manchi. Dicemo de’ preteriti, resta a dire degli altri.
Imperativo Leggi tu, legga colui. Ottativo Futuro
singulare: Dio ch’io scriva, tu scriva, lui scriva. E così fanno tutti. Verbi
impersonali si formano della terza persona del verbo attivo in tutti e’ modi e
tempi, giuntavi si, come: amasi, leggevasi, scrivasi. Ma questo si suole
trasporlo innanzi al verbo, giuntovi e’, e dicesi: e’ si legge; e’ si corre; e
massime nell’ottativo e [p. 190]subientivo sempre si prepone, e dicesi: Dio che
e’ s’ami; quando e’ si leggerà, e simile. sequitano le preposizioni
Di queste alcune non caggiono in composizione, e sono queste: oltre,
sino, dietro, doppo, presso, verso, ’nanzi, fuori, circa. Preposizioni
che caggiono in composizione e ancora s’adoperano seiunte, sono di una sillaba
o di più. D’una sillaba sono queste: De: de’ nostri; detrattori.
Ad: ad altri; admiratori. Con: con certi; conservatori. Per: per tutti; pertinace.
Di: di tanti; diminuti. In: in casa; importati. Di, preposto allo infinito, ha
significato quasi come a’ Latini ut. E dicono: Io mi sforzo d’essere
amato. Quelle de più sillabe sono queste: Sotto sottoposto Sopra sopraposto
e dicesi Entro entromesso Contro contraposto
Preposizioni quali s’adoperano solo in composizione: Re, sub, ob, se, am, tras,
ab, dis, ex, pre, circum; onde si dice: trasposi e circumspetto.
Sequitano gli avverbi Per e’ tempi, si dice: oggi, testé, ora,
ieri, crai, tardi, omai, già, allora, prima, poi, mai, sempre, presto, subito.
[p. 191] Per e’ luoghi, si dice: costì, colà, altrove, indi, entro,
fuori, circa, quinci, costinci, e qui e ci, e ivi e vi. Onde si dice: Io voglio
starci, io ci starò, pro qui; e verrovvi e io vi starò, pro ivi. Pelle cose,
si dice: assai, molto, poco, più, meno. Negando, si dice: nulla, no,
niente, né. Affirmando, si dice: sì, anzi, certo, alla fe’.
Domandando, si dice: perché, onde, quando, come, quanto. Dubitando:
forse. Narrando, si dice: insieme, pari, come, quasi, così, bene, male,
peggio, meglio, ottime, pessime, tale, tanto. Usa la lingua toscana
questi avverbi, in luogo di nomi, giuntavi l’articolo, e dice: el bene, del
bene, ecc.; qual cosa ella ancora fa degli infiniti, e dicono: el leggere, del
leggere. Ma a più nomi, pronomi e infiniti giunti insieme, solo in
principio della loro coniunzione usa preporre non più che uno articolo, e
dicesi: el tuo buono amare mi piace. Item, a similitudine della lingua
gallica, piglia el Toscano e’ nomi singulari femminini adiettivi e aggiungevi
-mente, e usagli per avverbi, come saviamente, bellamente, magramente. Interiezioni
Sono queste: hen, hei, ha, o, hau, ma, do.
Coniunzioni Sono queste: mentre, perché, senza, se, però, benché,
certo, adonque, ancora, ma, come, e, né, o, segi (sic). E congiunge; né
disiunge; o divide; senza si lega solo a’ nomi e agli infiniti. E dicesi: senza
più scrivere; tu e io studieremo; che né lui né lei siano indotti; o piaccia o
dispiaccia questa mia invenzione. E questo ne ha vario significato e
vario uso. Se si prepone simplice a’ nomi, a’ verbi, a’ pronomi, significa
negazione, come [p. 192]qui: né tu né io meritiamo invidia. E significa in; ma,
aggiuntovi t, serve a’ singulari masculini e femminini; e senza l, serve a’
plurali quali comincino da consonante. A tutti gli altri plurali, masculini e
femminini si dice nel-; e quando s sarà preposta alla consonante, pur si dice:
nello spazzo, nelle camere, ne’ letti, nello essercito di Dario, negli
orti. E questo ne, se sarà subiunto a nome o al pronome, significa di
qui, di questo, di quello, secondo che l’altre dizioni vi si adatteranno, come
chi dice: Cesare ne va, Pompeio ne viene. E questo ne, posposto al verbo,
sarà o doppo a monosillabi o doppo a quei di più sillabe; e più, o significa interrogazione
o affirmazione o precetto. Adonque, doppo l’indicativo monosillabo, la
interrogazione si scrive, in la prima e terza persona, per due n, la seconda
per uno n, come, interrogando, si dice: vonne io? va’ ne tu? vanne colui? Nello
imperativo si scrive la seconda per due n, e dicesi: vanne, danne. La terza si
scrive per uno, e dicesi: diane lui, traggane. E questi monosillabi, la prima
indicativa presente, affirmando, si scrive per due n, e dicono: fonne, vonne,
honne. Se sarà el verbo di più sillabe, la interrogazione e affirmazione
si scrive per uno n in tutti e’ tempi, eccetto la affirmazione in lo futuro,
quale si scrive per due n, come dicendo: portera’ ne tu? porteronne. E questo
sino qui detto s’intenda per e’ singulari, però che a’ plurali si scrive quello
ne sempre per uno n, come andiamone. Non mi stendo negli altri simili usi
a questi. Basti quinci intendere e’ principi d’investigare lo avanzo. E’
vizi del favellare in ogni lingua sono o quando s’introducono alle cose nuovi
nomi,o quando gli usitati si adoperano male. Adoperanosi male, discordando
persone e tempi, come chi dicesse: tu ieri andaremo alla mercati. E
adoperanosi male usandogli in altro significato alieno, come chi dice:
processione pro possessione. Introduconsi nuovi nomi o in tutto alieni e
incogniti o in qualunque parte mutati. Alieni sono in Toscana più nomi
barberi, lasciativi da gente Germana, quale più tempo militò in Italia, come
elm, vulasc, [p. 193]sacoman, bandier, e simili. In qualche parte mutati saranno
quando alle dizioni s’aggiungerà o minuirà qualche lettera, come chi dicesse:
paire pro patre, e maire pro matre. E mutati saranno come chi dicesse:
replubica pro republica, e occusfato pro offuscato; e quando si ponesse una
lettera per un’altra, come chi dicesse: aldisco pro ardisco, inimisi, pro
inimici. Molto studia la lingua toscana d’essere breve ed espedita, e per
questo scorre non raro in qualche nuova figura, qual sente di vizio. Ma questi
vizi in alcune dizioni e prolazioni rendono la lingua più atta, come chi,
diminuendo, dice spirto pro spirito; e massime l’ultima vocale, e dice papi, e
Zanobi pro Zanobio; credon far quel bene. Onde s’usa che a tutti gl’infiniti,
quando loro segue alcuno pronome in i, allora si getta l’ultima vocale e
dicesi: farti, amarvi, starei, ecc. E, mutando lettere, dicono mie pro
mio e mia, chieggo pro chiedo, paio pro paro, inchiuso pro incluso, chiave pro
clave. E, aggiugnendo, dice vuolepro vole, scuola pro scola, cielo pro
celo. E, in tutto troncando le dizioni, dice vi pro quivi, e similiter,
stievi pro stia ivi. Si questo questo nostro opuscolo sarà tanto grato a
chi mi leggerà, quanto fu laborioso a me el congettarlo, certo mi diletterà
averlo promulgato, tanto quanto mi dilettava investigare e raccorre queste cose,
a mio iudizio, degne e da pregiarle. Laudo Dio che in la nostra lingua
abbiamo omai e’ primi principi: di quello ch’io al tutto mi disfidava potere
assequire. Cittadini miei, pregavi, se presso di voi hanno luogo le mie
fatighe, abbiate a grado questo animo mio, cupido di onorare la patria nostra.
E insieme, piacciavi emendarmi più che biasimarmi, se in parte alcuna ci vedete
errore. Della Thoscana senza auttore; cc. 55r-94v: Ant. Galateus de Sìtu
Iapigiae; cc. 95r-104v: Ant. Turcheti Oratio; cc. 105r-108v: Iusti Baldini
[Oratio]; cc. 109r-113v: una rassegna delle regioni di Roma antica, attribuita
a Paulus Victor. Per la descrizione e la storia del codice vedi l’ed. del 1964,
pp. xi-xviii, cit. qui sotto. [p. 362] Firenze Biblioteca
Riccardiana 2. Cod. Moreni 2. Cod. cart. sec. XV, contenente tre opere
dell’Alberti precedute da un foglio di guardia in pergamena, ora num. I, al cui
verso:figura l’abbozzo autografo dell’Ordine delle Lettere, corrispondente con
alcune varianti all’inizio della grammatica nel cod. Vaticano. Per la
descrizione del cod. vedi vol. II, pp. 405 sgg. della presente edizione e cfr.
C. Colombo, L. B . Alberti e la prima grammatica italiana, in «Studi
Linguistici Italiani)), III, 1962, pp. I76-87, e la nostra ed. cit. qui sotto,
pp. vi-viii. edizioni 1. C . Trabalza, Storia della grammatica
italiana, Firenze, 1908, pp. 531-48. 2. L. B. Alberti, La prima
grammatica della lingua volgare, a cura di C. Grayson, Bologna, Commissione per
i Testi di Lingua, 1964. B) LA PRESENTE EDIZIONE Il testo della
presente edizione è in sostanza quello medesimo da noi pubblicato nel 1964. Ci
siamo limitati a correggere alcune sviste ed errori tipografici e ad introdurre
qualche lieve emendamento in seguito alle osservazioni fatte in recensioni a quella
edizione del 1964, tra cui l’attento esame particolareggiato di Ghino Ghinassi
in «Lingua Nostra», XXVI, pp. 31-32. Quanto scrivemmo allora intorno alla data
del cod. Vaticano andrebbe ora qualificato seguendo il giudizio del compianto
Roberto Weiss, cioè che si tratta di copia fatta più tardi di un manoscritto,
ora perduto, copiato nel 15081. Tale precisazione però non incide sulla
costituzione del testo né cambia i criteri adottati nella presentazione della
grammatica quale figura nel cod. Vaticano. A parte qualche correzione e
integrazione, di cui diamo ragione nell’apparato, abbiamo [p. 363]seguito
fedelmente il manoscritto, ritoccando soltanto la grafia nei casi seguenti:
distinguendo u da v, togliendo e aggiungendo h secondo i casi, livellando in doppia
qualche scempia inerte smentita da doppia corretta (e viceversa). Abbiamo pure
rammodernato la punteggiatura irregolare del codice, e modificato gli accenti
salvo nello specchio delle Vocali, dove è indispensabile rispettare
l’originale. Riguardo a questo specchio, perché il lettore possa apprezzare
pienamente le varianti col frammento del cod. Mor. 2, riproduciamo a p. sg. il
facsimile dell’Ordine delle lettere pella lingua toschana, che dovette
rappresentare una prima stesura dell’inizio della grammatica quale appare nel
cod. Vaticano2. La scoperta di questo frammento autografo, aggiunta alle
prove interne, soprattutto di carattere linguistico, da noi esposte minutamente
nella edizione citata, hanno reso oramai certa l’attribuzione di questa grammatica
all’Alberti. Non occorre qui insistere su un problema già risolto
definitivamente; basti rimandare per ogni ulteriore informazione alla
introduzione a quella edizione. Né avremmo altri elementi da aggiungere alla
ipotesi ivi formulata che l’Alberti abbia steso questa grammatica durante il
quinto decennio del sec. XV, o comunque non più tardi del nov. 1454, data in
cui scrivendo a Matteo de’ Pasti (vedi pp. 291 sgg. di questo volume) adoperò
lo spirito aspro greco per distinguere è verbo da earticolo, proprio come nella
grammatica. Per l’importanza di questa innovazione e per la piena illustrazione
del testo della grammatica, si veda l’edizione citata. L’opera è priva di
titolo nei codici. Le diamo qui quello di Grammatica della lingua toscana,
fondandoci suglì accenni interni, nel 1° paragrafo per la «grammatica» e passim
per la «lingua toscana». C) APPARATO CRITICO p. 177. 14. Alla forma
particolare del g per significare il suono gutturale sostituiamo, sull’analogia
di ch, gh(cfr. facsimile Cod. Mor. 2) rg. Cod. giro giro alcio(ma cfr. Cod.
Mor. 2). p. 179. 6. Il copista avrà saltato per sbaglio il vocativo. p. 180. 25.
Cod. sono e sei e serve. [p. 364] firenze, Bibl. Riccardiana, Cod. Moreni
2. Foglio grammaticale autografo di L. B . Alberti (cfr. p. 177-78). [p. 365]
p. 181. 15. Cod. similitudini com 25-26. L'analogia delle altre serie consiglia
le integrazioni. p. 183. 2. Cod. aspettoci, che potrebbe anche correggersi in
aspettati (come propone il Ghinassi) 16. Accogliamo l'integrazione già proposta
dal Trabalza, op. cit., p. 540 19. Cod. quasi s'osservano30. Cod. si giugni. p.
184. 18. Cod. fussimo fussir fussero stati. p. 183. 3. Cod. saremo, sarete,
sareste stati 6. Cod. questi. p. 186. 9. Cod. amàvamo, con l'accento sulla
terzultima, dopo aver cancel- lato l'accento sulla penultima (sono d'accordo
ora col Ghinassi che sarebbe difficile sostenere che l'accento sulla terzultima
risalga senza dubbio all'originale) 10. Introduco le forme del preterito, sal-
tato dal copista (ma se ne parla subito dopo alle r. 16-17) 28. Cod. Dio ch'io
ami tu lui ami (cfr. 187, 3). p. 187. 11. Cod. amerai. p. 188. 2. Nel marg. del
cod. il copista ha scritto So, per indicare l'omissione di questo verbo nella
serie di verbi monosillabi 4. Cod. notamo, che non può valere come perfetto
qui, e perciò va corretto in notiamo 26. Cod. tragga traggi tragga. p. 189 7-8.
Cod. anigittisco anigittii 19. Cod. forsi. p. 190. s. Cod. sine 23. Cod. quale.
p. 191. 3. Cod. verrovi (ma sarebbe contro la regola già stabilita a p. 183) 6.
Cod. affirimando 24. Cod. ne osegi, da cui si deve staccar l’o per quel che si
dice subito appresso, lasciando un segi problematico (forse errore di
trascrizione per e.g. o per etc.?). p. 192 s. Cod. camemere 10. Cod. preposto,
ma, come osserva il Ghinassi, deve essere un errore 17. Cod. lezione incerta
tra siane, diane 36. Cod. Vulase saceman; correggiamo il primo in vulasc per
conformità con la serie di 'nomi barberi' tutti terminanti in consonante, senza
però poterne spiegare il significato; il secondo (p. 193, I) in sacoman anziché
supporre una forma sachemanaltrimenti non attestata. p. 193. 11 . La lezione
papi è chiara nel cod. ma difficile a spiegare (si è pensato a pabbio, papeo,
papiro). ↑ Vedi «Italian Studies», XX, 1965, pp. 109-10. ↑ Per la discussione e
illustrazione del foglio autografo del cod. Mor. 2 vedi l’art. cit. sopra di C.
Colombo. InFirenze,tragliuomini di studio,educati cioèaglistudi
umani,sidistinseroaquestopropositogl'ingegniliberida ogni abito di
pedantería,che non s'erano allontantanati con superbo fastidio dalla fonte di
quelle vene, soprattutto gli artisti e gliuomini d'azione.E tra questi,chi
meglio conobbe ilvalore di questo luminoso mezzo che il suo popolo gli offriva,
e insieme intravide il lavoro che la mente e la volontà fanno nella formazione
e nell'uso della parola, fu l'antico grande cittadino nato in esilio,
l'umanista architetto, l'abbreviatore · moralista della famiglia, il
raccoglitore e innovatore della ·F. TORBACA,Rimatori napoletani del secolo X V
,in Discus sioni e ricerche letterarie, Livorno, Vigo,1888,pagg.166 e 135
eseguenti. 217 tradizione formatasi a Santa Maria
Novella?,cioè Leon Bat: tista Alberti. Egli primo, o più preparato e franco di
tutti, si mosse a difesa del « volgare idioma »,che sentiva « degno d'onore »
con « vere ragioni », « in diverse maniere » pro vando 2 : e una di queste
maniere fu probabilmente quella di far riconoscere nella lingua che per lui era
paterna, l'ordine grammaticale ; che cioè l'uso di quella lingua è ordinato e
legittimo non meno del latino,e che si può raccogliere in « ammonizioni atte a
scrivere e favellare senza corruttela »; che insomma in quest'uso comune e
stabile sono applicate leggi di ragione. Intendo che probabilmente a lui si
devono quei Primi principij della grammatica o della lingua toscana, cioè quel
geniale « saggio... d'una grammatica dell'uso vivo di Firenze 3 » che i Medici
conservarono a noi, e che ora Le prime linee del suo trattato della Famiglia
l'Alberti le tolse dall'opuscolo di Giovanni Dominici a Bartolomea Obizzi negli
Alberti,noto col titolo Regola del governo di cura famigliare. V.lo nell'ediz.
SALVI, Firenze, Garinei, 1860. 2 Queste parole sono di Michele del Giogante.V.
FR .FLAMINI, La lirica toscana del Rinasciniento anteriore ai tempi del Magni.
fico,Pisa,Nistri,1891,pagg.8-9.Cfr.O. Bacci,op.cit.,pag.86.
*L.MORANDI.LorenzoilMagnifico,Leonardoda Vincie la prima grammatica
italiana;Leonardo eiprimi vocabolari:ricerche: Città di
Castello,Lapi,1900,pag.146. Ma cfr.F. SENSI,Ancora di L. Alberti grammatico, in
Rendiconti del R. Ist. lombardo, Serie II,vol.XLII (1909).L'opuscolo è
pubblicato in appendice alla Storia della grammatica italiana di C.
TRABALZA,Milano, Hoepli, 1908. Propongo qui l'opinione che mi par più
probabile,anche dopo che il Morandi ha difeso la sua nell'articolo Per Leonardo
da Vinci e per la « Gramatica di Lorenzo de' Medici », nella Nuova Antologia 1°
ottobre 1909. Il titolo,che la copia vaticana dell'opu. scolo ha,non esemplato
dall'originale,e nel foglio di guardia da altra mano che quella dell’amanuense
segnato,DELLA THOSCANA SENZA AUTTORE,mi pare si possa desumere qual era nella
mente di questo autore dal ringraziamento finale (c.16a):«LaudoDio che in la
nostra lingua habbiamo homai e' primi principij; di 218 1 dimostra
in chi l'ha dato l'antico cittadino italiano e il filo logo moderno. Così Leon
Battista dette primo alla patria sua,fuori della quale era nato, la corona
della lingua: e da lui n'ereditò la difesa ilgiovanetto figlio di Piero dei
Medici (cioè del fautore di lui in quest'opera) e di Lucrezia Tornabuoni : il
quale, seguendo il suo genio nativo,che lo conduceva all'acquisto della
grandezza, cercò esser popolare 1 »; e de'suoi grandi intendimenti,e delle cure
che gl'imponeva ilprincipato nella sua città, voluto e mantenuto ad ogni costo,
non credeva nu trito », « aggiungendosi ... prospero successo ed augumento al
fiorentino imperio 2 » si estendesse e diventasse comune ad altre città e
province, come Roma avea fatto della quello ch'io al tutto m i disfidaua potere
assequire ». Ch'egli poi le ammonitioni » di quest' a arte » anche « in la
lingua nostra » chiamasse «suo nome,Grammatica » lo dice espressamente nel
proemio ; e quest'esempio ci dà facoltà d'argomentare per a n a logia, che
anche l'Alberti indicando un suo lavoro con le parole De litteris atque
coeteris principiis grammaticae abbia potuto intendere aquesta arte... in la
lingua nostra ».Del resto, una annotazione
assaisimileadaltradellaGrammatichetta,traquelle del Colocci, nel vatic.4817
(c.68a;sotto iltitolo aLingue de variiBarbari »),mi fa supporre ch'egli
conoscesse quell'opuscolo, perluiprezioso,cheeranellaLibreriadeMedici
«senzaauttore»; egli che,in Roma,quella libreria frequentava, come prova, se
non altro,l'indicazione che sitrova nell'altrosuo ms.,ilvat.3217 (c. 329 b): a
Bapta Alberto in libreria de medici de Rythmis ». A proposito della quale
opera,altrove (4817,c.139),dice che stima facesse dell'autore: «Leon Alberto
huomo alli tempi nostri di dottrina et d'ingegno a nullo inferiore ». Questo
sia detto col rispetto dovuto all'autorità di Luigi Morandi, nel comune amore
del vero. 1 GINO CAPPONI, Storia della repubblica fiorentina, Firenze,
Barbèra,1875,t.II,pag.191. Cfr.0. BACCI,Op.cit.,pag.69. 2 Commento del Mco L.
DE M. sopra alcuni de'suoi sonetti, nelle sue Opere,Firenze,Molini,1825,vol.IV.
ultima questa, che la lingua « nella quale era nato e 219 220
latina. Allo stesso modo poi il figliuolo suo Giovanni, che venne veramente,
come allora si diceva, a capo delle cose del mondo col nome di Leon X , voleva
tenuta in onore diffusa la lingua latina serbata nella ecclesiastica e allora
restaurata secondo l'esemplare augustèo 1: inter caeteras curas, quas in hac
humanarum rerum curatione divinitus nobis concessa, subimus, non in postremis
hanc quoque habendam ducimus, ut latina lingua nostro Pontificatu dicatur facta
auctior . Così dunque Lorenzo raccolse l'eredità dell'antica lingua fiorentina
da Leon Battista e dagli altri generosi custodi e difensori di essa della
generazione anteriore, e ne fece la lingua dotta della sua corte popolana, uno
strumento di regno. Quanto il suo esempio fosse efficace sui prìncipi con
temporanei, lo dice un cortigiano della generazione a lui se guente,Vincenzo
Colli oda ColledettoilCalmeta,chedisegnò e difese l'ideale della lingua
cortigiana : « La vulgar poesia et arte oratoria, dal Petrarca e Boccaccio in
qua quasi adulte . rata, prima da Laurentio Medice e suoi coetanei, poi m e
diante la emulatione di questa et altre singularissime donne di nostra etade,
su la pristina dignitade essere ritornata se comprehende2».E
questadonnaeraBeatriced’Este,lagio vane sposa di Ludovico il Moro, e le
principali tra le altre erano la sorella maggiore di lei sposa del marchese
Francesco Gonzaga,Isabella,ed Elisabetta Gonzaga sposa di Guidubaldo da
Montefeltro duca d'Urbino. Breve a Franc.De Rosis scritto dal Sadoleto,citato
dal PASTOR, Storia dei Papi dalla fine del M. evo,vol. IV,p. Nella Vita di
Serafino Aquilano in fronte alle Rime di lui, ediz.cit., (Leon X
),trad.Mercati,Roma,Lefebvre,1908,pag.410. I e 1 pag.11.. Keywords: della
thoscana senza autore id ny LEONARDO Alberti, no LEONE Alberti. Refs.: Luigi Speranza, "Grice ed Alberti,"
per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51616912104/in/photolist-2mUWr2e-2mUuQG8-2mTDBnW-2mTzuqN-2mTBDZh-2mT17bU-2mSMKfP-2mRyRFD-2mQPiYS-2mQH692-2mQkxxa-2mPTwCM-2mPMBQM-2mPAuFE-2mN36eA-2mMZakg-2mN3BKY-2mMR3uj-2mMNk8z-2mLKtaD-2mLGX8g-2mKCQBD-2mKMsLp-2mPqEYR-2mKGTYe-2mKT4G5-2mKBG8V-2mKyxbn-2mKbtnq-2mKfd8P-2mJ3q6x-2mGT6p1-2mFWw3T-2mDdaEq-2mDaWHG-2mDdaac-2mDaXWZ-Bmcr3X-BvUfSB-BYzvBt-u8e6xs-nTuR51-o8NiFL-o95idg-nBMfBK
Grice ed Albertini
– la confederazione di Romolo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pavia). Filosofo.
Grice: “H. L. A. Hart calls Albertini a Proudhonian!” -- Grice: “I like
Albertini; like me, he has dedicated his life to ‘fides,’ or ‘una federazione
di due,’ “a garden of Eden just meant for two” – fiducia, fedes – what Remo
asked from Romolo, but failed!” Filosofo. Insegna a Pavia. Sostene un progetto di unione
federalista per l'Europa alla guida del Movimento Federalista Europeo e della
Unione dei Federalisti Europei. Adiere al Movimento federalista europeo. Di idee
liberali, lascia tuttavia il Partito Liberale dopo la decisione di quest'ultimo
di appoggiare la monarchia nel referendum. Dopo la laurea in filosofia divenne
docente di Storia contemporanea, Dottrina dello Stato, Scienza della Politica e
Filosofia della politica a Pavia. In seguito alla sconfitta sul progetto di
Esercito Europeo, la CED, e alle dimissioni di Spinelli, lo sostitue alla guida
del Movimento Federalista Europeo. A Milano con un gruppo di militanti del Movimento
federalista europeo fonda Il Federalista che si occupa del dibattito sui temi
di fondo del federalismo. Diresse il Mfe
italiano. Presidente dell'Unione dei Federalisti Europei. È poi rimasto come
figura di riferimento e d'indirizzo all'interno del Mfe. A livello teorico, fin
dalle pagine taglienti e polemiche su Lo Stato nazionale, sostene, sulla scia
di Einaudi, che a furia di voler custodire una sterile sovranità, lo stato
italiano e ridotto a "polvere senza sostanza". Da lì l'esigenza di
guardare all'unificazione europea come alla medicina d'urto indispensabile. Maestro
di federalismo, articolo di Arturo Colombo, Corriere della Sera, Archivio storico. Lo Stato nazionale, La politica, Giuffré, Il
federalismo e lo stato federale, Giuffré, Che cos'è il federalismo,
L'integrazione europea, Proudhon, Vallecchi, Tutti gli scritti, Nicoletta
Mosconi, Il Mulino, Movimento Federalista Europeo Unione dei Federalisti
Europei Centro studi sul federalismo:
perspectives on federalism , su on-federalism.eu. Il Federalista: "Mario
Albertini teorico e militante" di Nicoletta Mosconi su thefederalist.eu.
Centro studi sul federalismo: Opere di Mario Albertini, su csfederalismo. youtube:
1985 Mario Albertini commenta la manifestazione federalista di Piazza Duomo, su
youtube.com. V D M Logo MFE.svg Federalismo europeo Flag of Europe.svg. E’ per
me un grande onore essere stato invitato a fare una relazione a questo convegno
per ricordare Mario Albertini, un uomo che ha fatto tanto per noi federalisti,
per l’Europa e per l’umanità intera. Questo onore è particolarmente
significativo per me perché egli, come Altiero Spinelli, ha fatto del pensiero
della scuola inglese degli anni Trenta e dei primi anni Quaranta, insieme a
quello dei Padri fondatori americani, la base del suo pensiero federalista.
Albertini spiegò che mentre il pensiero fondato sulla fonte inglese ha dato una
risposta alla domanda “perché creare la Federazione europea?”, quello fondato
sulla fonte americana ha dato una risposta alla domanda “come crearla?”[1].
Quanto alla domanda “quale forma di federazione?”, la risposta, per Albertini
come per gli inglesi, era contenuta nella Costituzione degli Stati Uniti
d’America. Il problema che oggi voglio affrontare riguarda il modo in cui
il pensiero di Albertini ha sviluppato queste due tradizioni federaliste. In
generale si può dire che egli è stato il massimo esponente del pensiero
hamiltoniano della seconda metà del Novecento, oltre che il creatore della
scuola federalista italiana. Egli è stato non solo un esponente, ma anche un
innovatore, spesso illuminando il pensiero di altre scuole, in altri casi
differenziandosi con contributi originali. Quale forma di
federazione. Per Albertini, come per Spinelli e per la scuola inglese, la
questione centrale era la trasformazione di Stati a sovranità assoluta in Stati
federati in uno Stato federale. Per loro il federalismo di Althusius o di
Proudhon – considerato da Albertini come “una tecnica… per il decentramento del
potere politico”[2] – non era di grande rilievo. Albertini sosteneva che
Proudhon “era rimasto, quanto alla concezione dello Stato, un anarchico”,
benché egli lo abbia definito anche un “grande presbite” che “ha previsto quale
sarebbe stato il limite tragico della democrazia nazionale qualora non avesse
trovato i suoi correttivi nella democrazia locale e nella democrazia europea”.
Albertini affermava inoltre che il federalismo richiede “la creazione di orbite
di governo democratico locale ad ogni livello di manifestazione concreta delle
relazioni umane”[3]. Ma egli concentrò il suo pensiero sulla creazione di una
federazione tra Stati sovrani, essenziale per garantire la pace fra loro.
Mentre gli scrittori della scuola inglese si erano attenuti ad un’esposizione
classica della forma di una tale federazione, Albertini ne fece la migliore
rielaborazione della seconda metà del Novecento[4]. Sia la scuola inglese, sia
Albertini, condividevano la preferenza per il sistema europeo basato su un
esecutivo parlamentare piuttosto che quello presidenziale americano, pur
accettando per il resto gli elementi principali della Costituzione americana.
Albertini riteneva cioè più valido un “governo responsabile di fronte al
Parlamento europeo… come istanza di controllo democratico dell’attività dell’Unione”[5].
Egli arricchì il pensiero federalista anche con la sua analisi della relazione
tra nazione e Stato[6]. Secondo lui, lo Stato nazionale, con il suo dispotismo,
danneggia la vita dei cittadini, ponendo restrizioni allo sviluppo economico e
provocando la guerra[7]. I suoi limiti si manifestano anche nella
“contraddizione tra l’affermazione della democrazia nel quadro nazionale e la
sua negazione nel quadro internazionale”, che pregiudica anche l’affermazione
del liberalismo e del socialismo a livello nazionale[8]. Lo Stato nazionale
dovrebbe essere sostituito con uno Stato federale plurinazionale; la
Federazione europea sarebbe “un popolo di nazioni, un popolo federale”, e non
“un popolo nazionale”; il federalismo prevede una struttura di Stati democratici
plurinazionali fino al livello mondiale[9]. Il pensiero della scuola inglese su
questo tema non era diverso, ma l’analisi di Albertini è più
approfondita. Negli anni Trenta, la scuola inglese indicò nel federalismo
la soluzione alproblema della guerra. Dal punto di vista logico, l'obiettivo
finale non può che essere una federazione mondiale, ma essa è realizzabile solo
nel lungo periodo. Parecchi, quindi, sostenevano la proposta di Clarence Streit
per una federazione di quindici democrazie, Stati Uniti inclusi, per impedire
una guerra provocata dall’Asse. Ma l’America isolazionista non era disponibile
e nel 1939 i leader della scuola inglese si indirizzarono verso l’ipotesi di
una federazione delle democrazie europee, in attesa dell’adesione degli Stati
allora fascisti dopo il loro ritorno alla democrazia. Questo fu
naturalmente il punto di partenza per Albertini che, dopo il rifiuto del Regno
Unito di partecipare alla Comunità europea, prefigurò, per cominciare, “una
Federazione europea comprendente almeno i sei paesi che hanno preso la testa
del processo di unificazione”, e poi la sua “estensione graduale a tutta
l’Europa”[10]. Quando il Regno Unito entrò nella Comunità, egli aggiunse che
“bisogna attendere che l’adesione alla Comunità dia i suoi frutti”[11].
Attendiamo ancora questi frutti – e speriamo bene! Kenneth Wheare
indicava “la somiglianza di istituzioni politiche” fra gli Stati membri come
una condizione della formazione di una federazione[12]. Albertini fu più
preciso, affermando che era necessaria, sia nella federazione che negli Stati
membri, “l’attribuzione della sovranità al popolo nel quadro del regime
rappresentativo, con la possibilità di sdoppiare la rappresentanza mediante la
doppia cittadinanza di ogni elettore”[13]. Questa condizione è divenuta
particolarmente rilevante per quanto riguarda le nuove democrazie candidate
all’adesione all’Unione, e rimane un problema cruciale per la creazione di una
federazione mondiale. Perché la federazione. Nel 1937 Lionel
Robbins pubblicò il libro Economic Planning and International Order,
analizzando le ragioni per le quali il quadro di una federazione internazionale
era essenziale per il buon governo di un’economia internazionale. Nel 1939, in
The Economic Causes of War, egli spiegò perché la causa della guerra non fosse
il capitalismo, bensì la sovranità nazionale, e concluse con un appello
appassionato per una Federazione europea[14]. Albertini ha ricordato che questi
libri furono le più importanti fonti federalistiche per Spinelli, quando era al
confino sull’isola di Ventotene[15]. Per la scuola inglese del
dopoguerra, come per Robbins nel1939, la pace era lo scopo del federalismo. La
pace era il “valore centrale” e “l’obiettivo supremo” del federalismo anche per
Albertini[16], la complessità del cui pensiero era talvolta nascosta dalla
semplicità delle sue formulazioni. Egli ha ricalcato il pensiero di Lord
Lothian definendo la pace non come “il semplice fatto che la guerra non è in
atto”, ma come “l’organizzazione di potere che trasforma i rapporti di forza
fra gli Stati in rapporti giuridici veri e propri”[17]. A partire dal 1981,
Albertini riconobbe che “con la lotta per l’unificazione europea si sono
ottenute le prime forme di politica europea e la fine della rivalità militare fra
i vecchi Stati nazionali dell’Europa occidentale”[18]. Cioè, per quanto
riguarda i rapporti reciproci fra questi ultimi, l’obiettivo della pace era già
stato raggiunto, mentre per alcuni Stati dell’Europa orientale, e soprattutto
per il mondo intero, esso rimaneva l’obiettivo supremo. Per i cittadini
dell’attuale Unione, dunque, altri obiettivi sono diventati più importanti.
Albertini ha citato dal Manifesto di Ventotene l’affermazione che la questione
di chi controlla la pianificazione economica è la “questione centrale”[19] (lo
stesso quesito che Robbins aveva proposto nel 1937), ma ha anche individuato
altri valori essenziali del federalismo contemporaneo: la sicurezza
ecologica[20], il rifiuto dell’egemonia (vedi le preoccupazioni di Carlo
Cattaneo e dei Padri fondatori americani)[21] e la democrazia negli Stati
nazionali, che la loro interdipendenza sta indebolendo sempre più[22]. Mi pare
che questi costituiscano gli elementi per spiegare i valori federalisti ai
cittadini dell’Unione europea di oggi. Per quanto riguarda alcuni Stati
dell’Europa centrale e orientale, invece, e soprattutto per il federalismo
mondiale, la pace rimane l’obiettivo di maggiore rilievo. La
Federazione mondiale. Nel suo libro The Price of Peace, pubblicato nel
1945, William Beveridge spiegò che la sovranità nazionale è la causa della
guerra, e la rinuncia ad essa in una federazione mondiale il metodo per
abolirla[23]. Benché egli riconoscesse che questo obiettivo era lontano e che
nel frattempo solo una confederazione sarebbe stata realizzabile, questo libro
mi fece avvicinare al federalismo come risposta alla terribile esperienza della
guerra. Dopo Hiroshima e Nagasaki, la federazione mondiale sembrava una
necessità urgente a milioni di persone, di cui circa mezzo milione comprò
Anatomy of Peace di Emery Reves[24]. Nacquero movimenti per la
federazione mondiale, soprattutto nei paesi anglosassoni e in Giappone, leader
politici come l’ex-primo ministro Clement Attlee ne diventarono sostenitori, e
si sviluppò una letteratura mondialista. Ma il clima della Guerra fredda
scoraggiò la maggior parte di coloro che caldeggiavano quell’obiettivo e il
pensiero federalistico quasi lo abbandonò. Albertini fu un’eccezione.
Egli era più coerente, più tenace, più risoluto di altri nel confrontarsi con i
fatti del potere e con le sue conseguenze. Per lui, “il rischio della
distruzione del genere umano” legato alla bomba atomica era “assolutamente
inaccettabile”[25]. Ma egli riconobbe, come Beveridge, che le condizioni per
creare la Federazione mondiale non erano presenti e che la lotta per
un’Assemblea costituente, fondamentale per la sua dottrina per quanto riguarda
la Federazione europea, non era ancora praticabile. La sua strategia per il
federalismo mondiale era dunque simile a quella dei federalisti anglosassoni:
“il rafforzamento dell’ONU”, insieme ad altri “obiettivi intermedi” nel
“processo di superamento degli Stati nazionali esclusivi”, processo che aveva
“già raggiunto uno stadio molto avanzato” nella Comunità europea[26]. Tipica del
suo pensiero federalistico era l’enfasi sui militanti federalisti, sulla
necessità “di costruire… un’avanguardia politica mondiale” per la creazione di
una Federazione mondiale[27]. Come creare la Federazione.
Albertini e la scuola inglese erano generalmente d’accordo sulla forma e sul
perché della Federazione. Ma le loro idee erano diverse sul come crearla.
Gli inglesi cercavano di influenzare il loro governo, negli anni Trenta e
Quaranta, perché adottasse una politica federalista per dare l’avvio ad una
federazione, e in seguito per costruire elementi pre-federali nelle istituzioni
e nelle competenze della Comunità. I principi fondamentali di Albertini erano
invece l’Assemblea costituente e il fatto che i federalisti dovevano rimanere
estranei alla lotta per il potere nazionale. Spinelli ha scritto che nel
periodo che va dal 1947 al 1954, egli aveva “lavorato sull’ipotesi che i
principali ministri moderati si sarebbero accinti alla costruzione
federale”[28]: un metodo assai simile a quello dei federalisti inglesi. Poi,
dopo il fallimento, nel 1954, del progetto per una Comunità politica europea,
egli avviò il Congresso del popolo europeo e lanciò la campagna per dar vita a
un’Assemblea costituente attraverso “una protesta popolare crescente… diretta contro
la legittimità stessa degli Stati nazionali”[29]. Quando diventò evidente a
Spinelli che la campagna non aveva il successo da lui sperato, concepì la
proposta che i federalisti acquisissero il potere in un numero crescente di
municipi importanti, come base per una successiva campagna. Albertini non
poteva accettare questa idea, che contraddiceva tutti i fondamentali principi
federalisti, e il Movimento federalista europeo fu d’accordo con lui. Spinelli,
infastidito, scrisse nel suo diario che per Albertini, “tentare di preparare
l’evento (della lotta finale) era sporco opportunismo, occorreva preparare sé
stessi all’evento”[30]. Spinelli era un politico geniale, capace di concepire e
condurre campagne d’azione culminate nello straordinario successo della sua
ultima battaglia, quella per il Progetto di Trattato per l’Unione europea al
Parlamento europeo. Ma egli non restava all’interno di regole stabilite, e la
sua tendenza ad iniziare successivi “nuovi corsi” e a impostare nuove strategie
presentava troppe difficoltà per un Movimento come il MFE. Albertini era
assolutamente convinto che bisogna rispettare certi principi fondamentali, che
egli seguiva con una coerenza e una tenacia eccezionali. Queste caratteristiche
furono cruciali per la sua posizione nella storia del pensiero federalistico,
mettendolo in grado non solo di sviluppare la propria opera intellettuale, ma
anche di fondare la scuola italiana del federalismo hamiltoniano. Una
differenza fra Albertini e gli inglesi era legata alla sua concezione del
pensiero storico, basata sul metodo weberiano secondo il quale, nelle sue
parole, “non ci sono conoscenze storiche senza quadri teorici di riferimento
specifico per ordinare i fatti e completarne il significato (‘tipi ideali’)”,
anche se “l’elaborazione teorica deve esser condotta solo sino al punto nel
quale essa rende possibile la conoscenza storica e non oltre, perché al di là
di questo punto essa si convertirebbe nella pretesa di sostituire la conoscenza
storica… con la conoscenza teorica”[31]. Alla tradizione empirica inglese non
manca la capacità di sviluppare teorie. L’evoluzione darwiniana e il
liberalismo sono testimonianze di questo. Ma mi pare che nella tradizione
weberiana lo sviluppo della teoria precede il suo adattamento ai fatti, e forse
questo approccio fu una causa delle differenze fra Albertini e gli
inglesi. Lo sviluppo della Comunità europea e del pensiero di
Albertini. Benché gli inglesi abbiano sviluppato la loro democrazia
attraverso un processo riformista, senza un’Assemblea costituente, l’idea di
una tale Assemblea era ritenuta accettabile da molti. Nel 1948, Mackay, un
importante federalista membro del Parlamento inglese, ottenne il sostegno di un
terzo dei membri del Parlamento per una risoluzione che chiedeva un’Assemblea
costituente europea[32]. Ma mentre per gli inglesi un processo riformista, a
iniziare dalla CECA, sarebbe stato utile, il punto di partenza per Albertini,
nel 1961, era soltanto “il conferimento del potere costituente al popolo
europeo… o tutto o niente”; bisognava rifiutare “pseudostazioni intermedie…
sino a che non si riusciva ad ottenere tutto il potere (ossia quello
costituente)”; la soluzione della Comunità “ispirata dal cosiddetto
‘funzionalismo’ (la geniale idea di fare l’Europa a pezzettini…) era sbagliata”
e le Comunità economiche erano “parole vuote”[33]. Ma da buon weberiano egli
era disposto ad adattare la teoria ai fatti, e nel 1965 scrisse che la CECA
aveva stabilito una “unità di fatto… così solida da poter sorreggere l’inizio
di un processo vero e proprio di integrazione economica”, la quale “fu un fatto
capitale per la vita dell’Europa”[34]. E un anno dopo scrisse che
“l’integrazione europea è il processo di superamento della contraddizione tra
la dimensione dei problemi e quella degli Stati nazionali”, cioè “i fatti
dell’integrazione europea” minano i poteri nazionali esclusivi, “creando nel
contempo, con l’unità di fatto, un potere europeo di fatto”, che i federalisti
possono sfruttare politicamente[35]. Nello stesso saggio egli individuò il
trasferimento del controllo dell’esercito, della moneta e di parte delle
entrate dai governi nazionali a un governo europeo come elementi cruciali del
trasferimento della sovranità[36]; e nel 1971, considerando la prospettiva
delle elezioni dirette del Parlamento europeo, egli scrisse che una tale
situazione “può essere considerata pre-costituzionale perché dove si manifesta
l’intervento diretto dei partiti e dei cittadini si manifesta anche la tendenza
alla formazione di un assetto costituzionale”[37]. E’ interessante, perfino
commovente, osservare come, mentre gli inglesi, nella loro situazione diversa,
trascuravano l’idea della Costituente, Albertini stava modificando la sua
teoria alla luce dei fatti, cioè del successo crescente della Comunità europea.
Questo lo ha condotto verso un contributo molto importante al pensiero
federalistico: una sintesi dell’approccio di Spinelli e di quello di
Monnet. Verso una sintesi di spinellismo e monnetismo. Le
sue idee sulla moneta forniscono un altro esempio dello sviluppo del suo
pensiero. Nel 1968 egli scrisse che “non c’è mercato comune senza moneta
comune, e moneta comune senza governo comune, dunque il punto di partenza è il
governo comune”[38]. Ma quattro anni più tardi egli affermò che l’Unione
monetaria avrebbe potuto “spingere le forze politiche su un piano inclinato”
perché, impegnando qualcuno per qualcosa che implica il potere politico, può
accadere che finisca “per trovarsi, suo malgrado, nella necessità di crearlo”.
Sul terreno monetario, sarebbero stati possibili “dei passi avanti di natura
istituzionale, tangibile, europea, ad esempio nella direzione indicata da
Triffin”, cioè un sistema europeo di riserve, che sarebbe stato scambiato dalla
classe politica “per una tappa sulla via della creazione di una moneta
europea”; e si poteva prevedere, dunque, “un punto scivoloso verso una
situazione che si potrebbe chiamare di ‘Costituente strisciante’ “[39].
Albertini stava “preparando l’evento”, anche se non nel modo approvato da
Spinelli, il cui progetto era allora diverso e che scrisse nel suo diario che
Albertini aveva ridotto il MFE in “sciocchi seguaci di Werner”[40], nel cui
Rapporto erano indicate le tappe verso l’Unione economico-monetaria. Ma la
riconciliazione fra i due non era lontana, grazie alle imminenti elezioni
dirette del Parlamento europeo e al grande Progetto di Trattato per l’Unione
europea elaborato da Spinelli. Già nel 1973 Albertini, nella sua analisi
dell’Unione monetaria, aveva individuato le elezioni dirette come punto decisivo
“perché riguarda la fonte stessa della formazione della volontà pubblica
democratica”[41]. Le elezioni del Parlamento europeo sarebbero state una delle
chiavi, dunque, insieme alla moneta e all’esercito, per il trasferimento della
sovranità. Nel 1976, il Consiglio europeo decise le elezioni e Spinelli si
imbarcò nel suo quinto e ultimo nuovo corso[42]. Albertini osservò che era
“iniziata la fase politica – per definizione costituente – del processo di
integrazione europea”, e concluse che la Comunità sarebbe stata la base della
Federazione europea, attraverso “singoli atti costituenti che rafforzano il
grado costituente del processo rendendo possibili ulteriori atti costituenti e
così via”, e che “solo con una prima forma di Stato europeo (da istituire con un
atto costituente ad hoc) si può avviare il processo di formazione dello Stato
europeo per così dire definitivo”: cioè bisogna accettare “il paradosso di
‘fare uno Stato per fare lo Stato’”. Egli rese esplicito il ruolo della
Comunità in questo processo, nella “costruzione graduale, e via via pari al
grado di unione raggiunto, di un apparato politico e amministrativo europeo”:
un processo che “si può in teoria considerare finito solo quando lo Stato
iniziale europeo (con sovranità monetaria, ma non in materia di difesa), si sia
trasformato nello Stato europeo definitivo, con tutte le competenze necessarie
per l’azione di un governo federale normale”[43]. Il cammino weberiano di
Albertini conduceva, dunque, verso una sintesi feconda fra lo spinellismo e il
monnetismo attraverso “l’idea di sfruttare le possibilità del funzionalismo per
giungere al costituzionalismo”, perché “l’unificazione europea è un processo di
integrazione… strettamente collegato con un processo di costruzione degli
elementi istituzionali a volta a volta indispensabili…”[44]. Egli era pronto
per spiegare in termini teorici l’ultima opera di Spinelli, cioè il Progetto di
Trattato per l’Unione europea del Parlamento europeo. Dal progetto
di Trattato alla Convenzione di Laeken. Albertini riteneva che il
progetto fosse realistico, perché proponeva “il minimo istituzionale
indispensabile per fondare le decisioni europee sul consenso dei cittadini”. Il
“pregio maggiore del progetto” stava nel fatto che “affidava al Parlamento a)
il potere legislativo”, detto oggi codecisione, in modo che “l’attuale
Consiglio dei Ministri… per questo rispetto, funzionerebbe come un Senato
federale”, e “b) il potere che risulta dal controllo parlamentare della
Commissione, che comincerebbe ad assumere la forma di un governo europeo”. Il
progetto era “ragionevole”, perché “solo quando l’Unione avrà dimostrato di
saper funzionare bene, sarà possibile disporre della grande maggioranza
necessaria per attribuire all’Unione la sovranità anche in materia di politica
estera e di difesa”[45]. Esso conteneva, dunque, l’idea accennata prima di
“fare uno Stato per fare lo Stato”. Il genio politico di Spinelli,
manifestato nel progetto di Trattato, non solo ha favorito la riconciliazione
fra lui e Albertini, ma ha anche portato a un esito concreto un elemento molto
importante del pensiero federalistico di Albertini, cioè la relazione fra
l’azione politica e la filosofia di Monnet e di Spinelli. E’ tragico che
Spinelli sia morto credendo che il progetto fosse fallito perché l’Atto unico
era un “topolino morto”. Albertini è invece sopravvissuto finché si sono
manifestate conseguenze veramente significative. In un documento pubblicato
sull’Unità europea del dicembre 1990, egli ha potuto affermare che, “salvo
catastrofi”, il potere di fare la politica monetaria sarebbe stato trasferito
al livello europeo, e che dunque bisognava adeguare il meccanismo decisionale,
“facendo funzionare la Comunità come una federazione nella sfera dove un potere
europeo, in prospettiva, c’è già (quello economico-monetario con le sue
implicazioni internazionali); e come una confederazione nella sfera nella quale
un potere di questo genere non c’è e non ci sarà per un tempo indefinito
(difesa)”. Il “Trattato-costituzione” del Parlamento – prosegue il documento –
porterà ad una “evoluzione naturale delle istituzioni (il Consiglio europeo
come presidente collegiale della Comunità o Unione, il Consiglio dei Ministri
come Camera degli Stati, la Commissione come governo responsabile di fronte al
Parlamento europeo, il Parlamento europeo come istanza di controllo democratico
dell’attività dell’Unione e come detentore, insieme al Consiglio, del potere
legislativo)”[46]. Si può registrare un progresso significativo di questa
“evoluzione naturale” negli anni Novanta. Il voto a maggioranza qualificata è
già applicabile nel Consiglio all’80% degli atti legislativi; il Parlamento ha
un diritto di codecisione per più della metà degli atti legislativi e per il
bilancio; la responsabilità della Commissione di fronte al Parlamento è stata
clamorosamente dimostrata. La Comunità non funziona ancora “come una
federazione nella sfera dove un potere europeo c’è già”, cioè in quella
economica e monetaria; ma la Convenzione di Laeken apre la porta al compimento
del processo. La questione non è più se ci sarà un documento chiamato
costituzione. Questo ora appare accettabile, oltre che per gli altri governi,
anche per quello britannico. La questione cruciale è se le istituzioni saranno
veramente federali, completando l’evoluzione prevista da Albertini, compresa la
codecisione e il voto a maggioranza per tutte le decisioni legislative, insieme
alla piena responsabilità della Commissione come governo di fronte al
Parlamento. La lotta federalista non è divenuta meno ardua, perché i
sostenitori della dottrina intergovernativa includono, a quanto pare, non solo
i governi britannico, danese e svedese, ma anche quello francese, e persino
quello italiano. Bisogna persuadere i cittadini, le classi politiche, e infine
i governi, che una costituzione basata sul principio della cooperazione
intergovernativa sarebbe sia inefficace che antidemocratica. Grazie all’opera
di Spinelli e di Albertini, e ai contributi di tanti altri, il MFE è senz’altro
pronto a far fronte a questa sfida, in particolare per quanto riguarda i
cittadini, la classe politica e soprattutto il governo italiano.
Albertini e la sua collocazione nella storia del pensiero federalistico.
Spero di avere dato qualche indicazione del ricco, ampio, profondo e colto contributo
di Mario Albertini al pensiero federalista della sua epoca. Forse è stata
la scelta soggettiva di un federalista britannico l’aver sottolineato
l’importanza particolare, per la storia di questo pensiero, della sintesi fatta
da Albertini degli approcci dei due geniali federalisti della seconda metà del
Novecento: Jean Monnet e Altiero Spinelli. Oltre che con le sue opere,
egli ha dato un contributo al pensiero federalista come fondatore della scuola
moderna italiana. Al tempo stesso, dopo che Spinelli ha fondato, ispirato e
guidato il MFE con un carisma eccezionale, Albertini ha creato e sostenuto il
Movimento che è stato capace di organizzare la grande manifestazione di Milano,
con la partecipazione di circa mezzo milione di persone, nel giugno del 1984,
per chiedere al Consiglio europeo di sostenere il Progetto di Trattato di
Spinelli; e, cinque anni dopo, di ottenere il consenso dell’88% dei votanti nel
referendum italiano su un mandato costituente per il Parlamento europeo. Come e
perché un solo uomo ha fatto tutte queste cose diverse? Forse l’impressione di
un osservatore esterno potrebbe interessarvi. Albertini nei suoi scritti
ha messo in evidenza sia la ragione, sia la volontà[47]. Egli era orientato da
entrambe e operava sulla base di entrambe, con enfasi sulla ragione per la sua
opera intellettuale, e sulla volontà come Presidente del Movimento; e metteva
entrambe al servizio della sua fede profonda nel federalismo come priorità
essenziale per il benessere e per la sopravvivenza stessa del genere umano. Egli
espresse questo atteggiamento in un modo non molto conosciuto fuori del MFE,
sottolineando che servono “delle persone che fanno della contraddizione tra i
fatti e i valori una questione personale”, in un contesto nel quale “il
distacco tra ciò che è, e ciò che deve essere, è enorme”[48]. Albertini
dedicò la sua vita all’impegno per risolvere questa contraddizione e aveva la
capacità di persuadere altri a fare lo stesso. Egli era un oratore ispirato e,
benché i suoi scritti fossero talvolta complicati, era anche capace di
formulare concetti in modo semplice e appassionato, come quando ha scritto che
“la federazione… ha realizzato istituzioni molto sagge, capaci di trasmettere a
molte generazioni una forte esperienza di diversità nell’unità, di libertà, di pace”;
che “soltanto la politica e solo nel massimo della sua espressione, può
risolvere i problemi delle relazioni internazionali”; e inoltre che serve
l’avanguardia mondiale “per il grande compito mondiale della costruzione della
pace”[49]. La sua capacità di ispirare gli altri era basata sulla sua
fede nel valore di ciascuno, nella fiducia che ogni persona avesse sia la
capacità che la responsabilità di dare il proprio contributo[50]. Le sue idee
sugli apporti di diverse persone e organizzazioni sono state una parte del suo
contributo al pensiero federalista. C’era posto per quelli che accettavano
passivamente il federalismo e per i leader occasionali. Ma la sua predilezione
era per il nucleo duro dei militanti, la cui opera in particolare era basata sulla
percezione della contraddizione tra fatti e valori. Egli trasmise un messaggio
speciale agli intellettuali, ai quali ricordò la necessità dell’ “uscita nel
campo aperto degli uomini di cultura per completare la politica come arte del
possibile – la politica in senso stretto – con la politica in senso largo, cioè
l’arte di far diventare possibile ciò che non lo è ancora”[51]. Per questi –
per voi – l’enfasi era sulla volontà come sulla ragione. Nel maggio del
1956 Spinelli scrisse nel suo diario: “Ho lanciato ad Albertini l’idea di
costituire un ‘ordine federalista europeo’. Che sia questa una buona
idea?”[52]. Spinelli era un grande innovatore, con notevole capacità di
intuizione. Albertini aveva le caratteristiche per realizzare quell’idea:
sincerità, integrità, coraggio, coerenza, devozione. Mi pare che egli abbia
davvero creato una specie di ordine federalista. La sua opera era un
processo continuo di costruzione; e ora voi, i suoi colleghi e amici, avete la
responsabilità di proseguirla senza di lui, considerandolo non come un
monumento di erudizione e di impegno eccezionale ma come una tradizione vivente
che voi dovete continuare a sviluppare. Quanto a me, benché non sia
d’accordo con tutte le sue idee, ho un tale apprezzamento per la sua opera e una
tale convinzione della sua importanza che sto lavorando, con l’aiuto
dell’Istituto Altiero Spinelli, su un’antologia in lingua inglese dei suoi
saggi, perché queste idee siano meglio conosciute dal pubblico dei lettori che
leggono, non l’italiano, ma la lingua che Albertini designò, nel primo numero
del Federalistapubblicato anche in inglese, come la lingua universale
necessaria nella sfera politica[53]. Spero che questa antologia non solo sarà
utile per i federalisti non italiani, ma favorirà anche un giusto
riconoscimento del contributo di Albertini nella storia del pensiero
federalista[54]. E’ con grande piacere, in conclusione, che esprimo la
mia ammirazione e gratitudine per la vita di Mario Albertini, e per la sua
devozione esemplare alla nostra causa suprema del federalismo. Nelle parole
incomparabili di Shakespeare: “He was a man, take him for all in all, (we)
shall not look upon his like again”. * Si tratta
dell’intervento al convegno di studi organizzato l’8 aprile 2002 dalle
Università di Milano e di Pavia e dal Movimento federalista europeo sulla
figura di studioso e di militante di Mario Albertini a cinque anni dalla sua
scomparsa. [1] Cfr. Mario Albertini, L’unificazione europea e il potere
costituente (1986), in Nazionalismo e Federalismo, Bologna, Il Mulino, 1999,
pp. 302, 304. (Molti degli scritti di Albertini sono stati ripubblicati, con
l’indicazione delle rispettive fonti, in due antologie: Nazionalismo e
Federalismo e Una rivoluzione pacifica. Dalle nazioni all’Europa, da cui sono state
tratte le citazioni. Si è posta tra parentesi, dopo il titolo, la data del
saggio originale per aiutare i lettori a valutare il contesto e tracciare
cronologicamente lo sviluppo del suo pensiero). [2] Mario Albertini, Il
Risorgimento e l’unità europea (1961), in Lo Stato nazionale, Bologna, Il
Mulino, 1997, p. 184. [3] Mario Albertini, La Federazione (1963) e Le
radici storiche e culturali del federalismo europeo(1973), in Nazionalismo e
Federalismo, cit., pp. 99, 114, 128. [4] Mario Albertini, La Federazione,
ibidem. [5] Mario Albertini, Moneta europea e unione politica (1990), in
Id., Una rivoluzione pacifica. Dalle Nazioni all’Europa, Bologna, Il Mulino,
1999, p. 323. [6] Mario Albertini, Lo Stato nazionale, Bologna, Il
Mulino, 1997, ristampa delle edizioni precedenti del 1960 e del 1980. [7]
Mario Albertini, La nazione, il feticcio ideologico del nostro tempo (1960), in
Id., Nazionalismo e Federalismo, cit., p. 22. [8] Mario Albertini, Le
radici storiche (1973), op. cit., pp. 126-7; Id., L’integrazione europea,
elementi per un inquadramento storico (1965), in Id., Nazionalismo e
Federalismo, op. cit., p. 235; Id., Qu’est-ce que le fédéralisme? Recueil des
textes choisis et annotés, Parigi, Société Européenne d’Etudes et
d’Informations, 1963, p. 32. [9] Mario Albertini, Per un uso controllato
della terminologia nazionale e supernazionale (1961), in Id., Nazionalismo e
Federalismo, op. cit., p. 30. [10] Mario Albertini, La strategia della
lotta per l’Europa (1966), in Id., Una rivoluzione pacifica, op. cit., p.
59. [11] Mario Albertini, Il problema monetario e il problema politico
europeo (1973), in Id., Una rivoluzione pacifica, op. cit., p. 185. [12]
Kenneth C. Wheare, Federal Government, Londra, Oxford University Press, 1951
(prima edizione 1946), p. 37; in italiano in Kenneth C. Wheare, Del governo
federale, Bologna, Il Mulino, 1997, p. 92. [13] Mario Albertini,
L’unificazione europea e il potere costituente (1986), in Id., Nazionalismo e
Federalismo, op. cit., p. 296. [14] Lionel Robbins, Economic Planning and
International Order, Londra, Macmillan, 1937, e Id., The Economic Causes of
War, Londra, Jonathan Cape, 1939; alcuni capitoli di ambedue in italiano in
Lionel Robbins, Il federalismo e l’ordine economico internazionale, Bologna, Il
Mulino, 1985. [15] Cfr. Mario Albertini, L’unificazione europea(1986),
op. cit., p. 302. Cfr. anche John Pinder (a cura di), Altiero Spinelli and the
British Federalists: Writings by Beveridge, Robbins and Spinelli 1937-1943,
Londra, Federal Trust, 1998, p. 46. [16] Mario Albertini, Qu’est-ce que
le fédéralisme? (1963), op. cit., p. 32; Id., Cultura della pace e cultura
della guerra (1984), in Id., Nazionalismo e Federalismo, op. cit., p.
151. [17] Mario Albertini, Le radici storiche (1984), op. cit., p. 114;
Lord Lothian, Pacifism is not Enough (1935), ristampato in John Pinder e Andrea
Bosco (a cura di), Pacifism is not Enough: Collected Lectures and Speeches of
Lord Lothian(Philip Kerr), Londra, Lothian Foundation Press, 1990, p. 221. In
italiano: Lord Lothian, Il pacifismo non basta, Bologna, Il Mulino, 1986.
[18] Mario Albetini, La pace come obiettivo supremo della lotta politica
(1981), in Id. Nazionalismo e Federalismo, op. cit., p. 185. [19] Mario
Albertini, L’unificazione europea(1986), op. cit., p. 304. [20] Mario
Albertini, Cultura della pace e cultura della guerra (1984), op. cit., p.
161. [21] Mario Albertini, Le radici storiche (1973), op. cit., p.
140. [22] Mario Albertini, La strategia (1966), op. cit., pp. 63-4.
[23]William Beveridge, The Price of Peace, Londra, Pilot Press, 1945.
[24]Emery Reves, The Anatomy of Peace, New York, Harper, 1945; in italiano:
Anatomia della pace, Bologna, Il Mulino, 1990. [25] Mario Albertini, La
pace come obiettivo supremo (1981), op. cit., p. 184. [26] Mario
Albertini, Verso un governo mondiale(1984), in Id., Nazionalismo e Federalismo,
op. cit., pp. 203-4. [27] Mario Albertini, Verso un governo mondiale, op.
cit., p. 207. [28] Altiero Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio.
La goccia e la roccia, a cura di Edmondo Paolini, Bologna, Il Mulino, 1987, p.
18. [29] Loc. cit. [30] Altiero Spinelli, Diario europeo, I,
1948-1969, a cura di Edmondo Paolini, Bologna, Il Mulino, 1989, p. 417.
[31] Mario Albertini, L’unificazione europea e il potere costituente (1986),
op. cit., pp. 293-4. [32] Cfr. John Pinder, “Manifesta la verità ai
potenti”: i federalisti britannici e l’establishment, in AA.VV., I movimenti
per l’unità europea 1945-1954, a cura di Sergio Pistone, Milano, Jaca Book,
1992, p. 125. [33] Mario Albertini, Quattro banalità e una conclusione
sul Vertice europeo (1961), in Id., Nazionalismo e federalismo, op. cit., pp.
226, 228, 229, 232 n. 7. [34] Mario Albertini, L’integrazione
europea(1965), op. cit., pp. 249-50. [35] Mario Albertini, La strategia
(1966), op. cit., pp. 69, 71. [36] Ibidem, pp. 66-7. [37] Mario
Albertini, Il Parlamento europeo. Profilo storico, giuridico e politico (1971),
in Id., Una rivoluzione pacifica, op. cit., p. 216. [38] Mario Albertini,
L’aspetto di potere della programmazione europea (1968), Id., in Nazionalismo e
Federalismo, op. cit., p. 262. [39] Mario Albertini, Il problema
monetario(1973), op. cit., pp. 184, 187, 191. [40] Altiero Spinelli,
Diario europeo, III, 1976-1986, p. 186. [41] Mario Albertini, Il problema
monetario(1973), op. cit., p. 192. [42] Altiero Spinelli, La goccia e la
roccia, op. cit., p. 18. [43] Mario Albertini, Elezione europea, governo
europeo e Stato europeo (1976), in Id., Una rivoluzione pacifica, op. cit., pp.
223, 225, 226. [44] Mario Albertini, L’Europa sulla soglia dell’unione
(1985), in Id., Nazionalismo e Federalismo, op. cit., pp. 274, 276. [45]
Ibidem, pp. 283-5. [46] Moneta europea e unione politica. Un documento
del Presidente Albertini in vista del Consiglio europeo di dicembre, in L’Unità
europea, n. 202 (dicembre 1990), p. 20. [47] Per esempio in Mario
Albertini, Verso un governo mondiale (1984), op. cit., p. 205. [48] Mario
Albertini, La strategia (1966), op. cit., p. 72; Id., Le radici storiche (1973),
op. cit., p. 136. [49] Mario Albertini, La federazione (1963), op. cit.,
p. 100; Id., L’integrazione europea (1965), op. cit., p. 252; Id., Verso un
governo mondiale(1984), op. cit., p. 207. [50] Mario Albertini, La
strategia (1966), op. cit., p. 59. [51] Mario Albertini, Il Parlamento
europeo(1971), op. cit., p. 204. [52] Altiero Spinelli, Diario europeo,
I, 1948-1969, op. cit., p. 297. [53] Mario Albertini, un governo
mondiale(1984), op. cit., p. 202. [54] Non ho menzionato finora nessuno
fra i federalisti italiani viventi, perché non sarebbe giusto individuare
alcuni fra i tanti che hanno fatto cose importanti per il federalismo
contemporaneo. Ma in questo contesto sarebbe del tutto ingiusto non menzionare
il mio debito nei confronti di un federalista della nuova generazione che ha
avanzato la proposta dell’antologia, per cui ha fatto una selezione di saggi
(materiale eccellente anche per la preparazione di questo mio articolo), cioè
Roberto Castaldi, che ha preso questa iniziativa quando studiava per la sua
tesi di master sull’opera di Albertini all’Università di Reading. Mario Albertini.
Albertini. Keywords: la confederazione di Romolo, federale, italia federale,
politica federalista, filosofia federalista, stato italiano, gli stati uniti
d’America sono una repubblica federale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed
Albertini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51794905915/in/dateposted-public/
Grice ed Alderotti –
filosofia italiana – filosofia toscan – filosofia fiorentina Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice:
“I like Alderotti; but then his favourite treatise was Aristotle’s little thing
to his son, Niccomaco – which Hardie instilled on me like a leech!” “Alderotti
was what we would call a Florentine-Bologne-oriented Aristotelian; he thought,
with Aristotle, that the heart trumps the head -- Grice: “What I like most about lderotti is his
archiginnasio – no such thing at Oxford! So, as Speranza says in “Colloquenza
all’archiginnasio,” Alderotti knew what he was doing, even if his pupils did
not!”Scienziato e filosofo erudito, scrisse per l'amico e protettore Donati,
uno dei primi testi di medicina in lingua volgare, il Della conservazione della
salute. Il più conosciuto medico del Medioevo, tanto da meritarsi una citazione
nel XII canto del Paradiso – v. 83 -- di Dante, insegna a Bologna, applicando,
durante le sue lezioni di medicina, un innovativo metodo scolastico. Iniziava
la lezione con una lectio o expositio di un passo tratto da un testo autorevole
(di Ippocrate, Galeno, ecc.). Procede poi per quaestiones con riferimento alle
quattro cause aristoteliche. La causa materiale (la materia della trattazione),
la causa formale (la sua forma espositiva), la causa efficiente (l'autore
dell'opera), lacausa finale (il fine o
lo scopo dell'argomento prescelto). A questo punto il maestro formula una serie
di dubia, cui facevano seguito i momenti euristici della disputatio ed, infine,
della solutio. Alighieri lo cita in modo dispregiativo nel Convivio (I, x 10):
“Temendo che 'l volgare non fosse stato posto per alcuno che l'avesse laido
fatto parere, come fece quelli che transmuta lo latino de l'etica ciò e
Alderotti ipocratista provide. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere. Tra i primi volgarizzatori
toscani è maestro Taddeo, il famoso medico fiorentino, pubblico professore di
medicina nell'Università di Bologna, uno dei personaggi più notevoli del suo
tempo ; egli è pure il primo traduttore italico della morale a Nicomaco , che
volgarizzata entra oramai a far parte della cultura generale. Di traduzioni
della Nicoma chea,c'eran ledue greco-latinedell'Ethica uetus edell'Ethi ca
noua,frammentarie,e quella del liber Ethicorum com pletaletterale;ma
ilvolgarizzatorenon poteacertamente servirsi di un testo incompleto o di
traduzioni letterali che avrebbero evidentemente lasciato Aristotele
oscurissimo nel volgare come lo era nell'originale greco e nelle traduzioni
latine. C'erano le traduzioni arabe : quella del commentario di Averroe ; ma
come si sarebbe potuto presentare per la
primavoltaa'laici,incapacidicomprendereunvastosi stema filosofico, Aristotele
con tutto il bagaglio delle sue dottrine logiche e metafisiche che servono di
base all'Etica ? Restava il compendio alessandrino-arabo , e questo difatti
ammesso alla facile diffusione del volgare divenne il testo morale aristotelico
di moda più recente (1). Al principio della seconda metà del decimoterzo secolo
maestro Taddeo ridusse in volgare toscano ilcompendio ales sandrino-arabo della
morale a Nicomaco ; poco più tardi (1)Ho in un lavoro precedente trattato
dell'Etica volgare e fran cese ; a quel lavoro modesto richiamo il lettore il
quale , trattandosi di una questione già molto controversa,voglia con sicurezza
accogliere le nostre conclusioni; giacchè ora alle conclusioni sono costretto
dalle necessità e dall'economia dell'argomento. (C. MARCHESI, Il Compendio
volgare dell'Etica Aristotelica e le fonti del VI libro del Tresor in Giorn.
Stor.della lett.it.,vol.XLII,pp.1-74). 116 IL COMPENDIO ALESSANDRINO
-ARABO IL COMPENDIO ALESSANDRINO-ARABO 117 Brunetto Latini , nella
seconda parte del Tresor accolse il volgare di Taddeo,modificato secondo il
testo originale la tino ch'ei conobbe e a cui portò contributo di novissime m e
ditazioni. Sicché tra i due compendi è una notevole diffe renza : una
differenza che va tutta a favore di ser Bru netto il quale ebbe il vantaggio di
lavorar dopo in un secolo in cui, per quella energia naturale delle letterature
novelle, si progrediva assai rapidamente nel gusto e nella cultura . La
traduzione di Taddeo in gran parte fedele al conte nuto, nella forma è condotta
con una notevole indipendenza rispetto alla frase latina, e non di rado si vede
la sicurezza ch'è nell'intendimento del traduttore e la buona conoscenza
ch'egli ha del linguaggio filosofico: spesso compendia lam a teria, d'altra
parte allarga tante volte la frase o ilconcetto e diluisce nel volgare il testo
latino per bisogno di ripeti zioni e di esempi o di ampliamenti, servendosi,
come fa in principio,di qualche altro rifacimento,e aggiungendo dichia razioni
proprie. Taddeo non è un traduttore letterale che si preoccupi dalla frase e
voglia mantenersi fedele alla pa- ! rola o al tenore dell'esposizione; egli è
solo un interprete occupato del contenuto che pur vuole spesso acconciare dal
lato espositivo nella maniera più rispondente,secondo lui,a'bisogni della
chiarezza e della semplicità. General mente palesa una certa libertà nel compendiare
e nel ren dere il concetto con espressioni diverse dall'originale,come quando
per es.traduce uita scientiae et sapientiae con uita contemplatiua ; delle
parti più confuse e difficili a inten dersi fa una parafrasi invertendo anche
l'ordine delle idee e disponendole in maniera più agevole per la intelligenza
finale, seguito in questo naturalmente da Brunetto. Ecco un esempio :
118 IL COMPENDIO ALESSANDRINO -ARABO Rerum quedam sunt co
gniteapudnosetquedam sunt cognite apud natu ram .Oportet ergo ut a m a tor
scientie ciuilis promtus sit ad res eximias et sciat opiniones rectas. Opinio
nes autem recte sunt ut in arte ciuili incipiatur a re bus apud nos cognitis,et
in consuetudinibus pulcris et honestis facta sit assuetu do,principium enim
estet inceptio a qua res est. Ex manifesto existente suffi cienter quia res
est,non indigeturpropterquid res est. Indiget autem homo ad promtitudinem
habita tionis veritatis rerum bo narum aut aptitudine bone instrumentalitatis
ex qua sciat uerum ,aut forma per quam accipiantur princi
piarerumabeofacile.Qui za. uero neutram babuerit h a rum aptitudinum audiat
sermonem Homeri (corr. Hesiodi)poete ubi dicit: quidem bonus est,hicau tem
aptus ut bonus fiat. Qualche volta invece il concetto è più largamente defi
nito per l'aggiunta di qualche breve dichiarazione che serve a chiarirne il
contenuto e a precisarlo di più rispetto alle considerazioni precedenti; cosi
il testo dice che l'uomo ri fugge dai luoghi solitarî o deserti o ermi,e Taddeo
aggiunge: «perchè l'uomo naturalmente ama compagnia »; altrove è detto che
beatitudine è cosa completa che non abbisogna Sono cose lequali sono
manifeste alla natura,e sono cose lequalisonomani feste a noi ; onde in questa
scienza si dee cominciare dalle cose lequali sono manifeste a noi.L'uomoloqua
lesideestudiarein questa scienza ed apprendere, si dee ausare nelle cose buone
e giuste e oneste ; onde gli conviene avere l'a nima sua natural mente disposta
a quella scienza : m a quello uomo che non hae neuna di queste cose,è inu tile
a questa scien Iliachosesquisont connues å nature et sont choses qui sont
conneues à nos ; par quoinosdevonsence ste science commen cier as choses qui
sont conneues à nos,car qui se vuet estudier å savoir ceste science, il doit
user des choses justes,droites et bon nes et honestes,où il li covient avoir
l'ame natu raument ordenée à ceste science : mais cil qui n'a ne l'un ne
l'autre regarde à cequeHomerusdist: Se li premiers est bons,liautresestap
pareilliezàestrebons: mais qui de soi ne set neant, et qui n'aprent de ce que
hom li en seigne,ilestdoutout mescheanz. IL COMPENDIO
ALESSANDRINO-ARABO 119 d'altra cosa ; e Taddeo chiarisce « di fuori da sè ,.
Altre aggiunte , come quelle di aggettivi, tendono solo ad accre scere
l'efficacia del concetto ; d'altra parte ilvolgarizzatore coordina spesso le
frasi sciolte e le considerazioni staccate dell'originale latino nella
continuata semplicità di un solo periodo. Brunetto riempie le lacune : molte
espressioni trascu rate da Taddeo o tralasciate a dirittura per difficoltà d'in
tendimento sono supplite nel Tresor ; per es. il testo fa una triplice
divisione delle arti: « quedam habent se habitu dine generum et quedam
habitudine specierum et quedam habitudine individuorum»:Taddeo omette
quest'ultima ca tegoria delle arti,notando solo le generali e le particolari;
Brunetto, traducendo anche con finezza letterale ed etimo logica,completa «et
aucunes sont sanz deuision ».Altrove sono interi brani del tutto omessi nel
volgare che Brunetto restituisce alla esposizione del compendio aristotelico.
Dia mone un esempio. Arsciuilisnonpertinet La scienza da La science de cité go
pueronequeprosecuto- reggerelacittade ridesideriiatqueuicto- non conviene a
fantneàhomequivueille rie,eoquodamboigna- garzonenèauo mais Taddeo non vide nel
compendio alessandrino il legame tra le due considerazioni,e omise
l'ultima;difatti il com pendiatore o il traduttore latino butta giù una frase
fuor di senso che non ha rapporto alcuno con l'originale; Aristotele dice:«non
è acconcio l'uditore giovane perchè èinesperto delle azioni che riguardano la
vita, e i discorsi della nostra verner ne afiert pas à en 1 risuntrerum
seculi, mocheseguitile cequeanduisontnonsa neque proficit ipsis. Non son
ensuirre sa volonté, por tem . que ilse torne me, enim intenuit ars ista
scientiam sed conuersio . nem hominis ad bonita- suevolontadi,pe- chant des
choses dou sie rò che non cle : car ceste ars ne qui savi nelle cose del ert
pas la science de l'o secolo. à bonté. 120 IL COMPENDIO
ALESSANDRINO -ARABO scienza da queste si tolgono e intorno a queste si aggirano
(οι λόγοι δ'εκ τούτων και περί τούτων). Non pero tutte lelacune sono supplite
da Brunetto : la omissione di qualche concetto importante nel volgare e nel
francese , è giustificata dal fatto ch'esso si trova altre volte
particolarmente espresso e dalla facilità di richiamarlo alla mente nei luoghi
ov'esso è ripetuto ; cosi avviene per il principio più volte enunciato della
eccellenza del bene voluto per sé , rispetto al bene voluto per altro. Brunetto
elimina pure qualche ridondanza del volgare ; cosi « ars directiua ciuitatum ,
che Taddeo traduce «l'arte civile la quale insegna reggere la cittade » 1 è
resa nel Tresor « l'art qui enseigne la cité à governer »; altre volte invece
la espressione è più estesa in Brunetto , come quando traduce con «principaus
et dame et soverai n e » il semplice « princeps » riferito all'arte civile,
mentre più sicuro intendimento dell'espressione : dice il testo che la
beatitudine , come l'uomo che dorme, non manifesta al cuna virtù quando l'uomo
la possiede in abito e non in atto , e Brunetto aggiunge « ce est à dire quant
il porroit bienfaireetilnelefaitmie»;epocoprimaalladefini zione della potenza
razionale ch'è più degna quando si è in atto, aggiunge « chè il bene non è bene
se non è fatto (car se il ne le fait, il n'est mie bons)».Talune espressioni
proprie del traduttore francese vanno oltre i bisogni della chiarezza e la
necessità dell'intendimento ; laddove il testo latino dice del bene dell'anima
ch'è il più degno di tutti, Brunetto inserendo il concetto della divinità mette
di suo la ragione « car ci est li biens de Dieu » , evidentemente per il
bisogno di ribadire il principio che pone in dio il sommo bene e di asservire
il trattato aristotelico alle idea il volgare dice solo « principale e
sovrana ». L'aggiunta * comunemente è fatta per maggiore precisione e per
un IL COMPENDIO ALESSANDRINO-ARABO 121 c o n « colui che sta nel
travito » ; il francese si riconduce all'esatta interpretazione « li sages cham
pions et fors ». Nello sfrondare le ridondanze del volgare e nel ridurre la
materia alle proporzioni dell'originale la tino,Brunetto non sempre riesce a
cogliere l'esatto inten dimento della parola , e riducendo smarrisce l'idea che
vi èracchiusa;ilt.ha«quemadmodum peritiagonistaeatque « robusti coronantur
quidem et accipiunt palmam apud actum agonisetuictorie»;Taddeo
traduceaėsomigliantedi quello che sta nel travito a combattere ; chè solamente
quelli che combatte et vince , quelli å la corona della vittoria », e fa vera illustrazione
della frase finale «e se alcuno uomo sia più forte di colui che vince, non à
perciò la corona , perch'egli sia più forte, s'egli non combatte, avvegna che
egli abbia la potenzia di vincere >; Brunetto si ferma alla prima parte « si
comme li sages champions et fors qui se combatetvaintemportelacoronedevictoire
trascurando il significato particolare dell’apud che qui sta per post. Pure
nellaintelligenza della parola latinailtestofran cese è generalmente più fine
del volgare (1), nel quale tal volta si trova sconvolto l'ordine delle frasi e
delle idee , (1)Un esempio:t.difficile:Tadd.impossibile,Brunet.dure chose; t.
in omnibus artificibus, T. nelle cose artificiali, B. choses de mestier et de
art. lità contemporanee della fede. Generalmente Brunetto ha m a g g i o
r i r i g u a r d i p e r il t e s t o , p e r c i ò c h e r i g u a r d a i c
o n cetti semplici e le singole espressioni. Cosi egli corregge la frase
talvolta malamente resa o ingiustamente compendiata e confusa da Taddeo .
Questi si restringe talora a molto s e m plice espressione, impropria, che mal
si adatta al concetto latino,come quando traduce « periti agonistae atque ro
busti > 122 IL COMPENDIO ALESSANDRINO -ARABO per deviazione dal
retto intendimento del latino. Riporto un brano . Brun.car il estdure chose que
Taddeo traduce la seconda parte del periodo: ut pote. come se fosse
esplicazione del concetto già espresso : opera decora exerceat; Brunetto la
riferisce invece al precedente : absque materia.Nel volgare italicoetalvoltaanche,inma
niera alquanto diversa , nel francese l'espressione latina è modificataquando
apparisca troppo cruda.Infinedel compen dio aristotelico si parla di uomini che
non si possono correg gere con parole, per cui occorre « assiduatio uerberum t
a m quam in bestia »;Taddeo traduce vagamente «pena »; Brunetto è più civile
ancora « menaces de torment ». Il volgarizzatore francese tende spesso,più che
il medico fio |rentino, a modificare quelle che a lui sembrano asperità di
giudizio o durezze d'espressione. Così,nello stesso brano, de'delinquenti per
natura,di coloro che non possono cor reggersi con parole nė
percastighi,diceilt.«tollendisunt de
medio»,eTaddeoletteralmente«sondatorredimezzo »; Brunetto è meno severo «tel
home doivent estre chastié si que il ne demourent avec autres gens ». È un
riscontro ca suale; ma sinotiad ogni modo come l'urbanità dell'espres sione
francese e la temperanza cortese di giudizio pare si accordi coi principî
positivi di un diritto criminale molto recente ! E Brunetto si accorda talvolta
con Taddeo nel m o T. difficile est enim Tadd . perciò che non homini ut
opera decora è possibile all'uomo exerceat absque mate ch'egli faccia belle o
riautpotequodha pereech'egliabbia beatpartemcompeten arte la quale si con tem
rerum bone uite pertinentiumetcopiam eabbondanzad'amici familieetparentumet
ediparenti,eprospe prosperitatemfortune. rità di ventura sanza venga a buona
vita, li beni di fuori. ne ... 5 1 l'on face b e lesoevres,seiln'ia gran part
des choses avenables à bono vie et habondance d'avoir etd'amisetdeparenz, et
prosperité de fortu IL COMPENDIO ALESSANDRINO -ARABO 123 dificare
le opinioni del testo , come quando fieri amendue della loro vita comunale,
rinnegano il detto d'Aristotele che l'ottimo governo sia nel principato, affermando
migliore il governo delle comunità. Un'osservazione finale. Brunetto qualche
volta fa dei tagli al testo latino e al volgare , sopprimendone talune
espressioninonperamoredibrevità,ma evidentemente perch'ei si rifiuta di
accoglierne il giudizio. Ciò risulta chiaro dalla costanza con cui
l'espressione è soppressa ogni qualvolta si presenti nell'intendimento voluto
dal l'autore. Una prova : al principio del II° libro (cap. VII ediz. Gaiter) il
compendio latino e con esso Taddeo fa una duplice divisione della virtù:virtù
intellettuale,come sa pienza scienza e prudenza,e virtù morale come castità lar
ghezza umiltà ; e poi lo esempio « quando noi volemo lodare un uomo di virtude
intellettuale diciamo :questo è un savio uomo intendevile e sottile:quando volemo
lodare un altro uomo di virtude morale, diciamo : questo è un casto uomo umile
e largo » (1). Nell'uno e nell'altro caso Brunetto sop prime a dirittura
l'espressione che racchiude il concetto della umiltà. La prima volta dice della
virtù morale,ch'essa è « chastée et largesce »e soggiunge un po'infastiditoe
non curante del testo « et autres choses semblables »; nella se conda parte
dice semplicemente « ce est uns hom chastes et larges ».Ed è curioso e notevole
documento questo d’uno tra ipiù illustri rappresentanti del laicato dotto del
tem po, uomo di parte e d'azione tenace e bellicosa e guelfo ardente,che si
rifiuta cosi chiaramente di accogliere l'umiltà tra le virtù morali,
ribellandosi al giudizio che uomo umile ė uomo virtuoso. C'è qui l'alto sentire
del laico e lo spi (1) « ex parte moralium largum uel castum uel humilem .uel m
o destum eum appellamus ». 124 IL COMPENDIO ALESSANDRINO-ARABO
ritosdegnosoelaboriacavallerescadeltempo,chesian nidava bensi nella fierezza
solitaria e nella severa integritå dell'uom casto , o sorrideva nel magnifico
gesto signorile d e l l ' u o m l a r g o e c o r t e s e , m a n o n si a c c
o n c i a v a a i n d o s s a r e il saio dell'umile curvato. Quale dei
due traduttori abbia merito maggiore non possiam dire. Taddeo ha il merito
dellapriorità;ma egli compendia troppo , abbrevia , toglie parte di considera
zioni e di esempi al testo latino ; Brunetto che lavorò a p presso a lui è più
fine e completo , e poi anche il fran cese si prestava allora assai meglio del
volgare italico. Taddeo molte volte amplia o riduce la materia , Brunetto
traduce con maggiore fedeltà sia nell'evitare le ripetizioni inutili del
volgare sia nel colmarne le lacune rispetto all'ori ginale latino , le cui
espressioni segue con attenzione e riproduce spesso con esattezza.Siamo nel
periododeicom pendi e dell'enciclopedia. Un compendio fatto è fatica ri
sparmiata al maestro che deve dire le «chose universali ». Brunetto,che aveva
intelligenza fine,trasse il compendio italico alla lingua di Francia e
l'incluse nell'opera sua e ne colmò le lacune e ne affinò i contorni e lo
ripuli di fronte al testo latino da cui egli pompeggiandosi dicea di aver
tratto la parte morale del Tresor . E non fa cenno di T a d deo : egli
accoglie, corregge, assimila; d'altra parte è tutta una letteratura e una
divulgazione anonima quella che dal l'ultimomedioevovaaltrecento,eidirittidi
proprietà letteraria non sono ancor sorti. C'è però da osservare che nel
ritocco della materia volgare Brunetto non va oltre qualche singola espressione
o frase, trascurata o ridondante. Egli non si attenta mai a rimaneggiare e ad
acconciare la materia nel contenuto ideale,per ilmodo con cui le idee furono
esposte nel volgare o compendiate o disposte o in IL COMPENDIO
ALESSANDRINO -ARABO 125 terpretate.Questo dunque testimonia onorevolmente che
Tad deo era allora ritenuto autorevole intenditore del trattato ari stotelico
anche da un uomo per cultura famoso come ser Brunetto, sebbene al grande
discepolo di costui non appa risse ugualmente felice dicitore del
volgare.Tuttavia le m o dificazioni introdotte da Taddeo e assai più ancora da
Bru netto non sono tali da farci notare la presenza di nuovi elementi etici o
l'azione modificatrice diretta del tradut tore spinto da una evoluta coscienza
sociale del tempo.Gli scrittori del medio evo accolgono e credono ; sono
ansiosi di notizie come sono pieni di fede. Si accetta tutto, il vero e il
falso, anzi più il falso che il vero ; a Taddeo che scrive un sonetto sulla
pietra filosofale (1) risponde Brunetto che r a g i o n a s u l l e v i r t ù d
e l l e p i e t r e . È a n c o r a i n t a t t o il m o r t o e d i ficio
secolare della fede , che più tardi la critica del quat trocento ridurrà nei
frantumi donde sorgerà la nuova co scienza degli individui e delle genti.
(1)MAGLIABECH.XVI,7,75;cartac.sec.XV.«Carmina magistri Tadei de florentia super
scientiam lapidis philosophorum ex Alberto Magno edita feliciter. «Soluete
icorpi inaqua a tuti dico |Voi che in tendete di far sol et luna |Delle duo aque
poi prendete l'una |Qual più vi piace e fate quel chio dico |Datella a ber a
quel uostro inimico | Senza manzare i dicho cosa alguna |Morto larete e riuerso
in bruna | Dentro dal cuore del lion Anticho |Poi su li fate la sua sepoltura
|Si e in tal modo che tuto si sfacia |La polpa e lossa o tuta sua giuntu ra|La
pietraareteedapoiquestosifacia(sic)|Deterraaquaetdaqua terra fare |Così la
pietra uuol multiplicare |E qual intendera ben sto sonetto |Sera signor de quel
a chi e suzetto ». Il compendio alessandrino-arabo prestó dunque la ma- :
teria etica aristotelica al volgare d'Italia e di Francia ; e la morale a
Nicomaco potè cosi divenire libro di attualità adoperato e sfruttato, nella
valutazione dei principi etici e nella decisione delle finalità umane, dai
nuovi scrittori vol gari: tra questi ė Dante Alighieri,a cui Taddeo dié
motivo di presentare in più nobil veste il volgar di Toscana (1), e
Brunetto Latini avea ad ora ad ora insegnato « c o m e l ' u o m s'eterna ». IL
COMPENDIO VOLGARE LE FONTI DEL VI LIBRO DEL " TRESOR , Il presente lavoro
fa parte di un altro più esteso e completo sui rifacimenti aristotelici latini
e volgari, il quale spero verrà presto a portare un contributo,non privo
d'interesse,alla storia ell'aristotelismo nella pre-rinascita e a colmare
qualche lacuna la conoscenza del movimento intellettuale che fu prima del
quattrocento:giacchè ne'volgarizzamenti e ne'rifacimenti sta i cultura del
trecento ; seguendo il volgarizzarsi e il diffondersi della cultura medievale e
classica, specialmente, noi troveremo i sentiero ascoso che va da Dante teologo
al Petrarca filologo. Ma ora ho fatto opera molto modesta; trattando solo le
spi. ese questioni critiche agitate intorno al compendio volgare ell'Etica, ho
inteso risolvere taluni dubbî,lungamente mante nūti, ed eliminare molti errori.
Il lettore, che attende forse uno studio riassuntivo sulla influenza della
morale aristotelica, comprenderà come questo sia possibile solo alla fine
dell'opera, quando le ricerche già fatte e i risultati ottenuti ci metteranno
in grado di poter volgere uno sguardo sicuro e sereno su quel grande campo dove
la tradizione aristotelica alligno rigogliosa e tenace ramificandosi e
abbarbicandosi per una serie copiosis. sima di rampolli viziosi e
invadenti. DELL'ETICA ARISTOTELICA C. MARCHESI. 1 E 2 C.
MARCHESI Il compendio volgare dell'Elica nicomachea fu per la prima volta
impresso a Lione (1568)a cura dell'editore Jean de Tournes, su di un
manoscritto appartenente a Jacopo Corbinelli (1).Do menico Maria Manni stimo
inutile, per le moltissime mende, la edizione francese,condotta inoltre su un
solo manoscritto,e ristampò il trattato aristotelico valendosi principalmente
di due codici Laurenziani,il 19 e il 23 del plut.XLII (2).L'ultima ediz.del
1844 fu condotta da Fr. Berlan su un cod.del sec.XIV e in base a un esemplare
dell'ediz. lionese emendato e comple tato da Apostolo Zeno su un ms.del 1410
(3). Com'è noto,ilcompendio volgare dell'Elica aristotelica è quello stesso che
forma il VI libro del Tresor volgarizzato, se condo la comune opinione, da Bono
Giamboni ; pero si trova anche in tutte le edizioni del Tesoro
volgare:Treviso,Gerardo Flandrino(de Lisa),1474;Venezia,Fratelli da
Sabbio,1528;Ve. nezia,Marchio Sessa,1533;Venezia,1839acuradiLuigiCarrer il
quale nel libro VI seguì anche le due edizioni, Lionese e del Manni;Bologna,
1878,ed.da Luigi Gaiter il quale si valse di tutte le stampe
precedenti,de'mss.del Tesoro e di raffronti continui col testo francese. Eppure
di questo compendio manca una stampa che ne ripro duca fedelmente e
criticamente la lezione;giacchè a tutti gli editori dell'Elica,che eseguirono
le loro stampe sulle precedenti o solo col sussidio di qualche ms.,sfuggi
quella rigogliosa co munione di codici, che abbiam potuto noi esaminare, da'
quali (1) L'Etica d'Aristotile ridotta in compendio da ser Brunetto Latini et
altre tradutioni et scritti di quei tempi. Con alcuni dotti Avvertimenti
intornoallalingua,Lione,Giov.deTornes,1568. (2) L'Etica d'Aristotile e la
Rettorica di M. Tullio aggiuntovi il libro de' Costumi di Catone, Firenze,
1734. Dall'edizione lionese trasse la parte riguardante le quattro virtù un tal
Luigi Ruozi che la pubblicò modifican dola nell'ortografia e nella lezione:
Trattato delle quattro virtù cardinali compendiate da serBrunettoLatini sopra
l'Eticad'Aristotile,Verona, 1837,pp.16. (3) Elica d'Aristotile compendiata da
ser Brunetto Latini e due leggende di autore anonimo,Venezia,1844.
--- IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 3 sarà possibile,
con un esame complessivo, trarre nella sua veste primitiva l'antico
volgarizzamento toscano; d'altra parte gli editori più recenti del Tesoro nel
curare la lezione del VI libro, ritenendolo, com'era naturale,volgarizzamento
dal francese, come tutti gli altri libri, credettero opportuno acconciarne la
lezione anche inbase al testo francese,alterandone laveste ori ginaria e
originale. Intorno a questo antico e primo compendio volgare dell'Etica si è
agitata una lunga e spinosa questione. Esso fin dalle prime stampe porta il
nome di Brunotto Latini, e il fatto stesso poi che si trova inserito nel testo
volgare del Tresor, di cui costi tuisce appunto la materia del VI libro,non ha
mai fatto dubitare ai critici e agli editori ch'esso non si debba considerare
come una parte del Tesoro e quindi,come tutti gli altri libri, volga rizzamento
di Bono Giamboni.Solo il Mabillon,ritenendo che Brunetto stesso avesse
volgarizzato il suo Tresor, credeva che ciò fosse pure avvenuto dell'Etica (1).
Il primo dubbio intorno al traduttore del compendio francese in toscano fu
mosso dal Manni, indotto da una nota del Salviati il quale « trovò in fronte «
a un particolar testo dell'Etica : Qui comenza l'Elica di Ari. « stolile
volgarizzata per maestro Taddeo medico e philosopho «dignissimo».Ad ogni modo
egli si acqueta volentieri all'au. torità della Crusca che cita il Tesoro «
tutto » stampato per traduzione di Bono Giamboni (2).Altri che vennero dopo
nota rono che qualcuno dei mss. dell'Etica indicava un maestro Taddeo come il
volgarizzatore dell'opera ; difatti il Lami ritiene che ilvero traduttore sia
Taddeo (3),e ilMebus,seguito dal Maffei(4),sostieneche la versione di
Taddeo,fatta probabil mente assai prima,venisse più tardi inserita nel Tesoro
volga. rizzato,in tuttiglialtri libri,da Bono Giamboni (5).Lo Chabaille,
(1)Museum Italicum,Paris,1687-89,vol.I,P. I,p.169. (2)Op.cit.,pp.xisgg.
(3)Novelle letterarie,Firenze,1748,p.303. (4) Storia della lett. ital., 3a
ediz., Firenze, 1853, 1, p. 35. (5)VitaAmbrosii Traversarii,p.CLVIII.
che curò la edizione critica francese del Tresor, dalla perfetta
somiglianza ch'è tra l'Elica e il vi libro del Tesoro, deduce che Brunetto
avesse tradotto Aristotile in italiano prima ancora di voltarlo in francese, e
che quindi il compendio volgare del l'Etica dev'essere a lui attribuito (1).Il
Paitoni,che scrisse sopra tale argomento un lungo articolo, finisce col non
sapere da che parte decidersi (2).Giov.Battista Zannoni ha spinto in vece la
questione molto avanti,servendosi di un passo del Conrito di Dante
(Tratt.I,cap.10),dove è fatto cenno di un volgarizzamento dal latino dell'Etica
per opera di Maestro Taddeo,ilcui volgare Dante chiama «laido».Lo Zannoni ri
tiene « che Brunetto voltasse in francese il volgare di Taddeo « e che il
Giamboni a questo desse luogo nella sua versione
«delTesoro»(3).QuestacongetturaèancheaccoltadalPuc cinotti,ch'è stato il più
accanito difensore di Taddeo (4).Il Sundby combatte tutte le opinioni
precedenti:quella delloCha. baille e dello Zannoni,opponendo loro le parole
stesse di Bru netto che,nella sua introduzione, assevera di aver tradotto dal
latino in francese,de latin en romans;quella del Mehus, citando il passo di
Dante il quale parla evidentemente di una traduzione dal latino. Egli reputa
diversa da quella che abbiamo la traduzione di Taddeo,dicui sifacenno nel
Convito;afferma recisamente che Brunetto ha tradotto Aristotile dal latino in
francese e che il testo italiano dell'Etica è opera di Bono Giam
boni(5).IlGaiter,ch'è ilpiùrecenteeditoredelTesoro,se guendo,come
pare,lacongettura dello Chabaille,confonde la (1)Lilivresdou
TresorparBrunettoLatini,Paris,1863,Introd.,p.xv. (2) Biblioteca degli autori
antichi greci e latini volgarizzati, Venezia, 1766, vol.I,pp.103-29. (3) Il
Tesoretto e il Favolello di ser Brunetto Latini, Firenze, 1824,Pre fazione,pp.XXXV
sgg. (4)Storia della medicina,Firenze,1870,vol.I. 4 C. MARCHESI (5) Della
vita e delle opere di Brunetto Latini, Firenze,1884,pp.139 sgg. La stessa
opinione del Sundby aveva esposta prima V. Nannucci,Manuale, Firenze, 1858,
vol. II, p. 383. IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 5
Nicomachea con ilLibro de'Vizi e delle Virtù e con il VI libro del Tesoro, il
quale « fu prima compilato e poscia dall'autore «annestato nella maggior parte
del Tesoretto»(1);e altrove ricorda una nota del Sorio che attribuiva a
Brunetto Latini il volgarizzamento dell'Elica d'Aristotile (2); del resto non
fa cenno dellaquestione.IlCecioni,perultimo,trattando delSecretum Secretorum ,
in una breve digressione sull'Elica volgare, dopo avere riassunto tutte le opinioni,assicura
che Taddeo deve averne fatto una traduzione, poichè altrimenti sarebbe
inesplicabile il motivo per cui parecchi codici di rispettabile antichità
attribui. sconolatraduzioneaTaddeo;ma delrestoaffermachelaque. stione circa il
volgarizzamento dell'Etica, che noi possediamo, rimane indecisa nè si potrà
forse in alcun modo risolvere (3). Cosi scetticamente si chiude la questione,
irresoluta. Dopo l'esame dei codici dell'Elica volgare e latina e del Te soro,
non è più lecito dubitare di poter decidere la questione in modo definitivo, e
a definirla concorrono parecchi dati positivi e sicuri; il primo, di capitale
importanza : la tradizione m a n o scritta. Il compendio volgare della
Nicomachea ci ha una ben larga ed evidente tradizione isolata.Nelle biblioteche
di Firenze,ove il latino del testo aristotelico ebbe per la prima volta veste
vol gare e popolare conoscenza, ben ventidue codici ci attestano della larga
diffusione che il volgarizzamento ebbe come opera a sė, indipendente da altre
opere più larghe che la integrassero. A'codici
fiorentinisiaggiungonoaltrichehopotutoesaminare: due Ambrosiani,tre
Marciani,uno della Nazionale di Napoli,uno della Comunale di Nicosia. Pochi
altri mss.dell'Elica si trovano sparsi per le biblioteche d'Italia, ma da ragguagli
cortesi che ho potuto avere di essi, è lecito dedurre come tutti quanti ade
riscano per contenuto e per lezione al nucleo centrale e fonda mentale dei
mss.fiorentini. (1)Ediz.cit.del Tesoro,Prefaz.,p.xv. (2)Ivi,p.XLII. (3)
Propugnatore, 1889, p.72. Tutti icodici presentano una redazione
unica del volgarizza- mento,che è quella stessa della edizione Manni, con la
quale ho fattolacollazione(App.I).Le varianti frequentinellalezione,le
inversioni,le omissioni reciproche,gli scambi,le lacune del testo a stampa
sopra tutto, si debbono, oltre che alla bontà maggiore o minore del modello, a
sbagli de' trascrittori, e non valgono dinanzi alla somiglianza e conformità
dell'assieme.Molte lacune e accorciamenti si possono attribuire soltanto a
sbada taggine de'copisti per le gravi difettosità che ne vengono al senso,e
sono indubbiamente prodotte dalleespressioni consimili cheapocadistanza han
prodottolafacileomissione:giacchè il copista credendo di proseguire saltava
d'un tratto il brano. Accanto alle lacune (1), che dànno qualche volta luogo a
strane combinazioni d'idee,va notato un buon numero di ampliamenti, di cui
taluni sono ripetizioni di luoghi antecedenti.Qualche volta le parole si
trovano collocate in maniera diversa nel periodo o sostituite con altre e
mutate con lo scopo di abbreviare o modifi c a r e il c o s t r u t t o ( 2 ) ;
l e m o l t e d i f f e r e n z e o r t o g r a f i c h e v a n n o r i f e r i
t e al tempo della trascrizione. Fra i codici che più si accostano al
testoastampa vanno notati 6.c.g.h.4.2.m .p.e specialmente d ed e,iquali hanno
pure comuni con il testo Manni molte particolarità ortografiche.Le maggiori
divergenze presentano i codd.7 e 1;in quest'ultimo è notevole un'aggiunta al
libro sesto (3). Nel cod. V la lezione presenta spiccate differenze, (1) È da
osservare come nel secondo libro (cap.IX del Tesoro)occorrano tre parole greche
trascritte con caratteri latini:19)apeyrocalia (5. x.8. m .p.)
oapeiorocalia(4.y.)edanche apeyrochilia(6)eapherocalia(g):in pa recchi codici
tale parola è mancante perchè manca il brano che la contiene;
29)eutrapeles(x.y.4.m.p.)o eutrapelos(2.6.7.d.e.f.g.h.)ed anche eutrapelo (6)
ed eutrapeleos (8); 3o recoples (y.x.5. 7. 8. c.d.f.h.4. 2. p.)
orechoples(e.g.)ed anche recupes(6)erecopls(2).Inqualchecodice, come nel cod.1,
il copista salta il passo dove avrebbe dovuto introdurre le parole greche. ( 2
) C o m e s i n o t a a n c h e p a r t i c o l a r m e n t e n e l l ' A m b r
. C . 2 1 , i n f ., c h ' è u n a trascrizione umanistica della seconda metà
del '400, (3)Manni,p.39;Gaiter,p.115:«in questo cambio era grande brigaet
6 C. MARCHESI IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA
specialmente nella seconda metà,dalla lezione comune,e risente dell'influenza
dell'opera francese di Brunetto e dell'azione diretta modificatrice del
trascrittore : l'influenza del francese in questo c o d i c e , c o m e n e l l
' A m b r o s . c . 2 1 i n f ., c i è a t t e s t a t a i n d u b b i a m e n
t e dal fatto ch'essi vanno oltre il limite solito dell'Elica e prose guono con
le stesse parole, intorno alla differenza tra la retorica e la scienza di fare
le leggi, le quali chiudono il VI.libro del Tresor; ma possiam dire che per
quanto la lezione di V sia in molti punti alterata,non presenta tuttavia una
redazione diversa dalla comune dei mss.e delle stampe del Manni e del Gaiter,
alla quale ultima specialmente aderisce verso la fine.Dall'esame critico della
lezione risulta una somiglianza intima tra icodd.1 e 7 ; tenendo poi conto
delle particolarità più comuni, possiamo stabilirediversi gruppi di
codici:a)1.a.y.5.6.7.8.x.r. 9.checidannolapiùautorevolelezione;b)g.C.d.e.f.N.r.
2.s.;c)4.m.p. Come s'è detto, il compendio volgare dell'Etica si trova pure
inserito nel volgarizzamento del Tresor, di cui forma la prima metà della
seconda parte, o meglio il VI libro, secondo la indi. cazione comune.Dei venti
codici del Tesoro da me esaminati, dodici solamente contengono il trattato
aristotelico : gli altri sono mutili (App. II). La lezione dell'Etica ne'
codici del Tesoro, tranne le solite Jivergenze omai notate come comuni in
questa redazione del l'Etica volgare,è da collegarsi alla stessa famiglia dei
codici isolati e de'testi a stampa.C'è da notare nel complesso un numero
maggioredivarianti,omissioni,aggiunte,frequentissimi sbagli di trascrizione e
qualche breve interpolazione del copista «pero fue trouata una
cosac'aguagliasse etquestacosasièildanaio. « percio che l'opera di colui che fa
la chasa si aghuaglia ad opere di colui « che fae i calzari col danaio; chè per
lo danaio puote l'uomo donare et « prendere le grandi cose e picciole, per cio
che 'ldanaio è uno strumento «perloquale
ilgiudicepuotefaregiustizia,perocheeldanaioèleggie «senz'anima.ma
ilgiudiceèleggiech'àanimaetdiogloriososièleggie « uniuersale d'ongni cosa »,
stesso,che sidistingue subito permancanza di riscontroinaltri
codici.Oltrere P,che servirono di base allastampa fiorentina, uno de'codici più
fedeli all'ediz.del Manni è l'Ambros.G. 75 Sup.e Z ,dove pur si trova una
grande confusione causata dallo spostamento di varie parti.Tra icodd.più
scorretti dal lato ortografico e P. In base alle particolarità più comuni
icodd.del Tesoro si possonodividere ne'seguenti gruppi:19)d.v.1. 2°)n.
λ.π.φ.3ο)λ.μ.γ.Ρ.Ζ.ε.Ambr. Riassumendo,possiam dire: la lezione del testo
aristotelico volgare appare generalmente, ne'codd.dell'Etica e del Tesoro,
fluttuante,poco sicura.Ma lesolite differenze nella espressione, nella
struttura del periodo, le frequenti omissioni e aggiunte di parola,gli
spostamenti e le lacune,comuni alla maggior parte dei codici,riguardano più
d'ogni cosa la bontà della copia,la correttezza del modello copiato, la
esperienza o la libertà del l'amanuense, ma non compromettono in alcun modo
l'unità del volgarizzamento. La materia dell'Etica si trova nella maggior parte
dei codici ugualmente distribuita.Una grave inversione presentano 1. d.
e.s.;inessiiltestodap.6Manni[Gaiter25:compimentoe forma di uirtu ] va d'un
tratto a p. 18 (Gaiter 57 : ciascuno huomo che ingiusto et reo sie] e seguita
sino a p.21 (Gait.66 : E pero è bestial cosa seguir troppo la dilettazione del
tatto] donde torna indietroap.9 [Gait.34:La potenzia uae'innanzi all'acto] e
prosegue sino a p. 18 [Gait. 57 : dee l'uomo essere punilo];quindi
tornadinuovoap.6 (Gait.25:beatitudoècosa ferma et stabile] seguitando sino alla
fine del primo libro [p.8 M ., 31 G.: Questièun casto huomo, humile et largo).È
determi nato cosi uno scambio reciproco, nel principio, de'libri secondo e
terzo. 'T 8 G. MARCHESI Un'altra inversione è nei codd.del Tesoro a.T. X.
u.In essi iltestodell'Eticadallafinedelcap.XXIX (pp.M.35,G.101: l'uomo si uiene
a fine con grande sottilglianza de li suoi in
tendimentinelecoselequalisonbuonema questasottilglianza e cerlezza e sauere
ragion diuina e le dilettationi che l'uomo IL COMPENDIO VOLGARE
DELL'ETICA ARISTOTELICA 9 elegge per gratia d'altro.son queste ricchezza
etc.... Jez.u] corred'untrattoalcap.XXXVIII (pp.M.41,G.121]eprosegue sino al
primo periodo del cap.XXXIX (pp.M. 43,G. 125:per a u e r e l u n g a m e n t e
u i n t i li d e s i d e r i d e l l a c a r n e . L o m a g n a n i m o serue
bene.....u]; quindi ritorna al cap.XXXIV (pp.M. 37, G.110)evasinoalcap.XXXVIII
(pp.M.41,G.120:inman. giare e in bere e in luxuria e tutle dilectationi
corporali ne la misura delle quali l'uomo elegge per se medesimo.et quando ella
e rea si detta callidita. ne le cose ree si come incanta menti.....u];dopo itre
primi periodi del cap.XXXVIII torna cosi nuovamente al cap.XXIX (pp.M. 35,G.
101). La stessa i n v e r s i o n e n e l l ' o r d i n e d e l l a m a t e r i
a h a il m s . V i s i a n i . I codici dell'Etica,in gran parte,presentano la
solita divisione della materia in dodici libri,che non di rado è limitata alla
semplice indicazione numerica,senza alcun accenno all'argo m e n t o s v o l t
o ( h . 4 . ) ; i n p a r e c c h i c o d i c i ( y . c . e . h . 4 . m . r .)
l a materia oltre che in libri è divisa in tanti capitoletti ; in altri (5. 6.
I. v.) soltanto in rubriche le quali sono qualche volta costituite dalle stesse
parole del testo,come in 5 e 6.Altri co. dici mancano di qualunque divisione
sia in libri che in rubriche (p.8.Amb.166).L'Ambr.C.21inf.,delsec.XV,presentala
partizione comune fino al decimo libro;la materia degli ultimi due è divisa in
tre capitoli (c.53':tracta di la beatitudine la quale puo hauere in questo
mondo : Di po la uirtu diciamo di
labeatitudine;c.57"tractachesel'huomohabuonanatura la ha da dio : sonno
huomini che sonno buoni per pauura ; c.57'diGouernamento
dilacittade:lonobilehuomoetbuono regitore di la citta fa nobili et buoni
cittadini). In d in luogo di libri è detto fioretti, e cosi pure al principio
di v : Fioretti dell'Elicha d Aristotile del primo libro. . Dei codici
del Tesoro,taluni (e,u,n) non danno alcuna in dicazione sul modo con cui la
materia è distribuita;altri (a,a) hanno un elenco delle rubriche posto in
principio alla seconda parte dell'opera, vale a dire il VI libro; in 8 è un
rubricario generale posto in principio del Tesoro; le rubriche di t fanno
! parte del testo,e una divisione in capitoli si trova in r (De
leuilenominale deletrepotenziedel'anima Come lobene si diuide de la polenzia
dell'anima de la uerlude intellec tuale |di che l'omo desidera tre cose |de le
uerlude che ssono inabito comesitroualauerlude comel'omopuofarebene e male d e
le tre isposizioni in operatione de le cose che
conuienefareperforzaetc.).Induecodici(Z eAmb.)tutta la materia del VI libro è
divisa in cinque capitoli : 1°) « Incipit «libro d'eticha Aristotile; 2)
Secondo capitolo d'elicha Ari «stotile:sonooperationi lequali homo
fa;39)Terzocapilolo « d'eticha : due sono le specie d'amista ; 4 ) Quarto
capitolo de « eticha : la dilectatione è nata e notricata ; 5°) Quinto capitolo
« de etica : Dopo le uirtù diciamo oggimai della beatitudine ».Altri codici
presentano la divisione per libri o per rubriche che si trova nelle stampe.
Riferiamo il titolo originario dei dodici libri dell’Etica, traen dolo
da'codici più antichi ed autorevoli, del sec.XIV : « Prologo « sopra l'etica
d'Aristotile Qui si finisce il prologo di questo « libro d'Aristotile. Qui
appresso si comincia il primo libro e « tracta in questo primo libro della
felicitade : le uite nominate ve famose.IQui comincia ilsecondo libro
dell'Etica d'Aristo « tile e comincia a diterminare delle uirtudi e
primieramente « mostra che ongni uirtu che noi abbiamo è per costumanza «
d'opere:Concio siacosa che siano due uirtudi.|Qui comincia « il terzo libro
dell'etica e tratta dell'operazioni le quali sono « uolontarie e che non sono
uolontarie : Sono operazioni le quali « l'uomo fae sanza sua uolontade |Qui
comincia il quarto libro « dell'etica d'Aristotile ove si ditermina di quella
uertude la « quale è detta uertude della liberalitade :Larghezza è mezzo in «
dare e in riceuere pecunia |Qui comincia il quinto libro del « l'etica e
determina della giustizia la quale è uerti che dee « essere nell'operatione
delli huomini : Iustizia si è abilo lau « d e u o l e | Q u i c o m i n c i a
il s e s t o l i b r o d e l l ' E t i c a e c o m i n c i a a d e « terminare
delle uertudi intellettuali per ciò che infino a quie
«ellisiaediterminatodelleuirtudimorali:Due sonolespezie 10 C.
MARCHESI IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 11 « delle
uirtudi |Qui si comincia il settimo libro dell'etica del « s o m m o filosofo
Aristotile e ditermina della uertude la quale è « detta uertude della
contenenza : Li uizii de costumi molto « reil Qui comincia l'ottavo libro
dell'etica d'Aristotile nel quale «ditermina dell'amistade la quale è cosa
necessaria all'uomo: « Amistade si è una delle uertudi dell'uomo IQui comincia
il « nono libro dell'etica d'Aristotile il quale ditermina della pro «prietade
dell'amistade: Lo conueneuole agualliamento si « aguallia le spezie Qui
comincia il decimo libro dell'etica « d'Aristotile nel quale tratta della dilettazione
e della felicitade « per ciò che pare che queste due cose si sieno fine de la
dilet. « tazione et dice qui che la dilectazione si è fine dell'operazione
«virtuosa:La diletlazionesiènataenotricata|Quicomincia « l'undecimo libro
dell'etica d'Aristotile nel quale ditermina della « beatitudine la quale puote
l'uomo auere in questa uita. Et dice « qui che la beatitudine è cosa perfecta :
Dopo le uirtudi di. « c i a m o o g g i m a i | Q u i c o m i n c i a il d o d
e c i m o l i b r o d e l l ' E t i c a . E t « determina come l'uomo il quale
à buona natura si l'ae dalla « grazia di dio, et questi cotali sono disposti ad
acquistare uer. « tudi : Sono uomini che sono buoni per natura ». Del
rubricario più comune diamo per saggio quello del primo libro:«Perqualescienziașireggelacittade
delleuiteet « quale è laudabile |di due modi di bene che è beatitudine
«dellepotentienaturalidell'anima demeritidelleoperationi aditrespeziedelbene
Comes'acquistaetconserualabeati. « tudine |Onde uiene la beatitudine e di che à
bisognio chi « non puote auere la beatitudine per che /che cose sono aspre « a
sofferire |come ae similitudine l'uomo felice con dio onde « procede felicitade
|in che comunica l'uomo colle piante et colle «bestieetincheno
dell'animacom'aecontrarimouimenti « della uertu intellettuale e della morale
».Nel codice Marciano II,141,lamateriaèdiversamente distribuitaindodici«parti»;
la prima non è indicata,poi «della forteça: Diciamo omai di « ciascuno habito
della liberalità: largheça è meço in dare « del conuersare: dopo questo
dobbiamo dire di quelle cose
«dellagiustitia:Justiciasièhabilolaudabile dellointellecto « dell'anima : Due
sono le specie delle uirtudi |de tre uitii primi : «Vilii e costumi molto
rei|dell'amistade:Amistade e una «delle uirtude dell'uomo e d'iddio |dello
aguagliamento della «amistade:Loconueneuoleadguagliamento delladilectatione: «
La dilectationesiènata enutricala |della beatitudine:Quando
«noiauemodeterminato delcorreggimentodeVitii.depaura. « della pena : La
scienzia delle uirtudi si a questa utilitade ». Ilcompendio volgare del
Trattato Aristotelico,come si può desumere dall'incipit e dall'esplicit di ogni
codice,veniva più comunementeindicatocoltitolodiElhicad'Aristotile,edanche:
Etica del sommo phylosofo Aristotile; molto più raramente : Fioretti dell'Elica
d'Aristotile. Occorre anche talvolta la indi cazione latina : Elhica
Aristotilis, e più sovente quella di Liber E t h i c o r u m . N e ' c o d i c
i d e l T e s o r o il t i t o l o p i ù c o m u n e è p u r e : l'Etichad'Aristotile,edanche:l'EtichadelgrandesauioAri
slotile;in parecchi si trova l'indicazione latina:Ethica Ari stolilis. Nei
codici dell'Etica manca ogni notizia intorno alle necessità e a'criteri
dell'opera.Fa eccezione ilcod.Marciano II, 134 il quale contiene, solo fra
tutti, l'epistola proemiale del volgarizzatore ad un amico,che a quella fatica
del tradurre avevalo indotto. « Incipit proemium transductoris huius operis «
uulgaris.— Più uolte essendo amicho mio da la tua gintileza « con grande
instanzia infestato l'Eticha Iconomicha et politicha de « Aristotile de lingua
latina in parlar (moderno] et uulgar ti « transducha. La quale richiesta
considerando truouo la mala «sua axeuolezza uincere ogny mia faculta.Et anche
hauendo « udito altri circha a questa opera auere insudato non m'è pa «ruto
douerse seguire per fugire la riprensione de molti.Ma « pure la forza de la tua
amicizia è tanta che mi constringie et «fami intraprendere quello che mi
cognosco impossibile.Onde « la gratia superna inuocho al principio di tale
faticha doue « mi mecto seguendo el uoler tuo iusta mia possa. Et perche el «
dire de Aristotile è scropoloso et stranio molto dal modo del « nostro parlare,
pure quanto potro ad esso mi acostero.Alcuna 12 C. MARCHESI
IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA « uolta le sue proprie
parole et alcun altra el senso dimostraro «suzinto,seruando la uerità del
testo.Ma auanty che questo « cominci alquanto della persona et essere suo
toccharo ad cio « che le sue opere pergrate siano da te riceuute ». Il prologo
non ci porge alcuna notizia storica,e del resto sulla sua auten ticità ci
lascia grandemente perplessi. Il fatto che,tra tanti manoscritti dell'Etica,
noi lo troviamo solo in questo,abbastanza tardivo,della fine del sec.XV,può
destare grave sospetto,ma non sarebbe ad ogni modo motivo sufficiente per
indurci a rin negarlo senz'altro. Ben altri motivi non ci permettono di prestar
fede all'autenticità del proemio Marciano. In esso il volgarizza tore dice di
aver udito « altri circa a questa opera avere in « sudato » ; l'espressione è
molto ambigua ; giacchè o si riferisce a precedenti volgarizzatori,e ciò non è
possibile perchè Taddeo fuilprimoavolgarizzarl'Etica,oatraduttorilatini;ma per
quanto sappiam noi in nessuna delle traduzioni latinedella Ni comachea si
leggono accenni alle difficoltà del traduttore; solo Ermanno ilTedesco,nel
prologodellasuaversione delCommen. tario d'Averroè alla Poetica
d'Aristotele,dice della grande dif ficoltà da lui trovata « propter
disconuenientiam modi metrifi «candiingraeco cum
modometrificandiinarabo,etpropter auocabulorumobscuritates»(1);ma
cisembrerebbeaffatto inopportuno scorgere nel prologo alla Poetica di Ermanno
un rapportocolprologoall'EticadiTaddeo.Epoinel1200eneltre. cento è ben
difficile trovare la nota individuale,sopratutto nelle traduzioni; furon più
tardi gli umanisti che alteri del merito proprio rivelarono a quattro venti le
difficoltà del lavoro da essi intrapreso e compiuto; del resto tutta la parte
del pro logo, di cui ora parliamo,si connette con la praemunitio tanto comune
agli scrittori del quattrocento, i quali nell'introduzione alle opere loro ci
ricordano spesso la difficoltà dell'argomento e il timore della critica e la
debolezza dell'ingegno e il riguardo 13 (1) Il prologo è pubblicato dal Jourdain
(Recherches critiques sur l'age et l'origine des traductions,latines
d'Aristote, Paris, 1843, p. 141). amorevole per l'amico che la
vince sulle giuste considerazioni e preoccupazioni dell'autore.È
questo,ripeto,un motivo comune agli umanisti,a'quali l'aveva comunicato lo
spirito retorico delle composizioni proemiali latine. Lo stile poi del proemio
è assai diverso dal volgare di Taddeo, ch'è quale potea rampollare schietto di
mezzo all'efflorescenza letteraria dell'ultimo dugento.Lo stile del prologo
marciano ri. sente molto invece di quel volgare farneticante da scuola e da
sacrestia che pretendea ingentilirsi nel '400 signorilmente, usur pando gli
addobbi lessicali delle forme latine.C'è in fine un ultimo argomento decisivo.
Nel titolo dell'epistola proemiale è adoperata la parola transductoris,e nel
volgare stesso del pro logo si trova adoperato il verbo transducere. Ora nel
sec. XIII e XIV la espressione latina traducere non è ancora passata col s i g
n i f i c a t o m o d e r n o n e l l a t i n o e n e l v o l g a r e ; il p r
i m o , c o m e p a r e , ad usare il vocabolo traducere con il significato di
tradurre, fu il Bruni, fin dal 1405 ; d'allora soltanto s'introdusse nel latino
e quindi nell'italiano (1). Sicchè possiamo affermare che il prologo Marciano è
di avan. zata fattura quattrocentina.Come sia comparso non sappiamo, nè torna
conto indagare e congetturare sulle cause e sulle ori gini di tutte
lescritturecheapparveroingrande numero,affac cendate e moleste,in quel tempo di
continue esercitazioni re toriche e di finzioni letterarie. Stabilita la unità
del volgarizzamento contenuto ne'codd.del l'Eticaedel Tesoro,passiamooramai
allaindicazionedell'autore. De' ventinove codici dell'Elica, da me esaminati,
ventidue sono anonimi;uno,del sec.XIV (5),attribuisce la traduzione a un
maestroGiovanniMin.(2);seicodici(4.y.&.g.m.p.)danno il nome del
volgarizzatore dell'Elica, traslatata in uulgari a magistro Taddeo. (1) Vedi R.
SABBADINI,Del tradurre iclassici antichi in Italia,in Atene e Roma,an.III,no
19-20,col.202. (2)ExplicitethicaAristotilistranslataamgio iohemin.uulgare.deo
gratias. 14 C. MARCHESI IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA
ARISTOTELICA 15 Dei codici del Tesoro,tre del sec.XIV,oltre la solita attri.
buzione a Brunetto in principio di tutta l'opera, alla fine del sesto libro ci
danno un'indicazione particolare del volgarizzatore, la quale è sfuggita a
tutti gli studiosi del Tesoro ed è di molta importanza per la questione agitata
intorno all'autore del com pendio volgare. Ecco dunque le soscrizioni.a:Explicit
etica Aristotilis a magistro Taddeo in uulgare traslala ; T : Explicit hetica
Aristotilis a magistro Taddeo in uolgare trasleclata ; 1:Explicit Elicha
Aristotilis a magistro Tadeo in uulghari traslatlata. Dalla tradizione
manoscritta si può dunque ricavare : 1o) che ilcompendio volgare della
Nicomachea ebbe una larghissima diffusione come testo particolare, indipendente
da altra opera ; 2°)ch'esso,quando non correva anonimo,veniva comunemente
attribuito a maestro Taddeo. Ma da'codici del Tesoro balza fuori un nuovo
cumulo d'in dizi gravi e sicuri, che infirmano seriamente l'unità del vol
garizzamento dell'opera di Brunetto,attribuito sempre con cordemente per intero
a Bono Giamboni : 19) Parecchi codici del sec. XIV danno, come s'è visto, il
nome del volgarizzatore del l'Etica : Maestro Taddeo ; la soscrizione finale,
perchè non si possa ritenere aggiunta posteriore,è sempre di mano del copista
che ha trascritto il codice per intero.Questà attribuzione è
l'unicachesitroviintuttoilms.,oltreaquellageneralecon cui va riferito il
complesso dell'opera a Brunetto.Ciò è di spe. ciale importanza per noi :
difatti, giacchè il copista solo per l'Etica sente il bisogno di riferire il
nome del traduttore, vuol dire ch'ei sapeva che solo quella parte del Tesoro
rimaneva estranea al volgarizzamento generale dell'opera, e il volgare di
Taddeo vi si trovava come inserito. In qualche codice anepigr. e mutilo,come
a,l'attribuzione a Taddeo è anzi l'unica indica zione di autore che sitrovi in
tutta l'opera.2 ) Di solitoicodici mutili si fermano prima di giungere
all'Elica; d'altra parte pa recchi mss.del Tesoro si arrestano alla fine del
compendio aristotelico. Ciò dimostra che questo costituiva come un punto
di fermata, era un libro introdotto a parte, si che poteva benis simo
arrestare al libro V l'amanuense che fosse sprovvisto del. l'originale, o
determinare una pausa nella trascrizione,alla fine del libroVI(1).3o)Nel
cod.r,miscellaneo,l'Elica è preceduta dal VII libro del Tesoro : si può notare
dunque il distacco ch'è tra le due parti, non considerate come legate e
dipendenti nella stessa opera.4°)In qualche ms.,come ri,precede una tavola
della materia che giunge sino a tutto il libro V , escludendo la rimanente,
dall'Elica in poi ; e ciò dimostra ancora che l'Elica arrestava quasi il corso
regolare dell'opera volgarizzata ed era estraneaalvolgarizzamento del
Tesoro.5°)Un particolare fon damentale:ilcod.d ha questa soscrizione
dell'amanuense,al l'Etica: Ecplicit l'Etica Aristotile in questo tanto che io noe
t r o u a t a ; c i ò s i g n i f i c a c h i a r a m e n t e c h e il c o p i
s t a , p e r t r a s c r i v e r e la parte dell'opera che comprendeva il
compendio aristotelico, era obbligato a ricorrere ad un altro testo che non era
quello unico del Tesoro.6°)Ci resta finalmente da osservare che mentre tutti i
codici del Tesoro differiscono quasi sempre e in m a niera notevole nella
lezione, mostrano invece una concordanza molto maggiore nell'Etica; vuol dire
che si tratta di un testo particolarmente prefisso a'trascrittori.Ciò dimostra
ancora la maggiore divulgazione del testodell'Etica lacui lezione più re
golare, rispetto alla lezione caotica del Tesoro, era fissata da una più grande
diffusione delle copie. Concludiamo questa prima parte. Dall'esame dei codici e
della materia manoscritta ci risulta che esisteva nel secolo XIV un compendio
volgare della Nicomachea,attribuito a maestro Taddeo, che noi troviamo anche
inserito integralmente nel Tresor vol garizzato, di cui costituisce il VI
libro. Ma nèicodicidelTesoro,nèquellidell'Eticacidicono da ( 1 ) Il S o r i o d
a q u e s t o p a r t i c o l a r e , c h ' e g l i o s s e r v ò n e l c o d .
A m b r ., t r a s s e
argomentoprincipalediattaccoallaautenticitàdelVIIlibrodel Tesoro.La opinione
del Sorio fu combattuta dal Gaiter (Propugnatore, 1874,pp.334 sgg.) con
argomenti dubbi ed indecisi: l'uno e l'altro eran difatti fuor di strada.
16 C. MARCHESI IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 17 che
volgarizzó Taddeo.La questione è importantissima;data la identità tra l'Elica e
il volgare del VI libro del Tresor non resta che una questione di priorità:0
Brunetto si servi di Taddeo, o Taddeo di Brunetto ; vale a dire,o maestro
Taddeo volgarizzo il VI libro del Tresor, il quale ebbe così tradizione e fortuna
isolata da tutto il resto del volgarizzamento, ch'è opera di Bono ; o Brunetto
si servi per il suo Compendio francese del volgare di Taddeo,che fu introdotto
però intatto nel Tesoro, in luogo di un volgarizzamento diretto dal francese.
Nel Convito di Dante è unpasso che spinge molto avanti la questione:
Tratt.I,cap.10:«La gelosia dell'amico fa l'uomo
«sollecitoalungaprovvedenza:ondepensandocheperlode < siderio di intendere
queste Canzoni alcuno inletterato avrebbe «fatto il comento latino trasmutare in
volgare,e temendo che 'l « volgare non fosse stato posto per alcuno che
l'avesse laido « fatto parere, come fece quelli che trasmutò il latino del
«l'Etica,ciò fu Taddeo Ippocratista,provvididiponere «lui,fidandomi di me più
che d'un altro».IlSundby,che vuole ad ogni costo ritenere di Bono tutto il
volgarizzamento del Tresor,se ne sbriga assai piacevolmente: « Nel caso adunque
« che il passo succitato del Convilo fosse esatto in tutte le sue « parti, la
cosa sarebbe chiarissima : la traduzione di Taddeo « dovrebbe essere affatto
diversa di quella di cui noi ci occu « piamo,e questa si dovrebbe attribuire a
Bono Giamboni » (1). E non ci sarebbe niente da dire; resterebbe però fin ora
da spiegare,se non altro,la tradizione manoscritta che,laddove non tace,dà il
nome del volgarizzatore:Taddeo,accordandosi col passo di Dante ; e d'altra
parte non sarebbe lecito trascurare quegl'indizi che non danno certamente più
come sicura l'unità delvolgarizzamentodiBono.Nedevefareombra l'appellativo di «
laido » dato da Dante al volgare di Taddeo, giacchè per C. MARCHESI. ( 1
) O p . c i t ., p . 1 4 2 . 2 certo questo non è il modello
migliore di prosa trecentistica, e la opinione del Nannucci (1),di cui si fa
forte il Sundby,può ri tenersi giustificata da un sistema di ammirazione
proprio della fede e dell'entusiasmo delle generazioni passate per tutti i do
cumenti letterarî del nostro trecento. Tutto dunque ci fa credere che il
volgarizzatore sia maestro Taddeo : 1 ) Esiste una sola Etica volgare in tutti
i codici; 2 )i codici che portano il nome del volgarizzatore l'attribuiscono a
m a e s t r o T a d d e o ; 3 ) l a d i c h i a r a z i o n e e s p l i c i t a
d i D a n t e , il q u a l e ha l'aria di parlarne come dell'unico,comunemente
noto,vol. garizzamento ch'esistesse a suo tempo dell'Etica latina. kesta anche
esclusa la prima congettura,che Taddeo volgarizzasse il francese di Brunetto ;
Dante ce lo dice esplicitamente : « colui « che trasmutó lo latino dell'Etica
». Del resto, a prescinder da altriargomenti principaliedecisivi,ch'esporremosubito,ilcom:
pendio volgare dell'Etica non può ritenersi come volgarizzamento del VI libro
del Tresor per le frequenti differenze, non solo di forma ma di sostanza,che
presenta rispetto al testo francese: e sono omissioni o aggiunte di pensieri,di
esempi,di considera zioni, ampliamenti o riduzioni di concetti : e tutto questo
non può ammettersi nella traduzione di un'opera,a meno che il traduttore non
abbia voluto rimaneggiare per conto suo l'ori ginale. Dunque Taddeo volgarizzò e
compendio da una delle redazioni l a t i n e d e l t e s t o a r i s t o t e l
i c o , l a q u a l e e r a n o t a a l l o r a s o t t o il n o m e di Liber
Ethicorum , nome ch'è anche particolarmente proprio di un'altra redazione
latina della Nicomachea, letterale e molto o s c u r a , c u i il c o m m e n t
o t o m i s t i c o a v e a s p i n t o a l l o r a a l l a m a s s i m a
diffusione. Dal testo tomistico difatti il Sundby ( 2) fa derivare il compendio
francese e volgare dell'Elica,e pone iraffronti;ve dremo appresso come il
critico danese si sia messo su una falsa (1)Manuale della
lett.italiana,vol.I,p.382. IlN. trova anzi l'Etica «adorna di molta purezza e
semplicità di stile». 18 C. MARCHESI (2) Op. cit., pp. 144 sgg.
IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 19 strada.Ad ogni modo che
Taddeo abbia tradotto direttamente dal Jatino ci è confermato dal confronto tra
l'Etica volgare e il Liber Ethicorum da cui dipende; se avessimo scarsezza di
argomenti o mancanza di prove sicure potremmo anche valerci delle soscri zioni
di taluni codici dell'Etica e del Tesoro che indicano il nostro volgarizzamento
come Elhica Aristotilis e più spesso Liber Ethi corum ,facendoci sospettare
lasua provenienza dal testo latino. Di maestro Taddeo i codici (4. y.) ci
dicono soltanto che su « florentino » e Dante aggiunge ch'ei fu medico, «
Ippocratista ». Di un Taddeo, d'Alderotto, fiorentino, « fisico massimo »,
scrisse, con la solita ingenuità,una breve vita Filippo Villani (1),il quale ce
lo descrive di parenti oscuri, poverissimo, dedito ai mestieri più vili, e «
col cerebro oppilato e tenebroso » fino ai trent'anni (2). Passati gli anni
trenta « si consumarono quegli «umori grossi»;Taddeo divenne un altro uomo e
rivelòilsuo ingegno dedicandosi allo studio delle arti liberali,della filosofia
e per ultimo della medicina,che insegnò pubblicamente a Bo logna. Dice il
Villani : « Fu costui de' primi infra' moderni che adimostrò le segretissime
cose dell'arti nascoste sotto i detti « degli autori, e la spinosa terra e inculta
solcando all'ottimo « futuro seme apparecchiò. Questi, sprezzati alcun tempo i
so pravvegnenti guadagni,cupido di gloria e d'onore,si dette a « commentare gli
autori di medicina. Nella qual cosa fu di tanta «autorità,che quello ch'egli
scrisse è tenuto per ordinarie achiose,lequali furono postene'principali
libridimedicina. « E fu in quell'arte di tanta reputazione, quanto nelle civili
« leggi fu Accorso, al quale egli fu contemporaneo ». Il Villani ci riferisce
inoltre un aneddoto molto curioso, riportato poi dal (1) Le Vite d'uomini
illustri Fiorentini,colle annotazioni del co.G. M a z zucbelli,Firenze,
1847,pp.27-28. (2) Il Biscioni, in una nota sopra Taddeo, inserita nelle Prose
di Dante e del Boccaccio, Firenze, 1723, vuol dimostrare che Taddeo era di
famiglia cittadinesca,che possedeva effetti stabilieche prese per moglie una
de'Ri goletti, il cui padre aveva il titolo di dominus, che in quei tempi si
con cedevasoltantoa cavalieri.Cfr.notadelMazzuchelli,Op.cit.,p.98.
20 C. MARCHESI Negri (1) e dal Fabricio (2), intorno agli eccessivi compensi
che Taddeo « tenuto come un altro Ippocrate da'Signori d'Italia in « fermi »
(3), esigeva per le sue visite giornaliere ; e ci narra che chiamato a Roma dal
pontefice,Onorio IV,richiese cento ducati d'oro al giorno; invece,dopo la
guarigione del pontefice, n'ebbe in compenso diecimila (4).Il Villani non ci dà
alcun cenno cronologico;dice solo che fu seppellito a Bologna d'anni
ottanta.Giovanni Villani (Storie, VIII,cap.65),seguito dal Fa. bricio, dal
Poccianti e dal Cinelli, pone l'anno della morte nel 1303;l'Alidosi sostiene
invece che Taddeo morisse nel 1299,il Biscioni nel 1296 (5) e il Negri (6), per
approssimazione, nella fine del sec.XIII.Delle opere di Taddeo ci attesta il
Mazzu chelli (7) ch'esiste una raccolta a stampa col titolo « Expositiones
«inarduumAphorismorumHippocratisvolumen.Indivinum « Prognosticorum Hippocratis
librum . In praeclarum regi. a minis acutorum Hippocratis opus. In
subtilissimum Iohan «nitiiIsagogarum libellumIohan.Bapt.Nicollini Salodiensis
aoperainlucememissae.Venetis,apudLuc.Antonium Iuntam,
«1527».Scrisseancheinci.Galeniartemparvam commen taria, Neapoli, 1522. Il
Mazzuchelli, che attribuisce anch'egli a Taddeo la traduzione in volgare
dell'Elica d'Aristotile,aggiunge che nella libreria dei pp.Minori Osservanti in
Cesena si con serva un ms.intitolato Magistri Taddei Glossae in Galenum,
eiusdem Aphorismata.Di maestro Taddeo si conservano in al cuni codici (8)
parecchi trattatelli medicinali e fra questi è par (1)Istoria degli Scrittori
Fiorentini,Ferrara,1722,p.508. (2)Biblioth.latinamediae
etinfimaeaetatis,Patavii,1754,t.VI,p.221. (3)Notissimo anche un distico del
Verino (de illustr.urbis Florent., lib.I)su Taddeo:«Est quoque Thadaei
celeberrima fama,non alter For « sitan in medica reperitur ditior arte ». (4) A
proposito di questo aneddoto vedi la erudita nota del Mazzuchelli,
Op.cit.,pp.98 sgg. (5)Cfr.Mazzuchelli,Op.cit.,pp.99 sgg. (6) Op. cit.,
loc. cit. (7) Op.cit.,p.98. (8)Biblioteca Angelica (Roma),1376 a c.321: Thaddaei
de florentia IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 21
ticolarmente diffuso un libellus de seruanda sanitate o libellu's conseruandae
sanitatis, dedicato a Corso Donati (1). Fra i m a noscritti che lo comprendono
è di speciale importanza l'Ambro. siano J. 108 sup.,del sec.XIII (2),per una
nota posta in principio, d i m a n o d e l l o s t e s s o c o p i s t a c h e
t r a s c r i s s e t u t t o il c o d i c e : « I s t e « libellus |scriptus
et compositus per probissimum et prudentis « simum uirum dominum magistrum
Taddeum de Flor. doctorem « in arte medicine in ciuitate bononie | transmissus
nobili militi « domino Curso donati de florentia », È notevole anche il proemio
del trattato medicinale:« Quoniam passibilis et mutabilis a existit humani corporis
conditio, complexionem et consisten « tiam quam a principio sue originis homo
habuit non seruando, « necessarium extitit artem et scientiam inuenire,per quam
in « sanitate et natura et corpus hominis conseruetur, motus igitur « precibus
et amore cuiusdam mei amici,multa mihi dilectionis «teneritate coniuncti nec
non pro utilitate aliorum hominum, « more uiuentium bestiarum ad conseruationem
sanitatis et uite « in humanis corporibus libellum medicinalem inuenire
disposui « de libris et dictis philosophorum breuiter compilatum ». Da queste
ultime parole risulta ancor meglio l'identità ch'è tra l'autore del libellus,
studioso sfruttatore e compendiatore di m a teria filosofica e l'autore del
nostro compendio volgare dell'Etica. Il trattato di Taddeo,molto curioso,contiene
quei precetti igienici che bisognerebbe osservare fin dal principio della
giornata in torno alle abluzioni del capo,all'igiene della bocca,dello stomaco,
libellus medicinalis ; 1506, c. 46t : Magistri Thaddaei de florentia de r e
giminesanitatis;1489,c.160:Curacrepotorummagni Tadeiabeocom posita.
(1)Riccardiana,1246;Magliabechiana,cl.21,cod.62;141. (2)Membran.a due
colonne;contiene:19) Vegetii de re militari libri; 29) Isiderus de bellis; a
c.31a segue la notissima epistola de cura et modo rei familiaris di Bernardo,al
gratioso militi et felici domino Raimundo domino CastriAmbrosii;a c.32asegue
iltrattatodiTaddeo.Ilcod.consta d i c c . 3 5 n . n u m ., l a c . 3 4 * e 3 5
a v u o t e . Q u e s t o c o d . s i t r o v a l e g a t o a s s i e m e con
un altro membr.dello stesso formato,di cc.19 scritte perdisteso,con tenente i
Saturnali di Macrobio. 22 C. MARCHESI de'cibi,delle bevande,della
digestione,del sonno;sulle condi zioni del corpo umano durante le diverse
stagioni e quindi sulla igiene delle stagioni. Segue a dire della efficacia
terapeutica, molto larga,dialcune pillole,da prendersi avanti o anche dopo
ilcibo,compostedaun«frateRobertodeAlamania»conuna quantità di sostanze vegetali
e aromatiche. La parte trascritta nel cod.Ambros.finisce con la ricetta adatta
«ad faciendum «cristerepropassioneyliaca». QuestoTaddeofamosissimo
medicodelsuotempoedanchepoeta(1),autoredicommentari e di trattati, insegnante
l'arte della medicina nell'Accademia di
Bologna,fualtresìquellochetradussedallatinoinvolgare il compendio dell'Etica
aristotelica. E veniamo al VI libro del Tresor. È noto ed è stato detto da
tutti gli editori e gli studiosi del Tresor, ch'esso risulta da m o l teplici e
varie compilazioni fatte in diverso tempo da Brunetto, su scrittori specialmente
latini; poi riassunte e combinate nel compendio enciclopedico francese del
maestro di Dante. Lo C h a baille anzi afferma che Brunetto avea preludiato
alla compila zione del Tresor con opuscoli separati in prosa e in verso, fra
cui l'Elica d'Aristotile,ch'egli dunque suppone,come parecchi altri,compendiata
e volgarizzata da Brunetto Latini,prima della compilazione del Tresor (2). Ma
su ciò non vale la pena discu tere,giacchè sarebbe combattere contro imulini a
vento. ( 1 ) M a g l i a b e c h ., c l . X V I , c o d . 7 5 , T a d a e i m a
g i s t r i d e F l o r e n t i a C a r m i n a . (2) Op. cit., Introd., p.
vi. Riferiamo un passostesso di Brunetto:Liv.I,cap.I:«Il « (cist livres)
est autressi comme une bresche de miel cueillie « de diverses flors; car cist
livres est compilés seulement de « mervilleus diz des autors qui devant nostre
tens ont traitié « de philosophie, chascuns selonc ce qu'il en savoit partie ;
car « toute ne la pueent savoir home terrien, porce que philosophie « est la racine
d'où croissent toutes les sciences que home peut IL COMPENDIO
VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 23 « savoir ». Egli dunque non dice di essersi
limitato a raccogliere e tradurre scritti latini soltanto; e si deve intendere
anche di volgari. Fra questi è il compendio dell'Etica di maestro Taddeo che
Brunetto, valendosi anche di raffronti continui con il testo latino
originale,trasporto nel VI libro del suo Tresor. Allo Zannoni, il quale
riteneva che Taddeo avesse tradotto Aristotile di latino in italiano e che
Brunetto poscia voltasse il testo di Taddeo in francese (1), il Sundby opponeva
le parole di Brunetto, che nel Prologo della seconda parte (il VI libro del
Tesoro volgare)dichiara di tradurre il libro d'Aristotile de latin en romans
(2).Per venire in aiuto di quanto abbiamo asserito non è necessario ricorrere
alla sottile nota del Paitoni (3),ilquale sosteneva che il volgare italiano si
chiamava anche « latino » ; giacchè essendosi Brunetto servito non solo del
volgare di Taddeo, ma anche,come vedremo,della redazione originale latina,anzi
avendo acconciato e rifatto in molti punti il volgare in base al t e s t o l a
t i n o , è c h i a r o c o m e a b b i a p o t u t o d i r e d ' a v e r t r a
t t o il s u o compendio dal latino,che del resto è anche l'originale
dell'Etica diTaddeo. E poniamo lenostreconclusioni.Ilcompendiovolgaredell'Etica
è la traduzione che maestro Taddeo fece di una delle redazioni latine del
testoaristotelico,laquale ci è rimasta.La traduzione è in gran parte fedele al
contenuto, nella forma è condotta al quanto liberamente: spesso il traduttore
compendia la materia, d'altra parte allarga sempre la frase o il concetto e
diluisce nel volgare il testo latino per bisogno di ripetizioni o di esempi o
di ampliamenti,servendosi,come fa in principio,di qualche altro rifacimento o
aggiungendo delle dichiarazioni proprie.Taddeo non è un traduttore letterale
che si preoccupi della frase e voglia mantenersi fedele alla parola o al tenore
dell'esposizione; egli (2) I codici del Tesoro traducono « di latino in uolgare
», ovvero « di « latino in romanzo » o « di gramaticha in uolgare ».
(1)Op.cit.,c.s. ( 3 ) O p . c i t ., c . s . è solo un interprete
occupato del contenuto che pur vuole p a recchie volte acconciare dal lato espositivo
nella maniera più rispondente, secondo lui, a'bisogni della chiarezza e della s
e m plicità.È l'originale una traduzione latina,già compiuta nel l'anno 1243 o
44 (1), di un compendio alessandrino-arabo della
Nicomachea,elementarissimo,semplice e piano,ridottoa una esposizione
riassuntiva molto breve, e talvolta anche efficace, nonostante l'incertezza e
la poca fedeltà di talune espressioni. Molti luoghi fondamentali, anzi diciam
pure tutte le parti più notevoli per gravità e serietà di enunciati,per
difficoltà di contenuto critico, vengono senz'altro omesse interamente, o ri
dotte alla loro ultima e più semplice espressione. Cosi, per dare qualche
esempio , nel 1° libro è saltato il passo importante al principio del cap.3,in
cui Aristotile nega la possibilità diotte. nere una precisione assoluta nei
giudizi e pone la necessità del giudizio per approssimazione ; altra omissione
considerevole è quella della prima metà del cap.4,in cui Aristotile passa alla
definizione del supremo de beni, alla critica del concetto di fe licità, e si
accinge a discutere la dottrina platonica del bene assoluto; è tralasciata pure
tutta la confutazione della dottrina platonica delle idee (cap.VI) e l'astrusa
enunciazione fondamen tale dell'Eudaluovía aristotelica considerata come bene
vero ed assoluto che comprende in sè, unificandoli, tutti gli altri beni
necessari all'autarchia della vita ; e della seguente trattazione intorno
a'principii (cap. VII) non è alcun cenno nel compendio . Dei brani accolti
tuttavia è vero e proprio ampliamento. Ad ogni modo il testo si prestava
benissimo all'intelligenza comune per l'intendimento più facile e semplice e la
forma più piana che non l'oscurissimo Liber Ethicorum del commento tomistico.
(1)Questo compendio fu conosciuto prima dal Jourdain (Op.cit.,p.144) in un
codice,no 1771,della Sorbona; e più tardi dal Luquet (Hermann l'Allemand, in
Revue de l'histoire des Religions, Paris, 1901, t.44,p.410) in due mss. della
Biblioteca Nazionale : il n ° 12954, che pone la data della
versionenel1244,eilno16581cheèforselostessovedutodalJourdain. 24 C.
MARCHESI IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 25 Come
compendio poteva anzi dirsi ben riuscito;giacché per ri durre allora in più
brevi proporzioni l'Elica nicomachea, ch'è da per sè una condensazione poderosa
delle norme logiche e de principi esposti nell'Organo, bisognava appunto
sfrondarla di tutti i luoghi più ardui 'a spiegarsi e a comprendersi senza
l'aiuto di richiami e di collegamenti, e semplificarne e chiarirne il contenuto
eliminando la rassegna delle opinioni e la parte critica, sopprimendo le
divisioni minori, togliendo il carico degli argomenti favorevoli o 'contrarî ad
ogni problema e riducendo questo alla sua più semplice ed elementare
espressione.Ilcom pendio arabo latinizzato era dunque il testo etico
aristotelico di moda piùrecente.Essocièrimasto,sottoilnome diLiber Ethico r u m
, i n u n c o d i c e L a u r e n z i a n o , g i à G a d d i a n o ( P l u t .
8 9 i n f ., 4 1 ) membr.in fol.del sec.XIII,a due colonne,di
cc.scr.219,miscell. enontuttodiunamano;contiene:1)unaCronicadianonimo;
2)laHistoria troiana di Darete frigio,premessa un'epistola:Cor nelius Nepos
Sallustio Crispo suo salutem ; 3) Graphia aureae
urbisRomaeseuantiquitatesurbisRomae dianonimo;4)Eu tropii historia romanae
Ciuitatis dilatata a Paullo Diacono : 5) Liber Alexandri regis ; 6) un'epistola
di Alessandro ad Aristo tile intorno alle regioni e alle cose notevoli delle
Indie ; 7) Liber Sibyllae, di Beda ; 8) un'epistola dell'abate Ioachim ; 9)
un'ora zionediSenecaaNerone;10)iLibrideremilitaridiVegezio;
11)ilLiberEthicorum,d'Aristotile:vadac.131ac.142;la materia è distribuita in
ventidue capitoli indicati dalla iniziale colorata;manca
ognialtradivisione.Com.:Incipitliberprimus Ethicorum .R.;allafine:Incipiamus
ergoetdicamus.Explicit prima pars nichomachie Ar.que se habet per modum theo
rice et restat secunda pars que se habet per modum pratice. Et est expleta eius
translatio ex arabico in latinum . Anno incarnationis uerbi M. CC.XLIII.Octaua
die Aprilis. La soscrizione, importantissima per la storia di questa reda
zione,è di mano dello stesso copista,scritta con lo stesso in chiostro e coi
medesimi caratteri di tutto il testo aristotelico. Seguono di mano più recente
e in carattere minuto alcune cita zioni dell'andria e dall'Eunuco
di Terenzio.La lezione dell'Etica verso la fine è molto incerta e in taluni
punti a dirittura insa nabile. Dopo il Liber Elhicorum vengono le orazioni
catilinarie e iltrattato de Senectute,l'orazione di Sallustio contro Cicerone,
l'invettiva di Cicerone contro Sallustio, le orazioni pro Marcello , pro
Ligario,proDeiotaro,ilibride Officiis,iParadoxa,epoi la Catilinaria e il
Giugurtino di Sallustio; seguono, di mano del sec.XIV,alcune bolle di papa
Bonifacio VIII. La versione dell'Etica, compiuta nel 1243, si deve con molta
probabilità attribuire ad Ermanno ilTedesco (Hermannus Alemannus),il quale
trovandosi in quel tempo nella Spagna,a Toledo,aveva due anni prima (nel 1241)
ridotto in latino il commento di Averroè alla Nicomachea,e più tardi nel 1256 compi
la versione di altri due testi arabi di Averroè relativi alla poetica e alla
retorica d'Aristotile. La traduzione di Taddeo,che dovette essere di poco,meno
di un ventennio, posteriore, corse ed ebbe fortuna e divulgazione ; ce lo
attesta il buon numero di codici, l'uso che ne fece Brunetto, la dichiarazione
di Dante che ne parla come di cosa comune mente nota,egli che molte espressioni
del volgare di Taddeo ricorda nella sua Commedia . Brunetto Latini più tardi si
accinse a svolgere nella parte morale del suo Tresor la dottrina etica di
Aristotile. Egli si servi del volgare di Taddeo,ma prese anche i n m a n o il t
e s t o l a t i n o : c e l o d i m o s t r a n o l e a g g i u n t e e l e m o
dificazioni introdotte, che corrispondono in tutto con il Liber Ethicorum ;
qualche altra volta ridusse il volgare di Taddeo e quindi con esso anche il
latino della redazione araba. Nessuno vorrà certo ancora dubitare che l'Etica
di Taddeo sia tratta dal compendio francese di Brunetto, rivendicando a questo
la priorità; giacche,pur volendo saltare sul passo di Dante, sulla particolare
designazione de'codici,sulla tradizione isolata dell'Elica volgare,rimane
sempre una barriera dinanzi a cui bisogna fermarsi:la materia de'due
Compendî.La dipendenza diretta dell'Elica dal testo latino ci è fra l'altro
attestata dalle numerose espressioni latine trasportate di peso,quando
corrispon 26 C. MARCHESI IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA
ARISTOTELICA 27 dano nel lessico volgare, nel compendio di Taddeo; mentre Brunetto
è costretto tante volte a tradurre dirersamente,m u tando la dizione, e
dall'Elica e dal Liber Ethicorum . D'altra parte poi nell'Etica molte cose ci
sono che mancano nel com pendio franceseeche pur dipendono dal testo
latino.Un'ultima prova : tutti i codici dell'Elica e del Tesoro si chiudono
allo stesso modo, con le stesse parole, e la chiusa non corrisponde al testo
francese. Brunetto va più in là di Taddeo : egli include nel suo compendio
tutta la fine del rifacimento latino. Se si do. vesse considerar l'Etica come
un volgarizzamento del libro VI del Tresor,anzi che come un compendio
indipendente,non si spiegherebbe più quella ostinata lacuna e quella costante
diver genza alla fine. Solo cinque codici dell'Elica, di trascrizione al quanto
tarda, seguono volgarizzando l'opera di Brunetto : i tre c o d i c i M a r c i
a n i e i c o d d . 9 e A m b r o s . C 2 1 . i n f ., i q u a l i r i v e l a
n o molto chiaramente l'influenza del testo francese. In essi il brano finale è
volgarizzato in modo del tutto differente; ciò è na turale: giacchè nessun
codice dell'Etica e del Tesoro dava quella parte del testo francese, i
trascrittori, che tennero l'occhio al Tresor , dovettero pensare , ciascuno per
conto proprio, a volgarizzarla.Anzi il Marciano II, 134 contiene tutto quanto
ilcompendio di Taddeo,compreso ilbrano finale rias suntivo,che non si trova
invece negli altri codici dell'Etica o del Tesoro iquali proseguono col testo
francese sino alla fine; e questa nel Marc.II,134 ci appare evidentemente come
una sovrapposizione voluta dal trascrittore. Naturalmente tutti i giudizi e i
sospetti di ampliamenti, di aggiunte, di mutamenti arbitrarî del
volgarizzatore, di sbagli continuati degli amanuensi, agitati dagli editori del
Tesoro, ca dono innanzi all'entità e al valore storico diverso dei due com
pendi, volgare e francese. E data la priorità del volgare, cadono anche
meschinamente tutti i tentativi di emendazione apportati dagli editori alla
lezione del VI libro in base al testo francese (1). (1) Nel Propugnatore
(1874, pp. 105 sgg.) il Gaiter, che accudiva allora Quale dei due
traduttori,in fine,abbia merito maggiore non possiam dire.Taddeo ha ilmerito
della priorità;Brunetto che lavoròappresso a lui è più fineecompleto,e poi
anche ilfran cese si prestava allora molto meglio del volgare italico.Taddeo
qualche volta amplia o riduce la materia, Brunetto si richiama al testo.Siamo
nel periodo de compendi e dell'enciclopedia. U n compendio fatto è fatica
risparmiata al maestro che deve dire le«chose universali».Brunetto,che aveva
intelligenza fine, trasse il compendio italico alla lingua di Francia e
l'incluse n e l l'opera sua e ne colmo le lacune e ne affino i contorni e lo
ripuli di fronte al testo latino,da cui egli pompeggiandosi dicea di aver
tratto la parte morale del Tresor. E non fa cenno di Taddeo :
egliaccoglie,corregge,assimila;d'altraparteètuttauna let teratura e una
divulgazione anonima quella che dall'ultimo m e dievo va al trecento,e i
diritti di proprietà letteraria non sonoancor sorti. E poi maestro Taddeo forse
non appariva degno di menzionespecialealmaestrodiDante;echisa,forse,che in
questo non dobbiamo trovare indizio di una lotta accademica, svoltasi di mezzo
al laicato dotto della seconda metà del dugento e nel trecento,negli Studi
pubblici,tra medici inchinevoli alle lettere e letterati avversi a'medici ? C'è
però da osservare che nel ritocco della materia volgare,in base al testo
latino, Bru netto non va oltre qualche singola espressione o frase, trascurata
o ridondante. Egli non si attenta mai a rimaneggiare e ad ac conciare la
materia nel contenuto ideale, per il modo con cui le idee furono rese nel
volgare o compendiate o disposte o interpretate riguardo all'originale
latino.Questo dunque testi monia onorevolmente che Taddeo era allora ritenuto
autorevole 28 C. MARCHESI a preparare,con l'aiuto dei mss.e del testo
francese,la sua edizione del l'operadiBrunetto,inunsaggiodicorrezionialVI
libro,siscagliasempre, con taluni intendimenti spiritosi,contro l'amanuense che
tanto strazio avea fatto del presunto volgare di Bono ; e con l'aiuto del testo
francese si affanna a correggere gli sbagli e a colmare le lacune lasciate dai
trascrittori e da Bono stesso. IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA
ARISTOTELICA 29 ed esperto intenditore del trattato aristotelico anche da un
uomo per cultura famoso come ser Brunetto, sebbene al grande di scepolo di
costui non apparisse ugualmente felice dicitore del volgare. Dunque Brunetto si
valse del volgare di Taddeo (1), ch'ei ri. dusse e acconciò in molti punti in
conformità al testo latino, come si vedrà chiaramente dal confronto che faremo.
Più tardi gli amanuensi del Tesoro,al posto del VI libro,introdussero il
volgare già ben noto dell'Elica, essendo ben chiara e conosciuta la dipendenza
del compendio francese dall'altro volgare.Cosi resta anche spiegato il fatto
che parecchi codici del Tesoro si fermano all'Etica: Il compendio di Taddeo
rimaneva, rispetto al VI libro del Tesoro, originale e fondamentale ; in un
volgariz zamento italico dell'opera di Brunetto esso dovea necessariamente e
naturalmente tenere il posto del francese che da esso proveniva. Già anche
loChabaille noto come la seconda parte del Tresor, interamente consacrata alla
morale, offre «plus d'ensemble « et plus d'unitė » (2); ed anche noi durante
l'esame critico dei codici abbiamo potuto osservare come appunto il VI libro
non presenti quella lezione così fluttuante, incerta, caotica degli altri
libri;ciò è ben chiaro:icopisti avevano un testo già da lungo tempo fissato.
Con questo se abbiamo voluto rilevare la differenza che l'Etica offre,
nell'incertezza minore della lezione, rispetto a'libri volga rizzati del
Tesoro,non intendiamo affermare che la lezione del compendio di Taddeo
siacostante e sicura.La mancanza diuna lezione rigorosamente affine nella
maggior parte dei codici si deve al fatto ch'essi servivano non ad uso
letterario, nel qual caso la lezione avrebbe dovuto essere molto più
rigorosa,ma ad uso morale;per cui itrascrittori,quando non erano affatto (1)
Così lo studio accurato della questione e la inconfutabile testimonianza del
documento son venuti a confermare in parte la fortunata ipotesi dello Zannoni.
(2) Op. cit., p. xv. 30 C. MARCHESI Ho già detto che gli amanuensi
introdussero il compendio di Taddeo nel posto del VI libro del Tresor ; ho detto
gli amanuensi e non il volgarizzatore, giacchè non mancarono alcuni (non oso
affermare se Bono od altri) i quali vollero volgarizzare tutta l'opera,compreso
il VI libro; ma il nuovo volgare dell'opera francese,di fronte al comunissimo
compendio originale di Taddeo , rimase eclissato e restò soltanto in pochi
codici quattrocentini, che ho potuto rinvenire.I codici sono due,di valore e di
con tenuto diverso. 1°) Magliabechiano 21. 8. 149 cartac.del sec.X V , in 4o,di
cc.53 scritte ed 8 bianche,anepigrafo.Ilcod.contiene l'Etica tratta
evidentemente dal Tresor, giacchè va oltre il limite del compendio di Taddeo, e
comprende la chiusa del libroVI dell'originalefrancese.A c.46'segue,senzaalcuna
par ticolare indicazione, il trattato sulla « doctrina di parlare > ad
Alessandro;infineac.53':ExplicitAristotilisEuthica uul
garisAmen.Lalezionesimantieneperunabuonametàfedele al testo comune dell'Elica;
dal cap.47 (1)sino alla fine presenta una grande ed accentuala differenza e
mostra evidentemente la (1) Secondo la edizione Gaiter.
ignoranti,semplificavano dove e come volevano,buttando giù il periodo anche
ridotto, che sembrasse loro di rendere in ogni modo fedelmente l'idea espressa
dall'autore e di significare lo stesso concetto. Nei codici dell'Etica si
trovano molte espressioni qualche volta incerte, fluttuanti dalla differenza
ortografica al periodo ridotto o allargato o smembrato o dissennato, che ci
testimonia da una parte della negligenza o della caparbietà di trascrittori
ignorantelli,in un tempo in cui tutti quanti tenevano un crogiolo dove
manipolare la pasta morale delle dottrine ari. stoteliche o supposte tali, e
dall'altra parte dello stato de' testi donde copiavano,che,data lagrande
diffusionedell'opera,doveano a forza portare le tracce di cancellazioni,aggiunte,modifica
zioni,lasciatevi dai possessori:filone di muffa questo che ci fa tante volte
scivolare il piede lungo il percorso delle trascrizioni trecentistiche di
autori ritenuti catechisti o morali. IL COMPENDIO VOLGARE
DELL'ETICA ARISTOTELICA 31 L'Etica (ediz.Manni, Li Tresors. Liv. II,
Magliabech. 21. 8. pp.52sgg.).L'uomo part.I,chap.XLI.Li 149. c.33 . ch'è buono
si diletta in bons hom se delite en semedesimoabbiendo soimeisme,pensantas
allegrezza delle buone bones choses; autressi operazioni,eseegliè
sedeliteilavecsonami, buonomoltoallegrasi cuiiltientautressicom
conl'amicosuo,loquale mesoimeismes.Maisli eglitienesiccomeun
mauvaishomtozjorsest altrosè;mailreofugge enpaor,ets'esloignedes
dallenobiliebuoneope- bonesoevres;etseilest razioni,os'eglièmolto
moltmalvais,ils'esloi reosifuggedaseme- gnedesoimeisme;car desimo,peròchequando
eglistasolosièripreso da ricordamento delle maleopere,ch'egliha
fatto,enonamanèse, faites,etblasmesacon. nèaltrui,perciòchela
science,etporcehetil natura del bene è tutta mortificatainluinel profondo della
sua ini- quità;nènonsidiletta soiettozhomes;etce avientporcequelara cine de
touz biens est ilnepuetseulsdemorer, sanztristesce,porceque illiremembredesmau
vaisesoevresqueila influenza continuata del testo francese, si che c'è da
pensare a unanuovaredazionesovrapposta.Riportounbranochevalga a far notare
meglio le differenze e le relazioni dell'Etica di Taddeo col testo francese e
il volgare del cod.Magliabechiano. mortefiéeenlui,eten son mal ne se puet de.
tutto el bene è mortifi. pienamente nel male ch'eglifa,perciòchela liter
plainement, car cata in lui.etnel male naturadelmalesi'ltrae toutmaintenantque
il nonsipuòdilettarepie. alcontrariodellasuadi- sedelite,enunechose
namente,percioche lettazione,edèdiviso malfaite,lanaturede
quand'eglisidilettadi insemedesimo,eperciò son mal si l'atrait au
èinperpetuafaticaed contrairedeceluidelit. quellomalesieltrae
angoscia,epienod'ama- Etàcequelimauvais al contrario di quella
ritudineedisozzuradi estpartizensoimeisme, dilettatione.percioche
perversità.Adunquea siconvientqueilsoitl'uomoreoèdiversoet L'uomo ch'è buono si
diletta in se medesimo pensando nelle buone cose, et similmente si diletta
coll'amico suo, el quale egli reputa se medesimo. Ma l'uomo ch'è reo sempre sta
in paura et fuggie dall'o pere buone ; et s'egli ė molto reo fuggie da se
medesimo et non può stare solo sanza tristizia, impercioch'egli si ricor da
delle sue rie opere, ch'egli à fatte et ripren delo la coscienza sua. Et perciò
vuole male a se medesimo et ad ogni altro huomo.Et questo èperchèlaradicedi uno
male, la natura di quello cotale uomo nes- en continuel travail de
in se medesimo è m e sunopuoteessereamico, penseretplainsdemolt
stierechesiaincontinua per ciò che l'amico deve insemedesimo,ecompi. ne se
laisse cheoir en a lei.Lo cominciamento lla possa tornare a bene. doit
efforcier chamentodellainiquità lettazione,laquale l'huo piglia accrescimento
gars; mais li fermes mo ba nelle femmine, per usanza di tempo.
liensquitozjorsestavec alqualesiuadinanzi L'officio del confortare
l'amistiéetquipointne unodiletteuolesguarda 32 C. MARCHESI sance sensible
; et ce confortamento,ma pare cede loconfortamento poonsnosveoirpar.i.
essereetsomigliarsia puoteesseredettaami- homequiaimeparamors llui;maelcomincia
stade per similitudine, une dame,car tout avant mento dell'amista è di
infinoatantoch'ella passeunsdelitablesre scunouomosideeguar- niuno huomo può
essere chosequiàamerface. amicoaquellotale,per dare ch'egli non caggia in
questo pelago d'ini- sere et en itele male niuna cosa la quale sia quità,anzi
si dee isfor- zare di venire a finedi mecineparcuiilpuisse seria et tale
infelicità bontà,perlaqualeabbia Certes, et en itele mi- cioch'egli non ha in
se aventuren'aurailjà daamare.Ettalemi. ainz se felicitade.Adunquecia. queiln'aenluinule
maliceetdeiniquitéque ch'eglinonsilascica mentononèamistà,ave- l'on ne puet
raembre, dereinquestoistraboc gnachè egli si somigli inordinato! Addunque
dilettazione e allegrezza àbienvenir:donques nonhamairimedioche chascuns se
gart que il chascunsqueilviegne etdellamalicialaquale àlafindebontépar
èsanzarimedio|anzisi dell'amistà si è diletta zionesensibileavutadi-
quoiilsepuissedeliter del'uomo sforzare ac nanzi,si come l'amista mento
d'allegrezza colli tel tresbuchement de suoi amici.Lo conforta. Addunque
ciaschuno huomo si de guardare amertume,etyvresde fatichaetpensieroetsia avere
in se cosa da a- laidesceetdeperversité, pieno di molta amari mare.E questo
cotale etqueilsoitdestortpar tudineetèebbrodisoz hae in se tanta miseria,
misere neant ordenée. zura di peruersita, et che non è rimedio niuno Donc nus
ne puet estre sia distorto per miseria ch'egli possa venire a
amisdetelhome,porce en soi meisme et avec cioch'elli uengha alla
d'unafemina,allaquale sonami.Confors n'est finedellabontaper la v'hadinanzidilettevoli
pasamistié,jàsoitce qualeeglisipossadi guardamenti,eladiletta- que
illesembleàestre: lettareinsemedesimo, zionesièlegamedell'a- mais li
commencemens et hauere compimento mistà,eseguitalainse- d'amistiéestunsdeliz
didilettationecolsuo parabilemente.Ladispo- rasavorez par conois-
amico.L'amistà non è sizione dalla quale pro Gli huomini rei tardo
s'accordano nelle oppi nioni : et sono sanza parte d'amista, et per IL
COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 33 se desevre, ce est deliz. si
pertiene a colui ch'à insegravezzadicostumi ed esercizio di vertude, unità
d'opinione e con cordia di mettere amore, perciò che le discordie dell'openione
sono da trarre dalla nobile con. gregazione,acciòch'ella rimanga unita di pace
e in concordia di volon tade. Quelle cose che danno altrui vera digni. tade da
reggere,sisono le uirtudi e le loro opere e l'unità dell'oppinione; e questo si
truova negli uomini buoni, concios sia ch'egli sono fermi e costanti in fra
loro, e nelle cose di fuori, perciocch'egli uogliono bene continuamente.Ma rade
volte addiviene che gli uomini si accordino in una oppinione,eper cagione di
compiere gli loro desideri si soste: gnano molta briga e molta angoscia e molta
fatica, ma non per ca. gionedivertude,ehanno moltesottilitadiinseper ingannare
colui,con cui hanno a fare, e perciò sempre sono in rissa e in tenzone. C.
MAECHESI. 3 .Cil habiz dont pre mierementnaistlicon fors puet estre apelez
amistié par semblant jusqu'à tant que il croist par longuesce de tens. Et li
ofices dou confort affiert au preudome et au ferme que il soit griez en
moralité de sa vie et es proesces et es costumes et toutes ver tuz, et plains
de science et de bone opinion et de concorde, desirrous d'a. mor ; por ce
devroient estre ostées toutes des cordes et malvais pen. sers d'entre les
nobles compaignies des homes, si que il puissent vivre en pais et en concorde
de propre volonté,cele chose qui plus aide à maintenir et governer les dignitez
des vertus et ses oevres.Et la con corde des opinions et es bons homes,porcequ'il
sont parmenant dedans soi et es choses dehors ; car toutes foiz jugent et
vuelent bien. mentoellegamechenon si parte e sempre con lei et la dilettazione
(sic). L'abito dal quale pro ciede confortamento si può dire amista per si.
militudine infino a tanto ch'elli crescie per lungo temporale. L'ufficio del
confortatore s'appartie ne a buono huomo et al fermo, el quale è graue di
costumi et exercitato nelle uirtu,et essere pie toso di scienza et auere
accontamento d'oppinio. ni, et concordia intro ducta d'amore (sic),per. ciò che
le discordie delle oppinioni sono per disfa re le diuisioni dell'opere le quali
sono nella nobile congregazione in con cordia di uolontà .Quella cosa la quale
aiuta reg. giereladignitàelavirtu et l'opere delle uirtu.et concordiadelleoppinioni
si truoua negli huomini buoni et costanti intra se et nel desiderio delle cose
di fuori, percio che perano bene et uogliono Limauvaishomepo bene. s'acordent à
lor opinion ; car il n'ont en amistie nulepart,etporacom plir lor desirriers
suef questi cotali sempre ado frentilmaintespoines
chagionedicompierele etmainttravailconmie leloroconchupiscienzie
poramistié;etsontes eglisostengonomolte mauvaishommesmain- faticheetmoltitraua
tes mauvaises soutil- gli:. per chagione d'a lancesporengigniercels mista, et
molti scaltri quiàelsontàfaire,et mentietmoltesottilita. porcesontiltouzjors
Etsonohuominireiper enpaineetenangoisse. chagione d'ingannare L'altro codice,
che ci presenta una redazione affatto nuova e dipendente in tutto direttamente
dal testo francese, è il Maglia bechiano II.II.47
(vecch.segn.VIII.1376),cartac.delsec.XV, a due colonne,di cc.scr.160 ; con le
didascalie in rosso e rozzo disegno a colore nella prima iniziale e ne'margini
della prima pagina.Contiene il Tesoro;precede un indice della materia:a
c.5*:QuestolibrosichiamailTesoroilqualeèchauatoper lo maestro Burneto Latino di
firenze di piu libri di filosofia che sono strati per li tempi; a c.59a : Qui
comincia l'eticha di Aristotille; finisce l'Etica a c.76*: Qui finisce illibro
dell'eticha d'Aristotille. La soscrizione finale a carta 160 4: Qui finisce il
libro del Tesoro che fece il maestro bruneto Latino di firenze. dio ne sia
lodato.La lezione offertaci dal ms.Mgl.è infelicis sima e costellata di sbagli,
di contorcimenti e travisamenti di parola che pare non si possano attribuire
tutti quanti al copista : il volgarizzatore in molti punti dà a vedere di
essere poco felice conoscitore del volgare come poco esatto intenditore del
francese.Molte espressioni francesi o sono adattate malamente all'idioma
italico o lasciate intatte a dirittura e trasportate di peso nel
volgarizzamento. Ma ciò vedrà il lettore nel con fronto che poniamo tra il
testo del Liber Elhicorum e l'Elica di 34 C. MARCHESI coloro ch'anno a
fare con loro.per cio sempre sono in brigha et in a n goscia. IL
COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 35 Taddeo (1) col compendio francese
di Brunetto e il volgare del VI libro del Tresor ; confronto da cui balza fuori
un docu mento largo e complesso,vivo e certo della tradizione morale
aristotelica, nel tempo in cui visse e conobbe e compose Dante A lighieri. (1)
Dell'Etica di Taddeo do la lezionecritica,quale risulta da'codici più
autorevoli dell'Etica e del Tesoro,diversa quindi da quella offertaci dalle
stampe che si son succedute fin ora. Liber Ethicorum .
L'Etica d'Aristotile. Omnis ars et omnis incessus et Ogni arte e ogni dottrina
e ogni omnissollicitudouelpropositumet operazioneeognielezionepareado
quelibetactionumetomniselectio mandarealcunbene.Adunquebene ad bonum aliquod
tendere uidetur. dissero li filosofi, che lo bene si è Optime ergo diffinierunt
bonum di. quello lo quale disiderano tutte le centesquodipsumestquodintenditur
cose.Secondodiverseartisonodiversi exmodisomnibus.Suntautemin- fini;chesonotalifinichesonoope
tentaperartesmultasdiuersa.Que- razioniesonotalifinichenonsono
damenimsuntactioipsametetque- operazioni,maseguitansialleopera
damsuntipsumactum.Cumquesint zioni.Conciosiachosachesianomolte artes ac ipsarum
actiones multe, artiemolteoperazioni,ciascunahae eruntintentaperipsasmulta.Ac
losuofine.Verbigrazia:lamedicina tamenactuminipsisexistitmelius
sihaeunsuofine,cioèfaresanitade, actione.Estigiturintentumperme-
el'artedellacavallerialaqualein dicinamsanitasetperartemregiti-
segnacombattere,sihaunsuofine uamuelredactiuamexercituumuic-
perloqualeellaètrovata,cioèvit toriaetpernauium structiuam naui-
toria,elascienzadifarelenavi,si gatioetperdomusrectiuamdiuitie;
haeunaltrofinecioènavicare;ela etistasuntactahonorabilia.Que-
scienzacheinsegnareggerelacasa damautemartiumhabentsehabi-
suaelafamigliasuahaeunaltro tudinegenerumetquedamhabitu-
fine,cioèricchezza.Sonoalquante dinespecierumetquedamhabitudine
artilequalisonogeneraliesono indiuiduorum.Ideoque quedam ipsa.
alquantelequalisonospecialiecon rum sunt sub aliis, ut sub militari factura
frenorum et cetere artium instrumentorum militarium , et sub tengonsi
sottoquelle.Verbigrazia:la scienzadellacavalleria siègenerale, sotto la quale
si contengono altre arteexercitualicetereomnesbellice scienzeparticolari,siccomeèlascienza
siuelitigatorie.Etsimpliciterhono- difarelifrenieleselleelespadee
rabilissimaomniumartiumestcon- tuttel'altre,lequaliinsegnanofare
stitutiuaetinstructiuaceterarum(1). cose,lequalisonomistieriabatta
Etquemadmodum quibusque rebus glia;equesteartiuniversalisonopiù
anaturaproductisestperfectioquam degneepiùonorevilidiquelle,im.
persenaturaintendit,etintellegibi. perciocchèleparticolarisonfatteper
libusestperfectioquamintenditper l'universali(1).Esiccomenellecose (1) In tutto
il principio del compendio di Taddeo, e quindi anche del testo francese, si
sente l'influenza diretta dell'altra redazione del Liber Ethicorum , che servì
di base al commento di S. Tommaso. Ecco il latino di quest'altra redazione: «
Omnis ars et omnis doctrina, similiter « autem et actus et electio, bonum
quoddam appetere uidentur. Ideo bene enunciauerunt bonum , 36 C.
MARCHESI IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 37 beržalglio
per suo adirizamento,tutto Tutte arti e tutte opere e tutte in.
Tous ars et toutes doctrines et tramesse sono per chiedere alcuno
touteseuvresettouztriemenzsont bene.Dunquedissebeneilfilosafo
porquerreaucunbien,donquesdis- chequeglichetuttelecosedeside
trentbienliphilosophequeceque rano è ilbene.Secondo le diuerse
touteschosesdesirrentestlebien. (arti)sonolefinidiverse.Chetalifini
Seloncdiversars,lesfinssont di. sonoopere,talisonoch'esconodel
verses;cartelesfinssonteneuvres, l'opere.Eperciochemoltesonol'arti
ettelessontcelesquel'onensuitpar el'opereciascuna à suo fine.Che medicina ae una
fine cioè a fare lesarsetlesoevres,chascune a sa santade.Elafinedelabatalgliasi
fin;carmedicineaunefin,ceest ènetoria,el'artedifarenauià
àfairesanté;etbatailleasafin, unaltrofine,cioènauichare.Ela les oevres ; et
porce que maintes sont porquoielefutrovée,ceestvictoire;
scienzacheinsengnaagouernarea et les ars de faire neis ont une autre l'uomo sua
magione e sua familglia fin,ceestnagier;etlasciencequi
àun'altrafinecioèricchezza.Etsono enseigneàhomeàgovernersamaison
alcuneartichesonogieneralieal etsamaisnieauneautrefin,ceest
cunechesonospezialli,cioèpersua richesce.Etsontaucunesarsquisont
diuisione,eperòsonol'unasottol'al generaus,etaucunesquisontespe-
trasicomelascienzadichaualleria ciaus,c'estparticuleres,etaucunes
ch'ègienerale,edisottoaquella sontsarzdevision;etporcesont
sonopiùaltrescienzepartichullari, lesunessouzlesautres;sicomme
cioèlascienzadifarefrenieselle estlasciencedechevalerie,quiest
espadeetuttel'altrecosecheinse generaus,etdesozlisontautres
gnanoafarecosecheabattalglia sciencesparticuleres,ceestlascience bisongnano. de
faire frains et seles et espées, et E l'arti universalli sono più dengne
toutesautresarsquienseignentà epiùonoreuolichel'altre,percio
fairechosesquiàbataillebesoignent. chelleparticullarisonotrouatteper
Etcistartuniversalesontplusdigne leuniversali.Ecosìtuttelechose
queliautre,porcequelesparticu. chesonofattepernaturaèunadi leressont
troveesparlesuniversales. retana cosa per a che la natura in
Ettoutaussicommeenchosesqui tendefinalmente.Altresituttelecose
sontfaitesparnatureestunedar- chesonofatteperartièunafinale
reinechoseàquoilanatureentent cosaachesonoordinatetuttelecose
finelment,autressieschosesquisont diquellaarte.Esicomecoluiche faites par art
est une finel chose à Li Tresors. Livre II, Part. I, Magliabech.1.1.47.c.59 sq.
chap.III. quoi sont ordenées trestoutes les trae di sua arte a uno sengnio à
uno 38 C. MARCHESI « quod omnia appetunt. Differentia uero quaedam
uidetur finiam. Hi quidem enim sunt opera
«tiones;hiueropraeterhasoperaquaedam.Quorum autemsuntfinesquidampraeteroperationes,
« in his meliora existunt operationibus opera. Multis autem operationibus
entibus et artibus et doctrinis,multi sunt et fines.Medicinalis quidem enim
sanitas,nanifactiue uero nauigatio, •yconomicae uero diuitiae.Quaecumque autem
sunt talium sub una quadam uirtute,quemad «modum sub
equestrifrenifactiuaetquaecumque aliaeequestriuminstrumentorumsunt:haec « autem
et omnis bellica operatio sub militari ; secundum eundem itaque modum aliae sub
alteris. • In omnibus itaque architectonicarum fines omnibus sunt
desiderabiliores his quae sunt sub ipsis. « Horum enim gratia et illa
prosequuntur . (1) Quest'esempio, che manca nella nostra redazione latina, è
tratto dal Liber Ethicorum del
commentotomistico:«Igituretaduitamcognitioeiusmagnum habetincrementum,etquemad.
• modum sagittatores signum habentes... » seintellectus,eodem
modorebusef. fattepernaturaèunoultimointen fectisabarteestperfectioquam per
seintenditartificiumhumanum.Hac finalmente,cosìnellecosefatteper
autemperfectioestbonumadquod arteèunointendimentofinale,al intenditur, et est
optimum eorum que queruntur propter ipsum et di quelle arti; siccome l'uomo che
ipsiuscausa.Scientiaigituristiusest saettahalosegnopersuodirizza
scientiadiuinamaximiexistensiuua. mento(1),coşiciascunaartehae menti in
uitaetconuersatione hu. unsuofinaleintendimento,loquale
mana.Habentesigiturintentionem dirizzalesueoperazioni.Adunqua
acpropositumdignum ualdeestut l'artecivile,laqualeinsegnareggere
inueniamusinquisitioneremqueest lacittade,éprincipaleesovranadi perfectiouoluntatis.Arsigiturdi.
tuttealtrearti,perciocchèsottolei rectiuaciuitatumprincepsestartium,
sicontegnonomoltealtrearti,lequali eoquodsubhaccontinenturresho.
sonoonorevili,siccomelascienzadi norabilesualideconsistentie;utpote
farel'osteedireggerelafamiglia, arsexercitualisetarsfamiliedo-
elarettoricaèanchenobile,percio mus dispensatiua ac rethorica,et
ch'ellasiordinaedisponetuttel'altre eoquodipsautitarartibusactiuisomni-
chesicontegnonosottolei,elosuo busetcomponitetordinatlegesearum
compimentoàilfinedituttel'altre. atqueiuditia(sic)etdistinguitinter
Adunquelobeneloqualesiseguita laudabilesetillaudabiles.Huius itaque
artisperfectioacpropositumadpro- l'uomo,percioch'ellalocostringe
priatpropositaomniumartiumreliqua- di fare bene e costringelo di non rum.Bonumigiturusitatumsecundum
fare male.La recta dottrina sièche suum modum est bonum humanum ; l'uomo si
proceda in essa,secondo ipsumnamqueeffectiuumestcetero-
chelasuanaturapuotesostenere. rum bonorum omnium artium et
Verbigrazia:l'uomocheinsegnageo saluatartificesnequidaganthorridum
metriasideeprocedereperargo dimento lo quale la natura intende quale sono
ordinate tutte l'operazioni diquestascienza,sièlobene del IL
COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 39 chosesdecelart.Etaussicomme altresiciascunaarteaeunafinale
cilquitraitdesonarcauseignala cosache'ndirizaquellaopera.Qui celui bersail por
son adrescement, parla del gouernamento della citta tout autressi a chascune
ars CCXVII.Dunque l'arte che insen finelchosequiadrescesesoevres.
gnialacittagouernareèprincipale III. Donques l'art qui enseigne la cité
àgovernerestprincipausetdame etsoverainedetoutesars,porceque
desouzlisontcontenuesmaintesho- norablesars,sicomme rectoriqueet
lasciencedefaireostetdegoverner e donna di tutte l'arti, peròchedisottoaleisonotuttii
maestrionoreuoliecontiensisotto luituttemolteonorabillearti,sicome retoriccha e
la scienza di fare oste edigouernaresuamasnada.E an
samaisnie;etencoreestelenoble, coraènobileperoch'ellamettein
porcequeelemetenordreetadresce toutesarsquisouzlisont,etlisiens
compliemensetsafinssiestfinet compliementdesautres.Donquesest ele li biens de
l'ome, porce que ele constraintdebienfaireetelecons- traint de non mal faire.
Lidroizenseignemenzsiestque onailleselonccequesanaturele
ordineeadirizzaartichesonosotto lui,eilsuocompimentodisuafine
sièfineecompimentodel'altre. Dunqueilbene(che)diquestascienza uiene si è bene
dell'uomo pero che 'l constringniedinonfarelomale. E il diritto insegniamento
ch'ell'à inleisecondosuanaturalepuote soferire.Cioèadirechecoluiche puetsofrir;ceestàdirequecilqui
insengnagouernaredeeandareper enseignegeometriedoitalerparar-
suoiargomentichesonoapellatidi gumensquisontapelésdemonstra-
mostrazioni.Erittorichadeeandare cions,etenrectoriquedoitalerpar
perargomentieperragioneuedere argumenzetparraisonvoiresembla-
senbiabille,eciòauienepercioche ble.Etceavientporcequechaschuns
ciascunoartieregiudicabeneedicela artiensjugebienetditlaveritéde
ueritàdiciòcheapartienealsuome cequiapartientàsonmestier,eten
stiere,ecosiinciòèilsuosennosottile. ce est ses sens soutis. une e
sovrana La scienza di città governare non Lasciencedecitégovernerne
sifamichaafanciullonedahuomo afiertpasàenfantneàhomequi
chesegualesueuolontadi,percio vueilleensuirresavolenté,porceque che amendue
sono non sacenti delle anduisontnonsachantdeschosesdou
cossedelseculo,chequestaartenon siecle;carcestearsnequiertpasla
chiedelasienzadell'uomo,mach'egli sciencedel'ome,maisqueilsetorne
sitorniabontà.Esapiatechein àbonté.Etsachiésqueenfesestde.
fateèinduemaniere,chel'uomo ij.manieres;carlihompuetbien
puotebeneessereuechioditenpo estrevielsdeaageetenfesdemors;
euechioperhonestavita. 40 C. MARCHESI autillaudabile.Et
saluatioquidem mentifortiliqualisichiamanodimo.
uniuslaudabilisexistit,quantomagis strazioni,elorettoricodeeprocedere gentiumacciuitatum.Rectadoctri.
nellasuascienzaperargomentie natioestinquirereinunoquoquege-
ragioniverisimili;equestosièpercio nerumiuxtamensuramquamsustinet
checiascunoarteficegiudichibene naturailliusgeneris;etutexigitur
etdicalaveritadediquellocheap. quidemamathematicodemonstratio
partieneallasuaarte.Lascienzada et a rethore sufficientia persuasiua. reggere
la cittade non conviene a Unusquisque enim artificumrecto
garzonenèauomocheseguitilesue iuditio iudicat de eo quod est infra h a cose
buone e giuste e oneste ; onde Rerumquedamsuntcogniteapud
gliconvieneaverel'animasuanatu nos,etquedamsuntcogniteapud
ralmentedispostaaquellascienza: naturam.Oportetergoutamator
maquellouomochenonhaeneuna scientieciuilispromtussitadres
diquestecose,èinutileaquesta eximiasetsciatopinionesrectas.Opi- scienza(1).
(1)Questo ci prova chiaramente che Brunetto non ebbe tra mani altro testo
latino fuor del compendio alessandrino-arabo; giacché le altre traduzioni
greco-latine della Nicomachea gli avrebberodatolagiustaindicazionedel poeta:Esiodo.Maforsepertuttoilriferimento,che
son volontadi,peroche non > bitum suae scientiae,et in hoc est nellecosedel
secolo.E notache gar perspicaxipsiusscientia.ludicans
zonesidiceinduemodi,quantoal autemdeomnisapiensestomnipe- tempoequantoallicostumi,che
ritiaimbutus.Arsciuilisnonpertinet puòtaloral'uomoesserevecchiodi
pueronequeprosecutoridesideriiatque tempo e garzone di costumi, e tal
uictorie,eoquodamboignarisunt fiatagarzoneditempoevecchiodi
rerumseculi,nequeproficitipsis.Non costumi.Adunqueacoluisiconviene
enimintenditarsistascientiamsed lascienzadireggerelacittade,lo
conuersionemhominisadbonitatem; qualenonègarzonedicostumie
nequediffertpueretateautinmo- chenonseguitalesuevolontadi,se
ribuspueris,nonenimaduenitquidem nonquandosiconvieneequantosi defectusexpartetemporissedpropter
conviene ed ove si conviene. usum uite in moribus puerilis;pueri
ergodissolutietdesideriorumprose- cutoresnonproficiuntpenitusexarte ciuili. Qui
autem utitur desiderio secundum quodoportetetquando Sono cose le quali sono manifeste
allanatura,esonocoselequalisono manifeste a noi; onde in questa scienza si dee
cominciare dalle cose, oportet,etquantumoportetetubi
oportet,hicplurimumproficitex scientia artis ciuilis.
loqualedeestudiareinquestascienza, edapprendere,sideeausarenelle
lequalisonomanifesteanoi.L'uomo savi IL COMPENDIO VOLGARE
DELL'ETICA ARISTOTELICA 41 et puet estre enfes par aage et viel Dunque la
sienzia di città ghouer parbonevie.Donqueslasciencede nare è a fare huomo che
non sia governer citez n'afiert à home qui fanciulo de cuore molle e che non
estenfesensesfaizetquiensuie sesvolentės,selorsnonquantille covient faire et
tant comme il co- vient,et là où il se covient,et si comme est covenable.
seguasuauolontadi,senoquelliche siconuengonoetantocom'ellesi debono e la dove
si conuiene e si come conueneuole. E sono chose che sono chonueneuoli a natura
e cose chesonoconueneuolliannui;che Iliachosesquisontconnuesà
natureetsontchosesquisontcon- chisivuolestudiareasaperequesta
neuesànos;porquoinosdevonsen scienza,eglideeussarecosegiustee
cestesciencecommencieraschoses buoneeoneste,ond'egligliconuiene
quisontconneuesànos,carquise auerel'arminaturallementeaquesta
vuetestudieràsavoircestescience, scienza,macoluichenonanèl'uno
ildoituserdeschosesjustes,droites nèl'altroriguardiaciòchedee.Se
etbonnesethonestes,oùillicovient 'lprimoèbuonoel'altroèapere avoirl'ame
naturaument ordenée à gliato ad essere buono.Ma chi da
cestescience;maiscilquin'ane ssenonsanienteenonaprendedi
l'onnel'autreregardeàcequeHo- ciòchel'uomogl’insenguia,egliè
merusdist:Selipremiersestbons, deltuttomecciante.- Quidicedelle
liautresestappareilliezàestrebons; treuieCCXVIII. Dacontaresono
maisquidesoinesetneant,etqui .ij.uie.L'unaèuiadichonchupi.
n'aprentdecequehomlienseigne, senziaediconuotizia.L'altraèuita ilestdoutoutmescheanz(1).IV.Les
cittadina,cioèdisennoediproeza viesnoméesquisontàcontersont
ed'onore.Laterzaécontenpratiua. .ij.L'uneestviedeconcupiscenceet E più ujuono
secondo la uita delle decovoitise;l'autresiestvieciteine,
bestie,ch'èapellatauitadichonchu ceestdesensetdeproesceetd'onor;
pisenzia,peròch'egliseghonolaloro la tierce est contemplative: et li uolontade
e loro diletto. E chatuna plusorviventselonclaviedesbestes,
diqueste.ij.uiteàsuapropriafine quiestapeléeviedeconcupiscence, diuersedal'altre,tuttoaltresìcome
porcequeilensuientlorvolentezet [lasienzadiconbatteredi]medi
lordeliz.Etchascunedeces.ij.vies cina à sua finediuersa dalla scienza
asaproprefin,diversedesautres, delconbattere,chèquellabadaafare
toutautressicomme medicineasa santà,equellaadauereuetoria.Qui
findiversedelasciencedecombatre; diuisadelbeneCCXVIIII.Ubene
carelebéeàfairesanté,etcele ėinduemaniere,che'unamaniera
autreàvictoire.V.Libiensesten èch'èdisideratapersemedesimo[e
ij.manieres;carunemanieredebien l'altra)eun'altramanieradibeneè
niones autem rectae sunt ut in arte Le vite nominate e famose sono
ciuiliincipiaturarebusapudnos tre;l'unasièvitadiconcupiscenza,
cognitis,etinconsuetudinibuspul- l'altrasièvitacittadina,cioèvita
crisethonestisfactasitassuetudo diprodezzaed'onore;laterzasiè principium enim
est et inceptio a vita contemplativa : e s o n o molti
quaresest.Exmanifestoexistente uominichevivonosecondolavita
sufficienterquiaresest,nonindigetur dellebestie,laqualesichiamavita
propterquidresest.Indigetautem diconcupiscentia,perciòchesegui.
homoadpromtitudinemhabitationis tanotuttelelorovolontadi;ecia
leritatisrerumbonarumautaptitudine scunadiquestevitesihasuofine
boneinstrumentalitatisexquasciat propriodiversodaglialtri,sicome
uerum,autformaperquamaccipian- l'artedellamedicinahadiversofine
turprincipiarerumabeofacile.Qui dallascienzadicombattere,chè'l
veroneutramhabueritharumaptitu- finedellamedicinasièdifaresani.
dinumaudiatsermonemHomeripoete tade,e'lfinedellascienzadifare
ubidicit:Illequidem bonusest,hic battagliesièvittoria.Benesièse autem aptus ut
bonus fiat. Vite condo due modi, chè è uno bene lo
famosetressunt.Uitaconcupiscen- qualeuomovuoleperse,eunaltro
tieetuoluptatis,uitaprobitatiset beneloqualel'uomovuoleperaltro.
honoris,uitascientieetsapientie; Benepersesìcomelabeatitudine,
pluresuerohominumseruisuntuo- beneperaltruisonodettiglionori luptatis uitam
bestiarum eligentes elevertudi,perciòcheuomovuole
inexecutionedelectationum.Sunt questecoseperaverebeatitudine. autem termini
harum uitarum distan. Naturalcosa èall'uomoch'eglisia
tesetbonaipsarumbonadiuersificata. cittadino,etconversicongliuomini
Sicutergobonum quodestinarte artefici,econtralanaturadell'uomo
exercitualiestaliudabonoquodest sièd'abitaresoloneldeserto,elà
inartemedicinali,sicabinuicemalia ovenonsianogente,peròchel'uomo sunt bona
trium uitarum . Et bonum naturalmente ama compagnia. quidem medicine est
sanitas,bonum Beatitudo si è cosa compiuta,la exercitualisestuictoria.Estautem
qualenonabbisognaneunacosadi bonumsecundumduosmodos:bonum fuoridase,perlaqualelavitadel
per se et bonum propter aliud; et l'uomosièlaudabileegloriosa.Adun.
quesitumquidemproptersemelius quelabeatitudinesièlomaggior
estquesitopropteraliud.Nosuero beneelapiùsovranacosaelapiù manca
nelcompendiodiTaddeo,BranettosivalseanchedelLiberminorum moralium :«.aduertat «
intentionem poetae dicentis : Optimus est hominum qui a semet ipso intelligit
quod expedit.Qui « autem ab altero hoc intelligit, est in uia directionis. Qui
uero nec a semet ipso intelligit nec « ab altero recipit, hic uir est inutilis
», 42 C. MARCHESI - IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA
ARISTOTELICA 43 est qui est desirrez por lui meisme, et une autre maniere de
bien est qui est desirrez por autrui. Biens par lui est beatitude,qui est
nostre fin,à quoi nos entendons;bien par autrui sont les honors et les vertuz;
car ce desire li hom por avoir beatitude. Naturale cosa è a l'uomo ch'egli sia
cittadino e ch'egli conuersi in tra le gienti, cioè intra gli uomini e intra
gli artefici. E contra natura sarebe abitare in diserto oue non à persona,però
che l'uomo naturale. mente si diletta in conpangnia. Bea tittudine è cosa
conpiuta, si che non à niuno bisongnio d'altra cosa fuori di lui, per chui la
uita degli uomini ė pregiabile e groliosa:dunque è beatitudine il magiore bene
di tutti, e la più sourana cosa e la trasmil gliore di tutti i beni che sieno.
Qui diuisa di treposanzie CCXX. Tutte le opere dell'uomo o sono malvagie o
[buone.om .]. Colui che lle fa buone l'opere,egli è degno d'auere il compimento
della uertu di L'anima dell'uomoae.ij.posanze. L'una è uegiettative,e
questa è co mune ad alberi ed a piante, ch'egli anno annima
uigettatiua,altresìco m'àno gli uomini ; la seconda è apel latta sensitiua ; la
terza è apellata r a zionabile,l'èperquestoche l'uomoè ragioneuole e diuisato da
tutte le cose, per ciò che niuna altra cosa ae anima razionale se no l'uomo ;e
questa possanza è alcuna uolta in natura e al cunauoltainpodere.Ma beatittudine
è quand'ella è in opera e non miga quand'ella è in podere solamente; chè s ' e
g l i n o 'l f a , e g l i n o n è m i c h a b u o n o . Naturel chose est à
l'ome que il soit citeiens,etque ilconverseentre les homes et entre les
artiens; car contre nature seroit de habiter en desers où il n'a nule
gent,porce que li hom naturelmentsedeliteen com paignie. Beatitude est chose
complie,si que ele n'a nul besoing d'autre chose fors de li,par quoie la vie
des homes est puissanz et glorieuse: donques est beatitude li graindres biens
de touz et la plus soveraine chose et la très mieudre de touz biens qui soient.
V I . L ' a m e d e l ' o m e a j i j. p u i s s a n c e s . L'une est
vegetative, et ce est c o m mun asarbresetasplantes,caril ont ame vegetative
aussi come li home ont;lasecondeestapeléesen sitive, et est c o m m u n e à
toutes bestes, car eles ont ames sensitives; la tierce est apelée rationable,et
por ceste est li hom divers de toutes choses,porce que nule autre chose n'a ame
ratio. nableselihom non.Etcestepuis sance rationable est aucune foiz en oevre
et aucune foiz en pooir; mais beatitude est quant ele est en oevre, et non pas
quant ele est en pooir seulement; car se il ne le fait, il n'est mie bons. ch'è
disiderata per altrui. Bene per lui è beatitudine, ch'è nostra fine a che noi
intendiamo.Bene per altrui sono gli onori e le uertu : chè questo si disidera
per auere beatitudine. Toutes les oevres des homes ou -44 C.
MARCHESI Ogni operazione che l'uomo fae o ellaèbuonaoellaèrea;equello uomo lo
quale fa buona la sua ope. razione, si è degno d'avere la perfe. zione della
virtude di quella opera zione.Verbigrazia: lo buono cetera tore,quando egli
cetera bene,si è degnacosach'egliabbiailcompimento di quella arte,e lo rio
tutto il con. trario. Adunque se la vita dell'uomo è secondo l'operazione della
ragione, allora si è laudabile la sua vita, quand'egli la mena secondo la sua
propria vertude; ma quando molte vertudi si raunano insieme nell'animo
dell'uomo, allora si è la vita dell'uo mo molto ottima e molto onorata,e molto
degna,sicchè non puote essere più;perciò che una virtude non puote beatitudinem
ultimam propter se uo lumus,cum sitfinisnosteretintentum à nobis; honores autem
et uirtutes propter beatitudinem, eo quod per ipsas pertingimus ad illam. Homo
naturaliter ciuilis est et con uiuithominibusetsocietatesexercet
comel'uomo;lasecondapotenziasi cumartificibusdecenter,nequeap
chiamaanimasensibilenellaquale petitsolitudinemnequedesertum
participal'uomocontuttelebestie, neque heremum.
perciòchetuttelebestiehannoanima Beatitudoestrescompleta,nullius
sensibile;laterzasichiamapotenza indigens,perquamuitahominislau.
razionale,perlaqualel'uomosiè dabilisexistit.Beatitudoigiturexce
diversodatuttel'altrecose,perciò lentissimum est eligibilium et opti. che neuna
altra cosa hae anima ra mumbonorum,cumsitperfectiore zionale,sicomel'uomo.E
questa rumoperabilium.Sicutigiturestin potenziarazionalesiètalorainatto
qualibetartiumbonumquodillaars etalorasièinpotenzia;ondela
intendit,etsicutestcuilibetmem. beatitudinedell'uomosièquandoella
brorumcorporisactuspropriusin vieneinatto,enonquandoellaèin quoeialiudnoncomunicat,sicest
homini actus proprius in quo aliud ei non comunicat. Homini autem se cundum
animam uegetabilem C O municant terrae nascentia,et secun dum animam sensibilem
comunicant ei animalia; actus uero ei proprius, inquo nullum aliud ipsi
comunicat, est actus secundum rationem et di scretionem. Ratio uero duplex est:
potenzia: ratio uidelicet actualis et ratio poten tialis;dignior autem ad
intentionem rationis et magis cognita est ratio actualis,ut pote actus hominis
di. scernentis et agentis. Et omnis actio quam agit actor aut est bona aut est
mala. Actor autem bene agens in omni arte meretur intentionem uir tutis, ut
bene citharizans citharedus bonus ;citharizans autem male malus. ottima che
l'uomo possa avere. L'a nima dell'uomo si ha tre potenzie; l'una si chiama
potenzia vegetabile, nella quale comunica l'uomo cogli arbori e colle
piante,perciò che tutte le piante hanno anima vegetabile,si IL
COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA bonesoumauvaisessont.Etcilqui
quell'opera.Chècoluichebeneopera fait lesbonesoevres,ilestdignes
èdegnod'auereilcompimentodisuo d'avoirlecomplimentdelavertude
mestiere,equeglichemalfanno,il celeoevre;carcilquibiencitoleest
contrario.Dunqueselauitadell'uomo dignesd'avoirlecomplimentdeson
èsecondol'operadiragione,alora mestier,etciquimallefait,lecon- è da pregiare
quand'eglila mena traire;doncselaviedel'omeest secondolapropriauertu.Maquando
seloncl'oevrederaison,lorsestele mantieneuertusonogliuominisaui,
prisablequantillamaineseloncla esauioebisongniabile,enorevolee propre vertu;
mais quant maintes moltodengniosichepiùnonpotrebe
vertuzsontenl'ome,savieestbesoi. essere;percidcheunasolauertunon
gnableethonoréeetmultdigne,si puotefarel'uomodeltuttobeatone
queplusneparroitestre,porceque perfetto.Chèunasolarondineche uneseulevertunepuetfairel'ome
uengnianèunosologiornotemperato detoutebeatitudeneparfait;carune
nondonaciertanainsengniadelprimo solearondelequivieigneneunsseus
tenpo.Eperciòinunopocodiuita jorsatemprésnedonentcertaineen-
d'uomoeinunopocoditenpoch'egli seignedouprintens;etporceenpo
facciabuoneopere,nonpossiamoperò devied'ome,neenpodetensque
direch'eglisiabeato.CCXXI.Qui ilfacebonesoevres,nepoonnosdire diuisa di tre
maniere di bene.Il queilsoitbeates.VII.Libiensest beneèdiuisatointremaniere,che
devisezen.iij.manieres,carliuns l'unoèilbenedell'anima,el'altro
estbiensdel'ame,etliautresest delcorpo.Mailbenedell'animaèil
doucors,etlitiersdehorslecors; piùdengniochenullodeglialtri,
maislibiensdel'ameestplusdignes peròcheglièilbenedidio,esua
quenusdesautres,carceestlibiens formanonèchonosutaseperl'opere
deDieu,etsaformen'espasconneue separlesoevresvertueusesnon.Et
sanzfaillebeatitudeestenquerre lesvertuzetenelsuser,maisquant
beatitudeestenhabitetaupooir del'ome,etnonensesfaiz,ceest
àdirequantilporroitbienfaireet ilnelefaitmie,lorsestvertuous
aussicommecilquisedort,carses oevres ne ses vertuz ne se mostrent
pas.Maisl'omquiestbeatescovient aussicommeparnecessitéqueilface uertudiose
non.E sanza fallo beati tudineèinchiedereleuertuefarle.
Maquandobeatitudineènell'abitoe inpoteredell'uomononèsenone
fatti:questoèadire,quandoeglipuote benefareeno'lfaaloraèegliuer
tudiosoaltresìcomecoluichedorme; chèsueopereesueuertunonsimo strano.Ma
l'uomoch'èinbeatitudine conuiene altresì come per necissetà
ch'eglifacciailbeneinoperaesi comeilsauiochampioneeforteche
lebiensenoevre.Etsicommeli sichonbatteuuoleportarelacorona 45 46
C. MARCHESI Actusigiturhominisunaestuitarum l'uomo fare beato,nè perfetto,sic
famosarum trium prenominatarum, una rondine quando appare
uitascilicetrationisetscientieet sola,eunosolodietemperatonon
sapientie.Etomnisquidemresbona dànnocertadimostranzachesiave.
existitetdecorapropteruirtutemsibi propriam. Vita ergo hominis actus
estanimeintellectiueperuirtutem sibipropriam;sedcumuirtutesani-
memultesint,eritperoptimam et honoratissimam in fine et dignis-
simaminfineperfectionisetcomple- menti.Unanempehyrundononpro-
nosticaturuernequediesunicatem- peratiaeris,sicnecuitapaucaet
lobenedell'animasièpiùdegno tempusmodicumsignumcertumsunt
benedineuno,elaformadiquesto beatitudinis. bene si non si conosce se non nell'o
Bonum tripliciter diuiditur; est perazioni, le quali sono con vertudi. bonum
anime et bonum corporis et nutalaprimavera;ondeperciò nè.
inpicciolavitadell'uomo,nè in pic ciolotempochel'uomofacciabuone
operazioni,nonpotemodicereche l'uomosiabeato. Lo bene sidivide in tre parti,chè
l'unosièbenedell'anima,l'altrosi èbenedelcorpo,el'altrosièbene
difuoredalcorpo.Diquestitrebeni, come bonum extra corpus. Bonum ergo
delle vertudi e nell'uso loro; ma quoddignissimebonumdiciturest quandolabeatitudineènell'uomoin
bonum anime,neque apparet forma abito,e non in atto,allora si è vir
istiusboni,nisiinactibusquisunt tuosacomel'uomochedorme,lacui
auirtute.Etbeatitudoquidemest operazioneevirtudenonsimani.
inacquisitioneuirtutumetinusu festa;mal'uomobuonodinecessità
earumsimul.Cumquefueritbeatitudo èbisognochel'aoperisecondol'atto,
inhominetamquaminpossessioneet etèsomigliantediquellochesta
habituetnonactu,tuncesttamquam neltravitoacombattere;chè sola uirtuosus
dorniiens cu non apparet mente quelli che combatte et vince,
actionequeuirtus.Beatusautemactu quelliàlacoronadellavittoria;e
necessarioexercetbeatitudinem.Et sealcunouomosiapiùfortedicolui,
quemadmodumperitiagonisteatque chevince,nonàperciòlacorona,
robusticoronanturquidemetacci. perch'eglisiapiùforte,s'eglinon
piuntpalmamapudactumagoniset combatte,avvegnach'egliabbiala
uictorie,sicuirtuosielectiboniac potenziadivincere;ecosìlogui. beati laudantur
et premia uirtutum derdone della virtude non ha l'uomo
suscipiuntdumapparentoperationes senoninfinoatantoch'egliadopera ipsorum
secundumueritatem;etisto. lavirtudeattualmente;equestosiè
rumuitaestinseipsadelectabilis. perciòcheloloroguiderdoneela
Unusquisqueenimhominumdelecta- lorobeatitudineèladilettazione,che La
beatitudine si è nell'acquistare IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA
ARISTOTELICA 47 della uettoria, tutto altresì l'uomo buono e beato ae il
guiderdono e la loda della sua uertu ch'egli fae et mostra ueracemente per
queste opere, perciò che il guiderdono delle sue opere e della beatittudine è ildiletto
ch'egli n'atantoe com'egli opera la uertu ; chè ciascuno si dileta in cid
ch'egli ama ; il giusto si dileta in giustizie e l'asagia e gli piacciono, e 'l
uertudioso nelle uertu. Et tutte l'opere che sono per uertu sono belle e
dilettabille in se medesime. Beatitudeestlachoseaumonde
Beatitudineèlacosaalmondoche quiesttrèsdelitable,maislabeati
tudequiestenterreabesoingdes biensdedehors;carilestdurechose
quel'onfacebelesoevres,seiln'ia grant part des choses avenables à
bonevieethabondanced'avoiret d'amisetdeporenz,etprosperitéde fortune, et por ce
la sapience abe. soigned'aucunechosequifaceco perciòlasapienzaàbisongniod'al
noistre sa valor et ses honors.Se cuna cosa che faccia conossere suo aucuns
done as homes dou monde, ualore e suo onore.Se alcuno dona
disgloriousetsoverainsfaiz,l'en ahuomodelmondodonogroliosoe
doitbiencroirequecildonssoitbea. souranofattol'uomodebenecredere
titude,porcecequeestlamieudre chequellodonosiabeatitudine,perciò
chosequiestrepuisseaumonde;car ch'eglièlamigliorecosachepossa
eleestmulthonorablechose,etest esserealmondo;ch'ell'èmoltoono.
licompliemensetlaformedevertu; rabilecosa[essere]edèilcompimento
neiln'estpasditdouchevalnes elaformadellauertu;nèeglinonè
desautresbestes,nedesenfans,que michadettodelcaualloedel'altrebe ilsoient
beates,porce qu'il ne font oevres de vertu. Beatitude est chose ferme et
estable, tozjors en une fermeté, si que ele ne stie,nè degli fanciulli che
sieno beati, perciò ch'egli non fanno opere di uertu . Beatitudo è cosa ferma
et stabille . ( 1 ) A r r e s t i a m o q u i l a t r a s c r i z i o n e d e l
c o d . M a g l i a b e c h ., s e m b r a n d o c i l a p a r t e t r a s c r
i t t a s u f f i ciente ad attestare la propria dipendenza dal testo francese.
milglioreepiugioiosaetradiletta bille:mallabeatitudinedeeessere
interraebenidifuori.Chègliè dura cosa che l'uomo faccia belle opere e ch'egli
abbia parte di cose aueneuolliahuonauitaedabondanza
d'auereedabondanzad'amiciedi parenti e prosperita di fortuna, e F sages
champions et fors qui se combat et vaint emporte la corone de victoire,
toutautressilihom bonsetbeatesa le guerredon et la loange de la vertu que il
fait et mostre veraiement par ses oevres, porce que li guerredons de la
beatitude est li deliz que l'om atentcomme iluevrelavertu,car chascuns se
delite en ce que il aime : lijustessedeliteenjustise,etlisages en
sapience,etlivertueusenvertu; et toute oevre qui est par vertu est bele et
delitable en soi meisme. . (1) virtude, si è bella e diletteuile in
se Beatitudo autem omnium rerum est medesima. Beatitudo si è cosa ot
optimaiocundissimaatquedelectabi- tima,giocundissimaedilettabilissima.
lissima.Beatitudotamenqueesthic Labeatitudine,laqualeèinterra,si
bonisexterioribusindiget;difficile abbisognadeglibenidifuori,perciò est enim
homini ut opera decora che non è possibile all'uomo ch'egli
exerceatabsquemateriautpotequod facciabelleopereech'egliabbia
habeatpartemcompetentemrerum artelaqualesiconvengaabuona
boneuitepertinentiumetcopiam vita,eabbondanzad'amiciedipa familie et parentum
et prosperita- renti,eprosperitàdiventura,sanza temfortune.Ethacquidemdecausa
libenidifuori;eperquestacagione indigetarssapientiearteregnandi,
nonabbisognaalcunacosachefaccia ut apparere faciat honorificentiam manifestare
il suo onore e lo suo va suiatqueualorem.Etsialiquarerum
lore.Sealcundonoèfattodidome donata est hominibus a deo excelsa nedio glorioso
e eccelso agli uomini etgloriosa,dignumestutbeatitudo
delmondo,degnacosaèdacredere siuefelicitasdonumsitdiuinum se-
chequellodonosiabeatitudine,im cundumquodipsaestoptimaomnium
perciòch'ellasièlapiùottimacosa rerum humanarum ; est igitur de onorevole molto
e compimento e rebus prehonorabilibus,cum sit com. 48 C. MARCHESI
turineoquodestamatumapud eglihanno,infinoatantoch'egliado ipsum ; delectetur
ergo iustus in perano la virtude; chè il giusto si
justitiaetuirtuosusinuirtuteet dilettanellaiustiziae'lsavionella
sapiensinsapientia.Etactionesfientes sapienza,elovirtuosonellavirtude;
peruirtuteminseipsissuntdelecta. eognioperazione,laqualesifaper biles uenuste
ac decore. forma di virtude. E neuna genera plementum uirtutis siue forma et
zione d'animali puote avere beatitu fructusipsius— [Non)diciturautem
dine,senonl'uomo,eneunogarzone deequonequedealioaliquoanima-
nonhaebeatitudine,perciòcheneuno liumhuiusmodi,nequedepueris,quod
animalenèneunogarzonenonado sintbeati,eoquodnequehuiusmodi perasecondovertude.
animalia neque pueri agant opera Beatitudo si è cosa ferma e stabile
uirtutis.Etbeatitudoestresfirma sempresecondounadisposizione,nella
stabilissecundumdispositionemunam, qualenoncadevarietadenèpermu
inquamnoncaditalteratioetpermu- tazione alcuna,e non v'ha talora
tatio,etnoncomitanturipsameuen: beneetaloramale,matuttaviabene,
tusuarii,etnuncbonitasnuncmalitia. equestosièperciòchelabonitade
Etenimbonitasetmaliciaestinopere elareitadesiènellaoperazione
hominis;etcolumpnabeatitudinis dell'uomo.Lacolonnadellabeatitu
estoperasecundumuirtutem;co- dinesièl'operazione,chel'uomofae 1 se
remue pas,et si n'est mie une foiz bien et autre mal, mais toutes foiz
bien,porce que li muemenz de bonté ou de malice n'est pas se es oevres des
homes non. Li pilers de beatitude est lesoevres que l'onfait selonc vertu,et la
colone dou con traire est les oevres que l'on fait selonc vice; et la vertus
ferme et estable est en l'ame de l'ome.Li hom vertueus ne se contorbe ne ne
s'es maie por nule temporal chose qui li avieigne ; car il n'auroit jà
beatitude se il s'esmaioit,car dolor et paor abatent l'oevre de vertu et la
joie de beatitude. Felicités est une chose qui vient par vertu de l'ame, non pas
dou cors ..... IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 49 Aucunes choses
sont mult griez à sostenir;mais quant l'on les a bien sostenues,lors apert et
se mostre la hautesce de son corage; et sont au tres choses qui ne sont griez à
sos tenir, ne li hom qui les sueffre ne mostre pas que en lui soit force.Et jà
soit ce que mort et maladies de filz soient griez à sostenir, ne doivent pas
remuer l'ome de sa felicité; car bienetfelicité,ethome felixetDex glorious et
benois sont tant digne chose et tant honorable que nulz pris ne nule loenge ne
lor sofit pas; et nos devons reverer et magnifier et glorifier Dieu sor toutes
choses et si devons croire que en lui sont tuit bien et toutes felicitez.,porce
que il est commencemenz et achoisons de touz biens. C. MARCHESL 4
secondo virtude,e la colonna del con trario suo si è l'operazione, la quale
l'uomo faesecondolovizio;equesta operazione si erma e stante nel. l'anima
dell'uomo,et l'uomo virtuoso non si muove,e non si turba per cosa contraria
temporale che gli possa a v venire, perciò che già non arebbe beatitudine,
s'egli si conturbasse, perciò che la tristizia e la paura si toglie altrui
l'allegrezza della beati. tudine. Sono cose le quali sono molto forti a
sostenere; ma quando l'uomo l'à sostenute pazientemente, si dimostra la
grandezza del suo cuore ; e sono altre cose le quali sono lievi a sostenere,e
perché l'uomo le so. stegna non si mostra grande fortezza in lui,siccome morte
di figliuoli e loro malitia.Queste cose,avegnache ellesiano forti,non permutano
l'uomo di sua felicitade.La felicitade e l'uomo bene avventurato e domenedio
bene detto e glorioso sono tanto degna cosa e tanto da onorare che le loro lodi
non si possono dicere,e spezial mente si conviene a noi di reverire e
magnificare messere domenedio sopra tutte cose, e dee l'uomo pen sare di lui,
che nel suo pensare ha l'uomo tutto bene, e tutta felicitade, perciò ch'egli è
cominciamento e ca gione di tutto bene. 50 C. MARCHESI lumpna uero
contrarii beatitudinis est opera secundum contrarium uirtutis; et optima
operationum secundum uir tutem est stabilissima earum in ani ma ;et uita
beatorum continua est semperperactioneshonorabilesbonas; et uirtuosus perfectus
absque ex tollentia speculatur in rebus virtuali bus et substinet irruentia
mala et tollerat ea tollerantia decenti et non turbatur cor neque formidat ex
ma. gnis calamitatibus ex temporis malitia occurrentibus ; nisi enim eas
decenter sustinuerit conturbabitur eius felicitas et inducentur super ipsum
meror et tristitiaque impedient secundum uir tutes operationes. Quedam autem
actionum malitie difficiles sunt ad sufferendum : sed quando acciderint homini
et eas sustinuerit,demonstrant eius magnanimitatem.Alie uero que. dam
facilepossuntsufferrietheecum inciderint homini et eas sustinuerit, non demonstrant
eius magnanimita tem ; et mortuis ex bonitate actionum filiorum et ex malitia
ipsarum con tigit [modicum aliquid tante, in.
quam,quantitatis].transmittetfelices a sua felicitate ad infelicitatem ; neque
infelices a sua infelicitate ad felici tatem.Bonum etfelicitasatque felices et
deus benedictus et excelsus digniora sunt et honoratiora quam ut lau dentur.
Immo conuenit quidem uene rari deum et ipsum singulariter m a gnificare et eius
intuitu felicitatem etfelicesetbonum,cum sintresdi. uine, et gratia quorum
omnia alia aguntur;et creditur de eo quod est Felicitade si è un atto il quale
procede da perfetta virtude dell'anima et non del corpo. IL
COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 51 principiumbonorum
etipsorumcausa, quod sit res diuina. Felicitas est quidem actus anime procedens
a uirtute perfecta,non cor poris sed anime. 52 C. MARCHESI IL
COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 53 Prima di passare al raffronto
della parte finale nelle diverse redazioni, non sarà inopportuno riprodurre
ancora un brano, del principio del secondo libro, che valga a confermare le
diffe renze e le relazioni da noi stabilite tra i due compendi, volgare e
francese, e il testo latino. Liber Ethicorum. Litresor,Liv.II,P.I,
Virtusergoduplexest, chap.IX.-Porceapert uidelicetintellectualiset
ilque.ij.manieressont moralis;intellectualis, devertuz:l'uneestde
utsapientiaetprudentia l'entendementdel'home, etsimilia.Laudantese-
ceestsapience,science nim hominem ex parte Et uirtutum quidem tuel,nos
disons:ce est uirium intellectualium eum appellamus. intellectualium
genera prisierdevertu intellec uns sages hom etsoutis; par enseignement,et
liumestperbonam et porcelicovientexpe honestam conuersatio- rience et lonc
tens. La nem;nequesuntinno- vertudemoraliténaist bispernaturam.Res
etcroistparbonuset enimnaturalesnonegre. honeste;car ele n'est diuntur a natura
sua pas en nos par nature ; perassuetudinem,utpe- àcequechosenaturele
tra,quaesempertendit nepuetestremuéede et sens ; l'autre est de sapientem eum
dicimus autscientemaut(secun- choses semblables. Et dumaliquidhuiusmodi);
cepuetchascunsveoir sed ex parte moralium clerement; car quant
largumuelcastumuel un home humilem uel modestum mais quant nos le volons
tioetincrementumfit prisierdemoralité,nos inhomineperdoctrinam etdisciplinam;ideoque
chastesetlarges.X.La in eius acquisitione ex- vertu de l'entendement
perimentoindigetettem- estengendréeetescreue pore longo. Generatio autem
uirtutum mora en l'ome par doctrine et moralité,ce est chastée et largesce, et
autres disons:ceestunshom nos volons L'Etica.– Due sono le virtudi; l'una si è
dettaintellettuale,sicco me lasapienza e scienza e prudenza; l'altra si chiama
morale,sicome castitade e larghezza ed umiltade; onde quando
noivolemolodarealcuno uomo divertudeintellet. tuale,diciamo: questi è un
saviouomo,intende vile e sottile; e quando noi volemo lodare un altro uomo di
virtude morale,cioè de costumi, si diciamo:questi è un uomo umile e largo.-
Concio siacosachesiano due vertudi,una intel lettuale e l'altra morale, la intellettuale
si si in genera e cresce per dot. trina e insegnamento,e la virtude morale si
si in. genera e cresce per b u o na usanza;e questa ver tude morale non è in
noi per natura,percioc cbè natural cosa non si puote mutare della sua
disposizione per contra 54 C. MARCHESI riausanza.Verbigrazia: ad
centrum naturaliter, lanaturadellapietrasi etignisadcircumferen
èl'andareingiuso,onde tia,numquam assue non la potrebbe l'uomo receptionem , et
perfi questevirtudinonsono tiunturinnobisexbona in noi per natura,la po. (1)
Taddeo amplio e chiarì meccanicamente l'esempio della pietra e del faoco,
valendosi del latino del Liber Ethicorum del commento tomistico: « ..... puta
lapis natura deorsum latus non
autiqueassuescitsursumferri,nequesideciesmilliesassuescat quis,eumsursumiaciens»;e
sopratutto del Liber minorum moralium : « Lapis enim qui naturaliter deorsam
descendit quamvis « quis probiciat ipsum sursum uicibus innumerabilibus, quarum
non comprehenditur multitudo, «uolens per hocassuefacereipsummouerisursum,numquamhabebitpossibilitateminhoc.Et
« similiter ignis non est possibile at recipiat per assuetudinem diuersum
motionis suae ». nos par usage; por quoijediqueces vertuz ne sont pas dou tout
en nos sanz nature ne dou tout selonc nature ; mais li commencemenz et la
racine de recoivre ces vertuz sont en nos par nature,et le lor c o m pliment
est en nos par usage.Et touteschoses tanto gittare in suso, situm; neque
aliarum ch'ellaimprendessead rerumullaassuescetop. andareinalto;elana-
positumnaturesue(1). turadelfuocosièd'an. Attamen cognationem
dareinsuso,ondeno'l aliquamhabetconsue. potrebbe l'uomo tanto tudo cum natura
et co trarreingiuso,ch'egli gnationemaliquamcum imparassedivenirein
intellectu.Nonsuntita que in nobis uirtutes niunacosanaturalepuo- morales naturaliter,ne
tenaturalmentefarelo quepreternaturam;sed contrario della sua na- nati sumus ad
earum giuso;eduniversalmente tura.Mà avvenga che scunt huiusmodi oppo
consuetudine.Itemomne puissanced'aprendrela tenziadiriceverleèin
quodinnobisestnatura. estennousparnature, noipernatura,elocom-
literpreextititinnobis etlicomplemenzesten pimentoèinnoiper
potentialiter,deindeap usanza.Ondequestever. paretactualiter.Ethoc
tudinonsonoinnoial manifestumestinsen postuttopernatura;ma sibus. Sensus enim
in laradicee'lcomincia. nobisnonfiunteoquod mentodiriceverequeste
uideamusuelaudiamus multociens,sed e con trariofitinnobis.Ha bemus enim eos
prius naturaliteretpostmo. vertudi si è in noi per natura,e'lcompimento
elaperfezionediqueste virtudisièinnoiper usanza.Ognicosala dumexercitamurineis.
sonordreparusage con traire.Raison comment : la nature de la pierre est d'aler
tozjors aval, ne nus ne la porrait tant giteramont que ele seust sus aler; et
la nature doufeuestd'aleramont, ne nus ne leporroit tant avaler que il seust en
aval metre la flamme. Et generalment nul na tural chose ne puet par usage
aprendre à faire lecontraire de sa nature. Et jà soit ce que ceste vertuz ne
soit en nous par nature, certes la IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA
ARISTOTELICA 55 diusinterextremadicta, Etporunemeismechose et d'oïr, et
par celui quellapotenziaodee ethocmodoestinom- pooirvoitetoit,etnus
vede,enonvedel'uomo nibus artificibus.Nam nevoitdevantqueilen prima
eode,ch'egliab- hedificatores sumus ex ait le pooir. Donques bialapotenziadelve-
usuhedificandietcytha. savonsnosquelipooir dereedell'udire.Dunque
rediexusucytharizandi; est devant le faire.Mais vedemo già che la po- ex bene
quidem facere es choses de moralité tenziavadinanziall'atto.
hocbonisumusinbiis, estli contraires;car E nelle cose morali è ex male autem
mali. l'uevre et li faiz est de. tutto locontrario,chè vant le pooir. Raison
l'operazioneel'attova eadem fituirtusetcor- comment:aucunshom dinanzi alla
potenzia. rumpitur.....autem a la vertu de justise, Verbigrazia:l'uomosi similiter(sanitatis).Et
cor mentneleseustlimais. rumpunturexpaucitate tresseiln'eneustovré
fatteprimacase,edal- etmultitudine,uttimi- autrefoiz.Autressi se trimenti non
potrebbe ditas et procacitas. Ti- vent aucun bien citoler
peravereeglimoltevolte averequellaarte,seegli midusenimfugitomnia,
Exeisdemergoetper porce que il a devant hae la virtude che si actiones
laudabiles cor- fait maintes cevres de chiamagiustiziapera- rumpunturproptersu-
jostise;etunsautresa vereeglifattoinnanzi perfluitatemautdiminu- lavertudechastée,porce
molteoperazionidigiu. tionem,utexercitia su- que il a devant fait
stizia,edhael'uomola perfluaautdiminutaet maintesoevresdecha virtudechesichiama
nutrimentisusceptiosu-stée.Toutautressiest castitadeperavereope-
perfluaautdiminutafor- des choses de mestier rate dinanzi molte ope- m a m
sanitatis corrum- et de art.On scet faire razionidicastitade;e
punt,equalitasautem maisons,porcequeon cosiadivienedellecose
ipsorumsanitatemfacit enamaintesfaitespre artificiali, chè l'uomo et auget et
conseruat.Et mierement ; car autre hal'artedifarelecase uirtutes morales porce
que il en sont non l'avessemoltevolte procax autem omnia in- molt usé.Et li hom
est adoperata dinanzi;esi. uadit. Fortitudo autem bons por bien faire,et
migliantemente l'arte qualeèinnoiperna- Virtutesautemacqui- quisontennosparna
tura,sièprimaepoi rimusexfrequentatione turesontpremierement
sivieneinatto,siccome actuumhabitusinducen- enpooiretpuisenfait, avviene de
sensi del- tes. Iusti etenim sumus aussi comme li sens de l'uomo,chèprimaha
exusuactuumiustitie, l'ome;cartoutavanta l'uomolapotenziadive.
etcastisimiliter,scilicet lihom pooir de veoir dere e d'udire, e per ex usu
actuum castitatis, del ceterare ha l'uomo inhisesthabitusme-
mauvaispormalfaire. et inest fortitudo ei qui scit fugere a
fugiendis et inuadere inuadenda, ethichabitusacquiritur Per una medesima
exconsuetudineuilipen cosasigeneranoinnoi di(sic)terribilia.Sicca
levirtudi,esicorrom ponosequellacosasifa indiversimodi;eadi viene della virtude
si comedellasanitade,che una medesima cosa in diversi modi fatta fa ella
sanitade e corrompela. Verbigrazia: la fatica s'ella è temperata si in. genera
sanitade nel corpo dell'uomo,e s'ella è più che non si con. viene o meno che
non si conviene,si corrompe lasanitade;esìadiviene della virtude che si cor
rompe per poco e per troppo, e conservase per tenere lo mezzo.Verbi. grazia:
paura e ardi mento corrompono la prodezzadell'uomo;per cio che l'uomo che ha
paura si fugge per tutte le cose, e l'uomo ch'è arditoassalisceognicosa e
credelasi menare fine; e nè l'uno nè l'al. tro non èprodezza;ma la prodezza si
è tenere lo mezzo intra l'ardi mentoelapaura;edee stitatishabitusacqui. ritur
ex consuetudine retrahendiseauolupta tibus,etsimiliterseha
betinceterishabitibus laudabilibus..... 56 C. MARCHESI per avere molte
volte ceterato ; e l'uomo è buono per far bene,e lo rio per far male. naissent
en nos et se cor rumpent les vertus,se cele chose est menée en diverses
manieres;tout autressi c o m m e la santé ; car travailleratempree. ment engendre
santé au corsdel'ome;maistra vailler o plus ou mains que mestiers n'est,cor
ront la santé; mais meenneté la garde et acroist : autressi est de vertu, car
ele corront et gaste par po et par trop,et si se conserve et maintient par la
meenneté.Raison com ment : Paors et harde corrumpent la p r o e s c e d e l ' o
m e ; c a r li hom qui a paor s'enfuit por toutes choses, ne n'ose nule
emprendre; et li hardis emprent à faire toutes choses,et les cuide mener å fin.
Et sachiez que l'une ne l'autre n'est pas proesce: mais proesce est aler entre
hardement et paor. Et doit li hom foïr les choses qui sont à foïr, et envaïr
les choses qui sont à envaïr. Et cist habiz est aquis par usage de desprisier
les terri bles choses,et habiz de chastée est aquis par u a mens IL
COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 57 l'altre virtudi ,siccome tu hai
inteso della pro dezza ; chè tutte le virtù s'acquistanoesisalvano per tenere
lo mezzo. Col raffronto del devez entendre de toutes vertuz. brano finale
mettiamo termine a questo prospetto comparativo, che porta un contributo,non
privo d'in teresse, alla conoscenza della fortuna aristotelica, ed è d'impor
tanza fondamentale per la storia dei compendî neolatini del l'Elica
nicomachea. che sono da fuggire. E sage de retenir soi contre l'uomo
fuggire le cose cosideiintendereintutte ses covoitises. Autressi
Liber Ethicorum . Educatio puerorum secundum no- Dee essere lo
notricamento delli bilem legem necessaria est ad indu- garzoni secondo la
nobile legge, e cendumeispermodumcastitatiset ausarliadoperazionidivirtù,ein
non per modum continentie. Inde- questodeeesserepermododicastità,
lectabilisenimestapudplureshomi. enonpermododicontinenzia,per.
numususuirtutumpermodumcon- ciocchèl'usodellacontinenzianonè
tinentie.Nequeabstrahendaesteis dilettevoleamoltiuomini,enonsi manus statim
post pueritiam, sed dee ritrarre la mano di gastigare continuanda est eis usque
ad con• il fanciullo via via dopo la fan sistentiam et robur uirilitatis. In
ciullezza;anzi dee durare in fino al rectificandoquosdamsufficitredar-
tempo,chel'uomoècompiuto.Sono gutioetcastigatiosermocinalis,in
uominichesipossonocorreggere aliisautem quibusdam uixsufficitas. per parole e
sono altri che non siduatiouerberumtamquaminbestia. si possono correggere per
parole, Neutrouerohorummodorumrecti- anziv'èmistieripena.Esonoaltri ficabiles
tollendi sunt de medio.No- che non si correggono in niuno di
bilisetstrenuusrectorciuitatisciues questiduemodi,equesticotali(1)
nobilesefficit,etbonioperatoresha- sonodatorredimezzo.Lonobilee'l benteslegemetoperalegisexer-
buonoreggitoredellacittafanobili centesaduersantureisquicontraria
cittadiniebuoni,liqualiservanola agunt,etsibonaagant.Inpluribus
leggeefannol'operachecomanda ciuitatibus iam abiit regimen uite la legge e sono
avversari a coloro hominum ideoque dissolute uiuunt che non osservano gli
comandamenti etpropriassectanturuoluptates.Et dellalegge,avegnach'ellifacciano
regimen quidem conuenientius est bene.Inmoltecittadièitoviailreg. communis
prouisio moderata,cuius gimentodellavitadellihuomini,però
usumobseruarepossibileestetnon chesivivonodissolutamenteese
summedificile:etquodcupitquili. guitanolelorovolontadi.Lopiùcon
betseruariinseetamicisetfiliiset venevolereggimentocheporresi
familia.Etprecipueydoneusadtalis puotenellacittà,sièquellocheè
regiminisconstitutionemestillequi temperatoprovedimento,intalmodo
sciueritquoddictumestinhoclibro. chesipuoteosservareenonètroppo
Scietenimcanonesuniuersalesad grave;equelloloqualedesidera
particulariadistrahere.Communis l'uomochesiosserviinsèenelli 58 C.
MARCHESI (1)Icodd.8. v.11:...ce questicotalisono rei perchè
sonopartitiintuttodalmezo,et « debbono essery odiati si come sono li lupi et
cacciati d'ongne buono luogo. Lo nobile etc. ). L'Etica d'Aristotile.
IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 59 Li
Tresors,Liv.II,P.I,chap.XLIV. Magliabech.,I,I,47. Et li norrissemens des enfans
doit I nodrimenti da fanciulli debbono estrenoblesentelmanierequeil
esserenobili,sichesiabeneapreso soientaprisàfaireetàuserlesbones
afareedausodibuoneopereper oevresparchastéenonmieparcon-
chastitaenomicapercontinuanza. tinance,carcontinancen'estmiecon-
Checontinuanzanonemichaconue venablechoseasgens;etl'onne
neuollecosaagienti;el'uomonon doitpasostercestusagenecest
deemichaleuarequestausanzane chastiementmaintenantqueilont
questochastighamentoimmantenente enfance passée, mais maintenir la
ch'egliàlafanciullezasua,maman jusquesàtantquelidroizaagessoit tenerla
insinoatantocheildiritto acompliz.Iliahomesquipueent estre governé par
chastiement de paroles,etautresiaquinepueent mieestrechastiéparparoles,mais par
menaces de torment; et autre homesontquel'onnepuetchastier
neparl'unneparl'autre;ettelhome doiventestrechastiésiqueilnede-
mourentavecautresgens.XLV.Li chacciatisich'eglinodimorinocon
noblesgouverneresdelacitéfaitles l'altrigienti.Quidicedelgouerna
citeiensnoblesetlesfaitbienoyrer mentodellacittaCCLXVIII.Ino.
etgarderlaloietcontresterasautres biligouernamentidellacittadefanno
quinelagardent,jàsoitcequeil icittadininobilieglifabeneoperare
lefacentbien,Maintescitezsontoù eguardarelalegieecontradirea
ligouvernementdelaviedel'ome quegliche nollaguardano,concio
sontdestruit,etviventdissoluement, siacosach'eglifaccianobene.Molte car
chascuns va après sa volenté. città sono oue il gouernatore della
Liplusnoblesgovernemensquisoit ụitadell'uomoèdistrutaeuiuono
enlaviedel'ome,etàmoinsde disolutamente,chè chattuno
poineetdetravail,estcilquel'on apressosuauolonta.Ilpiùconuene
consiredemaintenirsoietsamaisnie uollecomandamento egouernamento
etsesamis,etcilpuetconvenable- chesianellauitadell'uomoeapena
mentmaintenirgensquiaurala dipeneeditraualglioèquellache science de ce livre;
porce que il l'uomo considera di mantenere se e saurajoindrelesenseignemensuni.
suamasnadaesuoiamici;equeuli verselsaveclesparticulers;carci- puoteconueneuollementemantenere
teiennecommuneestdiversedela gientecheàconsecolascienzadi
particulere,aussicommeentozmes- questolibro;peròch'eglisapragiun
agiosiacompiuto.Esonohuomini chepossonoesseregouernatipergha.
stigamentodiparole,ealtrisonoche nopossonoesseregastigatiperpa
role,maperminacieditormenti;e altrisonochel'uomononpuotees seregastigati nè per
l'unonè per l'altro;etallihuominidebbonoessere uae 1 60 C.
MARCHESI (1)Taddeo riduce molto sensibilmente il testo latino e ne sopprime a
dirittura la fine: forse egli ritenne compiuto a quel punto trattato
aristotelico della morale e credette opportuno esclu. dere le parole seguenti;
forse a lui melico e maestro fece ombra quell'accenno, in fine, all'arte della
medicina. Probabilmente Taddeo rappresentava più da vicino il metodo pratico, e
il libellus de servanda sanitate pnò darcene fede : s'è cosi, egli non poteva
piacevolmente accogliere l'affer mazione aristotelica.
namqueciuilitasdiffertaparticulari suoifigliuolienegliamicisuoi.E
quemadmoduminmedicinaetceteris lobuonoponitoredellaleggesiè
potentiisoperatiuis;inhacintentione quegliloqualesaleregoleuniversali,
nonmodicaestdifferentia.Inomnibus lequalisonodeterminate in questo ergo huius
necessaria cognitio uni. libro,et salle coniungere alle cose uersalium simul et
particularium. particulari le quali vegnono altrui
Experientiaenimsolanonestsuffi- ciensinhiis,nequescientiauniuer-
saliuminipsissecuraestetcerta absque experimento. Multi ergo m e dicorum sola
freti experientia in se ipsis,quidem intendunt,bene uidentur operari et in
aliis non proficiunt quicquam,eo quod naturam ignorant. Considerandum est
itaque qualiter et per que erit quis peritus legis-lator. Erit autem hoc per
noticiam rerum ciuilium,que subiectum sunt huius potentie. Quemadmodum se habet
in ceteris artibus consimilibus huic, posse experientie in inuentione legis non
estmodicum.Quidam putauerunt quod hac ars et rethorica sint unum et idem : in
uno etiam putauerunt intralemani,peròcheabeneordi. esse uiliorem hanc rethorica
: et leue quid reputarunt scientiam condendi le. ges.Non estautem
sic;electionam que in arte qualibet actus nobilis est, et quidem per duo
est,siue per scien tiam et experientiam: et per scien. tiam quidem est actus
illius inuentio et per experientiam est ipsius directio et certificatio. Et
universaliter con nareleleggisièmistieriragionee sperienza(1). IL
COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 61 di uiuere coronpono ibuoni usi
di tiers;carenchascunechoseconvient gnierelo'nsigniamentouniuersale
ilconoistrelesparticuleresetlesuni. cholparticullare;chèciertauitadi
verseleschoses,porcequeseuleespe. comuneèdiuersadallaparticullare,
riencen'estmiesoffisansence;et savoir lesuniverselschoses n'est pas
altresicomeintuttimestieri,chèin ciascuna cosa conuiene conoscere li
seurechosesanzl'esperience;ainsi commenosveonsmaintmirequipar
particullariequesteuniuersalicose, perochesollasperanzanonèmica soficiente in
cio; e sapere l'uniuersali cosenon è mica sicuracosasanza seule experience
sevent maint bien faireenlormestieretenseignierne lesporroientasautres,porcequeil
n'ontsciencedesuniversels.Donques l'esperienze;sìcomenoiueggiamo
moltimedicichepersolasperanza seracilparfaizmaistresdelaloi
neseguemoltobenefareinsuome. quiseitlesparticulerschosespar
stiere,einsengniareno'lpotrebono experience et qui seit les choses agli altri,
però ch'elgli non áno universels. scienza de l'uniuersali cose.Dunque Home
furent qui cuidierent que sara quegli perfetto maestro della
rectoriqueetlasciencedemaistrie legiechefaeleparticullaricose
deloifussentunemeismechose,et persperienzaechesalecoseuni
penserentquecestesciencefustle- uersali. giere;maislaveritén'estpasainsi,
Huomini furonochecredottonoche porce que li maistres de la loi doit lla
retoriccha e la scienza di m o estresemblablesàsesciteiens,et
strarelegiefossonounacosa,epen doitsavoircestart,etquilesaura
saronochequestascienzafossele liseraprofitable,etautrementnon; giere;ma
llaueritanonècosi,però etseilcommencastàfaireloisanz
cheimastridellalegiedebbonoes cestescience,ilneporroitdoitrement
seresimilgliantialorocittadinie conoistrenejugierlabontédesana-
ture,deacomplirladefautedesa science,maisporcequenoscuidons
consirertouteshumaineschosespar legiesanzaquestascienzaeglinon
guisedephilosophie,simetronstout potrebedirittamentegiudicharenė
avantlesdizdesancienssages;et conosere dibontàdisuanaturane
encepenseronsquelesdesordenées conpieladifaltadisuascienza.Ma
manieresdevivrecorrumpentles perochenoiabbiamod'andarecon bons us des
citez,etliconvenable siderandotutteumanecoseperguisa
lesredrescent,etquiestl'achoison diphilosophia,simetonotut'auanti
demaleviededanzlacitéetdela idettideliantichisauieciòpen
bone,etparquoilaloiestsemblable seremonoicheledisordinatemaniere as costumes.
debonosaperequestaarte:chilese guirrasaràprofitabileealtrimenti
non.Es'eglicominciasonoafare ditio legum similatur potentiis ciui
libus, nec potest esse conditor legum qui non habuit scientiam istius artis.
Qui uero habuit eam proficiet per experientiam et qui non, non. Et cum
inceperintimponere legem absque habitu scientiali,non recte discernent. Neque
bene iudicabit,nisibonitaset excellentia multa nature suppleat de. fectum
scientie. At quantumcumque natura bene disposita sit,est tamen promtior et
expeditior est in uere iudi. cando,cum secum habuerit certudinem artificialem
.Quoniam itaque proponi mus speculari in rebus humanis modo philosophico,
substinemus primitus dictaantiquoruminhoc;deindeconsi derabimus modos
uiuendi,qui extant ; qui ipsorum corruptiui sintconsortii ciuilis in
ciuitatibus quibusdam et rectificatiui in quibusdam, et qui corruptiui in
omnibus et qui rectifi. catiui in omnibus, et que est causa bonae uite
quarundam ciuitatum et que causa quarundam habentium se e contrario, et quarum
leges con suetudinibus similantur. Incipiamus ergo et dicamus. 62 C.
MARCHESI IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 63
cittadini,e le conueneuoli la dirizzano, e chi è chagione di malla uita dentro
alla città e della buona, e perché la legie è sembiante a costumi. Da questo
prospetto risulta chiaro quanto abbiamo prima af fermato,ed insieme con la
questione dell'Etica volgare è risoluta quella non meno importante del
volgarizzamento del VI libro del Tresor e delle fonti di esso,che il Sundby con
molto buona volontà ma con poca fortuna rintracciava nel latino dell'altro
Liber Ethicorum , del commento tomistico, e nelle chiose di S. Tommaso (1). È
naturale che il critico danese ha qualche volta gridato all'impossibilità di
trovare il passo corrispondente nell'originale(2),ch'egli rinveniva del resto
molto malconcio e scompigliato nel francese di Brunetto. Nè il Sundby fu il
primo a esser tratto in inganno circa le fonti del VI libro del Tresor.Già il
Mehus parla di un'Etica latina di cui si valse Brunetto, compilata per incarico
dell'im peratore Federico Inell'Università di Napoli,e di una traduzione
dalgrecoinlatinodelLibermagnorum Ethicorum,fattasotto gli auspici di Manfredi
da maestro Bartolomeo di Messina (3). Il Mehus è senza dubbio fuor di strada ;
giacchè quest'ultima opera rimane estranea alla tradizione dell'Elica nostra,
nè di quella prima imperiale versione d'Aristotile pare che non sia lecito
dubitare. De'rifacimenti latini dell'Etica aristotelica dirò compiutamente in
un prossimo lavoro; giacchè non è più possibile star paghi alle vecchie
notizie,e d'altra parte le buone ricerche del Jour (2) lvi,p. 149. (3)
Op. cit., p. 155. 144 . p. (1) Op.cit., dain non sono affatto
compiute e i risultati da lui ottenuti non sono più in buona parte
sostenibili(1). Della Nicomachea si conoscono cinque redazioni latine nel 1300
; delle quali tre derivano direttamente dal greco : l'Ethica uetus (2) che
comprende solo il secondo e il terzo libro,l'Ethica noua (3)che contiene il
primo libro, e il Liber Elhicorum che abbraccia tutti i libri e al posto dei
primi tre inserisce con frequenti ritocchi e modificazioni il testo dell'Ethica
noua e dell'Ethicauetus.IlLiberEthicorum,che fu commentato da Tommaso
d'Aquino,ebbe larghissima diffusione,come pare anche dal numero e dalla
importanza de'mss. che lo contengono (4), insieme col commento tomistico servi
di testo fondamentale per l'instituto filosofico etico del tempo. Per il
tramite arabo ci son pervenuti due rifacimenti latini della Nicomachea,d'indole
ben diversa:il Liber Ethicorum , volgarizzato da Taddeo,che servi di fonte al
VI libro del Tresor, eilLiberMinorum MoraliumoliberNickomachiae(5),tradotto
dall'arabo in latino per opera di Ermanno il Tedesco (Herman nus Alemannus)nel
1240. È questa la parafrasi dell'Etica fatta da Averroè ; il rifacitore non
volle solo tradurre l'opera m a intese altresi chiarirla e
spiegarla,accrescendone e sviluppandone idati dimostrativi che nel testo sono
ridotti a'risultati de'processi lo gici.Aristotile parve un po'contratto
;l'arabo ne distese imuscoli (4) Fin ora ho potuto esaminare ventidue mss.,di
cui quattro del sec.XIII (Laurenzian.89,sup.44;XIII Sin.1;79,13;XIII
Sin.6),diciassettedelse colo XIV (Ambrosian.F. 141 sup.; A. 204 inf.,di mano di
Giovanni Boc caccio;Laurenz.XII Sin.7;XII Sin.9;Nazion.Napoli,VIII G. 11;G. 25;
G.27:Riccard.III;Marciana (mss.lat.)cl.VI,39,41,43,44,122;Uni vers.Padova
679,788; Antoniana XX ,456; Capit.Padova G. 54; e uno del sec.XV :Ambros.R. 50.
sup.). (5 ) L a u r e n z . 7 9 , 1 8 ; 8 9 , s u p . 4 9 . T r o v a s i p u r
e i m p r e s s o i n t u t t e l e e d i z i o n i di Aristotele con ilcommentario
di Averroès (Venezia,Andrea d'Asolo,1483 ; Giunta, 1550, 1560, 1562,
1574). 64 C. MARCHESI ( 1 ) O p . c i t ., p p . 5 9 - 6 2 , 7 6 - 7 7 ,
1 4 4 , 1 7 9 - 1 8 1 . (2 ) L a u r e n z . X I I I , S i n . 1 2 ; V I I I ,
D e x t . 6 . (3)Ashburnham.1557. IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA
ARISTOTELICA 65 e ne arrotondo icontorni,stemperandone la fibra. Aristotile,ada
giatosi nella mollezza araba un po' adiposa, si presento all'in telligenza un
po'incerta,bambina alquanto e stentata,delle nuove genti latine che con più
agevolezza poterono,cosi in veste più larga,contemplarlo e comprenderlo; e
l'opera aristotelica, accresciuta di quel po' di cemento della parafrasi araba
che riempiva gl'interstizî apparenti della sua costruzione ideale,poté intendersi
e premere sulle coscienze senza l'aiuto di un com mentario apposito che
dissolvendone l'unità finale ne facesse a p parire gli elementi semplici di
formazione. APPENDICE I. I CODICI DELL'ETICA Cod.Ashburnhamiano955[=
1]membr.sec.XIV,conlaprimapagina miniata.Tit.: L'Etica del sommo phylosofo
Aristotile; la soscrizione finale si legge difficilmente; pare: Explicit liber
Ethicorum Aristotelis phylo. sophj in uulgari idioma scriptus: di cc. scr. 48,
le cui ultime presentano molte abrasioni. Cod.Magliabechiano 12.8.57
[52]membr.sec.XIV;titolieiniziali color.,di cc.scr.26. Com. Prolago sopra
l'etichadel sommo phylosofo Aristotile; in fine: Explicit liber ethicorum
Aristotilis. deo gratias. In fondo è ilnome del trascrittore «Sander me
scrissit». Cod.MagliabechianoA.2.3.2[= 3]membr.sec.XIV;titolieiniziali in
rosso,di cc.scr.22. Com.: Prolago sopra l'etica d'Aristotile; in fine: Qui
finisce il libro dell'Etica del sommo filosafoAristotile il quale tratta delle
uertudi che ssi conuegnono auere a cchostumi ed a buona vita delli huomini. In
fondo « Giouanni di Lapo Arnolfi lo fece scriuere. Compiesi di < scriuere
martedi di XXII di Giugno Anno MCCCXXXIX »; più sotto è indicato
iltrascrittore«Sanderme scrissit»:è lostessodelcod.precedente. 5 C.
MARCHESI. Cod.Magliabechiano2.4.274[=
4)membr.sec.XIVexc.dicc.scr.44, miscell., contiene il Trattato sulle avversità
della fortuna (c.1-16'). L'Etica com.: Incipit Ethica Aristotilis translata in
uulgari a magistro Taddeo florentino;infine:ExplicitethicaAristotilistraslatatapermaestro
Taddeo. deo grazias. A c.1a « Qui cominciano le robriche di tutto il libro
dell'eticha « d'Aristotile traslatata per lo maestro Taddeo ». Cod.Marciano
(mss.ital.)II,3 [= M]membr.sec.XIV,225 X 164,di cc.46 non
numerate;anepigr.Precede il trattato «de la doctrina di tacere «etdi
parlare»diAlbertano da Brescia;finisceac.11a:Quifiniscee libro de la doctrina
di tacere et di parlare el quale fece messere Alber tano giudice da brescia
nell'anno domini Millesimo CCXL V del mese di dicembre Deogratias Amen.Dopo un
foglio vuoto,ac.13a seguono alcune « Sententie Tulij et Senece et aliqua dicta
Aristotilis », che vanno sino a
c.18a.L'Eticii,anepigrafa,vadac.18'ac.46t;iltestoèmolto guasto e
scorretto,senza alcuna divisione in libri; in fine: Finitus est liber deo
gratiasAmen. Cod.Palatino634[=5] membr.sec.XIV;rubricheeinizialicolorate: di
cc. scr.27, più una bianca. Tit.: Incomincia l'eticha d'Aristotile in uol. gare
; in fine: Explicit ethica Aristotilis translata a mgio iohe min . deo gratias.
Cod.Riccardiano 1538 [= 6;vecch.segn.S.III.47]membr.sec.XIV inc.,miscell.,con
belle iniziali colorate e rabescate e numerose vignette intercalate nel
testo,di cc. scr.231. Tit.: Incipit etthica Aristotalis. Segue a l l ' E t i c
a il t r a t t a t o d e l l e q u a t t r o V i r t ù , il S e g r e t o d e S
e g r e t i e d a l t r e s c r i t t u r e sacre e profane;il cod.,come sivede
dalla soscrizione finale,appartenne a un Bertus de Blanchis che ne fu forse
anche il trascrittore. Cod.Riccardiano 1651 [= 7;vecch.segn.N. IV.27]membr.sec.XIV,
coninizialicolorateerabescate,dicc.scr.50.Tit.:Prolagosopra l'ethica
d'Aristotile;infine:explicitliberEthicorum Aristotelis.Contieneinoltre: Egidio
Romano, la esposizione della Canzone di Guido Cavalcanti.
Cod.Laurenziano89Sup.110[= a]membr.sec.XV,dicc.42.Nella 66 C. MARCHESI C
o d . R i c c a r d i a n o 1 2 7 0 [ = 8 ] m e m b r . s e c . X I V , m i s c
e l l .; p r e s e n t a t r a c c e di quattro mani diverse;la più antica
riempi ifogli dell'Etica (da c.5a a c . 3 0 ). C o m .: Q u i c o m i n c i a l
' e t i c h a d ' A r i s t o t i l e . Cod.Ambrosiano C.21.inf.[39]membr.del
sec.XV,dicc.58,con la prima pagina fregiata e miniata,con lo stemma del
possessore e il ri tratto del filosofo; le iniziali di ogni libro colorate e
fregiate. Com .: La Prefatione di 'l primo libro di l'Ethica de Aristotele ad
Nicomacho suo figliuolo; nessuna soscrizione finale. IL COMPENDIO
VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 67 prima pagina è lo stemma del possessore con
la indicazione « Jacopo di « piero benciuenni ciptadino florentino spetiale a
pie'del Ponte Vecchio 1488 ». Tit.:Prolago
sopral'eticadelsommophylosofoAristotile;infondoporta la data della
trascrizione: 1451. Cod. Laurenziano 76. 70 [= r] cartac. sec. X V , di cc.
118. Precede a p. 1 « Insegnamento delle uirtudi e mortificamento de'uitii
secondo Aristo « tile e detti e autorità notabili di Santi et di molti saui et
filosafi et poeti » cioè,ilVIIlibrodel
Tesoro.L'Eticacominciaac.78:Quicomincial'etica d'Aristotile; in fine: Explicit
l'etica d'Aristotile. Cod.Magliabechiano2.4.106[=
m]cartac.sec.XV,dicc.77,miscell.;
contienevolgarizzamentidioperesacre.L'Etica(c.54-72t)com.:Qui co mincia
un'opera facta per lo grande sapiente Aristotile detta l'Eticha; in fine:
Finita l'eticha d'Aristotile translatata per maestro Taddeo.deo
gracias.Sottoèl'indicazionedell'anno Scrittadigennaio1459».
Cod.Magliabechiano2.2.72[= p]cartac.sec.XV,miscell.:contiene
ladottrinadelparlare(estrattadallaP.I,cap.13del Tesoro),ilSegreto de
Segreti,ilvolgarizz.daVegezioFlavio,un librodelleAringherieetc. Si trova unito
a questo un codicetto dello stesso formato, di cc. 18, conte nente una piccola
storia o diario della città di Firenze dal 1300 al 1379. L ' E t i c a v a d a
c . 5 4 a c . 3 6 ', a n e p i g r . I n f i n e : C o m p i u t a è l ' E t i
c a d ' A r i s t o tile translatata in uolgare da maestro Taddeo.
Cod.Magliabechiano21.9.90(= r]cartac.sec.XV exc.miscell.Con tiene una parte del
trattato del Governo della famiglia di L. B. Alberti e dell'Etica solo il libro
ottavo e nono ; vede bene che il trascrittore ha
volutoestrarrelaparteriguardantel'Amicizia;ambedue ilibrisondivisi i n v e n t
i d u e c a p i t o l e t t i. A c . 6 1 è l a s o s c r i z i o n e d e l c o
p i s t a « G i o v a n n i S t r o z z i » , eladata:20maggio1482.
CodiceMarciano(mss.ital.)I,134(= N)membr.sec.XV,205X 138, cc.64 non
numerate,con le iniziali dei libri miniate e dorate. Com .: Incipit proemium
transductorishuiusoperisuulgaris;iltestocom.ac.21:Libri Ethicorum siue Moralium
Aristotelis qui sunt X in multa capitula diuisi,
quiageneraliterdemoribussehabet.Nam inprimolibrodeterminatde felicitate morali
et eius partibus. Segue a c. 47 un semplicissimo ristretto volgare degli
Economici,indue libri:Incipiunt libri Ichonomicorum Ari. stotilis duo diuisi in
aliqua capitula pertinentis ad gubernationem familie. Nam
inprimolibrodeterminatdepartibusIconomiceetdeconiugatione mulieris et uiri,quae
dicitur nuptialis,de coniugatione parentum ad filios quae dicitur paterna,et
dominorum ad seruos quae dicitur dispotica. « La scientia di regiere la casa ha
nome Iconomicha et è differente da la « scientia di reggiere la
cipta la quale ha nome polliticha. Non solamente « perchè una cio e la
Iconomica considera el regimento de la casa et la « politica el regimento de la
cipta,ma etiandio perché in reggiere la casa «nondieesseresenonuno.».A
c.61asegueunExtractumAristotelis de libro Secreta Secretorum de arte
cognoscendi qualitates hominum ad Alexandrum regem . In ultimo è questa
soscrizione: « Ex Venetiis primo «IdusIulijMCCCCLXXIII finis». Codice Marciano
(mss.ital.)II,141 (= V]cartac.sec.XV inc.,272X200, di cc.48 non numerate,con la
iniziale miniata e il titolo rubricato : Hetica d'Aristotile; finisce a c.38 ':
Qui finisce il libro detto Ethyca d'Aristotile. Composto per lo nobile
phylosapho Aristotile greco Atheniense scritto nel
M.CCCC.XVIIIecompiutoadiXXVIIId'aghosto. Nellestinche di firençe nel malleuato
di sotto. Seguono due carte bianche, e a c. 41 il libro di sentenze, che si
legge pure nel Marciano II, 3. Cod.Mediceo-Palatino43 [= y] membr.sec.XV,di
cc.scr.54,più quattrovuote:ititolideilibriedeicapitolicolorati;scrittomolto
nitida mente.Per incuriadichirilegòne'due primi quaderni è un'inversione cui
pone riparo la opportuna numerazione delle pagine.C o m .: Incipit Ethyca Ari.
stotilistranslatainuulgariamagistro Taddeoflorentino;infine:Explicit Ethica
Aristotilis traslatata per magistro Taddeo.Deo gratias Amen. Cod.Palatino501 [=
X]cartac.sec.XV,dicc.44,miscell.;contiene il libro di
ammaestramenti,sentenze,il libro di Catone,il trattato delle quattro virtù, e
altri volgarizzamenti di carattere morale. L'Etica (c. 1-224) com.: Questa si è
l'etica d'Aristotile; in fine: Explicit etica Aristotilis translata a magistro
Taddeo. Cod.Palatino510[= d]cartac.sec.XV inc.,dicc.111,miscell.;con. tiene
volgarizzamenti da Boezio,Cicerone etc. L'Etica (c.82--1066)com.: Qui
chominciano i fioretti dell'etica d'Aristotile; in fine: Finiti i fioretti
dell'etica deo gratias. C o d . P a l a t i n o 7 2 9 [ = f] c a r t a c . s e
c . X V , d i c c . 4 5 : i n i z i a l i c o l o r a t e e fregiate. Inc. Qui
chomincia il proemio sopra l'ettichia di Aristotile Pren . cipe di filosafi; in
fine: Finito e libro chiamato l'eticha d'Aristotile a di X X V d'ottobre mille
quatrociento quarantacinque per le mani di filippo Adimari da firenze a uso e
stanza di se e di suoi amici deo gratias. Cod.Riccardiano1084 [=
c]cartac.sec.XV,dicc.49;inizialieru briche colorate. Inc. Comincia il prolago
del libro della hetica d'Aristotile; in fine « deo gratias amen ».
Cod.Riccardiano1357[= e]cartac.sec.XV,dicc.248,miscell.;con tiene scritture
sacre.L'Etica va da c.49a a c.702. Com.: Prolagho sopra 68 C.
MARCHESI IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 69 l'eticha
del somo filosafo Aristotile; in fine: Finiscie l'eticha del sommo filosafo
Aristotile deo grazias. Cod.Riccardiano 2323 [= g] sec.XV,di cc.51; rubriche e
iniziali grandi colorate.Precede la Introduzione al dittare di «maestro
Giouanni « bonandree da Bologna », con questa ottava al principio « Di Bologna
natio «questoautore|nellacittastudiandodou'ènato conallegrezzaemaestral
«amore|digiouaniscolarquestotrattato|brieuementecomposeilcui ti «nore
conciedeachil'aurabenistudiato|sopraquelchelaepistolaadi. « manda |et
sofficientemente in lei si spanda ». L'Etica è compresa da c.20
ac.51;infine:ExplicitEth.Ar.traslatataamagistro Taddeoinuulgare. Scribere qui
nescit nullum putat esse laborem. Cod.Riccardiano1610[=
h]cartac.sec.XV,dicc.26,miscell.;contiene il trattato delle quattro virtù.Com.:
Incipit liber Ethicorum Aristotilis; infine:ExplicitliberEthicorum
Aristotilis.Ilcopistafu«lulianusAndree a de Empoli > che lo scrisse « per sè
e per i suoi consanguinei ». Cod.Riccardiano1585[=
v]cartac.sec.XV,dicc.69:inizialierubriche colorate,con frequenti macchie
d'acqua nel margine.Contiene il Segreto de
Segreti(1"-44a)el'Etica(441-68a);com.:Fiorettidell'etichad'Aristotile del
primo libro; in finc: Qui finiscie el libro dodecimo ed ultimo delle
tichacompostoperlonobilefilosofoetsommo Aristotile.Amen. Cod. Ambrosiano J. 166
inf. Cartac., trascriz. rec. Il codice consta di più parti cucite insieme.
L'ultimo quaderno contiene l’Etica, il Segreto,e il volgarizzamento
dell'orazione pro Marcello. La trascrizione è fatta con molta probabilità su di
un codice antico, fedelmente. L'Etica è anepigrafa ; in fine : Explicit Eth.
Ar.Manca ogni divisione della materia. Cod.Erbitense [Biblioteca Comunale di
Nicosia].Cartac.,trascriz.rec. Contiene il volgarizzam . toscano del de
Amicitia e il compendio dell'Etica, che manca del primo libro. Cod.Napolitano
Nasion.XII.E.35 [= s]:Copia recente d'un ms. quattrocentino posseduto dalla
biblioteca di casa Bentivoglio. Contiene il trattato della fisimomia (sic),
ch'è aggiunto in fine come tredicesimo libro dell'Etica.Inc.: Dell'Eticha del sommo
filosofo AristotilelibriXIII;in fine : Qui son finiti i dodici libri
dell'eticha del sommo Aristotile. I CODICI DEL TESORO
Cod.Ambrosiano G.75 Sup.(= Amb.)membr.sec.XIV,aduecolonne, con rubriche
fregiate e colorate; di cc.scr.121. L'Etica va da c.56a « In « cipit libro
d'eticha Aristotile » a c.73a « Expicit libro d'eticha Aristotile. « I n c i p
i t l i b r o c o s t u m a n t i e » . L ' u l t i m o c a p i t o l o c o n c
u i si c h i u d e il c o d i c e è : Come ilsignoredeestarearendereragione.Finisce(c.121a)«eprenderai
« commiato dal consellio e dal comune de la citta e te ne anderai a gloria dea
honore. FiniscelolibrodimaestroBrunectoLatinidaFiorenza». Cod.Ashburnhamiano
540 (= a)cartac.sec.XIV;anepigr.e mutilo, dicc.138.L'Eticafinisceac.73t:ExplicitelicaAristotilisa
Magistro Taddeo in uulgare traslata. Il resto del Tesoro si arresta a cc.88
(lib.VII, cap.27]; a c.90 è un capitolo in terza rima di Dante : lo scrissi già
d'amor pii uolte in rime,con una notizia sull'occasione ch'ebbe il poeta di
scriver quella poesia;a c.94 è una legienda chome tre monaci andarono nel
paradiso di lutiano. il qual e in terra ... Seguono altri scritti,tra cui un
framm . del Fiore di filosofi. Cod.Gaddiano 83 (= €)cartac.sec.XIV,acef.e mut.;
ilprimo foglio è aggiunto di mano diJacopo
Gaddi,dicc.147,sciupatodall'acqua.Ilcodice si chiude con l'Etica,ed ha questa
soscrizione: Finito el libro fatto e chon pulato per Maestro Brunetto Latino.
Il cod.come si vede da un'indicazione sulla guardia,apparteneva a'figliuoli di «
Giouanni di ser Andrea di Michele « Benci lanaiolo cittadino fiorentino ».
Cod.Laurenziano42.23(= )membr.sec.XIV,contitoliinrossoe le iniziali colorate, e
il ritratto del maestro, in principio, dipinto nell'atto che insegna ; di cc.
142. Il testo è diviso in tre parti: dopo la prima è un indice della materia
precedente; un altro indice di tutta la rimanente m a teria trovasi alla fine
del codice. L'Etica va da c. 59! « Cominciamento del « segondo libro del Tesoro
lo quale e appella l'eticha che compuose Ari « slotile » a c.774 « Explicit
hetica Aristotilis a magistro Taddeo in uol. «gare
traslectata».Infinedelcod.:«Explicitlibroloqualefuecomposto per lo maestro
Brunetto Latino di fiorenza et poi traslectato di fran ciescho in latino (Bondi
pisano mi scrisse dio lo benedisse. Testario sopra nome, dio lo caui di gienoua
di prigione. et a llui et a li autri che ui sono 70 C. MARCHESI APPENDICE
JI. IL COMPENDIO VOLGARE DELL'ETICA ARISTOTELICA 71 e da dio abiano
benizione.Amen amen). La soscrizione è di mano dello stesso copista.
Cod.Laurenziano 90 Inf.46 (= d)cartac.sec.XIV exc.,aduecolonne; titoli in rosso
e iniziali colorate ; di cc. 211. L'Etica va da c. 74+ (Qui co. mincia l'ectica
d'Aristotile et est la segonda parte del Tesoro) a c. 100a (Explicit l'etica
Aristotile in questo tanto che io noe trouata).In fine del codice: Qui fenisce
lo sourano libro-Explicit lo libro del Tresoro. Cod. Magliabechiano 2. 8. 36
(vecch. segn. 25. 258] secc. XIII-XIV : acefalo e mutilo di cc.91. Comincia al
lib.II, P. I,cap.19 efinisceal lib.III,P.II,cap.21. L'Etica finisceac.19a,senza
alcuna soscrizione. Tra il compimento della prima parte e il principio della
seconda (cc.44-75)sono della stessa mano alcune tavole planetarie e
astrologiche, tavole ad lunam et ad Pascham inveniandas etc. Proven.Strozzi.
Cod.Palatino585(= ^)cartac.sec.XIVexc.,dicc.214;miscell.Con tiene,oltre il
Tesoro,ilLibro di amaestramenti di costumi,le cinque chiari della
sapienza,iltrattatodelle quattro Virtù morali,lo libro di Chato. L'Etica va da
c.87+ [Qui chominciano le robriche del secondo libro
delTesoro,cioèd'etichad'Aristotile- epoi:Quisichomincialosecondo libro del
Tesoro e primamente dell'ecitta d'Aristotile) a c.115a [Explicit E t i c h a A
r i s t o t i l i s a M a g i s t r o T a d e o i n u u l g h a r i t r a s l a
t t a t a d e o g r a z i a s ]. Finisce il Tesoro a c.175a.Al recto
dell'ultima carta,dimano di poco po. steriore, si legge « Questo libro è di
Giuliano di Giouanni Quaratesi : chi llo « achatta, piaccagli renderlo per
l'amore di dio, e dalle lucerne e da' fan «ciullilorighuardi».Com.iltestodel
Tesoro:«Questoèlolibrochessi «chiama Texoro loqualeèchauato dalla
bibbiaede'libridifilosofi a che ssono stati per li tempi ». Cod.Riccardiano
2221 (= 2)membr.sec.XIV,di cc.127; iniziali co lorateefregiate.L'Eticavadac.58'«Incipit
libbro elichaAristotile» a c.75'«Expicit libbrod'etichaAristotile».A c.1224:Qui
finiscielo libro di mastro bruneto Latini da fiorensa. Si nota una grande
confusione nella distribuzione della materia dell'Etica,prodotta dallo
spostamento di varie parti. Cod.Laurenziano 42. 19 (= P)
membr.sec.XIV, a due colonne,con molte miniature e iniziali colorate; di cc.93.
L`Etica va da c.40a « Qui « comincia la seconda parte del Tesoro di Burnetto
Latino el quale libro e si chiama la ethica d'Aristotile » a c. 51a « Qui
finisce l'Eticha d'Ari a stotile » . = u. membr. Cod.Casanatense1911(=
)cart.sec.XV,dicc.130;anepigr.mutilo. L'Etica va da c.33*(Qui chomincia il
nobile libro che fecie il sauio Ari. stotilefilosafocioèl'Eticasua)ac.45
(fincieillibrodel'etica).Inun'av.
vertenzaappostaalcodicestessoènotatalamancanzadellaparteche ri guarda la
Politica (lib.IX); vi si trova la teologia,divisa in due parti;
com.:Voiuorestich'ioviconfortassil'animeuostremaiodubito fare ilchontrario.;(in
questo trattato si parla di dio,angeli,sacramenti, del l'anima).Nel
fl.r.membr.della guardia è un indice della materia che giunge sino alla natura
del delfino (V libro). Cod.Magliabechiano2.2.82(=
n)cartac.sec.XV,dicc.111,mutilo; siarresta al principio dell'Elica(cap.1):sièinutileinquestascienza.
Inc.: Qui comincia lo libro il quale fece ser Benedecto (sic) Latini di firense
e parla della nascienza di tutte le chose e ae nome il Tesoro. L'Etica ha
questo tit.: Qui comincia il sechondo libro del Tesoro facto per ser Brunetto
latini di firenze il quale parla dell'ethica di Aristotile. Si trovano in
questo codice altri volgarizzamenti da Seneca , Boezio, G e ronimo etc.
Cod.Magliabechiano2.2.48(= v)cartac.sec.XV,dicc.153,mutilo; e x p l . « Q u i d
i c i e d e l l a B r a n c h a c i o e d i c h o n c r u s i o n e » . I n c
.: I n c o m i n c i a il Tesoro di ser Brunetto Latini da Firenze conpilato in
francescho. L'Etica va da c.60a [Qui parlla il maestro della
beatitudine.coe.parlla Aristotile sopra l'eticha] a c.81* [Qui finisce il
secondo libro di questo trattato di ser Brunetto Latini oue brieuemente a
trattato della beatitudine e d e l l e u i r t t u s o p r a l ' e t i c h a d
' A r i s s t o t i l e ]. A l m a r g . i n f . d e l l a p r i m a p a g i n
a si legge il nome di un possessore: Concini. I CODICI MUTILI DEL TESORO.
Cod.Leopold.Gaddiano IV (= 0)membr.sec.XIV,a due colonne,con la iniziale dorata
e dentro essa l'effigie dell'autore; di cc.40. Inc.: Qui in. chomincia el
Tesoro di ser burnetto Latino di firenze. E parla del na. scimento e de la
natura di tutte le cose. Si arresta alle parole « allora
«uegnonolichacciatoriefanno»,cioè al penultimocapitolodellaprima parte (de
unicorno).Sul foglio di custodia in fine si legge il nome del possessore « Liber
mei Angeli Zenobii de gaddis de florentia ». Cod.Leopold. Gaddiano 26 (=
T)cartac.sec.XIV,a due colonne,di cc.88. Inc.: Questo libro si chiama il Tesoro
maggiore il quale fece maestro brunetto Latini di firenze, e tratta della bibia
e di filosofia e 72 C. MARCHESI IL COMPENDIO VOLGARE
DELL'ETICA ARISTOTELICA 7 3 delle uecchie istorie ad amaestramento di choloro
che leggierano.Contiene tutta la prima parte e il prologo della seconda (c.
85): « E poi uerra il prolagho apresso a questo dicha de l'eticha del grande
sauio Aristotole ». Cod.Laurenziano 42. 22 (= E)cartac.sec.XIV,di cc.165;titoli
in rosso e iniziali colorate, con l'effigie dell'autore in principio ; mutilo.
Inc.: In nomine Domini Amen . Qui comincia lo libro del Thesoro maggiore, lo
quale libro fece maestro brunetto Latino di fiorenza. Questo primo libro
fauella del nascimento di tutte le cose di filosophia et di sue parti. Prologue
de la natura di tutte cose. Si arresta alla prima parte : « per « ragunare la
secunda parte di questo thesoro che dia essere da pietre pre
«tiosecioecharbonchi perlle diamanti».La lezione di questocodice in moltissimi
punti si allontana da quella comune delle stampe e dei codici, non solo per
diversità di espressioni,ma anche per copia e qualità di notizie. Cod.Laurenziano
42. 20 (= B)membr.sec.XIV,a due colonne,col ri. tratto dell'autore in
principio; titoli in rosso e iniziali colorate, di cc. 112. Inc. « Questo libro
e chiamato il tesoro magiore il quale fece ser burnetto . « Latini di firenze
il quale tratta de la bibbia et di filosofia et del cho « minciamento del mondo
e de l'antichita de le uecchie istorie et de le a nature di tutte chose insomma
ad amaestramento e dottrina di molti. «Ed erechato di francescho in uolgare
apertamente».Comprende la prima parte e il prologo della seconda : Qui parla
alquanto d'eticha d'A ristotile.A c.112a è un elenco de're di Francia.
Cod.Laurensinno 42. 21 (= p) cartac.sec.XV,di cc.70. Inc.: Qui comincia il
libro del Tesoro il qual fe ser brunetto da fiorença e parla del nascimento di
tutte le cose.Contiene fino a tutto il libro V. Molte varianti.
Cod.Magliabech.VIII.1375 (= U)membr.sec.XIV.Anepigr.,acef.,
matilo,dicc.32,aduecolonne,con le iniziali colorate.Proven.Strozzi. C o m i n c
i a a l l a f i n e d e l c a p . 9 ( p . 3 0 , e d i z . . R o m a g n ., B o
l o g n a , 1 8 7 8 ) « n e «elliuengnano.Etperciononaeinloropuntodifermeçça
ketuttecose ve tutte creature si muouono e si mutano in alimento percio dico
ken « questi tre tempi cioe li passati e li presenti e quelli ke sono a uenire
non a sono niente se del pensiero noe a chuelli souiene de le cose passate e in
« guarda la presente ed atente quelle ke deono uenire » etc. . . . sino a c. 41
(p. 94, ed. cit.) « e la reina non uolse aconsentire al matrimonio anzi la «
uolea donare ». Da questo punto ch'è evidentemente interrotto, per man . canza
di nesso con la pagina seguente,la distribuzione e l'entità della m a teria
sembra in gran parte diversa dalla comune del Tesoro. Riferiamo talune rubriche
: a c. 5a il cod. seguita « dira qui apresso Lamet frate di C o m
e l o r e M a n f r e d i p r e g h a il p p c h e li c o n c e d e s s e il r
e n g n o e t c . e t c . » . Seguita quindi a dire di Manfredi e della
battaglia di Benevento e di Carlo d'Angiò e di Gianni da Procida e
de'Vespri,lungamente.Vengono appresso altre narrazioni « Come si lamenta il
conte Giordano Cod.Palatino 483 (= Q)cartac.sec.XV,dicc.65. Inc.:Quichomincia
lo libro il quale fecie ser Benedetto Latini di firenze e parlla della n a
scienza di tutte le chose e a'l nome il Tesoro. Comprende la prima parte e il
prologo della seconda. Ne resta esclusa dunque l'Etica e il resto del Tesoro.
Insieme con questo codice si trova legato un altro, di mano diversa, contenente
iframmenti del Buouo d'Antona,in ga rima. Cod.Riccardiano2196(=
w)membr.sec.XV,aduecolonne,dicc.67. Si ferma al punto ove parla del « modo di
trovare l'acqua e delle cisterne » (lib. I I I?). È da notare che ci troviamo
di fronte a una lezione ben diversa dalla più comune. CONCETTO MARCHESI.
«GiosepoefigliuolodiJacobetc.... Come sicominciai agioaltempo
«diSaulediJerusalem– Loquintoagiosicominciaquandoigiudei «eranoinpregione
Danielf.gesseediSaul ·delgloriosoreSalomone «profetta de elias
deloredugidiTebas– dieliseusprofete. de « isaie profette de germie profette
etc. etc. ». A c. 9 abbiamo un cata logo di pontefici: segue la storia della
chiesa di Roma e di Costantino. Poi « Come franceschi perdero lo 'perio di lo
re imperadore di Roma « primo taliano di beringhieri come perdeo la sengnoria e
uenne amao «dotto di Sasogna Reame della mangna Arigho della mangna
«Comeloredifranciafusconfitto Comelo'peradorepreseliparlati «difrancia
Comelachiesauacantidibuonipastoritradivalo'peradore « tinuamente la natura
lauora in tutte cose – »; seguono figure astrono miche,della luna,del
mappamondo. Finisce a c.32. « Dell'altra citta di uerso nasce lo fiume di
rodano e uassene dall'altra parte uerso borghon « Francia diuide in « gnia e
per proenza molto correndo e anzi che lli sia a mare si
«duepartiellamaggioreparteentrainmare presoadArlil'altrobraccio.». Qui si
arresta il codice. Come con KLII,p.1 74. THADDÆUS FLORENTINUS.
qua fortuna . Sunt quivelint ex humili prorsus loco , & infima populi
fæce.(6) Sed contra aliisvidetur editus exAiderotta gente,non patricia illa &
primaria;duplex enim fuit;sed altera,minus quidem nobili,fedhonefta &
liberali. (c) Alderottum certe patrem habuit , (d) & ex gente Alderotta di
ctus est a Scriptoribus . Fuere Thaddæi fratres Simon & Bonaguida , homines
obfcuri, quorum vix nomen ad nos pervenit. (e) Ac Thaddæum quoque ip sum
narrant non minimam ætatis partem non folum inglorie , sed ignominiose etiam
transegisse. Adeo enim ftupidum a natura fuiffe tradunt,ut totis triginta annis
n e c literas didicerit , nec honetto ulli artificio aprus fit visus . Itaque v
i ctitasse ajunt sordido & illiberali quæftu , occupatum præ foribus
sacelli S. Mi. chaelis in Horto vendendis minutis candelis , quas ibi
religionis causa accendi mos erat . Sed exactis triginta ætatis annis , quafi
ex veteri somno experre ctum , & dissipata cerebri caligine , incredibili
ardore excitatum ad literas , quarum discendarum ftudio Bononiam , adhuc rudem
, & vix in Grammatica eruditum convolasse ajunt . Sed hæc, quæ de Thaddæo
memoriæ tradidit Philip pus Villanius , quamquam & Florentinus , & non
indiligens scriptor, & ad m o d u m antiquus , aliquis in dubium revocat ,
quod fabulis fimilia videan . tur ; (f) qua de re integrum erit unicuique
judicium . IÌ. C u m igitur Bononiam venisset, ut optimarum artium ftudiis
animum excoleret , in quo omnes consentiunt, Philosophiæ totum , ac Medicinæ le
de dit. Incidit Thaddæi adventus ad fcholas noftras in illud tempus , cum M e d
i ca facultas, quæ antea ufu fere & exercitatione peritorum tota
continebatur , a Philosophis tractata, nova luce donari cæperat; fi tamen vetus
illa Arabum Philosophia , quæ tunc scholas invaserat ,n o n ubique tenebras
& caliginem offundere poterat . Sed ita persuasum erat hominibus , atque
hæc potislima Thaddæi laus fuit , quod primus ex noftris Medicinam cum
Philofophia arctissi m o fædere conjunxisse visus sit. (g) Tentaverant id
quidem ante Thaddæum alii, (h) & erantin Academia noitra ante illum
Phyficæ, five,ut dicere ama bant,Phyficalis ientiædoctores,&
professores,quifacemThaddæoipfiprætu. lerant ; nec dubito , quin eorum aliquem
in scholis noftris audierit . Sed ille unus plus operæ contulit inftaurandis
Medicina ftudiis ad ejus fæculi guftum , q u a m fuperiores omnes . Extant
adhuc ampla ejus commentaria in libros vete rum Magiftrorum artis Medicæ ,
partim typis edita , partim manu exarata in locupletiorum bibliothecarum
pluteis , quæ primum inter docendum in scholis nusprotulitexlibroHH
.p.338.Excerpt.Scriptur. (c) Annotaz. del Dot. Ant. M. Biscioni al Conventus S
Crucis Flor. Vid. Ci.Mazuccbel,in Conv. di Dante . In Firenze 1723. p.
68. XVI. "Haddæus Florentiæ natus eft paulo post initium sæculi
XIII.,(a) incertum THE , Nnn 2 (a) Obiit anno MCCXCV., ut infra dice- teringum
& c. Presentibus Mag. Salveto de tur.Cum igitur,Philippo genarius decesserit,
natum oportet Villavio auctore , octo annoMCCXV. Com.Bonon. Ferraria & M a
g . Santo de Cesena . Ex Mem . ab (b ) Pbilip. Villan, in lib. de laut.Florent.
in Append. N. XII. (e)Ex tabulisanni MCCLI.,quas Biscio. PROFESSORES . 467
(d)An.MCCLXXXIII.die VIII.exeunt. (f) Vid.Ci. Mazuccbel. loc.cit.
Jul.Mag.Thaddeus professor artis Medicine (g) Vid.Jo.Antr.Vunjted defair.viror.
fil. qnd.d n .Alderotti de Florentia fecit Joan. illuftr. p. 312. & c. n e
m dn. Anglonis fuum procuratorem ad re ( h ) Petri Hispani, qui anno M C C L X
X V . cipiendam pacem & remifsionem a Loteren.
Ro.Pontifexrenunciatus,di&tusifJeannesXXI., go qui dicitur Rigutius & a
Bonino fuo fi commentaria babemus in librum Ifaac Medici ,quae lio & ab
omnibus & fingulis aliis de consan- Jubtilitatibus dialecticis abundant.
Ilm in hipo guinitate ipsorum ... de omni injuria , & pucratem w
Arijtotelem scripufe dicitur ; nec du offenfione que dicebatur eise facta per M
a g . bito , quin bæc fcripta aliquanto ante Tbs.ddæi Thaddeum vel B.naguidam
fuum fratrem commentaria prolierint. Sed quantum bæc illis vel per aliquem de
contanguinitate ipforum præjliterint , doctorum hominum judiciun postea vel q u
æ diceretur eise facts p e r predictos L o vlendit. Tbadilæo Allerotto ,
ab eo tradita , m o x ab auditoribus excepta , incredibilem ei famam
concilia runt. Id autem in eo potissimum mirabantur homines , quod ita
Medicinam tractaret , ut ejus facultatis canones & præcepta ad severioris
Philofophiæ ratio nes exigeret ; quod nemo ante illum magno fuccefsu perfecerat.
III. In hunc m o d u m recepta eft in scholis noftris vetus illa Medicina
Philosophica , fi ita appellare licet , quæ brevi tempore omnes Europæ Acade.
mias pervafit, & innumeros Scriptores tulit. Hinc agmen interpretum in Hip
pocratem , & Galenum , atque Avicennæ in primis , aliosque veterum Medico
rum libros, Thaddæo duce; cui non satis ad laudem fuit interpretem dici,sed
plufquum interpres a quibufdam dici amavit, (a) & ut alter Hippocrates apud
Italos habitus eft. ( b) Ejus autem gloffæ , præcipuis Medicinæ libris adjectæ,
in scholis communi suffragio receptæ sunt , & pro ordinariis, ut dicere
folebant, longo tempore habitæ eodem loco fuerunt apud Medicinx Itudiofos ,
atque Ac curtianæ gloffæ legum libris appofitæ apud Juris Civilis professores.
Magister etiam Medicorum jure di&us eft, (c) ob excellentium Medicorum
copiam, qui ex ejus fchola prodierunt. Tanta denique ejus nominis fama, &
inre Medica celebritas fuit, ut perinde esset in usu popularis fermonis
Thaddæum fequi, (d) ac Medicinam profiteri. IV . Docere cæpit Thaddæus circiter
annum M C C L X ., aut non multo fe rius ; eodemque tempore scribendo vacabat ,
neque operam fuam curandis V.Cum
igituræquefelixincurandisægrotis,acdoctusinscholareputa retur , non folum in
civitate noftra Medicinam fecit, sed paflim vocabatur ad curandos magnates ,
& viros principes per alias Italiæ civitates . Hinc aliquis de illo
magnifice potius , quam verescriptum reliquit , non confuevisse illum aliis ,
quam principibus , & nobiliflimisviris curandis operam præftare. Sed il lud
tamen indubium eft , non fivisse aliò fe abduci ad curandum quemquam , nifi
pacta ingenti mercede , quæ non tam efiet pro loci diftantia, aut difficul tate
curationis , q u a m pro fui dignitate , & facultatibus eorum , ad quos CU
randos vocaretur. Neque far erat de mercede pacisci: nam fibi quoque cau. t u m
volebat de itu & reditu , accepta ingentis pecuniæ sponsione pro fecurita:
te itineris·Dignæ sunt, quæ legantur, tabulæ an. MCCLXXXV .scriptæ,cum Thaddæus
Mutinam iturus esset ad curandum Gerardum Rangonum . In iisRan goni
procuratores T h a d d æ o promittunt , fe facturos, ut liberum iter &
expedi ium ad eam civitatem habeat, fufcipientes in se omne periculum , &
impen sam : quod si pactis minime ftetiffent, promiserunt, fe eidem
reftituturoster mille libras bononinorum , quas depofiti loco a Thaddæo ipfo
accepisse fate bantur . Similes tabulas habemus anno MCCLXXXVIII .cum Mutinam
rurfus ment. in Parad. Dantis C. XII., dou a vellutela . 1189 1 468
MEDICINE ! (a) Ita appellati:r aBenvenuto ImolenfiCum evo. apud Ercard. Corp.
Histor. med. ævi col 1 1 lo ibid. Sed qui plusquam Commentator a Pbi. qui
revera opus fuum tum inscripsit, is fuit Turrisanus Tbaddæi au ditor;de quo
alibifermo erit. plufquam Commen M a per amor della verace manna (6) Hic homo ,
cum penes Italos, ut al. fundature, Paradisi C. XII, t e r H i p o c r a s h a
b e r e t u r . P b i l i p . V i l l a n . d e L a u d . ( e ) T b a l i l æ u
s a d c a l c e m C o m m e n t a r . ix A Florentiæ ,five de Cl. Florentin.
(d) Non per lomondo, percuimo's'afo In picciol tempo gran dortorli feo.
Dant.Aligber. de S.Dominico Ord.Prædicator. tis defiderari patiebatur . Docendi
tamen , & scribendi laborem intermifit an no,utopinor,MCCLXXIV.cum
civilebellum,aLambertacciis,&Jere. miensibusexcitatum,civitatemnoftrammiseranduminmodum
conculit.(e)Sed ipfe quoque fatetur,se aliquando a scribendo ceffasse ob
quæstum , quem curan dis ægrotis faciebat. (f) Atque hinc apparet, quæ fides
habenda fit Philippo Villanio , cum scribit, Thaddæum , fpreto lucro, fe totum
interpretandis vete. rum Magiftrorum libris dedille. (8 ) Fallitur etiam
Villanius , cum scribit, Thaddæum ftipendio publice conftituto Bononiæ docuiffe
; nondum enim, eo vivente ,M e d i c i n æ profefforibus ftipendia attributa fuerant
. lippo Villanio , aliisque Scriptoribus dictus et , fanna Diretro all'Ostiense
et a Taldea (c!Eo anno Mag.Thaddæus Medicorum magitter moritur . Ricobald.
Compilat.Cbronolog. pborismos Hippocrat. (f) bulm . (g ) Pbilip. Villan. loc.
cit. ægro evocaretur ad curandum Guidonem Guidonum . Utrasque in
Appendice dabi mus .( a) Sed quis credat , in his contractibus bona fide actum
? Ego fraude caruisse non arbitror . Facit , ut ita credam , infignis Odofredi
locus , ad fraudes pertinens Advocatorum sui temporis; qui cum
immodicasmercedes præterjus falque pro suis advocationibus & patrociniis
extorquere vellent a clientibus eos adigebant ad ftipendium , quali deberent ex
causa mutui .(b) Eodem artificio usum arbitror Thaddæum , quem ne obulum quidem
verisimile eft_deposuisse apud Rangoni , & Guidoni procuratores . Sed ego
tamen existimo,Thaddæum , probum hominem & pium , non ita immitem fuiffe,
ut tam ingentes pecu-, nias exigeret ab iis , quos curandos aggrederetur .
Potius crediderim, hanc cau tionem voluiffe , ne jutta mercede fraudaretur ,
& damna fibi æquo jure præfta rentur, quæ quacumque ex causa pertulisset. V
I. Vocatus aliquando ad curandum R o m a n u m Pontificem , negasse dici tur se
iturum , nisi centum aurei nummi in dies fingulos penderentur. Quod cum
immodicum videretur iis, quibus negotium datum erat, ut cum Thaddæo
transigerent, neque ea de re conveniret ; concessit tamen Pontifex , grandem
quantumvis pecuniam vitæ & incolumitati fuæ pofthabendam ratus . M o x au .
tem , cum arnice Thaddæum argueret , quod tam magno operam suam locaret, ille
admirationem fimulans; ego vero, inquit, multo magis obftupesco, cum ceteri
fere viri nobiles , & minores Principes quinquaginta & amplius aureos
nummos mihi in dies conferre soleant, tibi , qui maximus es Chriftianorum
Principum,grave visum esse,quod centum petierim .Sed Pontifex,ubi Thad dæi
ftudio optime convaluit , decem millia aureorum eidem rependi juffit, non tam
ut tantum virum pro dignitate fua, & ejus meritis remuneraretur , quam ut o
m n e m ab se averteret avaritiæ suspicionem . VII.Itanarrat
PhilippusVillanius, (c) qui tamen Pontificis nomen filet• Sed hunc fuisse
Honorium IV . alii Scriptores tradunt, & in primis Joannes Tortellius in
libro de Medicina & Medicis ad Simonem Romanum .(d) Sunt etiam qui hæc
tribuant Petro Apono illuftri Medico , de quo alio loco dice mus.
Sedcredibilenon videtur,tum quiapotiormihiet auctoritasPhilippi Villanii ,
& Joannis Tortellii , quam aliorum multo recentiorum , qui hæc de Petro
Apono scripserunt;tum quia Honorii IV.ætate Petrus Aponus nondum ad tantam f a
m a m pervenire potuerat , ut ad curandum Pontificem accerseretur . Sunt qui
immaniter augent pecuniam , q u a m Pontifex recuperata valetudine Thaddæo
numerari jusserit; nec desunt qui non minus , quam ducenta millia aureorum
accepisse dicant . Sed nimis multa mihi etiam videntur pro iis t e m poribus
vel ea decem millia , quæ Villanius omnium modeftiffimus narrat. VIII. Thaddæus
certe Medicinam faciens ad ingentes divitias pervenit;nec facile est reperire plures
ejus facultatis professores, qui majores fint consecuti. Ejus autem commodis,
& utilitatibus consuluit etiam non uno modo Populus Bononiensis . Ei
nimirum , & ejus hæredibus concessa eft immunitas a vectiga libus, &
remissio ab omni munere publico. Additum eft, ut libere a quovis intra fines
Agri Bononienfis prædia , & fundos emere posset, quos vellet ; m o d o ne
ab exulibus & profcriptis. Itaque eum voluerunt gaudere omnibus civium
commodis ,neque iis oneribus obnoxium effe,quæ cives reipublicæ causa sustine
re debebant . Ejus quoque discipulis eadem . privilegia , & immunitates
populi beneficio concessæ sunt,quibus gaudebant ScholaresJuris Civilis &
Canonici. Id autem , nominatim pro auditoribus M a g . Thaddæi ftatutum ,
aliorum Medicina profefforum auditoribus communicatum est. (e) Ita honor
additus est Scholæ ad Simonem Romanum Medicum præftantif (b) Dicit advocatus ,
fi promittis mihi fimum . Ex Cot. Vatican. aput Apostol. Zenun
milleaureosnominefalarii,nonteneris.Sed inDissert.Volpian.To.I.p.151.
faciasmihiunum inftrumentum ,inquo con (e)ExStat.Pop.Bon.anniMCCLXXXVIII.
tineatur, quod tu teneris mihi dare mille ex vel potius M C C L X X X U I ., in
quibus eji Rubri. causamutui.Odofred.inl.Sifubfpecie.C.de
cadeprivilegioMag.ThaddeiductorisFixi Polulando. (c) Pbilip, Villan, loc. cit.
ce & diicipulorum ejus. Vid.Append.N. X X . ProFESSORES. 469 / }
(a)Vid.Append.annoMCCLXXXV.,dow (d)Jo.TortelliusdeMedicina& Medicis
MCCLXXXVIII. Medi. Medicæ,quæ Thaddæi potissimum opera magis
aucta,& nobilitata,parigradu deinceps fuit cum scholis Legum , &
Canonum . X. Nescio quid molettiæ illi etiam intulisse credo Clarellum
quendam,ut opinor , Medicum , five quod ejus doctrinam impugnaret , five quod
medendi rationem carperet . Queritur de illo in Commentariis ad Joannicii Ifago
gen,(d) X I . Habere consuevit in familia sua Thaddæus Medicos aliquot , quibus
adjutoribus uteretur five in scholæ muneribus , five in ægrotantium cura. Eo
rum aliqua mentio eft in ejus teftamento , quod in Appendice damus . Dome ftica
quoque negotia , ne quid esset , quo a suis ftudiis interpellaretur , per pro
curatoresaliquando agere consuevit. Anno certe MCCXCII. procuratorem suum
conftituit Octavantem Florentinum , (g) affinitati fibi conjunctum,eum, qui Jus
Pontificium exeunte fæculo XIII. in scholis noftris docuit;de quo fuo loco
diximus . (c)Vit.Append.Pertinethocadannum
tisnominedñeAdelefuefilieipfiMag.Thad MCCXCII. dum numero , quo luci altitudő
indicatur . (8)An.MCCXCII.dieXV.MajiMag. tia. bus dicitur Regalettus Bunaguide
de Floren . 470 MEDICINA IX.Quamdiu vixit priinum dignitatis locum tenuit
interMedicinæ profef fores; ac multum ei quoque tribuerunt professores aliarum
disciplinarum . (a) Sed gravis offenfionis causa ei aliquando fuit cum
Bartholomæo Varignana,qui ex ejus schola, ut verisinile eit,prodierat, &
magiftro adhuc vivente ma gnopere celebraricceperat. Receperat ille in Medicina
erudiendos quofdam , qui ad Thaddæi fcholam ante accesserant. Id ei magno
crimini datum eft a Tnaddæo; ac fortasse erat contra leges scholafticas,vel
Academiæ noftræ mo rem . Neque vero aliter to'li diffidium potuit,& sarciri
injuria,qua affectum fe credebat Thaddæus , quam ubi Varignana promisisset
omnem pænam pora'em , & fpiritualem ultro subiturum , q u a m in e u m
ftatuissent Vicarius Ar. chidiaconi Bononienfis , & aliquot doctores ex
Collegio Magiftrorum , (b) arbi tri ad tam rem delecti. (c) quæ cum scriberet ,
nondum , ut arbitror , id auctoritatis consecutus erat , ut hujusmodi
obtrectatoris importunitatem fortasse Thaddæus natura suspiciofus, & ad
inanes metus comparatus; quod,ni fallor , oftendunt etiam tot capta de
securitate itinerum , & ftipendiorum fuo r u m caurelæ , & iterata
fæpius testamenta , de quibus diximus . Id porro ex ejus corporis habitu ,
& temperamento quid fuisse, pro certo habeo . Ipfe enim de se fatetur, fe
somnambulum fuil. fe , (e) & interdum ex alio loco dormientem fine fenfu
cecidiile. (f) ipfe (a) Vide tabulassocietatisinterMag.Gen Thaddeus doctor
Fixice fecitsuum procurato tilemdeCingulo,LouMagGuilielmumdeDeza reminomnibusfuiscaufis&negotiisdn.
ra fcriptas anno MCCXCV. in Append. deo matrimonio unite trescentas libras
Pifa. (d) Finitus eft tractatus de febribus do norum in forenis de duodecim
.Pretereado m i n o Clarello , qui facit nos evigilare , & tran firepermentemnoftramquidquidmalipo.
brasejusdemmonete.ErMen.Con.Bonon. test. Tbad. ir Isag. Joannic. c. 32. Fortale
ad ( i ) O t a v a n t e m , q u i p u t e a c a n o n u m p r o f e f. eundem
pertinent, quæ babetad finem cap.36. Hoc eft, inquit, quod dicit tallidicus,
qui fa. tereaque Adelæ fratrem , intelligimus extabulis cit omnia mala trautire
per mentem noftram . an.MCCLXXXIII.scriptis inMem.Com.Bon.,
(e)Dequartoficprocedo:videtur,quod inquibuslegitur:Dn.OctavantedñiGuidalo homo
poflitdormiendo fentire, nam dorinien do movetur , ficut patet in furgentibus
de no . čte,quorumegofuiunus.Ibid.in.c.10.p.362. Guidalottipater jam
indeabannoMCCLXVI. (f) Ibid.Sed locus fortasse mendojus in pe Bunoniæ degebat,
ex Mem . Com .Bonon.,inqui a se avertere poffet. Sed erat accidere debebat , in
quo insolens ali navit eidem propter nuzias quinquaginta li. for fuit ,
Guirlalutti Florentini filium fuiffe,propo cti de Florentia scolaris Bonon...
emit dige. ftum ... pretio lib.L. bon. Regalettusautem tem XII . Anno M C C L X
X I V . Thaddæus fere sexagenarius uxorem duxit Ade lam Guidalotti Regaletti
filiam ,(h) Octavantis, quem ante nominavimus,fo rorem , (i) ex eaque filiam
suscepit Minam , quæ adhuc innupta erat, cum (b) Magiftrorum collegium jure
tunc dice O &avantem deFlorentiasuumcognatum.Ex Mem , Com. Bonon.
batur,nonautemMelicorum;quianonsolumMe (h) An.MCCLXXIV.XV.Jan.Mag. dicinæ ,fed
alia,um quoque artium liberalium pro fesjures complectebatur , ut ex ipfis
hujus controver Thaddeus artis Fixice professor fil. and. Alde rotti de
Florentia fuit confeffus habuiife a dño fæ
actisapparet,quæinAppendiceexbibentur.
Guidalottoqnd.dňiRegalettideFlorentiado. XIII, Teftamentum fæpius ,
nec uno in loco Thaddaus fecit. Et quoniam perpetuo domicilium Bononiæ habuit ,
cum aliò diverteret ad curandos magna tes , itinerum pericula reputans ,
propterea teftamentum sæpius fecisse videtur. Sed omnium poftremum Bononiæ
condidit initio anni M C C X C I I ., quo cete ra omnia revocavit facta Bononiæ
, (b) Florentiæ , Ferrariæ , R o m æ , Mediola ni , Venetiis , & alibi .
Pro anima fua , & ad pias causas x. mille libras bonon. legavit : quæ
immanis summa erat pro ætate illa , & privati hominis facultati bus. Ex his
bis mille quingentas libras impendi voluit emendis prædiis pro pauperibus
verecundis , quorum administrationem esse voluit penes Fratres de Pocnitentia .
Viger ad hanc diem ut cum maxime pium hoc inftitutum,a pru dentissimis civibus
adminiftratum in civitate noftra , quo consulitur egettati h o neftorum civium
, quibus oitiatim mendicare victum vel natalium , vel ætatis , sexusve conditio
fine pudore non finit. (c) Fratribus Minoribus , penes quos sepeliri voluit ,
ubicumque ejus obitus contigisset, multa legavit. Atque illud viri prudentiam m
a x i m e demonftrat, quod præftari voluit in perpetuum ali menta uni ex
Fratribus ejus Ordinis qui Parisiis Theologiæ studeret , fupra numerum eorum ,
qui ibidem facris ftudiis destinati esse solerent. Jisdem Fra. tribus Minoribus
Conventum erigi voluit , in quo tresdecim Fratres ali possent. Viginti ex fuis
scholaribus magis egentes ex albo panno vestiri in die obitus sui mandavit ,
itemque familiares suos omnes masculos, qui secum eo tempore futuri essent.
Statuit etiam impensam funeris fibi apud Fratres Minores cele brandi ,&
certam insuper summam , pro die feptimo obitus sui, trigesimo , cen tefimo ,
& anniversario , erogandam in Fratrum refectionem , ut iis diebus pro anima
fua preces ad D e u m funderent ; qui mos ab antiquissimis temporibus ad eam
ætatem pervenerat . (a)ExliterisNicolaiIV.inCodicediplom.
quisibisuppetiasferrent,ubieffetopus,tumin docendo , tum in medendo . (b) Etiam
Bononiæ anno M C C L X X . for (e) Hanc Biscionius in adnotat. ad Convi. talle
, antequan iter aliquod susciperet, teflamen vium Dantis Adolam vocat. , sed in
testamento tum fecerat, quod indicatum vidinius in Memor . Autograpbo en Adela
. mff. Biblioth. publ. Bonon. C o m . Bonon . ejus anni . ( f) Quia Fratribus
Minoribus quidquam pof (c) Jam inde ab anno M C C L V I . Uher- fidere non
licebat, voluit ut medietas predicte tus facerdos Sanctæ Catharinæ de Saragotia
contingentis ipfi Opizo perveniat ad Dominas legaverat X. corbes frumenti
pauperibus vere cundis , ut ex ejus tejlamerto apud Fraires Mi- cujus dicte
Domine nores : ex quo apparet ejus pii inflituti anti pendere pro
necessitatibus Fratrum Minorum quitas . infirmorum fenum & forenfium . Vide
teftam. (d) Hos duos Medicos in schola fua , uti Thaddæi in Append. credibile
efl, eruditos , in sua familia babebat , & Sorores S. Clare civitatis
Florentie fructus & Sorores teneantur ex PROFESSORES . 471 1 mo N
ipse extremum obiit diem . Sed ante illud tempus filium genuerat ex illegiti mo
complexu.Hic patrisnomen geflit,& vulgo Thaddæolusdicebatur,cum que
Nicolaus IV.anno MCCXC.jure legitimorum nataliumdonavit.(a) XIV.De bibliotheca
sua in hunc modum ftatuit.Avicenna opera,quatuor voluminibus contenta , &
Galeni item , quæ totidem voluminibus comprehensa erant ,Fratribus Minoribus ea
conditione legavit,ne ullo umquam tempore alie nari , diftrahive possent, aut e
Conventu ipfo exportari . Fratribus B. Marize Servis legavit Metaphysicam
Avicenna , Ethicam Aristotelis, & Sextum de N a turalibus Avicenna in
majori volumine . Magiftro Nicolao Faventino Glossas fuas omnes , quas
scripserat in veterum Medicorum libros , & Almanforem suum , & Magiftro
Johanni Affifinati (d) Serapionem suum ,& Sextum de N a turalibus Avicennæ
in minori volumine , fi quidem uterque in familia sua esset tempore obitus sui.
Adelæ (e) uxori fuæ,præter aliquam pecuniæ summam , cu biculi sui supellectilem
omnem legavit,& veftes,& gemmas,exceptis dumta. xat valis aureis, &
argenteis , & usumfructum domus Florentiæ in via S. Cru cis,&
fundosinagroFlorentino.HæredesauteminftituitMinamfiliamsuam Thaddæolum filium
naturalem , & Opizum Bonaguidæ fratris sui filium ; quibus , fi abfque
filiis masculis legitimis decessissent, Fratres Minores , (f) & pauperes
verecundos fubftituit. Nupfit hæc Thaddæi filia Dorgo Pulcio Florentino
sum X V . Obiit Thaddæus an.M C C X C V . (e) cum annos octoginta vixisset.(f)
Fuit autem ejus mors repentina , ut narrat Benvenutus Imolenlis , Dantis inter
pres . Tumulatus eft apud Fratres Minores, quos vivus magnopere dilexerat ,
& apud quos ægrotus etiam aliquando sub extremum vitæfuæ tempus jacue
rat.(g)Sedejusfepulchrimagnifice extructi,& elegantis,quod eratprope januam
Ecclefiæ , propter recentiora ædificia ibidem excitata , nulla jam vefti. (d)
Manni degli antichi Sigilli To. XII. (b) Nicolaus V.annoMCDLIV.mandavit, pag.
117. utHofpitaleS.AntoniiPatavini,quodFratresTer (e)AnnoMCCXCV.dieXX.Marzii
Thad tii Ordinis , five de Penitentia,ex bonis bæredita dæus erat in vivis , ut
ex charta societatis in riis Mag.Tbudlæi Bononiæ erexerant,indomum ter
Mag.Gentilem Cingulanum , g Mag. Gui. pro Sanétimonialibus Franciscanis , ex
Monasterio lielmum Dexarensem , quam in Append. danus .
FerrarienfiCorporisCbriflitra.lucendis,convertere. Af eodem
annoaddiemXVII.Juliiinvivisef tur.Sed r jijtentibusFratribus,res ita compofita
eft de defiderat, ut ex bis tabulis , quas indicavit infequentiannoperBifurionemBononiæLegatum,
CI.Montius:An.MCCXCV,dieXVII.Jul. ut iratres Ecclefiam S. Antonii , cu
aljacentes D. Ugolinus de Montezanico Dn . Novellonus ætes cum molicocenfuad
bufpitalitatemexercen Megloris de Florentia Dn. Amadeus Poete
damretinerent;fedbonareliqua,quæadeosex Dn.FraterRaynucciusqund.Deotaiuti com
bereditate Mag.7budlæipervenerant, novo Par milfarii & executores
testamenti egregii vi tbenoni pro SanctimonialibusCorporisChristi con ri&
discreti Mag. Thaddei and.Alderotti Aruendo attribuerentur : quod anno M C D L
V I .pero qui fuit de Florentia artis Filice profetforis
featumest,CatharinaVigria,quamnuncinSan. fueruntconfeffihabuiffeadñoBartholomeo
clarum Virginum album relatam veneramur , cum 472 MEDICINE mo genere
nato.(a)Thaddæolus autem fivequod cælibem vitam duxerit,five quod filios non
genuerit , aut pofteritatis memoria apud nos diu fuperftites non habuerit,
certe nulla ejus superfuit. Sed opulenta M a g . Thaddæi hæreditas non ita
humanis cafibus subjecta fuit , ut nobiles ejus reliquis non exiftant .
Sanctillimum enim ad hanc diem civitatis noitræ Monasterium Corporis Chrifti,
& Collegium Puellarum S. Crucis ex bonis hæreditariis M a g .Thaddæi
initium legata insuper alia , q u æ legi poffunt in tefta quali acceperunt. (b
) Mittimus mento ipso, quod in Appendice exhibemus. (c) Unum addimus, quod maxi
me memorandum videtur,aureosnempe florenos xv.in annos fingulos legatos Zco
Scansalti Pisado , quamdiu futurus effer in Januensium carceribus , ex qui bus
ubi eum liberari contigiffet, cc. libras bonon. eidem perfolvi a suis hæredia
bus mandavit . Nota est ex eorum tima Pilanorum cum Januensibus rum vires
miserandum in modum temporum scriptoribus infelix pugna mari
annoMCCLXXXIV.pugnata,qua Pisano XVIII . pax convenit . Tunc bello capri , qui
supererant , redditi funt , effæti prope enecti. Diligentissimus Mannius jam ,
& tam longi carceris incommodis proftratæ funt . Magna corum cædes fuit,
abductus præfertim ex nobilioribus. N e atque ingens numerus in captivitatem
que ullis conditionibus adduci potuere victores, ut captivos redderent. Ita
enim confilium fuit sobolem invifæ primariis civibus detentis , ne procreandis
liberis dare operam poffent, fuccide. civitatis impedire , totque fortissimis
viris , ac re nervos civitatis , usque in illud tempus potentissimæ . Itaque
non ante annos Sigillum Universitatis Carceratorum Januæ detentorum illustrat.
(d) Ex eorum numero erat Zeus Scanfalti, amicus , ut opinor , Thaddæi ; qui
quam pronus effet ad ferendam miseris opem , cum ex hoc , tum ex fingulis fere
teftamenti sui capitibus liquet . (a) Dn.Mina quondam Mag.Thaddei Corporis
Cbrisi, W Puellarum S. Crucis, quæ AlderottiuxorDorgiquondamDorgidePula
vidit,lowindicavitCi.Montius. cis.Ex tabulisan.MCCCI.inarcbiv.publ.Flo vent.
Inilicavit Cl. Biscion. loc. cit. (c ) Vide Append. gia > pauci supererant ,
Ecclefiam S. Antonii , d adja centes æles , bonaque omnia ad eum locum perti
deus confeffus eft quod ipse emit quandam pe. tiam terre... Actum in loco
Fratr. Minor, ! Blanchi Cofe for. auri cccc, depofitos ab ipfo aliquot aliis
Monialibus ex Ferrariensi Monaste. Mag.Thaddeo & c.Ex Mem.Com.Bonon. rio in
nouum buc noftrum commigrantibus . Anno autem MDXCII. Fratres sertii
Ordinis,qui ( f) Pbilippus Villan. loc. cit. (g) An.MCCXCIII.die... Mag.Thad
nentia,erigendoPuellarumpericlitantium domici in camara Ministri ubi
Mag.Thaddeus ja lio libere tradiderunt , quod in via S. M a m æ a cebat
infirmus prefentibus M a g . Bertolaccio , mæniffimo civitatis locu, non longe
a Monasterio Fratris Venture M a g Nicolao de Faventia
CorporisCbrijli,conjtructumest,a S.Crucisti. &c.ExMem.Com.Bonon. tulo
infignitum . H æ c ex monumentis Monialium gia supersunt. (a)
Minime igitur audiendus eft Joannes Villanius , qui Thaddæi o b i t u m p r o t
r a h i t a d a n n u m M C C C I I I . , ( b ) a u t fi q u i s e f t a l i u
s , q u i i n a l i u d tempus referat. Paulo poft ejus mortem dillidium ortum
est inter Fratres Ter tii Ordinis , five de Pænitentia , & Priorem fratrum
Prædicatorum , ac G u a r dianum Fratrum Minorum in eligendis pauperibus ad
præfcriptum teftamenti ip fius M a g . Thaddæi . Sed litem o m n e m fuftulit
Dinus Mugellanus , clarus legum interpres , qui per illud tempus Bononiæ
docebat , cui utraque pars arbitrium dederat . (c) X V . Possem hic plura
Scriptorum teftimonia de Thaddæo admodum ho norifica afferre ; possem &
Scriptores multos emendare , multos supplere,qui de illo vel minus diligenter ,
vel minus vere scripserunt; in quo numero sunt præsertim scriptores noftri
Alidofius , & Ghirardaccius . Sed hæc curabunt , qui magis otio abundant.
Nunc ejus scripta recensenda funt, quæ & multa fue. runt, & magno in
pretio habita . TH4DD=1SCRIPTA. Expositio in arduum Ipocratis volumen. Galenus
Aphorismos Hippocratis illuftri commentario exornavit . Thaddæus &
Hippocratis Aphorismos, & Galeni commentarium diligenter exposuit.Cum autem
in septem libros, fivepar ticulas Hippocratis volumen Aphorismorum diftributum
fit, Thaddæus fcrip. to tradidit expofitionem suam in sex priora capita ,
eamque absolvit anno MCCLXXXIII.decimadieSeptemb.,utadejuscalcemadnotatum
efttam in editis exemplaribus , q u a m in m a n u exarato , quod vidi in
bibliotheca , Collegii Hispanorum Bononiæ . Eft autem hoc Thaddæi opus valde
proli xum , cuiscribendo non uno tempore insudavit. Sic enim ad ejus finem ait
: I n his particulis explanandis diversa fuerunt tempora . N a m cum efjorn in
nono anno mei regiminis ( qui publice docebant regere tur) incepi gloffare
Aphorismos a principio. Et infpatiofex menfium glossa. v i primam , fecundam ,
tertiam , a quartam particulas, a quintam usque ad illum Aphorismum : Mulieri
menstrua fine colore. Tunc autem fupersedi, convertens me ad glosas , quas
fuper Tegni feceram , completiores edendas ; quas perfeci usque ad illud
capitulum caufarum : A d inventionem vero salu brium . Ibidem vero deftiti
impeditus a guerra civitatis Bononiæ , au lucrati va operatione distractus.
Poft vero placuit mihi refumere , ut complerem glof fas Aphorismorum , addendo
ad eas , quas primo feceram . Et feci additiones Super primam , Be fecundam ,
no quartam particulam . In tertia vero particu la solum glossas veteres divis :
Item in quinta particula super veteribies glosis quas feceram primo nullam
additionem feci . Incepi autem de nova glosam in illo Aphorismo : Mulieri
menftrua fine colore , ut dictum est. Quod hic habetde Bononiensium
bello,pertinerevideturad Lambertacciorum, & Jeremienfium turbas , quibus
anno M C C L X X I V . civitas noftra pæne d e solata eft. C u m autem nono
anno poftquam docere cæperat , ad inter pretandum Hippocratis Aphorismos le
contulerit, in eoque opere tempus aliquod impendere debuerit , & rursum eo
dimiffo , librum Tegni interpre tandum susceperit , & in eo verfatus fit,
quoad Bononiæ in otio quietus esse potuit ; subductis rationibus apparet , non
multo poft annum M C C L X . debuisse illum publice docendi in scholis noftris
munus suscipere , imo ditavit hortulanum fuum . Vixit autem renze , noftro
cittadino , il quale fu s o m m o Fisiciano sopra tutti quelli de' Cristiani .
Je. scholas diceban 4 . ооо annis PROFESSORES . 473 (a) Fuit Thaddæus
medicus famosus , apud Murat. Antiq. med. ævi To. I. col. 1262. conterraneus
auctoris , ( Dantis ) qui le ( b) In questo tempo morì in Bologna git&
scripsitBononiæ& vocatuseitplus. M.TaddeodettodaBologna,ma eradiFi. quam
commentator.Et factus est ditiflimus, & mortuus est morte repen Villan, ad
an. MCCCIII. tina , & fepultus eft Bononiæ ante portam (c) Extar Dini
confilium ,five fententia in Minorum in pulchra & marmorea sepultu- arcbivo
Fratr. Prædicat. Bonon. ra . Benvenut. Imol. comment, in Purgat. Dantis
Ad Ad septimam particulam Aphorismorum quod attinet , Thaddæus
perpetua in eam commentaria non reliquit , sed monuit auditores suos , fi quis
voluif fet ex ore docentis excerpere , quæ in nenda in schola protulisset , fe
deinde emendaturum , & utin ordinem re digerentur curaturum . Sic enim
inquit: immediate Icribere intendo. Sed fi quis de meis auditoribus notare
voluerit eas corrigam , o in petias redigi faciam . Hæc autem verba fcripfi, ut
si alicubi minus completa expositio reperiatur, non adfcribatur ignorantiæ ,
fed potius novitati , a pigritiæ scriptoris. Sed Thaddæi commentaria in septi m
a m partem Aphorismorum nufpiam apparent , & ejus loco circumferri solebat
expofitio Alberti Zancarii , de q u o alio loco dicemus . Expositio in divinum
Hipocratis Pronosticorum volumen , A d cujus finem ita ada notatum eft in
editis exemplaribus . Explicit liber tertius yra ultimus Pro. nofticorum
Hipocratis fecundum antiquam translationem a Thaddæo Florentina explanatus. Sed
revera Thaddäus ipfe non unam translationem præ mani bus habuit , fed faltem
duas . (a) A d extrema vero capita , seu textus libri tertii nihil adnotavit
Thaddæus , aut certe nihil adnotatum reperio in edis tis exemplaribus ; manu
enim scripta explorare non licuit. Thaddæi Florentini in præclarum regiminis
acutorum morborum Hipocratis volu men expositio. Hanc Thaddæus in proæmio
fatetur se maxime procudisse ut rem gratam faceret Bartholomæo Veronenfi , q u
e m fibi dilectiffimum vocat , & pollentis ingenii ; aitque,non minimo fibi
adjumento fuisse ad id operis perficiendum . N o n attigit T h a d d æ u s ,
nisi tres priores libros hujus operis, ratus fortasse, quartum non effe
legitimum Hippocratis færum ,quod aliis visum erat , ut fatetur Galenus ipfe initio
commentariorum in hunc quartum librum de regimine acutorum . Suam porro
diligentiam oftendit Thaddæus in his commentariis exarandis, appellans ad
verfionem Græcam , ubi in ea , quæ ex Arabica facta erat , vitium suspicabatur.
(b) Atque hinc apparet , duplicem ejus libri interpretationem per illud tempus
in doctorum manibus verfatam fuisse, quarum altera ex Græca, altera ex Ara.
bica lingua ducta erat . In fubtiliffimum figogarum Johannicii libellum
expositio. E a m fic concludit Thad dæus : Scio tamen , quod de his obscure
dixi , Jed fellus f u m a deficit charta : misera excusatio , & vix
fapienti homine digna . Q u æ hactenus recensuimus Thaddæi opera in unum
volumen redacta Venetiis edita sunt per Lucam Antonium Junctam anno
MDXXVII.curante Joan ne Baptista Nicolino Sallodienfi , qui in epiftola
nuncupatoria ad Aliobel. lum Averoldum Polenfium Antiftitem , & Romani
Pontificis Legatum ad Venetos , impense Thaddæum laudat , illumque dicit,
nonnisi ad lapsam Extat hic Thaddæi liber in Codice Vaticano , (c) ejufque hæc
eft æcono. mia . Initio agit de corpore sano, ejusque , ut ita dicam ,
essentia, & va. riis sanitatis gradibus ; tum pergit in hunc m o d u m :
Nota quod dicit Johan nicius , quod fi unaquæque res naturalis propriam naturam
jervaverit, facit fanitatem , fi vero ipfam dimiferit, facit ægritudinem , vel
neutralitatem , fta tum fcilicet, quo necfanum eft, necægrum
.Sequiturinhuncmodum usque ad finem libri : Nota quod dicit Galenus ; nota quod
dicit Hipocras, Avicenna.Nota quod venæ non dicuntur oriri ab epate quod
oriantur ex ea dem materia v c. Nota differentiam arteriarum ad venarum ,
originem nervorum W c. Nota quod partes totius capitis funt quatuor B c . Inter
has notationes , in quibus totus hic liber decurrit, aliquas quæftiones interferit,
(a) Ad text. X. lib. I. ita inquit : Alia quod patet per translationem Græcam .
Liba translatio non ponit hic nifi duos colores & c. III. text. X. ea
Aphorismorum particula expo Super feptima vero particula nihil 474
MEDICINE principum fanitatem recuperandam vocari consuevisse . Auctoritates are
definitiones fuper libro Tegni , quamplures utiles dubitationes . uti (b) Unde
dicendum quod litera Arabica , (c) Cod. Vatic. 1. 4445. ex qua fumitur illa
auctoritas, elt corrupta , 1 uti est illa: Quæritur hic an dari
poffit membrum , quod nec recipitur, nec tribuit . Nunquam editus eft hic
Thaddæi liber , quem ne ipse quidem au ctor satis elimatum cenfuit. Itaque
rurlus Artem parvam Galeni , sive li brum Tegni interpretandum suscepit.
Habemus hoc Thaddæi opus typis editum Neapoli cum hoc titulo: Commentaria in
artem parvam Galeni. NeapoliannoMDXXII.Horum
initiofatetur,fepræmaturamaliamexpo fitionem Artis parvæ edidisse,hisverbis:
Atveroquoniamfuper eundem librum expofitionem facere necessitas compulit præmaturam
, in qua non ut expedit Galeni instituta patefeci". Ideo e c. Magiftri
Thaddæi conflia. In Codice Vaticano (a) consilia Medica Thaddæi sunt centum
quinquaginta sex.Minore numero,imo perpauca,lirecte memi ni , funt in codice
bibliothecæ Cæsenaris Fratrum Minorum . Primum in utroque codice est de
debilitate visus. Ultimum in codice Vaticano eft de virtute Aquæ vitis. Docet
in eo modum præparandi alembicum cu. preum . Incipit : A d faciendam Aquam
vitem , quæ alio nomine dicitur aqua ardens. Eft unum ex his consiliis de
minctu urinæ cum fanguine. Incipit: Conqueftus est dn. Bartoločtus comes . Eft
is Bartholottus comes Ripæ Insulæ Suzariæ & Bardinæ , de quo plura diximus
, ubi de Rolandino Passagerio a r tis Notariæ doctore agebamus . Eft aliud
Thaddæi confilium ad midtum f a n guinis pro Duce Venetiarum . Aliud item de
impedimento loquelæ propter mollitiem linguæ . Incipit : C u r a comitis
Bertholdi . In librum Galeni de crisi. Eft in codice Vaticano . (b) Magiftri
Thaddæi de Florentia quæftio de augmento . Eft in codice Vatica Thaddæum artis
Medicinæ in civitate Bononiæ doctorem . Eft in codice bi. bliothecæ Eftenfis,
tefte Muratorio . (d) Idem Italice extat , scriptus in m o d u m epistolæ
cuidam ex Neriis Florentinis . Incipit : Imperciocchè la con dizione del corpo
umano . ( e) Extat etiam latine typis editus Bononiæ anno MCDLXXVII.cum libelló
Mag.Benedicti de Nurlia ejusdem argumenti. N u m autem Italice scriptus fit
libellus ifte ab auctore suo , an latine, mihi non conftat. Italica tamen
lingua , quæ tum nitefcere , & a Scriptoribus nobilitari cceperat,
delectatum constat Thaddæum , qui Ariftotelis Ethicam in eam linguam vertit;
quamquam hunc ejus laborem haud magnopere laudandum exiftimarit Dantes in
Convivio , ubi ait , velle se suum illum librum Italica , five, ut ipfe inquit,
vulgari lingua donare , ne ab alio quopiam interprete vitietur, ut Ethicæ
Ariftotelis contigit, quam Thad dæus Italicam fecit.(f) Eum purgare nititur
Biscionius,vitio vertens non tam Thaddæo , qui Italicam ex Latina non bonam ,
quam veteri interpre ti,qui nihilo meliorem ex Græca Latinam fecerat
Ariftotelis Ethicam .(8) Sed vix quisquam probabit hanc Biscionii defensionem .
Id unum enim r e prehendit inThaddæo Dantes Aligherius, quod Italicam
interpretationem ejus libri non bonam dederit . Nihil autem impedit , quominus
librum aliquem , licet mendofiffimum , & maxime corruptum , optime , quod
ad nitorem verborum attinet , interpretari , & in aliam linguam
elegantissime quispiam convertere possit . Habuerat Thaddæus Aristotelis Ethicam
ex Thesauro Brunetti Latini , ut observat Laurentius Mehus , qui de his abun de
disserit in prolegomenis ad epiftolas Ambrofii Camaldulenfis, nuper Flo rentiæ
editas . ( h ) no . (c) Libellus fanitatis conservandæ factus pay
adinventus per probiffimum v i r u m M a g. (f)E temendo,cheilvolgarenonfosse
dato posto per alcuno , che l'avelse laido fat. (g ) Ibidem : (h) Tv.I.pag.
156. 157. Epift.Ambrof.Cam . to parere, come fece quegli, che tramutò il Ooo 2
(a) Cod. Vatic. 2418. PROFESSORES 475 Expe latino dell'Etica , ciò fu Taddeo
Ipocratita (c) Ibid. 4454. provvidi di ponere lui, fidandomi di me più (d)
Murat.To.IX.Rer.Ital.Script.p.583. che d'un'altro.Convito di Dante.In Firenze
(e) Vid.Biscion.Annot.alConvitodi Dan (b) Ibid. 4451. te.loc.cit. 1723. p.68.
1 Experimenta Mag. Thaddæi probata ab ipfo. Hunc titulum habet
collectio ex. perimentorum Medicinalium Thaddæi in codice Vaticano . (a)
Incipit: Omnes herbee a radices quæ debent prius coqui , abluantur mundentur
Poit brevem præfationem , fire inftructionem , defcribere incipit p r i m u m
Syrupos varii generis . Receptio Syrupi majoris fecundum M . T. Syrupus Jor.
danus M . T. ad correctiones epatis aut fplenis @ c . Deinde describit electua
ria, inter quæ hæc confectio locum habet : Confectio qua utuntur magna tes in
curia Romana , vagy maxime convenit in æftate fanguinem mundificans , colera
fuaviter educitur . R. pulpæ Caffic fi. 16. 2. Tamarindorum 3. pe.
nidii.zuc.violati añş.x.Syrupi violati, Ġ .Mirrhæ s3 conficianturfive
dissolvantur cum tali fucco . X. Prunorum.ios feminum ordei mundi. lic quir. añ
i 2 cum ifta aqua decoquatur usque ad spissitudinem mellis. Dein pergit ad vina
medicata . In his ett Aqua vitis ad calculum M . B. ideft, M a . giftri
Bartholomæi de Varignana , ut opinor , medici celeberrimi, cujus infra
mentionem faciemus. Tum de oleis agitur , ibidemque describitur Tragea M. T.
& Tragea M . B., ideft , Magiftri Thaddæi , & Magiftri Bar. tholomæi .
Pulveres fubinde varii , & pilulæ , & unguenta describuntur, tum remedia
quædam ad peculiares morbos . N e c desunt fuperftitiofa quædam , &
vanissima. Tale eft illud : Ut homo poffit ire super ignem fine læfio. ne .
Dicas ifta verba . ter in nomine individuæ Trinitatis.Abyfon. Dalma. tiu, vel
Magata , v e a s nudus. Emplaftra quædam poft hæc describuntur : fed in hujus
libri extremis partibus vix ordo ullus apparet , ut conjicere liceat, aliena
manu aliquid genuinis Thaddæi experimentis additum ; quo ex genere esse
arbitror superftitiola illa , quæ dixi . De Interioribus libri VI.a mag.Thaddæo
correcti. Ita in codice Vaticano.(b ) Thaddæus de Bononia de aquis , oleis , a
vinis medicatis. Extat inter codices mo
locorecensuitejusCommentariainIpocratem,moxCommentariain Avicennam ; n a m
neque in alia Hippocratis opera fcripfit Thaddæus , quam quæ indicavimus,
quæque vel iple Biscionius feorfim poftea enumerat; nec ulla in Avicennam
Commentaria scripsisse comperio.Addit tamen idem Biscionius descriptionem
pulveris mirabilis Mag.Thaddæi, quam re perit ad calcem libri M a g .
Aldobrandini . E g o alterius pulveris descriptio n e m in hunc m o d u m
reperi ad calcem Almansoris , ideft, libri Rasis in codice Vaticano.(d) Recepta
quam mag.Taddeusreliquitpauperibus in te ftamento : R. Cinamomi eleli s Macis.
Croci aš 3 ij. Sene s fiat pul vis poftea R u s Tartari albi fubtilissime
pulverizati, a misce fimul. Dosis ejus eft ; 3 ij cum brodio poteftconfici cum
zuccaro ut melius conserve tur . E u m d e m pulverem defcriptum vidi in codice
bibliothecæ Cælepatis Fratrum Minorum inter confilia Medica Mag. Thaddæi ad
libri marginem in hunc modum : Pulvis folutivusTaddei. R. Cinamomi :5. Macis
.Cra ci añ 7. 3. 1. Sene ad pondus predictorum . Fiat pulvis, cui potes addere
de zuccaro albo vel rubeo B eft delectabilior. DON 476 MEDICINE Thomæ
Bodleii. (c) Auxit immaniter Biscionius paucis verbis catalogum operum Thaddæi,
dum pri (c) To. I. mill. Angliæ . Cod. 2359. (d) Cod. Vatic.4425. Aderotti. Alderotti.
Keywords: le quattro cause. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Alderotti” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692254470/in/photolist-2mKHtgX-2mKSjjJ/
Grice ed Alfieri –
LVCREZIO – filosofia italiana – Luigi Speranza (Parma). Filosofo. Grice:
“I like Alfieri; the enzo is vital – Vittorio alfieri has statues at Torino! V.
Enzo Alfieri dedicated his life to prove that Democritus was more of a poet
than a philosopher. ‘Indeed, I will go as far as to argue that he ain’t no
philosopher!’ Unfortunately, Abbagnano ignored him, and Lucrezio stayed in the
canon! Then Alfieri tried to study the idea of the ‘in-divisibile,’ the ‘atom’
and the ‘clinamen,’ and how Lucrezio was a good poet but a bad philosopher!”
-- Filosofo. - allievo diCroce. Nato a Parma,
visse la maggior parte della sua vita a Milano ove si laureò in filosofia e
insegnò storia della filosofia alla Bocconi, per poi continuarne l'insegnamento
presso l'Pavia. Allievo di Piero
Martinetti e di Benedetto Croce, di cui condivideva l'ideologia liberale e il
pensiero filosofico, ma anche gentiliano non ortodosso secondo la definizione
di Ugo Spirito, fu un oppositore del regime fascist che lo arrestò una prima
volta nell'aprile del 1928 quando a Milano scoppiò una bomba all'ingresso della
Fiera che fece sospettare che si trattasse di un fallito attentato al Re.
Alfieri fu incarcerato a San Vittore assieme a Ugo La Malfa, Umberto Segre e
Mario Vinciguerra. Fu liberato senza processo tre mesi dopo per
l'interessamento di Benedetto Croce che tramite Marinetti aveva fatto
intervenire Mussolini. Il secondo
arresto, per la scoperta di lettere ritenute compromettenti dalla censura
fascista, avvenne nel 1936. Alfieri fu scarcerato dopo quindici giorni per
l'intervento diretto di Gentile ma dovette lasciare entro due giorni
l'insegnamento a Modena e trasferirsi a Milano dove riuscì a sopravvivere
grazie all'aiuto di amici e di parenti che lo ospitarono. A Milano ottenne il primo incarico
universitario presso la facoltà di Lingue della Bocconi dove rimase per 13 anni
fino al suo trasferimento a Pavia per la docenza di storia della
filosofia. Suoi amici, «maestri e
testimoni di libertà», come lui stesso li definì, oltre a Croce, furono
Giuseppe Prezzolini, Giuseppe Lombardo Radice, Francesco Flora, Pilo
Albertelli, il giovane professore ucciso alle Fosse Ardeatine e, tra i più
vicini e affezionati, Giovanni Spadolini.
Fortemente critico nei confronti del movimento sessantottino e impegnato
attivamente per le riforme della scuola, Alfieri è stato il fondatore del
"Movimento per la libertà e la riforma dell'università italiana" e
del "Comitato nazionale per la difesa della scuola", e presidente
dell'"Associazione amici dell'Gerusalemme". Negli anni 1937-1938 collaborò alla rivista
L'Italia che scrive che ancora in quel periodo riusciva a mantenere una certa
autonomia nei confronti del fascismo. Monarchico, iscritto al Partito Liberale
Italiano; nel dopoguerra si avvicinò agli ambienti della destra, aderendo al
Sindacato Libero Scrittori Italiani e collaborando con la casa editrice di
Giovanni Volpe e con la rivista Intervento di Fausto Gianfranceschi. Negli anni
'70 fu collaboratore culturale per la filosofia de Il Giornale diretto da Indro
Montanelli. Tra le sue opere di
filosofia vanno annoverati saggi sulla filosofia greca-romana antica, “La
tristezza di Pindaro”; “Lucrezio”; “Gli atomisti” e opere di estetica,
L'estetica dall'Illuminismo al Romanticismo. Ad Alfieri, oltre ad un suo
epistolario con Croce, si devono due libri di memorie autobiografiche (“Maestri
e testimoni di libertà” e “Nel nobile castello”) dove sono originalmente
ritratti personaggi della vita culturale e politica italiana da Croce a Scotti,
da Jacini a Casati, a Flora. Antonio Troiano, I 90 anni dell'ultimo allievo di
Benedetto Croce, in Corriere della Sera, 10 maggio 199648. Massimo Ferrari, Piero Martinetti e Antonio
Banfi, in Il Contributo italiano alla storia del PensieroFilosofiaTreccani,
. Alessandra Tarquini, Gli sviluppi
della scuola di Gentile: da Armando Carlini a Ugo Spirito, in Croce e
GentileTreccani, . Andrea Mariuzzo, La
Scuola Normale di Pisa negli anni Trenta, in Croce e Gentile Treccani, . Marcello Veneziani, 68 pensieri sul '68: un
trentennio di sessantottite visto da destra, Firenze, Loggia de' Lanzi,
199846. Michele d'Elia, Monarchici e
partito, su Italia Reale. Benedetto
Croce, Vittorio Enzo Alfieri, Lettere,
Milazzo, Edizioni Spes, Aldo Garosci, Nel nobile castello, in Tempo
presente, Forum in occasione del novantesimo compleanno di Vittorio Enzo
Alfieri, in Rendiconti, parte generale e atti ufficiali, 130, 1996,
110-140. Maria Luisa Cicalese, Vittorio Enzo Alfieri maestro di studi e
di vita, in Nuova Antologia, Vittorio Enzo Alfieri: maestro e testimone di
libertà: atti del Convegno, Cremona, 22 novembre 1997, Cremona, Circolo
Culturale Benedetto Croce, 1998. Margherita ardi Parente, Vittorio Enzo Alfieri
e il nobile castello, in Belfagor. Già Vittorio Enzo
Alfieri, nell’introduzione al breve primo scritto bembiano incluso in una
strenna dell’editore Sellerio, aveva colto una possibile connessione ai
dialoghi platonici più ‘letterari’, dove a proposito del piacere ecfrastico del
giovane scrittore per il podere di S. Maria del Non scriveva: «Bembo si
compiace a descrivere il luogo a lui caro, il fresco riparo dalla calura
estiva, il fiumicello, i pioppi piantati dal padre, il quale si stupisce che
nella piana verso le pendici dell’Etna vi siano platani, che gli fanno forse
risovvenire i platani d’Ilisso»321.L’intuizione diviene più 320 «Del resto
l’opera stessa prima del Bembo, il De Aetna, aveva richiamato a quei molteplici
interessi – spesso da e su testi greci – che avevano ispirato le Castigationes
Plinianae. E la stessa felice ambientazione del dialogo già di per sé dilata i
confini dell’oggetto esegetico e rilancia tutte le più vitali istanze di
plenitudo culturale, di renovatio che il Barbaro stesso (e il Poliziano per suo
conto) aveva indicato tra gli scopi della propria lezione (Mazzacurati). Sono
una plenitudo e una renovatio che si muovono anche da quell’indirizzo
filosofico e umanistico insieme che era stato così caratteristicamente
veneziano, dal Barbaro a Giorgio Valla: nella ripresa di un tutto autentico
Aristotele che Aldo aveva consacrato con la sua monumentale edizione delle
opere aristoteliche (1495-1498) ispirata alla lezione di Ermolao e dedicata a
Alberto Pio. Proprio sulla base della retorica e della poetica aristoteliche,
ripresentate come esemplari dopo secoli e secoli sulla laguna, poteva
svilupparsi anche la filologia più nuova del Bembo, tutta fondata sul concetto
di creazione artistica, non come furor o inventio platoniche, ma come imitatio
naturae e su una considerazione critica nuova della lingua», Branca, La
sapienza civile, cit. 130-131. 321 Bembo Pietro. De Aetna: il testo di Pietro
Bembo tradotto e presentato da Vittorio Enzo Alfieri, note di M. Carapezza e L.
Sciascia (Palermo: Sellerio, 1981) 35. 132 concreta se posta a
confronto con un altro testimone contemporaneo di Bembo, Gregorio Giglio
Giraldi322. Questi infatti nella sua lettera introduttiva a Renata di Francia
alla Historia Poetarum tam Graecorum quam Latinorum (1545), su uno sfondo tutto
boccacciano -- l’occasione della peste e la conseguente riunione di una piccola
brigada (il puer Pico della Mirandola e B. Piso) --, così si esprimeva nel
presentare la cornice diegetica del trattato: L'Alfieri, critico verso la
cecità dell'eruditismo dei vecchi filologi che si affannavano a congetturare e
spostare, sminuzzare e riattaccare i luoghi del poema lucreziano ( op. cit., p.
17 ), sintetizza ancora : “Il canto del sonno e dei sogni (vv. 816-1036) si
riattacca a quei canti precedenti, ai canti delle illusioni, e apre la via ai
versi contro la più terribile delle illusioni: contro l'amore. Ecco come viene
il sonno: una parte dell'anima è dispersa fuori, una parte si è raccolta nel
profondo della sua sede, e le membra si sciolgono, e manca il senso, perché i l
s e n s o è o p e r a d e l l'a n i m a; ma il senso non manca interamente,
perché, se no, non si potrebbe riaccendere mai più e sarebbe la morte. La causa
del sonno è la continua perdita di atomi da parte del corpo, perdita che
avviene specialmente per le incessanti percosse degli atomi aerei; e questi
versi sono bellissimi, nella narrazione dell'inavvertito conflitto, eppoi ( vv.
950-953 ) nella rappresentazione della sonnolenza, con versi rotti e con un
verso finale di grande dolcezza: ' poplitesque cubanti / saepe tamen
summittuntur virisque resolvunt, ' ' e quel che dorme si sente scioglier le
ginocchia e venir meno tutte le forze'. E il sonno segue al cibo e alla
stanchezza, perché allora è avvenuto un tanto più grave turbamento di atomi in
noi. Qui passiamo alle illusioni. Ognuno si sogna quello che è la sua
occupazione del giorno: gli avvocati sognano di trattar cause, il generale di
guidare eserciti alla guerra, il marinaio di lottare coi venti, Lucrezio
d'essere sveglio a scrivere il 'De rerum natura' ( vv. 962-970). Ed ecco quelli
che si sognano i pubblici spettacoli, dopo essersene storditi per tanti giorni;
i cavalli, che sognano le corse; i cani, che sognano la caccia e fiutano in
aria ve si agitano; gli uccelli si sognano di sfuggire ai falchi. Così gli
uomini: sanguinosi e paurosi sogni di re, sogni terrificanti di uomini che si
credono alle prese con pantere e leoni, e gente che parla dormendo e svela
tutti i propri segreti, e gente che immagina di morire o di precipitare da alti
monti, e gente che ha sete e si sogna di essere presso un fiume e di bere
infinitamente”.
E' come se all'interno di un'argomentazione piana, di
un'espressione variata, di un vocabolo già abusato, di un ritmo additivo
irrompessero sistematicamente una rivendicazione terminologica, un elemento
imprevisto, un segnale indecifrabile, un'interruzione del ritmo, un vestigio ad
investigare. Non cessano infatti di stupire, per vistosità e normatività,
un'accelerazione espressiva e un turbamento linguistico, i quali tuttavia,
anziché disperdersi in una sorta di dadaismo originario o di impazzire nel
gioco retorico, concorrono al prima e al poi della dimostrazione, alla
proporzione del dettato, alla simmetria e regolarità del verso. Essi stessi
riducibili a struttura, più simile ora ad un reticolo cristallino, ora ad una
tavola aritmetica, ora ad un ordinamento geometrico. Questa compresenza
dell'uno e del molteplice, del medesimo e del diverso, del codificato e del
nuovo -- responsabilità morale di annunciare un nuovo mondo. Linguistica, che
porta alla preoccupazione dell'iso-morfismo, al voler far combaciare vocabolo e
oggetto segnato ↔ segnante ordine linguistico ↔ ordine cosmico. La eversibilità
e convertibilità di ordine fisiologico o naturale, e di ordine “filologico” --
verbale. Anzi, la fisiologia irrelata e caotica sembra comporsi e prendere
forma in un divenire “caosmico” proprio grazie alla filologia, la quale
*ordina* sintammaticamente il molteplice -- il complesso nel semplice, nel
semplicissimo (atomon, indivisum), domina il caos, resiste alla morte ed
all'amore, e, anziché immaginare o assecondare l'esistente, lo ferma e se ne
appropria. A ut noscas referre earum primordia rerum cum quibus et quali
positura contineantur et quos inter se dent motus accipiantque, quin etiam
refert nostris in versibus ipsis cum quibus et quali sint ordine quaeque
locata. Namque eadem caelum mare terras flumina solem SIGNIFICANT, eadem fruges
arbusta animantis. Si non omnia sunt, at multo maxima pars est consimilis.
Verum positura discrepitant res. Sic ipsis in rebus item iam materiai
intervalla vias conexus pondera plagas concursus motus ordo positura figurae cum
permutantur, mutari res quoque debent. Atque eadem magni refert primordia saepe
cum quibus et quali positura contineantur et quos inter se dent motus
accipiantque. Namque eadem caelum mare terras flumina solem constituunt, eadem
fruges arbusta animantis, verum aliis alioque modo commixta moventur. quin
etiam passim nostris in versibus ipsis multa elementa vides multis communia
verbis, cum tamen inter se versus ac verba necessest confiteare et re et sonitu
distare sonanti. tantum elementa queunt permutato ordine solo; at rerum quae
sunt primordia, plura adhibere possunt unde queant variae res quaeque creari.
Analogia tra formazione di "verba" et versus e formazione res,
espressa dagli eadem e dal parallelismo tra "significant" e constituunt
resa esplicita nella spiegazione della paronomasia ignis/lignum iamne videas
eadem paulo inter se mutata creare gnis et lignum? Quo pacto verba quoque
ipsa inter se paulo mutatis sunt elementis, cum ligna atque ignis
DISTINCTA VOCE NOTEMUS. Costituenti minimi semantica (parola, sillaba,
articolazione, prima articolazione, seconda articolazione, terza articolazione)
↔ natura (radice -- atomo - molecula). Reversibilità dei co-efficienti dei
costituenti minimi, positura, motus, ordo, che già nella metafisica
aristotelica -- dell'aristotele perduto -- erano indicati come le sole e tutte
differenze che possono presentare tra loro le lettere. Circolarità tra realtà
fisica e linguistica con successione intrecciata delle argomentazioni nei due
passi elemento -- ELEMENTUM (gr. stoicheion) è costituente originario sia di
alfabeto che natura, secondo Democrito e Leucippo, fonte Metafisica,
Aristotele. Lo stoicismo, nella sua lotta contro l'epicureismo, sostiene la
legge finalistica del Logos come vera unica legge che indirizza la scrittura
delle opere e la formazione delle cose. Platone sostene l'esperienza letteraria
come micro-cosmo produttori del reale. Concurcus motus ordo positura figurae.
Sono documentati come 'produttori' del 'reale' (res, rerum) in Leucippo,
Democrito (dalla Metafisica) ed Epicuro e sono gli esatti sinonimi latini dei
termini greci (individuum, atomon; elementum, stoicheion, simple, simplice,
simplicissimum. Il verso è straordinario, dal punto di vista ritmico, tutto
spondaico, e semantico, essendo costituito da soli sostantivi elencati
a-sindeticamente, e culminante dal punto di vista fonico su ordo, quasi
palindromo, appena bi-sillabo. Un verso icastico, che riprende i termini già
esposti ma in ordine sparso e vi associa figurae, termine con una doppia valenza
(ma monosemia) materiale e linguistica. Numerose testimonianze nei testi
grammaticali latini fanno emergere la perfetta corrispondenza della
terminologia atomistica e linguistica, in quanto tutti i term9ni
"concurcus", "motus", "ordo" et
"positura" sono specificamente grammaticali. motus concursus gramm:
fenomeni fonetici: sinalefe (contrazione in un'unica sillaba di due vocali,
solitamente dittonghi), sineresi (contrazione in un'unica sillaba della vocale
terminante di una parola e di quella iniziale della successiva), iato (incontro
di vocali forti successive). Il “distaccamento”, l'”accostamento”, il
“mutamento” degli atomi convertono la natura delle cose nello stesso modo in
cui l'”omissione”, l'”aggiunta”, il “mutamento” delle lettere convertono l'identità
delle parole. Il modello grammaticale sembra in ogni caso essere preminente e
fungere da paragonante per scoprire e chiarificare i meccanismi del mondo
atomico, “ex apertis in obscura”, per rendere più semplice il passaggio
dall'esperienza sensibile della littera scritta all'invisibilità degli
infinitesimi atomi, elementa. Gramm: flessione (verbo) music: ritmo retor:
figura retorica ut potius multis communia corpora rebus multa putes esse,
ut verbis elementa videmus. L'assimilazione tra verba et res fornisce una
giustificazione e funzione della poesia, nonché annulla il divario tra poesia e
filosofia, aprendo la strada della ben più successiva divulgazione scientifica.
E' convinzione epicurea quella dell'iso-morfismo tra parole e cose, e tale
risulta nella costituzione del poema intero, costruito come un cosmo vero e
proprio. La valorizzazione di ogni singola parola, la sua attenta scelta si
riflette in un innalzamento a materia poetabile delle realtà anche più umili,
come “minerali, piante, fiumi, cielo, mare, terra, fiere, uomini”. Si crea così
una democrazia linguistica ante litteram, lontana dal buonismo religioso,
spesso degradato in ipocrisia, o dagli esperimenti novecenteschi degl'atomismo
logico di Russell, che demolendo la sintassi o creando l'enumerazione caotica
volevano demolire la società borghese e capitalistica e criticare la
massificazione elevando ogni singola parola, pur immersa nella sua massa
uniformemente bianca e nera che è il testo. Vittorio Enzo Alfieri. Alfieri.
Keywords: Lucrezio, l’implicatura di Lucrezio, la folla di Lucrezio, Croce,
filosofia romana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Alfieri” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51793159577/in/dateposted-public/
Grice ed Alfonso –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Santa Severina). Filosofo. Grice:
“I like Alfonso – no, he ain’t a Spaniard; the surname was pretty popular in
Southern Italy after the roaming of the Spaniards! And it’s ultimately
barbaric, that is, Goth!” “Typically, for a philosopher, a professional one, I
mean, he started with logic for teenagers (il ginnasio ed il liceo), but with a
twist – he called his lectures (his ancestor may testify) ‘logica reale,’ or
colloquenza reale – and he tried to criticse “il Vera,” who had written “Il
problema dell’assoluto.” “Like me, he has an interest in S is P and S is not P
(questo uomo no est sensibile). His first utterance is actually, NOT ‘the fat
cat sat on the mat, and as he sat on the mat, he saw a rat” – but the rather
naïf ‘il sole e luminoso.’ He gives two other examples, which are easy to
detect, since he does not use quotes but ITALICS!: “questo corpo est rotondo”
and “questa pianta fiorisce.” His idea, like mine, or Peacocke’s,, or Speranza,
is that that is pretty much enough to deal with the most serious problems in
philosophy: the judicatum, and its component Concetto 1 e Concetto 2 – “Questa
pianta fiorisce’” -- Un temperamento di spirito positivo e di evoluzionismo
idealistico, che attesta l’origine del suo metodo e la serietà dei suoi studi,
ma che dimostra pure quanto egli si sia discostato dall’indirizzo del Vera e
dello Spaventa per accostarsi a quella che fu chiamata la sinistra
hegeliana» (Luigi Ferri). Filosofo. Autore di 67 pubblicazioni
scientifiche e di numerosi articoli su riviste letterarie e quotidiani, alcuni
dei quali sulla Calabria e sui personaggi delle tragedie di William
Shakespeare, che gli fecero guadagnare l’attenzione internazionale per l’approccio
singolare alle opere del grande drammaturgo inglese. Nato a Santa
Severina il 17 agosto 1853 da una famiglia di proprietari terrieri, molto
giovane si dedicò all'approfondimento delle Sacre Scritture, grazie ai due
fratelli del padre, don Michele e don Francesco d'Alfonso, entrambi canonici
del Capitolo metropolitano della Cattedrale; questi studi, parte dei quali
furono pubblicati con il titolo “Le donne dei Vangeli” (Firenze, Successori Le
Monnier), manifestano un approccio *positivista* sull'analisi del testo
biblico. Terminati gli studi nel suo paese natale si trasferì a
Catanzaro, dove fu allievo del letterato e patriota rocchitano Vincenzo
Gallo-Arcuri. Frequenta poi il Liceo Ginnasio "Pasquale Galluppi",
conseguendo la licenza ginnasiale. Ottenne in seguito la licenza liceale con
lode al Liceo classico del Convitto nazionale "Vittorio Emanuele II"
di Napoli, che gli fece valere, su concessione del Ministero della Pubblica
Istruzione, la possibilità di iscriversi contemporaneamente alle facoltà di
Medicina e di Lettere e Filosofia presso la Regia Napoli. Alla facoltà di
Filosofia, dove, allievo di Sanctis, Vera e Spaventa, ottenne vari riconoscimenti.
Conseguì entrambe le lauree in Medicina e Chirurgia e Filosofia, a soli tre
mesi di distanza l'una dall'altra. I Lincei gli assegono il Premio Reale per le
Scienze filosofiche e morali, consistente in 4.000 lire, per lo studio dal
titolo “Kant. I suoi antecessori e i suoi successori”. Su espressa volontà del
padre fece ritorno a Santa Severina, dove esercita la professione di medico
condotto. Ma la passione per la filosofia e l'insegnamento prevalse e partecipò
ai concorsi a cattedra per i licei, iniziando a insegnare Filosofia in Sicilia
(Caltanissetta, Messina e Catania). Da questa esperienza di insegnamento
cominciarono ad evidenziarsi sempre di più le sue qualità didattiche, tant'è
che il ministro della Pubblica Istruzione Paolo Boselli lo convocò a Roma per
affidargli la cattedra di Filosofia nei licei della Capitale: prima al Liceo Ginnasio
"Umberto I" (dove insegnò dal 1889 al 1909) e poi al Liceo
"Ennio Quirino Visconti". Nello stesso periodo cominciò a collaborare
con le più importanti riviste letterarie, tra cui il Nuovo Convito, la Rivista
d’Italia, la Rivista moderna politica e letteraria, la Rivista italiana di
filosofia, la Nuova Antologia, L’Educazione, la Rivista italiana di Sociologia,
la Rivista di filosofia e scienze affini e con diversi quotidiani, tra cui
L'Osservatore Romano. Nel 1890 fu chiamato dal ministro della Pubblica
Istruzione Paolo Boselli ad insegnare Pedagogia e Filosofia all'Istituto
Superiore Femminile di Magistero, dove, in seguito a concorso, divenne Professore
dal 1903 al 1923. Ebbe come colleghi Luigi Pirandello, Maria Montessori e Luigi
Capuana. Durante i trantaquattro anni di insegnamento al Magistero, fu relatore
di oltre trecento tesi. Per il Dizionario illustrato di Pedagogia, curato da
Luigi Credaro e Antonio Martinazzoli, redasse la voce Istituti Superiori
femminili di Magistero. Dal 1896 fu anche libero docente di Filosofia teoretica
alla Regia Roma, dove insegnò ininterrottamente fino al 1933, anno della sua
morte. All'insegnamento affiancò sempre una prolifica attività di
scrittore, pubblicando complessivamente sessantatré opere, recensite in Italia
e all'estero, che spaziano dai temi dell'educazione e della morale all'economia
politica, dagli studi sull'ambiente e sulle foreste all'analisi criminologica
dei personaggi shakespeariani. Il suo Sommario delle lezioni di pedagogia
generale (Loescher, 1912) fu giudicato dalla Reale Accademia dei Lincei «frutto
d'amorosa meditazione e di mente abituata alla ricerca e alla costruzione
filosofica, che esce dai confini degli ordinari trattati di pedagogia per
elevarsi ad una sintesi mentale superiore». Tenne la prolusione
all'Universal Congress of Races di Londra, che fu poi pubblicata col titolo “Speculative
psichology and the unity of races” (E. Loescher & Co), e fu membro del VI
Congrès international du progrès religieux a Parigi. Fu consulente medico della
Real Casa d'Italia durante il regno di Umberto I e del Palazzo Apostolico
Vaticano sotto il pontificato di Benedetto XV. Mai volle aderire ad
alcuna corrente filosofica e politica, e fu fortemente avversato dal ministro
della Pubblica Istruzione Gentile,che decise di mandarlo anzitempo in pensione
con un provvedimento ad personam. Si tratta del Regio Decreto n. 736 del 13
marzo 1923, all'interno della Riforma Gentile, che anticipa, per i soli
professori del Magistero, il collocamento a riposo al compimento del
settantesimo anno anziché al settantacinquesimo, come per gli altri docenti
universitari. Il suo posto fu immediatamente occupato da Radice, amico di
Gentile. Anche Croce intervenne nella vicenda in favore di d'Alfonso, chiedendo
a Gentile una deroga a tale decreto, ottenendo però risposta negativa. La
salma fu portata sulla carrozza della Real Casa e seppellita nel Cimitero
monumentale del Verano. Il paese natale, Santa Severina, gli ha
intitolato una via del centro storico e la Scuola elementare. Opere: “Le
donne dei Vangeli, Firenze, Successori Le Monnier); “Sonno e sogni” (Milano-Roma,
E. Trevisini); “Principii di logica reale” (Roma, G. B., Paravia & C.); “Il
re Lear” (Roma, Società editrice Dante, Alighieri); “La dottrina dei
temperamenti” (Roma, Società editrice Dante, Alighieri); “Lezioni elementari di
psicologia normale” (Torino, Fratelli Bocca editori); “Pregiudizi sull'eredità psicologica
(genio,delinquenza, follia)” (Roma, Società editrice Dante Alighieri); “I
limiti dell'esperimento in psicologia” (Roma, Casa editrice E. Loescher); “Sommario
delle lezioni di filosofia generale (la filosofia come economia)” (Roma, Casa
editrice E. Loescher); “Lo spiritismo secondo Shakespeare, E. Loescher &
C.); “Sommario delle lezioni di Psicologia criminale. Critica delle dottrine
criminali positiviste, Roma, Casa editrice E. Loescher); “Il Cattolicismo e la
filosofia, Roma, Casa editrice E. Loescher); “Otello delinquente, Casa libraria
editrice E. Loescher e C. Sommario delle lezioni di pedagogia generale
(L'educazione come economia)” (Roma, Casa editrice E. Loescher); “Note
psicologiche, estetiche e criminali ai drammi di G. Shakespeare (Macbeth,
Amleto, Re Lear, Otello)” (Milano, Società Editrice Libraria); “Principii
economici dell’etica”; “Naturalismo economico”; “Principi naturali di Economia Politica”
(Roma, Athenaeum); “Gli alberi e la Calabria dall'antichità a noi” (Roma, Angelo
Signorelli editore); “La disoccupazione: cause e rimedi” (Torino, Fratelli Bocca
editori. Nicolò d'AlfonsoIl del Sud Furio Pesci, Pedagogia capitolina.
L'insegnamento della pedagogia nel Magistero di Roma, Parma, Ricerche
pedagogiche, 1994 Francesco d'Alfonso,
Nicolò d'Alfonso. Ritratto di un intellettuale indipendente, Bisignano, Apollo
edizioni, , pag. 42 Francesco d'Alfonso,
Nicolò d'Alfonso, cit Attilio Gallo-Cristiani, In memoria del filosofo Nicolò
d'Alfonso, Roma, A. Signorelli editore, 1934
La vicenda del pensionamento di Nicolò d'Alfonso è ricostruita e
ampiamente documentata in Nicolò d'Alfonso. Ritratto di un intellettuale
indipendente, cit., cap. V Francesco
d'Alfonso, L'onesto solitario. Vita e opere del filosofo Nicolò d'Alfonso,
Reggio Calabria, Città del Sole edizioni,
Francesco d'Alfonso, Nicolò d'Alfonso. Ritratto di un intellettuale
indipendente, Bisignano, Apollo Edizioni,
Francesco d'Alfonso , Amleto e Ofelia. La critica shakespeariana negli
scritti di Nicolò d'Alfonso, Reggio Calabria, Città del Sole edizioni, Furio Pesci, Pedagogia capitolina. L'insegnamento
della pedagogia nel Magistero di Roma Parma, Ricerche pedagogiche, 1994 Attilio
Gallo Cristiani, In memoria del filosofo Nicolò d'Alfonso, Roma, A. Signorelli
editore, 1994 Mariantonella , Giovanni Marchesini e la «Rivista di filosofia e
scienze affini», Franco Angeli Daniele
Macris, Nicolò d'Alfonso: uno studio introduttivo, in Quaderni Siberenensi,
Catanzaro, Ursini, Francesco De Luca, Santa Severina. L'antica Siberene,
Pubblisfera edizioni, Antonio Testa, La critica letteraria calabrese nel novecento,
L. Pellegrini editore, 1968 Silvio Bernardo, Santa Severina dai tempi più
remoti ai nostri giorni, Istituto editoriale del Mezzogiorno, 1960 Santa Severina Università La Sapienza di Roma
Accademia dei Lincei Liceo classico Pilo Albertelli. Il prof.
Nicolò D'Alfonso presenta : 1) Note psicologiche, estetiche e crimi n a l i a i
g r a m m i d i G . S h a k s p e a r e M a c b e t h , Amlet o , R e L e a r ,
O t e l l o - ( s t .) ; 2 ). U n a nuova fase dell'economia politica ,
(st.);3) Speculative psychology and the unity of races (st.); 4) « Il
cattolicismo e l'insegnamento della storia del cristianesimo nell'Università di
Roma , (st.);5) - La filosofia della storia nel nostro tempo -; 6) -G. C.
Morgagni e la biologia moderna »;7) «In Calabria». Il prof. D'Alfonso, come già
risulta dall'elenco dei lavori presentati, s'è occu pato di argomenti
disparatissimi, senza che però, a giudizio unanime della Commis sione, egli sia
riuscito a trattarne alcuno con metodo scientifico. Per la più parte sono articoli
occasionali e informativi, discorsi, prelezioni, ma invano si cercherebbe
un'indagine compiuta con intento scientifico. Le nole psicologiche sui drammi
dello Shakspeare, che del resto sono una ristampa di articoli pubblicati già
parecchi anni addietro, per molti rispetti sono pregevoli, contenendo
osservazioni giuste, e in ogni modo attestano l'amoroso studio che l'A. ha
fatto dei drammi dello Shakspeare ; ma , a giudizio unanime della Commissione,
non sono titolo sufficiente per l'assegno del premio a cui il D'Alfonso aspira.D'ALFONSO
NICOLA. -E'un insegnante che ha una lunga eonorata carriera,emolti s s i m e p
u b b l i c a z i o n i. M a q u e s t e c h e p u r c o n t e n g o n o m o l
t i p r e g i , r i g u a r d a n o l a p s i c o logia,lalogicaelapedagogia
Lastessaoperaches'intitola:«Saggiodifilosofiamo. rale »,è un saggio di
psicologia applicata alla critica dell'antropologia criminale.«Il Somm a r i o
d e l l e l e z i o n i d i f i l o s o f i a g e n e r a l e ( l a f i l o s o
f i a c o m e e c o n o m i a ) i n c u i il D ’ A l fonso espone i concetti
cardinali del suo pensiero, non tratta propriamente problemi morali,al cui
studio non arreca contributo notevole l'opuscolo « Principi economici
dell'Etica ». Formulati in questo modo i giudizi riassuntivi intorno ai
quattordici candidati, e vagliati comparativamente ititoli di ciascuno, e
tenuto conto infine dell'esito della prova orale, la Commissione procedette
alla votazione definitiva, secondo le norme dell'art. 113. La terna risultò
così concepita in ordine alfabetico : Calò Giovanni con tre voti favorevoli e
due contrari; Ferrari Giuseppe Michele, con tre voti favorevoli e due contrari
; Orestano Francesco, a voti unanimi. Due voti riportò ilcandidato Zini.
Essendosi quindi proceduto alla graduazione dei tre candidati designati per la
terna , in ordine di merito, si ebbe il seguente risultato : 1°Orestano
Francesco con voti quattro contro uno; 20 Ferrari Giuseppe Michele con voti tre
contro due ; 3°Calò Giovanni con voti tre contro due. Ilcandidato Calò ebbe un
voto come primo nellaterna. La Commissione pertanto propone a V. E. di nominare
il dott. Francesco Ore . stano professore straordinario di filosofia morale
presso l'Università di Palermo. Roma, 11 aprile 1907. Il Consiglio Superiore di
Pubblica Istruzione, esaminati gli atti del concorso,li riconobbe regolari e
nell'adunanza dell'11 maggio 1907 deliberò di restituirli al Ministero senza
vazioni. La Commissione Osser. -- quando un maggior numero di
uomini si strinsero in rapporti fradi loro e furono animati dal *fine comune* (mutual
goal) di *aiutarsi* (reciprocal helpfulness) nel superare le difficoltà per la vita, onde
sivideilgrande vantaggio del lavoro collettivo, questo fatto ebbe una grande
importanza per quegli uomini e pei primordi dell'umanità in genere.Fu allora
necessaria la dimora fissa in un luogo, ciò che dovea A. LA STORIA DEL
LINGUAGGIO. diminuire loro idisagi e le incertezze del domani.Si
preferi di dimorare presso le rive dei fiumi, dei laghi e del mare,che
offrivano certi vantaggi. Risoluto il problema dell'esistenza nell'oggi, fu
reso possibile il tentativo di produrre pel domani, allora si principio ad
allevare il bestiume ed a coltivare la terra, prendendo insegnamento, come
potevano, dalla natura. Allora fu reso maggiore il bisogno di *esprimersi*
(express ourselves) e d'*intendersi* (comprehend ourselves) in un più largo
ambito e nacque nell'uomo il desiderio di ben provvedere al suo avvenire, à
quello della tribů o della piccola società ed a ricordare la vita passata per
trarne insegnamento per l'avvenire. Fu reso ancora necessario il tradurre in
segui materiali, e perció più memorabili, I rumori e le voci di *espressione* :
prima origine della scrittura e della lettura. Ma,anche in questocaso,quando
nonsitrattavadi do vereriprodurre l'immaginesensibiledelle cose,ma di u sare
segni più o meno facili ad eseguire e da connettere alle parole, ciascuno
dovette significare da principio in modo
affattoarbitrarioedinintelligibileaglialtrilepro prie rappresentazioni; e solo posteriormente
per mezzo di accordi alcuni *segni* (segnante/segnato) furono ricunosciuti da parecchi
siccome *esprimenti* alcune date *rappresentazioni*. Si *stabilirono* (Grice –
established procedure) cosi tanti segni (segnante, segnato) per quante erano le
parole in uso. Però un cosiffatto costituirsi della società primitiva non
avvenne per un aggruppamento solo, in un solo sito, di uomini e di famiglie.
Dato invece il continuo dirimersi e disgregarsi degli uomini preistorici, bisogna
ammettere che sia dovuto avvenire, isolatamente, in vari punti della superficie
della terra; e per ciascuna piccola società dovettero stabilirsi speciali segni
di scrittura e di lettura. Questi movimenti d’emigrazione e
d'immigrazione, di conquiste, raggiunte con la violenza o con lacalma e l'astuzia,
furono più frequenti nei primordi della storia; poichè in quei tempi non tutti
i bisogni individuali e sociali dell'uomo potevano essere sollecitamente
soddisfatti, quantunque fosse stato prepotente in lui il desiderio di soddisfarli.
E poichè ogni gruppo sociale migrante, come avea un complesso di parole, cosi
poteva avere un complesso di *segni* a quelle corrispondenti, avvenendo lo
stesso per la società che subiva l'immigrazione o il dominio, con la mescolanza
degli uomini dovette ancora avvenire una mescolanza di differenti linguaggi. In
questo caso il gruppo sociale più potente dovea esercitare il suo dominio sul
popolo nuovo arrivato o sul debole. Era necessario perciò che gl'imponesse
anche la propria lingua, altrimenti non sarebbe stata possibile la
comunicazione degli animi, prima condizione al vivere. Queste società col
vivere a lungo in un sito andarono incontro ad alcuni disagi per lo
sfruttamento del terreno non ancora coltivato secondo le leggi naturali o per
la distruzione degli animali boschivi o infine perchè il loro sviluppo sociale
dovea far loro avvertire nuovi bisogni o per dar nuove esplicazioni alle loro
energie. Nacque perciò in loro o in parecchi di essi il bisogno di avvicinarsi
ad altre società, sia per offrire a queste i prodotti particolari del loro
suolo e della loro industria e rice verne altri; sia per offrire loro le proprie
energie organiche dalle quali volevano trarre un profitto. L'avvicinamento e poi
la reciproca compenetrazione degl’animi avvenne per via pacifica o per laviolenza
e la forza, onde la società sopravvegnente sottomise a sè l'indigena.
-- sociale. Ma si deve anche ammettere che il popolo vinto o il nuovo
abbia in parte contribuito a modificare la lingua dell'altro, non potendosi
ammettere che esso si fosse potuto così facilmente e presto privare della sua
lingua abituale e l'altro non ne avesse subita alcuna modificazione. Cosi,come
la parola (del greco parabola), anche altri segni dovettero subire molteplici
metamorfosi in ragione del vario congregarsi e disgregarsi degli uomini, in ra
gione dei vari influssi che quelle società esercitarono fra di loro. E quando
in mezzo alla vita indeterminata delle società primitive sorse un popolo
energico e forte che acquisto di sè una coscienza superiore a quella degli altri
popoli che si sforzò di soggiogare e di dominare ed impose loro i suoi costumi,
le sue credenze, fu quello il primo popolo veramente storico e allora la lingua
di esso fu imposta ai vinti ed ammesso riconosciuto da questi. Ma un popolo che
sappia esercitare il suo dominioè destinato a vivere e a perpetuarsi. È
necessario allora che esso diventi qualche cosa di organico, che abbia un
ordinamento interno, che abbia leggi ed istituzioni. Un popolo cosi costituito
è costretto a conservare ed a coltivare la propria lingua, dando un valore
determinato alle proprie parole; perchè solo cosi è possibile il governo che
deve implicare la stabilità delle leggi e della istituzioni alle quali deve
perció connettersi una lingua determinate e fissa, altrimenti quel popolo
ricadrebbe, come, malgradociò, tende sempre a ricadere, allo stato primitivo di
disgregamento. In un popolo che vive e dura la lingua deve non solo fissarsi ma le parole di
cui consta debbono moltiplicarsi. E ciò non può non ammettersi se si considera
che una società che vive non può non compiere,per mezzo degli individui che la
costituiscono, un'attività psicologica scrutativa e conoscitiva sulla natura
circostante. Questa che da principio apparisce come qualche cosa di molto
semplice, come un tutto a sè, in ragione che più si esercita l'attività umana
sopra di essa,apparisce distinta in una molteplicità di gradi o di oggetti i
quali alla loro volta da prima appariscono indeterminati nelle molte proprietà
di cui risultano e, progressivamente, appariscono sempre più determinati. Tale è
stato il movimento della conoscenza dai primordi della storia sino ai nostri
tempi e non si è peranco arrestato. Di nessun oggetto si può dire che esso sia
stato cosi studiato ed analizzato in tutte le sue note,in tutti i suoi
rapporti, che un ulteriore studio nulla di nuovo potrebbe darci. Quantunque
questo processo di scrutazione e di conoscenza si sia eseguito sopra ogni cosa,
pure non tutti i popoli hanno all'istesso modo fatte le loro conquiste in ogni
ramo della realtà. Giacchè alcuni hanno scrutato un ramo ed hanno lasciato intatto
un altro di essa e, conseguentemente, la lingua si è più arricchita in quella
regione della natura che non in un'altra. Inoltre è avvenuto nella storia che,
come gli uomini hanno fatto un progresso nel campo della conoscenza, si sono
ingegnati di servirsi delle loro cognizioni per modificare la natura esteriore
a loro profitto, producendo una molteplicità di beni e sovrapponendo cosi
all'opera della natura una nuova creazione che è quella dell'arte. Tutte
le istituzioni sociali sono creazioni dello spirito, -- Cosi quando
un popolo emerge nell'arte della guerra e delle conquiste, come il popolo
romano, deve anche creare una nomenclatura in cose militari e guerresche. Giacchè,
anche in questo caso, ogni nuova veduta, ogni nuova invenzione, per quanto
possa sembrare poco apprezzabile, pure deve essere contrassegnata dalla sua
parola. Tale lingua non poteva riscontrarsi nei popoli che, nel movimento
storico, precedettero quelli. Ed allora la nuova lingua potrà inprosieguo divenire
patrimonio di nuovi popoli; perchè le conquiste di una nazione nel campo della
conoscenza e dell'attività pratica tendono a divenire patrimonio ed eredità
delle altre nazioni, Una nazione che emerga nel mondo pel suo dominio sul mare,
ciò che non può avvenire senza la costruzione di vascelli di meravigliosa
complicazione, come il popolo ligure, deve creare una nomenclatura marinaresca,
sia per le varie parti e di vari apparecchi di cui consta un vascello, come per
la loro funzione e per gli uomini che vi si addicono, nomenclatura che *prima
della formazione di quei vascelli non avea ragion d'essere* e che ora deve
essere accettata dalle altre nazioni che vogliono costruire nelle quali
se la natura interviene, essa non vi è come puramente tale, ma rianimata da un
nuovo soffio. La storia ci fa vedere che ogni società civile ha prodotto
qualche cosa di particolare in un ramo delle istituzioni sociali; o nelle leggi
o nell'industria, nel commercio, nell'arte militare, nelle belle arti, nella
religione, nella scienza. Corrispondentemente a questo progresso nell'attività
intellettuale e pratica, nuove forme particolari debbono sorgere che
contribuiscono ad accrescere la somma delle parole di un popolo. -- navi
di quei tipi o forme, onde quelle parole genovese o ligure debbono in massima
parte essere accettate come tali dalle altre nazioni. Anche una nuova e grande
religione, come il culto di Marte, il dio della guerra dai romani, dovette
formarsi una nuova lingua relativamente alle antiche religioni, quantunque
alcune parole di queste siano state conservate nella nuova religione,
all'istesso modo che qualche cosa del contenuto delle prime religioni si perpetua
nel contenuto delle altre. E, poichè la religione, sopra tutto la religione istituta
dal primo principe, Ottaviano, compe netra ed informa tutti gli aspetti della
vita individuale e sociale, esercita la sua azione modificatrice nella lingua
di tutte le istituzioni sociali. Nel culto romano di Marte troviamo parole che
hanno un contenuto differente da quello che avevano nei popoli precedenti o che
non ancora hanno accettato il Cristianesimo, quantunque le stesse parole
possano prima essere state usate.E, poichè il Cristianesimo è stato il punto di
partenza di un grande e lungo svolgimento artistico, teologico e filosofico,
informato ai suoi principii, si è dovuto ancora produrre una lingua atta a rendere
in tutti i loro elementi le nuove e grandi concezioni. Cosi l'attività pratica
sociale e le istituzioni contribuiscono a fare arricchire la lingua latina dei
romani. Ma infondo a questo progresso linguistico sociale dobbiamo trovare come
principale fattore l'attività individuale di un Cicerone, di un Lucrezio, di un
Varrone, di un Romolo! Come avviene delle nazioni che non fanno un passo
innanzi nel progresso dell'umanità se non per l'opera dei grandi uomini che
esse nondimeno hanno creato eeducato, avvieneanche pel progredire della lingua
dialettale – o soziale – altre l’idioletto. Giacchè gl'individui in quanto
vedono aspetti nuovi della natura o della vita s o -- Però da principio
essi hanno ricevuto dalla società in seno alla quale sono nati e cresciuti un
linguaggio che era patrimonio comune a molti ; essi l'hanno solamente
arricchito in quel ramo di attività nella quale hanno espli cato la loro
energia e,se questa riguarda immediatamente la vita del popolo,potranno le
nuove parole divenir popolari, altrimenti rimarranno sempre chiuse nella
cerchia dei pensatori e degli studiosi. Così la lingua filosofica di Cicerone non
è popolare o ordinario o volgare come non è popolare o ordinaria o volgare la
filosofia, mentre il linguaggio della religione e dell'arte potrà più fa
cilmente scendere sino al popolo e divenire suo patrimonio; perchè esse al
popolo sopra tutto s'indirizzano ed in esso debbono trovare alimento. --
Pertanto se la lingua dell'arte, della filosofia, della storia differiscono in
qualche modo fra di loro, differisce anche la lingua di un cultore di quella
data branca di attività umana da quello di un altro.Così il idoletto o idioma
di Platone differisce da quello di Aristotele e di Hegel. La lingua,
l’idioletto, o l’idioma di Omero differisce da quello di Aligheri, di
Shakespeare e di Goethe. La lingua, l’idioletto o l’idioma di Tucidide e di
Erodoto differisce da quello di Livio, di Tacito, di Machiavelli. E ciò perchè
ciascuno scrittore impiega nella realtà che studia e perciò nella lingua che
trova e contribuisce a creare, quella sua attività particolare che - -
-47 -- ciale contribuiscono a formare la lingua ed imprimono parole nuove a nuovi
fatti reali che si sono scoperti od escogitati. Ippocrate, che fu il fondatore
della scienza medica nell'antichità, fu anche il creatore della lingua medica
che si conserva in fondo alla compless lingua medica moderna. Cesare dette
nuove determinazioni ed una più grande precisione alla lingua militare.
-- lo spinge ad usare nuove parole o a dare un nuovo contenuto o segnato
a vecchie parole o it nobilitarle o a degradarle. In questo modo la lingua di
un popolo che, come ogni conquista dell'uomo e dell'umanità, tende a sminuire e
a perdersi, è sostenuto dalla vita nazionale ed è migliorato dal progresso che
essa fa in ogni ramo dell'atti vità umana. Il suo progresso va di pari passo
col progresso dell'umanità, all'istesso
modo che il decadere di questa trae seco il decadere della lingua. Una nazione
mantiene integralmente la sua lingua quando una sola vita ed un solo pensiero
circolano in essa quando vi è, cioè, unità nazionale, onde tutti i cittadini
hanno la stessa educazione, la stessa coltura, le stesse aspirazioni, volgono
la loro attività allo stesso fine collettivo, partecipano intimamente agli
avvenimenti nazionali, sono animati dello stesso spirito religioso, artistico.
Quando lo spirito nazionale si affievolisce o cade, tendendo allora la lingua a
degradarsi, la scuola apparisce come una sostituzione alla vita sociale, la quale
può creare il culto della lingua nazionale, facendo interpretare e gustare i
capilavori letterari, storici e politici che quella data nazione possiede. In
questo caso la scuola può creare un movimento per un nuovo risorgimento
nazionale e per mezzo di essa può la lingua durare e vivere anche quando le
istituzioni che la formarono e la sostennero son decadute. Ma se in quei casi la
scuola manca, tutto va in rovina. Nella scuola va incluso anche il culto
per l'arte, quando questa non rappresenti il puntosalientedella vita nazionale,
come avvenne in Grecia la quale dovette la popolarità di quella meravigliosa
lingua primieramente al culto per Omero I cui canti, artistici e
religiosi insieme, venivano imparati a memoria e ripetuti e cantati da tutto il
popolo. La religione ha anche essa una grande potenza a mantenere in vita una
lingua, quando ogni altra istituzione sia perita in una nazione; perchè essa,
tendendo a difondere un complesso organico di principii e di massime a tutto un
popolo, in modo che tutti gl'individui vengano illuminati e spinti all'azione
da essa (e già la religione esercita la sua azione in tutti i fatti della vita,
onde la lingua religiosa penetra in ogni cosa), deve tenere perciò vivo il
culto per la lingua nazionale. Quando queste condizioni mancano la lingua
sidiscioglie,soprat tutto se quella nazione continua ad essere ilcentro d'im
migrazionedialtripopoli,come avvennedell' Impero Ro mano dopo la sua caduta,in
cui, con la invasione dei barbari, quando la scuola mancava, nuovi linguaggi e
nuovi costumi penetrarono che dovettero affrettare la disorganizzazione di quella
lingua in tanti linguaggi particolari a varie provincie e luoghi, varianti fra
di loro secondo che varie erano le nuove condizioni di ciascuno. Alcuni di
questi particolari dialetti più tardi divennero
ancheessinuovelingue,quandoapparvero ipoeti,gli
oratori,glistorici,ilegislatori,ireligiosi, i quali, per adattarsi al popolo al
qualedoveano volgerel'operaloro, dovetterobeneconoscereilnuovolinguaggio
ed,usan dolo, gli accrescevano prestigio e destavano il culto per esso. In
questo modo una grande lingua si discioglie e gli altri linguaggi che vengon fuori
da quella dissoluzione possono di nuovo nobilitarsi e divenire storici. La
lingua tedesca non sarebbe divenuta una nobile e bella lingua se Lutero,col
movimento religioso che egli. Risulta da quel che si è detto che non è stato un
solo il popolo storico, ma vari,quantunque però si debba a m mettere che questi
si sieno manifestati in una regione piuttosto che in un'altra del mondo e che
vi sieno stati p o poli storici di cui non sono rimaste vestigia;perchè la
parte che essi hanno rappresentato per la storia dell'u manità in genere non è
stata di grande importanza, onde non sono divenuti centro di attrazione di
altri popoli e non hanno avuto perciò l'energia di sottometterne e di dominarne
altri. All'istesso modo che ogni popolo ha una storia parti colare e comparisce
e sparisce dal teatro del mondo e ad un popolo si succedono altri popoli ed
ognuno ha la ere dità degli altri ed ha insieme aspirazioni, tendenze ed uno
spirito proprio,si foggia ancora in modo particolare la propria lingua. E come
il suono o la voce è l'espres sione dello stato interiore psichico
indeterminato dell'a fondo ed inizio, in cui dovea avere gran parte la
cultura del popolo, non avesse destato un culto per essa.I grandi poeti
tedeschi, gli storici, i filosofi, gli scienziati,animati dallo spirito della
riforma,contribuirono poi a rendere importante nel mondo e nella storia quella
lingua. L'a vere la Grecia conservata, dopo la sua caduta, la sua antica lingua
la quale, tenuto conto dei mutamenti necessari che in essa son dovuti avvenire
pel progresso del pensiero umano, si è continuata nella lingua greca moderna, si
deve all'essere essa, dopo la sua caduta, stata quasi tagliata fuori dal grande
movimento del mondo, il cui centro divenne ROMA, e al non essere più essa stata
fatta segno alle invasioni e alle immigrazioni di altri popoli. Quando, dopo la
rovina dell'impero romano,il pen - -- animale o dell'uomo, anche la
lingua, nel complesso si stematico delle sue parole , è l'indice dello stato
intellet tuale di un popolo,della sua storia,del grado dellasua eticità,della
sua energia,delle sue aspirazioni economi che, artistiche, sociali, religiose, scientifiche.
Sicchè, conosciuta la lingua di un popolo, ci è dato conoscere la sua vita
naturale e spirituale; perchè nulla è nella vita naturale e spirituale degli
uomini che non sia in qualche modo nel suo linguaggio. Diciamo in qualche
modo,per «chè la lingua non è l'espressione perfetta della vita e del movimento
della psiche. Le parole di cui il linguaggio consta sono sempre vi 'brazioni
tradizionali,empiriche o convenzionali per espri mere alcune rappresentazioni o
azioni o energie delle cose;'sono perciò involucri naturali ed estrinseci in
cui si avvolge la coscienza e la mente per esprimere la realtà delle cose e
degli avvenimenti ; la cui ricchezza di par tivolari, d'intrecci e di energie è
profonda ed inesauribile. Sono perciò una pallida immagine della realtà e della
mente,quantunque siano però qualche cosa di superiore e di più perfetto
relativamente al linguaggio indetermi
nato.Equandovièdissdiotrarealtàelingua,dimodo .che quella apparisce alla mente
nel suo progresso di complicazione,mentre la lingua si pietrifica, questa
diviene un impaccio alla espressione dellamente che di continuo si muove e si
svolge; ed è solo rompendo questo in volucro sensibile e dandogli un valore più
nuovo e più altochesi possonointendereemanifestarelepiùascose pieghedel
pensieroedella mente;giacchè per inten dere il pensiero non vi vuole che il
pensiero. Ad ogni modo la mente nella sua progressiva forma-. zione si
sforza di creare il suo linguaggio ; perchè il linguaggio serve pel pensiero ;e
foggia nuove parole o nuove combinazioni di parole o dà un nuovo significato
alle vecchie parole. E perció la storia ci fa vedere che quelle nazioni che
sono state ricche di pensiero,co inella sfera di attività pubblica e
sociale,come nella s'era artistica, religiosa, scientifica, hanno avuto una
lingua an corariccadiparole,dilocuzioni,diflessioniper espri mere i più
fuggevoli moti della realtà e dello spirito ; ed in quella nazione in cui la
vita del pensiero è stata poverit o nascente si è ancora avuta una lingua
povera . di parole e di uso. Ciascuno di questi gradi dell'evoluzione del
linguaggio è l'espressione dello stato psichico e cerebrale di quei dati
popoli, stato in parte ereditato in parte acquisito ; dello stato degli organi
vocali e dell'ambiente cosi na turale come etico che gli uomini si sono creato
ed in cui sono vissuti.Queste tre seriedi fattori hanno la parte principale
nella storiadel linguaggioe,secondo il grado. -- del loro accordo dello sviluppo
di esso, costitu'scono la lingua peculiare di un dato popolo. -- siero cristiano che porto seco una nuova
civiltà,più pro fonda e più complessa della romana, a poco a poco si sostituiva
alle vecchie istituzioni, LA LINGUA DEL LAZIO non potè essere più adatta ad
esprimere il nuovo pensiero, sopra tutto dopo le invasioni barbariche; e se fu
colti vata dalla Chiesa e dai dotti,questi per entrare in re lazione col popolo
e partecipare perciò alla vita.nazio nale, dovettero usare il vulgare. Qualche
cosa di analogo avviene nella storia dell'in è psicologicamente
molto simile agli animali, emette an .che esso dei suoni indeterminati. Ma in
ragione che ac . quistano maggior sviluppo i sistemi del suo organismo e gli
organi vocali e le sensazioni acquistano maggior pre cisione funzionale, il
bambino si assimila gli elementi delle voci o delle parole che ode intorno a
sè,assimila zione che è resa facile da predisponenti condizioni ere ditarie, le
riferisce alle cose con cui è in rapporto, le fissa nella memoria, si sforza di
pronunciarle,riuscendovi male da principio;ma dopo unalunga esercitazione,ar
riva a pronunziare bene ed a mano a mano non solo al cuni monosillabi, ma anche
parole più o meno semplici. Nella storia del fanciullo si ha insomma come
riepilogo quello che è avvenuto nella lunga storia dell'umanità ; cosi il bambino
da poco nato non ha altro modo per esprimere isuoi stati interni che
ilgrido,ilpianto,che sono poco più che un moto riflesso, una forte sensazione
che si estrinseca per le vie del respiro. - dividuo. Come il grido
indefinibile che l'animale emette •è l'espressione dello stato indeterminato
dei sentimenti che lo agitano e dello stato informe delle rappresenta
zionichelomuovono,come dellapovertàdeicentridelsuo :sistema nervoso, cosi il
bambino che nei suoi primi anni 53 Abbiamo usato promiscuamente la parola
linguaggio e lingua ; m a è bene dichiarare che la lingua implica m a g giori
determinazioni che non il linguaggio che è qualche cosa di più generale ed
inderminato relativamente ad essa. La linguaè un linguaggio
divenutoclassicoostorico,con nesso cioè ad una vita nazionale, per cui ogni
parola ha una storia e le cui origini si possono seguire anche in altri
linguaggi che sono presupposti della lingua che si Dopo che le
parole son divenute storiche, sono state cioè connesse ad un segno materiale,possono
continuare, sopra tutto in tempi in cui le lingue si formano, ad a vere una
storia circa alla loro struttura. Ed anzi tutto pare non si debba ammettere che
, quando LA LINGUA PREISTORICA abbia principiato a divenire STORICA, si fossero
tra dotte in segni materiali tutte le parole parlate. Invece si deve aminettere
che queste dovettero essere moltissime neila
lorogradazionedipronunziadaindividuoad iudiv'duo, da tribà a tribù, per la
ragione detta precedentemente. E quando si volle tradurre in segni una parola
la quale aveva immense gradazion ,essi furono appunto quasi una. somma di una
molteplicitii di parole parlate le quali se: poterono fissarsi in segni non
poterono però definitivamente fissarsi in un tipo di vibrazione fonica ad esse
corrispon denti,quantunque pero questo fosse stato il fine dell'in venzione dei
segni materiali e della scrittur a e questo. fosse anch e il fine
dell'inseegnamento della lettura. Da ció segue che le parole parlate furono
moltissime relativamente alle impresse. Stabilitasi la forma della parola
parlata e della i m pressa non si tenne più alcuna ricordanza della deriva- .
zione primitiva di essa nè si pensó più a modellare le: parole sulle forme
delle vibrazioni naturali. Dovette per - -- studia. Si può dire ‘lingua’
della natura, ‘lingua’ degli animali, ‘lingua’ dei bambini, ma non lingua senza
quotazioni. L'uomo che per morbi perde la facoltà di parlare che prima posse
deva in modo perfetto, non *parla* più la lingua, *ha* però una lingua. La
condotta dell'uomo si può chiamare una ‘lingua’ in quanto manifesta per mezzo
di una. serie di atti tutto un concetto interiore della vita. -- ció
necessariamente ammettersi che i primi popoli storici dovetterò averə ciascuno
una nomenclatura e corrispondenti forme d'impressione e di scrittura e,nel loro
con tinuo movimento di espansione e di concentrazione, tutto dovette mutare fino
a che un popolo non raggiunse la sua stabilità. Ma anche allora la stabilità
della lingua non fu definitiva. Abbiamo detto che la parola è qualcosa di molto
più complesso del semplice suono o della semplice voce o esclamazione o della
semplice imitazione di suoni o rumori naturali, quantunque derivi da essi -- è
già un suono o più suoni e rumori connessi che complessivamente e sprimono una
rappresentazione formata od un'azione od un concetto.Vi sono perciò parole di
pure voci o suoni, altre di puri rumori ed altre infine risultanti degli uni e
degli altri. Studiando l'acquisizione della loquela nel l'individuo vedremo
come egli dall'attività più semplice passa alla più complessa, cosa che,come
avviene ora nel l'individuo, si veritica anche nella storia dell'umanità in
genere.Dovettero perciò iprimi uomini da principio
pronunziareparolerisultantidipurevociodipuri ru mori; anche allora, o più tardi
poterono pronunziarsi monosillabi,che sono l'unità di un rumore edi una voce.
Il mono-sillabo è perció la parola più conforme alla possibiliti tisiologica e
psicologica di esecuzione fonica dei popoli primitivi e rappresenta la
vibrazione primitiva della cosa,trasformata dall'attività fisiologica e psicolo
gica degli uomini.Le lingue dei primi popolifurono per cid monosillabiche.Ed a
questo proposito possiamo noi indagare se le lingue primitive fossero più o
meno ric che di parole delle lingue moderne o in generale delle lingue più
complesse. E bisogna dire di si se si pensa che, quantunquepei primi popoli storici
il mondo esteriore fosse qualche cosa di molto semplice, pure, nel ri produrre
gli oggetti essi teneano conto solo della vibra zione la quale era varia d'intensità
nelle cose ed era ancora più variamente ripetuta od imitata dagli uomini di una
popolazione e dalle varie popolazioni. Onde varie parole doveano primitivamente
indicare la stessa cosa. Anche perché, potendo una stessa cosa dare vibrazioni
differenti, essa veniva indicata con quella tale vibrazione della quale più
s'interessava il soggetto. Cosi il cavallo poteva essere indicato pel suo nitrire,
per lo scalpitare, pel m ovimento della criniera, pel rumore che fa nei
masticare il cibo, per la velocità nella corsa, ecc. cosa assumeva. In tal caso
la parola monozillabica primitiva si dice -- Per questa ragione le parole
dovettero molto più delle cose esse represe in considerazione. Ma in tempi più
progrediti abbiamo una lingua più complessa, in cui cioè le parola o la maggior
parte di esse sono risultanti di più sillabe; e in questo caso le parole monosillabiche
non spariscono. E questa le lingue poli-sillabiche o la agglutinante o
l’articolata. Perchè in esse la sillaba si collegano o si articolano con la
sillaba. La parola poli-sillabica potè divenir tale o perchè mono-sillabi di
una lingua si vide che corrispondevano alla stessa cosa, di modo che,
pronunziandole insieme due o più esigenze venivano conciliate. O perchè una
sola sillaba assume una voce nuova secondo che la nuovi movimenti; perchè le
cose assumono ancora nuove energie se l'attività scrutatrice del soggetto si
esercita .su di esse. radice la quale non cessa di essere parola,
perchè esprime una rappresentazione, per quanto indeterminata, ma è considerata
come una parola elementare la quale è come il ceppo comune ed originario di
altre parole. Essa, entrando in rapporto con altre parole più o meno semplici o
pure assumendo varie flessioni, si complica in modo da esprimere una
rappresentazione più complessa o un concetto. Se la lingua mono-sillabica,
esprimendo rappresentazioni indeterminate, e la LINGUA PRIMITIVA, la lingua
agglutinante o articolata segnano un *progresso* relativamente alle precedenti.
Perchè in essa, una parola poli-sillabe e un complesso di al meno due parole mono-sillabe
e perció si parlano da quei popoli nei quali è più sviluppata l'attivitàr appresentativa,
onde un solo mono-sillabo non sempre è sufficiente ad esprimere una rappresentazione
molto complessa. La lingua del Lazio, la maggior parte delle cui parole hanno
flessioni, in cui la “radice” e il “tema” assumono varie forme e una lingua
flettente. E quella che han raggiunto il maggior sviluppo possibile e puo costituire
l'espressione di una tela organica di concetti e di un pensiero dalle più
ricche gradazioni e di sfumature appena apprezzabili. In tale lingua, il nome sostantivo
o aggetivo ed il verbo assumono flessioni (declinazione e congiugazione) e
mediante tali forme si esprimono i vari rapporti delle cose e l'avvenimento
dell'azione nei vari gradi di tempo e di condizione in rapporto con l'avvenimento
di altre azioni. Una lingua flettente e perció *posteriore* anche alla lingua agglutinante,
quantunque non bisogna credere che, quando esse appariscano, le parolea gglutinanti
e monosiilabiche non esistano più. Esse sono le ultime apparse nella
storia - Con lo sviluppo della lingua del Lazio va di pari passo lo sviluppo
del mondo logico. Giacchè sono due aspettidiuna stessa cosa.. Il pensiero e la
sua manifestazione sensibile. Non si può ben comprendere l'importanza della
lingua del Lazio senza vedere l'importanza dell'energia logica che è inclusa in
esso, la quale sottratta, l'attività della loquela rimarrebbe un fenomeno
puramente fisico e *fisiologico* ma non umano, o pure sa rebbe l'espressione di
uno stato interno indeterminato. delle lingue, e sono state parlate e
scritte da popoli ricchi di pensiero e di azione. Se dunque le lingue ultime
dei popoli civili, che noi crediamo le più perfette, perchè ricche di flessioni
(onde tra queste bisogna comprendere la latina o lingua del popolo del Lazio)
ha avuto una così lunga e avventurosa istoria ed alla loro formazione hanno, piùo
meno immediatamente, con corso tanti e cosi disparati elementi e lingue di
minore perfezione e lingue anche complesse e ciascuna lingua, per quanto
immediata sia, risulta di elementi molteplicissiini ed accidentalissimi (per
quanto vi sia qualche cosa di costante),comparisce chiaro quanto debba essese
difficile, fare una compiuta anatomia della lingua del Lazio ed assegnare a
ciascuno elenento di essa, a ciascuna parola di cui essa risulta, il suo vero
valore e la sua vera istoria. Bello stesso ; Sonno e sogni. E. Trevisini, Milano-Roma
scolastico. E. Trevisini,Milano-Roma . Ilparlare, il leggere e lo scrivere nei bambini,
saggio di 00 1 Saggi di pedagogia:(ilproblema dell'educazionemorale. Le donne
dei Vangeli. Successori Le Monnier, Firenze. La rappresentazione psicologica è
l'immagine che l'oggetto della percezione lascia di sè nel campo co sciente
quando è sottratto all'azione stimolante che esso può esercitare sugli organi
dei serisi del soggetto. Questa rappresentazione è tanto più indeterminata ed
imprecisa per quanto più l'oggetto che l'à prodotta risulta di un numero grande
di qualità e di note,per quanto più breve è stato il tempo che essa ha agito da
stimolo sul soggetto, per quanto meno sviluppata è l'attività percettiva
cosciente del soggetto e per quanto meno questa si è esercitata su di esso. Non
vi è oggetto del mondo esterioreilquale,dopo l'osservazione volgare e
dopo lo studio scientifico, non risulti di una molteplicità di note e di
qualità ed in cui queste qualità non abbiano un determinato grado d'intensità;
ma queste note non appariscono determi nate e distinte fra di loro innanzi al
soggetto quando I. 1. l'oggetto gli si presenta d'innanzi per
laprima volta o quando per la prima volta l'anima principia ad es sere attività
cosciente;allora l'oggetto apparisce come un tutto indistinto,anzi apparisce
come una nota sola. Cosi appariscono il mondo esteriore e gli oggetti di esso
al bambino nel primo sbocciare della sua coscienza e cosi devono essere apparsi
all'uopo primitivo che non ha avuto una potente attività scrutatrice; ed in
questa stessa posizione è l'uomo moderno dirimpetto a quelle cose più o meno
complicate che gli si parano d'innanzi per la prima volta e che non ha avuto il
tempo di scrutare. In ragione che l'attività cosciente si esercita sempre più
intensamente sul mondo este riore gli oggetti a mano a mano appariscono come
distinti gli uni dagli altri ed in ciascuno oggetto la nota uniforme e
primitiva che lo designava si pre senta progressivamente moltiplicata in più
note dif ferenti. a mano ad affievolirsi, a divenire sempre più
imprecise, a perdere una parte delle note che le costituiscono e lentanente a
sparire quando non vengano rianimate, mediante nuove percezioni degli stessi
oggetti che le han prodotte, nella coscienza; 10 Se l'attività del soggetto si
esercitasse sulla rap presentazione dell'oggetto già percepito piuttosto che
sull'oggetto ripetutamente percepito, non vi sarebbe progresso nella
scrutazione dell'oggetto, anzi vi sa rebbe regresso;perchè èlegge psicologica
infallibile che le rappresentazioni degli oggetti già percepiti tendono a
mano mentre la ripetuta azione del soggetto sull'oggetto fa sempre
scoprire di questo nuovi aspetti e nuove re lazioni;ed a questa condizione la
rappresentazione dell'oggetto sempre più si arricchisce e si compie e risponde
più precisamente all'oggetto reale. Si può fare a meno dal percepire più oltre
l'og getto e considerare solo la rappresentazione in sè stessa quando esso è
stato cosi studiato ed analizzato e scrutato che un ulteriore studio non
aggiungerebbe nulla di nuovo allarappresentazione diesso,laquale però, perchè
si mantenga integra, deve spesso ripro. dursi nel campo della coscienza.E ciò
può sopra tutto avvenire quando l'oggetto che si studia risulta di poche
qualità e determinazioni; ma quando l'oggetto è ricchissimo di struttura, di
organi e di funzioni, quando presenta un vasto e ricco sistema di fatti e di
fenomeni, riesce quasi impossibile rappresentarlo compintamente, senza che
alcuni aspetti di esso non sfuggano alla coscienza o non spariscano da essa.In
questo caso il soggetto, per quanti sforzi faccia ad apprendere e conservare la
rappresentazione compiuta · dell'oggetto,non può fare a meno dal tornare a per
cepire spesse volte l'oggetto del suo studio per sem pre meglio comprenderlo e
conservarlo. Sicché,parlando qui della rappresentazione psico logica, non
s'intende dire che quella rappresentazione la quale rimane nel soggetto dopo la
ripetuta azione di esso sull'oggetto: ciò che è la rappresentazione
dell'oggetto percepitu. Ed è questa la condizione pilt - 11
importante perchè la rappresentazione psicologica possa divenire obbietto
della logica, quantunque non sia primitivamente tale. La rappresentazione della
sensazione pura o lo stimolo della sensazione non può mai divenire obbietto
della logica; perchè la sensa zione non consta che di certi stati dell'anima,
che sa distinguere e che anzi attribuisce a sė stessa, senza riferirli allo
stimolo : e ciò per quegli animali che per tutta la loro vita rimangono nella
cerchia della sensazione pura.Ma nell'animale e nel l'uomo che rimane solo
temporaneamente nella cerchia della pura sensazione dove stimolo ed animo si
con fondono e che oltrepassa questa cerchia per divenire percezione e coscienza
che è dualità tra l'anima che ora diviene soggetto e lo stimolo che diviene
oggetto, ciò che prima ha determinato la sensazione (lo stimolo) può divenire
oggettodellapercezioneedellacoscienza e poi della logica ; anzi non vi è
oggetto della logica che non sia oggetto della coscienza. Onde segue che la
materia prima del mondo logico è fornita dall'oggetto della percezione che è
l'oggetto della coscienza, senza del quale non potrebbe darsi attività logica
di sorta; perchè l'attività logica del soggetto si deve esercitare sempre sopra
un oggetto, come il soggetto non diviene attività logica senza la sua relazione
coll'oggetto. Il soggetto cosi diviene at tività logica, non nasce tale e la
sua attività dere esercitarsi o sull'oggetto naturale esteriore o sulla
rappresentazione interiore di esso, essa non 12 In una zona
logica cosi ampia non va compreso solamente l'uomo superiore con la sua potente
ener gia logica, nè solamente l'uomo medio con la sua or -13- pura Però
il passaggio nel soggetto dalla pura sensa zione alla logica non è
rappresentato da una linea cosi precisa che si possa dire : Di là dalla linea
vi è tutto il mondo delle sensazioni, di qua vi è tutto il mondo logico
compiutamente formato; giacchè, come avviene in ogni sfera che passa in
un'altra sfera, quella che passa non è completamente esclusa come tale da
quella in cui passa. E non bisogna credere che, superato una volta il confine,
questo sia supe rato per sempre; perchè la vita della o
dellerappresentazionidisensazionipuòtornarecome puramente tale anche quando una
volta si sia pene trati nel campo logico.Inoltre è difficile per lo stu dioso
tracciare questa linea in cui l'anima cessa di essere meramente sensitiva e fa
il primo ingresso nel campo logico. Come ogni grado dell'esistenza,la logica
occupa una determinata zona, chiusa fra due determinati limiti, di cui l'uno
rappresenta il minimo della logicità,tanto chedilàdaquestolimitenonvièattivitàlogicane
obbietto logico e l'altro rappresenta l'entità logica nel suo più alto
grado.Dal primo all'ultimo limite il mondo logico compie un processo che
implica una progressiva perfezione,per cui, partendo dal fatto puramente
sensitivo, si allontana sempre più da esso per divenire entità logica compiuta.
sensazione dinaria potenzialità logica; ma ancora l'uomo volgare,
il fanciullo, gli animali superiori ed alcune specie degli animali inferiori
che arrivano a percepire.Però se, come avviene in ogni sfera dell'esistenza che
ha una serie di gradazioni, la sfera logica presenta un sistema cosi ricco di
gradazioni le quali passano l'una nell'altra in modo appena apprezzabile, tanto
che è quasi difficile distinguerle, pure si può dire che tutte queste gradazioni
vanno comprese in tre grandi sot tozone le quali possono chiamarsi la logica
meccanica o estrinseca, la logica chimica o intima e la logica organica. La
prima zona,rappresentandoleformelogichepiù elementari, se può stare di per sè
come pura logica meccanica, si ritrova però anche nelle due zone sus seguenti;
e cosi la sfera chimica si ritrova ancora nella sfera organica che è la più
compiuta. In generale si può dire che l'oggetto della perce zione ovvero la
rappresentazione di esso principia a mostrare il primo movimento logico
allorché cessa di apparire innanzi al soggetto come risultante di una sola
qualità naturale,ma apparisce come distinto in due o più qualità connesse in
qualsiasi modo fra di loro ed allora si ha la forma primitiva della rappre sentazionelogica.Una
qualitàsolaedincomunicabile ad altre qualità e zon trasformabile non fornisce
al cuna materia logica.E se un fatto naturale,secondo che è più scrutato dal
soggetto, comparisce sempre più ricco di qualità e si vede la ragione intima
per 15 cui le varie qualità convengono all'oggetto,è chiaro che
esso diventa progressivamente obbietto di una entità logica superiore. Ma può
avvenire ancora che,dopo uno studio più profondo e comprensivo fatto
sull'oggetto,questo ap paia innanzi al soggetto come intimamente connesso ad
altri fatti esteriori ad esso, tanto che senza di questi non potrebbe essere
quello che è. E ,se vi sono oggetti le cui note ed i cui rapporti sono immobili
e fissi, ve ne sono altri in cui le qualità che li costi tuiscono ed i loro
molteplici rapporti con enti fuori di essi si trasformano e cangiano. È chiaro
allora che l'entità logica dell'oggetto si accresce e si complica. Può avvenire
ancora che l'oggetto che ora è studiato comparisca come l'ultimo risultato di
una storia spe ciale propria o di una storia di altri enti simili o dis simili
da esso; onde l'importanza delle note attuali che lo costituiscono si accresce
e mostra cosi una n a tura assai più elevata.La rappresentazionelogicaha cosi
una considerevole latitudine ; perchè principia quando il soggetto vede almeno
due note nell'oggetto e si conserva ancora quando si è scoperto in esso un
numero grandissimo di qualità. Si è detto e ripetuto che è il linguaggio che
segna nell'uomo ilprimo apparire delle attivitàlogiche.Ma non si considera che
la parola linguaggio, avendo un largo contenuto
esignificandoqualsiasimanifestazione dei fatti interni psichici,siano sensitivi
che rappresenta tivi ed emotivi,ha una larga applicazione cosi nel campo
animale come nel campo umano ;onde non si vede con determinazione la
necessità del coesistere solamente nell'uomo del linguaggio e della funzione
logica,si deve però ammettere che la lingua che è un linguaggio formato e
divenuto classico (onde vi è differenza tra linguaelinguaggio),quandoèbeneusata
dal sog getto uomo,può far vedere in questo le più grandi energie
logiche,all'istesso modo che una lingua im perfetta o poveramente usata può
manifestare nell'uomo rudimentali qualità logiche. Però non si può concedere
che deva necessariamente intervenire la lingua per potersi trovare nella sfera
logica e perpoterecompierefunzionilogiche.Individui nati muti o sordo-muti
possono compiere con grande coerenza logica i loro atti, all'istesso modo che
la lo quela non sempre rivela una perfetta energia logica, come avviene per
disordini nervosi e mentali o per ritardato sviluppo di tutte le attività
psichiche. Al l'incontro ciò che è indispensabile perchè il soggetto compia le
più elementari funzioni logiche è l'oggetto della percezione e la rappresentazione
molteplice del l'immagine di esso, come è manifestato dagli atti e dalla
condotta che gli animali e l'uomo non ancora parlante hanno verso quegli
oggetti sui quali si eser cita la loro attività e dal giovarsi che l'animale fa
dialcunequalitàdeglioggetti.E larappresentazione molteplice dell'immagine degli
oggetti è anzitutto necessaria ancora per l'uomo logico che parla,la r a p
presentazione e l'esecuzione della parola udita, par 16 lata
e scritta non essendo che un'altra specie di r a p presentazioni
specialideglistessioggetti sopraggiunta alla prima;per cui illavoro psicologico
elogicodel l'uomo è assai più complicato di quello dell'animale, anche perchè,
per la sua grande energia psichica, l'uomo moltiplica le rappresentazioni
relativamente semplici che delle cose hanno gli animali,onde il lin guaggio
diventa nell'uomo assai più intricato e com plesso. Segue da ciò che il
linguaggio umano è una nuova aggiunta che si fa alla rappresentazione pri
mitiva dell'immagine delle cose; ma rimane sempre questa l'obbietto delle
attività logiche cosi animali come umane. Questo è ancora dimostrato dalla
patologia del lin guaggio umano;poichè è statoconstatatoche,quando l'uomo perde
la memoria della immagine percepita delle cose e conserva la ricordanza della parola
udita, parlata o scritta,che ad essa corrispondono, la sua lingua è divenuta un
caos; perchè, essendo perduto il nesso tra la cosa e la sua parola udita e
parlata, l'attività logica non si può esercitare sulle parole, perché non si
può esercitare sulle cose, come allora è manifestato dalla sconnessione e dalla
incoerenza del linguaggio. -1 Del giudizio e dei suoi
elementi. Quando il soggetto distingue per la prima volta un dualismo
nell'oggetto, cioè da una parte quello che, prima di questo atto psichico,costituiva
tutto l'og getto, indistinto nelle sue qualità, e dall'altra quello che scorge
ora in esso mediante l'atto di distinzione e vede che questo è connesso con
quello in modo che senza di esso non sarebbe,si fa quel che si dice un
giudizio. Sicché per avere un giudizio occorrono due fatti distinti fra di loro
ed un atto psicologico che li connetta.Però bisogna
considerarequestitreelementi di cui consta il giudizio come dati tutti e tre
insieme nello stesso atto. Dei due fatti che possono dirsi anche termini,perchè
significati con parole, il primo, quello che prima del l'atto psicologico
faceva una sola cosa con la qualità che ora si distingue da esso e che meglio
osservato e scrutato può mostrare altre qualità inerenti a sé,onde può divenire
obbietto di altri giudizii,si chiama sog getto;la nota che gli si attribuisce
sidice aggettivo - 18 II. od attributo ; l'atto psicologico
col quale gli si attri buisce è il verbo. Bisogna bene intendersi sul
significato della parola soggetto che si usa nel giadizio. In generale soggetto
significa ente attivo, ente operoso. Si chiama soggetto l'anima cosciente e
distinguente sè dall'oggetto e nel l'istesso tempo l'anima che esercita la sua
attività sul mondo esteriore che considera come suo oggetto. E poichè dall'animale
inferiore all'uomoedall'uomoemi nente per pensiero e per azione questa attività
cono scitiva ed operativa sempre più si afferma e cresce, è cosi che la parola
soggetto,quantunque possa ap plicarsi indistintamente alla serie degli enti
animali, pure compete in sommo grado all'uomo ed all'uomo che abbia la più
grande energia nel campo del pen siero e dell'azione. Intesa cosi la
soggettività, scendendo dall'animale alla pianta, sembra non essere più il caso
di dovere applicare la parola soggetto;ma,poichè la pianta è un organismo
dutato di attività la quale consiste nel compiere una serie di funzioni
interiori per le quali è continuamente messa in rapporto coll'ambiente este
riore ad esso (aria,luce,terreno)e manifesta, quan tunque in modo assai più
imperfetto di quel che si compia nell'animale, per mezzo di una serie di feno
meni esteriori, i suoi fatti interiori ed il suo orga nismo compie una storia,
pure si può concedere il nome di soggetto alla pianta la quale cosi manifesta
anche essa una certa energia. 19 Ma igrammatici ed ilogici
hanno anche dato il nome di soggetto non solo ad ogni opera dell'uomo, che può
considerarsi come un tutto armonico in sé, avente un determinato fine,ma ad
ognipartediessa, ad ogni ente della natura inferiore ed inorganica o
adunframmentodiessa,adogni minerale,adogni fatto ineccanico o chimico e financo
hanno consi derato come soggetto le qualità e gli attributi stessi delle
cose.Però l'uso che in questo caso i gram matici hanno fatto della parola
soggetto può essere giustificato,considerando che ciascuno degli enti in
feriori agli enti organici e psichici è sempre un com plesso, anche quando sia
semplice parte, di qnalità o proprietà concentrate e connesse insieme; onde,
rigo rosamente parlando, non si può negare ad essi una certa energia senza la
quale le proprietà non potreb bero esistere in essi; possiamo chiamare questa
energia, meccanica, fisica o chimica; ma è sempre una energia E non si può non
concedere che le qualità stesse che si considerano come attributi delle cose
possano essere considerate ancora esse come soggetti,quando si riconosce che
ciascuna qualità,essendo inerente a molti soggetti i quali hanno altre
proprietà differenti, contribuisce in modo differente all'energia di ciascuno
di essi. Cosi quando si parla della gravità che è una proprietà dei corpi, si
vede che essa si manifesta di versamente secondo che si tratta di an corpo
gassoso o di una pietra o di un liquido o di un pendolo o del sistema
planetario. 20- Quando ilsoggettodelgiudizioèconsiderato o
stu diato dal soggetto psichico allora può anche chiamarsi oggetto; perchè,
quantunque attivo in sè, è sempre qualche cosa di passivo relativamente al
soggetto psi chicoilqualeesercitalasua azionescrutatricesudiesso. - 21 Il
secondo termine del giudizio, cioè quella qualità o quella determinazione che,
quantunque insita nel soggetto o estranea ma conveniente ad esso,per mezzo
dell'atto psicologico gli si riconosce come connessa, è stata chiamata dai
logici attributo o predicato.Rap presentando il soggetto un gruppo di proprietà
dif ferenti, suscettivo di ulteriori giudizii,e l'attributo una sola qualità o
determinazione,è chiaro che questo può essere applicabile a più soggetti, non
essendo ciascun soggetto costituito di attributi assolutamente speciali a sé;
ma in mezzo ai tanti attributi comuni a molti soggetti ha solo qualcuno che
conviene esclu sivamente a lui. Dei molti attributi che costituiscono un
soggetto una parte sono sensibili o percettibili per mezzo degli organi dei
sensi. Ogni oggetto del mondo esteriore è fornito di peso,ha una grandezza
variabile, una re sistenza, è situato ad una certa distanza dallo spet tatore,
ha una forma fissa o cangiante,un colore,una composizione mineialogica, chimica
o organica, può presentare una struttura determinata, uno stato ter mico, può
vibrare in modo differente nella intimità clelle sue molecole, può esercitare
un'azione più o meno irritante o elettrica o offensiva sull'organismo
del soggetto,può dare speciali odori,può essere gn. stato per mezzo della
lingua. Ma vi sono altri attri buti i quali non sono percepiti per mezzo degli
or gani dei sensi ma vengono compresi mediante un atto della mente, quantunque
le attività percettive possano contribuire o avere contribuito alla
comprensione di queste nuove specie di attributi. Sono tutte quelle qualità che
riguardano la provenienza od il fine del soggetto,isuoirapporticon
altrioggetti,lasuaazione favorevole o nociva su di essi o viceversa. Inoltre il
soggetto acquista attributi non semplicemente sensi bili quando desta in noi
stati interiori piacevoli o do lorosi,ricordanze,speranze etimori,ma qualche
cosa di più che sensibile, poichè in quel caso viene scossa l'intimità della
nostra vita interiore. 22 Quantunque a primo aspetto sembri che ogni at tributo
sia una qualità semplice e non suddivisibile in altre qualità,benchè una
qualità possa averevari gradi d'intensità, ciò che non la fa considerare come
qualche cosa di fisso, pure può una qualità essere il risultato di un sistema
di altre condizioni o attributi. Quando diciamo che l'animale è sensibile,la
nota della sensibilità pare che sia una qualità sola; ma, se si pensa che per
essere sensibile l'animale deve im plicare una serie di organi e di funzioni e
di condi zioni esteriori all'organismo, si è costretti ad ammet tere che
quest'attributo è come la risultante di fatti molto complessi, non è dunque un
attributo semplice. Se diciamo che Giulio ė ragionevole quest'attributo è
2:3 Il soggetto e l'attributo non potrebbero costituire il giudizio senza
l'atto psicologico col quale l'uno ė connesso con l'altro; senza questo atto i
due termini non avrebbero fra di loro altro legame fuori quello accidentale
della coesistenza e della successione, che è un legame psicologico, non logico.
Rigorosamente parlando,è quest'atto che costituisce ilverogiudizio; però senza
i ter.nini esso non potrebbe essere, non sarebbe che una mera possibilità.
Questo atto che è espresso dal verbo è quella scrutazione che l'anima attiva fa
tra i due termini, per la quale si riconosce che l'uno è connesso
indissolubilmente,intimamente e necessariamente con l'altro.Questo nesso intimo
che lega i due termini è un fatto obbiettivo delle cose, non è una pura
produzione dell'atóività psicologica, però non si pno pervenire ad esso senza
l'attività picologica. È questa un'alta attività a cui l'anima umana per
viene;perché per mezzo di essa può internarsi nella natura dell'obbietto,
vederne il movimento, compren derlo ed assimilarselo. Sicché non si arriva al
fatto logico senza l'attività psicologica e senza di questa l'energia logica
rimarrebbe nella inconsapevolezza delle cose naturali, rimarrebbe per sempre
muta ed inco municabile ad alcuno, Per questo vgni atto giudica di una
natura cosi complessa che deve presupporre un ricco sistema di condizioni
perchè possa darsi. L'attributo ragionevole perciò non implica un fatto cosi
semplice come l'attributo pesante. tivo non è un atto meramente
psicologico,ma è anche obbiettivo, il suo contenuto cioè corrisponde al conte
nuto delle cose;ed in quest'atto si uniscono e com penetrano l'energia psichica
e l'energia delle cose. Con l'atto giudicativo, subbiettivo insieme ed ob
biettivo, si entra nel vero campo logico e si può dire che è sul giudizio che
poggia tutto l'organismo logico e che è il giudizio, considerato nel suo
sistematico svolgimento,che costituisce la parte più importante della logica e
che il primo prodursi della più rudi mentale attività giudicativa dell'uomo o
dell'animale segna ilprimo apparire del mondo logico. In generale si può dire
che sempre che ilsozgetto principia a giudicare l'oggetto della percezione o
la 24- Però'seil giudizio come necessaria convenienza dell'attributo al
soggetto è la forma più perfetta alla quale il soggetto pensante non arriva se
non dopo una lunga educazione,vi sono molte forme di giudizio inferiori ad
essa, che possono considerarsi come tanti tentativi che l'anima fa per
penetrare nell'intimità delle cose ed impadronirsene. Ciò conferma il fatto che
non vi è un limite netto tra la psicologia e la logica e che se vi è una parte
della psicologia quella inferiore, in cui non vi è nulla di logico,e che se vi
è un'altra parte della psicologia, quella ultima e più raffinata, in cui ogni
energia o la più parte delle energie sono logiche, vi è una larga zona psicologica
in cui si manifestano le prime tendenze logiche ed in cui il lavoro logico è
eseguito allo stato bruto. rappresentazione di esso,allora questa
cessadiessere rappresentazione psicologica e diviene rappresenta zione logica ;
e non vi è alcuna rappresentazione logica la quale non sia insieme,
implicitamente od e s p l i c i t a m e n t e , g i u d i z i o . E , s e l ' i
n f i m o g r a lo d e l l a r a p presentazione logica deve implicare un solo
giudizio almeno nella sua forma primitiva e bruta,un'alta rap presentazione
logica si ha quando essa implica un gran numero di giudizii. Delle tre parti in
cui si può considerare divisa la logica (la meccanica, la chimica e
l'organica), la rappresentazione logica cosi intesa esaurisce le due prime
parti. Se l'anima non può principiare ad eseguire funzioni logiche dall'infimo
al massimo grado se non quando è divenuta percettiva,perchè allora solamente
distingue fra di loro i fatti del mondo esteriore e distingue al cune proprietà
di ciascun fatto,giacchè senza la mol teplicità dell'obbietto non può eseguirsi
funzione lo gica di sorta, nondimeno non in tutto quello che per cepisce od in
tutto quello che si rappresenta nella coscienza interiore vi è energia logica
o, quando vi è, non vi è all'istesso grado in tutto. L'anima vivente o va
incontro ad una varietà di fatti e steriorioquestilesipresentano a caso ovvero
a s siste ad un inovimento di rappresentazioni o fa l'una cosa e l'altra
insieme ed intercorrentemente. Questi fatti si succedono o coesistono fra di loro
e sono per cepiti dal soggetto nella loro successione o nella loro coesistenza.
Ogni fatto deve perciò connettersi ad un 25 altro fatto; e
questa connessione può essere di due specie,o casuale estrinseca,ovvero
intima,vera,con veniente. Bisogna però distinguere la casualità e la estrin-
sechezza,tra ifatti psichici,che rimane sempre tale pel soggetto, per quanto
questo possa elevarsi alla più alta attività psichica,dalla casualità e dalla
estrin sechezza che apparisce tale al soggetto solo tempo raneamente nel primo
periodo della sua storia,quando non ancora è giunto al grado di potere compiere
un lavoro psicologico cosi intenso da sapere vedere una connessione intima tra
due fatti; onde questa gli si presenta estrinseca senza esser davvero tale e, con
un ulteriore sviluppo dell'attività soggettiva,sparisce la estrinsechezza e
comparisce la intimità. no Non si può non ammettere però che questa estrin
sechezza vera è in certo modo relativa al grado di sviluppo dell'attività del
soggetto psichico;perchè,a vendo ciascun soggetto nel mondo es'errore un
campo - 26 Nel caso della estrinsechezza vera, per quanto in oggetto si
succeda ad altri od apparisca al soggetto in concomitanza con altri oggetti,
anche con un ac curato studio, non si saprà mai trovare una ragione del
succedersi di un avvenimento ad un altro o della coesistenza di un fatto con un
altro, di una qualità con un oggetto;giacchè ciascuno oggetto apparisce come
assolutamente indipendente dirimpetto all'altro, perchè non lo modifica in
alcun modo nė ne ė dificato. speciale nel quale si esercita la sua
attività, onde é messo frequentemeate in rapporto di coscienza solo con un
determinato aggruppamento di oggetti, egli può vedere meno di estrinsechezza
tra questi oggetti che non tra quelli estranei alla sua azione.In ragione che
il soggetto allarga sempre più il suo campo og gettivo e lo scruta con maggiore
intensità l'estrinse chezza si allontana sempre.E quando l'obbietto del
l'attività soggettiva è tutto l'universo allora il filo sofo,guardando le cose
dal più alto punto di vista che è quello dell'unità,non vede più estrinsechezza
di sorta tra le cose;perchè ogni cosa vi apparisce come organo di un vasto
sistema ed è necessariamente connessa a tutti i gradi di esso. La
intimità,laveritàelaconvenienzatradueog getti (e perciò tra due
rappresentazioni) o tra un og getto ed una sua proprietà si ha allora quando
l'uno non può essere in alcun modo indipendente dall'altro per cui sempre che è
dato l'uno è dato l'altro o, se prima è dato l'uno, dopo verrà necessariamente
dato l'altro. Ora questa intimità ha vari gradi che possiamo riepilogare in tre
zone logiche principali,presentando ciascuna zona immense gradazioni. 27
La prima zona, quella più elementare in cui si de signano le prime linee del mondo
logico, di là dalla quale vi è il puro mondo degli oggetti delle percezioni e
delle loro rappresentazioni scomposte e sconnesse, ha questo di particolare che
in essa alcuni oggetti o r a p p r e s e n t a z i o n i s o n o , è v e r o ,
l e g a t e , d a n e s s i i n t i m i, m a 28 questa intimità è
al suo minimo grado,rasenta quasi la estrinsechezza;perchè della loro intimità
non si vede altro che il semplice succedersi costantemente diuna
rappresentazioneadun'altraodilsemplicecoe sistere di una rappresentazione con
un'altra.E questa conquista il soggetto può avere fatto non solo per pro pria
esperienza ma anche per tradizione o per quel che si è detto consenso degli
uomini. Qui non si vede alcuna ragione della convenienza delle due rappre
sentazioni,alla qualeilsoggettorimaneperfettamente estraneo; e tutta l'attività
del soggetto si esaurisce nel vedere questo puro costante coesistere e succe
dersi delle cose e perciò il giudizio che esso compie è semplicemente
meccanico, non fa che constatare quanto avviene nel mondo naturale. Così
l'attività del soggetto qui è meccanica e delle cose non afferra che il
semplice meccanismo,l'energia più elementare della natura, il muoversi delle
cose per la loro pura gravità o per la loro forza od il muoversi per forze estranee
ad esse ma che agiscono su di esse. In questa zona logica va compresa anche
quella elementare attività giudicatrice mediante la quale si scopre o constata
qualche proprietà o qualità che in teressa gli organi sensibili e percettivi
del soggetto, come il sole è luminoso ; è un'attività giudicativa molto
elementare.A questa zona logica possono per venire gli animali superiori e
quegli animali inferiori i quali si elevano alla percezione, quantunque gli a
nimal¡ non possono esprimere con paroletaligiudizii, poichè
bastano certi atti o movimenti che l'animale esegue
adimostrarecheessohacompiutoungiudizio. Ma questa attività meccanica logica non
solamente rappresenta la prima epoca dell'energia logica umana e l'energia
dialcuni animali,ma anche quando l'uomo è atto ad elevarsi ad una attività
logica superiore compie ordinariamente giudizii logici meccanici. È questa la
posizione dell'uomo incolto. Di tutti gli a v venimenti naturali ed umani ai
quali egli assiste non può vedere altra intimità che quella meccanica ed
estrinseca ; alla ragione intima dei fatti egli non perviene. La seconda zona
che si dice chimica e che sta più in alto alla precedente ed alla quale non si
perviene se non per mezzo della precedente rappresenta quel campo della logica
in cui il soggetto può compiere un più complesso lavoro di penetrazione tra gli
og getti, onde quei nessi intimi che prima vedeva in modo quasi estrinseco sono
visti davvero nella loro intimità. La parola chimica sembra bene
adoperata;perchè cor risponde a quello stato della energia della materia in cui
gli elementi relativamente semplici si compe netrano ed uniscono insieme per
formare un corpo di una più elevata natura ed in cui corpi di complessa natura
si scindono nei loro elementi sem plici;ondelachimicadelcampo logico
corrisponde a quel grado delle attività psicologiche per le quali il soggetto
afferra la convenienza vera di un oggetto. e delle sue proprietà e vede le
intime ragioni per le 29 nuovo La zona chimica logica si
evolve cosi dalla mec canica non solo, ma questa coesiste nella chimica;
perchè, anche quando vediamo il rapporto chimico di
duerappresentazioni,vièsempreillato meccanico, l'incontro cioè di due oggetti o
di un oggetto ed una qualità,quantunque questo meccanismo sia assorbito e
trasformato dal chimismo. Avviene nel campo lo gico quel che avviene nel campo
naturale in cui il chimismo implica ilmeccanismo,quantunque non sia
semplicemente tale,essendoilmeccanismotrasformato ed elevato ad un più alto
grado di esistenza nel chi mismo il quale senza di esso non potrebbe darsi.
Però non bisogna credere che, quando l'uomo è ar rivato alla zona chimica della
logica tutti i suoi atti logici siano giudizii chimici;perchè questi,implicando
una grande difficoltàacompiersi,nonpossonofarsida ciascun uomo che in un campo
speciale che ha scelto come materia del suo studio e delle sue ricerche; il
resto della sua attività logica è rappresentato sempre dal meccanismo e questo
può intercorrere nel chimi smo logico od alternarsi ad esso. - 30 quali
il soggetto non può fare a meno di quellapro prietà e questa deve sempre
necessariamente andare congiuntaalsoggettoinquellecondizioni.É questo, si può
dire, il campo della conoscenza vera e della scienza dove il soggetto compie le
più elevate forme di giudizio,risultato di una lunga scrutazione psico logica
nei rapporti delle cose. III. Il giudizio nella sua for.na più
elevata, implicando quell'atto del soggetto cosciente mediante il quale si
riconosce che ad un oggetto del mondo naturale o ad un ente spirituale che qui
diviene soggetto logico con viene intimamente e necessariamente un dato at
tributo, esprime un rapporto tra i due termini che nelle stesse condizioni,deve
essere tale costantemente, sempre vero, oggi e sempre, qui ed ovunque. Per
questa ragione il giudizio non va soggetto a m u t a zioni per tempo e perciò
si esprime sempre com'è,in tempo presente.Ogni dubbio,'ogni incertezza circa
alla concordanza perfetta dell'attributo col soggetto
nondarebbeilverogiudizio;seperòilsoggetto ri conosce l'incertezza nel suo atto
giudicativo e c e r c a di uscirne per addurre la verità , sforzandosi di eser.
citare tutto il suo potere percettivo nella scrutazione dei termini e nel loro
rapporto, allora l'incertezza è unbene,perchèciconducealverogiudizio.Per la
stessa ragione, quando in un giudizio interviene il de - -31
Considerazioni sul giudizio. siderio o la speranza od iltimore,non
siavrà ilvero giudizio. - 32 I logici classici si sono molto occupati
della nega zione nei giudizii e li hanno perciò distinti in affer mativi o
positivi e negativi: affermativi sono stati detti quei giudizii in cui si
riconosce che l'attributo conviene al soggetto, negativi quelli in cui questa
convenienza non si ha.Ma evidentemente ilogicinon hanno ammesso che è
sull'oggetto della percezione o della sua rappresentazione che primitivamente
deve volgere ogni giudizio e che bisogna guardarsi bene dal giudicare prima di
avere studiato e scrutato bene l'oggetto.Se questo
sifacesse,sivedrebbelainutilità e la vacuità di una gran parte di qnesti giudizii
ne gativi,come è dimostrato anche dal fatto che alcuni giudizii negativi
possono tradursi in positivi.Quando si ammette che un dato corpo non è solido,
implici tamente si ammette che è liquido o gassoso.Per que sta ragione i veri
giudizii devono essere tutti positivi; perchè, rigorosamente parlando, lo
scienziato deve conoscere quello che una cosa è non già quello che non è.
Quando si tratta che il soggetto può avere uno di due attributi che sono fra di
loro contrari e che se gli convieneuno di essi gli sconviene neces sariamente
l'altro, si dice che allora si possono for mulare due giudizii,l'uno negativo e
l'altro positivo. Ma è facile osservare che, fatto il giudizio positivo, è
perfettamente inutile formulare il negativo ilquale con parole diverse,per
mezzo della negazione,ripete la positività del primo giudizio. 33
Vi sono però dei casi in cui pare che il giudizio negativo dovrebbe aver luogo.
Cosi noi sappiamo che una data pianta deve fiorire; se la guardiamo in un'e
poca in cui il fiore non è apparso,dobbiamo dire che la pianta non è fiorita;
ma d'altra parte è in es.a la possibilità di dovere fiorire; poichè in tutti i
fatti che implicano uno svolgimento od una storia non tutte le qualità che
devono costituirli possono essere date belle e compiute dal bel principio;
perchè ciò escluderebbe la storia; a ciò pensando, la pura nega . tività di
questo giudizio è spuntato. Che se poi guar diamo la pianta non fiorita come ci
si presenta per cettivamente, allora non si ha alcuna ragione a par lare di
negazione. Sappiamo inoltre che la sensibilità deve essere un
attributonecessarioall'uomo;ma permalattiedelsi stema nervoso questa funzione
può perdersi, onde il direalloraquest'uomonon sensibile,potrebbepa iere un
giudizio negativo incontestabile; ma si tra scura di considerare che quani'o
l'uomo è divenuto insensibile non è pixi l'uomo compiuto, ma l'uomo che è nel
declivio della dissoluzione e della morte e che, dicendo che non è sensibile,
si riconosce che la sua Molti, parlando e scrivendo, anche di cose
scienti fiche, fanno grande uso di questi giudizii negativi ; ma
èquestaunaconsuetudinedilinguaggiochequalche volta fa anche vedere la poca
sicurezza e la povertà delle nostre cognizioni; perchè il difficilc non sta nel
dire quel che una cosa non è,ma qnelcheèdavvero. attribuzione
sarebbe la sensibilità e che questa si è perduta solo per condizioni morbose.
Nondimeno se il giudizio negativo è possibile esso può solo avere
laragionediessereinquesticasididissoluzione edi sfacelo degli organismi e delleistituzioni,quantunque
anche allora,stando alla semplice percezione, si po trebbe semplicemente
giudicare quel che l'oggetto pre senta di positivo ; m a allora il soggetto che
pensa non può fare a meno dal paragonare la primitiva gran dezza o la perfezione
tipica di una data cosa con la dissoluzione e la rovina presente, onde quel che
è ora è la negazione di quel che era prima. Può avvenire lo stesso quando si
tratta di paragonare varioggetti fra di loro. Il giudizio nella sua forma
classica è rappresentato dal soggetto, dal presente del verbo essere e dall'at
tributo. M a il soggetto per tenere avvinto a sè l'at tributo deve esercitare
una certa energia che indica il vero nesso tra il soggetto ed il suo attributo
; ora il g i u d i z i o f o r m u l a t o i n q u e l m o d o n o n f a v e d
e r e t u t t a questa attività del soggetto,ne fa vedere,si può dire, la
minima parte. All'incontro sono i verbi attributivi i quali possono risolversi
nel verbo essere e nell'at tributo, che manifestano la vera energia, la vera at
tualità del soggetto, che costituisce il giudizio nella sua realtà vivente;
perchè fanno vedere il soggetto che si manifesta nel suo attributo e fanno
vedere l'at tributo vivificato dal soggetto.Per questa ragione il giudizio
espresso nella sua forma classica trova più - 34 - ragione di
essere applicato nelle sfere inferiori mec . caniche della natura,quelle che
manifestano una energia più povera, relativamente alla energia animale ed umana
erelativamente all'altaenergiadella vita dello spirito. Qui tutte le attività,
tutte le funzioni che si esercitano e che si esprimono con verbo sono gin dizii
viventi. Se diciamo questo corpo é rotondo l'a' tributo, quantunque inerente al
soggetto, pure è con siderato come qualche cosa d'indifferente ad esso.Qui si
tratta del giudizio nella sua primitiva forma. Ma se diciamo questa pianta
fiorisce facciamo un giudizio della seconda forma, perchè qui vediamo il
soggetto che crea il suo attributo e vive in esso Ammesso il concetto del
giudizio qui dato, risulta evidente che ogni giudizio implica una sintesi ed
una analisi insieme e nello stesso atto. L'analisi vi dà la dualità dei
termini, siano nello stesso soggetto che tra due oggetti ; e l'analisi è un
morrento necessario a l g i u d i z i o ; p o i c h è s e n z a il d u a l i s
m o g i u d i z i o n o n v i sarebbe ; m a d'altra parte cesserebbe l'atto
stesso del e per esso. Più elevata e spirituale è la natura del soggetto
e più è ricco di attività speciali e più verbi glisipos sono attribuire e più
giudizii compie, svolgendosi e vivendo.Più ilsoggetto appartiene alle sfere
della materia bruta e meno verbi gli si possono attribuire 35 più le sue
qualità possono essere espresse con la forma classica del giudizio; ma ciò non
toglie che anche giudizii di questa fatta possano eseguirsi sopra alcuni
soggetti di elevata natura. giudizio se questo non fosse insieme
sintetico; cés sando la sintesi cesserebbe anche l'analisi e viceversa. Non vi
sono perciò giudiziipuramente analiticinè pu ramente sintetici;per conseguenzailsoggettovivente
compie continuamente un'analisi ed una sintesi delle sue qualità e lo
scomparire dell'una o dell'altra ap porta la morte di esso. Quando diciamo
giudizio diciamo ancora ragione, pensiero. Però come il giudizio consiste più
nell'atto psicologico,corrispondente al nesso intimo che vi è tra due
rappresentazioni, che nella distinzione dei ter miui, quantunque i termini
siano necessari al giudizio e senza di essi giudizio non vi sarebbe,lo stesso
deve dirsi del pensiero e della ragione. Se non che queste due parole,
considerate come semplice giudizio,dicono molto meno di quel che dicono quando
sono adoperate nel senso assoluto del loro contenuto. Quando diciamo il
pensiero,la ragione si vuole intendere il sistema di tutti i nessi possibili di
tutte le rappresentazioni delle cose della natura e dello spirito insieme, sog
gettivamente ed oggettivamente considerate. Quando poi sono applicate come
semplice giudizio equivalgono ad un pensiero,una ragione. Per alcuni logici la
parola proposizione esprime la stessa cosa chela parola giudizio
eperòsiadoperano promiscuamente queste due parole. Ma se vi sono verbi
attributivi che possono ridursi a giudizio,ve ne sono però altri i quali non vi
si possono ridurre, perchè non corrispondono pienamente a quel che siè detto
dovere essere un giudizio. Quando conosciamo 36 Si comprende
però che gli avvenimenti storici pos sono essere guardati dal punto di vista
estrinseco e quasi accidentale come fanno gli storici che riprodu cono i fatti
semplicemente nel modo come sono suc cessi;ma questistessifattipossono
ancheesserestudiati scientificamente e filosoficamente, considerati cioè in
quel che essi hanno di intimo,di necessario e di co stante; allora, entrando
quei fatti nel dominio della scienza,possono divenire obbietto di
giudizii, 37 le proprietà e le speciali energie dei fatti naturali o
psichiciosociali,ecc.allora possiamo faregiudizii; perchè si hanno avvenimenti
e fatti che sono sempre gli stessi nelle stesse condizioni e si manifestano co
stantemente ad un modo; ma se narriamo le gesta di Annibale o di Alessandro,
ciascun verbo che siamo costretti ad operare non può essere il verbo di un
giudizio;perchè esprime un avvenimento singolo che non è stato prodotto che da
quel tale individuo in quelle sue particolari condizioni ed in quelle condi
zioni di tempo,di luogo,in quello stato speciale di un popolo,avvenimento che
non può più riprodursi e perciò il giudizio non si ha quando si deve espri mere
uii fenomeno che non può ripetersi frequente mente,che è avvenuto una volta e
non piùequando non si vede alcuna necessità del suo ritorno. In questo caso,più
cheillinguaggioscientificoelogico,abbiamo illinguaggio storico,ed allora,più
che ilgiudiziosi ha la proposizione:cosi è spiccata la differenza tra il giudizio
e la proposizione :questo esprime gli avve nimenti storici, quello i nessi
logici. Il soggetto che giudica é determinato dall'atto stesso del
giudizio alla vitapratica.Ogni essere vivente,dal l'animale infimo all'uomo, si
sforza, come è noto, una condotta assai elevata, presupponendo ciascun suo atto
una molteplicità di giudizii;onde si vede l'intimo rapporto che passa tra una
grande intellettualità e la vita pratica. ancora 38 sottomettere ai suoi
bisogni la natura esteriore, ed ogni atto,ogni movimento che l'animale
esegue,cer cando di fuggire il malessere e di addurre a sè il
benessere,presuppone una distinzione negli oggetti concuièinrapporto.La
formicachevaincercadel frumento, riconoscendo in questo la proprietà di n u
trire,non solo compie un lavorogiudcativo ma anche un atto col quale manifesta
tale lavoro psichico.In tutti i pericoli che gli animali schivano come in tutti
i movimenti che fanno per prepararsi il nido o per andare in cerca del cibo e
per conservarsi,sipossono riconoscere gli atti che presuppongono ilgiudizio,per
quanto questo possa essere classificato tra i giudizii meccanici. I psicologi
in questo caso parlano d'istinto; ina è sempre l'istinto nel giudizio. In
questo senso gli atti degli animali equivalgono ad un linguaggio che esprime
alcuni nessi logici,quantunque sia il lin guaggioin
unaformabrutaemonca.Intuttigliatti che gli uomini fanno per raggiungere i loro
fini e la loro felicità si può riconoscere la conseguenza di un giudizio.E si
comprende come l'uomo eminente che ha una perfetta conoscenza delle cose possa
avere di IV. Formazione del concetto. Il soggetto può compiere
sull'oggetto un numero grande di giudizii secondo che pixi educato e svilup
pato è ilsuo potere di scrutazione e secondo che più complicata è la natura
dell'oggetto. Cosi, vivendo e studiando, la rappresentazione psicologica
primitiva che il soggetto ha delle cose si arricchisce di attributi e di
qualità ovvero sirisolvein attributiiquali erano primitivamente confusi in quel
che dicevamo oggetto e che costituivano tutto l'oggetto.Nondimeno durante e
dopo questo processo di scrutazione l'oggetto rimane sempre come qualche cosa
in cui alcune qualità sono distinte ed altre indistinte, potendo le qualità
indi stinte ricomparire subito distinte secondo che l'attività giudicatrice si
rivolge su di esse ed allora le distinte ritornano indistinte. Si verifica
anche qui un'applicazione speciale di quella legge psicologica secondo la quale
in una data unità di tempo il soggetto non può compiere che un lavoro limitato
e,come non può scrutare che succes. 1 39 per la prima volta
sipresentino allo studio del soggetto ; in questi casi è la legge generale che
pre domina. Dopo che si è compiuto sopra un oggetto un n u mero considerevole
di giudizii non si deve credere che allora l'oggetto sia conosciuto
pienamente.Più chela conoscenza del soggetto, si ha allora la conoscenza di un
mucchio di note coesistenti;perchè,se il giu dizio è un'alta funzione
psicologica e lozica, non è però la più alta la quale si ha invece quando tutte
le note di cui l'oggetto risulta appariscono in esso come organizzate, cioè si
ha un organismo di giu 40 sivamente un dato numero di oggetti e di
rappresen tazioni,per la stessa ragione non può compiere in una unità di tempo
e nello stesso atto psichico che un numero limitato di giudizii, quantunque
succes sivamente possano essere compiuti sopra un oggetto
tuttiigiudiziidicuipuò esseresuscettivo.Perònon si può sconoscere che le
abitudini della mente possono arrivare ad un'altezza cosi meravigliosa:da
conside rare come compiuti una serie di giudizii che non si
haavutoiltempodicompierepacatamenteodicom pierli in un breve atto : è il
meccanismo che penetra nelle più elevate regioni psichiche ed in cui si sem
plifica, per mezzo della ripetizione, il processo giu dicativo primario che è
più lungo e difficile. Ma in questi casi si deve trattare di compiere sempre
giu dizii già compiuti altre volte o negli stessi oggetti od in oggetti
differenti già percepiti, non in oggetti che dizii. In generale con
la parola conoscenza si vuol dire non solo l'apprensione e la ritenzione delle
pro prietà dell'oggetto e degli oggetti in connessione fra diloro,ma
ancorailoronessiconlealtreproprietà dello stesso oggetto e con le proprietà
delle altre cose, a differenza del pensare e delragionareincuisitiene pii conto
dei nessi delle cose. Quando l'oggetto è un mucchio di proprietà, queste
aderiscono a quel centro comune che primitivamente costituiva tutto l'oggetto
indistinto in sè stesso ;e,se si ha qui il grande vantaggio che ciascuna nota e
per mezzo dell'atto giudicativo connessa all'oggetto, non si vede la ragione
del coesistere di tutte queste qualità nell'oggetto e non sivede alcuna ragione
del l'incontro delle note fra di loro.La parola mescolanin che usano i naturalisti
quando vogliono indicare il coesistereel'essere diparecchi corpi
incontattol'uno dell'altro senza perdere la loro natura corrisponde a questa
sfera dell'obbietto logico in cui si possono c o m piere molti giudizii sullo
stesso obbietto, ma senza che l'uno eserciti una preponderanza sull'altro,senza
che l'uno abbia un valore superiore all'altro,e perciò ciascun giudizio ha un
valore per sè ; e considerati tutti fra di loro costituiscono una mescolanza.
Quandoilsoggettocominciaa scorgerenellarap presentazione la proprietà più
appariscente,quella sopra tutto per la quale l'oggetto ha costantemente un
valore speciale ed un uso,ed intorno a questa nota costantemente si aggruppano,
con nessi pi'i o meno 3. - +1 intimi, altre note si principia
a scorgere nell'oggettu i primi rudimenti del sistema il quale può darsi non
solamente tra le note dello stesso oggetto, ma anche tra più oggetti, secondo
il campo su cui si esercita l'attività soggettiva. Intendere logicamente il
sistema significa fissarlo nel suo minimum primitivo ed in una forma più com
plicata e seguirlo a mano a mano sinoallaforma piiz completa in cui cessa di
essere puro sistema e di venta sistema funzionante, sistema di sistemi ed
ganismo vivo. un si OL 42 L'intendimento del sistema è stata una delle
pii grandi conquiste che ha fatto il pensiero filosofico in generale ed il
pensiero logico in particolare. Questa parola che primitivamente ha significato
la molte plicità scomposta delle cose è stata ulteriormente usata ad indicare
la molteplicità ordinata di esse. È la filosofia di Hegel che ha compreso il
sis'ema nella sua forma più alta e come non era mai stato fatto prima.
Considerando Hegel l'universo come stema, si è molto addentrato nella
comprensione delle cose. E , come il sistema occupa una gran parte cosi nel
mondo della natura come in quello dello spirito, perchè interviene in ogni
grado di essi e senza il si stema nessuna cosa potrebbe intendersi, cosi costi
tuisce anche una sfera del mondo logico, tanto che senza di esso non potrebbe
intendersi il concetto che rappresenta in sommo grado l'energia logica. Il
sistema nella sua forma primitiva trova il suo In questa forma
primitiva il sistema apparisee, anche al soggetto superiore, nel regno minerale
ed inorganico od anche in tutto ciò che l'uomo, serven dosi di materiali bruti
ed amorfi, foggia pei suoi bi sogni; poichè qui si hanno sempre forme inferiori
di sistema.Qui le qualità connesse al sistema sono co stanti finchè dura
l'oggetto ; non hanno una energia superiore a quella meccanica, fisica o del
chimismo inferiore od inorganico. Il sistema solare presenta una forma più
perfetta di sistema;perchè esso presenta una molteplicità,un centro ed una
periferia e gli uni di cui risulta sono di visi fra di loro e dal centro per
mezzo di grandi tratti di spazio e sono uniti al centro del sistema - 13
riscontro nel regno minerale; il sistema della seconda forma trova il suo
riscontro nel regno della vita ; ma anche qui si riproduce,quantunque
trasformato, il sistema della prima maniera. La forma più rudi mentale di
sistema si ha quando ilsoggetto aggruppa intimamente intorno alla nota più
importante dell'og getto altre note secondarie od intorno ad un oggetto
principale altri oggetti di secondaria importanza fra i quali passino rapporti
più o meno estrinseci. È questo il sistema quale apparisce alla soggettività
volgare la quale non sa considerare l'oggetto diver samente anche quando ha
dinanzi a sè un sistema nella sua più alta forma quale può apparire allo scien
ziato. per legge di gravitazione. Per quanto si osservi qui in la
alto grado di sistema, perchè ciascuno degli elementi non è autonomo,ma
connesso al centro,pure serva tra le parti di cui il sistema risulta una grande
estrinsechezza. Per trovare una più elevata forma di sistema dob biamo entrare
nel regno della vita e nei tessuti che co stituiscono l'organismo animale o
vegetale;ma anche qui il sistema si presenta in una grande e meravi gliosa
graduazione ; perchè se in questa sfera gli ele menti che devono intervenire
non sono, - 4'1 si os non sono, come nelle
formeprecedenti,esseriinorganici,ma entidotatidi vita e di una più o meno
grande energia interiore e non sono divisi fra di loro per mezzo di distanzepiù
o meno grandi,ma sono in qualche modo in contatto fradiloro,ilcentroperò che deve
implicare ilsi stema non è sempre determinato, anzi non vi è nei sistemi dei
tessuti vegetali o nei tessuti di un'impor tanza inferiore degli
animali,comeperesempio iltes sutograssosoedilconnettivale.Per questa ragione ė
più perfetto quel sistema in cui gli elementi istolo gici che sono dotati di
vita sono non solamente con nessi od in contatto fra di loroma anche unitiinuna
comunione funzionale e che vi sia un centro ove con vergano le attività degli
elementi e che l'energia fun zionale dal centro s'irradii anche verso la
periferia. E, come vi è una sola funzione, quantunque assai multiforme, che
circola pel centro e per le parti che, per contrapporle al centro, possiamo
chiamare peri feria, vi deve anche essere la stessa identità di co
stituzione chimica tra gli elementi istologici di cui risulta il sistema.
I biologi distinguono il sistena dall'apparecchio il qnale consiste in un
complesso di organi di varia strut tura,ordinatiinmodo fradiloroda
compiere'una: funzione di complessa natura.Cosisidice apparecchio respiratorio,
uditivo, visivo, ecc. Inteso l'apparecchio in questo senso, ha una importanza
logica intermedia tra l'organo ed il sisteina, superiore a quello, infe riore a
questo. Ma un siste.na della vita non ha che una funzione speciale e non autonoma;
perchè è connesso agli altri sisteini e non può compiere questa funzione senza
l'in tervento e l'aiuto di altri sistemi. È qui che l'auto nomia del sistema
principia a venir meno ; perchè cia. scun sistema non fa che compiere una
funzione spe ciale in un sisteina che co.nprende tutti i sistemi della vita,
ciò che s'indica col no.ne di organismo. Anche dicendo sistema di sistemi si
dice sempre meno di quel che dice la parola organismu, la quale include una
grande intimità e reciprocità funzionale tra i singoli sistemi e tra gli
elementi istologici di cui risulta il sistema. - Da questo punto di
vistasesideve riconoscere che il sistema circolatorio sanguigno sia un grande
si stema si deve però ammettere che non vi è nell'orga nismo un sistema più compiuto
del nervoso, sia per la elevatezza della funzione che per la meravigliosa
struttura e per la ricchezza e bellezza delle forme che esso presenta.
Nel sistema una parte può venire sottratta senza
cheilrestodies30vadainrovina;maun organo qualunque dell'organismo non può
essere tolto senza che l'organismo non perda una nota fondamentale della vita,
la quale induce una diminuzione generale della perfezione organica e funzionale
e se l'organo ha una importanza grande nell'organismo adduce la caduta o la morte
di esso. La parola fisiologismo adoperata nel senso moderno (non nel senso
antico e greco secondo il quale signi fica semplice attività naturale)
contrassegna la nota più saliente dell'organismo che è la vita animale.Però il
fisiologismo non è una sfera naturale autonoma ed indipendente dalle altre zone
inferiori naturali;in esso -46 Sipuò dire che solamente in questo
secolo,pei grandi progressi che si sono fatti negli studi sulla vita in senso
largo, si è potuta comprendere la grande importanza dell'organismo. Quando si
dice che l'uni verso èun organismosivuole indicare un fattodiuna natura assai
più complessa ed elevata che quando si dice che esso è un sistema. Quegli
elementi che nel sistema diciamo parti nell'organismo diventano organi
iqualisono,èvero,parti,manonconnessialresto più o meno estrinsecamente, come
avviene nel sistema ordinario ; e sono elementi attivi e funzionanti pel resto
dell'organismo tanto che contribuiscono grandemente a tutta l'energia
dell'organismo e viceversa, questo dà ad essi un alto significato che, fuori
dell'organismo, non avrebbero. Ilchimismo,quantunquerappresenti una
seriedi fatti inferiori a ciò che costituisceilfisiologismo,pure costituisce
parte integrante di questo, cosi nel senso scientifico come nelsenso logico,tanto
che senzachi mismo non potrebbe darsi fisiologismo; poichè non vi è funzione
fisiologica la quale non implichi una serie di complicazioni e riduzioni
chimiche. E , poichè non vi è fatto chimico che non implichi nello stesso tempo
fatti meccanici e fisici; il fisismo èparte integrale del chimismo,cosi
scientificamente come logicamente,e per conseguenza anche dell'organismo. Ed il
fisismo si trova nel fisiologismo non solo come assorbito dal chimismo, ma
anche come indipendente da questo. Cosi nell'organismo, oltre ai fatti chimici
si trovano fatti anche puramente fisici, quantunque questi si tro vino in
complicazione coi fatti chimici e fisiologici ; ma però il soggetto può
fissarlied isolarli dagli aitri fatti e considerarli come puramente fisici. Avviene
cosi nell'organismo logico quel che avviene nella natura in generale in cui le
zone inferiori sono ciascuna autonoma e per sè e nell'istesso tempo in al
troeper altro.La meccanicaela fisicarappresentano - 47 invece sono
implicate il chimismo ed il meccanismo ofisismo (adoperando anche questa parola
nel senso m o d e r n o n o n n e l s e n s o a n t i c o s e c o n d o il q u
a l e v o r r e b b e indicare semplicemente il fatto naturale. Si sa che la
fisica moderna studia solamente alcuni fatti della n a tura, come la gravità,
il calorico, la dinamica, l'elet tricità,la luce,la vibrazione dei
corpi,ecc.). alcuni gradi della natura dove si manifestano in tutto
il loro potere.Ed anche la chimica è una zona per sé della natura,ma frattanto
in questa devono ne cessariamente intervenire le sfere precedenti, mecca nica e
fisica, altrimenti non potrebbe sussistere come chimica.E similmente i fatti
più complessi della na tura quali sono la vita vegetale ed animale non po
trebbero sussistere senza le due zone precedenti ; giac chè non vi è fenomeno
vegetale ed animale senza che v'intervengano fatti fisici e chimici.
Ifisiologi,inquestiultimitempi,avendo riscon trato fatti meccanici
nell'organismo ed una certa so miglianza dell'organismo al meccanismo, si sono
stu diati a tracciare le differenze che passano tra l'orga nismo ed il
meccanismo ed hanno conchiuso che l'organismo non è un meccanismo. Per quanto
giuste sieno state le osservazioni fatte, pure avrebbero rag. giunta una più
vera conoscenza dell'organismo se avessero detto che esso implica ilmeccanismo,
quan tunque il meccanismo che si trova nell'organismo non sia come quello che
si trova nei congegni meccanici, ma
trasformatoecomplicatodaifattidellavita;ondeé sempre una sfera
dell'organismo. 18 Nel campo psicologico si raggiunge la sfera della
perfezione quando l'anima èdivenuta organismo degli stati suoi, di sè stessa e
dell'oggetto, ciò che è la mente; e non si raggiunge questo punto senza essere
passati pel meccanismo psichico prima e pel chimismo poi;enondimeno queste due
formediattivitàpsichica esistono sempre nella mente come due sfere
subordi nateefondamentali per essa,tanto che quando l'or ganismo mentale
comincia a decadere, permanentemente o temporaneamente, ricomparisce il chimismo
prima e poi gradatamente il meccanismo come forme autonome
psichiche,e,quandoperunaincompiuta educazione psicologica,l'uomo non raggiunge
la mente, si arre sta al chimismo. Il meccanismo psichico pure contras segna la
vita animale e l'ultimo stadio di decadimento della mente già compiuta. La
parola organismo trova più propriamentelasua applicazione, che non la parola
sistema, quando si vuole significare in modo saliente quel che sia la fa
miglia,lasocietàoloStato.La molteplicitàdegliin dividui funzionanti di cui una
società risulta,l'essere questi individui animati da un fine comune che è lo
spiritonazionaleecheècomeilcentrodelle individua lità,la varietà di classi,di
funzioni, di aspirazioni, di attività in cui si possono scorgere tanti fini
secon dari o aspetti speciali e necessari del fine comune,onde non tutti
gl'individui partecipano all'istesso modo al raggiungimento di questo fine,
ilpermanere dello spi rito nazionale mentre gl'individui che vivono in esso e
per esso muoiono erinascono, fa diuno stato un or ganismo assai più complesso e
di un'assai più elevata natura che non l'organismo animale. E più lo stato ė
organico in questo senso e più è perfetto. Si può dire anzi che,dal primo
costituirsi dello stato sino allo stato come può essere ai giorni nostri, si nota
una tendenza a raggiungere la forma perfetta della orga nicità . Quando
si parla di organismo, sia che si tratti del l'organismo vegetale od animale,
che dell'organismo eticosihad'innanziunaltro fattopiù complessochene rende più
difficile la conoscenza ed è che l'organismo non può essere conosciuto in sè
stesso se non è messo in relazione con tutto ciò che lo circonda. La pianta non
può essere conosciuta se non si conoscono le sue relazioni con l'aria,col
terreno,col calorico, ecc.La vita animale non sipuò conoscere pienamente se non
si vedono irapporti che la legano al cibo che rappre senta il mondo esteriore,
all'atmosfera, al clima, al luogo.Sisa che l'animaleassorbisce qualche cosadal
mondo esteriore e lo rende ad esso per altri modi e per altre vie.Anche gli
organismi etici non possono sussistere senza un ambiente non solo naturale, ma
anche etico. Uno stato non può esistere senza il suo territorio,senza un
determinatoclima,senzaiprodotti delsuolo,come non pno aver una vita spirituale
propria senza assimilarsi il pensiero degli altri stati, senza essere in
rapporto con essi e senza esercitare un'azione sugli altri stati. Il soggetto,
passando dall'oggetto in cui questo è una mescolanza a quello in cui è un
sistema ed a quello in cui è un organismo, compie un lavoro giu dicativo
chimico progressivamente intenso.Conseguen temente larappresentazione
dell'oggetto sidetermina sempre più e diventa anche essa sistematica ed
or -- Perchè si abbia
il concetto logico le note di cui il concetto risulta devono essere comprese
tutte nel loro organismo, di ognuna di esse deve vedersi la neces sità e
l'importanza; poichè se di qualche nota non si sa vedere la necessità,cioè se
non si vede diessa laconnessionealtuttoedallepartioaglialtri or gani od alle
altre parti dell'oggetto,mediante un giu dizio intimo od una serie di giudizii,
non si ha più ilconcettologico;siha alloralarappresentazione logica. Sicchè la
rappresentazione logica si ha non solamente quando delle proprietà che
costituiscono l'oggetto una o parecchie sono viste nella loro con nessione
intima con esso e le altre sono viste acci dentalmente, ma anche se l'oggetto è
compreso,nella maggioranza delle sue note, nel suo sistema e nel suo organismo
e solamente una nota di esso non è vista nel sistema o nell'organismo, non si
può dire che si abbia allora la conoscenza compiuta dell'og getto;sihasempre
una conoscenza inferiore cheè ganica non solo in sè stessa, ma anche in
connes sione con altre rappresentazioni ; cosi anche a m a n o à mano la rappresentazione
bruta e puramente psico logica diventa rappresentazione logica. Ma quando
l'oggetto o la rappresentazione di esso è un sistema od un organismo, allora
siamo innanzi ad una nuova zona logica che è il concetto che vuol dire
conoscenza sistematica ed organica delle cose.Cosi si può fare una distinzione
precisa tra la rappresentazione logica ed il concetto logico.
Poichè la conoscenza sistematica ed organica del l'oggetto è l'ultima a
raggiungersi dal soggetto,s'in tende che prima di averlo pienamente raggiunto,
un certo numero di note ha dovuto essere considerato come inesplicato od
accidentale e non è stato espli cato se non dopo un ulteriore studio del
soggetto. La perfetta conoscenza di un oggetto o di un fatto può non essere
stata raggiunta dall'individuo che pensa;ma può possedersi dagli scienziati o
conser varsi negli annali della scienza ; può ancora non es sere stata
raggiunta dagli scienziati. In tutti e due questi casi si è nella sfera della
rappresentazione lo gica,non del concetto. Finora i logici non han fatto
distinzione tra r'ap presentazione e concetto ed han contrassegnato l'una e
l'altro insieme con la parola idea. Si sa che la pa rola idea è stata
largamente usata dai filosofi greci, dai filosoa del Medio-Evo e del
Rinascimento e dai filosofi moderni e contemporanei. Quantunque dallo studio
delle opere di Platone e di Aristotele appari sca che questi due grandi
filosofi abbiano bene di stinto quel che ora si dice conoscenza rappresenta
tiva dalla conoscenza perfetta delle cose,la opinione dalla verità,pure
essi,usando la parola idea, pare 32 la rappresentazione logica. In questo
caso una o pa recchie note sono considerate come inesplicabili ed accidentali,
mentre le altre sono considerate come ne cessarie ed esplicate (la nota esplicata
è la nota con nessa all'oggetto mediante l'atto giudicativo). che
non abbiano tenuto conto di questa distinzione e l'abbiano invece adoperata per
indicare indistinta mente l'una cosa e l'altra : ciò che, trattandosi di un
fatto di tanta gravità per la scienza, non può non ingenerare confusione ed
equivoci nella mente del lettore. Gli stessi equivoci hanno sostenuto,
adoperando la parola idea ifilo:ofidelMedio-Evo,delRinascimento, i filosofi
moderni e contemporanei.Non si deve però noverare tra questi l'Hegel il quale
frequen:emente nei suoi libri accenna alla differenza che deve pas sare tra la
rappresentazione e la nozione od il col cetto.E se è vero che anche egli fa
moltissimo uso della parola idea, l'adopera però per indicare il si stema od i
vari gradi del sistema dell'universo; ed in questo caso è chiaro che la parola
idea deve corri spondere al concetto. Ma,anche posteriormente
all'Hegel,ilogici, ado perando la parola idea, non han creduto necessario
dichiarare se essa deve corrispondere alla rappresen tazione od al concetto;
però nel fatto l'hanno adope rata per indicare l'una cosa e l'altra
indistintamente come si vede dai trattati di logica che circolano per le scuole
di tutte le nazioni. E vi sono anche alcuni logici che adoperano promiscuamente
le parole idea e concetto;ma non si può dire che la parola concetto che essi
usano corrisponda a quel che si è detto do vere essere il concetto, anzi,
stando a certe divisioni che essi ne fanno, si deve conchiudere che per
co: 53 cetto essi intendono la rappresentazione. Cosi essi,
tra le altre divisioni dei concetti, ne fanno una in concetti chiari ed
oscuri,distinti e confusi,completi ed incompleti ; ma un concetto che sia
oscuro o con fuso od incompleto deve essere una rappresentazione non un
concetto. Per l'uso equivoco che della parola idea si è fatto per tanti secoli
e perchè può ancora ingenerare con fusione nella mente, sembra necessario il
non doverla più adoperare,tanto più che le parole rappresentazione e
concetto,che sono anche esse due parole classiche, corrispondono benissimo a
distinguere due gradi dif ferenti di quello che i logici hanno indicato con la
parola idea. La parola concetto ha nella lingua latina ed ita liana un
significato assai profondo e complesso ;poiché esprime l'ultimo e più compiuto
risultato di un pro cesso,diuna seriediavvenimentiiqualihannoavuto il loro
punto di partenza in un fatto che è il loro
presuppostonecessarioelaloropossibilità.E questi avvenimenti devono essere
legati fra di loro con legame tale di successione che ciascuno di essi non può
rappresentare che un dato grado del processo, non può prodursi cioè prima che
si sieno dati altri gradiod avvenimenti più o meno elementari che esso pre
suppone e da esso devono prodursi altri gradi più c o m plessi i quali menano al
pieno risultato del processo. Cosi si vede che la parola concetto include w a
storia e che questo processo concettuale si riscontra non solo nella natura,
nel suo insieme, ma anche in ogni grado di essa con questo diparticolare che
più ci eleviamo nelle sfere alte della natura, quali sono la sfera della vita e
dell'umanità,più questo processo. Del Concetto lin si esegue
compiutamente e, relativamente, in breve tratto di tempo ed ogni proprietà di
ciascuno entedi queste importanti zone della natura compie insieme con le altre
proprietà una storia. Quel processo che avviene nella vita dell'animale e della
pianta risponde bene a quel che è un concetto. Si sa che la pianta ha il suo
punto di partenza nel germe che può considerarsi come il grado infimo di essa,di
là dal quale non vi è nulla della pianta. Partendo dal germe la pianta
attraversa una serie di gradi,lo sviluppo delle foglie e la trasformazione di
esse nel fusto, nei rami, nei fiori e nel frutto che racchiude il seme, ciò che
segna il grado ed il limite ultimo dell'esistenza della pianta; onde essa parte
dal germe e ritorna al germe. Si può dire che nel germe sono implicati tutti i
gradi della pianta e che il grado che segue alla trasformazione del germe lo
include come un presupposto necessario e cosi pos siamo dire del grado
successivo relativamente ad es:a. È stato dimostrato che il fiore è una
trasformazione della foglia ed il frutto è una trasformazione del fiore e
perciò anche della foglia e che anche il seme sia una foglia trasformata; onde
nel frutto sitrova come un grado ad un presupposto necessario il fiore e perciò
anche la foglia, all'istesso modo che nel fiore
sitrovalapossibilitàdelfrutto.Ora lastoria com piuta della pianta si ha quando
essa attraversa tutti questi gradi e si considera uno di essi come quello a cui
mirano i gradi precedenti, cioè il frutto ed allora 56
possiamo dire di avere il vero concetto della pianta. Cosi quando diciamo
concetto diciamo anche sviluppo. Da ciò si vede che il processo del concetto che
è il concetto stesso delle cose non deve essere inteso come una progressione
aritmetica.Da un grado non sipassa all'altro mediante una aggiunzione di
qualche cosa a -- Ma gli avvenimenti di cui risulta il concetto non solo
devono essere legati fradi loro pel nesso di suc cessione ma anche pel nesso di
coesistenza; giacchè, quando il concetto è dato,esso rappresenta un com plesso
di avvenimenti o di proprietà le quali ha con quistato e conservato nel suo
processo,di cui ciascuna è necessaria, benchè non necessaria all'istesso modo
chelealtre,perl'attualitàdelconcetto;enon po trebbe mancare senza che il
concetto venisse sconvolto o degradato. Però bisogna bene intendere questo
conservare che il concetto fa delle proprietà che acquista, nell'at traversare
tutti i gradi necessari prima di attuarsi pienamente; giacchè le proprietà di
un grado non sono conservate come precisamente tali nel grado seguente, ma sono
conservate ed insieme trasformate e complicate. Cosi nel fiore non abbiamo la
somma delle qualità della foglia insieme con quelle del fiore; ma
lequalitàdellafogliasisonotrasformateinquelle del fiore, di modo che vi si
conservano ma non come puramente tali,son divenute cioè proprietà nuove.E
questa trasformazione avviene in tutti i gradi che il concetto attraversa.
qualchecosaltro il quale, dopo l'aggiunta,rimanga come puramente tale
insieme con la cosa aggiunta, di modo che l'ultimo grado possa essere
considerato comelasommadeigradiprecedentiedincuiigradi precedenti si conservino
come puramente tali. In vero iprimi filosofi hanno compreso il mondo come una
progressione quantitativa;peressilaveritàdelle cose non era che un risultato di
una moltiplicazione o di una sottrazione dell'istesso principio naturale ; e
l'esplicazione dell'universo dal punto di vista m a t e matico e quantitativo è
stato quasi sempre tenuto di mira dai pensatori e dagli scienziati.Anche
aitempi nostri in cui le scienze particolari possono dare larghi contributi per
arrivare ad una concezione organica delle cose e dell'universo, è sempre il punto
di vista quantitativo che esercita le più grandi attrattive su gli scienziati,
anche quando si tratti di argomenti i più complessi ed ipiù remoti dalla
quantità pura,come la vita sociale o nazionale o la vita organica ; si sa che
anche ai giorni nostri ilcervello,come organo supremo dellavitaorganicaementale
dell'uomo,sicrede non po tersi altrimenti intendere che considerandolo dal
puuto divistaquantitativo.Ma ènotochePlatoneedAristo
teleavevanointravistochelamatematicaedilnumero sono insufficienti per la comprensione
piena delle cose e che l'HegeleilVera,apiùriprese,hanno molto insi stito nel
far vedere l'importanza limitata della mate matica nel sistema dell'Universo e
nel far vedere che il sistema delle cose non può essere compreso che dal
58 punto di vista qualitativo e specifico il quale però presuppone
come un elemento subordinato la mate matica, ciò che è ben diverso. a
numero, quantità a quantità, mentre la chimica va dall'identico al non
identico, che è il vero processo delle cose. Il processo chimico non esclude il
processo matematico;perchè non può esservi processo chimico senza il processo
matematico ; si sa che la chimica procede aggiungendo atomi ad atomi, molecole
a molecole,ciò che èprocesso quan titativo e, mentre nella sfera della quantità,
aggiun gendo quantità a quantità, questa è semplicemente aggiunta o sovrapposta
a quella la quale,dopo questa nuova aggiunzione, nulla acquista enulla perde
della sua natura qualitativa primitiva;aggiungendo all'in contro chimicamente
atomi o molecole specifiche ad atomi ed a molecole specifiche, viene come
risultato un corpo avente proprietà nuove, tutte diverse dalle proprietà che
avevano gli elementi di cui si compone il nuovo corpo. Si sa che l'idrogeno e
l'ossigeno di cui sicompone chimicamente l'acqua hanno proprietà diverse dalle
proprietà che ha l'acqua. E ciò si può dire di tutti i corpi composti
relativamente ai corpi semplicidicuirisultano.È questoillatoimportante e
meraviglioso del processo chimico. 39 Noi crediamo che il principio chimico,la
cui impor tanza era sfuggita agli antichi e si è vista solo ai tempi
moderni,possa, più del principio matematico, esprimere bene il vero svolgimento
delle cose ;giacchè la matematica procede dall'identico all'identico, ag
giungendo numero a numero, Sembra ora assodato dalla scienza
chimica che l'im mensa varietà dei corpi composti inorganici ed orga nici
sipossano tutti scomporre in quei pochi e deter minati corpi semplici ora
conosciuti.Ebbene,in qual modo con cosi pochi corpi semplici si possono otte nere
corpi innumerevoli con proprietà differentissime gli uni dagli
altri?Semplicemente mutando ledispo sizionichimicheomolecolari;odaggiungendo
sem plicemente una molecola di un nuovo corpo a molecole costituenti prima un
altro corpo o moltiplicando una molecola specifica di un corpo composto di
determi natemolecoleosottraendonealcuneadalcune.È questo processo che ci dà
corpi di natura tanto differenti e diversi. 60 Ma se la chimica occupa un
largo campo nellana tura,dallamateriaprimaallamateriacheraggiunge la più alta
forma complicativa, alla sostanza nervosa,dap pertutto nella natura essendovi
più o meno lente e conti nue complicazioni osemplificazionichimiche,ilprincipio
però chimico,quello secondo il quale di due o più cose od elementi che si
uniscono si forma un nuovo grado ilqualeha proprietànuoveedifferentidaquelli
dai quali risulta,rimane non solamente nella natura ma anche nella storia delle
cose naturali ed in quelle dello spirito. L'animale non s'intende aggiungendo
alle note che costituiscono la pianta, la sensibilità ed
ilmovimento;eseèveroche alcune qualità della pianta si trovano nell'animale,
queste hanno assunto ụną naturą tutta nuova nell'animale, tanto che,rigo
rosamente parlando, ciò che costituisce la vita della pianta non si
rinviene punto come tale nell'animale; perchè quelle note che costituiscono la
pianta sono nell'animale elevate ad una nuova zona e vivificate e complicate e
moltiplicate da una nuova vita.La nu trizione dell'animale è tutta differente
dalla nutri zione della pianta, all'istesso modo che la struttura organica
della pianta differisce dalla struttura animale. Ciò
portanecessariamenteunadifferenzanotevolenella storia della pianta ed in quella
dell'animale; sicchè tutto è nuovo nell'animale relativamente alla pianta e si
ha nell'animale una nuova e complessa serie di proprietà tutte differentidalle
proprietàvegetali.Cosi una proprietà che si aggiunga modifica tutte le altre
proprietà, come fa la sottrazione di una data proprietà o funzione
nell'animale. -61 Nella storia organica e psicologica del regno ani male
troviamo dominare lo stesso principio; giacche, se vi è una vasta scala di
specie animali,in ciascuna specie la modificazione di una data proprietà
organica e psichica,relativamente ad altre specie,adduce con sė una
corrispondente trasformazione di tutte le altre proprietà organiche,funzionali
e psichiche.Cosi laforma esteriore degli animali non è indifferente al loro
grado di energia funzionale e di energia psichica; la sensi bilità è varia
secondo le varie forme organiche,,se condo le varie forme di sistema nervoso ;
i movimenti sono vari secondo che è varia la sensibilità ed è vario il sistema
scheletrico ed il sistema muscolare. Una Inoltre l'individuo come
tale ha attribuzioni che non --62-- varietà organica dunque non si ha
senza avere unà varietà di tutte le altre proprietà e funzioni dell'ani male;
cosi di ogni proprietà animale. Si sa inoltre che alla vita di uno stato devono
con correretantecondizioni,tantifattori; ma c'inganniamo se crediamo che ciascuna
condizione non eserciti se condo il suo grado alcuna azione determinante su
tutte le altre condizioni e perciò su tutta la vita nazionale. L a ricchezza
non è nè il solo fine né il solo fattore di una nazione;ma uno statoricco può
avere un gran mezzo per creare condizioni necessarie ad elevare lo spirito di
una nazione in tutti i suoi aspetti, a far felice la fa miglia e gl'individui;
e d'altra parte uno spirito n a zionale elevato trova molte vie aperte
all'acquisto della ricchezza.I grandi individui contribuiscono a far grande una
nazione e d'altra parte sono le grandi nazioni che fanno le grandi
individualità. Un'alta vita reli giosa non può intendersi e compiersi che nelle
grandi nazioni e d'altra parte lo spirito religioso dà un ele vato contenuto all'arte,allaletteratura,spingegliuo
mini alle investigazioni scientifiche e filosofiche, può dare indirizzi nuovi
alla vita politica, commerciale, economica dei popoli, può dare un'impronta
speciale a quel che sidicespiritonazionale.Ciascunfattoredella vita sociale
dunque, mentre è modificato dagli altri fattori, dal loro grado di energia o di
decadimento, contribuisce a modificare,svolgendosi,quale che sia il suo grado,
gli altri fattori. 63 ha come faciente parte della famiglia in cui
acquista nuove e più alte qualità,onde,senza il sacrifizio e senza
l'abnegazione dell'individuo,lafamiglianon può vivere una vita rigogliosa. Cosi
le attribuzioni della famiglia sono differenti da quelle dello stato, quan
tunque senza la famiglia lo stato non potrebbe essere, essendo questo
costituito di una moltitudine di fa miglie e perciò d'individui, i quali nello
stato acqui stano nuove e più alte qualità; onde nello stato le famiglie e
gl'individui non sono come sono fuori dello stato, Il principio chimico domina
cosi la vita della n a tura e dello spirito,non ilprincipio matematico, quan
tunque la chimica implichi e presupponga lamatema tica senza la quale né il
chimismo, nè la natura, nè lo spirito stesso potrebbero essere.Onde,sepuò dirsi
che il chimismo è lo schema dell'organismo delle cose, la matematica può dare
lo schema quantitativo del chimismo e per conseguenzadellecose;ma perquesto è
più lontana che non la chimica dalla realtà che non può intendere e che è sopra
tutto qualitativa; ed è la chimica che fa intendere il concetto e che costi
tuisce la seconda zona logica e che è parte integrante della vita del concetto
più che la quantità la quale può corrispondere alla prima zona logica.
S'intende che qui si parla del chimismo logico, non della chi mica come sfera della
natura, la quale ha anche essa il suo concetto, come qui si parla della
matematica come principio logico;non della matematica come sfera
speciale del pensiero e delle cose; poichè come tale ha anche essa il suo
concetto. Sicché non si nega che la matematica possa dare un certo schema della
realtà e che perciò non sia una certa logica ; si afferma solamente che essa ci
dà uno schema assai povero della realtà, che non ce la fa intendere. In vero la
logica classica non è stata che la logica matematica e se vi sono oggi dei
logici i quali, coltivando la logica intesa matematicamente, credono di
coltivare una nuova logica,essi s'ingannano, quantunque però diano nuovi
svolgimenti alla vec chialogicalaquale,se nonpuòesserelalogicadella vita e
dello spirito,può essere però la logica delle sfere inferiori della
natura,della meccanica, in tutti i suoi gradi, e della fisica intesa come grado
della natura in generale. Si sa che tutti i fatti meccanici e fisici possono
ridursi a formole matematiche, quan tunque allora non saranno la meccanica e la
fisica che ci guadagneranno, le quali sono sfere molto più con crete e ricche
che le matematiche pure; onde,ridotti i f e n o m e n i m' e c c a n i c i e f
i s i c i a s c h e m i m a t e m a t i c i , e s s i perdono la loro
concretezza, perchè sono semplificati (le cose non potendo essere intesa che
dal punto di vista semplificativo ecomplicativoinsieme;onde,s'in tende la
meccanica e la fisica non solamente quando sono intese matematicamente, ma
quando sono intese matematicamente ed insieme meccanicamente e fisica mente; in
quel caso guadagna però la matematica la quale estende i suoi confini).
64 6.3 I fatti però meccanici e fisici dell'organismo non sono cosi
facilmente riducibili a schemi matematici; non avendosi allora il meccanismo ed
il fisismo puro od inferiore, ma ilmeccanismo ed ilfisismo come gradi
dell'organismo,onde quei fatti sono allora determi nati da cause chimiche ed
insieme fisiologiche e per ciò sono di una provenienza oscurissima e complica
tissima; perchè il fatto meccanico o fisico può essere effetto di moltissime e
svariate condizioni organiche e sono nello stesso tempo effetto e causa di
altri fe nomeniorganici.Cosisipuòdiredei fenomeni psi chici e sociali; onde,
per quanti sforzi la matematica faccia per entrare in questo regno, essa non
potrà impadronirsene mai, potrà però calcolare matematica mente i fenomeni
estrinseci di essi.Ciò conferma sem pre più il principio che non può essere la
matema tica lo schema della realtà; ma è il chimismo. Aristotele, il primo
grande logico dell'antichità e quasi il fondatore della logica, le cui dottrine
per 22 secoli hanno doininato e dominano ancora nelle scuole, perché non si
possedeva ai suoi tempi una conoscenza profonda della natura e dello spirito
come si possiede ora, non poteva darci che la logica quantitativa che si può
considerare come il grado primitivo e più ele È lo studio profondo dei
fenomeni biologici come in gran parte è stato compiuto ai nostri tempi, che può
farci vedere la grande importanza del processo logico chimico per raggiungere
il vero concetto delle cose;e ciò non era possibile prima dei nostri
tempi. mentare della logica. L'Hegel poi può dirsi il fonda tore
della nuova logica più per avere fatto vedere l'insufficienza della logica classica
ad intendere la realtà anzichè per averci dato compiuta la nuova lo gica;e ciò
perchè anche ai suoi tempi gli studi na turali e biologici non avevano
raggiunto quell'alto grado cheraggiunseroposteriormente.Nondimeno l'ap parire
della logica di Hegel segna nella storia un'e poca grandiosa;poichè,per mezzo
di essa sono state poste le basi e si sono fatti i primi passi della lo. gica
reale come può aversi e svolgersi ai nostri tempi. Inteso il concetto come
l'ultimo risultato del pro cesso storico e chimico delle cose non ha più quel
l'importanza che ha nella logica classica il capitolo della comprensione e
della estensione dei concetti, in cui il concetto è inteso solo
quantitativamente. Bisogna distinguere il concetto che sta per co.n piersi dal
concetto compiuto ; quello può essere chia mato concezione o concepimento che
indica appunto l'atto del compiersi del concetto. Ora nell'atto che il concetto
si forma attraversa vari gradi di cui cia scuno, se è considerato come
arrestato nel suo c a m mino,può essereconsiderato come unconcettopersė; e si
considera come grado di un altro concetto se as sume qualità e forme nuove di
esistenza tanto che puòcorrispondere adun concettopiù compiutodiesso; ed in
questo caso esso fa parte della concezione o del concepimento del nuovo
concetto ; e ciò può dirsi di ogni concetto. ĜO !
Considerando da questo punto di vista l'universo, si scorge facilmente
che ogni sfera,ogni grado di esso è insieme concepimento e concetto, cioè è
assorbito e complicato chimicamente in un concetto più alto e nello stesso
tempo può essere considerato come un con cetto in sè. Questo duplice fatto
forma dell'universo un vasto sistema e nell'istesso tempo un grandioso
organismo;perchè ciascun concetto è in sè e per sè ed insieme in altro e per
altro. conce -67 Questo principio si osserva con evidenza in tutte le
zone delle mondo della natura. I minerali ed i feno meni fisici sono insieme in
sè e per sè in una deter minata zona della natura (concetti);ma essi sono per
la chimica relativamente alla quale sono pimento.Cosi la chimica rappresenta
anche una de terminata zona del mondo naturale ;ma, mentre è in sè, e perciò è
un concetto,è anche concezione ;perchè la chimica è per la vita della pianta e
dell'animale e perciò,mediatamente,anche ilminerale èperlavita. Nel regno della
vita questo processo diconcepimento continua ; perchè,quando è data la forma
infima della vita vegetale, si passa da forme vegetali semplici a forme
gradatamente e successivamente più complesse sino all'ultima forma vegetale che
potrà dirsi la più compiuta.In questo processo quei gradi che inatura listi
dicono specie rappresentano appunto la conce zione della pianta;per cui
ciascuna specie èinsieme concetto e grado del concetto superiore.Lo stesso può
dirsi dellapiantarelativamenteall'animaleedelmondo della vita animale in
generale. Quando siconsideral'uomonell'ordinedellanatura sembra
cheinluisiabbial'ultimorisultatodellastoria e del processo naturale ; ma
d'altra parte l'uomo non è per sè solamente ; perchè egli è quel che è per la
famiglia e per lo spirito nazionale che egli contribuisce a formare ed in cui
vive e si muove,all'istesso modo che lo spirito nazionale è per Dio che è il
puro per fetto spirito in cui perciò si ha il vero concetto ed a cui tutta la
concezione dell'universo aspira; perchè Dio non è più per altro ma per sè
ovvero ė inaltro per sè ; e tutta la vita ed il movimento della natura e dello
spirito terreno non sono che un processo di ele vazione a lui e fuori di lui
non sarebbero e non po trebbero esplicarsi. Cosi vi è un solo concetto e
l'universo è una serie di concepimenti che sono relativamente concetti.E questi
concetti costituiscono un processo di compli cazione che è chiuso tra due
limiti estremi, il massimo ed il minimo. Il limite minimo si ha nell'elemento
primo della naturaeperciò del pensiero,diqna dal quale vi è il sistema e
l'organismo dei concetti, di là dal quale vi è il nulla della natura e del pen
siero. Come tale questo limite minimo dei concetti può essere concepimento od
elemento del concetto che segue ma non concetto.Il limite massimo ècostituito
dal concetto assoluto, di là dal quale vi ha del pari il nulla e di quà dal
quale vi è tutto ilsistema e l'or ganismo dei concetti. Ciò posto i concetti
sono nella natura e nello spi Le cose sono cosi in se
stesse,obbiettivamente, con cezione e concetti ; ed il soggetto, volendo
conoscerle, deve seguire lo sviluppo di ciascuna di esse, dal suo primo ed
infimo grado sino alla sua più compiuta realtà;deve seguire il processo del
formarsi e del trasformarsi delle proprietà costituenti l'oggetto che
siconcepiscesinoalsuoultimostato,come avviene degli enti morti o sino al
massimo grado della sua energia, come avviene degli esseri viventi o degli or
ganismi etici.Quandoilsoggettoavràcompiutoquesto lavoro psicologico insieme
elogico di concezione in modo che questo processo corrisponda alprocesso
obbiettivo rito,eperciònelpensiero,dispostiinmodo seriale; onde ciascun
concetto che è tra i limiti ha un prima ed un dopo ed è concetto del concepimento
'precedente e concepimento del concetto seguente.Non sipuò dire però che il
concetto che precede sia compreso come tale e nel senso della logica classica e
con tutti i concetti precedenti dal concetto seguente ; poichè il chimismo che
domina il processo dei concetti non a m mette
lacomprensionenelsensoclassico,cheè conside ratain senso puramente
quantitativo. Del pari non si può dire che ciascun concetto si estenda in altri
concetti; perchè esso è chimicamente assorbito e trasformato dal concetto che
segue immediatamente e non si può tro vare come semplicemente tale in altri
concetti'; onde la estensione secondo la logica dei secoli non risponde al vero
; perchè in questa i concetti sono estrinseci gliuniagli
altri,percuinonvièorganismodiconcetti. 69 70 d e l l a c o s a , e
g l i a l l o r a a v r à r a g g i u n t o il c o n c e t t o d i e s s a :
ciò che può dirsi cosi dei singoli concetti o di un si stema di concetti che
del concetto assoluto. L’economia nella vita dell’animale e
dell’uomo. L’ attività economica è una nota propria e
fondamentale della vita animale ed umana. Essa è rappresentata prima
dalla fisiologia, cioè dalle funzioni dell’organismo. Ogni funzione
or- ganica, studiata analiticamente, dimostra una dualità, cioè due
termini: l’organismo vivente che rappresenta l’unità degli or- gani
funzionanti; e il mondo a lui esteriore con cui è in con- tinuo rapporto
(alimento, ossigeno dell’aria, acqua, calore, luce, ecc.). L’ uno dei due
termini scisso dall’ altro annullerebbe in- sieme con la vita l’attività
economica; e l’organismo dovrebbe disfarsi. La vita,
sostenuta da organi di elevata struttura e costi- tuzione chimica,
implica l’ unità degli elementi istologici, dei tessuti, dei sistemi e
degli organi che la rappresentano. Ma la funzione di ciascun organo e
sistema, mentre ha un fine che si esercita o dentro l’organismo, in aiuto
ad altre funzioni, o fuori dell’organismo, contro il mondo esteriore per
dominarlo e farlo servire ai suoi bisogni, deve implicare una continua perdita
materiale degli organi funzionanti, che si riduce contempora- neamente in
una degradazione chimica di sostanze componenti i tessuti e gli organi,
dallo stato di elevata natura a quello di più elementare costituzione
molecolare. Nello stesso tempo deve associarsi ad uno sviluppo di forze
fisiche (forza meccanica, vibrazioni molecolari, calorico,
elettricità). In tal modo i due termini debbono entrare in un
rapporto molto intimo e continuo fra di loro ; giacché il termine
esterno naturale, rappresentato dall’alimento, dall’ossigeno dell’aria,
dal- l’acqua, deve diventare interno. Infatti l’alimento da
sostanza esterna e morta, quantunque di elevata costituzione
chimica. ti r I ^
I giacché è stata vivente, come la carne, le uova, il latte, le
erbe, frutta e semi di varie piante, modificati esternamente e poi
in- geriti dall’animale e dall’uomo, vengono ancora modificati, ri-
dotti in sostanze relativamente semplici. Passate poi nel circolo
sanguigno vengono ancora modificate dalla presenza dell’ ossi- geno che i
globuli rossi del sangue hanno fissato per nutrire i tessuti in contatto
dei quali sono messi e dai quali si compie l’assimilazione. In tal modo
il cibo raggiunge la sua massima elevcizione; da termine esterno e morto
diventa interno e vivo. Ma qui comincia la scissura interiore, onde il
termine interno diventa per mezzo della funzione anche esso morto in
alcuni suoi elementi e le sostanze che lo costituiscono, decadute e
sem- plificate, vengono così restituite al mondo esterno, per mezzo
dei reni, della cute, del polmone e ancora modificate dalle glan- dolo di
speciale segrezione; all’ istesso modo che l’energia che costituiva il
termine interiore si risolve in forze meccaniche e fisiche le quali si
spengono entro l’organismo stesso e nel mondo esteriore, anche per mezzo
del lavoro. Il termine interiore che da prima è un organismo
vivente di elevata struttura, perchè è e sussiste, si può chiamare
bene, secondo lo scrittore del j)rimo capitolo della Genesi, per
cui è bene tutto ciò che è creato da Dio ; ed il termine
esteriore, perchè anche esso è e sussiste, si deve anche esso
chiamare bene; ma, poiché deve essere degradato come tale, e
trasfor- % maio e ridotto nei suoi elementi; diviene
male. E male il deca- dere, lo scomporsi, il menomarsi degli enti. Ma,
poiché dai suoi elementi di nuovo si ricompone, si organizza ed alimenta
la vita, diviene di nuovo bene; ma bene interno, come il bene in-
terno si trasforma in male interno airorganismo da prima, poi in male
esterno; perchè nei suoi elementi primi si trasforma in male esterno,
cioè in elementi inorganici senza una finalità su- periore. Ma di nuovo
può divenire bene esterno, perchè per mezzo di essi si possono ricostituire
i beni esterni più elevati (piante, animali, ecc.). Il bene cosi si
trasforma in male e questo in bene. L'antico detto corruptio unius gene
ratio alterius espri- me un principio che domina il regno della vita
vegetale ed animale, giacché anche la pianta si trova in una posizione
dua- listica tra sè e il mondo a lei esteriore (il terreno, Tarla,
la luce) ed è perciò in lotta con esso che tende a conquistare,
come questo è in lotta con la pianta. L'animale è in una lotta
più intensa col suo termine esteriore, la natura, come questa
% è in lotta contro Tanimale. E questo lo schema più
semplice della vita vegetale ed animale. Distinta cosi T
attività economica in due termini e fatta Tanalisi di questi, apparisce più
chiaro il concetto generico di economia. Quantunque questa parola sia
stata adoperata la prima volta in Grecia ed intesa come legge,
amministrazione della casa, implica anche il concetto di soddisfazione,
di godimento, che gli animali e noi abbiamo di qualche cosa che dalTesterno
penetri nel nostro organismo. Coinvolge anche il concetto d'in-
tegramento, conservazione, elevazione di qualche cosa di ma- teriale per
mezzo del lavoro delTuomo o per opera della na- tura stessa, ma che
rimane sempre nel mondo esterno alTuomo e di cui questi può cercare di
godere. Importa notare la differenza tra Teconomia della vita
ani- male e quella delTuomo, che implica insieme con la vita orga-
nica 0 animale, qualche cosa di superiore o mentale. Benché una grande
differenza vi sia anche nel regno stesso delTani- malità, nelle sue varie
specie, dalTaniraale infimo a quello della più complessa organizzazione,
giacché dalla prima alla seconda specie il processo della vita si va
sempre più complicando e specificando, alT istesso modo che si complica ed
aumenta di volume Torganisrao nei suoi tessuti e nei suoi organi ; onde
si ha un'organizzazione più vasta e complessa, pure in quest'ara-
pia graduazione di animali lo schema dell* economia della vita è identico
in tutti; benché varia sia la quantità dell' alimento ingerito ed
assimilato e poi consumato e ridotto ad elementi semplici, come
corrispondentemente varia sia la somma delle forze fisiche
esplicate. L'animale infatti, a qualunque genere o specie
appartenga, non vive che monotonamente, sempre nel presente, benché
va- ria sia la sua attività esplicata per vivere, secondo la natura
della specie a cui appartiene, e vario sia l'ambiente naturale e
climatico in cui vive. Esso non ha cura che per conservarsi e per fuggire
i pericoli che lo minacciano; cerca la tana, il cibo, e l’acqua per
dissetarsi ; alleva con molta cura i suoi nati e provvede per il loro
alimento; li protegge contro le insidie degli altri animali sino a che
essi non possano vivere da sè. Non provvede pel suo avvenire e, durante
la vita, non è suscettivo, a causa delle limitate sue condizioni
psicologiche, a migliorare la sua posizione economica, come è avvenuto
pel suo passato in cui si è riprodotto sempre identicamente lo stesso
tipo e la forma del suo organismo. Dall’animale all’ uomo si
fa un passo gigantesco; giacché questi, a causa della superiorità della
struttura del suo organi- smo e della sua intelligenza, si volge a
studiare continuamente sè e il mondo esteriore. Avendo il suo organismo
molteplici bi- sogni, egli si sforza di soddisfarli per mezzo delle
sostanze che trova nel mondo esterno; e, a differenza dell’animale,
prevede i suoi bisogni avvenire e provvede come può affinchè nulla
abbia a mancargli pel futuro. E, se tende da prima a sfruttare la natura,
come fa l’ animale, di poi, apprendendo da essa stessa i suoi metodi, si
sforza di produrre ciò di cui ha bisogno per vivere (piante ed animali
speciali). Si apn; cosi all’ uomo il campo della produzione dei
beni naturali di cui ha bisogno, e % che può ottenere
per mezzo deir ingegno e del lavoro. E una lotta che egli deve sostenere
contro la natura, che ha avuto principio col suo primo apparire sulla
terra, che è andata sem- pre crescendo ed intensificandosi lungo il
processo della storia e con lo sviluppo della civiltà; e che non avrà mai
fine, finché dura la vita umana. La materia economica non può perciò
essere intesa fuori della sua storia, anzi essa fa una sola cosa con la
storia del- r umanità ; giacché questa ha la sua base nell' economia
e senza di questa non potrebbe essere; all' istesso modo che nes-
sun aspetto 0 grado del mondo naturale ed umano sfugge alla storia e
fuori di questa non potrebbe comprendersi. La scienza economica dunque
deve trattarsi storicamente. È questo un ten- tativo che può farsi solo
oggi, in tempo di un grande sviluppo dell'esperienza e della rifiessione
umana, in cui il pensatore acqui- sta coscienza di sé, dei propri bisogni
fisiologici e mentali e del mondo esterno naturale, in ciò che può
soddisfare i detti bisogni. V f Questa materia cosi deve essere studiata
nei suoi due ter- mini, il soggetto e l'oggetto, economici,
ciascuno nella sua storia e nel suo rapporto con l'altro, senza del quale
nessuno dei due termini potrebbe sussistere sotto l'aspetto economico; e
questo rapporto é tutto tra i due termini, per lo quale questi si
uni- scono e dividono continuamente. È la storia deU’umanità e
della natura insieme nel loro aspetto drammatico. Nel
trattare i principii naturali di economia bisogna trarre insegnamento
prima dello studio della storia deH'umanità. Ma nella storia fatta dagli
storici più valorosi e rinomati l'aspetto economico non è messo gran
fatto in evidenza; come se per loro » * non avesse avuto che un'
importanza trascurabile; non veniva perciò compreso e considerato
nella sua obbiettività e non si sognava che un giorno i posteri sarebbero
stati curiosi di cono- scere, nei suoi particolari, il metodo e la
materia dell' attività economica dei popoli di cui si narrava la storia.
Si credeva che il cibo e gli altri beni di cui l'umanità ha bisogno
sarebbero stati sempre abbondanti e perciò non meritava che gli
uomini se ne preoccupassero. Del resto anche gli storici più recenti
si sono cosi condotti verso l’aspetto economico della popola- zione. Pure
in ogni scrittore non possiamo non trovare qualche accenno alla vita
economica delle nazioni di cui si narra la storia 0, se non alla economia
normale, aireconomia patologica, come la carestia, la pestilenza, i risultati
della guerra, le emigrazioni e le immigrazioni, i perturbamenti della
natura fatti per opera della mano deiruomo, che, facendo vedere la
deviazione del processo economico normale e naturale nella storia, fanno
meglio vedere le necessità di questo. Avviene così nel campo economico
quel che avviene nel regno della vita, per cui le malattie che sono
la deviazione funzionale degli organi dal processo tipico normale
della vita, che apportano anche una corrispondente alterazione chimica,
istologica ed anatomica degli organi, hanno dato non pochi contributi
alla conoscenza delle funzioni normali della vita. Vi sono poi le
grandi crisi economiche nazionali o univer- sali, come quella che ora si
attraversa sull’ incarimento del costo della vita, un fenomeno nuovo e
gigantesco che non ha avuto l’eguale nella storia, la cui origine oscura
ci obbliga a riflettere e a meditare per risolvere Tenigma. Vi sono
inoltre gli errori della storia che il popolo stesso compie per suo prò-
prio istinto o che compiono gli uomini di governo, errori di cui è piena
la storia e che, con le loro conseguenze patologiche, fanno meglio
comprendere il processo logico e progressivo della storia come avrebbe
dovuto essere. Cosi è stato disastroso per la vita dei popoli il non
avere compreso la natura propria della moneta che si è voluta sempre di
metallo prezioso, per cui alla scarsezza di questa si debbono alcune
rivoluzioni ed un arresto nello sviluppo del lavoro e della produzione
dei beni e r arricchirsi di alcune nazioni che ne hanno molta a danno
di altre che ne hanno poca. Ma il presente stato economico del
mondo in cui l’ industrialismo ha raggiunto un grado di vitalità •
esuberante da per tutto ed attira l’energia e V operosità del
maggior numero degli uomini i quali affluiscono nelle industrie e nelle
città disertando i campi e i villaggi, ci spinge a stu- diare il presente
fenomeno e, mettendolo in relazione col pas- sato economico, ci apre la
via ad intendere la storia econo- mica deir umanità. Ma la storia
economica che fa una sola cosa con la storia * politica, artistica
ed intellettuale delle nazioni, nell’ aggregarsi o disgregarsi continuo
di queste, è certo un grande e cospicuo periodo del processo logico della
storia del mondo ed è anche quello più memorabile: quello cioè che, per
essere stato esperi- mentato primitivamente da alcuni uomini,
riconosciuto e pro- vato da altri, aggruppati da prima in piccole tribù o
società, e poi esteso, ad altri, è trasmesso a mano a mano ai posteri
col contatto degli uomini, attraverso il loro nascere, crescere e
morire. E l’attività economica che è stata sempre viva nella sto- ria,
quantunque abbia operato in modo inconscio agli uomini, negli ultimi due
secoli ha raggiunto uno sviluppo considerevole insieme con lo sviluppo
industriale e con l’estendersi del com- mercio nel mondo. Questa da prima
si è sviluppata istintiva- mente ed impulsivamente per mezzo dell'
ingegno dell’ uomo che ha saputo trovare ed aprire le vie; poi è venuta
la scienza dell' economia industriale e commerciale, che ha riconosciuto
i fatti compiuti e ne ha formulato e cercato di spiegare le leggi.
Sicché non è stata la scienza economica che ha destato l’atti- vità
economica, bensì questa ha dato origine a quella. Si può
rintracciare dunque, attraverso la storia intellettuale, politica e
pratica dell’umanità, una storia economica. Ma la sto- ria politica
rappresenta il processo degli avvenimenti umani di cui si conserva
memoria; si è perciò innanzi ad un’epoca molto avanzata dalla storia,
quella in cui l’uomo ha cominciato ad acquistare consapevolezza
della sua superiorità sulla natura e della possibilità del suo dominio
sugli uomini inferiori per in- gegno ed attività pratica. Ma la storia
memorabile e memorata presuppone la preistoria, che è di là dalla memoria
degli uo- mini e che nondimeno ha dovuto preesistere alla storia.
Come nessun aspetto della civiltà e delle istituzioni umane sfugge
alla preistoria, quale il linguaggio, la politica, l’arte, la religione,
ecc., così avviene dell’economia e della scienza economica. E la
sto- ria d’altra parte si connette alla preistoria di cui è
continua- zione e complicazione, onde si può dire che nella preistoria
si trovano i principii economici più semplici ed elementari che
nella storia progressivamente si sono andati complicando ; ma che sono
sempre vivi ed attivi nella storia ulteriore: ed appariscono nella loro
semplicità nelle grandi crisi di economia so- ciale, quando si sente il
bisogno di tornare alla vita naturale e primitiva. Non bisogna però
ammettere una barriera tra la preistoria e la storia. Ciò che fu il
principio è la base odierna deir edificio economico.
Quantunque la preistoria pura e primitiva sfugga alla no- stra
osservazione, pure, come è avvenuto pel linguaggio, stru- mento
fondamentale deirintelligenza e deirattività pratica umana e del
progresso scientifico, si può rintracciarla prendendo le mosse
daireconomia naturale che può avere rappresentato essa sola neirepoca
preistorica tutta T umanità, che di poi divenne storica, economia che
anche oggi deve essere considerata come il sostegno deireconomia storica,
industriale odierna, e senza la quale questa è destinata a fallire. In
questo senso, guidati dalla logica della realtà delle cose e dalla
psicologia speculativa, si può rintracciare il processo preistorico dell’
economia. Il punto di partenza è qui Teconomia fisiologica, comune da
prima al- Tanimale e airuomo, giacché ambidue sono soggetti economici
che hanno la natura come termine a loro opposto. Ma, mentre, come si è
detto, la soggettività animale ha un arresto nel suo sviluppo, la
soggettività umana all’ incontro prosegue senza li- miti, cercando di
conoscere la natura ed adattarla alla soddi- stazione dei suoi bisogni,
che con la sua intelligenza sa scoprire in sé, nel suo organismo e nella
sua mente, nuove lacune da colmare. A differenza però deiranimale in cui
Torganismo si svi- luppa rapidamente, onde breve è per esso il periodo in
cui ha bisogno delle cure dei genitori, perchè ben presto può fare
uso delle sue forze e rendersi indipendente, onde vive guidato dai
suoi istinti, l'uomo all’ incontro ha bisogno di un certo numero di anni
per potere da sé provvedersi del cibo e colmare tutti i suoi bisogni. Ben
presto morrebbe se, appena nato, non avesse le cure materne, ed anche se
venisse abbandonato a sé stesso neH'infanzia e neiradolescenza. Molte
altre cure poi richiede, ed anche un certo numero d’anni, se egli vuole
educarsi, eser- citare un facile mestiere od una difficile professione; e
volesse elevarsi nella sfera dell’ alta cultura, dell’arte o della
scienza. In questo lungo periodo della sua vita il giovanetto è
allevato e educato dalla famiglia, o dalle istituzioni di beneficenza,
dal- r insegnamento pubblico e dalla religione. In tutto questo
periodo dell’infanzia e della fanciullezza il dualismo è rappresentato
dal fanciullo, ente passivo nella sua attività, e dalle istituzioni
familiari e sociali, che sono il termine veramente attivo, il quale,
servendosi di elementi c vie naturali, eleva e conduce il bambino
all’attività pratica, affinchè possa col tempo provvedere ai suoi
bisogni. Il giovanetto, diventato adulto, deve da sè solo risolvere il
problema dell’esistenza, per quanto possa essere agevolato dalle
istituzioni ; allora egli si trova d’innanzi alla natura alla quale
domanda i mezzi di vita 0 di conservazione. Questi sono rappresentati dal
ricovero e dall’alimento che è fornito dagli animali e dai frutti e semi
di piante; e vegetali di una elevata costituzione chimica. Qui co-
mincia la lotta tra 1’ uomo e la natura. Questa è da prima prov- vida
madre per lui, onde gli concede facilmente ciò di cui ha bisogno, ma non
senza che egli taccia qualche sforzo, qualche fatica, andando in cerca
deU’alimento, sottomettendosi anche a gravi pericoli e spesso rimanendo
vittima delle intemperie o degli animali che egli ha cercato di abbattere
e conquistare. E questa la condizione dell’ uomo primitivo che non
ha a- vuto dal passato insegnamenti e tradizioni; per cui
l’esperienza e l’osservazione debbono cominciare da lui che è fornito di
un organismo che si presta ad una grande varietà di lavori; e di
intelligenza che gli è guida all’ attività pratica, allo studio ed alla
conoscenza della natura della quale cosi può meglio ser- virsi; e
conserva memoria delle sue conquiste, passate e pre- senti. Ma la natura,
dà all’ uomo i mezzi di vita, purché li cer- chi, non glieli assicura per
sempre. Comincia cosi l’attività per la ricerca del cibo e comincia
ancora un’epoca di disgregamento per la ricerca dei luoghi dove la natura
fosso più ferace di ve- g'etabili e di animali, atti a far vivere l’uomo.
In quest’ epoca, certamente non breve, si ha un grande disgregamento del ge-
nere umano, in tutta la superficie della terra, per quei luoghi dove la
vita fosse possibile; giacché in quest’epoca in cui il la- voro
collettivo non era ancora principiato, l’uomo voleva essere solo con la
sua famiglia a conquistare e a godersi la preda. D altra parte 1’
uomo in lotta con la natura primitiva, che si slanciava ad imprese
difficili ed audaci, in tempi in cui l’aria sulla superficie della terra
era buona ed in cui ralimentazione era prevalentemente carnea, dovea dare
al suo organismo uno sviluppo ed una resistenza ammirevole, che lo
rendeva atto a trionfare dei più grandi ostacoli che nel suo cammino
potesse incontrare. Grande era anche la potenza generativa, per cui
gli uomini si moltiplicavano facilmente. Quel genere di vita tutto
naturale dava un’educazione anche naturale all’ uomo, che gli dava la
massima resistenza all’ impresa e lo rendeva refrattario agli stimoli
morbosi sino alla vecchiezza, se fosse riuscito a su- perare il periodo
della fanciullezza, flrano i tempi di Ercole. In tutto questo lungo
periodo egli cerca, con l’ ingegno che la vita nomade e mal sicura dell’
avvenire rendono più acuto, a modificare minerali e legna per costruire
strumenti che rendes- sero più facile il conseguimento del fine di vivere
; a rendere alcuni animali adatti ad essere guidati, a viaggiare, a
portare masserizie ed a ottenere la prole di essi, anche per
potersene alimentare. Finché si é in questo stato di vita
nomade ed incerta in cui non si può essere sicuri della vita avvenire ed
in cui gli uomini tendono continuamente a dividersi, le conquiste
iiella conoscenza dei metodi per servirsi della natura vanno
perdute e non é necessario il linguaggio che é possibile quando é
data una certa associazione di uomini i quali, a intendersi
scambie- volmente, conservino la tradizione delle precedenti attività
li- mane che agevolano la vita. Tutto questo lungo periodo della
vita umana sulla terra, di una larga estensione sulla medesima, può
essere indicato col nome di 'preistoria dell’ umanità. La quale bisogna
intendere non come ristretta in un solo angolo della superfìcie della
terra, ma come diffusa da per tutto, e dove la vita dell’ uomo fosse
possibile, e rappresenta la fami- glia da per tutto disgregata in
famiglie, di cui ciascuna aspirerà più tardi ad entrare nella storia e da
nomade diventare fìssa. In tutta questa lunga epoca i due termini
dell’attività eco- nomica sono r uomo e la natura; 1’ uomo il quale é
uscito da quello stato di felicità del periodo della sua fanciullezza in
cui vive a spese della sua famiglia o della carità altrui; ma
l’uomo che deve fare uno sforzo per andare in cerca dei mezzi di
sus- sistenza; deve cioè andare incontro ad una perdita di forza
mu- -..-.•V scolare e psichica, che, aggiunta alla perdita che apporta la
vita in sé stessa, apporta una perdita maggiore o un male
interiore maggiore. La natura, dando da viv^ere all’uomo, ha una
perdita in sé 0 una degradazione, quantunque parziale e limitata; ma
questa perdita apporta all’uomo un bene interiore. La mancanza di
sicurezza dell’alimento pel domani in que- sto periodo della preistoria
in cui non ancora si erano conosciuti i metodi e non si possedevano i
mezzi per ottenere gli animali di cui avrebbero potuto servirsi e nutrirsi
e né anco si sape- vano conservare le carni degli animali di cui si era
andati in caccia, é la nota preminente di questo cosi largo periodo dell’umanità.
La storia della civiltà ha per fondamento la storia dell alimentazione.
Il passaggio dalla preistoria alla storia, dalla vita naturate allo stato
di civiltà, si ebbe quando si potè pro\’- vedere ad un alimento che
potesse conservarsi per qualche anno, assicurando così il prolungarsi
della vita umana ed il fissarsi di alcune popolazioni in dati siti della
superficie della terra do- ve la produzione di date sostanze alimentari
potesse avvenire. Scambio e stimoli economici Si eiiira cosi
in un altra c più elevata sfera deH’attività economica che è quella dello
scambio (e questo avviene cosi nella zona industriale propriamente detta
che in quella naturale ed agricola). Si cominciano così a formare dei
piccoli mercati in cui r uomo vende e compra. Jla s’ intende che, prima
che nella storia si stabilissero dei veri mercati, queste operazioni
di scambio avvenivano egualmente, quantunque in modo più vago,
appetiii ai)parve la libertà e l’ elezione nel lavoro del- r uomo.
Nella sfera dello scambio si ha una maggiore facoltà di acquisto ed
un risparmio di tempo e di forza (ciò che è propria- mente r attività
economica); perchè il soggetto economico vende ciò che ha prodotto
facilmente e bene per acquistare ciò che da sè stesso non avrebbe i)otuto
produrre che male e con molta per- dita di tempo. E ciò in generale ;
perchè l’ ingegno umano po- ti ebbe in ciò darci una smentita, non
essendo molto rari quegli uomini che hanno saputo tanto bene educare il
loro ingegno e 1.1 loio attività pratica da diventare valenti produttori
di una varietà di beni e in modo perfetto. E questo avviene cosi
per la produzione dei beni inferiori e materiali che dei beni supe-
riori ed artistici. Importa notare che lo scambio può avvenire tra
questi e quelli, come con le attività intellettuali dell’uomo. Cosi il
lette- rato, r uomo istruito e dotto, l’ insegnante, il medico, l’
inge- gniere, l’ avvocato, scambiano il loro sapere, la loro
dottrina e l’arte, con beni materiali. Anche nella sfera dello
scambio, l’acquisto implica una perdita, quantunque la perdita sia
ridotta al minimo; perchè quello che il produttore perde gli è
costato relativamente poco lavoro, mentre quello che acquista è per
lui un guadagno, perchè ha un prodotto che si suppone buono, che
egli non avrebbe potuto eseguire, anche perdendo molto tempo. Per
mezzo del lavoro artistico dunque la produzione dei beni si specializza,
mentre questi si possono moltiplicare senza limiti, perchè ognuno può
trovare nell’uomo una sorgente di bisogni da colmare e nuove comodità che
si desiderano, nuovi beni che riescono a quel fine. E poiché in tutti gli
uomini si ha r istesso metodo e perciò gli stessi bisogni che si tende a
sod- disfare, i nuovi beni prodotti sono ambiti da tutti. Ma qui
deve intervenire l’opera dell’istruzione che sveglia e fa
riconoscere aU’uomo i propri bisogni e fa sviluppare in lui il desiderio
di soddisfarli. Moltiplicandosi i beni che l’uomo ambisce,
egli può acqui- starli tutti col suo prodotto particolare che alla sua
volta viene ambito dai produttori dello merci altrui, con le quali egli
scam- bia la sua. Il principio economico qui non solo si conserva,
ma si eleva ad una più alta potenza di acquisto. Ma più tardi
1 ’ uomo ha avuto un istrumento d’acquisto non solo nel suo ingegno e
nelle sue forze muscolari, ma anche nella macchina che egli, aiutato
dalla conoscenza delle leggi mecca- niche ha prodotto ed applica ancora
alla produzione di una grande varietà di beni. E necessario
qui promettere che la macchina come inven- zione umana è stata preceduta
dalla macchina che è insieme nell’organismo animale ed umano. L’
organismo infatti è insieme meccanismo; e se come organismo è qualche
cosa di più elevato del meccanismo che implica, come meccanismo non cessa
di essere macchina; macchina organica si, ma sempre macchina. Lo
schema della macchina si ha infatti in tutti gli organi e i sistemi più
importanti deH’organismo ; nel cuore col sistema va- saio annesso ;
neU’apparecchio digestivo con le sue glandolo, co- me in ciascuna
glandola; nell’apparecchio respiratorio ; nei reni e nella vescica; nel
sistema osseo-muscolare-nervoso. L’occhio è una macchina, come
l’orecchio. Anche nel cervello si trovano gli elementi più complicati
della macchina; all’istesso modo che le funzioni di tali organi sono
insieme funzione e meccanismo. È proprio della macchina costruita dall’
ingegno umano il venir "•uw'mo'' • ‘‘‘ Hìacchina die è
or- moNe oigan.smo, anche essa per mez^o di questo .nuove
l.i macchina esteriore, sia immediatamente che mediatamente per mezzo
delle forze fisiche. ^uiawmente, L’apparire della macchina è stato
accolto con grande entu- ..asmo da tutto il mondo, perchè ha portato una
fraudo rivo uz.one nel campo della produzione, poiché l’A accresciuta
co.isi- erc^olmcnte; ma ha anche contribuito ad una maggiore spe-
CK hzzaz.one d. produzione. E poiché la macchina è stata appli- c a anche
al trasporto dei beni in tutto il mondo, per mare e PCI terra, ha anche
contribuito ad accrescere in modo come non era possibile prima, il
commercio mondiale. Sicché ol! e solamente possibile a pochi uomini
godere di una grande J-h nomi I che sono nel mondo. Si ha cioè il
grandioso feno- meno de la umversalizzazione del godimento dei beni. È
questo nsuUato di una lunga storia nell'attivirà degli scambi che
pimcipiata in modo limitato, tra individuo e individuo, per una’
lunpo tra vari aggruppamenti umani, tra varie popolazioni e
mi/ioiii , e tra tutte le parti del mondo. È questa veramente la
pffffcernza.''"’ « dell’industrialismo S’intende che se
prima lo scambio comincia cedendo merce per merce, e in certe condizioni
questo può sempre avvenire lo scambio e .1 commercio che rendono
accessibili le merci da |.cr t„„o, h„„ dovuti avvenire con la moneta che
é ,m mé.t tei mine, inventato da. governi, tra due merci o più merci; per
cui «1 lavora, cioè si danno le proprie forze, il proprio ingegno e
a propria produzione, per guadagnare danaro e si ambisce que- sto
per provvedersi di tutti i beni di cui si ha bisogno. Segue ancora che,
in ragione che la produzione, gli scambi e il cL- moneta ìr^nmiido;
È qui necessario far notare che, se la parola stimolo inter- lene a ogni
passo nella trattazione dei fenomeni fisiologici e pa ologici, come nei
fenomeni psicologici, intendendo la psicoogia in tutta la sua ampiezza, in
tutte le sue forme e in tutti i suoi gradi, apparisce chiara la necessità
dell’ intervento frequente di questa stessa parola anche nello studio dei
fenomeni econo- mici, giacché anche questi hanno un fondamento
fisiologico e psicologico, senza il quale non potrebbero essere. Così
nella pro- duzione si ha uno stimolo interiore a produrre, il bisogno
inte- riore organico e psicologico, immediato o prossimo, che deve
sparire, facendo col lavoro esistente il bene che si desidera: l’im-
magine interiore cioè deve tradursi in atto col lavoro produttivo e che
diventa anche stimolo esteriore, la materia esteriore otte- nuta col
lavoro, per mezzo della coltura (sostanze vegetali) o con rallevamento
del bestiame (sostanze organiche). Queste debbono alimentare e far vivere
1’ uomo, trasformando la materia morta e bruta che deve dargli alcune
comodità o godimenti dell’ animo. Si ]Hiò dire che sono gli stimoli
e gli stati interiori a spin- gere 1 uomo all attivila; e più questi sono
numerosi ed elevati più muovono l’individuo al raggiungimento dei suoi
materiali od alti filli che egli vorrebbe vedere tradotti nel mondo
reale. Ma alla sua volta gli stimoli interiori sono il riflesso di
stimoli este- riori, di oggetti già percepiti o immaginati. È questo ciò
che si esprime con la parola ambizione umana la quale, se è la nota
preminente dei grandi uomini è anche una nota importante degli uomini
mediocri e d’ infimo ordine, giacché ogni uomo, secondo il grado della
sua costituzione mentale e della conoscenza del mondo esteriore, naturale
ed umano, vorrebbe far suoi tutti i beni che conosce, sia di basso che di
elevato ordine. Il cibo è uno stimolo per l’alimentazione e la fame è uno
stimolo per provve- dersi del cibo. Cosi il gusto letterario e le
conoscenze scientifiche possono essere uno stimolo interiore per
ajiprofondirsi nel campo dell’arte e delle .scienze. Non solo
sono stimoli i due termini economici, oggetto e soggetto, 1 uno per 1
altro: nia è anche stimolo il mezzo termine fra le due merci o tra il
soggetto e l’oggetto, cioè la moneta. L come è nota della natura umana
l’insaziabilità dei beni mate- riali e spirituali, quando questi siano
conosciuti ; ciò che è dif- ficile, come 1 illimitatezza nell’acquisto,
cosi avv^iene per la mo- neta. Di questa anche 1 uomo non è mai sazio di
possederne ; perchè riconosce in essa una possibilità ed uno stimolo
per 66 acquistare altri beni. Ed il possesso è
di vari gradi. Vi è il pos- sesso limitato della moneta, per quanto
questa possa essere grande, e di essa 1 uomo si contenta e che vuole o
conservare o spen- deie, 0 di questa egli si serve come stimolo per
la produzione di nuove ricchezze. Proprio quando la vita
economica, industriale, commerciale, è molto complessa ed estesa, e tutto
il mondo umano sembra un grande mercato come è ora, per cui grandi sono i
bisogni c le richieste dei beni da per tutto; e l’ambizione umana si
estende ed intensifica ovunque, allora la ricchezza può essere
adoperata come strumento (stimolo) per acquistare nuove ricchezze.
Cosi viene stimolata la sete deH’uorno per l’acquisto indefinito
della ricchezza; perchè vi è richiesta di tutti i beni che egli
conosce e di cui vuole godere, come da per tutto viene apprezzato e
richiesto il lavoro dell’uomo. .Si comprende in tal modo come piu
sovrabbonda il danaro in una società, più gli uomini .sono spinti all
attività pratica e cresce la loro ambizione per guada- gnare e godere.
Uomini che hanno quest’aspirazione e non hanno danaro, ma riconoscono di
avere ingegno, forza muscolare e tempo per arricchirsi, ricorrono al
prestito del danaro. Ma cosi si entra in una categoria economica più
elevati, quale è appunto il presfito, il cui polo opposto è il capitale.
Il semplice possesso della ricchezza, sia questa rappresentata dalla
moneta o da altre specie di beni immobili e mobili o da prodotti
industriali od artistici, se è come semplice servizio personale o della
famiglia, non merita il nome di capitale. Si richiede invece che essa
si.a data in prestito. XV. Il
capitale-prestito, 11 capitale-prestito cosi rappresenta un più
alto grado dello scambio; e, come in questo, ciascuno dei due termini o
soggetti economici acquista e perde, cosi avviene nel capitale-prestito;
ma anche qui la categoria di acquisto e perdita implica una più elevata
economicità. Cosi colui che prende in prestito acquista la ricchezza ma
la perdita e rimandata aH’avvenire ; si ha cioè il bene presente ; ma la
perdita che dovrà aversi nell’ avvenire consisterà non solo nella
restituzione del capitale, ma anche nell’ interesse convenuto. Frattanto
l’uso provvido ed economico del capitale avrà dovuto fargli acquistare
nuove ricchezze. An- che nuove ricchezze acquista il capitalista, cedendo
tempora- neamente la sua ricchezza ad altri; ma va incontro anche
ad una perdita temporanea della sua ricchezza durante il periodo
della sua cessione; perchè non se ne può servire. Col capitale e
col prestito l’attività economica da una sfera limitata e quasi
individuale, quale è quella dello scambio, da prima in una ristretta
cerchia, s’ingigantisce ed estende da pri- ma in ciascuna nazione e più
tardi gradatamente in tutto il mondo; con la fondazione o moltiplicazione
delle banche che dànno una grande diffusione al capitale e al credito,
stimolando l’attività economica produttiva e portando la diffusione
delle merci da per tutto. E ciò con l’aiuto della macchina che ha
moltiplicato e specializzato la produzione dei beni industriali e li fa
penetrare, come vi fa penetrare anche i beni naturali, in tutto il mondo
umano. Ma per quest’attività si richiede l’ ingegno; all’ istesso modo
che 1’ esercizio di essa fa sviluppare Tingegno. La produzione
dunque della ricchezza capitalizzata e capi- talizzante, per cui si tende
sempre a ridurre al minimo la perdita, nello stesso tempo che si
tende a jiortare al massimo l’acquisto, deve essere sempre l’obbietto
dell’attività del soggetto economico. Me questa che già fece esistente il
capitale si affie- volisce, 1 oggetto per mancanza di governo e di
direzione tende ad arrestarsi nel suo processo e, per le mutate
condizioni este- riori, tende a deviare, a perdere la sua potenzialità di
acqui- stare ed a venire cosi scemato come semplice ricchezza.
Sicché, se dalla produzione diretta primitiva alla produzione
capitalistica si ha una progressione per cui pare che la ricchezza si
produca da sé, indipendentemente dal soggetto, pure l’attività di questo
deve intervenire, cercando di farla progredire ed ac- crescere. Deve
prevedere il cammino che si può e si deve fare e provvedere alla
conservazione della ricchezza ed alla sua dif- lusione proficua; ciò che
è il lavoro di critica e di speculazione che il soggetto deve tare. Ad
ogni modo questo lavoro, se im- plica una piccola perdita di tempo e di
forza organica e psichica, pure riduce con l’esercizio al minimo questa
perdita; onde si può dire che se il lavoro di produzione che da prima è
grande, secondo la quantità e la specificità d’impiego del capitale, esso
è di poi menomato e perciò agevolato; anzi deve al meccani- smo, guidato
dall’ intelligenza, il suo grande sviluppo. All’incontro nella
produzione naturale il soggetto deve so- stenere una lotta intensa
contro il suo oggetto, la natura indo- mita e ribelle, che può
essere vinta temporaneamente ma non definitivamente ; giacché essa offre
sempre nuove difficoltà al soggetto produttore, anzi si può dire che dai
primi tempi della \ ita umana sulla terra, queste difficoltà si sono
andate sempre accentuando. E ciò perchè, se la natura da prima, dopo
uscita dal suo stato selvaggio, dava facilmente all’ uomo i suoi
pro- dotti, col progresso del tempo gliene ha dato sempre meno, an-
che essendosi moltiplicato l’ ingegno e il lavoro dell’ uomo volto contro
di essa. E ciò mentre gli uomini si moltiplicavano ed ac- crescevano con
la loro associazione i loro sforzi per la produ- zione agricola.
Sembra che d’ oggi innanzi il lavoro dell’ uomo contro la natura
per obbligarla a produrre ciò di cui ha bisogno diverrà sempre più
intenso ed i mezzi più necessari alla vita diverran- no sempre più
difficili a conquistare. In altri termini la lotta tra l’uomo e la natura
diverrà sempre più intensa; perchè la fina- lità di questa è in
opposizione alla finalità di quello; ed una con- ciliazione solamente è
possibile alla condizione che ciascuno dei due termini conceda all’ altro
qualche cosa di sé, senza annul- larsi, anzi sostenendosi l’ uno con
l’altro. Questo fa vedere che r uomo deve essere limitato nelle sue pretese
verso la natura e che, se questa deve dare qualche parte di sé all’ uomo,
non può e non deve dare tutta sé stessa se non a costo di annullarsi
; perchè allora anche la natura, dominata dall’ uomo ed alla quale
questi domanda i mozzi di vita, dovrà venir meno alle sue pro- messe,
producendo in lui le più grandi delusioni. Frattanto, mentre i
prodotti dell’ industria si moltiplicano indefinitamente e
progressivamente da per tutto, in quantità e qualità, richiedendo questa
un esiguo lavoro muscolare e meno tempo, ciò che incoraggia l’
irregimentazione dei lavoratori, tanto più perchè questi vi hanno la
promessa di una vita agiata e comoda, quasi sempre in città, senza
sospettare che un giorno avessero a scarseggiare gli alimenti necessari
alla vita, i lavo- ratori delta terra, all’ incontro debbono sostenere
una lotta lunga faticosa ed intensa per procacciarsi di che
vivere. Del valore e delle sue forme inferiori Le attività
economiche, come quelle fisiologiche, sono cosi connesse ecl intralciate
fra di loro che l'esposizione logica e siste- matica ne riesce oltremodo
difficile, Non si può trattare un a- spetto, una categoria economica se
in essa non intervengano, sottintese o manifeste, altre categorie. Sicché
da prima si può avere una conoscenza parziale o sconnessa di alcune
funzioni; e solamente dopo che si è raggiunta la piena conoscenza
di tutte, si può principiare a vederle ordinatamente. È que.sta la
ragione della difficoltà nello spiegarsi i fenomeni economici. E l’ordine
consiste neH’universalizzazione dei vari principii e nel 1’ unificazione
di que.sti in tutte le loro gradazioni, in tutti i loro movimenti, nei
loro reciproci rapporti, tanto da apparire come lo svolgimento di un
principio solo. Sotto quest’aspetto molto importante è il principio del
valore in economia politica, cosi in quella naturale come in quella
industriale; e in tutte le isti- tuzioni umane nelle quali questo
concetto interviene. Ma solo una esposizione storica e sistematica, in che
consiste la vera tratta- zione logica della dottrina, può farcela
intendere in tutti i suoi gradi ed aspetti. Negli ultimi
tempi si è parlato di valore in materia di arte di scienza, di filosofia,
di religione; ma poiché in tali rami di attività umana, cosi come sono
stati trattati, la dottrina del va- lore non é dedotta da un principio
più univ^ersale che comprenda e questi e tutti gli altri rami del mondo
naturale ed umano, quella trattazione riesce incomprensibile e vana. E,
benché si possa dire che la filosofia e la religione implichino la più
alta sfera del valore, pure, se esse v^engono considerate come per
sé, senza alcuna comunicazione col resto del mondo, non come il
risultato di uno svolgimento e di una storia, il concetto del valore che
da esse si può trarre non deve essere soddisfacente. E se il valore è una
categoria universale che interviene in tutti i gradi deiressere, nel
mondo metafisico, come nel fisico e nello spirituale, in ciascun grado ha
un aspetto particolare, ha qualche cosa d'identico e di differente con la
stessa categoria di valore degli altri gradi del mondo reale. Far
distinguere perciò le dif- ferenze dall’ identità del valore in ciascun
grado della realtà è il dovere di colui che tratta questa materia.
Da prima potrebbe sembrare che la teoria del valore si
identificasse con quella del bene; ed in vero vi è molta identità fra le
due categorie. Però del bene i filosofi e i moralisti hanno dato più un
concetto comprensivo che analitico e storico; ed alcuni Tànno identificato
con Dio stesso, il sommo bene. Essi hanno anche fatto notare la varietà
dei beni che sono nel mondo e l'ànno anche sistematizzati; hanno messo il
bene e tutti i gradi di esso in correlazione col male e con tutti i mali
pos- sibili. Ma la dottrina del valore include quella del bene e
del male insieme, però le compie, mettendole in una posizione dua-
listica ed unitaria insieme, quasi drammatica; scinde cioè la ma- teria
in due termini in lotta fra di loro, rorganismo e il mondo esterno che ha
valore per quello, può cioè tornargli a bene ; vede una dualità tra
l'anima, la mente e il mondo esterno. E se nella prima zona Torganismo
vivente deve accettare e subire il mondo esterno quale è, pure reagendo
contro di esso; nella se- conda zona r anima e la mente possono
modificare per sè il mondo esterno, elevandolo; o produrre addirittura
qualità nuo- ve neiroggetto. % E questo l’aspetto
nuovo ed originale della dottrina del va- lore, il cui regno in verità é
quello della vita organica, vegetale ed animale, le zone cioè superiori
della natura; ed anche quello deH’aniraa umana, nelle sue attività
inferiori e nelle superiori, intellettive, pratiche ed anche creative,
che sono i gradi più eminenti del mondo umano. L’attività umana perciò diventa
essa stessa una forma altissima di bene, il bene attivo, limitrofo a
Dio stesso: non il bene immobile che può anche menomare se stesso e
il suo termine opposto che presuppone e per cui è ; può pro- durre cioè
il male, dal quale può, è vero, di nuovo nascere il bene che rientra
nella sua ricostituzione storica e progressiva. Ma, se r organismo e la
mente rappresentano il regno e la vitalità del valore, essi non
esauriscono tutta la natura; vi è in questa qualche cosa che essi
presuppongono, senza di che non potrebbero essere e muoversi; e che si
può dire il loro presupposto. E se si va a fondo nello studio della
natura questo che noi chiamiamo presupposto si risolve in una serie di
pre- supposti, una serie di gradi di cui ciascuno è presupposto e
presuppone altri. E questa è pure un’ ampia zona del valore che si può
dire puramente naturale, la quale, studiata, apparisce come l’unità e la
sistematizzazione di altre sottozone. Si ha cosi la zona fisica la quale
comprende e quella della materia e quella delle forze. Sembra a prima
vista che questa sia come chiusa in sè ed isolata dal regno della vita e
perciò fuori il mondo del valore. Forme superiori del valore
Il processo ascensivo e discensivo, chimico, minerale, il quale,
non bisogna dimenticarlo, è sempre un processo di elevazione e di
menomazione insieme del valore, diventa più intenso in quella sfera più
elevata della chimica che è 1’ organica in cui entra in composizione il
carbonio. Pure quest’ attività è relativa- mente qualche cosa di semplice
se si studia in sostanze singole che sono fuori dell’ organismo vegetale
ed animale o estratte da questi. Ma se si .studia entro di questi, l’
intensità trasforma- trice del movimento chimico e di valore organico diventa
stra- ordinariamente complessa, quantunque questa complessità sia
minore nella pianta e maggiore nell’ animale. In quella è con- siderato
il lavorio complicati vo mentre è vivente; e con la morto si ha il
lavorio analitico. Nella vita interna dell’animale albi contro
intensissimo è il lavorio di scomposizione, come è quello di composizione
e di reintegramento, in tutti gli atti della vita, sia considerata in
ciascuna cellula e in ciascuna fibra che in ciascun organo o sistema e
nell’ unità funzionale di questi. Qui il concetto del valore, cosi in
ciascuno elemento della vita, come in ciascun organo e tessuto e nell’
insieme dell’organismo vivente, diviene di tanta molteplicità,
complessità e varietà, che la mente umana non può seguirlo in tutti i
suoi elementi e in tutti i suoi intimi processi. Vi è una più
alta regione della natura, rappresentata dalla vita animale e vegetale
nel loro insieme, come si svolge nel mare dove vivono insieme piante ed
animali in lotta fra loro; e sulla superficie della terra che è
rappresentata dal bosco nel cui mezzo gli animali vivono e prosperano,
come è avvenuto nelle epoche primitive della natura vegetale ed animale.
Qui •V ciascun animale, ciascuna pianta, è un
elemento della vita na- tumle, animale e vegetale, nel suo insieme e
nella sua univer- salità, nella quale si può riscontrare, in proporzioni
ancora vaste ed universali, il processo di elevazione e di riduzione, che
si ha in ciascuno organismo vivente, onde piante e generazioni di
piante muoiono ed altre nascono, come animali e generazioni di ammali
muoiono ed altri nascono ; ed alcuni servono di cibo (hanno un valore)
per altri : la corruzione degli uni è la vene- razione degli altri. Ma
per la vita vegetale ed animale hanno un valore ancora il clima, le
condizioni atmosferiche, le condi- zioni del suolo ed anche le condizioni
storiche di questo; giac- che la vita vegetale ed animale nella loro
lunga storia, come elidono a modificare lo stato del terreno,
contribuiscono ancora a modificare la vita vegetale ed animale, onde
animali si nu- trono m modo più 0 meno rigoglioso di piante e di altri
ani- mali ; e la dissoluzione delle piante e degli animali rende
più energica la vitalità delle piante. hin qui vi ò un processo
puramente inconscio di movimenti naturali e di elementi, di cui gli uni
hanno valore per gli altri, -la, benché l’animale distingua ciò che può
avere un valore Ku- lui (positivo 0 negativo), come l’alimento, l’acqua,
la tana, .1 c ura pei figli, la ricerca del clima a lui propizio,
la fuga dai leiicoli, alcune di queste cose sono un prodotto puramente
na- urale, che l’animale trova d’ innanzi a sé; solo alcuni animali
ivendo il potere limitato di costruirsi il nido e la tana • altre i Olio
tenomeni istintivi. ’ Apparso l’uomo con l’intelligenza di cui è dotato,
che egli < sercita e sul mondo circostante e su sé stes.so, il suo
organismo I sua anima, e tutto ciò che ha fiuto suo, nel mondo
esterno Ultra la natura e gli elementi che la costituiscono,
acquistano I 11 pili alto valore. Studiando sé stesso, egli non può non
av- ' crtire e scoprire i bisogni, le lacune che si generano conti-
1 uamento nel suo organismo e nel campo della sua mente; e con la sua
intelligenza prevede i bisogni avvenire. Nello stesso t ‘inpo, essendo
messo in rapporto col mondo esterno, egli studia questo negli elementi,
nelle qualità e proprietà, che lo costitui- s-ono, nei suoi movimenti;
cerca di adattarlo a sé ; e non solo d colmare i suoi bi.sogni per mezzo
di qualche cosa, di qualche
elemento di esso; ma anche di elevare il proprio benessere, di
assicurarlo per sè ed i suoi per l’ avvenire. Tutto questo processo è
avvenuto dal principio della storia dell’ uomo sulla terra e si è andato
progressivamente affermando, intensificando e svolgen- do, sino a noi. E
non solo non si è arrestato ; ma con lo studio progressivo della natura,
nella sua materia e nelle sue forze, .sembra voglia assumere proporzioni
più vaste anche nel nostro tempo in cui non si lascia nulla di tentare e
di studiare per applicarlo al miglioramento ed al progresso umano.
Questo lavoro l’uomo ha compiuto empiricamente ed incon-
sapevolmente dai primi tempi ; e più tardi in modo più o meno
scientifico, organico e progressivo. Cosi deve essere inteso il progresso
che l’ umanità ha fatto nel campo del sapere. A questo progresso nel
regno della conoscenza si è andato sempre asso- ciando un progresso nell’
attività pratica la quale è divenuta anche materia di studio per l’ uomo
; questi due ordini di attività essendo 1’ uno indivisibile da 1’ altro e
1’ uno stimolando 1 altro nel suo sviluppo. A questo processo
coiioscitivm e pratico, che implica un lavoro distintivo delle cose si è
associato un progresso nel linguaggio. Ad ogni atto distintivo o cosa
distinta applicandosi una nuovni parola, ciò ha contribuito al lavoro
di associazione e di conservazione delle conoscenze e delle atti-
vità umane. Sarebbe un lavoro importante ma lungo seguire
questo fenomeno nella storia, per cui si è riconosciuto un valore ad
un dato minerale, ad una data pianta o animale, che hanno con-
tribuito alla soddisfazione di un bisogno organico o al mantelli mento
della vita o a dare certe comodità. Si è riconosciuto nelle parti di
alcune piante e nelle sostanze animali un valore nutri- tivo e
conservativo. E il primo valore che l’uomo ha cercato nelle cose è stato
quello che ha potuto contribuire a mantenerlo in vita, come ha tatto 1
animale. Sono state cioè le cose neces- sarie che egli ha cercato. Fatto
sicuro del vivere, egli ha cercato a ben vivere; quindi la ricerca e 1’
uso delle cose utili. Ma, ac- canto a questa attività, si è sviluppata
quella inventiva, per cui egli, aiutato sia dal suo ingegno che dalle
scoperte scientifiche, ha cercato di costruire istrumenti, congegni,
apparecchi e più tardi, macchine, che contribuissero a modificare le
inatGrie che I — 80 — dovessero
essergli utili. Sicché da una parte ha impiegato le sue attività
intellettive a scoprire, nei regni delia natura, ele- menti, sostanze,
energie, che potessero giovargli, dall’altra ha cercato di trovare i
mezzi per servirsene. Queste attività dal loro più primitivo inizio
nella storia sino a noi, attraverso i millenni, si sono andate svolgendo
ed esten- dendo con l’estendersi delle comunicazioni e delle
associazioni umane. Sarebbe una ricerca importante seguire nella storia
il processo per cui 1’ uomo, singolo da prima, ha trovato
un’utilità in un dato animale, in una pianta o in un minerale. Si può rin-
tracciare questo cammino nelle letterature antiche, medioevali e moderne
di tutte le nazioni; giacché in varie epoche si vedono nominati speciali
metalli, piante ed animali, ai (]uali o alle parti dei quali 1 uomo ha
attribuito un valore e di cui si é servito. Così l’uomo mano a mano ha
aggiunto al valore delle cose, latente ed inconscio, un nuovo valore. E,
se da prima questo era qualche cosa di limitato, più tardi al primitivo
valore si sono aggiunti nuovi valori, nuovi usi della cosa; nuovi
congegni si sono in- ventati, nuovi metodi si sono adoperati per poter
estrarre la cosa, modificarla, farla servire ai vari usi della vita ;
metterla in commercio affinché tutti gli uomini ne godano. Tanti
metalli e metalloidi che dalle epoche primitive della natura erano
se- polti nelle viscere della terra, aventi una semplice
potenzialità di valore chimico, vengono disseiipelliti dall’ uomo ed ai
quali la civiltà moderna dà alte attribuzioni economiche, come
l’oro, 1 argento, il ferro, il rame, il solfo, il carbonio, ecc. Hi
sa che se presentemente ipiesta sola unica sostanza, il carbonio,
veni.sse a mancare, tutto il ritmo della vita contemporanea
verrebbe arrestato ; giacché é un istrumento di moltiplicissime
attività tisiche, meccaniche, chimiche e perciò, si può dire, rende
possi- bile la vita economica del nostro tempo. Ma questi bisogni
ac- ciescono 1 attività umana la quale si volge a rintracciare le
•sostanze di cui ha bisogno, da per tutto, cosi sulla superficie ionie
nelle vi.scere della terra. Anche le forze fìsiche le quali prima erano
in balla della natura, come le forze meccaniche, il calorico, la
elettricità, .sono state non solo conquistate e domi- nate dall’uomo ma
ancora dirette e specializzate per la produzione di certi dati movimenti,
beni o comodità della vita. La forza V
meccanica e l’elettricità hanno dato un impulso straordinario alla
civiltà odierna. Più tardi 1’ uomo crea e dà certe attribuzioni di valore alle
cose, come fa con la moneta, tanto necessaria al mondo economico. Inoltre
il v^alore acquista un nuovo e più alto contenuto ed un significato nuovo
nel mondo psicologico ed artistico, come nella sfera religiosa. Ma in
queste ultime e così alte sfere dell’attività umana tale dottrina merita
una trat- tazione a parte. Nicolò Raffaele Angelo D’Alfonso. N. R.
D’Alfonso. Nicolò d'Alfonso. Keywords: principii economici dell’etica, valore
superiore, valore inferiore, economia, principio di economia di sforzo
razionale – scambio, exchange – worth, assiologia, valore economico, l’economia
di Platone, l’economia di Aristotele, linceo, dissertazione su Kant ai lincei –
naturalismo economico – no positivista – critica a la psicologia criminologica
positivista, Amleto, lo spettro di Amleto, Macbeth. Linguaggio e mente, il sole
luminoso, l’oggetto rotondo, la pianta fiorisce – logica reale – psicologia del
linguaggio, la storia del linguaggio, storia e prestoria. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice ed Alfonso” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688359432/in/photolist-2mPpb7N-2mPpBQV-2mNzeEc-2mNb8t7-2mMQbzj-2mMJpgU-2mLQc9e-2mLP9qE-2mLQ1Vx-2mKy2vb-2mLK4N4-2mLQCG1-2mLDz3J-2mPu6xB-2mKDXUP-2mKFZMJ-2mKwv6q-2mKMa8P-2mKQDnb-2mKC3nj-2mKNtmY-2mKHdnD-2mKwdUT-2mKw3hq-2mPoBGn-2mPvmTf-2mKCfz1-2mKAsyK-2mKwmsU-2mKCdPg-2mKM4Dx-2mPYoE5-2mKPWrs-2mKLYsa-2mKN88B-2mKDteh-2mKxnN1-2mKCnei-2mKj2vX-2mKk6t5-2mKgT2F-2mJPC2N-2mDZZD3-BT3zr9-BLF8zr-naLzwu-naN7ba-ns1euc-ns1kPM-naLwMj/1
Grice ed Algarotti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo. Grice: “You’ve
got to love ‘il conte Algarotti’; he is the typical Italian philosopher of
language, relishing on ‘la bella lingua,’ by which they do not mean the Roman!
“La Latina, in bocca di un popolo di soldati, e concise e ardimentosa.’” Grice:
“Algarotti thinks that the Florentines have enriched it – ‘Imagine Aligheri in
Latin!” – Grice: “All that should be lost on Oxonians, but it ain’t!” – Consider
‘conciseness.’ One of my conversational maxims is indeed, ‘be concise, i. e. or
viz., avoid unnecessary prolixity [sic].” – So, if the Roman tongue was the
tongue of soldiers, and a soldier needs to be concise in communicating with
another soldier – The justification of the maxim is in the practice of
‘soldiering.’ With ‘ardimentosa’ we have moer of a problem!” – Grice: “In any
case, Algarotti’s excellent point is that each conversational maxim has its
root in the practice of the corresponding conversants!” -- Grice: “Nobody can fail to be enchanted by the drawing
by Richardson of Algarotti!” -- essential Italian philosopher. Grice: “I don’t
have a monicker, but Algarotti had two: il cigno di Padova and il Socrate
veneziano. Filosofo. Spirito illuminista, erudito dotato di conoscenze
che spaziavano dal newtonianismo all'architettura, alla musica, era amico delle
personalità più grandi dell'epoca: Voltaire, Jean-Baptiste Boyer d'Argens,
Pierre Louis Moreau de Maupertuis, Julien Offray de La Mettrie. Tra i suoi
corrispondenti vi erano Lord Chesterfield, Thomas Gray, George Lyttelton,
Thomas Hollis, Metastasio, Benedetto XIV, Heinrich von Brühl, Federico II di
Prussia. Saggi, 1963 (testo completo) Nacque da una famiglia di
commercianti. Dopo un primo periodo di studio a Roma continua gli studi a
Bologna, dove affronta le diverse discipline scientifiche nella loro vastità.
Si trasfere a Firenze per completare la propria preparazione letteraria.
Inizia a viaggiare, raggiungendo Parigi. Presentare il proprio newtonianismo, opera
di divulgazione scientifica brillante. L'opera fu prima apprezzata, e poi
denigrata da Voltaire, che dal lavoro del suo caro cigno di Padova — come era
solito appellarlo — trasse alcuni temi dei suoi Elementi della filosofia di
Newton. Voltaire e Algarotti si erano conosciuti personalmente a Cirey nello
stesso periodo in cui l'italiano preparava il saggio. Dopo il periodo trascorso
in Francia, Algarotti si reca in Inghilterra, per soggiornare per qualche tempo
a Londra, dove fu accolto nella Societa Reale. Tornato in Italia si dedica alla
pubblicazione del Newtonianesimo. Dopo un breve ritorno a Londra, andò a visitare
alcune zone della Russia (fermandosi in particolare a San Pietroburgo) e della
Prussia. Quando il re Federico si recò a Königsberg a incoronarsi,
Algarotti si trova in mezzo gli applausi e il giubilo di quella potente e
valorosa nazione misto e confuso coi principi della famiglia reale, e stette
nel palco col re, spargendo al popolo sottoposto le monete con l'immagine di
Federico. Fu in tale congiuntura che questi conferì a lui, quanto al fratello
Bonomo e ai discendenti della famiglia Algarotti, il titolo di “conte”, meno
vano quando è premio del sapere, e lo fece suo ciambellano e cavaliere
dell'ordine del merito, mentr'era alla corte di Dresda col titolo di
consigliere intimo di guerra. Dal momento che conosce Federico né l'amicizia,
né la stima del re, né la gratitudine, la devozione e il sincero affetto del
cortigiano vennero meno, né soffersero mai alcuna alterazione. L’amicizia fra Algarotti
ed il re e estesa anche alla sfera più intima. Il re lo volle non solo a
compagno degli studi e dei viaggi, ma altresì dei suoi più segreti piaceri,
essendoché della corte di Potsdam, ora fa un peripato, ed ora la converte in un
tempio di Gnido, il che significa: in un tempio di Venere. Utilizza la
propria influenza anche a favore degli oppositori filosofici a Venezia,
Bologna, e Pisa. Altre opere: “Viaggi di Russia”; “Il Congresso di Citera” -- un
romanzo dedicato ai costumi galanti e amorosi rivisitati secondo quanto
osservato nei diversi luoci in cui soggiorna. Altre opere: edizione in 17
volume con indice analitico – reproduzione anastatica -- Poesie -- Epistole in
versi -- Annotazioni alle epistole -- Rime giusta l'ediz. di Bologna -- Elegia
ad Francisci Marive Zanotti Carmina -- Dialoghi sopra l'ottica Neutoniana --
Breve storia della Fisica ed esposizione dell' ipotesi del Cartesio sopra la
natura della luce e de' colori. I principi generali dell'ottica -- La struttura
dell'occhio e la maniera onde si vede ; e si confutano le ipotesi del Cartesio
e del Malebranchio intorno alla natura della luce e de colori -- Esposizione
del sistema d'ottica neutoniano. Il principio universale dell'attrazione --
Applicazione di questo principio all'ottica -- Si confutano alcune ipotesi
intorno la natura de colori, e si riconferma il sistema del Neutono -- Opuscoli
spettanti al neutonianismo. Caritea, ovvero dialogo in cui spiega come da noi
si veggano dritti gli oggetti che nell'occhio si dipingono capovolti e come
solo si vegga *un* oggetto, non ostante che negli occhi se ne dipingano *due*
immagini -- Dissertatio de colorum immutabilitate eorum que diversa
refrangibilitate -- Memoire sur la recherche entreprise par m. Du fay, s'il n'y
a effectivement dans la lumie re que trois couleurs primitives -- Sur les sept
couleurs primitives, pour servir de réponse à ce que m. Dufay a dit à ce sujet
dans la feuille du Pour et contre -- Le belle arti -- L'Architettura --
La Pittura -- L'Accademia di Francia ch'è in Roma. L'opera in musica. Enea in
Troja. Ifigenia in en Aulide: opera -- Sopra la necessità di scrivere nella
propria lingua -- La lingua francese -- La Rima -- La durata de' regni de' re
di Roma -- L'impero degl'incas -- Perchè i grandi ingegni a certi tempi sorgono
tutti ad un trat o e fioriscono insieme -- se le qualità varie de' popoli
originate sieno dall' influsso del clima, ovveramente dalle virtù della
legislazione -- Il gentilesimo. Il Commercio -- Cartesio -- Orazio -- La
scienza militare del segretario fiorentino. Discorso militare -- La ricchezza
della lingua italiana ne' termini militari -- Se sia miglior partito schierarsi
con l'ordinanza piena oppure con intervalli -- La colonna del cav. Folfrd --
Gli studj fatti da Andrea Palladio nelle cose militari -- L'impresa disegnata
da Giulio Cesare contro a' Parti -- L'ordine di battaglia di Koulicano contro
ad Asraffo capo degli Aguani. L'ordine di battaglia di Koulicano a Leilam
contro Topal Osmano. Gl'esercizi militari de' prussiani in tempo di pace --
Carlo XII re di Svezia -- La presa di Bergenopzoom. La potenza militare in Asia
delle compagnie mercantili di Europa -- L'ammiraglio Anson -- La scienza
militare di Virgilio -- La guerra insorta l'anno MDCCLV tra l'Inghilterra e la
Francia -- Il principio della guerra fatta al re di Prussia dall' Austria,
dalla Francia , dalla Russia , etc. -- Gl'effetti della giornata di Lobositz --
La condotta militare e politica del ministro Pitt -- Il poema dell'arte daila
guerra -- Il fatto d'armi di Maxen -- La pace conchiusa l'anno MDCCLXII tra
l'Inghilterra e la Francia -- La giornata di Zamara -- Viaggi di Russia --
Storia metallica della Russia -- Lettere a milord Hervey sopra la Russia --
Lettere al marchese Scipione Maffei sullo stesso argomento -- Congresso di
Citera -- Giudicio di Amore sopra il Congresso di Citera -- Vita di Stefano
Benedetto Pallavicini -- Sinopsi di una introduzione alla Nereidologia --
Lettera sopra il prospetto o Sinopsi della Nereidologia . 387 Risposta dell'
Autore -- Gl'effetti dell'invasione dei goti e de'vandali in Italia -- Le
Accademie -- Michelagnolo Buonarroti -- Gl'italiani -- Il passaggio al sud per
il norte -- L'industria. Gl'inglesi -- Bernini -- Metastasio -- Gl'abusi
introdottisi nelle scienze e nelle arti -- Le donne celebri nella letteratura
-- La difficoltà delle traduzioni -- Il commercio -- Fontenelle -- La forza
della consuetudine -- L'utilità dell' Affrica per il commercio -- Il secolo del
seicento -- Ovidio -- Cicerone -- Plutarco -- I romani -- L'etimologie --
I principi dotti -- L'eleganza nello scrivere del Vasari e del Palladio
-- Galilei -- La maniera onde si venre a popolar l'America -- Dante Alighieri
-- La lingua francese -- Voltaire -- Euclide -- Le misure itinerarie
degli antichi -- La questione della preferenza tra gli antichi e i moderni --
Il secolo presente -- Omero -- Lettere di Polianzio ad Ermogene intorno alla
traduzione dell'Eneide del Caro -- La Pittura -- Descrizione dei quadri
acquistati per la Galleria di Dresda -- La prospettiva degli antichi -- Pitture
ed altre curiosità di Parma -- Pitture di Mauro Tesi -- Pitture di Cento --
Pitture di Bologna -- Pitture di varie città di Romagna -- L'Architettura --
Un'antica pianta di Venezia, prete so intaglio di Alberto Durero -- L'uso dello
appajar le colonne -- L'origine delle basi delle colonne -- Descrizione dei
disegni di Palladio ed altri per la facciata di s. Petronio di Bologna -- Delle
antichità ed altri edifizj di Rimini -- Delle cose più osservabili di Pisa --
Progetto per ridurre a compimento il R. Museo di Dresda -- Argomenti di quadri
dati a dipingere a' più celebri Pittori moderni per la R. Galleria di
Dresda -- Lettere scientifiche -- Lettere erudite -- Il Cesare tragedia di
Voltaire -- EUSTACHIO MANFREDI -- Saggio tritico sulle facoltà della mente
umana dello Swift -- L'opera de natura lucis del Vossio -- Omero -- I poemi del
Tasso -- Milton -- La traduzione di Omero fatta dal Salvi -- Il poema le Api
del Rucellai -- Iscrizioni ed epitaffj rimarcabili -- Sandersono -- Iscrizioni
per la chiesa cattolica di Berlino -- Le traduzioni delle sue opere -- Il moto
dell'apogeo della luna -- Le comparazioni -- Gli Scrittori italiani del
cinquecento -- L'ANTI- LUCREZIO del card. di Polignac -- Gl'abitanti del
Paraguai -- Alcuni plagiati de' francesi -- Le cose che i irancesi hanno
imparato dagl'italiani -- L'invenzione degli specchj ustorj di Buffon --
L'Edipo di Sofocle -- L'ULISSE del Lazzarini -- L'elettricità -- Il CATONE
dell' Addison -- Elogio di Giovanni Emo -- I fosfori -- La doppia rifrazione
de' prismi di cristallo di rocca. -- La diffrazione della luce . 355 rocca --
Le Poesie di Gio: Pietro Zanotti -- Pope -- Lo stile di Dante -- L'opinioni del
Rizzetti intorno la luce -- La stranezza di alcuni paralelli -- Il poema di
Milton -- Il libro De orli et progressu morum del p. Stellini -- Elogio del
Caldani -- Gl'influssi della luna -- L'abuso della filosofia nella poesia -- Il
Poema del Trissino -- La maniera di seminare insegnata da Alessandro del Borro
-- L'operetta Il Congresso di Citera -- Pregi degli scrittori toscani -- Le due
tragedie di Mason r Elfrida ed il Carattaco -- L'odi di Tommaso Gray -- La
necessità di arricchire di voci toscane il dizionario della Crusca -- La
deformità di Guglielmo Hay. Il gnomone di Firenze rettificato dal p. Ximenes --
Storia de' Dialoghi dell' Autore sopra la luce e i colori -- L'origine
dell'Accademia della Crusca -- Carteggio con Mauro ('Maurino') Tesi -- Lettere
ad Eustachio Zanotti -- Lettere all'ab. Antonio Conti -- Carteggio con il p. d.
Paolo Frisi. Lettere. Di Eustachio Manfredi al co. Algarotti -- Di Giampietro
Zanotti al co. Algarotti -- Di Francesco Maria Zanotti al co: Algarotti -- Del
co: Algarotti a Giampietro Zanotti -- Del co : Algarotti a Francesco Maria
Zanotti -- OPERE INEDITE . Lettere . Di Francesco Maria Zanotti al co :
Algarotti -- Di Eustachio Zanotti al co: Algarotti -- Della marchesa Elisabetta
Ercolani Ratta -- Del co: Algarotti a Francesco Maria Zanotti -- Dell' ab.
Metastasio al co: Algarotti -- Dell' ab . Frugoni -- Di Alessandro Fabri -- Di
Flaminio Scarselli -- Di Benedetto XIV. Sommo Pontefice . -- Del co: Agostino
Paradisi -- Del co: Giammaria Mazzuchelli -- Di mons. Michelangelo Giacomelli .
361 Del co: Algarotti a Flaminio Scarselli -- Del co: Algarotti a Benedetto XIV
-- Del co: Algarotti al co: Giammaria Mazzuchelli . Dell ab . Clemente
Sibiliato al co : Algarot -- Dell'ab . Saverio Bettinelli -- Del consigliere
don Giuseppe Pecis -- Di Gio: Beccari -- Del marchese Scipione Maffei -- Del
co: Aurelio Bernieri -- Del co : Paolo Brazolo . 277 , 279 Di Lodovico
Bianconi.. 282 , 296 , 308 Del padre Paolo Paciaudi . 285 Del marchese Gio:
Poleni. 288 Di Antonio Cocchi . 291 Del doge Marco Foscarini . 293 Dell' ab .
Giammaria Ortes . 315 Del marchese Girolamo Grimaldi . 317 Dell' 300 , 6
GENERAL E. pag. 320 354 387 Dell' ab. Metastasio . Del padre Jacopo Belgrado .
335 Di Giovanni Bianchi . 338 Di Tommaso Temanza . 342 , 345 , 348 Del padre
Antonio Golini . 350 Dell'ab. Gaspero Patriarchi. Di Giuseppe Bartoli . 369 Del
co: Girolamo dal Pozzo . 373 Del marchese Bernardo Tanucci . 383 Dell'ab .
Spallanzani . Di Jacopo Martorelli. 439 Del canonico Andrea Lazzarini. 443 Del
co: Algarotti all'ab. Sibiliato . 3 Del co : Algarotti all'ab. Bettinelli --
Del co: Algärotti al consigliere Pecis --Del co : Algarotti al co : Aurelio
Bernieri. -- Di Federico II. Re di Prussia al co: Algarotti -- Del Principe
Guglielmo di Prussia -- Del Principe Ferdinando di Prussia -- Del Principe
Enrico di Prussia -- Del Principe Ferdinando di Brünswic -- Del cardinale di
Bernis -- Del sig. du Tillot . Del co: Algarotti a Federigo II -- Del co:
Algarotti al Principe Guglielmo -- Del co: Algarotti al Principe Ferdinando --
Dello stesso al Principe Enrico -- Dello stesso al Principe Ferdinando di
Brünswic -- Dello stesso al cardinale di Bernis -- Della marchesa di Châtelet .
pag. 3 a 61 Di Voltaire -- Di Maupertuis -- Di Formey -- Di madama Du Boccage
-- Del.co: Algarotti a Voltaire -- Del co : Algarotti a Formey -- Dello stesso
a madama Du Boccage -- Di mad. Du Boccage al co: Algarotți -- Del co.
Algarotti alla stessa -- Del triumvirato di CRÀSSO, POMPEO E CESARE. Fu
sepolto nel camposanto di Pisa in un monumento di stile archeologizzante, tradotto
in marmo di Carrara. L'epitaffio è quello che per lui dettò il re di Prussia:
“Algarotto Ovidii aemulo” -- Neutoni
discipulo, Federicus rex". Algarotti medesimo si era preparato il disegno
del sepolcro e l'epitafio, non già per orgoglio, ma spinto dal sacro amore del
bello che anche in faccia alla morte non poteva intiepidirsi nel suo petto. Aperto
al progresso e alla conoscenza razionale, esperto del bello (si prodiga come
fautore di Palladio), fu rispetto alla filosofia un grande assertore delle
teorie di Newton, sul conto del quale scrisse uno dei suoi più noti saggi, Il
newtonianesimo. Viene considerato una sorta di Socrate veneziano e per
comprendere la sua statura di insigne filosofo con un'infinita sete di sapere e
divulgare è sufficiente porsi davanti al suo innumerevole campo di interessi.
Al di là del suo ruolo di spicco nell'illuminismo filosofico, fu anche un
diplomatico e un procacciatore d'arte. In particolare viaggia cercando
antichita romani per conto di Augusto III di Sassonia. È noto che fu a comprare
a Venezia il capolavoro di Liotard, il pastello de La cioccolataia, che poi
divenne una delle perle a Dresda. Di bell'aspetto, dotato di un aristocratico
naso aquilino (esiste al Rijksmuseum uno suo ritratto a pastello, sempre di
Liotard, nel Saggio sopra Orazio non perde occasione di far notare come questi
fosse ambi-destro, e tanto lodava i vantaggi di questa disposizione, che c'è
chi suppone che egli la condividesse. Ebbe a filosofare praticamente su tutto,
affrontandocon l'acuta attenzione dello scienziato presso ché ogni aspetto
dello scibile umano. Basti ricordare i saggi “Sopra la pittura”; “Sopra
l'architettura”; “Sopra l'opera in musica”; “Sopra il commercio”; “Poesie”. Il
demone ben temperato. tra scienza e letteratura, Italia ed Europa,
Sinestesie, Note Umberto Renda e Piero Operti, Dizionario
storico della letteratura italiana, Torino, Paravia, 195226. Ugo Baldini, BRESSANI, Gregorio, in
Dizionario biografico degli italiani,
14, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. TreccaniEnciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Francesco Algarotti, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Algarotti, su Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc. Francesco
Algarotti, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Francesco Algarotti, su Find a Grave.
Opere di Francesco Algarotti, su Liber Liber. Opere di Francesco Algarotti / Francesco
Algarotti (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Francesco
Algarotti, . Spartiti o libretti di Francesco Algarotti, su International Music
Score Library Project, Project Petrucci LLC.
Progetto per ridurre a compimento il Regio Museo di Dresda su
horti-hesperidum.com. Sito Algarotti dell'Treviri, su algarotti.uni-trier.de.
La casa di Francesco Algarotti è aperta da settembre come alloggio turistico. Algarotti e Palladio
, su cisapalladio.org. Il newtonianismo per le dame, su google.com. Opere del
conte Algarotti, su google.com. Corrispondenza con Federico II di Prussia
(testo francese e tedesco) V D M Illuministi italiani -- LGBT
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italiani. Il conte Algarotti adunque per
più ragioni, secondo che egli dice, entra in pensiero, che della metà a un di
presso s'avesse ad accorciar la durata de’ regni de’ re di Roma. Alcune di
queste possono considerarsi come certi sguardi, che getta ad un traito sopra
tutto il corso degli anni, che. E per trattare ordinatamente la quistione
reputo necessario l'accennare prima ditutto il cammino, che ho avvisato dover
battere per giungere al vero. Breve lavoro sarebbe pertanto i l rispondere alle
opposizioni della prima maniera, che fa contro le epoche dagli antichi fissate alla
storia de' re, in ispecie a quelle, che sono in principio del suo saggio, le
quali sono tratte, direi cosi, dalla sola natura del soggetto. P r ciocchè
alcune ch'egli aggiugne in fine del suo saggio, quantunque risguardino in genere
tutto il tempo della durata de' sette regni, contuttociò tratte sono dagli
avvenimenti narrati dagli storici, e sono come un fidicono passati. Sotto
cotesti Re. Altre, e queste sono in maggior copia, risguardano più
particolarmente ciascun regno, e s'in gegna con tutto questo di dimostrare, com
e i fatti, che dagli storici, e principalmente da Livio ci furono tramandati, facciano
guerra alle epoche assegnate da esso altri scrittori di quelle storie; le quali
ragioni io non istimo Livio medesimo, e dagli essere di tal peso, che s'abbia
-perciò ad infringere l'autorità degli storici, ed abbre viare della metà circa
la durata de'mentovati Regni . un risultato delle osservazioni sue sopra
ciascun regno. Ma riesce poi più lunga faccenda il togliere quelle
contraddizioni, e ripugnanze, che dice ritrovarsi tra i fat tiregistrarinegli annali
degli storici, e le epoche da elli
assegnate. Ben è vero, che per questo rispetto chi volesse restringersi unicamente
a mettere la cosa in dubbio, quella stessa facilità, con cui prese per guida
que’.foli Storici, che gli andavano a grado, e fece scelta di que ' foli luoghi
di questi, che gli erano favorevoli, potrebbe appigliarsi ad altro Scrittore,
oppure ammertendo gli stesii sceglier da quelli que'luoghi (che al certo non
gli mancherebbono), i quali favorissero l'antico cronologico sistema. Ma questo
sarebbe porre folianto, c o m e disli, in dubbio la cosa ; anzi il far vedere ,
che non mancano testimonianze in favore sia dell'una , che dell'altra opinione
, riuscireb be di non poca confusione , e darebbe a credere a' poco avveduti ,
che la quistione definir non sipossa. Onde io credo, che far si debba un passo
più oltre , vale a dire non appagarsi di ridur la cosa a tal segno soltanto
,che vengano ad indebolirfi le ra gioni addotte dal Conte Algarotti contro
l'antico Cronologico Sistema , per m o d o che non che per l'altra
, o pure anche che venga non fiavi per una parte ragion più forte , a rendersi
più probabile l'antico Sistema, m a di più innalzarlo al grado delle cose più
fi cure , che affermar si possano di quella pri ma età di Roma :ilche per
recare adef fetto si dovrebbono esaminare le qualità , ed il
particolarcaratteredi ciascuno degli Sto rici , che scrissero gli avvenimenti
di que' secoli, e confrontandone i luoghi, far ragio ne dal tempo , in cui
vissero , dal fine,per cui presero a dettare le loro Storie , in s o m m a
adoperarsi per conciliarli fra di loro , ed accertarsi per mezzo di una sana
Critica della verità de'fatti, onde chiaramente siscopra, se questi, ove sieno
ben accertati , sieno poi tali , che all'epoche ripugnino . Ora adunque
seguendo lo stesso ordine te nuto dall'Autore nelSaggio suo , allorchè mi sarò
ingegnato di rispondere a quelle g e n e rali opposizioni , ch'egli fa, e dopo
che avrò delineato non dirò già un ritratto , m a un lieve abbozzo de'tre
principali Scrittoridelle Storie di Roma sottoi Re , mi farò distin tamente ad
esaminare quelle irragionevolez ze ; ed anche ripugnanze, com'ei le chiama ,
per cui stimò doversi abbreviar ciascun R e gno , e per conseguente di molto ,
cioèdella i b metà metà forse, doversi scemar la durata di
tutti fette iRegni . Si risponde ad alcune obbiezioni , che fa il Conte Algarotti
coniro l'antico dero no , CAPO Cronologico Sistema. P e r farci a
considerar quelle ragioni, che adduce prima di tutto l'Autor nostro nel suo
Saggio , e che tutta la quistione abbraccia fa d' ilpremettere , uopo , e che
gli mette troppo bene a conto , ed è che i fatti fieno staticonservati illesi
dalla semplice tradizione , che tro egli chiama vaga , senza ajuto degli A n
nali ,i quali perirono nelle fiamme, cui die 1 noftri ultimi tempi alcuni
Letterati Francesi dell'antica avanti Pirro osservato Storia molti luoghi
avendo Roma farono doverne dubitar della certezza nel qual dubbio se fosse per
avventura 'egli en trato , non opporre che , essendo il tutto dubbioso
egualmente egli un partito Ora è da avvertire prender che a questi di
sottilmente, p e n più ragionevolmente potrebbe i fatti dagli Storici narrati
all'epo di mezzo per al dero in preda i Galli la Città di Roma , e le
epoche sieno state interamente distrutte da quell'incendio , nè per quelte sole
tradi zioni veruna valendo , abbiano dovuto gli Storici posteriori
immaginarsele a senno loro. Il qual partito , soggiugne il noitro Autore , ben
volentieri presero essi, trovando modo di appagar con questo quel natural
deside rio,che,nonmeno diciascuna famiglia, ha ciascun popolo di spingere, come
e'fece ro , tant'oltre quanto poterono nella oscuri rità de'tempi la propria
origine . E quello che è più lidà a credere,che a ciò fare giustificati fossero
dalla opinione , la quale ei dice ch'essi aveano , che tante generazio ni
corressero quanti Re ; onde circa tre R e gni largamente in ogni secolo si
avessero a porre , essendo ogni generazione di trentatrè anni : laddove egli
pensa , che più brevi di molto sieno di Regni , non giungendo questi l'uno
fagguagliato coll'altro se non ai di. ciotto o vent'anni , secondo che scrisse
il Neurone (a), la qual legge , segue egli a dire , si vede confermata in
quella unga fe rie d'Imperadori , che da Yao infino a ' di b2 (a) “The
Chronology of the ancient kingdoms of Rome, amended by Newton. Veggansi le
due tavole Cronologiche in fine . .. nostri tennero il vasto Impero
della China , D a tutto questo si raccoglie fupporsi dall'Au tor noftro , che
quella vaga tradizione , la quale conservò gli avvenimenti , comechè facili a
ricevere alterazioni , a cagion delle molte circostanze , che fogliono a c c o
m p a gnarli , anzi che conservò , c o m e di alcuni dovrem notare le epoche
precise , in cui non abbia potuto conservare le altre epoche più notabili, vale
a dire la durata di ciascun Regno , e per conseguen te la somma dello spazio di
tempo ,che ab bracciarono tutti isette Regni insieme,quan tunque cosa non meno
importante di m o l tiffimi fatti, che pur furono da cotesta sua tradizion
conservari, e non capace di pren dere come ifatti diverso alpetto passando per
le bocche degli uomini. Non troppo ra gionevole pertanto mi sembra la sua
preten. fione , e per asserire, che gli Storicidique' primi tempi di R o m a non
fossero informati di queste epoche , farebbe mestieri produrre qualche
testimonianza , o almeno congettura , da cui si potesse chiaramente inferire
che di quelle veramente informati non fossero , la qual cosa non facendo egli ,
io ftimo , che non maggior ragion fiavi per credere a' fatti, che alle epoche .
Cie seguiti sono 1 Ciò posto o è l'antica Storia di Roma del pari tutta
dubbiofa , e d in questo caso inutili sono le osservazioni sue , o è del pari
certa tanto a' farti , ed rispetto alle epoche allora non hassi a dire,che le ,
quanto i che sieno state supposte ci . Senzachè se gli Storici si fossero i m m
a ginato a piacer loro le durate de'Regni se condo la legge delle generazioni,
com'egli pensa , non si sarebbono tolto la briga di far registro di quanti anni
precisamente sia stato ilRegno diciascun Re, edavrebbonodato qualche cenno d'
aver seguita una tal legge ; fe pur non vogliam credere , non che seguit sero
una regola da essi giudicata sicura,ma che avessero concepito di tessere un
dolce inganno a'contemporanei loro , il che , senza che se ne adducano le prove
, conceder non si dee a giudizio mio per modo nessuno . epo da'pofteriori
Stori- * il malizioso disegno 1 Quantunque però sia abbastanza Ito , che ,
quand'anche tutta l'antica Storia di Roma fi fosse, non solo ugualmente per
semplice tradizione conservata instrutti della Cronologia , che de'fatti por si
debbano gli Storici mentovati ; nulla dimeno , fia per salvar dalle fiamme
questa Cronologia , d a cui divorata ,ma anche più manife la presume ľ sup Aus
b due (6)Quae incommentariisPontificumaliisquepublicisprive. tisque
erant monumentis incenfa urbe pleraeque interiere. T.Liy.Dec. I.Lib.VI.inprinc.
()Plut.inNuma inprinc. non che vorrà negare . 22 RAGIONAM,CONTRO IL CONTE
Autor noftro , sia perchè resti maggiormen te confermata la certezza
dell'antica Storia di R o m a ( la quale a vero dire già ha a v u to troppo più
valorosi difensori di quello ch'io m i sia ) stimo pregio dell'opera il
*mostrare , che non fu poi , qual per alcuni si dipinge,si funesto l'incendio
de'Galli per gli annali di Roma . E per cominciar da Livio , della testimo
nianza di cui si fiancheggia in prima il no ftro Autore , oltrechè mostreremo
fra breve , che a lui non poco premeva di fare passar per dubbiosi gli antichi
avvenimenti seguiti avanti l'incendio de'Galli , se si considera no
attentamente le parole di lui (b) , que ste non vengono a dir altro , se buona
parte de'monumenti perì in quelle . fiamme,ilche nè io, nè alcuno, penso,
Plutarco poi non dice altro (c), se non che , secondo quello , che avea
osservato un certo Clodio ,supposte erano alcune m e m o rie appartenenti a
Numa , essendo le vere mancate nella presa di R o m a . Se da questi
ро ALGAROTTI . CAPO II. 23 due luoghi di Livio , e di Plutarco si possa
inferire , che abbiano gli Archivj di R o m a fofferto un generale incendio ,
lo lascio al giudicio de'giusti estimatori delle cose . Se R o m a fosse itata
inaspettatamente presa di asfalto , non riuscirebbe forse difficile ilcon
cepirlo;ma ad ognuno è noto,che iRo mani , dopo l'infaufta giornata di Allia,
in cui furono da’Barbari sconficci, vedendo di ·non potere per modo nessuno
difendere la Città dal vittorioso esercito de'Galli,ebbero ancora tale spazio
di tempo (d) (tre giorni diconoDiodoroSiculo (e),ePlutarco)da po ter fornire di
munizioni il Campidoglio,m e t tervi alla difesa il miglior nerbo della solda
tesca , i più valorosi Senatori , e la più vi gorosa gioventù , ove ancora per
teftimo nianza del medesimo Diodoro posero in fal v o quant' oro , argento ,
vesti preziose , e cose rare , che s'avessero (f) : ebbero t e m b4 Diodor.
Sicul, loc, cif, non le Vertali di ricoverarsi a Cere , non r é itando
nella Città fe non que'venerandi v e c chị, che vollero rimanervi . Ora adunque
(1) T. Liv. Dec. 1. Lib. V. cap. 21. 22. ) Diodor. Sicul. Bibliot. Stor. Lib
.XIV.n. 115. p.729. tom . I. ed. Amft. 1746. Plut. in Camillo . >
ed incerta , ma poco o nulla men pregevole delle Storie medesime , di cui
a b biamo fatto parola sopra, e per mezzo di cui , secondo quello che abbiamo
osservato , riesce 24 RAQIONAM. CONTRO IL CONTE non avranno o i guerrieri
rinchiusi nella roca o quelli, che lisottrassero colla fuga. all' eccidio della
Città , falvati dalle f i a m m e quegli antichi Annali ? I n verità bisognereb
be far forza a noi medesimi per idearci Romani accesi com'erano dell'amor
Patria , e solleciti di ogni cosa , che potesse fervire alla gloria di quella ,
così ( 8) V o f f i u s d e H i f t . L a t . L i b . I. C a p . I. T o m . I V
. O p a i della ca, ranti delle proprie poco Storie.M a supponiamo cu che,che
questi an fossero periti ; il f a m o so Vossio Annali (g) osserva tacciar non
per questo tica Storia dubbia credibile l'an avessero di Roma , essendo pur
anche i loro Annali , che le circon fi dovrebbe vicine Città , con tuto ad un
bisogno loro ; ed in secondo alle luogo non essereda cre dere , che coloro
fra'Romani , i q u a l i li l e g g e vano , custodiyano duto la memoria ,
scriveano del tutto : ed ci riduciamo a quella tradizione vaga , , non però
,che di falsa, o cui i Romani abbiano mancanze supplire , avessero in tal caso
po per ed, Amst. 1699 (4)Cic.de Orat.Lib.II.,de Legib.Lib.I. Nulla
enim lex neque pax , neque bellum , nequè res ficnotata : Corn. Nep. in Attico
n. 18. (1) SenexHistoriasfcribereinstituit,quarumsuntlibrisep. M a che
serve affaticarsi di provare con congetture una cosa , di cui abbiamo cost
chiare , e sicure testimonianze ? N o n giunse ro gli Annali Maslimi .a'rempi
di Cicerone , e non ne reca egli giudizio (h) in più luoghi. delle opere sue?
Onde Fabio Pirrore , Lu cio Pilon Frugi , Valerio Anziate Scrittori che furono
tra lemani dị Dionigi,ediLi vio, avranno prese le memorie per dettare le Storie
loro , se non da'monumenti , che avanti l'incendio esistessero? Pomponio A t
tico intrinseco amico di Cicerone , che se condo Cornelio Nipote (i) non
tralasciò in certo suo libro di porre sotto l'epoca pre cisa cosa alcuna
riguardevole del popolo R o m a n o , C a t o n e , il p r i m o l i b r o d e
l l e S t o r i e d i cui comprendevaifattide'Re diRoma come riferisce lo
stesso Cornelio (k), onde avran tratto i materiali per quest' opere loro ?
Varrone il più dotro de'Romani , uomo al ALĞAROTTİ . CAPO II. 25 tiesce non
solo ugualmente , m a più credi bile eziandio la Cronologia de'fatti. certo ili
luftris estpopuli Romani, quae non in eo,fuo tempore com,primus continet res
gestasRegum populi Romani Corn. Nep . in Cat . n. 3. certo di non facile
contentatura,su che avrà fondato l'opinion sua contraria a quella di Catone
circa al tempo della fondazion di R o m a , se non sopra monumenti ,che a'suoi
tempi ancora esistessero, in cui fosse accura tamente descritta quella prima
età ? E , v a gliami per ultimo l'autorità di quel diligen te investigatore
delle antichitàRomane Dio. nigi d'Alicarnasso , quante tenebre egli non dilegua
coi Commentarj de’Censori, e con altre memorie , le quali pajono anteriori alla
famosa irruzione de'Galli , o almeno sopra quelle compilate ? E non è forse da
crede. re , che a quel Dionigi , il quale dovendo per mezzo di un suo computo
fissar la giu Ata epoca della fondazione di R o m a , fi Itu dia di portare
tanti monumenti , per venire in cognizione del numero d'anni , che cor sero
dalla deposizion di Tarquinio insino all' incendiodiRoma (1),echecircaalladu,
rata de'Regni non muove la minima que stione , anzi concordando con Livio , gli
af segna il medesimo numero di anni ;a quel Dionigi,cui è data la lode di
esattissimo nel fissar le epoche , come più sotto vedremo ,
(9)Dionyf.Halic:Antiq.Rom.Lib.I. p. 60. ex ed, RAGIONAM , CONTRO IL CONTE non
Graeco-Lat. Friderici Sylburgii Lipfiae 1691, امی ju ALGAROTTI , CAPO II. C h
e poi per vantare antichità abbiano gli Storici allungata la Cronologia , è
noto a d ognuno esserregola dell'Arte Critica, doverfi presumere , che alcuno
abbia ingan, nato sulla fola luogo bio , non ܕ nato in suo pro l'ingannare , m a doversi a d d'aver
egli.veramente ciò fatto ; ed oltre a questo non può cade dur prove manifeste
sopra Dionigi., come quello , ch'essendo straniero re per modo nessuno un
talsospetto non era tentato dall'amor della patria a m e n tire per adularla ,
e che fece un particolare ftudio di chiarire l'antica Storia di Roma . che
sarebbetor non mancassero i suoi fondamenti per accer tartaldurata,come cosa
fuord'ognidub congettura , Non istimo ora del resto dover parlare della
diversità , che l'Autor nostro dice c o r Tere tra le generazioni , e le
successioni de' Regni;giacchè è manifesto non aver gli Storici seguito una tal
regola , e quand'an . che seguita l'avessero potendosi far veder di leggieri ,
che se per alcuni motivi da lui e dal Neutone addotti sembra , che iRegni
debbano riuscir più brevi , che le , per altri rispetti potrebbe più lunghi
restassero tazioni . Tanto più che dovrò accennare in generazio succedere, che
i Regni , che le gene ni luogo più opportuno quelle regole ch'io stimo
doverli osservare , nel fiffar queste g e nerazioni , potendosi queste sotto
diversi a f petti riguardar da ' Cronologi . (mn)Description de l'Empire de la
Chine par le P.Dus Halde. Tom .I. Faites de la Monarchie Chinoise 28
RAGIONAM,CONTRO IL CONTE per dare a divedere , che quella rego Mi basterà per
ora notare , ch' in quella lunga serie degli Imperadori della Cina s'in •
contrano n o n una volta sola , m a diverse fiare sette Regni di seguito , i
quali se non giungono, si avvicinano però assai allo spa zio di tempo , che
tolti insieme durarono i Regni de'Re diRoma :per comprovarla qual cosa giova il
recarne alcuni esempj, che m'è venuto fatto di ritrovare ne'fatti di quella
Monarchia descritti dall'accurato P . Du-Halde (m).Nellaprima.DinastíadaTi
Pou-Kiang insino a Kiè corsero dugento e dodici anni. Nella seconda da
Tching-Tang infino a Tai-Vou passarono dugento e quat tro anni ; e nella terza
Dinastía dugento 'e venticinque da Tchao -Vang insino a Li-Vang. Facilmente non
saranno questi foli i casi, in cui,non uscendo dalla serie degli Imperadori
della Cina , fecte Regni di seguito abbiano abbracciato più di due secoli ;
tanto però basta la , ALGAROTTI. CAPO II, 2.9 gi la , la
quale pure è vera , trattandosi di l u n ghissimo spazio di tempo , riesce
falsa nelle itesse Tavole Cronologiche degli Imperadori Cinesi , quando si
reftringa a fette soli R e gni . Ed ecco come si vengono a sciogliere tutte
quelle diffico'tà inosse dall'Avior no stro per diminuir la credenza , che
prestar fi dee agli Storici , e rendere improbabile in genere la lunghezza di
questi Regni . O r a fa di mestieri farsi a considerare quelle ragioni , ch'ei
deduce dalla ripugnanza dei fatti, di cui fecero gli antichi Scrittori re
gistro,alleepoche,per venireadaccorciar ciascunRegno:Seiodicesli,che concor
dando a un dipresso tutti gli Storici nelle epoche principali , e circa la
durata de'Re- . gni , e discordando ne'fatti, ilconsenso loro nello afferir la
durata dee meritar. troppo maggior fede, e pertanto doversi come lup-, posti
rigettar quegli avvenimenti , e quelle epoche particolari di alcun fatto , che
taluno fra essilasciò ne'suoilibri descritte, che ripugnano a quello , la di
cui certezza è chiaramente ,e concordemente da essi affe rita; se jo ciò
dicefli, mi servirei di una ragione più atta a far forza , che a persua dere .
Perciocchè resterebbe sempre una c o tal nebbia , ed oscurità nella mente
de'Lega gitori, non vedendo eglino quali oltre a que ito fieno i
motivi , per cui come falsi s'ab biano'a rigettar questi fatti, che falli certa
mente avrebbono a d essere , quando ad una verità fi opponeffero . Laonde è
convenien te o farne vedere per altre ragioni la fal fità , o mostrarne la non
ripugnanza , quan do , come di alcuni veri dovrò fare meno avvedutamente
ripugnanti, sieno stati dall'Au tor nokro creduti .Per condurre a fine le quali
cose , siccome è d'uopo far uso delle regole , che prescrive l'Arte Critica ,
stimo pregio dell'opera il premetter quella , la quale più d'ogni altra ttimali
necessaria , ed è il chiarir bene a quale Scrittore s'ab bia per CAPO (n) Si
unus aut alius (Hiftoricus) adverfus plures teftifi: Centur , Historicorum
conferendae dotes , fecundum cas je dicandum . Genuenfis in Arte Logico-Crit.
Lib.IV, Cap. II. § . 19. can . 2. 30 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE COSI .
l'antica Storia Latina , i di cui av. venimenti cadono nella nostra quiltione,
a ri correre , ed in caso di disparere, a quale fi debba prestar maggior fede
(n). CAPO Trattasi della credenza , che prestar fi dee a Tito Livio
, Dionigi d'Alicarnaso Plutarco , per rispetto ai fatti , che R a gli Scrittori
, in cui troviamo descritti i principi di quella Nazione, al di cui co fpecto
dovea tremar l'Universo , primeggia no Tito Livio , Plutarco per le vite , che
stese de'due primi Re , eDionigidiAlicar naffo . Penso adunque esser buona cosa
l'in .vestigare prima di tutto il vero carattere di ciascuno di questi, per
rispetto al m a g g i o re o minor caso , che far si vuole della au torità di
taluno di effi per riguardo a tal altro,ne’racconti,che pressodiloro sitrovano.
per (a) Come Livio scrive, che non erra , Dante Inf. cant. che non Fra
ALGAROTTI, *31 cądono nella presente quistione. Se farò poi in questa disamiņa
precedere Tito Livio agli altri due , si è , perchè di lui fi pregia più che
d'ogni altro l'Autor nostro , e glid à ad una voce col creatore della
nostraLingua,non meno chedellano Itra Poesia la lode di Scrittore 2 erra (a),
la qual lode se vera se giusta sia 2 28. V. 124 III. ( 5) Livius
etiam , & Curtius artem declamatoriam affe&taffe videntur.Nimiam
ftyli.curam in Hiftorico fufpettam ho beo ,Genuens. in Arce Logico-Crit. Lib.IV
. Cap. 2o $.18. 32. RAGIONAM . CONTRO IL CONTE per rispetto a quel tratto
della Storia Latina', che cade sotto la controversia noftra , verrà brevemente
esaminando . pol L'andar dietro alle quistioni , e dubbie tà , che s'incontrano
nella Storia de primi tempi di Roma, il diradar lenebbie,incui si avvolgeva
quell'oscuro secolo , era cofa , che ripugnava all'indole di Livio , il qual
certamente più compiacevafi nel dipingere con quel luo vivo , e maestoso itile
i bei giorni di R o m a , che in ricercarne sottilmen te le origini traendo
alla luce gli avveni menti , che succeduti erano in quelle rimote età . Pare
veramente ch'egli dovesse te mer forte non i suoi lettorifi disgustassero, se
egli si fosse messo in un tale intricato sen tiero , sentiero , che male egli
avrebbe p o tuto spargere di tutti i fiori della sua E l o quenza ; la quale
fua Eloquenza però , per dirlo alla sfuggita , rende sospetta a tal C r i tico
la veritàde'fatti da lui narrati (b). Principale intendimento era adunque di
lui lo stendere la Storia più luminosa di R o ma , vale a dire allor quando
falira a gran possanza , ed a grande onore questa R e p u b blica
cominciò a stender le ali Pontificum libros annosa volumina Storia in
fine , la quale troppo più che l'antica era confacente algeniodi Livio, ed
alcomun desiderio dei Romani de'suoi tempi, per cui preso avea a dettarla .Che
se Tacito parago nando le Storie de'tempi suoi a quelle di que sto secolo , di
cui favelliamo , dice , che m i nute,e poco memorevoli farebbono sembrate le
per cose , 1Uni verso . Quando , domati finalmente i feroci popoli dell'Italia,
qual rinchiuso fuoco, che rovescia ogni ostacolo più forte, avventò le fiamme
in grembo all'emula Cartagine, ed a Corinto , e loggiogata parte coll'armi ,
par te coll' accortezza la Grecia tutta , e corsa l' Asia trionfando , essendo
, per servirmi delle parole di Tacito , l'antica , e natural ansietà ne'mortali
della potenza cresciuta e scoppia ta colla grandezza dell'Impero (c), sidivise
in quelle fazioni , che tanti e si gran casi somministrarono alla Storia.
Storia di gran di imprese , di gran personaggi , e di gran di avvenimenti
ripiena ; Storia non troppo lontana dal secolo , in cui egli vivea , e per cui
non avea a rivoltare ALGAROTTI . CAPO III. 33 T a c i t . H i f t. L i b . I I
. C a p . 3 8 . n . 1 . ҫ RAGIONAM. CONTRO IL CONTE te nimia obfcuras
, velut , quae magno ex intervallo'lo ci vix cernuntur ; tum quod , & rarae
por cadem tempo ra literae fuere ,u n a custodia fidelis memoria rerum g e
ftarum ; & quod etiam fiquaein commentariis Pontificum, aliisque publicis,
privatisque erant monumentis incenja urbe pleraeque interiere . Clariora
deinceps certioraque ab secun 'da origine velut ab ftirpibus laetius
feraciusque renatas urbis , gefta domi militiaeque exponentur, 1 34 mo
cose , ch'egli avea a raccontare , e che non erano da eguagliarsi le Storie sue
agli A n nali antichi diR o m a (d), poichè gli Scrit tori di quelle narravano
guerre grosse, Città sforzate , R e prefi, e sconfitti, e dentro di scordie di
Consoli con Tribuni , leggi a'fru menti , zuffe della plebe co'grandi,larghilli
mi campi , scarso all'incontro e stretto effe re il suo : che ne avrà dovuto
pensar Livio paragonandole a quelle di que'rimoti , ed oscuri secoli ? Se non
tralasciò pertanto del tutto di far menzione de'principj de'R o m a ni, non
altra ragione , penso io, averlo a ciò moffo , fe non per non incorrer la tac
cia d'aver composta una Storia mancante , e per potersi in certo modo fpianar
la ftra da a descrivere le susseguenti famose impre se di quel popolo d'Eroi .
Ed in fatti dalle sue stesse parole fi rac coglie (e) non aver egli troppo
dibuon ani (d)Tacit.Annal.Lib.IV.Cap. 32. n.1. & . . cum vetufla
ALGAROTTI . CAPO III. 35 m o lavorato a ftendere quel tratto delle sue
Storie . Cofe le chiama oscure per troppa antichità , e che , per così dire , a
cagione della grande distanza appena più sivedeano. Parla di quelli avvenimenti
in modo che fi scorge , che poco o nessun conto ne fa cea , tanto più dicendo ,
ch'esporrà più l u minose , ed accertate gelta della quafi da più fertili , e
rigogliole radici rinata Città dopo l'incendio de'Galli. Poco, ei dice,
scriveasi avanti l'irruzione de' Galli , e se al cune memorie eranvi negli
Annali de'P o n tefici , ed in altri pubblici , e privati m o n u menti,buona
parte di queste peri nelle fiam me. La qualcosa , posto che veramente molte
memorie ancora esistessero a'suoi gior ni di que'tempi, come ben feppe
rinvenirle Dionigi , dà non lieve motivo d i dubitare non il dire , che molti
di questi monumenti periti fossero in quell'incendio sia un mendi cato pretesto
di lui per ispacciarsi in poche parole di quelle antichità . Per raccogliere il
tutto in breve non p a re , che in questo tratto di Storia almeno Livio sia
quel Livio , che non erra , e che a più buona ragione , che non quel verso
diDante, adattar fe gli .patrebbe ilgiudicio di с2 di
Quintiliano (f), ove dice ,che quella dol ce facondia di Livio non sarà mai per
a p pagare colui , che non la venuftà del dire , m a la verità cerca nella
Storia . Perlaqual cosa a giudicio non solo del P.Rapino(g), m a di quasi tutti
i più valenti Critici, e per l'accuratezza , e per lo discernimento , e per la
verità delle cose narrateanteporre fidee a Livio Dionigi d'Alicarnaffo . Questo
Storico è appunto il nostro caso . Perito egli era della lingua, e de'costumi
de'Latini,fra cui fece lunga dimora.Con temporaneo di Livio, Critico eccellente
p r e se a trattar quella parte della Storia Latina , ch'era più oscura per la
lontananza de'tem consultò tutti gli antichi Romani Scrit tori diligentemente ;
e siccome si scorge , se condo quello, che abbiam notato , che l'in tenzion di
Livio era di trattar principalmen te la Storia di R o m a dopo l'incendio de'
Galli , così il fine di Dionigi era d'inftrui re i suoi lettori nelle antichità
soltanto di quella Nazione, per le quali sue doti ftimò 36 RAGIONAM .
CONTRO IL CONTE pi ? il Neque illa Livii lattea ubertas fatis docebit eum , qui
non speciem expofitionis , fed fidem quaerit. Quiptil.Lib. X. Cap. I. (8)
Rapin. Réflex. sur l'Hift. n. 28. Sto . il Bodino (h) di doverlo in
questa parte pre ferire a tutti gli altri Storici Greci e Latini. E se per
avventura non è , come osservò il Rollin (i), nella lingua lua si eloquente, e
si colto come Livio nella Latina , in quanto all'accuratezza , e diligenza il
vince sicura mente d'affai.Che poi più cose, e più ac intorno antichità presso
di lui , che presso Livio fi curatamente descritte
ritrovino,èancheilparerediquel Varro ne dell'Ollanda Gerardo Vossio (k), ilqual
coll' autori tà di Eusebio , e dello Scaligero , l'ultimo fuo sentimento egli
fiancheggia de quali lo commenda appunto per quella dote , di cui noi
abbisogniamo , voglio dire per essere stato egli più d'ogni altro dili gente
nel fissar le epoche. M a a che serve andar raccogliendo le testimonianze
de'Cri tici ? Niuno v'ha fra' letterari, che ignori quanto Dionigi sia
benemerito delle R o m a ne antichità , e che non sappia esser egli alla C3
alle Romane ALGAROTTI : CAPO III, 37 (h) Dionyfius Halicarnasseus antiquitates
Romanorum ab ipfius urbis origine tanta diligentia confcripfit, ut Graecos omnes
, ac Latinos fuperaffe videatur. John B o d i n . M e t h . a d f a c i l. H i
f t . c o g n . C a p . I V . (i) Rollin Histoire Anciene tom.XII.
(A)VoffiusdeHift.GraecisLib. II.Cap.V.,&ibi Euseb. in prep. Evang., &
Scaligerin animad.Euseb., il qual dice : Curatius co niemo tempora obfervavit
, 38 RAGIONAM . CONTRO IL CONTE E'ben vero esservi taluno
fra'moderni,il quale non fa gran calo dell'autorità di lui per riguardo a ciò ,
che scrive intorno alle origini de'popoli d'Italia , avendo a parer suo Dionigi
,per gloria della propria nazio ne , dato luogo troppo leggermente alle con
getture , per derivar dalla Grecia i primi abitatori dell'Italia (l) . Lascio
ad altri il giudicare le giusta fia, o no quest'accusa ; m a , quanrunque fosse
ben fondata , non so avrebbe per questo a dubitare delle cose n a r rate da lui
, le quali cadono nella nostra qui ftione : perciocchè in quella parte dell'Ope
ra sua, di cui servir ci dobbiamo , n o n trattasi più delle prime origini de'
popoli Italici , m a delle origini soltanto primi tempi di Roma; onde non può
più aver luogo quel sospetto , ch'egli abbia v o luto adulare la nazion sua ,
non essendovi piùlagloriadiquellainteressata in modo nessuno . Questo Storico
pertanto , quantun que venga una volta fola in campo nel Saga Storia
Latina de primi tempi quello , che è alla Storia d'Italia de'secoli di mezzo
l'eru dito , e diligente.Muratori . e dei gio (1) Guarnacci Origini Italiche
Lib. I. Cap. I. De 4 Veniamo ora finalmente a Plutarco .M o l to discordanti
sono i giudici, che di lui re cato hanno i Critici :perciocchè , se a molti
Letterati di grido siattribuisce per una par te quel detto , che se in uno
universale in cendio di tutti i libri un solo scampar se ne potesse dalle
fiamme, si vorrebbono falvare le vite di Plutarco ; non manca per altra parte
chi ne rechi troppo più vantaggioso giudicio , e fra gli altri un celebre
Lettera to Inglese il Signor Midleton (n) giunse a chiamar l'Opera di lui un
abbozzo piuttosto , che il compimento di un gran disegno . A chi fu (m) Saggio
sopra la durata de'Regni de'Re di Roma p. 142-3. del tomo III.delle Op. del
Conte Alga rotti ediz. di Livorno 1764 Nella edizione fatta di questo Saggio in
Firenze nel 1746. non è mai citato Dionigi , anzi nella lettera al Signor
Zanotti dice P Autore : che non avea voluto leggere altri scrittori ,
cheparlafferode'Re diRomafuorchèLivio,ePlutarco. (a) Conyers Midleton prefaz,
álla Vita di Cicerone , per ALGAROTTI CAPO .III, 39 gio del nostro Autore
(m ), sarà però quello , che più d'ogni altro ci additerà la strada , che li
vuol battere per giungere al vero nella presente materia , c o m e quello , il
quale più giustamente di Livio merita il nome di P a dre di Romana Storia . !
altro pon mente alle belle qualità , per cui fu lodato, ed a'diferti,
perliquali C4 D e l resto per giungere a farci una chia ra idea del
merito di questo Autore fa d' uopo prendere d'alquanto più alto i princi p j
.Quantunque pertanto pregio essenziale della Storia sia la verità de'fatti, si
voglio no con tutto ciò offervare e la scelta che fa l'Autore di questi, e le
rifleffioni , e l'ordi ne , con cui dispone ogni cosa , e la dici tura , di cui
si serve , del che tutto nell'al tra nostra Opera abbiamo copiosamente ra.
gionato . O r a per parlar soltanto delle riflel fioni, queste son quelle , che
danno a vede re il giudicio dell'Autore intorno alle cose narrate, giudicio
,che resta più o meno de gno di stima a misura , che viene ad esser fondato
sopra valide ragioni , e che non esce di quella scienza , a cui ènoto aver con
Jode dato opera lo Storico . Le considera 1 40 RAĞIONAM , CONTRO IL CONTE
fu ripreso , riuscirà agevole il comporre i lorodispareri. Vero è, che
ilSignorMidle ton ne recò più svantaggioso giudizio di al cun altro , perchè
forle non ritrovò in lui, come bramato egli avrebbe, abbastanza en comiato
l'Eroe , a gloria di cui egli consa crò una sua assai lunga , ed elaborata o p
e ra , nella quale però sembra ad alcuni , che ne tefla egli piuttosto il
Panegirico , che la Storia . zioni, zioni di un Polibio , o di un
Cesare sopra l'arte della guerra , o di un Tacito sul ALGAROTTI , CAPO
III, Inoltre dalla scelta , che fa de'fatti , fi (6) Arte Poetica del Signor
Francefco Maria Zanotti verno de'popoli intanto degne sono di c o m tore le
manifeste , in quanto hanno essi fama di ef mendazione fere stati di quelle
facoltà ottimi conoscitori M a fupponiamo , che sitralascino . dallo Scrita
riflessioni,non èforsevero, è per così dir forzato lo Sto che narrando rico a
dar segni della approvazione fapprovazion ,odi sua ? Cosi pensa quel dotto , e
Scrittore, uno de'primi lumi d' leggiadro Italia, cui il Conte fto fuo Saggio
(o). Ora que ognun Algarotti indirizzo ciò posto professò principalmente sa ,
che Plutarco fcienza de'costumi ; questa cui le altre tutte qual più
direttamente s'hanno a riferire , come raggi d'un meno cerchio al centro ,
esercita l'impero suo so pra le azioni tutte degli uomini, ond'è m a nifesto ,
che anche supposto , che Plutarco alcuna osservazione do reca giudicio
dell'azione non aggiugnesse fcrivendo , e giudicio, di cui non piccol caso
facoltà ,narran ', che va de uscito dalla penna di un F i far fi dee,come
losofo de'più rinomati dell'antichità . go la poi , a , qual viene
Rag.IV.pag.261,Bologna 1768. qual dà maggiormente a conosce re il bellicofo
genio di quell'Alessandro del Settentrione Carlo XII.,loggiugne (p), che tal
cosa lasciato non avrebbe d'inserire nella vita di lui un Plutarco . remmo
6)Opere delConte Algar.tom.IV.Discordimilitari Disc,IX,pag.230 . 42 RAGIONAM ,
CONTRO IL CONTE ز e nel formare il carattere de'perso naggi , di cui stende la
vita . Egli non sia p paga delle azioni pubbliche , e ftrepitose , nè si ferma
intorno alla sola corteccia , m a seguendo , per dir così, i suoi Eroi in ogni
lu go , e non temendo di abbassarsi col de. scrivere certe minute particolarità
, entra ne? più fecreti ripostigli dell'animo loro, e pre fentà al lectore ad
un tempo medesimo un fedel ritratto e di esli , e della umana na. tura . E
questa singolar dote di Plutarco fu giàdal nostroAutore osservata; poichènar
rando in un suo discorso un tal fatto parti colare , il qual dà viene in
cognizione della perizia di lui nello scoprire le più nascoste proprietà del
cuore umano , e nel formare Questo è il favorevole aspetto , fotto cui
riguardar fi possono le vite da lui scritte,e gli encomj,di cui gli furono
cortefi iCrie tici,vengono a ridurlia questo.Ma sevo leffimo poi in materie
dubbie , ed oscure ri poläre interamente sulla fede di lui, corre altri .
ALGAROTTI . CAPO I11. 43 remmo non piccolo pericolo d'ingannarsi. Plutarco ,
con ben raro esempio , congiun geva un ingegno straordinario ad una credu lità
somma (difetto , da cui i rari ingegni fogliono per altro andar esenti, cadendo
più sovente nell' eccesso contrario ). Forse ritene va in questo parte degli
influfli del Cielo di Beozia . Occupato da'negozji, ch' ebbe a trattare , e
dall'impiego di dare lezioni di Filosofia , poco tempo gli rimaneva per ac
certarsi della verirà delle cose , che s'accin geva adescrivere.Sifa,ed
eglistessolo con feffa , che ignorava la lingua Latina , nè o b bligato era
dalla necessitàa d iftudiarla , ava vegnachè dimorasse in R o m a , servendo la
lingua Greca a que' tempi presso i Latini di lingua,come fuoldirsidiCorte,cioè
par lata dalla più leggiadra , e brillante parte delpopoloRomano,edi
linguadotta.La (ciopensare di quanti sbaglj una tale igno ranza possa essere
itato cagione . Che della fola autorità di lui pertanto non si debba far molco
caso , è il sentimento del dotto Bodino (9), del Rualdo , del Dacier , e di
(1)Joh.Bodin.Method.Hist.Cap.IV..Interdum etiam in Romanorum
antiquitatelabitur.Ruald.animad.inPlut. Dacier nelle note alla fua traduzion
francese delle Vite di Plutarco . Vero RAGIONAM. CONTRO IL CONTE
Vero è, che l'erudito Giureconsulto Ei neccio (r) per salvar dalle accuse
de'Critici un luogo di Plutarco , ove narra questo Sto rico aver N u m a
concesso certi privilegj alle Vestali , i quali si sa indubitatamente non
essere stati ad effe concessi senon dopo que sto R e , avvisofli di fare una mutazione
nel teito di lui,di modo che seavantidiceva: aver conceduro grandi onori alle
vergini V e Itali, veniffe a dire : loro concedettero ( i R o mani ei
sottointende ) molti onori , e fog giugne , che per sì fatta maniera salvar li
possono molti luoghi di questo Storico .cen Turati dagli eruditi. M a lasciando
stare , che molti non saran no quelli,che con una talcurafanarfipof fano ; non
so , perchè con tanta facilitànon . essendo il luogo di Plutarco un frammento
di qualche antico Giureconsulto , il qual a b bia necessariamente cogli altri a
concordare , si avventuri da lui questa emendazione , fen za addurne altra
ragione, fe non che ilfal varsi con questa l'autoritàdi Plutarco.Am mesfa una
tal Critica si fanno scomparire con poca fatica tutti gli sbaglj de'libri, che
ci restano dell'antichità . (5)Heineccius ad legem Papiam Poppaeam
Lib.I.Cap, II, p. 27.Amít, apud Wetftenios, ALGAROTTI . CAPO
III. 45 Sia adunque per la ignoranza della lingua Latina , lia molto più per lo
genio credulo , e poco critico , anzi qualora trattasi di Sto rie lontane da
tempi fuoi portato al m e r a viglioso Plutarco, non è guida ficura per chi
vuol penetrare nelle più rimote istoriche n o tizie . Quella Storia favolosa ,
che dic' egli rinvenirli (S ). nelle origini delle nazioni prende , e li ftende
troppo negli scritti di lui sopra i diritti della vera Storia maggior mente
sgombra dalle finzioni presso altri Scrit tori . M a per riguardo a quella
parte della Storia di Roma , i di cui avvenimenti ca d o n o nella nostra quistione
, potea troppo qui cilmente schivar gli errori . N o n avea egli nella
sua stessa lingua le accurate fatiche d i Dionigi di Alicarnasso Scrittore ,
che ben d o vea esfergli noto , e noto veramente gli era , facendone egli
menzione ? Perchè adunque n o n fi restrinse a lui solo , tralasciando quelle
fue popolari , e favolose tradizioni? Niuno dubiterà pertanto , che in questa
parte della R o m a n a Storia pofpor si debba Plutarco a Dionigi. E ben
riuscirà singolar cosa , fe recherò in mezzo l'autorità dello stesso Algarotti,
il quale , fuori di questa fa (S ) Plut, in Theseo in princ.
quistione non lasciò di rendere il dovuto omaggio a Dionigi, e di
mostrare il poco caso , che far fi dee della sola autorità di
Plutarcone'fattide'Romani,efefarò ve dere aver egli in cofamolto più recente
negato credenza a quel Plutarco, a cui tan to s'affida per rispetto ad
avvenimenti ri motissimi dalla età di lui. Bafta per chiarirfi di quanto ho
detto dar un'occhiata a ciò , che scrisse l'Autor nostro intorno all'impre fa
di Cesare contro a'Parti (t). Questo è quanto ho io stimato dover pre mettere
circa la fede, che prestar fidee agli Storici , innanzi di farmi ad esaminare .
la verità , o falsità de'fatti , e la ripugnan ża o non ripugnanza di questi
alle epoche il che mi studierò quanto più brevemente per me sipossa di recare
ad effetto. Alicarnasco, Polibio ...... danno una più esatta contez fa
delleragioni dei costumi Romani che non fanno i Romani medefimi ..... M a quei
Greci sapeano a fondo la lingna Latina , buona parte della vita erano viffura
co'Romani ec. 46 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE CAPO
(*)Alg.Op.tom.IV.Disc.Milit.Disc.V. soprala impresadisegnata da Giulio Cesare
contro a'Partipo 178-9. La verità si è , che ognuno si può effere ac corto
quanto nelle cose dei Romani fia poco efatro Plu tarcoec.,epag.180.
Egliècerto,chedellecoseRo mane le migliori informazionisi può dire che le dob
biamo a' Greci. Ed è naturale che cosìfia. A forestieri ogni cosa giugne nuovo
ec, D i qui èche Dionigi ALGAROTTI 47 D i s cIsecnedndeenndo ora
coll'Autor -noftro al para ricolare , ci si fa innanzi il Regno del bel licoso
Fondatore della R o m a n a grandezza , e sarà secondo quello , ch'io Atimo
Indole guerriera , dic'egli , danno ad una voce tuttigli Storici al Fondatore
di quella Impero , che dovea coll'armi fare la con. quista del M o n d o .
Questa indole bellicosa piùnonfipuò celebrareinRomolo,quando fi mostrasseaver
eglipassatolamaggior par te del suo Regno in grembo alla pace:ora le prime
guerre di lui contro i Sabini, che ridomandavano le donne loro , e contro al
quni altri popoli per gelosia d'Impero, furo no tutte breviffime , e
dellapenultima guer ra contro a'Camerj ce ne dà l' tarco (a) , che non cade più
in là dell'anno sedicesimo dalla fondazione di R o m a . N e dopo questa si ha
notizia di alira guerra , falvo CAPO Regno di Romolo . ? cagio ne di non
piccola maraviglia il farsi a c o n siderar la prima venir ad abbreviare la
durata . ragione,ch'egliadduce per epoca Plu. @ Plut.inRomulo, IV.
salvo di quellaco'Vejemi , i quali doman davano , che fosse loro
restituita Fidene , c o me Cittàdilorragione,dicuiRomolos' era impadronito ,
avanti che egli s'impadro niffe di Camerio . E questa guerra non si ha da porre
più tardi , che sotto l'anno d i ciassettesimo dalla fondazione di R o m a 0 là
in quel torno non essendo verisimile che una nazione potente com'erano iVejenti
tardasse gran t e m p o a cercare di riavere il suo . Senzachè ognun ben fa,
che le guer re tra que popoli erano subitanee , tra loro la vendetta non tardava
molto a seguitar l'offesa . Posto adunque , ei soggiu gre , che l'ultima guerra
fatta da Romolo cadeffe nell'anno diciassettesimo del suo R e gno , se non
vogliamo , che i Romani fie no stati più lungo tempo in pace che in guerra
fotto il reggimento dilui,nonsivuo le farlo regnar trentotto anni , m a della m
e tà circa il Regno di lui accorciar fi dee 'Questa è la prima ragione , che
adduce l'Autor noftro per abbreviar la durata del Regno di Romolo , a proposito
di cui,,co m e già disli, strana riuscir dee a chi pon mente quella epoca , su
cui fonda egli ilsuo argomento , ed è ľ 48 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE
epoca della e che tro i Camerj somministrata guerra con da Plutarco . Il
Conte d ALGAROTTI . CAPO IV. Conte Algarotti , che la durata del
Regno · di Romolo attestata da tutti gli Storici vuol distruggere , adopera per
mandarla in rovi na un'epoca di un fatto particolare,dicui niuno fa menzione ,
fuorchè il solo Plutarco Storico a tutti iCritici , ed a lui medesimo sospecto
. E d in fatti di questa guerra contro i Camerj Livio non ne parla punto nè p o
co , prova forse della trascuratezza di lui nel tessere l'antica Storia.
Dionigi (b) poi, il quale nel collocarla frale guerre co'Fide nati , e
co'Vejenti da Plutarco non discor da ,non dice però , che questa precisamen te
seguita sia l'anno sedicesimo d i R o m a . V e d e pertanto ognuno ,ch'io
potrei , rifiu tando la testimonianza di Plutarco, togliere ogni fondamento a
questa ripugnanza , m a conveniente mi pare di mostrarmi cortese ful bel principio
delle osservazioni mie . Concediamo adunque , che nell'anno fe dicesimo di
Romolo succeduta appunto sia questa guerra coi Camerj : .con qual ragio ne si
prova , che tantosto abbiano impugna te le armi i Vejenti ? Forse perchè avendo
i Vejenti mosso contro i Romani per riaver Fi... 49 (6) Dionyf. Halic. Lib. II.
pag. 117. Dice Plutarco , che i popoli circonvicini vedendo (c)
riuscir bene tutte le guerre a Romolo ,da invidia,e da timore agitati,
ftimarono non essere la sua crescente gran dezza da guardar con occhio
indifferente , e doversi opprimere una potenza , era ne' suoi principi
formidabile Laon de i Vejenti,i qualitenevano un ampio paese , ed erano de'più
potenti fra' Tosca ni , mosfero contro Romolo , chiedendo la restituzion di
Fidene che dicevano essere di giurisdizion loro ; il che , foggiugne P l u
tarco , non solamente ingiusto ,m a ridicolo era , poichè domandavano come ad
efli sper tante una Città , che non avean difeso, quan 50 RAGIONAM.
CONTRO IL CONTE che già do Fidene come Citrà di lor ragione soggioga ta da
Romolo innanzi a Camerio , non è da credere , che un popolo potente come quello
abbia tardato molto a farsi rendere il fuo , essendo le guerre a que'tempi
fubitanee,nè tardando molto la vendetta a seguitar l'of fela? Ora io intendo dimostrare,anchecollo
stesso Plutarco , effer piuttosto da credere , che alla guerra co' Camerj
seguita fia las guerra co'Vejenti dopo qualche notabile spa zio di tempo . ( )
Plut. in Romulo . do da Romolo era stata assalita , e lasciati in
quel tempo gli uomini in balia de'nemi ci,aspettavano allora a pretenderne
lemura. Livio poi dice , che presero le armi i V e jenti (d) , non perchè
fossero possessori di Fidene loro tolta da Romolo , ma perchè i Fidenati erano
anche Toscani , e quel che è più , perchè temevano non le armi de' Romani
avessero ad esser fatali alle vicine nazioni ; e Dionigi in fine (e) dice , che
il pretesto della guerra fu la strage de' Fide nati . Ora adunque , poichè
siamo certi,che per gelosíad'Impero , e non per altro im pugnarono le armi i
Vejenti , li dee piutto Ito credere effere questa gưerra fucceduta qualche
tempo notabile dopo quella coi Ca. meri ; perciocchè stava ad osservare questo
popolo , le poteva assicurarsi della sua forte Tenza arrischiar nulla, e se
riusciva a qual che altra nazione di abbattere i Romani : veggendo poi , che
s'erano felicemente sbri gati da quelle , e che anzi salivano ogni sanguinitate
( nam Fidenates quoque Etrufci fuerunt ), &
quodipfapropinquitasloci,fiRomana armaomnibusin. d 2 gior ALGAROTTI , CAPO
IV. 51 (d)T. Liv.Lib.I.Dec. I. Cap.VI.n.15. Belli Pidenatis contagione irritaii
Vejentium animi , & con festafinitimis effent,fimulabat. (e) Dionyf. Halic.
Lib. II. pag. 117. RAGIONAM. CONTRO IL CONTE Oltr' a ciò ,
avvegnachè seguita fosse., come si dà a credere l'Autor noftro ,questa guerra
circa all'anno diciassettesimo dalla fondazione di R o m a , chi ci assicura ,
che altre non ce ne sieno state , le quali ,come di non gran conseguenza,n o n
sieno state dagli Storici giudicate degne di entrare negli A11 nali loro ?
Pretende pure egli stesso, che non fisia tenuto accurato registro de'fatti ,
anzi confervari fi fieno per mezzo di una cotal vaga , ed incerta tradizione ?
Veda adunque non se gli possano ritorcere le sue stesse ar mi , e ch'egli medesimo
ammetter debba p o ter offer fucceduti cali da cotefta fua vaga tradizione non
conservati. giorno a maggior buona cosa il non lasciarli fortificar nella
grandezza stimò esfer pa ce . Se ruppe adunque per propria sua ial vezza la
guerra , è probabile , che ciò non abbia fatto se non dopo un qualche conside
rabil tratto di tempo , nel quale abbia ve duto , che nessuno s'arrischiava di
sfidar R o molo a battaglia . Queste osservazioni,a me pare,bastar po trebbono
per dimostrare, cheleirragionevo lezze ręcate in mezzo dal nostro Autore non
sono di tal peso , che vagliano ad in fringere la Cronologia , e sminuir la
durata del 'ALGAROTTI CAPO IV. 53 del Regno di Romolo : nulladimeno
stimo pregio dell'opera , acciocchè maggiormen te appaja la verità , fare una
luppolizione , Orsù adunque abbiasi per non detto tutto ciò , di cui abbiamo
ragionato sin ora.Dianli per invincibili le ragioni del nostro Autore.
Concedafi la presa di Camerio esser seguita ; com'ei pretende,l'anno sedicesimo
di Ro m a , l'anno seguente la guerra co'Vejenti , e dopo questopace profonda ;
che ne segui rà per ciò ? Si opporrà questo per avventu ra a quell + '
indole bellicosa, che gli Scrittori danno ad una voce al Fondatore del R o m a
no Imperio ? Non potrà un Principe dopo essere felicemente riuscito in molte
pericolo se imprese , dopo essersi procacciato stima , e venerazione presso le
vicine nazioni colla fua bravura , goder de'frutti delle sue vit torie , e
riposando all'ombra allori 9. col mantenere il guerriero valore vivo , e rigoglioso
ne'suoi soggetti, fare in modo,che la fama diprode ,ed invittoac quistatası, ed
il sapersi esser egli a guerega giare sempre apparecchiato , gli proccurino una
pace non inquieta,turbata , e vergogno fa,ma ferma,ftabile,sicura,pienadiglo
ria, e di virtù . Troppo sarebber funesti all? uman genere gli Eroi , e troppo
infelice vi de'conquistati ta d 3 (f)Op.del Conte
Algar.tom.VIII.Epistoleinverfa ep.16. sopra ilCommerciopag.147, (8)Dionyf.
Halic,Lib.II.p.82. 54 RAGIONAM .CONTRO IL CONTE se per guerra fosse
valente , ce ne assicura D i o nigi (g) , ove con quanti modi studiato fi di
sia ta avrebbono eglino stessi a menare , acquistarsi tal n o m e , viver
dovessero o g n o ratra le stragi, e tra 'l sangue. E non eb be lo stesso Autor
nostro a lodare l'amor delle bell'arti, la profonda Scienza Politica , e le
altre civili virtù di quel bellicoso Prin cipe , il quale tanto, vivo , il
processe, ed in tanto illustre modo , morto ,rese celebre la memoria di lui? E
non fu la verità ster fa , che animò la sua tromba , quando ce. lebrò quel
paese (f). Dove un Eroe audace , e saggio Nestore , e Achille in un fa fede al
Mondo, Che l'Italo valor non è ancor morto . Troppo fiera fu adunque l'idea ,
ch'egli fi formò in questo suo Saggio di un Principe guerriero,potendo
esseremoltobene,eche Romolo abbia la maggior parte del suo R e gno passato in
pace , e che ciò non ostan te a sminuir non si venga la gloria milita re, dicui
gode presso gli Storici. E chenell'artinonmenodipace,che 4 fia di
ordinare lo stato va divisando . N e meno di un Romolo vi avrebbe voluto,per
assodare , ed unire con faldi nodi una sì mal ferma società , e per ispirare la
dovuta f o m missione , una sola foggia di vivere, di pen fare in certo modo ,
l'amordella patriaido. lo de'Romani ., e fonte di tutte levirtù loro, in uomini
di varie nazioni , di non ottimi costumi,per l'armi,eperlevittorieferoci. N è
quelle parole , che Plutarco mette in bocca di N u m a (h), quando per
sottrarsi dallo accettare il Regno offertogli insiste, di cendo, chedi un uomo
di spiritiardenti,e insulfiordell'età,che non diunRe,ma di un condottier di
esercito avean di biso gno i Romani per fronteggiar que'potenti nemici , che
Romolo avea lasciato loro sulle braccia ; quelle parole , dico , non sono da t
a n t o , c o m e si c r e d e l ’ A u t o r n o s t r o , c h e , a n che
concedendo non esservi ftata dopo l' anno diciassettesimo del Regno di Romolo
guerra alcuna , perciò ritrar debbasi la m o r te di lui al diciottesimo, o
ventesimo anno del suo Regno . Temeva Numa , che i po poli circonvicini, i
quali non s'attentavano di moleftar i Romani , poichè ben sapevane qual
d4 ALGAROTTI , CAPO IV. 55 (5) Plut. in N u m a , 56 RAGIONAM .
CONTRO IL CONTE Storici , che finsero aver que'personaggi, i quali a favel lare
introducono , ragionato secondo le cir costanze , e giusta l'indole loro .
Dalle m a l sime , che nel corso del suo Regno dimostrò Numa , dalla non
curanza di luiper gli ono ri ricavo Plutarco questa parlata da lui fat ta ,
rifiutandoil Regno offertogli da'Romani. A proposito del qual nulla trovarsi
appreffo Livio , altra prova. forse della sua trascuratezza , e che Dionigi (1)
rifiuto è d a notare 2 qual prode Principe li reggeffe , non pren dessero animo
dal genere di vita tranquillo , e filosofico, che noto era ad ognuno essere da
lui professato , e non volessero lasciarsi sfuggir di mano una occafione sì
favorevo le di abbattere un popolo , il quale già d a to avea tanti non dubbj
fegni di voler fot tomettere le confinanti nazioni , ed in q u e to modo è da
intendere , che Romolo la sciato avesse potenti nemici sulle braccia a' Romani
. Senzachè , per non ripeter quello , che già disfi , e di nuovo mi converrà
dire intorno al poco credito , che far sidee della autorità di Plutarco , certa
cosa è , che quelle parole , le quali presso di lui si leggono c o me
diNuma,s'hanno ariguardarealpari delle altre concioni,sia di Livio, chedilui,
quai lavori della mente degli Storici 1 ALGAROTTI . CAPO IV. 57 )
firestringeadire,che avendoperbuo no spazio di tempo ricusato ilRegno , s'in
duffe poi ad incaricarsene a persuasione de' fuoi , è inutil cofa riuscirebbe
cercar in Lo stesso Plutarco poi è quello,che fom miniitra il fondamento ad
un'altra ragione , con cui ftudiasi il noitro Autore di abbre viare il Regno di
Romolo . Ammette .egli adunque , che nel cinquantesimoquarto anno dellasua età
giunto siaa morte Romolo, ma conceder poi non vuole,che difolidi ciassette anni
abbia cominciato a regnare , la qual cosa è forza dire , quando foftener si
voglia , che di anni trentotto stata sia la durata del Regno di lui. Le ragioni
, che egli adduce per mostrare non poter R o m o lo esser cosìper tempo
falitolulTrono,non fono altre, se non che ciò ammesso ,non po. terli quelle
tante cose , che questo Principe facea secondo Plutarco (k) con sì tenera età
conciliare ; ed essere maggiormente impro babile , che si giovane abbia fondato
u n a Città , fiasi fatio Capo di un popolo , ed pone Plutarco . 1 abbia
sto Storico quelle parole , che in bocca gli (1) Dionyf. Halic. Lib. II. pag.
121. (1) Plut. in Romulo . que (1) Op.delConte Alg.tom
.IV.Disc,milit.Disc.V.sopra cit.p. 180. Per via della conversazione , dic'egli
( Plu tarco)convieneinstruirsidelleparticolarità,chesonosfug gite agli
Storici 58 RAGIONAM . CONTRO IL CONTE abbia guidato difficilissime
imprese , c o m e a tutti è noto . M a io non so ritrovare in primo luogo
ripugnanza veruna tra la età , e la condot ta di Romolo innanzi a'principi del
suo R e ' gno,principalmente se vogliamo attenersi a ciò che di lui narrano
Livio , e Dionigi , e non ricorrere a Plutarco quale pren dendo le notizie
dalla bocca di que'R o m a ni,con cui conversava , come stesso'noftro che dalla
venerazione , in cui quelli tenevano dell' Imperio leggiadro Autore (1) , ben è
da credere , ogni cosa , che appartenesse al Fondatore loro,sia Scrittor
erudita, ed elegante (m ), diceva , che la grandezza sero i Romani cia , e
dell'Alia dopo le conquiste , avea (parfo voluttà non ebbe , e di gloria fu
que'pri lume di chiarezza de’ m i loro antenari posteri, qual rozzo , e barbaro
popolo sem il , i quali senza la fama avverti lo .Un , che in fatto di stato
ingannato Francese pari , a cui giun della G r e per così dire un Non so s e i
moderni noftri Critici ileClerc , é i Muratorigli avessero menato buono tal fuo
Criterio. (m) S. Euremont Ouvres mélées , pre ALGAROTTI , CAPO IV.
59 (n) Montesq.Consid. surlescausesde lagrand,desRom. a segnes venando
peragrare falous : hinc robore corporis bus animisque fumo jam , non feras
tantum fubfiftere, fed in latrones praeda onuftos impetum facere, pastorie
busque rapta dividere, & c u m his crescente in dies grege juvenum ferias,
ac jocos celebrare, pre 1 farebbono stati riguardati dalle colte n a
zioni . Io non voglio per niun modo adot tare il parere di lui , anzi penfo ,
che lo stesso Signor Montesquieu , il quale osservò c o n occhio si filosofico
tutto il corso della Romana Storia , abbia avvilito di non Chap.I. ( 0 ) D i o
n y f. H a l i c . L i b . I. p a g . 7 2 . 8 ful bel principio della sua Opera
(n) l'ori gine di quella Città Regina ; m a credo Tuttavia di potere a buona
ragione sospetta fondato sopra popolari tradizioni , e proveniente dalla b o c
re del racconto di Plutarco ca di coloro,che qual Nume Romolo ado ravano ,
quando nè Dionigi , e nè pur Li vio danno di ciò il minimo cenno . Ed in fatti
Dionigi (6) ci fa sapere soltanto , che i due giovani Principi furono condotti
Città de'Gabj , perchè loro s'insegnassero leLettere,laMusica,ed ilmaneggiarle
armi alla foggia Greca insino a tanto che pervenissero alla pubertà , e tutti
que'p r e gi , i quali attribuisce loro Livio (p) , T. Liv.Dec.
I.Lib.I.Cap.3.1.4. Quum primum adolevit aetas nec inftabulis , nec ad peco
troppo alla disconvengono punto alla giovanile età , a n zi più
diquella,ched'ogni altracomecor porali esercizj fon convenienti . M a su via
concedasi per vero ciò , che dice Plutarco , sarebbe poi da farne le
maraviglie, che un giovane d'ottimo ingegno fornito cominci a dar segni di
quella prudenza , che ha da tilucere un giorno in lui.Educato Romolo , come fu
, non v'ha inverisimiglianza nessu na,cheinlui,avvegnachè giovanetto,sfa
villasse un raggio di qualche cosa maggior del comune M a dirà egli, per quanto
, e dalla natura di belle doti fornito ,e dalla educazione in strutto suppor si
yoglia Romolo , che abbia edificato una nuova Città , che si sia fatto Capo
d'un popolo , che abbia guidato diffi cilissime imprese , sempre con si tenera
età mal potrafficoncordare. Non sipuò nega re , che di troppo maggior forza ,
che non 60 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE e cominciassero a svilupparsi
que'semi di generosità , che dalla sua prin cipesca origine avea tratto? Oltre
di che quan te volte il corso dello ingegno è più velo ce di quello degli anni
? U n a illustre prova ben ce ne diede lo stesso noftro Conte Al garotri , il
quale nella sua prima età in m o l te , e varie facoltà dimostrò l'acume , e la
perfpicacia dell'ingegno suo . la la precedente sia questa ragione
: vediamo con tutto ciò il modo , con cui Romolo di venne Re , e non parrà più
forse tanto dif ficile il concepire , che si giovane sia giun to a tanta
grandezza ; e prina d'ogni cosa prendiamo le più sicure notizie di quello , che
è succeduto dalla nascita di Romolo in Gino al tempo , in cui fu innalzato
alTrono. A tutti que'racconti della infanzia diR o molo io ltimo doversi
preferire quello di F a bio antico Storico seguito da molti , come dice Dionigi
, ed acui più propende egli medesimo ( 9), come quello , che favole chia m a le
narrazioni degli altri Scrittori . Egli adunque rigettando quella poetica
finzione della Lupa , nega insino , che fieno stati ef posti i due gemelli ;
che anzi afferma aver Numitore per destro modo sottoposti altri fanciulli , i
quali furono da Amulio spieta tamente trucidati . Quindi essere stati i due
Principi da Faustulo educati , ed inviati, perché ricevessero una insticuzione
, secondo che richiedeva la origine loro,alla Città de' G a b j ; il qual
Fauftulo , per dirlo alla sfuga gita , quaprunque pastore de'Regj armenti, è da
credere fosse poco meno di un uomo ALGAROTTI . CAPO IV. 63 (9) Dionyf.
Halic. Lib, I. pag. 70-12 di di stato de'nostri dì, attesa
lasemplicitàde* costumi di que'tempi . Ritornati poi dalla Città de'Gabi ,
legue a dir Fabio presso Dionigi , di consenso dello stesso Numitore , i due
giovani Principi fi azzuffarono co'p a stori d i lui , e gli sforzarono di
ritirarsi in un co'loro armenti dà certi pascoli tuttoc chè comuni . Questo
aver fatto Numitore per poterli accufare , e trovar m o d o di far entrare
senza dar sopetto tutti que' pastori nella Città . Ordita una tal trama , esser
v e nuto Numitore dal fratello Amulio a lagnarsi, e chiedere a lui , che gli
dovesse consegna Te que'due Fratelli col Padre loro , i quali l'aveano sì
villanamente oltraggiato , e d a n neggiato nelle cose sue, se pure seguito era
ciò senza colpa di esso Amulio .Amulio per dare a divedere , che avuto non ne
avea al cuna parte , manda tosto per esli , 62 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE
dando,che nella Città venir dovessero non il solo Faustulo co'suoi supporti
figliuoli, m a tutti coloro eziandio , i quali erano di tale delitto
accagionati . E con tal mezzo essen dosi , oltre a 'rei , grandissima
moltitudine nella Città introdotta , Numitore , dopo aver a' giovani l'origine
loro , i loro cali , e le offele da Amulio ricevute , averli scoperto animati
alla vendetta , ed averli persuasi a esli , coman non ALGAROTTI.
CAPO IV. 63 non lasciarsi sfuggir di mano sì favorevole occasione di eftirpar
quel Tiranno come fe cero . Questo è quanto si raccoglie da Fabio presso Dionigi
; narrazione , lia per la quali tà del testimonio, sia per la veritimiglianza ,
da antiporsi sicuramente a quella di Plutar co (r), che porta in se stessa
scolpito ilca rattere della finzione , e che al primo aspet to si dà a
conoscere per lavoro della fanta sía de'Romani de'suoi tempi , da cui attin
geva questo Storico le sue notizie, i ogni cosa nel loro Fondatore finsero
straordi naria , e maravigliosa . N o n fu adunque solo Romolo in quella
impresa , anzi fu a quella stimolato dall'Avo , e fu diretto da quello il suo
valore , perchè produr potesse non solo discordie, e sangue, ma utilità, e fi
curezza . quali con Non voglio poi ora parlare diquellaopi nione
accennata da Dionigi (1 ) , e se non -abbracciata , n e m m e n o riprovata da
lui, che R o m a stata sia anteriore a Romolo ; onde egli non Fondatore
diquellaCittà,ma Capo soltanto d'una colonia chiamar 'si debba ; (1) Plut, in
Romulo . ( 8) Dionys. Halic. Lib. I. pag.60. .. concedo, che ne sia
stato ilFondatore,ma è da sapersi, che , ha l'idea di edificare una Città , lia
i mezzi per condurla a fine, fu rono opera di Numitore , e non diRomolo.
Dionigi (1) di questo ci assicura , dicendoci , che due fini il mossero a ciò
fare ; primie ramente per dare un ricetto degno di loro a'due giovani Principi
, in secondo luogo per isgravare la troppo grande popolazione della Città di
Alba , allontanando principal. mente coloro , che avean seguito le parti di
Amulio , ond'egli poteffe regnare libero di ogni sospetto. La qual cosa è,
avvegnachè oscuramente accennata da Livio (u) : per ciocchè dicendo questo
contro l'autorità però e di Fabio , e di Dionigi , i quali per ianti rispetti
degni sono di maggior fede , che il disegno di fabbricare una nuova Città fu
pure Numitore , 64 RAGIONAM . CONTRO IL CONTE opera della mente dei due
Fratelli,m a n i felto indizio , che troppo non erasi studiato di diradar le
tenebredi que'primi secoli, soggiugne , ch'eravi allora una gran molti tudine
diAlbani,e di altri,con cui pote vano popolarla. Nè mancó Lores quoque
accefferant, come. (1) Dionyf. Hasic. Lib. I.pag. 72. (u) T. Liv.Dec.
I.Lib.I.Cap.III.n.6. Supererat multitudo Albanorum ,Latinorumque , ad id p e
r come attesta Dionigi, di somministrar loro e danari,ed armi,ed
ognialtra cosa,che abbisognasse per edificareuna Città (x).Ed a quella parte di
popolo , che seco condot ta avea Romolo , fra cui eranvi non po chi de'
principali di Alba , iecondo il parer dell'Avo , ragionò sul cominciare della
edi ficazione (y ) . Dal tutto il fin.qui detto pertanto ftati e (3)
Dionyf. Halic. Lib. I pag. 72. (y) Dionys. Halic.Lib. II.pag.78. ) Dionyf,
Halic. Lib. II, pag. 119. ALGAROTTI . CAPO IV. 69 ramente ne risalta non
esserpunto cosa in verisimile , che di soli diciassette anni , o di diciotto
abbia potuto Romolo farquello,che pur fece, se lipon mente, che in quelle sue
prime imprese ebbe sempre a'fianchi l' A v o , ed ogni cota secondo il
consiglio di lui esegui;fu egli l'Achille d'ogni impre fa,Numitore ilChirone.
Tanto ho stimato dovermi stendere su que ho particolare , perchè non è Plutarco
il solo, che ciò scriva ; ma lo stesso Dionigi chiaramente attesta aver Romolo
incomincia to il fuo Regno di foli diciotto anni (z). Vero è , che se si
dovessero togliere dagli anni , che corsero avanti N u m a cinquanta giorni , i
quali vogliono molti Autori essere 1 chia. 66 RAGIONAM. CONTRO IL
CONTE stari aggiunti da questo R e , oltre ad undi ci giorni, che pur mancavano
all'anno fe condo la riforma , ch'egli ne fece , tre anni fi vorrebbono
togliere dalla età di Romolo , quando ascese al Trono , nè vi farebbe per
venuto di diciassette, o diciotto anni , di quattordici , o quindici . Anche
ciò con cesso nel modo , che divenne Re , non sa rebbe gran meraviglia , che
divenuto lo foffe in età si tenera , non avendo forse altro egli fatto, senon
imprestare ilsuonome alieim presedell'Avo:ma dipiùsivuolnotare che quegli
Autori , da cui raccogliesi esser giunto al Solio R o m o l o di soli
diciassette , • diciott'anni, non sono di parere , che tanti giorni mancassero
all'anno avanti N u m a . za r Dionigi , il qual dice (aa) essere il Fon
dator di R o m a morto di cinquantacinque anni dopo averne regnato trentafette
, e che aggiugne sulla testimonianza di tutti gli a n tichi Scrittori , i quali
parlarono di lui, che molto giovane fu innalzato al Solio vale a dire di soli
diciott' anni, di questa rifor ma dell'anno fatta da Numa , per quanto io ne
abbia osservato , non ne dà alcun cen no , silenzio , che congiunto colla
accuratez (aa) Dionyf. Halic. loc. cit, 2 ALGAROTTI.CAPO IV. 67
(bb) Plut. in Roinulo . (cc) Plut. in N u m a . (dd)T. Liv.Dec. I.Lib.I.Cap.19.
(ee) Macrob.Salurnal. Lib.I. Cap.XIII.Numa ......quin quaginta dies addidit ,
ut in trecentos quinquaginta qua. suor dies za di lui mi mette in dubbio della
verità della cosa.Plutarco poi , che dice esseregli morto di cinquantaquattro
anni (bb), onde abbia dovuto incominciare ilsuo Regno di diciassette , parla di
questa riforma (cc), m a vuole , che Numa altro non abbia fatto,le non
aggiugnere gli undici giorni , che m a n cavano all'anno, e togliere l'irregolarità
de' mesi , che erano in uso , essendovene tale , che non giungeva a venti
giorni , e tale , che giungeva a trentacinque e più . Che al tro egli non
abbiafatto,cheregolareimesi, ed aggiungervi alcuni pochi giorni, è quello pure
, c h e intorno a questo raccogliere fi possa da Livio (dd) . So , che molti
Scrittori , come Macrobio (ee) , 'Ovidio , Censorino , ed altri furono di
contrario parere . Si dee però distinguere tra quelli , che asserirono , che
l'anno avanti Numa era di soli dieci mesi, e quelli,che dissero precisamente di
quanti giorni fosse composto , perchè potrebbe essere , trattan e2 dosi
....annus extenderetur,Ovid.Falt.Lib.I. dosi di Scrittori molto
lontani da'tempi di Numa , che da quelli , i quali lasciarono scritto essere
stato l ' anno avanti N u m a di soli dieci mesi , abbiano altri , come forse
Macrobio,argomentato , che l'anno foffe di foli trecento e quattro giorni , la
qual c o n getturą ognun può vedere , quanto sarebbe · fallace, potendo esser
benissimo, che fi fa. cessero avanti N u m a dei mesi più lunghi a l fai del
convenevole , e si venisse a compor re con foli dieci mesi l'anno di trecento
cinquantaquattro giorni, non di foli trecento e quattro . Del resto il.Signor
Dacier (ff) afferma , che alla opinione, che di soli trecento e quattro giorni
fosse composto l'anno avanti N u m a prevalse quella, che giugnesse ai trecento
cinquantaquattro per l'autorità principalmen te di Fenestella , e di Licinio
Macro . Cre do pertanto , che ciò basti per togliere quello 'o m b r a
d'inverisimiglianza , c h ' altri ritrovar potesse tra l'età di Romclo , e
l'elier egli giunto ad ottener la Corona , dovendosi, le condo la più comune
opinione, togliere fol tanto pochi mesi , che risultano dagli undici giorni , i
quali mancavano all'anno avanti (f) Dacier nelle note alla vita di Nuina di
Plutarco , 68 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE ! Numa , ALGAROTTI
CAPO IV, 69 e3 CAPO (88) Così dice il Signor Dacier nelle mentovate sue
annotazioni doversi leggere Plutarco , e non trecento e s e s s a n t a , c o m
e m o l t o b e n e l o d à a d i v e d e r e il c o n tetto , Numa , e
non tre anni dalla età di diciotto . Senzachè a me baita , come già disfi , che
da quegli Autori , da cui fi rica- . va questa età di Romolo quando fali sul
Trono , non fi può l'obbiezione dedurre in modo alcuno, anzi il primo
glıtoglieilfon damento , non parlando di questa riforma. lui di dell' anno , te
, il secondo la confuta espressamen dicendo, che l'anno avantiNuma giun geva ai
trecento cinquantaquattro giorni (gg ). O n d e mi pare a sufficienza
dimostrato , che tuttique'fatti,iqualirecatisono inmez z o dall'Autor nostro c
o m e ripugnanti alla d u rata del Regno del primo Re diRoma ,ot timamente con
questa possono conciliarsi, e vengono a perdere .ogni lor forza, e a di.
leguarsi cutte le contrarie ragioni . RAGIONAM . CONTRO IL CONTE
(a)L'Ami desHommes Tom.III.Chap.V.DesPro cui V. Fondare Regno di Numa.
CAPO Ondare un Regno , e dargli le leggi sono due operazioni cosi fra loro
diverse dice un valente Politico (a) , che richiedono per lo più due distinti
Principi per eseguirle. Nascono ordinariamente gl'Imperj nella fe. rocia
de'popoli tra la discordia,e learmi: laddove la Legislazione ( intendo io di
quella , che veramente meriti un tal nome ), è uno de'piùpreziosifruttidellapace.Ed
èben conveniente , che ciò , che rende per quan to si può gli uomini felici ,
tra quello for ger mal poffa , che ne fa l'infelicità m a g giore . Ed in
effetto le leggi di Romolo ,. di cui abbiam sopra fatto parola , riguarda vano
soltanto lo stato corrente degli affari, erano leggi , che abbisognavano , p e
r così dire, allagiornata . Numa si che fu poi quello , che concepì una vasta
pianta di L e gislazione , un general Sistema , il quale m i rar dovea alla
eternità ; Sistema , che sotto di se comprendeva eziandio la Religione ,di
hibitions . ALGAROTTI. CAPO Y. 71 M a l'Autor noftro , quafichè
ridur non si possa a credere , che senza alcuno indirizzo ira popoli feroci , e
pressochè barbari, g i u n gere Per fia potuto Numa a tanto senno da cui
egli secondo l'uso de' Legislatori,iquali furono a' tempi degli Dei bugiardi,
utilmen te fi servi per fiancheggiarne quelle leggi , quegli instituti ,
que'coitumi, e quelle opi nioni, che a parer fuo doveano maggiormen te
contribuire alla felicità della Nazione : per se , mette in campo quella
tradizione, che correva per bocca de'Romani insin da'tem pi di Augusto ,
secondo cui dicevasi essere Itato ilRe Numa uditor di Pitagora:onde le belle
doti , le quali rilussero in lui, frutto fieno stato degli ammaestramenti di
quel F i losofo , la qual tradizione torna molto in a v vantaggio del suo
Sistema . Perciocchè , dic' egli , posto che N u m a sia stato discepolo di
Pitagora, siccome sappiamo da Cicerone, Livio , e da altri Scrittori esser
giunto q u e Ito Filosofo in Italia in età molto lontana dal tempo , in cui
comunemente fi pone . N u m a , dee questo far accorciare almeno la durata
de'cinque susseguenti Regni , perchè il Filosofo possa essere contemporaneo del
Re Legislatore . еА 3 da Per rispetto al qual suo ragionamento dei
che se egli si fosse soltanto servito di quella tradi zione , secondo cui
dicevasi N u m a essere Itato uditor di Pitagora , da questo n o n avrebbe
potuto inferirne cosa alcuna in fa vore del suo Sistema , potendosi una tal v o
ce concordar molto bene coll'antica C r o n o logia , cioè dicendo , che
Pitagora venne in Italia in que'tempi , in cui secondo questa , fi crede
regnasse N u m a ; facendo ascendere in una parolaPitagora a'tempi di lui.Ma
siccome egli desiderava farlo discendere a’ tempi pofteriori , non bastavagli
questa s e m plice tradizione , bisognava , che d'altronde in cui coreito
raccoglier potesse il tempo , Filosofo venne in Italia : preselo da Cicero ne ,
e da Livio , ma non s'avvide, che vo. lendo servirsi della autoritàloro,erapoi
for za rinunciare a quella tradizione base avea posto alla obbiezion sua.
Percioc chè vero è bensì , ch'essi dicono esser giun to questo Filosofo molto
più tardi in Italia di quel tempo , in cui secondo l'antica C r o nologia regnava
N u m a , m a in tanto l'asse riscono in quanto l'uno lo fa contemporaneo di
Servio , di Tarquinio il Superbo , o ,del Console Bruto l'altro. Volendo
pertanto at gno è di particolar considerazione . 72 RAGIONAM. CONTRO IL
CONTE che per 9 te 266., ed ivi Giamblico , e Diodoro . () Diogen.
Laert. inPythagora Lib.VIII.Clem.Alex, + il qual venne Pitagora in Italia
, poichè ne lia l'epoca , come bene osservò incerta il dotto P. Gerdil (b) ,
non però Scritto gran fatto fra loro i più accreditati far ri, i quali di tal
sua venuta dovertero fessagesimaleconda te concordano quale asserisce piade
'feffagefima Clemente Alessandri . Diodoro menzione piade sesfagefimaprima
sotto la facilmen no , che lo mette conda , e finalmente fotto la pone forto ,
Giamblico l’Olim , le quali epoche (c), il aver egli fiorito fotro l'Olim con
Diogene Laerzio con variano la fessagesimale con Eusebio dice esfer egli morto
nel quarto anno della fettantesima Olimpiade Diogene mentovato - ottanta o
novant'anni . Livio poi , Cicero- in cui quantunque del (d) in età di , e per
attestato Laerzio ne , ALGAROTTI CAPO V. renerli ad effi , non v'era ragione
per a b bracciare soltanto il tempo , e n o n di qual R e fu contemporaneo
questo Filosofo le non il tornar questo in avvantaggio del suo Sistema . lo pon
parlerò qui del tempo , (1) Introduz. allo Studio della Relig. Lib. III. $. 2.
p. Strom .Lib.1. (4) Diogen. Laert.loc.cit. ed altri Scrittori in
tanto ci danno 19 epoca inquanto,come ho accennato,cidi con di qual Re fu Pitagora
contemporaneo le quali epoche però da loro fissate non ef cono dagli anni , che
secondo la Cronolo gia comunemente ricevuta , corsero dal fine del Regno
diServio, insinoalprincipiodel Consolato ; del che niente è da maravigliarsi,
poichè essendo probabile aver dimorato in Italia questo Filosofo un notabile
spazio di tempo , tale Scrittore avrà tolto l'epoca , di cui fece registro,
dall'anno della sua v e nuta,tal altro da un fatto accaduto essendo lui in
Italia , tal altro dalla sua partenza , o dal tempo di mezzo della sua dimora ,
onde possono aver detto tutti ilvero ,quando fiasi fermato in Italia non più di
venticinque a n ni , che tanti ne corsero appunto dalla m o r te di Servio
infino al principio del Consolaro . Tutto questo adunque io lafcierò da par te
.Concedo , che ammettendo per vera quella popolar voce , essa dovesse piuttosto
far discender N u m a a'tempi di Pitagora , che far ascender Pitagora a'tempi
di N u m a . M a quello , a cui principalmente badar fi dee , è , che questa
tradizione medesima non è fondata sopra alcuna autorevole testimo nianza , che
la renda credibile . Vero è,che ne 74 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE 2
al. verità nelsuo gover ALGAROTTI , CAPO V. 75 alcuni
rammentati da Livio , da Dionigi , e da Plutarco (e) furono di parere , che da
Pitagora , il quale in quella parte d'Italia , che M a g n a Grecia nomavası ,
gittò ifonda menti della sua filosofica serta , N u m a ricevu to avesse quelle
maflime di Religione , e di Politica , che pose in opera no . M a è da
considerarsi negar Livio ciò apertamente , p.120. non essendo secondo luivenu
to Pitagora in Italia,se non sotto ilRegno di. Servio Tullio , e dopo alcune
ragioni , con cui studiasi di mostrar l'insusistenza della opinione di costoro,
soggiugne, che di sua natura inclinato fosse alla virtù cotesto Re , nè bisogno
avesse di straniera instituzione bastandogli la dura , e severa disciplina
degli antichi Sabini , de' quali non v'avea una vol ta più incorrotta nazione
(f ) . E questa se (e)T.Liv.Dec.I. Lib.I.Cap.7.8. 18. Dionyf. lic.Lib.II.
Plut.in Numa . (f) T.Liv.loc.cit.Auétoremdoctrinaeejus,quianonexa taralius
,falfo Samium Pythagoram edunt: quem Servio Tullioregnante
Romaecentumampliuspoftannos inul tima Italiae ora ....... juvenum emulantium
ftudia coetus habuiffe conftat ....... fuopte igitur ingenio , temperatum
animum virtutibusfuisfeopinormagis, instru&tumquenon tam peregrinis
artibus, quam disciplina teirica , ac tristi veterum Sabinorum , quo genere
nullum quondam incorru. prius fuis. verità origine ebbe per
avventura da una Colonia di Spartani venuta in Italia a't e m pi di Licurgo ,
come appare dalle memorie antiche nazionali portate da Dionigi , e di cui anche
ne dà un cenno Plutarco (8 ) , la qual Colonia è da credere che trasfufo avesse
ne'Sabini buona parte de'costumi de' Lacedemoni . Cicerone poi in più luoghi
delle opere sue afferma fuor di alcun d u b bio esser giunto questo Filosofo in
Italia sot to ilRegno di Tarquinio ilSuperbo,eche in Italiapur era a
que’tempi,in cuiBruto diedelalibertà a'Romani(h).SottoilCon solato di Bruto lo
mette pure Solino , ed Aulo Gellio in fine dice effer venuto questo Filosofo in
Italia sotto il R e g n o dello stesso Tarquinio Superbo . Dirà forse taluno ,
che l'alterigia de'R o (8) Dionyf. Halic. Lib. II. pag. 113. Plut. in N u m a
in piternum Hanc opinionem discipulus ejus Pythagoras maxime confirmavit,quicum
·Superbo regnanteinItalian veniffet tenait magnam illam Graeciam ec. Cic. Tusc
. Brutuspatriam liberavit:ld.ibid.Lib.IV.Aulus Ge lius Noet.
Attic.Lib.XVII.Cap.21.PofteaPytagoras Samius in Italiam venit Tarquinii filio
regnum obtinente , cui cognomento Superbus fuit , 76 RAGIONAM . CONTRO IL
CONTE mani princ. (h) Ferecides Syrus primum dixit animos hominum ellefema
Quaeft. Lib. I. Pythagoras , qui fuit in Italia temporibus iisdem , quibus
L. mani fu cagione del non darsi credenza a questa tradizione dai
dori, quafichè ellite messero non venir con questo a scemare la gloria di
que'primi secoli ,, riconoscendo da un Greco l'Institutore della Religione , ed
il più favio de'Re loro . Quantunque questa non paja ragion bastante per negare
ciò , che gli Scrittori Romani ci dicono: poichè ammessa questa regola ,
rifiutar fi potrebbe come supporto tutto ciò , che uno Storico narra di
avvantaggioso per la nazion sua , v e diam tuttavia ciò , che ne dissero
iGreci. E' da credere ; che questi sisarebbono recato ad, onore l'aver dato a
Romani il Maestro di N u m a : che per Greco passò presso Dionigi e Plutarco
Picagora , che che ne sia della opinione di alcuni moderni , i quali nè G r e co.il.
vogliono , e nè,pure di quelle Greche Colonie fondate negli ultimi confini
d'Italia. pal ALGAROTTI , CAPO V. 77 Ora ciò non
oftantePlutarco(i)nonscio glie la quistione, e reca foltanto in mezzo le varie
opinioni , che a'suoi di correvano , fra le quali degna è di considerazione
quella di coloro , che asserivano essere venuto in Italia un certo Pitagora
Spartano , il quale avea nella Olimpiade sedicesima riportata la (i) Plus,in
Numar bre (k) Dacier nelle annotazioni alla sua traduzione francese
delle vite di Plutarco ; alla vita di Nuina . 78 RAGIONAM .CONTRO IL
CONTE palma ne'giuochi Olimpici , fotto Numa terzo anno appunto del Regno di
lui il Il Signor Dacier (k) fi ride di una tale opinione , fembrando a questo
Critico ripu gnanza da non potersi comportare , che u n personaggio atto a dare
instruzioni ad un R e , e ad un Re,qual fuNuma,abbiagareggia to in Olimpia per
ootttenere il premio del corso.Ma a me pare con buona avendo Spartani questi
additato parecchj al Re ftrato fondamento uli degli sommini Legislatore alla
favola . , abbia ed pace di 'un tanto uomo , che le usanze moderne lo abbiano
ingannato nel giudicar delle antiche. A tutti è noto , che Socrate il più
rinoma to Filosofo della Grecia non isdegnava di suonar la cetra , e che anzi
non lasciò di esercitarsi nella lotta ; ed oltre a ciò non era poi mestieri,
che fosse un gran scien ziato costui per instruire N u m a delle leggi degli
Spartani . Si sa , che quel popolo nella rigidezza de' costumi, e privazione di
prel so che tutte le cose, le quali rendono dol ce la vita , godeva per altro
dell'avvantag gio d'aver leggi , che per la semplicità , e
ALGAROTTI , CAPO V. .79 con brevità loro , e per la cura del
governo nel farle apprendere a'fanciulli erano note a tutti coloro, che doveano
obbedirvi. N o n farei pertanto lontano dall'ammettere que fta opinione ,se
altro non vi fosse in con trario , fuorchè questa ripugnanza ritrovata dal
Signor Dacier ; m a rinunciar vi fi dee per troppo più forte motivo , ed è la
te stimonianza di Dionigi , il qual dice non ri levarsi da alcuna memorabile
Istoria , che stato vi sia in Italia altro Pitagora anterio re al famoso
Filosofo (l). Del resto,cheilcelebreFilosofodi que sto nome nonsia stato
a'tempi di Numa , con molte , ed incontrastabili ragioni Atelio Dionigisiprova
(m), e di più ac cenna ciò , c h e diede occasione a questa v o ce sparsası nel
volgo , e sono la venuta di Pitagora in Italia , la sapienza di N u m a fuori
dell'usato della nazion sua, a cui sipuò ag . giugnere la conformità della dottrina,
ed il ritrovarsi presso alcuni antichi Scrittori , da cui non dissente Dionigi
(n) , che N u m a fu chiamato al R e g n o il terzo anno della fedi cesima
Olimpiade , il qual anno designarono dallo (1) Dionyf. Halic. Lib. II. pag.
121. (12)Idem loc.cit. (n) Idein Lib.II.pag. 120. con dire , che fu
quello appunto , in cui quel certo Pitagora Spartano avea riportato il premio
de'giuochi Olimpici .E le pure è fondata quella taccia data a Dionigi di
derivare da'Greci assai più di quello , che ragion voglia delle cosede'Romani
,Greco d a lui efsendo Pitagora stimato , ben è da credere , che nel secolo, in
cui eglivivea, fossero i dotii,uomini sicuri della falsità di questa popolar
tradizione . Chiaro è a d u n q u e abbastanza , che nessun caso si volea fare
di questa , quando da'più dotti fra' R o mani , e fra' Greci fu non solo
rigettata , m 3 confutata eziandio , e quando fondato sopra l'unanime consenso
loro già esitato , non avea l'erudito Stanlejo di chiamarla fas vola folenne
(0) Quello , di cui abbiamo infino ad ora raa gionato,non risguardailRegno
diNuma, m a tendeva ad accorciare i cinque seguenti Regni,ed inquestoluogo
se*o'èdovuto trattare , perchè da cosa appartenente a lui ricavata era
l'obbiezione.Facciamoci ora a considerare quelle ragioni , per cui accorciar
debbasi il Regno diN u m a medesimo . Pare adunque primieramente all'Autor
nostro, che non () Stanlejus in Hift.Philosoph.part.VIII.Cap,X. 80
RAGIONAM. CONTRO IL CONTE ALGAROTTI . CAPO V. 81 Io non fo
rispondere altro a queste ragio ni,se non lasciare al giudicio di chiha fior di
senno,sesianon solo maraviglioso, eri pugnante , m a soltanto fuori
dell'ordinario corso delle cose , che , quando un uomo fia stato di singolare
ingegno dalla natura for nito , e quand'esso abbia posto cura in col tivarlo ,
giunga in età di quarant'anni ad acquistarsi il grido di favio : tanto più che
sappiamo aver N u m a avuto l'arte di conci liarsi venerazione presso gente
rozza , e per conseguente superstiziosa , collo sfuggire il con non
potesse esser fornito nella fresca età,ei dice , di quarant'anni questo R e di
tanta fcienza , e di cosi alto lenno 2 che già ri suonaffe la sua fama non folo
pressoi suoi nazionali , m a ancora presso gli stranieri, e che il suo nome già
dovesse far tacere in un subito ogni particolar riguardo , e le ani mosità
delle parti , che per lo spazio di un anno intero contefo aveano fra loro dello
Imperio . Che tale fosse la riputazione , che si avea della sua scienza, nelle
cose divine , ed umane , che quantunque i Padri vedes sero la grandezza , che
tornava togliendo il Re dalla nazion loro,nondime n o niuno ebbe ardire di
preporre ad un tal uomo . alcuno a'Sabini , 7 f consorzio degli
uomini , dimorando ne'sagri boschi, col disprezzar le pompe , M a questo non è
il tutto , segue a dire il nostro Autore . Tazio , che reggeva R o m a insieme
con Romolo , preso al grido della fapienza di N u m a , gli ditde Tazia unica
sua figliuola in moglie ; ed ancorchè dalla Storia non abbiasi in qual tempo
ciò preci samente avveniffe , si p u ò affermare senza tema di errore , questo
essere avvenuto nei primi anni del Regno di Romolo dacchè Tazio morì prima
della guerra co'Fidenati, e co'Camerį , cioè prima dell'anno sedice
6)Tacit.Annal.Lib.III.Cap.26. Nobis Romulus ut 82 RAGIONAM.CONTRO IL CONTE
e le 1 gran dezze , e lasciar che corresse la voce dei suoi pretesi congressi
colla Ninfa Egeria.La fama della sua giustizia non era tale da afa sicurar i
Romani , che non sarebbono stati molestati da 'Sabini , quantunque essi avesse
ro tolto il Re della nazion loro? Doveano finalmente concordare una volta i
Padri , e stanchi forse i Romani , e mal foddisfatti , come quelli, che dato ne
aveano non dubbj segni,del governo diRomolo,ilqualpen deva al tirannico (p), fi
contentarono di eleggere a R e loro un Filosofo . fimo , libitum imperitaverat
. fimo , o diciassettesimo del Regno di R o m o lo ; e Plutarco (9)
inoltre atteita , che T a zia era morta , quando N u m a fu chiamato al Regno ,
e che era vissutacon effo luilo spazio di ben tredici anni. Quindi ei rac
coglie , che gran tempo innanzi fioriva la fama della fapienza di Numa , e
dice,che, volendosi ritenere il compuro di Plutarco , sarebbe di necessità
asserire contro ogni ve. risimiglianza , che all'età di soli venticinque anni
la fama della fapienza di N u m a fosse già tanta da indur Tazio Re ad allogare
una fua unica figliuola con lui u o m o priva Ed ecco altre opposizioni,a
cuidàsem pre il fondamento il folo Plutarco . E che fede fi dee prestar m a i a
questo Scrittore , to , f2 е ALGAROTTI , CAPO V. 83 onde conchiude non
potersi fare a m e no di non dare un sessant'anni almeno a Numa , quando ad una
voce fu eletto Re di Roma , e ne deduce , che se vogliamo , che , come s'ha
dagli Storici , sia vissuto in fino all'età di ottantatré anni , avendo vent'
anni più tardi, che non è la comune cre denza, incominciato a regnare , è
neceffario , che di altrettanti fi venga ad accorciare il suo Regno. ( 1) P l u
t . i n N u m a . 84 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE avanti lui ? Per
formarci una chiara idea della falsità del ragionamento del nostro A u tore ,
connettiamo alcune delle epoche di Plutarco , che è il suo Achille per questi
due primi Regni col suo Sistema Cronologico . Tredici e più anni avanti alla
morte di Romolo ei raccoglie da questo Storicoesser seguite le nozze di Numa
con Tazia. Que sto Storico medesimo dice esser nato N u m a nello stesso tempo
che Romolo innalzava le mura dell'alta sua Roma (n): ma vuole il nostro Autore
, che di foli diciannove anni circa stato sia il Regno di Romolo , dunque ne
seguirebbe a ritenere tutte queste e p o che di Plutarco ,e congiungerle col
suo S i stema , che nel fefto, o fettimo anno della età e per rispetto
almatrimonio di Numa con Tazia , e per rispetto all'esatto numero di anni , che
vissero insieme , minute particola rità , le quali sfuggono agli stessi
contempo sanei? D'onde ebbe egli si particolarinoti zie,che aver non potè non
già ilsoloLi vio,ma nè pure l'accuratoDionigi,ilqua le tanta maggior diligenza
usò nello stende re le sue Storie , che di maggior criterio è fornito, e che
visse notabile spazio di tem po ( ) Plut. in N u m a . 1 ALGAROTTI
, CAPO V. 85 età fua N u m a avesse menato moglie , ridi colo affurdo , ed
inverisimiglianza troppo maggiore al certo, che non sia quellad' averla menata
nell' anno vigesimoquinto . So che rigetterà egli quest'epoca , poichè chia
ramente scorgesi doversi secondo il suo Si Itema porre f 3 la nascita di
N u m a quarant'anni innanzi alla fondazione di Roma ; ma è da riflettere ,che
se di quelle , direi così , m i nute epoche , di cui favella Plutarco , non ne
danno gli altri Scrittori un minimo cen no ,nel mettere la nascita diNuma
alprin cipio del Regno di Romolo , o là in quel torno , concordano tutti ;
poichè tanto asse risce Dione (s ) , lo stesso si raccoglie a un dipresso da
Livio , ed infine l'accurato D i o nigi dice,che Numa,quando giunsealSo lio ,
era vicino al quarantesimo anno , onde non essendovi, come a luo luogo opportu
no abbiam mostrato ragione alcuna di ab breviare il Regno di Romolo , fi vuol pure
secondo lui mettere circa a'prinċipj di R o m a la nascita di N u m a .
Perlaqualcosa stra no dee riuscire, che l'Autor noftro rifiuti (1) Dion. Cocej.
in fragm . Peiresc. pag. 8. ex ed.Rei. quella mari Hamburg. 1750. T.Liv.Dec.
I.Lib.I.Cap.8.n.21, Dionys, Halic, Lib, II. pag. 129. quella epoca
di Plutarco , la quale è atte Iata dagraviffimi Scrittori,ed ammetta quel le ,
nello asserir le quali trovasi solo questo Stórico. E' adunque forza rigettare
le epo che di Plutarco , e queste sue minute noti zie,non solo perchè
incerte,ma perchèfe fi colgono tutte insieme mal congiungerli possono col
Sistema del nostro Autore . Per rispetto poi a quelle parole di questo R e
presso Plutarco , con cui rifiuta il R e gno , le quali pajono a lui
disdicevoli i n bocca 86 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE M a concediamo , che
queste particolarità accertate fieno , e n o n ripugnino col Sitte m a di lui
le epoche stesse di Plutarco , che grande assurdo ne seguirebbe poi ? Che T a
zio avrebbe data lasua figliuola in isposa a Numa , mentre questi era di soli
venti cinque anni;a Numa de'principali fra' Sa bini; a N u m a , che già erasi
acquistato per avventura riputazion d i fapiente ; a N u m a infine, che
quantunque giovane , ben si può far ragione dal gran renno, che poscia di mostrò
, che di venticinque anni uguagliasse molti uomini , i quali già fossero avanti
nell' età . Qui mi pare in una parola , che la grandezza moderna abbia
offuscato l'intellet to del nostro Autore nel recar giudizio dell' antica
semplicità . E' ben vero però , che fa d'uopo fer marsi ancora
alquanto intorno ad una sua considerazione, la quale entrambi gli abbrac cia,ma
spero,chemi verràfattodidimo, ALGAROTTI . CAPO V 87 bocca di un uomo di
soli quarant'anni,già ne abbiamo sopra ragionato(1).Basteràag giugnere , che
quantunque proferite le avel le questo Re Filosofo in taleesà,male non gli
sarebbono state in bocca. Forse tuttigli uomini hanno da potersi vantare di
militar bravura?E quando vantatosenefosse,non era egli noto , che mai vissuto
non avea fra l'armi? Concedası , che questa dote fosse necessaria ad un
Principe in quelle circostan ed egli appunto mostrò di stimarla tale e per
questo accettar non volea l'offertagli Corona . Non hanno pertanto da parer
disdi cevoli, e vergognose in bocca di un Filo sofo di quarant'anni , mentre N
u m a di tutt' altro pregiavasi , che di stare in full armi , ed avea preso b e
n diverso cammino per giungere alla gloria . Laonde mi pare , che già li fia
fatto chiaramente vedere , che per quello , che spetta a'due primi Regni , non
avea l'Autor noftro per accorciarli. alcun bastantemotivo Itrare ze , f A (+)
Cap ly. RAGIONAM. CONTRO IL CONTE strare non aver questa maggior
forza delle altre sue obbiezioni. Pare adunque all'Au tor noftro improbabile
, D 88 Tullo Ostilioriaccendere petti de'Romani (nervati che abbia la
bellica virtù ne® di sessantacinque anni dice risultare l'antica Crono logia da
quarantatré anni del Regno di N u m a , da un anno d'interregno , e da ven tuno
pacifici già da unapace anni, iquali sessantacinque di Romolo . secondo potuto
samente potuto Tullo Ostilio delta re dopo sì gran tempo Romani , e guidarli
come ei fece si animo alla vittoria : fi ponga però soltan to mente alla pace ,
da cui uscivano i R o mani,e biano interrotto l'ardor guerriero n e ' per qual
guerra una e chiaramente fi verrà a comprendere, come ciò fia poflibile. tal
pace ab Lasciando ora da parte , se quegli ultimi anni di Romolo sieno stati
cosi pacifici c o me si dà a credere il nostro Autore , o fe almeno , come
abbiamo sopra mostrato, non abbia quel bellicolo Principe mantenuti vivi gli
spiriti marziali ne'suoi Soggetti ; venia mo a vedere, fe ammettendo
questasilun ga pace,ne risulti tale inverisimiglianza, per cui abbiasene a
negar la possibilità . Tutta la ripugnanza consiste nel concepi come abbia те ,
2 La ALGAROTTI, CAPO V. 89 La pace de'Romani non era nata dall'
ozio,èdaltimore,ma eraunapace,che ben lungi dal paventar de'nemici era in
istato di farsi temer da quelli :onde non d o vea pure sembrare improbabile al
nostro A u tore , che le circonvicine nazioni gelose della grandezza di R o m a
non ne abbiano turba ta la tranquillità . E che senno sarebbe stato il loro di
romper guerra con un popolo pol sente , e valoroso , che vivea in pace bensi, m
a in una pace lontana dalle morbidezze , dura , rigida ,anzi feroce, che non le
of fendeva in cosa alcuna , che dava speranza in fine di voler depor l'armi,
confervar l' acquistato , nè più curarsi di estendere i c o n fini ? Aggiungafi
inoltre di quai belle doti a b bia il saggio N u m a fornito i suoi soggetti p
e n d e n t e il s u o p a c i f i c o R e g n o . N u m a a c conciò il popolo
a Religione , e Divinità, per servirmi delle parole di Tacito,(u) fu, vale a
dire, datore di quel freno , e {pro ne sì necessario, promosse, favorì , e
ftudioffi in ogni modo di farfiorirel’Agricoltura,co me hassi non già dal solo
Plutarco, ma da Dionigi eziandio (v). Ora ciò posto non iscriffe Plut, in N u m
a , Dionyf, Halic. Lib.II, pag. 133 (w)Tacit.Annal.Lib.III.Cap. 26.n.3:
lo Che (a) Alg. Op. tom . III. Saggio sopra il Gentilefiro go
RAGIONAM . CONTRO IL CONTE lo stesso noftro Algarotti (x ), seguendo il parere
del Segretario Fiorentino , che , se dove sono le armi, e non Religione, con
dif ficoltà fi può quella introdurre, dove è R e ligione, facilmente si possono
introdurre le armi? E in quanto allo avere un popolo di agricoltorinon avrà
egliavuto probabilmen te sotto gli occhi una riflessione veramente aurea
diPlutarco,laqualequestopiùFilo. fofo , che Storico inserisce nella vita di N u
m a , ed è , che , se in villa si perde quella temerità , e malnata voglia ,
che ci spinge a rapire le sostanze altrui , fi conserva però ottimamente tutto
il necessario coraggio per difender le proprie ? Che più? Non diceegli stesso ,
che quel Principe , che ha uomini può farne presto de'soldati (y ) , che un
zappatore , un contadino li avvezza agevole mente a marciare, a patir caldo e
gelo, alle fatiche , ed agli ordini della milizia ? Ecco in qual maniera da
que'robusti contadini , della Religion loro veneratori , amanti della patria
abbia Tullo Ofilio potuto ben tosto crarre un poderoso esercito. pag.273: ( y )
A l g . O p . c o m . V . V i a g g i di R u s i a p a g . 5 8 - 9 ;
ra , avere ALGAROTTI , CAPO V , C h e se altri poi si volgerà a considerare
, per qual guerra abbia questo R e rotti gli ozj dellapatria, e spintii Romani
all'ar mi, come s'esprime Virgilio, vedrà,che ca de rovinata del tutto la
ripugnanza i m m a ginata dal nostro Autore . Nella prima guer che ebbero i
Romani dopo ilRegno di N u m a , non trattossi di uscire dal proprio paese,e
andarad invaderecon armata ma no l'altrui , trattosli di difendere i propri
confini dagli Albani', che per gelosía d'ima pero vollero la guerra con esli, e
le per avventura non si-sarebbono questi accinti di buon animo ad una straniera
espedizione , è da credere , che non avendo ne'campi perduto il necessario
coraggio per difende re il suo , con tanto maggior ardore moffi G fieno a
rintuzzare la forza degli ingiusti aggressori. Che tali poi fieno stati gli
Alba ni , avvegnachè Livio (7) secondo l'usanza fua distintamente non ne
favelli , non ce ne lasciano dubitare e Diodoro Siculo , e lo Atesso tante
volte lodato Dionigi (aa). Per ciocchè il primo dice, che finfero gli Alba ni
di aver motiyo di lagnarside'Romani per (z)T.Liv.Dec. I.Lib.I.Cap.9.n.22. ( a a
) D i o d. S i c u l. e x c e r p . L e g a t. t o m . I. p . 6 1 8 . Dionys
Halic.Lib.II.p.137. iR o m a ni sia per gara di primato , sia a
cagione di questo stesso maltalento , che contro esli gli Albani dimostravano ,
non mancassero di corrisponder loro in malevolenza , e già in questo modo
fparli fossero que'semi di odio , i quali scoppiarono poi in guerra manifesta.
Nè tralasciarfidee,cheilnuovoReTullo Ostilio già erasi colle sue belle qualità
cat tivato l'affetto de'Romani , e col distribui re a'bisognosi cittadini certe
terre, le quali aveano appartenuto a'due primi Re , come scrive Dionigi (bb),
avea già dato ad effi 92 RAGIONAM , CONTRO IL CONTE avere un pretesto di
muovere contro esli, c o m e quelli , che portavano invidia alla p o •tenza
loro ; e Dionigi attesta , che Cluilio Dittator di Alba volle la guerra co’Roma
ni, e permise a'suoi di dare il sacco impu nemente alle terre loro.Aggiungafi,
che gli Albani, come sopra abbiam cacciato una parte del popolo loro , la qua
le a persuasion di Numitore , che per rego la dibuon governo volea purgarne
laCittà lua,era ita con Romolo probabile , che vedessero di mal occhio cre
sciuta a tanta grandezza una Città formata de’rifiuti loro , e che d'altra
parte riferito , avean a Roma, onde è mo 1 (bb) Diony. Halic. Lib. III. pag.137
1 motivo di sperare di dover condurre una vita felice sotto il
governo di lui . In abbiano CAPO VI. Regni di Tullo Ostilio, Anco Marzio ,
Ccoci ora giunti al Regno di quel Tullo Oftilio , che meritò di nuovo corona
per la sua perizia militare , e guidò alla vittoria (a). pure il nostro Autore
, che d'alcun poco s'ac (a) Virg. Lib. VI. Aeneid, potuto cor Patria si
cara , e che già per le civili , e militari virtù di Romolo , e per lo senno di
Numa salita era ingrande stima,ed ono re presso le vicine nazioni. difendere
una Eccoci ALGAROTTI . CAPO V. e Tarquinio Prisco. que Ita maniera resta
verisimile , che i Romani robusti, e valorofi com'erano dilornatura, offesi da
un popolo ad essi odioso , governa ti , e retti da un favio , e prode Principe
, che amavano , Agmina J a m desueta triumphis QuestoRegno adunquenon meno
diquello del suo fucceffore Anco Marzio defidera Vero è , che si
potrebbe in primo luogo fospettare e dell'età si avanzata di Anco e della
stessa asserzione , che questo R e alla morte sua non avesse un figliuolo, il
quale giunto fosse alla pubertà . Perciocchè il n o Itro Autore da un'epoca del
suo Plutarco raccoglie, che giunto già foffe Anco all' anno sessantesimoprimo
dell' età sua , quan do venne a morte , prestando intera fede a questo Storico
, allorchè dice , che Anco ni pote di N u m a per parte di una figliuola alla
morte dell'Avo già era nel quintoanno dell' età fua (b); minuta particolarità ,
di cui egli folo c'instruisce , non facendone motto non solo Livio , m a nè
pure Dionigi , entrambi 94 RAGIONAM . CONTRO IL CONTE corcino ,
avvegnachè non possano chiamarfi di lunga durata , non giungendo ilprimo se non
a trentadue anni , ed il secondo a ven tiquattro, secondo la Cronología c o m u
n e m e n te ricevuta ; e la ragione , che lo spinge ad abbreviarli , non è
altra , se non l'improba bilità , che , secondo lui , risulta dal doversi !
fupporre nell'antico Sistema , che il R e A n co Marzio fia morto nella età di
anni fel fantuno senza aver figliuoli , i quali già p e r venuti fossero alla
pubertà . (6) Plut. in Numa in fine. i fe dati questi per ne nyf.
Halic. Lib. 1. p. 136. (d) 'T. Liv. Dec. I. Lib. I. Cap. 14. n. 35. Jam filii
ALGAROTTI , CAPO VI. 95 i quali fi restringono a dire , che questo R e nipote
era per via di una figliuola del Re Numa (c).Nè certaèpurequell'altraal
serzione del nostro Autore , che alla morte di Anco non fosse ancora alcun suo
figliuo lo giunto alla pubertà : perciocchè , te L i v i o descrivendo non
troppo accuratamente quel primo secolo di R o m a secondo l'ufan za
fua,diceallasfuggita,cheifigliuolidi Anco erano vicini alla pubertà (d), Dioni
gi , il quale con occhio più diligente scorse que'tempi , attefta , che uno de'sopraccen
nati figliuoli era già pervenuto alla pubertà , e l'altro ancora fanciullo (e)
. Dubbiosi sono pertanto,per nondirfalsi,ifondamentidella difficoltà. Vediamo
ora , veri fia almeno questa convincente". Perdo nimi il Conte Algarotti;
ma io debbo con fessare , che quando lessi questa parte del suo Saggio,non
potei fare a meno di non com piangere m é c o stesso la deplorabil sorte della
umana ragione , non potendosi coloro , che ©
T.Liv.Dec.ILib.I.Cap.13.n.32.NumaePom pilii Regis Nepos filia ortus Ancus
Martius erat.Dio prope puberem aetatem erant . (e) Dionys,
Halic.Lib.III.pag.184. ne fanno la gloria , qual certamente egli
era liberare da'pregiudizi pienamente . Grave presunzioneinvero
controallagiustiziadella causa si è l'esser forzato un u o m o del suo senno a
ricorrere a tali ragioni per sostenerla. La grande impressione , che avea fatto
in lui il Sistema Cronologico del Neutone , 1' opinione , che aveva della
dottrina di q u e fto Filosofo fecero sì , che lasciò sfuggir dalla penna certe
ragioni , le quali eglim e desimo, le altri gliele avesse opposte , non avrebbe
né m e n o degnate di risposta se è da credere , che tutti gli uomini facciano
, e d Anco medesimo abbia fatto quello ,che pru dentemente far fi dovrebbe . Se
finalmente anche concesso , che ne'giovani suoi anni abbia 96
RAGIONAM.CONTRO IL CONTE Lascio pertanto al giudizio de'giusti matori delle
cose , se l'esser morto il Re Anco Marzio in età di anni sessantuno fen za aver
figliuoli,iqualitrapassasseroiquac tordici ami, sia tale inverisimiglianza, che
ci sforzi a negar fede a'più gravi Scrittori delle cose Romane di que'tempi , e
lascio per conseguente pure al giudicio loro , fe , fupposto , cheil partito
prudente fosse di tor moglie, essendo egliancor giovane perpo terlasciare , come
l'Autor nostro s'esprime, dopo le figliuoli attial governo , esti
ALGAROTTI , CAPO VI. 97 abbia tolto moglie , sia cosa inverisimile , che
se non tardi abbia avuti figliuoli,o pu re morti fieno avanti lui i primi,non
rima nendovi che gli ultimi . Tutte queste cose , come dicea ,io le lascio al
giudicio de'let tori , e mi reftringerò soltanto a dimostrare , che la speranza
, la quale prudentemente a y rebbe potuto nodrire , c h e i suoi figliuoli
poteffero succedergli nel Regno , non era tale da spingerlo a tor moglie affai
per tempo , la qualcosa per recare ad effetto mi con verrà indagare
attentamente quelle leggi , o per dir meglio costumanze ,secondo cuicrea vanli
i R e di R o m a ; tanto più che , oltre all' effere materia per se importante
, non ci riuscirà forse inutile l'averla trattata nel de. corso di queste
osservazioni . Chi dunque prende a considerare la con ftituzione del governo di
Roma a que tem pi,hadapormente innanziditutto,che le cose non erano ordinate ,
come sono negli Statide'giorninoftri,ma chesenonrego lavansi gli affari del
tutto all' avventura , elea forza, e l'accortezza aveano per l'ordina
rio'non poca parte nelle deliberazioni .Dif ficile pertanto sarebbe trovare le
leggi fone damentali , secondo cui fissata fosse la suc cessione al Trono ,
ovvero il modo della la g A due capi ridur si può la base della
constituzione di qualunque Stato : al m o d o , con cui si eleggono, od
intendonsi eletti quel Principe , o que' Magistrati , che hanno da reggerlo ,
ed alla autorità , che questi hanno sopra i loro soggerti. Della autorità , che
i Re di Roma avessero soprailorosog getti, non appartenendo punto alla presente
quistione, io non farò parola . Chi deside raffe per avventura d'esserne
informato, p o trà ricorrere al Grozio , ed al Cellario (1) ed a que'luoghi
degli antichi Scrittori da essi accennati . Mi volgerò bensì a mostra che H.
Grotius de Jure Belli & Pacis Lib. I. Cap.III. Chriftoph.
Ceilar.Breviar.Antiq.Roman.Cap.II.feff.1. 98 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE 1
elezione : tuttavia connettendo alcuni luoghi degli Scrittori , e facendovi
sopra alcune ri flessioni , verremo in chiaro , per quanto comportar lo possa
un si rimoto secolo, di quelle consuetudini , le quali , secondo c h e io stimo
, tenevano luogo presso i Romani di leggi fondamentali . per quanto raccoglier
si poffa dalle scarse notizie di quella età il Regno di R o m a piuttosto
elettivo , che altro chiamar li dee . re , 1 E 03.120. n.5 S. 2. ma
ALGAROTTI . CAPO VI. 92 E prima di tutto, le dalla qualitàde'Re, i quali fuccedettero
l'uno all'altro , si può ricavare alcuno indizio , certa cosa è , che in
que'sette Regni mai figliuolo non succe dette al padre , che anzi tutti furono
di di verle famiglie. N o n parlo di Tarquinio il Superbo , il quale non per
giusta strada, m a colla forza , e per mezzo delle scelleratezze giunse al
Trono , a cui mai sarebbe in al tro modo pervenuto .Veda adunque l'Au tor
noftro , se dalla elezione di Anco , che nipote era per via di una figliuola di
N u che non subito dopo il Regno dell' Avo ,ma dopo quello diServioTullioasce
se al Trono , inferir se ne possa, che piut tosto pendesse ad essere successivo
il Regno di Roma . Che se Tarquinio Prisco allonta nò da Roma i figliuoli di
Anco nella ele zione del nuovo Re , la qual precauzione egli s'avvisa dimostrar
, che vantassero que sti giovani diritto al T r o n o ,si vuol notare , che
tutto facea per li figliuoli di Anco ,per muovere i Romani a conceder loro il R
e g n o , e tutto era contrario a Tarquinio . Erano i primi discendenti da N u
m a figli uoli di Anco Principe , che congiunto avea le più belle qualità
de'suoi antecessori, o n de è detto da Livio uguale a qualunque de' pal. g
2 Pa (8)T.Liv. Dec. I. Lib.I.Cap.13. n.32. Medium erat in Anco
ingenium ,& Numae , & Romuli memor. Id. ibid. Cap . 14. n. 35. Cuilibet
fuperiorum Regum belli ) Dionyf. Halic. Lib. III, pag. 184. 1 Too
RAGIONAM , CONTRO IL CONTE passati R e nella gloria delle arti sia di Sequitur
jactantior Ancus Nunc quoque jam nimium gaudens popu laribus auris . Uno di questi
poi secondo Dionigi (1) già era alla pubertà pervenuto.Laddove Tar quinio oltre
ad essere straniero essendo stato dal morto Anco fuo fingolar benefattore d e
ftinato per tutore a'suoi figliuoli , la qual cosa fece per avventura ,
lusingandosi, che avrebbe egli tentato ogni modo di aprir loro la strada al
Trono ,nè per gratitudine questo dovendofi fupporre ignoto a' R o m a ni ,
certa cosa è , che eravi ragion di teme re per lui di non poter ottenere il suo
in tento , quantunque il Regno fosse elettivo , se i figliuoli di Anco avessero
potuto chia marlo , esponendo a' Romani i meriti del paces che di guerra (g), e
quello , che è più grandemente amato dal popolo ,secondo che disse Virgilio in
que'suoi versi, ove più da Storico , che da Poeta favella (h) . pacisque,&
artibus, & gloriapar. (h) Virgil.Aeneid.Lib.VI. 'ALGAROTTI .
CAPO VI. 101 Padre loro, la di cui memoria era ad effi si cara . Sapea
benissimo l'astuto, ed a m bizioso Tarquinio , qual impressione far p o tea nel
popolo l'aspetto de' giovani Princi pi , ed il rinfacciargli, che avrebbono
fatto la sua ingratitudine . T e m è pertanto la pre senza loro giustamente , e
trovò m o d o di allontanarli da’ Comizj . Dal fin quì detto chiaramente
risulta, che non ostante i pregj , che vantavano i figliuoli di Anco , essendo
stati esclusi dal Trono , a cui quantunque per molti motivi gliene dovesse
esser chiusa la strada (k), fu innalzato Tarquinio , ben lungi dall'inferire da
questo allontanamento, che nella elezio . ne del R e i voti stessero
ordinariamente per la ftirpe Reale , 'avendo un tale allontana mento bastato ad
escluderli, se ne dovea a più buona ragione dedurre , che i Romani niun
riguardo avessero al sangue Regio nella elezione del R e loro . min (k),Alienum
quod exaétum: alienioremquod ortum Corin tho :faftidiendum quod mercatore
genitum : erubefcendum quodetiam exule Demararo narum patre , Valer. Mas xim ,
Lib.III,Cap.IV. M a veniamo ora con testimonianze degli Storici a
dimostrar maggiormente il diritto de'Romani nell'elezione de'Re loro,eco.. g3
RAGIONAM, CONTRO IL CONTE ininciando da Livio:(1) Servio Tullio , dice
questo Storico , avvegnachè foffe coll'uso al possesso del Regno , tuttavia
perchè sa peva , che il giovane Tarquinio andava dif ieminando esso regnare
senza ordine espres so del Popolo , conciliatosi il buon voler della plebe col
distribuir certe terre tolte a’ nemici , fi arrischio di porre in deliberazio
ne a'Romani , fe volevano , ed ordinavano , che regnasse o no , e con tanto
general c o n senso , con quanto per lo innanzi alcun al tro giammai Re fu
dichiarato . Ove è da notare ,che Tarquinio il Superbo per farsi strada al
Trono non vanta già i suoi diritti come figliuolo di Re , nè taccia Servio di
usurpatore, perchè coll'occasione di a m m i nistrar la tutela di lui era giunto
al Princi pato , m a dice , che fenza espressa elezione del popolo Servio
Tullio governava il R e gno : e Servio per dileguar que'rumori ,non risponde
già non essere un tal consenso n e cessario , m a , assicuratosi prima
dell'affetto quam jam ufu haud dubie Regnum poffederat; tamen quia interdum
jactari voces 1 102 (1)T. Liv.Dec. I.Lib.I.Cap.18.n.46.Serviusquam del a
juvene Tarquinioaudiebat fe injusu populi regnare , conciliata prius voluntate
plebis , agro capto ex hoftibus viritim diviso, aufus eft ferre ad populum ,
vellent juberentne fe regnare : santoque consena fui, quanto haud quisquam
alius ante, Rex eft declarcius; # Questo è quanto dice Livio lo
Storico , di cui l'Autor nostro maggiormente si pre gia ; m a per dare a vedere
con alcun altro Scrittore la verità medesima , a chi della a u torità del solo
Livio non si volesse appaga consideriamo c o m e parla lo ítesso S e r vio
presso Dionigi per difendersi dalle accu fe di Tarquinio : mentre io era
disposto (ei dice adunque a Tarquinio ) a rinunciare il Regno (m) iRomani mi
trattennero , sulqual Regno essi hanno diritto , e non voi altri, o Tarquinj ;
quindi prosegue : siccome al vostro A v o ( cioè a Tarquinio Prisco ) fu dato
il Regno , quantunque estero , ed alie nisfimo dalla cognazione diAnco ,
sprezzati i figliuoli di Anco non fanciulli e nipoti , m a nel fiore dell'età
loro , nello stesso m o d o a m e f u c o n c e s s o , p e r c h è il P o p o
l o R o mano non un erede del Padre metre algo verno della Repubblica , m a un
personaggio veramente degno del Principato. Tutto questo vien confermato dalla
con g4 'ALGAROTTI. CAPO VI. 103 del popolo , pone in deliberazione a ' R
o m a ni , le volevano , che seguitasse a reggerli , cose tutte , che
l'autorità del popolo nella elezione de'Re appieno dimostrano . dotta 1 re ,
(in) Dionyf.Halic.Lib.IV.pag.237. 1 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE dotta
di Tarquinio Prisco verso i figliuoli di Anco ; chi si vorrebbe dare a credere
, che un uomo cosi accorto avesse commesso tale inconsideratezza di lasciar dimorare
in R o m a questi Principi, e non proccurare di al lontanarli per destro m o d
o d a quella Città se avesse loro usurpato il R e g n o ? Bisogna credere ,
ch'ei s'avvisasse dinon esser reo d'ingiustizia veruna contro d'essi, non altro
avendo fatto , se non usare una destrezza per ottener dal Popolo una cosa , di
cui questo poteva liberamente disporre. Vero è , che sia Anco Marzio , fia
Tare. quinio Prisco , destinando per tutori de'pro pri figliuoli personaggi, i
quali doveano ef sere per ogni ragione ad elli tenuti grande mente , si
lusingarono, che questi proccurasse roa'lorofigliuoli quelRegno, cheime desimi
procacciarono per fe , servendosi p e r l'appunto del credito acquistatofi
penden te il governo de'benefattori loro . M a que sta cura medesima , ed il
non aver sortito l'effetto desiderato da que’ due R e , dimo-. ftra vie più il
poco riguardo , ch'avea il Popolo Romano al sangue Reale nelle ele, zioni
de’nuovi Principi . Del resto , se da quel general ritratto de? costumi
de'Romani di que'tempi , che racs 1 104 1 CO Troppo parrà a
taluno , che dilungato mi fia in questa materia , la quale in vero non avrei
trattato così ampiamente , se non mi fosli dato a credere , che anche
prescinden (7) Montes Esprit des Loix Liv.XI.Chap. 12, ALGAROTTI . CAPO
VI. 105 cogliesi dalla Storia , si può trarre qualche congettura , essendo
propria di popoli rozzi peranco e semibarbari una costituzione in forme di
governo , non è da credere , che la successione al Trono di padre in figliuo lo
stabilita fosse tra esli, essendo questa frut to di secoli più colti , e per
recar finalmen . te la testimonianza di qualche moderno Scrit tore ', che
questa verità abbia riconoíciuto , basterà per tutte quella del Montesquieu
(n), il quale asserisce chiaramente e fuori di v e r u n d u b b i o , c h e il
R e g n o d i R o m a e r a e l e t tivo . Veda adunque l'assennato lettore ,
se la speranza di lasciar figliuoli atti al R e g n o allamorte fua era tanta
da muover Anco a tor moglie assai per tempo , e se anche c o n cedendo tutte le
conseguenze , che da que Ro matrimonio cosi per tempo contratto ne deduce il
nostro Autore , le quali altri forse non avrebbe alcun ribrezzo a negare il fon
damento , che a queste ei pose, siastabile, e fermo fufficientemente . do
106 RAGIONAM . CONTRO IL CONTE do dalla nostra quistione , non sarebbe
per avventura riuscito discaro il veder posto in pieno lume untal punto. Tempo
è ora, che veniamo al Regno di Tarquinio Prisco. Se de'Regni di Tullo Ostilio,
ed Anco Marzio toccò per così dire soltanto alla sfug gita il nostro Autore ,
di troppo più forti r a gioni fi crede afforzato per accorciar la d u rata di
quest'ultimo . E qui debbo di n u o vo avvertire , che l'essersi egli appagato
degli scarsi racconti di Livio , e il non aver rivolto l'occhio a quel lume ,
che mena di ritto per l'oscuro calle di que' primi tempi di Roma , voglio dire
a Dionigi , è stato cagione dell'aver egli ritrovate ripugnanze , che non vi
sono . Strana a lui pare , per istringere le sue ragioni in breve,la disfimu
lazione de' figliuoli di Anco , che per tren totto anni aspettarono luogo e t e
m p o vendetta , e vendetta ei dice eseguita c o n tro un usurpatore del R e g
n o in pregiudizio loro , avvegnachè fosse itato instituito tor di essi dal
Padre medesimo . E d'altra parte a lui pare , che troppo grande disdet ta sia
stata la loro, che di tanta dissimula zione dopo aver indugiato intino alla età
di cinquant'anni ad operar quel fatto , non ne abbiano colto frutto alcuno alla
tu . tuttociò essendo cona rimasi esclusi dal Trono . per altro
grido di accurato nel r a c cogliere i fatti descritti dagli Antichi (p), e il
di cui difetto non è la brevità , cioè, ch'essendo stato ucciso il famoso
Augure Accio Nevio colui , di cui si racconta il prodigio vero o supporto della
cote tagliata col rasojo , i figliuoli di A n c o attribuirono questa uccisione
a Tarquinio , fia perchè , essendo il R e entrato in pensiero di far m u
tazioni nelle leggi , temeva non gli dovesse di "ALGAROTTI , CAPO
VI, 107 M a se avesse egli consultato Dionigi, avrebbe veduto , che vero è
bensì aver in terposto i figliuoli di Anco trent'otto anni tra la ingiuria, e
la vendetta in questo fen fo , che potessero recate ad effetto le loro crame,
ma vero poinon è, che in questo frattempo questa medesima scelleratezza altre
volte macchinato non avessero ,laqual cosa non sivenne a sapere,se non dopochè
eb bero eseguita quella tragedia : Chiaramente in farti asferisce Dionigi , ove
narra la m o r te di Tarquinio (o), che coteíti figliuoli di Anco più volte aveano
tentato di togliergli la vita , che anzi aggiugne questa partico larità ,
omeffa da uno Storico moderno , il quale ha (1) Dionyf. Halic. Lib. IV . p.
204-5; ( 0) Rollin Hift. Rom. RAGIONAM . CONTRO IL CONTE di nuovo
efier contrario questo Augure,coa m e altre volte trovato lo avea , sia perchè
egli non fece le necessarie ricerche per stato a 1 conoscere, e punirne
gli uccisori . Riconci liolli Servio Tullio con Tarquinio , m a a v e n dolo
ritrovato facile al perdono , dopo tre anni il messero a morte nel modo , che
de scrive Livio . Dirà taluno non esser da cre dere , che abbia Tarquinio sì
facilmente p e r donato un tale attentato a'figliuoli di Anco ; m a forse vero
era ciò , di cui l'accagiona vano , e se ne avesse mostrato risentimento ,
avrebbe dato peso all' accusa . Del rimanen te è da credere , che note non
fossero a Tarquinio le antecedenti macchinazioni , p e r chè dicendo Dionigi
unicamente a proposi to di quest' ultima , che lo ritrovarono fa cile al
perdono , dimostra , che le altre giun te non erano a cognizione di lui ; onde
cagion di quella accusa , ben avesse egli m o tivo di tenerli per malcontenti ,
m a n o n a segno di volergli toglier la vita . ri che allora pre Anzi di più è
da notare cipitarono l'impresaifigliuolidiAnco,quan do sividero chiusa lastrada
dipoteredopo la morte del vecchio R e , esponendo i m e riti del Padre loro ,
procacciarsi il Regno ; voglio dire quando giunto Servio inalto
stato presso a Tarquinio , ed instituito tutor re
de'figliuolidilui,vedevano,chequesti amato , e ten Tutto questo succeduto non
sarebbe , se fosse stato, come pensa l'Autor noftro , Tar quinio un usurpatore
, poichè non avrebbo no dovuto tentare tante obblique strade, usar tanta
diffimulazione, ed è da credere , che più facilmente , e più presto sarebbono
forse venuti a capo de'loro disegni . M a già so pra abbiam messo in chiaro ,
ch'elettivo ef Tendo ilRegno di Roma ingrato bensi, e sconoscente ad Anco fuo
benefattore non usurpatore chiamar fi può Tarquinio Prisco . Strano pertanto
non dee riuscire che abbiano frapposto i figliuoli di Anco trentore'anni non
già tra l' ingiuria , e la ALGAROTTI . CAPO VI, 709 e riverito da'Romani
poteva con tro esli servirsi del credito rante ilRegnodi Tarquinio.Fecero per
tanto pensiero di arrischiare il tutto iare , le poteva loro venir fatto con
una d i {perata impresa di far levare il popolo a r u more,presso cui(prestando
fededileggie ri l'uomo a quello , che spera ) stimato a v ranno , potere ancor
molto la memoria del di quel Trono, a cui avvisavano di non poter giugnere in
Padre , e così impadronirsi altro modo . acquistatofi du ma de
deliberazione , che fecero di vendicarsi ,m a tra l'ingiuria , ed il
vedere la vendetta loro eseguita non sarebbe questo il solo esempio , che delle
contraddizioni c'instruisca dello spirito umano . Non avete, dice pure egli
stesso (1) Alg.Op.tom.IV.Disc,milit.Disc.XIX.Soprala Giornata di Maxen .
II. RAGIONAM . CONTRO IL CONTE N o n fa ora quasi più mestieri di farmi a
dimostrare , che per non aver esli colto al cun frutto dalla loro lunga
dissimulazione , non sidee,come fa l'Autornoftro,negare, che di trentotto anni
stato non zio di tempo , il qual corse dalla morte di A n c o a quella di
Tarquinio Prisco . E chi non sa , che moltissime volte non riescono ad uomini
avvedutissimi i loro disegni ? Dice pure lo stesso Conte Algarotti , che
l'efito il quale importa il tutto innanzi agli occhi del volgo , è nulla
innanzi a quelli del fa vio ? (9) E d ancorchè fuppor fi volesse , che i
figliuoli di Anco , i quali aveano per si lungo tempo con tanta cautela
l'affare , non avessero poi usate condotto le dovute della c o n giura , non
farebbe questo , per servirmi di avvertenze nell'ultimo scoppiar nuovo delle
parole di lui in altra sua o p e sia lo spa tan ra ALGAROTTI . CAPO
VI. tante volte veduto la medesima nazione , il medesimo uomo
prudentissimoragionevolisii m o in una cosa, imprudente , ed irragione vole in
un'altra , benchè in ammendue gli dovessero pur esser di regola le stesse m a l
fime , gli itefli principi (r)? Del rimanente chi la , se non si farebbo no gli
uccisori impadroniti del Trono, quan do Servio Tullio , e Tanaquilla non
foliero stati così avveduti , come e'furono ? A tutti è noto , che Tanaquilla
fece correr voce , che Tarquinio ancor vivea , affinchè niente si tentaffe di
nuovo , e Servio avesse c a m ро di premunirsi. Onde possiam conchiude
re,chenèpureinquestoRegno diTar quinio vi è ripugnanza tale tra i farti , e le
epoche , che ci sforzi ad abbreviarlo . Regni di Servio Tullio , e di Tarquinio
E il non aver consultato Dionigi traffe più volte l'Autor noftro in errore ,
secondo () Alg.Op.tom.I.Dialoghi sopra l'OtticaNeuron, C A Pp Oo quello ,
SE Superbo . VII. Dialog.IV.pag.140. Per venire adunque prima di
tutto alle ragioni , per cui giudica l'Autor nostro d o versi abbreviare il R e
g n o di Servio Tullio : fu Servio , ei dice , ucciso da Lucio Tarqui n i o , d
i p o i c o g n o m i n a t o il S u p e r b o , c h e v o leva ricuperare il R
e g n o paterno toltogli d a effo Tullio, uomo intruso, e dischiattaser vile,e
fu ucciso dopo un indugio di qua rantaquattro anni , il che , segue eglia dire
, vie maggiormente pare inverifimile a chi fa considerazione, che questo
Tarquinio era già u o m o da menar moglie , allorchè Servia Tullio divenne Re ,
ch'egliera dispiritiol tre 112 RAGIONAM . CONTRO IL CONTE 1 quello , che
abbiam sopra dimostrato , onde ritrovò irragionevolezze, ed inverisimiglian ze
tali , che stimò doversi di sì lungo trat to di tempo abbreviar la durata
de'Regni de'RediRoma,ilnon aver rivolto lo sguardo a questo Storico assurdi gli
fece rinvenire in questi due ulti mi Regni. Perciocchè in vero gliere le
difficoltà mosse de'cinque primi Regni contro la durata non avrebbe molte volte
fairo mestieri d i mente a Dionigi ; m a più difficile riuscireb b e il
rispondervi per rispetto ultimi,se nonsifacefleusodellaautorità di lui. troppo
maggiori ricorrere necessaria. a questi due , per iscio 1 che
abbrancato Servio nel mezzo della persona lo si portò di peso fuor della C u
ria,e gittollo giù perli gradini;ora sea quarantaquattro anni del R e g n o di
Servio si aggiungono venti circa , ch' eidovea ave re alla morte di Tarquinio
Prisco,verrà ad esser vecchio di sessantaquattro anni , allor chè dimostrò
tanta gagliardía . Questi sono i motivi, per cuistima l’Au tor nostro esser più
inverisimile aver Servio regnato quarantaquattro anni , che Tarqui nioPrisco
trentotto.Già abbiamosopradi mostrato non esser punto contraria a'fatti la
durata del Regno di Tarquinio , ora verre mo a far vedere effer non meno verisimile
la durata del Regno di Servio, che quella non ALGAROTTI . CAPO VII. '113
tremodo ardenti , ed ambiziosissimo , .e v e niva tuttodi stimolato ad occupare
ilRegno da Tullia sua moglie femmina trista fopra ogni credere , e malvagia .
Dal che ne c o n chiude esser m e n o probabile , che Servio Tullio abbia
potuto regnare quarantaquattro anni , che Tarquinio Prisco trentotto . Oltre di
questo ei riflette, che Lucio Tarquinio , il quale vivente Servio Tullio è
sempre q u a lificato giovane , fosse tuttavia giovane , e robusto alla fine
del Regno di quello , la qual cosa egli arguisce da ciò , che fi leg ge ,
h 114 RAGIONAM, CONTRO IL CONTE a ) T. Liv. Dec. I. Lib. I. Cap.
17. n. 42. O T.Liv.Dec.I.Lib.I.Cap.16.n.41.Tuumeft..... non sia del suo antecessore.
Desidererei per tanto prima di tutto lapere , onde abbia r a c colto l'Autor
noftro quella particolarità ,c h e al principio del Regno di Servio già fosse
Lucio Tarquinio in età da menar moglie . Di questo non m i venne fatto di
ritrovarne parola presso gli Storici, e non mi posso persuadere , che perchè
Livio (a) descriven do le azioni di Servio pone prima di tut to aver egli date
in ispose due sue figliuo le a Lucio , ed Arunte , per questo abbia l' Autor
nostro stimato di poter mettere q u e sti due matrimoni al principio del Regno
di Servio : perciocchè in questo caso ognun vedrebbe sopra quanto fallace
congettura egli avrebbe avventuraro questo fatto . M a quando pure da Livio ciò
ricavar fi potesse , vorrei di più , ch'altri mi sciogliel se questo nodo, cioè
se a tale età già per venuto era Tarquinio Superbo alla morte di Tarquinio
Prisco , c o m e riuscir poffa proba bile , che Tanaquilla con quelle si
eloquenti parole eforti presso Livio Servio Tullio (6) a Servi fi vir es Regnum
, non eorum , qui alienis mani . bus peffimum facinus fecere: erige'te Deosque
duces re. quere , qui clarum hoc fore caput divino quondam circum 1
ALGAROTTI . CAPO VII. Desidererei pure , ch'altri insegnar mi sa pesse
ilmodo dicomporre insieme l'aver Tanaquilla un figliuolo giunto alla luccenna
ta età , ed il proccurar, ch'ella fa il R e gno a Servio piuttosto , che a
Tarquinio suo figliuolo . E d ecco che senza rivolgere al tro Storico , che il
folo Livio , dando vento anni circa a Tarquinio Superbo al princi pio del Regno
di Servio , ne risultano in verisimiglianze grandissime, per toglier le quali
altro far non si potrebbe , che suppor re fanciullo Tarquinio Superbo alla
morte di Tarquinio Prisco ; il qual partito essendo h2 115 - a prendere
le redini del Regno ancor manti del sangue di Tarquinio Prisco , e a vendicar
la morte dell'uccilo fuo marito , A m e sembra , che ad una tal vendetta ad
ogni m o d o piuttosto ella proprio figliuolo , se questi già pervenuto era al
ventesimo anno dell'erà sua , ed è ben da credere , che u n giovane Principe
nel fior de'suoi anni facesse troppo più m e morabil vendetta della uccisione
del Padre di quello , che fosse per fare Servio Tullio . fufo igni portenderunt
: nunc te illa coeleftisexcitesflama ma:nuncexpergifcerevere:& nosperegriniregnavimus:
qui fis non unde natus fis, reputa : Si iua , re subita 2 confilia torpent, at
tu mea confiliafequere. animar dovesse il fu quello , '116
RAGIONAM. CONTRO IL CONTE Posto ora adunque , che ancor fanciullo fosse
TarquinioSuperbo alprincipio delRe. gno di Servio Tullio , ne segue , che da
lui allevato , non avendo vedute. le grandezze del R e g n o dell'Avo , del
quale lapea. aver Servio vendicata la morte collo allontanarne dal Trono gli
uccisori , e per ultimo stret to seco lui in vincolo di parentado , e spe rando
di succedere ad un uomo già oltre negli anni per commettere la scelleratezza
che commise , dovettero concorrere questi due impulsi, vale a dired' avere a
lato una malvagia , ed ambiziosa femmina , e d'ef fer fuori di speranza di
poter succedere a Servio Tullio , avendo questi, come ce ne affi e quello
, che toglie tutte le ripugnanze , d altra parte non raccogliendosi dagli Stori
ci , di qual' età precisamente ei fosse alla morte di Tarquinio Prisco ,
sarebbe quello , che prendere li dovrebbe .M a non abbia m o bisogno di
congetture , poiché , che T a r quinio Superbo fosse per anco fanciullo , non
figliuolo, ma nipote di Tarquinio Pri sco , chiaramente viene attestato d a D i
o n i gi (c); il che dovremo di nuovo notar più fotto . ( c) D i o n y f. H a l
i c . L i b . I V . p a g . 2 1 1 . 2 1 3 . re frapposto qualche
indugio , affinchè m a • nifeftamente n o n risaltassero agli occhi i d e
suno 5 che ci dicono gli Storici (e) , per potere stringere quel scellerato
matrimonio , fra l'una delle quali , e l'altra avranno p u ALGAROTTI , CAPO
VII. 117 assicurano Livio , e Dionigi (d), fatto pen fiero di rinunciare il
Regno , e dare la lic bertà a Romani . M a è da avvertire , che forse qualche
notabil tempo trascorse oltre il ventefimo anno del Regno di Servio,in-· nanzi
che si congiungessero con quelle infa m i nozze Lucio Tarquinio , e Tullia :
per. ciocchè , fupponendo , che avanti al vente fimo anno del Regno suo non
abbia Servio date le sue figliuole in ispose a' Tarquinj, ad ognuno è noto ,
che Tullia moglie era di Arunte , e non di Lucio , e Lucio a m m o gliato era
coll'altra figliuola di Servio , o n de ebbero a passare per tutte quelle
scelle ratezze , litti loro . Credo poi veramente , che dopo ch' ebbero
coronate le commesse iniquità colle nozze , non si debbano per modo nef h3 (d)
T. Liv. Dec. I. Lib. I.Cap. 18. n.48. Idipfum tani mite tam moderatum imperium
deponere eum inani. mo habuisse quidam Auctores funt, ni fcelus intestinum li.
berandae patriae confilia agitanti interveniffet . Dionyfi Halic. Lib. IV. pag.
243. (c)T. Liv.Dec. 1.Lib.I.Cap.18.n.46 Dionyf.Halic.Lib.IV.pag.232,234,
che la ragione , per cui finalmente val sero preffo Tarquinio le
persuasioni della sua rea moglie , fu l'aver questi inteso c h e Servio volea
dar la libertà a'Romani , alla qual risoluzione forse fu egli spinto princi.
palmente dalle malvagità della figliuola , e di Tarquinio . Vedeva egli
benislimo che Tarquinio da lui giudicato indegno del T r o no,appunto perchè
tristo,giàdovea forse essersi formato una fazione di ribaldi pari suoi , e che
dopo la morte di lui o avreb be forzato i Romani ad eleggerlo a Re lo ro , o
pure quando avessero avuto tanto co raggio di eleggerne un altro , prevedeva ,
che avrebbe tentato ogni mezzo, ed anche accesa una civil guerra per giungere
al T r o no . E d'altra parte Tarquinio Superbo, se con questa risoluzione di
Servio non sifosse veduta tagliata ogni strada , non avrebbe avventurata la sua
fortuna e la sua vita G T .Liv.Dec.I.Lib.I.Cap.18.n.46.Initiumcura 138
RAGIONAM . CONTRO IL CONTE suno passar sotto silenzio i continui stimoli di una
donna , quale si era Tullia , onde a buona ragione abbia detto Livio ( F) , che
il principio di sconvolgere ogni cosa da una donna ebbe origine : m a contuttociò
io sti me mo, bandi omnia a foemina orium ift Tolti ora diciannove
o venti anni dalla età , che aver dovea Tarquinio ilSuperbo , onde venga ad
essere di soli quarantaquat sro o quarantacinque anni , e non di sessan
taquattro,quandogittògiùper ligradini della Curja Servio Tullio, non parrà più
in nessun m o d o inverisimile tanta gagliardía . Senzachè io lascio al
giudicio degli assen nati , se , anche concedendo , che di sessan taquattro
anni abbia Tarquinio fatta una tal prova , menandosi allora una vita più dura ,
e per conseguente più robusta , ed essendo Tarquinio riscaldato dalla collera ,
sia poi cosa da farne tanto le meraviglie .Onde mi pare di potere a buona
ragion conchiudere , h4 1 1 1 V ALGAROTTI CAPO VII. medesima come fece,
ma servito fifareb be della fama dell'Avo suo dopo la morte di Servio , che già
era oramai pieno di anni per farsi elegger Re da'Romani, cosa , la qual potea
giustamente sperare potergli riu sčir più agevole , che d 'intraprendere , com
' egli fece, di usurpare il Regno vivente lui medesimo . Ben vedea , che se
tentato avel 1 se inutilmente questo passo di trucidare il suo Suocero , ed
impossessarsi coll'armi del Solio , non gli rimaneva più speranza alcu na . Non
arrischiò adunque iltutto, senon quando si vide in procinto di tutto perdere. 1
119 chę ) < RAGIONAM . CONTRO IL CONTE che siccome non v'ha
motivo di accorcia . re i precedenti Regni , così nè pure ve ne ha alcuno per
accorciar quello di Servio Tullio . Siamo finalmente pervenuti al Regno dello
steffo Tarquinio Superbo ultimo R e di R o ma . La principal ragione , che
adduceľ Autor noitro per abbreviare ilRegno di lui , e che abbraccia anche i
Regni di Tarqui nio Prisco, e di Servio Tullio, è questa. A c cadde,ei dice ,
che verso la fine del Regno di Tarquinio Superbo , Sefto Tarquinio , e
Tarquinio Collatino essendo a c a m p o ad A r dea , vennero a contesa chi di
loro avesse moglie più onefta ; d'onde poi nacque , c o m e ognun fa, il
Consolato , e la libertà di R o m a . Ora questo Tarquinio Collatino a quel
tempo secondo le parole di Livio ( 8) era giovane , e secondo lo stesso Autore
era figliuolo di Egerio , a cui Tarquinio Prisco suo Zio commise la guardia di
Collazia Città novellamente acquistara (h) nella guerra S a (8) Regiiquidem
juvenes interdum orium conviviis comeslaf. fionibusve inter fe terrebant; forte
potantibus his apud ( fratris hic filius erat ) Collasiae in praefidio
relictus bina , Sextum Tarquinium incidit de uxoribus mentio & c. T.
Liv. Dec. I. Lib.I. Cap. 22. n. 57. (1) T. Liv. Dec. I. Lib. I. Cap. 15. n.38.
Egerius } 1 3 1 1 ALGAROTTI . CAPO VII. bina, e ciò fu verso il
principio del Regno di Tarquinio Prisco , il quale viene a c a d e re fe non
prima l' anno centocinquanta se condo il computo comune della edificazione di R
o m a . Convien dire , ei soggiugne , che Egerio a quel tempo avesse almeno i
suoi quarant'anni , fe vogliamo crederlo atto a Costenere un carico di tanta
gelosía , come è quello di castodire una Città, di nuovo a c quisto , e se
vogliamo , che fosse nato , c o m e si h a d a L i v i o , p r i m a c h e T a
r q u i n i o Prisco veniffe a Roma .Ma come può fta re , ei conchiude , che un
uomo di quarant' anni l'anno di R o m a centocinquanta avesse un
figliuolo'ancor giovane l'anno dugento quarantaquattro ? Cioè quasi un secolo
dopo , come non fi voglia dire, ch'egli avesse fi gliuoli passati i novant'anni
, il che merita va aver luogo secondo lui tra le meraviglie della Storiadi
Plinio,non traifattidiquella di Livio . Pensa adunque l'Autor noftro , che s e
vogliamo ritenere questa discendenza de'Tarquinj , fa mestieri prendere
ilpartito di accorciare i Regni di Tarquinio Prisco , di Servio Tullio , e di
Tarquinio Superbo , che occupano il tempo , che è di mezzo tra il figliuolo ,
ed il Padre . Molte cose io potrei qui porre sotto l. + RAGIONAM.
CONTRO IL CONTE (i)Collariae inpraefidio reli&us.T. Liv.loc.fupra
cita opera ucchio del lettore per isciogliere questa dif ficoltà, come
farebbe il dire, che non sifa precisamente il tempo , in cui sia stata con quistata
Collazia ; che Livio Storico non trop po'accurato può esserfi ingannato nel
dire , che già nato era Egerio prima che Tarqui nio Prisco venisse a R o m a ,
che la custodia d'una Città non era carica a que'tempi , per esercitar la quale
dovesse u n guerriero effer giunto all'età di quarant'anni : tanto più
trattandosi di un Zio , che una tal c u ftodia commette ad un Nipote :
perciocchè non essendo in quell'età le cose così rego late,come
a'dinostri,piùosservavasinegli uomini , i quali davano al mestier delle armi,la
bravura,elagagliardia,doti, di cui potea egli molto b e n e esser fornito alla
età di venti o venticinque anni che n o n il s e n n o , c h e a ' n o f t r i
t e m p i i n u n G o vernatore fi richiede , per fuppor ilqual sen no ci
vorrebbe per avventura più avanzata età . Potrei dire di più , che se vogliamo
Itare alle parole di Livio,da queste nonfi può dedurre , che la custodia della
Città sia Itata a lui principalmente come Capo c o m mesla (i), ma solamente
che fu lasciato di pre ALGAROTTI. CAPO VII, 123 presidio
inquella Città dal Re fuo Zio.Por ter essere finalmente , che questo Collatino
giovane più non fosse , attesochè, per non far parola della poca esattezza di
Livio , questo Storico non dice precisamente , che giovanefosseCollatino,ma
cheiRegjgio vani passavano il tempo in conviti, mentre erano occupati in quella
piuttosto lunga,che viva guerra , 1 gliuolo sotto le quali parole di Regi
giovani può egli aver foltanto intesi i figli uoli del R e , e non Collatino ,
quantunque della stessa famiglia , tanto più che dicendo egli dopo,che stando
essibevendo pressoSe sto Tarquinio , ove pur Collatino cenava , cadde
ildiscorso sopra le moglj (k), a me pare , che quelle parole ove pur Collatino
cenava , dimoltrino , che sotto quelle ante riori di Regj giovani non altri
abbia volu to intendere Livio fuor che ifigliuoli di Tarą quinio . M a comunque
fiafi di ciò , s'abbia per nulla il fin quì detto , concedasi essere
impossibile , che Egerio abbia potuto avere un figliuolo giovane al fine del
Regno di Tarquinio Superbo . Sappiasi adunque , che Dionigi (1) crede Collatino
nipote,e non fie ( k) Forte potansibus his apud Sextum Tarquinium ubi
Collatinus coenabat . T. Liv. loc. cit. (1) Dionys, Halic. Lib. IV. pag.
261, RAGIONAM . CONTRO IL CONTE L'ultima ragione , con cui l'Autor
nostro ftudiali di abbreviare il R e g n o di Tarquinio Superbo , e che
abbraccia anche quello del fuo predecessore Servio Tullio , ei la ricava da
questo . Tarquinio quando pervenne al Principato , avea secondo lui
sessantaquattro anni , a'quali chi aggiugne i venticinque che si dice aver egli
regnato , troverà, che era questi in età di Ottantanove anni , a l lorchè fu
cacciato dal Regno , la qual par ticolarità posto che vera ,n o n sarebbe stata
passata dagli Storici sotto silenzio . C h e più , segue egli a dire , leggeli,
che il medesimo Tarquinio parecchj anni dopo che fu c a c ciato di Roma ,
combatté a cavallo al L a go Regillo contra ilDictatorePostumio (m), ciò , che
verrebbe a cadere l'anno centefi m o circa della età fua , onde ei correrebbe
la giostra c o n un secolo sulle spalle ,affurdo, prosegue egli , non punto
diffimile da quello avvertito da Luciano (n), che quella Elena , gliuolo
di "Egerio , ed in questa maniera con un colposolositagliailnodo. 1 i Per
cui l'Europa armolli ,e guerra feo, E l alto imperio antico a terra sparse ,
(m)T. Liv.Dec. I.Lib.II.Cap.11.11.19. (1) Lucian, in Somnio seu Gallo ,
quan "ALGAROTTI . CAPO VII 12.5 quando desto quelle si celebri
fiamme i n petto a Paride già fosse coetanea di Ecuba . suo . Lalcio io
qui,d'avvertire , che a Tarqui nio Superbo si vogliono torre que'vent'anni,
iquali,come già sopra abbiam mostrato , gli dà di troppo l'Autor noftro , onde
per dirlo alla sfuggita , non avea egli da mara vigliarsi , che gli Storici
abbiano taciuta quella particolarità , che quando Tarquinio fu cacciato di R o
m a , già era pervenuto alla età di oitantanove anni . Quello poi , che tronca
ogni quistione per rispetto alla giornata del L a g o Regillo si è , che
Dionigi (o), ch'egli pure reca in mezzo a questo proposito, e non gli presta
fede , riprende quegli Storici , i quali narrano tal fatto , e dice doversi
credere suo figliuolo , e non lui medesimo esser quello , che fu,ferito com .
battendo contro ilDittatore Poftumio . O v ? è da notare che anche facendo il
caso , che con sole congetture si dovesse scioglie re questo nodo , essendovi
due mezzi noti al nostro Autore per togliere l'inverisimi glianza ,, cioè o di
abbreviare i due.Regni di Servio Tullio , e di Tarquinio Superbo, o pure di
dire non essere stato lui,m a il ( 0 ) D i o n y f. H a l i c . L i b . V I . p
a g . 3 4 9 . CAPO VIII. Si dà risposta a varie opposizioni .
Chiaro Hiaro ora resta abbastanza , che le in. verifimiglianze raccolte dal
Conte Algarotti , s'altri le viene minutamente osservando ,non I26
RAGIONAM . CONTRO IL CONTE fuo figliuolo quello , che ritrovossi alla giord
nata del Lago Regillo , il nostro Autorem prende piuttosto il primo , cioè
quello , che favorisce l'opinion sua , quantunque a m m e t ter non si possa per
modo nessuno , quando si sa , che Dionigi , il quale avea con tan ta cura
studiati gli antichi Storici Latini , e che se non altro fu tanti secoli più
antico del Conte Algarotti , Dionigi in s o m m a così diligente nel fiffar le
epoche, stima più prudente partito prendere il secondo. La scio ora pertanto
decidere da chi diritto ragiona , se tali fieno i motivi addotti dallo Autor
noftro , che si debba pure accorciare il Regno di Tarquinio Superbo,o se piut
tosto,come ioavviso,non resistanoalla autorità degli antichi Storici , e
debbano c a dere a terra come damento , del tutto privi di fon fon
ALGAROTTI . CAPO VII. 127 folamente non sono valevoli a mandare in rovina
la Cronologia comunemente ricevuta , m a nè pure hanno forza per ispargervi fo:
pra alcuna ombra di dubbietà,nè efferne cessario ricorrere a quel suo ripiego
di a b breviare pressochè della metà la durata de' sette Regni per conciliare
la giovanile erà di Romolo colle grandi cose , ch'egli ope To , e l'età di N u
m a colla sua esalcazione al Trono. Nè secondo quello , che abbia m o osservato
, l' u o m o indugia troppo cogli ftimoli della vendetta , e dell'ambizione a
fianco anzi lungo spazio di tempo non ba fta ad estinguerli; nè quella
gagliardía ,che trovar non si può nella vecchia età , avvien che vi si trovi,
onde senza negar credenza , com 'egli pretende , a' più gravi Storici dell'
antichità in cosa , in cui tutti convengono , quale si èla duratade'fette
Regni,torna ogni avvenimento ( per servirmi delle stesse fue parole in
contrario senso ) nell' ordine naturale delle cose . nolo . 1 Del resto
si dee avvertire , e di fatticre do , che ognuno avrà avvertito quanto d e boli
, e leggiere fieno le inverisimiglianze ed assurdi,dicuiservisli
ilnostro.Autore per distruggere la durata de'mentovati R e gni , e venire a
confermare il Sistema Cro. 128 RAGIONAM.CONTRO IL CONTE nologico
del suo Filosofo . Q u a n d o altri nes gar vuole la verità di un fatto
attestato da gravi Storici per folo glianze , o contraddizioni, queste devono ef
ler tali , che ammesse per vere il fatto al trimenti fufliftere non pofsa :
perciocchè è legge dellaPoesia,non della Storia,ilnarra re soltanto cose
verifimili.La.Storiaècon tenta di narrar cose vere ; e quante cose , a v
vegnachè vere inverisimili ci pajono per una minuta circostanza o smarrita , o
di cui non pensarono gli Scrittori di far menzione ,per un costume, per una
legge , per una fog. gia particolare di vivere, di cui come di cose
a'contemporanei loro notiffime , n o n istimarono dover far parola ? In s o m m
a molte volte assomigliar potrebbefi la Storia ad una macchina , la qual
produca maravigliosi ef fetti , e i di cui ordigni sieno ignoti. Tali dicono
essere i nostri orologi per rispetto a’ Cinesi,e noinondirado,inispecieinquan.
to allaStoria,laqual'èo da’tempi,oda? paesi nostri lontana , fiamo nel caso
loro . Ecco adunque ,che leguate n o n fi fossero le inverisimiglianze i m
maginate dall'Autor noftro , sono queste si deboli, che come saette vibrate
contro una motivo d'inverisimi quantunque eziandio di falda armatura , ben
lungi di recare alcuna offesa , ALGAROTTI . CAPO VIII. 129 offesa
, cadono effe medesime infrante a terra , chę E appunto per iscogliereil
nodo , ch'egli benissimo vedea , ch'alori gli avrebbe potu to mettere innanzi
agli occhi, vale a dire per qual ragione egli opponesse alcuni fatti, in cui
discordano gli Storici alla durata di tutti i sette Regni tolti insieme, ed
alla d u rata di ciascheduno in particolare , in cui sono a un di presso di un
medesimo pare re, ei dice , che la memoria de'fattidovet te con più sicurezza
essere conservata dalla tradizione , che non fu da quante volte , mentre quelli
avvennero tornato un Pianeta al medesimo sito del Cie lo ; la qual risposta io
non so , se basterà per appagare chi considera alquanto adden tro nellecose ;
perciocchè a me pare noti zia non meno importante,e degna di esse re dalla
tradizione, e dagli Scrittori a' p o steri trasmessa il numero degli anni , che
occupòilTrono un Principe,diquello,che fieno molti fatti , a cui presta l'Autor
n o ftro intera credenza . N e aveano i Romani bisogno di troppo fortili
astronomiche culazioni, come pare , ch'egli accennar v o glia,per sapere di
grosso, quando terminal le,eprincipiassel'anno.Ed unaprova, che questa
tradizione del numero degli anni , i essa trasmessa sia {pe ' epoca
di molti de principali fatti, non si sia notato però l'anno preciso, in cui
segui ciascun fatto . O v e è da riflettere che lo stesso noftro Autore dicendo
non ef fere da credere , che gli Storici sapessero quanti anni sieno trascorsi,
mentre andava no fuccedendo i fatti, è forza ,che ammet 130 RAGIONAM ,
CONTRO IL CONTE guerra di Romolo con lo veramente credo poi , che quantunque
tenuto fi sia registro non solo del numero degli anni , che durarono i Regni
de'Re di Roma , ma ancora del Regno di ciascun . R e , e dell ta , che abbia
regnato ciascun Re , e per con seguente della somma di tutti isetteRegni,
inratta conservata fi fia , si può dedurre da quella ammirabile concordia degli
Storici nella Cronología , concordia , la qual non si vede certamente ne'fatti.
che non sapesser nè pure l'anno preci fo , in cui questi avvenimenti seguirono.
Ora con questa sua sola concessione viene a ro vinare buona parte delle ragioni
, ch'egli apporta per abbreviare ciascun R e g n o . E d in fatti quante volte
non fi serve egli di epoche di avvenimenti minuti , e per lo più ; registrati
soltanto da un Plutarco , per ritro var ripugnanze nell'antico Cronologico
Siste ma , come sarebbe,per recarne alcuno esem pio , l'epoca della tro ALGAROTTI
. CAPO VIII. 131 e del diverse guerre ; tempo Approssimandosi l’Autor
nostro al fine del suo Saggio , reca altra prova contro l'anti co Cronologico
Sistema,e ben sivede,che avendola riserbata in ultimo , ei crede , che dia
questa l'estremo colpo , e il nodo del tutto recida . Questa prova , ei dice ,
è c a vata dalle generazioni di uomini , le quali tro i Camerj , che è in
Plutarco , l'epoca del matrimonio di Tazia con N u m a , che trovali presso lo
Iteffo Storico , come anche il precito numero d'anni , che vissero insie m e ,
il q u a l p u r e è r i c a v a t o d a l l o e s a t t o r e giftro , che il
medesimo Plutarco ne tenne , per non parlare de cinque anni nè più nė meno,che
avea Anco allamortediNuma e degli anni , in cui seguirono precisamente della
nascita di Egerio , ch'egli raccoglie da Livio . Le quali epoche tutte oltre
all'essere tratte la maggior parte da Plutarco o da Livio , credulo il primo ,
Itraniero , e lontanissimo da'tempi ,poco accurato l'altro,non dovea no per
nessun modo addursi da lui , come quello , che pretendea non aver la tradizio
ne potuto tramandareepoche di troppom a g gior rilievo , che queste non fieno ,
e c h e sono da tutti i più gravi Storici ammesse per vere . fono i2
sono indicate dagli Autori nella Storia dei R e diRoma ,le
qualigenerazionidice,che con vincono di falsa la loro Cronología quanto alle
durate de'Regni . Nella vita di R o m o lo,ei segueadunque, liha,cheOttilioAvo
lo di Tullo Ottilio mori nella guerra contro a'Sabini , la qual fu ne'primi
anni di R o ma,iRegni pertanto,eiconchiude,diRo molo , di Numa , e di Tullo
Oftilio non si stendono più là , che il tempo razioni.Da Numa ad Anco Marzio,ei
se gué , ci è una generazione sola , perchè l' uno era Avolo dell'altro ; dal
che seguita , che la generazione tra Numa , ed Anco coincidendo col tempo di
Tullo Oftilio , ci fia l'età di un uomo qualche anno più o meno da Tullo al
fine del Regno di Anco. Onde dal principio del Regno di Romolo
allafinediquellodiAncocorrono datre generazioni . Lucio Tarquinio Prisco , p r
o legue egli, uno de'Lucumoni dell'Etruria , viene a Roma uomo maturo sotto
ilRegno di Anco , de cui figliuoli fu instituito tuto re : e però l'età di
Tarquinio convenendo con quella di Anco , non resta che una . e fola
generazione tra il Regno di Anco il Regno di Tarquinio Superbo figliuolo del
Prisco . Talchè , ei conchiude , dal principio 132 RAGIONAM , CONTRO IL
CONTE di due gene del del Regno di Romolo alla fine di quello di
Tarquinio Superbo fi contano quattro sole generazioni in circa, e non più. Ora
som mando insieme gli anni di quattro genera zioni, che corrono durante
ifetteRe diRo. m a fi hanno cento trentadue anni ; poiché una generazione di
uomini trentatré anni . E fommando insieme gli anni di ciascun Re , secondo il
computo di Livio , fi hanno d u gento quarantaquattro anni ; e vi ha più di un
secolo di differenza tra due risultati, che pur avrebbono ad essere uguali
.D'altra par te facendo , che tocchi a ciascun R e l'uno ragguagliato
coll'altro diciannove anni di R e gno , come vuole il Neutone , fi ha cento
trentatré anni, e tra questi due risultatinon corre differenza niuna . di
comune sentimento vengono dati a 9 f ALGAROTTI . CAPO VIII. 133 Sin quì
il nostro Autore . Io per rispon dere a questo lungo ragionamento prima di tutto
voglio concedere , che quattro fole g e nerazioni fieno corse da Romolo insino
a Tarquinio Superbo : perciocchè ciò si riduce finalmente a dire , che durante
i Regni dei serte Re , quattro uomini in tutto ilR o m a no popolo ebbero prole
un dopo l'altro di sessanta e un anno . Ora farebbe poi forse questa
impossibilità tale fisica, per cui non i3 fi dovesse più prestar
fede agli Storici delle antiche memorie de'Romani? Ma ,suppo sto (quello però ,
che in nessun modo con cedere fi può ) che questa fosse inverisimi glianza
tale, per cui sipotesse negar cre denza alla Storia , s'è forse l' Autor nostro
bene assicurato , che , non uscendo da quelle persone , di cui egli fece scelta
per fissare le generazioni , quattro soltanto corse ne fie no pendente il Regno
dei sette Re ? Dio nigi (a) attesta pure , che Tarquinio S u perbo fu nipote ,
e non figliuolo di Tarqui nio Prisco ?Questo accuratissimo Storico d o po aver
fatto parola di molti assurdi , che ne seguirebbono , fe figliuolo, e non
nipote ei fosse di Tarquinio Prisco , fi afforza colla autorevole testimonianza
di Pison Frugi , il qual solo tra gli Storici affermò questa cosa . Nè
mancadiaccennarequello,cheperav ventura fu cagion dello sbaglio : poichè dice ,
che dall'essergli nipote per natura , e figli uolo per adozione fieno stati
forse gli altri Storici ingannati. Nè giovaildire,comefal'Autornoftro, che la
contrarią opinione cioè , che figliuo lo fosse questo Re , e non nipote di
Tar 134 RAGIONAM. CONTRO IL CONTE qui (2)Dionys,Halic.Lib.IV.pag.211,213,
ALGAROTTI . CAPO VIII. 13 S parte (6) Hic, L. Tarquinius Prisci Tarquinii
Regisfiliusneposre fuerit parum liquet:pluribus tamen auctoribusfiliumcreg
diderim.T. Liv,Dec. I.Lib.I.Cap.18.n.46. 9 In quanto a Collatino poi, quà
di nuovo addotto dall'Autor nostro p e r confermare il 2 fuo di numerare in
quegli arcaismi come le autorità , contentofli e non si fece a pesarle il
diligente sciando da Dionigi . In secondo luogo , la perder tempo ľ autorità di
Dionigi , la quale , com ' è palese , è molto più da segui re , che non sia
quella di Livio, ben diver sa è la maniera di spiegarsi dei due Scrit cori
intorno a questo affare,l'uno ne tocca alla sfuggitą , l'altro vi si ferma ,
ragiona reca latestimonianza di uno de'più antichi Storici , e sappiglia a
quella opinione , la quale sia per lo credito , che ha all'Auto re fia per ,
quinio Prifco fu opinione dei più, ed opi pione abbracciata da Livio medesimo ;
d o vendosi in primo luogo riflettere alla m a n i e ta , con cui Livio
s'esprime, vale a dire , che questo punto era assai all'oscuro , che egli
peraltro seguendo i più credevalo figliuo lo (6) ; il che dimostra aver egli
benissimo veduta la difficoltà , m a che non volendo , come sopra abbiam notato
lo contesto di tutta la Storia , gli pare più sicura . is suo
Sistema , già sopra abbiamo osservato raccogliersi dallo stesso Dionigi (c) ,
che n i pote era , e non figliuolo di Egerio . Ciò posto ne viene , che senza
uscire da quelle persone, di cui egli osservò le generazioni, non quattro , m a
cinque numerar se ne debe bono d a Romolo inlino a Tarquinio Super bo : onde se
aver non si dovea per assurdo tale da negar fede alla Storia l' essersi ritro
vare quattro persone in tutto il popolo R o m a n o le generazioni , di cui
fossero di fef santa e un anno , tanto meno dovrà parer ripugnante , che cinque
susseguite ne sieno , ciascheduna delle quali uguagliatamente non oltrepassi i
quarantanove anni . (.)Dionyf.Halic.Lib.IV.pag.2619 que 336
RAGIONAM.CONTRO IL CONTE M a dirà il nostro Autore , che ad una generazione comunemente
si danno soli tren tatré anni , laonde n o n si può essere così largo , e
concederne a ciascheduna di q u e Ite quarantanove . Qui mi convien prendere
d'alquanto più alto i principi , e si verrà a conoscere , che quelle
generazioni , a cui comunemente fi danno trentatré anni , o secondo altri tren
tacinque,non sono della specie di quelle osa servate dal nostro Autore .
Vediamo adun ALGAROTTI : CAPO VIII. 137 q u e quali fieno quelle ,
a cui diedero tal nu : mero di anni i Cronologi , e verremo in chiaro , fe tali
fieno le osservate da lui.La Cronologia , come tutte le altre facoltà,dee
seguir la natura , come maestro fa ildiscen te , per dirlo alla Dantesca , e
pure è che collo.Specularvi sopra molte fiate,in luo go
diavvicinarsiaquellaaltrilafugge,e gli ultimi passi sono quelli c h e
riconducono a lei nella vero , L e generazioni pertanto , che fiffarono i
Cronologi circa a trentatré anni, sono quelle , che generalmente si osservano
in un lungo spazio di tempo nella maggior parte famiglie di una nazione;laonde,
fe fiof servano in una sola, o poche famiglie , a n che per lungo tempo questa
osservazione, non è più fattasecondo la regola , che general mentela maggior
parte abbraccia:percioc chè , se nella maggior parte delle famiglie sono uguagliatamente
le generazioni di tren tatré anni,potrebbe succeder benissimo, che fi
ritrovasse una famiglia , od anche diver se , in cui queste foffero o più
lunghe , più brevi. Se poi non si osservassero in un lungo spazio di tempo ,
riuscirà ancor più agevole il ritrovarne . M a le generazioni , di cui servifli
il nostro Autore , nè corsero delle - nella maggior parte delle
famiglie , nè in lungo tempo , anzi nè pure in unasola fa miglia , essendo
composte di diverse perso ne d i varie famiglie . Certamente se si fa un
Cronologo ad osservare per tal modo le generazioni, ben tosto fisserà la regola
ge nerale di queste a settanta e più anni , per chè in un notabil tratto di
paese popolato iopenso,chenon passisecolo,senzachèfi veda uno , o forse più
uomini , che di tale età hanno prole. Lo sbaglio in somma del Conte Algarotti
consiste nello aver presa la regola d a quello che suole generalmente avvenire
, gli esempj da ciò , che in pochi succede,ed aver pensato, che que'casipar
ticolari sotto la general regola cadessero , o n de la Cronologia degli Storici
delle cose de? Romani sottoi R e s'opponesse a quella legge , che osservaro
aveano nella natura i più periti Cronologi . Nel che quanto sia a n dato lungi
dal vero credo d'aver fatto ba ftantemente palese. Due ragioni reca ancora
finalmente l'Au tore in difesa del Sistema del Neutone ,cui è necessario
rispondere innanzi di por fine a quelte nostre osservazioni. La prima fiè , che
tal Sistema discolpa Virgilio esattissimo Poeta , ci dice , da quello
anacronismo i m pu 138 RAGIONAM, CONTRO IL CONTE > i
ALGAROTTI , CAPO VIII. 139 putatogli volgarmente per conto de'tempi , in
cui vissero Didone , ed Enea . La secon da , perchè giustifica quella comune
tradi zione tenuta in R o m a , che N u m a foffe fta to uditor di Pitagora .
Ora per rispondere alla prima , questa . ammetter fi dovrebbe senza dubbio
veruno qualora fosse stato Virgilio tenuto a soddi sfare alle leggi della
verità storica;ma non fa mestieri ricordare , che da tali leggi sciolti sono i
Poeti.Raro è quel vero, che non abbia bisogno del finto per aggradire ai più ,
e se non inftillano virtù , col dilet tare mancano i Poeti al principal fine
dell' arte loro ; tanto più , che fecondo quello che pensa il dotto P. dellaRue
(d),non per ignoranza delle antiche Storie , m a per dar ragione de'famosi odj
, i quali si lungo tempo fra' Cartaginesi , e la Nazion suam durarono , e per
introdurre quel patetico , che tanto piacque , come ce ne assicura Ovidio (e),
a'suoi contemporanei , e tanto è degno di piacere ad ogni età,e ad ogni popolo
, non ebbe difficoltà di commettere (4) Ruaeus in
not.ad.Arg.Lib.IV.Aeneid. quell' Ovid. Trift. Lib. II. Eleg. I. v. 535.
Nec legitur pars ulla magis de corpore toto. Quam non
legitimofoederejunétus4mor, quell'anacronismo . S'aggiunga , che
que ito anacronismo non era tale che facil mente potesse venire scoperto dalla
comune de'Leggitori , da'quali soltanto balta , che non vengano scoperti gli
errori storici dei Poeti : perciocchè correa fama fecondo A p piano ( f) , che
Cartagine fosse stata fonda ta alcuni anni avanti all'eccidio di Troja da una
colonia di Fenici , presso i quali poi ricoverossi dopo lungo tempo Didone ,
del che non lascia Virgilio didarne qualche cen nei ? 140 RAGIONAM ,
CONTRO IL CONTE Appian. apud Ruaeum cit. loc. no, > onde trattandosi di
tempi assai lontani dalla età di Virgilio , questo rumore basta va per render
tale la finzione, che non fof se la verità ad un tratto conosciuta ,e vinta a
terra cader dovesse la invenzione di lui. Ma abbreviando della metà iltempo,che
durarono i Regni de'Re di Roma viene forse a nulla cotesto anacronismo ? E che
fa rebbe, se il nostro Autore inutilmente ado perato fi fosse , e che anche
togliendo pref so che la metà degli anni dalla somma di tutti quelli , che
corsero sotto a'Regni dei fette R e , non si venisse con questo a ren der
probabile in alcun modo , che Enea , e Didone potessero essere stati
contempora Tre secoli e più corsero,secondo gli an tichi Scrittori
, dall'incendio di Troja alla f u g a d i D i d o n e , c o m e o s s e r v a r
o n o il d o t t o Petavio , e l'erudito Commentator di Vir gilio della Rue
(g): ora da trecento e le dici anni (che tanti ne corlero fecondo il Petavio
dall'eccidio di Troja alla fondazion di Cartagine ). togliendone cento e undici
, come piace all'Autor noftro,vale adire facendo venire Enea in Italia cento
undici anni più sardi, rimangono nulladimeno d u gento e cinque anni di svario
. Laonde é chiaro , che nè Virgilio abbisogna della di fesa del nostro Autore ,
nè , quand' anche ne abbisognasse, sarebbe questa bastante per do
(3)Petav.Rationar.tempor.Parte I.Lib.II.Cap.IV. Cartagofundata dicitur anno
posttemplum incoatum144. qui est annus poft Trojanam calamitatem 316 . Ruaeus
loc, supracis. te svanire l' anacronismo da lui commesso . fa ALGAROTTI .
CAPO VIII. 141 nei ? Sia adunque egli pur certo, che cote fto fuo ripiego
nontoglie, ma soltantosmi nuisce l'anacronismo di Virgilio ; che anzi questo
rimane peranco maggiore di due le coli . N è soltanto vuole il Conte Algarotti,
che fia alla più esatta verità conforme ciò,che si legge in un Poeta, purché in
alcun m o anno > che comunemente credefi centesimo
undecimo dalla fondazion di Roma,alprin cipio del Regno , di cui già dovea
effer giunto N u m a al quarantesimo primo della età fua (se pur vogliamo
seguire ical coli dell'Autor nostro , il quale dando diciannove anni circa di
Regno a Romolo faprincipiare il suo Regno aNuma giàvec chio di sessant'anni ) ,
e fissando d'altra p a r te , come già sopra abbiamo osservato , le condo la mente
di lui, la venuta di Pitas gora anno soli 142 RAGIONAM . CONTRO IL CONTE do
favorir possa il suo Sistema; ma preten de eziandio, che maggior credenza
prestar fi deggia ad una popolar voce ,laqualtor na in avvantaggio della
opinion sua che a'più rinomati Storici dell'antichità . Già abbiamo sopra
veduto il suo parere circa all'essere stato Pitagora contemporaneo anzi Maestro
di N u m a , ora adunque a confer mare vie più ilsuo Sistema,lorecadinuo vo in
mezzo quasichè ridondar debba in avvantaggio di questo il porgere , che fa fa
vorevole interpretazione a d u n a tale p o p o lar voce . Avendone però già
altrove fuffi cientemente favellato, non mi resta altro da aggiugnere , se non
che , anche fiffando il principio del Regno di Romolo secondo lo intendimento
del nostro Autore , a quello ALGAROTTI . CAPO VIII. 143 Queste sono
le riflessioni, le quali, fecon do quello,ch'iopenso,chiaramentedimo streranno
, che il Conte Algarotti cadde trat to dal suo Filosofo in errore . Se parranno
per avventura troppo più lunghe di quello , che neceffario fosse, gioveràin
primo luo go considerare , che bastano poche parole per mettere una cosa in
dubbio , m a effer forza per iftabilirne la certezza ricorrere a' principi,
onde riescono sempre le risposte più lunghe delle opposizioni ; in secondo
luogo , c h e ho stimato dovermi fermare alquanto in torno a certi punti , i
quali oltre allo influi re nella materia , che per me trattar fi do vea ,
poteano essere forse non del tutto inu tili per chiarir la Storia di quella prima
età di Roma . Che gora in Italia circa a quello anno , che giu dicasi
dagli Storici dugentefimo quarantesi moquarto diRoma, virimaneciònon ostan te
un anacronismo di cento trentatré anni tra la venuta di questo Filosofo in
Italia , ed il tempo , rendere in cui Numa-già era perve anno della età sua; o
n de il Sistema del Neutone non può nè pure nuto al quarantesimo Pitagora , e
Numa contemporanei , come non può affolvere Virgilio te dall’anacronismo
interamen di Didone , e di Enea. 1 1 1144 RAGIONAM . CONTRO IL
CONTE Che se,come fpero,mi è riuscitodifar vedere l'inganno del Conte Algaroiti
, sarà questa una novella prova di quanto sia in tralciato il cammino del vero
, quanta 1 sia connesso , ed unito l'errore: collo inge gno umano , poichè gli
uomini fommi non tralasciando desser uomini , in tutto spogliar non se ne
possono. La più bella discolpa del resto che addur si possa in difesa di lui ,
îi è il dire , che fe pur s'ingannò , s'ingan nò seguendo un Neurone .
L'opinione del Newton fu sostenuta in Italia dal conte Algarolti in un suo
saggio sopra la durata de're gni de'Re di Roma,scritto nel 1729,cioè due anni
dopo la morte di Newton e un anno dopo la pubblicazione del libro di
lui!.Ora,in questo suo saggio l'Algarotti lascia poche censure intentale contro
la cronologia dei primi due secoli e mezzo di Roma ,procurando di provare in
particolare come non fosse succeduto davvero ciò che per una ragione generale
il Newton aveva affer malo che non era potuto succedere.Ilsuo fondamento è
soprallulto Livio ; e in secondo luogo Plutarco, non
1Ilsaggiodell'Algarotttisitrovanelvol.IV dellesueopere (Cremona
1779),p.106-138.Ma laristampachequivi n'è fatta non è in tutto conforme
all'edizioni anteriori,delle quali ioho la seconda, Firenze 1746, presso Andrea
Bonducci; e dico la seconda perchèl'editoreinunaletteradidedica
all'illustrissimosig.cav.An tonioSerristorichiamaquestaunaristampa,enonpuò
esservistata, se non una sola edizione prima, perchè una lettera dell'Algarotti
allo Zanotti, che precede il saggio, è del 24 dicembre 1745 , e da essa appare
che il saggio non fosse stato stampato prima. In questa lettera l’Algarotti
dice appunto di averlo scritto oramai sedici anni passati,quando dava opera
alla Cronologia sotto la scorta di quel lume vero d'Italia, Eustachio Manfredi,
e che non vi avrebbe più riguardato,«sevoinonmiavesteeccitatoainandarlovicome
fate»; e se n'era distolto , perchè « distratto da mille altre cose , e gli
pareva,che non fosse da moltiplicare in iscritture e in istampe intorno a cose
già trattate,benchè in modo diverso dal mio.» Que g l i il q u a l e a v e v a
t r a t t a t a q u e s t a , e r a u n I n g l e s e d i c u i n o n d i c e
il nome,ma di cui gli aveva dato notizia,in un suo viaggio in Inghil t e r r a
, il s i g . C o n d u i t , e r u d i t o g e n t i l u o m o i n g l e s e e
d e r e d e d e l N e w t o n , quello stesso che ha scritto una lettera di
dedica alla Regina, messa avanti alla Cronologia.Lo scritto dell'Inglese doveva
esser pub blicato in fronte d'una storia Romana. Non so chi fosse. E. M a n
fredi scrisse gli « Elementi della Cronologia con diverse scritture
appartenenti alCalendarioRomano.» Furon pubblicatiinBologna nel
1744.Egliaccettaladatavarron.dellafondaz.di Roma,01.6,3. 1.- LAMONARCHIA.
51 riferendosi a Dionisio mai ; anzi confessando di non avere lello
se non idue primi'.Ora,ilsuo assuntoé che i fatti che Livio racconta dei Re,non
s'accordano col numero d'anni che questi,secondo lui stesso,avreb. b e r o r e
g n a l o . Il c h e p r o v a , m o s t r a n d o p e r R o m o l o , q u a n
t a parte del suo regno resti vuota di avvenimenti,e quanta
sial'inverisimiglianza,che,a17anni,ch'è l'etàincui si dice cominciasse a
regnare, desse già segno di tanta prudenza civile e virtù di guerriero, quanta
gli se ne attribuisce; per Numa,che dovesse,poiché eletto per la fama sua e per
avere avuto in moglie Tazia, essere asceso sul regno a sessant'anni ; per Tullo
Ostilio ed Anco Marcio, che dovessero aver avuto più breve re gno,di 32 anni il
primo, di 24 il secondo,se dev'es. sere vero , che i figliuoli di queslo , il
quale aveva , a detta di Plutarco, cinque anni alla morte di Numa, non fossero
ancora maggiorenni alla sua,cioè quando Anco avrebbe avuto sessantun anni ; per
Tarquinio Prisco, che non può avere regnato trenlolto anni, se dev'essere stato
ucciso per opera de'figliuoli di Anco, attentato da giovani, ancora freschi del
torto ricevuto, e non da uomini di cinquant'anni quanti ne avreb bero avuto
alla morte di Tarquinio dopo cosi lungo re gno, anche supposto che non ne contassero
se non soli dodici alla morte del padre; per Servio Tullio,che a i Cosi dice
nella lettera allo Zanotti, secondo sta nell'ediz. del 1726;ma non è ripetuto
in quella dell'edizione del 1779,che è variata anche in altri punti. E di fatti
in questa seconda edi zioneècitatoDionisio,lib.VI,permostrarecome questi,accor
gendosi dell'impossibilità, che Tarquinio Superbo assistesse egli stesso alla
battaglia del Lago Regillo, vi fa invece assistere il
figliuoloTito.Però,anchecosi,lostudiodell'Algarotti resta,come prima,poggiato
tutto sopra Livio e Plutarco. 52 LIBRO QUARTO. 1. - LA
MONARCHIA . 53 dargli quarantaquattro anni di regno,Tarquinio Superbo,
ilqualeeragiàingradodimenar mogliealprincipio diquello,non avrebbe potuto a
sessantaquattro anni opress'apoco ucciderlo nel modo che si racconta; per
Tarquinio Superbo infine,che Tarquinio Collalino non avrebbe potuto essere
giovine alla fine del regno di lui, poichè egli era figliuolo di fratello,se il
suo cugino avesse avulosessantaquattro anni al principio del regno stesso; e
che, se questi n'aveva tanti allora, n'avrebbe avuto ottantanove, quando su
sbalzato dal trono, e cento alla battaglia al Lago Regillo dove avrebbe
combattuto a ca vallo,e sarebbe poi morto, si può aggiungere, di cento
trèanni.Sicché l'Algarotti crede che questi regni si debbono accorciare lulti,
se la storia di ciascun Re si deveaccordarecolladuratadel regno.E di quanto
biso gni accorciarli,egli lo trae da un'altra considerazione, cioè dal numero
di generazioni , intervenule durante la monarchia.Queste,egli dice, non poter
essere state se nonquattro:poichèiregnidiRomolo,diNuma ediTullo Ostilionon
siestendono più di due generazioni, stante
chéOstilio,avolodiquest'ultimo,ècontemporaneo di Ro molo;un'altra generazione
richiede il regno di Anco, che è vissuto la maggior parte di sua vita durante
il regno di ullio ; ed un'altra, i regni di Tarquinio Prisco. di Servio Tullio
e di Tarquinio il Superbo , poichè il primo ha del pari vissuto la maggior
parle di sua vita durante il regno di Anco. Sicché contando ciascuna
generazione per trentatré anni,la durata della monar Chia sarebbe stata di
centotrentadue anni,e ne tocche rebbero a ciascun Re , l'uno ragguagliato con
l'altro, diciannove. Sopra la durata de'Regni DE RE DI ROMA. Gli è una
neceffaria conse guenza delSistemacronolon gico del Neutono abbrevia re
considerabilmente i regni de' sette Re di Roma , a ciascun de' quali
agguagliatamentegli Storici danno trentacinque anni di regno , mentre il comun
corso di Natura secondo le offervazionidel Filosofo, non ne concede loropiù di
diciot to o di venti . La qual conseguen za separesse stranaad alcuno,pur dovrà
meno parerlo a chi risguar derà , che gli Archivi di Roma perirono dalle fiamme
nel tempo che E 15 Ma noi (chiarati anco in questa parte dalle of
(1) Plut,inNuma in principio p. 59.ed.Grecolat,Francofurti 1620. 16 che
iGalli occuparono quella Cita tà(1),onde gliStoricinonebbę. ro dipoi alrro
fondamento di quel lo scriveano, se non se la tradi zionevaga ed incerta,ch'era
ri masa delle cose passate Talmente che ritenendo esli i nomi de'Re e
registrando le azioni di quelli che tuttavia duravano nella m e moria degli
uomini , fecero una Cronologia a modo loro. E questa Cronologia allungandola
più del dovere, poterono in quella incer tezza fatisfareaquelnaturale ap
petitocosidelleFamigliecome del le Nazioni, di cacciar le origini l o r o il p ị
ù i n d i e t r o c h e p o s s o n o n e l la caligine del tempo .
(1).Come Livioscrivechenonera ra.DanteInf.29: offervazioni del
Neutono ,possiamo rimettere le cose al debito ordine nella serie de'tempi, e
ciò fare mo non in altro modo che aflog gettando i Re di Roma a quelle
comunileggi diNatura,allequa li ubbidiscono nelle Tavole cro nologiche tutti
gli altri Re della Terra.Pur nondimeno questa par c o f a d u r a a m o l t i c
h e si d e b b a f r a n ger ,dicono efli,l'autorità di Sto
ricichenonerrano(1),echevo gliano uomini di jeri giudicar m e glio degli
antichi di cose passate tantisecoliavanti.A questiioin tendo di ragionare ;e
perchè ilN e u tono nella fua Cronologia non fa al tro che accennare così in
generale la detta quiftione , io intendo d i fputarla con alcune particolari ra
gio B 17 gioni,e quefte derivate appunto da
quegliStorici,dell'autoritàde' quali e'fanno sì gran caso , e maffi- . me
daTitoLivioPadre diRoma na Istoria.Nel che io mostrerò, che avolerritenere
ifattida efio lui riferiti, egli è forza rigettar le epoche da esso affegnate
'a quelli, come non sivogliaammettere( che niuno ilvorrà) certe irragionevo
lezze da non ammettersi,che na scono da'suoi raccontimedefimi, e da quella sua
Cronologia, 18 E prima diognialtracosa io metterò innanzi una Tavoletta
de' regnidiquestiRe distesagiustal' oppinioncomune la qualeporrà fotto l'occhio
in un tratto l'anti co Sistema,eserviràameglio in tendere ilseguente
Ragionamento. T4, VII.TarquinioSuperbo 44 219 11. Numa muore
dopo un regno di anni 38 III. Tullo Oftiliom u o IV.AncoMarziomuo 43 81 32 113
38 24 redopounregnodi anni 137 V. Tarquinio Prifco muore dopo un rem gno di
anni Tulliomuo ·redopounregnodi - anni 1 TavolaCronologicade' anni anni
RediRomasecondor de' ab oppiniondiTitoLivio. Regn.V.C. 1.Romolo muore 37 37
Interregnodiun'anno Í è cacciato da Roma dopounregnodianni 25 19 re dopo un
regno di anni DO V i. Servio Ba 175 : 244 Dove non sarà fuor di
propofi to avvertire quello che avverte lo stelloNeutono(1)comedaltem poincui
laCronologia cominciòad ellercertaedesatta,non sitrovain tutta laStoria pure
un'esempio di sette R e , i più de'quali furono a m mazzatied uno deposto,che
ab biano regnato dugenquarantaquat tro anni senza interruzione veruna . Ma
venendoalparticolare, e in cominciando da Romolo, i fatti di questo Principe
dopo il ratto del ledonne,primacagione delmet tersi in arme (1).Nella
Cronol.p.137. dellaE 20 :) furono le guerre contro i?Sabini, che
ripeteano le donne loro,e.leguerrecontroal cuni popoli per gelosia d'imperio.
Plutarconedà l'epoca della pe nul- , diz, Franzese 1728. giuri
sdizione,laqual Fidene era stata soggiogata da Romolo innanzi Ca merio . Il che
ne somministra assai pro (α)και την πόλιν ελών, τοίς. μεν ημίσεις των
περιγενομένων εις Ρώμην εξώκισε ,τών δ'υσομερόν- τωνδιπλασίους έκ Ρώμης κατώ
κισεν εις την Καμερίαν Σεξτιλίαις Καλάνδαις.τοσύτοναυτώ περιήν πολιτών
εκκαίδεκα έτησχεδον οί κάντι την Ρώμην . 21: nultima di queste guerre che
fu c o n t r o i -C a m e r j , l a q u a l e e p o c a c a - , de nell'anno
sedicesimo della edi-, ficazione di Roma ,e del Regno di Romolo (1). E dopo
questa e gli non imprese altraguerra se non contro iVejenti, chemoslero cono
tro i Romani domandando la resti tuzion diFidere,come di,Città che
siapparteneva alla loro Β3 22 probabile argomento di por questa
ultima guerra guerra l'anno decimofetti mo della edificazion di Roma o là in
quel torno , non essendo punto verisimile che i Vejenti domandaf sero la
restituzione di cofa tolta troppo lungo tempo avanti; tanto più che siccome era
rozza .a quei di l'arte della guerra ,rozza altresì era quellade'Manifesti
.Stando a (1) In Rom. in fine p. 37. Id. inNuma in princip.p.60. dunquecosìlacosa,cioè
che l'ul tima guerra fatta da Romolo cadel senel'annodecimosettimodelre gno
suo, e facendolo regnare tren totto anni,comedicePlutarco(1), ne rimarrebbe uno
spazio di ven tun'anno in bianco, voglio dire tuttopacifico e quieto, e con verria
dire che sotto il reggimen to A questeparticolariragionidi
abbreviare il regno di Romolo se ne aggiugne un' altra non meno ftringente
tratta da Plutarco , fe condo cui egli deveaver comin B4 cia 23 to diquel
Re fosserostatiiRom mani molto più tempu in non in guerra; il che non accorda
punto con quella indole bellicosa che tutti gliAutori ad una voce danno al
fondatore di quello Iinperio . N e ciò accorderia pure con quelle pa role che
Plutarco mette in bocca á Numa , il quale per rifiutare il Regno offertogli
dalRomani,dice che si convenia loro un Condot tierod'esercitoanzicheunRe per
cacciare que' potenti nimici che Romolo avea lasciato loro in sulle braccia
(1). pace che . (1) Plut,in Numa p.63.; (1)Id.inRom.infine 77 24
ciatoaregnareinetàdi anni di cialette, dacchè egli è morto di anni
cinquantaquattro secondoi computi di quello , e ne à regnata trentotto (1) .
Ora come sipuò egli mai conciliare con una età cos sì tenera quelle tante cose
che fa cea costui secondo lo stesso Plutara co,perlequalisivoleaunaetà più
gagliarda,e più ferma?Egli eccellente ne'consigli e nella civil prudenzá mostrò
moltepruovedel suomirabileingegno inoccasiondi trattar co' vicini , attendeva
agli ftudidell'artiliberali;fi esercita vanellefatiche,nellecacce delle
fiere,nelperseguitare gliaffaslini, nel purgar levie da'ladroni,e nel difender
dalle ingiurie coloro che fusleroftatioppressi dall'altrui fu per P.37
perchieria(1):modi tutticheil feceró crescere in reputazione fra
glialtri påstori,e chedebbono fara locrescerdietàapponoi.Nè lo aver' egli
guidato a quel tempo impresedifficilisfime,lo efferfi fat to capo di un popolo
, e lo aver fondato una Città ne rimoveranno dall'oppinione di farlocominciare
a regnar più tardi, e di accorciare ilsuoregno. tore E da Romolo passando a N u
ma,eglinoncisonomenfortira gioni per abbreviare il regno anco di questo . Io
lascio ftare quella quistione roccata da Livio ,e da Plutarco(2)come questo
Legisla (1)Plut.in:Rom.p.20. (2)Id.inNumap.60.69,e 74. Tit. Liv. Decad . I.
lib. la pa 14.atergo.Ed.Ald.1918.. 25 : por Authorem
do&trina ejus quia non extat,alius,falfo SamiumP y thagoram edunt,quem
Servio Tül lo regnante Rom& centum amplius poft annos in ultima Italiæ ora
cir ca Metapontum Heracleamque de Crotonam juvenum æmulantium fta diacatus
habuilleconstat.Liv,Ibid. 26 gnan tore potesse essere stato uditor di
Pitagora, il quale essendo venuto inItaliapiùtardiche Numa non cominciò a
regnare secondo la co mune oppinione (1) , ne farebbe (1) Plut,in Numa p.60.
PherecidesSyrus primum di xit animos bominum esse fempiter
nos:antiquusfane:fuit enim meo regnante Gentili.Hanc opinionem discipulus ejus
Pythagoras maxime confirmavit, quicum Superbo re fu Cic.Tusc.Quæft.
Lib.I. 27 il regno suo più sotto, e per conseguente accorciare almeno le
durate degli altri cinque regni,che furonodaessoNuma fino alRegi fugio;della
certezza della qual'e pocanonsidubitadaniuno lo Jascio,dico,questa quistione
,la qua lenon risguarda tantoladuratadel regno diquestoRe ,quanto il prin cipio
di quello :e vengo a cið che ne appartienepiù davicino, porre Plutarco ne dice
che Numa aveva quaranta anni (1) , quando gnante in Italiam menisset , tenuit
magnam illam Greciam ac. Pythagoras qui fuit in Italia
temporibusiisdem,quibusL. Bru tus patriam liberavit. Id.Ib.Lib.IV. (1)InNuma
p.62, 28 qua rantatre , la quale ultima cosa ne
dicefimilmenteLivio(1).Ma qui io domando le parrà ragionevole ad altrui,che
incosìfrescaetàpo tesseNuma essergiuntoaquelloe minente grado di fapienza, che
fi dice;emoltopiùpoiseparrà ve risimile , che tenendo egli maslime modi di
vivere differenti dagli u fatinel fuo paese(2),egli potesse esser salico in
così alto grado di re Tit. Liv. Decad. I. lib. I.p. 16. a tergo . fu
eletto in Re di Roma, e che la governò per lospaziodi pu (1) Plut.InNuma p.73.2
74. Romulus feptem do triginta regnavit annos . Numa tres a quadraginta - (2)
Vedi Plut. in Numa in princip. Annumque intervallum regni fuit. Id
ab re quod nunc quoque tenet nomen ,interregnum appella tum . ld paullo post.
Consultissimus vir omnis di putazione,che lo facesse riverire non solo
appo gli stranieri, ma nel proprio paeseeziandio per così straordinario modo
,come narrano; e per recar le molte parole in u. na , che l'autorità del nome
suo. fossetale,ch'ella dovesse in un subito far ceffare le animosità, e le gare
delle parti, che per lo Ipazia di un'anno aveano conteso in Ro.: m a per lo
Imperio (1) . M a egli (1)Patrum interim animos certamen regni ac .cupido verfa
bat @c. OK 29 ci Tit.Liv.Decad.I. lib.I.p.14. 30 Plut.in Numa p.61.
--- a y ci è ancora alcuna altra confider1 zione da farsi.Tazio che
reggeva Roma insieme con Romolo ,mcf so dalla gloria e dal nome dilui che
tantoalto suonava,selofece genero dandogli per moglie una sua unica figliuola
che si chiama vaTazia.Quandoquestoavvenif feper appunto nonsilegge;ma
eglièverobensì,che ciðfumol divini atque'bumani juris dito nomine N u m e
Patres Romani quamquam inclinari opes ad Sabi nos rege inde fumpto videbantur :
t a m e n n e q u e se q u i s q u a m , n e c f a Etionisfuæalium,nec denique Pa
trum aut Civium quenquam prefer re illo viro auf ud unum omnes . Numa
Pompilioregnumdeferendum decernunt,Id. Ib.atergo,ep.15. to
(1)T.Liv.Decad.I.Lib.I. p.12.Plut.inRom.p.32. 31 sua to di buon'ora
nel regno di R o molo ,dacchè Tazio muorì prima della guerra co'Fidenati, e
co'Ca meri (1),cioè prima dell'anno see dicesimo del regno di Romolo ; e
d'altra parte ne racconta Plutarco che Tazia era morta quando N u ma fu
chiamato al regno, e ch'era vissuta con esso luilo spazio di tredicianni(2).Dal
chetuttofi deeraccogliere,che grantempoa vanti la morte di Romolo fioriva
lafamadellafapienzadi Numa;e converrià dire ,ritenendo il c o m p u
todiPlutarco,cheavendoNuma foli venticinque anni,questa fama fossegiàtanta,che
inducefleTa zio Re a dare in matrimonio una (2) Plut.in Numa p.61.
-(1) Id. in Numa p.63. sua unica figliuola a lui uomo pri vato , il
che mostra essere alieno da verisimiglianza, Diremo per
tantoasalvareilvero,cheNuma dovesse avere sessanta anni almeno quando fu eletto
con tanta unani mitàaRediRoma;eciòpofto, gli staranno molto meglio inbocca
quelle parole che periscansarsi da questo carico gli fa dire Plutarco ,
qualmenteallecondizioni de'Ro mani era bisogno che laCittà avef seunRe
dianimoardente erobu sto (1),le quali parole più tosto fi disdirieno che no ad
un'uomo di quarantaanni.Postoadunque che Numa , come ragion vuole ,comin ci a
regnare vent'anni più tardi che non si crede ,> di altrettanti an ni fi
verrà ad accorciare ilsuo re gno in età in circa di ottantatre anni
(1). gno , dove si voglia ch'egli sia morto come narrano , 33 sta E per
tal modo abbreviando il regno di Numa , e similmente q u e l l o d i R o m o l
o , si v e r r à a r e n der più probabile la lunghezza del la pace di cui godè
Roma a tempo attorniata da popoli estre mamente gelosidellasua grandezza, come
ellaera.Questapace giusta l'antico computo farebbe dileffan tacinque
anni,iqualirisultano dal la somma de'quarantatre del regno diNuma,daun'anno
d'interre gno,e da'ventun'anni passati da Romolo , dirò così , nell'ozio e nella
cessazion dalla guerra ; e g i u C: quel > (1) ετελεύτησε δε χρόνον ο σ ο
λύντοϊςογδοήκοντα προσβιώσας. Plut,in Numa p.64. ven di pre
34 itale cose discorse, questapace viene ad essere di ventiquattro an ni in
circa e non più . E da ciò riesce molto più verisimile , come Tullo
Ostilioerededelregno,non dell'arti di Numa , abbia potuto facilmente rinvigorir
ne' Romani la bellica virtù inspirata loro da R o molo,ecomeabbiapotuto sente
combatter con feroci Nazio ni e soggiogarle; il che di troppo fáriafuordell'uso,e
della oppi nion comune se la virtù de' R o manifossestata(nervatadauna pa c e
di fesfantacinque anni . Io non dirò nulla de' due fuf seguenti regnidiTullo
Ottilio,edi Anco Marzio,ilprimo de'qualiè di trentadue anni (1), l'altro di (1)
Tullus magna gloria bel li regnavitannosduosdotriginta. T.
Liv.Decad.I.lib.I.p.24. (2) Jam.filii prope puberem etatem erant
Id. Ib. 35 ventiquattro (1) , se non che ab breviandogli un tal poco ,
egli ne parrà piùverisimilequello che di ce Tito Livio de'figliuoli di A n co
Marzio : cioè che alla morte del padre e'non fossero ancora ag giunti agli anni
della pubertà (2) (1) Regnavit Ancus quatuor dig viginti. Ib.p. 26. a tergo .
Anco Marzio aveva cinque anniallamortediNuma(3):sea cinque se ne giungano
trentadue, e ventiquattro, avremo leffantun’ anno,cioè l'età d'Anco Marzio
allamorte fua;ilqualeavriadova to naturalmente lasciare figliuoli più
adulti,postoche egliavesse regnato ventiquattro anni, e Tul C2 lo annos
(3)Plut. in Numa pag. 74. 36 lo trentadue ; e cið perchè seconda
ragione,un regio uomo come si era Anco Marzio e che fu poi Re , dovea menar
moglie assaidibuon' ora per lasciare il regno a'figliuoli nella più ferma età
che far fi po tesse. Eniente farebbe ildire,ch' egliavesle avuto figliuoli
maggio ri di età che morisfero innanzi a lui , e che questa cura del padre di
la fciar figliuoli atti al regno futle del tutto inutile in un regno e lectivo
qual sieraquello diRoma , poichè dall ' una parte egli pare improbabile che
dovessero ellere morri in tenera età tutti i primi suoi figliuoli più tosto,
che gli altrs,edall'altrocanto eglisem bra che si avesse risguardo alla stir pe
regia nella elezione del Re . Segno è di questo , che i Romani chiamarono al
regno il medesimo 1 An 37 Ma Anco Marzio nepote di Numa che
Tarquinio Prisco allontand i figliuolidiluidaRoma neltem po de'Comizj (1). (1)
C3 do peromnia expertus ( L.Tarquinius ) postremo tutore diam
liberisregistestamento insti tueretur Jam filiiprope pube
remætatemerant.EomagisTar quinius instare,utquamprimum comitia regi creando
fierent: qui.. bus indi&tisfub tempus pueros vem natum
ablegavit:isqueprimus de petisse ambitiofe regnuin & c. T. Liv:Dec.
I.lib.I.p.26.atergo. Tum Anci filii duo , etfi a n tea femper pro indignissimo
habue rant fepatrio regnotutorisfraude pulsos:regnare Romæ advenäm non modo
civica, fed ne Italica qui demftirpis& c.Id.ib.p.29.terg. e (1)
Nel luogo citato. р 3:8 Ma non è già così da passar sotto silenzio il
regno del medesi mo TarquinioPrisco successoredi Anco.Ne viene costui rappresen
tato come usurpatore del regno, secondo che disli, a' figli di quello ,
de'qualieglierastatoistituito tu tore dalpadre(1).Egliregna tren totto anni
(2),e vien finalmente ammazzato per opera degli stessi fi gliuolidi
Ancovaghidiricuperare il regno paterno tolto loro dalla frande dell'uomo
straniero(3).Nel che (3) Sed injuria dolor in Tarquininın ipsum magis quam in
Servium eosftimulabat (3) Duo de quadragefimo fer me anno ex quo regnare
cæperat Tarquinius bc.Id.Ib. ipseregiinfidiaparantur.Id. Ib. aullo poft . ob
hæc che chi non ammirerà la flemma incredibile di costoro , che tra
la ingiuria e la vendetta polero in mezzo trent'otto anni, spazio di tempo
bastante a sedare e spegner forfe nell'animo qualunque più violenta passione?
Questo fatto a dunque dovette avvenire nella lo to giovanile età non molti anni
d o polamortedelpadre;ilche quan to è comprovato dalla vatura del fatto
medesimo , lo è altresi dal non ne avere effiraccolto frutto alcuno, come
coloro che dopo la uccisione di Tarquinio rimasero ne più nè meno esclusidal
regno pa terno.La qualcosaben mostraef fere questa stataopera di età gion
vanile e inconsiderata , e non di quella ferma e matura di cinquan ta anni, in
cui Livio gli fa c o n troogni verisimiglianzaoperarque 3999 Ita.
C4 Che diremo oltre del suo suc cessore Servio Tullo , il quale nel
fapno regnare quarantaquattro an ni (1) ? Se non che dobbiamo di
moltoaccorciareancoquesto regno, per quella medesima ragione per la
qualeabbiamoaccorciatoquello di Tarquinio Prifco fuo predeceffore. Fu Servio
Tullo anch' ello mello a morte da chi volea ricuperare il
regnopaternotoltoglida essoTul lo,ch'era di schiatta fervile,e
chefuportosultronodiRomaper artifiziodiJanaquilęmoglie diTar 40 sta
Tragedia, E però rimane che fi debbaabbreviareilregnodi Tar quinioPriscocomesiè
fattode' superiori. 1 qui (1) Servius Tullus regnavit, annosquatuor
quadraginta.Id. Ib. p. 34. a tergo. e preso dalla più violenta
ambizione; e ch'egliin 41 quinio Prisco. È in ciò dovrà pa rere molto strano che
Lucio Tar quinio , che fu poi cognominato il Superbo,abbiaaspettatoa metter lo
a morte quarantaquattro anni.E molto più poi le altri vorrà por
menteatrecose,chequestoTar quinioera giovine fatto allorchè Servio Tullo fu
aflunto al Trono , ilqualela prima cosa diede per moglie due sue figlie a due
giova ni Tarquinj Lucio ed Arunte (1); che questo Tarquinio era di natu ra
3rdentifima CS ६. > (1) EtnequalisAneiliberum animusadversusTarquinium fuerat,
talisadversusse Tarquinii liberam esset: duas filias juvenibus, regiis' Lucio
atqueAruntiTarquiniisjunio git •Id.Ib.p.30:a tergo• fine era
eccitato cotidianamente ad occupare il regno da Tullia fua moglie la più
stimolofa è rea f e m mina che fulle mai (1) . Le quali cose considerate che
fieno ,faranno che debba credersi molto più irra gionevole che Servio Tullo
abbia potuto regnare quarantaquattro an ni,che Tarquinio Prisco
trentotto. 42 Et ipfe juvenis ardentis animi do domi #xore Tullia in-,
quietum inimum stimulante Id. Ib.p.38. Sen (1) Servius quanquam jam 16 fu haud dubie
regnum possederat ; tamen quia interdum jactari voces a juvene Tarquinio
audiebat büs Id.ib.p.32,àtergo. Vedi p.33. a tergo, quid te stregium juvenem
confpici jenis6607 Nel fine del regno diSer. Tullo . Senzache
questoTarquinio,che è sempre chiamato giovine nella vi ta di Servio Tullo ,
moftra effére robusto e giovinę tuttavia allafi nedelregnodiquello,come co
luichepiglioServioperlomez zo della perfona , e sollevatolo in alto lo gittò
giù per la scala della Curia (1). La qual pruova giova nile non avrebbe potuto
altrimenti fareseaquarantaquattro anni del regno diServioneaggiungiamo venti
più o meno ,ch'egli ne do yea avere alla morte di Tarquinio Brisco ;.che lo
farebbono vecchio di sessantaquattro anni allorchè ei (1)Multo ætateį viribus
va lidior medium arripit Servium ,es latumque eCuria in inferiorempar temper
gradusdejecit.Id.Ib.p.34. a tergo. per 43 » de uxoribus
mentio , Suam quisquelaudat miris modis, 44 Ora venghiamo finalmente ale
lo stesso Tarquinio Superbo che fu l'ultimoRe diRoma iAvvenne verso la fine di
questo regno ,che nell'offidionedi Ardeainforgesle quistione traSesto Tarquinio
e T a r quinio.Collatino marito di quella Lucrezia,chị de'dueavesse più savia
moglie , dal che poi nacque , comeYaognuno),11Confolato ela libertàRomana,Ora
quertoTar quinio Collatina secondo le parole di Livio era giovine","e
Yecondo lo ftesto autorem pervenne ad occupare il regno 5. Upitni HI,1, cer era
figlio di un Inde IT: (1)Forte potantikusbisapud Sextun Tarquinium ubii collati
aus cænabat, Tarquinius Egerii fs lius incidit .(fratrisbicfilius e
rat Regis)Cyllațiæ in præfidio re lietus. 1:1, Ib.p, & , e 28. a
tery. 45 eerto Egerio,il quale fu lafciato da Tarquinio Prisco alla
guardia di Collazia Città di novella con quita nella guerra Sabina (1) ver -fo
la metà del regno fuo o la in torno , che viene a cadere nell'an no
cencinquantacinqueincircadal (1)Collatio.c quisquid citra Collariam agri erat
Sabinisadema ***** ptum Egerius py,sub Indecertamine accenfoCollatinusne
gatverbisopuseffe;paucisid quide12 horis poffe:frisi,quantum cæteris præftet
Lucretia (14. Quin sivi gor juventa ineft confcendimus,e qws,invifimulqise
præsentes 102 strarun ingenia? T'it,Liv.Ib.p.40. la (1)Vedi'anco la
Tavoletta Cronologica registrata di topra. 46 la edificazione di Roma
(1),lomi penso che sarà mestiero darea ques sto Egerioaquel tempo per lo m e no
trenta anni , sì perchè l'età sua foffe in alcun modo eguale al cari co
commessogli dal Re Tarquinio Prisco,sìperchèquesto Egerioera nato prima del
tempo in cui Tar quinio venne a Roma sotto il re. gno di Anco (2), Ora come può
egli starecheun'uomoditrent'anni ļ' a n n o d i R o m a c e n c i n q u a n t a
c i n q u e avere unfigliogiovine l'anno du genquarantaquattro,come non sivo
glia supporre ch'egli avesse questo figlio dopo l'età degli ottant' an ni?
ilche ben vede ognuno quan to 1 (2)T,Livio Decad. I.lib. I. p. 26.
che è di niez zo tra ilpadre,e ilfigliuolo. 47 to siacontrario
all'ordinario corfo delle cose naturali. Per lo che se vorremo ritenere questa
discenden za de'Tarquinj, bisognerà accor ciare ilregiodiTarquinio Prisco di
ServioTullo e similmente di TarquinioSuperbo,che occupano tutti e tre il tempo
ot Un'altrapruova peracccrcia re ilregnodiTarquinio Superbo e quello eziandio
di Servio Tullo fuopredecessore, fipudcavarda questo. Tarquinio Superbo quand?
egli occupò il regno avea festanta quattro anni,come abbiani veduto poco
innanzi,a'qualichiaggiunga i venticinque che fi dice avere ef fo regnato
(1)troverà,ch'egli avea (1) L. Tarquinius Superbus r e gna 48 ottantanove
ánniallorchè fu elpus: fo dalregno;laqualcosapofto che vera , avšia merit:ito
d'esser nota=; ta dagli Storici. Che più ? Si legno gechequestoTarquinio
parecchi a n n i d o p o il R e g i f u g i o ( 1 ) c o m b a t tè a cavallo
alLago Regillo con tro il Dittatore Postumio (2), il che gnavit annos quinque
la viginti ! Regnatum konæ ab condita Urbe ad liberatam annos CCXLIV . Id.
Ib.infinepo42. (1) Vedi T.Livio Decad.I. lib . II. (i) in Pofthumian prima in
acie firos adhortantem inftruen temque Tarquinius Superbus quam quam jam
'&tate a viribus erat gravior equum infeftus admifit ; ietusqueab
latere,concursufuorini receptus in tutum eft. Id. Ib. Pr54 . 49
du che verrebbe a cadere nell'anno centesimo e più.là ancora dell'età sua,
irragionevolezza troppo mag giore chenon sipuò comportare , e la qual nasce
pure anch'essa, co me ognunvede,da uncalcolofon dato sopra leEpoche Liviane.
Come adunquesidebbano le var molti e dalle du rate de'regnidi inni cotefti R e
, egli si provato rimane abbastanza altrimenti nasco dagliassurdiche insieme i
nelvoler comporre no le altre condizioni che ac fatti,e regni; medesimi cer
questi conpiù compagnano furono i quali fatti dalla tra a'pofteri men
tezdatrasmesli quantevolte dizione,che non un pia tornò . Ed egli abbastanza ,
come se fi riducano seguirono del Cielo tre quelli sito neta al medesimo
provato è medesimamente le ,cred'io, SO durate di cotesti Re
allà ordinaria legge diNatura,che li faregna re presi insieme diciotto o venti
anniperuno,secondocheàdisco perto il Neutono , tutte le difficol tà
siappianano,esvauiscono leir ragionevolezze tutte degli Storịci. La qual cosa
benchè sia oramai fuor d'ogni quistione,mi piace aggiu gnere un'altra pruova,
perchè fi vegga vie meglio qualmente sorga il vero da ogni lato, come all' in
contro da ogni lato si manifefta 1 errore·Questanovellapruova fa rà ricavata
dalle generazioni d'uo mini che sono indicate dagli Au tori nella storia di
detti R e , le q u a li anch' esse arguiscono di falla la tecnica loro
Cronologia in quanto alle durate de' regni. Nella vita diRomolofià,che
OttilioAvo lo di Tullo Oftilio morì nella guer- . > ra mo (1)
Principes utrinquepugnam ciebant:ab Sabinis Metius Cura tius, ab Romanis
Hoftius Hoftilius (2) τετάρτω δε μηνί μεν την κτίσιν(ωςφάβιοςισορά) τοπε ρι την
αρπαγήν ετολμήθη των γ υ Voixãi.Plut. inRom .p.25. Plut.Ib.p.29.descrivendo co
meleSabinediviserolazuffatraiRo. mani,eSabiniaggiugne:aipšv.muidice
κομίζεσαινήπιαπροςταίςαγκάλαις 51 racontroiSabini,(1)che viene a cadere
ne'primi anni di quel re gno(2).Ilregnopertantodi Ro ut Hostius cecidit &
c.T. Liv. Dec. 1. lib. I. p. 11. Indo Tullum Hostilium nepotem Hostilii,cujus
in infima arce clara pugna adver Sus Sabinos fuerat , regem populus. j u s s i
t. I d . I b . p . 1 6 . a t e r g o . P l u t . inRom .p.29. /
molo di Nama e di Tullo Ottilio, n o n o c c u p a a u n d i p r e s s o
c h e il t e m po didue generazioni: quella del padre,o della madre che dir vo
gliamo di ello Tullo Ostilio ,che duvette nafcere al principio del regno di
Romolo ,e quella diTul lo Oftilio medesimo D a N u na ad Ancu.Marzio suno due
ge nerazioni , poichè ello Numa era avolo di Anco Marzio (1); dat che ne
feguita che la generazione tra Numa ed Anco finendo al tempo diTullo
Oftilio,rimanga·una ge nerazione fola da Tullo alla fine del regno di Anco .
Con che dal principio del regno di Romolo al (1) Numa Pompilii regis ne
pos filia ortus Ancus Martiuserat. T. Liv.Decad.I.lib.I.p.24. la Plut.inNuma
p.74. ne la fine di quello di Anco corrono incircatregenerazioni.Lucio
Tar quinio Prisco prima detto L u c u m o ne viene a Roma uomo maturo nel regno
di Anco , (1) onde la gene razione di Tarquinio'coincidendo con quella di Anco
non resta che una sola generazione di uomini tra ilregnodiAncoeilregnodiTar
quinio Superbo figlio di Tarquinio ilvecchiooPrisco,Adunque dal principio del
Regno di Romolo al la fine di quello di Tarquinio Su perbo corrono quattro fole
genera zioni in circa di uomini e non più , EglièilverocheTitoLiviodi
cedubitarealcuni,sequesto Tar quinio Superbo folle figliuolo a (1)T.
Liv.Decad.I. lib.I. p.26.eatergo. 53 54 (1) Hic L. Tarquinius
Prifci T a r q u i n i i f i l i u s, n e p o s v e f u e r i t , p a rum
liquet:pluribustamen autho ribusfilium crediderim . Id. Ib.p. 33. devolvere
retro ad ftirpem fra. trifimilior quam patri. Ib. a ter go .Quas Anco prius,
patre deinde Sito regnante , perpelli fint.p. 37. Tarquinius reges ambos patrem
80 vie ,filium perfecisse p. 38.aterg. nepotedelPrisco;ma fenzache i più
erano di oppinione ch'ei gli fusse figliuolo (oppinione abbrac ciáca da esso
Livio medesimo )(1), eglisipuòmostrare,cheda Tar quinio Prisco al Superbo
correfle una sola generazioneper esser Col latino ancora giovane in ful fine
del regno di Tarquinio Superbo , m e n t r e il p a d r e s u o E g e r i o e r
a u o mo già fatto nel regno di Tarqui nio Prisco,come abbiamo veduto
avatt avanti.Ora fommando insieme gli anni di quattro generazioni,
ognu na delle quali ragguagliata è di trentatre anni (1),si hanno cento e
trentadue anni , e dando a cia fcun Re diecinove anni di regno , sihanno cento
trentatre anni,ilche derivato dalle Leggi di Natura co sì maravigliosamente
conviene col la regola cronologica delNeutono , che
leosservazioniastronoinichepiù a capellononconvengonocolleTeo rie
eco'calcolidiquel grand'uomo. Io nonaggiugneròaltroaque fto Ragionamento,se non
che a quel modo che la Cronologia del Neutono assolve Virgilio che fu il più
esatto de'Poeti da quello Ana cronismo imputatogli comunemen (1) Vedi la
Cronologia del Neutono p.46. p. 56. 53 te 56 te in rispetto
a'tempi in cuiyisse. ro Enea e Didone ,così ella può giustificarequellacomun
tradizione tenuta inRoma,che Numa fusle stato uditore di Pitagora , e che non
meno contribuisseafondarquel lo Imperio , il qual fu fignor delle cole,la Virtù
Italiana che la Gre ca Sapienza. Algorottus. Francesco
Algarotti. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, "Grice ed Algarotti," per
Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51715434392/in/photolist-2mTCXhf-2mMV7Uy-2mKwuhr-2mKC2Sh-2mKgUQf-2mKiHWP-nDMWb2/
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