Grice e Barbaro – il
Daniele – filosofia italiana – filosofia veneziana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo. Grice:
“This can be confusing to Oxonians, althou we are familiar with the Hanover
dynasty! Daniele Barbaro, a faitehful nephew, commented on his uncle’s, Ermolao
Barbaro’s, ‘translation’ of Aristotle’s rhetoric – I shouldn’t even be saying
this since it’s implicated in the title where Ermolao features as ‘interprete,’
and the ‘commentarium’ is due to Daniele.” Grice: “On top, Daniele wrote about
‘eloquenza,’ but his comments on his uncle’s vulgarization into latin of
Aristotle’s vulgar-greek (koine) rhetorica – is perhaps more Griceian – since
there is little conversational about Daniele Barbaro’s ‘eloquenza,’ while the
rhetoric (or ‘rettorica,’ as he prefers) is ALL about ‘dialettica’ and
dialogue!” -- Daniele Barbaro patriarca
della Chiesa cattolica Portret van Daniele Barbaro Rijksmuseum SK-A-4011.jpeg
Ritratto di Daniele Barbaro, attorno al 1561-1565, opera di Paolo Veronese,
presso il Rijksmuseum di Amsterdam Template-Patriarch (Latin Rite) Interwoven
with gold.svg Incarichi ricopertiPatriarca
di Aquileia. Nato 8 a Venezia Nominato patriarca 17 dicembre 1550 da papa
Giulio III Deceduto13 aprile 1570 (56 anni) a Venezia. Ritratto da Paolo
Veronese, 1562-1570 (Firenze, Palazzo Pitti)
Villa Barbaro a Maser Pratica
della perspettiva, 1569 È noto soprattutto come traduttore e commentatore del
trattato De architectura di Marco Vitruvio Pollione e per il trattato La
pratica della perspettiva. Importanti
furono i suoi studi sulla prospettiva e sulle applicazioni della camera oscura,
dove utilizzò un diaframma per migliorare la resa dell'immagine. Uomo colto e
di ampi interessi, fu amico di Andrea Palladio, Torquato Tasso e Pietro Bembo.
Commissionò a Palladio Villa Barbaro a Maser e a Paolo Veronese numerose opere,
tra cui due suoi ritratti. Daniele
Matteo Alvise Barbaro o Barbarus fu figlio di Francesco di Daniele Barbaro ed
Elena Pisani, figlia del banchiere Alvise Pisani e Cecilia Giustinian. Suo
fratello minore fu l'ambasciatore Marcantonio Barbaro. Barbaro studiò
filosofia, matematica e ottica all'Padova.
Fu ambasciatore della Serenissima presso la corte di Edoardo VI a
Londra, dall'agosto 1549 al febbraio 1551, e come rappresentante di Venezia al
Concilio di Trento. Nipote del patriarca
di Aquileia Giovanni Grimani, fu suo coauditore nella sede patriarcale di Aquileia.
Venne promosso in concistoro a patriarca "eletto" di Aquileia
(coadiutore), con diritto di futura successione, ma non assunse mai la guida
del patriarcato perché morì prima dello zio. All'epoca tale carica era quasi
una questione di famiglia per i Barbaro, infatti furono patriarchi di Aquileia
ben 4 Barbaro fra il 1491 e il 1622:
Ermolao Barbaro il Giovane, patriarca di Aquileia dal 1491 al 1493,
Daniele Barbaro, patriarca di Aquileia, Francesco Barbaro, patriarca di
Aquileia dal 1593 al 1616, Ermolao II Barbaro († 1622), patriarca di Aquileia
dal 1616. Fu forse nominato cardinale in pectore da papa Pio IV nel concistoro
del 26 febbraio 1561 e mai pubblicato.
Solo i Grimani, con cui erano imparentati, occuparono più volte il
patriarcato (ben sei). Partecipò a varie
sedute del Concilio di Trento a partire dal 14 gennaio 1562 fino alla sua
chiusura nel 1563. Atre opere: commentarii
di Aristotele Retorica del suo pro-zio Ermolao Barbaro il Giovane (Venezia); Compendium
scientiae naturalis di Ermolao Barbaro il Giovane (Venezia); Commento
sull’archittetura d Vitruvio, pubblicato col titolo “Dieci libri dell'architettura
di M. Vitruvio” (Venezia). Di essa pubblica anche una versione in latino
intitolata M. Vitruvii de architectura, (Venezia). Le illustrazioni sono
realizzate da Palladio --; un trattato sulla geometria, prospettiva e scienza
della pittura, La pratica della perspettiva (Venezia); un trattato sulla
costruzione delle meridiani, “De Horologiis describendis libellus” (Venice,
Biblioteca Marciana, Cod. Lat. VIII, 42). Più tardi si scopre che il testo del
Barbaro affronta la tecnica di strumenti come l'astrolabio, il planisfero, il
bacolo, il triquetrum, e olometro di Abel Foullon. Cronache, probabilmente
riprese da Giovanni Bembo nella Cronaca Bemba. Aurea in quinquaginta Davidicos
Psalmos doctorum graecorum catena interpretante Daniele Barbaro electo patriarcha
Aquileiensi, Venetiis, apud Georgium de Caballis. Note La
pratica della perspettiva, 1569, consultabile online (testo italiano + tavole
originali) Giuseppe Trebbi, Barbaro
Daniele, in Nuovo Liruti: dizionario biografico dei friulani. 2: l'età veneta.
A-C, Forum editrice universitaria, Udine 2009374 Eubel, Hierarchia Catholica Medii et
Recentoris Aevi, III39, che cita gli Acta camerarii 9, f. 37 e gli Acta
vicecancellarii 8, f 7 Louis Cellauro,
Daniele Barbaro and Vitruvius: the architectural theory of a Renaissance
humanist and patron, Papers of the British School at Rome, 72 (2004), 293–329 Pio Paschini, Daniele Barbaro
letterato e prelato veneziano del Cinquecento, Rivista di storia della chiesa
in Italia, 6 73–107. Władysław Tatarkiewicz, History of Aesthetics, III: Modern Aesthetics, edited by D. Petsch,
translated from the Polish by Chester A. Kisiel and John F. Besemeres, The
Hague, Mouton, 1974. Daniele Barbaro, Pratica della perspettiva, In Venetia,
appresso Camillo, & Rutilio Borgominieri fratelli, al Segno di S. Giorgio,
1569. 30 maggio . Robert Devreesse, La chaine sur les psaumes de Daniele Barbaro,
in Revue Biblique, Giovanni Mercati, Il
Niceforo della Catena di Daniele Barbaro e il suo commento del Salterio, in
Biblica, 26, 1945, 153-81.
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line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Giovanni Vacca, Daniele Barbaro, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Daniele Barbaro, su Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc. Giuseppe
Alberigo, Daniele Barbaro, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere di
Daniele Barbaro, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Daniele Barbaro,
. David M. Cheney, Daniele Barbaro, in Catholic Hierarchy. Daniele Barbaro, su museogalileoMuseo
Galileo, Firenze. 21 ottobre . Daniele Barbaro (15141570), su
mathematica.snsEdizione Nazionale Mathematica Italiana, Pisa, Centro di Ricerca
Matematica Ennio De Giorgi. 21 ottobre .Salvador Miranda, Barbaro, Daniele
Matteo Alvise, su fiu.eduThe Cardinals of the Holy Roman Church, Florida
International University. 21 ottobre . PredecessorePatriarca di
AquileiaSuccessorePatriarchNonCardinal PioM.svg Giovanni Grimani17 dicembre
155013 aprile 1570Aloisio Giustiniani4959495 Umanisti italiani 1514 1570. Nati
l'8 febbraio 13 aprile Venezia VeneziaBarbaroPatriarchi di AquileiaAmbasciatori
italiani. DELLA ELOQUENTIA, DIALOGO. INTERLOCVTORI: L'ARTE, LA NATVRA , ET L'ANIMA . R.IO VORREI
VOLENTIERI Natura , che noi disputaßimo insieme , fe però l'ufficio del
disputare alla tua conditio nesi conueniſſe . NAT. Il diſputare é cosa da te ò
Arte, figliuola mia. Ma fe à me stesse l'ammaeſtrarti, di presente direi, che
tra il tuo intendimento, o il mio, alcuna differenza non fuſje, da che dentro
ti venija se il contender meco. AR . Al almeno desidero tale occasione . NAT.
Vano, o dannoso desiderio é il tuo, si perche io non sono mai ociosa ,
come perche tu sempre dei non mes no abbracciare il bene che cercare la verità
delle cose. AR. Niena te più migioua, che il bene, ne che il vero più mi
diletta. NA. In questo almeno tu m'assomigli, che ouunque sia , ch'io mi
ritrdovi, il vero sono, o il bene di ciascuna cosa . AR. si, ma tu alla cieca ne vai, e io di tanto amo ogn'uno,
che con deliberato consiglio , o anati veduto fine faccio, lo difar bene . NAT.
Emmipur manifesto che la tua grandezza è di nascondere te stessa quantopuoi, o
di accoſtarti à me . AR. Queſto é,maciò auiene,perche tu prima di me al mondo
ueniſti, o gli huominia'tuoi piaceri aduſaſti , innanzi ch'io ci naſceßi; o
queſta mia imitatione non ti accreſce dignitade alcuna . Percioche,nëla formica
uile animaluzzo e più degna , ne l'huomo meno onorato, ancor che questo quella
imitando , l'eſtate per lo uerno ſiproueda.La mia induſtria, Ò Natura , fa
maggiore il tuo pouero patrimonio . NAT. Che accreſcimento farebbe ella,ſe io
non ti laſciaßi che accreſcere ? Tupure,ſe uuoi,ben ſai, che ogni operă
preſuppone il ſoggetto,ſenza il quale nulla ſi può fare. Que fto da me , non da
te procede; oltra che appreſſo giuſto giudice il ſecondo DELL A ſecondo luogo,
non che il primo, ti faria denegato. AR. Giusto à tua ſcelta intendi colui, che
te à me anteponga;ma nonſai che per la età molto ti concedo . NAT. E'mipiace di
ragionare an poco tea coſopra queſta materia , poi che tant'oltra procedutaſei,
che di te con buona equità midolga . Dicoti adunque, che in ordine di onoran za
ne prima ſei, né ſeconda . Ar . Chi adunque à noi ſopraſta ? NAT. Chi ne fece
ambedue é il primo.10 ſenza mezo dalui nace qui. Tu doppo me sei . NAT. Adunque
mentono coloro che affer mano , te effer madre uniuerſale , poi chetu ſteſſa
non nieghi eſſere d'altruifattura ? NAT. Ad un modo io ſono madre,ad un'altro
figlia. A R. Adunque di te coſa picprestante ſi truoua ? NAT. Chi ne dubita ?
Ma io per eſſere å gliumaniſentimenti uicina, tutta fiata ſon preferita . AR.
Hai tu conoſcimento di fine alcuno ? NAT. Certo no ;ma nelgouerno del tutto io
ſon drizzata,e quafi addeſtrata dalpadre mio . AR. In che dunque é ripoſta
queſta tud gloria ? NAT. Tanto potente,ſaggio, w buono é ilmio fattore , che la
ſua gloria in me mirabilmente ſoprabonda . AR. Sommi più voltemarauigliata di
coteſta tua occulta uirtù ,dalla quale tu ſei cosi gentilmente
guidata.jpelefiate mi è uenuto in animo di cre dere che ella forſe habbia
potere di trar mead imitarti diforza; ergo però diſcorrendo,etpiù dentro
penetrando, bo giudicato eſſere gran famiglianza tra quelprincipio , che ti
muoue, &me,ondeper la ſea creta uirtu ,non tua,io mi muouo ad operar come
tu fai. Ma poi mi pare,che,ſe il diſcorrere l'ordinare,e il ridurre àfine le
coſeantiue dute, è ufficio mio,io ſia inanzi di teſtata nel Cielo appreſſo il
padre tuo, che egli habbia l'opera mia uſata in generarti ò produrti NAT. In
altra guiſa io faccio le coſe mie tule tue, di quella del fattor noſtro,
chenehafatte, & create.Però guardati dinon giudi care troppo animoſamente
le coſe , figurando le inuiſibili, & occulte per le uiſibilio manifeſte .
Ma perchecosi agramente mi condane ni? ſe in qualunque modo tu uuoi per le coſe
già dette chiamar mi, ò madre, è figlia, o ſorella, ó amica ſeisforzatadi
nominarmi ? no mi tutti di congiuntione, amicitia, oſtrettezza. Egli non ſi uuol
có. si correre a furia . AR. Non ti adirare ó Natura, che io non ho contra te
mal uolere, né il finemio é ſtato cattiuo , anzi per lo tuo ef faltamento ho
uoluto raffrenare la mia credenza, che era di ſapere con qual calamita io
tirata fußi ad operare come tu fai,e mi uenu to ben fatto per lo ragionamento
,che éftato fra noi, perche hauen do noi do noi ritrouata l'origine del noſtro
naſcimento,ſiamoſicuré della no ftra nobiltà, come quella checon la eternità
ſipareggi,o dal primo fattore d'ogni coſa proceda . Ma ben mi duole , & per
queſto ti ho chiamata,cheà molte ſciagure ſia la grandezza mia ſottopoſta .Et
quanto maggiore è lo stato mio, tanto àpiù pericoli mi ueggio eſſer ſoggetta .
NAT. Quai ſciagure , oquai pericoliſono queſti ? AR. Saper dei Natura, madre
mia , che in tutte le parti delmondo mi truouo hauer molti miniſtri,de quali
neſono alcuni,chemifanno una gran uergogna, a oltre à ciò miſono di danno
infinito , o per lor cagione io ne ſento male . Perche non indrizzando me al
debito fine, anzifieramente in abuſo ponendomi, come buona, utile, oono reuole
cheio ſono,rea,dannofa , & uituperabilemifanno . Ondegli huomini per mezo
mio ingannati da loro, certi de' loro danni, main certi di chi la colpaſiſia,
s'accendono d'ira contra dime, à guiſa di co loro,che le ſpade,o non
glihomicidi punir uoleſſero. NAT. Tu non ſei ſola nelmale di si fattioltraggi,
tutto'l dime ne uengono afe ſai . Percioche producendo io ogni coſaà beneficio
della vita di chi ci naſce, moltiſciagurati epieni dimal talento, maleufando
l'arti ficio loro,empiono iltutto diconfuſione, auelenando, uccidendo,in,
gannando, eoffendendoſenza riguardo alcuno; e chi ode o xede taliſceleraggini,
maledice ogni mia fattura . A R. Duraper certo ėlaforte noſtra,però che il
uolgo cieco, &ignorante non ſa,chereo non è quello , che in bene uſar
ſipuote.Maper uer direzio poco mi marauiglio, ſe il ueleno auelena,ò il
ferrouccide, ma ben grandeam miratione miporge,quädo il cibo, di cuiſiuiue,cosi
ſpeſſo in cattiuo umore ſi conuerte,che alla morte conduce. Et ciò dico à
fine,chetu Sappia quantoiogiuſtamente mi dolga,che lapiù pretiofa parte,che
tupergratia del tuo fattoreall'huomo cõcedi conla quale egli poſ fan debbia
altrui eſſere d'infinito giouamento , cosi ad offeſa Sia, ex à danno preparata
, che niente più . NAT. Chié quelmaluagio Oingrato,che tal coſa ardiſca di fare
? AR. L'Anima, o la più diuina parte di lei. NAT. Perseguitiamola dunque, o
facciamo la citare dinanzi al Tribunal diuino , Voglio , che ella dica la cauſa
ſua. AR. Ma prima uoglio,che infingendo noi con eſſo lei,tanto la prendiamo che
ella dica à noi ogni ſuaeſcufatione . NAT . Né la giuſtitia del Giudice, né la
uerità del fatto , nela tua dignità ricerca tale inganno,eſſendo quello
ſincerißimo,la coſa uerißima, otu quel la,che del medeſimo errorej, del quale
ſei per riprender lei, puoi eſ A 2 Ser accufatd. A R. Ben di..Ma io altrimenti
non ſonouſata difure. Ma eccoti queſta ingrata ,che di molte parti, et
eccellenti doni da noi dotata d'alcuna gratia,che futta le habbiamo,non ſi
ricorda ,contre mecon me fteſa ,o contra te per li beni, che dato le hai ,
altiera ſi lieua . Aſcoltiamola alquanto. ANIMA. Iddio vi ſalui ſorelle
amantißime, delle qualiund mi rende atta l'altra mi fa gagliarda als l'operare
. AR. Et te ancora ſecondo il tuo buon uolere, ma dins ne, che usi tu cercando
? AN. Te ſopra tutte le coſe . AR. In parte difficile ti ſei riuolta, perciò
che biſogna, che tu oſſeruicon di ligenzatutte le operationi, a modi di coteſta
noſtra commune amis ca. A N. Hoio ad impiegare tanta fatica, innanzich'io
t'imprens da ? AR. Et poſponere a queſta ogni altra cura,ben che dolcißima cura
ti fia , per la ſperanza dello acquiſto, che ne farai. Ma che parte di me
conoſcer deſideri ? AN. Indifferentemente,ſe poßibil fuſſe, tutte le uorrei ,
tutte le abbraccerei tutte le poſſederei . Ma ora grado mifia tant'oltre
procedere, ch'ioſappia altrui paleſare i cons cetti miei . AR. Più chiaramente
midi quel che uuoi,perche in molte maniere giouar ti poſſo d'intorno à cosi
fatto dimoſtramento di penſieri . Vuoi tu ſapere conqual nodo di ragione ſi
ſtringa ung parola con l'altra quale ſia la concordanza de' numeridelle per
fone, ode' uocaboli delle coſe, et con quai regole dirittamente fifcri Me ? AN.
Queſta parte io la preſuppongo. AR. Forſe tu uai cer cando d'intendere con
quale unione una coſa con l'altra conuengd, per poter'à tua uoglia
diſcorrere,argomentare,o foſtenere le cons teſe
AN. Né ciò intendo per ora , ma di più diletteuol parte ho curd . AR. Tu
uuoi tutta fiata porgere diletto col parlar ſoauiſ fimamente,à guiſa di
delicata uiuanda acconciandoi numeri,il ſuono, per l'armonia delle uoci
eſprimenti coſe piaceuoli, & grate à i fenfi umani ? A R. 10 uorrei più
adentro penetrare, né tanto effer folles cita di piacere alle orecchie ,quanto
di giouare all'animo , operò dimmiſe hai più parti, quaſi figliuole,cui ſi
conuenga la cura del ras gionare. AR. Honne , o hauer ne poſſo ancora molte
altre , che nonſono in luce ; ma tra le altre una ue n'ba, che non è leggitima;
un'altra la quale bēche leggitima ſid, pure e di tāto riſpetto, che rare Holte
ſilaſcia al mondo compiutamente uedere. La prima in tanto da me é hauuta per
buona , in quanto ella inſegna di conoſcere gli ingan ni del parlare , e à
fuggire i ciurmatori . Laſeconda e da me coſto dita,
&guardatamolto,percheio temo , che gli huomini di malaf fare non la ſuijno.
Et eſſendo ella di bellezza,o di forma ſopra ogni altra eccellente gran
pericolo miſoprafta Jlquale tolga lddio , ma doue non paſſa la maluagità umana
: doue non penetra l'audacia ? ego di queſto, poco fa , la Natura, a io ci
doleuumo, et penſauamo,che tu fußi quella tu , che d'ogni male Q uergogna
noſtra fußi l'apporta trice . A N. Perunared eu perfida, che ſi truoua , non
crediate di gratia, che oggi di tutte ſieno tali,perche da me ui prometto,che
als tro che onore non hauerete , AR. Bene, o cosine cape nell’anis mo. Che uuoi
tu adunque da me ſapere ? AN. 10 cerco
molto , Ò Arte, à modo mio di posſedere coteſta tua cosi bella, o riguardata
figliuola,à benefitio deipopoli, o delle genti, o à gloria tua, di me,dicui
altro cibo più ſoaue non truouo . AR. Prega tu prima la Natura, che à te
conceda corpo ben diſpoſto, oformato , aſpetto graue, o gentile, uoce chiara, á
eſpedita fianco,modo, o mouimen ti conformialla virtù , che deſideri".
Appreſſo poi à me prometterai congiuramento di non ufare già mai la figliuola
mia,uezzofa , inſos lente, « che tanto uagaſia delle bellezze ſue, che per
farſi uaghegs giare in ogni luogo , in ogni tempo , in ogni propoſito ſenza
riſpetto alcuno compariſca . Et con luſinghe eadulatione dal ben fare le genti
, o i popoli aſcoltanti rimuoua . AN. Se ottimo uolere , fe oneſtédimanda
ritruoua luogo appreſſo di te, o Natura, con ogni af fetto ti priego, chetu mi
dia quello chel'arte mi perſuade, che ti dis mandi, corpo
gratiofo,formato,odotato di quelle parti, che conue nientiſono alualore della
figliuola fua . Etſe bene in alcun tempo io non ti poteßi di tanto
donorimeritare,pure non ceſſerò di eſſertiſem pre obligatißima. NAT . Siati la
gratia , che dimandi, conceſſa . A N. Io tigiuro ó Arte,perquella diuinità, che
ſi truoua maggiore, di accoſtumare la tua figliuola à giouare ouà ben
far’altrui , né per modo alcuno permettere, che ella ſeguagli apperiti diſordinati,
ma circoſpetta ſempre , oſempre riguardeuole compariſca . AR. CO si habbi la
chiarezza del ſangue, la libertà , eccellenza della pas tria , ibeni da gli
huomini defiderati, come ciò facendo,alcolmo della gloria à pochi conceſſa
,peruenirai. NA . Felice patria ,che di tale, e tant'huomoſaràfornita. Maqual
patria le dareſti tu ,ó Ar te ? AR. A'mia uogliale darei quella ,in cui le
leggi poteſſero piit, che gli huomini , doue la maggior parte alla commune
utilità s'ina drizzaſſe; antica,nobile,illuſtre,e di quelgouerno, nel quale il
bes ne di tutti glialtri gouerniſiconteneffe, qualeforſe non più che unds'e s'è ritrouata ,oſi ritruoua al mondo, oforſe
tu , o Natura,conſentia ſti di prepararle ilpiùſicuro & comodo luogo , oil
piie forte fito , cheueder ſi poſſa,nonmeno al mare che alla terra uicino ,cui
di gra tiaſpeciale ancora il Cielo concede priuilegio di eſſer nimica d'ogni
tumulto, o ſeditione,parca,pia,oreligioſa , con inſtitutiottimi temperata : NA.
Troppo di cuore commendi, o lodi queſta tua Città, eforſe à ciò fare queſto
t’induce ,che tu in eſſa puoi il tuo ud lore, o la tuaforza chiaramente
dimoſtrare . Ma tu, ó Anima, già ricca di tanti doni, chefatti t'habbiamo, che
dici ? A N. Le gratie non ſonopari al uolere,io attendo quello, che attender
dei , &sò lo ſtudio ,che tu ſei ſolita di porre nelle coſe tue;mi&
rendo certa, che tuſai ancora, che ritrouando io unatemperatißima compleßione
di corpo ,à quella dò la umanaperfettione, o come quella temperanza
cade,cosiſopra di eſſa declina ilmio ualore. Làondeſono alcune co ſe, allequali
io non degno la uita concedere. Ad altre ueramente dos no la uita,ma le
operationi di quella cosi ſono occulte, che in forſe fi ftà di credere ſe in
eſſe la uita ſi truoui . Altre uita ,ſenſo, omouis mento da me hanno comealcune
intelligēze, et amore, coſa nobile et ueramente diuina . NAT.
Queſtomipare,checosi ſia map ure als cuna fiata io ueggo, che le anime uan
ſeguitando le compleßioni de' corpi. Onde poiſono alcuni ſdegnoſi, alcuni
manſueti, altriuanno dietro alle apparenze,altrialle fauole più che alla uerità
fi danno , emolti in ogni pruoua, ſoda ex inquiſita ragione uan ricercando. A
N. Et queſto èquello da me tantodeſiderato dono , che e di ſapes re in tal
guiſaſpiegare i concetti miei,ch'io ſatisfaccia à tanta diuer. ſità di nature,
o d'ingegni. NAT. Quando tu ſarai giunta à quel paßo,chetu ſappia per mezo
dell'arte cosi ben gouernarti con ogni maniera di perſone,dotte,roze,ciuili,
barbare, umane, e inumane , allora potrai à tua uoglia mitigar’anco gli
adirati, fpingere i pigri, raffrenare i feroci, ingagliardire i deboli; et di
uno in altro cótrario à uiua forza ogni anima tramutare . A N. Coteſta é und
magica eccellentiſsima. Ma tu Arte,cui è dato di ritrouare alcune uie ragio
neuoli di peruenire alla cognitione di coſe non conoſciute, incomincia da
quelle che facili, en eſpedite ad inuiarmi al deſiderato fine riputes rai . Ar.
Cosi uoglio, o à te farò capo , ó Natura, dinuouo addis mandandoti,di che beni
uuoi tu adornare queſta noſtra nouella ſpoſa ? NAT. Hollo già detto, a più
aperto ti diſtinguo ,dar le uoglio , ol tre al corpo ben formato unauoce grata
, chiara, eguale, che ogniſuonoageuclmente ſi pieghi, e che ſe ſteſſa inſino
all'eſtremo ſoſtenti. AR. Et io le dimoſtreró parole atte ad eſprimere leggia
dramente ogni concetto,pure,ampie, illuftri, eleganti ſeuere,giocona de,
accoſtumate,ſemplici,uere, tarde, ueloci, ofinalmente tali , che abbracceranno
la uera idea di me in queſtoeſſercitio . Et di più io l'inſegnerò di collocarle
si fattamente inſieme, che diletteranno ſema pre , o non falliranno già mai ;
or iu Anima farai ociofa ? AN. Hauendo io per gratia di te Natura le coſe
conuenienti , oper tud corteſia ò Arte le parole conformi, farò si, che niuno
in mepotrà de fiderare ne penſamento neſtudio alcuno . NAT. 10 a' ſenſi tuoiſot
toporrò tutte le coſe, dalle quaifacilmēte ti uerrà fatto di prendere argomento
di ragionare. Tu fin tanto non mancherai di diligenza. AR. Paterno, oſaggio
ricordo. Però che con la diligenza ogni giorno teſteſſa auanzerai, ella ti farà
poßibile ogni impoßibilità ,ela la é la perfettione, lalode di tutte le opere
de mortalijà cui cons giunte ſono tutte queſte coſe, cura, induftria, penſamento,fatica,eſſer
citio , imitatione de migliori, «il tempo padre d'ogni coſa . Credi adunque à
me quelloche la lunga eſperienza mi haidimoſtrato, cioé, che niente giouano
imieiprecetti,niente le regole,niente gli ammae ſtramenti,ſenza la
diligenza,con la quale oltre alla inuentione , all'ordine delle coſe,otterrai
di accommodar la uoce alle parole, eſpri mendo le umili con baſſo, o rimeſſo
ſuono, le pure coniſchiettezza, le afpre con durezza,abbaſſando, &
inalzando queſto beato inſtrué mento à que' tuoni, che ſaranno conuenienti .
An. Coteſte fono leggi da eſſere oſſeruate allora che io ſarò col corpo
congiunta. Pers cheben ſai chenė lingua, nė uoce habbiamo, nė però egliſi
uuoldire cosi ad ogn'uno,in che maniera tra noi fauelliamo . NAT. 10 ſo be ne,
chegli huomini andrannofauoleggiando di noi , come altre fiate hanno detto
chele cannucce parlarono , ilche é maggior miracolo , che ſe gli Indiani
uccelli eſprimono le uoci umane. A R. Se già col mio aiuto uolarono gli
huomini, molte coſe inſenſate hebbero mo uimento , che marauiglia potranno oggi
maiprendere del parlar nos ſtro ? AN. Che debbo dir’io ? partita ora
dalluogo,oue il parlaa re é uiſibile , l'intendimento ſenza fauella ſi ſcuopre,
muoueſi ſenza luogo,e s'impara ſenza discorso. AR. Coteſti miracoli , che tu ci
narri,ſono ſegno, che tu non habbia biſogno dell'opera noſtra . AN. Tu di vero,
ſeio nella mia primiera ſimplicità mi rimaneßi. Ma diſcendendo dalpuro o
purgato eſſere, o venendo quaſi ad un'aria infettata e corrotta,molto mi ſento
dal mio primo ſtato ria moſſa . NAT. Peggio ti auerrà meſcolandoticon la masſa
matea riile del corpo . A N. Ad ogni modo mi biſogna ſtar ſottopoſta. AR. Non
uſciamo di ſtrada,macome buoni mercatanti accontiamo inſieme . Haßi
dunquefin'ora promeſſa di uoce eſpedita , di copia di parole , di modo
conueniente di accomodar la uoce alle parole ;oraci reſta di affettare le
parole alle coſe. Cheditu Natura ? NAT. Die co, ch'egli è più che neceſſario
queſto affettamento,ſenzail quale le parole ſarebbon uane et ſenza frutto, però
accreſcendo le doti, che io intendo dare à coſtei , promettole di dimoſtrarle
nelle coſe mie us na certa uerità , alla quale accoſtandoſi, potrà ſeco tirare
ogniforte di gente , o di tale ueritàſenza dubbioti affermo eſſerne ogn'uno
capace. A'R . Già tre corde di queſto liuto ſono accordate , uoci, parole , a
coſe. Reſta, che nelle coſeſi ueda una certa conuenienza con eſſo teco,ò Anima,
e con le parti tue; che ne riſulti la perfetta e compiutafoauità della
deſiderata armonia. Però aiutamia ritros uare le tue più ſecrete parti, epiù
occulte uirtù, acciò cheſi ſappia qual parte di te, con quai coſe, « con che
parole, et con che attione ſi debba muovere . A n. Piacemi queſta diſpoſitione
mirabilmene te ofappi ,che auenga;ch'io nonſia ſtata col corpo già mai, nientes
dimeno come nouella ſpoſa nella caſa del padre molte coſe hoſapute, che mi
aueranno quando ciſarò legata. A R. Ora incomincia à dir mene alcune. AN. Hogià
inteſo,che quando io ſarò con eſſo il cor po, molte mie forze emoltemie uirtù
ſi ſcoprirāno,le qualiora non ſi conoſcono. Et prima ne gli occhi io ſarò il
uedere,nell'orecchie l’u dire, nel palato il guſto , per ogni luogo oparti del
corpo faró ſentimento, nel cuore principio diuita,di ſenſo,etdi mouimento .Ben
che ad altra intentione altri riguardando,la origine di tai coſe ad al tre
parti aſſegnerano. In un luogo ſarò fantaſia,in altro memoriain altro
ingegno,et per tutto ſarò anima.Et ſe il corpo fuſſe di tal tem pra, chegli
fuſſe diffoſto à riceuere ogni mis uirtù, farei nelle orecs chie la uiſte , o
ne gli occhi l'udito, quantunque per molti accia denti , che uengono à i corpi
, l'animepouerelle uſar non poſſano le forzeloro, da che nacque l'opinione di
coloro, che dicono "credos no che noi moriamo inſieme col corpo.Ma io ti
giuro per quell'onnis potente maeſtro, che mi fece che noiſiamoimmortali , oſe
ora io fo noſenza il corpo,perche non ſi dee credere che io reſtar poſlı dapoi,
che'l corpoſarà disfatto ? AR. Tutto chemolte ragioni aſſai pro Babiliper l'und
ei per l'altra parte mi muouano,pureal modo,che io Sonoſolita di cercare la
uerità delle coſe ,io non ſono puntoſicura del la voſtra immortalità, però
rimettendomi à qualche maggior ſapien za, che la mia non é, mi gioua di credere
che noi uiuiate eternaměte. A N. Più oltraiſe fenza il corpo conoſco ,fo ueggio
, econoſco di conoſcere,miapropria operatione, che dirai tu poſcia dello eſſer
mio ? AR, Ritorniamo al cominciato ragionamento . An. Ben ti dico ora delle
forze mie, perche io conoſco di dentro , e di fuori, dentro con la fantaſia,
col diſcorſo , o con l'intelletto , o ciò si dia mandavolontà, come quello del
ſenſo appetito , il quale hauirtù di porſiinanzialle coſe diletteuoli, o di
fuggire le diſpiaceuoli.La no lontà è Regind. AR . A'me pare , che tu mi
hábbiposto inanzia gli occhi la forma di una ben'ordinata Republica, nella
quale ui ſia il Principe, iCoſiglieri,i Guardiani, et gli Artefici.
Mainfinitamentemi doglio d'alcuni , che per molti ſecreti auenimenti, de' quali
non fan renderealtramente ragione, corrono à fabricar nomi, che nonſono, et con
quegli impauriſcono le genti,aguiſa delle nutrici,che ſpauenta, no ifanciulli
con le fauole, quindi è nato il nome della Fortuna,cui ca pital nimica io
ſempreſonoſtata, nõ percheio creda,che à quel nome alcuna coſariſponda ,
maperche mimoleſtalafalſa opinione di colo ro, che non ſolamente uogliono , che
ella ſia una coſa come le altre, che ſono, ma le attribuiſcono la diuinità.
NAT. 10fo bene, che la for tuna non è fattura mia . ART. Né di me'ancora. An.
Molto mea no dimeauezza à coſe stabili e impermutabili. ART. Laſcida mola
dunque andare, o ueggiamo ſe io ti bo ben’inteſa, due ſono i conſiglieri,per
quanto io comprendo,ragione, &appetito, daiquali commoſſo e
perſuaſo,s’induce à fare, eoperare il tutto , perche ora nė difortuna,nédi uiolenza
alcuna ragiono. A N. Senza dub bio ,ſe riguardi al nome, maſaper dei, che ſotto
queſto nome di appea tito ſi comprendono due conſiglieri,l'uno , nel quale è
poſto l'iracons dia,che è come difenſore dell'altro,nelquale è posta
lacõcupiſcenza. AR . O diquantimali, e di quante conteſe l'uno e l'altro de gli
appetiti ſuoleſſer ſemenza . An. Queſto non già auiene pur il dritto gouerno in
tirannia non ſi tramuti. Diritto gouer è quel lo,nel quale ,chi deue ubidire,
ubidiſce , ochi dee comandare, cos manda". La ragione adunque di queſta
piccola città preceder deue allo appetito, e non permettere, che egli ad
abandonate redini cors sendo, ſeco dietro la tiri. AR . Moltomipidce quello che
tu di,eso B per che 1 jo per ricompenſa di tal piacere voglioti ſcopriremoltiſecreti,
che io bo d'intorno alle predette coſe.Ma dimmi tu prima queſta una parte,
nella quale é riposta la ragione,diche hai tu inteſo cheella eſſer deb bia
adornata ? NAT. Diſcienza o di buona opinione ART, Vero é , per che la ſcienza
é ilpiù bello adornamento , che s'habs bia, al qualeſe s’auicina la buona
opinione,ò che gentileabito é que ſto ,diche l'animaſiueſte apparando le
ſcienze . Alora ella acquiſta laſua perfettione,allora ella é pronta à
conſeguire il deſiderato fine, & quaſi ſeſopraſeinnalzando auanza ogni coſa
mortale, o ſi cons giungecon la diuinità .Ma come di coſa precioſa,orara,
difficile,or non da noi ora cercata,non ne ragioniamo, ma ritorniamo alla buong
opinione , la quale si come la ſcienza è una certa cognitione delle cofe
occulte, nata da uere og manifeſte cagioni, cosi eſſa opinione è una incerta
notitia,nata da alcune dubbioſe cagioni, alle quali l'anis ma con timore
difallire, odi errare, s'inchina . Per uoler'adunque ottenere l'intento fuo ,é
biſognoconoſcere il modo,col quale dapia gliareſi hanno ,o , comeſidice , farſi
beneuoli i detti conſiglieri,ac cio che acquiſtata lagratia loro , l'animaſi
muoua àfareleuoglie di chi parla.Muoueſiadunque la ragioneuol parte,che è
nell'anima, că lepruoue, ocon le ragioni; & tal mouimento s'addimanda
inſegna re. Etperche la ragione è uno de' conſiglieri,prudente,etſuegliato ,
perd nell'ufficio deŪ'inſegnare é di mestiere diacuto epronto inten :
dimento,mal'appetito in altro modoſimuoue.Il primo , che è detto
Concupiſcibile,richiede una certa piaceuolezzaet cõciliatione. Pero ciòche cosi
di dentro i petti umaniſono da quello tirati . Ilſecondo gli fpigneàforza,
operò cõ eſo egliſiuuole uſare uno impeto, a cui più propriamente queſto
nomedimouimento ſi conuiene, che à gli al tri ; e comedebito è lo
inſegnare,cioè il dimoſtrare con ueriſimil pruoua le propoſte coſe, cosi è
onoreuole il conciliare, o neceſſario il muouere. Ma da ogni afficio di queſti
tre peruiene lapropria dileto tatione. An. Io ſo almeno ,che altro diletto non
ho che lo apparda re . AR. Et tu prouerai appreſo quanto piacere naſca negliapa
petiti. An. 10 pure ſono auifata cheeſſendo in eßi ripoſte le umaa ne
affettioni, nonpuò eſſere che ſenza riſentimento di dolore ſimuou wano. ART. In
ogni affetto, & mouimento d'animo,dolore, o piso cere ſono compagni.Oruedi
quáto sfrenataſia l'iracondia, oquana to doloroſo ſia l'adirato,et pure
conoſcerai, che lo appetito,et la ime ginatione della vendettaglie piùfoane che
il mele. Ho duucrtito ,che nc ELOQVEN Z A. ii negli eſtremi dolori gli huomini
hauuto hanno piacere di dolerſi , ayo il non poter ciò fare , èſtato loro di
doppia doglia cagione , non cbe à loro elettionehaueſſero uoluto l'occaſione di
dolerſi,ma poſti neldo lore; dolce coſa il poter'à lor uoglia ramaricarſi hāno
riputato. Dilet ta ueramente la ſperanza,ma il deſiderio la tormenta. Peßima
coſa è la diſperatione tra tuttigli affetti umani , maſola è ſicura contra la
morte. Mauannetu diſcorrendo nelle altre perturbationi,che trouca rai nella
allegrezza ſteſſa un mancamento diſpiriti , ounatenerez xa, che al pianto ti
condurrà fpele fiate.Però io tiſcuopriròintorno à tai coſe bellißimiſecreti. A
N. sidigratia; percioche queſte mi paiono leuere, epotentifuni, con le quai ſi
tirano l'altrui ate nos ſtre uoglie. A R. 10 ho inſegnato a' mieifedeli,che non
fieno fema pre folleciti d'intorno ad unoaffetto , per fuggire la noia con la
uda rietà dellecoſe, imitando la Natura, la qualeamaſopra modo il udm riare,o
il mutare le coſe ſue. NAT. Vero è, perche chiaramente dei vedere la diuerſità
delle ſtagioniedei tempi, la grandezza co l'ornamento de i cieli, la
moltitudine delle coſe e delle apparenze, ch'io ſonouſata di dare alle coſe
mie. AR. O'quanto io leggo fo pra il tuo libro è Natura ;ma non abandoniamo
l'impreſa. Deiaduna que fapereè Animàun'altroſecreto, non meno delſopra detto
bello, degno da eſſere apprezzato . Jo ti dico che tu auuertiſca bene di nõ
ſollecitare con tutte le forze ad unoſteſſo tempo i detti conſiglieri, perche
l'anima trauiata in molti mouimenti , non attende comeſi dee ad un ſolo
.L'eſperienza ti moſtrerà, che ad un'bora né gliocchi, di belißime pitture,né
l'orecchie di ſoauißime confonanze potrai pies: namenteſatiarejma compartendole
opere , meglio aſſai per guſtare i diletti,e i piaceri delſenſo ,uederai quanto
può queſtaſeparata pers ſuaſione. Inſegna adunque. Inſegnato che hauerai,muoui
,apporta le facelle, et eccita con gli ſtimolide gli affetti l'animo de
gliaſcoltanti. AN. O' Arte tu ſarai ſempre arte. A n. Et tu anima ſaraiſempre
anima. A N. Eſſendo io anima, o da te ammueſtrata,diuentero Ar te , o tu
eſſendo in me Arte , Anima diventerai. A R. Nuouo miracolo,didue coſe farne una
; ma digratia non ci laſciamo ſuiare dalle occaſioni,che in uero alcuna uolta
épiùdifficile la ſcelta, che la inuentione. Ora foniamo a raccolta, o quaſi
ſotto uno ſtendardo ria duciamo le tue;uirtù, dalle quali fin’ora habbiamo
iregali aßiſtenti ragione, concupiſcenza,oira. Reſta, che andiamo alle altre
parti . ; AN. Cosi faremo, o da eſſa memoria ſidarà principio. AR..O B quanto
tiſon tenuta in nomeſuo,che mi giouerebbe duuertiré un'afa fetto di Natura, ſe
altra fiata in quello abbattendomi , la memoris preſta nõ mi diceſse, Eccoti,ò
Arte,quello che ancora uedeſti. Che es ſperienza ſitruouain meſenza di eſſa
?chis'accorgerebbe , che in al . cuna di uoi, ó Anine , io miritrouaßi , ſe non
fuſe la memoria come guardiana, teſoriera ditutte le parti dello ingegno ? onde
con ues rità ſidice, Che tanto fa l'huomo, quäto ſiricordaNaſce la memoria dal
bene ordinare , l'ordine dello intendere, odal penſamento , però poſſo io con
le imagini in alcuni luoghi riposte artificioſaméte indura rela memoriadelle
coſe. NAT. A lungo andare tu le ſeipiù toſto di danno , che di prò alcuno ,però
non mipiace altro che uno eſſercitio, di eſſa memoria,cheſi fa mandando motte
coſe à mente . A R. Che fai tu di eſſercitio • Natura, l'ordine della quale è
ſempre conforme ? il tuo fuoco ſempre tiraall'insù , la tua terra per lo dritto
all'ingiù di fcende, o cot ſuo giuſto peſo al centro rouinando à modo alcuno
non fi può uſare alla ſalita.volgeſiilcielo tutta fiata raggirandoſi in ſe
medeſimo, ogni tua legge e impermutabile, o tutto che i tuoi mona ftri, le tue
ſconciature alcuna volta ci diano da marauigliare, pus ge ſono tue
fatture,néſono alla tua generale intentione repugnanti, mal'Anime da uno in
altro cõtrario trapaſſando, buone di ree,et ree di buonediuengono. NAT. Io
conoſco il biſogno in quel modo che gli occhi comprendono la notte , che é
priuatione di luce, ma ben ti dico,chela memoria da me con molta cura é guardata
nella compoſiz tione dell'huomo. A R. Io l'ho auuertito nel tagliare di eſſo,
egomi fono marauigliata con quanta cura difeſo hai quella parte,nella quale éla
memoria collocata ,hauendole dato nella parte di dietro della tes ſta un'oſſo
fermo, e rileuato ,che da ogniſtranieraforza nella difens da.Tui in temperata
umidità e la impreſione, e in ſecco proportios nato la ritentione delle coſe.
Ma tu Arima,la cui nobiltà fi fa manife ſta per tante & tali operationi ,
di ciò il tuo fattore ne ringratierai, regolando con la ragione i tuoi
appetiti, penſa,ordina, ocon lo eſa fercitio conſerua la memoria quanto
puoi,percheciò facendo,tale di senterai,quale deſideri, e conoſcendo te ſteſſa,
conoſcerai l'altre tue forelle , & come della più onorata di eſſe la tua
ragione ſopraſta alla loro, il tuo dritto deſiderio ſarà lor freno , onde
infinita riputatione acquiſterai,perche di leggieriſicrede à colui,in
chiſifida, et facilmen te ſi fida in chi ſi truoua autorità , w credito, il
qual naſce dalla inte grità ,o bontà de' coſtumi, o queſto é ,ch'io deſideroſa
, fe altra ſi trkowa E LO QVEN Z A. 13 truoua del bene,temo aſſai non
abbattermiin perſonemalungie.AN : In che potranno ufare la loro malu agità ,
non eſſendo lor data ſede ? ART . Come io non ti niego,che il uiuer bene,es
accoſtumatamente non ſia di gran giouamento à farſi luogo nel coſpetto degli
huomini, e acquiſtarlagratia de gli aſcoltanti,cosi non ti conſento che l'has
uergli dalla ſua,per uirtù, oforza di parole non ſi poſſa fare. A N. Perche
inſegni tu coteſti incanteſimi? A R. Il mio ualore e tale , che io poſſi in
parti contrarie e repugnanti , ſenza che io deſidero ſcoprire in altruiſimili
inganni,e però biſogna conoſcergli, cosila uerità ſtadi ſopra, ola bugia
cade'uinta in terra,cosiſiponfine alle conteſe, cosi ſi terminano le liti ,
cosi ſi ammolliſce le durezze degli adirati, s'attura le rabbie de’ ſeditioſi,
ſi ſollieua l'autorità delle leggi caduta contra il uolere di quegli, che
ſtimando l'oro , l'argento, più cheil douere, & à prezzoſeruendo , poſpongono
la ſalute coma mune alla utilità priuata.o quanto nei publici mali,e nei tempi
pe ricoloſi compenſo pigliarſi ſuole dal parlare digraue et onorato cit .
tadino,le cui parole condite diſenno,ſeco hanno l'alleggiamento d'o
gnimalinconia,che gliafflige. An. E dunquegran difetto d'huos mini da bene? AR.
Senza dubbio , o ciò auiene perche la uia dis ritta è una,male torteſono
infinite, però di raro ſi vede tra mortali, chi per la ſola camini. Ma
tuſcordata ti ſei d’un'altrauirtù, la quale per mettere le coſe dinanzi a gli
occhi ( il che éſommamente richies ſto)non ha pari.Di queſta uirtù , perche
ella ha grande amicitia co i ſenſi corporali,o é molto confuſa,come quella ,
che é lo ſpecchio ges nerale di tuttii ſentimenti umani , o perciò è detta
imaginatione;di queſta uirtù dico, non hauendola tu ancora eſſercitata, non ne
haifin ora alcuna parola mosſa . Io odo dire che nella imaginationeſirifere
bano le imagini, e le apparenze da ſenſi riceuute,et beneppeſſo in lei cosi
ſtranamente tramutarſi che i ſogni non ſono cosi turbati, et con fuſi, là onde
molti ſono detti, o riputati fantaſtici, altri ſi fanno Re O signori,o talmente
par loro eſſere que'tali , che ſi credono di eſ ſere,che riſo eg compaßione
mouono a chigli vede . Alcuni uanno , come ſi dice,in aria fábricando, et tanto
ſi ſtannonel lor penſiero fißi, che forſennati,e pazzi da tutti creduti ſono. A
R. Quanto piùe uanamente ſpender ſi ſuole tal uirtù , tanto à maggior prò li
deue ue farla,& adoperarla. Per queſta l'huomo prima taleſi fa, qual uuole
che altri ſieno . Perche egli prima dentro diſe ſi propone la coſa, che egli
cerca dare ad intendere altrui, con quel migliore e più eccelslente modo cheſi
può, auolendo egli metter’altri a pianto, non tera rà mai gli occhi aſciutti .
Simile forza nella pittura ſi dimoſtra,lo ar tefice della quale, ogni forma,
che egli cerca di far uederenelle ſue tele, primanella imaginatione fermamente
ſi dipinze, o quanto più belli,o gagliarda è la ſua imaginatione, tantopiù
illuſtre, o loda . ta e la ſua pittura.Molte forme, oſembianze ſono de gli
adirati,ma una più eſprimela forza dell'iracondia ; queſta una deue inanzi alle
altre eſſer poſta nella fantaſia, o à quela il pennello e la linguafi deue
indrizzare ; en cosi tutta fiata il più efficace modo o di moues re, o di dilettare,
ò d'inſegnare por ſi dee chiragiona,inanzi,accioche egli ſi habbia
l'aſcoltatore come deſidera.Et queſta è la utilità grans de di coteſta
tuapericoloſa potenza,pericoloſa dico,perchemolti no ſanno ufarla à
feruigidello intelletto , ocredono , che lo imaginarſi ſia intendere
odiſcorrere . Ma laſciamo queſto da parte;o racco : gliamo le tue uirtù. Che mi
hai tu dato fin'ora ? An. Mente,uolons tà,appetito,memoria,imaginatione. A RT.
Molto mi piace.Nella mente, che uiporremo altro, ſenon buona opinione, con
l'ufficio dello inſegnare? Làonde la uolontà ſi muoua ad abbracciar le coſe .
Et nel lo appetito,che ui ſtarà ſenongli affetti ,eccitaticol muouere, &col
dilettare, Là onde l'animo ſia uiolentato à bene eſſequire ? Della me. moria
non dico altro, né della imaginatione , percheſono ambedue di ſopra aſſai bene
ſtate de noi diſtinte . Ora bella coſa udirai, oda non eſſer à dietro laſciata.
A N. Che mi dirai tu ? ART. Dicoti,che doppo la eſpedita dimoſtratione di tutte
le tue parti, fa di meſtiere di ſapere in qual maniera elleſieno dipoſte à
riceuere la impreſione dei loro oggetti. Perche uana, ofriuolafatica quella
ſarebbe, di chi af fettaſſe in parte al pianto diſpoſta ſenza alcun mezo porre
il piacere. Credi tu che eguale prontezza hauerai allo imparare,et allo adirars
ti ? Indrizza adunque i tuoi penſieri à gli ammaeſtramenti , che io ti uoglio
dare, oſaperai comedeueeſſer'apparecchiato l'animo dico . lui che ricerca la
pruoua, edi colui che è pronto all'affettione, imis tando i buoni medici, i
quali prima uannoinueſtigado quai partiſieno guaſte, o quaiſane,eappreſſo , le
guaſte uanno disponendo à rices uere i rimedij conuenienti; e primaleniſcono, e
ammolliſcono , poi apportano la medicina . L'anima adunque , nella quale la
ragione fi dee porre, acciò che dia luogo alle pruoue, et accettar poſſa la
buona opinione, e iſcacciare la contraria,deue eſſere ripoſata, e quieta,et non
in modo niuno affettionata, et trauagliata. Perche eſſendo il piancere,cheha
l'anima, quandoimpara, foauißima coſa , biſognofache ellaſia lontana da
ogniturbatione , operò molto male è conſigliato colui chenel conſigliar'altrui
uſa la forza, o la violenza degli aps petiti, °li affetti,laſciando il
ripoſo della verità daparte ; qual contento può riportar colui, che partito dal
Senato dica, per qual ragione ho io aſſentito?perche ho io cosi
deliberato?Buona coſa è l'hauer’alla uerità conſentito,mamiglior'e , ciò
hauerfatto ragion neuolmente più toſto che à forza,perche in tal caſo non pure
ſifabe ne,maſiſa di far bene; di che non è coſa più diletteuole w gioconda.
Habbiaſi dunque l'animo ripoſato di colui cheattende la ragione; queſto
ageuolmenteſi può fare , ponendoſiprima di mezo trail si o il no,come chiſta in
dubbio.Però che più prontamëte ſi prende para tito,et ſi ammette il uero
dubitando,che portando ſeco alcuna opinio ne . Macome diſpoſto ſia lo
appetitoalle coſeſueattendi,che loſaprai con una bella diuiſione degli affetti.
Perciò che in eſſo appetito gliaf fetti ripoſti ſtanno,comet'ho detto. Ogni
affetto e d'intorno al male, ò d'intornoal bene, truouiſi pure lo affetto in
qualunque parteſi uos glia. Ecco nel tuo generoſoſoldato,cui é conceſſo
l'adirarſi, opren. der l’armi quando biſogna dico dello appetito iraſcibile
,d'intorno al bene uiſta la ſperanza, e la diſperatione. Laſperanza é uno
aſpetta re il bene, la diſperatione è un cadimento da quello aſpettare . D'in =
torno al maleuiſta l'ira, la manſuetudine , il timore , ol'audacia. Ira é
appetito diuendetta euidente per riceuuto oltraggio Mania ſuetudine
èraffrenamento dell'ira , oambedue queſti affettiſono in torno
almale,difficile,etpreſente.Il timore é un aſpettatione di noia, ouero un
ſoſpetto di eſſere diſonorato.Et queſta ſichiamauergogna. Il primo,ouero é
temperato,ouero eccede la miſura. Dal temperato neuieneil conſiglio,dall'altro
la inconſideratione,il tremore, & altri ſtrani accidenti.Laconfidenza ,
«audacia, é contrario affetto . Et queſte perturbationi tutte ſono d'intorno
almale che dee uenire.Nel L'altro appetito, in cui è poſta la concupiſcenza ,
d'intorno al bene ui ſta l’amore,il deſiderio, a l'allegrezza. D'intorno al
male l'odio, o l'abominatione, di cui ſegno infelice e la triſtezza, dalla
quale naſce l'inuidia, la emulatione, lo ſdegno, o la compaßione,quando auiene
che la triſtezza detta ſia de i maliouero de i beni altrui. Ma nelle co fe
proprie affligendoſi l'huomo tre alleggiamenti ritruoua. Il primo ė ripoſto nel
proprio ualore, perche niuno ſcelerato é compiutamente aüegro.L'altro è meſſo
nel conſiderare il dritto della ragione, werita 16 D ' Ε ι ι Α fuerità delle
coſe, da che naſce la ſofferenza figliuoladella fortezza. L'ultimo é la
conuerſatione di alcuno amico , perche ne gli amici e ripoſta la ſoauità della
uita . Ritornando adunque allo amore, ti dico, che Amore è uoglia del bene
altrui,eu ſe é mouimento d'animo a far bene, li dimanda gratis . Senonſopporta
concorrenza , geloſia , lela ſopporta ad onefto fine , amicitia . L'inuidia non
uorrebbe, che altri haueſſe bene,ſe benuifuſſe il merito . Lo ſdegno non lo
uorreb be , non ui eſſendo il merito La emulatione il uorrebbe anche per ſe .
La compaßione ſi duole del male altrui , temendo il ſimilenon da uengu á lei .
Etciò ti puòbaſtare in quanto ad una brieue dichiaraz tiore di tutti gli umani
affetti . Ora econueniente, che tu ſappia in che modo à ciaſcuno d'eſſi tu ſia
diſpoſta , acciò che tu ſappia poi als truiſimigliantemente diſporre . Eſſendo
adunque l'appetito uarias mente affettionato, quandoſi ſdegna,quandoinuidia,
quando aborris ſcequando ama, quando teme, quandofpera, equando in altro mo .
do é trauagliato,acommoſſo , aſcolta un bellißimo ſecreto, ilquale non
ſolamente à diſporre gli animi à qualunque affetto è buono, ma in ogni
operatione é neceſſario, & benche oggi mai per uero ammies ſtramento della
uita da ogn'uno ſi dica , RIGVARDA AL F 13 NE, non é però d'ogn’uno l'applicare
alle attioni o opere de' mor tali, cosi belle ſentenza . Laſcerò da canto le
coſe, che non ſpettano alla noſtra intentione,ſolo dirotti quanto io deſidero,
che ſia negli af fetti oſſeruato. Deiſapere che egli ſi truoua una maniera
diparlare, la quale in molte, manifeſte parole effrime la forzı, ey la natura
delle coſe ; e quelle molte, omanifeſte parole altro non ſono , che le parti
della coſa eſpreſſa. Queſtamanieradi parlare é detta Diffie nitione . Ora
dunque io ti ammoniſco, che nel muouere gli effetti pri ma tu habbia à
riguardare alla diffinitione di ciaſcuno,come al deſide rato fine. Però cheſe
la diffinitione rinchiude in certi termini la nas turi della coſa propoſta ,
ſenza dubbio querrà, che il conoſcitoredel la natura , o delle parti deltutto
diffinito , oeſpreſſo , indrizzerà tutte le forze dello ingegno ſuo, à ciò
fare,et tale aiuto preſterà abon dantißima copia di ragionare , o diſciogliere
ogni occorrente diffi cultà, e durezzé . Eccotiſe ſai, che l'ira é deſiderio di
uendetta per riceuuto oltraggio , o ſe mirerai in queſto fine , non anderai tu
dia ſcorrendo, in qual modo eſſer debbia diſpoſto all'ira colui, che tu uora
rai hauere ſcorucciato ? o conchi, oper qualicagione, & quanti modiſieno di
oltraggiare altrui ? Et ciòin ogni affetto facendo,non ti farai ſignore , &
poſſeditore dello animo di ciaſcheduno ? Et rans to più dimoſtrerai con la uoce
, & co i mouimenti del corpo , te tale . effere, quale uorrai,che altri
ſia,certamente si . La diffinitione adun queé il ſegno,al quale ſi deue
attentamente guardare . Ora inbrieue ti dico dell'ira, che eſſendo ella uoglia
di uendetta,è neceſſario,che lo adirato ſi dolga, o dolendoſi appetiſca alcuna
coſa, dalche naſce,che repugnando altri à gli umani deſiderij , ouero à quelli
alcuno impedi mento ponendo , ouero in qualunquemodo ritardande le uoglie al
trui, porga cigione di adirarſi, cioé di deſiderare uendetta,ilperche nella
ſtanchezza nell'amore, nella pouertà , e ne i biſogni ſonodiſpoſti i petti
umani agramente al dolore cagionato dall'ira, epiù cheſono ideſiderijmaggiori,
più apparecchiati , oprontiſono all'ira , o al furore. Lo hauer male di chi
s'attende ilbene,lo eſſere in poco pre gio tenuto , ò diſubidito, o prezzato ,
o per ingratitudine , ò per ingiuria ſenza prò dello ingiuriatore, ſono tutte
diſpoſitioni al predet to mouimento .Giouamolto , oin queſto , & in altri
affetti ſaper. la natura,ilpaeſe, la fortuna, ela conſuetudine di ciaſcheduno .
Se adunque ſi accende nell'ira in tal modo, chië diſonorato , o iſcordas
to,ſenza dubbio acqueterai colui cheſarà onorato, riuerito ,ubidito, ammeſſo,
et riputato;ouero, chiſiſarà uendicato ,a cuiſarà dimandato perdono con la
confeßione del fallo , incolpando la violenza , enon la uolontà. Deueſi dare
molto al tempo, oalla occaſionein ognicoſa, operò ne' conuiti, ne i diletti,
one igiuochigli umani appetitifoa no più alla manfuetudine inchinati
Dell'amorealtro non tidico , le non che eſſendo eſo soglia del bene altrui,
l'eſſere cagione , mezano, interceſſore, aiutore al bene altrui,diſpone
ageuolmente à tale affets to ciaſcuno . Et perche Amore appreſſo, é una
ſimiglianza, w unios ne di uolere , però coluiſarà più amato , ocon l'animo più
abbrace ciato, il quale dimoſtrerà d'eſſere d'un'animo, o d'una uoglia steſſa
con noi . Ilche nelle allegrezze, one i dolori ſi conoſce, o neį biſoa gni
ancora ; non ſolo nelle perſone amate, ma ancora negli amici de gli amici .
Allo Amore riferiſco la Benuoglienza, e l'Amicitia, las quale , ben che affetto
non ſia , pure è nata da eſſo amore , che è uno de gli umani affetti. Qui non é
luogo di più diſtintamente ragionare dell'amicitia; de gli oggetti, delle
parti, e delſine ſuo . Perciò che altroue nei graui ragionamenti di filoſofia
ciò ſi conuiene . Baftiti d'hauere per ora la ſuperficie , el'apparenza .
Ritorno adunque e ti dico,che ipiaceuoli,coloro, cheſidimenticano dell'ingiurie
i с faceti, imanſueti, gli officiofi uerſo i lontani, atti ſono ad eſſer'amati.
Peril cótrario ſapersi chedire intorno all'odio,il quale è ira inſatia: bile,
da uendetta, da tempo,daruina alcuna non mitigato; occulto ine ſidiatore,
ymortale, nato da in giurie o ſoſpetti. Al quale diſpoſte ſono altre nature
più, altre meno, o à megliodiſporle,biſogna ams plificare le ingiurie, «
iſospetti,acciò che nonſoloſi brami una ſema plice uendetta, ma la diſtruttione
della perſona odista . Del timore , odella confidenza, che ne attendi più , ſe
di queſta , ed'ogni altra perturbatione ne i uolumi degliſcrittori, et nelle
pratiche umane'ne Jei per uedere aſſai ? Timore e turbation d'animo, nata da
ſoſpetto di futura noia . Et però chi temeſa ó penſa dipotere ageuolmente
eſſer’offeſo, eda chiſpecialmente, ſopraſtando il tempo,es la occas : fione.
Etchiciò non ſoſpetta,non é al timore diſpoſto comeé chi ſem pre éſtato fortunato,
chi ſempre miſero, chi è copioſo d'amici, di ros 64,09di potere,chi é
fuggitoſpeſo dalle ſciag ure, ode pericoli,ego altriſimiglianti ;o que'taliſono
confidenti, &audaci . Euui altra maniera di timore, non didanno,madi
biaſimo; alla quale diſpoſtiſos no i giouanetti,i riſpettoſi, oriuerenti,
quelli cheuoglionoeſſer' ha uutiper buoni da ' più uecchi , o da ſimili , opari
. Et però aûa loro preſenzaſonopronti ad arroſire. Non cosi ſono i
vecchi,perche non credono,che di loro altri ſoſpettino quelle coſe , che ſono
ne' giouani, come laſciuie,amori, euanità. Etperche il diſonore è coſa, cheuies
n'altronde, però gli ſpiritidalſangue à quellaparte, che più lo ricer inuiati
ſono .Ladoueil uiſo ſi tignediquel roſſore , cheſi vede . il contrario nei timidi,
nel cuore dei quali il ſangue ſi riſtringe, per ſoccorſo di quella parte , che
teme la offenſione .Nella uergogna ſi abbaſſano gli occhi , come che tolerar
nonſi posſa la preſenza dicos lui, che è giudice de i difetti umani . Queſto è
ne' giouani aſſai buon ſegno di gentil natura . Però che pare ,
cheuergognandoſi conoſcas no idifetti, ey habbiano cura di quelli . Non
uogliopire diſcorrer’ina torno all'audacia, allo ſdegno, alla compaßione, alla
emulatione, « al la inuidia . Però che molto ne uedraiſcritto , eragionato da
altri. Ben non ti poſſo tacere del male acerbo , mortale, ch'io uoglio à quella
fiera indomita, eabomineuole dell'inuidia, che all'udir ſolo il nomeſuo,
ſtranamentemi muouo . Lafigura ,i modi, ai coſtumi di eſſa ſono da gran
poetadeſcritti. Di queſta mi dolgo , per eſſer quels la, che più regnaneimiei
ſeguaci. Là doue il fabro al fabro, il mes dico al medico ,l'uno artefice
all'altro , inuidia portano ſempremai . M4 ca ,Md tacciamoora di queſto, e
poicheragionatohabbiamo di te, delo le parti tue,delle quali taci, che in
eſſeſi ſtanno,e delle loro difpofia tioni , addimandiamo la Natura quaicoſe
a’quai parti di te conuena gono , acciò che accordando la foauißima armonia
della umana elo quenza con piacere, og utiledegli aſcoltanti uditi ſiamo apieno
por polo raccontare i miracoli della Natura. ' AN. lo ueggio ben oggia mai' '
Arte, che tuſei quella chefai l'acume , ò la ſottilezzadell’oca chio mortale
nel ſecreto della diuinamentetrapaſſare. AN. Anzi per te, ó Anima,coteſto
mirabile ufficio s'acquiſta, la cui cognitione tanto apporta di lume, e
chiarezzaad ogniprofeßione, o ſcienza, che ucramenteſi può dire chetuſia
ilprincipio d'ogni conoſcimento Etperò chiunqueſtima; ola uſanza di uno
leggierieſſercitio, o il ca fo tanto potere quanto tu, o io.uagliamo ,
grandamente s'allontana dal uero. Tu t'abbatterai in un ſecolo impazzito,
d'huomini, i quali s'accoſteranno ad imitare più uno , che l'altro , olo imitar
loro non faràſenon manifeſto rubamento, ſciocchi,oferui imitatori, che non
Sapendo , perche altri s'habbiano acquiſtato il nome , tutta via in ciò
s'affaticano. Altri perche hanno unaſcelta di belle , &ornate pde role
uogliono ad uno ſteſſo tempo fcoprirle accomodando à quelle i concetti loro ;
ma che poi ſono cosi rozi, a inetti,cheſenza ordine , Ofuor di tempo le
metteranno, e diranno, Io cosi dißi,perche cosi ha detto alcuno de' più
preſtanti. Queſtiſono gli incomodi delfecom lo. Nat. O`quanto m’increſce perciò
eſſere ſtimatapouera «biſo gnoſa, come che à me manchi alcunafiata,che donare, o
che nel cer care l'altrui teſoro l'huomo perda,ò non conoſca il ſuo . AR. Chi
ſempre ſegue, ſempre ſta di dietro , chi nonua dipari,nõ puòauan zare . Male
hauerebbonofatto i primi inuentori delle coſe , fehae veſſero aſpettato
,chiloro douea farla ſtrada . Et troppo pigro écoe lui, cheſi contenta del
ritrouato. Ionon porgo già mai la mano a chi laſcia , oabandona la naturale
inclinatione , come bene ho ueduto que' ali non conſeguire il deſiderato fine .
NAT. Mi turbano apa preſſo quelli, ò Arte, che tanto di me ſi fidano , che te
laſciano à dies tro". A R. Non ti dißi da principio, chenoi erauamo unite
, e che ciò che appare di uarietà, e diſomiglianza tra noi,e in un principio
ricongiunto? Che miditu? Chiunque opera alcuna coſa da me drizzato , uſa una
regola commune, & uniuerſale, che à molte, diuerſe nature feruendo,quelle
uniſce, o lega in uno artifi cio medeſimo , perche io ſono la conformità,o la
ſimiglianza ;altri acuti 20 DELLA ! acutifono , eſuegliati, altriſeueri,&
graui,altri piaceuoli,&eles ganti per natura . Vnaperò e l'arte,una éla
uia, che ciaſcuno al ſuo ſegno conduce . Quando adunque l'arte precede,facile e
lo imitare ; lodeuole il rubare , & aperta la ſtrada alſuperare altrui . Et
in tal guiſa bene ſilpendeſenza lo auantarſi di eſſer ricco, a fenza dar ſos:
spittione di uergognoſo furto . Accompagnifi dunque nelle ciuili con teſe il
core, ola ſcrima,cioè la natura, el'arte, ogſi uederanno poi que’miracoli,
ch'io ſo fare . Ma laſciamo tai coſe, e incomincia o Natura , o dimmi , in che
modo le coſe tue fiſtanno , che di eſſe cosi dileggieri gli huominiſiuanno
ingannando NAT. Sappi ò Arte, che ogn'uno che ci naſce, ſeco porta dal
naſcimento ſuo unacerta ins clinatione alla uerità , donde auiene, che inſieme
con glianni creſcens do ella in parteſuole il uero congetturare, laqual
congetturi opis nione più toſtocheſcienza uferai di chiamare . Laſcio la uſanza
mia imitatrice,chefino da primiannirecarſuole molte opinioni, che poi dipenacon
l'altra certezzaſileuano, parlerò di quella ſembianza più toſto, che ſembiante
di uero ,cheé atta nata à muouere l'umane mentia far giudicio delle coſe . Dico
adunque, alcune coſeeſſer da ſe ſteſſe manifeſte , chiare , altre , niente da
ſe hanno di lume, edi fplendore,mailluminate da quelleche ſeco hanno la luce ,
ſi fannoa? fenſi umanipaleſi ; nel primo gradoé il Sole , o tutti que' corpi,
che ſon chiamati luminoſi . Nel ſecondo ſono i corpi coloriti, i quali non
hannoin ſe ſcintilla di chiarezza, ma d'altronde ſono illuminati . Il
fimigliante ſi ritruoua nello intelletto . Iljaale riceuendo alcune coſe
diſubito quelle apprende, og ritiene . Però che quelle ſeco hannoil lume loro,
ſe à me ſteſſe il fabricare de' nomi, io le chiamerei Noti tie, ouero
Intendimentiprimi. Ma poi altre ſono , che non hannoda ſe lume, ó uiuezza
alcuna,&però di quelle ſifa giudicio con ſoſpetto di errare, fe da altro
luogo la loro intelligenza non uiene ; quinci ė nata la opinione, la quale come
opinione, che ella é, né uera ſitruoua, ne falfa. Il difetto naſce daquelli
uirtù,chepoco dianzi diceſte.Pero che le coſe mie fono, come ſono,mariceuute
nell'anima, e da' ſenſi al la fantaſia per alcune debili ſembianze traportate ,
ſtranamente meſcolate,fannodiuerſe opinioni. Ben’é uero, ch'io non faccio una
co ſa tanto diuerſa da un'altra, che l'huomo dueduto non poſſa alcuna
Somiglianza tra eſſe ritrouare . A R. Molto mi piace che l'animadi ciò nonſia
fatta capace, perche accadendoleſpeſo mutare le opinioni umine, e da uno in
altro contrario traportarle, molto deſtramente biſogna adoperarſi,et diſimiglianza,
in ſimiglianzaà poco a poco pas fando,perchelo errore in eſe ſimiglianze
ſinaſconde, tirar le menti, che no s'aueggono di una in altra ſentenza. An . Et
chi può queſto ageuolmente fare ? A R. Chi con diligenza inueftiga la natura
dela le coſe ſottilmente, uedrà in che l'una con l'altra ſi conuenga, ma non
chiamiamo però la opinione incerta,cognitione à queſto ſenſo,checo lui, che ha
opinione ſappiaſempre quella eſſer’incerta, o dubbioſt conoſcenza, ma bene che
in ſe conſiderata, come opinione da chiuna que hauerà il uero ſapere,ſarà
riputataincerta . NAT. O quans to mi nuoce in questo caſo,la uſanza inſieme con
la età creſciuta , lds quale à guiſadimeſtesſa, ferma talmente le coſe nelle
menti umane , che bene ſpeſſo la bugia , più che la uerità in eſi ritruoua
luogo. Et peròcredono molte coſe che nonſono, ouerofe ſono, ad altro modo di
quello, che ſono, uengono giudicate . Etfe pure dirittamente appreſe ſono,
altre cagioni lor danno,che le uere, e quelle ch'io so eſſere in mediati o
continuate à gli effetti . Et queſto auiene quando la ragio ne inchina più al
ſenſo che all'intelletto, « più all'apparenza, che al l'eſſenza. AR. Tu hai più
dell'Arte,o Natura,che di te ſteſſa,cos si bene uai diſtinguendo i tuoi
ragionamenti . NAT. Non te ne ma rauigliare, ò Arte,perche io qual ſono,tale mi
dimoſtro, oſe di me medeſima parlo, cometu uedi io lo faccio in quel modo,
chetu altre uolté hai confeſſato , che io ragionereiſe io fußite. AR. Quello
che io dico, lo dico per amınaeſtramento di coſtei, laqualanche non ſi dee
marduegliare di queſta apparenza del uero. Perciò che è aſſai als l'huomo
ſaggio, che le buoneragioni gliſieno ſemprequelle ſtelle, da quelle ne prenda
la ſimiglianza del uero , che per lo più muoue le umane menti, oin eſſe
ageuolmente ſi pone, al che fare, opportuna , ocomoda coſa é ricordarſi, in che
maniera per lo pulſato l'huomo ſe ſteſſo habbia ingannato, o in qual modo
ancora, e per qual cagione altri ingannatiſi fieno da loro medeſimi, in uero te
ne riderui, uedens do alcuni che penſano, ogni coſa, che precede un'altra,
cffer di quella cigione, ò che lo eſſer fimile ſia il medeſimo. Ne per ciò
direi che l'os pinione fuſe ignoranza,comenon dico, eſſa eſſere ſcienza ,
perche la ſcienza e stabilità,o fermata da uero, e infallibile argomento, en la
ignoranza non è di coſe uere . Onde naſce,chela opinione è un abi to mezano tra
il uero intendimento , o l'ignoranza, differente dal dia bitare in queſto che
la opinione piega più in una, che in un'altra par te , il dubitare tiene in
egual bilancia la mente tra l'affermare, o il negare, eye però biſogna riuocare
in dubbio le coſegià ammeſſe,e di mojtrare quäto pericolo ſia il giudicare . Da
queſtone naſcerà la que ſtione, e la dimanda, la quale diſponendo le menti alle
ragioni; quan to leuerà della prima opinione,tanto porrà di quella , che tu
uorrai, o à ciò fare uia non é appreſſo quella che ua per le ſimiglianze delle
coſe.Partipoco,ò Anima,cotesti uirtu ? penſi tu ,che ſia cosi facile il
perſuadere ? ó credi tù chegià biſogni con dritto giudicio, o con ſal do
intendimento penetrare dalla ſuperficie alla profondità delle coſe? A N. Da che
occulta radice l'apparente bellezza dicoteſta tua figli uola,nel
cuiadornameiito la Natura ſola non baſta . NAT, Ora ogniſentimento mi ſi
ſcuopre, ó Anima, da costei, emanifeſta uedo eſſermifatta la cagione,per la
quale molti miei amiciſono diſonorati. ART. Quai ſono coteſti amicituoi ? NAT.
Quei, che inueftis gando uanno iſecretimiei, le ripoſte cagioni delle coſe,i
movimenti, le alterationi, &i naſcimenti d'ogni coſa , o che non
ſicontentano di ſtare par pari de gli altri huomini,manobilitando la ſpecie
loro con le dottrine traſcendono i cieli. AR. Che ſtrano accidente può ueni re
à perſone cosi pregiate, come ſono iſeguaci tuoi, ogli amatori della Sapienza,i
quali comerettori delmondo, felicißimi,er beatißis mi eſſer deono riputati?
NAT. Queſti fedeli miei à punto ſonoquel li, che più de gli altri ſono diſonorati.
An . In che coſa ? ART. Aſcolta digratia; mentre che gli ſtudioſidi meſi
ſtannoſoli, ein par te ripoſta comeſchiui dell'umano confortio,non é loda •
grido onora to , che con ammiratione delle gentinon gli eſſalti o inalzi infino
al cielo. Mapoi che compareno, et uěgono alla luce,ſono prima da ogn'u no
guardati, si per la eſpettatione già conceputa della virtù loro, si an cora per
la nouità dell'abito, o dell'aſpetto ,et del portamento,ogn's no lor tiene gli
occhi addoſſo, a attentamente ſi dimoſtra di uolergli udire. Io non ti potrei
eſprimere con che grauità poi aprono la boca ca, e con che tardezza poimandano fuori
le parole , etquanta ſia la dimora de i loro ragionamenti, i quali poi che da
principio nonſono in teſi dalle genti,comecoſe lontane dalla umana
conuerſatione, non cosi toto uiene lor tolta la credenza, per che purſiattende
coſa miglios respire conforme alla opinionede’uolgari,iquali dalla prima eſpets
tatione inuiati danno i ſeſteßi la colpa del non capire la profondità de'
concetti loro. Mapoi che nel ſeguete ragionare s'accorgono pur in tutto di non
poter’alcuna coſa da que'beati ritrarre, et che ogn'os ra più le coſe
intricate, ar le parole aſcoſe ogni lume d'intelligenza Hanno lor togliendo,
quanto ſcherno, Dio buono , jego quanto riſo ſe ne fanno . AR . Jo grauemente
miſdegno, ó Natura, & mi dolgo di ſimili auenimenti, poi chegli infelici
non fanno drittamente ſtimar le coſe,benchefino al fondodi eſſe paſarſi
credono,maforſe è, cheſtan do eßiſemprein altro, quando poi allo in giù
riguardando ueggono l'altezza loro, a la profondità delle coſe terrene, uanno
uaccillando con gli occhi; ocomparando il cielo alla terra , ſtimano ld terra
un minimo punto , o una bella città un niente che nobiltà, che chiaa rezza
diſangue può eſſere appreſſo coloro , che ſeſteßicon la eterni tà miſurando,
tutti da uno ſteſſo principio uenuti affermano ?Che rica chezzaſarà grande
appreſocoloro, che ſi ſtimano poſſeditori del cie. lo ? qual prouiſione
daſoſtentare i popoli farà colui il quale quaſipa ſciuto del cibo de i
Dei,altro non guſta, altronon ſente,altronon din fia ,cheſempre ſtare alla
ſteſſa menſa ? ne credono , che altriſieno in bi sogno ? Queſte coſe io direi
in loro efcuſatione. Ma che midiraitu di quelli cheſonoſtudioſi della vita
ciuile,ochefanno le cagioni de’mu. tamenti de i Regni, e delle Rep.le
conditioni de principi, gli ufficij di ciaſcuno,le uirti, gli abiti uirtuoſi?
Non credi tu, che queſti ſie no più auenturati de gli altri ? NAT . Peggio ,
percioche il ſapere ciaſcuna delle dette coſe ,hauer le diffinitionid'ogni
uirti, ocoa noſcere diſtintamente ogni buona qualità,non é aſſai, ma egli
biſogna uſar tanto teſoro al governoaltrui per ſalute, ocomodo uniuerſaa le, e
oltre all'uſo hauer parole al preſente maneggio oalla ciuile uſanza accomodate
. ART. Dondeprocede coteſta loro cosi ſot tile ignoranza: forſe cosi eleggono
penſando di eſſer' hauutiper dot tiæintelligentiparlando in cotalguiſa ?Ma
questa é una groſſezza infinita,perche non é piacere, che s'agguagli àquelloche
prende ľa ſcoltatore quando impara &intende ciò che uien detto.Sai tu duns
que la cagione di cosi fatto errore ? NAT. Forſe è,perche non ha uendo eſsi
alcuna eſperienza della conuerfatione cittadineſca, fanno quelguidicio dimolti
cheſonoſoliti di far d'alcuni pochi, loro come pagni,co i quali tutto’l giorno
con uarie diſputationi argomentando trapaſſano,ne mai ſono riſoluti. ART. Et io
ancora cosi credo, pe rò guardati ó Anima, di non entrare nel loro no
conoſciuto collegio , ò ſe pure ui uorrai entrare tanto iui dimora,quanto alcun
giouamen to ne puoi ritrarreper la ciuile amminiſtratione. Nel resto pronta, et
ſuegliata nel coſpetto degli huomininon meno alla ſcuola eall'acas demia,che
alla piazza,alla corte, o alſenato intentafarai, o uſans do . D E L L A.
doistiche le gi,con mozeme uoci raptorersi, percbe riund coſa é få mots,
creudire ripublicico:lizále uanie dig esioni, o le Haitat parole di moint, i
quali razlo" 2r.do le ébloro per la Città frendere unsguerra,realize, ne :
i mezi di efl: u21 riguardando, riaprindo le ſcuole de presa deguono, di 7 :
oro, oargos :ht ::opia ficcrente del mondo , o cercano chifu il primo ins
kantore deli'arxi chifrino in Roma trionfale, cbisitrouo le naui , chui brizla
i czasu, et ilere ciance si fatte ,cbenc irfegn2":0,ne dis
last250,14.1widojiore della prostione de' daruri, delle genti, o del *010 , col
quale s bubbis a fartal guerra . Il percbelo. To poi auies fie, cbei nero
perini,çia deguamente di loro parlando, ſono con grue de 11ratione acoltati.
NAT. Cotto e mio dono,percbe ditus to potere affreuz! cusi mi truono,che wina
forzaglimetto irrar ci i tuoi ſegussi . AR. Et forſe corne sfrenati causlii,
gli fai tel mezo del coro pericolare; pero sili eccellente natura,che ta lorda
, sorrei che mi falje l'aiuto rio.percbe meglio , o çik ficuri aadribs 6290 per
lefiziglianze dre coſe. An. Biſogna dunque pik skatie rigliz- guardare, cbe al
wero ? A R. Cosi biſcgna ; o quedo porriaz slitacels il facesi, sı il donerci
tu fare , o ciaſcuno , che * pis airtai perjuadere , accio cbe fiso aſcoltato ,
o inteſo dude geri , lezasli barefeito -Is bagis nga 14.0 , får cbe in ejja las
casicae spetto dd zero . Queto per fo cjjere, cbei şià f- 931 babe bis 10 c50
surorit : b4xx.: predoi popoli cbei nácti inges gs . An. Dizni gratis, çusio é
cbegli buozi idaro fede : cazzo , cbe apps uto , nos lo faze0 percbeloro piace
il nero ? Ar. . As. Paepiuere già saco : 507 co :cf-:: ta? Forzz aidake,che il
sero lis és glicucuitico ? Ax Pacte danese giàceil serezos bruszni P -T271? AR
Perikliois tragises filer cxz . AX. Aja -- 22 :04 ks :0 600leri: del bero . Às.
SostraTrao Adira.secte lazaratsie sesi tid: acts indiscrezi!4.cezecklacteaefepie
8222475l4regiaze, o lomatto; c ( 72.0: 1 , o Resmitironine.cedriersdieedia 2.3
" To RossiradizioroBoricitis 32 2 ciasto nigirisececeáciless Aires22:22:
carte.ro 2:46, 13 :3050: 22 : 15 : 4 :15 ,cheſe la opinione con la ragioneſarà
legata , per modo niuno potrà fuggire,anzifuori dell’eſſerſuo leggiadramente
uſcita nõ più opinio ne,maſcienza ſi potrà nominare . A N. Dimmi, ſe'l
uerifimile e tale ad ogn'unoegualmente. AR. Nó. An. Che differenza ci fai tu ?
A R. Grande . Ben'è uero,che quando io dico ueriſimile , io intendo ciò che
pare alla più parte . Ma diſtinguendo dico, la più parte però effere ode gli
huomini ſenza dottrina,o degli huomini letterati . Et altro ſarà il
ueriſimile,che parerà à gli Idioti, altro à iperiti. A M. Inſegnami à conoſcere
queſto uerifimile . AR. Il ſegno della ſimia glianza alcuna fiata ſi ritruoua
in eſſaſuperficie delle coſe, cheſenza diſcorſo di ragione ſono riceuute,o
appreſe daiſenſi umani ; da ciò naſce il veriſimile, che pare egualmente a
tutti, come auienedimolte miſture, che's'aſſomigliano à l'oro, cheſe il
giudicio filaſciaſſe al ſenſo ſolo,per oro da ogn’uno ſarebbono hauute. Alcune
uolte il detto fe gno emeſcolato con alcuna ragione,accompagnata col ſenſo ,
oque sto é quello , che pare àmo!ti . Speſſo più di ragione, che di ſenſo ſi
mette, e ciò è quello,che pare à i piùſaggi; o quarto più dalſenſo
s'allontana,o s'accoſta la ragione all'intelletto, tanto de' più saggi, edi
pochi ſarà l'apparenza del uero . Ma laſciando coteſte più ina
terneſomiglianzedel uero , bauendo tu àfare. con la moltitudine , quelle
attendi,che a tutti,ò alla partemaggiore appariranno ; &co: si ogniforza di
proponimento nelle altrui menti rompendo, farai la uoglia tud . AN.
Queſtomipiace . Ma uorrei, che tu m'inſegnaſi à congetturar quello chepuò eſſere
. Dimmi, ſe n'hai ammaeſtramen to alcuno . A R. Dimandane pur la Natura . AN.
Non n'hai tu ancora poter’alcuno? A r . sibene ; ma la Natura operando , Sa
meglio dime,quello che èpoßibile . An. Dimmi tu dunqueò Naz tura,quai coſeeſſer
poſſono ? NAT. Tutte quelle il principio delle quali ſi ritruoua. An. Adunque
ui ſarà l'arte deldire, poi che'l prin cipio di lei ſi truoua? ilquale nõ é
altro, che l'ojferuatione,che fu l'Ar te di te ó Nitura. Ar. Che uai tu
mettendo in dubbio quello che fie qui habbiamo fermato ? ſegui. NAT. Se quello
chepiù importa, ò che piie uale, ò che ha più difficultà , fiuede , ſenza
dubbio il meno importante, il più debile, il più facile ejer potri. A n .
Adunque ſe l'arte puòridurre gli huomini rozialla uita ciuile , meglio potrà
gli ammaeſtrati inalzare algouerno della Città ? A R. T4 pur uti argomentando .
AN. Mercé tua, che giàmiſei fatta familiare . A R. Queſto ſo io , che poſſeduta
che io ſono dalle anime,dimoſtro il. D ualore, 26 , D Ε ιι. Α ualore , il
piacere , o la facilità dell'operare . NAT. se può eſſer la cagione, chivieta
che lo effetto non posſa eſſere ? et ſe queſtoé, quel la di neceßità ſi haue.
Quello che ſegue dimoſtra,che può eſſere quel lo che antecede. In ſomma ogni
coſa può offere, di cui naturale appeti toſi uegga, o dalla poſibilità delle
parti naſce quella del tutto. Dals l’uniuerſale il particolare, o dal meno
quello che più comprendeſi congettura . Vna metà, il ſimile , il pare ricerca
l'altra metà , l'altro Simile, o l'altro pare . Etſeſenza arteſi puòfar’una
coſa molto me glio ſi farà con artificio , ſe chi meno può opra, chi più può
non opes rera egli ancora ? Chene attendi più ,ſe queſto ti può eſſere à baſtan
za à farti aprire gli occhi è ritrouare il fonte della eloquenza ? AR . Et io
già mitruouoſatisfatta in queſta parte,che alle coſe appar tenenti
all'intelletto ſi conuiene ; però aquelle io uorrei,che paſſaßi, lequaliſono da
eſſere ne gli appetiti collocate.Et attendo,che tu quel le brieuemente mi
dimoſtri,etdiffiniſca, acciò che l'anima oggimaicõ. tenta dellaſeconda
promeſſa,alla terza,et ultima ſi riuolga. A N. Per qual cagione, ò
Arte,dimanditu le diffinitioni della Natura ? ejendo ſuo carico il diffinire. A
R. Perche ora io non attendo le eſquiſite , Oregolate diffinitioni,maquelle che
dalla più parte delle gentiſono ammeſſe, delle quaiquaſiſenz'artificio ſe ne
può formare un numero infinito . An. Tu ſei molto circoſpetta . AR. Seguiò
Natura , féle coſe àgli umaniappetitidi lor natura piacere, o dispiacere posſo
no apportare,òpur l'Anima ne li fa tali. NAT. Senza dubbio non folo elaAnimaha
uirtidi apprendere, ofuggire le coſe, ma in effe ancora e nonſo cheda eſſer
fuggito,ouero abbracciato. Quädo adun que tra la coſa, o l'animaſi truouaalcuna
conformità, allora lo appe tito ſi muoue ad abbracciarla, o queſto mouimento,ſi
può dire, no minar defiderio ,ilquale è appetito di coſa che nõ ſi
poßiede,cõforme però à quella uirtù ò parte dell'anima,che l'appetiſce; ma
quando no ui é queſta conformità,tra gli oggetti, o l'anima,ella gli aborre, o
fugge, né ſolamente oue o anima,oſentimento ſi truoua cotefti ab bracciamenti,e
fugheſiueggono,ma doue occultamente io ſonoſoli ta di operare, doue non éſenſo,
ociò faccio con un ſemplice inſtinto, ilquale al mio poteree tale, quale al tuo
é la conoſcenza. Coteſto in ſtinto ogni coſa conduce alla conſeruatione, o
albene; & dalmale & dalla morte il tutto ritragge quanto può . Maper
dirti de gli huo mini, ſappi, che eſſendo tra le coſe oppoſte, ole parti de gli
animi lo ro ,conuenienza,quando auiene,che quelli ſíenopreſenti,oche laſcia no
impreſſa la loro qualità,in quellapartechegli appetiſie , allora ſi genera
ildiletto , e l'allegrezzanata dalla morte delprimo deſides rio , perche
poſſedendo la coſa deſiderata , il diſio è già conuertito in piacere.
Ilqualpiacere altro non é,cheadempimento di uoglie. Tu conoſcerai, cheil guſto
tuo bauerà conformità con le coſe dolci; da queſta nenafcerà
l'appetito,auenendo poi,chele coſe dolci uicine fica no à quella parte,doue il
detto ſenſo dimora , eche in eſſa laſcino la lor qualitàimpreſſa,che é la
dolcezza,nonha dubbio ,che quella par te nonſia per bauer diletto , egiocondità
. Il ſimigliante uedrai in ogni tua parte, Et per lo contrario ſi ſente noia, e
diſpiacereo nella priuatione delle coſe deſiderate, o nell'hauere le difformi,
oaborrite, ecome il principio di ottenere il bene era il deſiderio dalla
ſperanza accompagnato ,cosi il principio di hauere la noia, era la fuga dal
timore commoffa . Etcome nella prima impreſione la ſperanza in gio is fi
conuertiua , cosi nella ſeconda la paura ſi tramutaua in dolore . Eccoti
adunque i quattro principali affetti diuoianime. AN. Vor reiſaperè,o Natura, in
cheſia poſta la conueneuolezza , che é trale coſe, ole parti mie . NAT.
Percheioſono tale in ciaſcuna coſa , quale io mi truouo , però nelle coſe
eſaéripoſta per me; maperche poi auenga,che io tale mi truoui in ciaſcuna
coſa,dimandane chi cos si ab eterno prouid. AR. Or l'anima tiparetroppo curioſa
? ma dimmi quai coſe,à qual parte dell'anima ſono conformi. NÁT. In fomma il
uero é il bene, &per tal cagione, quello che è uero,uien giu dicato bene.
Ar. Che intendi tù bene ? NAT. Ciò che daogn'u no,e da ogni coſa uien
deſiderato , &uoluto . A R. Qual bene Ć cercato daữ’intelletto ? NA T.
Dimandane coſtei AN. il ſapee re , la
dritta opinione. NAT. Dalla uolontà ? AR. Ogniabis to di uirti . NAT. Da gli
appetiti . AR. Ogniutilità ® dilets to AR. Che naſcerà poi , ò Natura , dal
deſiderio ditai coſe ? NAT. Lo sforzo, o lo ſtudio de'mortali per conſeguirle .
An . Buui alcuno inganno de gli appetiti intorno al bene, come ui é l'ingan no
dell'intelletto intorno al uero ? NAT. Grandissimo. AN. Et come ſe il bene e
cosi conforme all'anima ? NAT. Non hai tu udito poco di ſopra, come l'anima era
d'intorno al uero, opure anco il ue to le era molto conueneuole , et
proportionato ? AN. Ben'inteſi, che la cognitione del uero era molto confuſa,
riſpetto alla fantaſia . A'R . Cosi é . Et di nuouo ti dico, afferino,che
ogn'uno confufae mente apprende un bene,nelquale par che l'animo s’acqueti,et
quels D 2 lo 28 lo deſideri,mapoi da gli
appetiti traportato (come prima era l'intele letto dalla fantaſia ) e aquegli
rivolto ſmarriſce la uera strada di quel bene, al quale ciaſcuno digiugner
contende , moſſo dalla interna forza della Natura . Et in quella ſtrada,orapiù
lentamente , ora più. velocemente camina , troppo è meno amando, et deſiderando
quello , che con miſura dourebbe amare,ò defiderare . Indië nata la ingorda
uoglia delle ricchezze, lo sfrenato appetito dei piaceri, vtalbora la pigritia,
om negligenza dell'ocio ; &deſiderando altrilapropria con ſeruatione,
s'inganna, credendo,che il bene altrui,ſia la ruina ſua ,oue ro temendo di
perder’i ſuoibeni, fauori,gratie ,amiſtà,onori,o lodi, ſi muoue alla
ingiuria,alla inuidis,alla uendetta. Et di qui naſce quello di che tutto di ſi
contende fra' mortali, il giuſto, lo ingiufto,ildouere, l'equità, l'utile,
oaltre coſe, che ſono cagioni di liti, o di conteſe Per il diletto adunque,
& per il comodo, ciaſcuno ſi muoue à fare. Et benefarà quello, alquale ogni
coſaſi riferiſce , ouero ſiriferirebbe , • perragione, o per appetito, o per
natura .Et ciò cheopera, difende, conſerua,accreſce,accompagna, ſegue,ordina,et
ſignifica il bene,bene ſi chiama, operò la felicità, o tutte le parti
ſueſarannobuone, a le uirtie ſopra tutto ſono benidiſua natura
degni,bencheàmoltinon ſono cosi apparenti. Ilpró ,l’utile , il piacere ebene ,
perche l'utile ė mezo di conſeguire il deſiderio, oil piacereè moltoalla natura
cona forme. A N. Fermati un poco , & dimmi,come non eſſendo beni cosi apparenti
le uirtù de coſtumi,gli huominiſieno uenuti in cognis tione di quelle: AR.
Credi, ó Anima,che ogni maniera di bene, che appare à gli huomini ,
éſimiglianza di quel bene, che non appare,e chi uuole drittamente giudicare da
coteſti apparenti beni , potrà ris trouare la uia di peruenire alla cognitione
di quegli, cheſono in ſebe ni, o che fanno la uera , es ſola felicità,più
deſiderata ,che conoſciu taima non ſta bene ora difiloſofare intorno a tal coſa
. Baſtiti, ch'io ti ritruoui la uia, per la quale gli huomini ſono andati a
ritrovare i beni dell'animo, o le uirti interiori . Dicoti adunque, che uedendo
i mortali nel corpo umano molte buone conditioni, hanno congetturas to, ancora
nell'animo ritrouarſi alcune ottime qualità, à quelle del cor po in qualche
parte conuenienti . Dimandane la Natura, quali ſieno le doti del corpo ,che tu
ſaprai da me poſcia quali ſienogli ornamenti tuoi. AN. Dimmi ò Natura , fe egli
ti piace, diche beni adorni tu i corpi umani ? NAT. Prima diſanità, o di
forza,poidi bellezza, O d'integrità diſenſi . An. In checonſiſte la ſanità ?
Nat. Nels la . la proportionata meſcolanza degliumori principali, enell'uſo di
ej 14,6 queſta proportionata meſcolanza , ueramente ſipuò chiamare una egualità
ragioneuole. ART. Credi tu , o Anima,di eſſer’al corpo inferiore ? AN. Non già
. ART. Credi adunque , che in te eſſer deue una certa egualità. Il cui ualore
conſiſte nell'uſo. A N. Quale uuoi tu che ella ſia ? AR. Quella che Giuſtitia
ſi chiamna,fers ma, o coſtante volontà di render a ciaſcuno ilſuo . Ma che dici
tu delle forze ? NÅT. Dico, la gagliardezzaeſſer’una uirtù del cor po,poſta nel
potere à ſua uoglia abbattere,atterrare,et uolgere ogni alieno impeto con
leggiadria. AR . Bella, aneceſſaris uirtù neli aa nimo. Perqueſto giudicarono ifaggi,eſſer
la fortezza, laquale reſis ſtendo à gli impetidella fortuna,ſola
nė"ſuperbanel bene,ne uile nelle auuerſità ſi dimoſtra, &fola guida
nella militia della uita mortale uin cendo,glorioſamente trionfa . NAT. Che
dirai tu della bellezza del corpo, laquale è una proportione di membra, o di
parti tra ſe ſteſ fe, o col tutto conuenienti dauiuacità di colori, et gentil
gratia acs compagnata ? AR. Tumi dipingila temperanza dell'animo,laqua le in ſe
ſteſſa raccolta, ecompoſta,inuera, o proportionata miſura conſiſte, tanto può
di dentro,che di fuorinel corpo il ripoſato , o quieto penſiero uedi, dolce,
ogratioſa maniera ſi conoſce, & quafie una conſonanza di tutte le
conſonanze . NAT. Che coſa trouerai tu nell'anima,conformealla integrità dei
ſenſi, come alla bontà della uiſta, alla perfettione dell'udito, « al
uigored'ogni ſentimento ? ART. La prudenza, la quale consiste in saldo, o sincero
conoſcia mento delle attioni umane : A N. Egli mi pare, che io ſia da Dio
creata à fine , che le coſe mie fieno ſcala all'altezza di quello . AR. Che
penſitu altro , ò Natura ? NAT. Nulla , ſenon che conchiudo frame, che gli
huominiſi ſieno aueduti delle uirtú interiori per le qua lità eſteriori. AR.
Senza dubbio, a molti anche ſi ſono ingannas ti, oper una ſimiglianza, che
hanno le uirtù con alcuni uitij, se lo Cangiando il nome hanno detto chela
tardezza ſia moderata pruten za,la liberalità ſia la larghezzaſenzamiſura; e
cosi all'incontro il prodigo ſia liberale . Et non hanno conſiderato ,
eſſergran differenza tra il ſaper dare, er il non ſaper conſeruare.Et queſto è
quel ueriſimi le nei beni, che muoue ſpeſſo lementi, ogli appetiti umani .
Orain brieue l'ordine,l'ornamento,e la coſtanza delle coſe handimoſtra to le
uirtù , ou appreſſo la concordanza di tutte le operationi , o la grandezza, che
le ſopra feſteſſa inalzają si come in ogni arte, com in ogni 30 DELLA ogni
ſcienza biſogna hauer’alcuna coſa manifesta , e chiara, dalla quale da prima
ella naſca, o s'augumenti,cosinella felicità, bed ta uitaſi richiede,
euidentefondamento,preſo dui benimanifeſti à i ſen ſi umani,dalquale
s'argomenti il uero , ottimo fine , operò dalle predette coſe ſiſtima,quella
eſſer felicità , che con proſpero corſo tracorre,tutta diſeſteſsa, tutta di ſua
uoglia, tutta piena,tutta d'ogni parte abondeuole, ocopioſa, eyd'intorno à tai
coſe ricordati ſeme pre della diffinitione, da unaparte conſiderando, che coſa
é bene,di! l'altra diſtinguendo quello che é del corpo , da quello , che é
del’ani mo, e come ciaſcuno in molte parti ſi diuide.perciò che cosi ne trar :
rai quella abondanza di coſe che tuuorrai,doue meritamente la pres detta
parteſi può dar tutta alla inuentione, laquale e il fondamento della noſtra
fábrica. Partidoadunque tutto quello cheſotto il nome di bene, ò uero, ò apparente
ſi conciene, trouerai la felicità con tutte le ſue parti,o trouerai, che'l
fuggire dal maggior male,ſia bene , et l'acquiſto delmaggior bene, « il
contrario delmale; & queſto, pera che molti s'affaticano, e che i nimici
lodano alcuna fiata.Et che ſifa ſenza incomodo, feſa, fatica, ò tempo, ſe é
diſiderato; ofinalmente tutto è bene,uero, apparente, v dubbio, quello che
uiene deſiderato. A N. Che dirai tu del piacere ? AR. Grande ueramente è la
fore za del piacere, & del dipiacere , percheſin da fanciulli ſi uede , che
il tuttoſi fa per tai contrarietà. Et s'io uoleßi pienamente ragionarti, io non
finirei cosi toſto, però di eſſo alcune brieui ſentenze io ti pros pongo,dalle
quaiſe ne ritrarrà quella ſimigliäza di uero, che in tai be niſi può trarre. Dicotiadunque,che
quelle coſe grate ſono, dipid= cere,che ſono alla natura conformi,come hai
diſopra ſentito ; pero à ciaſcheduno grato ſarà quello ,à che eglidi natura ſua
ſaràinchinas toje per la medeſima ragione,foaue,et gioconda coſa é la
conſuetudi ne, come quella chemolto alla natura ſi confaccia . Perche quello,
che speſſo ,et per lo più ſifa, è molto uicino a quello che ſempre ſi ſuolfa re
. Caro e quello ,che non ſi trde per forza,perche la forza é contra natura,
onde i trauagli,lecure , e ogni maniera diſtudio, odi pens ſiero,che turbi la
quiete dell'animo , perche é uiolēto,arrecca moleſtia o diſpiacere. Seforſe la
conſuetudine non l'ammolliſce. Cosi per con trario il diletto, il giuoco, il
ripoſo ,la ſicurezza ilſuono, et la rimeßio ne, come coſe di ogni neceßitá
lotane. Néſolo col ſenſo uicino ſiprende piacere delle coſepreſenti, ma con la
memoria,con la ſperanza,del lequali una riguarda le paſſate, l'altra le
future.Lepaſſate apportano nella ricordatione aſſai diletto,perche la
imaginatione le fa quaſi pres ſeriti, e ſe erano graui, o noioſe, con lieto, o
piaceuol fine fatte ſos no dolci, eſoauile coſe buoneche hanno à uenire nello
ſferare con fortano, comele preſenti nel goderle,ouero nel imaginarle, ilche
ſuos le à gliamantiuenire, iquali non hanno ripoſo ſenon quanto penſano alle
coſe diſiderate . Lauittoria ė foauißima coſa, ó lo auanzare il compagno , or
però ogni maniera digiuoco ſuol dilettare la caccia , l'uccelare, la
peſcagione, et appreſſo l'onore,ogni gratitudine, ogniri uerenza,inſin l'adulatione
piace infinitamente . Lo imparare ancora é coſa piaceuole , onde la imitatione
delle coſe è giocondiſſima , tutto che le coſe imitate non dilettino, perche nõ
la coſa eſpreſſa ,malo sfor zo, e il contraſto dell'arte ſuol dilettare. Indi è
nato, che la pittura, le statue,o l'opre finte aggradano chi li mira . Ne più
ti uoglio af faticare,o Anima,in dimoſtrarti,quello cheda te, et in te prouerai
ef ſendo con eſſo il corpo .o quanto ti fia dipiacere il dominar’ultrui il
comandare il ridurre à compimento le coſe incominciate, il veder riu ſcire ogni
tua deliberatione , e finalmente tutto quello, che al bene t’indrizzerà,ò dal
male ti ritrarrà. AN. Se queste coſe ſono buo ne, come tu di , per qual cagione
ſipuò errare nel deſiderarle , nel cercarle ? A R. Due mouimenti,ò Anima in te
conoſcerai, l'uno de' quali da eſſa Natura riceuerai, e l'altro riporterai
teco. Nel primo niuno errore puoi commettere,perche non è colpa tua, che alcuna
co ſa ſi truoui,che ti diletti; ma nelſecondo ageuolmente puoi cadere , eſſendo
in tua mano il freno di non conſentire cosi à pieno à quella prima voglia&,
non riguardare alla ragione, che con certo conſiglio al gouerno de'primi
appetiti guidar tidee. Maperche per lo primo, O naturalemouimento gli
huominifanno il più delle loro operatio ni però debbonoeſſer ueriſimilmente
guidati,o é creduto per lo più, che ciaſcuno faccia con deliberatione quello
cheegli fa, ſeguendo il primo inſtinto; néſi conſidera che in teſi truoua uirtá
libera, o po tente,dalla quale ognilode, o ogni biaſimo procede . Etacciò che
el la ſiapiù drittamentegouernata, eccoti l'autorità delle ſacre leggi , nella
quale è poſta la ſalute, e la correttione d'ogniumano errore. Contra le
quaichiunquepreſume di opporſi, dal proprio conſiglio abandonato, è dato in preda
alle ſue proprie uoglie,e ſottoposto ale la pend, come quello cheiniquo, o
ingiuſto ſia. Ora in brieue ti dico, che eſſendo eſſe leggi nelle rep. àgli
animi quaſi medicine delle loro infirmità, o rimedijà i loro errori, biſogna
ſapere ogni maniera di gouerno ,
gouerno, in che eglipiù fermo fia,da che uegna il cadimento di quels lo,
et quanti ſienoi contrarij ſuoi,per poteralla cõmune utilità con le Sante
inſtitutioniliberamente prouedere. NAT. Matu non dimo ſtri, ò Arte, che alcune
leggi ſono eterne, er immutabili, non da gli huomini ſecondo gli ſtati loro
ordinate, ma dallo editto diuino , o da me inuiolabili ſtatuite, communi,&
uniuerſali à tutte le genti, lequai non più allo Indiano,cheallo
Ethiope,eguali, in ogniſecolo , in ogni luogo ſi Sogliono ritrouare, non ne
igrandiuolumiſpiunati da' morta li,manel libro della eternità impreſſe,et
ſigillate in ciaſcuno che ci na ſce. AR. Coteſte leggi,ó Natura,non ſono
ritrouamenti umani, né ſecondo le occaſioniformate, ma eterne, econtinuate ad
un modo in permutabile , del quale non tocca à me il ragionare, «pint é quella
ch'io non dico di eſſe, o forſe quella equità,dichefpeſoſi ragiona, al tro
nonė, che la leggeſcritta nel cuore d'ogn'uno per correttione di quella cheè
poſta per commune uolere di ciaſcun popolo . An. Dun que nelle umane leggiſi
truoua errore? AR. Nongià , ma ben può eſſereche ilfondatoredi eſſe al tutto
non proueda,et chenon conſide ri molte coſe,lequaiperalcuno accidente , come ,
che molti ne ſieno fanno uariare i giudicij, e in queſto caſo la equità , &
l'oneſtà può aſſai, operò molto prudente, oqueduto biſogna cheſia , chiunque
forma le fante leggi, « che il più che può tolga il potere à gli huos mini di
giudicare da ſe ſteßi . Però cheben ſai, quantopericoloſopra ſtà nel giudicio,
riſpetto allo amore, all'odio, e ognialtra perturbae tione umana . Matempo è,
cheſi dia fine à queſta parte , perche aſſai sé detto d'intorno alle uirtù
dell'anima,e d'intorno alle coſe appars tenenti ad eſſa , si di quelle che allo
intelletto, come di quelle, che ape partengono allo appetito . In quanto che
elle hanno ſimiglianza del uero , delbene, dj appartengono alla inuentione. A
N. Tutto che ó Arte, inanzi à gli occhimiſieno le coſe, che tu m'hai dimoſtras
te , hauendole tu ſopra la Natura delle coſe ſtabilite ,pur uorrei ſapes re
alcunſecreto , come diſopra molti me n'hai ſcoperti, quando tra noi ſi
ragionaua delle parti mie. AR. Io non per naſconderti alcu na coſa miſon
taciuta, maperche eglimipare, cheda te ſteſſa potrai ogni ripoſte bellezza
conſiderare, uedere, che da que' beni che di ſopra habbiamo diſtinti,naſcono
treparti principali dello artificio no ſtro . Però che ſe il bene é utile
,nenaſce quella parte, che é posta nel conſigliare, laquale ſi uſa neiſenati.
Se'l fine è giuſto, quell'altrapare te, che delle ingiurie ciuili,ò
criminalitra i popoli fa mentione, felfie ne 1 1 ne é honeſto , allora ampia, o
magnifica materia ſipreſta di lodare nelle pompe, et ne i trionfi le opere
glorioſe , ma il ualore delgraue, o riputato Cittadino,primanel ben fare,poi
nel ben conſigliareſi di moſtra. AN. Diche coſa più ſi conſiglia ? AR. Di
quello , che : più abbraccia l'utile uniuerſale . Etprima d'intorno al corpo
delle uettouaglie, odel uiuere per ſoſtenimento di ogn'uno, odella difen fione
per ſicurtà de i popoli, delle ricchezze perſoſtenere la difes Ja. Dapoi delle
ſacre leggi, e della religione per ottenere l'ultis mo , o deſiderato fine .
ANI. Che ſi ricerca nel conſigliare ? ART. Prudenza, beneuolenza , animo ,
ſecretezza , e celeris , tà nello eſſequire . A N. Gli ineſperti
adunque,imaligni, i timis di , i uani, i pigri huomini , non ſono atti al
conſigliare : ART. Non già . Necoloro , che non ſanno conſigliare ſe ſteßi. Ma
odi: alcuni ſecretidi queſta parte, forſe non uditi fin'ora. Vuoi tu ſapere un
modo mirabile di conoſcere glianimi de' mortali ? AN. Queſto eil tutto . A R.
Sappi,checiò, che ſecreto nell’hkomo ſi truoua , forza cheſia in alcun
ſentimento di eſſo,ò di dentro, o difuori.Sentis, mento chiamo ora ogniparte di
te ó Anima . Et però uolendo tu ri trouar coteſto ſecreto , tenterai ogni
ſentimento , perche quando es toccherai quella parte,nella qualee ripoſto il
ſecreto di alcuno, o pia ceuole, ò noioſo,che egli fi fia ,ſenza dubbiomanderà
fuorialcuniſea gni,comemeſſaggieridelle uoglie ſue,ocon alcuneſimiglianze dimo
ſtrerà quello,che egli ſipenſa di haueredétro diſe naſcoſo; aguiſa di una corda
chealſegno tirata di un'altra ; quandoritruoua la conſon: nanza,ſimuque, a
ſuona di pari armoniacon quella.Da queſta reues, latione dipende la uittoria, eu
l'onore di chi parla nel coſpetto degli huomini.Etqueſto è un ſecreto ripoſto
aſſai, wodegno di penſamento .. L'altro è , che a conoſcereil giuſto, e lo
ingiuſto,biſogna riguardas re al fire,alquale ciaſcuna coſa deueeſſer
meritamente riferita , pera , che quando ſia, che dal debito fine alcuna coſa
ſi rimuoua, allora ne ng ſce la ingiuria,la quale éuna eſpreſſa maniera di
ingiuſtitia. Aqueſta ingiuria altri ſono più diſpoſti a farla, che à patirla
,altri per lo cons , trario . Et questo biſogna conſiderare per potere in
quella parte uas lere , ii cuifinalgiudicio rizuarda il giuſto , o l'ingiuſto.
Altri ſes creti ui ſono , ma io mi riſeruo là doue della applicatione ragiones
remo, cioè quandoſi dirà il mododi porre le coſe nell'anima . Ma che marauiglia
è queſta ? doue é gita l'Anima , ò Natura ? Perche te ne ridi tu ? come ſono
ingannata ? come tolto mi viene il poter ſeguire E l'incominciato ragionamento
? NAT. Aſpetta ó Arte,non titurs bare, toſto merrà, con chi tu habbi à
ragionare . Ora uoglio che noi ci tramutiamo, o che cifacciamopalpabili, o
viſibili. AR. Che mutationimiusi predicando? NAT. Taci, attendi . Eccomi qui di
corpo ,e di formaumana . AR, Guardami ancora tu, ch'io ſo no trafigurata ,à
chimiſomigli tu o Natura ? NAT. Io non ſaprei à coſa alcuna ſimigliartijmubene
io uedo, che tu hai molto del graue nell'aſpetto, e nello andare, onel
uestire,et à pena io ardiſcofiſarti . gliocchi à doſſo . Et mi viene una certa
tenerezza di lagrimare. A R. Coteſto é ſegno ,che tu mi ami et riueriſci ;et
tanto più ch'io ti ſcorgo un certo roſſore nel uolto , e ti odo ſopirare. Ma
che ti pare de gli occhi miei ? NAT. Tu haideldiuinoin eßi,come cheſieno di
coloa re celeſte, o di luce penetrante . A R. Et de capelli,chedi tu ? delle
ciglia ? NAT. Quelli ſono neri, a queſte rare , e di oneſta grandezza. ART.
Saitu di cheſieno ſegni le predette coſe ? NAT. Non già,ma bene ſtimo, che tu
t'habbifigurata in quel mo do difuori,che tuſei di dentro, cioè piena
d'intelletto, edi capacità ftudiofa delbene,folerte ,er ſuegliata comeſei. A R.
Tudi il ues ro, e dipiù il naſo aquilino, le orecchie egualiil collo brieue, il
pete tolargo , le ſpalle große, le braccia, le palme, ø i diti lunghi, tuttiſou
no ſogni euidenti dello eſſer mio . NAT. Ma tunonſei peròtroppo grande,bencheiltuo
mouimento ſia tardo, elo ſtarediritto, chedie moſtrino te manſueta , umana , a
piaceuole . Ar. Se non fuſſe il mio continuo penſamento, mi uedreſti ancora più
allegra. Ma guarda quantiſtrumentiadoperar mi conuiene perporre in opra quello
che io nella mente diſegno . NAT. 10 ſono dite più ſemplice , o piis ſchietta
comeuedi. AR. Tu mifai ridere con tante mammelle . NAT. A punto io fo ridere
ogni coſa per tante mie mammelle, pero che credi tu , chelefemine , noni maſchi
habbiano tai parti ? AR : Perche le femine ſono quelle chepartoriſcono, però
biſo gna, che come eſſe danno la uita, cosi diano il notrimento ,etperò han no
le dette parti come iſtrumenti della nodritione . NAT. Quans te adunque nedebbo
hauer’io, eſſendo madre dituttele coſe ? AR. Tu hairagione,ma chi é quel
giouane cosi bello , che incontro ne uie ne ? NAT. L'anima,che poco dianzi era
ſola,ora è accompagnata col corpo. AR. Chemiracoli fai tu ò Natura? NAT . Credi
tu Arte ſapere ogni coſa ? AR. 10 fo bene quello, che credo, ſo che le genti
non crederanno queſte mutationi, che tu o io facciamo. NAT. E LO QVENZA. NAT.
Pochi ſono i ueri Sauij., però non diamo orecchie al uolgo . Eccoti il
deſiderato aſpetto, conſidera o miſura le parti fue , che ria trouerai bella ,o
proportionata compoſitione. Ar. Che carne gen tile, odelicata , non però troppo
molle, guarda chedignità,che maa niera chefronte allegra, « ſignorile ,chipotrà
dire che egli nonhab bia ad eſſere pieno di coſtumi, o d'ingegno ? NAT. Ben
ſai,che io gli ho la promeſſa ſeruata in tutto . ART. Rallegromi ueramen . te,
o mi pare , che tu ſeimolto miglior maeſtra di me, ma che nome gli daremo
?.NAT. Quello che conuengaà chi lo fece. ART. Io ne ho poco che fare. NAT. Anzi
tugli hai dato , & darai il miglior'eſſere;ben’è uero ,ch'io ne ho la parte
mia, o il mie fattore la ſua. ART. Chiamiamolo dunque DINARDO. NAT. Perche ?
AR. Perche Dio , Natura , & Arte il donarono. NAT. Tu mi allegri con tal
fabrica di nomi . A R. In molte lingue io ho queſto potere, il quale e poco da
gli huomini conoſciuto. NAT. Mipiace, ma perche non l'hai tu dacapo a piedi
minutamente miſurato ? AR. Micuſui lo hauerglidimoſtrato , che la oratione
eſſer dee.comeil corpo umano, o hauere principio,mezo , & fine.Etche le
partiſue deono corriſpondere à ſejteſe, al tutto con dignità ,e decoro ? Et si
comenel capo ſono tutti i ſentimenti del corpo , cosi nel principio eller deono
ripoſti i ſentimentidella oratione. A lui pofciaſtarà di ore dinar la predetta
materiafecondo il biſogno,facédolo auuertito, che i teftimonij delle opere de’
mortaliſono le coſe che ſtanno d'intorno à quelli . Et però mi gioua di
nominarle circostanze, percioche fa cendo,o operando l'huomo alcuna coſa, ha
ſempre inanzi,ò apprefe ſo il tempo,il luogo,le perſone, il modo, ilfine, le
quaicoſe fanno fede ſe l'operaſua è buona, orea . Da coteſta conſideratione, ſi
ſtima chi ragiond, e con chi,ſe è la occaſione di dire ſe in questo, o in quel
luo, goſtarà bene di parlareſe ilfine è buono,et altre coſe,alle opere ap
pertenēti. Ma tu gratioſißimo Giouane, che con tăto fauore delcielo ſeinato,ti
ricorderai tu quelle coſe che dette habbiamo fin'ora ? Non titurbure,cheio ſono
l'Arte, e queſta è la Natura,con la quale tu , eſſendo Anima ragionaſti. Din .
In che maniera ſono le coſe ſchiette, oignude , oin che forma ſono le
compoſte,che cosi uiſiete mutate, piacemi di hauerui riconoſciute , o cosi
uiaffermo di ricordarmi di quanto s'è detto . ART. 1o non mipoſſo ſatiare di
guardarti. NAT. Che giouanezze ſono queſte ? ART. Non ti dolere , o Natura ,
che la bellezza delle opere tue ſia da me riguardata con E 2 marauiglia . NAT.
Poi che io à tale fon uenuta , che pienas mente ho ſatisfatto al deſiderio tuo
, e chef Anima pronta s'è die moſtrata, comincia tu ancora ò Arte ad inſegnarci
ilmodo , col quale applichiamo le coſe all'Anima. Et perché non più aſtratte
ſiamo ,ma compoſte,però voglio,che con le eſperienze degli ingegni altrui, eo
con glieſempi,cheſono oſtaggi della verità, e con l'uſo quotidiano, tu ti
rivolga à darci ad intendere la forza dell'eloquenza umana. AR. Cosifarò .Ma tu
ò Dinardo, preſteraimi udienza , enon las ſciare à dietro coſa, ch'io ti dica .
Marauiglioſae ueramente la förs za ola uirti della fauella umana. Perciò
cheoltre alla intentione de i concetti e delle uoglie di uoi mortali , che per
eſſa ſi fuole con bes neficio univerſale, &euidente diletto appaleſare ,
non é in uoi ſentis mento alcuno ,l'appettito del quale non ſia da
quellafieramente eccia tato, e commoſſo ; a chi uoleſſe di ciò prender debito
argomento . ogn'hora,che ueniſſe bene, riguardando à i modi,cheſiuſano tra uoi,
ritrouerebbe le coſe à i ſenſi ſottopoſte alcuna uolta effere di minor uirtù in
muovere ciaſcuna il ſenſoſuo ,che il parlare , qualhora egli fia con
bello,efficace, es maeſtreuole modoformato, ofabricato, o appreſo doppo alcuna più
profonda cõſideratione, conoſcerebbeese fere quaſi infinito il valore di eſſo
parlare,come che ſolo allo intellets to dimoſtri la ſoſtanza , ela ragione
delle coſe, it che à niuno altro . ſentimento, quantunque la Naturaſempre
atutti liberaliſima ſtata fia ,né é,në fu ,nefarà conceſſo già mai. Quante cofe
del cielo , quante delle intelligenze, quante di Dio per mezo della lingua,
ſenza l'aiuto de gliocchiò d'altro ſentimento ſi fanno ? Il parlare èſolo
dimoſtras tore della ſoſtanza, ilparlare e ſolo per uniuerfale miniſtro
dell'aniæ ma, ilparlare é ſolo ſtrumento della ragione , ma onde é o Dinardo,
che ne gliquenimenti,et ne gli atti degli huomini tanta forza diſcens da nelle
parole ? DIN. Credo ueramente, cheeſſendocidato da eſſa Natura ilparlare (come
tu dici )affine,che le noſtre biſogne , ino. ftri penſieri altrui manifestiamo,
granpotere in quella fauella debe ba eſſere,la quale da uero , &ſaldo
intendimento , e da sforzes uole diſiderio procedendo,tale difuori apparirà,
quale di dentro nele l'animo dimorando ſtaraſi. AR T. Ben di . Eſſendo adunque
le pas role come oſtaggi delle uoglie, o de concetti, bifogna , come tra ' sis
gnori auiene,dare gli oſtaggi alle perſone conuenienti, e però prens dendo noi
dintorno al parlare quelmiglior partito , che ſi conviene, soglio ,che picde
inanzipie mettendo or, gentilmente più oltre pafé fando ritrouiamo le maniere ,
egli aſpetti della oratione, oconfia deriamo quale parlamento à qual coſa,età
qualperſonaficonuenga. DIN. Di, ch'io t'aſcolto. A R. Non è dubbio , che
riportando il parlare per gli orrecchi alle anime de gli aſcoltanti, la forza
dello intendere, o del uolere, biſogna in queſto viaggio dar mouimento,et modo
ad eſſo parlare . Perciòche lo intendimento ó la uoglia nell'anis ma ſi
ripoſano, o iui come nel ſuo caro nido dimorano , ne ſi potreba bono da quello
ſenza ragione, et artificio, dipartire. Al che fare accõa ciamente uoglioin
prima che in ciaſcuna forma, o maniera dell'orda tioneſi truoui il
concettodelle coſe inteſe,ca deſiderate , ilquale par oraſia detto , ey
nominato SENTENZA. Appreſſo uoglio, che ci ſia lo artificio dileuare la
sentenza dalluogoſuo, & là doue farà biſoa gno, leggiadramente portarla ,
perche ſimigliando la ſentenza al ris poſo, e all'anima, diremo , che
l'artificio sia la machina , il modo conueniente di leuare il peſo della
ſentenza dalla menteumana Ma perche ſiuede, che l'anima uſa le forzeſue ,
oadopra il corpo come ſtrumento,peròà ciaſcunaforma dell'oratione appreſſo
l'artificio, Ry la sentenza, le ſidarà parole, e uoci,per mezo delle qualipotrà
l’q . nima delle fentenze la ſuauirtù , leforzeſue gentilmente adopea rare . Ma
perche aſpetto alcuno non ſipotrà vedere, oueſieno le pare ti, la compoſitione
di eſſe, il colore,icontorni, oifinimentideltutta, deſidero condonar alle parole
iſuoi colori, il ſito , o le partiquaſi membra, o iſuoitermini, accioche altri
allo aſpetto, o alla forma conoſca quali oſtaggiſienodati dall'anima dei i ſuoi
ripofti, & fecreti intendimenti. Chiameremo dunque i colori figure , le
parti membra, il ſito compoſitione , il finimento chiuſa o termine della
oratione . Et perche uanafatica ſarebbe la noſtra, le haueßimo folamente formas
to si bella creaturaaffine che ella ſifteſle, népunto ſimoueffe , pexo come
uiuo s'intendequel corpo ,cui mouimēto e conceſſo ,cosidaremo al noſtro parlare
il ſuo paſſo,ò uero ilſuo corſo, il qualeſifarà col ri pofo dialcune parti,
ecol mouiméto di alcune altre,come farſi uede ne gli animali, o perche con
altro mouimentoſi muoue uno adirata, con altro un manſueto, o altro é il paſſo
d'huomograue , & atteme pato, altro d'un leggiero , & ancorafreſco di
età ,perònello ſpatio, per lo quale hauerà da correre, o caminare la oratione ,
uoglio che ſi conoſcaogniinterna qualità delle coſe perlo mouimento, e per lo
ris poſo delle parti delfermone, ewe perchediſopra habbiamo dato à cias
fcunaparte il nome che à formar una manieradiparlaméto ſi richies de däremo
ancora à queſta ultima il nomeſuo,si ueramente che il ripos fo, yo il mouimento
delle parti ſotto unoſteſſo uocabolo ſi rinchiuda, poi chiamato fia ó Numero,
onumeroſo componimento. Din , Qual Dedato potrebbecosi belle figure,afare,
adornare,comefai tu ò Arte ! Raccolgofin tanto quelloche io ho da te ſentito
fin’ora,odi * co,che tu uuoi, che la oratione habbia una qualità,checonuenga
alle *coſe,o alle perfoneſoggette, o queſta iſteſſa qualità, formaá maa
inierazò guiſa dimandi. Ari Cosić, Din . Tuuuoi appreſſo, che ciaſcunaforma
primieramente habbia la ſuaſentenza, che altro non è che il concetto della
coſa,dapoi l'artificio , che é il modo di les * uarla dalluogo ſuo,ne queſto ti
baſta , a però uuoi ire grandamente fi conſideri con quai parole ſi posſa pixi
acconciamente ragionare , a eſprimere la occulta uirtù delle
fentenze,diſponendo quelle parole,e dando loro iſuoicolori , o finalmente
rinchiudendole in alcuni ter "mini acciocheſieno alla ſentenza eguali
,come l'Anina à tutto il cor . Spo, oaciaſcuna parte dare il fuonumeroſo, e
miſuratomouimeto, checol ripoſo, o con la uelocità del tempo preſente ſi
miſuri.A RT. Cosi u'ho detto D'IN: Ognicoſamipare d'intendereragioneuol
mente,ſolo che tu uoglia dichiararmi alquanto d'intorno a questo numero ſo
componimento, che NvMERo hai nominato. Et io fon diſpoſta àfarlo , sueramente
,ch'io uoglio prima partitamente ragionare, ego diſtinguerele maniere,e le
forme predette., decioche tu fappia ilnumero diciaſcuna determinatione. Dico
adunque,lapris smaguila,esla prima formadouer eſſere la chiarezza,la qualeſotto
dife contiene la purità , ola eleganzadel dire , anzi più preſto da
queſtemaniere ne riſultala cagione ,che nel primo luogoſi riponga queſta forma
perche niuna coſa più ſi ricerca , ò ſi diſideradachi jagiond, cheil laſciarſi
intendere , ilche altramente non ſi può fare fenzá la purita del dire, la
mondezza , la quale oggi uoglio , che ELEGANZA fi chiamidanoi.Ma percheſpeſſo
auiene, chesforzans doſi alcuni di eſfer’inteſi,cadono in forma umile, ego
dimeſſa molto les cuando , otogliendo della dignità , della grandezza del
parlare, però appreſſo la predetta forma,fi'dirà della grandezza, o grauità
della oratione, la quale damoltealtre forineprocede , che ſono ques ste,
Mueftd, Comprenſione, Afprezza; Veemenzt,splendore,viuacie tài boppo la
chiarezza, e la grandezza del dire a mepare che ſi conuenga conoſcer’un'altra
forma; ta quate tutto il corpo della os rationecon la conuenienza delle
parti,ornamento,osgratia recando, bella ELOVENZA. 39 bella, en miſurata
ſimoſtra, v però mi gioua di nominarldBellezzi, alla quale un'altra
formaſidarà, uolubile, preſta,perche tèggiaa dramente ſi muoua, leggiadramente
dico å fine, chene troppo sciolta, né troppo legtta ſiueggia.Et ſe la chiard, a
la grande , ela bella, o la ueloce forma ſono tanto richieſte, quanto previ dá
te ſteſſo cona ſiderare chediremo noi di quella, nella qual ſi dimoſtrano
imodi, i coſtumi delle perſone? Et diquell'altra,chefa credere ogni coſa, che
fi dice esser uerißima? Certo non meno queste, che quelle eſſerticare
deuriano,quando in queſte ſta ripoſta ogni riputatione di chi parla ; et ogni
credenza delle coſe,cosi uoglio nominar quella forma,la quae le ſecondo le
nature , & gli abiti delle genti ua ragionando ſotto della quale è la
ſimplicità , la giocondità , o l'acutezza; e quels l'altra ancora, che uerità
ſi dimanda , ſono forme, ſenza le quali morta , e ſpenta ſarebbe la oratione .
Et in queſto numero ſono chiuſe le maniere , o le guiſe , delle quali alcune
haueranno le loro ſentenze , &i loro artificij, e l'altre parti diſtinte,
es ſes parate dalle altre; alcune comunicando inſieme, ſi confarànno, o nelle
ſentenze ,ò nello artificio, ò nelle parole, ò nelle figure;o nel reſto, cos me
chiaramente uedrai . Queſte uoglio , chetu da feſteſe , come ſemplici forme
riguardi diſtinte l'una dall'altra . Perciò che non quel lo
cheſitruoua,maquelloche può eſſere,uoglio che tra te medeſimo rivolgendo
conſideri, e ciaſcuna forma, come tale, ew tale conoſchi. DIN. Io t'intendo, Tu
vuoi, ch'io sappia considerare ogni guisa di oratione in se stessa, onde poi a
scelta mia io possa questa con quella,et quella con altra meſcolando, di più
ſempliciformarne una bella.coinin poſitione. AR. Che credi tu,che uaglia
poicoteſta meſcolanza,che nella purità ritenga grandezza ,a peſo, nella
ſemplicità ,forzkiego fplendore, et habbianella grandezza delbello, e
diletteuole,mache afþramente piaceuole,e piaceuolmente aſpra ſi dimoſtri,
pungendo; gungendo, comeſi dice,ad un'horafteli, &facendo, chequello,che è
nelle ſentenze ampio, o ripieno,ſia nello artificio ampio, ad leggida dro ? Et
in tal modo accompagnando le figure d'unaforma con le pas role d'un'altra,dipiù
contrarij ( coſa alla natura medeſima riputatd . impoßibile)farne una
amoreuolefratellanza , onde poiqueſto genes roſo accozzamento di coſe
repugnanti empia ogn’unodimarauiglia . DIN: Non mi accender pir di gratia
,diquello che io ſono, cos minciami oggimai à formare ciaſcheduna delle dette
maniere , accion che io ueda il fine della deſiderata catena dell'anima delle coſe,
e del parlare. DE Ï Ï Á parlare. A R. Bendi. Dei dunque ſapere che
comenell'Anima,al. tra parte è quella che apprende la ragione,alfra quella ,
che é da gli effetti commoſſi, come dicemmo, o nellaNatura altre ſono le coſe
allo inſegnare altreal muouere appartenenti, cosi alcune formedels la
orationeſaranno, le quali conuerranno alle coſe dello intelletto ,als cune alle
coſe della uoglia , odello appetito , o quando queſto non fuſſe, né uia, nė
ragione alcunaſarebbe di poter acconciamente indurs re opinione è affettione
con la forza della fuuella . Però auuertiſci, che nel trattamento delle forme
da te ſtesſo potrai intendere qual forma à qual coſaſi confaccia. DIN.
Ricorditi difarmi ogni coſa chiara con glieſſempi, eio mi obligo di leggerli
ſecondola occaſio ne,in qualunque libro di queſti,che tu uorrai. Ma prima
deſidero ſa per alcuna coſa d'intornoal Numero , o numeroſo componimento . ART.
Laſciati à me guidare cheil tutto ſaperai ſecondo il biſogno. Sappi adunque, è
Dinardo , chequalhora alcuno ſi rivolga à conſi= derare il modo, es la ragione
del medicare , che ritrouando alcus na bella coſa nella medicina, uoglia
giudicioſamente applicarla all’are te del dire, non è dubbio, che egli non ſia
per uedere tra la medicina, o l'arte di che ſiragiona,grandiſsima ſimiglianza .
Ecco la medicina cerca di indurre ſanità, oue ella non ė, ò di conſeruarla doue
ella fi truoua.Ilſimile fa queſt'arte ,d'intorno alla buonaopinione , perche
conogni ſtudio s'affitica di metterla ,ò di mantenerla oue ſia biſogno. La
medicina conoſce qual parte del corpo con qualrimedio eſſer debs bia riſanata,
o preferuata,cosi queſt'arte opracon l'anima, e con le partiſue con le formedel
parlare.La medicina quantopiù può fugge la noia chepotrebbe alcuno medicamento
recar'atl'infermo,con mele ò con zucchero, ò con altra coperta mitigando il
peßimoſapore , ego l'odore delle medicine , ne da queſta gentilezza ſi parte la
mia figlis uola, cercandodinon offendere quelſentimento,che prende iſuoi ris
medij ,il qualſentimento é negli orrecchi ripoſto ,per le qualiſotto la ſoauità
delſuono fa trapaſſar’inſino all'anima la opinione , quantun que ſia di coſa
dalla Natura aborrita . Etfinalmente la medicina nelle ſue compoſitioni alcune
coſe ui mette , non tanto gioueuoli alle parti offeſe, quanto preſte
apportatrici delle uirtù dell'altre coſe al luogo infermo, il chequãtoſi
conuenga all'artificiofa fauella,non ti posſo in poca hora dichiarare , perche
troppo grande é la forza delſuo nus meroſo componimento ; il quale portando
ſeco ageuolißimamente il ualor delle parole, o delle ſentenze,paſa,e penetra
per ogni parte dell'anima,deſ leroſa di queſta foauicà, e benche gli orecchi
del uolgo neſentano aſſai, non è però da dimandare alcuno Idiota,onde ella
proceda, ò come ſi faccia, perche queſto giudicio è più proprio dell'intelletto
, che delſentimento umano. Giudicando adunque, o conſiderando lo intendente
huomo quale ſia la cagione, che le parole più ad un modo , che ad un'altro
diſposte fieno diletteuolio numeroſe, ritrüoua iltutto eſſere alla Natura,
quanto alſuo principio , conueniente, ma quanto alla perfettione non cosi ;
però che io ne ho grandißima parte.Et perche tuſappia quello che la Nde tura, a
quello che io ti poßiamo prestare,dico ,che la Natura ha posto alls cor nelle
orecchie ilſuo piacere & diletto, uuole chequelle affaticate fi folleuino
con la ſoauità , a dolcezza del dire ; al che fare niuna coſa è più potente nel
uostro ragionare , che'l numero, ola fosnità delle parole. Il qual numero
biſogna, che di ſua uoglia uegna nella oratione, si perchefa oratione, e non
muſica,si perfuggir la fofpitione dello artificio, la quae le con luſingheuole
inganno pare, che uoglia abbagliar l’animo de gli aſcol tanti, operò leua loro
ogni perſuaſione, o fede . Ma quando con ine certo , & non conoſciuto
numero,dolce però , e foaue,ſi compone il parld . -mento, oſi lega inſieme il
faſcio della ſentenza, & del'intendimento,fena za dubbio il tutto con
credenza, o diletto ſi riceue . Fuggafi dunque il ucrſo, « ogni regola
continouata del uerſo ; continouata dico , peroche lo ſteſſo numero più volte
replicato facilmente ſiriconoſce, o fache gli os recchi aſpettanti l'ordinato,
« conſueto ritorno , più alſuono,che alſentia mentoſi diano,coſa aſſai chiara,
oatteſa ne i uerſi,il numero de' quali ufae to ,e conoſciuto,più dall'arte ,che
dalla Natura procedente. Ma percheſenza legge di numero alcuno, o ſciolta del
tutto non dee restare l'oratione , che oſcura, cu piaccuole ne rimarrebbe,però
numeroſa o compoſta ella fi dis fidera grandemente. Ora da che naſca, o per
qual cagione diuerſamente offer conuenga numeroſa l'oratione, quanto à me
s'appartiene dirò bries uemente,dichiarando prima,che coſa ſia NVMERO, ò
numeroſo come ponimento. DIN. Queſto ordine à meſommamente diletta,però di
cuore ti prie go,che più diſtintamente che puoi,me lo dimostri. A R. La
neceßità uuole, che le parole ſieno pari alla ſentenza ,perche à queſto fine ſi
ragiona,comeſi è detto,accioche quanto habbiamo di dene troſi dimoſtri di
fuori,doue mancando o accreſcendo parole, o il concetto interno non
ſarebbeeſpreſſo, come nella mente dimora , ò il parlar ſarebbe ociofo ,ò
mancheuole.Maperche la ſentenza nell'anima è finita Otermina ta ,però
debbon’eſſerfinite,os terminate in quantità le parole, che laſenten F DEELLA za
dimostrano. Laqual quantità inſieme ragunata, Giro , o circuito nos mineremo
ilquale altro non ſarà,chepieno operfetto abbracciamento del la ſentenza.
Questo abbracciamento di pari accompagnando la uirtù di ef la
ſentenza,puòhauere una ò piu parti, o maggiori, o minori , ſecondo le parti
della ſentenza;@ ciaſcuna parte é composta di parole, oſi chiama Membro, ó
Nodo; osi come ogni parte del corpo ha il ſuo principio, il ſuofine, e il ſuo
mezo, o il corpomedeſimo e terminato, & finitocosi , le parti dello
abbracciamento, welfo abbracciamento ſarà finito, otermina to . In tutto queſto
ſpatio adunque,che è tra il principio,il fine di ciaſcu na parte, e tra il
cominciamento, es la chiuſa,che s'è detto chiamarſigia ro,ė forza,che la lingua
alcuna uolta s'adagi,o ſi ripoſi ſecondo il biſoa gno,oſi muoua più ueloce ,ò
piu tarda ſecondo laqualità del concetto . Et questo ripoſo , oqueſto mouimento
,miſurato col tempo del proferire, para toriſce ilnumero , del qual
ragioniamo,uero figliuolo della compoſitione, o de i termini del parlare,
omoltopiu nel fine,chenel cominciamento e più apparente ne gli eſtremi chenel
mezo.Etperche di eſſo Numero gli orecchi fanno giudicio in quanto al ſentimento
del piacere, o del diſpiaa cere,per eſſer naturale à ciaſcuno la dilettatione
de' ſenſi, ol'intellettofos lo come ti dißi,ne cerca la cagione però ,
hauendoſifin'ora in parte dimoſtra to quello cheall'intelletto s'appartiene,in
parte dico,perciò che l'intelletto in questo caſo molto alle orecchie deferiſce
, odiuerſe maniere hanno dia uerfo numero.Però cominciando a trattare delle
forme del dire daremo a ciaſcheduno il ſuo numeroſo componimento,o con effempi
ancora ritroue remo quello che con ragioneſfarà dimostrato. DIN. Molto bene
auif di farmicapace di questa magnifica oillus ſtre compoſitione ; però
ſegui,che con maggior deſiderio, cheprima ,fono apparecchiato di
aſcoltarti,perche mi pare ,che ora tu facci di me pruoua marauiglioſa. AR: La
primaformae nominata Chiarezza,laqual naſce da purità, og da eleganza,come s'è
detto. Pero eſſendo ella quaſi un tutto , acciò che meglio ſi manifeſti,ſidirà
delle parti fue,&prima della mondezza opile rità ,poidella ſcelta, o
eleganza. Deefl dunque dare allapurità del dire quelle ſentenze, le qualiſono
di piana intelligenza, & non hanno biſogno di piu conſideratione,come per
lo pia fono,o effer deono le narrationi delle co fe ,come qui. Leggi. DIN.
Tancredi , Principe di Salerno , fu Signore affai umano , di benigno aſpetto. AR.
Eccoti, che ſenza alcuna fatica di diſcorſo ogni mediocre in . gigno gegropuò capire ilſentimento della
ſentenzagià letta, come ancora in questi uerfi.Leggi. DIN. Io ſon Manfredi ,
Nipote di Coſtanza Imperatrice. Et molti eſſempi ſono della purità nelle
nouelle , la ſentenza delle quali per la maggior parte è molto alla
uolgar’intelligenzafottopo sta,pur che partitamenteſa ciaſcheduna inſe
conſiderata , percio che pua re nonſarebbono, quando adalcun fineſi
riguardaſſe, oueroaltro attendes fero per fornir'il ſentimento loro, comeſe in
questa guifa ſi diceſſe. Eſſendo Tancredi principe di Salerno Signore aſſai
umano , per che queſta ſentenza non ſarebbe terminata,o finita,douendo
attendere a quel io, che ſegue, o però più preſto oſcura ſarebbe chemonda
enetta . Non aſpetti adunque altro intendimento,chi uuoleſſer puro nella
ſentenza , las quale stando nell'anima,dee cljer con tal'artificio leuata, che
ſolaſi tirifuo riga come di dentro dimostra il concetto ,cosi di fuori fa fatto
paleſe,ſen. za alcun accidente che quella accompagni,o conſegua. Et però
daquesta formaſia bandita ogni circoſtanza di tempo diluogo, di perſona,o di mo
. do,ò d'altro auenimento.Vedi questa parte quanto, é pura nella ſentenza :
DIN. La quale percioche egli,sicomei mercatanti fanno, andava molto in
tornoapoco con lei dimoraua, s'inamoród’uno giovane chiamato Roberto. AR. Non
lascia eſſer pura cotesta sentenza, quel trammezamento, che dice, percioche
egli,si come i mercatanti fanno,andaua molto intorno , o questo adiuiene,perche
ſospeſoſi tiene l'animo, di chi ode . Fuggi adunque ogni raccoglimento ſe uuoi
eſſere nel tuo dir mondo, &neto; &narra le co Se partitamente come
ſtanno,ma de i raccoglimenti quãti,o quali ſieno, dirà poi.Delle parole
ueramente con le quali ſi dee uestire 'la purità breue ammaeſtramento ſi
daràperche , tutte le parole,piane,facili,ufitate, bricui, O communi
ſonoall'anima della purità molto proportionate , onde le trae portate,le
ſtraniere,le lunghe, & quelle, che la lingua pena à proferire , o
l'intelletto a capirefono dalla purità lontane ,però purisſime ſono queste.
DIN. Cheà me pareuaeßer’in una bella , « diletteuole ſelua ,& in quella
andar cacciando ehauer preſo una cauriola , parcami, che ella fuſſepiu che la
neue bianca,or in brieueſpatio diucniſſe si mia domeſtica , che punto da me
nonſi partiua,tutta uia à meparcua hauerla, si cara , cbe accio che da me non
partiſſe,le mi pareua nella gola hauer meſſo un cola no d'oro,e quella con una
catena d'oro tener con le mani. ARTE Non è poco hauer giudicio di ritrouar le
parole adognima niera conformii,mamolto più ſi deue auuertir' nel diſporle, o
colorirle,on de ne naſce il deſiderato aſpetto.Et però ſappi che la figura delle
parole,al la puritàſottopoſte,é il dritto,ecco. DIN. Nicolò Cornacchini fu
nostro cittadino,o ricco huomo. ARTE Et quiancora DIN. Aſolo adunqueuago , «
piaceuole caſtello poſto ne gli eſtremi gioghi delle nostre Alpiſopra il
Triuigiano ecfi come ogn’uno deeſapere) Arneſe della reina di Cipri. ARTE Non
cosipuro ſarebbe ſe da gli obliqui caſi haueſſe comine ciato, Dicendo,Di Aſolo
,uago & piaceuole caſtello poſſe ditrice fu la Reie na di Cipri . Ma puro e
per la figura del dritto, auegna che ſecondo quella : parola puro non ſia ,doue
ſi dice Arneſe,uoce ſtraniera, ancora nello are. tificio non é puro per quello
tramezamento, che dice ( si come ogn’uno dee ſapere) o per quelle circoſtanze
del caſtello uago, piaceuole, pera che ritarda il ſentimentode gli aſcoltanti ,
oui mette le circonſtanze del luogo. DI N. Dunque erra chi uolendo cßer puro
uſa parole non pure , artificio,ò figura d'altra maniera,della oratione ? ÁR:
Errerebbe ſe egli credeſſe,otentaſſe d'eſſere in ogni parte puro , &netto,
& non uſaſſe quello che ſi conuiene,ma non erra uolendo alla pu rità del
dire porgere «grandezza o dignità.Ma ancora uoglio che ogni maniera ſia in ſe
ſteſſa conſiderata , e però lapurità del dire haurà le. parti ſue distinte,os
ſeparate dalle altre;nė ſolamente il dritto è figura, di questaforma, o
maniera,ma anche ogni altro colore, che ſia contrario als la comprenſione della
quale ſi dirà poi,ora trattiamo delſito, odellacom poſitione delle parole ,
Dico nella purità ,cs mondezza del dire douerſi met : tere le parole inſieme
con quel modo,che piu uicino ſia al fauellare, uſitae coſenza molta
cura,caffettatione ſemplicemente quantoſi può. Et si cos me in ciaſcheduna
parola di queſta forma biſognaua leuar'ogni durczza , Cogni difficultà di
lettere,o di ſillabe,accioche la uoce di ſuono e quale , temperato , « non
impedito ufciſſe fuori,cosi nella compoſitione biſos gna guardare di acconciare
talmente , che pine tosto nate , che fabricate appariſcano,come nello eſempio
già letto del ſogno ſi conoſceud. Conſided ra tu poi la forza, & lofpirito
di ciaſcuna lettera, e di ciaſcuna fillaba , come la natura in tutte ha posto
la ſuapiaceuolezza, durezza, & tifa rai queſto giudice del ſuono
delleparole, della loro diſpoſitione,ucdi che la A ſi forma nella più profonda
parte del petto ,o eſce poifuori con alta восс, uoce,riſonante ,onde lo ſpirito
di eſſa grande,oſonoroffente,odi laſe guente , ch'é ,B. LA B é
puraſnella,deſpedita ,come è afpra'la C.quando è fine della fillaba,ISA C,
órauca quando è posta inanzi la A à la V come per lo contrario e di
dolce,ſpeſſo , o pieno ſuono,precedendo alla I. @alla E.co. me qui.Salabetto
mio dolce iomi ti raccomado o cosicome la mia perſona è al piacer tuo, cosi é
ciò che ciė, o cio che per me ſi può fare al comando tuo . Conſidera poi da te
ſteſſo il restante delle lettere , in che maniera eſſa natura diſua propria
qualità ha ciaſcuna dotata , & uederai onde nde ſce più questa,chequella
compoſitione.Le parti, &le membra , della purie. rità effer deono
breui,& ciaſcuna dee terminar'ilſuo ſentimento,non ritar: dando con
lunghezza de' giri, o di raccoglimenti la intelligenza del poe polo ,come qui,
D. Suol’eſſere a' nauiganti caro,qualhora da oſcuro o fortuneuole nembofofpinti
errano,otrauagliano la lor uia,colſegnodella indiana pie tra,ritrouare la trammontana,
in modo che qual uentoſoffi conoſcendo,non Ria lor tolto il potere, &
uela,ogouerno,là doue eßi di giugner procaca ciano,ò almeno doue più la loro
ſaluezza ueggiono , indirizzare. Bifox gna parimente in minoreſpatio
raccogliere il ſentimento di ciaſcuna para te,oueſt uuole eſſer puro, ofare in
questo modo,benche le parolefieno ale quanto dure.Leggi. DIN. Chino di Tacco
piglia l'Abbatedi Clugni,a medicalo del ma le di ſtomaco, « poi il
laſcia,L'abbate ritorna , in corte di Roma,o il rico cilia con Bonifatio Papa,o
fallofriere dell'oſpedale. A R. Etnel uerſo ancora eſſer dee la predetta norma
oſſeruata,come, qui . Leggi. DIN. Pace non trouo,e non ho da farguerra , E
temo, eſpero, & ardo, e for’un ghiaccio . Ilche non quiene in queſta altra
parte. DIN. Voi, ch'aſcoltate in rimeſparſe il ſuono . Perciò che ilſenſo è
troppo ritardato,o con lunghißime parti rattenuto. Haſi dunque della purità
quello chebiſogna d'intorno alle ſentenze, allo artificio, aile parole, alla
figura, alla compoſitione, & alle parti di cſa. Reſta,che ſi tratti del
numero, & del finimento ,cioè della chiuſa,odel ter mine della ſentenza,o
delle parti ſue.Dico adunque , che nello andare , ego nello ſpatio di queſta
forma non ſi dee eſſere néueloce,ne tardo, mateme perato, & ne i ripoſi
,one i mouimenti, operche il numero naſce dalla compoſitione,co dal
fine,peròſapendo quale eßer dee la compoſitione dele parole, quale il
fineztutto quello,cheſotto di queſte partiſ contiene darà ad intender
quellocheſi è detto, perche quantoſi ricerca alla com pofitione ſi é dichiarito
reſta che ſidica del finimento.ogniſentenza, ogni giro puòfinire,ò in
alcunaparola tronca,oin parola piena,ſienoque ſte parole ,ò di due,ò di tre,ò
di piu ſilabe,o ancora di una. Le parolepie ne,e compiute ò ſonoſdrucciolofe,
& uolubili,o ſalde ,oferme, opers che non ſoloRidce conſiderar l'eſtrema
parola di tutta la chiuſa, ma anco la uicina, o proſima,però partitamente ſi
dirà di ciaſcun finimento al luo go ſuo.Comeadunque uoglia la purità terminare
le chiuſeſue, aſſai chiaro ofer dee.Perciò cheaßimigliandoſi elle al dire
cotidiano,fuggirà il fine del le parole tronche, comeſono quelle
andò,corfuftarà,o C.perche le mede. fime dee nella diſpoſitione fuggire,come
ramarico, o render florido. Et A contenterà di quelfine,cheper lo più la Natura
a’uolgari dimostra,ma io non uoglio, che con tanta religioneſifiniſca in parole
piene , &perfete te ,fuggendo le tronche,ole fdruccioloſe,che alcuna uolta
nonſimetta fie nealtrimenti alſuo parlare,perche quello cheſi dice, ſi dice per
la mage gior parte de ifinimenti,e delle chiuſe della purità. Da questi adunque
odalla diſpoſitione riſorge quella miſura,che noi numero addimandiamo. Eſſendo
adunque lachiuſa ſimile alla dispoſitione , «la diſpoſitione non
isforzeuole,matemperata,& naturale,fcguita che il numero dell'uno, o,
dell'altro figliuoloſarà , à quelle fomigliante.Ben'è uero ,che laforza di cia
fcuna manierà,e ripoſta piu toſto nelle altre parti,che nel numero, eccetto,
che nella bellezza,douc l'ornamento,e il numero grandementeſ cerca, as molto
piùè ne i uerfi, « nella poeſia ,che altroue, o questo dico , acciò che fu non
metta piu ſtudio ,doue nonbiſogna riportandoti a gli orecchi, il giudicio delle
quali da eſſa natura é ſommamente aiutato . Ecco adunque, è Dinardo,quanto
giouala mondezza , opurità del dire alla chiarezza; ma perche questa
ſempliceforma non può daſefola si chiaramente parlae re che non uiſiaqualche
impedimento,però biſogna ouunque le ſia di aiua. to mestieri ,con la eleganza
aiutarla, come con maniera chepiù un modo, che un'altro, piu questo ordineche
quello ſecondo il biſogno adoprando eleg ge et fouegna alla ſemplicepurità del
dire ,ilqual'aiuto èpiù presto nell'ar . tificio, che nelle ſentenze ripoſto.
Però che ella ſi sforzafar ogni ſentenza chiara &aperta,non che le pure già
dichiarite di ſopra. Parliamo adune que della cleganza,o prima dello artificio,
colquale ella lcuar fuole ogni sentenza nella mente riposta. AR. La ceeganza e
maniera, che porta chiarezza à tutte le maniere della oratione, operò non tanto
alla purità, dove ella manca soccorre, quanto à ciascaduna forma opra
intelligenza, o facilità, daqueſto nasce, che la eleganza dalla purità del dire
in alcuna coſa é differente. Perciò che la purità da ſe ſteſſa è chiara,oaperta
,ma la eleganza nella grandezza, e magnificenza del dire ecomeun sole, che ogni
oſcurità , che per quella poteſſe uenire, leua,o diſgombra,o però in
ogniſentenza ella può molto, si con l'artificio fuo , si co i colori,«le
figure.L'artificio adunque di les uare ogniſentenza dallo intelletto,acciò che
ella ſia inteſa , cogni auuerti. mento innanzi fatto di quello che ft ha da
ragionare. Leggi. DIN. Canterò com’io uißi in libertade Mentre Amor nel mio
albergo à ſdegno s'hebbe Poiſeguirò si come à luim'increbbe Troppo altamente:
AR. ilſimigliante R fa nella proſa ,comequi. DI N. Mipiace à condiſcendere à
conſigli d'huomini, de' quai dicena do mi conuerràfar due coſe molto a' miei
costumi contrarie,l'una fia alqua to me comendare, &l'altra il biaſimare
alquanto altrui, maprioche dal uc ro nė dall'una,ne dall'altra non intendo
partirmi ilpurfarò. AR. Vedi quanto gentilmente | sbriga lo intelletto dello
aſcoltare con tali auuertimenti,Appreſſo i quali aſſai bello artificio ,
s'intende quela to,che per chiarezza dialcune coſe altre ne narra fenza le
quali non ſi in tenderebbe ageuolmente il reſtante.Leggi. DIN. Ma per trattar
del ben, ch'io vi trovai, Diró de l'altre coſe,ch'io ui ho ſcorte. AR. Se il
poeta qui non doueſſe dimostrare le pene de dannati e i tormenti di quegli,che
ſono in diſgratia di Dio, non haur ebbe potuto dare ad intendere facilmente il
beneche ne riuſci poi,per hauer lo inferno cers Cato.Ecco qui dalla medeſima
neceßità costretto quest'altro deſcriue la pee ſtifera mortalità peruenuta
nella egregia Città di Firenze ,auuertendo pri ma chi legge ,in queſto modo.
DIN. Mapercioche qualefuße la cagione,perche le coſe che appref fo
Rileggeranno,aueniſſeno,non ſi poteua ſenza queſta rammemoratione dimoſtrare
,quafi dineceßità coſtretto à ſcriuerla miconduco. A R. Ecco qui ancora un'altra
bella preparatione di coſe,fatta per le uare ogni impedimento,chepoteſſe
offendereilrimanente. DIN . Ma io mi ti uoglio unpoco ſcuſare ,che di que'
tempi, che tu te n'andaſti alcuneuolte ci uoleſti uenire, e non poteſti,alcune
ci uenisti, onon fosti cosi lietamente veduto,comefoleui,& oltre à questo
di ciòche io al termine promeſſo,non ti rendei gli tuoi danari, AR. In fine
ogni precedente auifo, & ogni ordine di coſe, e ſecondo , che elte ſon
fatte,narrandole,ė artificio ſcelto , & elegante ,però tutte le propofitoni
de' poeti ſono elegantißime. Leggi. DIN. Veramente quant’io del regno fanto Ne
la mia mente poteifar teſoro Sarà ora materia del mio canto, AR. E qui ancora
DIN. Et canterò di quel ſecondo regno, Que l'umanoſpirito ſi purga E di
ſalir’alCiel diuenta degno. ART. il fimigliante modo è oſſeruato ne i principij
di ogni nouelld, come da tefteſſo uedrai.Suole ancora la Eleganza porre
artificioſamente le oppoſitioni con le riſpoſte partitamentecome qui. Leggi.
DIN. Saranno per auentura alcuni di uoi , che diranno,ch'io habbia nello
ſcriuere queste nouelle troppo licenza usata. ART. Eccola dimanda ſeguita la
ſolutione. DIN. La qual coſa io niego,percioche niuna coſa esi difoneſta, che
con oneſte parole dicendola ſi diſdica ad alcuno. ART. Et cosi di paripaſſo
alle obiettioni riſponde, benche altre fide te inſiemepostohabbia ogni accuſa
di ſefatta, opoi s'habbiafcufato , ma quelmodo non ha dello
elegante,comeilpredetto poſe prima le oppoſitioni tutte inſieme allora quando
diſſe, Leggi. DIN. Sono adunque, diſcrete Donne, stati alcuni , che queſte
nouelle leggendo hanno detto cheuoi mipiacete troppo , eche oneſta coſa nonė,
che io tanto diletto prenda di piacerui e di confolarui.Et alcuni han dete to
peggio,di coinmendarui,come io fo.Altri più maturamente moſtrando di uoler
dire,hannodetto, che alla mia età non stà bene l'andar'omai dietro queſte coſe,
cice à ragionare di Donne,o à compiacer loro.Et molti molto te neri della
miafamamoſirandoſi dicono,ch'io farei più ſauiamente,àſtarmi con le Mufe in
Parnaſo,che con queſte ciance meſcolarmi tra uoi.Etſon di quegli ancora,che più
difpettoſamente,che ſauiamente parlando,hannodete to ,cl’io farei più
diſcrettamente à penſare,donde io poteßi hauer del pae ne, che dietro a queste
fraſche andarmi paſcendo di uento. Et certi altri,in altra guiſa eſſere state
le coſe da me raccontateui,che come io le ui porgo s'ingegnano in detrimento
della mia fatica di dimostrare. AR. In queſto luogo molte accuſe contra dello
autoreſi mettono, pri ma che ad alcunaſi riſponda, ilche non è cosi elegante
,comeilprimoartife cio ,ben che in tanta confuſione egli ſtudiaſſe di eſſer
chiaro, cinteſo, eso auiſaſje quiſaſſe auanti lo aſcoltante,come fa doue
dice,roppo alquanto dalle predet te oppoſitioni,perche non di ſubito riſponde ,
ilche ancora é dalia cleganza lontano. Ma leggi. DIN. Ma quanti, ch'io uegna à
far la riſpoſta ad alcuno,mipiace in fauore di me raccontare, non una nouella
intera ,ma parte di una. AR. Et ne poeti ancora fi oſferua,ſecondoche meglio
lor ben uiene di fare cosifatti partimenti.Vedi. DIN. Tu argomenti,ſe'lbuon
uoler dura, La uiolenza altrui,per qual cagione Di meritar mi ſcema la miſura ?
A R.Queſta éuna propoſta,alla quale ſecondo l'arte della eleganzaſ doueá prinia
riſponderemaſi è poſta ancora la ſeconda, doueſeguita. DIN. Ancor di dubitar ti
dà cagione Parer tornarſi l'anima àleſtelle. Secondo la ſententia di Platone. AR.
Ben che tu ueda qui le propoſte effer'inſieme collocate, non è per ròſenza
cleganza quella parte,per quello cheſegue. DIN. Queſteſon le question,che nel
tuo uelle Pontano egualemente, e però pria Tratterò quella chepiù ba di felle.
ART. In queſto luogo non tanto la eleganza dimoſtra lo artificio fuo per lo
auuertimentofatto di quelloche ſi dee dire, quanto per la elettione di
riſpondere prima ad una domanda,che ad un'altra.Euui ancora un'altro artificio
della ſceltezza,ilqualeè quando ſi ripiglia quello,che ſi è detto, et ſi
dimostra,di che poi ſi ba da dire,come in queſti luoghiſegnati . DIN. Ma
hauereinſino à qui detto della preſente nouella, uoglio che mi basti,o à coloro
riuolgermi,a' quali ho la nouella raccontata. Ilqual luogo acciò chemeglio
quelloche è detto,equellocheſegue, co me stefje ui moſtrerò . AR. Aſaiſi èdetto
fin qui,con che arte la eleganza leua dalla mente ogni ſenienza,oraſi dirà con
quai parole più acconciamente ella ragioni , oquesto brieuemente ſi farà.Vſa la
eleganza le medeſime parole, che la purità,chiare,piane,natie,o tali,che niuna
durezza in eſe ſi truoui . Et perònonſono eleganti,né con eleganza diſposte le
parole che dicono, Amen due ſopra gli mal trattiſtracci caddero à terra
,&quelle, Non curandofar gli falſ , o quelle che nellapurità dicemmo,Ghino
di Tacco piglia l'Abba te di Clugni.Da quelloche ſi è detto delle parole , tu
puoi uedere chedalla difpofitione di eſſe,le parti,i finimenti, &il
numerononſono dalla purità lontani, DELLA lontani,anziſonole coſe steſſe.
Leggerai,come gentilměteſi sbriga dalle co fe,come brieuemente rinchiuda il
ſentimento, come puramente elegga , o temperatamenteſi muoua questa nouella di Ricciardo
de' Manardi,otro uerai parole parti, chiuſe,numerio fiti diparole purißime,
oelegantisſa me. Ma le figure di queſtaforma fono diuerſe molte, tra lequali
ottiene il primo luogo la ordinatione, laquale è unafigura,che da quello cheſi
dia ce,dimostra altro ſeguirne, come qui. DÍN. Et accioche quello chemi par
difare,conoſciate,oper conſes guente aggiugnere, o menomare poßiate à uoſtro
piacere,con pocheparo le we lo intendo di dimostrare. AR. Et ancora qui della
fortunaparlando . DIN. Le quai noiſcioccamente nostre chiamiamo,ſeno nelle ſue
ma ni, oper conſeguente da lei ſecondo ilſuo occulto giuditio ſenza alcuna po
ſa, d'uno in altro,o d'altro in uno fucceßiuamente ſenza alcun conoſciuto
ordine da noi,eſſer da lei permutate. AR. Egli ſf ordina, come ſi è detto anco
nel proporre di quante coſe fha da dire,con lo auuertimento di dire prima una
coſa,o poi un'altra.Il che inquanto abbraccia più coſe,ė Comprenſionedella
qualeſi dirà. Main quanto diſpone, acconcia allo intendimento,epuro,eleganteo
chiaro.Al trafiguraèſcelta,eelegante,oltra la predetta nominata Partitione ,
lde quale Afa,quando noi,due coſe è piùſepariamo parlando, come qui. DIN. Et il
tacere,oil parlareoggimai mi ſonoegualmente diſcari, perciò che nè quello
debbo,ne questo poſſo. AR. In molti modipuòpartitamente ragionare,come qui con
mola ti efſempi ſi dimostra . DIN. Tra per la forza della peftifera mortalità,
per lo eſſeremol ti infermimalſeruiti,& abbandonati. AR: Etqui ancora. DIN.
Et tra che egli s'accorſe, si come huomo, che molto aueduto erd, Otrache da
alcuno fu informato,trouò dal maggiore al minore Co. ART. Etaltroue. DIN.
Carißime dore,siper le parolede fauijhuomini udite , o si per le cofe da me molte
uedute or lette. AR. Appresso le dette figureit ripigliamento è bellißimo
colore della eleganza, come quelloche alla obliuione,alla oſcuritafoccorra, in
quca ſto modo, DIN: E perche mifogliate immantenente Del ben ,che adkor’adhor
l’anima fente ? Dico che ad hord ad bora , Vostra mercede, iofento in mezo
l'alma Vna dolcezza inufitata e noua AR. Et nella proſa, come qui. - DIN.
Ilchemanifestamente potrà apparire nella nouella , laquale dl raccontare
intendo,manifeſtamente dico,non il giuditio di Dio , maquello de gli
huominiſeguitando. · AR. Queſto ripigliamento appreſſo la chiarezza e di non
poco peſo alla oratione, come figura molto uicina al raddoppiamento, ilquale è
di for za marauiglioſanell'arte deldire,o ,òinterpretado,ò interrogado,ò riſpon
dendodi ſubito alla eleganzaconuerrà grandemente.Etper contrarioRfan ra nella
oſcurità ,la quale naſce da confuſione,& diſordine, nel’animofia tà, o ne
gli affetti grandementeſi ricerca,perche in eſil'animo dallo ema pito
traportato ogni coſa difordina,o la mente confonde. E adunque la confufione
alla ſcelta ,& elegante oratione contraria,come la meſcolanza, alla purità,
da ambedue, cioè confufione , meſcolanza, naſce la oſcurità , come da
quell'altre due la chiarezza del dire . Della quale pora uoglio che à baſtazaſa
detto ,o dimoſtrato.Resta chefi ragioni del la grădezzadel dire,acciò che il pericolo
della baſſezza,odell'umilità,che Hella chiarezza ciſopraſta,con l'autorità
della orationeſ leui in tuttó. DELLA GRANDEZZA DEL DIRE, prima della Maeſtà .
ESSEND'O la grandezza del dire unamaniera, che oltra l'uſato modo di ragionare
inalza , ø follicuala oratione , è di neceßità di molte parti compoſta delle
quali altre faranno daſe ſteße altreinſieme alcune co fe raccommunandofaranno
un tutto magnifico, generoſo. E adunque la grandezzafatta dalla maestà,dalla
comprenſionedalla ucemenza, dalla ui uacità,dallo ſplendore,o dall'apprezza.La
maeſtà, ola comprenſione da ſeſtanno,ohanno le parti loro dall'altre
ſeparate.Etperò di clje prima di rò, poi dell'altre partitamente. La maestà del
dire é maniera conueniente alle coſe grandi,o Rfa quan do di eſſe con dignità,o
ornamento ſi ragiona.Leſentenze ueramentedela la maeſtàſono prima quelleche
appartengono à Dio , o alle diuine coſe,co uerità e decoro efpreffe,come
queſte.Leggi, DIN. Conueneuole coſa è carißimeDonne,che in ciaſcuna coſa , che
l'huomo fa,dallo ammirabile ,oſanto nome di colui,ilquale di tuttofufate tore,
le diaprincipio. AR. AR. Dapoi,le coſe
appartenenti alla natura umana, come qui. Leggi. DIN. Natural ragione è di
ciaſcuno che ci naſce, la ſua uita quantū que può,aiutare,e conferuare, &
difendere. ART. Et appreſſo quelle,oue le ſecrete cagioni delle coſe
inuestigane do, & dimoſtrando ſt uanno,lequai poco appartengono alla uita
ciuile, po co dico, perche alcuna uolta ſi diconoperfare alcuna fede à
quellochedicia mo,come qui. DI N. Andiamo adunque,& bene duenturoſamente
aſſagliamo la nde ue, che Iddio alla noſtra impreſa fauorcuole ſenza uento
prestarle,la citien ferma . AR: La maeſtà è uſata per lo più ne i proemij delle
nouelle . Perció che in eßi fi contiene il fine,perlo qualeſi racconta il tutto
,& percheil fi ne, per utile,a giouamento de gli huomini ſi ricerca,però di
coſe al uiucre appartenenti con grandezza maeſtaſiragiona.Leggi queſto
principio, come è pieno di alta,o degna ſentenza. DIN. Credefi permolti
filoſofanti,che ciò che s'adopra de mortali , Rade gli Dij immortali
diſpoſitione,& prouedimento. AR. Degne adunque di riuerenzaſono le coſe di
Dio, però chiunque di quelle altramente ragiona,ė dalla maeſtà del dire
lontano, perche chida ramente da te comprenderai,che niuna maeſtàſi truoua
là,doue il mutamē to in Angelo, d’un frate ſi narra , &doue in alcuni altri
luoghi non ſi dicon no coſe alla religione conformi,con quella uerità e decoro,
che ſi conuica ne, &però aliena dalla maeſtà équcũa comparatione,chedice,
DIN. Si come eterna uita é ueder Dio, Ne più ſ brama,né bramarpiulice, Cosi me,
Donna , il uoi ueder, felice Fa in queſtobreue, efrale uiuer mio : AR. Lo
affetto di chi ragiona ſcuſa chiunque parla in tal modo, pere che lo acceſo
deſiderio acciecal'intelletto,ela lingua come di ebbri uacil la,ofa dire che
gli Angeli aſpettano di uedere il bel uiſo delle amate los rou che la preſenza
di quelle adorna il Paradiſo, altre coſe,le quai pe rò ſotto altra form !,che
questa ſi riduranno.Sarà dunque ſeuera,o degna, epiena di maeſtà la ſeguente
ſentenza. DIN. La gloria di colui che tutto mouc Per l'uniuerjo penetra, e
riſplende In una parte più, e meno altroue. ART. Et per la più parte degno e il
preſente poema,dalquale aj na turali, co umane,o diuine ſentenze,ſecondo la
macià delle coſe leggendo ne ritrarrai,
come qui , DIN. Le coſe tutte quante Hann'ordine tra loro ,e queſto è forma Che
l'uniuerfo à Diofaſomigliante. Qui ueggion l'altre creature l'orma De l'eterno
ualore, ilqualefine, Al qual'èfatta la toccata forma. A R. Et finalmente pieniſono
i uolumi de i buoniſcrittori. Leggi. DI . ciaſcuno , che bene , o onestamente
unol uiuere, dee in quan topuò , fuggire ogni cagione, laquale ad altrimenti
fare il potere cons durre AR. Et qui, D I N.Manifesta coſa è cheogni giuſto
Re,primo oſſeruatore dee eſſe re delle leggifatte da lui. AR. Baſtiti queſto
d'intorno alle ſentenze della formapredetta . Ord, con che artificio dal lor
ſoggiorno leuareſi debbano,intenderai.Percheadū que piene di maestà ſono
quelleſentenze,che di Dio, & delle diuine coſe, delle umane,& naturali
, peròfanno con fiducia O certezza è afferman do,ò negando,ſarà l'artificio
della maestà. Negando,come qui. DIN. Ne creator,necreatura mai Cominciòci,
figliuolfu ſenzaamore O ' natural, o d'animo, e tu'l ſai. AR. Affermando,come
qui , DIN. Lo natural fu ſempre ſenza errore Ma l'altro puote errar, per
mal'oggetto oper poco, ò per troppo di vigore. A R. Leggi pure,chenon mancano
effempi. DIN. Le coſe, che alferuigio di Dio N fanno, deono far tutte nete
tamente . AR. Et qui, DIN. Chiunque fouente fa male ,egli certamente non é
Iddio ,& chii que Iddio e,egliſenza dubbio non puòfar male. AR.
Laeſpreßione ha gran forza nell'artificio di quella forma com me qui. DIN.
Veramente fiam noi poluere eombra , Veramente la uoglia cieca,e ingorda, Veramente
fallaceè la ſperanza , AR. Et qui ancora DIN. 57 DE LL A DIN . Nel ciel, che
più de la ſua luce prende, Fu'io , euidi coſe, che ridire Nésà , ne può, chi di
la sù diſcende. A R. Hanno in queſta forma le allegorie peſo, or
forzagrandißima, eperò le ſacre lettere di allegorie ſono ripiene,etutto il
preſente poema è quaſi una continuata allegoria ,coſa molto alla ſuamaeſtà
diprofitto,co d'ornamento, &però la leonza,il leone,la lupa, e tutto quello
chein tute ta l'opera gli appariſce,èuna raunanza di allegorie , degna « grande
for pra modo.Conſidera come queſt'altro poeta uolendo innalzar le coſe baſe,
Qumili grandemente ſi dà alle allegorie,facendo con quelle i cotidiani aue
nimenti si grandi apparire che ifatti d'arme, ole coſe marauiglioſe di na tura
si grandi nonſono.Ecco , DIN. Quando dal proprio ſito ſi rimoue L'arbor, che
amogià Febo in corpo umano , Soſpira e fudaà l'opera Vulcano , Per rinfreſcar
l'afpre ſaette à Gioue. AR. Questa grandezza di coſa, altro non uuol dire,ſenon
,che nel partiredi un luogo ad un'altro della donnafua, fieramente era il Cielo
tura bato da uenti, « da tempefta.Et cosi il reſtante di questo fonetto, omolti
de gli altri,che ſeguono per l'artificio delle allegorie,ode gli enigmi, mis
rabili appariſcono,à chi gli legge.ENIGM Iſono modi oſcuri di dire , come qui,
Fortuna, chi t'intende, non t'intende, Efa chiſei ,chi non ſa chi tufa. Tale
adunque é l'artificio della maestà. Reſta óra à dirſi delle altre par tijeg
prima delle parole.Sono alcune lettere, lequali fanno leparole ampie, e di
ſpirito sforzeuole ,come la A la 0,però quelle parole, che ſono di tai
lettere,odiRllabe di eſſe fatte,ſaranno alla maestà del dire conucnicne
tißime,tanto più diforza haueranno,quanto auanzeranno le duefillas be,odi
maggiorſignificatione faranne.come qui. DIN. Quel, che infinita prouidenza, o
arte, Moſtrò nel ſuo mirabil magistero, Che creò questo, e quell'altro emiſpero
, E manſueto più Givue, che Marte. ART. Et ancora in un'altro luogo.
Perſeguendomi Amor’al loco uſato Ristretto, in guiſa d'huom , ch'aſpetta guirra
, Che prouede,e ipaßi intorno ferra , Di mici antichi penſier mi saua armato .
AR. Sono ancora le parole traportate ,di grandezza, e maestà mdo rauiglioſa,
«perche molti credono il loro dritto pagare,ſe degni, ogran di riputando ,poi
gonfi fono o freddiper la troppa licenza,cbe piglia no nel trasferire,però
alcuna coſa ti ſcoprirò d'intorno alle traslationi, bel lage degna,o di
profitto non mediocre. Voglio,che dalla bruttezza del uitio ſpauentatoda quello
alla uirtù ti riuolga,o però di quelli dirò, i qua li cosi gonfiamente,o cosi
freddamente parlando, come fanno,ſono da ogni ſaldo giuditio abborriti. Alcuni
di queſti hanno ardire di fingere,odi co por nomi,oparoleſenza alcuno
raffrenamento di conſideratione,chiamar do il Cielo oculoſo,il mare ueligante,
la terra granifera, o di queſte s'eme piono ifogli.Altri danno à nomi
ſtranieri,dalla antichità rifiutati,nuoui, oſcuri,o di niunſentimento,coſa
fpenta,o agghiacciata,comeeßiſono, che uuoi tu più freddo,che'l continuare in
fimili inuentioni? Tuſei l'ombra del l'angustia ,il diadema della
mestitia,un'atto fatale,o si fatti.Peccano mola ti dando ad ognicoſa i loro
aggiunti, ilche quando nonſifa per diletto, o con circonfpettione,come per
condimento del dire,affettato,inſipido,o rin creſceuoleſ truoua, comeſe in
luogo diſudoreſi diceſſe,il liquoredelle car niperlo caldo ſtillato,o non le
feſte,ma la celebrità delle feſte,ne i triona fi,ma la grandezza de i
trionfi,&alere gonfiezze, ilqual uitio in alcuni ė ucnuto al fommo,o però
parlandoeßi più che pocticamente & fuor di të po,fannocoſe degne di riſo, o
di compaßione,fono oſcuri &ociofiſatiano, Orincreſcono fieramente.Leggi.
DIN. Potrei,poſcia che il vento della licentia datami di ragionare ba tanto
inantifpinta la naue del mio parlamentoper l'ampio pelago di si fat ta
materia,conducerui distintamente à uedere checoſa è difpofitione. AR. 1o mene
rido di tai coſe,guarda quanto meglio ſi èdetto qui nel uerfo , o con più
modestia. DIN. O'uoi, che ſete in piccioletta barca , Defideroft d'aſcoltar
ſeguiti Retro almio legno,che cantando uarca , Tornate à riveder inoſtri liti
Non ui mettete in pelago, cheforſe Perdendo me rimarreſteſmarriti. AR.
Ecco,chedi più ampia materia ragionaua il Poeta, & non diffe la naue del
ſuo parlamento,o altroue diſſe, Per correr miglior’acqua alza le uele Ormai la
nauicella delmio ingegno Che laſcia retro à ſe mar si crudele , Etquandopurepiù
arditamenteegli baueſſe alcuna traslatione uſata , dico ,che egli era Poeta , o
hauea ſotto la penna materia,ſe altra ne è,gră dißima, o d'ogni parte degna; o
poteua ben laſciarſi portare(dirò cosi) dal uento della licenza,ma uedi ancora
nella proſa in miglior modo ridotta laſopradetta traslatione. DIN.
Madonna,aſſai m'aggrada,poi che ui piace, per questo campo aperto Wlibero, nel quale
la uoštra Magnificenza ci ha meßi,del nouella . re,d'eſſer colci, che corra il
primo arringo. AR. Ma riuolgiti à queste fredde,çocioſe maniere,& leggi,
DIN. La real conditione del quale ſaria stata di più felice uita,odi più beata
memoria,che uerun'altra mai,ſe il generoſo della bontà di lui,hax uelle men
creduto al maligno della fraudealtrui. AR. E' ancora più ſpento qui. DIN. Nel
finedelle parole cadendogli giù per le gote alcune lagrie me non men groſſe,che
calde, le compaßioni delle ſuepietadi transformaro. no l'ira in manſuetudine.
1. AR. Di che giudicio dotati,di che eſperienza ammaestrati,e di quan ta gratia
eſſer deono adornati coloro, i quali uogliono traportare le paro. le nate à
ſignificar’una coſa, alla di chiaratione d'un'altra , nonſi può cosi
brieuemente eſporre.Baſtiti per tuo ammaeſtramento ,che tu fugga le ridic
cole,perche ſono de' comici,le gonfie, percheſonode' tragici, le austere
dure,perchenon ſono euidenti, & infine quelleche dallalunga ſi uanno tra
endo,comeſe alcuno chiamaſſe la ſapienza lo ſteccato della anima, l'acqua
loſpecchiodi Narciſo , ò che diceſſe le faccende qui uerdeggiano,o altre coſe
sifatte . Biſogna adunque deriuare le parole da coſe facili,& di pres fta
intelligenza, con queste i due pocti le loro fittioni mirabilmente innale
zarono, delle quali piene ormai ne ſono tutte le carte.Alte parole appreſſo ſi
odono quelle del nome,or del uerbo partecipi comeAmante, Ardente,co quelle
ancora Andando, Vergognando,percheſono di ampio o largo fpiris to.Et nel loro
andare ſonoadagiate graui . Et di queſta ſia detto aſſai. Ora con quai colori,
ofigure adornar ſi debba la maeſtà delle parole,ſi di rà,o prima,che alle coſe
clgne unafalda confirmatione del proprio gilidi tio, come un fermo tratto di
pennello ,rileua mirabilmente la oratione.Pere che non è uera grandezza quella,
della qualeſi tiene alcuna dubitanza,cu però grande è quella parte. Leggi .
DIN. Chi il commendò mai tanto, quanto tu il commendaui in tutte quelle coſe
laudeuoli,di che ualoroſo huomodee eſſer commendato ? certo . certo non a torto.
AR. Ma quel giuditio,cheſeguc,ė fatto con timore na dubbioſamente te proferito
,però non ha del grande,benche al modeſto dire , grandemente fi conuegna. DIN.
Che ſe i miei occhi non mi ingannarono,niuna laude da te data glifu, ch'io lui
operarla,o più mirabilmente chele tue parole non poteca no eſprimere,non
uedeßi. ART. Conſidera quanto togliedella maeſtà di quel ſonetto ,che con
mincia, Perſeguendomi Amoral loco uſato, quel timido o ſoſpetto giudicio che
dice, quella che ſe'l giudicio mio non erra,Era più degna d'immortaa le
ſtato,Et tanto più quanto quest'ultimo uerfo non ha quelſuono,che gli al tri
hanno.Douea ſenza temenza giudicare ancora questo autore . Leggi, DIN. Et
perciò che la gratitudine,ſecondo ch'io credo,fra l'altre uir tùėfommamente da
commandare. AR. Perche la ſentenza è degna, a ricercaua un colore,che terminaf
se il ſentimento.Nequesta figura ſolamentealla maeſtàſ conuiene , ma tut te
quelle che alla purità ſirichieggono,delle quai di ſopra ſe ne è detto afa ſai.Et
ciò ſifa ,perche la maestànon entri in tumidezza, o cada ( diroco. si )in
quella infermità che idropiſia é nominata . Le parti, le membra eſſer deono
bricui ſenza alcuna lunghezza di giriyil che ſi uede ne'ſauij huomini, iquali
breuißimamente uanno raccom gliendo le coſe loro in fentenza, & detti,come
oracoli.Leggi, DI N. Giuſtitia moſſe il mio alto fattore. Fecemi la diuina
potestade , Laſommaſapientia ,e'l primo amore. A R. Et qui ancora. DIN. Iſon
Beatrice, che tifaccio andare , Vegno dal loco oue tornar diſo, Amor mi moſſe,
che mifa parlare. ART. Etqui . DIN. Gli animi noſtri ſono eterni,perche
difuggeuole uaghezza gli inebriate.Mirate uoi come belle creature ci ſiamo,o
penſate quanto dee of ſer bello colui, di cui noi ſiamo miniſtre. AR. Inſomma,degno
è ilſeguenteparlare in ogni ſua parte . Leggi, DIN. Et queſto altrimenti non ſi
fa ,che à quello Iddio gli noſiri ani mi riuolgendo,che ce gli ha dati.
Ilchefarai tufigliuolo ,ſe me udirai , o penſerai,che eſſo tutto queſtoſacro
tempio,chenoi mondo chiamiamo,di ſe empiendolo hafabricato. ART. AR. Et qui
ancora dicoſeumane. DIN. La uirti primieramente noi,che tuttinaſcemmo, o
naſciamo equali,ne distire,o quegli, che di lei maggior parte haucuano, o
adopee rauano, nobili furon detti, e il rimanente rimafe non nobile. A R. La
diſpoſitione o il ſito delle parole nella maestà del dire dee tal mente
ordinarji,che non ui ſia concorſo di uocaboli , onde la bocca ſi apra
ſconciamente. Voglio poi,che le paroleſdruccioloſe, con più libertà uilica no
,che nella parità, o tal ſuono eſſe legate inſieme diano, quale ft deſides
raua,che da ſe steſſo diſciolte faceſſero.Il ſimileſi dice nella chiuſa, o nel
finimento,operò il fine in parole manche non deeper alcun modo hde uer loco in
questa forma, deſidero la uarietà de' finimenti,o de i princia pi, ma fieno di
parole cheauanzino le dueſilabe, oquello cheper la più ſarà tale in tutto il
giro ,farà il numero , che in queſtaforma ft ricere ca. Leggi tutto il ſopra
detto effempio, che ciò chen'ho detto, chiaramena' te wedrai. Et ciò della
maeſtà ti può bastare. Eſſendo la comprenſione alla grane dezza del dire comela
eleganza alla chiarezza , e eſſendoſi della male stà detto , come di forma ,
che da ſemedeſima di tutte le ſueparti era cone tenta, nè ad altra maniera,
Òſentenze,ò numeri,ò parole, ò artificio, o ale": tra qualità concedeuia
,nėda altri alcuna coſa pigliaua , non è fuori dira. gione che ſi dica ora
della comprenſione, uera, ounicaforma da folleuare ogui baiſao umile maniera
della oratione. Et pero delleſueſentenze fi dirà prima, poi delle altre parti.
Le ſentenze di queſta forma,ſono quel le, che chiamano altro ſentimento, o che
raccolgono,operò in queſtapar te la comprenſione è oppoſta alla purità del
dire,nella quale dicemmo,non eſſer’alcuno raccoglimento. Raccoglimento intendo
,quando quello che piis i riſtringe nel meno ,come una coſa commune in generale
, alla ſpecialità ė ristretto. Leggi , Certißima coſa é adunque,ò Donne, che di
tutte le perturbationi dell’d nimo,niuna coſa é cosi noceuole, cosi graue, niuna
cosiforzeuole o nio . lenta ,niuna che cosi ci commoud,ogiri,comequellafa,che
noi amore chia mia mo. Eccoti che la perturbatione è un genere commune ſotto il
quale ſi rac coglie l'amore, che è una ſpecie di perturbatione. Raccoglieſi
ancora lo in determinato v oſcuro ,allo aperto & terminato ,comequi. Molte
nouelle,dilettoſe Denne à douer dar principio à cosi lieta gior . nata ,come
questa ſarà,per douere eſſere da me raccontate miſi parano das uanti,delle
quali una più nell'animo me ne piace. Et qui ancora molto più lines. $ 9 fi
uede per due raccoglimenti. Et come che à ciaſcuna perſona stia bene , à coloro
maßimamente éria chieſto,li quali già hanno di conforto hauuto mestieri, &
hannolo trouato in altrui.Fra quali ſe alcuno mai ne hebbe,ò gli fu caro,ò già
ne riceuette piacere io ſono uno di quegli. Riduceſt tutto il tutto alla parte
ſia quel tutto è del tempo, ò del luogo, ò d'altra coſa. Del tempo,come qui, ·
10 amaiſempre,ey amo forte ancora . Del luogo ancora, come qui , In
Frioli,paeſe quantunque freddo ,lieto di belle montagnedipiù fiumi e di
chiarefontane,è una terra chiamata Vdine. Suole ogniſentenza, che chiama o
ricerca ſentimento alcuno, eſſere di quella forma,o appreſſo tutte quelle che
alla purità ſono repugnanti nelle quali ogni circostanza di luogo,di tempo
dimodo, oogni accidente, che preceda,accompagni,ófegua ,alle coſe
ſiſuoleaggiugnere.Come fe egli R diceſſe in queſta guiſa, in sù la meza notte
con molti'armati al luogo del le guardieſoprauenne,fdegnato per la ingiuria
fattagli il precedente gior no.Ecco checon molte circostanze ſi narra il
fatto,oR amplifica mirabil mente la coſa.Come in queluerſo ancora , Giouane
incauto ,diſarmató, e ſolo. Chiamano altroſentimento alcuni in questo modo, Ma
si come àlui piacque,il quale eſſendo egli infinito, diede per legge
incommutabile à tutte le coſe mondane bauer fine , il mio amore oltre ad
ogn'altro feruente ,o il quale. AR. Non legger piùche da teſteſſo poi nel
predetto luogo potraiper comprenſione eabbracciamento uedere tantagrandezza di
oratione che niente più. Abbracciano alcuneſentenze mirabilmente,o ſono quelle,
che la ragio nedella coſa in ſe ſteſſe ritengono,come s’io diceßi,L'ira
de'mortali immor tale eſſer non dee,e queſta, Aſai dimanda chi feruendo tace.
Et quell'altra. Un bel morir tutta la uita onord. Etſimiglianti. Senza timor
uiue chi le leggi teme. : Che il perder tempo, à chi più sàpiù piace. Queste
fonole ſentenze,che abbracciano a comprendono, ma l'arte H 2 difolleuareè prima
in ogni tramezamento . Leggi, Alla qual coſa fare(come'chein ciaſcuna età stia
bene il leggere « l'u dire le giouenili coſe, & c. Etſopra l'altre questa.
Percioche non amare ,come che ſia,in uoſtra stagione nonſi può , quane doſi
uede, che da Natura inſieme col uiuere a tutti gli huomini è dato, cbe ciaſcuno
alcuna coſa ſempre ami, oſempre diſii,pure io, che giouane fono , gligiouani
buomini,« le giouani donne conforto oinuito . Maggiormente queſti tramezamenti
inalzano la oratione comeuedi, i quali uanno meſcolando le ragioni con le coſe,
o fanno la oratione ampia ecircondotia, o uſanſiſpeſſo da queſto Autore nelle
fentenze baſſe, co me qui, Le quai coſe ,quantunque molto affettuoſamente le
diceſſe, conuertite in uentocome le piu delleſue impreſefaceano,tornarono in
uano. AR. Lo andare per gli gradi raccogliendo ,ė artificio di quella fora md,
come qui, Figliuola miaio credo,che gran noiaſa ad una bella edelicata donna
come uoi ſiete,bauere per marito un mentecatto ,ma molto maggiore la cre do
eſſere d'hauere un geloſo. Et queſta ancora. Leggi, Drmare ciaſcheduna delle
dette maniere , accion che io ueda il fine della deſiderata catena dell'anima
delle coſe, e del parlare. 40 DE Ï Ï Á parlare. A R. Bendi. Dei dunque ſapere
che comenell'Anima,al. tra parte è quella che apprende la ragione,alfra quella
, che é da gli effetti commoſſi, come dicemmo, o nellaNatura altre ſono le coſe
allo inſegnare altreal muouere appartenenti, cosi alcune formedels la
orationeſaranno, le quali conuerranno alle coſe dello intelletto ,als cune alle
coſe della uoglia , odello appetito , o quando queſto non fuſſe, né uia, nė
ragione alcunaſarebbe di poter acconciamente indurs re opinione è affettione
con la forza della fuuella . Però auuertiſci, che nel trattamento delle forme
da te ſtesſo potrai intendere qual forma à qual coſaſi confaccia. DIN.
Ricorditi difarmi ogni coſa chiara con glieſſempi, eio mi obligo di leggerli
ſecondola occaſio ne,in qualunque libro di queſti,che tu uorrai. Ma prima
deſidero ſa per alcuna coſa d'intornoal Numero , o numeroſo componimento. ART.
Laſciati à me guidare cheil tutto ſaperai ſecondo il biſogno. Sappi adunque, è
Dinardo , chequalhora alcuno ſi rivolga à conſi= derare il modo, es la ragione
del medicare , che ritrouando alcus na bella coſa nella medicina, uoglia
giudicioſamente applicarla all’are te del dire, non è dubbio, che egli non ſia
per uedere tra la medicina, o l'arte di che ſiragiona,grandiſsima ſimiglianza .
Ecco la medicina cerca di indurre ſanità, oue ella non ė, ò di conſeruarla doue
ella fi truoua.Ilſimile fa queſt'arte ,d'intorno alla buonaopinione , perche
conogni ſtudio s'affitica di metterla ,ò di mantenerla oue ſia biſogno. La
medicina conoſce qual parte del corpo con qualrimedio eſſer debs bia riſanata,
o preferuata,cosi queſt'arte opracon l'anima, e con le partiſue con le formedel
parlare.La medicina quantopiù può fugge la noia chepotrebbe alcuno medicamento
recar'atl'infermo,con mele ò con zucchero, ò con altra coperta mitigando il
peßimoſapore , ego l'odore delle medicine , ne da queſta gentilezza ſi parte la
mia figlis uola, cercandodinon offendere quelſentimento,che prende iſuoi ris
medij ,il qualſentimento é negli orrecchi ripoſto ,per le qualiſotto la ſoauità
delſuono fa trapaſſar’inſino all'anima la opinione , quantun que ſia di coſa
dalla Natura aborrita . Etfinalmente la medicina nelle ſue compoſitioni alcune
coſe ui mette , non tanto gioueuoli alle parti offeſe, quanto preſte
apportatrici delle uirtù dell'altre coſe al luogo infermo, il chequãtoſi
conuenga all'artificiofa fauella,non ti posſo in poca hora dichiarare , perche
troppo grande é la forza delſuo nus meroſo componimento ; il quale portando
ſeco ageuolißimamente il ualor delle parole, o delle ſentenze,paſa,e penetra
per ogni parte dell'anima,deſ leroſa di queſta foauicà, e benche gli orecchi
del uolgo neſentano aſſai, non è però da dimandare alcuno Idiota,onde ella
proceda, ò come ſi faccia, perche queſto giudicio è più proprio dell'intelletto
, che delſentimento umano. Giudicando adunque, o conſiderando lo intendente
huomo quale ſia la cagione, che le parole più ad un modo , che ad un'altro
diſposte fieno diletteuolio numeroſe, ritrüoua iltutto eſſere alla Natura,
quanto alſuo principio , conueniente, ma quanto alla perfettione non cosi ;
però che io ne ho grandißima parte.Et perche tuſappia quello che la Nde tura, a
quello che io ti poßiamo prestare,dico ,che la Natura ha posto alls cor nelle
orecchie ilſuo piacere & diletto, uuole chequelle affaticate fi folleuino
con la ſoauità , a dolcezza del dire ; al che fare niuna coſa è più potente nel
uostro ragionare , che'l numero, ola fosnità delle parole. Il qual numero
biſogna, che di ſua uoglia uegna nella oratione, si perchefa oratione, e non
muſica,si perfuggir la fofpitione dello artificio, la quae le con luſingheuole
inganno pare, che uoglia abbagliar l’animo de gli aſcol tanti, operò leua loro
ogni perſuaſione, o fede . Ma quando con ine certo , & non conoſciuto
numero,dolce però , e foaue,ſi compone il parld . -mento, oſi lega inſieme il
faſcio della ſentenza, & del'intendimento,fena za dubbio il tutto con credenza,
o diletto ſi riceue . Fuggafi dunque il ucrſo, « ogni regola continouata del
uerſo ; continouata dico , peroche lo ſteſſo numero più volte replicato
facilmente ſiriconoſce, o fache gli os recchi aſpettanti l'ordinato, « conſueto
ritorno , più alſuono,che alſentia mentoſi diano,coſa aſſai chiara, oatteſa ne
i uerſi,il numero de' quali ufae to ,e conoſciuto,più dall'arte ,che dalla
Natura procedente. Ma percheſenza legge di numero alcuno, o ſciolta del tutto
non dee restare l'oratione , che oſcura, cu piaccuole ne rimarrebbe,però
numeroſa o compoſta ella fi dis fidera grandemente. Ora da che naſca, o per
qual cagione diuerſamente offer conuenga numeroſa l'oratione, quanto à me
s'appartiene dirò bries uemente,dichiarando prima,che coſa ſia NVMERO, ò
numeroſo come ponimento. DIN. Queſto ordine à meſommamente diletta,però di
cuore ti prie go,che più diſtintamente che puoi,me lo dimostri. A R. La
neceßità uuole, che le parole ſieno pari alla ſentenza ,perche à queſto fine ſi
ragiona,comeſi è detto,accioche quanto habbiamo di dene troſi dimoſtri di
fuori,doue mancando o accreſcendo parole, o il concetto interno non
ſarebbeeſpreſſo, come nella mente dimora , ò il parlar ſarebbe ociofo ,ò
mancheuole.Maperche la ſentenza nell'anima è finita Otermina ta ,però
debbon’eſſerfinite,os terminate in quantità le parole, che la sentenza
dimostrano. Laqual quantità inſieme ragunata, Giro , o circuito nos mineremo
ilquale altro non ſarà,chepieno operfetto abbracciamento del la ſentenza.
Questo abbracciamento di pari accompagnando la uirtù di ef la
ſentenza,puòhauere una ò piu parti, o maggiori, o minori , ſecondo le parti
della ſentenza;@ ciaſcuna parte é composta di parole, oſi chiama Membro, ó
Nodo; osi come ogni parte del corpo ha il ſuo principio, il ſuofine, e il ſuo
mezo, o il corpomedeſimo e terminato, & finitocosi , le parti dello
abbracciamento, welfo abbracciamento ſarà finito, otermina to . In tutto queſto
ſpatio adunque,che è tra il principio,il fine di ciaſcu na parte, e tra il
cominciamento, es la chiuſa,che s'è detto chiamarſigia ro,ė forza,che la lingua
alcuna uolta s'adagi,o ſi ripoſi ſecondo il biſoa gno,oſi muoua più ueloce ,ò
piu tarda ſecondo laqualità del concetto . Et questo ripoſo , oqueſto mouimento
,miſurato col tempo del proferire, para toriſce ilnumero , del qual
ragioniamo,uero figliuolo della compoſitione, o de i termini del parlare,
omoltopiu nel fine,chenel cominciamento e più apparente ne gli eſtremi chenel
mezo.Etperche di eſſo Numero gli orecchi fanno giudicio in quanto al ſentimento
del piacere, o del diſpiaa cere,per eſſer naturale à ciaſcuno la dilettatione
de' ſenſi, ol'intellettofos lo come ti dißi,ne cerca la cagione però ,
hauendoſifin'ora in parte dimoſtra to quello cheall'intelletto s'appartiene,in
parte dico,perciò che l'intelletto in questo caſo molto alle orecchie deferiſce
, odiuerſe maniere hanno dia uerfo numero.Però cominciando a trattare delle
forme del dire daremo a ciaſcheduno il ſuo numeroſo componimento,o con effempi
ancora ritroue remo quello che con ragioneſfarà dimostrato. DIN. Molto bene
auif di farmicapace di questa magnifica oillus ſtre compoſitione ; però
ſegui,che con maggior deſiderio, cheprima ,fono apparecchiato di
aſcoltarti,perche mi pare ,che ora tu facci di me pruoua marauiglioſa . AR: La
primaformae nominata Chiarezza,laqual naſce da purità, og da eleganza,come s'è
detto. Pero eſſendo ella quaſi un tutto , acciò che meglio ſi manifeſti,ſidirà
delle parti fue,&prima della mondezza opile rità ,poidella ſcelta, o
eleganza. Deefl dunque dare allapurità del dire quelle ſentenze, le qualiſono
di piana intelligenza, & non hanno biſogno di piu conſideratione,come per
lo pia fono,o effer deono le narrationi delle co fe ,come qui. Leggi. DIN.
Tancredi , Principe di Salerno , fu Signore affai umano , di benigno aſpetto. A
R. Eccoti, che ſenza alcuna fatica di diſcorſo ogni mediocre in . gigno gegropuò
capire ilſentimento della ſentenzagià letta, come ancora in questi uerfi.Leggi.
DIN. Io ſon Manfredi , Nipote di Coſtanza Imperatrice. ART. Et molti essempi
ſono della purità nelle nouelle , la ſentenza delle quali per la maggior parte
è molto alla uolgar’intelligenzafottopo sta,pur che partitamenteſa ciaſcheduna
inſe conſiderata , percio che pua re nonſarebbono, quando adalcun fineſi
riguardaſſe, oueroaltro attendes fero per fornir'il ſentimento loro, comeſe in
questa guifa ſi diceſſe. Eſſendo Tancredi principe di Salerno Signore aſſai
umano , per che queſta ſentenza non ſarebbe terminata,o finita,douendo
attendere a quel io, che ſegue, o però più preſto oſcura ſarebbe chemonda
enetta . Non aſpetti adunque altro intendimento,chi uuoleſſer puro nella
ſentenza , las quale stando nell'anima,dee cljer con tal'artificio leuata, che
ſolaſi tirifuo riga come di dentro dimostra il concetto ,cosi di fuori fa fatto
paleſe,ſen. za alcun accidente che quella accompagni,o conſegua. Et però
daquesta formaſia bandita ogni circoſtanza di tempo diluogo, di perſona,o di mo
. do,ò d'altro auenimento.Vedi questa parte quanto, é pura nella ſentenza :
DIN. La quale percioche egli,sicomei mercatanti fanno, andava molto in
tornoapoco con lei dimoraua,s'inamoród’uno giouane chiama to Roberto. AR. Non
laſcia eſſer pura cotestaſentenza,quel trammezamento ,che dice,percioche
egli,si come i mercatanti fanno,andaua molto intorno , o questo adiuiene,perche
ſospeſoſi tiene l'animo, di chi ode . Fuggi adunque ogni raccoglimento ſe uuoi
eſſere nel tuo dir mondo, &neto; &narra le co Se partitamente come
ſtanno,ma de i raccoglimenti quãti,o quali ſieno, dirà poi.Delle parole
ueramente con le quali ſi dee uestire 'la purità breue ammaeſtramento ſi
daràperche , tutte le parole,piane,facili,ufitate, bricui, O communi
ſonoall'anima della purità molto proportionate , onde le trae portate,le
ſtraniere,le lunghe, & quelle, che la lingua pena à proferire , o
l'intelletto a capirefono dalla purità lontane ,però purisſime ſono queste.
DIN. Cheà me pareuaeßer’in una bella , « diletteuole ſelua ,& in quella
andar cacciando ehauer preſo una cauriola , parcami, che ella fuſſepiu che la
neue bianca,or in brieueſpatio diucniſſe si mia domeſtica , che punto da me
nonſi partiua,tutta uia à meparcua hauerla, si cara , cbe accio che da me non
partiſſe,le mi pareua nella gola hauer meſſo un cola no d'oro,e quella con una
catena d'oro tener con le mani. F 2 ARTE Non è poco hauer giudicio di ritrouar
le parole adognima niera conformii,mamolto più ſi deue auuertir' nel diſporle,
o colorirle,on de ne naſce il deſiderato aſpetto.Et però ſappi che la figura
delle parole,al la puritàſottopoſte,é il dritto,ecco. DIN. Nicolò Cornacchini
fu nostro cittadino,o ricco huomo. ARTE Et quiancora DIN. Aſolo adunqueuago , «
piaceuole caſtello poſto ne gli eſtremi gioghi delle nostre Alpiſopra il
Triuigiano ecfi come ogn’uno deeſapere) Arneſe della reina di Cipri. ARTE Non
cosipuro ſarebbe ſe da gli obliqui caſi haueſſe comine ciato, Dicendo,DiAſolo
,uago &piaceuole caſtello poſſeditrice fu la Reie na di Cipri . Ma puro e
per la figura del dritto, auegna che ſecondo quella : parola puro non ſia ,doue
ſi dice Arneſe,uoce ſtraniera, ancora nello are. tificio non é puro per quello
tramezamento, che dice ( si come ogn’uno dee ſapere) o per quelle circoſtanze
del caſtello uago, piaceuole, pera che ritarda il ſentimentode gli aſcoltanti ,
oui mette le circonſtanze del luogo. DI N. Dunque erra chi uolendo cßer puro
uſa parole non pure , artificio,ò figura d'altra maniera,della oratione ? ÁR:
Errerebbe ſe egli credeſſe,otentaſſe d'eſſere in ogni parte puro , &netto,
& non uſaſſe quello che ſi conuiene,ma non erra uolendo alla pu rità del
dire porgere «grandezza o dignità.Ma ancora uoglio che ogni maniera ſia in ſe
ſteſſa conſiderata , e però lapurità del dire haurà le. parti ſue distinte,os
ſeparate dalle altre;nė ſolamente il dritto è figura, di questaforma, o
maniera,ma anche ogni altro colore, che ſia contrario als la comprenſione della
quale ſi dirà poi,ora trattiamo delſito, odellacom poſitione delle parole ,
Dico nella purità ,cs mondezza del dire douerſi met : tere le parole inſieme
con quel modo,che piu uicino ſia al fauellare, uſitae coſenza molta
cura,caffettatione ſemplicemente quantoſi può. Et si cos me in ciaſcheduna
parola di queſta forma biſognaua leuar'ogni durczza , Cogni difficultà di
lettere,o di ſillabe,accioche la uoce di ſuono e quale , temperato , « non
impedito ufciſſe fuori,cosi nella compoſitione biſos gna guardare di acconciare
talmente , che pine tosto nate , che fabricate appariſcano,come nello eſempio
già letto del ſogno ſi conoſceud. Conſided ra tu poi la forza, & lofpirito
di ciaſcuna lettera, e di ciaſcuna fillaba , come la natura in tutte ha posto la
ſuapiaceuolezza, durezza, & tifa rai queſto giudice del ſuono delleparole,
della loro diſpoſitione,ucdi che la A ſi forma nella più profonda parte del
petto ,o eſce poifuori con alta uoce,riſonante ,onde lo ſpirito di eſſa
grande,oſonoroffente,odi laſe guente , ch'é ,B. LA B é puraſnella,deſpedita
,come è afpra'la C.quando è fine della fillaba,ISA C, órauca quando è posta
inanzi la A à la V come per lo contrario e di dolce,ſpeſſo , o pieno
ſuono,precedendo alla I. @alla E.co. me qui.Salabetto mio dolce iomi ti
raccomado o cosicome la mia perſona è al piacer tuo, cosi é ciò che ciė, o cio
che per me ſi può fare al comando tuo . Conſidera poi da te ſteſſo il restante
delle lettere , in che maniera eſſa natura diſua propria qualità ha ciaſcuna
dotata , & uederai onde nde ſce più questa,chequella compoſitione.Le parti,
&le membra , della purie. rità effer deono breui,& ciaſcuna dee
terminar'ilſuo ſentimento,non ritar: dando con lunghezza de' giri, o di
raccoglimenti la intelligenza del poe polo ,come qui, D. Suol’eſſere a'
nauiganti caro,qualhora da oſcuro o fortuneuole nembofofpinti
errano,otrauagliano la lor uia,colſegnodella indiana pie tra,ritrouare la
trammontana, in modo che qual uentoſoffi conoſcendo,non Ria lor tolto il
potere, & uela,ogouerno,là doue eßi di giugner procaca ciano,ò almeno doue
più la loro ſaluezza ueggiono , indirizzare. Bifox gna parimente in
minoreſpatio raccogliere il ſentimento di ciaſcuna para te,oueſt uuole eſſer
puro, ofare in questo modo,benche le parolefieno ale quanto dure.Leggi. DIN.
Chino di Tacco piglia l'Abbatedi Clugni,a medicalo del ma le di ſtomaco, « poi
il laſcia,L'abbate ritorna , in corte di Roma,o il rico cilia con Bonifatio
Papa,o fallofriere dell'oſpedale. A R. Etnel uerſo ancora eſſer dee la predetta
norma oſſeruata,come, qui . Leggi. DIN. Pace non trouo,e non ho da farguerra ,
E temo, eſpero, & ardo, e for’un ghiaccio . Ilche non quiene in queſta
altra parte. DIN. Voi, ch'aſcoltate in rimeſparſe il ſuono . Perciò che ilſenſo
è troppo ritardato,o con lunghißime parti rattenuto. Haſi dunque della purità
quello chebiſogna d'intorno alle ſentenze, allo artificio, aile parole, alla
figura, alla compoſitione, & alle parti di cſa. Reſta,che ſi tratti del
numero, & del finimento ,cioè della chiuſa,odel ter mine della ſentenza,o delle
parti ſue.Dico adunque , che nello andare , ego nello ſpatio di queſta forma
non ſi dee eſſere néueloce,ne tardo, mateme perato, & ne i ripoſi ,one i
mouimenti, operche il numero naſce dalla compoſitione,co dal fine,peròſapendo
quale eßer dee la compoſitione delelc le parole, quale il fineztutto
quello,cheſotto di queſte partiſ contiene darà ad intender quellocheſi è detto,
perche quantoſi ricerca alla com pofitione ſi é dichiarito reſta che ſidica del
finimento.ogniſentenza, ogni giro puòfinire,ò in alcunaparola tronca,oin parola
piena,ſienoque ſte parole ,ò di due,ò di tre,ò di piu ſilabe,o ancora di una.
Le parolepie ne,e compiute ò ſonoſdrucciolofe, & uolubili,o ſalde ,oferme,
opers che non ſoloRidce conſiderar l'eſtrema parola di tutta la chiuſa, ma anco
la uicina, o proſima,però partitamente ſi dirà di ciaſcun finimento al luo go
ſuo.Comeadunque uoglia la purità terminare le chiuſeſue, aſſai chiaro ofer
dee.Perciò cheaßimigliandoſi elle al dire cotidiano,fuggirà il fine del le
parole tronche, comeſono quelle andò,corfuftarà,o C.perche le mede. fime dee
nella diſpoſitione fuggire,come ramarico, o render florido. Et A contenterà di
quelfine,cheper lo più la Natura a’uolgari dimostra,ma io non uoglio, che con
tanta religioneſifiniſca in parole piene , &perfete te ,fuggendo le
tronche,ole fdruccioloſe,che alcuna uolta nonſimetta fie nealtrimenti alſuo
parlare,perche quello cheſi dice , ſi dice per la mage gior parte de
ifinimenti,e delle chiuſe della purità. Da questi adunque odalla diſpoſitione riſorge
quella miſura,che noi numero addimandiamo. Eſſendo adunque lachiuſa ſimile alla
diſpoſitione , «la diſpoſitione non isforzeuole,matemperata,&
naturale,fcguita che il numero dell'uno, o, dell'altro figliuoloſarà , à quelle
fomigliante.Ben'è uero ,che laforza di cia fcuna manierà,e ripoſta piu toſto
nelle altre parti,che nel numero, eccetto, che nella bellezza,douc
l'ornamento,e il numero grandementeſ cerca, as molto piùè ne i uerfi, « nella
poeſia ,che altroue, o questo dico, acciò che fu non metta piu ſtudio ,doue
nonbiſogna riportandoti a gli orecchi,il giudicio delle quali da eſſa natura é
ſommamente aiutato . Ecco adunque, è Dinardo,quanto giouala mondezza , opurità
del dire alla chiarezza ; ma perche questa ſempliceforma non può daſefola si
chiaramente parlae re che non uiſiaqualche impedimento,però biſogna ouunque le
ſia di aiua. to mestieri ,con la eleganza aiutarla, come con maniera chepiù un
modo, che un'altro,piu questo ordineche quello ſecondo il biſogno adoprando
eleg ge et fouegna alla ſemplicepurità del dire ,ilqual'aiuto èpiù presto
nell'ar . tificio, che nelle ſentenze ripoſto. Però che ella ſi sforzafar ogni
ſentenza chiara &aperta,non che le pure già dichiarite di ſopra. Parliamo
adune que della cleganza,o prima dello artificio,colquale ella lcuar fuole ogni
ſentenza nella mente riposta. AR. La cleganza e maniera,cheportachiarezza à
tutte le maniere della oratione , operò non tanto alla purità, douc ella manca
foccorre , quanto à ciaſcaduna forma opra intelligenza, o facilità,daqueſto
nafce , che la eleganza dalla purità del dire in alcuna coſa é
differente.Perciò che la purità da ſe ſteſſa è chiara,oaperta ,ma la eleganza
nella grandezza, e magnificenza del dire ecomeun ſole , che ogni oſcurità , che
per quella poteſſe uenire, leua,o diſgombra,o però in ogniſentenza ella può
molto, si con l'artificio fuo , si co i colori,«le figure.L'artificio adunque
di les uare ogniſentenza dallo intelletto,acciò che ella ſia inteſa , cogni
auuerti. mento innanzi fatto di quello che ft ha da ragionare. Leggi. DIN.
Canterò com’io uißi in libertade Mentre Amor nel mio albergo à ſdegno s'hebbe
Poiſeguirò si come à luim'increbbe Troppo altamente: AR. ilſimigliante R fa
nella proſa ,comequi. DI N. Mipiace à condiſcendere à conſigli d'huomini, de'
quai dicena do mi conuerràfar due coſe molto a' miei costumi contrarie,l'una
fia alqua to me comendare, &l'altra il biaſimare alquanto altrui, maprioche
dal uc ro nė dall'una,ne dall'altra non intendo partirmi ilpurfarò. AR. Vedi
quanto gentilmente | sbriga lo intelletto dello aſcoltare con tali
auuertimenti,Appreſſo i quali aſſai bello artificio , s'intende quela to,che
per chiarezza dialcune coſe altre ne narra fenza le quali non ſi in tenderebbe
ageuolmente il reſtante.Leggi. DIN. Maper trattar del ben, ch'io ui trouai, Diró
de l'altre coſe,ch'io ui ho ſcorte. A R. Se il poeta qui non doueſſe dimostrare
le pene de dannati e i tormenti di quegli,che ſono in diſgratia di Dio , non
haurebbepotuto dare ad intendere facilmente il beneche ne riuſci poi,per hauer
lo inferno cers Cato.Ecco qui dalla medeſima neceßità costretto quest'altro
deſcriue la pee ſtifera mortalità peruenuta nella egregia Città di Firenze, avvertendo
pri ma chi legge ,in queſto modo. DIN. Mapercioche qualefuße la cagione,perche
le coſe che appref fo Rileggeranno,aueniſſeno,non ſi poteua ſenza queſta
rammemoratione dimoſtrare ,quafi dineceßità coſtretto à ſcriuerla miconduco. A
R. Ecco qui ancora un'altra bella preparatione di coſe,fatta per le uare ogni
impedimento,chepoteſſe offendereilrimanente. DIN . Ma io mi ti uoglio unpoco
ſcuſare ,che di que' tempi, che tu te n'andaſti alcuneuolte ci uoleſti uenire,
e non poteſti,alcune ci uenisti, onon fosti cosi lietamente
veduto,comefoleui,& oltre à questo di ciòche io al termine promeſſo,non ti
rendei gli tuoi danari, AR. In fine ogni precedente auifo, & ogni ordine di
coſe, e ſecondo , che elte ſon fatte,narrandole,ė artificio ſcelto , &
elegante ,però tutte le propofitoni de' poeti ſono elegantißime. Leggi. DIN. Veramente
quant’io del regno fanto Ne la mia mente poteifar teſoro Sarà ora materia del
mio canto, AR. E qui ancora DIN. Et canterò di quel ſecondo regno, Que
l'umanoſpirito ſi purga E di ſalir’alCiel diuenta degno. ART. il simigliante
modo è oſſeruato ne i principij di ogni nouelld, come da tefteſſo uedrai.Suole
ancora la Eleganza porre artificioſamente le oppoſitioni con le riſpoſte
partitamentecome qui. Leggi. DIN. Saranno per auentura alcuni di uoi , che
diranno,ch'io habbia nello ſcriuere queste nouelle troppolicenza uſata. ART.
Eccola dimanda ſeguita la ſolutione. DIN. La qual coſa io niego,percioche niuna
coſa esi difoneſta, che con oneſte parole dicendola ſi diſdica ad alcuno. ART.
Et cosi di paripaſſo alle obiettioni riſponde, benche altre fide te
inſiemepostohabbia ogni accuſa di ſefatta, opoi s'habbiafcufato , ma quelmodo
non ha dello elegante,comeilpredetto poſe prima le oppoſitioni tutte inſieme
allora quando diſſe, Leggi. DIN. Sono adunque, diſcrete Donne, stati alcuni ,
che queſte nouelle leggendo hanno detto cheuoi mipiacete troppo , eche oneſta
coſa nonė, che io tanto diletto prenda di piacerui e di confolarui.Et alcuni
han dete to peggio,di coinmendarui,come io fo.Altri più maturamente moſtrando
di uoler dire,hannodetto, che alla mia età non stà bene l'andar'omai dietro
queſte coſe, cice à ragionare di Donne,o à compiacer loro.Et molti molto te
neri della miafamamoſirandoſi dicono,ch'io farei più ſauiamente,àſtarmi con le
Mufe in Parnaſo,che con queſte ciance meſcolarmi tra uoi.Etſon di quegli
ancora,che più difpettoſamente,che ſauiamente parlando,hannodete to ,cl’io
farei più diſcrettamente à penſare,donde io poteßi hauer del pae ne, che dietro
a queste fraſche andarmi paſcendo di uento. Et certi altri,in altra guiſa
eſſere state le coſe da me raccontateui,che come io le ui porgo s'ingegnano in detrimento
della mia fatica di dimostrare. AR. In queſto luogo molte accuſe contra dello
autoreſi mettono, pri ma che ad alcunaſi riſponda, ilche non è cosi elegante
,comeilprimoartife cio ,ben che in tanta confuſione egli ſtudiaſſe di eſſer
chiaro, cinteſo, eso auiſaſje quiſaſſe auanti lo aſcoltante,come fa doue
dice,roppo alquanto dalle predet te oppoſitioni,perche non di ſubito riſponde ,
ilche ancora é dalia cleganza lontano. Ma leggi. DIN. Ma quanti, ch'io uegna à
far la riſpoſta ad alcuno,mipiace in fauore di me raccontare, non una nouella
intera ,ma parte di una. A R. Et ne poeti ancora fi oſferua,ſecondoche meglio
lor ben uiene di fare cosifatti partimenti.Vedi. DIN. Tu argomenti,ſe'lbuon
uoler dura, La uiolenza altrui,per qual cagione Di meritar mi ſcema la miſura?
AR.Queſta éuna propoſta,alla quale ſecondo l'arte della eleganzaſ doueá prinia
riſponderemaſi è poſta ancora la ſeconda, doueſeguita. DIN. Ancor di dubitar ti
dà cagione Parer tornarſi l'anima àleſtelle Secondo la ſententia di Platone. AR.
Ben che tu ueda qui le propoſte effer'inſieme collocate, non è per ròſenza
cleganza quella parte,per quello cheſegue. DIN. Queſteſon le question,che nel
tuo uelle Pontano egualemente, e però pria Tratterò quella chepiù ba di felle.
ART. In queſto luogo non tanto la eleganza dimoſtra lo artificio fuo per lo
auuertimentofatto di quelloche ſi dee dire, quanto per la elettione di
riſpondere prima ad una domanda,che ad un'altra.Euui ancora un'altro artificio
della ſceltezza,ilqualeè quando ſi ripiglia quello,che ſi è detto, et ſi
dimostra,di che poi ſi ba da dire,come in queſti luoghiſegnati . DIN. Ma
hauereinſino à qui detto della preſente nouella, uoglio che mi basti,o à coloro
riuolgermi,a' quali ho la nouella raccontata. Ilqual luogo acciò chemeglio
quelloche è detto,equellocheſegue, co me stefje ui moſtrerò. AR. Aſaiſi èdetto
fin qui,con che arte la eleganza leuarmare ciaſcheduna delle dette maniere ,
accion che io ueda il fine della deſiderata catena dell'anima delle coſe, e del
parlare. DE Ï Ï Á parlare. AR. Bendi. Dei dunque ſapere che
comenell'Anima,al. tra parte è quella che apprende la ragione,alfra quella ,
che é da gli effetti commoſſi, come dicemmo, o nellaNatura altre ſono le coſe
allo inſegnare altreal muouere appartenenti, cosi alcune formedels la
orationeſaranno, le quali conuerranno alle coſe dello intelletto ,als cune alle
coſe della uoglia , odello appetito , o quando queſto non fuſſe, né uia, nė
ragione alcunaſarebbe di poter acconciamente indurs re opinione è affettione
con la forza della fuuella . Però auuertiſci, che nel trattamento delle forme
da te ſtesſo potrai intendere qual forma à qual coſaſi confaccia. DIN.
Ricorditi difarmi ogni coſa chiara con glieſſempi, eio mi obligo di leggerli
ſecondola occaſio ne,in qualunque libro di queſti,che tu uorrai. Ma prima
deſidero ſa per alcuna coſa d'intornoal Numero , o numeroſo componimento. Laſciati
à me guidare cheil tutto ſaperai ſecondo il biſogno. Sappi adunque, è Dinardo ,
chequalhora alcuno ſi rivolga à conſi= derare il modo, es la ragione del
medicare , che ritrouando alcus na bella coſa nella medicina, uoglia
giudicioſamente applicarla all’are te del dire, non è dubbio, che egli non ſia
per uedere tra la medicina, o l'arte di che ſiragiona,grandiſsima ſimiglianza .
Ecco la medicina cerca di indurre ſanità, oue ella non ė, ò di conſeruarla doue
ella fi truoua.Ilſimile fa queſt'arte ,d'intorno alla buonaopinione , perche
conogni ſtudio s'affitica di metterla ,ò di mantenerla oue ſia biſogno. La
medicina conoſce qual parte del corpo con qualrimedio eſſer debs bia riſanata,
o preferuata,cosi queſt'arte opracon l'anima, e con le partiſue con le formedel
parlare.La medicina quantopiù può fugge la noia chepotrebbe alcuno medicamento
recar'atl'infermo,con mele ò con zucchero, ò con altra coperta mitigando il
peßimoſapore , ego l'odore delle medicine , ne da queſta gentilezza ſi parte la
mia figlis uola, cercandodinon offendere quelſentimento,che prende iſuoi ris
medij ,il qualſentimento é negli orrecchi ripoſto ,per le qualiſotto la ſoauità
delſuono fa trapaſſar’inſino all'anima la opinione , quantun que ſia di coſa
dalla Natura aborrita . Etfinalmente la medicina nelle ſue compoſitioni alcune
coſe ui mette , non tanto gioueuoli alle parti offeſe, quanto preſte
apportatrici delle uirtù dell'altre coſe al luogo infermo, il chequãtoſi
conuenga all'artificiofa fauella,non ti posſo in poca hora dichiarare , perche
troppo grande é la forza delſuo nus meroſo componimento ; il quale portando
ſeco ageuolißimamente il ualor delle parole, o delle ſentenze,paſa,e penetra
per ogni parte dell'anima,deſ leroſa di queſta foauicà, e benche gli orecchi
del uolgo neſentano aſſai, non è però da dimandare alcuno Idiota,onde ella
proceda, ò come ſi faccia, perche queſto giudicio è più proprio dell'intelletto
, che delſentimento umano. Giudicando adunque, o conſiderando lo intendente
huomo quale ſia la cagione, che le parole più ad un modo , che ad un'altro
diſposte fieno diletteuolio numeroſe, ritrüoua iltutto eſſere alla Natura,
quanto alſuo principio , conueniente, ma quanto alla perfettione non cosi ;
però che io ne ho grandißima parte.Et perche tuſappia quello che la Nde tura, a
quello che io ti poßiamo prestare,dico ,che la Natura ha posto alls cor nelle
orecchie ilſuo piacere & diletto, uuole chequelle affaticate fi folleuino
con la ſoauità , a dolcezza del dire ; al che fare niuna coſa è più potente nel
uostro ragionare , che'l numero, ola fosnità delle parole. Il qual numero
biſogna, che di ſua uoglia uegna nella oratione, si perchefa oratione, e non
muſica,si perfuggir la fofpitione dello artificio, la quae le con luſingheuole
inganno pare, che uoglia abbagliar l’animo de gli aſcol tanti, operò leua loro
ogni perſuaſione, o fede . Ma quando con ine certo , & non conoſciuto
numero,dolce però , e foaue,ſi compone il parlamento, oſi lega inſieme il
faſcio della ſentenza, & del'intendimento,fena za dubbio il tutto con
credenza, o diletto ſi riceue . Fuggafi dunque il ucrſo, « ogni regola
continouata del uerſo ; continouata dico , peroche lo ſteſſo numero più volte
replicato facilmente ſiriconoſce, o fache gli os recchi aſpettanti l'ordinato,
« conſueto ritorno , più alſuono,che alſentia mentoſi diano,coſa aſſai chiara,
oatteſa ne i uerſi,il numero de' quali ufae to ,e conoſciuto,più dall'arte ,che
dalla Natura procedente. Ma percheſenza legge di numero alcuno, o ſciolta del
tutto non dee restare l'oratione , che oſcura, cu piaccuole ne rimarrebbe,però
numeroſa o compoſta ella fi dis fidera grandemente. Ora da che naſca, o per
qual cagione diuerſamente offer conuenga numeroſa l'oratione, quanto à me
s'appartiene dirò bries uemente,dichiarando prima,che coſa ſia NVMERO, ò
numeroſo come ponimento. DIN. Queſto ordine à meſommamente diletta,però di
cuore ti prie go,che più diſtintamente che puoi,me lo dimostri. A R. La
neceßità uuole, che le parole ſieno pari alla ſentenza ,perche à queſto fine ſi
ragiona,comeſi è detto,accioche quanto habbiamo di dene troſi dimoſtri di
fuori,doue mancando o accreſcendo parole, o il concetto interno non
ſarebbeeſpreſſo, come nella mente dimora , ò il parlar ſarebbe ociofo ,ò
mancheuole.Maperche la ſentenza nell'anima è finita Otermina ta ,però
debbon’eſſerfinite,os terminate in quantità le parole, che laſenten F DEELLA za
dimostrano. Laqual quantità inſieme ragunata, Giro , o circuito nos mineremo ilquale
altro non ſarà,chepieno operfetto abbracciamento del la ſentenza. Questo
abbracciamento di pari accompagnando la uirtù di ef la ſentenza,puòhauere una ò
piu parti, o maggiori, o minori , ſecondo le parti della ſentenza;@ ciaſcuna
parte é composta di parole, oſi chiama Membro, ó Nodo; osi come ogni parte del
corpo ha il ſuo principio, il ſuofine, e il ſuo mezo, o il corpomedeſimo e
terminato, & finitocosi , le parti dello abbracciamento, welfo
abbracciamento ſarà finito, otermina to . In tutto queſto ſpatio adunque,che è
tra il principio,il fine di ciaſcu na parte, e tra il cominciamento, es la
chiuſa,che s'è detto chiamarſigia ro,ė forza,che la lingua alcuna uolta
s'adagi,o ſi ripoſi ſecondo il biſoa gno,oſi muoua più ueloce ,ò piu tarda
ſecondo laqualità del concetto . Et questo ripoſo , oqueſto mouimento ,miſurato
col tempo del proferire, para toriſce ilnumero , del qual ragioniamo,uero
figliuolo della compoſitione, o de i termini del parlare, omoltopiu nel
fine,chenel cominciamento e più apparente ne gli eſtremi chenel mezo.Etperche
di eſſo Numero gli orecchi fanno giudicio in quanto al ſentimento del piacere,
o del diſpiaa cere,per eſſer naturale à ciaſcuno la dilettatione de' ſenſi,
ol'intellettofos lo come ti dißi,ne cerca la cagione però , hauendoſifin'ora in
parte dimoſtra to quello cheall'intelletto s'appartiene,in parte dico,perciò
che l'intelletto in questo caſo molto alle orecchie deferiſce , odiuerſe
maniere hanno dia uerfo numero.Però cominciando a trattare delle forme del dire
daremo a ciaſcheduno il ſuo numeroſo componimento,o con effempi ancora ritroue
remo quello che con ragioneſfarà dimostrato. DIN. Molto bene auif di
farmicapace di questa magnifica oillus ſtre compoſitione ; però ſegui,che con
maggior deſiderio, cheprima ,fono apparecchiato di aſcoltarti,perche mi pare
,che ora tu facci di me pruoua marauiglioſa . AR: La primaformae nominata
Chiarezza,laqual naſce da purità, og da eleganza,come s'è detto. Pero eſſendo
ella quaſi un tutto , acciò che meglio ſi manifeſti,ſidirà delle parti fue,&prima
della mondezza opile rità ,poidella ſcelta, o eleganza. Deefl dunque dare
allapurità del dire quelle ſentenze, le qualiſono di piana intelligenza, &
non hanno biſogno di piu conſideratione,come per lo pia fono,o effer deono le
narrationi delle co fe ,come qui. Leggi. DIN. Tancredi , Principe di Salerno ,
fu Signore affai umano , di benigno aſpetto. AR. Eccoti, che ſenza alcuna
fatica di diſcorſo ogni mediocre in . gigno. gegropuò capire ilſentimento della
ſentenzagià letta, come ancora in questi uerfi. Leggi. DIN. Io son Manfredi,
Nipote di Costanza Imperatrice. ART. Et molti eſſempi ſono della purità nelle
nouelle , la ſentenza delle quali per la maggior parte è molto alla
uolgar’intelligenzafottopo sta,pur che partitamenteſa ciaſcheduna inſe conſiderata
, percio che pua re nonſarebbono, quando adalcun fineſi riguardaſſe, oueroaltro
attendes fero per fornir'il ſentimento loro, comeſe in questa guifa ſi diceſſe.
Eſſendo Tancredi principe di Salerno Signore aſſai umano , per che queſta
ſentenza non ſarebbe terminata,o finita,douendo attendere a quel io, che ſegue,
o però più preſto oſcura ſarebbe chemonda enetta . Non aſpetti adunque altro
intendimento,chi uuoleſſer puro nella ſentenza , las quale stando
nell'anima,dee cljer con tal'artificio leuata, che ſolaſi tirifuo riga come di
dentro dimostra il concetto ,cosi di fuori fa fatto paleſe,ſen. za alcun
accidente che quella accompagni,o conſegua. Et però daquesta formaſia bandita
ogni circoſtanza di tempo diluogo, di perſona,o di mo . do,ò d'altro auenimento.Vedi
questa parte quanto, é pura nella sentenza: DIN. La quale percioche
egli,sicomei mercatanti fanno, andava molto in tornoapoco con lei
dimoraua,s'inamoród’uno giouane chiama to Roberto. AR. Non laſcia eſſer pura
cotestaſentenza,quel trammezamento ,che dice,percioche egli,si come i
mercatanti fanno,andaua molto intorno , o questo adiuiene,perche ſospeſoſi
tiene l'animo, di chi ode . Fuggi adunque ogni raccoglimento ſe uuoi eſſere nel
tuo dir mondo, &neto; &narra le co Se partitamente come ſtanno,ma de i
raccoglimenti quãti,o quali ſieno, dirà poi.Delle parole ueramente con le quali
ſi dee uestire 'la purità breue ammaeſtramento ſi daràperche , tutte le
parole,piane,facili,ufitate, bricui, O communi ſonoall'anima della purità molto
proportionate , onde le trae portate,le ſtraniere,le lunghe, & quelle, che
la lingua pena à proferire , o l'intelletto a capirefono dalla purità lontane
,però purisſime ſono queste. DIN. Cheà me pareuaeßer’in una bella, diletteuole
ſelua ,& in quella andar cacciando ehauer preſo una cauriola , parcami, che
ella fuſſepiu che la neue bianca,or in brieueſpatio diucniſſe si mia domeſtica
, che punto da me nonſi partiua,tutta uia à meparcua hauerla, si cara , cbe
accio che da me non partiſſe,le mi pareua nella gola hauer meſſo un cola no
d'oro,e quella con una catena d'oro tener con le mani. F 2 AR DEL LOA: ARTE Non
è poco hauer giudicio di ritrouar le parole adognima niera conformii,mamolto
più ſi deue auuertir' nel diſporle, o colorirle,on de ne naſce il deſiderato
aſpetto.Et però ſappi che la figura delle parole,al la puritàſottopoſte,é il
dritto,ecco. DIN. Nicolò Cornacchini fu nostro cittadino,o ricco huomo. ARTE Et
quiancora DIN. Aſolo adunqueuago , « piaceuole caſtello poſto ne gli eſtremi
gioghi delle nostre Alpiſopra il Triuigiano ecfi come ogn’uno deeſapere) Arneſe
della reina di Cipri. ARTE Non cosipuro ſarebbe ſe da gli obliqui caſi haueſſe
comine ciato, Dicendo, DiAſolo ,uago &piaceuole caſtello poſſeditrice fu la
Reie na di Cipri . Ma puro e per la figura del dritto, auegna che ſecondo
quella : parola puro non ſia ,doue ſi dice Arneſe,uoce ſtraniera, ancora nello
are. tificio non é puro per quello tramezamento, che dice ( si come ogn’uno dee
ſapere) o per quelle circoſtanze del caſtello uago, piaceuole, pera che ritarda
il ſentimentode gli aſcoltanti , oui mette le circonſtanze del luogo. DI N.
Dunque erra chi uolendo cßer puro uſa parole non pure , artificio,ò figura
d'altra maniera,della oratione ? ÁR: Errerebbe ſe egli credeſſe,otentaſſe
d'eſſere in ogni parte puro , &netto, & non uſaſſe quello che ſi
conuiene,ma non erra uolendo alla pu rità del dire porgere «grandezza o
dignità.Ma ancora uoglio che ogni maniera ſia in ſe ſteſſa conſiderata , e però
lapurità del dire haurà le. parti ſue distinte,os ſeparate dalle altre;nė
ſolamente il dritto è figura, di questaforma, o maniera,ma anche ogni altro
colore, che ſia contrario als la comprenſione della quale ſi dirà poi,ora
trattiamo delſito, odellacom poſitione delle parole , Dico nella purità ,cs
mondezza del dire douerſi met : tere le parole inſieme con quel modo,che piu
uicino ſia al fauellare, uſitae coſenza molta cura,caffettatione ſemplicemente
quantoſi può. Et si cos me in ciaſcheduna parola di queſta forma biſognaua
leuar'ogni durczza , Cogni difficultà di lettere,o di ſillabe,accioche la uoce
di ſuono e quale , temperato , « non impedito ufciſſe fuori,cosi nella
compoſitione biſos gna guardare di acconciare talmente , che pine tosto nate ,
che fabricate appariſcano,come nello eſempio già letto del ſogno ſi conoſceud.
Conſided ra tu poi la forza, & lofpirito di ciaſcuna lettera, e di ciaſcuna
fillaba , come la natura in tutte ha posto la ſuapiaceuolezza, durezza, &
tifa rai queſto giudice del ſuono delleparole, della loro diſpoſitione,ucdi che
la A ſi forma nella più profonda parte del petto ,o eſce poifuori con alta
восс, uoce,riſonante ,onde lo ſpirito di eſſa grande,oſonoroffente,odi laſe
guente , ch'é ,B. LA B é puraſnella,deſpedita ,come è afpra'la C.quando è fine
della fillaba,ISA C, órauca quando è posta inanzi la A à la V come per lo
contrario e di dolce,ſpeſſo , o pieno ſuono,precedendo alla I. @alla E.co. me
qui.Salabetto mio dolce iomi ti raccomado o cosicome la mia perſona è al piacer
tuo, cosi é ciò che ciė, o cio che per me ſi può fare al comando tuo. Conſidera
poi da te ſteſſo il restante delle lettere , in che maniera eſſa natura diſua
propria qualità ha ciaſcuna dotata , & uederai onde nde ſce più
questa,chequella compoſitione.Le parti, &le membra , della purie. rità
effer deono breui,& ciaſcuna dee terminar'ilſuo ſentimento,non ritar: dando
con lunghezza de' giri, o di raccoglimenti la intelligenza del poe polo ,come
qui, D. Suol’essere a' nauiganti caro,qualhora da oſcuro o fortuneuole
nembofofpinti errano,otrauagliano la lor uia,colſegnodella indiana pie
tra,ritrouare la trammontana, in modo che qual uentoſoffi conoſcendo,non Ria
lor tolto il potere, & uela,ogouerno,là doue eßi di giugner procaca ciano,ò
almeno doue più la loro ſaluezza ueggiono , indirizzare. Bifox gna parimente in
minoreſpatio raccogliere il ſentimento di ciaſcuna para te,oueſt uuole eſſer
puro, ofare in questo modo,benche le parolefieno ale quanto dure.Leggi. DIN.
Chino di Tacco piglia l'Abbatedi Clugni,a medicalo del ma le di ſtomaco, « poi
il laſcia,L'abbate ritorna , in corte di Roma,o il rico cilia con Bonifatio
Papa,o fallofriere dell'oſpedale. A R. Etnel uerſo ancora eſſer dee la predetta
norma oſſeruata,come, qui . Leggi. DIN. Pace non trouo,e non ho da farguerra ,
E temo, eſpero, & ardo, e for’un ghiaccio . Ilche non quiene in queſta
altra parte. DIN. Voi, ch'aſcoltate in rimeſparſe il ſuono . Perciò che ilſenſo
è troppo ritardato,o con lunghißime parti rattenuto. Haſi dunque della purità
quello chebiſogna d'intorno alle ſentenze, allo artificio, aile parole, alla
figura, alla compoſitione, & alle parti di cſa. Reſta,che ſi tratti del
numero, & del finimento ,cioè della chiuſa,odel ter mine della ſentenza,o
delle parti ſue.Dico adunque , che nello andare , ego nello ſpatio di queſta
forma non ſi dee eſſere néueloce,ne tardo, mateme perato, & ne i ripoſi
,one i mouimenti, operche il numero naſce dalla compoſitione,co dal
fine,peròſapendo quale eßer dee la compoſitione delelc le parole, quale
il fineztutto quello,cheſotto di queſte partiſ contiene darà ad intender quellocheſi
è detto, perche quantoſi ricerca alla com pofitione ſi é dichiarito reſta che
ſidica del finimento.ogniſentenza, ogni giro puòfinire,ò in alcunaparola
tronca,oin parola piena,ſienoque ſte parole ,ò di due,ò di tre,ò di piu
ſilabe,o ancora di una. Le parolepie ne,e compiute ò ſonoſdrucciolofe, &
uolubili,o ſalde ,oferme, opers che non ſoloRidce conſiderar l'eſtrema parola
di tutta la chiuſa, ma anco la uicina, o proſima,però partitamente ſi dirà di
ciaſcun finimento al luo go ſuo.Comeadunque uoglia la purità terminare le
chiuſeſue, aſſai chiaro ofer dee.Perciò cheaßimigliandoſi elle al dire
cotidiano,fuggirà il fine del le parole tronche, comeſono quelle
andò,corfuftarà,o C.perche le mede. fime dee nella diſpoſitione fuggire,come
ramarico, o render florido. Et A contenterà di quelfine,cheper lo più la Natura
a’uolgari dimostra,ma io non uoglio, che con tanta religioneſifiniſca in parole
piene , &perfete te ,fuggendo le tronche,ole fdruccioloſe,che alcuna uolta
nonſimetta fie nealtrimenti alſuo parlare,perche quello cheſi dice , ſi dice
per la mage gior parte de ifinimenti,e delle chiuſe della purità. Da questi
adunque odalla diſpoſitione riſorge quella miſura,che noi numero addimandiamo.
Eſſendo adunque lachiuſa ſimile alla diſpoſitione , «la diſpoſitione non isforzeuole,matemperata,&
naturale,fcguita che il numero dell'uno, o, dell'altro figliuoloſarà , à quelle
fomigliante.Ben'è uero ,che laforza di cia fcuna manierà,e ripoſta piu toſto
nelle altre parti,che nel numero, eccetto, che nella bellezza,douc l'ornamento,e
il numero grandementeſ cerca, as molto piùè ne i uerfi, « nella poeſia ,che
altroue, o questo dico , acciò che fu non metta piu ſtudio ,doue nonbiſogna
riportandoti a gli orecchi,il giu . dicio delle quali da eſſa natura é
ſommamente aiutato . Ecco adunque, è Dinardo,quanto giouala mondezza , opurità
del dire alla chiarezza ; ma perche questa ſempliceforma non può daſefola si
chiaramente parlae re che non uiſiaqualche impedimento,però biſogna ouunque le
ſia di aiua. to mestieri ,con la eleganza aiutarla, come con maniera chepiù un
modo, che un'altro,piu questo ordineche quello ſecondo il biſogno adoprando
eleg ge et fouegna alla ſemplicepurità del dire ,ilqual'aiuto èpiù presto
nell'ar . tificio, che nelle ſentenze ripoſto. Però che ella ſi sforzafar ogni
ſentenza chiara &aperta,non che le pure già dichiarite di ſopra. Parliamo
adune que della cleganza,o prima dello artificio,colquale ella lcuar fuole ogni
ſentenza nella mente riposta. AR. La cleganza e maniera,cheportachiarezza à
tutte le maniere della oratione , operò non tanto alla purità, douc ella manca
foccorre, quanto à ciaſcaduna forma opra intelligenza, o facilità,daqueſto
nafce , che la eleganza dalla purità del dire in alcuna coſa é
differente.Perciò che la purità da ſe ſteſſa è chiara,oaperta ,ma la eleganza
nella grandezza, e magnificenza del dire ecomeun ſole , che ogni oſcurità , che
per quella poteſſe uenire, leua,o diſgombra,o però in ogniſentenza ella può
molto, si con l'artificio fuo , si co i colori,«le figure.L'artificio adunque
di les uare ogniſentenza dallo intelletto,acciò che ella ſia inteſa , cogni
auuerti. mento innanzi fatto di quello che ft ha da ragionare. Leggi. DIN.
Canterò com’io uißi in libertade Mentre Amor nel mio albergo à ſdegno s'hebbe
Poiſeguirò si come à luim'increbbe Troppo altamente: AR. ilſimigliante R fa
nella proſa ,comequi. DI N. Mipiace à condiſcendere à conſigli d'huomini, de'
quai dicena do mi conuerràfar due coſe molto a' miei costumi contrarie,l'una
fia alqua to me comendare, &l'altra il biaſimare alquanto altrui, maprioche
dal uc ro nė dall'una,ne dall'altra non intendo partirmi ilpurfarò. AR. Vedi
quanto gentilmente | sbriga lo intelletto dello aſcoltare con tali
auuertimenti,Appreſſo i quali aſſai bello artificio , s'intende quela to,che
per chiarezza dialcune coſe altre ne narra fenza le quali non ſi in tenderebbe
ageuolmente il reſtante.Leggi. DIN. Maper trattar del ben ,ch'io ui trouai,
Diró de l'altre coſe,ch'io ui ho ſcorte. A R. Se il poeta qui non doueſſe
dimostrare le pene de dannati e i tormenti di quegli,che ſono in diſgratia di
Dio , non haurebbepotuto dare ad intendere facilmente il beneche ne riuſci
poi,per hauer lo inferno cers Cato.Ecco qui dalla medeſima neceßità costretto
quest'altro deſcriue la pee ſtifera mortalità peruenuta nella egregia Città di
Firenze ,auuertendo pri ma chi legge ,in queſto modo. DIN. Mapercioche
qualefuße la cagione,perche le coſe che appref fo Rileggeranno,aueniſſeno,non
ſi poteua ſenza queſta rammemoratione dimoſtrare ,quafi dineceßità coſtretto à
ſcriuerla miconduco. A R. Ecco qui ancora un'altra bella preparatione di
coſe,fatta per le uare ogni impedimento,chepoteſſe offendereilrimanente. DIN .
Ma io mi ti uoglio unpoco ſcuſare ,che di que' tempi, che tu te n'andaſti
alcuneuolte ci uoleſti uenire, e non poteſti,alcune ci uenisti, onon fosti cosi
lietamente veduto,comefoleui,& oltre à questo di ciòche io al termine
promeſſo,non ti rendei gli tuoi danari, AR. In fine ogni precedente auifo,
& ogni ordine di coſe, e ſecondo , che elte ſon fatte,narrandole,ė artificio
ſcelto , & elegante ,però tutte le propofitoni de' poeti ſono elegantißime.
Leggi. DIN . Veramente quant’io del regno fanto Ne la mia mente poteifar teſoro
Sarà ora materia del mio canto, AR. E qui ancora DIN. Et canterò di quel
ſecondo regno, Que l'umanoſpirito ſi purga E di ſalir’alCiel diuenta degno.
ART. il fimigliante modo è oſſeruato ne i principij di ogni nouelld, come da
tefteſſo uedrai.Suole ancora la Eleganza porre artificioſamente le oppoſitioni
con le riſpoſte partitamentecome qui. Leggi. DIN. Saranno per auentura alcuni
di uoi , che diranno,ch'io habbia nello ſcriuere queste nouelle troppolicenza
uſata. ART. Eccola dimanda ſeguita la ſolutione. DIN. La qual coſa io
niego,percioche niuna coſa esi difoneſta, che con oneſte parole dicendola ſi
diſdica ad alcuno. ART. Et cosi di paripaſſo alle obiettioni riſponde, benche
altre fide te inſiemepostohabbia ogni accuſa di ſefatta, opoi s'habbiafcufato ,
ma quelmodo non ha dello elegante,comeilpredetto poſe prima le oppoſitioni
tutte inſieme allora quando diſſe, Leggi. DIN. Sono adunque, diſcrete Donne,
stati alcuni , che queſte nouelle leggendo hanno detto cheuoi mipiacete troppo
, eche oneſta coſa nonė, che io tanto diletto prenda di piacerui e di
confolarui.Et alcuni han dete to peggio,di coinmendarui,come io fo.Altri più
maturamente moſtrando di uoler dire,hannodetto, che alla mia età non stà bene
l'andar'omai dietro queſte coſe, cice à ragionare di Donne,o à compiacer
loro.Et molti molto te neri della miafamamoſirandoſi dicono,ch'io farei più
ſauiamente,àſtarmi con le Mufe in Parnaſo,che con queſte ciance meſcolarmi tra
uoi.Etſon di quegli ancora,che più difpettoſamente,che ſauiamente
parlando,hannodete to ,cl’io farei più diſcrettamente à penſare,donde io poteßi
hauer del pae ne, che dietro a queste fraſche andarmi paſcendo di uento. Et
certi altri,in altra guiſa eſſere state le coſe da me raccontateui,che come io
le ui porgo s'ingegnano in detrimento della mia fatica di dimostrare. AR. In
queſto luogo molte accuſe contra dello autoreſi mettono, pri ma che ad alcunaſi
riſponda, ilche non è cosi elegante ,comeilprimoartife cio ,ben che in tanta
confuſione egli ſtudiaſſe di eſſer chiaro, cinteſo, eso auiſaſje quiſaſſe
auanti lo aſcoltante,come fa doue dice,roppo alquanto dalle predet te
oppoſitioni,perche non di ſubito riſponde , ilche ancora é dalia cleganza
lontano. Ma leggi. DIN. Ma quanti, ch'io uegna à far la riſpoſta ad
alcuno,mipiace in fauore di me raccontare, non una nouella intera ,ma parte di
una. Et ne poeti ancora fi oſferua,ſecondoche meglio lor ben uiene di fare
cosifatti partimenti.Vedi. DIN. Tu argomenti,ſe'lbuon uoler dura, La uiolenza
altrui,per qual cagione Di meritar mi ſcema la miſura ? A R.Queſta éuna
propoſta,alla quale ſecondo l'arte della eleganzaſ doueá prinia riſponderemaſi
è poſta ancora la ſeconda, doueſeguita.
Ancor di dubitar ti dà cagione Parer tornarſi l'anima àleſtelle Secondo
la ſententia di Platone. AR. Ben che tu ueda qui le propoſte effer'inſieme
collocate, non è per ròſenza cleganza quella parte,per quello cheſegue. DIN.
Queſteſon le question,che nel tuo uelle Pontano egualemente, e però pria
Tratterò quella chepiù ba di felle. In queſto luogo non tanto la eleganza
dimoſtra lo artificio fuo per lo auuertimentofatto di quelloche ſi dee dire,
quanto per la elettione di riſpondere prima ad una domanda,che ad un'altra.Euui
ancora un'altro artificio della ſceltezza,ilqualeè quando ſi ripiglia
quello,che ſi è detto, et ſi dimostra,di che poi ſi ba da dire,come in queſti
luoghiſegnati . DIN. Ma hauereinſino à qui detto della preſente nouella, uoglio
che mi basti,o à coloro riuolgermi,a' quali ho la nouella raccontata. Ilqual
luogo acciò chemeglio quelloche è detto,equellocheſegue, co me stefje ui
moſtrerò . AR. Aſaiſi èdetto fin qui,con che arte la eleganza leuarmare
ciaſcheduna delle dette maniere , accion che io ueda il fine della deſiderata
catena dell'anima delle coſe, e del parlare. A R. Bendi. Dei dunque ſapere che
comenell'Anima,al. tra parte è quella che apprende la ragione,alfra quella ,
che é da gli effetti commoſſi, come dicemmo, o nellaNatura altre ſono le coſe
allo inſegnare altreal muouere appartenenti, cosi alcune formedels la
orationeſaranno, le quali conuerranno alle coſe dello intelletto ,als cune alle
coſe della uoglia , odello appetito , o quando queſto non fuſſe, né uia, nė
ragione alcunaſarebbe di poter acconciamente indurs re opinione è affettione
con la forza della fuuella . Però auuertiſci, che nel trattamento delle forme
da te ſtesſo potrai intendere qual forma à qual coſaſi confaccia. DIN. Ricorditi
difarmi ogni coſa chiara con glieſſempi, eio mi obligo di leggerli ſecondola
occaſio ne,in qualunque libro di queſti,che tu uorrai. Ma prima deſidero ſa per
alcuna coſa d'intornoal Numero , o numeroſo componimento . ART. Laſciati à me
guidare cheil tutto ſaperai ſecondo il biſogno. Sappi adunque, è Dinardo ,
chequalhora alcuno ſi rivolga à conſi= derare il modo, es la ragione del
medicare , che ritrouando alcus na bella coſa nella medicina, uoglia
giudicioſamente applicarla all’are te del dire, non è dubbio, che egli non ſia
per uedere tra la medicina, o l'arte di che ſiragiona,grandiſsima ſimiglianza .
Ecco la medicina cerca di indurre ſanità, oue ella non ė, ò di conſeruarla doue
ella fi truoua.Ilſimile fa queſt'arte ,d'intorno alla buonaopinione , perche
conogni ſtudio s'affitica di metterla ,ò di mantenerla oue ſia biſogno. La
medicina conoſce qual parte del corpo con qualrimedio eſſer debs bia riſanata,
o preferuata,cosi queſt'arte opracon l'anima, e con le partiſue con le formedel
parlare.La medicina quantopiù può fugge la noia chepotrebbe alcuno medicamento
recar'atl'infermo,con mele ò con zucchero, ò con altra coperta mitigando il
peßimoſapore , ego l'odore delle medicine , ne da queſta gentilezza ſi parte la
mia figlis uola, cercandodinon offendere quelſentimento,che prende iſuoi ris
medij ,il qualſentimento é negli orrecchi ripoſto ,per le qualiſotto la ſoauità
delſuono fa trapaſſar’inſino all'anima la opinione , quantun que ſia di coſa
dalla Natura aborrita . Etfinalmente la medicina nelle ſue compoſitioni alcune
coſe ui mette , non tanto gioueuoli alle parti offeſe, quanto preſte
apportatrici delle uirtù dell'altre coſe al luogo infermo, il chequãtoſi
conuenga all'artificiofa fauella,non ti posſo in poca hora dichiarare , perche
troppo grande é la forza delſuo nus meroſo componimento ; il quale portando
ſeco ageuolißimamente il ualor delle parole, o delle ſentenze,paſa,e penetra
per ogni parte dell'anima Ειοο ν Ε Ν Ζ Α. dell'anima,deſ leroſa di queſta
foauicà, e benche gli orecchi del uolgo neſentano aſſai, non è però da
dimandare alcuno Idiota,onde ella proceda, ò come ſi faccia, perche queſto
giudicio è più proprio dell'intelletto , che delſentimento umano. Giudicando
adunque, o conſiderando lo intendente huomo quale ſia la cagione, che le parole
più ad un modo , che ad un'altro diſposte fieno diletteuolio numeroſe, ritrüoua
iltutto eſſere alla Natura, quanto alſuo principio , conueniente, ma quanto
alla perfettione non cosi ; però che io ne ho grandißima parte.Et perche
tuſappia quello che la Nde tura, a quello che io ti poßiamo prestare,dico ,che
la Natura ha posto alls cor nelle orecchie ilſuo piacere & diletto, uuole
chequelle affaticate fi folleuino con la ſoauità , a dolcezza del dire ; al che
fare niuna coſa è più potente nel uostro ragionare , che'l numero, ola fosnità
delle parole. Il qual numero biſogna, che di ſua uoglia uegna nella oratione,
si perchefa oratione, e non muſica,si perfuggir la fofpitione dello artificio,
la quae le con luſingheuole inganno pare, che uoglia abbagliar l’animo de gli
aſcol tanti, operò leua loro ogni perſuaſione, o fede . Ma quando con ine certo
, & non conoſciuto numero,dolce però , e foaue,ſi compone il parld .
-mento, oſi lega inſieme il faſcio della ſentenza, & del'intendimento,fena
za dubbio il tutto con credenza, o diletto ſi riceue . Fuggafi dunque il ucrſo,
« ogni regola continouata del uerſo ; continouata dico , peroche lo ſteſſo
numero più volte replicato facilmente ſiriconoſce, o fache gli os recchi
aſpettanti l'ordinato, « conſueto ritorno , più alſuono,che alſentia mentoſi
diano,coſa aſſai chiara, oatteſa ne i uerſi,il numero de' quali ufae to ,e
conoſciuto,più dall'arte ,che dalla Natura procedente. Ma percheſenza legge di
numero alcuno, o ſciolta del tutto non dee restare l'oratione , che oſcura, cu
piaccuole ne rimarrebbe,però numeroſa o compoſta ella fi dis fidera
grandemente. Ora da che naſca, o per qual cagione diuerſamente offer conuenga
numeroſa l'oratione, quanto à me s'appartiene dirò bries uemente,dichiarando
prima,che coſa ſia NVMERO, ò numeroſo come ponimento. DIN. Queſto ordine à
meſommamente diletta,però di cuore ti prie go,che più diſtintamente che puoi,me
lo dimostri. AR. La neceßità uuole, che le parole ſieno pari alla ſentenza
,perche à queſto fine ſi ragiona,comeſi è detto,accioche quanto habbiamo di
dene troſi dimoſtri di fuori,doue mancando o accreſcendo parole, o il concetto
interno non ſarebbeeſpreſſo, come nella mente dimora, ò il parlar sarebbe
ocioso, ò mancheuole. Maperche la ſentenza nell'anima è finita Otermina ta
,però debbon’eſſerfinite,os terminate in quantità le parole, che laſentenza
dimostrano. Laqual quantità inſieme ragunata, Giro , o circuito nos mineremo
ilquale altro non ſarà,chepieno operfetto abbracciamento del la ſentenza.
Questo abbracciamento di pari accompagnando la uirtù di ef la
ſentenza,puòhauere una ò piu parti, o maggiori, o minori , ſecondo le parti
della ſentenza;@ ciaſcuna parte é composta di parole, oſi chiama Membro, ó
Nodo; osi come ogni parte del corpo ha il ſuo principio, il ſuofine, e il ſuo
mezo, o il corpomedeſimo e terminato, & finitocosi , le parti dello
abbracciamento, welfo abbracciamento ſarà finito, otermina to . In tutto queſto
ſpatio adunque,che è tra il principio,il fine di ciaſcu na parte, e tra il
cominciamento, es la chiuſa,che s'è detto chiamarſigia ro,ė forza,che la lingua
alcuna uolta s'adagi,o ſi ripoſi ſecondo il biſoa gno,oſi muoua più ueloce ,ò
piu tarda ſecondo laqualità del concetto . Et questo ripoſo , oqueſto mouimento
,miſurato col tempo del proferire, para toriſce ilnumero , del qual
ragioniamo,uero figliuolo della compoſitione, o de i termini del parlare,
omoltopiu nel fine,chenel cominciamento e più apparente ne gli eſtremi chenel
mezo.Etperche di eſſo Numero gli orecchi fanno giudicio in quanto al ſentimento
del piacere, o del diſpiaa cere,per eſſer naturale à ciaſcuno la dilettatione
de' ſenſi, ol'intellettofos lo come ti dißi,ne cerca la cagione però ,
hauendoſifin'ora in parte dimoſtra to quello cheall'intelletto s'appartiene,in
parte dico,perciò che l'intelletto in questo caſo molto alle orecchie deferiſce
, odiuerſe maniere hanno dia uerfo numero.Però cominciando a trattare delle
forme del dire daremo a ciaſcheduno il ſuo numeroſo componimento,o con effempi
ancora ritroue remo quello che con ragioneſfarà dimostrato. DIN. Molto bene
auif di farmicapace di questa magnifica oillus ſtre compoſitione ; però
ſegui,che con maggior deſiderio, cheprima ,fono apparecchiato di
aſcoltarti,perche mi pare ,che ora tu facci di me pruoua marauiglioſa . AR: La
primaformae nominata Chiarezza,laqual naſce da purità, og da eleganza,come s'è
detto. Pero eſſendo ella quaſi un tutto , acciò che meglio ſi manifeſti,ſidirà
delle parti fue,&prima della mondezza opile rità ,poidella ſcelta, o
eleganza. Deefl dunque dare allapurità del dire quelle ſentenze, le qualiſono
di piana intelligenza, & non hanno biſogno di piu conſideratione,come per
lo pia fono,o effer deono le narrationi delle co fe ,come qui. Leggi. DIN.
Tancredi , Principe di Salerno, fu Signore affai umano , di benigno aſpetto. AR.
Eccoti, che ſenza alcuna fatica di diſcorſo ogni mediocre in . gigno gegropuò
capire ilſentimento della ſentenzagià letta, come ancora in questi uerfi.Leggi.
DIN. Io ſon Manfredi , Nipote di Coſtanza Imperatrice. ART. Et molti eſſempi
ſono della purità nelle nouelle , la ſentenza delle quali per la maggior parte
è molto alla uolgar’intelligenzafottopo sta,pur che partitamenteſa ciaſcheduna
inſe conſiderata , percio che pua re nonſarebbono, quando adalcun fineſi
riguardaſſe, oueroaltro attendes fero per fornir'il ſentimento loro, comeſe in
questa guifa ſi diceſſe. Eſſendo Tancredi principe di Salerno Signore aſſai
umano , per che queſta ſentenza non ſarebbe terminata,o finita,douendo
attendere a quel io, che ſegue, o però più preſto oſcura ſarebbe chemonda
enetta . Non aſpetti adunque altro intendimento,chi uuoleſſer puro nella
ſentenza , las quale stando nell'anima,dee cljer con tal'artificio leuata, che
ſolaſi tirifuo riga come di dentro dimostra il concetto ,cosi di fuori fa fatto
paleſe,ſen. za alcun accidente che quella accompagni,o conſegua. Et però
daquesta formaſia bandita ogni circoſtanza di tempo diluogo, di perſona,o di mo
. do,ò d'altro auenimento.Vedi questa parte quanto, é pura nella ſentenza :
DIN. La quale percioche egli,sicomei mercatanti fanno, andava molto in
tornoapoco con lei dimoraua,s'inamoród’uno giouane chiama to Roberto. AR. Non
laſcia eſſer pura cotestaſentenza,quel trammezamento ,che dice,percioche
egli,si come i mercatanti fanno,andaua molto intorno , o questo adiuiene,perche
ſospeſoſi tiene l'animo, di chi ode . Fuggi adunque ogni raccoglimento ſe uuoi
eſſere nel tuo dir mondo, &neto; &narra le co Se partitamente come
ſtanno,ma de i raccoglimenti quãti,o quali ſieno, dirà poi.Delle parole
ueramente con le quali ſi dee uestire 'la purità breue ammaeſtramento ſi
daràperche , tutte le parole,piane,facili,ufitate, bricui, O communi
ſonoall'anima della purità molto proportionate , onde le trae portate,le
ſtraniere,le lunghe, & quelle, che la lingua pena à proferire , o
l'intelletto a capirefono dalla purità lontane ,però purisſime ſono queste.
DIN. Cheà me pareva eßer’in una bella, diletteuole ſelua ,& in quella andar
cacciando ehauer preſo una cauriola , parcami, che ella fuſſepiu che la neue
bianca,or in brieueſpatio diucniſſe si mia domeſtica , che punto da me nonſi
partiua,tutta uia à meparcua hauerla, si cara , cbe accio che da me non
partiſſe,le mi pareua nella gola hauer meſſo un cola no d'oro,e quella con una
catena d'oro tener con le mani. F 2 ARTE Non è poco hauer giudicio di ritrouar
le parole adognima niera conformii,mamolto più ſi deue auuertir' nel diſporle,
o colorirle,on de ne naſce il deſiderato aſpetto.Et però ſappi che la figura
delle parole,al la puritàſottopoſte,é il dritto,ecco. DIN. Nicolò Cornacchini
fu nostro cittadino,o ricco huomo. ARTE Et quiancora DIN. A solo adunqueuago ,
« piaceuole caſtello poſto ne gli eſtremi gioghi delle nostre Alpiſopra il
Triuigiano ecfi come ogn’uno deeſapere) Arneſe della reina di Cipri. ARTE Non
cosipuro ſarebbe ſe da gli obliqui caſi haueſſe comine ciato, Dicendo,DiAſolo
,uago &piaceuole caſtello poſſeditrice fu la Reie na di Cipri. Ma puro e
per la figura del dritto, auegna che ſecondo quella : parola puro non ſia ,doue
ſi dice Arneſe,uoce ſtraniera, ancora nello are. tificio non é puro per quello
tramezamento, che dice ( si come ogn’uno dee ſapere) o per quelle circoſtanze
del caſtello uago, piaceuole, pera che ritarda il ſentimentode gli aſcoltanti ,
oui mette le circonſtanze del luogo. DI N. Dunque erra chi uolendo cßer puro
uſa parole non pure , artificio,ò figura d'altra maniera,della oratione ? ÁR:
Errerebbe ſe egli credeſſe,otentaſſe d'eſſere in ogni parte puro , &netto,
& non uſaſſe quello che ſi conuiene,ma non erra uolendo alla pu rità del
dire porgere «grandezza o dignità.Ma ancora uoglio che ogni maniera ſia in ſe
ſteſſa conſiderata , e però lapurità del dire haurà le. parti ſue distinte,os
ſeparate dalle altre;nė ſolamente il dritto è figura, di questaforma, o
maniera,ma anche ogni altro colore, che ſia contrario als la comprenſione della
quale ſi dirà poi,ora trattiamo delſito, odellacom poſitione delle parole ,
Dico nella purità ,cs mondezza del dire douerſi met : tere le parole inſieme
con quel modo,che piu uicino ſia al fauellare, uſitae coſenza molta
cura,caffettatione ſemplicemente quantoſi può. Et si cos me in ciaſcheduna
parola di queſta forma biſognaua leuar'ogni durczza , Cogni difficultà di
lettere,o di ſillabe,accioche la uoce di ſuono e quale , temperato , « non
impedito ufciſſe fuori,cosi nella compoſitione biſos gna guardare di acconciare
talmente , che pine tosto nate , che fabricate appariſcano,come nello eſempio
già letto del ſogno ſi conoſceud. Conſided ra tu poi la forza, & lofpirito
di ciaſcuna lettera, e di ciaſcuna fillaba , come la natura in tutte ha posto
la ſuapiaceuolezza, durezza, & tifa rai queſto giudice del ſuono
delleparole, della loro diſpoſitione,ucdi che la A ſi forma nella più profonda
parte del petto ,o eſce poifuori con alta восс, uoce,riſonante ,onde lo
ſpirito di eſſa grande,oſonoroffente,odi laſe guente , ch'é ,B. LA B é
puraſnella,deſpedita ,come è afpra'la C.quando è fine della fillaba,ISA C,
órauca quando è posta inanzi la A à la V come per lo contrario e di
dolce,ſpeſſo , o pieno ſuono,precedendo alla I. @alla E.co. me qui.Salabetto
mio dolce iomi ti raccomado o cosicome la mia perſona è al piacer tuo, cosi é
ciò che ciė, o cio che per me ſi può fare al comando tuo . Conſidera poi da te
ſteſſo il restante delle lettere , in che maniera eſſa natura diſua propria
qualità ha ciaſcuna dotata , & uederai onde nde ſce più questa,chequella
compoſitione.Le parti, &le membra , della purie. rità effer deono
breui,& ciaſcuna dee terminar'ilſuo ſentimento,non ritar: dando con
lunghezza de' giri, o di raccoglimenti la intelligenza del poe polo ,come qui,
D. Suol’eſſere a' nauiganti caro,qualhora da oſcuro o fortuneuole nembofofpinti
errano,otrauagliano la lor uia,colſegnodella indiana pie tra,ritrouare la
trammontana, in modo che qual uentoſoffi conoſcendo,non Ria lor tolto il
potere, & uela,ogouerno,là doue eßi di giugner procaca ciano,ò almeno doue
più la loro ſaluezza ueggiono , indirizzare. Bifox gna parimente in
minoreſpatio raccogliere il ſentimento di ciaſcuna para te,oueſt uuole eſſer
puro, ofare in questo modo,benche le parolefieno ale quanto dure.Leggi. DIN.
Chino di Tacco piglia l'Abbatedi Clugni,a medicalo del ma le di ſtomaco, « poi
il laſcia,L'abbate ritorna , in corte di Roma,o il rico cilia con Bonifatio
Papa,o fallofriere dell'oſpedale. A R. Etnel uerſo ancora eſſer dee la predetta
norma oſſeruata,come, qui . Leggi. DIN. Pace non trouo,e non ho da farguerra ,
E temo, eſpero, & ardo, e for’un ghiaccio . Ilche non quiene in queſta
altra parte. DIN. Voi, ch'aſcoltate in rimeſparſe il ſuono . Perciò che ilſenſo
è troppo ritardato,o con lunghißime parti rattenuto. Haſi dunque della purità
quello chebiſogna d'intorno alle ſentenze, allo artificio, aile parole, alla
figura, alla compoſitione, & alle parti di cſa. Reſta,che ſi tratti del
numero, & del finimento ,cioè della chiuſa,odel ter mine della ſentenza,o
delle parti ſue.Dico adunque , che nello andare , ego nello ſpatio di queſta
forma non ſi dee eſſere néueloce,ne tardo, mateme perato, & ne i ripoſi
,one i mouimenti, operche il numero naſce dalla compoſitione,co dal
fine,peròſapendo quale eßer dee la compoſitione delelc le parole, quale
il fineztutto quello,cheſotto di queſte partiſ contiene darà ad intender
quellocheſi è detto, perche quantoſi ricerca alla com pofitione ſi é dichiarito
reſta che ſidica del finimento.ogniſentenza, ogni giro puòfinire,ò in
alcunaparola tronca,oin parola piena,ſienoque ſte parole ,ò di due,ò di tre,ò
di piu ſilabe,o ancora di una. Le parolepie ne,e compiute ò ſonoſdrucciolofe,
& uolubili,o ſalde ,oferme, opers che non ſoloRidce conſiderar l'eſtrema parola
di tutta la chiuſa, ma anco la uicina, o proſima,però partitamente ſi dirà di
ciaſcun finimento al luo go ſuo.Comeadunque uoglia la purità terminare le
chiuſeſue, aſſai chiaro ofer dee.Perciò cheaßimigliandoſi elle al dire
cotidiano,fuggirà il fine del le parole tronche, comeſono quelle
andò,corfuftarà, o C.perche le mede. fime dee nella diſpoſitione fuggire,come
ramarico, o render florido. Et A contenterà di quelfine,cheper lo più la Natura
a’uolgari dimostra,ma io non uoglio, che con tanta religioneſifiniſca in parole
piene , &perfete te ,fuggendo le tronche,ole fdruccioloſe,che alcuna uolta
nonſimetta fie nealtrimenti alſuo parlare,perche quello cheſi dice , ſi dice
per la mage gior parte de ifinimenti,e delle chiuſe della purità. Da questi
adunque odalla diſpoſitione riſorge quella miſura,che noi numero addimandiamo.
Eſſendo adunque lachiuſa ſimile alla diſpoſitione , «la diſpoſitione non
isforzeuole,matemperata,& naturale,fcguita che il numero dell'uno, o,
dell'altro figliuoloſarà , à quelle fomigliante.Ben'è uero ,che laforza di cia
fcuna manierà,e ripoſta piu toſto nelle altre parti,che nel numero, eccetto,
che nella bellezza,douc l'ornamento,e il numero grandementeſ cerca, as molto
piùè ne i uerfi, « nella poeſia ,che altroue, o questo dico , acciò che fu non
metta piu ſtudio ,doue nonbiſogna riportandoti a gli orecchi,il giu . dicio
delle quali da eſſa natura é ſommamente aiutato . Ecco adunque, è
Dinardo,quanto giouala mondezza , opurità del dire alla chiarezza ; ma perche
questa ſempliceforma non può daſefola si chiaramente parlae re che non
uiſiaqualche impedimento,però biſogna ouunque le ſia di aiua. to mestieri ,con
la eleganza aiutarla, come con maniera chepiù un modo, che un'altro,piu questo
ordineche quello ſecondo il biſogno adoprando eleg ge et fouegna alla
ſemplicepurità del dire ,ilqual'aiuto èpiù presto nell'ar . tificio, che nelle
ſentenze ripoſto. Però che ella ſi sforzafar ogni ſentenza chiara
&aperta,non che le pure già dichiarite di ſopra. Parliamo adune que della
cleganza,o prima dello artificio,colquale ella lcuar fuole ogni ſentenza nella
mente riposta. AR. La cleganza e maniera,cheportachiarezza à tutte le maniere
della oratione , operò non tanto alla purità, douc ella manca foccorre, quanto
à ciaſcaduna forma opra intelligenza, o facilità,daqueſto nafce , che la
eleganza dalla purità del dire in alcuna coſa é differente.Perciò che la purità
da ſe ſteſſa è chiara,oaperta ,ma la eleganza nella grandezza, e magnificenza
del dire ecomeun ſole , che ogni oſcurità , che per quella poteſſe uenire,
leua,o diſgombra,o però in ogniſentenza ella può molto, si con l'artificio fuo
, si co i colori,«le figure.L'artificio adunque di les uare ogniſentenza dallo
intelletto,acciò che ella ſia inteſa , cogni auuerti. mento innanzi fatto di
quello che ft ha da ragionare. Leggi. DIN. Canterò com’io uißi in libertade
Mentre Amor nel mio albergo à ſdegno s'hebbe Poiſeguirò si come à luim'increbbe
Troppo altamente: AR. ilſimigliante R fa nella proſa ,comequi. DIN. Mipiace à
condiſcendere à conſigli d'huomini, de' quai dicena do mi conuerràfar due coſe
molto a' miei costumi contrarie,l'una fia alqua to me comendare, &l'altra
il biaſimare alquanto altrui, maprioche dal uc ro nė dall'una,ne dall'altra non
intendo partirmi ilpurfarò. AR. Vedi quanto gentilmente | sbriga lo intelletto
dello aſcoltare con tali auuertimenti,Appreſſo i quali aſſai bello artificio ,
s'intende quela to,che per chiarezza dialcune coſe altre ne narra fenza le
quali non ſi in tenderebbe ageuolmente il reſtante.Leggi. DIN. Maper trattar
del ben ,ch'io ui trouai, Diró de l'altre coſe,ch'io ui ho ſcorte. A R. Se il
poeta qui non doueſſe dimostrare le pene de dannati e i tormenti di quegli,che
ſono in diſgratia di Dio , non haurebbepotuto dare ad intendere facilmente il
beneche ne riuſci poi,per hauer lo inferno cers Cato.Ecco qui dalla medeſima
neceßità costretto quest'altro deſcriue la pee ſtifera mortalità peruenuta
nella egregia Città di Firenze ,auuertendo pri ma chi legge ,in queſto modo.
DIN. Mapercioche qualefuße la cagione,perche le coſe che appref fo
Rileggeranno,aueniſſeno,non ſi poteua ſenza queſta rammemoratione dimoſtrare
,quafi dineceßità coſtretto à ſcriuerla miconduco. AR. Ecco qui ancora un'altra
bella preparatione di coſe,fatta per le uare ogni impedimento,chepoteſſe
offendereilrimanente. DIN . Ma io mi ti uoglio unpoco ſcuſare ,che di que'
tempi, che tu te n'andaſti alcuneuolte ci uoleſti uenire, e non poteſti,alcune
ci uenisti, onon fosti cosi lietamente veduto,comefoleui,& oltre à questo
di ciòche io al termine promeſſo,non ti rendei gli tuoi danari. AR. In fine
ogni precedente auifo, & ogni ordine di coſe, e ſecondo , che elte ſon
fatte,narrandole,ė artificio ſcelto , & elegante ,però tutte le propofitoni
de' poeti ſono elegantißime. Leggi. DIN. Veramente quant’io del regno fanto Ne
la mia mente poteifar teſoro Sarà ora materia del mio canto, AR. E qui ancora
DIN. Et canterò di quel ſecondo regno, Que l'umanoſpirito ſi purga E di
ſalir’alCiel diuenta degno. ART. il fimigliante modo è oſſeruato ne i principij
di ogni nouelld, come da tefteſſo uedrai.Suole ancora la Eleganza porre
artificioſamente le oppoſitioni con le riſpoſte partitamentecome qui. Leggi.
DIN. Saranno per auentura alcuni di uoi , che diranno,ch'io habbia nello
ſcriuere queste nouelle troppolicenza uſata. ART. Eccola dimanda ſeguita la
ſolutione. DIN. La qual coſa io niego,percioche niuna coſa esi difoneſta, che
con oneſte parole dicendola ſi diſdica ad alcuno. ART. Et cosi di paripaſſo
alle obiettioni riſponde, benche altre fide te inſiemepostohabbia ogni accuſa di
ſefatta, opoi s'habbiafcufato , ma quelmodo non ha dello
elegante,comeilpredetto poſe prima le oppoſitioni tutte inſieme allora quando
diſſe, Leggi. DIN. Sono adunque, diſcrete Donne, stati alcuni , che queſte
nouelle leggendo hanno detto cheuoi mipiacete troppo , eche oneſta coſa nonė,
che io tanto diletto prenda di piacerui e di confolarui.Et alcuni han dete to
peggio,di coinmendarui,come io fo.Altri più maturamente moſtrando di uoler
dire,hannodetto, che alla mia età non stà bene l'andar'omai dietro queſte coſe,
cice à ragionare di Donne,o à compiacer loro.Et molti molto te neri della
miafamamoſirandoſi dicono,ch'io farei più ſauiamente,àſtarmi con le Mufe in
Parnaſo,che con queſte ciance meſcolarmi tra uoi.Etſon di quegli ancora,che più
difpettoſamente,che ſauiamente parlando,hannodete to ,cl’io farei più
diſcrettamente à penſare,donde io poteßi hauer del pae ne, che dietro a queste
fraſche andarmi paſcendo di uento. Et certi altri,in altra guiſa eſſere state
le coſe da me raccontateui,che come io le ui porgo s'ingegnano in detrimento
della mia fatica di dimostrare. AR. In queſto luogo molte accuſe contra dello
autoreſi mettono, pri ma che ad alcunaſi riſponda, ilche non è cosi elegante
,comeilprimoartife cio ,ben che in tanta confuſione egli ſtudiaſſe di eſſer
chiaro, cinteſo, eso auiſaſje quiſaſſe auanti lo aſcoltante,come fa doue
dice,roppo alquanto dalle predet te oppoſitioni,perche non di ſubito riſponde ,
ilche ancora é dalia cleganza lontano. Ma leggi. DIN. Ma quanti, ch'io uegna à
far la riſpoſta ad alcuno,mipiace in fauore di me raccontare, non una nouella
intera ,ma parte di una. A R. Et ne poeti ancora fi oſferua,ſecondoche meglio
lor ben uiene di fare cosifatti partimenti.Vedi. DIN. Tu argomenti,ſe'lbuon
uoler dura, La uiolenza altrui,per qual cagione Di meritar mi ſcema la miſura ?
A R.Queſta éuna propoſta,alla quale ſecondo l'arte della eleganzaſ doueá prinia
riſponderemaſi è poſta ancora la ſeconda, doueſeguita. DIN. Ancor di dubitar ti
dà cagione Parer tornarſi l'anima àleſtelle Secondo la ſententia di Platone. A
R. Ben che tu ueda qui le propoſte effer'inſieme collocate, non è per ròſenza
cleganza quella parte,per quello cheſegue. DIN. Queſteſon le question,che nel
tuo uelle Pontano egualemente, e però pria Tratterò quella chepiù ba di felle.
ART. In queſto luogo non tanto la eleganza dimoſtra lo artificio fuo per lo
auuertimentofatto di quelloche ſi dee dire, quanto per la elettione di
riſpondere prima ad una domanda,che ad un'altra.Euui ancora un'altro artificio
della ſceltezza,ilqualeè quando ſi ripiglia quello,che ſi è detto, et ſi
dimostra,di che poi ſi ba da dire,come in queſti luoghiſegnati . DIN. Ma
hauereinſino à qui detto della preſente nouella, uoglio che mi basti,o à coloro
riuolgermi,a' quali ho la nouella raccontata. Ilqual luogo acciò chemeglio
quelloche è detto,equellocheſegue, co me stefje ui moſtrerò . AR. Aſaiſi èdetto
fin qui,con che arte la eleganza leuarmare ciaſcheduna delle dette maniere ,
accion che io ueda il fine della deſiderata catena dell'anima delle coſe, e del
parlare. 40 DE Ï Ï Á parlare. A R. Bendi. Dei dunque ſapere che
comenell'Anima,al. tra parte è quella che apprende la ragione,alfra quella ,
che é da gli effetti commoſſi, come dicemmo, o nellaNatura altre ſono le coſe
allo inſegnare altreal muouere appartenenti, cosi alcune formedels la
orationeſaranno, le quali conuerranno alle coſe dello intelletto ,als cune alle
coſe della uoglia , odello appetito , o quando queſto non fuſſe, né uia, nė
ragione alcunaſarebbe di poter acconciamente indurs re opinione è affettione
con la forza della fuuella . Però auuertiſci, che nel trattamento delle forme
da te ſtesſo potrai intendere qual forma à qual coſaſi confaccia. DIN.
Ricorditi difarmi ogni coſa chiara con glieſſempi, eio mi obligo di leggerli
ſecondola occaſio ne,in qualunque libro di queſti,che tu uorrai. Ma prima
deſidero ſa per alcuna coſa d'intornoal Numero , o numeroſo componimento. ART.
Laſciati à me guidare cheil tutto ſaperai ſecondo il biſogno. Sappi adunque, è
Dinardo , chequalhora alcuno ſi rivolga à conſi= derare il modo, es la ragione
del medicare , che ritrouando alcus na bella coſa nella medicina, uoglia
giudicioſamente applicarla all’are te del dire, non è dubbio, che egli non ſia
per uedere tra la medicina, o l'arte di che ſiragiona,grandiſsima ſimiglianza .
Ecco la medicina cerca di indurre ſanità, oue ella non ė, ò di conſeruarla doue
ella fi truoua.Ilſimile fa queſt'arte ,d'intorno alla buonaopinione , perche
conogni ſtudio s'affitica di metterla ,ò di mantenerla oue ſia biſogno. La
medicina conoſce qual parte del corpo con qualrimedio eſſer debs bia riſanata,
o preferuata,cosi queſt'arte opracon l'anima, e con le partiſue con le formedel
parlare.La medicina quantopiù può fugge la noia chepotrebbe alcuno medicamento
recar'atl'infermo,con mele ò con zucchero, ò con altra coperta mitigando il
peßimoſapore , ego l'odore delle medicine , ne da queſta gentilezza ſi parte la
mia figlis uola, cercandodinon offendere quelſentimento,che prende iſuoi ris
medij ,il qualſentimento é negli orrecchi ripoſto ,per le qualiſotto la ſoauità
delſuono fa trapaſſar’inſino all'anima la opinione , quantun que ſia di coſa
dalla Natura aborrita . Etfinalmente la medicina nelle ſue compoſitioni alcune
coſe ui mette , non tanto gioueuoli alle parti offeſe, quanto preſte apportatrici
delle uirtù dell'altre coſe al luogo infermo, il chequãtoſi conuenga
all'artificiofa fauella,non ti posſo in poca hora dichiarare , perche troppo
grande é la forza delſuo nus meroſo componimento ; il quale portando ſeco
ageuolißimamente il ualor delle parole, o delle ſentenze,paſa,e penetra per
ogni parte dell'anima,deſ leroſa di queſta foauicà, e benche gli orecchi del
uolgo neſentano aſſai, non è però da dimandare alcuno Idiota,onde ella proceda,
ò come ſi faccia, perche queſto giudicio è più proprio dell'intelletto , che
delſentimento umano. Giudicando adunque, o conſiderando lo intendente huomo
quale ſia la cagione, che le parole più ad un modo , che ad un'altro diſposte
fieno diletteuolio numeroſe, ritrüoua iltutto eſſere alla Natura, quanto alſuo principio
, conueniente, ma quanto alla perfettione non cosi ; però che io ne ho
grandißima parte.Et perche tuſappia quello che la Nde tura, a quello che io ti
poßiamo prestare,dico ,che la Natura ha posto alls cor nelle orecchie ilſuo piacere
& diletto, vuole chequelle affaticate fi folleuino con la ſoauità , a
dolcezza del dire ; al che fare niuna coſa è più potente nel uostro ragionare ,
che'l numero, ola fosnità delle parole. Il qual numero biſogna, che di ſua
uoglia uegna nella oratione, si perchefa oratione, e non muſica,si perfuggir la
fofpitione dello artificio, la quae le con luſingheuole inganno pare, che
uoglia abbagliar l’animo de gli aſcol tanti, operò leua loro ogni perſuaſione,
o fede . Ma quando con ine certo , & non conoſciuto numero,dolce però , e
foaue,ſi compone il parld . -mento, oſi lega inſieme il faſcio della ſentenza,
& dell’intendimento, fena za dubbio il tutto con credenza, o diletto ſi
riceue . Fuggafi dunque il ucrſo, « ogni regola continouata del uerſo ;
continouata dico , peroche lo ſteſſo numero più volte replicato facilmente
ſiriconoſce, o fache gli os recchi aſpettanti l'ordinato, « conſueto ritorno ,
più alſuono,che alſentia mentoſi diano,coſa aſſai chiara, oatteſa ne i uerſi,il
numero de' quali ufae to ,e conoſciuto,più dall'arte ,che dalla Natura
procedente. Ma percheſenza legge di numero alcuno, o ſciolta del tutto non dee
restare l'oratione , che oſcura, cu piaccuole ne rimarrebbe,però numeroſa o
compoſta ella fi dis fidera grandemente. Ora da che naſca, o per qual cagione
diuerſamente offer conuenga numeroſa l'oratione, quanto à me s'appartiene dirò
bries uemente,dichiarando prima,che coſa ſia NVMERO, ò numeroſo come ponimento.
DIN. Queſto ordine à meſommamente diletta,però di cuore ti prie go,che più
diſtintamente che puoi,me lo dimostri. A R. La neceßità uuole, che le parole
ſieno pari alla ſentenza ,perche à queſto fine ſi ragiona,comeſi è
detto,accioche quanto habbiamo di dene troſi dimoſtri di fuori,doue mancando o
accreſcendo parole, o il concetto interno non ſarebbeeſpreſſo, come nella mente
dimora , ò il parlar ſarebbe ociofo ,ò mancheuole.Maperche la ſentenza
nell'anima è finita Otermina ta ,però debbon’eſſerfinite,os terminate in
quantità le parole, che la sentenza dimostrano. Laqual quantità inſieme
ragunata, Giro , o circuito nos mineremo ilquale altro non ſarà,chepieno
operfetto abbracciamento del la ſentenza. Questo abbracciamento di pari
accompagnando la uirtù di ef la ſentenza,puòhauere una ò piu parti, o maggiori,
o minori , ſecondo le parti della ſentenza;@ ciaſcuna parte é composta di
parole, oſi chiama Membro, ó Nodo; osi come ogni parte del corpo ha il ſuo
principio, il ſuofine, e il ſuo mezo, o il corpomedeſimo e terminato, &
finitocosi , le parti dello abbracciamento, welfo abbracciamento ſarà finito,
otermina to . In tutto queſto ſpatio adunque,che è tra il principio,il fine di
ciaſcu na parte, e tra il cominciamento, es la chiuſa,che s'è detto
chiamarſigia ro,ė forza,che la lingua alcuna uolta s'adagi,o ſi ripoſi ſecondo
il biſoa gno,oſi muoua più ueloce ,ò piu tarda ſecondo laqualità del concetto .
Et questo ripoſo , oqueſto mouimento ,miſurato col tempo del proferire, para
toriſce ilnumero , del qual ragioniamo,uero figliuolo della compoſitione, o de
i termini del parlare, omoltopiu nel fine,chenel cominciamento e più apparente
ne gli eſtremi chenel mezo.Etperche di eſſo Numero gli orecchi fanno giudicio
in quanto al ſentimento del piacere, o del diſpiaa cere,per eſſer naturale à
ciaſcuno la dilettatione de' ſenſi, ol'intellettofos lo come ti dißi,ne cerca
la cagione però , hauendoſifin'ora in parte dimoſtra to quello
cheall'intelletto s'appartiene,in parte dico,perciò che l'intelletto in questo
caſo molto alle orecchie deferiſce , odiuerſe maniere hanno dia uerfo
numero.Però cominciando a trattare delle forme del dire daremo a ciaſcheduno il
ſuo numeroſo componimento,o con effempi ancora ritroue remo quello che con
ragioneſfarà dimostrato. DIN. Molto bene auif di farmicapace di questa
magnifica oillus ſtre compoſitione ; però ſegui,che con maggior deſiderio,
cheprima ,fono apparecchiato di aſcoltarti,perche mi pare ,che ora tu facci di
me pruoua marauiglioſa . AR: La primaformae nominata Chiarezza,laqual naſce da
purità, og da eleganza,come s'è detto. Pero eſſendo ella quaſi un tutto , acciò
che meglio ſi manifeſti,ſidirà delle parti fue,&prima della mondezza opile
rità ,poidella ſcelta, o eleganza. Deefl dunque dare allapurità del dire quelle
ſentenze, le qualiſono di piana intelligenza, & non hanno biſogno di piu
conſideratione,come per lo pia fono,o effer deono le narrationi delle co fe
,come qui. Leggi. DIN. Tancredi , Principe di Salerno , fu Signore affai umano
, di benigno aſpetto. A R. Eccoti, che ſenza alcuna fatica di diſcorſo ogni
mediocre in . gigno gegropuò capire ilſentimento della ſentenzagià letta, come
ancora in questi uerfi.Leggi. DIN. Io ſon Manfredi , Nipote di Coſtanza
Imperatrice. ART. Et molti eſſempi ſono della purità nelle nouelle , la
ſentenza delle quali per la maggior parte è molto alla
uolgar’intelligenzafottopo sta,pur che partitamenteſa ciaſcheduna inſe
conſiderata , percio che pua re nonſarebbono, quando adalcun fineſi
riguardaſſe, oueroaltro attendes fero per fornir'il ſentimento loro, comeſe in
questa guifa ſi diceſſe. Eſſendo Tancredi principe di Salerno Signore aſſai
umano , per che queſta ſentenza non ſarebbe terminata,o finita,douendo
attendere a quel io, che ſegue, o però più preſto oſcura ſarebbe chemonda
enetta . Non aſpetti adunque altro intendimento,chi uuoleſſer puro nella
ſentenza , las quale stando nell'anima,dee cljer con tal'artificio leuata, che
ſolaſi tirifuo riga come di dentro dimostra il concetto ,cosi di fuori fa fatto
paleſe,ſen. za alcun accidente che quella accompagni,o conſegua. Et però
daquesta formaſia bandita ogni circoſtanza di tempo diluogo, di perſona,o di mo
. do,ò d'altro auenimento.Vedi questa parte quanto, é pura nella ſentenza :
DIN. La quale percioche egli,sicomei mercatanti fanno, andava molto in
tornoapoco con lei dimoraua,s'inamoród’uno giouane chiama to Roberto. AR. Non
laſcia eſſer pura cotestaſentenza,quel trammezamento ,che dice,percioche
egli,si come i mercatanti fanno,andaua molto intorno , o questo adiuiene,perche
ſospeſoſi tiene l'animo, di chi ode . Fuggi adunque ogni raccoglimento ſe uuoi
eſſere nel tuo dir mondo, &neto; &narra le co Se partitamente come
ſtanno,ma de i raccoglimenti quãti,o quali ſieno, dirà poi.Delle parole
ueramente con le quali ſi dee uestire 'la purità breue ammaeſtramento ſi
daràperche , tutte le parole,piane,facili,ufitate, bricui, O communi
ſonoall'anima della purità molto proportionate , onde le trae portate,le
ſtraniere,le lunghe, & quelle, che la lingua pena à proferire , o
l'intelletto a capirefono dalla purità lontane ,però purisſime ſono queste.
DIN. Cheà me pareuaeßer’in una bella, diletteuole ſelua ,& in quella andar
cacciando ehauer preſo una cauriola , parcami, che ella fuſſepiu che la neue
bianca,or in brieueſpatio diucniſſe si mia domeſtica , che punto da me nonſi
partiua,tutta uia à meparcua hauerla, si cara , cbe accio che da me non
partiſſe,le mi pareua nella gola hauer meſſo un cola no d'oro,e quella con una
catena d'oro tener con le mani. F 2 AR ARTE Non è poco hauer giudicio di
ritrouar le parole adognima niera conformii,mamolto più ſi deue auuertir' nel
diſporle, o colorirle,on de ne naſce il deſiderato aſpetto.Et però ſappi che la
figura delle parole,al la puritàſottopoſte,é il dritto,ecco. DIN. Nicolò
Cornacchini fu nostro cittadino,o ricco huomo. ARTE Et quiancora DIN. Aſolo
adunqueuago , « piaceuole caſtello poſto ne gli eſtremi gioghi delle nostre
Alpiſopra il Triuigiano ecfi come ogn’uno deeſapere) Arneſe della reina di
Cipri. ARTE Non cosipuro ſarebbe ſe da gli obliqui caſi haueſſe comine ciato,
Dicendo,DiAſolo ,uago &piaceuole caſtello poſſeditrice fu la Reie na di
Cipri . Ma puro e per la figura del dritto, auegna che ſecondo quella : parola
puro non ſia, doue ſi dice Arneſe,uoce straniera, ancora nello are. tificio non
é puro per quello tramezamento, che dice ( si come ogn’uno dee ſapere) o per
quelle circoſtanze del caſtello uago, piaceuole, pera che ritarda il
ſentimentode gli aſcoltanti , oui mette le circonſtanze del luogo. DI N. Dunque
erra chi uolendo cßer puro uſa parole non pure , artificio,ò figura d'altra
maniera,della oratione ? ÁR: Errerebbe ſe egli credeſſe,otentaſſe d'eſſere in
ogni parte puro , &netto, & non uſaſſe quello che ſi conuiene,ma non
erra uolendo alla pu rità del dire porgere «grandezza o dignità.Ma ancora
uoglio che ogni maniera ſia in ſe ſteſſa conſiderata , e però lapurità del dire
haurà le. parti ſue distinte,os ſeparate dalle altre;nė ſolamente il dritto è
figura, di questaforma, o maniera,ma anche ogni altro colore, che ſia contrario
als la comprenſione della quale ſi dirà poi,ora trattiamo delſito, odellacom
poſitione delle parole , Dico nella purità ,cs mondezza del dire douerſi met :
tere le parole inſieme con quel modo,che piu uicino ſia al fauellare, uſitae
coſenza molta cura,caffettatione ſemplicemente quantoſi può. Et si cos me in
ciaſcheduna parola di queſta forma biſognaua leuar'ogni durczza , Cogni difficultà
di lettere,o di ſillabe,accioche la uoce di ſuono e quale , temperato , « non
impedito ufciſſe fuori,cosi nella compoſitione biſos gna guardare di acconciare
talmente , che pine tosto nate , che fabricate appariſcano,come nello eſempio
già letto del ſogno ſi conoſceud. Conſided ra tu poi la forza, & lofpirito
di ciaſcuna lettera, e di ciaſcuna fillaba , come la natura in tutte ha posto
la ſuapiaceuolezza, durezza, & tifa rai queſto giudice del ſuono
delleparole, della loro diſpoſitione,ucdi che la A ſi forma nella più profonda
parte del petto ,o eſce poifuori con alta voce,riſonante ,onde lo ſpirito di
essa grande,oſonoroffente,odi laſe guente , ch'é ,B. LA B é
puraſnella,deſpedita ,come è afpra'la C.quando è fine della fillaba,ISA C,
órauca quando è posta inanzi la A à la V come per lo contrario e di
dolce,ſpeſſo , o pieno ſuono,precedendo alla I. @alla E.co. me qui.Salabetto
mio dolce iomi ti raccomado o cosicome la mia perſona è al piacer tuo, cosi é
ciò che ciė, o cio che per me ſi può fare al comando tuo . Conſidera poi da te
ſteſſo il restante delle lettere , in che maniera eſſa natura diſua propria
qualità ha ciaſcuna dotata , & uederai onde nde ſce più questa,chequella
compoſitione.Le parti, &le membra , della purie. rità effer deono
breui,& ciaſcuna dee terminar'ilſuo ſentimento,non ritar: dando con
lunghezza de' giri, o di raccoglimenti la intelligenza del poe polo ,come qui,
D. Suol’eſſere a' nauiganti caro,qualhora da oſcuro o fortuneuole nembofofpinti
errano,otrauagliano la lor uia,colſegnodella indiana pie tra,ritrouare la
trammontana, in modo che qual uentoſoffi conoſcendo,non Ria lor tolto il
potere, & uela,ogouerno,là doue eßi di giugner procaca ciano,ò almeno doue
più la loro ſaluezza ueggiono , indirizzare. Bifox gna parimente in minoreſpatio
raccogliere il ſentimento di ciaſcuna para te,oueſt uuole eſſer puro, ofare in
questo modo,benche le parolefieno ale quanto dure.Leggi. DIN. Chino di Tacco
piglia l'Abbatedi Clugni,a medicalo del ma le di ſtomaco, « poi il
laſcia,L'abbate ritorna , in corte di Roma,o il rico cilia con Bonifatio Papa,o
fallofriere dell'oſpedale. A R. Etnel uerſo ancora eſſer dee la predetta norma
oſſeruata,come, qui . Leggi. DIN. Pace non trouo,e non ho da farguerra , E
temo, eſpero, & ardo, e for’un ghiaccio . Ilche non quiene in queſta altra
parte. DIN. Voi, ch'aſcoltate in rimeſparſe il ſuono . Perciò che ilſenſo è
troppo ritardato,o con lunghißime parti rattenuto. Haſi dunque della purità
quello chebiſogna d'intorno alle ſentenze, allo artificio, aile parole, alla
figura, alla compoſitione, & alle parti di cſa. Reſta,che ſi tratti del
numero, & del finimento ,cioè della chiuſa,odel ter mine della ſentenza,o
delle parti ſue.Dico adunque , che nello andare , ego nello ſpatio di queſta
forma non ſi dee eſſere néueloce,ne tardo, mateme perato, & ne i ripoſi
,one i mouimenti, operche il numero naſce dalla compoſitione,co dal
fine,peròſapendo quale eßer dee la compoſitione delelc le parole, quale il
fineztutto quello,cheſotto di queſte partiſ contiene darà ad intender quellocheſi
è detto, perche quantoſi ricerca alla com pofitione ſi é dichiarito reſta che
ſidica del finimento.ogniſentenza, ogni giro puòfinire,ò in alcunaparola
tronca,oin parola piena,ſienoque ſte parole ,ò di due,ò di tre,ò di piu
ſilabe,o ancora di una. Le parolepie ne,e compiute ò ſonoſdrucciolofe, &
uolubili,o ſalde ,oferme, opers che non ſoloRidce conſiderar l'eſtrema parola
di tutta la chiuſa, ma anco la uicina, o proſima,però partitamente ſi dirà di
ciaſcun finimento al luo go ſuo.Comeadunque uoglia la purità terminare le
chiuſeſue, aſſai chiaro ofer dee.Perciò cheaßimigliandoſi elle al dire
cotidiano,fuggirà il fine del le parole tronche, comeſono quelle
andò,corfuftarà,o C.perche le mede. fime dee nella diſpoſitione fuggire,come
ramarico, o render florido. Et A contenterà di quelfine,cheper lo più la Natura
a’uolgari dimostra,ma io non uoglio, che con tanta religioneſifiniſca in parole
piene , &perfete te ,fuggendo le tronche,ole fdruccioloſe,che alcuna uolta
nonſimetta fie nealtrimenti alſuo parlare,perche quello cheſi dice , ſi dice
per la mage gior parte de ifinimenti,e delle chiuſe della purità. Da questi
adunque odalla diſpoſitione riſorge quella miſura,che noi numero addimandiamo.
Eſſendo adunque lachiuſa ſimile alla diſpoſitione , «la diſpoſitione non
isforzeuole,matemperata,& naturale,fcguita che il numero dell'uno, o,
dell'altro figliuoloſarà , à quelle fomigliante. Ben'è vero ,che laforza di cia
fcuna manierà,e ripoſta piu toſto nelle altre parti,che nel numero, eccetto,
che nella bellezza,douc l'ornamento,e il numero grandementeſ cerca, as molto
piùè ne i uerfi, nella poeſia ,che altroue, o questo dico , acciò che fu non
metta piu ſtudio ,doue nonbiſogna riportandoti a gli orecchi,il giu . dicio
delle quali da eſſa natura é ſommamente aiutato . Ecco adunque, è
Dinardo,quanto giouala mondezza , opurità del dire alla chiarezza ; ma perche
questa ſempliceforma non può daſefola si chiaramente parlae re che non
uiſiaqualche impedimento,però biſogna ouunque le ſia di aiua. to mestieri ,con
la eleganza aiutarla, come con maniera chepiù un modo, che un'altro,piu questo
ordineche quello ſecondo il biſogno adoprando eleg ge et fouegna alla
ſemplicepurità del dire ,ilqual'aiuto èpiù presto nell'ar . tificio, che nelle
ſentenze ripoſto. Però che ella ſi sforzafar ogni ſentenza chiara
&aperta,non che le pure già dichiarite di ſopra. Parliamo adune que della
cleganza,o prima dello artificio,colquale ella lcuar fuole ogni ſentenza nella
mente riposta. AR. La cleganza e maniera,cheportachiarezza à tutte le maniere
della oratione , operò non tanto alla purità, douc ella manca foccorre, quanto
à ciaſcaduna forma opra intelligenza, o facilità,daqueſto nafce , che la
eleganza dalla purità del dire in alcuna coſa é differente.Perciò che la purità
da ſe ſteſſa è chiara,oaperta ,ma la eleganza nella grandezza, e magnificenza
del dire ecomeun ſole , che ogni oſcurità , che per quella poteſſe uenire,
leua,o diſgombra,o però in ogniſentenza ella può molto, si con l'artificio fuo
, si co i colori,«le figure.L'artificio adunque di les uare ogniſentenza dallo
intelletto,acciò che ella ſia inteſa , cogni auuerti. mento innanzi fatto di
quello che ft ha da ragionare. Leggi. DIN. Canterò com’io uißi in libertade
Mentre Amor nel mio albergo à ſdegno s'hebbe Poi seguirò si come à
luim'increbbe Troppo altamente: AR. ilſimigliante R fa nella proſa ,comequi. DIN.
Mipiace à condiſcendere à conſigli d'huomini, de' quai dicena do mi conuerràfar
due coſe molto a' miei costumi contrarie,l'una fia alqua to me comendare,
&l'altra il biaſimare alquanto altrui, maprioche dal uc ro nė dall'una,ne
dall'altra non intendo partirmi ilpurfarò. AR. Vedi quanto gentilmente | sbriga
lo intelletto dello aſcoltare con tali auuertimenti,Appreſſo i quali aſſai
bello artificio , s'intende quela to,che per chiarezza dialcune coſe altre ne
narra fenza le quali non ſi in tenderebbe ageuolmente il reſtante.Leggi. DIN.
Maper trattar del ben ,ch'io ui trouai, Diró de l'altre coſe,ch'io ui ho
ſcorte. AR. Se il poeta qui non doueſſe dimostrare le pene de dannati e i
tormenti di quegli,che ſono in diſgratia di Dio , non haurebbepotuto dare ad
intendere facilmente il beneche ne riuſci poi,per hauer lo inferno cers
Cato.Ecco qui dalla medeſima neceßità costretto quest'altro deſcriue la pee
ſtifera mortalità peruenuta nella egregia Città di Firenze ,auuertendo pri ma
chi legge ,in queſto modo. DIN. Mapercioche qualefuße la cagione,perche le coſe
che appref fo Rileggeranno,aueniſſeno,non ſi poteua ſenza queſta rammemoratione
dimoſtrare ,quafi dineceßità coſtretto à ſcriuerla miconduco. A R. Ecco qui
ancora un'altra bella preparatione di coſe,fatta per le uare ogni
impedimento,chepoteſſe offendereilrimanente. DIN . Ma io mi ti uoglio unpoco
ſcuſare ,che di que' tempi, che tu te n'andaſti alcuneuolte ci uoleſti uenire,
e non poteſti,alcune ci uenisti, onon fosti cosi lietamente
veduto,comefoleui,& oltre à questo di ciòche io al termine promeſſo,non ti
rendei gli tuoi danari, AR. AR. In fine ogni precedente auifo, & ogni
ordine di coſe, e ſecondo , che elte ſon fatte,narrandole,ė artificio ſcelto ,
& elegante ,però tutte le propofitoni de' poeti ſono elegantißime. Leggi.
DIN. Veramente quant’io del regno fanto Ne la mia mente poteifar teſoro Sarà
ora materia del mio canto, AR. E qui ancora DIN. Et canterò di quel ſecondo
regno, Que l'umanoſpirito ſi purga E di ſalir’alCiel diuenta degno. ART. il
fimigliante modo è oſſeruato ne i principij di ogni nouelld, come da tefteſſo
uedrai.Suole ancora la Eleganza porre artificioſamente le oppoſitioni con le
riſpoſte partitamentecome qui. Leggi. DIN. Saranno per auentura alcuni di uoi ,
che diranno,ch'io habbia nello ſcriuere queste nouelle troppolicenza uſata.
ART. Eccola dimanda ſeguita la ſolutione. DIN. La qual coſa io niego,percioche
niuna coſa esi difoneſta, che con oneſte parole dicendola ſi diſdica ad alcuno.
ART. Et cosi di paripaſſo alle obiettioni riſponde, benche altre fide te
inſiemepostohabbia ogni accuſa di ſefatta, opoi s'habbiafcufato , ma quelmodo
non ha dello elegante,comeilpredetto poſe prima le oppoſitioni tutte inſieme allora
quando diſſe, Leggi. DIN. Sono adunque, diſcrete Donne, stati alcuni , che
queſte nouelle leggendo hanno detto cheuoi mipiacete troppo , eche oneſta coſa
nonė, che io tanto diletto prenda di piacerui e di confolarui.Et alcuni han
dete to peggio,di coinmendarui,come io fo.Altri più maturamente moſtrando di
uoler dire,hannodetto, che alla mia età non stà bene l'andar'omai dietro queſte
coſe, cice à ragionare di Donne,o à compiacer loro.Et molti molto te neri della
miafamamoſirandoſi dicono,ch'io farei più ſauiamente,àſtarmi con le Mufe in
Parnaſo,che con queſte ciance meſcolarmi tra uoi.Etſon di quegli ancora,che più
difpettoſamente,che ſauiamente parlando,hannodete to ,cl’io farei più
diſcrettamente à penſare,donde io poteßi hauer del pae ne, che dietro a queste
fraſche andarmi paſcendo di uento. Et certi altri,in altra guiſa eſſere state
le coſe da me raccontateui,che come io le ui porgo s'ingegnano in detrimento
della mia fatica di dimostrare. AR. In queſto luogo molte accuſe contra dello
autoreſi mettono, pri ma che ad alcunaſi riſponda, ilche non è cosi elegante
,comeilprimoartife cio ,ben che in tanta confuſione egli ſtudiaſſe di eſſer
chiaro, cinteſo, eso auiſaſje quiſaſſe auanti lo aſcoltante,come fa doue
dice,roppo alquanto dalle predet te oppoſitioni,perche non di ſubito riſponde ,
ilche ancora é dalia cleganza lontano. Ma leggi. DIN. Ma quanti, ch'io uegna à
far la riſpoſta ad alcuno,mipiace in fauore di me raccontare, non una nouella
intera ,ma parte di una. A R. Et ne poeti ancora fi oſferua,ſecondoche meglio
lor ben uiene di fare cosifatti partimenti.Vedi. DIN. Tu argomenti,ſe'lbuon
uoler dura, La uiolenza altrui,per qual cagione Di meritar mi ſcema la miſura ?
AR. Queſta éuna propoſta,alla quale ſecondo l'arte della eleganzaſ doueá prinia
riſponderemaſi è poſta ancora la ſeconda, doueſeguita. DIN. Ancor di dubitar ti
dà cagione Parer tornarſi l'anima àleſtelle Secondo la ſententia di Platone. A
R. Ben che tu ueda qui le propoſte effer'inſieme collocate, non è per ròſenza
cleganza quella parte,per quello cheſegue. DIN. Queſteſon le question,che nel
tuo uelle Pontano egualemente, e però pria Tratterò quella chepiù ba di felle.
ART. In queſto luogo non tanto la eleganza dimoſtra lo artificio fuo per lo
auuertimentofatto di quelloche ſi dee dire, quanto per la elettione di
riſpondere prima ad una domanda,che ad un'altra.Euui ancora un'altro artificio
della ſceltezza,ilqualeè quando ſi ripiglia quello,che ſi è detto, et ſi
dimostra,di che poi ſi ba da dire,come in queſti luoghiſegnati . DIN. Ma hauereinſino
à qui detto della preſente nouella, uoglio che mi basti,o à coloro
riuolgermi,a' quali ho la nouella raccontata. Ilqual luogo acciò chemeglio
quelloche è detto,equellocheſegue, co me stefje ui moſtrerò . AR. Aſaiſi èdetto
fin qui,con che arte la eleganza leuadato per ſostegno la grandezza o
magnificenza del dire,cosi nella grandezza è pericolo di uſcire in forma che
non habbis ornamento, proportione,o peròſe le darà per miſura, o bellezzafua
unaforma diligente,accurata,o ben composta, laquale in termini conuc. nienti
richiudendo l'ampiezza della oratione,o ſangue, o colore amabi le en gratioſo
le donerà,ondeil tutto miſurato, & temperato marauigliofan mente ſipotrà
uedere.Questa forma nėſentenze, ne artificio ſeparato dal l'altreforme ritiene
,ma ogniſuaforza nelle parole ,nelſito di oſſe, ne i luo mi,onelle altre parti
e ripoſta.Seperò dare non le uogliamo quellefenten ze, che acuti fono,o
diſottile intendimentodelle qualiſi dirà poi . Le paro le adunque di
queſtaforma ſono le foaui,leggiadre,bricui , difacile intelli .
genza,iſchiette,o con gran circoſpettione traportate. Perciò che le trasla
tioni in queſtaforma eſſer deono rarißime, o lefigure di questa miſurata Oben
compoſta manieraſono le repetitioni. Leggi, Per meſ ua ne la Città dolente, Per
me ſi ua ne l'eterno dolore , Per mefi ua tra la perduta gente. AR. E molto
bella eornata queſta figura, os tanto più ha di ornde mento,quantoquello che ſi
replica,augumenta,o creſce. Come qui. Amor, che à cor gentil ratto s'apprende,
Preſe costui de la bella perſona Che mifu tolta,e'l modo ancor m'offende. Amor
che a nullo amato amarperdona , Mipreſe del coſtui piacer si forte Che, come
uedi ancornon m'abbandona. amor conduſſe noi ad una morte . A R. Se alla
repetitione aggiugnerai la interrogatione, ſenza dubbio tu entrerai nella
maniera forte ucemente comequi. Qual'amore,qual ricchezza,qualparentado
baurebbe le lagrime, o i K sospiri pospiri di Tito con tanta efficaciafatti à
Gilppo nelcuorfentire , che egli perciò la bellaſpoſa ,gentile,&amata da
lui haueße fatta diuenir di Tito, fe non coſtei ? Quai leggi.Quaimi nacce ?oc.
AR. Tu da te stesſo poi quanto ornata ſa ducemente queſta parte conſiderando
uedrai; tanto più ſeappreſo le dettefigure ancora ui porrai la conuerſione
della quale di ſopra s'è detto.Nėti marauigliarefe( una me defimafiguraſia da
altrefigure ornata willustrata.Pero che la lingua di queſtiornamenti é
capacißima. Laſcia che à fuo modo altri ragioni, tu neſarai giudice,ola coſa
iſteſſa te lo dimostra. La conversione adunque è figura di queſta idea , a
Rſuol fare quando in quella ſteſſa parola pià membri ſ laſciano terminare,come
nello eſempio ora letto. Bella è ancora la ritornatacheſi fa quando la parola
cheſegue, comincia da quella in che la precedente finiſce,come qui. Leggi, Di
me medeſmo meco miuergogno. Et qui , Et confoauepaſſo a campi difcefa,per
l'ampia pianura sùper le rua giadoſe erbe in fine à tanto che, & c. AR. O
uero in questo modo. Infiammò contramegli animi tutti , Egli infiammati
infiammar si Auguſto , che lieti onor tornaro in tristi lutti. AR. Et ancora il
Bifquizzo come nell'uno Poeta ſi dicra Ch'io fuiper ritornar più uolte uolto,
Et l'altro. Il fiorir queſte innanzi tempo tempio. Da poi la predetta ui ſono
anco altre ornatisſimefigure , come è illoro aſcendimento,ala tradottione o
altre. Lo ascendimento R fa quando le parti che ſeguono,cominciano dalle parole
medeſime,nelle quali uan tere minando le parti precedenti,con questa conditione
che ſi mutino, le cadenze di esse parole. Come qui, Nel dir l'andar ,ne l'andar
lui più lento. AR. Ouero in queſt'altromodo. Luſca, io non poſſo credereche
queſte parole uengano dalla mia donnd, eperciò guarda quello che tu di.Et ſe
pure da lei ueniſfono,non credo che con l'animo fermo dire le tifaccia.Etſe
pure con l'animo le diceſſe, il mio Rignore mi fa più onorecheio non merito: A
R. La tradottione ė figura,che replicando la steſſa parola,nonfolde mente
dimoſtra la intentione di chi parla ,ma mirabil'ornamento accreſce oue ella
ſtruoud.come qui, Laurd, che'l uerde lauro,e l'aureo crine. AR. Molto diligente
as accurata figura e quella cheſifa quädo due, • più partifraſecongiunteſi
ſogliono proferire.Leggi, Et utile conſiglio potrannopigliare, & conoſcere
quello che fa dáfug gire,o che ſia fimilmente da ſeguitare. AR. Et qui, A cui grandi
ey rade ,o à cui minute pelje. AR. Forza ė,che onunque in una bella,&
adornata figura s'abbatta un bel giuditio, egli conoſca es ſenta dentro
difealcuna dolcezza; com meſe uno udirà in questo modo ragionare. Riſpoſemi non
huomo,huomo giàfui, E li parentimiei furon Lombardi, Mantovani per
patriambedui, Nacqui ſub Iulio ancor che foſſe tardi, E uißi à Romaſotto il
buon ’Auguſto, Al tempo de gli dei falſie bugiardi Poetafui,e cantaidi quel
giusto Figliuol d'Anchife,che uenne da Troia, Poi che'lſuperbo Ilion fu
combuſto . AR. Non ſentirai tu per queſta diſgiuntione,per la quale ogni parte
ſotto ilſuo uerbo è rinchiuſa ,una diligenza gentile del Pocta :si comelà ,do
we dice , Io ſon Beatrice,che ti faccio andare , Vegno dal loco, oue tornar
diſſo, Amor mi molle,che mifa parlare. Et molto piùſe nella proſa detto
ritrouaſi A que' tempi che i noſtri maggiorihaueano l'occhio al gouerno di que
ſta Republica,eta riconoſciuta la uirtù de'buoni , dauanſ i compenſi dei danni
riceuuti per la patria,chi robaua il publico,era castigato; fioriua dia na
giouentù dedita alla mercantia , oucro alle lettere , laſciauaſi il facerdos :
tio, la militia da' noſtri queſta,per che i cittadini non pigliaſſero l'arme
contrafe ſtoßi,quello,acciochefuſſero più finceri i parenti afar giudicio delle
coſe importanti. ART. Vedi,che narrando partitamente, oſenza congiugnimene to
alcuno , il parlareè ſpedito , la figura ornata , odiletteuole ſopramo do il
ſuono di eßa oratione. Al cui ornamento il traportar delle parti di oßa gioua
mirabilmente , come quando ſi dice , Al costei foco ,alcolei grido. K 2 Giouin Giouinettopoß'io
nel coſtui regno. Et qui. Vſate le colei bellezze. In queſto caſo nonf dee di
tanto leuar dall'ordine loro le parole, che la ſentenza oſcura deuenti,come
diſſe, Che i belli,onde miſtruggo,occhi mi co la , di che èquaſ piena quella
canzone. Verdi panni,ſanguigni,oſcuri,operſ . Bello alquanto èquel
tranſportamento chedice. Or non odio per lei, per mepietade Cerco, che quel non
uo,questo non poſſo. Concedeſ però a ' Poetimaggior licenza per riſpetto della
neceßità del uerfo,nel quale ancora più ampio luogo fanno gli ornamenti che
nella profa.pure non èche del bello nonhabbiano aſſai quelle figure, che per le
negationi affermano,come s'egliſi diceffe, io nol niego, cioè io il confefe
fo.Et quella ,non è alcuno,che nol creda,cioè ogn’uno il crede.Poi non taca
que,cioè parlò, e diſſe. Suole ancora chi fcriue amaggior bellezza
circoſcriuendo le coſe, con più parole,quello che conuna può eſprimere come
qui, Era giàl'hora,che uolge il deſio, A'nauiganti,e inteneriſceil core, Il
di,che han detto à i dolci amici,A Dio, AR. Et cosiA chiama il Sole Pianeta,che
distingué l'hore, e diceft. laprudenza di Mario,la fapienzadi Catonein luogo di
dire Mario prila dente , o Catone faggio ,&éappreßo bella figurala
innouatione i com me qui , Parte preſ in battaglia,e parte ucciſt. Et quia
Taciti ſolieſenza compagnia, N'andauan l'un dinanzi e l'altro dopo. AR. Ecco
come la bellezza ogni formaabbelifce ,ne per tanto auenga che ella moltefigure,
molti lumidimoſtre,di quelle ſolamenteſt contene ta,ma ſtudioſa del diletto
sforza di ragionare uariamente. Là onde per fuggir la fatietà con mirabile
artificio è uſata di uariare la oratione . Et questo ſuolfare primieramente
doppo molte uoci di piene «ſonore lettere ponendonealcune dibaſſe U
rimeſſe.Dapoifuggendo la continuatagiacia tura de gli accentiſopra una
medeſimafillaba ,ora nelle ultime,ora in quet le,che uanno innanzi adeffe
gliſopramette,o di più in mezo delle lunghe le corte parole framettendo gratia &adornamento
le giunge . Bella coſa ė si come tra cittadini vedere gli ſtranieri, cosi tra
le nostre parole alcuna adirai che alicna fa,o meſcolare le ifquifite con
alcuna detle popolari, le BMOWE huone con le uſate, finalmente la elettiöne in
queſta parte può aſai, la quale ritrouandofi in ſaldo w ſottilgiudicio ,
dimoſtra in un'eſſere tutto quello che col conſiglio di molti eletto a ricolto
effer potrebbe però non degnale uili,ſcaccia le brutte,fugge le aſpre,
abbracciale eleganti ſceglie leſignificanti, o con copia marauigliofa uaria la
difpofitione, i të pi,ilnumeroje i finimenti;nė di pari lunghezza formeràle
parti delparlaa re,nėripiglierà una'steßa figura,un tempo medeſimo,un modo
Amile, una perfona pari,ma quaſi un'adorno pratola oratione di molta varietà
fora mando, diletto , o gioia,recherà ſempremai.Leggiprima qui, comeil Poce ta
i medeſimi nomi non ridice in uno steßo luogo. Io credo checi credette,ch'io
credeßi, Che tante uoci uſciße da quei bronchi, Da genti cheper noiſi
naſcondeffc., Però diſſe il maeſtro,ſe tu tronchi Qualchefrafchetta d'una deste
piante, Penſter c'hai ffaran tutti monchi. Allor porfi la mano un poco duante ,
E colfi un ramufcel da un gran pruno, E'l tronco fuo gridò perche miſchiante.
Da chefattofupoi diſanguebruno, Rincominciò à gridar,per che mi ſterpiš Non hai
tu ſpirto di pietade alcuno ? Huominifummo, oorfemfatti sterpi, Ben douerebbe
la tua man più pia , seſtatefoßim'anime di ferpi ? Comed'un ſtizzo uerde,che
arfo Ria, Dal'un de lati cheda l'altro geme, Bi cigolaper uento che ua uia.
Cosi di quella ſcheggia ufciua inſteme, Parole,e ſangue,ond'io laſciai la cima
Cadere,e dette come l'huom che teme. A R. Tu puoiuederein quanti modiilPoeta ha
uoluto variar leparon ko con quanta felicità egli lo habbia ottenuto . Il che
in molti luoghi può in elo uedere.si come là,doue parlando del lago gelato , lo
chiamaora ghiaccio,era uetro, ora gelozora groſſo,o duro uello ,ora ghiaccio,
ora geld ti guazzi, ora eterno uzzo,oragelata,ora cristallo orafaſcia gelata,
ora fredda crostázora lagrime inuetriate, &fimili altre parole ufa variando
il poema. Il fimigliante hannofatto ,fono perfare tutti gliſcrittori di non D B
1 L me. Leggerai mirabili eſſempi della narietà in tanti principij di giornar
Odi nouelle cheſono in quell'autore, o leggerai anco l'ultima parte del ſecondo
libro di quest'altro che comincia. Che andiamo noipure tutta uia di molti
amanti et diletti ragionando. Maė tempo di ritornar’omai alle altre parti della
formapredetta ,ope ró d'intorno alle membra dei ſapere chela lunghezza di eſſe
in queſtafor. ma èpix deſiderata ,chela breuità ocortezza,non però uoglio, che
si lo ftremo ti fermi,macon più disteſe parti che nella eleganza uorrei ,che
leſue ſentenze liportaſjero ,che le parole di effe in tal guiſa ſi
collocaſſero,et ſ terminajſe queüa oratione,che uariate alſopradetto modoil
faſtidio o la satietà ſi fuggiſſe, oin grado ogni sprezzata coſa ci ueniſſe. Il
numero al uerfo uicino in questaforma ci uuole,il qual numero primaſarà di quel
la maniera,che di ſopra ti ho detto, cioè ripoſo o mouimento, ouero tempo di
proferire,ò da poi di un'altra ,che ora io ti dimoſtrerò. Perciò chemolto bene
all'oratione può dar formanumeroſa et bella, la qualeſia nata da ue na certa
neceßità delle coſe ben composte, o conſiderate, come il contra . porre i
contrarij, o le coſe diſcordi l'una all'altra con miſura corriſpone
denti,ritrouare i ſimiliipari, o altre coſe ſomiglianti à queste,delle quali
partitamente e con eßempio ne dirò, Sono alcune membra,ò nodi della
oratione,iquali hanno le lor ſentenze oppofte,ma con una corriſpondenza tra
loro mirabile temperate. Ilprimo cfſempioſarà di quello che ſi chiama Pare,il
qualeſi fa quando le parti che Äihanno à corriſpondere ſono quaſi di pare
numero di ſilabe, odi tempi , quafi dico,però che queſta parità di ſillabe, o
di tempi con ſaldo intendie mento o giuditiodeue eſſereſtimata, et nõ del tutto
pari.L'eßempio di que ſta forma e questo . Dou’elladifonestamente amica ti fu ,
ch'ella oneſtamente tua moglie diuenga. ART. Nel predetto effempio in duemodi
ſiuede effer fatta numero, ſa la oratione primaper la parità delle ſillabe ,la
quale nelle parti ſi uede poi per la contrarietà corriſpɔndenteperche amica
omoglie,ſono contra rij, oneftamente o difonestamente fo:10 contrarij ,
oppoſti,ſolodi pari ud queſto. Leggi, Quiui à niunoſi cerca inganno ,a
niunoſifa ingiuria. ART. I contrarij adunque fanno la orationeoffer
numeroſa,come an cora qui , Et di gran lunga é da eleggerpiù toſto il poco
oſaporito, che il mola to o infipido. ART. tornare. 2 ! TAR. Ne i ſimili ancora
cade il numeroſo concento in modochequando in fimil ſuono la chiuſa finiſce,ne
rinſulta il numero. Quel roſſore , che in altri ha creduto gittare,ſopra di ſe
l'ha ſentito A R. Speſſo auiene,che per fuggire il ſoſpetto di cotesto
artificio , la fimiglianza de ifinimenti delle parole in mezo delle parti ſi
ponga, com me qui, Poi ueggendo,che questoſuo , conſumamento,più tosto che
emendamento della cattiuità del marito potrebbe eſſere. Et qui. Che più
dispettosamente ,che fauiamente,parlando. Molti eſempi ritrouerai da teſteſſo
di queste numeroſe maniere, nate dalla corriſpondenza delle parti.Ora vorrei,
che bene aucrtißi di non re. plicare piùuolte cotesti adornamenti ,di non
affettar tanto la conſonana za delle parti,che cadeßi in fastidio,ouero
infospetto de gli aſcoltanti . Et per queſta reggerai medeſimamente il
uerfo,nel quale caduto in più luoghi Ruede l'autore delle nouelle,il quale à
mepare che di ciò molto curato nõ habbia.Beneuero ,che con mirabile perfettione
riempie le parti ele měs bra della ſua fauella quando diuide i nodi de' ſuoi
giri in tre parti , come qui Percioche niun'altro diletto ,niun'altro diporto ,
niun'altra confolatione laſciata ti ha la tua eſtremafortuna.Etqui, Et ſe
qualunque di quelle fuſſe in Salomone ,ò in Aristotile ,ò in Seneca, 'haurebbe
forzadi guastar'ogni lorſenno,ogni lor uirtů , ogni lor ſantità. Et qui.
Maquantoſenfante, quanto poderoſe,di quantoben cagion le fore ze d'Amore,&
c. Conſidera la distintione de' membri in quella nouella, doue introduce to
ſcolare ,la uedoua,perche cosirichiedeua la dotta perſona dello ſcolare. AR. E
degno di conſideratione il numero delle fillabe, chenelle parti, che hanno à
riſpondere l'una all'altra,ſ mette. Perciò che quando una pare te di troppo
l'altra auanzaſſe,non ne ſeguiterebbe alcuna numeroſa compo Rtione ,però buone
onumeroſe appaiono eſſer queſte . Accioche come per nobiltà d'animo dall'altre
diuiſe fiete , cosi ancora per eccelentia di coſtumiſpartite dall'altre ui
dimostriate. ART. Maqui appare alquanto lunghetta la riſpondenza, &la die
fagguaglianza demembri.Leggi. Quanto piùſ parla de' fattidellafortuna,tantopiù
à chi uuole lefue co fe ben riguardare,ne reſta da poter dire, ÄR. ART. Può
eſfer’ancora,che non ſi gusti il numeroper la lunghezza delleſueparti,benche
fieno quaſi paricomequi, Egli auieneſpeſſo , che sicomela fortunafotto uili
artialcuna uolta grandi teſori di uirtù naſconde,cosi ancoraſotto turpißime
forme d'huo . miniſtruowa marauiglioſ ingegni dalla natura eſſere stati
ripoſti. AR. S'io ti uoleßi ogni coſa moſtrare d'intorno alla bellezza del
dire, troppo ritarderei gli ſtudij che hai afare,o pocoti laſcerei da eſercia
tarti d'intorno allaeloquéza umana.Peròp trapaſſare alle altre forme,par lerò
della ueloce e pronta maniera della oratione; la forza della quale è nello
artificio,più tosto,onelleſeguenti parti,che nelle ſentenze riposta.
L'artificio adunque della prestezza eà brieui dimande brieuementeria
fpondere.Leggi. S'amor non èche èdunque quel ch'ioſento? :: Ma s'egliè amor,per
Dio che coſa è quale ? Se buona,ond'ċ l'effetto afpro e mortale ? Se ria,ondési
dolce ogni tormento ? ART. Ouero il fare molte dimande , con forze di ſpirito
obrer uits : Non era egli nobile giouane ? Non era egli tra gli altri ſuoi
cittadini bello ? Non eraegli valorofo in quelle coſe che d' giouani
s'appartengono? Non amato? Non bauuto caro?Non uolentieri ueduto da ogni huomo
? AR. Le membra,quaſ parole eſſerdeono bricui «uolubili, oche pa ia che in eſſe
fail monimento del parlar noſtro, oltre alla ſignificatione delle parole nelle
quali ėripoſta la forza dela efpreßione di ogni forma . Leggi. Soli bastano ,
accompagnati creſcono , und mille nefå, odelle mille in brieue tempo mille ne
naſcono,per ciaſcuna ſono aſpettate giocondißime,no aſpettate uenturoſe, ſono
cari ageuoli,ma diſageuolivia più care inquanto le uittoric acquiſtate con
alcuna fatica fanno il trionfo maggiore, donare,
rubbare,guadagnare,guiderdonare,ragionare,ſoſpirare, lagrimare , rotte,
reintegrate ,prime ſeconde,falje,o uere,lunghe bricui, tutte fonodiletteuo li
tutte ſono gratiofe. AR. Vedi che mouimento apporti ſeco questo parlamento , il
quale quando l'huomo è riſcaldato s'aſcolta con marauiglia delle genti . Confia
Ate anco nellaforzadelleparole, o nelſuono , onella compoſitione . com mequi .
E già uenia sì per le torbid onde, Vn fracaſſo d'un ſuon pien difpauento, Per
cui tremauan' amendue le ſponde, Non altramente fatti,che d'un uento :
Impetuofo per gli auuerſardori, Chefier la ſeluaſenza alcun rattento Gli
ramiſchianta ,abbatte, e porta i fiori Dinanzipolucroſo uaſuperbo Etfafuggir
lefiere e gli pastori. ART. Tanto uoglio che tu ſappia della preſtezza del
dire. Perciò che date medeſimopuoi comprendere quanto « ilconcorſo delle
uocali,ore forezza delle fillabe pa lontana da questa forma,esfapere che ogni
ina dugio di proferire, ogni raccoglimento,ogni giro, impediſce il mouimento
fuo. Reſta adunque a dire della formaaccostumata,o delle fueparti, la . quale e
, cheſi conuiene alle cocoalle perſone in tal modo chequello che ſi chiama
Decoro, molJa chiaramente ſi uedaEt però la detta forma ſota to di ſe quattro
maniere principaliſ uede contenere. La primaė la unilta ubaſſezza. L'altra é la
piaceuolezza o il diletto. La terza e l'acutezza Uprontezza. Et l'ultima la moderatezza
della oration. Delle quai fore menecessariamente in queſta forma si ragiona,
perche cosi porta la natua rade gli huomini,i quali sono ó uili, o riputati, è piaceuoli,
o moderati. La bajezze dangue e forma infima, e dimessa del dire, alle roze, o idiote
persone convenicnte, à femine, fanciulli non diſdiceuole: da Comici, rie
chieſta ouſata pia toſto che da Oratori,o eloquenti buomini,o piu tom Ho nelle
cauſe de priuati, che ne i communiconſigli ricercata ,quando uor rai attribuire
il parlar a quella perſona, cui non ſidifdice la baffizza. Cá dono in queſta ſimplicita
di dire i paſtori, aquelli che le coſe.boſcarecce Man deſcriuendo,o però le
ſentenze di queſtaformaſonopiu baſſe Qumi li, opiùfacili che quelle della
purità oſcioltezza del dire. Là onde ala cuni giuramenti ſciocchi à
qneſtamaniera ſi confanno. O Calandrino mio dolce, culor del corpo mio, quanto
tempo t'ho defide Tatob’dauerti edi poterti tenere a mio fenno.Tu m'hai con le
piaccuoa lezza tuațratto il filo delacamicia, tu m'hai aggrattigliato il cuore
con la tua ribecca. Può egli eſſer che io titenga ? Leggeraila tutta, otutto
che in questa formauiſabaſſezza, non è però ela ſenza artificio, percioche per
dimoſlrarla pulefe ,fi fuole alcuna fista minutamente ogni coſa deſcriuere,u
ogni particolarità chia rire, introdurre alcune ſcioccheriſpoſte, ò ſemplici
contentioni di coſe, che non rileuano con detti, le ſentenze de quali ſono
grandi , ma le parole ſciocche, at rozze. Leggi. L Cominciò à dire ch'egli era
gentilhuomo per procuratore , roy. Begli bauea diſcudi più di milantanouefenza
quellich'egli hauea àdarealtri che erano anzi piùche meno e che egliſapeus tale
coſe fare ; ct dire che domine pure unquanche. ART.. A tuo agio nie leggerai
ilrestante,mauedi la contentione: Guatatala un poco in cagneſco per
amoreuolezza la riniorchiaua '; ege ella cotale ſaluatichetta, facédo uiſtadi
non auederſene andaua pure oltra in contengo. Seguita che tutta ëbaſſa per li
giuramenti, per le beffe, con per alcuni rabbuffi, come qui. Vedi bestial buomo
che ardiſce , là doue io Pid , parlar prima di me, laſcia dir à me, Et alla
reina riuolta diſſe,Madonna, costui mi uuol far. conoſcer la moglie di
Sicofanta ,ne più ne meno come scio con lei ufata nor , fußi, che mi uuol dar'
à uedere chela notte prima che Sicofanta giacque con lei meſſer Mazza entraffe
in monte nero per forza ,e con ſpargie mento di fangue oio vi dicoche non é
ucro,anzi u’entró pacificamente: La deſcrittione del fante di fracipolld;&
della fante,ėbaſſa,er propria di queſta formaa alcuni lameti cô parole ufitate
& popolari. Leggi. Dime,oimė Giãnel mio io fon morta,ecco ilmarito
mio,chetri fto il faccia Dio ,che ſi tornò, « non ſo che queſto ſi uoglia dire.
ART. Et alcuni prouerbiemodiſono dimeßi. Leggi. : Et cosi al mododeluillan
matto doppo il danno fece il patto, muoia. foldo, oniua amore, e tutta la brigata.
ART. Dalle fentenze di queſta forma ſipuò far congettura quai parole,
ochenumero, oquaichiuſe ad effali conuengonc, Però cheari tificioſamente da
ogni artificio lontana offer deue ogni ſua parte , & imie tare la
ſemplicità, ogroſſezza delle perſone. Io non uorrci queſtaforma in unpocma
grande, o genoroſo; o dubito che per questa ragione da ale cuni ripreſo noſia
uno de i piùcarifigliuoli ch'io habbia ,ilqualefpeſo per dire
ognicoſaminutamente cade in parole baßißime,come quando dife. Vn’amme non faria
potuto dirſt, Quero. Etmentre che la giù con l'occhio cerco , o quello che
ſegue Trale gambe pendeuan le minuggia La corata parea, e il tristo ſacco. Et
il reſto. E non uidi già mai menare ſtregghia A ragazzo aſpettato daſignorfo,
Et la doue diſſe che Tencuan bor done alle ſue rime. Md ora al diletto
paſſando, dirò, che per diletto de gli aſcoltanti ale cuna uolta l'oratione ad
una forma s'inchina la quale tutta e riposta nellä , bautentione delpoeta ,però
gioconda diletteuolemanieras'addimanda ĝrellache la ſemplice edimeſſa alquanto
più rileua ealla fauola, ó fala uoloſa narratione ſi uolge. Là onde leſentenze
di questa formafaranno contrarie alla forma della dignità del dire ; &però
diletteuoli o gior conde ſono quelle , doue ragionano inſieme la Diſcordia,
oGioue, o in quel dialogo d'Amore , oue R dimostra in che guiſa difcendeſſe fra
more tali Amore.Sonoanco grate,ga dolci quelle ſentenze chehanno quelle coſe
ntinutamente deſcritte, lequali per natura loro hanno onde piacere difense
timenti umani, es però la deſcrittione dell'amenißima valle delle Donne a molto
grata ad udire. Conſidererai di quanta dolcezzaſia ſtato amaeſtro Simone il
ragionaméto di Bruno, quando egli deſcriſſe la brigata, che giudi in corſo,og
de i loro follazzi, opiaceri,e delle altre coſe diletteuoli che egli uedeus in
udiua. Ma è bene che tu ſappia , come di quelle coſe, che a ſenſi ſono
ſottoposte, alcune fono oneste, alcune diſoneste. Le diſor Heiste ſe
paleſamentesi ſcuoprono co iloroproprij uocaboli, offender for gliono le caſte
orecchie ;benche non offendano quelliche nė di dirle , ne di farle R logliono
tergognare,maſe con diſcretomodoleggiadramente cura prono la bruttezza loro,non
pure non perdono il diletto quando ſono inteſe, ma molto più di ſoauird ſeco
recano à gli aſcoltanti: Narra lo amore di due cognatiilpoetaDante,o uolendo il
finedieſſo quantopiù poteua onestan mente ſcoprir diffe. Quel giorno pia non ui
legemmo auante, cioé attena demmo ad altro che à legger quello , che fu cagione
del nostro amore, o cosi quá lo l'altro poeta diſſe, Con lei fuß'io da cheparte
il ſole. E non ci Medeß'altri che le ſtelle.Ocosi in mille modi ó per le coſe
antecedenti, • per quelle cheſeguono,eſſendo meno diſoneste,le
difoneſtißimèappalefar ft poſſono ne è pocalode dichi ſcriuezin tale occaſione
abbattědofi,ſenza offen fione anzi con diletto delle oneſte perſone deſcriuer
le coſe meno che oneſte. Intělaſi adunque la coſa, ofuggaſi la bruttezza delle
parole,o in queſto modo ſarà foaue, &diletteuole il parlar uoſtro. Alquale
gli amori,le bele lezze de i luoghi,igiardinizi prati,i fiori le fontane,la
prima uera, le pite ture, o altre coſe piaceuoli aggiungendoſi,ſenzadubbio ſi
dimoſtrerà la predetta forma,della quale anco di ſopras é detto aſſai, quando
del diletto, della gioia tiragionxi ,che naturalinēte inuouc ogni coſa creata.
Et cosi ſecondo l'affettione di ciaſcuno ſi porge ſolazzo opiacere col
ragionare. L'artificio ,et le parole della giocõdità tolteſono dalla
primaformadel dire chiamata purità, onettezza. Voglio bene in queſto paſſo ,che
co più licen zoufigliaggiunti,ſegno e che i pocti loſtudio de' quali è proprio
il dilet ? tare , allora più dilettano quando più belli ;eacconiodatiaggiunti-
fono ? wfati di porre ne' verſi loro, ecco Leggi. L & Giace nella fommità
di Partenio,non'umile monte della pastorale Arct. dia,un diletteuolepiano di
ampiezza non molto patioſo,peròche'l ſito del luogo nol conſente ma,di minuta,
o uerdisſima, crbetta si ripieno , cbe fe: le lafciue pecorelle congli auidi
morſi non uipafceffero,ui ſi potrebbe dom gni tempo ritrouar merdura. ART.
Tutti i principii delle giornateſono à proua fatti per dileta tarc, eperò inshi
13 ziunti uiſono meſcolati come tu potrai uedere. Egli lliſuole anchora
interporre de i ucrſi per. dilettare , ma con destro modo, Perciò che non mipareche
bence ſtia , che la compoſitionc babbia del uer fo come qui. Cofi detto, et
riſposto,e contentato, doppo, un brieue.filentio di ciaſcuno. ART. Ecco che
nella proſa ui è il uerlo ,ſenza quel propoſito che: io ti diceua ,però,
biſogna rompere i ucrſi con alcuna parola,eccoti uer : foc, Postbaueafine alſuo
ragionamento, madicendo. Pofthauca fine Lau, retta.al ſuo.ragionamento non è
più verſo , benche queſto.autore altrowe: non foſſeſchifatodal uerfo,come
quando diſſe. Poſcia che molto commendata l'hebbe, Disleale, o spregiuro, e
traditore, Etpoi con un ſospir aſſai penſoſo, Luogo moltoſolingo, ofuor.
dimano.. Et questi uerſi quanto ſono migliori,tanto più ſono da.cſfer fuggiti
nel fic lo della oratione,fenon quando,o per eſſempio, o per autoritade, o per
di: letto ſono tolti da poeti. Ora delle figure di questa faperai ,che alla
giocondaforma, oltra le fi gure che alla purità,Q umiltà. conuengono quelle
ancora non disd.cono, che alla bellezza ſi danno,o peròle membra pari di ſimili
cadimenti le rime, i biſguizzi, itramutamenti; i circoli, le uoci.ſimiglianti,
il fingeri: de i nomi ſonofigure di questaforma. Leggi i ſimili cadimenti.
Tranquilla lite de'giudicanti ristora.le fettche gucrreggianti, in quel le con
le ſeuereleggi de gli huomini, la pisceuolezza della natura,meſcoa. lando a
queſti nel mezo de gli nocentisſimi guerreggiantipure, ø inno.. centisfime paci
recando. Nellefſempio letto ui troucrai anco la bellezza di contrari, la parità
de'membri, perche niente ci uicta ,che una ſtela figura da molti lumi ancora
illuminata, fi poffa fare illuſtre e luminoſa. Laura, che il ucrde lauro,c
l'aurco crine.. Eſcherzo di upci ſimiglianti. Il mormorar dett'onde,bisbiglio ,
ſpruzza.. reribombo,gracidare, fonoparolefinte,cha con diletto cfprimeno il
fatto, ecco quando colui diffe,Filli ,
Filli ,fonando tutti i calami, parue ueram mente che i calami fuſſono tocchi
col fiato di dettopaftore, o quello ſem zafar motto alcuno. Rimafu quella di
coſtui che diſſe. Tanto d'intorno à quel più bello, quanto pià de Thumido fenting
di quello , Et perpiù adornamento et diletto, diſſe anco . L'acqua laquale alla
ſua capacità ſoprabondaua. Et comei falli meritano punitione, Cosi i beneficii
meritano guidero: done. Nella rima è pofta. la dolcezza de' Poeti di questa
lingua, dallaqual.rima chi ardiſſe ò tentaſje per alcun mododidipartirf, toſto
ſi pentirebbe . Le rimepiùuicine fono più dolci: Qucta licenzadel
rimaremoderatamente Bplglia de proſatori , purche di affettata dilettatione:
disoneſto ſegno non porga. Voglio bene la compoſitione di questa forma,numeroſa
epiù al uerſo uicina che l'altre, ma il uerfo per ogni modo le tolgo. Guarda
con chefacilità ſipotrebbe coteſta proſa alla dolcezza deluerfo ridurre.Leg.
Vna fede medeſimatraloro per le menti unafermezza , unoamore in agni faſo, in
:ogni tronco,inognirina,,uede l'amante la faccia dolce delld. fua.belladonna,o
ella quella del ſuoſignore. Ma.ora non: voglio che tantoti piaccia la forma
predetta che tralaſcian do la dignità,o grandezzadeldire, procuri.con ogni
ſtudio il diletto piacere cheda quella fola procede , Perciò che io non uorrei
che alcuna . parte del tuo ragionamento ſenza piacer s udiſſe, di.che
l'aſcolta,ilqual pia cere naſce ancora. dalla Idea dell'altreforme, o dalle
orecchie allo animo, trapaſſando ogni parte di eſſo fparge di diletto
marauiglioſo, perche moe. uendo diletta, o dilettando li mouc, inſegnando
ſimilmente fi.moue,, odiletta.in quanto che lo inſegnare il mouere,o il
dilettare, ſono opera . tioni non distinte l'una dall'altra. Mi. laſciamo
queſta quiſtione. ad altro , tempo, o ancora nonstiamo troppo in.questa forma
tutta.di altra confla deratione, come quella.cbe al Posta.grandemente conuenga,
alquale pocta. i giuochi, po le coſe ridicole ſi confanno , operò di. cße ora
non te ne dia 60, e tanto piu adietro di buon cuore ti laſcerà queſta matcria
', quanto di: ſacopioſamente damoltine è ſtato ſcritto,etragionato.
Larifponfione: ad ogni parte è anco figura di diletto. Leggi. Laquale ciiba
fattinc i corpi.delicate ,o morbide , negli animi. timide opaurofe,ne le menti
benignc, opietoſe, obacci dute le corporalifora ze leggieri, le uoci piacsuoli,
o imouimenti de imembrifoaui .. Ms or a pasfiamo all'acutezza del.dire , forma
inucro egregia. &. piùalto penfamentoche altra meriteuple. Peroche ella
contiene le ſentenza fic,deltuttocontrarioalla umiltà, «baffezza della
oratione, ej in uero altro dicendo,altro intende.Percioche è dicoſeche hanno in
ſeforza,et uds Forela onde lo artificiaė proferire le alteodifficili intentioni
pianaměte, o con facilità, e le umili &abictte che paianoalte ,o degne :
onde i primo modo é,quandofi piglia una parola in altra ſignificatione che
nella ufata confueta maniera,ne pcro e meno conuencuole et propriafe gli
wiguardaalla forza della uoce,che la uſala, « conſucta, come qui. Non creda
donna Berta oſer Martino * -Prueden un furar altro offerine. 9. Wedergli dentro
al conſiglio diuino. Che quel puo furger,oquel può cadere . C : il secondo modo e quello cheſi fa non mettendo
la parola, doueela berie Starebbe, ilche abufione s'addimanda; come ė à dire
allegrezza inſanabile, in luogo di dire allegrezza grandißima. Seguita il terzo
modo di porre. una þarola pia uolte'., ma che ſempre ſia ad un modo istefjo
pigliata , come dicendo,ſecglimuore, morirà tutto, perche uiuendo non
uiue.Vſaſi ancora biquestaforma un altro artificio aljai degno di
conſideratione ilquale ft fa quando il parlare ſi fa pieno ditraslationi,o per
la moltitudine di quelle lifa ogn'horpiùmanifesto. Leggi. Eeleggi fon,ma
chiponmanoad eſſe Nullo, percheil paſtor , che precede i Ruminar può,manon ha
l'ugne. foffe, Perche la gente che ſua guida uede ** Pur à quel bel ferir on
fella é ghiotta Di quelfi paſce, opiù oltre non chiede. ART. Et in queſto altro
loco ancora Nel mezo del camin di noſtra uita Mi ritrouai in unaſelua oſcura
Che la diritta uia craſinarita. ART. Acuti ſono ancora quei rimedij,che uanno
quafi medicando le dile rezte delle Tralationi con alcune altre piu chiare ,
ecco dire il fiato della morte é duratralatione. Ma dire della morte , e ſpigne
col ſuo fiato il noe ſtro lume,e acutamente raddolcita la aſprezza fua . O
qui.Con altezza di: animo propoſe di calcar la miſeria della fori una.Voglio
ancora ,che acuto fa ilporre inanzi yliocchi le coſe con bella colligatione di
ſignificantißia me parole,Vuoi tu ucdere la celerità del tempo. Leggi. a
Delaurco albergo con l'aurora istanzi E to 1vs K $ *** siratto ufciua it ſol
cinto di raggi, Che detto baureſt',.' Apur corcò dianzi. Jo uidi il ghiaccio, e
li preſſo la rofa, Quaſi in un tempo il granfreddo, e ilgran caldo. Che pure
udendo par mirabil cofa Veggo la fuga del miouiuerpresta. Anzi di tutti , et
nel fuggir delſole , La ruina del mondo manifesta Voi tu uedere dipinta la
oſcurità. Leggi. Buio d'inferno, o di notte priuata D'ogni pianeta ſotto pouer
ciclo Quant'eſſer puo di nuuol tenebrata : ART.No ſolaměte leparolefanno
l'effetto,ma te fllabe, et le lettere steffe Vedi quáte fiate uie replicata la
quinta lettera come lēte baſſa,co oſcura. Sotto queſtaforma i beidetti ſi
coprendono, et quei mottiurbani,che co dimeſe parole dicono altißime coſe.Là
onde alcune ſentēze, la ragione delle quali in effe ſi conticnejacute ſono, o
di ſuegliato ingegno ſegnimanifesti. come à dire, le minacce fon arme del
minacciato. sēdotu huomo penſa alle coſe humane o offendo mortale nõ hauerl'odio
immortale, o quello.Rade volte è ſenza effetto quello che uuole ciaſcuna delle
parti. Queſte ſono le parti principali dellaforma ſublime; &
acuta,nellealtre haida ſeguitare la purità o eleganza del dire. Ma della
Modestia,o Circonfpettione del parlarenelquale conſiſte quanta gratia tuti puoi
con gli aſcoltanti acqui Atare,dirò,pregandoti caraméte,che tu uoglia
questaſopra tutte l'altre ele gere,abbracciare,et fauorire in ogni tuo
ragionamēto. Modesta è adunque quella forma del dire che le proprie coſe
abbaſſando innalza le altrui, o quaſi cede e toglierſi laſcia del ſuo, il che
opinione acquista di grābone tade appreſſo chi ode.Le ſentezedi quellafono
quelle che dimostrano l'ani mo di chi parla alieno dalle contētioni, il
deſiderio di fuggire, o terminar le coteſe,ildiſpiacere d'accufar altrui, il
poter dimoſtrar maggiorpeccati dell'auuerfario,«nõfarlo,et quello che ſi
fafarlo sforzatamēté ,ė astretto dalla uerità,o p no laſciar opprimere
gl'innocēti,uerfo de'quali,chi dice, A deue dimostrare cõ queſta
formaofficiofo,et benigne,comefece coſtui . Leggi. Mi piace condiſcendere a'
conſigli de gli huomini,de quai die cendo mi conuerrà far due coſe molto a'
miei coſtumi contrarie;luna fia al quanto me commendare o l'altra il biaſmar
alquanto altrui,o auilire. ART. Molti huomini eccellenti nelle lodi, che date
hanno a i loro cittadini uſati ſono di dire, uoi faceſte, uoi uinceste ,mánel
dimoſtrare alcana coſa meno che oneſta de' fatti loro ,hanno detto per
modeftia.Noi perdesſimo, noi malefi portasſimo,noialquantoimprudentemente to
gließimo la guerra. A questeſentenzeſi aggiugne l'artificio, ilquale con Rate
nel dire di fero delle proprie coſe modeſtamente, con dubitatione
facendolegrditamente minoridiquellocheſono;eſcuſando per lo contras rio gli
auuerfarii,oucro con ragione,conalquanto di timore accufando li,permettendoli
alcuna coſa a fuomodoin loro diffeſa pronuntiare,acció sonſi dia ſoſpetto al
giudice dioffer contentiofo,& amicodelle liti, in que ſto caſo voglio ,che
tu uſ parole baſſe, et pure, oquelle che hanno manco forza nelle tue lodijonel
biaſimo de gli auuerfari, però quelle figure a questaformaſono accomodate
,nellequali con deliberato conſiglio alcuna coſaſ pretermette,quiſando però
l'aſcoltante di tale deliberationc.Inbrie ue ti dico, cbe la disſimulatione ,
che ironia s'addimanda, quenga, che ale cuna volta morda cu pungasėperò
artificio,o figura di queſta materia,nel laqual alcuni Greci riuſcirono
mirabilmente. Lacorrettione, oil giudi cio con timore ſonocolori di questa idea.
Come quando ſi dice , S'io nca sn'inganno ,s’io non erro , cosi
mipare,ofimiglianti modi, i quali quanto più banno del leggiadro, tanto più
dilettano,o fanno l'effetto, che ſi ricer 14. La correttione e in quel luogo.
Si come prima cagione di queſto peccato , fe peccato é , perciò che io
t'accerto. ART. Et la disſimulatione iui. Godi Fiorenza , poi che ſei si
grande. ART. Belmodo e modešto é quando o il biaſimo, o la lote ſi fa dar da
una terza perſona, perche meno ha d'innidia il teſtimonio altrui , che'l
noftro, operò in queſto Poeta nel dire la origine fua, uedrai modestia ma
rauiglioft, Leggi ancora qui. Nobilisfime giouuni, à confolatione delle quai io
mi ſono meſſo à cosi lunga fatica io mi creda aiutandomi la diuina gratis ſi
come io auiſo, per gli uostri pictofi preghi non gia per i mei mcriti quello
compiutamente ha Herfornito, che io nel principio della preſente opera promiſi
di douer far. ART. Etil principio della quarta giornata i ripieno di queſti
modi. Ma tempo è di ucnire all'ultima forma di queſto ordine , ma prima in die
gnità o perfettione,comequella, ſenza laquale niuna delle altre può nel l'animo
entrare de gli aſcoltanti,dico della uerità, a laquale benche la moc desta e
dimeſſaforma piu che l'altre s'auicinano ,nientedimeno non è da di Te,che ella
debbia dall'altre offer abbandonata, imperoche non è opinione, òaffetto ,che
ſenza eſſa indurre ſi poſſa, queſta fa credere che cofiſia ,come Adice,questa
moſtra l'animo di chiragions, queſta èfrutto diquella uir ta che tùche noi
chiamiamo imaginatione,cosi potente nel porre le coſe dinanzid gli occhi,et
cosi efficace ad ottenere ogni nostra intenţione.Dimoftrafl adia que l'aniino
di chi parla in questo modo,cioèſenzamezo alcuno rompendo in uno effetto
,perche la natura in queſta guiſa ui diſpone chequandoſiete iņuno affetto ſenza
altra ragione in quello entrando le dimoſtrate, cosi l'a ra ,lo ſdegno, il
diſo, il dolore,o ogniaccidente ſi fa paleſe. In ſommaſe je fidate,o diffidate,
c teneteſperanza d'alcuna coſa ſe allegrezza uimuoue 'ò noia alcuna,ueracißimi
pareranno gli affetti uoftri,ſe da quello che defe derateſenza porui tempo di
mezo cominciante. Leggi. Fiamma del ciel si le tue trecce pioua Equi doue il
Poeta dimanda aiuto Quando uidi costui nel gran diferto. Miferere di me cridai
à lui. A R. Come qui è uitiofo, doue un nụncio corre al palazzo à dan nog ua
alla Regina della preſa della città, es ardere etſaccheggiare ogni coſa, o
incomincia con lunga narratione,dicendo, id ui dirò diffuſamente il tutto. Ma
ritorniamo, hauendo il Porta di mandato aiuto à Virgiliopiù bricue che può gli
da notitia diſco perche l'affetto lo pronaua à chiedergli pohc cagione egli ſi
trouaſje in quel luo. soſeluaggio ,dice. Ma tu perche ritorni à tanta noia ?
Etfa maggiore il ſuo affetto replia çando, perche non fali il dilettoſo monte.
Là onde poiil Poeta pien di mara uiglia di ueder Virgilio, non gli riſponde, ma
dà loco allo affetto,et dicca Leggi. orſe tu quel Virgilio, equella fonte, Che
parge di parlar si largo fiume, Ripoſi lui con uergognofa fronte , Et piu
ritornando all'effetto di primajo de gli altri Poeti onor',e tume. AR. Vedi
comele Diſcordia con Gioue'adirata in tal modo comincia. Parti Gioue,che io, la
qualeprodußi,et conſeruo il mondo,degna fia di doc uer’eßer biaſmata da
ciaſcaduno. AR. Serbati in questo caſo à dimostrare che inte più uaglia la
natur ra ,che l'arte, o otterrai la credenza del uero che tu uuoi. Dire con
uolubi li parolc é ſegno di uerità, l'infigner d'hauerſi ſcordato, il
dimostrare die ſere dall'artificio lontario, o lo ejer dulla ucrità commoſſo,il
correggerſ daſeſteſſo,lo cſclamare in alcune parti quafi rapito dal uero, o
finalmene, te una diligente traſcuragine, & una traſcurata diligentia può
far’apparenza diuero.Ecco quanto bene appare,ola modeftia, ola verità ufar la
Discordia ,doue dice, Etſel mio eſſere pien di miſeria mi ci rende in diſpetto
l'effer Dea (coa me tuſei ) onata al gentilißimo modo delfangue two pieghi il
tuo anis mo ad aſcoltarmi benignamente. oRati' stato ilmio minacciare più tos
fto fegno di diſperatione , che cagion d'odio è di ſdegno che tu mi debbi
portare. AR. Et poco dipoi. Io parlerò Gioueaffine di farti pietoſo alla mia
miſeria ,non con animo d'effer lodatacome eloquente;muoue il dolor la mia
lingua,parte,et diſpone a fuo modo le mie parole, o quale id'l ſento nel core
tale,à te uegnia allos recchie,cheſenza offer altramente artificioſa
,Oornata,affai ti perſuaderà l'oration mia à dolerti di me,la qualedi tanto
nonſon conformeallo affan nocleoue quello continuamente m’afflige,queſta toſto
fi finirà, o ad ogni richiesta tua s'interromperà,però che qualunque uolta cofa
dirò, che mena zogna ti paia ſon contenta di dichiararla ,accioche picciolo
error nel prin cipio nonſi faccia grande alla fine: AR. Vedi quanto efficaci
ſtenote eſclamationi. O‘Amor quanti, o quali ſono le tue forze: AR. Et là doue
dice, o felici anime,alle quali in unmedeſimo di auer re il feruente amore o la
mortal uita terminare,o piú felicife inſieme ad uno medeſimoluogo n'antaſte, o
felicissimi fe nell'altra uitaſi ama.com toi vi amate; come di qua faceste.
Questa eſclamationefa parere la cofa uera, ilfalimento bella, la ſentent za
degna,o grande,le parole aſpra, o acerba, oil numero fplendida,o generoſa.Al
predetto artificio s'aggiungono le parole conuenienti alle cos feale appre
nell'ira, le pure, o le fimplici nella comuniſeratione. Leggi. Ahi dolcißimo
albergo di tutti imiei piaceri,maledetta fia la crudeltà di colui checon gli
occhi della fronte or mi tifa uedcre . Affai m'ora con quelli dellu
mēteriguardarti à ciaſcun’hora.Tu hai il tuo corſo finito, et di tale ,come la
fortuna tel concedette tiſe ſpacciato.Venuto ſe alla fine ,alla quale ciaſcun
corre,laſciate hai le miſerie del mondo, o le fatiche. AR. Conſidera le
parti,le parole , o le figure di questa forma nella effempio ora letto, ote
ſimili uſorai nelle occaſioni che ti ucrranno, et uce derai uſcirne opora
maraniglioſa. Vodi che cömiferatione ſi truoua in que fe parole. Caro mio
signore , fe la tua anima oralcmiclagrimc uede, oniuno i
conoſcimentoóſentimento doppo la partita di quella rimane a corpi,rice. dei
benignemoute l'ultimo dono di colei, laquale tu uiuendo cotato amasti. Vedi
ancora qui la ſomiglianzadel ucro grandemente adopraſi in rio fpondere alle
coſe,che potriano eſſer dimandate. Andreuccio,io ſuno molto certa, che tu ti
marauigli, & delle carezze,le qualiiori.fo.a delle mie lagrime;si come
colui chenon miconoſci ,oper quentura mai ricordar nonm'udisti,matu udirai
toſto coſa, la quale più tifarà forſe marauigliare, si come è ch'io ſia tua
ſorella. AR. Eccoti,che con una coſa più incredibile fa parere il falſo eſer
aero. Vſafi questo modo nel raccontare ,nello amplificar le lodi, ouero i
uituperii delle genti ,ouero in narrare le coſe fuori dell'ordine naturali,e
rare.Con una antiucduta eſcuſatio::e,come qui, Carißime Donne à me ſipara
dinanzi a doucrmifi far raccontare una uerità,che ba troppopiù di quello che
ella fu,dimenzognaſembianza. AR. Vera in ſoiamaè quella formadel dire , nella
quale confiderata la natura delle coſe la uarietà de gli affetri,la uſanza del
uiucre , con prue denza,riguardo dimostra le coſe fuggendo il coſpetto dello
artificio, & però molto leggiadramente fidce procedere nell'accurata,
obella forme del dire nella quale più vale il numero etl'artificio , che
nell'altre.Sicno dun que gli ſpirtidi questa forma partiper tutto il
corpo,accompagnati dal Sanguedella bellezza,odal mouimento della celerità del
dire ,che facila menteſi otterrà il deſiderato fine.Ne gl'affetti grandi,bricui
ficno le mem bra,uiusci le parole ,nel resto il giudi.io di chi parla habbia
luogo.Et qui Na ilfine delleformc o maniere del direin quanto che di ciaſcuna
partie samente ſi può dirc. Ma non sarà il finedi eſſe in quanto
biſognaſapereil modo di uſarle,et Accomodarle nella ciuilc oratione. Perciò che
colui ne oratore,ne erudito parcrebbe ilquale come nouel cfſercitaßcle predette
maniere daſe steſſe ignude, o inconipote,onde l'artefuafi manifestaffs, oegli
di abomincus defatietà, ct fastidio ricmpicſſe le orecchie, o gli animi de gli
aſcoltanti , Bella coſa é adunque il meſcolare inſieme le predette forme, o
farne una ortima miſtura,dalla quale n'uſcirà l'ottima,o uniuerſale idea della
oratio nc;appreſſo la qualeſarà quellà, che mancherà alquanto da quella ottima
meſcolanza,cosi di grado in gradofcemundo ilterzo,il quarto, o l'ul timo luogo
occuperà l'oratore. Della prima operfetta compofitione dela leformeio non ti
trouerei per ls uerità chi in questa lingua potefje , pere che gli ſcrittori di
efla hanno hauutaaltra intētione,cheformarela città M dincica dineſca
minicra,ben che per quello ch'io ſtimo,non anderà molto,che alcu noci naſcerà
atto a questa grandezza,alla quale più tosto manca la fatie ča,che il modo.Ora
in quale forma debbia abondarc la eloquenzafaperaiz per che la chiarezza,la
ucrità, quella cheaccoſtumata ſi chiama , fono le formeprincipali di tutta la
manicra ciuile.Dapoi appreſſo io amerei la celerità del dire con quelle forme
poi,che alla grandezzafi danno, tra le quali io eleggerei la comprenſione.Le
altre ueramenteſecondo il tempo ; er la occafione reggendomi abbraccerei con
quella ſcelta, con quella di fcretione che uolentieri,ut non isforzate
păreſſero ucnire riel parlar mio Ben'è uero, che molte ſono le intentioni de
gli huomini , equelle con dilia genza offer dcono confiderate.Chi uuole de i
ſecretidi natura parlare, bo delle coſe morali dee abondar'in grandezza senza
alcuno volubile movimeto. Chi ueramente cerca narrare ifatti de mortali,comeſi
fa nella iſtoria , elleggerà la ſchiettezza,ocleganza,nella quale è ripoſto
l'ordine delle co fe,cu dei tempi,a riguarderà primai conſigli,ale
deliberationi, poi le attioni, o ifatti,o finalmente gli auenimentio
fucceßi.Neiconſigli di moſtrerà quelloche deue cffer lodato ,o quello che
merita biaſimo nelle at tioni,i fatti ,ole parole,ilmodo, il fine. Et ne
ifucceßi dimostrerà ció the alla uirtù ,o ciò che alla fortunafi deve attribuire.Chi
ne ifenati uud l'esprimere la forza dell’eloquenza,perche il peſo delle coſe
ſară poſto fore. pra lepalle di chiragiona,biſognaabondare in grandezza,o
dignità, di mostrar cura openſamento,il che non uale ne i giudicij, ſe non ſono
di coi . Le graui,aimportanti,perche in eſſe più fimplicità,baſſezzaſi ricerca,
eſſendo quegli per lo più di coſe edi buominipriuati . Nel difendere, ale fai
uale la forma accoſtumata,obalfa,ſe non quando arditamente il fatto Rinega.
Poco ancora ui ſi vedrà di uolubile,o presto mouimento . Ma non . cosi nello
accuſare,douc oajpro, uecmente,o uiuo cſer dee l'accuſato re. Chi lola. fi dee dare
alla bellezza,o al diletto, o apprezzare lo fplene dore fenza ucсmenza, o
celerità. Et in brieuc,biſogna aprir gli occhi; eje nello imitare i dotti,o
eccclenti huomini.ſi richiede conſiderare; di che for ma eßt ſieno più
abondanti,o di che meno;accioche ſapendoper qual caz glorie eß istatilicno
tali,ancora non ſia tolto il potere à gli studioſi di ace coſtarſi loro, o
aguagliarli,o le poßibilc é ,che pureé paßibile al modo già detto di
ſuperargli. Et chi.pure non uoleſſe la fatica,poteße almeno giudicare i loro
fecreti. Molti, o minuti ſono i precetti d'intorno a questo offercitio,maio non
uoglio più affaticarmi,effendo quegli in molti,o gran di uolumi ordinatamente
ripoſti,oltra che ilnostro diſcorſo à niunopuò på rere terc imperfitto ,quando
egli uoglia la noſtra intentione riguardare ,laqua le è stata di fare i
fondamenti della eloquenza, auuertire di quanta co gnitione elſer debbia chi à
quella ſi dona; sopra i quali fondamenti ſono for date l'articelle de' maeſtri,
o gli esercitij de' giovanetti. Baſtiti, ô Dinare do,che tu ſia giunto là, doue
di giugnere deſideraui,o che tu habbi ueduto un circolo della tanto deſiderata
cognitione. Però che dalle parti dell'anie ma incominciaſti ,o in eſſe ſei
ritornato ,hauendo il corſo tuo ſopra di natů ra, ci sopradi me fornito, come sopra
due rote di quel carro,cheper lo apet to cielo ti condurrà uittorioſo, o
trionfante. Daniele Matteo Alvise Barbaro. Daniele Barbaro. Keywords:
archittetura, palladio, prospettiva, retorica, ordine cronologico: Ermolao
Barbaro il vecchio – Ermolao Barbaro il giovane – Daniele Barbaro – Temisto,
index nominorum, interpretazione e commentario di Barbaro sul commentario di
Tesmisto sull’analitica posteriora – manoscritto, Bologna. Manoscritto delle
‘Adnotationes ad analyticos priores’ – commentario diretto su Aristoele e no
via Temisto – Villa Barbaro – lezione privati di Barbaro sull’organon di
Aristotele – analytica priora e analytica posteriora, non al studio GENERALE,
ma alla sua propria villa! . Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barbaro” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51716107284/in/photolist-2mRuuqB-2mRcn9c-2mQHwBB-2mN8Hgb-2mNb8t7-2mMYyW9-2mLMX6P-2mLLR3n-2mLMUtQ-2mLMWGH-2mLMVmX-2mLJQmk-2mLJQRd-2mLMULU-2mLLRgi-2mKQDQ5-2mLMXqw-2mKwuhr-2mKBLhJ-2mKCdPg-2mKArEy-2mKH3ZR-2mKDteh-2mJWMoD-2mJq2uE-2mJ4GHU-CkaHMd-BVh5m5-CntuMM-BRstt1-o3jP2q-nKqBVU-nJyPnZ-o1WCtG-noDCLh-nqpN2n-npidX4-nmQUvH-noiVeB-nnFBEg-nmPeYK-nn8tfW-nmR6a7-mwamdR-mw9SoV-mwbCd5-mw9U98-mwbymC-ihDHCu-ihh9Aj
Grice e Barbaro – il vecchio –
filosofia italiana – filosofia veneziana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo. Umanista --. Grice: “As much as Speranza LOVES
Daniele Barbaro, I prefer Ermolao Barbaro; after all, he was his uncle – I
mean, Ermolao was Daniele’s uncle – and therefore HE taught HIM; I mean,
Ermolao, as a good philosophical uncle, taught the ‘minor’ (literally, since he
was his junior) Barbaro.” "Some like Barbaro, but Barbaro's MY man." Ermolao Barbaro detto il
Vecchio. Umanista e vescovo cattolico italiano. Sendo stato uomo
degnissimo, m'è paruto farne alcuna menzione nel numero di tanti singulari
uomini, acciocché la fama di sì degno uomo non perisca (Vespasiano da Bisticci,
Vite di uomini illustri del secolo XV). Ancora bambino comincia a studiare
lettere conVeronese, e il successo di quest'accoppiata allievo-maestro fu tale
che tradusse in latino le favole d’Esopo. Fece poi i suoi studi universitari a
Padova dove si laurea. Successivamente si trasfee a Roma dove entrò al servizio
della cancelleria papale. La sua carriera nella curia romana fu così fulminea
che Eugenio IV lo nomina protonotario apostolico e gli concesse la diocesi di
Treviso. Il rapporto con il pontefice, però, si interruppe bruscamente quando,
dopo che gli era stata promessa la nomina a vescovo di Bergamo, il papa assegna
il posto a Foscari. Lascia Roma e viaggiò per l'Italia ma, dopo una serie
di peregrinazioni, tornò a lavorare in curia. Si trasfere poi a Verona dove
Niccolò V lo designa vescovo e dove si sistemò in pianta stabile, tranne una
breve parentesi a Perugia come governatore. Messer Ermolao Barbaro, gentiluomo
viniziano, fu fatto vescovo di Verona da papa Eugenio, per le sue virtù. Ebbe
notizia di ragione canonica e civile, ed ebbe universale perizia di teologia, e
di questi istudi d'umanità; ed ebbe nello scrivere ottimo stile. Fu di
buonissimi costumi, e nel tempo di papa Eugenio si ritornò a Verona al suo
vescovado, e attese con ogni diligenza alla cura, e vi accrebbe assai e onorò e
multiplicò il culto divino. Era umanissimo con ognuno. Ridusse nel suo tempo il
vescovado in buonissimo ordine, così nello spirituale come nel temporale. Aveva
in casa sua alcuni dotti uomini, in modo che sempre vi si disputava o ragionava
di lettere; ed era la sua casa governata, come si richiede una casa d'uno degno
prelato. S'egli compose (che credo di sì) non ho notizia alcuna. Compose. Nulla
se ne ha alle stampe trattane qualche lettera, ma più opuscoli manoscritti se
ne hanno in alcune biblioteche, e fra essi la traduzione della Vita di S.
Anastasio scritta da Eusebio di Cesarea. Note
Vespasiano da Bisticci, Vite di uomini illustri del secolo XV, ed.
Barbera-Bianchi, Firenze. Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura
italiana, ed. Firenze, Vol. VI, pag. 808
Società storica lombarda, Archivio storico lombardo, ser.4:v.7, L'Umanesimo
umbro: Atti del IX Convegno di studi umbri. Gubbio, 22-23 settembre, 1974,
Perugia, 1977, pag. 199 Vespasiano da
Bisticci, cit. pag. 195 Girolamo
Tiraboschi, cit. pag. 808 Opere (alcune moderne edizioni italiane)
Ermolao Barbaro il Vecchio. Orationes contra poetas. Epistolae. Edizione
critica a cura di Giorgio Ronconi. 16x24 cm, pp VIII+186. Firenze: Sansoni,
1972. Pubblicazioni della Facolta di Magistero dell'Universita di Padova
Ermolao Barbaro il Vecchio. Aesopi Fabulae. A cura di Cristina Cocco. 22 cm, pp
186. Genova: D.AR.FI.CL.ET., Trad. italiana a fronte Hermolao Barbaro seniore
interprete. Aesopi fabulae. A cura di Cristina Cocco, 25 cm, pp 155, Firenze:
Sismel-Edizioni del Galluzzo, 2007. Il ritorno dei classici nell'umanesimo.
Edizione nazionale delle traduzioni dei testi greci in eta umanistica e
rinascimentale.9788884502506 Bibliografia Girolamo Tiraboschi, Storia della
letteratura italiana, Vol. VI, ed. Firenze, 1819. Vespasiano da Bisticci, Vite
di uomini illustri del secolo XV, ed. Barbera-Bianchi, Firenze, 1859. Pio
Paschini, Tre illustri prelati del Rinascimento: Ermolao Barbaro, Adriano
Castellesi, Giovanni Grimani, Roma, Facultas Theologica Pontificii Athenaei
Lateranensis, 1957. Emilio Bigi, Ermolao Barbaro, in Dizionario biografico
degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 6
luglio 2018. Voci correlate Ermolao Barbaro il Giovane Collegamenti
esterniDavid M. Cheney, Ermolao Barbaro il Vecchio, in Catholic Hierarchy.
Predecessore Vescovo di TrevisoSuccessoreBishopCoA PioM.svg Lodovico
Barbo1443-1453Marino ContariniPredecessoreVescovo di VeronaSuccessoreBishopCoA
PioM.svg Francesco Condulmer1453-1471Giovanni Michiel · SBN IT\ICCU\MILV\110912
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Venezia Portale Venezia Categorie: Umanisti italianiVescovi cattolici italiani
del XV secoloNati nel 1410Morti nel 1471Nati a VeneziaMorti a
VeneziaBarbaroVescovi di TrevisoVescovi di VeronaTraduttori dal greco al
latino. Ermolao Barbaro, il vecchio. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Barbaro” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702111083/in/photolist-2mRcn9c-2mQHwBB-2mN8Hgb-2mNb8t7-2mMYyW9-2mLJQmk-2mLMXqw-2mLMX6P-2mLLRgi-2mLLR3n-2mLMUtQ-2mLJQRd-2mLMVmX-2mLMWGH-2mLMULU-2mKwwoA-2mKCdPg-2mKwuhr-2mKQDQ5-2mKBLhJ-2mKH3ZR-2mKArEy-2mKDteh-2mJWMoD-2mJq2uE-2mJ4GHU-CkaHMd-BVh5m5-CntuMM-BRstt1-nKqBVU-o3jP2q-nJyPnZ-o1WCtG-noDCLh-nqpN2n-npidX4-nmQUvH-noiVeB-nnFBEg-nmPeYK-nn8tfW-nmR6a7-mwamdR-mwbCd5-mw9SoV-mw9U98-mwbymC-ihDHCu-ihh9Aj
Grice e Barbaro – il
giovane – filosofia veneziana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo.
Grice; “Very good.” , ermolao – the younger – il giovane, non il vecchio -- "Speranza
likes Ermolao Barbaro the Younger, but Ermolao Barbaro The Elder is MY
man." -- H.G. Ermolao Barbaro il
Giovane. Avea profondamente meditato sopra i doveri che impone il carattere di
legato a chi lo sostiene e sopra le avvertenze che devono servirgli di norma
nella pratica degli affari, ónde servir con vantaggio il proprio governo e
riportare onore anche da quello presso di cui risiede. Ei ne ha indicate le
tracce in un pregevolissimo opuscolo in
cui la prudenza apparisce compagna della onestà del candore, ed è venuto a
delineare in certa guisa il suo ritratto. Ma lo stesso suo merito fu a lui
cagione di grave calamità. Cardinale di Santa Romana Chiesa Hermolaus Barbarus Ritratto
di Ermolao Barbaro, opera di Theodor de Bry. Patriarca di Aquileia. Ordinato
presbitero. Nominato patriarca da papa Alessandro VI. Consacrato patriarca. Creato
cardinal da papa Innocenzo VIII. Ermolao Barbaro detto "Il giovane"
-- è stato un umanista, patriarca cattolico e diplomatico italiano, al servizio
della Repubblica di Venezia. Comincia l'educazione elementare con il padre
Zaccaria Barbaro, politico e diplomatico veneziano, poi in tenerissima età e
mandato a Verona dal pro-zio Ermolao Barbaro, vescovo della città e umanista di
fama, per studiare lettere latine con Bosso. Per perfezionarsi passa a Roma
dove ha come insegnanti prima Leto e poi Gaza. Un cursus studiorum concluso con
successo. E laureato poeta, a Verona, da Federico III. Segue a Napoli il padre,
titolare dell'ambasciata veneziana, e proprio nella città partenopea scrive la
sua prima opera ovvero il “De Caelibatu”. Traduce tutto Temistio, pubblicato poi, in
parafrasi. Tornato in Veneto consegue a Padova il dottorato in arti e quello in
diritto civile e canonico. Subito dopo fu nominato titolare della cattedra di
etica. Come professore insegna soprattutto sulla Nicomachea di Aristotele,
mettendo in guardia i suoi studenti dalle traduzioni in latino di Aristotele e
predicando il ritorno alla traduzione diretta dal greco, proprio come face lui.
Sono infatti di quegli anni i commentari all'Etica e alla Politica e la traduzione
della Retorica. Abbandonato l'insegnamento
accompagna nuovamente il padre in missione diplomatica a Roma. E promosso
senatore della Repubblica di Venezia e ma stavolta in veste ufficiale, si reca
a Milano con il padre per una nuova ambasceria. Il primo incarico
diplomatico arriva quando, insieme a Trevisano, rappresenta a Bruges la
Serenissima in occasione dei festeggiamenti per l'incoronazione a ‘re dei romani’
di Massimiliano d'Asburgo e nell'occasione fu investito cavaliere. Dopo
un'esperienza come savio di terraferma, e finalmente nominato ambasciatore residente
a Milano dove si accredita e rimane in carica. Venne creato cardinale in
pectore d’Innocenzo VIII nel concistoro, ma non venne mai pubblicato. L'ottima
gestione della legazione veneziana a Milano, in tempi davvero turbolenti come
quelli della reggenza di Ludovico il Moro, gli vale un anno dopo la nomina ad
ambasciatore a Roma alla corte d’Innocenzo VIII. Ed e qui che avvenne la
catastrofe. Il giorno dopo la morte del patriarca di Aquileia Marco
Barbo, Ermolao erasi recato all'udienza del papa, per fare istanza acciocché
fosse differita la nomina del patriarca successore, finché il senato non gli e
ne avesse presentato, secondo il consueto, la nomina. Ma il papa, senza punto badare
a cotesta istanza, nomina lui appunto in patriarca di Aquileja; aggiungendogli,
essere questa grazia una giusta ricompensa al suo sapere ed alla sua virtù. Il
Barbaro in sulle prime si rifiutò dall'accettare la dignità, che il pontefice
conferivagli; ma quando Innocenzo gli e lo comandò in virtù di santa
ubbidienza, si vide costretto a sottomettervisi ed obbedire. Allora il papa
sull'istante lo vestì del rocchetto, di cui, per darglielo, si spogliò uno dei
cardinali colà presenti; e poscia in pieno concistoro fu preconizzato patriarca
di questa Chiesa. La procedura era rigorosamente contraria alle leggi della
repubblica che vietavano ai propri ambasciatori, senza la previa autorizzazione
del senato, di ricevere incarichi o nomine dai principi presso i quali erano
accreditati. Allora, per giustificare la violazione procedurale, il Papa
scrisse una lettera al Doge chiedendogli di confermare la nomina, ma il
Consiglio dei Dieci, competente in materia, delibera comunque che Barbaro deve
rinunciare al patriarcato. Cosa che, dopo un po' di tira e molla, prontamente fa.
Scelse, per farla più solenne, la circostanza del giovedì santo alla presenza
del papa e di tutto il sacro collegio. Ma il papa non la volle accettare. Né
l'obbedienza sua agli ordini del senato basta per anco a giustificarlo. Poco
avveduto, non pensa di spedirne a Venezia la stessa sua dimissione al senato,
ad onta dell'opposizione del pontefice; mostrandosi dal canto suo per tal guisa
fedele ed obbediente alle leggi del suo governo. Più avrebbe inoltre dovuto
lasciar Roma e ritornare a Venezia. Ov'egli si fosse regolato così, l'affare
avrebbe cangiato di aspetto, e sarebbesi ridotta ad una semplice controversia
di giurisdizione tra la corte di Roma e la Repubblica di Venezia. Ma essendo
rimasto in quella capitale, ad onta della fatta rinunzia, né avendone dato
avviso al senato, egli fu riputato veramente colpevole in faccia alla legge, e
perciò costrinse il senato ad usare verso di lui ogni misura di rigore. Come
risultato di questo pasticcio fu bandito perennemente dalla repubblica e
interdetto da qualsiasi ufficio pubblico e privato. Quanto al patriarcato di
Aquileia, tecnicamente, ne rimase titolare ma il senato oltre ad avergli impedito,
con l'esilio, di recarvisi fisicamente, ne congelò le rendite patriarcali e
nomina Donato in suo vece, anche se la nomina non fu ratificata dal papa. Ne
deriva una situazione di stallo, durante la quale la diocesi patriarcale fu
amministrata da Valaresso (anche Valleresso), vescovo di Capodistria, con il
titolo di Governatore generale. Barbaro rimase a Roma dove decise di
dedicarsi a tempo pieno ai suoi studi. Pparticolarmente importanti, oltre alla
composizione di Orationes et Carmina in latino e alla pubblicazione delle “Castigationes
Plinianae,” disputazioni scientifiche sulle imprecisioni e sulle invenzioni
della Naturalis historia di Plinio, sono
l’epistolario filosofico che si scambiò con Poliziano e Pico, che, insieme,
costituirono un vero e proprio «triumvirato, a que' giorni potente e
celebratissimo nelle scienze e nelle lettere. E sventuratamente colto dalla
pestilenza che serpeggia nell'agro romano. Giunta a Firenze la nuova del suo
pericolo trafisse altamente il cuore dei due suoi celebri amici Poliziano e Pico.
Si lagnavano essi che la sua perdita seco involge il destino delle buone
lettere, sembrando loro che in un sol uomo pericolasse l'onere delle cose
romane. Pico anzi volle tentar di soccorrerlo, inviandogli col mezzo di suo
corriere un antidoto ch'ei medesimo componeva e che credeva atto a domare il
morbo pestilenziale. Ma quando arriva a Roma l'espresso, era di già passato tra
gli estinti. Note De Legato, recuperato
dal cardinal Quirini da un codice della Vaticana e stampato per la prima volta
nelle annotazioni alla Deca II della sua Thiara et purpura veneta Giovanni Battista Corniani, Camillo Ugoni,
Stefano Ticozzi, I secoli della letteratura italiana dopo il suo risorgimento,
Torino, 1855, Vol. II,132 Contemporaries of Erasmus, op. cit.91 Bruno Figliuolo, Il Diplomatico E Il
Trattatista: Ermolao Barbaro Ambasciatore Della Serenissima, Napoli, Guida
Editori, 1999,19 Saverio Bettinelli,
Risorgimento d'Italia negli studj, nelle arti, e ne' costumi dopo il mille,
Bassano, 1786, parte I,219 S.
Bettinelli, cit.219 Antonino Poppi,
Ricerche sulla teologia e la scienza nella scuola padovana del Cinque e
Seicento, Rubbertino, 2001,54 Vittore
Branca, La sapienza civile: Studi Sull'umanesimo a Venezia, Firenze,
1988,67 Eugenio Albèri, Relazioni degli
ambasciatori veneti al Senato, Firenze, 1846, Vol. VII,26 Giuseppe Cappelletti, Le chiese d'Italia
della loro origine sino ai nostri giorni, Venezia, 1851, Vol.
VIII,512-513 Giuseppe Cappelletti, op. cit.516 Jacopo Bernardi, Ermolao Barbaro o la scienza
del pensiero dal secolo decimoquinto a noi, Venezia, 1851,12 I secoli della letteratura italiana, op.
cit.134-135 Bibliografia Saverio Bettinelli, Risorgimento d'Italia negli studj,
nelle arti, e ne' costumi dopo il mille, Bassano, 1786 Eugenio Albèri,
Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, Firenze, 1846 Giuseppe
Cappelletti, Le chiese d'Italia della loro origine sino ai nostri giorni, Vol.
VIII, Venezia, 1851 Jacopo Bernardi, Ermolao Barbaro o la scienza del pensiero
dal secolo decimoquinto a noi, Venezia, 1851 Giovanni Battista Corniani,
Camillo Ugoni, Stefano Ticozzi, I secoli della letteratura italiana dopo il suo
risorgimento, Torino, 1855 Vittore Branca, La sapienza civile: Studi
Sull'umanesimo a Venezia, Firenze, 1988 Bruno Figliuolo, Il Diplomatico E Il
Trattatista: Ermolao Barbaro Ambasciatore Della Serenissima, Napoli, Guida
Editori, 1999 Antonino Poppi, Ricerche sulla teologia e la scienza nella scuola
padovana del Cinque e Seicento, Rubbertino, 2001Thomas Brian Deutscher,
Contemporaries of Erasmus: A Biographical Register of the Renaissance and
Reformation, University of Toronto Press, 2003 Altri progetti Collabora a
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Barbaro il Giovane, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana.Opere di Ermolao Barbaro il Giovane, su openMLOL, Horizons Unlimited
srl.Opere di Ermolao Barbaro il Giovane, su Open Library, Internet
Archive.David M. Cheney, Ermolao Barbaro il Giovane, in Catholic
Hierarchy.Salvador Miranda, BARBARO, iuniore, Ermolao, su fiu.edu – The
Cardinals of the Holy Roman Church, Florida International University. Ermolao
Barbaro, in Treccani – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Emilio Bigi, BARBARO, Ermolao, in Dizionario biografico degli
italiani, vol. 6, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1964.PredecessorePatriarca
di AquileiaSuccessorePatriarchNonCardinal PioM.svg Marco Barbo7 marzo 1491 - 2
maggio 1493Nicolò Donà Controllo di autoritàVIAF54942062 · ISNI0000 0001
2133 7866 · SBN IT\ICCU\MILV\088873 · LCCNn80137686 · GND (DE) 118657119 · BNF
(FR) cb121940202 (data) · BNE (ES) XX1216846 (data) · NLA35180637 ·
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Categorie: Umanisti italianiPatriarchi cattolici italianiDiplomatici
italianiNati nel 1454Morti nel 1493Nati il 21 maggioMorti il 14 giugnoNati a
VeneziaMorti a RomaBarbaroAmbasciatori italianiPatriarchi di AquileiaTraduttori
dal greco al latino[altre] Ermolao Barbaro. Keywords: il celibato, lettera a
Pico, lettera a Poliziano, traduzione della retorica, commentario all’etica
nicomachea, comentario alla politica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barbaro”
– The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702720210/in/photolist-2mRcn9c-2mQHwBB-2mN8Hgb-2mNb8t7-2mMYyW9-2mLJQmk-2mLMXqw-2mLMX6P-2mLLRgi-2mLLR3n-2mLMUtQ-2mLJQRd-2mLMVmX-2mLMWGH-2mLMULU-2mKwwoA-2mKCdPg-2mKwuhr-2mKQDQ5-2mKBLhJ-2mKH3ZR-2mKArEy-2mKDteh-2mJWMoD-2mJq2uE-2mJ4GHU-CkaHMd-BVh5m5-CntuMM-BRstt1-nKqBVU-o3jP2q-nJyPnZ-o1WCtG-noDCLh-nqpN2n-npidX4-nmQUvH-noiVeB-nnFBEg-nmPeYK-nn8tfW-nmR6a7-mwamdR-mwbCd5-mw9SoV-mw9U98-mwbymC-ihDHCu-ihh9Aj
Grice e Barcellona – i
soggeti e le norme – filosofia siciliana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Catania). Filosofo. Grice:
“Perhaps my favourite by Barcellona is “I soggetti e le norme” – vide my
conversational norms – and ‘soggeto’ of course relates to ‘intersoggetivita,’ a
pet concept of Italian phenomenology!” Grice: “Of course, for us British
subjects (to the Queen), the idea of ‘soggeti’ cannot quite make sense! But
Barcellona’s point is fascinating: the Romans did have the concept of a
sub-iectum and an ob-iectum: they like a symmetrical expression formation, too!
Barcellona shows that we have to speak of ‘soggetti’ to get intersoggetivita –
and then the norma – a very Roman concept, which as J. L. Austin said
(following John Austin), does not quite translate as ‘norm’ – “We don’t use
‘norm’ in ordinary language.””
Barcellona shows that it is ‘I soggetti’ i. e. at least a dyad that
makes ‘the noi trascendentale’ adding up ‘l’io trascendentale’ with ‘il tu
trascendentale’ and ‘l’altro trascendentale’ that we get the norm. Barcellona
got to the idea after seeing the French film, ‘l’un et l’autre’!” -- Pietro Barcellona, deputato della Repubblica
Italiana LegislatureVIII Gruppo parlamentarePCI Dati generali Partito politicoPartito
Comunista Italiano Titolo di studioLaurea in giurisprudenza ProfessioneDocente
universitario Pietro Barcellona (Catania ),
filosofo. È stato docente di diritto privato e di filosofia del diritto
presso la facoltà di giurisprudenza dell'Catania. È stato membro del Consiglio
superiore della magistratura. Si laurea
in Giurisprudenza nel 1959. Nel 1963 consegue la libera docenza in Diritto
Civile e insegna a Messina. Dal 1976 al 1979 è componente del Consiglio
Superiore della Magistratura. Ha diretto il Centro per la Riforma dello Stato,
fondato con Pietro Ingrao. Nel 1979 è
stato eletto deputato nelle file del Partito Comunista Italiano ed è stato
membro della commissione giustizia della Camera fino al 1983 . A causa della sua formazione teorica
materialista, ha suscitato nel molto scalpore
la sua conversione raccontata nel libro Incontro con Gesù. Docente emerito di filosofia del diritto
all'Catania. Altre opere: “Diritto privato e processo economico” (Jovene
Editore); “L'uso alternativo del diritto, Laterza); “Stato e giuristi tra crisi
e riforma, De Donato, Bari); “Stato e mercato tra monopolio e democrazia, De
Donato); “La Repubblica in trasformazione. Problemi istituzionali del caso
italiano, De Donato); “Oltre lo Stato sociale: economia e politica nella crisi
dello Stato keynesiano, De Donato); “I soggetti e l’intersoggetivo della norma”
(Giuffrè); “L'individualismo proprietario, Bollati Boringhieri); “L'egoismo
maturo e la follia del capitale, Bollati Boringhieri); “Il Capitale come puro
spirito: un fantasma si aggira per il mondo, Editori Riuniti); “Il ritorno del
legame sociale, Bollati Boringhieri); “Lo spazio della politica. Tecnica e democrazia,
Editori Riuniti); “Dallo Stato sociale allo Stato immaginario. Critica della
ragione funzionalista (Bollati Boringhieri); “Laicità. Una sfida per il terzo
millennio, Argo); “Diritto privato società moderna, Jovene); L'individuo
sociale, Costa & Nolan); “Politica e passioni. Proposte per un dibattito,
Bollati Boringhieri); “Il declino dello Stato. Riflessioni di fine secolo sulla
crisi del progetto moderno, Ed. Dedalo); “Quale politica per il Terzo
millennio?, Ed. Dedalo); “L'individuo e la comunità” (Edizioni Lavoro); “Le
passioni negate. Globalismo e diritti umani, Città Aperta); “Le istituzioni del
diritto privato contemporaneo, Jovene); “Tensioni metropolitane, Città Aperta);
“I diritti umani tra politica, filosofia e storia, A. Guida); “La strategia
dell'anima, Città Aperta); “Diritto senza società. Dal disincanto
all'indifferenza, Ed. Dedalo); “Fine della storia e mondo come sistema. Tesi sulla
post-modernità, Ed. Dedalo, “Il suicidio dell'Europa. Dalla coscienza infelice
all'edonismo cognitivo, Ed. Dedalo); “Critica della ragion laica, Città Aperta);
“Diagnosi del presente, Bonanno); “La parola perduta. Tra polis greca e
cyberspazio, Ed. Dedalo); “L'epoca del postumano, Città Aperta); “La lotta tra
diritto e giustizia, Marietti); “Il furto dell'anima. La narrazione post-umana,
Ed. Dedalo); “L'ineludibile questione di Dio, Marietti); “L'oracolo di Delfi e
L'isola delle capre, Marietti, Elogio
del discorso inutile. La parola gratuita, Ed. Dedalo); “Viaggio nel Bel Paese.
Tra nostalgia e speranza, Città Aperta); “Incontro con Gesù, Marietti); “Declinazioni
futuro/passato. Poesie, Prova d'autore, Il sapere affettivo, Diabasis); “Il
desiderio impossibile, Prova d'autore”; “Passaggio d'epoca. L'Italia al tempo della
crisi, Marietti); La speranza contro la paura, Marietti); “L'occidente tra
libertà e tecnica, Saletta dell'Uva); “Parole potere, Castelvecchi, . Sottopelle.
La storia, gli affetti, Castelvecchi); La sfida della modernità, La Scuola, . 978-88-350-3599-2 Pietro Barcellona e la
pittura Una delle più grandi passioni di Pietro Barcellona, è stata senza ombra
di dubbio la pittura. Comincia a dipingere all'età di 20 anni. Due sue opere si
trovano in esposizione permanente presso il "Museo dei Castelli
Romani". Un suo quadro fa parte della collezione permanente della
Salerniana, Galleria Civica d'Arte Contemporanea "Giuseppe
Perricone". Vanta diverse personali:
1959"Mostra Città di Catania"; 1997"Galleria Arte
Club" di Catania, con testi critici di Manlio Sgalambro e Salvo Di
Stefano; 2001"Galleria Arte Club" di Catania. Espone un nucleo di
ventiquattro opere sul tema "La città della donna" con testo critico
di Giuseppe Frazzetto; 2002"Tensioni metropolitane" presso
"Fondazione Luigi Di Sarro" di Roma; 2002"Galleria
Quadrifoglio" di Siracusa; 2002"Fondazione Filiberto Menna" di
Salerno; 2003"Mitologia del quotidiano" presso "Galleria La
Borgognona" di Roma, con testi in catalogo di Simonetta Lux e Domenico
Guzzi; 2003"Contrasti" presso "Galleria Tornabuoni" di
Firenze, con testo in catalogo di Fabio Fornaciai e dello stesso Barcellona;
2004"Museo dell'Infiorata" di Genzano; 2006"L'impossibile
completezza" presso il "Museo Laboratorio di Arte Contemporanea"
di Roma, Patrizia Ferri e Mario de Candia; "Il desiderio impossibile"
presso "Le Ciminiere", Sala C2, di Catania, con testo critico di
Mario Grasso. Saggi sull'opera di Pietro Barcellona Su Pietro Barcellona, ovvero, riverberi del
meno, Atti del Convegno di Studi su alcune opere di Pietro Barcellona, Mario
Grasso. Prova d'Autore, .
978-88-6282-154-4 W. Magnoni, Persona e società: linee di etica sociale
a partire da alcune provocazioni di Norberto Bobbio, Glossa Edizioni,
Milano, M. De CandiaFerri, Pietro
Barcellona raccontato dai suoi amici, Gangemi, 2006. 978-88-492-0933-4 T. Greco, Modernità,
diritto e legame sociale, in «Materiali per una storia della cultura
giuridica», XXXI (2001), n. 2, 517–541.
S. Pegorin, Emergenza Antropologica. Pietro Barcellona e la lotta in difesa
dell’umano Riconoscimenti Il 29 marzo , il Comune di Misterbianco (CT) gli
intitola una piazza. Note Pietro Barcellona, su CameraVIII legislatura,
Parlamento italiano. "Pietro
Barcellona: Mi converto, dal Partito Comunista a Gesù Archiviato il 18
maggio in .", Ragusa News. l'Unità, 11 maggio 2003: "Pietro
Barcellona, Il Piacere di Dipingere"//archiviostorico.unita/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&
file=/golpdf/uni_2003_05.pdf/ 11CUL31A.PDF&query=Andrea%20 carugati
Archiviato il 4 marzo in . Corriere della Sera, 1º febbraio 2006.
Omaggio a Pietro Barcellona pittore, giurista e filosofo.//archivio storico.corriere/2006/febbraio/01/
Omaggio_Pietro_Barcellona_pittore_giurista_co_10_06017.shtml Inaugurata la piazza intitolata al prof.
Pietro Barcellona | Misterbianco.COM Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio
su Pietro Barcellona Napolitano: Pietro
Barcellona fu un protagonista in Italia. Messaggio del Colle ai funerali del
giurista, ex parlamentare Pci e membro laico del Csm[collegamento interrotto]
articolo pubblicato da La Sicilia, 9 settembre , sito lasicilia. Filosofi
italiani del XX secoloFilosofi. Pietro Barcellona. Keywords: i soggeti e le
norme, filosofia siciliana, Barcellona, comune di Messina. Conte di Barcellona,
lo stato imaginario, i soggeti, l’intersoggetivo della norma, communita intersoggetiva,
discorso futilitario, societas, communitas, socius, seguire, ‘follow’,
Toennies, communitario, stato keynesiano, stato imaginario, anima smartita,
conflitto e cooperazione sociale, anima smarrita, communitas, immunitas,
sociale, societas, discorso inutile, Grice, end of conversation, goal of
conversation, deutero-esperanto, linguaggio privato, i soggeti, l’intersoggetivo.
--. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barcellona” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51790203619/in/dateposted-public/
Grice e Barié – Enea –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “”My favourite
of Barié’s is his parody of Apel: “il noi trascendentale”!” -- I like Barié; he
commited suicide, which is not that rare among philosophers – same percentage
than the general population – cf. Durkheim, “Le suicide: a sociological enquiry,””.
Grice: “Barié tried to play with the idea of the transcendental, and he did –
he applied it first to “I” (‘l’io trascendentale’). When I wrote my thing on
personal identity, I preferred the pronoun ‘someone,’ to stand for ‘I’, ‘thou,’
and the allegedy THIRD ‘person,’ ‘he.’ – Barié has also edited Vico’’scienza
nuova,’ and provided a ‘compendium’ of the SYSTEMATIC kind, favoured by some,
of the history of philosophy, with sections on ‘roman’ philosophy
(“l’epicureanismo romano,” “lo stoicism romano,”) --.” Grice: “Perhaps the closes Barié comes to me is in his ‘The concept of the
‘transcendental,’ since I struggled with that in “Prejudices and
predilections,” where I feign to think that perhaps ‘transcendental’ is too
transcendental an expression and should be replaced by ‘metaphysical,’ but my
tutee, Sir Peter, being more of a Bariéian, disagreed wholeheartedly!” – Grice:
“I cherish Apel’s comment on Barié: “Surely, if we are going to have ‘l’io
trascendentale,’ we need at least ‘l’altro trascendentale,’ or as I prefer ‘il
tu trascendentale.’” Partendo da posizioni kantiane pervenne a una posizione da
lui stesso definita neotrascendentalismo, scuola di pensiero di cui fu il fondatore.
Nato il 19 ottobre 1894, si avviò agli studi di diritto che concluse solo a
seguito del primo conflitto mondiale, che lo vide impegnato inizialmente come
ufficiale di cavalleria e poi come aviatore. Nel 1924 ottenne la laurea in
filosofia. Inizialmente attestato su
posizioni kantiane (La dottrina matematica di Kant nell'interpretazione dei
matematici moderni, 1924, e La posizione gnoseologica della matematica, 1925),
nel corso del suo progredire intellettuale Barié perviene a una posizione
filosofica critica nei confronti della dottrina kantiana. Di questo passaggio è
emblematica l'opera Oltre la Critica, del 1929, che mette in luce le difficoltà
della dottrina precedentemente sostenuta. Il periodo metafisico Oltre la critica segna
il punto di svolta dell'attività filosofico-intellettuale di Barié, che
comincia a sviluppare un interesse metafisico, forse dovuto all'influenza di
Piero Martinetti, del quale era stato allievo. In questo senso il filosofo, nel
suo primo approccio alla metafisica, si pone su un binario che era già stato di
Spinoza, salvo poi rendersi conto del fatto che anche la posizione spinoziana è
in realtà insufficiente per tentare di risolvere il dilemma della relazione essere-pensiero.
Si ha quindi l'approdo di Barié al pensiero leibniziano, testimoniato
dell'opera del 1933 La spiritualità dell'essere e Leibniz. L'approdo al neotrascendentalismo e Il
Pensiero Libero docente dal 1929, ottiene la cattedra universitaria nel 1933
spostandosi di conseguenza a Genova, Roma e infine Milano, nella cui università
succede al suo maestro Martinetti nella cattedra di filosofia teoretica.
Consapevole del fatto che, per quanto superata, la lezione antidogmatica di
Kant non poteva essere completamente ignorata, Barié inizia una profonda
revisione del proprio sistema teoretico che lo porta a diminuire drasticamente
le sue pubblicazioni (di questo periodo sono il Compendio sistematico di storia
della filosofia, 1937, e Descartes, 1947) e che culmina con la pubblicazione de
L'io trascendentale (1948). Nel 1950 fonda l'istituto di filosofia dell'Milano
con lo scopo di renderlo centro propulsivo di una discussione
filosofico-culturale con le realtà filosofiche del tempo che si sarebbero confrontate
con la nuova visione di Barié, adesso orientato verso una concezione di
filosofia come metafisica, ossia di metafisica quale causa della realtà
sensibile e del pensiero. Con lo stesso scopo nacque nel 1956 la rivista Il
Pensiero. Altre opere: “La posizione gnoseologica della matematica – e
dell’arimmetica in particolare” 7 + 5 = 12” (Torino, Bocca); “Oltre la critica
della ragione e del giudizio, il criticismo (Milano, Libreria editrice
lombarda); “Spirito e anima: La spiritualità dell'essere e Leibniz” (Padova,
CEDAM); “Compendio sistematico di storia della filosofia con particolare
attenzione alla filosofia romana sino Cicerone” (Torino, Paravia); “L'io
trascendentale non-psicologico” (Milano-Messina, G. Principato); “Il concetto
trascendentale” “Il trascendentale” (Milano, Veronelli. Note
Atti del V Congresso Internazionale di Filosofia, Napoli, 1924 riproduzione fotografica (p.1-109) da
OpalLibri antichi riproduzione fotografica
(p.110-202) Davide Assael , Giovanni
Emanuele Bariè, Milano, CUEM, 2008. Davide Assael, "Il
neotrascendentalismo di Giovanni Emanuele Barié", in Rivista di Storia
della Filosofia, 2009; (4), 731–759.
Davide Assael, Alle origini della scuola di Milano: Martinetti, Barié, Banfi,
Guerini e associati, Milano, 2009.
Milano Accademia scientifico-letteraria di Milano Università degli Studi
di Milano Scuola di Milano Giovanni
Emanuele Barié, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Giovanni Emanuele Barié, su
sapere, De Agostini. Giovanni Emanuele
Barié, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Opere di Giovanni Emanuele
Barié, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Filosofia Università Università. Giovanni Emanuele Barié.
Keywords: Enea, lo stoicism romano, Enea, eroe romano, eroe stoico, Catone, il
noi trascendentale, vico, storia vichiana, arimmetica. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Barié” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51789801666/in/dateposted-public/
Grice e Baricelli –
filosofia italiana – Luigi Speranza (San Marco dei Cavoti). Filosofo. rice:
“Italian philosophers can be eccentric; Baricelli started commenting Plato but
his masterpiece is a philosophical tract on sweat, as experienced by the
athletes Plato was familiar with!”Medico, chimico e filosofo di fama italiana
ed europea, Giulio Cesare Barricelli- nacque a San Marco dei Cavoti nel 1574 (o
1575) e fu da molti, pure erroneamente, ritenuto originario di Benevento o di
San Marco Argentano in Calabria. Erudito
e studioso di poliedriche attitudini e capacità, studiò medicina e si interessò
di filosofia, tanto che ancora giovanissimo fu autore di commenti alle opere di
Platone, mentre nel pubblicò l'opera in quattro libri De hydronosa natura sive
de sudore umani corporis, sulla natura e la terapia della sudorazione umana,
nelscrisse l’Hortulus genialis, edito a Colonia e Ginevra ove raccolse antidoti
e sudi sulle intossicazioni, e successivamente diede alle stampe il Thesaurus
secretorum, opera in cui sono elencate le cure ed i rimedi per svariate
malattie e problematiche quotidiane. Nel
1623 pubblicò poi un trattato sull'uso del siero del latte e del burro come
medicamento, intitolato De lactis, seri, butyri facultatibus et usu, e nello
stesso anno gli fu conferita la cittadinanza beneventana. Cultore di studi
umanistici Barricelli scrisse anche alcuni epigrammi latini e morì in Benevento
tra il 1638 ed il 1640. A San Marco dei
Cavoti, nel corso degli anni, gli vennero intitolati un antico circolo ricreativo
(sec.XIX-XX), la scuola elementare (1942) ed infine la strada ove si trovava
l'abitazione in cui visse, già denominata Via Pastocchia, che ospita anche un
monumento in suo onore, opera dello scultore Giulio Calandro (1989). A proposito dell'intitolazione della scuola,
su espressa richiesta dell'allora commissario prefettizio Mario Jelardi,
l'insigne storico Alfredo Zazo propose la seguente epigrafe che ne riassume le
doti i meriti: A GIULIO CESARE BARRICELLI
CHE DEL RINASCIMENTO EBBE LO SPRITO INFORMATORE E LA VASTA ATTIVITA' PROFUSE
NEL CAMPO DELLA SCIENZA MEDICA DELLE LETTERE E DELLE SPECULAZIONI FILOSOFICHE
IL COMUNE DI SAN MARCO DEI CAVOTI A RICORDO ED INCITAMENTO PER LE GENERAZIONI
CHE IN QUESTA SCUOLA SI EDUCANO NEL FERVORE E NELLA FEDE DEI NUOVI GRANDI,
AUSPICATI DESTINI DELLA PATRIA XXVIII OTTOBRE 1942XX E.F. Opere. “De hydronosa natura sive de sudore
umani corporis”; “Hortulus genialis”; “Thesaurus secretorum De lactis, seri,
butyri facultatibus et usu. Alfredo Zazo, Dizionario bio-bibliografico del
Sannio, Napoli, Angelo Fuschetto, Giulio Cesare Baricelli, 1989 Andrea Jelardi,
Dizionario biografico dei Sammarchesi, Benevento. nis
Hortuli Genialise RERVM MEMORABILI VM , QVAE IN HORTVLO Geniali continentur
elenchus . A Beſton accenfus,perpetuòarder. A cos. 12. poribus effe &tus
procreari. Admirandumauxiliuin advefica calculum , qwo abſque inciſione
diffoluitur de expurgatur. 211. • Alapides renum vefica frangendos mirabile
remedium . 204 Ammantium lac ab alimentis recipere qualita tem . 174 Agricola
nonſemel tempeftates e Serenitates pre dicunt. Abſyntbiumroborat ventry
Abfynthij Romani mira i 170 Abſalonformararus. Acorescapitis bufonefanartit Achatis
lapidismirabilis Acetum ad i &tus venenosov Acetiſcyllitici miraoperato
371. Adam eratſapiennriſsimus Aegyptiſ in annimenfura 233 Aegyptiorum opinio de
elementis. Isbe Aepyptij in morborum -Chrafacileadiguem recara 178 Aemorrhagia(
electumprefidiuna : 176 . ( Aegypti hierogliphicis vacabant, 2085 Aegyptiorumarcana
ait quartanam Aegyptijregesopera magnifica do admiranda an . Liquitus
conftruxiffe.zi. Aegye MONACENSIS. REGLA BIBLIOTHECA Tunt. Aegyptiorum in
condiendiscorporibus obferuatio. Levis ſalubritatem ad vite produktionem maxå
moperè videmusconducere. 34 Aegyptiorum Auditim ir lapidis á vefsica extra
Sione Aegyptij quomodoignea prefidia component Aerisnatura quomodo nofcatur Afflictionem
tribuere intellettum . Agricolafilicibus in horreis cur vtantur. 200 Agricola
cwufdam interitus. Alexandri mors.quo veneno fuexit caufata Alexandri
ſudoredolens. 197 Alexandri uder.fanguineus. Alexandrimagnanimitas in ftudiofos
Amazones mammas dextras ſecabant. Amoris originis controuerfia Amantes
surfacile irafcantur, Ambarum vi ebrietatemfaciat. 307 Animalia quadam Arni
tempora pradicero. 224 An transformatio realis detur. An animal in igne viuere
poſsie. 18 Anni computum diuerfimode fa &tum Animalia ex putri materia non
ſemper extitiffe. Anicularum quarundam facinona. Antimony in vitrum redu &
io. Anuli Bubali ad gramphum vtiles: 98 Anularis digitus cordi amicus. 100
Antora napello inimiciſsima. 175 Anginaprafocatina vt compefcatur. 197 Animalia
a vteerikus Dis dicata, 226 58 Anguil 214 290 306 343 120 Anguillarum cum
Aquilone affe &tus Animantiumcobur à cominé oritur. Anni climacterici
quales. Annibalisſtratagema in boftes. Anniprefagia à quercus galiis: Ancitodorum
aliquor obferuationes. 171 A priteftium virtus mirabilis. 162 Apri ægrotantes
hederam quarunt. Api efum infauftum veteribus, 165 Apri dentes adanginan
dompleuritidem vtiles Apes imminente pluuia adalucaria redeunt Apiumri
usherbafcelerata; Apum mirabilisſagacitasdan officium Aqua mirabilis ad
viſusdefectum Aquilinumlapidem partum accelerare , 126 Aquafrigidaqualiter
apparetur. 314 Arcades qualiter annum computabant. 39 Archelai Regis in populos
immanitasi go Arboris ficusmirabilisnatura: Arietislingualantium ostendit.
Araneorum reła in medicina vfurpata Arbores quandoquein lapides mutati. 90
Artemiſia quando in radicibus carbonem producati Articulares dolores quomodo
curentur. Archelaus Rexaſtronomie ignarus Ariſtotelis opinio demularum ortu .
Ariftotelis rerum indagator , Ariſtolochia piſces ftupidosfacit. Archelaus
turrim incombuſtibilem fecit: Aſphaltirisla 'usmirabilis natura, Apronomia
medicis neceſaria Ararum vomitu humores expurgat. Aparagor um 2u corporis
nitorem producit. 245 Afphespropè halico ibum fiupidi. 272 Aſparagi vi
mirabiliter erefcant. 279 Ap.dum natura qualis. Athenien esfacerdotes cicutam
comedebant Atrila canis instarlatrabat Athenienfium ura erga fiicos Aues vfu
Taxi nigra fiunt. Auri vfus in medicina Aufonij locus de mecha uxore Afilici
odor vermesgignis Bafilijanhabitat pelicudinibm Aphrice Ibid . Bafilifcum
haudàgallo excludi. Bardana mira vis in affe& u uteri. Bituminis vis in
hiſterica paſs. Braſsica, dorura fimul fatahereunt. Bruta aliquot lafciuiffe in
fominas, Bryonia mira virtus in affe&tu-matricis. Braſsica fuccus contra
ibrietatem . Britânnurum præfidium in furiofos. Bubuloftercore colicam ,anari.
Bufonis lapis cóntra vinena . Bufonis.mira propriet as in Aſcite. Arnes dura
utfiant teneriores. Canes.obmutefcunt vmbra Hyena. Capramaximèepilepſia
tentatur, Capillorum defluussm laudano curare Cani Canicula exortum à veteribus
previſum , Carnes cocta ,quomodo crude videantur. 161 Canes fabrorum exiguos
habent lienes Cancri vini quomodo co &tifimulentur Capre in luftinis montibuseuomunt
Capilli noftri plantis affimilantur Caftratilienem , dan vitella ouorum
deglutire ne. queunt. Cauſtica remedia ,qualia adftrumas Caryophillgte vis
adcorporismacular. 287 Caftorei teftespropèrenes adeffe Caminus quo fumum non
emittet, Calphurnius beftia uxores dormientes necabat.33% Catelli membrorum
dolores confopiunt, Cacodamonem mali nnncijpraſagiumattuliffe.32 Calendula
folis amica. 341 Capiuacceiopinio de menftruofanguine Cantharidum mira vis
nocendi Carthaginienfium prefidium ad deftillationes in . fantium .
Cati.cerebrum hominesdementat. Cornilacrymaſworesſuſcitat, Corui renouantnr
eſos ferpenris Cervi carnes ad vita produftionen . 107 Cepamab Hyppocrate
deteftari. (109 Ceruorum vita longiſsima 281 Cerius Alatus Francorum inſignie Cerninum
penem.conceptum facere. Ceraforum aqua epilecticis vtiliſsima 348 Chamedrij
mira vis ad lienofos Chalcanti vfus quidoperetur Chymici forebantapud veteres: Cibm
ܫܐ 306
Chuslapidusquomodo apparetur. Cicutam uterinum furorem domare Cicuta virginum
mammas detumat. 344 Cynorrhodi radix ad hydrophobiam Cyminum hominibupallorem
inducere. Cyprinorum vfuspodlagricis infeftus. 135 Cyprini officulü caluarisad
spilefiä mirabile Clarorum virorumexitus. Lorui morientiúm fæditatem fentiunt,
1j2 Colicu dolor quomodofanetur. 88 Collegium veterum pro tuendaſanitate. ) 2OS
Cotoneorumfeminaadcombufta. 208 Confedtio fenibuspraftantiſſima Corpusutglabrum
reddipofit Corpora venenatá vtnofcantur. 24% Coralline vis adlumbricos Corniplanta
hydrophobiam ſuſcitat Consensus de disensus animantium Corneliu Celji
valetudinis precepta . Creationis mundi opiniones. 10 Croci
metallorum.compofitio. : 29% Crinesmulierum qua via denfiores fiant Cupreff folia
Strumas auferre. Cur fit vtquis clauos vomere videatur. Cucumeres oleum
abborrent. Cur quiti impronisè moriantur. D. Ature flores Defunium capillorum
ab hydrargiro, Demoris afturia apud indos. IS Democrittfedulitas in olei
caritare . Demofthenes quomodocuraffet lingue impedimen 14.290. Denti. 306 174
Dentium dolores bufonis tibia janari: 10% Dentium ftupor àportulacaremouetur Dentium
dolores paſtinaca marina radio conquieſterr Defipientia mulieribus familiaris,
Digiti annularis ſympathia . 160 E. EBura quoartificiocolorentur. Ebriy
variafufcipiunt deliria , 312 Echini ſagacitas in ventorum mutationibus. 41
Elephant's in fæminam mirusamor. 81 Empiricorumremedi4periculofa Epistola
quomodo in ouo celetur Equam grauidam marem admittere. Equagrauida fomas occiditur,abortit
Equorum teftes ad ſecundas depellendas praftan . tiſsimi. 317 Equusphaleris
accinctus acrior.fot. 363 71 Asies rugata quomodo emendentur. Faciem hominis
diuerfimode alterari, 42 Familia in Creta mire faſcinatrices Faces ardentes ex
Betula corticibus. * 339 Fætor extin &ta lucerna grauidisperniciofu , 48
Febricitantium fitis qualiter compefcatur Febrem à quodum pifceillico exitari.
194 Fæmina aliquot inrares mutate, , 160 Fæmina pruritu corripiuntur in
pudendis in prima menftriornm eruptione. -Fæcula Brionie in affecte vteri Feniculorum
femina aliquando exitialia Filij Filij â parentibus figna recipiunt. Ficorum
efumfudoremparerefætidum Filices ab
agris qualiter exterminentur. Flores in Aegypto fine odore. 145 Flamma quomodo
in aqua excitetur. 176 Fluuij aliquot mirabilis natura. Fructum vinearum , iumentorumg
interitus pre ſagium Ferarum natura in hominibus mirum in modum deft. 8a Fons
mirabilis apud Garamantes. 299 Frigida post pharmacü exhihita, felici fucceffu Fraxinum
ferpentibus inimicum : Furiofi in pleniluno,magis infaniunt. Futi vulnera
quomodo curentur. Fungi ubi in lapides mutentur. 90 fumus hydrargiri quid
efficiat Galenu,Medicorum princeps Aline appenfo milui capite furisunt. 188
Galega, defcordij vis contra peftem . Gallinarum.stercus adfungorum viru . 276
Gallinarum adeps quomodo diu ſeruetw .. 28% Gallina quomodofæcunda fiant.
Gentium.don populorum ingenia. 17€ Germanorum mos circa coitum . 72 Gigantes
quando in orbe fuerint, Gymnofophifta apud Indos mirabiles. Grauidationis muliersus
affertio. 7 % Grauida mulieres marein admittunt. 73 Grauida conceptü quomodo
valeant occisltare. 22 Grauidaaliquando fætupariuntfine vnguibus. Gra 200
Greuide mulieres curpallida. 139 Greci de Iudeorum monumentis nihiladduxe 189
H. Auftulus aqua matutinus falubris . Heclaignis aqua nutritur Hemicrania
Gagate fubmouetur. 133 Homicrania à carduo benedi&to fanythr. 216 Herfetes
ceroro tabacci coufanari. Hellebori nigti ele&tio in Anticris. Hederam cumvino
habere diſcordiam Hemorrboidailisherbe mira virtus, 340 Hellebori nigriextra
& nm . 160 Hybernie miraaerisſalubritas, Hidropsà viridi lacerto confanata Hydrophobosè
poto catuli congulo aquam illico ap petere. Hippocratis opinio de
balbisdefe&tiua, 74 Hydrargiri minera quomodo reperiatur. Hyppiatriquo studioftellas
albas in equorum fu cis confingant Hydrophobia rara dicuffion 54 Hydrargiri
mira natura. .183 Hydrargirum remedium eft advermes. Hydrargirum utilead
celidolorem Hydrargirumremedium in pofte. Hydrargirum defluuium capillorum
facere. Hominis vite longitudinis breuitatis figna, Homo repertus mira
vaftitatis. 170 Hominumcur aliquotfubtilioris, vel graffiorisin . genijfiant.
187 Homines Principis vitam imitantur. 17 320 326 Horai. 61 Homines inuenti
miragracilitatis. 245 Hominis compofitionismirabilia Hominesquomodo fiant
abfemy. 327 Hominum corpora olim vafta Ibis in degyptofolum moratur,
Ignispraſidra admorbos fele &ta . 303 Infantes à quibusnutricibm ladandi.
23 Infantis inumbilicum animaduerfio. Indi ante Hiſpanorum tranfitum variolas
baud paffi funt. 88 Infania ex folano fyluatico quomodo emondetur.85 Indus
quidam longiffime vite. Infantes eiulareautoladein mammillu , Infantium ruptura
ut curentur. 100 Infantes vipreferuentur ab epilepfie. Infantes ànutricibus
mores recipere 270 Infantis umbilicum conceptum facere. 334 Inser Lupum eAgnum
diſcordia . Inter brafficam , de vitesfympathis. 338 Iumenta clitellaria fibilo
, cantu á laboribus fubleuari Aminas aris& vitrileo extrahi Lapidis ignem
redensis compofitio. Lapathiam camas duras,teneruofacit, Lacerta apudIndosmira
magnitudinis, Lu ,fanguisaliquandopluers viſs. Lepusannis decemviueredicitur .
Letargicos à Satureia vigiles fieri. Leonardi vatri de partu opinio. 102 237
Leones Leonesaftatttertianam patiuntur. 348 Leporumnonomnes hermaphrodui, 294 Leo
timet Gallung. ISO Linteaapud Indos igne depurari, Littera aurei coloris
quomodofiant: Lignum èviſco Latum diſcutita Lienem adcorporis turpitudinem
valere 191 Lolium praun inducit ſyptomata . 86 Lolij nocumenta Aceto fanari.
Ibid . Lups afpe&tu homines obmuteſcunt. Irupi pauci reperiuntur,ones autem
multa Zapi quomodo ouibus nacere nequeant. , 106. Lumaca lapispartum ,accelerat
Ludi in conuinijsfeftiuiquales, 19 Lupi,canes, doFeles ut curentur, 175 Lupi in
fenio ſerpentesin renibus.generant. 234 Luna confinusad inferiora, mirabilis.
236 Lue gallica canis infeftus 243 Lumbricosquandoquegenerari virulentos MAmirimum
vitulum àfulmine non ladi, izg Aris yubri admiranda : Maleficas artesir
Septentr. exerceri 176 Mascitius, quàm fæmina animatur , 182
Maritimarumtempestatumprafagia Maculanigre in morbisquid portendant.
Mădragoravitibus infundit vim ſoporiferam :214 Mares in mammillisſapè
Lachabent.. 323 Marina pallinace radiusad dentiumdelores yti lis. Mommarum sum
vtero ſympathis Medicinepraktamsia quanta fit .. Menftrualisfanguinis immanita
, 92 Medea an fuerit venefica. 138 Memoriaquo prafidio augeatur. 138 Mercury
pojisura in hominūnatiuitatibus, quan tum valeat. Mergorum i anferum proprietas
contraHydropho biam .. 49 Mellis vfu vita vtiliffimus. 285 Medicina multa
abanimalibus capta . Meſpulilignum ab ab ortu preferuat. Menftrua plerifqs
fæminis in fenio. Mirabiles in hominibusproprietates dari. Mithridates
inculpatè venena bibebat. Mithridatis antidotum ad venena . Mirafontis inEpgroproprietas
, 285 Mille pedum preparatio adcalculos. 223 Mille folium aduulnera
conſolidanda . Morborumprauorum natura , 69 Morus planta prudentiffima .
Morfusquidam à cane rabido latrauit. 1893 Mors inArthritide quandofuccedat. 190
Mures futurorum praſcj. Muftela cur rutam comedat. Multa prafidia ab animalibus
homines accepije. 316 Mulierum capilli quomodo in vermes mutentur.zo Monftruofa
Dæmonis apparitio. Mulieres pregnantes vt nofcantur. Muftella
fanguisadepilepfiam . 197 Mundi creatio .ornatus. Mullus sterilisatem producit.
167 Mulierum pinguedoſuamis. 22 67 Mutin 140 Mulieresrarò inebriantur.
Mulorumgenuspropagare nequit. Mulieresin. Ponto animalibus.nocentes . 247 N :
64 392 Natura presidentia in brutis .. Natsuitates.hominum quando ob'eruende 230
Natura arcanaprovira producenda. Neronis crudelitas quoque pads a nutrice
wiginem fumpfit . 26 . Nero Tapfiam magnificauit. Nereides, Sirene lepe vifa
fust : Nili proprietu admiranda 10 Niues rubentes in Armenie. Nodi in vmbilico
infantis quid sotentas Nuxairiftica quomodofiat vigore for 1 1 20 % 139 O
Learum fterilitatis preſagium : olei, vini,fegetumquefterilitatis prefagium.
olei balneumproconkulfis laudatum . aleun amigdalarum dulcinm advariolarum
veftigia probibendu. olea Minerka a yeteribu dicata: 114 slei cinemani
raracampofis. 194 elina olinarum oleum adunguium pannas. tur. Par 200 Oleum
latris colicum affe& um domato 108 Oleum lixiuio miftum albeſcit. 332.
Opthalmia aliquando.folo afpe & u communicar 203 @ris
ulceraquomodofanemtur: Oryalus viſu auriginoſos.sanat.. 203: Orestis cadauer
odto cubitorum . fa de corde Cersui.corina uznena.. Oxes capite
mouentpluuialmininente. Quesalba ubi nigrefiant. 352 P Arimdi
difficultasquandoqueà curto umbi lco prouenit. Paracelfafalſaopinio
dehomunculipartu. 108 Panaritiumqualiter illico fanetur . Parthi, Scytheque quo
venenofagittas linjrent.318 Pestilentitemporeinter precipua præfidia.neris 18
Aifcatio fummum iudicatur. Papauer agreſte contra pleuritidem , Papauer
ſolisfpheraminfequitur, Perfa.aliis coquinas replebant: Pediculicorpora
morientium relinquunt 79 Beftem ex occulta antipashia oriti. 147 Penna Ibidis
ſerpentes-terret, 339 Perniones:quomodo fanentur: Phalangii'ueneni opera.
Phrensuci cur fortiſsimifint, Phrenetidem exnigro-corallio quiefcere 146
Bhreneticialiquando mirabilia loqui. Pharmacum dare, quando periculofum . 242
Philomenaà vipera deuoratut. 288 jot 3.1 $ 276 1:59 Pifa 102 Piſces
marinifalubres, japidi, Pifiesfrixi quomodo in venenum tranfeunt. 72 Pici
mirandulani ingenium ; 183 Picem cum oleo habere colligantiam Pici opinio de
fcientiarum varietate. 16 Portulæca foment contra lumbricosa Plurimamèterra
furfum rapi iterumque deorfumi cumpluuiis precipitarz. 333 Polypodijmira
viscontra cancrosa 239 Porri caputquomodo augeri pofsit: 25+ Potentia imaginatiua
in conceptu mirabilis . 295. Planta fimileseffe&tu fimiles , vinute... 77 %
Pluvia imminentisprofagia. Plumburglans in coli dolorepraffans. Prognoftica
tempestatis pluusoſa. Prafodiam mirabile ad calculos 337 Preſedia admiranda
inangina. Pfli, do Marfi ferpentibus amici. Pulchritudo, deformitas afpeétuo
quid portono. dat . 175 Pulchritudo corporis quo termino confitna . $ . Euella
à teneris veneno odusara . 36 Pulſus deficientes anfemper mali, 140 Queen
Vanium profit neris puritasin peffe. 103 Wartanarii improuifo rimore fananiky.
Mr. Qua via volucrumpennacolorentur. 199 Quartana quomododebellerur. *****
Quibuscorpusflorsfcit,his lien decrefcit. 219 Quo artificio es aduratur. 153
QuorumdamiAnimalium vitalongitado 117 Quorumdam animalium naturl . Quorumdam
homină virtutes, & ornamenta. 196 quo artificio mares ab. uxoribus.
[tyfcipere vales 235 Quo Artificio duriſsimafaxa frangerevaleamus.30 Quomodo in
urdieriſomasexcitari valeamus.341 mks. R Aneterreftris oleum aditrumas !
Rexbarbarumcidoniatum gravidisfummum medicamentum . 263 Rerum Sympathiam in
aliquot brutis Admirabi. lem effe; . 113 Rută inter alexiteria medicaméta
cõnumerari, 49 Rores marini virtus miranda , 123 Ruta mira. vis contra venenum
. S jabbarici junijmiraproprietas, Sanguis menftruus quandoque ex oculis
velgingi uis excluditur, 77 Salis prunelle virtus,de compofitio. 149 Sartyriam
carnofum venerems excitat ,flaccidum vero extinguat. 706 Sanguis
menstrualisexucis, ſcarabais venenū . 218 Sanguis caninus hydrophobis vtilis.
Saliua bominisfcorpionesnecat . 317 Scarabei miraproprietas. 280 Scarabai
cornuti vis in febre ciendo . 223 Sciffure laborum.usmanuum remed . 262 Scythe
quomodo diuabfque cibo vivant: 3:32 Berpentesquibus fufficibusarceantur.
Sene&tutisincommodah Sepermusinter mafculos meră retinet virtutã.226 14 128
Serpeniums ona, velgenitura in pornfumptaSerpenting gignunt. 319 Singulis
quopatto cohibeatar, Socij Diomedis in volucres conneri . Solis confuxm ad
inferiora maximus. Solatri potencia contra parafitos. 40 fomniorsuspreſagia à Deoconcedi.
238 Sodami -Gomorrbi fruétus vari. 342 Solis defe & us quomodo
comprehendatur. 343 Spurij robuftiores legitimis fuus . 95 Spe& acula
veterum vbi celebratamagis. Spuweis epilepticis non femper filo Spatiuwvil e
fecundum Acryptias. Stygis Arcadiemortifera natura . Sirumarum mirum remediusa.
100 Strumaper vrisano quandoquepurgalai 257 Sterilituin bomine ytdiriwratur
SAMIremedium temporepeffu. 210 Succinum parium mulieris accelerare , Syrupus
fpinæ infeftorie ad temelusume. SS SwimeisterSidera calidißima . T. sbacci vw
apud Iudos. 15 Talpeoleum ad Aruma. 257 Taurifanguis inter VEREBANwerari. 29
Taurilapillu veſice contracalcules. Taum Philoſopbw famen cabiberet . Ferro
lenonia contra ventna . Tbagfia mira vis in facillasi . SO Thappa 319 274 T 93
138 213 105 - Thapſia veſsicas, do ademata excitat. 9 Torpedinismira vis in
capitis dolores. Trauli,cobalbi,do femilingues unde finns . Tuberum
efufrequenti hominescadunt. 13? Aleriane vis contra epilepfiam , V Variola
,morbilli affe&tmnoni, 74 Verruce quomodo extirpentur. Verbena vis in
capitis doloresi Verbena virtus contra frumas . 89 Vermium in corporibus
hominum varia figura 18 periuntur. 93 Vermes rubei in cerebro adnati. 134
Verbafci florss Sole aecedente decidunt, 137 Veterum fepulchra mitèconftrudia .
158 Veterum ruditasdo, in foribendovarietas. 197 Vena ſarustella ſpleneticis
auxiliatrix Veterum in nuptiisconfuetudo. 275 Veteres equoram lacrymas
admirabantur. 192 Venenumà diſsimili extinguigecontra , 309 Vermes in
cordis.capſula exorti, 322 Ventorum mutationes ab Echmo previderi. 41
Vifusacies,in quibus fueritadmiranda. Víres collapſa odoribus reſarciri
poffunt. 47 Vitrioli, com fulphurisoleumad vermes. Vipera
catellosfuosparit,utnutrit. 60 Vipera inter ſerpentes fola parit animal
vinã.ibe Viperamorſus Hellebori nigri radicibus fanan. Vinum pro Afthmate
ſele&tum Vito longena quomodo apparemme. 361 zur . Vina Vina alba quomodo
rubra fant , Virginitatismulierum figna . Vitrum quo modo diuidarur. Vinum
venenatumquibus profuerit. 29L Vinum à veteribusfeminis interdi & um . 304
Vifcum quercinum epilepticis falutare. 318 Vitri puluerem calculus comminuere.
344 Vimivſus elephanticisfalutaris. 325 Vlcera formicantia quomodo breui
fanentur. 59 Vricornu proprietas, bet cognitio. Volatilium ,piſciumque fecunditatispreſagia.
Vrtica folia ſalutem , vel mortem informi in lotio prefagiunf. DeMedicinepraftantia.
Edicina decçio demiſla eft: ita Mercurius Trifmegiftus apud
Aegyptiosſapientiſsi. profectoad fluxilis natura goltre remedium Deus
altiſsimus ho minibus conceſſit; vt fanitatem conſer . uare, &perditam
recuperare commodè valeamus. lofa autemà vitæ conftituto termino, & à morte
nequaquam viuen . sia omninoliberare; ſedcorpora à cor suptione, &
feftinadiſſolutione præfer uarepotius iudicatur. Amazonescur mammasdextras
refecauerint. Mazones illæ, tantum à ſcriptori bus celebratæ ,propterea fibi
má. mas dextras refecari curabant, vt magis A armis HORTYLYS GERIAITS. armis
gerendis aptæ fierent; vel potius Demannum , & brachiorum impedire • tur
motus. Mihi zutem Galeni opinio 7. Aphor. 43.ex fententia Hippoc. admo dum
placet; qui has mulieres id feciffe aferuit, vt manus dextra robuftior cua
detet.Hocautem à ratione alienum mi. nimèeft, quippe nutrimentum ,quod in
mammam dextram à natura diſtribui debebat,totum in manum , & brachium
immittebatur. Strab . lib . 11. Olearum fterilitatis prefagium . Ergiliarum
occultatio , & emerso Sucularum tempeftuofi fideris, fi pluuiofam
tempeftatémouerit , & vitis, &olei germinationé fuffocabit.Ex hac cauſa
Democritus olei præuifa caricate, magna vilitate oliuas in toto co tractu
coemit, mirantibus , quipaupertatem , do & rinam , & quietem homini
oble & a . mento cffeſciebant : at vt apparuit cau . fa , & ingens
dinitiarum acceffio ,reftituis mercedem , contentusleita probaffe, 0 . pes fibi
in promptu eflc cum vellet. Ex Fran, luncino in Sphæra. V IVLII CÆSARIS BARL.
CELLI & SANCTO MARCO, Do&oris Medici, & Philofophi, Hortulus
Genialis. DeMedicinepraffantia. Edicina decçio demifla eft: ita Mercurius
Triſmegiſtus apud Aegyptios ſapientiſsi musfcriptum reliquit. Hát profecto ad
fluxilis natura noltre remèdium Deus altiſsimus ho minibus conceffit; vt
fanitatem confere uare, & perditam recuperare commodè valeamus. lofa autem
à vitæ conftituto termino, & à morte nequaquam viuen. sia omnino liberare;
fed corpora à cor ruptionc, &feftina diſſolutionepræfer uarepotius
iudicatur. Amazones cur mammasdextras refecauerint. AMiszonesilla, tantum
àfcriptori .. mas dextras reſccaricurabant,vt magis armis HORTVLVS GERIATS.
armis gerendis aptæ fierent; vel potius De manuum, & brachiorum impedire
tur motus.Mihi autem Galeni opinio 7 . Aphor. 43.exfententia Hippoc. admo. dum
placet; qui has mulieres id feciffe aferuit, vt manus dextra robuftior cua
deret.Hocautem à ratione alienum mi. nimé eft, quippe nutrimentum , quod in
mammam dextram à natura diſtribui debebat,totum in manum, & brachium
immittebatur. Strab . lib.11. Olearum fterilitatis præfagius . Ergiliarum
occultatio , & emerGo Sucularum tempeftuofi fideris , fi pluuiofam
tempeſtatemouerit, & vitis, & olei germinationé fuffocabit. Ex bas
cauſa Democritusolei præuifa caritate, magna vilitate oliuas in toto co tracta
coemit, mirantibus , quipaupertatem , do & rinam , & quietem homini
oble & a mento effe ſciebant : at vt apparuit cau . $ a , & ingens
dinitiarum acceffio ,reftituit mercedem , contentusleita probaffe , o pes Sbi
in promptu effe cumi vellet. Ex Frap, lundino in Sphæra. V BA KICELLI O aqua
Nili, Nilifluminisproprietas uædam aquæ reperiuntur, quæ fæ . cunditatem
proprietate quadam inducere celebrantur: ita eſt quæ ſua vi nitroſa, vt voluit
Seneca 3 . Natur. quæſt. natura. fæpè vteros per petua fterilitate occluſos
aperuit , & conceptumfecit: Vnde mulieres in AE gypto,vtfcripfit
Ariſtot.quinos, & qua ternos frequenrer fætus edunt ; ratio non alteri tribuitur,
quàm Nili aquæ , quæ illis in potu familiariſlima eſt. De Mundicreatione. N qua
Anni parte Müdus à Deo crea tusfuiflet,diſcordes interſe ſcriptores funt, vt
Hebræi , Iſmaelitæ , Chaldæi, Arabes,Aegyptij,Græci, & Latini.Mula ti enim
in Aeftate, nonnulli in vere,alij verò in Autumno conditum fuifle con tendunt.
Moyles fuiſſe in Autumno affe . rere videtur, cum in Geneli dicat, Ger minet
terra berbam virentem , &facientem emen, Glignum pomifera faciens fru
&tung iuxta YO & TVLVS GENIALIS. iuxtágenusfuum.Ex Aegyptijs nonnulli A
eſtate creatum afferunt. Inter Latinos Cardinalis Aliacenfis vere nouo condi
tum voluit.Inſuper variant,quia Plane tas aliquot afferunt in mundi principio
fuiſſe creatos in fuis domibus: Solem ſci licet in Leone, Lunam in Cancro, Martē
in Scorpione, Saturnum in Capricorno, Venerem in Libra,Mercurium in Virgi ne,
Iouem in Sagittario. Alij , Planetas volunt, in fuis altitudinibus, præter
Mercuriú ,omnes fuiffe collocatos. Que autem opinio fit verior , D.Thomas 4
fons dif. 2. artic. 8. videnduseft. Murium fagacias. Vres ex ônibus
animalbusquo dám do cognofcuntur. Cum enim domus aliqua conſenuit,
&ruinamaliquam iamcom minatur, primi ſentiunt; & reli & is fuis
cauernis, priſtiniſque fiabitationibus, domum relinquunt, properè fugientes, aliudque
domiciliú quærunt. Aelianus de var, hift.lib.z.& Leuisius Lempius do fest.
nat. Pluuja Mamodofuturorum præcij effe SARICELLI Pluuioſa tempeftatis
Prognoſtics. ' Ergiliarum occafus matutinus , lo nubile Coelo accidat, hyené
plu . uiofam denunciat,fi fermo Cælo ,alpe ram.Sic Veneris,aut Martis per
Pleiades tranfitus aliquot dicbus pluuioſam ciet tempeftarem.Saturnus inſuper
cum cor pore , aut radijs ad a &turum accedit, i dem minatur.Ex
Plinio,óobferuat.Stadi. Agricola non femel tempeftates, & f renitates
predicant. Vltos profe & o cognoui pafto res, plerofquc agricolas , quiin
prædicédislerenitatibus , & tépeftatib. magnæ mihi erant admirationi,quare
tanquamcnriofus fciſcitabar , qua via, &ordinc hęcſcirent?ratus forfan
fimpli ces , &idiotas non poflc tanta certitudi . ne futura prænoſcerc
;nifi vel Dei mu. nere, vel Demonisa & uid fieret . Exre latu diuerfas
ftellarum conftellationes abijs experientia cognitas , no & u , ani .
maduerti:quarüobferuatione vera pre M dicunt HORT TITS GENIALIS. dicunt . Experti
enim ſupt Pleiades in Autumno , quæ in principio no&is ori. untur cum Marte
, velVenere mouere tempeftatem . Aréturum non fine gran dine emergere. Hadorum
ortum & oc . cafum tempeftatem pluvioſam in regio . nibus noftris
prænunciare; & alia , quæ in promptu tales habent, licet alijs no minibus
hæc fidera nominent . Quare mirum non eft, priores ftellarum per fcrutatores
circa carum prædi& iones multa nobis reliquiffe,cum id ſapientia , &
obferuatione perfecerint, quod iam idiotæ fine magiftro facere valent.
Valeriana miraviscótra epilephan . leriana ſylueftris, quęlpontènal.
citur,præter innumeras, quæ ab au & oribus ei tribuuntur virtutes, hancia
diù, in multis , atque in fe ipfo Fabius Columna in bifter, plant . expertam
ape suit ,vt ſemel,velbis radicis puluerisco chlearij dimidium
cumvino,aqualadte, aut alio quouis decétifucco & proggro sicómcditate,
& ætate fumptü,epilep Valeri Ga correptos liberet. Extirpatur ante quam
caulem edat , & puerisexhibetur, & preſertim infantibus, qui morbo hoc
facilè laborant. Retulit auctor ſe multis puerulis lac propinafle ; multiſ“;
amicis donodediffe : qui deinde diuino prius numine glorificato ,
puluerehuiusplan tæ illis reftitutá fanitatem affirmarunt. Transformationes
hominumin beſtia as noneffe reales. Vædá monſtruoſæ hominü tranſ formationes in
beſtias à multis au Storibus fcribuntur; & inter alias, de il la Maga
famoſiffima Circe, quæ ſocios Vlysis in deftiasfertur mutaffe : de Ar codibus ,
qui forte ducti tranſnatabant quoddam ftagnum atq; ibi conuerteba tur in Lupos:
de Diomedis ſocijs, qui in voluitres conuerſi ſunt , plurima'addu cunt. Hoc non
fabuloſo mendacio ,fed hiftorica affirmatione multi confirmat, vt in fpec.
natut.Gib. Vincentius Beluacenſis retulit. Aflerunt enim (vt ajtSolinus
)velmagiciscantibus, vel her barum veneficio in feras corpora tranſ formari.
Dicunt in experimento Neuros populos Aeftatis tempore in lupos mu tari, deinde
fpatio, quod his attributun eft exacto, inpriſtinam faciem reuerti, Anautem
huiuſmodi trasformatiorea . lis ſit vel illufivè facta àDemone,D.Au guft.lib.
18. de ciuit. Dei ita nodum enu. cleauit: Quod transformationes homi numinbruta
animalia,quæ dicuntur ar te Dæmonum faétę ,non fuerint fecun dum veritatem ;
fed folum fecundum apparentiam . Quippe opus hoc tantum Deieft ; vt in Concil,
lacro A Acyrano fancitum eft. • Demonis aftutia apud Indos. Erba, quam
Tabacchum appella mus , apud Occidentales Iodos in magno cratpretio .Cum
eniminter hos dere graui agebatur ,ad Sacerdotemil. lico
accedebat,quitotuoegotiúexpone bát. Sacerdos auté corá illis fronde , vel
furculum Tabacchiſumebat, qua carbo . nibus inic & ta, fumum peros, &
nares ex . cipiebat , & inftar mortuiin terrá cade bat. Paulo poſt
conſumptis fumivirto bus in cerebro, reſponsa, ſed ambigua, prout Dæmones
perilluſiones, & fimu Jachra fuggefferant , populo dabat ;qua tanquam
religioſa, & veriſsima cunati recipiebant. Ita profi eto hominum ini. micus
Gentiles decipere confueuerat. Monardes de rebus Indicis. Quid
Picusdefcientiarum varietate fentiret. CH *Vm quodam die Ioannes Picus Mi
Urandula de fcientiarum varierate diſſereret,in Hebrçorú ,inquii ,Philofo phia,
omnia funtveluti quodam numi ne facra, & in maieftate veritatisabdita Ceu
prodigia quædam , & arcana myfte sia . In Græcorum veròdifciplinis, in
genium , acumen , & omnigena eruditio apparet , vt nulla vnquam gens
fuerit, quæ dicendi copia , & ingenij elegancia cam illis poffitconferri
.InRomanaved sò Academia, ca ferè omnia, quæad ci. witaté, & vitæ
morespertinent, &graui. * , & copiosè funt explicata,ac magni fica
NORTÝ Ers GENIALIS. P. ficè diđa. Sic ve grauitas maximè Roo manis, &
imperijmaieftas,Grçcisinge nium, &acumen; Hebræis do & rina fe .
cretior , & quaſi diuinitasaſiribi poſsit, Crinitus da honeft. diſcipl.
lib.g. Subditos , Principis vitam vtpluri. mumimitari Rincipis vitam fubditi
maximopere imitantur. Hinc fa & um eft,vt ex Philofophica vita Marci
Imperatoris, magnum virorum doctorum prouentu ærasilla tulerit. Solent enim
plerumque homines vitam Principis æmulari iux . ta illud Platonis à Tullio in
epift.ad Lé tulum reperitü : Quales fum in Republica Principes,sales folers
effe cines.Quapropter ex bonitate Principis Marci, plurimila philoſophari
finxerunr,vt abeo ditarë . tur. Ex Herodiano, & Xiphilino. Rutam allium
ferpentibuset werfari. Vtä odor,allija; ferpentibus max ex teftimonio Ariſtotelis
9.de.biſtor. animal.c. 6. habemus muſtelam , cum dimicatura eft cum ſerpentibus
, rutam comedere. Hac etiam ratione ducti Perfæ( auctore Simone Sethi )
coquinas allijs replebāt, vt ipfasà ferpentiú contagio tuerentur.
Animaliaoriri, & viuere poſſe in ig ne compertum eft. Agna admiratione
dignum eſt illud, quod ab Ariſt. s.de hiftor. animal.6.19.adducitur; animalia
ſcilicet oriri, & viuere in igne,cum elementum hoc omnia comburat: &
nullatenus pu treſcat. In Cypro, inquit, infulaærarijs fornacibusvbi , Calcites
lapis ingeftus compluribus diebus crematur,beſtiola in medio igne naſcuntur
pennatæ ,paulo mufcisgrandibus maiores, quæ per igne Saliant, & ambulent.
Equidem fià tanto viro hocnon aperiretur ; vix credere homincs auderent , cum
totum rationi aduerſetur; fed hæc, & alia maiora à po fentiſlimanatura
fieri poſſunt, 10 Lacus HORTVLvs GENIALIS . C Lachs Affhaltitis mirabilis
natura. Yommemoratione dignum puto Alphaltitis lacus naturam expo nere.Salfus
ille quidem,ac ſterilis eft,fed tanta leuitate , vt etiam, quæ grauiſſima
ſunt,in eum iacta fluitent:nec quiſquam demergi in profundum ne de induſtria
quidemfacilè poſſit.Denique Veſpaſia mus , qui eius viſendica uſa illucaccelle
sat, iuſfit quoſdam natandi infcios, vin &is poſt terga manibus, in altum
deijci, & euenit omnibus, vt tanquam vi fpiri. tus farſum repulfi , deluper
Auitarent. Joſepbas lib. 5.de bello Iudaicri.9. Piſces marinos falubriores,
& fapidi. ores efe fluminum piſcibus. lices, tum pidiores, tum falubriores
ſunt ijs, qui in fuminibus, ftagnis , lacubus, auc riuulis viuunt.Salfedo enim
duriorem facit carnem , & fubtilioris fubftantiæ . Contra in piſcibus, qui
ſunt in fiumini bus, &perinde eorú caro excrementitia eſt muccoſa, &
infuauis. Vndeapud Co. lumellam extat lepidum didū. Philip pus cum ad Numidam
hofpitem deue niſlet, & fibi è vicino fluminelupi for moſum
appofitúdeguftaffet,ex puiſſet guc dixit: Peream ni piſcem putauerim ! vſque
adco à Tyberino,velmarino dif. ferre putauit, vt illum piſcis nomine in. dignum
iudicauerit. Mulieris cinni fogant ſerpentes, da in vermesmutantMr. ulierum
capilli, quibustantopere gaudent, & pro quorum ſtructu ra in exornandis
multum conſumunt te . poris ,cremáei, ferpentes abigere vifi sūt: fin autem in
aquam inijciantur, in ver mes non diù retenti commutantur. Plurimos homines
aqui per tenebras, de per lucem vidiffe. Erum natura opulentiſsima admi ſus
aciem ,oculoſgue ſplendentes pręſti tit; vt multi felium more noctu vagari
liberè potuerint. Legitur de Alexandro per tenebras æquè,ac per lucem vidiſſe;
viſum adco acerrimum habuit Galenus, quod in lomnis, patefactis repentè pal
pebris, magnamante oculos lucer via debat, vtiplede ſe fidem facit lib. 7.Hip
port. Go Platon , plac.6.4. At mirabilior erat TiberijCeſaris proprietas; qui
in tenebris exactè videbat;de qua re adeo admiratur Tranquillus, vt id pro mira
culo ſcribat. Cibusfapidiſsimus quomodo apparetur. Viſapidissimum cibum habere
de liderat, Gallinaceos pullos, qui la &te & panis micis laginati lipt,
in menſa procuret, ij profe &to præſtantiſsimum ſaporem exhibent, mireque
cum palate ineunt gratiam . Andereriam carycis nu tritus, tum ad medicinam, tum
ad gula faporem eſt optimus, & piçlertim iccur. Vnde non mirum L in Inſula
Hiſpa niola apud Indos, porci harundinibus zacchari faginatitantæ , ſapiditatis
, & bonitatis ſint, vt febricitantibus etiam exhibeantur, Gigan eft
muccofa, & infuauis.Vndeapud Co. lumellam extat lepidum di& ú. Philip
puis cum ad Numidam hofpitem deuc niſlet, & fibi è vicino flumine lupi for
mo ſum appofitú deguftafſet,exfpuillet guc dixit: Peream ni piſcem putauerim !
vſque,adco à Tyberino,velmarino dif. ferre putauit, vt illum piſcis nomine in .
dignum iudicauerit. Mulieris cinni fogant ferpentes, do in vermes mutantur.
ulierum capilli,quibustantopere gaudent, & pro quorum ſtructu rain
exornandis multum confumunt té poris,cremári,ſerpentesabigere vifi sūt: fin
autem in aquaminijciantur, in ver . mes non diù retenti commutantur. Plurimos
homines aqui per tenebras, acper lucem vidiffe. REErum natura opulentilsima
admi randam fæpiſsimè hominibus vi. ſus aciem ,oculoſque ſplendentes pręſti
tit; vt multi felium more noctu vagari liberè potuerint. Legitur de Alexandro
per tenebras æquè, ac per lucem vidiſſe; viſum adco acerrimum habuit Galenus,
quod in fomnis, patefactis repentè pal pebris, magnamante oculos lucern vi.
debat, vtipfe de ſe fidem facit lib. 7.Hip porr. Platon . plac.6. 4. At
mirabilior erat Tiberij Ceſaris proprietas; qui in tenebris exactè videbat ;
dequa re adeo admiratur Tranquillus, void pro mira culo fcribat.
Cibusſapidiſsimus quomodo apparetur. QlideraGallinaceos , pullos,quila &e
& panismicis laginatiſipt, in menſa procuret, ij profe &to
præſtantiſsimum ſaporem exhibent, mireque cum palato ineunt gratiam. Anderetiam
carycis nu tritus, tum ad medicinam, tumad gulæ faporem eſt optimus, &
pięlertim iecur. Vnde non mirum G in Inſula Hiſpa niola apud Indos, porci
harundinibus zacchari faginatitantæ , ſapiditatis, & bonitatis ſint, vt
febricitantibus etiam exhibeantur, Gigantes in orbequando fuerint ? G. Igantum
foboles paulo ante Dilu ( uium apparuit, patet hoc in Geneſi c.6.quando
ingreſſi ſunt blijDei ad fili as hominum : poſt autem Diluuium aliqui
fueruntgigantes , qui tamen non multo tempore durauerunt. Bonitas e nim naturæ
( vt inquit Abulenfis c. 3 : Deuteronomij) in cibis, & afpectu cæli ad
terran habitatam remen humanum in tanta virtute continebat, vt tanti robo ris,
& ftaturæ homines ætas illa produ. ceret; Poftea paulatim deficiente natu,
ra,tanquam ad fenium múdus ifte decli . nauit, & humana corpora cum viribus
minorata funt. Adfacies mulierü rugatas ſelectum præfidium . ( N gratiam
rugatarum mulierum , & quæ maculas in viſu fortitæ fuerint, quo ſenium ,
turpitudinemque faciei abfcondere valcant, optimum adduca mus præſidium . Alumen
tritum, & cum recentis oui albumine agitatum ,ſi dein de I HORTVLVS
GENIALIS. 1 de ferbuerit in olla,& { patula ligno coti nuo mouebitur,in
vnguenti ſpiſfitudi nem tranſit. Hoc f biduo , vel triduo facies mane &
vefperi collinitur , non modò emaculari & erugari, verum ſum mepulchram
&gratam eam reddi ani maduertent. Maxima eft folis excellentia , do in hec
inferiorainfluxus. Am maximè Homerus Solis natura, & excellentiam
admirabatur , vt illú Deorú patré,hominūá; vocauerit. Ipfe enimomniú aftrorú
Rex eft, & tempora cuncta moderatur: annos,menfes, & di os diſtinguit,
& efficit; nos fua luce læti ficamur, & eiuscalore ſanamur. Ipfe vi.
rentes herbas, & terræ nafcentia germi. narefacit, & flores redolere.
Ipſefruges, producit, fructusmaturat, aerem puri ficat, lucem affert,
tenebraſque repellit, elementa tranſmutat,animalia gignit, gemmaſque pretiofas
cum admirandis viribus ex terræ viſceribus mira virtute spitøre facit, Hominųm
ipſe, cum ho mine BARACRILI Gigantes in orbequandofuerint? Glucos Igantum foboles
paulo ante Dilu ( uium apparuit, patet hoc in Genefi c.6.quando ingreſſi funt
alijDeiad fili as hominum : poſt autem Diluvium aliqui fueruntgigantes, qui
tamen non multo tempore durauerunt. Bonitas e nim naturæ ( vt inquit Abulenfis
6. 3 . Deuteronomy )in cibis, & aſpectu cæliad terran habitatam femen
humanum in tanta virtute continebat, vt tanti robo ris, & ftaturæ homines
ætas illa produ ceret; Poftea paulatim deficiente natu , ra ,tanquam ad fenium
müdus iſte decli. nauit, & humana corpora cum viribus minorata ſunt.
Adfacies mulierürugat asſeleétum præfidium . Ngratiam rugatarum mulierum ,
& quæ maculas in viſu fortitæ fuerint, quo ſenium , turpitudinemque faciei
abſcondere valcant, optimum adduca mus præſidium. Alumen tritum, & cum
recentis oui albumine agitatum , fi dein de I HORTVLVS GENIALIS, de ferbuerit
in olla, & ſpacula ligno coti nuo mouebitur,in vnguenti fpiffitudi nem
tranfit. Hoc ſi biduo , vel triduo facies mane & vefperi collinitur , non
modò emaculæri & erugari, verum ſum mepulchram &gratam eam reddi ani.
maduertent. Maxima eft folis excellentia , din hec inferior ainfluxus** TO Am
maximè Homerus Solis natura, & excellentiam admirabatur, vtillu Deorú patré
,hominúý; vocauerit. Ipſe enim omniú aftrorú Rex eft, & tempora cunctamoderatur:
annos,menſes, & di es diftinguit, & efficit; nos fua luce læti.
ficamur, & eius calore ſanamur. Ipfe vi. rentes herbas, & terræ
nafcentia germi. nare facit, & flores redolere. Ipſe fruges producit,
fructus maturat, aerem puri ficat, lucem affert, tenebraſque repellit, elementa
tranſmutat,animalia gignit, gemmaſque pretiofas cum admirandis viribus ex terræ
vifceribus mira virtute qpicere facit, Hominum ipſe , çum ho mine BARICELLI
minegenerat,& tandem quicquid in ter ra oritur , & occidit ,
corrumpitur &ge neratur, in eius poteftate eft :fic ait Ari
ſtot.z.degener.d corrupt. quod propter acceſsú , &receffum Solis in circulo
ob liquo ,fiuntgenerationes, &corruptio pes. Hæc, & alia tali lideri
Creator om. pium largituseft. Falfißimum eft Salamandramin igne viuere pole . B
Ariftotelc, & Aeliano,Salaman dram non modò in igne viuere, verum etiam
illum extinguere proditú eſt. His ſuffragatur Plinius lib.io.c. 67. qui tantum
alleruit Salamandræ rigore elle,vt igné glaciei ad inſtar extinguat, Hi autem
famigeratiſſimi viri dormi. tare videntur, cum omnia & comburi, &
conſumi ab igne poſle iudicentur, Falſum ergo axioma eſt;breuique fpatio
animalillud, antequã comburatur, licet rigidiffimú foret, in igne viuere
verifia mile eft.Totú hocexperientia innotuit. Narrat enim Matthiolusin
lib.2.6.56 .Dia foridisin agro Tridentino ,Veris,& Au. Tumpi tempore,maximam
Salamandra rum copiam reperiri,fe autem ,vtexpe rimentum caperet eius , quodde
Sala mandra vulgo fertur , plurimas in igne conieciſſe, fed eas prorſus
exarſifle ,bre uique penitus eſſeconſumptas. Sabbaticifluuj admirada
proprietas. I Nter Arcas , & Raphandas ciuitates (teſtimonio Iofephi.7.de
bel. Iudaico ) regni Agrippę, Sabbaticus fluuius repe ritur, ita à leptimo die,
quem ludzire ligiosè colunt, appellatus. Hic copiofus fluit, nec meatu
ſegniseſt , mirabilemg; naturam obtinuit, liquidem interpofitis lex diebusà
fonte luo deficit,audumq; & ficcum alueum relinquit. Quod auté mirabilius
eft , nulla mutatione facta ſeptimo die fimilis exoritur, talemque continuo
ordinem obferuare pro certo ab omnibus cognitum eft. Quam fitexitiofumpro
lattandisine Fantibus vitioſas eligerenutrices. Vtrices pro lactádis puerulis
ma lis moribus imbutas, vitiofas , in . B eptas, crudeles vel ſuperbas
reijciendas exiſtimo: mites autem , benè moratas, fine vitio, & prudentes
cligendas. Pueri enim ex ijs educati ob acceptum nutri mentum à parentum natura
recedunt, & 1 ad nutricisvitia , vel prudentiam aliquá inclinationem
habent. Indelegitur Ne Pi ronem crudeliffimum à fuis progenito ribus longè degeneraffe(
quamuis pravá inclinationem vincerepotuiſſer) ijenim benigniffimi fuerant: ipſe
autem à crue delillima nutrice lactatus, & connutri tus, propriam matrem
interfecit. Menſtrualisfanguinis mulierum immanitas. Aximum contagium in
mulieris i ei F credidit.Refert enim nouellas vites eius pernecari contactu
,rutam , & hederam illico mori, apesta & is aluearijs fugere, lina
nigrefcere, aciem in cultris tonſor rum hebetari, æs graue virus & ærugi
nem contrahere: equas , li lint grauidæ, ta &tas abortire,multaque alia
pernicio famala ex illius contactw fieri tradidit. Sed longe à veritate diftar
hic auctor: cuiuslibet enimmulierisfanguinēmen i ftruum virulentum effe
falfamum eſt, quippe in ſana muliere, non differt & Yanguis à fanguine
vitiumque illius in i quantitate tantum perliftit,vtbenè Ca piuacceusin fua
Praxi recenſuit, fecus eft in morboſa muliere, ex menftruali enim iſtius
fanguine nõmodopericula, quæà Plinio adducuntur, eueniunt, ve - rum etiam alia.
Equidem canes epoto · menſtruo in rabiem vertuntur. Homi nes in he & icā ,
& phthiſim , fià veneficis, eis in potu tribuitur , deueniunt: Oleze
contacte ſterili fcunt . Alia ctiam ex il lius virulentia contingunt, quæ
reticere melius eſt. Frigidumpotumpoſt pharmacum af fumptum magnæ vtilitatis
afue tis fuiſſe. Egrotabat oliin in Sicilia Prorex Ioannes à Vega: ſumptoque
Phar maco ſegniter purgationem habebat. Medicusfamiliaris , vtaluum irritaret ,
juris pulli ſine ſale pararú cyathum co B 2 A ram Principe habebat ; illumque
nau . ſeantem , & tale brodium abhor. rentem , vtebiberet exorabat. Super
ueniens autem Philippus Ingraſsia , iua ris vice , libram aquæ frigidæ cum vn
cia zuccarimediocris albedinis propi. mauit. Erat enim ille frigidæ potioni af
fuetus,atqueiecore percalidus. At frigi. da cpota, deſtructa eft confeſtim
naufea fedatilque nonnullis in ore ventriculi morſibus , talem è veftigio
purgationé feliciter perfecit, vt gratias referre In graffiæ pro tali frigidæ
potione,cupiens, argenteum illud vas,in quo repofita fri gida fuerat, pretij
aureorum nummo. rum quinquaginta , gratiſsimo animo donauerit. Ingraff.
de.frig.por.poft medic. Verrucas cuiufdam animalculi liquo reperfanari. Eferam
quod mihi in Apuliæ quo dam loco, circa verrucas fucceflit. Expetebat à me
quidá nobilis , qui ma. nusà verrucis nimis deturbatas habebat aliquod pro
illis abigendis præſidium . Ego coram nonnullis multa ,quæ aliàs RII veriſſimaefle
comprobaueram ,illicon it'o fulebam.Inter hosrufticusquidam ino to pináter,fe
ele &tiffimum habere remedia pro ijs penitus dirimendis non rogatus I.
faſſus eſt . Sciſcitor quale fit, animalcu Di lum eſſe dixit: ad experimentum
veni Before mus, ægro confentiente. Ruſticus ani. i malculum inuenit. Hoc'in
floribns 1. Eringij, & Cichorez æftiuo tempore uk moratur,eft coloris
calaſsini, cum ma of culis rubeis, & quodammodo aſsimila tur
proportionecorporiscantharidiyli y cet paruulum ſit. Acceperat aliquot 12 i-
fticus, & ſingula in ſingulis verrucis d ... * gitis exprexit: exibat
liquor quidam , o manus intumuit, & doluit,fed cum mo. derantia: intra tres
dies detumuit, & fana facta eſt, nec verrucę ampliusviſę ſunt.
Tauriſanguinem inter lethalia vene na connumerari. Nter atrociſsima, &
fuffocantia ve nena Tauriſanguinem recenter epo tum connumeramus ; congelatur
enim 2. in ventriculo, reſpirationemqueimpe s diens, hominem fuffocat.
Themiſtocles B 3 Athe Inesta Athenienfis tanti veneni tentauit expen rimentum .
Hic enim ciuium inuidia à Patria relegatus,ad Artaxerxem confu git, à quo diues
factus eſt.Dum autem in patriam ingratiam Artaxerxis pugnare cogeretur,in Dianæ
téplo ,hauſto Tauri fanguine, vitam cum morte commuta uit.Ex Plutarcbe . Quo
artificio duriſsim afaxafrangen re valeamus. Aris ſaxa non alia re frangendag
quam larido accenfo retulit Ola us.Hoc equidem rationi conſentaneum efle ducimus,
cum pinguehumidum ,fax lique commiftum illud fit, ob id enim flamma potens
& acris eſt diùque ma net. Annibal verò dum Alpium rupes, ingreſſurus
Italiam , comminuereopta ret, faxa potentiſsimo igne concalefacta;
acerrimoacetohumectabat;:ita enim ea molliebãtur,& in fruſta cædebátur, fra
ctioniq; facilior erat locus.ex Tiro Liuip. De lapidis Asbeſti mirabilivirtutes
LAsbeſtos lapis,qué Arabia, & Arcadia producit, fi verus & probus
fuerit,femel accenſus perpetuam flammam retinere videtur.ExhocGentilestemplorú
cane delabra conficere folebant, clarè ani maduertentes fortiſsimam flammam
& i * inextinguibilem elucere, quęnecabima bribus,nec tempeſtatibus
extingueba tur. D. Auguſtinus lib.21.deCiuit.Deiz. Athenis Veneris Phanum
fuiſſe referty in quo de di&to lapide lucernæ conſtru Etæfuerant,quæ aliqua
intemperie ex tingui minimè poterant. Aegypti Reges opera magnifica,
&admirane da Antiquitus conftruxiſle. Pera ab Aegypti Regibus conſtria
& a omni admiratione digna ſem per exiſtimaui. Hi porrò Labyrinthoi rum ,Pyramidümqueprimifuerunt
au & tores, & Mauſolea fepulchra , & Obe. Hifcos erexerunt, Ferunt
admiffo faci : nore, Pheronem Regem è veftigio vi- , Cum
amififfe,decennioquecæcum -fúiſle. Vndecimo autem anno ab vrbe Buci, accepto
Oraculo , quod viſum reci peret, fi oculos mulieris, quæ tantum B 4 lui ſui
viri amplexibus contenta fuiſſet, cum terorumque virorum expers , lotio ab
luiſet. Hic ante omnia vxoris lotiura tentauit , cum autem nihil cerneret in.
finitarum mulierum vrinam experiri voluit; viſuque recuperato , præter eam
(vxorem enim eandem duxit )cuius lo tio vilum accepit, omnes concremauit .
'Abea autem calamitate liberatus, cup alia in alijs templis donaria pofuit, om
nia egregia ad memorię diuturnitatem , tum maximè memorabilia,ac fpe &tacu
lo dignain templo Solis gemina faxa, quosobelos vocant à figuraverucēzenam
cubitorum longitudinis ,octonum lati tudinis. Pelõdor. Virg.ex Herod.
lib.z. Cacodamonem malinuncijpræfagium aliquando attuliffe. Arcus Brutus
cumexercitu ex A Gia nocte media & profunda dum fplendidum erat lumen,
& filentium vndique caftra tenebat , multa fecum memoria recolebat. Cum
autem ad fe venire aliquem præſentiret, intentus MarcusBrutuscumexercituexA intentus ad introitum afpiciens,horren dam ,
& monſtruolam corporis feri & terribilis ſibi aſliſtere imaginem reſpex
it.Quis ( inquit)interrogans erutus,ho minum, aut Deorum es,quid tibi vis?
quidad nos veniſti ?Murmurans ille,tu . us Ô Brute( dixit)malus genius ſum , in
Philippis me videbis. Tum brufus nihil perterritus, Videbo, reſpondit,cogita .
bundusqueaccubuit. Verum Caſsiana cognita clade deinde , cogitationeſque fuas
videns, & fpes fallaces ſublapſas re tro referrifin Philippis fibiipfi
mortem coniciuit.Ex Plutarcbo. olei, vini ,ſegetumgſterilitatis prafagia. Irij
vefpertinus occaſus, fi biduoana teuertat, vel fequatur Plenilunium , fegeti
rubiginem,&foreftentibus vre . dinem pronunciat. Procionis occafus
veſpertinus,fi interlunio eueniat, flores ti yiti, & oleu germinanti
iniuriam ex vredine adfert.Aquilæ verfpertinus ex. ortus, & Arduri occalus,
in Pleniluniú B S incidit, & olei& vivi ſterilitatem , vtros quetum
florente denunciat Ex Iunitino - deris falubritatem advitæproduction anem
maximopere videmuscon : ducere.. N Hybernia quaſdam Infulas, ir quia bus
homines longiſsimæ vitæ funt, re periri compertum eſt,tanta eft enim ibi: aeris
ſalubritas,vtvita humanalongiſsi me producatur , Cum autem ad maxia . mam
ſenectutem homines deueniunt, deficiente pauliſper humido radicali , caloris
naturalis opera, quia anima pro-. pter complexionis bonitatem recedere: nequit
, in corpore magni ſuſcitantur dolores : Idcirco illius regionis homie nes poft
diuturnos labores, vitam aber forrétes , longèà propria regione fede portari
procurant;præſertimque ad lo . cum minus falubrem , vbifaciliter mon n'antur.
Abulenfis in Genef.c.2.6 . Anania: in Vnis .Fabrica . Linica.magna proprietatisapud!
indos fiering 1 Maximi valoris lintea ex Asbeſti. no lino ,& Amiancho
lapide con texere Indiani fo !ent. Hæc in ignem ; proie & a flammam quidem
concipiunt, detrimentumautem nullum recipiunto Cum autem vſu commaculata Indi
hæc lintea depurare coguntur, ( ſpreto more noſtro )non aqua,non cinere, vel
ſmege mate vtuntur; fed in ignem proijciunt:: certiſsimoexperimento perdocti ab
eo non cóluni modò; ſed potius-exempta. fplendeſcere,nihilqueillis deperire.
Ta.. le Carolum V..Imperatorem nonnulli habuiffe ferunt. Mizaldus. Hominibus
àgraui valetudine opa preffis varias hominum figuras appa: rnilleſepißime ,
expertum oft . Ignum ſpeculatione illud fempers primuntur valetudine ex affe
&to cere. bro, an actu Demonis figare diuerſçapa pareant? Quippèno ſemel
audiui, non . mullos. Dæmanes ,alios verò fæminas. B 6 vidiſſe, vt inter
cæteros Alexander ab Alexandro de ſe teſtatur. Cum (inquit) Romæ
ægravaletudineoppreffus eſſem iaceremque in lectulo,fpeciem mulieris eleganti
formamibiplanè vigilanti ap paruiſſe confiteor, quam cum infpicerem diù
cogitabundus,&tacitus fui, repu tans nunquid ego falfà imagine captus,
aliter,atque res eſſetafpicerem ,cumque meos ſenſus. vigere, & figuram
illam pufquam à me dilabi viderem , quæ nam illa effet interrogaui, quæ tum
fubridens & ea quæ acceperat verba reſpondens, quaſi me planè derideret,
cum diù me fuiſſet intuita diſceſlit. Quomodo au hæcfiani in lib. 1. de pita
hominis difa fusè enucleamus. Hydropes lethales multoties ab occul.
tis,abditiſq præfidiisdifparuiſſe. Vltiequidem morbinon à me dicorum remedijs,
fed à caufis abditis curati funt.Refert Schenkius l.be 3.obferuat. Medicinal,
Chriſtophorum quendamin deſperata hyeme, ab hs drope lethali hac via fanatum
fuifle. Illi dormienti in Sole aprico lacertus viri. dis occurrit in laxatumque
eius finum irrepfit, & toto cotempore, quo dormi. it,per tumentem
,nudatumqueventrem oberrauit. Poft horam expergefa & us lacertum in ſinu
ſubfultare animaduer tit, quem veluci homini amicum & in noxium dimilit .
Huic ab eo tempore hydropicus tumoromnis,citra alia re media intra paucosdies
ſubſedit , & diſ paruit. Quicafus mirabilis eft: & non minori
admiratione dignus, Bufonis fylueftris, quam fit proprietas. Hoc e nim animal
fi per ventrem fcinditur, & fuper renes hidropici ligatur, aquofita tem per
vias vrina, quæ in Aſcitelupet abundat,mirabiliter educit.Hoc VVie rus
expertuseft,Napaulli ſecreto rema dio hydropicorum aquas Colubri a quatici
lapide ventriapplicato ſenfim abfumunt. Infuper vituli marini pelle aquam
corpori fuffulam Hermolaus Barbarustolli prodidit. Cæca igitur,& abdita via
multos hoc morbo ſanari comperimus. B7 Mediana 38 BARICEL II Medeamà
veneficiorum calumnia a Diogene fuilevindicatam . , moriæ
ſcriptoresmandarunt,Meo . deam illam concelebratam magicis arti bus, maximam
dediffe operam , ijſque latiſsime fúille inſtructam.Hic.n.apud Srobæum
dicebat,Medeam fapientem , non veneficam fuifle, que acceptis mole libus, &
effæminatishominum corpo , ribus confirmabat ipfa gymnaſijs,acex
ercitationibus, & robulta vigentiaque reddebat.Hinc, vt veriſimile
eft,faina emanauit, quod illa coquendo carnes hominibus ivuentutem reftitueret
, Si . enim ad ea, quæ de ipfa dicuntur , quod nocturnis horis coram Luna
proftrata maleficia fuo nudato corpore pararet , refpicimus, vt patet per
Seneca in Tras gæd.7.Quod vero alia attinet de quie bus ipſam accuſent, neſcio
quomodo. ab infamia eam liberare valeamus. ImPlenilunio vtplurimum furioſos:
vehementius infanire Luna dum Soli opponitur , vehementius furiofos infanire
obſerua-: mus: tunc enim ex. fuperabundantium humortin copia-cerebrum ad
cranium vique intumeſcit ,eofque ad furiam du.. cit.Hac (vt reor) caufa,
furioſos Britan . ni luna quarta decimaverberibus affli .,
gunt,conſiderantesſailicet ſanguinem , & fpiritum tunc temporis
efferuefcere.. Verbera.autem non fine ratione ad talie um ſalutem conferre
videntur; vt enim larga proſperitas ad inſaniam homines, ducere potenseft:ſic
dolor, & calamitas, prudentiam inducere conſueuit : quod ,
fapientiæPrinceps perbellè fignificauit: dum dixit, affli &tionem tribuere
intele lectum.Bodinus in tbeat.net, Annicomputumdimēſuramàquin
bufdamnationibusrudiordine fuiffeconstructiuni Noi.certus modusapud felos Ar
gyptiosfemper fuit, eorum enim Sacerdotes ab Abrahamoedocti,& verá
anni-menſura, & Solis curſumcogno., frese fcere valuerunt. Apud alias
nationes di ípari numero, parique errore annus no tatus eft :fiquidem Arcades
trium men. fium annum faciebát. Lauinij tredecim. Acananes fex.Gręci reliqui
314.diebus. Romulus annum decem menſibus, qui 304.dicbus conficiebatur
ordinauit.Hic å Martio incipiebat,eo quod Marti fuo genitori credito, menſem
hunc dicaue rat.Numa poft Romulum quinquagin. ta dies computo huic addidit,
annum . que conſtituit 354.diebus. At. C.Cæſar Aegyptios imitatus , ad curſum
Solis, quidiebus365.& quadrante conſtituie tur,annum dirigereftuduit.
Céſorinus, & Suetonius. Solatri maioris, e Serpent arie mio
norispotentiacontraparafitos mirabilis eft . Irabilis profecto Solatri maio.
ris, fiue herbæ Bella donna radicis potentia eft: fi enim contrita, &
exiccata vnius ſcrupuli pondere per horas ſex vino infunditur,illudque
facacolatura uno homini potui datur,vt illecibum guftare nequeat,efficiet. Hoc
paraſitis idoneum eft remedium ,hi'enim aperto ore,tanquãomnia deuoraturi,in
menſa cófident;fed hac via pænas luent, quip pè alios vidcbunt comedentes, ipſi
ta men inſtar Tantaliin menſa fameſcent. Vnde apud conuiuas ridiculi, &
confuſi apparebunt.Sanantur hiconfeftim ace to bibito.Idem facit radix Aron ,
fiuc -minoris Serpentariæ in acetarijs recens contrita ;qui enim guſtauerit,
apparebit Suffocari cibumque relinquet. Sanatur hie allio comefto . Ventorum
ortum ,occafumque terre AremEchinuinmirafagacitatehomi nibuspraſagire.
*ErreftrisEchini, quiautumnalitě. pore in vineis , dumoſilque fpinis verfari
præcipuè conſueuit, in ortu oc cafuque ventorum præfagiendo mira l'eft
fagacitas.Horum porrò latibula du obusconftru &ta foraminibus, quorum
alterum Boream , alterum verò Auftrú reſpiciat,conſtructa reperiuntur. Pre fentientes
autem Boream Auſtrum ,ali umve ventum fufHaturum , longè abe orum ortu , vnum
vel alterum cauernæ meatum obturant; ventorum enim cog nitio-ijs innata eft,
vtab ipſisſe tueri va Jeant.Hoc ordine Venatores Echinorú Jatibula , eorumque
fagacitatem cond derantes, nulla ſtellarum obferuatione habita, fed folum ex
cauernarum mea. tibus clauſis,velapertisVentorú indagia nem cófequentur. Ex
Plutarcho in Dialog. Animi pudorem , timoremque hu . manorumcorporum diuerfimoda
faciem alterare. agna inter animi pudorem , & ti morem cum vtrumque fit
triſti . riæ foboles, videturdiſparitas:quippe in pudorehomines facie
rubefcunt,timen tes verò pallefcunt. Natura( vt inquit Macrobius 7. Saturn. ),
cum quid ei oc currit honeſto pudore dignum , imum petendo penetrat ſanguinem
,quo conto moto diffuſoque cutis tingitur,rubora; saluitur, Thelelius auté (vt
ex Taſſone citatur M HORIVLVS GENIALIS. 43 citatur) faciem in pudore,voluit
affe &iū recipere , & proinde erubeſcere. Hocà ratione alienum haud
eft, fiquidem vo lunt Philoſophi naturam pudoretacta, fanguinem ,inftar
velamenti ante fe ten dere.Experientia infuperhoc docet, e rubeſcentes enim
manum fibi ante faci. em frequenter opponunt. At timentes palleſcunt,quia
natura cũ quid extrinſe. teoccurrens metuit, in profundum de. mergitur: ita
&noscum timemus,late bras quærimus, & loca occulta, Natura itaque
defcendens ,vt lateat,fanguinem fecum trahit , quo demerſo dilutior cuti. humor
remanet,pallorqueſuccedit. Animaliaex putrigenita materit inmundiprimordio
minimè fuiffe. Væ ex putri materia generantur, ſex animalium genera communi ter
exiſtunt . Quædam enim , vt bibio nes, quæ ſunt minutifsima animalia,ex vini
exhalationibusfiunt,vt papiliones ex aqua.Quædã ex humorú corruptio pibus proueniunt
: vt vermes in fter core,velciſternis. Quædam ex cadaue ribus, vt apes ex
iumentis:crabrones ,fi ue muſcægrandes,quæ volando ſonant. Scarabæi liue mufcæ
virides ex equis, vel canibus mortuis: fcorpius de caucti mortui
carnibus:ſerpens de medulla ſpi næ humanæ. Quædam ex lignorum pu tredine, vt
teredines , qui lunt vermek intra ligna , quando non abſcinduntur tempore
debito , exorti. Quædam ex fructuum corruptione, vt girguliones ex fabis.
Quædam ex herbarum corrup tela, vttinex.Hçc autem in mundiprin cipio immediatè
à Deo creata fuiſſe, nulla ratio confiteri cogit,cum ipſa na turaliter ex
corruptione procedant;poſt autem mundi exordium huiuſmodi ex corruptelis
generationes eueniſſe verili mile eft;Deus tamen feminarias cauſas horum
materijs indidit, fine quibusori. ri non potuiſſent.Abulenfis in Genefi 6.2.
Defygis Arcadia mortifera natura, Alexandrimorte. Circa HORTVLVS Gerialis.
ferunt, ille, CircaNonacrinin Arcadia ,fons quidá teperitur è petraexoriés,
quęStyx ab in colis appellatur, tantæ mortiferæ natu rę, vt ſumma celeritate
corrúpat corpo ra . Equidemprotinus hauſta ( Seneca teſtimonio 3
quaft.natur.)induratur,in Itarque gypſi ſub humore conftringitur, & ligat
viſcera.Quia autem , nec odore, nec fapore notabilis eft ,fæpè fallit, nec ea epota,amplius
remedio locus eft.Fe runt nonære,non ferro, non teſta aquí huiuſmodi
continere,necaliter quam in equi vngula ferri poſſe. Huius vemeni potu
,magnumAlexandrum in Babylo . nia fuiſſeextin & um multi ſcriptoresre
medico ,ob aquę feritatem in media po tione repentè veluti telo confixusinge
muit; elatuſque (vt ait Iuſtinus) è conui yio ſemianimis, tanto dolore
cruciatus eft ,vt ferrum in remedia poſceret, & è tałtu hominum velut
vulnere indole . fceret. Achores tineafque capitis,ex bufonis oleofeliciter fanari.
Dum 46 BARICELLI prope Luceriam Apuliæ ſemel me dicinam faceren , ibi quendam
achori bus,tineiſque per multos annos turpi. ter affe & um ,cui varia
fuerant applicata temedia,omnia tamen inutiliter , prop termorbi reſiſtentiam
repperi. Tande noſtro conſilio hicele &tè ex pharmaco purgatus, folum
linimento ex oleo in quo ad exactam co &tionem Bufo fue Rana terreſtris
ebullierat, optime cura tus eft , quippe fimplici hoc remedio per paucosdies in
capitevtens, fanus, & capillatus fa & us eſt; durante autem lini mento
piliersortui,vulſellis à chirurgo extirpabantur. De Cerui lachryma, eiuſque in
ciendo fudore potentia. Antæ creditur elle efficaciæ Cerui lachryma in
Tudoreciendo , vt' li grana quinque vel ſex potui dětur, totü corpus fere folui
iudicemus.De hac lo quens.Abinzoar lib. I.tra & . 13.6.6. le tria grana
Azir filio Regij magiſtri equitum in lacte , vel aqua cucurbitæ, vel.roſatæ
exhibuiſle:retulit,illumque à virulento ictero liberaffe.Hæcautem in Ceruis
ante ceptelmum annum ( teſti monio Scaligeri)nulla eft,temporis au tem proceſſu
generatur, & in iuglandis molemaccreſcit.Dicitur magnam habe read venenum
efficaciam , vt in Afia fe Hiciſsimo fucceflu fæpè experiuntur. Vires
infirmorum collapſas, odoribus refarciripoffe. Nfirmorum deperditas vires non
potionibus modò,verum atqueodo , ribus reftaurari pofſe obſesuatum eft. Aiunt
enim Democritú in dies aliquot, amicorumgratia pomi odore vitam fic bi
prorogalle. Hinc multi panem cali dum vino odorifero immerfum nari
busadmouentægrorum , quem a tem . poribus, & coſtis cataplafmatis more
imponimus,vtique vires egrigie reſti tuimus.ConciliatorApponenſis mori. búdá
vitá, ex croco , & caſtoreo cótuſis, vinoq; cómiſtis producere fecófueuifle
tefta . 48 BARICELLI teftatur,ſenibuſque eam compofitioné exhibuiſſe ,
nullatenus olfa & u magis quam potu profuiſſe.Ferreriuslib.2.Me thod. De
olei Balnei mirifica in morbis præftantia. O Lei Balneum , vt Herodotus anti
quiſsimusmedicusprodidit, quià diuturnis affliguntur febribus, à laſsitu dine,
vel neruoſarum partium dolori bus oppreſsis,conuulfis , & vrinæ , fup
preſsis laudatiſsimum ,ac ſalutare efic remedium experimur. Vidit huius pre
ſidij experientiam Heurnius in quoda extenuato, ac ferè exhauſto , dumeflet
Patauij:illum enim validiſsima occupa uerat conuulfio,at tepidi olei pleno vafe
immerſus,ac fotus fanuseuafit.In lib.no ftro de Hydron.nat. Adam & fuos
contemporaneos, perfc. etiſsimamrerumnaturalium ha buiffe cognitionem . Nter
aliasrationes, quas Abulenſis in Genef.in c.f.de longiſsima vitæ pri. morum
parentum,quiannum ferè mila Jeſimum ateingebant,retulit,hácaddux
it;quod'Adam'rerum naturalium perfe Etamà Deo cognitionem habuit.Intele lexit
enimfru & uum , herbarum ,lapidú, lignorum , animalium , mineraliumque
virtutes, & do&rinam , quibus vita hv mana diutius conſeruari poterat;
quæ omnia contemporaneos,(vt ipfi etiam vitam producerent longiſsimèJedocuit.
Hæc autem cognitio , & ex diluuio, & gérium diuifione perdita
eft.Reperiun turtamenin præfentiarum multa mira bilia,naturęque ſecretiſsima
apud ſapi entes, à temporuminiuria foslitan vin dicata; quæ aliquando
hominesvidentes aut audientes, tanquam lupernaturalia opera admirantur
Rutaminter alexiteria medicamenta connumerari: Nteralexipharmaca præſidia,
Rutam minimęconditionis haud efſc perhia bent,fiquidem ieiuno ftomacho come fta
multos à veneņiviçulentia liberaſſe C. degi BARICE ILI legitur. Dehac Athenæus
in 3.Deipn.la . quens, Archelaum Ponti Regem fuos populos veneno interimete
confue uifie fcribit, illos autem à quibufdam edo &tos, ob id antequam è
domibus ea grederentur,quotidieRutam cdere fo litos à
Tyrannicrudelitate.le.defendiffe. Solaſuſpenſione, capitiscruciatus verbenam
mitigare. Trabilis eft Verbenæ proprietas M.in dolore capitis mitigando ; 'fi
quidem à Petro Foreſto traditur hoc folo præſidio quendam fuifle perſana
tum.Ille netlis remedijs, quamuis opti mis curari potuerat,non venæ ſectione,
non ſcrupis digerentibus, neque steco &tis pilulis,cucurbitulis, nec alijs
topic cis auxilijs. Cum autem nulla iuuarent semedia,ad collum
Verbenaviridisafe penſa eſt, & fanus fa & us eft,lib.9.ebſer.3.
Detkapſie virtute in fugillatis faci nandis,Neronisquecalle. ditate. Nero
Imperator in ſui Imperij ex 36 ordio Thapfiam ,eiuſque excellé to tiam
magnificauit; Ille quidem dumno . & u incederet incognitus , & in multos
impetus faceret,nå ſemel facies fugitla Do ta ,cutifq;livida,piftula ; ab illis
fuerat. L. Confeftim hic,ex Thapfia,thure , & cem ra commiſta,linimento
ljuentem vifum collinibat ,quopræſidio antelucem à fe da
ſugillationeliberabatur; dum autem die in populiconſpectu , faciem fanam
oftenderet,facinoris ſui famam , & igno . miniam occultabat. Ex Durante in
Her . 25 g. barie . I je obſtétricibus animaduerfio. præcidendo diligentia
adhibenda eft;quippefi ni mium curtè vmbilicus religatur,ætatis progreſſu pariédi
conatumreftringere, imminenti vitę periculo ,poteſt. Ex M46 mbiaCornace. De
arboris ficusmirabili natura . I coctu faciles habere deſideramus, in arbore
ficus eas ſuſpendemus, ita votum noftrum procul dubio aſſeque mur: credo
forſitan ob acutum , & incil : uú odorem , quem arbor Ipirat id cauſa
ri;velforſitan occulta cæcaque proprie tate.At quod mirabiliusin huius arbo .
ris natura eft , Taurum indomitum , fe rumque in eodem alligatum manfuef cere
tradunt. Neſcio autem annaturali via propter-odorem ,an aliqua antipa thia, quæ
inter talia exiftat hoc eueniat. Audiui tamenà multis vtrumqueexpe rientia
fuille confirmatum . Quomodoà vitriolo arislaminas.ex . trahere valeamus. Lui
momenti illa cognitio , quomodo à vitrioloæris lamellę extrahantur,ape riam modum
, qua facilitate id affequi valeamus.Bulliatur Romanumvitrio . lum in olla cú
aquafontis: in eaque cha lybis lamina per horæ quaternionem demergatur :
extrahito demum chaly bem , ipſumenim lamellis æris inftar suginis colligatum
habebis, quęculcro radende fút, vt alias chalybem immera. gere
pofsisznouaſquelamellas extrahe.. re. fiquidem tamdiù corradi poterunt, quouſq;
Vätrioli portio in aqua fuerit. Arrigat aures ingeniofus; quia ex hoc : minimo
principio multa, precipuèinre: medica, yrilia aſſequetur. oléum vitrioli
,&fulphuris rostris : lumbricos plurimumvalere. NITlfi magnis experimentis
præſtana tiſsimum remedium ad puerors i lumbricoscomprobalſem ,haud audia . rem
hic inter arcana ſele &tà fóre repezia nendum confiteri: quippe tanta eft eiuss
virtus,& potentia, vt mortuos ferè pur erosè vermibus ad vitam trahat . Hic
: induſtria paratur,In libris ſingulis aque fontis oleifulphuris, vel vitrioli
chimi.. cè extractorum , aliquotguttulaadden dæ funt,ita vt aqua acidula frat,
quæ pu eris,natuque maioribus danda eft diù noctuque ad placitum ,.e & enim
præſtaa tiſsimæ virtutis 0 T! 10 Da DeCaraba mirabili virtute invuula cafum
,Amygdalaruamque tu . mores ArtinusRulandusvirin chimicis M celeberrimus in
Amygdalarum inflāmatiene, & tumore, vuulæquecaſu ex humoribus à capite
fluentibus exci tatis ſola Carabâmirabiliaparauit-Prie mo fuffimétum
cófuebat,hoc modo ex . ceptü.Accipiebat Carabæ albiff . drach . 7.qua redacta
in puluerem craſsiorem , & carbonibus impofita,fumus per infa dibulum ,ore
excipiebatur ab ægro mar. ne,meridie, & veſperi, multa vtilitate,
Accipiebatetiam fermenti veteris vnc .. & quam moreemplaftri linteolo indu
cebat, afperfoque Carabæ albæ pul uere vertici imponebat per diem ,per noctem
vero fequétem recens applica bat. Quibus paucis remedijs, &ex fola: quaſi
Carabayquam plurimos à fauci um tumoribus, vuulæque cafu ,Amyg dalarumque
inflámationibus oppreſlos perſanauit. Ex eiusCurationibus. Spina HorTvivs
GENIALIS Spine infeftoriæ Baccas" ad. Tenaf mumexfalfapituita
expertiſsimum verumque ad illum exiftere remedium . St mihi remedium pro
Tenafmodo quadam fortafle mille kominum, qui endemiali fere morbo hic ſugebant
per fanafle quam citiſsime . Syrupum ex Baccis fpinæ ceruinæ, fiue infectorice:
Aromatario parariiufferam . Hæinfine: O & obris, cum bene maturuerint,
collie guntur, exprefloque fucco cum melle vel Zuccaro ad formamfyrupi ducitur:
additurque in fine maſticis, velzinzibes sis , anih, vel cinamomiad
drach.j.vet? in maiori dofi, fi libuerit.Datur hic fy rup.ab vnce vſque ad duas
cumpauco vino dilutus,abitemijs datur cum aqua cinamomi:epoto, cibatur
eger,parceta men , & ieiuno ftomacho, præcipiturque ne dormiat.Equidem vna
die fanaturę ger, foluitur enim aluus,abfque mole tia , & excretis féroſis
.viſcidilg; humorib. Tolo hoc preſidio integrè liberatur C Ariet mo Arietis linguam futurum in ouibus
milanitium ,commonftrare.. M Irantur multi Virgilium in 3.. nere , vt linguam
paftores conſpicere debeant, deſinant autem admirari , cau ſam enim adducimus
ex Plinio, quipro pterea Arietum ora introſpici à pafto ribus voluit , quia
cuius coloris ijlin guam habuerint, tále in fætibus gene randis forelanitium .
Audiui à multis , hocyeriſsimum reperiri. Ouis enim e . tam cum vterum gerit
,fi linguam habueritnigram nigrum pariet agnum , fi albam album , & fic de
aliis coloribus. Ridiculüm eft quod fertur; Bafilifcum àGalliouoexclwdi.. On
modo à plebeiis verum atq;: à nonnullis ftudiofis , Bafilifcum : abouo galli
veteris connaſci perhibe tur. Fingunthi ex aliquorum fcriptorú teſtimonio ,
quos eriam ego perlegia : Gallo decrepito , quiſeptimum , aut no.. olm , vel ad
fummum decimum quar .. Na tum annum agat, ex putrefacto ſemine, aut humorum
illuuie altiuo tempore, ouum conflári , ex quo ab eodemfoto ( vt à Gallinis
alia fouentur oua ) Bafi... liſcusoriatur.Sed hoc animal nemo vio dit,habitat
enim ( auctóre Plinio ) in Aphricæ folitudinibus: proinde hæc creo dere
difficile eſt. Inſuper ſi hanc fpecie em mafculinam poſſe fætare conceſſum .
eflet , contingeret etiam inalijs , quod minimèobſeruamus. Mihi aliquotoua: in
experimentum à mulierculis allata fünt, dicentibusGallum peperiſſe : erát
oblonga ,& in caudam ſerpentis quibuſ dá nodulis terminabátur:at hæc à
Gallie nisex plurium ouorum minutorů col ligatura (cu kuperfætatione,non autem
a Gallis fieri dixi. Homines ex impromiſo Lupi afpects : veluti mutosdo;
attonitos fieri. Vlgatiſsimum illud eft, hominesex improuiſo Lupi aſpectuadeo
mutos& attonitos fieri,vt nec fari , nec vociferari valeant. A Lupiquadá prietate
id fieri aſlerunt , contenderse tes Lupum ,fiprior obuium quempiam
conſpexeritillico vocem adimere, can demque illum luere pænarn ,ſiab homis ne
prius videatur. Ad hænugæ ſuot.Si quidem ex terribilişimprouiloqueLu.. pi aſpe
&tu ,homines terreri, timoteque concutiqveriſimile eft: ex timore autem:
valido mébra frigefieri ex raptu ad in teriora fpirituum ,inde corporis, &
ar.. tuum fieri impedimentu , vociſque pri uationem mirum non eft.Alijalia fin
gunt, mihi autem hęc omnia ad folum timorem ,tanquamad caufam proporti Onatam
reducere viſum eſt.. Multa facinoraàMagisanicalis perpetrari pole. Etulit
Leonardus Vairus lib.1.de: Faſcino multas hac noftra tempe fate exiſtere
aniculas, quarum impurie tate,nonpaucos effaſcinari pueros illofa quenonmodoin
grauiſsimum incidere diſcrimen ,verum etiam acerbam fæpiſe fimè ſubire mortem .
Pecudes inſuper: partuqalacte priuari,equospacreſcene R Falcin Cquote &
emorislegetes abſque fructu colligi, arbores arefcere;ac denique omnia per ſum
ire quandoque videri, AFucovulnera illata,Muſcis contri tisbreuifpatio
perſanari.. " Vm quadam die apud amicos alie , quot cómorarer ,& læti
in měla de more varia confabularemur; ecce vous ex ijs in ſuperiori labro à
Fuco animali vulneratur,quo morſu ſtatim intumuit vulnus,cum maximo patientis
dolore, Amici in riſum ſoli, patientismedelam minimeprocurabant.Ego quidem
alias morfus hos curafle recordabar ; quare confeftim , vt nonnullas muſcas
feruus meus caperet, iulli, quas contritas, dum fupermorfū
impofuiſset,breuidolorie datuseſt ;.tumorq, cúmaximapatientis lætitia;aliorúg,
admiratione detumuit, Quafacilitate vlcera formicantia dan cacoëthica
fanarivaleant. Vidam amicus meus , cumir Hya pochondrijs,vicera formicátia,pra
maque, quæ à nonnullis vermes dicun Q tur,paffus eſſet, ſauitatcm ,poftmultat do
& ifsimis medicis tētạta remedia , ac. quirere non potuit:ylcera enim licet
fac pari viderentur ;renouationem tamen continuo recipiebanta,Vltimò poftan..
nos,& menfes in empiricum chirurgum incidit:quipaucorum dierum ſpatioita
hominem perſänauit. Abluebat primo vlcera albo vino,tum ex - patellis -mari-.
nis puluerem , fiue cinerem Ex Corici bus(exemptis interioribus) couſperge-.
bat,vltimoherba marina vlcera coope riebat; faſciaque premebat, femel in die
hoc vſus remedio vigintidierum fpatio , ægerconualuit. Procurauit arcanum a..
micus, & mihi fideliter communicauit, Fallſsimumeft, quod fertur Viperă o
coitu mafculumoccidere,ipfamque asfuis.catultsinpartunecarie LAG Grauiſsimis au
& oribusaffirma , mine) maſculi caput'abſcindere (ille.n.. infæminæ os
caput inferit ) & fic củoca. sidere, ſed poenam täti facti illam luere.
ſiquia fiquidem Viperinicaruliconcepti, gra-. Jiores facti vifceramatris
cofrodunt,e am que occidunt. Sic voluit Plinius lib . 10.&Nicander in
Thoriacis, quare Vipe. ram aiunt diciab co , quod vi pereat,aut
vipariat.vtrumque autem falfifsimum effe , & experientia, &
grauiſsimorum e . tiam ſcriptorum auctoritate cognitum eſt.Apollonius apud
Philoftratum Vi... peram aliquando viſam fuiffe catulos ſuos; quos peperiſſet
lambere , & expolire aſſeruit. Bodinus in nat.theatr.lib. 33 in Gallia,ad
Clapum Pictauorú flumen , vbi Viperæfrequentiores ſunt, vtriuſq . fexus viperas
lagenis vitreis inclufas fu iffe reculit;illafque peperife, & conce piſle
vtroq; parente fuperſtite, Matthi olurs ex . Obferuatione FerdinandiIm perati
Neapol.Pharmacopolæ Viperam parere catulos ſuos , & non occidiafts-,
ruit;catuloſque-non viſcera matris,led membranas quibns incladuntur diſrúa
pere. Quarerectiusſentimus,fi Vipera non à vi parere,vel perire dicimus,fed
quafit quaſ Viuiparam , quod non oua, vtcæ .. teri ſerpentes, ſed viuum animal
pariat. Iraulos , balbos, & femilingues fieri ob nimiam cerebri bumiditatem
, VA communiseft fententia ab expe rientiaalienumreperitur. Rauli, & Balbi
non ob cerebri hus midam intemperiem fiunt, vt ferè omnes autumant ; inueniuntur
enim hi' modo calidi,modo frigidi,modo humi di,vel ficci, vt & reliqui, qui
nec Traus li,nec Balbi funt;imò & hi modo ( putis " abundant ; modo
ijs carent:quare non ob bumiditatem nimiam cerebri buiure modi Traulos-&
Balbos fieri , fed obt varietatem mearuum , in intrimentis; pertinentibusad
locutionem exiftenti um , docuit experientia.Porrò Trauli, qui literam
R.exprimere nequcunt , in media palatiregione , vbi quartum eſt
osfuperiorismaxilta , duo inueniuntur foramina, quæ nullo modo adeo aperta
& obuia sút, vt ijs , qui optime loquútur, Balbis veròiuxta dentes
maioraobſer . samus foramina,per quæ ſtillans pitui ta,linguamque irrigans in
parte illa an . teriori,bleſam locutionem facit ;; vnde bleſi , &
ſemilingues fiunt: quod fi hæc non eflent haud balbutarent, licet à ca pite
copiofa defcéderet pituita, vtmul tis contingit, quiex hac tamné balbi non
fiunt.Quare fententiaHippocratis2.A phor.32.malè verificatur, cum afferit,
balbos ob frigidam , humidamque ca pitis intemperiem fluxu tentari: Auxio. enim
talis & Balbis, & non Balbis fuc cedit : concurrit tamen hæc fluxio ,
vt caufa remota , qua aliquando cum pro zima,dicitur affe &tum facere
poffe, fi. iunctatuerit :: fola autem facere nequit . vemale Hippocrates,&
alijopinati ſunt ExSanctorio Sander.de pit.en.lib.3. Morbosperniciofos;
velmortem ,veb affectus longitudineminducere. Jana ciuitate, & in circum
vicinis propè Neapolim perniciofifsimi orto funtmorbi,vbiſectis aliquibus corpo
, tibus, eorum Ventriculus bilis copiaz, vitellinæ plenus inuentuseft , eiuſque
: tunicæ , & inteſtina eodem colore per tincta viſa ſunt. Meatusqui ad
fellis; chiftim protendit , ab humoribuscraf fis, viſcoſis, & tenacibus
obftru & us ea . rat. Fellis veſica diſſecta , bilis flaua haud inuenta
eſt; fed eius vice atra , & inſtar atramenti nigerrima.Hepar quo ad
externam partem album erat , in in terna autem nigrum , &atrum , veluti
carbo accenſus, & extindus. Langueno tes,in febrium initio ,vomitu ,
&nauſea, moleftabantur. Eorum lotia craſla icte . rica , & fubrubra
ſemper erant. Omnes. ferè erant icterici, & longo tempore,ſi : qui
euadebant,indigebant, vt fanitatem acquirerent, Ex -Io. Bapt:Cauallario deMore
bo Nolano, ſeu demorbo epidemiali Lupicur paucireperiantur, ouess autem multa
Tidetur quafi abftrufum illud quxar , aucs autem multæ ?'profecto in partu plures
lupaedit catulos,quamouis,quæ vnicum , vt plurimum parit; Inſuper o. ues, &
agni in hominú alimoniam con tinuo occiduntur; luporum autem caro eſui apta non
probatur; nihilominus Q. ues-agni, & arietes ſemper in maioriny mero
reperiuntur, quă lupi.Huius cau fa, prima eftDei bonitas, qui tam imma ne
animal in eius ſpecie excrefcere non permittit, in facra enim Gen. c. 7.Noe, vt
ex omnibus animantibusnūdis fepa, tena, & feptenamaſculum , & foeminam
in arcam tolleret monituseft:ex immu dis vero duo , & duomaſculum , &
foe minam. Secunda cauſa luporum eft faga citas, & in propriam
ſpeciemimmanitas. Hi enim ;cum rationesviuedi deficiunt, ob cibi inopiam in
multo numero con ueniunt:atque in circulo vnus poft aliú currit;vt apud vulgum
á villicisparatur ludus,diciturque Řotalupo;primusau tem,qui viribus
deſtirutus, currere ne . quit &in terram cadit,fit aliorum cibus,
renouaturque ludus ad omnium faturi taté.Hæceſt poitísimaratio huius ſpeci Vhelin
ei decremen i , alius enim comedit alii um . Ex Aeliano vt reor, Antimonij in
vitrum reductio, eiuſ quevires in medicina. 7ltri ſtibium ,quod in longis,
& dif ficilibus morbis propinatur, in e . pilepfia fcilicet ,melarcholia
,podagra, elephanticis , reſolutione, in febribus quotidianis,tertianis, &
quartanis,peſti fentia correptis, venenatis, hydropicis, tæphaleis, ictericis,
& fimilibus; robu ſtis tamen corporibus , ita præparatur. Stibiū, quod ex
auri fodinis colligitur, in puluerem tenuiflimum contunditur, teriturq; &
fupra ignem in fi &tilio, rude ferrea,aut cochleari continuo agitando
vritur, vſquedum omnis humor,ac fu mus euaneſcat, quod in ſex ,aut octo ho
rarum fpatio expeditur:deinde calx có teritur, carilloque impoſita,in fornacē
inter candentes carbones collocatur, & igne luculentiſsimo vrgetur,dū
liqueſ. cat picisiftar,poftea ſuper marnorfun ditur,atq; fic ex Stibij vncirs
duodecim, vitri ipfius hyacinthi modo pellucidi, wacja M vncias quinque
coliges. Andernacus Co ment-z.Dialog.7.de nou . vet.med. Solo Metronchita
auxilio mulieres offepragnantes ( omiſsis ceterisindio cys)experimur. Vlta apud
fcriptores , quibusin primis menfibus mulieré præge nantem comprehendere
valeamus, inu. dicia reperiuntur.Dienntmulti,lorij tab. fpe &tione grauidas
nofci;fillud album , clarumque fuerit,in eoque atomi afcen dentes, &
defcendentesapparuerint. Alt ex ſuppreſsis menſibus,deie &to appeti. tu
,vomitu , & nauſea ante prandiumid conſequuntur.Nonnulliex la & te
in.ma millis,ex arterijs gulæ fi plus iuſto pul fant,ex lentiginibus,fi in
mulieris facie oriútur,ex tumefa & is mámillis , & a ful co earú capitú
colore pregnátes venatur. Cæteri tú ex his , tú ex pódese circa pe dé,ex:
vmbilici egreſſu , ſiin dies fit ma ior, ex tumefa &tis venis , quæ vidétur
in nariú angulis iuxta lachrimalia. Obfte trices.digitisexperiútur an
vteriorificiáfue-fat claufum , vel apertum , ex claufo te nim grauidationem
patefaciunt. Non défunt alij , qui Hippocratis Aphorifs mis confiſi hydromel,
& fuffumigia e x periuntur,epoto enim hydromelle poſt cenam , fi tormina
fequentur arguunt prægnantem eſſe mulierem .-Siilia fuf fumigio acuta per
pudenda vfa fuerit , fiadnaresodores non perueniunt ', in dicant vtero eſſe
gerentem.Hæc autem figna, quia pathognomica non funt ve lúti futilia
reijcimus,& tanquam abſurdaad meros Empiricos committimus. Nonenim ex lótij
afpe & u vere mulie rem efle prægnantem diuinare poſlumus,nam meatus
vrinarius cum vtero : nihilcommunehabet,lotijque claritasy; albedo,&
bulloſa granula in eo ,poflunt morbosetiam ſignificare , vtin cachochimo corpore
ſæpius obſeruamus; hoc itaque indicium prægnantium verum non eſt :Nonexmenſibus
ſuppreſsis ,nó ex vomita, &nauſea, ſiue appetitus de iectione hoc
conſequimur: quia affc & i oneshęc ex multiscaufis, in m ulieribus, quæ pregnantes
non funt, affe &tiones e uenirepoffunt. Non ex lacte in mam millis ; quia
id etiá virgines habere pof Lunt,vt voluit Hippocr.Inſuper inult mulieresin
primis menfibuslacinon ha bent: lacergo non eſt grauidationis ved irum indicium
Pulſatio arteriarum gule, ſolito crebrior conceptum peculiariter haud
arguit,quia ex retentismenfibus, {plenis & ventris tumore & ex pituita
in -pe &tore colle &ta etiam fieri poteft.Len tigenes non in folo
conceptuapparent, :: quippeſignumihoc,neque omnibus,nes queſemper competit,
& in nonprægnā . tibusetiamifta fiunt.Mammillæ tumes fa &tæ ,earumque
capitum fuſcus color, communiafignafunt &retentis menfi bus,&
prægnantibus.Pondus circa pe & en ,non in grauidismodò fed , in rete tis
menfibus, in mola, & veficæ calculo obſeruatur, Ymbilici egreffusex mul 6 tis
caufis præter naturam fieripoteſt,nó ergo peculiare grauidarú indicium eft,
Yenæ tumefadęin nariú angulis iuxta lachrimalia , non in grauidis.modo ap 7 parent
, fed in quolibet abdomin's &fplenis tumore,& in occlulis menfi bus.
Obſtetrices anatomiæ ignaræ de queunt intimumVteri orificium tange
sc,licetmanibuscontractent,illud enim valdeà labijs matricis diftás eft,ipfe au
té externá Vteri tantummodo orifici um tractare poffunt , quod femper, &
grauidis , & non grauidis apertum ma net, experimentum Hippocratisde hy
dromelle, & acuto luftumigio non æter næveritatis eft, vtGalenus &
Auicenna comprobarunt. His itaque indicijs vere conceptum explorari non pofle
expla natumeft.cognoſcimus tamen ſigno e uidenti & infallibili indicio
prægnan tes mulieresin primismenfibusMitren chitæ fue Specilli, quo liquores in
Vte rum inijciuntur,auxilio.hoc apud vete. resin magno vſu erat. Profecto ;li
illius in foramen Vteriexternum apicemin . mittimus, quod fumma cum dexterita
te finiftræ manusdigito indice inuenie . mus non enim quilibet inexpertus in
yenirefciet, eft ſiquidem externum V. çeri foramé in vuluæ apice particula obe
longa, & duriuſcula , quæ exigui penis puerorum exprimit imaginem)ſi ex
pice ſpecilli liquor aliquis fuauiſsimus ficut efle vini tenuiſsimi pauxillumine
forte exiſtente coneep'u fequatur:abt ortus) exprimitur, breui tractu votum I
affequemur, Sienim obturatum eſt in timum vteri foramen , quod fit concep tu
pera & o liquor Vterum non ingredi gur,& mulier faftidij njhil
perfentiet. Sin autem ex intromiſlo liquore velli , cationem paruam pertulerit
mulier: quod facile fiet ex maximo ſenſu parti um vteri,vưiquegrauida non erit;
& V teri intimum foramenapertum reperiea tür, vt experientia liquoris
oftendet. Sand.Sanctor.lib.1.de vitand error . Periculofum eft pifces frixesin
humido locarefor matos fomedere; Nter magna venena piſciú frixorú ,
quireſeruantur inhumido, vel qui Aeterint cooperti calido vaſculo , eſus eft;bi
enim in lethiferú cómutantur ver nenú , &fymptomata pernicioforú fun gorum
corporibus inferút, quæ quan doq; non ftatim ,ſed poft diem , vel bi duum
eueniunt : oportet igitur frixos pifces in loco aperto ,vtfrigeant, demita tere
, fi venenimalitiam cupimus euita re.Ex ArnoldoVittan .lib.de venenis, 10 .
Lałtis balneum procorporis decoratie onemultum præftare. Pud veteres lactis
Balneum max A idve vu, illiusfiquidem lotione,corpora , & candore, &
venuſta te vigebant. Hinc memoriæ proditum eſt Poppeiam Neronis vxorem quin
gentas ſecum aſellas ducere conſueuifle, quarü lacte,vt candefieret , totü corpus
balneabatur. Mercurialis de Decoratione. Germantantiquitùs corporis firmi
tadinimaximèvacabant. M Agna profe &to faude Germano rum conſuetudo,digna
iudicatur in corporum hominum vigore confir mando :ijenim legem habuerunt,neant
te ætatis vigelimum annum , quiſpianti Venereis amplexibus commiſceretur, recte
exiftimantes corporum viresà nim mis tempeſtivo coitu eneruari.Cefar 6. de
belloGalico. Fæminas vtero gerentes , libenter : marem admittere :bruta autem
grauida nequaquam . ! Olie Vam diſsideatmulier à brutis gra uidationis tempore,
bene nouit A rift.7.de biſt. animal. cap. 4. Hæc enim ſigrauida clt, marem
admittit,brutoru vero omniumſola equa coitum patitur à conceptų , reliqua
autemminime. Ma nifeftifsimum eſthoc in ſpeciehumana mulierem grauidam coitum
pati, & ap petere. Cicutam ,vterinum furoremex " : tinguere. Icet
cicuta inter frigida connume. retur venena , præcipuè quæ in quis, &lacubus
inuenitur,furoris tamen vterini, fiue Satyriaſis remedium it. Hic affectus
Veneris eſt immoderatus appetitus , cum vteriardore , & delirio, Narrat
Diuus Baſilius quaſdam vidifle fæminas, quæ Cicutæ potione rabioſas capiditates
extinxerunt.Hoc legiturs. Liebe Homil.fup.Hexaemeron ,cuiusverbanotr nulli
intelligunt de ciborum appetitu, ego tamen potiusadfurorem vterinum , &ad
renereos incentiuosappetitus de ducerem , cuius auxilio compefcuntur: quippe
Athenienſes facerdotes cicutæ vfu ,libidinisincendia extinguere con
ſueuiſſeproditum eſt. Variolas &morbillosmorbos effe no yos, &
hereditaria, &paterna prom prietate vagari. Agna eft difcordia inter
feripto , origine. Aflerunt multi , hos fub nomi neexanthematum , veteres
intellexiſſe, cauſaſque illorum reliquias efle excre mentifanguinis menftrui,
quo nutriun fur fætusin vtero , & naturam , fiue calo . remnaturalem, ita
exprimunt materiá, & efficientem . Alij minimeà veteribus fuille cognitos
volunt , digladiantur que:num vitio .coli,vel ab internis cor. poris principijs
apparuerint: quippe Arabes, quorú tempore cæpiffe hic mor buscreditur, eos
peftem efle , fierique in pefte , & à corrupto cælo contendunt. de Equidem
ante Arabum tempora nul lus-reperitur au & or, à quo morbos hos LT aut
generatos, aut clare explicatos ha beamus.Proptereamulti latini, &non nulli
inter ipſos Arabes, propter labem menſtrualem , lactis corruptionem , vi
&tus rationem , & alias cauſas fieri fcrip ferunt.In tanta rerú
difficultate , & ob > fcuritate.Hieronymus Mercurialis vir d octiſsimus,
hosefle morbos hæridita o rios,ortúqueà cæli vitio temporeſcrip e torum Arabum
, & proinde à veteribus haud fuifle cognitos enucleauit. Adhu ius viri
opinionem libenter deuenie , quippęſi à menftruivitio, homines in ficerentur ,
quia hocab Euæ peccato à mundiorigine fempiternum fuit ,debu iffent homines hac
menftruorum labe conta&i ſemper Variolas, & Morbillos pari,tamcn vec
inprimaætate, nec poſt Noe,nec ante ſcriptores Arabes quem piam hos habuiſle ,
apertè legitur. Aperiunt iſtorú fundamentum efleiro walidú bruta fanguinea,hæc
enim ( teſti monio Arift.6.de hiſtor.animal. 18. ) mé ſtruas purgationes
habent, & inter cæte. ra Equus,Canis, & Alinus,tamen hæc à Variolis,
& Morbillis non tentantur. At quodhuius reimagis negotium conua lidat,eft,Indosante
Hifpanorútranſitú nequaquã Variolas paſſos, dirco non à reliquiis nutrimentià
menſtruo fangui ne,velab iſtius excremento ortú ducunt Morbilli; quia ſià tali
fuifsét variolarú, morbillorúq; origines,vtiq;ij hos mor bos experti fuiſſent.
Legitur apud Ra mufiúIndiæ incolas,vitioCęliplurimos Variolis fuiffe extinctos,
eoq;tempore, quo noftriáb illis gallicam luem accepe runt, cordemmet viciſsim à
noftris Va riolas, & Morbillos recepiſſe.Suntergo hi morbi noui à Cælo
productiprimò, cuius vitio adco homines fædati funt, vtin pofterosper
hæreditatem maliſée minarias cauſas tranſmittant, proinde morbi hæreditarij
dici merentur , quia paterna proprietate vagantur. Ex Mer. caridi. A1 th
Dearaneorum telis,earumque ufuo inmedicina. Iro artificio Araneus telas ordi M
tur , quibusmufcaspro vi&u ta . piat , hasad Tertianę febris circuitusde
pellendos,multi præftantes, & celébres tempeftatis noſtremedici,non fine
feli ci fucceflu in vfum præſtitere:fiquidem exiis , & populeo vnguento
pilulas pam rant,corporiſque locis,horisaliquot an , - te acceſsionem ,in
quibus arteriariume uidens deprehenditur pulfátio, colligātas &relinquunt;
indė votum conſequun . tur. Ioannes Moibanus. - Natur& cautela
inmenftrualimulier rum fanguine purgandomaxi-, ma eft , MalenAgna eſt, in depurandis
femina rum corporibus à menſtruali luc, naturæ fagacitas ; quippe fi oculos
habuerit meatus, quibus lingulis men fibus illam deponere conſueuerit,nouas adi
illius expulfionem vias molitur. Proptera.multæ , ex oculis cruentas, laie.
chrymas,aliæ ex narium venis farguinis profluuium emisêre,nonnullæ ſputa ru
bentia pafſæ ſuntin menftruorum cefla tione.Ipfein quadam ancilla noſtra, cui
menſtrua occlufa erant, ex gingiuisſan guinem profundere obferuati.Atquod
magnam infert admirationem , multæ per minimum manusdigitum ,& per an
nularem fingulis menfibusfanguinis fu . fionem habuerunt,vt in religiofa qua
dama foeminanon menſtruante ter in fin niſtra manu Ludouicus Mercatus fami.
geratus medicus obferuauit. Inter rutam do braſsicam nullam imao effe antipathiam
. Xſèriptoribus in re ruſtica malti, fi . fecus rutam feratur, braſsicam illico
arefcere tradunt. Aliam von adducant cauſam , & rationem , quam
antipathiam, & diſparitatem quandam inter talium naturam.F utile autem eſt
hotum argua. mentum , nulla enim inter rutam , & braſsicam.contrarietas
eft, quia tamen alte . Elec NO altera
prope alteram areſcit, id in cauſam eſle poteft ,quiavtraque calida, &
ficca - eft , inde facile euenire poteft , vt ob humiditátis inopiam altera,
vel amba i ariditate perdantur. Pediculos morientium corpora miris Jagacitate
relinquere. on leue à Medicis præfagium à pediculis in grauibus hominum
valetudinibusſumitur . Hi profe &to in moritüris; quandờadeo intenfà eft
huis morum corruptela, ve calor innaus re foluatur, vel putreſcat , circaventricule
regionem , vel fub-mento, vbi maior eft " ealiditas congregantur,parteſque
extrbó mas, tanquam calore proprio orbatasderelinquunt. Quodcalorem proprium
penitus exſolui cognouerint, ab infirmi corpore mira celeritate longius abeſle:
confpiciuntur. Lemnius. De Achatis lapidismirabili. natura A Chates lapis, qui
ex India fertur, tum coloribus diuerſis , tum ve D4 piss TA m nis variari confpicitur , ex quorum in ..
terſectione diuerlæ imagines multoties, fabricamtur .Quod autem mirabilius eft,
nuncferarum genera , flores, aut nemo ra,nuncvolucres, autRegum naturales, hic
lapis portendir effigies : quippe fer tur in Achate Pyrrhi Regis, & capuri
, & feptem arbores in quadam planitie ap parentes extitiſſe , Ex Camillo
Leonardo de. lapidib. Ferarum natura in hominibus mie rum in modum deteftanda..
On eſt à ratione alienum , quod de Attila circumfertur , quod Canis more
latraſſet : quippe Ioannes; Langius clari nominis medicus ab equi-.
tibusComitis Palatini feaudiuifle retu lit, quod in Auftria homine, qui latra .
tu ,ac curlus pernicitatecumcanibus co tenderet, & cũillisin ſyluis illæfus
ve naretur,vidiffent. Hæcauténaturaabfq; dubio deteſtanda eft , quippe tales .
im manes ſunt, & in hominum occiſiones procliues, vtAttila crudeliſsimus
fuit, NRege in es Ees & in viuentium cædes pronus , à quo tot Vrbes, &
populi vaſtati ſunt.. Non modòinfæminaslaſcinire homi : nesverum , etiam
brutacernuntur . Omines laſciuire in fæminas, nec nouum ,nec inauditum eft cum
anebo fub humana fpecie contineantur. Quod autem bruta in eafdem laſciuiant,
mirabile eft,Plutarchus in Dialog. Ele phantem in Alexandria fæminam qua- - dam
,quæ coronas ſutiles componebat, fuiffeque Ariſtophano Grammatico rio ualem ,
adamaſſe retulit: A micę,per pla team tranſiens Elephas,&poma, & frum
& us donabat, multiſque indicijs , & a morem , & ad fervitutem
promptitudi nem declarabat,læpeque à latereafside bat, & laſciuè mammarum
loca tange bat,Serpens etiam quidam (teſtimonio eiuſdem )puellam ardentiſsimè
adama uit,no & u ad illam accedebat, placide. - que amplectebatur, &à
latere dormie bat, luce autem aduentante nulla illata kelione
diſcedebat.Parentes,ne à ſerpé tele . t n itas te læderetur, aliò puellam
afportarunt: Ille autem ad amicam vltimo peruenit, quá
nonmorefolito'amplexa,ſed qui dam amantium ira in illam irruit , ma
nuſquepuellæ nodis vinciens,caudæ exe tremitate amicæ tibias verberebat,
profecto præreritę fügæ ,atqueablentiæ: iniuriam vlcifci videbatur:
Quomodofamine vterogerentes: conceptumvaleantoccultare. Aximam Sabini cuiuſdam
Roe mani vxoris in occultando conceptu referam ſagacitatem , quo præfi dioaliæ
confimiliter,fi optabuntfæmiö. næ à conceptionis.indicijs faciliter oe
cultabuntur.Illa quidé dû aliæ mulieres; fecum lauabantur ventris tumorem ce ..
Jare cupiens, vnguento , quo ruffas, & aureascomas.reddebat,ab vtero corpus
vniuerſumlinire folebat. Illius erat vis pinguitudinem , ſiue carnis
inffationem , aut laxitatem efficere , propterea com . Go: lange in corporis
particulis vtebatur, Hlud tumeftumrepletumque redde MA bat, ventriſque tumorem
' occultabat. Parabatur( vt' puto )'vnguentum ex res bus rubificairtibus,&
puftulas inducend tibus,calcefcilicet,auripigmento , tiap s. fia , &
lulphure, hæc enim alijs rebus co --- mifta veteres ad capillorum cultum cad 1
piebát,ſin a.in aliqua corporisparticula applicantur ex magna caloris vijaut hu
mores ex alto ad fummum :trahuntur; aut ipfis fuſis.gignuntur:flatus cutis,
& extima corporisſuperficies attollitur, & in maiorem molem ducitur.Ex
Plutarc... inlib - epwTikā . Fructuum , vinearum ,iumentorumga interitus
praſagium . Agnun à mori germinatione ca Lpiturpræſagium , mörus enim . ideo à
Theophraſto prudentiſsima vocatur , quia omnium nouiſsima gera minat , &
pruinis non tangitur : Idcirco fructus, & Vineæ à mori germia minationeà pruinis
liberi fünt. Ea tam menquando à pruina lædi contingit( fia: D G quidemosi M Ty
& fiquidem læſam in Aegypto, vt in pſala mo77 legimusMoyfis , tempore
prodia tur fuiſſe )Colimaximamarguitintema periem ,& proinde fructuum ,
vinearum . que interitum declarat.Atmaius ab vl. mo &perſicopræfagium
capimus, quip pèvlmi, & perfici, folia , præter tempus decidentia ,peftem
inomniiumentorű ,. &pecuino genere præfagiűt. Ex Cardano., Fætoremextinéta,
lucerna vteroge Trentibus,infeftumeffe ,& ini. micuin ... Dor extinctæ
lucernægrauis,adeo tur , vt in abortum faciliter conducat. Id : alleruit
Ariſtot.8.de hiſt. animal.c.24 . vbi non modo mulierés grauidas,,verú .
didit.Profecto malus odor fi odor. fi prægnana. tjú corpora ingreditur, quia
fætus im becilliseft , & à quolibet alteråtur,facili negotio inficitur,
eius caro tenerrima, & ſpiritus inde abortusſequitur.. At no
Kemelextinctalucernæ fætor perniciē. quoque Ila He 4 i quoquc hominibus
attulit, vt carbones in cameris teſtudinatis facere accenficó . fueuerunt. Duos
monachos retulit Pe. trus Foreftus in obferunt . medicin..cum nodu cellam
ceruiliariamintrașent , vt fæcem cbullientem exportarent,( fortè candela
extincta )cum exitum non inue nirent,ſuffocatosfuiffe ,ac mancmortu . os effe
inuentos. Infania ,&furori àfolanofluatico contrattis vinum
potentiſsimnmfora gulare eſe prafidium . Olamur . fyluaticum , quodà multis
Belladonna dicitur,tantæ eft immani tatis,vtinlaniam , &furorem hominibus
eiusacinos.comedentibusinducat, AC cidit cuidam ( referente. Hieron. Trago dib.i.hiftor.
ftirp.) quiin fylua plantam vi. derat talis calus: hicmultos decerpfit acinos,
& deuorauit : altera verò die in tantam inſaniam ,& furorem deuenit, vt
plerique illum à Dæmone obſeſlú cre derent.Intellecto tamenmorbo, vinum
fortiſsimumà. Trago illi propinatum Spelaria D ? esto) eft, quo facto conſopitus,paulòpoft con
ualuit, & abfquelslione vixit, Lolium tritico ", alýſque cerealibus :
commiftum varia hominibusfymptom mata attulille. Anis,in quo- lolium fuerit,
ſtuporem quendam ,ac veluti temulentiam efi tantibusparit cum fòmno inexpugna .
bili.Id Gatenus afferuit lib.1.de Aliment: facult.Etenim ( inquit )cum anni
confti tutio praua afiquando fuiffet, lolium tritico affatim ispaſci contigit ,
quo haud feparato, quod paucus effet tritici prouentus ftatim quidem multis
caput dolere cæpit ineunte æſtate in cutemula torum,qui comederant vlcera ;
& alia fymptomatafunt fubfequuta, quæ fuc corum.prauitatem indicabant,
Lolijta . mennocumento acetum efle præſenta Deum remedium iudicatur. Quare tum
Htritico ,tum abalijs feminibus cerealio busdiligenterloliumfeparandum eſt.
Scorpio Scorpioidem herbam Scorpionum : iltus feliciter fanara. Irabilis eft
herbæ Scorpioidis in : M Scorpiones potentia,illi quidem huius tactu ,exocculta
diſcordia exani. mantur, &intermoriuntur , tantam in ter eosanthiphatiam
natura indidit.As' quodmirabilius eſt exanimati Scorpi. ones,fi Hellebori albi
radice tanguntur; ad vitamreuocantur. Propterea.Scorpi oides,Scorpionum ictibus
impoſita fe liciter & citilsimè illorum virus mor , - tificat,viculque
perſanat ex, cuius prz . tentancain illos virtute à Scorpione now. men fumpfit,
& Scorpioidesdi&ta eft. Mirabilesin biomiwibus proprietatesquase doger
adfuiffe. Dmiranda profe &to in homini bus quandoque vifa funt. Regem Pyrrhum
aiuntpollicemindextro pede natura habuifle , cuius , taču lies nelis medebatur
: bunc cremari eum religae A réliquo corpore haud potuifle perhibet .. De
Samplone legitur infacrisLitteris, quod in capillitio mirabilem contineret
virtutem , qua aduerfis quibuslibet re fiftere audebat. Veſpaſianūtactu .&
fali ua, & fine his quandoquenon paucis af feátibusmedicatumeffe
tradunt.Ego e. quidem idiotam cognoui hominē, qui Ipuitione ſola in osinfirmi
ranulas per fanabat, &licet primoafpe & u a&u De Monisid perfeciffe
dubitauerim , quieui tamen ,cum fimpliciter curamagere illú : cognouerim .
Dolorem colicum Bubulo ftercore per Sanari. Agnam Bubulo ſtercori" dolorem
colicum fanandi indidit efficaciamquippè apud fcriptores legi, & à fide
dignis audiuiffe viris afferit Geſnerus, illius potu complures ruſti.. cos
fuiſſe liberatos,qui enim ftercus ari dú in iuſculo bibit, ftatim fanatur. Hinc
apud multos mosortus eft ,vt nonnulli nonmodo ipſum excremét aridum ,ve rum. 1 E1 uum recens, & expreflum iufculis ebi
bant, & melius habeant. Ego quidéru fticis tantummodo remedium præbe rem ,
nobilibus vero, ne nausean indu cerem ,non auderem ,cum nobiliora pro ijs
habeamus præfidia , ſufficerent tali.. bus ex eodem ftercore cataplafmata, vt
enim reor,ex proprietate tale auxilium colico dolore vexatis,ſubire confueuit.
Epilepſiamfrumafqueverbena ako xilio evaneſcere. Aturalis Magiæ
profeſſoresverbes: nam ( Sole Arietemi ) colle & am graniſque pæoniæ
fociatam , contritam , & ex vino albo hauftam per colato ,
epilepticosinftar miraculi fana . re prodidere.Hoc exHermetetraditur.
Nop.minoreft ejuſdem radicis efficacia, quippe collo eius appenfa, qui ſtrumas,
patitur,mirū,ac infperatum adfert pra fidiumReferunt Aſtrologi hanc Vene ri
effe dicatú , ffrumaſque delere ,quod Veneri ancilletur , quæ collo præeft,
propter Taurum eius domicilium .. Ex. Durante inHerb. N 1 1 1 1 i Arbores
quandoque in lapides commutantur: N Danico mari , iuxta Lubecenfem vrbem
Alberti Magni'ætate, arboris ramus inkientus eft cum Nido, & pullis, qui
cum in lapidem omnes, cum arboré & nido eflent conuerfi ,purpureum ta = men
,( vtipfe retulit Jadhuc colorem fa um retinebant. Georgius Agricola eti am
memoriæ tradidit,in Elpogano tra étu, iuxta oppidum à Falconibus cog nominatum
, Abietes integras cum cor tice in lapides verſås elle ,atque , quod maius eft,
in rimisetiam porphyritidem Japidem continuifle , quod maximè foc Tertiſsimæ
naturæ operibus tribuen dum eſt. Bardanamaiorcum mulieris piero magnam baber
ſympathiami quæ MPerfomatia diciturinmulieris yra rum , magnaque eft cum illo
eius fym. pathia , quippe illius foliun lämmo ca. pite geftatum matricem furſum
tollit, fub planta pedis deorſum . Propterea huiufmodipræfidium aduerſus matri
cis ſuffocationes,præcipitationes, ac tiſo locationes præſtantiſsimum à multis
iudicatur. Ex Mizaldo, Quomodo literas axrei colorispinger . valeanks. VI T
literas aurei coloris habere pole fimus,auri ſolia quot libuerit, eli gemus
quibns mellis tres vel quatuor guttas miſcebimus, hæc infimul conte renda funt.
ad vnguenti fpiſsitudinem , in ofleoque vaſculo conferuanda, Cum autem ad
ſcribendum .huiuſmodi mir ftura vti volumus,aquæ gemmaræ ali quid addendum eſt;
vt operi liquorap tior exiftat:ita profe & ò litteras habebi.
musincomparabiles. Ex Alex. Pedemono Lano. Qyomodoveftigia; & défórmitates
vario lis,&morbillis bomines poſsint. euitari. Ne 92 E morbillos. in facie , corporeque hominum
remaneant , expertifsimum apud me, quod in publicam vtilitatem placuit
aperire,eftpreſidium ,quo vten tes pueri puella quedeformidate , quæ ab ijs
relinquitur , carebunt. Cum va riolæ, fiuemorbillimartruerint, & in medio
oculi quafi albicantes enricu erint , quod eft fignum bonæ matura tionis,omni
die bis oleo amygdalarum dulcium recers . expreffo plura leuiter oblinire
oportet, donecexſiccentur , ita profe & ò, vt fæpius experiri libuit , ve
Itigia non remanebunt; & quod melius eft,oleum hoc'excoriatas variolasmira
. bilíter ad fanitatem perducit. Quantum in hominibus: vfus vene norum valeat.
Ithridates fæpè veneno epoto , adeo venenorum tis auxilijs corpus diſpoſuit,vtcitra
of fenfam venena ebiberet. Cum autem à Pompeio profiigatus eſſet,atque in ex
trema:I trema fortunæ miſeria conſtitutus, è vi e taillæſus diſcedere
feſtinabat, quaprop ter venenum hauſit , & pluſquam fatis eſſet,nectamen
emori potuit,cum con tinuus venenorum vſus in hominum naturam pertranſeat.Ex
Plinio . Inhominibus vermes figura maximè differunt. V 23 5 admodum funt
differentes, quippe in quodam Antoniano CanonicoMon tanus obſeruauit.Hiccolico
dolore tor quebatur , cuius moleftia Hierameram deuorauit,vermemque
deiecit.Erat ille viridis, figura lacerti, ſed craſsior, hirfu . tusq ;, &
pedibus quatuor innexus.Breui tempore à fera propulſa, canonicus obia ic:contra
illa in vitrea phiala aql a plena, per menſes aliquot viua ſuperſtitit. Ex codemMontano
lib.4.6.19 . Calculusrenum , veficæque in homi mibus, quopacto confumi valeat.
Lapil t Apillus, qui in Tauri veſica
,men {e Maio reperitur , magnam habet in conſumendo calculo efficacia. Hic fi
vino imponitur , mutato paululum ſa pore, colorem croceum contrahit. De hocvino
quotidierecens effufo , donec lapis vino impofitusomnino conſum peus lit, à
calculo infirmos bibere opor. tet. Hac enim ratione, nó modo calculú comminui,
verum etiam conſumi mul. tos experientia edocuit. Ex Quercetane. Filiosà parentibusfignum
aliquod recipere , vulgatifsimumet. " Ilii omnes patrium aliquid, aut aui
tum ad vnguema retinere folent,ver Tucam ſcilicet , vel cicatricem , vel effi
giem ,velmores , autmanuum lineas.In domo noftra omnes à parentibus verru cam
in brachio habuimus, & Marcellus filius meus ex me confimiliter. Proue
niunt hæc à feminum miſcela , ſpiritu umquevtriuſq; parentis ſeminaliú,auo
rumq; effuſione. Proptera etiá ſuccedit, File ( fire fi feminain filiorum
generatione benc mifcentur,atque in minimas partesiun guntur) vt fætus robuſti
euadant. Hac enim rationefpurij robuftiores exiſtunt quoniam ob amoris
vehementiam , ve triuſque ſemina multum , beneque.co . ráiſcentur:Ex Cardano de
subtit. go D: Marerubrùm in plantisproducendis terre vigorem obtinuiffe videtur,
to Adel D mare rubrum afbos nulla in terra prouenit ,præter fpinam , quç dipras
vocatur. hęc autem propter fer uores, &aquę penuriam rara etiam eſt, quippe
non nifi quarto , quintoue anno pluit, & tuncquidem impetuoſe, breai quam
te?mpore. At- in mariexeunt plantz , cat quelaurum & oleam appellant.Läu
rus arię fimilis in toto eft, olea folio ta tum fru & um oleę proximuin his
noftris oliuis parit , & lachrymam -emittit ,ex qua medici, Irftendo
fanguini medica Hentủ compopunt: Cú auteaquỵ plures inceflerit,fúgi iuxta mare
quodãin loco crum HM erumpunt,qui Sole tacti, in lapidem co mutantur. Ex
Tbeophr.in 4. de hift.plan. Incapillorum defluuio ex Hydrargynı lac epotum
peculiare iudicatur auxilium . . rifabris capillorum defluuium in ducere conſueuit,
aliaque ſymptomata; quæ tales in mortis pericula conducunt. Pro huius
immanitate, vtiin potu capri no lacte, illudque cum pane commede re,fingulare
& expertum eft remedium ; quippe ſedata illius vi,atque potentia,à veneni
morte liberanturægri, & piliite rum nafcuntur. Ex Foreſto in obſeruat.med .
Inter Lupum , Agnum maximam effe antipathiam . Tantralis difcordia,vt
ipfisemor. , tuis in eorum chordis id etiä eluceſcat. Si enim ex Lupi, Agnique
inteſtinis, chordæ conficiuntur, in inftrumentis muſicis applicatas minime
concentum vocefque lonoras reddere,fed continuo tadas Bo ta &tas dillonare
obſeruatum eft :at quod mirabilius eſt , agninas chordas à Lupi funiculis
corrodi , & confumi, fi fimul n repofitæ fuerint,comprobatum eſt. I demde
Aquilæ , &anſerum plumis fer tur, Aquilæ enim pluma naturali antia pathia
anſerinas poſitæ interplamas , vt docuit experientia eas conlumunt &
corrodunt, Quadam pro Epilepſia admiranda reperiun. RiaabHoratio Augenio
ioluiscá . (ult.pro epilepfia curanda magne efficacię proponuntur remedia.
Primo lococarbo eftille odoratus, qui fub Ar timiſiç radicibusęſtiuo folftitio
colligi tur, quiper dies40.infirmis,aliquocon ucnienti liquore exhibendus eft
mane ieiuno ſtomacho.confircor ego cuidam , epileptico huiuſmodi remedium ada
modumprofuiſſeSecundo loco ,Mufte lę fanguis adducitur , hic pręſtantiſsi. mus
proepilepfia ſananda cenſetur,au. joris experimento, vidit enim fanatum E
epilep probauit , fanari confueuit . Colligitur epilepticum fupra 25.annum
,ſolo huius fanguinis vfu potati ſcilicet ftatim at queè venis exiſtadvoc.ij.
cum vnaacer. ti :Vltimo loco tefticuli Apri,aut faltem Verris fiueSuis
domeſtici-Venere vtéris; &tefticuliGalliexiccati in furno mira biles
cenfentur;hi in puluerem tenuiſsi. mèredađi, cum zuccaro mifcentur, & decem
continuis diebus epilepticis ad drach.tres,cum aqualettonicæfelici cũ
fuccefsu.exhibent. Flatuofam inmembrisconuulfionem lignoce peſcoperfanari,
Onoulſio illa, quęà flatu in mufcus lis , & membrisoritur cum dolore, Chanc
noftrirampham ,ſiue gramphum.yo cát)nodis ligneis à viſco , quod in quer.
cubus'adnafcitur, vt experientia com С. viſcuin aftiuo tempore,Sole in Lepois
fickere commorante,tunc enim perfectia onis complementumadeptum eft, Dc. bent
nodi ligneiillius, loco patienti fu perponi, vtitarimfiatus: diffugiat ,pio gui
ficco, renuiq; prædirum eftlignum , * aut occulta ratione, vtvoluirCardanus
Confiteor,multis taleprælidium ad pre feruationem meconfuluiſie ,votumque $
fuiſſe aſſequutosſola iſtius ligni tuſpen y fone. Annult ex bubalorum cornibus
| huiufmodi etiam dolores prohibere multa experientia, ex eodem Cardano i
obferuati ſunt. Quomodo nonnullorum animalium vent num corpora vostra
ingrediatur. Pedido Halangium cum aliquem momor . dit , quamuisparuum fit
animal,ex . - iftimare tamen debemus, venenum ex ipſius ore , primo quidem in
ſuperfici em ,deinde vero in totum corpus defer ri, Præterea marina turturis ,
ficuti , & terreni Scorpionis aculeus , quamuis ir extremam illam
acutiſsimamque par temfiniatur , vbi nullum foramen eft , per quod venenum
deijci pofsit,neceffe en eft vt excogitemus ſúbftantiá quianda ineſſe illi,aut
fpirituale,autAgidam ,qnz E vt mole minima , ita facultate eft quam
maxima.Siquidécú nuper fuiſſet quida ict Scorpione, videormihi eſle(inquit)
percuſſus grandine:eratque omninofri gidus,frigidoq;fudore perfufus.Quip pe vbi
exicta parte,pertotam iplamce leriter diſtributa fuerit venenivis,con tingiteam
, endemrurſus.contactu ,in fingulas ſubiectarumei partium recipi: mox ex illis
inalias continuas, done: in aliquam peruenerit principe :quo tem forémortis
periculum inftar. Ad hanc remin primis conferunt vincula parti bus fupernis
inie & a, abſciſsioque pare tium venenatarum . Noui equidem ru fticum
,quiepoto è viperis medicamen to , reſciſlo priusdigito euafit, ficut , & alium
quendamqui ſola ſectione circa medicamen eſt liberatus. Hac Galat. 3. deloc.
aff. Mirabile ad Strumas gurturis, ramicem , Adem44 Yemedium . Dmirandum
remedium ad ſtru . A mas. Cupreſsi foljaneque teneri. ora ,neque duriora in
puluerem com di minties, tortiuo vino confperges, atque ita volutabis , dum in
fæcis corpus coe TH ant, inde fruma, velramex indecitur, pe tertio primum die
foluitur medicamen tum , contractum locum inuenies, quidie o gitis-exprimidebec
rurfus ad tres dies idem pharmacum applicabis,eodemque modofolues
,&exprimes;feptimodie, vel ad fummum pono , ſtrumæ velut miraculo
abolebuntur. Valet etiam ada ramicégutturis, parotidas,omnemdur se ritiem ,
& ædemata. Hie tollerininhere fit.Chirurg.6... Peftilenti tempore in :er
pracipua-prafidia: aeris re&tificatio fummum iudicatur. Mnilaudedignus,
omniq; decore admirandus Hippocratesiudican dus eft ,qui peſtem illam ex
AEthiopia ad Græciam venientem , non aliorepu lit auxilio, quá aeris
purificatione.Præ cepit enim ,vt per totam ciuitatem ignes accenderétur ; qui
non è fimplici folum materia ,fed etiã beneolenti conftarent. Qua propter ,
& coronas odoriferas , florefquearomata ,vnguenta pinguiſsi magrati odoris,
& alia iucundosodores fpirantia, ciues igniſpargebant, quo paa Eto aer
purusfa & useft ,& ijà peſte tuti fuerunt. Ea fuit magni Hippocratis
dia ligentia. Ex Galeno. Portaldara fenuinis contra lumbricas: magna
estefficacia. Nlumbricis necandis nonmodòPon tulacz aqua ftillatitia aptiſsima
iudi.. catur ,verum etiam illius femen.Narrat enin : Arnaldus Villanoua ,
quendam puerum , dum effet in mortis periculo Conſtitutuspropter lumbricorum
mula titudinem drach.jem . feminis Portula cæ cum lacte fumpfiffe,atque
lumbricas multos emiſiſke,fuiffequeliberatum . Quorundam animalium vita
terminus con. ftitutus,quis fit. epusannis decem viuere fertur, & Catus
totidem . Capra o & o . Afinus triginta.Quisdecem : fed vir gregisfæpè quindecim
. Canis quatuordecim , & quandoque vigintiTaurus . quindecim . Bos,quia
caftratus,viginţi. Sus, & Pauo viginti quinque.Equus-vigioti,&non
punquam triginta , inuenti funt, quiad quinquageſimum peruenerint.Colum biodo ,
vti etiam Turtures. Perdix vi. ginti quinque , vt &Palumbus, qui non
nunquam ad quadrageſimumperuenit . Ex Alberto Låddoloresarticulares electuariano
mirabile. Periam electuarium illud mirabia le , quo ego in doloribusiun
&tura rum, & in arthritide cum felici fucceffua nor femel vfus fum .
Huius auctor Pem trus Bayrus eft,licetipfe Galenicompofitionem efle dicat in
-lib.18 : fuæ Praski. Confiteor fubito ſoluere finemoleſtia , ignitum caloré
extinguere, & membra patientis adeo contemperare, vtmultas viderim ,
endédie, qua pharmacum acce. perant, à ſella ad locú propriúſine alte rius
auxilio languētes redire. Capiútur Hermos Qua propter , & coronas
odoriferas į floreſquearomata, vnguenta pinguiſsi magrati odoris, & alia
iucundosodores fpirantia, ciues igni ſpargebant,quo paa cro aer purus fa &
useft , &ijà peftetuti fuerunt. Ea fuit magni Hippocratis dia ligentia. Ex
Galeno.. Portulara feminis contra lumbricos. magna est efficacia. Nlumbricis
necandis nonmoddPon tulacæ aqua ftillatitia aptiſsima iudim . catur ,verum
etiam illius femen . Narrat enin : Arnaldus Villanoua , quendam puerum , dum
eſſet in mortis periculo! Conſtitutuspropter lumbricorum mula titudinem drach.jem
. feminis Portula cæ cum lacte ſumpfiffe,atque lumbricas multos
emifiſke,fuifíeque liberatum . * Quorundam animalium vita terminus.com
ftitutus,quis fit. epusannis decem viuere fertur, & Catus totidem .
Capraodo. Alinus triginta.Quisdecem : fed virgregis læpè. quin io rabia quindecim
. Canis quatuordecim , & quandoqueviginti.Taurus quindecim . Bos,quia
caſtratus,viginti. Sus, & Pauo viginti quinque.Equus-viginti, & non
punquam triginta , inuentiſuật, qui ad quinquagefimum peruenerint.Colum biodo ,
veietiam Turtures, Perdix vi. ginti quinque, vt &Palumbus, qui nons nunquam
ad quadrageſimum peruenit . Ex Alberto Laddolores articulares electisarianos
mirabile . le,quo ego in doloribus iun & tura rum , & in arthritide cum
felici fucceffu non femel vfus fum . Huius auctor Pew trus Bayrus eft,
licetipſe Galenicompo fitionem efle dicat in lib.18. fuæ Brasti. Confiteor
ſubito ſoluere ſinemoleſtia, ignitum caloré extinguere, & membra patientis
adeo contemperare,vtmultos viderim ,eadédie,quapharmacum acce perant, àſella ad
locú propriú fine alte rius auxilio languētes redire. Capiútur Hermodactylorum
alborum à cordis fuperiorimundatorum , & Diagridii an ..
drach.ij.cofti,cymini,zinziberis,cario phyllorum an.dracij.trita , &
cribellata conficianturcum fyrupo fa & o exmelle , & vinoalbo inuicem
coctis,donec ſyru. pi bene codi formam recipiant. Dofis eſtà drach. ij.ad drac.
iiij.fecundum in firmi tolerantiam . Auctorconfitetur ter ab huiuſmodi
doloribus fuiffe correp tum ,& femperinaurora huiusele & uarij ( quod
Diacoftum vocat )vnc.ſem , acces piſſe, & in vna die conualuiffe. Ego dia-.
gridium in minoridofi,exhibuifemper & beneſucceſsit. Periculofumeft
Bafilicum continues adorari. Vantį ſit periculi, herbæ Baſilica frequens
odoratus plenus,ex Hol Jerij exacta obferuationeperfpicitur. Quidam enim Italus
ex continuo eius odoratuin vehementes, &longos inci-. dit dolores capitis
ex Scorpionein cere bro epato ,cuius caufa morsconfequuta eft ck Ratio apud
aliquot huius euentus,ea potiſsima eft, quod Bafilici folia ſub te. ftafi &
ili putrefaéta in Scorpiones mu tentur, ex quo arguunt, frequentem o . doratum
animalcula quædam Scorpio onuminftàr, in cerebro geocrare . Vte cumque tamen
fit, Bafilici odoratus ad Syncopim , & animi hominum deliquia, mirumin
modum prodelle compertum cfts Piſcem Torpedinem, dolores capitis àcaufa calida
feliciter fanare. Nter fele & a , & quae dolores capitis à caula calida
auferunt remedia ,Tor. pedo piſcis eft. Aitenim Celfus, quem ſequutus eft
Seribonius Largus, huius Puciscapiti affricatu ,adeo tales dolores remoueri
vtin pofteru redire nequeant. Cauſa torpedinis qualitas eft,ipfa enim viua in
mari, & procul , & à longin $ quo velfi haftá; virgaveattingatur,tor
porem piſcatoris mébrisinduceredici. tur, vt Plinius lib.23.prodidit. Idcirco
etMatthiolus dixit) mirum non eft huiuſmodi affe& us, quodam ftupore :
feliciter ſola confricatione fanare . Queex occulta natura proprietate fiunt,
mirabilia videri. Aturæ arcana femper hominibus , admirationem præſticere:ratio
eſt,, quia caufas ignoramusproprias, & pro .. pterea in ſpeculandis his ce
pitamus, necaliud nobisreftat, quam føla admi. ratio. Quis enim non admiratur ,
cur: Hyænæ vmbræ conta & u , canesobmya. teſcant ?Cur Eryngium ore Capræſum
. ptum totum gregem fiftat? CurGallina, appenfo miluicapite nunquam quiefcea.
re valeant? Curappenſo allij flueſtris capite in ouis collo, quz in grege omnes
antecedat, Lupi ouibus nocere neque.. ant? Profe &to hæc mirabilia funt ,
& in refum fympathias, & antipathias, & na- . turæ arcana reducuntur.
Nonnulla animaliareiuuenefcere: proditur. Agnum natura quibuſdam anie. inalibus
pro fene&tute euitandai , COA conceſsit releuamer , Ceruus enim elu ,
ſerpentum renouari dicitur , quippès dum fentit fene&tute fe grauari,
ſpiritu, per nares è cauernis ſerpentes extrahit, fuperataque veneni pernicie
,illorum : pabuloreparatur.Colubri quoque alijq; ferpentes quoniamper hybernas
latebras. vifum obſcurari ſentiunt, primo vere, maratro , feu feniculo feſe
affricát,illud , que comedunt, ita vifum recuperant, &, exacuunt, & vetuſta
tunica depoſitag pelleque priori reiuuenelcere dicuntur.. Qgorandam animalium
carnes ad vitæ lorem . gitudinem palere. Longifsima vita aliquorum ami.. malium
vel eorum proprietate, multi fapientés vitæ longitudinem in hominibusinuenire
conati funt,volunt enim carnium efu longæ vitæ animali um ,vită poffe produci ,
re& ecenſulen. tes ſolidá nutrimentă,multú,diùq nutri R, & à morbis
defendere. Hac ratione Ceruicarnesprecipuè iuuenisadlógitu L6 dinem vitæ valere
autumant, Reculit Plinius quafdam nouifle principes fæ minas,omnibus diebus
Cerui carnes de paſtas, & longo ævo febribus, caruiffe .. Dioſcorides
lib.z.longam ſençđuter cos agere dixit , qui Viperę carnibus,
veſcuntur.Propterea Pliniuslib.13»An tonium Muſam Cæſaris Augufti medi cum
dicebat, Viperas in cibis ijs dediffen qui ab vlceribus incurabilibus affligea
bantur,ratus hoc auxilium , vitam illis, producere,atque omnesſanafle.Exlib.3;
Conuiuij noftilitterarij. Abfürdan, ridiculain effe Paracelli opic. nionem ,de
homunculi inpbialia vitrea g ! .. meratione, de partu . NPara Onmodo
ridicula,ledinfanda eft: Paracelfi, damnatæ memoriæ opi-. niode
homymauliconceptione, & partu .. Scripſitenimex feminehumano in ama pulla
vitrea. conie & o :;: & aliquandiù : fub cquino, fuma, Itabulato , homun-.
Cului culum gencrari . Vt autem hanc hypo .. thefimfaliam ille impiusdoceret,
exo uo fumpfit conie &turam ,quod cum op ſeruaret in loco calido
concludipofle, & ex eo tandem pulliim excludi, perſuaſit hoc idem in humano
ſemine in vitreo vaſculo reclufo poffe contingere. Sed vana, & fabulofa
ſunt eius figmenta, fi- . quidem ex putrefa& o femine, in an. pulla fub
fimo recondita talis homun .. culi partus fieri nequit, qualis enim eft
cauſa,çaliseffe & us conſequitur,proinde ex putrefacto nihil ,piſi corruptum
ori .. tur. Infuper in fetusconceptu ,vt ex fa . ais:diuiniverbidecretis
capitur,ſemen virumque viri: &mulieris concurrere opuseft
,præterhęęconceptio haud ori turniſi. fuerit vterus benetemperatus, tanquam
hortulus à Deo deftinatus ad hanc prolem , cui fanguis maternns fi mulaffluar:
quippè fi.materni- fanguinis deficeretappulfus,necfemenaugeri,nec ali planıę
inftar, necpartes conformari pollenr,, vt omnium philofophorum E. 7 conſenlus
eft. Ad hæc inter fætum, & vtero gerentem fympathia quædami requiritur , vr
calorem , & nutrimená. tum à matre recipiat, & à fætu viuena te inatsis
calor augeatur : & abia' ad cona coctionem , & produ &tionem
feliciter fuccedant. Quæ omnia fallain effe Pas tacelfi coniecturam atgtrunt:
ille enim non perfpexit in ouofemen , exquo puls dus fit , fimulcum alimento
vernaculo conferri, & in teſta per fe porracea tans quam
invteroquidemconcludi; ex qua pullus ali , & refpirare pofsit Semen vero
humanum caloris, & fpiritus Cu iuſdam viuifici particeps , &conforss
quorum vi , & beneficio fir generatio , antequam in vitream ampullam per
funderetur , eodem temporis veſtigio exhalaret , & conceptio euanefceret:
Hue aceedit, quod deeſt fanguis, quo femen nutritur, & augetur. Adde quod
per ampullam vitream , fub fimo recon ditam tetas fpirare nequiret confuta ..
maergofunt Paracelfiftarum fomnia ,& fabula fabulofa eorum magiftri conie
& ura; & vana de homunculi partu affertio. Ex. Georgio Bertino Campano.
In Armenia nines rúbentes fieri. Iues omnes(fublata philofophand tium
ratione)albæ funt, & ita ius d cat fenſus, vtnon immcrito Plinius lib . 17.
capite z : niuem vocaverit cæle ftiumaquarum ſpumam. Nihilominus Euftachius
Homeri interpres , in Ara menia niues rubentes confpici retulit. Harumcolorçm
multi fapientes rummi Aantes, non natura niues rubentes fieri, fed
accidentaliter illic voluere. Illa enim loca minio luxuriant, cuius colo re ex
halātiones , è quibus in Armenia ninesgenerantur , pallutæ , rubedincm .
acquirunti. Pro quartana febrejſalitaremedia . A Rnaldus Villanoua pra fecreto
ha. buit in febrequarrapaexhibere taxi barbaſsi radicem ex vino per dúashoras.
mote acceſsioné, & Dominus osdecorde: Ceruiad drach . Itidemex vino
alterator di& amocretico,ſaluta ,chamedrio ,chamæpithio, &myrrha ex
fucco abfynthit ad ſcrup.ij.caftorei eriam , & bituminis anſcrup. ij. ex
vino: Alij,vt quartanam excutiant , infirmis dum in acceſsione affliguntur,
timorem ex improuifo incu tiunt. Proptera Titus Liuius fcripfit, Quin &
umFabiuin Maximum in con fictu febre quartana fuille liberatum ... Terra
Lemonia contra venena miram : babet efficaciam . Nterpræſtantiſsima auxilia
contra venena,terra Lemniaconnumeratur , quæ ad Cantharides,& adLeporem ma
rinú adeò pręſtat , vt quadam proprie. tate, deuorata , omnevenenum per vomitum
expellat, quemadmodum mul tis experimentis hæc omnia didicifle.
Galenusconfitetur, Lumacalapidem ,partümulierum facilitati. Icitur Lumaca,
lapidem nobiliſsi.. me virtutis in capitcretinere, qué fi trio I tritum
ftranguriofis liquore aliquo conuenienti dederis , vrinam foluere , i
breuiterq; fanare comprobatum eft. AL mirabilem baberingrauidamulierecó. Senfum
:quippe appenfam fi ſecum por tauerit,in abortum minimè incidet , fin autem
tempore partus tritam ,cum vino capiet,multa facilitate pariet : fiquidem
lapides himeatusmuèaperiunt, è qui-. bus fætui facilior datur tranfitus. Ex :
Ifidoro.. Kamum fympathian in aliquet bruto mirabilem . elle Izaldus lib . 1.
arcan : &Podinus: lib.3 ,theat.nat.obſeruatű ,exper tumque audiuiſſe
aiunt,Vaccam ,Quem Equam , Afellam , Canem Suem , Felem ; fimiliaq, foeminei
generis animalia do meſtica , & manfueta, dum vtero gerunt , autinterire ,
autabortum parere, fi mas ex quo conceperunt,ma&tetur autocci.. datur,tam
valida eft,ac vehemens-illo rum inter fe fympathia. Hoc autem an verum fit
,confiteor, menondum fuiffe expertum .. oletno Oleam -arborem puritatis
virginitate of amantifsimam . Liva fimanuvirginea plantatur , & educatur
,,vberiores fructus præbe redicitur:, vſque adeo puritatis eſtamā tiſsima,
& labis nefcia. Hacde cauſa , ve Teor,abantiquis ſapientibus olea, Mi neruæ
dicata, & confecrata füit. Audiui equidem àmultis , alearum à laſciuis
mulieribus non femel fuifle collectas fructus,calq; fequenti amo parum fru
& ificaſſe,ExCarolo Stephanointideraruftia Aftronomiam Medicis effe
neceffariam . PRudens Phyſicus Aftronomiam in telligere debet, aliter
perfe& usMe dicus effe nequit.Cum autem ægros -Cųe rare intendet, Lunam
afpicereoporte bit, fi enim plena cſt,crefcitfanguis, & humiditas in
homine, & beftiis, & me dulla in plantis , ita voluit Hippocr.inl.
dediſciplina Mahemas: qui apud Galore peritur.Cum ergo quis in morbum in
ciderit,fi Luna è combuſtione exit,tunc iei creſcit infirmitas vfque ad
oppofitio bis gradum , quo tempore per a &to cceli themateaſpicienda Luna
eſt ,an cum alia quo planetarum ſocietur fortunato , vel & infortunato
;numin malovelbonofue . titalpe & u ; & an dominúdomus mortis.
afpexerit; ita enim de morte, & vita; de morbi longitudine , &
breuitate infire morum accuratiusconie &turarepoterit.. Ex Hippers . 10ak .
Ganjucto. Saturni,Martiſque coniun tionem inTauro , Bobuspeftilentiam pradicere
futuram . A. Strologorum ex multaobſeruan tia decretum eft, cum Saturnus.
Hupiter ,& Mars, vel iftorum duo fimul iun &ti fuerint ſub humano
figno, cona. currenti ad eam ftellarum fixarun vea Denoforum animalium afpe
& u ,morbos peftilentes hominibus effc futuros . Ex diuerſitate autem
Zodiaci brutis quan doque contagium appariturum , faluis hominibus . Vnde notat
Auguftinus Sueſſanus in comment.Apotelaſmatum Pro. Lomai ,non multis ante
annis,obferualle, cum SaturniMartiſque coniun & io in Tauro horrendiſsima
frigora'excitallet, magnam Bobus calamitatem eueniffe . Ques autem licet
imbecilliores , füper tites tamen fuiffe . In Boues tamen pe ffis illa defçuit
propter cceleſte fignum , ad quod terreftris Bos refertur. Quæfi fuiffet in
Ariete , forfitam in Oues graf fata effet. Anno 1479. in figno humano Martis,
& Saturni fuit coniunctio (tefti monio Ficini ) & peftis crudeliſsima
ho mines inuafit ,,vt& prius anno1408. & omnium peſsimaanno 1345. ex
trium Planetarium infimul conjun & ione. suffiiu bituminismulieres ab
byfterice '. 3 Vltis experimentis comproba audio , , lieres ab vtero ſuffocatas
lubitòad ſanie. tatem reuocari, & quod mirabiliuseft, Hyſterică
extemplobituméacceſsionen corrigere, fiue crudum , fiue vſtum mu. licrum
naribus admoueatur. Propterea mulieres,quętali pafsioni obnoxięfunt lans
paſsione liberari. CA lana exceptum , fiue goſsipiocolloap penſum ,Medicorum
conflio (Mizaldo · auctore ) in romullis locis habent , vt e, crebo olfactu
paroxyſmum arceant. Cantharides quandoque ſolo olfa & u fangui. nens,
veltactuècorpore euacuajſe. Antharidumvis , & venenú in fane guine purgando
per vrinam, apud paucos incognita eft, quippe in potui ex ceptas non modò
veſicam exulcerare , verumatque fuffocationes, & horrenda
ſymtomatainducerecomprobatum eft . Imò tantæ feritatis funt, vt quandoqué &
tactu ,vel olfactu hec efficiant,vt cui damchirurgo Mediolani ſucceſsit, qui
bis fanguinisprofluuio correptus fuit per vrinam ,folum portando cauterium ex
cantharidibus in Byrfa. Ex Micbarle Rafraljo. Podeortum fit adagium , Naniga
Anticres. } MXneotericisMedicis,nigrum Vlta obſertatione &à prioribus,
& neotericis , helleborum ad infanos, & mente captos peculiare auxilium
eſſe, probatum eſt. Huiuspotio licet periculoſa fit , cú cau telatamen fumpta,
mirabiliter ijs pro deffevidetur. Hellebori virtutem De. moſthenes innuere
volebat , dum acti. onem mouens Aeſchini , vt ſeſe pur. garet helleboro dicebat
.Hoc in Anti. cyris duabus ele&tiſsimum , & magniva. loris naſcitur, quo
nauigare oportere a dagium , quiab intania Canari cupit vt Strabo lib.9
.Geograph,loquitur. Hinc Stephanus deHelleboro loquens addit, Anticorenſem
quempiã fuiſſe , quiHer çulem dato Helleboro infania libera uerit, Grauidas
simio fale prentes, parerifetus fine vnguibus. Noneftàratione aliepum , quodab
Ariſtot.dicitur 7 de biftor.animal.c.4 mulieresgrauidas, fi nimio ſale in cibis
vſæ fuerint,fætusparere finc vnguibus vngues enim ,vt dixit Hipporc.in lib.de
care FOS . 1 Carnibusex glutinoſa, & viſcida materia
geperátør,hincaecedenteGalitorum v. Tu,materia illa viſcida adeo attenuatur ,
&adimitur , vtfacilè illorum ortusde . ficiat.Comprobatur hocetiam in ladá,
tibus, quibusex aſsiduo , & nimio ſali torum vſu ,lacomne, paulatim
deficere conſueuit. Oui badiin conuiuijsiucundi,feftiuiquelas beantur. N
conuiuijs profecto,vt hilariter'iu : Du { 11 X G 3 epulétur,tron femel ludi
aliquotper io cum apparantur qui omnes in iftanti um riſus, &cathihnos
mutantur. Inter multoshi erunt Feftiui:Si lintea;& map pæ calchanti puluere
confricantur, qui foti fe deterſerint ea parte nigrifient;li ceti lintea prius
candidiſsima apparue. sint.Si cultri fuccocolocynthidis, vela fòe ta &
ifuerit,amara oíaex ijs incita le tiétur :ex afla fætida autem cuncta fæti da
audientur:Si fuperpaſtillos nuper e fixos inſtrumétorü chordas minutim in
difasproieceris inftar vermium à calore V contracte apparebunt, naufeamque rei
inſcijs mouebunt. quibus vinum potui dabitur,cui caftancarum cruftæſubtili ter
tritæ fuerint inie & xà ventris «crepi tibusſollicitabuntur. De
amorisorigine aliquet controuerfia. OlentesPhyfici amoris originem , velpotius
furoris amatorijreperi te indaginem ,ex correſpondenti homi num complexione,
leu verius ex con formi ipfius fanguinis qualitate ,nempe calida proficiſcivolunt,
hancenim como plexionem valde amorem gignere af firmarunt, Aſtrologi inter eos
amorem exiſtere aiunt, qui in codem aftrorum gradu conſiſtunt,vel qui in aliqua
con Itellatione ex æquo participant, & con formes ſunt,tunc enim fe
redamare có . fingunt. Alij Philoſophi amorem naſci afferuerút, quoties noftra
luminainde. fideratumobic&um conijcimus,voluat cnim quoſdam fpiritus ex
ſubtiliſsimo, puriſsimoque fanguine cordis noftri in rem concupitam exhalare,
acque ocyſsi * IN me ad mè ad oculos noſtros recurrere, ibique a in
vapores'& 'humores refolui,quifen . fim ad correlapſi , diffuſiq;per
corpus, in oculis, rei dilectæ quandam idem, inſtar fimulachri, &
imaginis,non aliter , quam in fpeculo macula permanet ve nenofi oculi, vel
menſtruatæ ,auriginoſi, aut fimili aliquo morbo infecti, impri munt.Hacde caufa
miſerum amafium , hiſce nouisille &tum fpiritibus,qui natu ralem fuam fedem
repetunt, & ad cor permeant , perditam libertatem fuam dolere ,
lamentarique cogi affirma. Nonnulli autem naturalis fcientiæ ad. 'modum
ftudiofi ,cum multa de amoris fcaturigine eſſent imaginati;nec veram tam
furiofi morbi originem inuenif. fent: in hæcproruperunt:Amorem effe neſcio quid
,natum neſcio vnde, qui vee wit neſcio quomodo, &accendit nefcio quo
pa&to,certam aliquam rem , &per ſonam . Hominem apud Indos longiſsimam
pitam babuiſſe. F Apud Lufitanicæhiſtoricæ fecènti ores ſcriptores(interquos
eft Fer din . Caſtanneda:)fidei probatiſsimę, longa narratione, & certa,
cuidam nobia li,apud Indosannorū, quibus vixit tre. to centorum , &
quadraginta fpatio,iuuenis tæ florem ter exaruiffe, & ter refloruiffe :
inuenimus:atque ex cuiuſdam Epifcopi relatu nouiterpercurrimus.(Hocprofe to
mirabile eft , & paucifsimis à Deo conceſſum . At non minori admiratione
illud dignum eft,quod à Langio de Or benouoproditur ,inſulam quádam fu . ifle
repertam , Bonicam nomine,in qua fontis reperiatur ſcaturigo cuius aqua vino
preciofior fenium epota in iuuen tutem cómutet. Ex lib. 1.debominis vita , vbi
de Priorifla anu facta, & reiuueneſs eente fcribitur. Hydrargyriminer
aquomodo inueniatur . Ńter metallica ônia ,hydrargyro ex cellétius vix inueniri
aliud cryditur, cum ad infinita tale accómodetur.Soler tiinduftria opus eſt, vt
vbi eius mineræ fit ſcaturigo coniectores deprehendant; propterea menſbus Aprilis,
& Maiiſub aurora, ſereno autem cælo afcendétes , vapores in montibus fpe
& ant; ſi enim inftar nebulæ fuerint, non altius feat tollentis,fed
humillimæ, ac quaſi terrae ad hærentis , argenti viuiibi ſedem eſſe
allequuntur. Ex Cardanode Subtil. Aqua mirabilis pro viſus obfuritate. Periam
aquam , quam ſcribuntre ſtituiſſe viſum cęco nouem anno . rum.R.ſucci
apij,feniculi, verbenæ ,cha medryos, pimpinellæ , Garyophilatæ,
Caluię,chelidonię,rutę,centinodię,mor { usgallinæ,garyophyllorum, farinæ vo.
latilisan.vnc.j. piperis craſsiuſculètrití, nucis muſchatę,ligni aloes an.drach
. iij. Omnia imergătur in vrina pueri, & lex : ta partevini maluatici.
Bulliátbreuite pore, tú exprime,& percola.Repone va le vitreo benè
obturato.Hora sóni fingu . las guttas ſingulis oculis inftilla. Holler. Roris
marinipraftantiſstma'virtutes, Lanta illa , quam Romani , & Itali
Roſmarinum dicunt , inter plantas : nobiliſsima eft , magiſque quam ex F 2 iſtimetur
excellens, quamuis mulcitu . dine, & frequétia vilefcat.Eftenim fem per virens,nulli
nocens, & multis infir mitatibus inimica maximè comitiali morbo, quiferè
dæmoniacuseſt. Radix eius cum melle purgatvlcera , tormini. bus medetur , &
medendis ferpentum i & ibus cum vino bibitur.Prodeſt etiam contra morbum
Regium in vino cum pipere. Et tanto contra maiora mala præualet, quanto maiori
gaudet tutela, & fauore cæleſti, à quo omnis virtus confouetur.
Naturefagacitas in difficillimis morbus fac mandis magna ift. Agna eft naturæ
fagacitas in ali quot morbis ſanandis,qui medi. corum auxilijs perdifficilc
eft,vt ad fa nitatem perducantur. Ketulit Alexan. der Veronenſis lib.2.
Anatem.c.9.tr ulie rem Venetam ,acum crinalem , qua cirri capillorum
intorquentur , quatuor die gitorum longitudine ore detinuiſle, dú
obdormiſceret, fomnoque ſopitam de M glutif Etv ghuiuifle : decimo autem menſe,
quod m mirabile eſt , per vrinam eminxiffe.Lan . Er gius etiá in alia
iuuencula,quæ aciculam deuorauerat, id etiam eueniffe fcribit, e Naturæigitur
induſtria maxima eſt. * Lapidis compofitio ignē fricationereddernisi. Ricatione
cuiuſdam lapidis facilli meignem excutere poterimus. Hæc eius eft compoſitio.
Capimus ſkyracis, calamitæ , ſulphuris, calcis viue, picise an.drach. iij.
Camphorædrach.j,Alpalit . dre iij critahæc pobanturinvalesce Teoroptimèconcoctecca
Hapidécouertátur.Hic panno fricatusu ceditur,fputo veròemoritur.ExRole! Naturam
beftis,ad corporis t ütelammulta remedia indicaffe. PlurimaşürNaturæ
beneficiaquebê ftiis fuiffe conceffa legimus.Hæcpro fectoruminans Plutarchus,
præadmi. rationeinextaſin raptus,Maturan mulo.. to plura in pecudes, quam in
hominem contuliffe dixit. Quippefibeſtijs Fors bus accidit.Naturamoxantidotum
in F dicauit. Hinc Palumbes , monedula , merulę,perdices, Lauri folijs
deguftatis humores fuperfluos expurgant. Lupi, Canes,Feles ſięgrotant,vel li
excreme torum colluuie ftomachum , vel viſcera oppleta fentiunt, gramina
comedunt ra , re perfufa,herbam frumenti, &rapiſtru decerpunt:quibus
ſtomachum , aluumg; exonerant.Columbæ ,turtures,pullique gallinacei in morbis
heliofelinum degu far. Teſtudincs morſus ſibi in flictos ci cuta perfạnant.Cerui
volnerati dictami paſtufagittas , excutiunt.Ivuiteladůmu res venatur, ruta ſe
munire confueuit,. vc validiuseosoppugnet. Vrlimandra-. * goram quærunt in mala
valetudine. A. priauté egrotanteshedera ſe colligunt., Ceteraverò animalia pro
virę tutela di uerfa alia retinent auxilia.Ex Arifter.pl njo,Nipho,&aliis .
Lapidem Aetitem mulierum partus. accelerare. Maison Agnam intulitnatura
Aetitilapi. diin partu prægnantium accele rando efficaciam : quippefiearum
coxis argento cóuolutus partu inſtante fuerit ligatus, miram ytero generabit
láxitam tem ,ex qua prægnantesfacilius parient. Ab Aquilis pręlidium hoc'captum
reorg illa enim dum arctiores ſe ſentiunt & oua cum difficultate pariunt ,
Ae titem quærunt, ex quo laxiori matricis orificio facto ,leniusoua
excernūt.Hinc Aeritis S-apis, Aquilinus di & us eft, quiaz Aquilă hos in
nidum portant,ibiq;verii reperiuntur. Intellexi ex feminis, pria marias aliquot
hos lapides in vſu ,& pre cio habere,beneratas partuslaboresfu Bleuare.
Hellebori nigriradićem , Viperemorfus in bon Aysſanare. (N magna æſtimatione
apud multosis Helleborinigri radix habetur, ipſa enim inter carnem, &
pellem iumentià Vipera demorfiinſerta proculdubio faa - mat.Confiteor profe
&to fubulcum qué dam porcorú numerüigne perfico, fiue cryſipelate
peftilenti pollutum ( hunc morbum vulgares, eo quod porcorum caput in
excreſcentiamagná deuenit,apo pellap (męobſeruante adfanitatéducti funt..
pellant Capoatto.) fola huius radice om .. nes incolumes feruaffe .In porcorum
au. ribus cultello circulum ad viuum fane guinem formabat,deindecentro,ex ſtye.
lo ferro perforato,radicisfruſtulum éfo. fingebat, ad paftumý;porcosmittebat,
ita equidemſolo học auxilio , omnes Hippiatros in equorum faciepitorum euul,
maculas albasfacere. N hominum canitie frequentescapil . larum euulfiones, vt
nonnulliin viu habent,vituperantur, eo quod illorum cuulſa niaior
generaturcmitics:Hippia atri enim cum maculas albas in equo-... tum facie
fingere intendunt, frequeno tiſsime pilosextirpant, qua continuata
euulſione,pilos excreſcere albos exper tum eft. Queapud Veteresmagis
erantcelebrata: pectaculam Nterorbis terręcelebrata {pe& aculag, Mauſolæum
, hoceft: 9.Maufoli ſepul chrum ES Noun
ehrum ;Coloſſus folis apudRhodiosios uisOlympici fimulachturm,quodPhidias
-fecitex ebore:MuriBabylonis,quos ex . citauit Regina Semiramis; Pyramides in
Aegypto ; Obeliſcus in via nobiliſsima Babylone à Regina ſupradicta erectus,
Rodigingso Marinum Vitulum à Cåeli fulmine non mo leftari. O pauci ſunt
ſcriptores,quiMaria num Vitulum , (multa obferuatiu. one peracta) à fulmine
incolumem effe perhibent.Propterea Seuerum Imperaitorem Lecticam fuam
Vitulimarinico riocontégi voluiſſe legimus,hoc enim animal ex marinis, à Cæli
fulminemio nimè percuti audiuerat. Inde fa &tum elte vt veteres ,
pauidi,pefulmine ferirena tur , tabernacula ex iftiuspellibus con- .. tecta
retinerent,ita profecto àCæli fula . mine præſeruari poflcputabant. ExPline.
Captaminter bruta maxima Epilepsia tentari: Ippocratesin lib. de facro -morbou :
H Fs (si liber ille genuinus eius est) vt ab ' Èpilepſia homines præferuari
valeant monet , neque in caprina pelle decum . bendum effe,neq; eandemgeſtare
opor tere,beneratus tale animal; maximè ab Epilepſia tentari. Hocetiam
Plutarchus rerum naturalium perfcrutator indefef ſusaſleruit:propterea
veteresSacerdotes ab eius carne,ve morbida,abftinuiffe fe runtur ,
neguitantibus aut tangențibus . modo, aliquid eiusmorbi induceretur. . Dinum in
Asthmatisçura ſele &tiſsimim .". V TInum pro fanando Aſthmate ab , mo,
quo pater eius cum fælici ſemper : fucceflu vſus eſt ,adducitur . Habet yie .
ni dulcis , quaie potiſsimùm Verpacia eft ,non
craſsi,ſedtepuis,mellicraticoctii an, lib .decem :puluer. Foliorum Tabe.
bacciexicc.in vmbra vnc.j radicum polypodii quercini recentis,acminutiſ..
fimeconcili ync.iij.radicum hellenij re.. motomcditullio,& inciſarum unc.
iij .. : ? macerentur horis 48.poftea verocolentur per manicam Hippocratis
vocatam , conſeruetur vinum inloco frigido. Dá - tur vnc. vj. pro vice;
ſingulis diebus , ; horis ante prandium quinque. Homines a phrenttide correptos
sania fortiores fierii On pauci admirantur , cur homi. nesphreneticiflicet in
ſanitate debiles fuerint prius ) ipfis fanis fortiores : euadant?Equidem à
morbi naturato- · tum procedere verendum non eft : cum autem in phrenitide
magis, ob exficca- - tionem lædantur nerui fenſitui, quam motiui, nulli dubium
eft, tales quo ad motum ipſis ſanis fortiores, & debilio . res, quo ad
virtutem fenfitiuam fieri; : ratio omnium eft,quia operationes,ner uorum
fenfitiuorum humiditate magis perficiuntur: fecusmotiui. Huicadiun gitur, quod
phrenetici ( mente læſa ). doloremnon fentiunt,idcirco fortiores.com Ek
Arculano . Tuberum efufrequenti, bomines in epile Pliam incidere . 2
M2Aximopere ( ve valuit Simeon Zethus) ſuberum continuattis v fus vituperatur :
adeo enim hornines crebro eorú eſu afticiuntur, vtepilepti ci;vel apoplectici
fiant. Apud veteres autem in pretio habebantur,illifq; cum Colo quandam
affinitatem ,nec niſi to . nante loue nafai, credidit antiquitas.. Vnde
Iuuenalis: Facient optat atonitrus CHAS - Offri de corde Cerui à morfibus
venenofas;hos minespreferu476. Irabilis eſt profecto oſsiculorum , proprietas ,
quæ in Ceruorum ; corde reperiuntur;geſtata enim ad præ feruandiim à beftiarum
venenofarum morſibus, & i & ibusmaximeproſunt. In officinis tanquam
præſtantiſsimum an .. ridotum contra venenum , & febres pe tulentes,hxc
eſſa conſeruatur, &cum feelicifucceffu mediciindiesad hæc valere
experiuntur : : multi tamen pre . ofic.cordis ceruipi, os.bubulum tradunt in
magnam languentium perniciem , & ped.com M propi HORTVLVSGENIALIS 133 eterمه
27 that medicorum afamiam.Ex Alexan.fro Be Pedido. Hemicranian lapide
Gegatisſummoueri. MW Vleo experimento Democritus: Hemicranian , lapidis Gagatis
ſo'a ad collum appenfione tolli com .. probauis fcribit enim huiufmodi lapi.
dem geftatum ſeinperniagis ponderare, quam antequam appendatur : quafi in eo
quædam attrahendi in fe fe humo . rem ,à quo dolor in parte cranij fufcitam.
tar proprietasreperiatur.Mercurialis . Epilepritof non perpetuoconcidere nee
quefpumam facere. Vicomitiali morbo laborátnánili in magoa ventrico !orum
cerebriz cralo s humoribus obftru & ione conci dere, & fpumam ferre confueuerunt:
ſe cus vero in alijs cauſis, vtin quadapu.. ella Aretina Beniuenius obferuauit.
In cidit illa in Epilepfiam , tamen neque concidebat,pequeexorefpumam emito.
tebat. Sedſtanscaput hinc indecücere wice uice , ac fi quid infpicere vellet mous bat;
nihil interim loquens , nihil fenti ens.Cum auté ad fe reuerteretur, inter
rogata quid egiflet, penitus ignorabat. Cauſam Beniuenius exiſtimauit , quod
non caderet quod contra & io , & tenfio ad cerebrum non
ferretur,cumfolus va por ſurſum aſcenderet : ex quonullor gore cerebrum ipfum
intentum , abot dinatis motibus-reliqua membra pre feruare potuit. Vermes
rubros in hominum cerebro , in qua dam epidemia natos effe. y Beneuenti,cum
multi ignoto morbo decederent è vita , medici tandem , hoc morbo quedam mortuum
incidere voluerunt, & in huius cerebro vermem cubeum breuem inuenerunt,
quem cum mulrismedicamentis vermesoccidendi vim habétibus interficere
nequiuiſſent, fruſta raphani inciſa in vino-maluatico vltimo decoxerunt,quo
vermis occilus eft,atque hoc eodem remedio deinde - mili morbo , quali
epidemico affe & i omness. Omnes curabantur. Foreftusex lib.Corne tỷ
Roterodam. Capillorum defluuium ex Laudano curari. TOn femel morboacuto
egrotantia bus (-ſiad fanitatem reducuntur è capite capillos decidere
expertumelt. His facilliinè fuccurritur huiufmodilia nimento , quo 'capillorum
defluuium non folum amouetur verú etiam amiſsi irerum renouantur. Laudanum cum
vi. ño , & oleo rofato ad decentem vnguen ti fpiſsitudinem coquitur, quo
caput v niuerfum linitur ; breuique capillatum redditur, Ex Bayro .. An
empiricis tradararemedia,mortem ! non paucis:attulije.. ftrum baudelt, remedia,
quæ ab Kempricis adhibentur, morté aliquádo hominibus attulife, ij a . nulla
ra. tione, nullaq; methodofuffulti, fed fola experiméti indagine,nec
caufasmorbo Tum verè cognoſcere,nec ordine auxilia applicare
poſiúnt.Proptereamilesquida inmorboinueteratoluinepotis ,quicapi. Member Aximopere
(ve valuit Simeon MZethus) ſuberum.continuattis V.. fus vituperatur: adeo enim,
hornines crebro eorú cſuafticiuntur,vtepilepti ci;vel apoplectici fiatt. Apud
veteres autem in pretio habebantur, illiſq; cum Colo quandam affinicatem ,
necniſi toe. nante loue nafai , credidit antiquitas.. Vinde Iuuenalis : Facient
opfataronitrua , Cen45 -offi de corde Ceuiàmorfibus venenofisshos
minespreferuatge -Irabilis eſt protecto oſsiculorum , proprietas , quæin
Ceruorum corde reperiuntur;geſtata enimadpræ • Tóruandum à beſtiárum
venenofarum I morſibus, & i& ibusmaximeproſunt.In officinis tanquam
præſtantiſsimum an- . ridotum contra venenum , & febres pe.. bilentes,
hæcoſſa conſeruatur , & cum . foelici fucceffumcdiciindiesad hæc va lere
experiuntur : : (multi tamen pro . ofic.cordis ceruidi, osbubulumtradunt in
magnam languentium perniciem , & M pedice medicorum afamiam.Ex Alz xan.fro
Bem nedido. Hemicranian laide Gagatia ummoueri. Viro experimento Democritus
Hemicraniam , lapidisGagatis fola ad collum appenfione tolli com .. probauis
fcribit enim huiufmodi lapi. dem geſtatum ſempernagisponderare, quam antequam
appendatur : quafi in eo quædam attrahendi in fe fe humo rem ,à quodolor in
parte cranij ſuſcita.. tar proprietasreperiatur.Mercurialis . -Epileptites
nonperpetuo concidere nee que fpumam facere, Vicomitiali morbo laborát nánili
in magoa ventricolorum cerebria crais humoribus obftruatione eonci dere, &
fpumam ferre confueuerunt: ſe cus vero in alijs caufis, vt in quadá pu ella
Aretina Beniuenius obferuauit. In cidit illa in Epilepfiam , tamen neque
concidebat,pequeexore fpumam emit tebat. Sed ftans caput hinc inde cucere vice,
ac fi quid inſpicere vellet mout bat;nihil interim loquens , nihil fenti
ens.Cum auté ad fe reuerteretur,inter rogata quid egiflet , penitus ignorabat.
Caufam Beniucnius exiſtimauit , quod non caderet quod contra & io , &
tenfio ad cerebrum non ferretur, cum folusva por ſurſum aſcenderet : ex quo
nullori gorecerebrum ipfum intentum , ab of dinatis motibussreliqua membra præ
feruare potuit, Vermes rubros in hominum cerebro , in quae dam epidemia natos
effe. , Beneuenti, cum multi ignoto morbo ; decederent è vita , medici tandem ,
hoc morbo quedam mortuum incidere voluerunt, & in huius cerebro vermem
rubeum breuem inuenerunt, quem cum multismedicamentis vermesoccidendi vim
habétibus interficere nequiuiſſent, fruſta raphani inciſa in vino maluatico
vltimo decoxerunt, quo vermis occiſus eft,atque hoc eodem remedio deinde se
smili.morbo , quali epidemico affe & ij , omnes Nous ) omnes curabantur.
Foreftusex lib.Corne- , i Roterodam . Capillorum defluuium ex Laudano curari.
"Onfemel morboacuto egrotantia bus (-ſiad fanitatem reducuntur ) è capite
capillos decidere expertumelt. His facillimèfuccurritur huiufmodilia nimento ,
quo capillorum defluuium non ſolum amouetur verű etiam amiſsi irerum
renouantur. Laudanum cum vi . ño , & oleo rofato ad decentem vnguen ti fpiſsitudinem
coquitur, quo caput y niuerfum linitur, breuique capillatum redditur, Ex Bayro
.. An empiricis tradararemedia,mortem ! non paucis:attulife : ftrum baudelt,
remedia, quæ ab tempricis adhibentur, mortéali quádo hominibusattulife,ijn.
nulla ra . tione, nullaq; methodo fuffulti, fed fola
experiméti-indagine,neccaulas morbo . Tum verè cognoſcere,nec ordine auxilia
applicarepoflunt.Propterea miles quidā. igjorbo inueteratoluinepotis,quicapi N
+ 136 tis achoribus erat fædatus , finecautio . os,more empiricorum ,nec ætate
obfer uata, vnguentum ex arſenico , ſulphure viridiæris , femine ſinapis
confe&tum capiti appofuit;ita enim ex quodam lio bro remedium collegerat ,
& mane ſee quenti puer ille, qui erat duodecim an norum , in lecto mortuus
inuentus eſt. Hi profe& o fru & us empiricorum ſunt. ExValefio..
Triplici auxilio homines longauam vitam Af quirerepofle. Ifi hominum frequens
luxus exo NA vita songior,ſaniorquevideretur,hi ay tem in luxum ,epulas, &
otia effuli, vix trigefimum exceduntannum , abſque. fene & utis aliquo
veftigio ,vita enim los. gæua,non luxu ,& profufione nimia, fed triplici
tantum remediocomparatur;fie quidem pareitas cibi , & potus , bonus
cibus,& moderatum exercitiummorta - lium vitam, ex Philoſophorum decre
to,producere valebunt.Bartholom .Males ** Dino Gagorio. Nmin Quo paéto fingultum cohibere valeamus.
Onleui angaſtia angultum ho• mines cruciare quandoque vide mus adeò quod
multiin longiſsimā via. giliam huiuſmodi affe & u ducti funt, Multi funt,
quieximprouifo timorem ſingultientibus incuitientes,votum alle quumtur : alij
verò auricularidigito ito bentintus aures diu confricari;Lyfimam chus tamen
apud Platonem , fternuta . mento afperfione aquæ frigidæ , & re {pirationis
coñibitionefingultum cxčke ti propalauit. Quopado plebrios, tincios en
admiration nem -dustus. Plebeiprofe &to qui populi parsfino plicior eft,ex
leuifsima occaſione fa . cilè in admirationé ducuntur . Si optas autem vt
adftantes credantvel magico Çarmine, vel quodammiraculo te open. rari, manècum
Verbaſcum flores aperit æſtiuo tempore, iispræſentibus leniter moueto plantam :
flores enim paulatim decidunt, & exiccatur, cum magno ile . lorum ftupore,
fiquidem illius plantæ hæceſt proprietas, vt ( Sole accedente ) flores
decidant. Quod fi magis irridere velis inutiliter aliquid murmurabis , vt
admiratio excrefcat , vltimòtandemor mpia in rifum finiantur. Ex Porta .
Memoriam è thure epoto maximè Augeri. Maximo hominibusadiumento eſt firma
memoria , triftitiæ verò, & Jabori , imbecillitas, iis præſertim , qui bonarum
litterarum ftudio incúberec ptant. Ita autem cófirmatur.Thus albife Gmuin in
pollinem attritum ,& cú vino , li hyemsfuerit,velaqua deco & ionis paſ
fularü, fięſtas;epotum ,inLunęaugmen . to ,oriente Sole, necnonmeridie, &
oC- t caſu , mirum in modum memoriam aya gere fertur. Ex Rafi. Quo pačtofamis
importunitascohibeatur: Vis Taurum Philoſophum , eiufq; mendo famisimpetu?
profe& o dumfa . maemaximèmoleſtabatur, eius importurnitatem , compreſsis
hypochondriis & ventris ſtri & ione compefcebat. Apud. Aulum Gellium .
Mulierem grauidationis tempore pallefcere., debilioremque effe.
TOnlinerationemulieres , quoté pore vterum gerunt, virore pallia dæ fiunt,
purus enim illarú fanguiscono tinuò ex corpore deftillat, & in vterum à
natura demittitur, vtfætú tú nutriat; tú eius procuret augmentü.Cum autem ipfis
paucior in corpore-refideat fanguis neceſſe eſt fieri pallidas , atq; alienos
ci Bos appetere.In ſuper exco ,quia fanguis folitusipfis minuitur,debiliores
fieri ne celle eſt. ExHippocr. lib . 1. de morb.mulier .. Myrifticam nucem à
vira geftat am , vigo rofiorem fieri. MIrabilis eft nucismyriſtice, quava cant
muſcatam , cum homine fym pathia : ſi enim à viro.geftatur, nomodò vigore
proprium cóferuare, verù etiam turgere,magifq;fucculentam , & ſpecio ſam
ficrialkunāt, pręfertim fiiuuenilis adultæque ætatis homines circumferát Ex
Liuinio Lem . Hepaticos, Gtienoſos decodochamading fanari. INter præſtantiſsima
remedia, quæ I hepaticis, & lienofis adhibentur pri mum Chaniædrium locum
retinet: fie nim ex aceto deco & a,per pluresdies ex .
hibetur,hepaticos,atquelienoſos pro . culdubio fanat: multisequidem experi
mentis comprobatum eft tale decoctí viſceraab infar &tu liberare:propterea
ini febribus chronicis, eo quod obitruction tres mire abigat, fdelici fùcceffo
à multis: pro fingulari ſecreto audio vſurpari. Pulfus
deficientes,&intermittentes in ix . uenibus mortem prædicere, O Vanti
timoris in languentibus,pul sus deficientes, vermiculantes, & formicantes
exiſtant,apud Medicos notiſsimum eſt : ij enim ex proſtrata natura exorti,exitiú
efle in foribus aftédūt. In . termittentes autem duorúpulfuum ſpa tie tio,non
modò in omnibus fufpe & i ha bentur, verum etiam omnibus maxime iuuenibus
exitiofifunt; diſséticGalenus, qui in pueris, &fenibus non ita fore ti
mendos afleruit.Huius rei habuitexse. rimentum Proſper Alpinus in Iacobo
Antonio Cortulo octuagenario,pleuri. tiro , & febreardente vexato , cui
pulfus fuerunt cùm intermittentcs, tum defi cientes; tamen ille citò
conualuit.lib.s. de med. method . Mitbridatis Regis , ad venena maximum
Antidotum . D Euico Mithridato Rege maximo, in eiusArcanis Pompeius inuenifle
in peculiari commentario ipfius manu exarato compofitionem antidoti dici
Inr.Cóftabat ex duabus nucibus ficcis ite ficis totidem , & ruræ folijs
viginti fimul tritis, addito falisgrano.Si aliquis hoc iciunus allumeret ,
rullum ei venenum nociturum illa die affirmabat, Ex Plinio. ONO Slidera Quo
artificio offa , velebora colorari valeant. I offa,vel ebora coloratahabere de
lideramus,ca in primis oportet abim munditiis purgare; deinde in aluminis
aquadecoquere,tum demumin vrină , vel calcis aquam in qua diffolutum fit
verzioum , rubrica, aut cæruleus color, fiue alius quem volumus immittere ,
& vna iterum coquere.Cum autem perfri gerata in eodem etiam liquore fuerint,
extrahenda ſunt; & pulchra, & bellè tin eta habebimus . Alexius
Pedemont. BRICA Bryonieradicio è vinoalbo decoctum , hyfte. ricam paſsiorem
reprimere. Ryonia in fedandamulierum hyſte rica paſsione,egregiam habere vir
tutem multis experimentis dicitur.Ex multis obſeruationibus in quadam mu liere,
quæ quotidie ferè per multos an nos hocaffectu laborauerat, à Matthio lo
experta eft. Hæccum ſemelper heb. domadam , cius confilio , ſub fccti ingressum
, vinum album , in quo ip fius radicis vncia efferbuerat, hauſſet ex illa
paſsione optimè conualuit. Ne tamen amplius in fuffocationes deueni ret
vteri,perannum integrum hoc me dicamento vía eſt, nec morbus iterum
recidiuauit. Quo fuffitu Serpentes venenati à domibus, velpradiis arceantur.
Vlta equidem reperiuntur, quo rum ſuffitus adco o diolus eſt, vtà loco, vbi is.
fiat ,penitus arçeantur. Scribit Florentinus in Geo pon. Venenatam feram
numquam accef luram , vbi adepsceruinus, aut radix Centaurij maioris ,
autLapisGagates aurDictamus creticus,aut Aquilæ , vel Milui fimus cú ftyrace
miftus fuffatur. Ex Gal. autem habemus in lib.de med. fac. parab.ad
Solonem.Pyretrum , ful phur,cornu ceruinum , pinguedinem ,& pulmonem Afini
accenfum ,ac fuffitum , cuncta animalia venenoſa efficaciter fu - gare compertum
elle . Herpetes exedentesTabucoicereto felicitors Sanuri. Terorymus Aquapenders
inl.:.de Tumoy prenat.6.20.5xedcotes her petes teſtatur curaſſe quoad totum cor
pus, ex ſero Caprino expurgatione con fecta,fæpèautem cum fa !fæ parille de co
& ione:partes affectas aquis therma lbus D.Petri lauabat,vltimoiis , felici
cum fucceſfu ſequens admouitCeratú . R.Succi Tabacci, ſeu herbæ Reginæ vnc.
iij.Ceræ citrinæ nouiſsime.vnc. ij.Refie næpinivnc.j. Rofinz Tyerebintinæ
vnc.j.Oleimyrtini quantum fuffic. pro formando Ceroto. Vina alba, qua induſtrie
inrubramu tentur. A Lba vina abſque vllo detrimento in rubra( auctore Mizaldo )
tatim Conuertuntur,lipuluerem mellisad du rilsimă conliltentiam deco&i ,
& ficcati in vinum albuin proiecerimus, & tran Suaſandomiſcuerimus,Idautem
minori faſtidio efficier lapathorum radix , fi re cens, vel ficca in vinum
mittitur. Flores in Aegyptoprope Nilum inode tar os exiftere. O Dorin ficco
fundatur , eidemq; in nititur;hinceuenit(auctore Theop . 6.de cauf.plantar .)
vt fru & us agreſtesvro - banis ſui generis odoratiores,eo quod - ficciores
exiſtant vrbanis,habeátur.Heç quoq; caufa eft,quod in Aegypto mini mèodorati
flores naſcantur;vt n . Plini - us prodidit, Aegypti aer à Aumine Nile tum
nebulofus, tum roſciduseſt : cuius cauſa odor in foribusadimitur. Abfynthium
ventriculum roborare ſo lum adftri& ione. Vantam Abſynthium in roboran do
ventriculo vim retineat,in mul. tis locis à Galeno exprimitur :bancau tem
virtutem non ab amaritudinem fed propter adftri & tionem abfynthio inefle
verfimilc eſt. Conſtat hoc totum ab eius fucci natura , qui corroborandi
facultate deſtituitur , ex eo , quod ter rez partes, in quibus adſtringendi vis
poſita eſt, ab ipſo feparantur. Succus itaque folum amarulentiamhabet, quz
tantum abeft, vt ventriculum roboret, fed vt potius illum infeſter. Ex epote
Chalcantho, albos pilos è capi te decidere . Icet Chalcanthi, fiuc vitrioli
vſus, e reſumpti, apudGalenum ſuſpeatus habeatur: à multis tamen audio maximè
commendari. Inter graues fcriptores , Rbaſes eft,qui 29. Continentis, 6.24. ſe
habuifle amicum quendam ſcribit; qui potata vitrioli drachma, propènoctem pilos
omnes , quos in capite habebatal bos, abiecit.Res profe &to mira eft,
pbrenitidem ex nigro Coralio felicitar Sanari. Oralium nigrum , quod
Antipallas, fiue Antipatkes dicitur,inPhrenitide morbo corrigendo , &
fanando perquá Airam habere facultatem exiſtimatur. Hoc nigerrimi.coloris eft ,
& ob varie. tatem in magno precio tenetur, & cótra huiuſ HORTvĆvs G
& NI ALIS. 14h ** Merete huiuſmodi affectum tanquam præftan tiſsimům remedium
vſurpatur. Ex Ense lio de Gemmis lib . 3 : Lethargicosà Satureia capiti admota
excitari. Vltis experimentis obſeruatum reperio,Satureiam cumfloribus vino
incoctam , & calentem occipitiad . #motam , Lethargicosdifficili ac pertina
E ci sono oppreſlos, ac veluti raptos exci tare, & reuocare.Vt autem curæ
folici $, or fit exitushuius decoctiguttæ aliquot fe infirmiauribus inftillandæ
funt. Hana diſchius. I peftilentias quasdam occulta anispat hia ho minum
corpora depafcere. M Vlta reperiuntur,quæ occulta qua dam antipathia , cun
&tis hominis bus aduerfantur. Huiuſmodi fuit aura illa peſtilens, quæ ex
arcula aurea in quá miles forte quidam inciderát ( referente Iulio Capitolino )
in Babylonia orta eft, Ex hac nata fertur peſtilentia , quæ in - de Parthos orbemý;
compleuit. Huic haud abfimilis , vel prauior vtique fuit G peſtisilla, quæ anno
1348.ab oriente in cipiens ( teſte Guidone Cauliacenſi ) vniucrlum fere orbem
peruagata eſt , tảntaq; lauitie peragrabat, vt vix quar ta hominum pars
ſuperſtes euaferit. Bra M . Infantes eiulare quoties lar, nutricum mammas
papillas pangit. Slidua experientia comperimus f A mammasnutricum , &
papillas lancinat, & pungit,quippead infanculos tunc nu trices redire
videntur ftatim ; cum pa pillarum mordicationem , ſiue vellica. tionem
ſentiunt. Duplici autem id fieri caufa credendum eft; vel quia quo tem
porecoctionem infantulus perfecit, eo dem momento nutricis vbera complen . tur
, vel quia tutela Angeli Cuftodisin fantis nutricem ad officium , leuiſsima
vellicatione follicitat.Hoc verius vide. tur eo ,quod modo citiusmodo tardin
fanteseiulant: & vtriuſq; ſtatus non lem per idem eft. Ex Bodino
lib.3.Theanatu. Sales Han 7 Salis Prunella virtus, &compofitio. al prunella
,ob fingularem vim do lores mitigandià quauiscaufacalida &inflammatione
excitatos, quam reti- , net, a nodynum minerale à chymicis apo pellatur. Eius
compoſitio talis eſt:Para tur ex,nitro optimo ; quod in cruſibulo. funditur,
paulatim ſuperinijciendo flom res ſulphuris,quieiuspingaedinem tole Junt,
idqueadeo pellucidum , purum que reddunt; vt fi luper lapidemmar moreum
effundas; omninò clarum, & dlaphanuin appareat vitri inſtar: quod ? đšinde
Sal ſjuelapis prunelle.dicitur,Sa lutare eit remediú ad ardentiſsimills febrem
Hungaris familiaré extinguento - dam , & edomandam :cuius ferocia tana' ta
eſt, vt ægrotantium linguas prorſus nigras, & prunis ardentibusfimiles ef
ficiat. Cum autem tanti ſymptomatislę . vitia extinguatarhuius vlu ,leniatur ,
& opprimatur: Sal prunellæ apellatus eft . Eft præterea idem remedium magnum
diureticum ,& diaphoreticum . Querceta mus in Pharmacopes. 63 Hy ilico appetere.
1 adduxeram : qui Leonem, Gallum ve.. Hydrophobos è poto Catuli coagulo aquami
Iris laudibusCatuli coagulum in Aetio, ex tollitur : Illud enim fi femel tantum
ex aceto Hydrophobici guftauerint;ſta rim eos,aquæ pofus cupiditatem capere: ob
id medicamentum hoc præftantiſsi muth iudicamus, in huiuſmodi enim afa fe &
u , nulla falus ſalubrior iudicatur , quam aquæ potus : quo deficiente,mors in
foribus ſemper eſte Cur Leo Gallum timeat abfolutaz " izquifitio.
CVVmquodam die Cercelliani gra tia apud Carolum Cifellum luriſ conſult.
clariſsimum , meique amiciſsi. mum effem , forteinter nosde Gallina tura orta
fuir diſputatio ; illa preſertim , cur Leo illum timeret ? Pro dubii folu .
tione Ficinú inlib . z . de vit a celit. compar: reri ſcripfit, eo quod in
ordine Phoebeo, Gallus eſt Leone ſuperior. Hoc etiá ex Proclo confirmare volui,
qui, Apollinca Dæmonem ;qui alias fub Leonis figura apparuerat, ftatim
obiecoGallo diſpa ruiffe prodidit. Ifle-autem quia bonarú Jiteraum citra
legalem fcientiam admo dumftudiofus et contraria rationeLeo i . nis timorem
euenire contendebat. Ada ducebat Leonardum Vairum in lib . 1. de Fafcino ,
quiex Gallorum oculis ſemina i quædam , ac fpiritus exire profitetur gr I
quibus Leonib'dolor,acmeror incredia bilis inčuciatur, inde veluti effafciñatas
ritere.Ego quidem licera Lucretio hac etiam opinionem fuftentari viditlemi
tamen poft ,pleraque vltro , cirroque inter nios de re hac ventilata ;confeſſus
füi apud me neutram opinionem vide ti validam . Vbienim naturales rationes
præualēt,nec ad Aftrologicas,nec adoc cultascófugiendium eft.Leonesquoniá bile
faya, & copiacaloris abundant,faci le fit,vt ex fonoraGalli voce comoucka
tur:ita profecto Canesex leui etiam al 2 , G4 terius 30 D 3 BARICEL II terius
latratu faciunt. Infuperrubicun da Galli criſta ,flammæinftar rutilantis ,
primo afpectu ,colorisratione,bilem in Leonibus celeri motu excitat, vt panni
rubri armenta quædam fugare, & mo uerefolent,inde fit , vt quodammodo
Leones &afpe&tum , & Gallivocem ti meant. Haud tamen credendum eft
in iis ( ledato primo impetu ) perpetuotimo. rem ex hac beftiola durare, &
induci poffe. Corues , morientium feditatem ſentire , ob id fuperte&um
infirmorum crocitare. Orui, quia hominibus meliorem habent odoratum , vt
voluitÀrift , corporis morituri fætidum odorem de longe fentiunt: fecus eft in
hominibus, licet prope maneant. Propterea ſuper te & um infirmiCorui
volitant, &cro . citant, quando eius corruptio , &fædi tas magna eft,
vt ea paſcantur: huiufmo dienim animalium genusrerum foeti darummaximeauidum
eſt; quibus pa fcitur: Charlie [ citur : idcirco in bellis , &in peftilenti
tempore , cum corpora mortuorum vel hominum velarimaliū humi ia&a funt;
Coruorucopiaprcualet.Homines vulga tes, & quiparú prudétes funt;dů Coruos
crocitantes fuper te &tum infirmiaſpici unt, illum moridebere afferunt:hoc
au . tem falfum eft: ii enim tantum fæditaté inſequuntur. Sæpè tamen Déus
permit tit Dæmonesin Coruorum , & aliorum animalium forma ſuper domos : vel
in domibusmorientiúapparere, quando be ftialiter vixerút. Et Bernardino de
Buftis. Quo artificio es aduratur, ut cinnaba. ricolorem acquiraté Iæsvífum
colore cinnabari, & ad ru bedinem verlum habere volueris , o quemadmodum
vult Diofcorides ; AC i cipe æristaminascuttricoftę profundas: non ſint
autemęris alias fufi, quia in hoc ſemper ſtannum commiſtum eſt, Has e ſuper
ignitos carbones apta, cum autem i illæ rubeſcere incipient,ſulphurispul. .
uerem tenuiſsimum leniter deſuper có iicito , Sleepin ijáto', videbisenim
(cellante fulphuris Máma) Pris ( quamu'as euidenter extra hi,&
euelli.Tumodol.perfe & e nó pol. Te cuelli cognoueris , addito ſulphur .
remtoties, quouſque lamulæ eradicari videantur :caue tamen nevrantur , & ad
nigredinem vergant. Extinéta tandem Sulphuris flamma, & refrigeratis lami .
nis;æris rubei ſquamulas habebis magni valoris ,quasloco Hydrargyri præcipi- .
tati in medicamentis recipies alias aut tem huius vires apudGalen . &
Dioſco videto . Theodorus Ga4, quedinfelicitertex Arist,', deHydrophobia
conuerterit, à crimine abfoluitur. Heodorus Gaza vir do & iffimus,
dumArift.tex.8.de hiftor,animal.c. 22 traduceret ,omnia animantia voluit à Cane
rabidodemorfa , ip - rabiem ági ,. ac mori , excepto homine. Hoc autem qqantum
ſit falfum ,quotidianademon Strát obferuantia. Homines n. demor fi; in rabiem
aguntur, & pereunt; niſi Tectè curentur, vtcuidam (pauci sunt menses) hic
iuueni accidit, quià Canc rabido in manu demorfus, nullo adhibi, to to medico,
fed folum circulatoribus com fiſus, in 40.die in furorem deuenit; quo
temporelicetme parentes vocaffent,fas s &o tamen preſagio,quodbreuimorere I
retur , tanquam deploratū reliqui. Hęc igiturTheodoritradu & io pleroſq; in
vi rioslabyrinthos deduxit:multin .,tum i vtGazá defenderent,tum iavtArifto
telem ab erroris ſuſpicione vindicarent, textum ita acceperunt animantia omnia
à cane rabido correpta interire, hominē 3 verò folum abſque periculo non ferua.
rizita expoſuitIulius Pollux. Alii verès inter quos eft Leonicenus, textum malè
fuifle conuerfum , veleſle depra suatum contendunt , & fic loco a pocos i
legendum mpirs afferunt , quafi ho mocorreptus, &in rabiem , & mortem
deueniret , fed non ita citiùs, vt ceteris animalibuscontingit.Hic fenfus quoad
- negotij veritaté ver eſt,quiahômo pro i pter oprimú téperamétum , tardius,
qua: cætera violatur:tamen Ariſtotelisinten . 2 tionen 856 BA'R ICELLI tio
neutiquam eſt ipfe enim ex profeſſo hominem à rabie, & morte ſeruari fcri
pſit ,cuius textů Gaza fideliter traduxit, neque deprauatum , neque commutan
dum exiſtimo , quia mens Philoſophi peruerteretur. Vtauté Ariftopinjoom nibus
innoceľçat; hydrophobiamin ho minemorbum elle nouum , illiuſq;tem
peftateincognitum proponimus,ex quo iure expofuit animantia omnia é: Canis
rabie emori, homine excepto,quia hæc lues in homine nondú innotuerat. Con-.
firmat opinionem noftram Plutarchus 8. Sympoſiacorum , in probl.9. dum exfen
tentia AthenodoriMedici ſcripfit, hy drophobiam eſſe morbum nouum, atq;
apparuiſſe tempore Aſclepiadis, qui Sub Pompeio Romæ claruit. Confir mant etiam
hoc Scriptores ante Aſcle piadem , quideHydrophobia mentio . nem aliquam haud
faciunt:e od lima. nifeſtum fuiffet, non video cur lub fie lentio tantum morbum
occultaſſent, E go quidem Hydrophobiam antiquitus haud extitiſſe,perſuaderemihi
nonpof fum :innotuiſſe autem veriſimile eft, nó ob aliud , niſi quia morbushic
non ſtaa tim à vulnereaperitur : Siquidem multi in 40.die rabiunt, aliqui poft
fextum , autoctauum menfem ,vel etiam poſtane num , vt fcribit Gal. Auicenna
adnota - uitpoftfeptimum ; Albertus poft duo decim.Propterea
antiquitus,&precipue Ariſtotelis tempeftate,huius morbi cau fa
nóaduertebatur à Medicis innoteſce bat quidem aquę timor taméàcanisvul nere
& tabiem , & illa praua ſymptoma ta oriri imaginabantur: idcirco Ariſto
teles etiam , interillos , hominem com morſum à canerabido ,necrabidum fi
eri,nec emori ſcripfit. Alai radicem pro expurg andis vomitu te
nacibushumoribus à ventriculo,effico cißimum eleremedium . Vanta Git Affari
radicis non modo in ciendo yon: itu ,verum etiam in expurgandis àventriculo.
& ab eius par tibus, humoribus craſsis & tenacibus ef ficacia
,fapientum aliquot edocuit obler : uatio : fiquidem multinon folum in vis tiis
ventriculi, ſed etiam in quartanafea bre , aliisque longis affectibushac eua
cuationefeliciſsimo cũfucceflu va funt.. Præparatur è fcrup.ij.aut
Drach.j.radio cis Affari, quæ in hydromelite, aut para fularum decocto fit
diſſoluta , cuitan - tillum cinamomi, &firupi violar. ade iicitur. Ex
Fernelio. In conftruendis ſepulebris veteresfuiffeadu! modum diligentes... Xáca
Veteres in conftruendis fer Epulchris, webantur diligentia:id circo admiratione
maxima dignum eft illud , quodà Ludouico Vluenarratur memoria patrum fuorum
fepulhrim fuifleerutum , in quo ardens lucerna inuenta eft.Hæcibidem ( vt
infcriptio ata * teftabatur Jante Ann.M.D.condita'erat, - & poſita:
manibusautēcontreccata , ex templo in puluerécóuerſa eſt.Ex Langit. Ganicula
exortum à veteribus maxime fuiße obferuatum . Canis cAničulæ exortus antiquitus
à prifcis ex eius colore, deami ſtatu côtecturam capiebant. Illan, fiobfcurior,
& veluti : caliginofa oriebatur, graui, & peftilenté foreannu;ficlara
& pellucida ſalubre ac proſperu predicebant.Heraclides Põticubi .
Aegyptiorum de'quatuor elementis opinio. Vatuor elementa feceruntAegy , &
fæmiam conftituunt. Aerem marem iudicant,quà ventus eft, feminā, quà ne bulofus
, &iners . A quam virilevocant mare,mulieréómnem aliam.Ignévocát maſculum
;qya arder fáma; & fæminami quà luct;& innoxius eft tactu. Terram
fortioré marem vocent;faxiscautibusq; fæminçnomen aſsignant , tractabili ad
culturam . L: Senecakb.z.Natur. Quaft. Pbreneticos aliquandomirabilia loqui.
Mirabile eft, quod aliquádoin Phre« neticisobfcruamus,isturum enim ,
aliquot(benè inflammato cerebro )}in guaLatinaloqui vel carmina cóponere cum .
BARICIILI cum prius fuerint eorum igna viſ funt, fed quod mirabilius eſt,
Nicolaus Flo rentinus refert, fe fratrem phrenericum habuiffe , qui futura
pradixit, quæ euer nerunt, ita vt eius prædictiones magna ex parte poftea veræ
inuentæ fuerint:de quibus tamen fanusexiftens,nullam ha: bebat cognitionem .
Infantium rupturn ; qua via Sanare: valeamus. Vltis obferuationibus , nullum
remedium ; Salubrius infantium rnpturis inueniri expertum eſt, quam extritis
cochleis, thure, &oui albumine emplaftrum confectum . Hoc enim fi pare in
affi &tæ apponitur,& infantes eo temporinlecto detinétur miram in fa
nando' affectu retinet efficaciam . Ex Matthiolo . Digitum anularem , maximam
cum cords retinere ſympathiam . Valem anularis digituscum corde habeat confenfum
, in animi defe & ibus, & in fyncope experimur. Qui e. nim à talibus
paſsionibus vexantur,vel. licato articulo anularis digiti,feu medi. ci , vel
attritu auri ad eundem cum croci momento eriguntur. Per hunc prefecto vis quædamrefocillatrix
ad cor perue nit ,ex qua ab animidefe & u collapſi vi gorantur, & in
priftinam valetudinem redeunt. Ex Lennio. Carnes code quomodo cruda vje
deantur. N lautis conuitiis,nevoraces gulofi que carnes coctas comedant,
ticarti ficium parabimus.Excipitur:leporis,aut agni ſanguis , quem congelatum ,
& fico. catum in puluerem comminuemus,hic : fi fuper carnes coetas
fpargitur ftatim foluitur, illæq; colorem proprium mu tantes ſanguinofæ
videbuntur, venau feabundus, reijcias. In comeffationi.. bus contra
paraſitoshoc eſt ele &tumra medium . Ex Vuerckero ... Adoris plcera ,
labiorumque fciffuras exper HomasThomaiusin Idea fuivirida rij , Nicolaum
Zannonem Chirur. gum THI 16.2 BARTICE L L 1" , guim Rauennæ retulit ,
mirabili fucceffu : & artificio,oris, gingiuarum linguæ ,& : palari,
nulla alia re, quam radicis penta phyon, fiue quinque foliorum decocto vlcera
fanare,atque labiorum fciffuras linimento ,ex oleoamygdalarum dulci-, um ,
cera, &maſtice , quam breuiſsimè adianitatem perducere. Exapri tefticulis,fterilitatem
in bomi nibus remoueri. MA Agnaeft vxoratis inquietudo , & Gerileſque
exiſtere : propterea.vt à xan to infortunio liberentur, prolemq; ha
beant,peraliquot dies ieiuno ſtamacho vir, & vxor cum iure galli
veteristeſti culorumapri,que verrisin vmbra exico catorum puluerem capiant:ita
profectò. breui tempore optatumadipiſcentur , vt in multisfterilibus ex
quacunq; cau « fa non ſemel expertum eft.Ex Democrito. Bufonistibiisdentium
doloreseuanefcere.'. Nter maximos cruciatus à quibus ; dolo. HORTVLVS GENIA IJS
, 163 doloresperniciofiſsimiexiſtimătur,ad? cò quod multi & in
animideliquia ,& in manias deuenerint , multi etiam in vitę
deſperationem.Huius doloris remedio. um in odioſo & abominabili animali
natura repoſuit. Aperiam hoc arcanum maximum. Tibiæ Bufonis , fiue' ranz
terreſtris à carnibus mundatæ , fi fuper dentes condolences fricabuntur,imme
diatè dolorem remonent; adeoque cru ciatus ceffabit, vt quafi in dentium ſum
perficie dolor collocatusvideatur. Ex. perire modo , & fruere tanti arcani
theo fauro. Ex Florauanté. Cepam ab Hippocratemaximèdeteftario ' £pam
Hippocrates afpeétu inagis, quam efú coinmendauit, viſu bonā, elu malam elle
dicens. Idcirco lucubram tionibus, & litterarum ftuţiis addi& is
fùmmècauenda eft : oculos enim vitiati &viſum obtenebrat,bilemque exacuit..
Villicis, & folloribus, qui literis non ind . cumbunt huius eſús maximè
collauda tur: eius enim calore vires ad opera exercitanda magnopere
excitantur.Ex Plinio. . C Anima 164 B1 : 1 c : L L / , Animalibus naturam non
modo terra , perum etiam fi um pra termino conftituiffe. Agna fuit
conftituendis terrarum terminis, & fitu quibufdam animalibus: ne simul
vbique viuentia , & hominibus & fibi ipfis perpetuo effent nocumento.
Pro pterea animalium pleraque in diuersű à proprio addu &ta fitum
vtplurimum ægrotant, & moriuntur. Hinccolligi musin Meda , Sylva Italia ,
non niſiin : parte repeririglires. In OlympoMaceo doniæ monte Lupi minimè
habitant, nec in Creta Infüla . In Africa nec Vrfig. nec Apri , nec Cerui,
necCapreæ viden tur : In Illyria , Thracia , & Epiro Afini paruigenerantur
: In Scythica terraa .. tem , &Celtica neclunti Alini, nec vio . uunt
Leones in Europa, Pantheræ in Aſia, Ibisin Aegypto lolum commora tur. In Creta:
nec Vulpes, nec Vrfifunt, necaliud animal maleficum pręter Pha langium . In
Ebulo Cuniculi non funt, [catent HORTVLVS GENIALIS 165 1 FO 11 [ catent in
Hiſpania, & Balearibus, In Seripho inſula Ranæ ſuntmutæ ,illæ au tem fialiò
transferuntur , vocales fiunt. In Italia mures aranei venenati ſunt hos tamé regio
vltcrior Apenninohaud generat. Ceruiin Hellesponto ad alie nos fines non
commeant. In Ithaca illati lepores no viuunt. Sunt & alia animalia quæ in
determinatis locis , &non vbiqi viuunt, & generantur. Apjefum in menfis
apud Veteres infauftum extitiffe. X veteribus maiores nullum A pij genus in
cibis admittere folebant defun &torum enim epulis feralibus ab ipſis erat
dicatum , vtex Chryfippo Pli nius retulit. Multiautem non folum ex hoc, quia
ſepulchra coronabantur,Api umà veteribus fuiſle damnatum à men ſis , fed etiam
quia eius eſu viſus dimis nuitur, & Epilepſia generatur autumát: vnde à
Mcdicis nutrices moneri conſue lo, ( frequenti enim huius vſu , lactum
decrementum , tum malam recipit qua titatem ECO 9 . i > 166 BARICELLI Samen
litatem )vt ab Apio abſtineant,ne lacté tes in morbum comitialem proni fiant.
Dicunt in eorum caulibus nonnulli cru diti ſcriptores vermiculos naſci, eoſque
fterilefcere, qui comederint in vtroque fexu : Satyri teſticulum carnofiorem
Veneris in . cendia excitæreflaccidum vero extinguere. Atyrium ; quod Canis
teſticulos vo cant,magnæ apud fapientes eſt conſi derationis:in hoc enim,tum
Venerem excitandi,tum reprimendi à natura vi. detur eſſe remedium collocatum .
Quip pè maior planta bubulus, quiplenior, & mollior eft ,ex ſuperflua
&ventola eius humiditate, in potu aſſumptus Veneris incendia excitate
cóſueuit: minor verò, qui flaccidior, & aridior eft illa reprime
re,Veneremque extinguerevidetur. Ob id( vt aiunt) in Theſſalia mulieres molle
teſticulum in la &te caprino ad ſtimulan . doscoitus,& bibere,&
hominibus inpo tu ;præparare ſolent.Quod autem in Sa tyrio mirabilius
eft,aiunt, alterú alterius in poo HORTVLVSGENIALIS. 167 Sier o in potu ſumptų
potentiam & efficaciam refoluerezlı vterque teſticulusvpà exhi betur.
Sterilitatem hominibus,à fterilibus animali " bespoffe prouenire. I verum
eſt , quod ab Athenæo pro dicur,Malluin ter in vita parere,relis quoque tempore
fterilem efle, quod in eius vtero naſcantur vermiculi, à quibus femendeuoratur
non abfque rationeex iftius naturahomines pofle fterileſcere . Terpſicles apud
eundem dicebat.Mul lus enim fi viuusin vino fuerit fuffoca . arus,atque id vir
biberitçrei venerea -o peram darenon poffe creditur , quod ex 3 Plinio etiam
confirmatur , qui veneris incendia extinguere fcripſit. " 5.
Cynorhodiradicem ad Hydropbobiam pluri mum valere. Dmorſum canis rabidi vnicum
" A Pemedii,quodá oraculoroperti proponit Pliniuslib.8.cap.41. Hæc radix
Hlueftris roſæ eft , quæ Cynorhoda apl pellatur.NarratB.Fulgofius de quadam s
fæmina quæ per ſomniú admonita eft, vt 12 Hvide vtradicem Cynorhodi filio à
cane ra. bido demorſo , & aquas iam metuenti præberet, quæ ftatim ex
Hifpania affer ri curauit radice qua Hydrophobicus ce , lerrimè fanitati fuit
reftitutus. Ex Gem . m4Cofmacrit. lib.1. ap 6 . Hominis vitam quibusfignis long
am ,velbres nem metiamur. Ominis vita pomo perfimilis effe videtur; quod aut
maturum ,deci. dit Spóte,aut ante iniuria tempeſtatum , ventorumue impetu
deijcitur. Vitae breuis figna colligimus , raros dentes, prelongos digitos,ac plumbeum
habere colorem . Contra longæ , incuruos hu meros, nares amplas, & tria
ſigna primis contraria, multos ſcilicet dentes, breues digitos , craſfosque
atque clarum reti. nere colorein Forcius. Extra£tum Hellebori nigri ad morbos
inue ter atosmagnaeffe praftantia. N thrities atqueaffectibus inueteratis,
iiſque potiſsimum , qui ex atro , & meo lancho HORTVLVS GENIALIS. 169 T! ta
ļ lancholico humore excitantur, extra Ecü migriHellebori,remedium praſtancil
efimum femper clle inueni.Capianturnie gr Hellebori radices à fordibus purga tæ
, & in pila terantur groſſo modo: in fundantur vino albo,& in vafe
terreo e bulliantur quousquc radices benè emol liantur, quo facto prælo
exprimantur,& iterum in vaſe terreo leniter ebulliat (deic & is tamen
radicibs) quod fucrit expreſsum . Acquiret fuccus ( piſsitudi nem inftar picis,
quicum modico cinna. somo ,& pulucre aniſorum miſcendus eft. Dofis in
grandioribuseft fcrup.ſem . in minoribusà granis quatuor vſque ad ſex. Datur
cum zuccaro in forma pilalar . Confiteor in obſtructionibus, in c pilepticis ,
retentione menftruorum ex cralforum humorum infarctu , & in alijs
inueteratis affectibus, mirabiles huius remedij fucceflus vid.Conficitur eti ,
am extra & um fine expreſsionc, & cffi . - Cacifsimum cſt. AdLejenem
induratum ejufqueobfrationen efficacifsimaprafidia TE 3 Inte 170 BARICELLI Nter
ea remedia, quelienem , &fple. neticos ab obſtru &tionibus liberare
reperta sút,mihi femper ex voto fuccef GtAbſinthijRomanideco &tum ,ieiuno
ftomacho epocú ,quod à Cornelio Cel fo fummècoromendatur:Vt autem eura felicior
ſuccedat poft cibum ,aqua Fabri ferrarij; in qua pluries ignitum ferrum
extindum fit , Lienoſis præbenda eft. Experientia id totum manifeftauit, ani
Talia enim apud huiulmodi fabrose nutrita, ob eiuspotum , exiguos habere lienes
obferuatur. Beniuenius , ciuem Florentinum per feptennium ſplenis fcirro malè
affe & um curaffe gloriatur, atque ſolo eſucapparorum , & aqua per
lanalle .Debenttamé hæc remedia mul to tempore vfurpari ,vtfcopú attingat.
Hominem quendam fuiffe repertum , mira vaftitatis,&ingluuiei.
NdixeratMaximilianusCæſar Ann, MDX I.apud Auguſtú comitia: quã. do illi vir
quidam , prodigiofæ vaftita tis, & craſsitudinis oblatus eft ;at in illo
incredibilis, & inſatiabilis erat ingluuies itavt integrű virtulü crudun
,vel ouem IMDEE HORTVLVS GENIALIS. 171 UN It incođá vna vice deuoraret, nec
taméfa . mem expleta diceret. Ferunt( vt Surius) hominēBorealibus regionibus
ortú fuiſ fe , vbiob locorú frigora folent homines elleedaciores.Hoc taménon
folú in Scp tentrionalibus partibus,verú etiam alibi bi repertú cft :Voraces n
.fupramodú fuifle referunt Aeliano auctore lib.3.de var. hift.) Pityreú Phrygem
, Cambeten Ly dium ,Charidamcleonymu,Pifandrum , Charippum ,Mithridatem ,
Ponticum.Et e Anaxilas comicus dicit, Cefiam quendā infinitæ voracitatis
extitifle . Antidot erum aliquet contra penenum ab ſeruationes. Rcareca
Viperamorfus, per impofi tioné tormentille à campo penſili colle etę,illico
liberatus eſt,Altercum ingen ti dolore, & ardore premeretur fuper | dextra
spatula, & ita angeretur, vt vix ſe s pedibuscontinere , oculis videre ,
& lo . qui poſſet , veritus neà fcorpione eller comorſus,oleum bibit,multú
vomuit,& à dolore leuatus eft, & quod mirabilius, Ha in ſpatula nihil erat ſigni,vbi prius fue rat
dolor.Quidametiamà fimili dolore, & tremore correptus ex aflumpto Bolo
armeno cum aceto ſubito cuafit.Puellus etiam putredinem timens, & vermes al
fumpfit Scordeum , &liber fa & us eft. Ex Franci.Thomaſio depeste.
Quoartificio Cancri pixiextemplo sodi vi deantur. Inum ſublimatum , fiue aqua
vita magnam habet efficaciam ia rubi ficandis cancris viuis : propterea fi vis
homines in admirationem dicere,accipe viuos Cancros atque in vino fubliaato
fubmergas, ita enim confeftim ruber cent,acli perco &ti eflent cantaeft illius
aquæ caliditas, & energia,vt inſtar ignis exardeſcat: admiratio tamen
indenaſci cur, quod rubefa & i,& viui ab aqua e . cmpti ambulent.
Quorradoflamme excit etw inagha. I calcem non extin & am accipias,Sul &
lalnitrum in partes æquales , ac bene omnia fimul ailccas, puluis perabitur,
qui forqui in aqua proiectus inflammabitur, ac ducem reddet: quod parui mométi
haud Berit,prçcipuè ſinodu luce indigebis.Po e terit id fieri in valčulo aqua
pleno, vt™ quidá amicusmeus dū no & u in itinere lefſerexpertus eft,qui
totum mihi fideliter comunicauit. 9 vbivigent morbi, ibi maximè remedia oriri.
M.Agna eft Naturę prouidentia ia ado iuuandis hominibus,quippè obſeros suatú
eft ,vbi aliquimorbi copiosè vaga . ctur, ibi remedia accomodataad illlorum
exterminiūnaſci voluiffe .Hincinaphri bea, quę ferpentú eft feracißima,aromata?
tanquã eorű veneno antidota,oriuntura In Argo Scorpiones plurimi videntur;
propterea ibi Locuſta adverſus Scorpio . nesinſurgensnafcitur : ApudIndos Os
cidentales Gallica lucs viget,ibi lignum SanaaGuaiacum di& á exoritur ,
& il . lincad nosdefertur.Catharides veneno ierodunt:ex illis remediú caput
, alias & e pedes earum exiftere obferuamus.Quia Stellionibus mordentur,
iiſdem in potu Ghana fumptis,fanantur Crocodili adeps, fi in ipfius vicera
inftillatur,ſuo veneno me deri videtur. Scorpiones,Draco mari. nus, &
Paſtinaca contriti , & eorum pla gis impofiti,procul dubio fanánt. Na.
pellusmortiferum venenum eft, vbita men nafcitur,ibi Antorareperitur.cuius
radices cốntra Napelliperniciem ,fingu Jare ſuntpræfidium . Animantium lac ab
alimentis recipere gut litatem . Lacomnein animantium corporibus alimeati
recipere qualitatem adeo verum et vt demonftratione nonegeat: liquidem nutrices
ex prauo in vidure giminenon ſemel infecifle infantesvifa funt,hac etiá caufa
lacin ijs modò.craf fum ,modò liquidum ,aut ferofum cer nitur,eo quod cibusaut
craffus, aut in eiſsius fuerit,modò infantium cóftrin git aluum ,modò ſoluit
,quod vel con ſtringentia vel foluentia nutrices come derint,Hocin pecoribus
etiam manife ftum eft:in locis enim vbi hæc fcamoniú Helleborum ,aut
mercurialem comedit, vtiq; lacomne ventré,& ftomachūſub vertit: quemadmodú
Dioſcorides in Iul ftinis moribus contingere prodidit: vbi ficapre albúveratrū
pro pabulo habue i fint, primo foliorúpaftueunmere, & ea rá lacnauſea n
epotứcreare atq; ftoma chúvomitionibus offendere ait: Cum a .. adftringétibus
pabulis,robore,lentiſcogs frondibus oleagincis, & terebintho pe cus
hocveſcitur, lac ſtomacho accómoe datiſsimügenerare veriſimile eft. Ex
pulcbritudine, da deformitate aſpoetuse' mures viuentibus coniectusari. MAgmá
nobis afpe&tus pulchritudo veldeformitasnon folurn in homin I nib ,fed etiã
animalibus,& plátis preſtaci cóiectură,qua benignos vel prauosmon res &
naturas veoarifolemus ; intuitu nó pulchri corporiszfpeciofiq; afpe
&tusmité naturam , benignofq ;moresin homine illo perfiſtere conieéturamus:
contrain I deformicorpore,turpiafpe & u timemus. enim neſcio quid
calliditatis, & malitie i In animalibus laudamus catellos, canes Venaticos
, & ſagaces , venamur in eis benignam naturam , & mites mores: ( 6 ..
tra in Maloſsis,inLupis,Pantheris, & fi milibus, timemus crudelitatem ,
maliti am , & voracitatem . In plantisex pul chritudine venamur falutares
naturas , ex deformitate autem noxias, Rola,Li lium, & Iris nobis præftát
argumentum , quamplurimis pollere virtutibus: con tra Cicutam , Aconitum ,
Napellum.ex deformitate enim plantarumhuiuſmo di,mortem nobis poſſeinducere
arbitra arur . Ex Poria in pbyſiognom . 1 : partibus Septemrionalibu
sdeficitate tes exaceri. Laus Magnus de gentibus Septena. rrionalibus loquens:
Sunt (inquit ) Biariniidololatrę, & hamaxobii,Scytha. rum more,atquein
falcinandis homini.. bus inftru & iſsimi ; quippè oculorum , aut verborum ,
aut alicuius alterius rei maleficio , homines fæpe ad extremam maciem deducút
& tabefcêdo perdunt.. In hamorrhagia fele&tißimum praſidium . Nfluxu
fanguinis narium copioſople.. 5i9; & in animi deliquia, & fyncopim
deur. . perati intercant. A periam quod mihi deueniunt , multoties etiam tanti
peri cali bicmorbus eft,vtægrià ſalute deb u ,fem * per adhibere profuit.Burſa
paftoris co I trita, ficum ouialbugine, & aceto ,com i mifta fuerit, &
frontiapplicatur , confe * ftim fanguis conftringitur;ve mihinon £ femel in
infirmorumcuracontigit. Vi in febricitantibus fitis, lingua ardor compefcatur.
Nfebricitantiú querimonijs ex ſiti, & linguæ ardoribus, Criſtalli vfus
inter præcipua iudicatur remedium . It lad enim fi diù in aqua frigida
agitatur, &ore deindedetinetur , fitim & calore corrigit, atque linguam
humectat : ma ioris tamen virtutis eft lapis albus, qui in lysacis capite
reperitur. hic porrò ſub lingua agitatus non modo fitim ca loremquerefrenat;
verum etiam faliva in ore excitat: vnde febricitátibus,& ma kimè,
fiticuloſis prælentaneum iudicae tur effe præadium . Ex Lemnio. Skolen Al ignis
prefidia fuiſsimè in morbis CW AX : dis Aegypties TerueTATE. Var Aegyptij
admodum proclives in languentium cura,adignea prælia dia eligeada,propterea
vftione vtuntur afthmatelaborantibus,in ſtomacho frie gido,humidoque ab
humorumque dea Auxu, &facibus repleto,Hepar,& Lic nem obduratum ,
&refrigeratum ,multa cum vtilitate inucunt; Hydropicos ſub vmbilico,
&fub hypochondrio finiftro linea petia ignita adurunt. In doloribus
dorfi,lumborum ,colli , & orenium arti culorum ,in ſpina dorli
,lumbis,collo , & alijs partibusdolore cruciatis,hocpræſi-. dium
frequentant, In tumoribus à crue. dis, pituitofisquc humoribus generatis ad
ignem confugiunt, tanquam auxiliú quod citò multosmorbos curet, inopia
queproprium efle autumant. Ex Alpines de Medic. Aeg opri.. Centium , &
populorum ingenia bifuris , prouerbäs: excogitari.. Vlius Scaligeri vir
acutiſsimi inge nij,Gentium ,& populorum naturas tum ex hiſtorijs, tum ex
prouerbijs, at que ex ore vulgi ita excepir. Alanoruto luxus:Africanorum
perfidia: Europeorü acritas.Mótani afperi. Campeſtres mol
liores,deſides.Maritimi prædones, mi ftis tamen moribus: eadem ratione In
fulani quoqueſunt.Indimobiles, inge nioſ, magiæ ſtudioſi,numcro fidenteso
Affyrij,Syri ſuperſtitioſi. Perſæ , Medi Baštriani,Pyrrhi,Scythæ ,Sibi,Phryges
, Cares,Cappadoces,Armeni,Pamphilij, mercenarij, atquealijsbellicoſi, Aegyp tiz
ignaui,molles, ſtolidi, pauidi. Afria cres infidi ,inquieti.Aethiopesanimofi,
pertinaces , vitæ mortifque iuxta con temptores. Thraces,Myfi,Arabes,Mo.
ſchouitæ, Pæones, Hungari,prædones. Illyrij, Liburni,Dalmatrz , iactabundi,
Germani fortes , limplices, animarum prodigi, veri amici, verique hoſtes,Sue.
tij.Noruegij.Grunlandi, Gorri, beluæ , Scoti non ininus. Angliperfidi, inflati,
feri,contemptorës,ftolidi,amentes, in ertes, in hoſpitales ,immanes. Itali con
Atatores irrifores ,fa &tioſi , alieni fibiip kis bellicofi,coacti,ferui
vine ( cruiant, E H Dci 318 ! CEL: 1 : 1 : Dei contéptores. Galli ad rem
attenti, mobiles,leues,humapi,hoſpitales ,'pro-. digi,lauri,bellicoli,hoftium
contempto ges,atque idcirco ſui negligentes, impa rati, audaces , cedentes
labori, equites, omnium longè optimi.Hifpanis vi& us, afper domi,alienis
menfis largi, alacres, bibaces,loquacesyia & abjadi lor 3.Poc-, tices.
SCMabaum ,Solis Lunaque coniunčtionen piuentibus oftendere. Irabile eft, quod à
natura Scara-. bæus animal notifsimúedidicit, omnibus enim Solis, L'unaque
coitum apertè demonftrat.Hicex bibulo fter core pilulam ab ortu, ad occaſum
totá . döverlans, in orbis imaginem effingit, quam xxviii.diebus peracta
humiicro beobruit ibique candiu abfcondit , dum ZodiacuniLunaambiens fiat
interme.. itiis,& fileat:tum foueamaperit, & fide- . THM coniunctionem
denuncians,nouam pralem cdit : hæc enim eft iftius beſtio la necalia nafcendi
origo Ex Mizeldo.i. exo # Bobilin 2x
Quorundam aimalistu natur & .. Oseft conftans , afinus piger,equus:
libidineincenditur, petitąue impe.. tnosè femellam ;lupusmiteſcerenequit;
Vulpes inſidiola, aſtuta callida: Ceruus timidus;Formicalaborioſa:Apis parca:
Canis gratioſus, ad amicitiam propēlus, Leoſolitarius,expers focietatis,nunqua
pabulum externum admittens, tanta vocis magnitudine, aut fonitu , vt ſolo
Tugitu celerrimaanimantia profternat; Visſa pigerrima,ſolitaria ,corporegraui,
compacto, indiftin & o: Panthera vehea menis,& ad impetus
faciendospropenfa, pernixoyedi& a quaſitota fera.Anguis fæniculi paſtu
oculorum lippitudinem carat: Formica temporishyberni pabu lum æfiate
condit:Item - fides in canibus, in elephante manſuetudo,ftudium ore of natus in
Pauone, çura vocis amanæ ſuam, uiſque in Lufcinia.Forciuss. Cervorum vitam ,eße
lengisimam . Piabat Magnus Alexander poſteria -jari, Ceruorum vitæ loogicudinem
oftenders,propterea multoscapi iuſsit, quibus aureos torques in collo in neđi
voluit : in ijs temporis curri culum erat expreffum , &Alexandri deo
creturn ; illorum aliquot poft centum annosab Alexádri morte capti fuerunt, qui
adhuc ætatis ſenium minimè pręfe ferebant.Ex Plinio. Mafculinum fuum citius in
ptero , gianfo mining animeri.. X omnium ferè Scriptorum opi nionemaremfætum
citiùs in vtero , quam fæminam animari capitur , aiunt enim marem io dextra
parte matricis ex feminecalidiori concipifæminam : verò ex ſemine frigido, ſiue
minus calido in finiftra partematricis, quæcomparatiuè ad alteram frigida eft
.Hincmasdie40. foemina verò 80.vel90..vt plurimuma nimaridicitur:quod frigidum
tardum fit ,&pigrum in ſua operatione: calidum . autem velox: idcircò
virtutem forma tricem invno femine velocius, & citius mébra organizare,
& formare, quam in alio obferuamus. Ex DominicoTbolofano fuper Leuit.cap. 1
o. Pici HORTVLVS GENIALIS 183 PictMirandulaniingenium , quam maximè collaudatum
. A ,& , + PiciMirandulani,& ingenium , & & multiplicem do
& rinam collaudabant, & miro ordine extollebant:Quando(in quit Picus)
ron eft,vthac in re mihi,aut meo ingenio velitisbiandiri: quin refpi.. cite
potius afsiduis vigilijs, atq; lucu brationibus,quàm noftro ingenio plau 9
dendum : & fimul aſpicite fupelle & ilem noftram ,atque librorum
thefauros:oité I debat porro Picus bibliothecam egre . gio ornatuconſtructam
,atque omnigem nis libris ex varia eruditione refertam . Ex Crimite
InHydrargyro onnis metallica Supernatare. Akreexcepto . Ercij,vel fi mauis,
Argenti viui; proprietas mirabilis cit, quòd , omnia mineralia ferè,vtplumbum ,
fer Tum, æs, & alia ponderotiſsima( excepto . auro )in eo fuperpatent:
aurum ditem , * fundum petir , & eius recipit, cola rem , quiignis tantùm
opeabfumitut & in fumú mali odoris refoluitur. Hu. jus nidor , &
virulentia nauſeam , nocu mentumque adftantibus inducit : inde membra ſtuporem
recipiunt, & nerui relaxantur; vt fæpifsimèip inauratorio bus obferuatur .
Ex Lem . oleicinnamomai rara o pretiofa como pofitio,plerisque incognita .
Icinnamomiolcum ad diuerfas infira : mitates parare optabimus caperec portet ,
cinnamomicontriti lib.j.quam adinftar liquid : pultis cum oleo amyg- : dalarum
dulcium commiſcere ftude bimus, tum demum duodecim dierum ſpatio in loco tepido
clauſo vaſculo fituabimus , poftmodum ex torculari totam id exprimatur fortiter
: hac ett nim methodo oleum , odoris, .coloris, &
faporiscinnamomihabebimusad vo tum . Hocadvires reparandas, & Vio letudinem
conferuandam rarum eft ro medium, prodeft parturientibus, & in ftomacho
debilitatotam interius,quàna exterius vfurpatur; ngritudines frigi 18g A E das
arcet , & in partibus corporis ro u borandis eft tantæ efficaciæ , vt vix
ale v toruin conſimile inueniatur remedium .. e Marimum Herinaechin
tempeftates:mariti w pracognofcere . Dmiranda profecto: eft' Marini Herinacei
proprietas : hic paruus pifciculus eſt, nullatenus tranquillita tis tempore
naturali propenſione futu ram præcognoſcit tempeftatem . Ea im. minente ita fe
præparat : faburram fa cit , lapidem ore percipiens , ne maris flu &
us,vndaqueimpetuofæ facile eum diocodimouere , atque huc illuc in pellere
valeant. Nautæ id afpicientes : fucuram tempeftatem à piſciculo hoce . do &
ti percipiunt, ob id anchoras & fue . des, & fe ipfos parant,
tempeſtatibus maris reſiſtere poſsint.Ex D.Ambrofia, Miracuimdam fontis in
Epiro Proprietasi A naturz proprietas illius fontis , qui in Epiro ( vbi
Dodonæi louis tema . plum olim inftru &tú erat , quacaufa hic faces facer
di &tus eft ) inuenitur. Ille fri. gidus eft, & immerſas faces , ſicut
cx teri extinguitcum : autemfine igne pro culadmouentur,mirabiliter accedit , A
bulenfis fuperGeref.cap. 13. de hoc menti onem facit , afferitque huiuſmodi pro
prietatis cognitionem Adam , & conté poraneis fuiffe apertam , diluviogue
& gentiumdifperfione effle perditam .vide Pomponium Melam . mHecla ignem
emiffum ,ficcis.extingui, to que verò nutriri. Dmirationem , &fidem omnem
ſuperaret, ignem ab aqua nutriri, & non extinguiintelligere,nifiGeorgi us
Agricola,vif noftræ tempeftatis me moria dignus,oculatus adfuiffet in He cla
.Narrat hic in Inſula Irlandia mon tem nomine Heclam exiftere ,, ex quo ignis
emittitur,vt hodie in Vulcanopro. pe Siciliam ,Sicaniam dicam , & Puteo lis
in loco vocato le Fumarole , obſer uamus. Ille autem à cæteris diſsimilis
ficcis extinguitur, aqua verò alitur. Ex lib:noftro de Hydrom :Naty. Hominum
aliquot fubtilioris , plerofque au tem groſsioris ingenij adeffe. Ropterea
Aftrologi, & præcipuè Al. bumas,hominum aliquos fubtilioris i
ingenij,aliquosverò groſsioris inueniri volunt: quia in eorum natiuitate Mer .
curius, vel bonam ,vel malam habet pòa' fituram.In quorú enim natiuitate Mer.
curius in domo,velexaltatione Solis fue sit, ij ſunt ingenio prædici; fi verò
fuerit + in domo Lunæ , nafcuntur groſsioresor Ptolemæus, Bropoſ. 70. in quorum
ortu | Luna reſpicit Mercuriú , fapientes fieri voluit;contra autem
amentes:quiaLuna virtutes naturales infundit,Mercurius verò rationales:vnde eum
virtutes naa turales,quibus corpusguberdatur , rati onem reſpiciunt, ille
nafcitur sapiens; cùm autem non refpiciunt, amens. Hac etiam de cauſa efficitur
mentis hebes, & obliuiofus, qui in natiuitate Mercurium babuerit
retrogradum : fi enim dire &tus fuerit,ingenijceleris fiet. HancAſtrolo .
gi ducunt rationem , quòd ftellæ nóim. peditæ ,luas faciant naturales operatio nes
; oppoſitum autem ,fiimpediuntur. Hisdecaufis frequenter Aſtrologosve sa
pronoſticare de moribus hominiume" accidit ; non quòd ita neceſſariò eue.
niant, fi homo per voluntatem , ratico pis legem magis, quam ſenſusſequi vo
luerit:fed quia pronuseſt ad ſequendum appetitum fenfitiuum , in quo Aſtra
influunt. Raxael. Matr. in Addit. Bartol.. Bibyl. Galenum omniumporiamcorporis
, folum perfe& ifsimè inter veteres, morbos Caraffe. Ratapud
Aegyptiosinuiolabile de cretum, vt fingulis morbis , finguli adhiberentur
medici. Hinc illorum 0 . cularii, auricularij, & alterius ,morbo rum
nomenclaturæ aliquot vocabantur: arbitrabantur enim fieri non pofle, vt v nus
omnium curarum difciplinam re&tè teneret; quamuis in vnadoctus habere tur ,
vt BaptiftaFulgofuslib. 2. adnota uit . Galenus tamen illic temporis inter
veteres , naturæ miraculum , omnium corporis humani partium , tanquamfa. E pientiſsimus,morbusperfe&
ifsimè fo lus curare nouit. In lib.de Pet . Art.Med.c.2. Grecos feriptores de
Iudeorum monumenti rutibi pertractafle Riſteas , cuiushodielibellus extat de
Translatione In terpretum ,refert; Ptolomeum Philadel phum , fecundum Aegypti
Regem poft Alexandrum , quæluille ex Demetrio Phalereo, quem ille inſtruendæ
biblio thecæ præfecerat, curGræci ſcriptores, .nullá dehiftoriis,
&monumétis ludæo rummentionem feciſſent reſpondiffe autem Demetrium ,
tentafle quidem id facere Theopompu,& Theode&tem ,no biles in primis
fcriptores, & quedá ex lu .. dæorum monumentis ioleruiſle fcriptis fuis:
fed mox taméluifſe temeritatis pe nas:illum enim amentia : hunc cæcitate
diuinituspercuflum ; ſed poftea mali fui caufam agnofccntes, & ex animo
dolen tes, placato Deo ,ſanitari elle reſtitutos. Eufebius lib.8 De Prapar.
Euang. A Cane qido demo- fum , inftarCanis la traffe proditumeft. Ex corrupta
imaginatiua non femel à cane rapido commorh latrare vifi funt:cognouit enim
NicolausFlorenti nus quendam , quià cane rapido morſus, curationem vulneris
minimè quæfiuit; exercuit hic per dies 35.negotia ſua abſ. que læſjone,
maneautéfequentis diei è lecto ſurgens retrò vxorem ſuam inftar canis ſtetic,
cæpico;pofteam latrare : dú autemab illa reprehenderetur,lubridés ſurrexit,
idque pluries eadé die reperi uit. Serò corrupta ex eius ratio, & die
40.mortuusà morſu illato repertus eft. In Arthritidey Chiragra , quando mors fuccedas.
Arò mortem in Athritide, & Chi R corporis ignobilibus humor refideat; hinc
(nouo haud fuperueniente morbo) tales àmortis periculo , vexatidoloribus
vindicantur. Has tamen mori com pertum eft , quando circa finiftrum pectoris
finum , cui cordis turbinatus mucro ſubeſt humorum colluuies den cumbat,atque
Gniſtræ manus digitus an Bulan Di
mularis nodum acquirat, ac valde intu i meſcat.ex Lemnis. Lienen ad -corporis
tarpitudimem maximè Talere, Vantacoloristurpitudine,qui ab in
dicuntur,exiſtant, in dies obſervamus, non modò in illius obftru &tionibus,
verùm atqueScirrhis, alijſque tumori - ribus. Hioc iure dicebat Galenus z.de
Natur. Facult. Quibus corpus florefcit, his lienem decreſcere,ac vice verla,qui
bus lien creſcic, illis corpus tabeſcere, & o vitiofis repleri humoribus.
Caufa om nium eft, quòd lien ab infar &tu fa & us imbecillis,nequit( fa
&ta humorum ſeparatione in Hepate) melancholicum fuc cumad ſe attrahere :
hinc demiflus ille cum fanguine corporisatro colore ani . bitum maculat. Iumenta
clitellaria in itinare fibilo , da Cana In à laboribus fubleuni.
Vlicęconcencusſongriſ numeri maximè homines delectant, ob id multi &
cymbala , & alia muſica inftrumenta frequentant, vt animus à mæftitiis
fubleuetur. Hac coniectura obferuatum eft :iumenta clitellaria in la boribus ,
& itinere , cantu , & libilo al leuari:propterea mulones, vt muli, ce
seraqueiumenta dicellaria,& tarcinam , & alia onera minus laboriosè
fentiant, tincionabulorum torques in illorú col. lisfufpendunt, quorum fonitu ,
huiuſ modi valdedele &tari cognouerunt , & perinde refici, & à
laſsitudinc fubleyari. Ex Vairo kb.z.da Fafcine, Mafalas nigras in acutis
morbis apparentes, exitium prefagics. Neer ligna , mortem languentiuni , quæ
præſagiunt in febris acutis , illud maxime obſeruatu iudicaui dignū , quod à
Sauonarola multa experientia com probatum eft. Sienim infacie, ſeu genis
ægrerum ,maculæ nigræ obortæ contpi cientur,prcculdubio languentis exitium
minantur ,quippè venenofæ , & peftiferę materiæ in corpore predominiú redun
dere arguunt, ex quo mors ſubſequitur. Has IS HORTVLVS GENIALIS 193 2 Has cum
obſeruaſiet Sauonarola, ex tali ľ prognognoſtico ,magnumhonorem fua ifle
confequutum refert. Acetum adictus venenofos epotumplurimum valere . X Cornelij
Celli obferuatione ace tum pertum eſt:quippecùm puer quidam ab j. afpide ictus
eſſet , & partim ob ipſum vulaus,partim ob immodicos æftus, fiti
premeretur,cum in locis ficcis aliumhu morem nó reperiret,acetum , quod fortè
ſecum habebat, ebibit , & liberatus eſt: coniecturandum eft acetum ,
quamuis refrigerandi vim habeat , habere etiam difsipandi,quo fit, vt terra
reſperſa co spumet. Propterea eadem vi veriſimia le eft, fpifleſcentem quoq;
intus humo. rem hominis , ab eo diſcuti , & fic dari fanitatem , lib.s.de
ictu afpidis. A quodam piſtisgenere febrem illico ex citari. N Arota flumine
Inſulæ Zeilã quod . dam piſais genus reperiri referunt, quod manuapprehéfum
febrem accen , 1 dat.Equidem piſcesillic neutiquam el culenti ſunt , liceat
flumen fitpiſcofiſsi mum , qui tamen piſcem febrium appel fatum
retigerit,confeftini à febre corri pitur;ſed quod mirabilius eſt , demiſſo
piſce, ftatim liberauit.Cardanus, & 566 lig.in Exercit. Fæminas in
maresfuiße commutatas fabulo fum non est . Pudmultosauctores ex pluribus
obferuationibus notatum reperio , foeminas in mares quandoque commu taras
fuifle:referam folum, quod tempo reFerdinandi I.RegisNeapolisfueceſsit. Erat
Salerni quidarn Ludouicus Guara rea , à quo quinque filiæ fufceptæ funt, quarum
natu maioribus duabus, alteri Francifcæ , & alteri Carolæ erat nomen. Hæ
ambæ cùm perueniffent addecimu quintum annum ,in mares mutatę funt: ijs enim
genitalia membrainſtar marių eruperunt,mutatoquehabitu pro mari bushabiciſunt:
Franciſcus, &Carolus nuncupati.Ex Fulgoro. Sene & utis incommodatam
corporis quàm Animai NKINGT ANTUT : Quanta fint in fenibus, & corporis,
& animi incommoda , non modò à Scriptoribus, verùm arquecontinua,ob
feruatione experimar ,vt iure afferere libeat,hanc hominis poftremam ætatis $
partem miferrimam iudicari. Mortales enim cùm ad fene &tutem perueniunt *
cor eorum affcum eſt,caput tremulú , (piritus languidus, anhelitus færidus,
frons caperata, corpus recuruum , nares mucores deftillant , vifus debilitatur,
i capilli decidunt, dentesputreſcunt. In fuper ſenes ſunt iracundi,
inexorabiles, moroſi,nimis creduli, rarò obliuiſcun . tur iniuriarum
,laudantveteres, prælen tia damnant,triſtes ſunt, languidi, iniu cundi, &
alperi:ſuntauari,ſuſpiciofi , o. neroli,difficiles.Exquibus fene &tutem
fentina, & cloacam efleomnium ford ú, & immunditiarum ætatis noftræ
confia tendum eft.Ex Lauren . Cupero. + Magnum Alexandrum , corporis ſudorem ha
buiffe redoleni em . Rat Magnus Alexander tam re & a humorúarmo I 2 nia, E
196 BARICELLI nia , & temperamento conftitutus, vee iusanhelitus odorem
balſamiexpiraret; imò fudor, quem è corpore emittebat, tanta ſuauitate, &
fragrantia redolebat, vt quoties eiuspori recluderentur , gra tiſsimis odoribus
perfufus crederetur. Quod autem mirabile , & difficile credi tu eft
,cadauer eius tam fuauiterſpira bat , vt aromaticis ſpeciebus repletum efle
iudicauerint.. Ex Quinto Curtio,& lib. noftro de Hydron .Natur. Diuerfe
quorundam hominum virtutes , ornamentA. P tibus,tumanimi magnificentia col.
laudantur,omnes in paucis earum per. fe &tionem , confirmant. Porrò Ablalo
nisformam , & pulchritudinem extol lunt:robur, &fortitudinem Sampfonis:
fapientiam Salomonis : agilitatem , & celeritaté Afaelis:diuitias, &
opes Creo G : liberalitatem Alexandri:vigorem , & dexteritatem Hectoris :
eloquentiam Homeri: fortuuam Augufti: Iuftitiam Traiani: zelum Ciceronis.
Veteran Baderoase no canna, & in papyro penna fcribebate Veterim ruditas,
&infcribendo vari Arbara equidem ,& mifera erat ve teruminfcribendo
ruditas:ij enim primò in cinere, deindein corticibus, & folijsarborum
,pofterin lapidibus,mox in lauri folijs, exinde in laminis plum
beis,conſequenter in pergameno, & tan dem in papyro fcribere
politiſant.Erat præterea illis in modo fcribendi , ins Itrumentorum diuerfitas:
in petrisenim: . ftylo ferreo, in folijs penicillo , in cinere digito,incorticibus
cultro in pergame. Eorum etiam atramentum varium erat, primum fuit liquor
pifcis illius, quem nos ſepiam appellamus;deinde mororú fuccus;ad hæcex
fuligine caminorum ; mox eft fynopica rubrica ,aut minio; vl. timò tandem ex
galla ,gummi,, & vitrio o lo fieri cófueuit. Bx Strabonede situOrbis. $
InAngira prauosatiuspilulami rabiles Periamnunc pilulas meas maxi mæ efficacia
, quibus in angina 3 prafo А pręfocatiua à cratsis frigidiſý; humori bus
exorta, ſéper cu felicifucceeflu vfus fum.Interalias obſeruationes, in quibus
tale medicamétum libuit experiri, luc cefsit calus in R. Petro de Stephano
Archipresbytero Cercelli, qui ferè fufa focatuserat , quare vocatus anno 16156
vt eius ſaluti confulerem ; cognito mora bo, quòd ex craſla & viſcida à capite
de ftillatione fieret, pilulas meas in aurora exhibui,non fine loſephi de
Simoncin medicinaDo&oris, mei collegæ admis. ratione, qui rennebat
quodammodo. medicamentum . Eratpilularum come pofitio ex trochis , alandahal,
& Aloes an.Scrup.Sem.j.Diagrid.Scrup.Sem.cú ſyrup.de líquiritia conficitur
maſſa. Ex hac plurimępilulæ ,vtfacilius æger de glutiret , confe&tæ
fupe:Hisdeglutitis, iuriscicerum fubitò cya mbum propine . re foleo
,quemadmodum in hoc feci, qui fine moleſtia euacuauit, & breui delituit dolor
& gulętumor,benè reſpirauit,be nècomedit, & vna die fanus factus eft,
cummaxima multorum admiration & lgtigia. His pilulis vfus eftGalenus ad
linguam tumefactam , vi lib . 14. Method s med. ſcriptum reliquit: Capitis
noftri capillos, plant arumnatura mo ximè aRimilari. M Agnácapitisnoftris
capillicumplá tis retinent fimilitudine: quemaddum n.plantę nónullæ humoris
defe& u . inarefcétes contabeſcút,aliç verò alienis naturæ ipfarum
humoribus occurſantes: o pereunt; fic &capitis noftricapillisaccia: -1 dit
:vel n.ex humiditatisdefe & u ,quanu. triútur ; vel ex eiuſdé prauitate
corrum- 3 puntut , & decidunt.inc defluuiú & alir eapillorūdefe& us
in cap'oriútur.Ex Gal. Qya dia volucrum pennits varite coloribus tirgere
valeamus: I volucrú pennas variisco !oribus tin-- , gere 1 ter abluereoportet;
mox in aqua alumi.. nis decoquere,atq; du calent,in aquá cro co colorarā , ſi
flauas eas cupimus, conii. * ciemus:lina.cæruleas, in fuccú, aut vinü acinorú
ſambuci vel ebuli.In diluto fio . ris æris virides fiunt: codémodo colore
minij,atraméti, alteriusue coloristin &tas habebimus. Agric Poftulanie,à meluannesBerardinus Agricolas,
Filicibus pro frumentoconfervant do in borreis pri. Oftulauit Mazzocca à
Vitulano,magna expe cationis adoleſcens, ob flagrantem in ſtudia amorem , cuius
familjaritas apud me gratiſsima eft:CurAgricolę pto fru mento conſeruando,
filicibus pro ftra gulis in horreis vtantur ; Equidem hu ius ingenium , &
animi indolem fepè de miratus fum : proptera in recurioſiſsima complacere
volui.Vtuntur Agricolæ fie 1 cibus in horreis, vt cerealia à corrupte la
præferuent: quippè filix à proprietate generationi obeft, hinc agrifilice pleni
reputantur fteriles. Hinc filix epota ne cat vermes, &ex aluo deiicit: in
grauie dis necar fætum , mulieresque reddit ſteriles: quapropter multa ratione
agria cula ( 1.cet tanti arcaniline ignari) filio cibus pro frumentorum
ſtragulis vtun ter : quia illorum corruptioni maxime refiftuor. Terrestres
Lumbrices digitorum panaricium : fanats. Panae sol PAnaricium in latere vnguium accidit,
&interapoftemata numeratur,quod tantum inducitdoloris, vt patiens , ne .
que diu , nequenoctu dormire valeat. Prohuiuscuratione, & dolorislenitione
multimultafcribunt : egoprofe & dcer. tiſsimo experiméto multoties compro
baui, lumbricos terreſtres viuos ſuper pánaricium alligatos,præfertim in prin .
cipio ,mirabilitet apoftemacompefcere, & fanare , vt vix diei fpatium affe
&tus pertranſeat. € Galega, atqueScordimir am ,contra lüemo peffifentemefe
efficaciam . M Trabile obſeruamus Galege , & Scordii efle virtutem cótra
febres malignas , & peſtilentes ; fi quis enim Galegęfoliainacetariis,
autcarniú iure femetindiefumplerit,afebre hactutus, & incolumis
præferuabitur. Idem (Gam leni teſtimonio ) Scordium efficere pro batum
eft:fiquidem ex.veterum quorú , dammonumentis aduerfus putredinem Scordium
fingulare effe. remedium tra đitur, vt j.de Antid.capaz. legimus:nam Is cum nteremptorumcadauerain
pręliog multosdies infepulta máſillent; quęcund que ſuper ſcordium.fortè
fortuna cocia derant, multò minùs aliis computrue . runt; ea præfertim
particula,qua(cerdi um attigerant:ob quáremomnibus per ſuaſum eft,tam reptilium
venenisquàm noxiis medicamétis quæ corpusputred ſcere faciunt, fcordum
aduerfari. Anni bal. Camil En. Nodos . in infantis ombilico filiorumrume-, rum haud
oftendere. * - 103 Pleriqueexnodis inkantis primènato bliorum numerum ex eadem
matre: naſciturumcognoſcere profirenturthoc autem caretratione;fæpèenim fit ,
vt illa moriarur , aut cafta viuat:vel plutesge neret filios, & pariat ,
quàm nodorum numerus exiſtat;fiue plures viros habeat: è quibuscum alio plures,
cum alio paung ciores filios fuſcipiat. Proptereà certio . kiratione afferendum
,in nodorum vm bilici primi infantis coniectura , exiſtin , mosfæcundosvteros
plerumque plures ! nodosininfátis parerevmbilicofteriles; miebe autem paucos,
eofque non ad vnguem diſtincos, vt frequens obſtetricum obą feruatio
demonftrat, & vt euentui hæc talia, vtplurimum concordare.viden i tur. Ex
Carda. 8.de Oryalum quem ſolo afpeétu auriginoſosbom . mines ſanare. Irabile
eſt, quod de Oryalo aue ecircumfertur. Hæc potrò talem dicitur fuiſle naturam
ſortita, vt icteria cum affectum , à quo homines plerum que moleſtantur, ad ſe
valeat ſolo oculorum afpectu attrahere; proinde vocao tur I &teribus,fiue
Galgulus à multis, ab ' Ariſt. autéin biftor.animal.Goryon. Sed 1 quod
mirabilius eft, auriginofus homo ab alite viſus fanatur,ales verò moritur.
Homines, quandoque ſolo intuitu Ophtbaho miam contrahere. Vita obieruatione
animaduerti Ophthalmiam fiue lippitudinis morbũ quádoq; contagiosú elle, &
folo perinde afpe & uab hominibuscontrahi:: oculi enim tunc adeò
perniciofam vim . $ retineat , xt in alios propriumaffectum , 6 ciacus ejaculari valeant. Pulchra ratione hoc
Vairuslib.j.de Fafci, quomodofieri por fit, differuit:Siquidem animus malèaffe
& us fuum quoque corpusmalè habet; ob id fianimusaliquomcrore, aut vi. tio
afficitur,colores.corporisetiam im mutar:ſi enimab inuidiacentatur,pallo re,
&croceoscolore corpus. inficit . Inde fitetiam ,winuidia tabefcentes
,ftocle. Jos.inaliquem . liuentes.defigunt, animi fimul venenum vibrent, &
quafivirule .. tis iaculis confodiant.Proptereamirumi non-ef , hominesaliquando
ſolo.aſpe & uindippitudinemincideres,vt Hieron nymus,
Thomafiusmedicusinſignis, (dú ipfe Neapoli ftudijs.vacarem ) defeipfo. teftatus
eft. Adlapidessenum,din neficefrangendos mine rabile remedium .. Vidam -medicus
ecuditus, ad lapin desfrangendostanquam admiran dium.parauit cibum
,cuiusefficaciam a . dedimirabilem eſle cognouit,včad.lapi.. desexpellendos non
folumà renibus,& retisa ;ſed etiamab anulo comedentis, efficacius remedium
haud confedus fu . erit.Paraturex hepate , pulmone, reni. bus,tefticulis cum
priapo hirci , quæ cú & croco , cinnamomo , & mellemifcentur , ac ijs
hirci inteſtina implentur.Doſis fint duæ, aut tres.buccella Res porrò mon
ftruofa ,faveraeft.Ex.Micbaele Pafebl. lib. 1.Metbed.Meck . Veterum medicornmpro
conferuanda Sanin tate collegium lans Rifx potentiſsimus Afiæ , & Syrie,
quialter Alexanderdi &tus fum, it ( vt ex Ariftiin libisecret.fiuede Regin .
Principa.habetur)medicos præftantiores exregionibus Indiæ , GregiæMediæ , , ac
aliarum mundi parcium congregauit, quibus impofuit ,vttalem inuenirent
medicinam , qua fi homo vteretur , nec. medicis ,nec adia: mediciņa indigeret,
pollicitufque fuitRex dirüsimus maxi mumpræmiumefle daturum.Illi autem pro
maturèconfülendo e rrium dierum fpatio postulato collegiú iniuére. Mox ad Regem
cùmomnes cffent requiſiti Sanages Grocus Medicinæ peritiſsimus, qui pręter
ceterosdo & trina & fciētiarua tilabat omniú conſenſu Regiindicauit,
quòd fumere quoủibet manè aquábisplez noore,efficiat,vt homo fanusperfiftat,
&alia haud indigeatmedicina.blocpro feccò à rationealienu non eft:vtenim in
Arabum , Græcorumque antiquifsimis voluminibus inuenitur,aqua ponderofitatis
ratione ad ftomachi fundum ten dit,auget calorem , & citiùs comprimit,
& digerit cibos, digeftionig; maximè au : xiliarur,ceteriſk; mébris
corporispluri múconducit. Fabrorú exemploid torú inquiritur, quiin
accenſoscarbones mo dicum aquæ conijciunt,vt ignis vi'maioriaccendatur.Idcirco
binos aquæclear ræ hauftus manè potare , menfe Iunio præſertim , propter
choleram reprimen dam , multum confert ad fanitatem cone feruandam .
EfBurtbolam . Moles in lib. de; ſanit.tuer.. Alexandrum Magnum fudorem
fanguineum in pugna habuiſſe. * Vdare fanguinem puruminteradri Skadar randa,
quæ rard luccedunt,puimera . SUT 1 tur
:vbenim in aliquot fudorex láguinis i iclore cruentus corpore malè affecto, :
vifuseft; & is nequaquam fineadmiratie one, & iftuporezita di
illeexputo danguis : nexortusfuerit,atquein corpore fano; ) vtique maiorem
præſtat-negotijcaufam inueftigandi cupiditatem ; vt futiſsimè nobisinlib.de
Hydraniofazatura.olimedia to pertraétatuet Referam nunc quod , Magno: Alexandro
euenit; dum eſſet in extremevitae pcriculo conftitutus.Is cũ, in pugna
quadamedererum fumma cum Indis.decertaters lub @ diarioque milisere
deititueretoMilqucadedcholera:luccés, [useftzvékotocorpore purú languinédes
fudauerit; Barbariſgulecotus igneis filáns misardere vifus fit.Hocautemtantum
ijs terroris-ingcfsit, vt fe Alexandra.com mittere coactant, Lüpathium rantie
darworetaſtas,tenetrier mas, efung aprusreddere. Rat apud veteres Lapathiorum
vfus , pecu liare,eft,vt carnes; &vedulia cú hiselixata vel link dugaa
yesulta, & coriacea ,terit titatem, & mollitiemacquirant.Propte . rea
,quòdcibos concoctu faciles przſta , bant,& aluumemolliebant à vecerum à
mélis raròhujuſmodi abfuifle legimus. Catoncorum feminum :muccaginem combusa
fionibus maximèopitulai Nter præftantifsimaauxilia, quæ có buftionibus: adhibentur'
, feminun cotoneorum muccagipesretinent prin cipatum . Referam:Petri Foreſti in
pro prio filio experimentum , Ille matri obo. fequioſus,,cümtefta carbone
ignito re pletamkappostaret,cecidit & igneoculos. combuftitit : Putem cum
temen cotone . orum in quâ raſaceam coniecifset,atq;
muccagineoculosiçpiusabluiffet;mira culi-infarpuer-comualuitabfq; combus
ftionis veſtigio. Hoc etiãauxilio in f. milibus cafibus feliciſsimè ſemper vsű
fuiffe ,idemconfirmat, In lib.6 . Obf. Medo Aegyptiospermotas figuras,fenfus,or.
rummemoriameffingereconfueuiffe. A Egyptiorum fcientia,quia inter
cæterasprecelleroreratapud ve teres , ( illa enim ab Abrahan originem habuit)
dcirco ,& rudimento , &Hiero glyphicis ferè occulra indicabatur. Si à
qui illorum primi per figuras animaliú ( CornelijTaciti teftimonio)léfusmétis
elfingebant, & antiquifsimamonumera humanæ memoriælaxis impreſla cer.
auntur, & literarum inuentores perhi. bentur. Hinc in quibufdam Obeliſcis:
- látcerę reperiuntur,quæRegum illorum diuitias, acpotentiamdeclarant. Per a -
pis enim fpeciemmella conficientis Re. gem oftendebant. Siquem memorem s
fignificare volebant; leporem aut vul. pemauritis auribus, quod fummieſlent
auditus,& inlignismemoriæ ,effingebát: fi veròmalum crocodilum :fi velocem
, vel rem citò factam ,accipitrem ; quonis hæc aliarum fermè auium fit
velociſsie ma. Si inuidum , anguillam , quòd cum piſcibus fit intociabilis.Si
iuſtum ,oculü: Gliberalem , dextram manum , digitis paſsis:fiauarunn ,ijfdem
compreſsis.Per inſtrumenta quædam , & membra hu . mana pleraque fcribe
Jant. De bis vide Pie arium , Diodorum , Srabonem . lum ritatem , &mollitiem acquirant.Propte .
rea, quddcibos concoctu faciles præſta , bant,& aluumemolliebant à veterum
à mėlis raròhujuſmodi abfuifle legimus. Cotoncorsimfeminum -muccaginemcombuso
fionibus maximè opitulari. Nter præftantiſsimaauxilia, quæ có . buftionibus
adhibentur' ,, feminum , cotoneorum muccagines retinent prin cipatum .Referam
:PetriForeſti in pro prio filio experimentum . Illematri obo... fequiofus,cum
teſtá carbone ignito re pletamkappúrtaret cecidit& igncoculos, combuft
Pitemaeumtemen cotone . orum iniquárafáceam conieciſset,atq ;
muccagineocalosiçpiusabluiffet;mira. culiinffarpuce -Conualuitabſq; combus
ftionis veftigio. Hoc etiãauxilio in fi milibus cafibus feliciſsimè femper vsű
fuiffe ,idem confirmat, In lib.6.obf. Medo Aegyptiospermotasid pguras , fenfus,
re rum memoriam effingere confueuiffe. Aegyptiorum fcientia,quia inter teres ,
( illa enim ab Abraham originem habuit) dcirco,& rudimenen,& Hiero glyphicis
ferè occulta indicabatur. Si qui illorum primi per figuras animaliú 5
(CornelijTaciti teftimonio )jēlusmétis - elfingebant, &
antiquifsimamonuméta humanæ memoriæfaxis impreſia cer . auntur, & literarum
inuentoresperhi. bentur. Hinc in quibufdam Obeliſcis látceręreperiuntur,quæ
Regum illorum diuitias, ac potentiam declarant. Per a pis enim fpeciem mella
conficientis Re. gem oftendebant. Si quem memorem ſignificare volebant; leporem
aut vul pem auritisauribus, quod fummieſſent auditus, & inlignis memoriæ
,effingebát : fi veròmalum crocodilum : lì velocem , vel rem citò factam
,accipitrem ;quonis bec aliarum fermè auium fit velociſsi ma.Si inuidum ,
anguillam ,quòd cum piſcibus fitinfociabilis.Si iuftum , oculu : G liberalem ,
dextram manum , digitis paſsis:fi auaruin ijfdem compreſsis. Per inſtrumenta
quædam , & membra hu . mana pleraque fcribe vant. De bis vide Pie. crium
,Diadorum ,cSrabonem . Quamethodo peftilenti tempore àluenos tueri yalcancus .
Retiofa,acbreuis theriaca reperitur, qua homines ab aere peſtilenti , ad jun
& o vitę regimine,præferuari poſsúr: Sumuntur caricæ ,nuces iuglandæ, folia
rutæ , &iuni peri baccæ pondereæquali, confundanturfimul, atq cum aceto ro
faceo , vel communi diffoluantur; mox per pannum colentur, fuauiterg; expri
mantur;ſuccus verò, qui percolabit,fero uetur : vnúenim iftius cochleare, mane
ieiuno ftomacho ſumptum ,non finit illa die hominemà peſtilentia corripi. Ex
Alpbane de Pefter Olivarum oleum unguium pun &tura mira biliter fanare. IN
fedando dolore vnguium expun , Aurisacu,vel ferro ,atq; iisperſanan dis,nullam
remedium oleo oliuarum fa lubrius inuenitur; confiteor multa oba
feruatione,multisa; experimentis id toa tum comprobaffe. Honefta mulier ; ac
vnicè dilecta , Laura de Otaro, mea vxor cariſsima, no femel, dum varia-ad femi
liæornamentum ,acu contexerer, in vn guibus digitorum pun&a eft; limplicita
menoleo oliuarumio puncturiscollini to ;&dolor confeftim euanuit , &
falus introducta eſt.Ego profe & ò ſemel pun . aus ferri cufpide ſubter
pollicisvngue com ſanguinis effufione, fubitò ad lini mentum ex oliuarum oleo,
antequam aquamtetigiſſem ,deueni;quo adhibita dolor delituit ,atque vulnus vnà
breui ter , & conſolidationé, & fanitatéhabuito Admirandüauxiliü ad
vefica calculã ,quoabt que inciſione diffoluitur,& expurgtur. Nter
admiranda auxilia, quæ ad cal INTE culoſos adhibentur, connumerandum iudico
remedium , à do &tiſsimo Hora tio A ugenio experimento confirmatú in
epiftolis addu& um ,quo abfque inci fione in vefica multorum Japides com
minuit,& expurgauit.Réferam qua via id, innotuita Aegrotabat calculo veſicæ
cuiuſdam Typographi filius Romæ poft varia aſſumpta remedia ,cùm nulla lub
fequutá noſlet ytilitatem ,fecaricupidus; de pretio cû Nurfino
artificecóuenerate propterea Sacerdotem iufsit accerf ri, vt ſumptis Ecclefiæ
facramentis , fex le &tione moreretur , animæ fuiffet confultum.Religiofus
ex focietate Iefu , audita confeſsione, proponit illi phare macum ,de quo in
leipfo , & in alijs peri culum fecerat: expeririæger voluit, & magna
aſsiſtentium admiratione fana s:Pharmacum ita erat concinnatum . Puluerris
Millepedum præparar,drach, i.ad fummum Scrup.iiij.aquæ vitæ vnc. Sem.iuris
cicerum rub.vnc. ix.velx.ca piatæger calidum ,horis quinque ante prandium .
Efectus medicamenti talis fuit. Horarin duarum fpatio totum corpus
incalefcebat, anguſtiabatur z grotus fitiebat , ac ferè loco ſtare non
poterat,aliquandocirca pubem dolores vrgebant.Vrina hora quinta cceperunt
cralsiores:feddi,fed non multæ.Secunda die à pharmaco contingebant eadem ,
fedvrinæcopioſiores, & craſsiores.Ter tia labulumapparuit multum . Septima
tandem adeò plena fabulo vifæ funt , ve rectequis diceret,easnihil efte quamfabulum
aqua diflolutum : omnia in me liorem ftatum redigebantur, ita vt, qui
proximèincididebebat, liber abomni malo nona fuerit die. Miliepedum ad
calculosRenum VP fuca preparatio. PRæparantur Millepedes ad Renum Velicæque
calculos talimodo r.Az fellorumquam volueris quantitatem , vinoquealbogeneroſo
abluito diligen ter , mox in ollam copiicito nouam , vi tro obductam , lutoque aliquopiam
ile lam incruſtato , demú in furno exiccen tur ,ita vt poſsit in tenuem
puluerem rc . digi; tumverò affunde vini ciufdem gee neroli quantum poterunt
imbibere , & rurfus exiccato , ac tertiò imbibito & exiccato vt
ſupra,quartò veròpuluerem irrorato aqua fragarum deſtillationis &olei
exCalchanto Scrup.j. permifce to inuicem , & exiccato rurſus : vbi verò fic
fuerit exiccatum in tenuiſsimumque puluerem redactum ,feruetur in vale vi. treo
,aureo ,yelargento . Es codem . Frequentem ficoram efum fudorem parere
abominabilem . Licetficorumvfus multa hominibus commoda părturiat; ran & ij
citifsi mè nutriunt, & impinguant corpora, aluum emolliunt, & per
vrinas, & per ambitum corporis non pauca excernunt excrementa : tamen eorum
continuus, & frequens vfus fudorem generat abomi. nabilem, & corporis
fæditatem ; indici um huius rei eft , quòd illorum eſu pe diculorum copia
innaſcitur. Hinc apud Rhodiginum lib.6 .Antiquar. teet. Anchie molum , &
Moſchuni Sophiſtas,legitur tota vita fuiſſe hydropotas,acficis modò folitos
veſci, & tamen robuſtos extitiflc, ſed adeò fætentes,vt propter abomina
bilem fudorem certatim in balneis aba. liis excluderentur. Mulieres eximiam ,
&fuauemrerinete pinguedinem . Orpora mulierum fuauiori, & ma: ori
fulciuntur pinguedine, quàm hominium ipſa,quæ profe& ò ob ſiccitaa tis,
dominium ,minùshumidi, & oleofia C ttatis retinere videntur. Propterea apud
Plutarchú 3.Sympol -4.habemus, vbi mul sta cadauera promifcuè erất cóburenda,
veterú tempeftate, temper decévirorú vnú mulier brcímiſceri ſolitú : qualiil
lud vnú tantú ſuppeditaret pīguedin is, vt cętera faciliùs cócremari
valuiſsent, Aſtu demonum , mirabiles in hominum.cor poribus effectus procreari.
: ribus Dæmonis aftu cffectus con ců , ſpiciuntur, vt quando quis euomat am
icus, clauos , pilos,oflamagna: vel quòd plumæ in lecto fint ingeniofifsimè con
ferta :multæ enim de iis obferuationes apud Hieronymum Mengum in Malleo
Maleficar. Paul:Grillandum , & Delrium reperiuntur. Quomodo autem hæc fieri
pofsint, talis eft ratio : aut enim ifta funt Diaboli illufiones,ita quòd ea
videátur, quz vera non funt, fiue per a&iua natu ralia hoc efficiétia,
ſiueper acrifiam ,fiue per aeriscondenfationem ;aut funt vera; quippe
Diabolusinuifibiliter huiuſmodi in hominis ftomacho intulit, & exinde
viſbi. Emin viſibiliter educit,licet ram
magna vide antur ; nam &ea diuidere , & integrare poteft faltem
apparenter,eò quòd loca ſiter huiuſmodi corpora, & partes eorú, ad nutum
moueantur, & ad inuicem con glutinéter,Deo non impediente. Summa Sylueftrina
de Malefic. Carduum Benedi& um ab Hemicrania homi. nes preferuare . X India
Carduum Benedi& um pri mùmomniumad Imperatorem Fri dericum honoris gratia
fuiſle miſſum multi hiſtorici autumant , quod miris laudibus, ob peculiares
eius virtutes, planta hæccelebrabatur,&obidà mula tis Carduus Sanctus
dicitur. Hæcenim venena lupcrai, &confert cùm vlceri bus , tùm vulneribus,
eft præfentaneum remediumad peftem , necat vermes, & vtero prcdeft, &
in cibo , & potu viit pata , ab immenfoillo præferuat capitis dolore,
quemHemicraniam vocant. Ex Trago. Infantes preferuari Apoplexia .Epilepfia
fumpto prime fyropo de Cichor.cum Rhabar. vei Corallio, aut ſucco Rute . tibus
morbus epilepticus,apud au * Etores noftros paſsim legitur , ob id af. feetus
hic vocanturà nonnullis iLorbus * puerilis , liue mater puerorum : Vtau iem cùm
ab Epileplia , cùm apoplexia ghi præferuari valeant, multa obſerua
tioneexpertum eft,iis,antequam lacgu ftent, in primo ortu prebendo fyropum in
cichorea cum Rhabarbaro drach. ii.ab $ hacluepræſeruari ,vt Nicolaus Florer -
tinus fatetur. Arnaldus Villanoua Co mit rallium laudat:nam fi diligenter triti
të y Scrup .Sem , infans hauſerit cum lacte , antequam aliquid guſtat, nunquam
in Epilepſiam incurrere obſeruauit. Ego quidem Marcello ,Hieronymo, &Mare i
co Antonio filiolis meis ſuccũ ruiæ cum modico auro ad ſcrup. ii. cuilibet
dedi, antcquam lac guſtarent, &gratia Deiab Epileplia immunes
exiſtunt.Helionora, K. quæ nunc ablactatur , feremortua nata eft fumptoque
& ieiunato paruo cochle airo ſyropi de Cihor. cum Rhabar.re uixit ,
epilepfiam nunquam adhuc palla eft. Menſtrualem mulieris fanguinema Tontta #
nimaliaefe venenum . Nter naturæ arcana reponendum eſſe iudicaui,quodàMetrodoro
Sceptio traditur demulierismenftrualifangui ne.Mulieres fiquidem
fimenſtruationis ſpatio nudatæ ſegetes ambiunt, erucas, vermiculos,fcarabços,ac
alia noxia ani malcula decidere faciunt. Tale enim à natura ijs virus inuentum
eft.Non folú autem huiuſmodi animalculis menftru alis mulierum fanguis nocere
creditur, verùm atque grandioribus; quippè cao pes, ex Plinij teftimonio
menftruofan guine guſtato, in rabiemutari vifi funt, quorú morſus inter
difficillimos mora ſus fanatu reputatur. At de re hac fupe riùsaliàs
tractauimus. Thapfiam veficas,do ademata corporifuper poftam excitare. Magna
profectò eft Thapſiæ effi cacia in veficis , & ædematibus ge nerandis
,idcirco à nonnullis in peftife Eris febribus vbi veficantia neceffaria súc cum
felici ſucceſſu vſurpari audio.Cùm autem corporis locum aliquem inflare quis
deſiderat, veloſtentationis, vel cu o riofitatis gracia, ponatur Thapfia in low
i co conftituta:ibi enim breui veſicas , & ædemata excitabit; vt tandem
citra læ fionem id ſuccedat & breui etiam fol jů uantur, cheriacam linire,
vel curninum , i aut acerü fuperponere oportet. Ex Car dano lib.8.devaret. |
Antivfum inmedicinapro conferuanda va letudine mirabilem obtinera proprie
Mlimbi Irabilis efficaciæ aurum in medi Lcina eſt :quippe innumeras illud pro
corporis tuenda fanitate retinet vir. ? tutes.Eiusvſusin vino maximèexcellit
capiunturpropterea aurilamellæ , quæ ignitętoties in vino extinguútur,donec
ferueat iſtud,mox colatur, & vſuiſerua tur. Vigum bocpotatum ventriculo imbecillo
fuccurrit , concoctionem ad iuuat,foedum colorem emédat, & prin . cipalia
membra coroborat , & rcſarcia. Proinde obferuatum reperio,cor ab illo
roborari prauos humores calore fuo abi fumi,vitales ſpiritusclarificari,
hepatia que plurimum prodeffe fua virtute ile lius vſum . Multi certiſsimo
experimen , to huiufmodi vinum vitam prolongare cognouerunt,fpiritufque fynceros
face re,atque virestotius corporis renouare Nonnulli leproſis multum conducere
Scribunt,ve ex Mizaldo , & Zacharia à Puteo capitur. Quercetanus Auri falia
in aliqua betonicæ ,autabfinthij confer lacommiſta, ac deglutita ſua fpecifica
facultate vétriculú corroborare fcripfit, Aliquot animalia ex nature
eorumfimili tudine à veteribusfais Dầsfuiffe dicat . veterum infania in rum
falſa religione: quippe,& i nimalibus cultum reddidiffe,infinitis ae lijs
federibus, & naturalibusrebuscircú . fórtur. Inter alia , quædago apud eos
PO animalia erant, quæ ex naturæ illorum proprietate, & fimilitudine,
vtreor, ali quibus Dijs reperiuntur fuisſe dicata. Hinc Canis Diana { ace: eft,
Aquila lo 1 ui, Tigris Baccho,Pawo luponi,LeoCy beli,EquusNeptuno,Cygnus
Apollini, Anguis Aeſculapio , CoruusPhoebo A finus Libero ,GallusMarti,Colúba
Vara neri ,No& ua Mineruæ , Lupus Marti, Anſer Iunoni,Soli Phenix.Ex Fonio.
Veri V nicornu proprietas, eiusque cognisio, Erum Vnicornu, quod in febribus
peftiferis propinatur languentibus veilitate maxima,in fyncopemaximo. Pere
prodeffe videtur.Illud auté non ex eo cognofcitur, quòd bullas excitet , vt
plerique hominum ignari perſuaſi ſunt: hocenim quodlibet cornu etiam facit: fed
alia , diuerfaque methodo. Hoc eſt præcipuum experimentum . Si ſcobem eius củ
arſenicogallina,turturi,aut co lumbædeuorandum dabimus, fi fuper Itesmanſerit,
vel vnicornuftatim poft arſenicum fumptum datum fuerit)verí K 3 & legitimum
Vnicornu pronuntiabi mus. Alii in aurificis fornacem demit. tunt, fiodorem
cornu à ſe emittet,ve rumefle prędicapt.Nonnulli experime toʻreferunt, quòd in
vftionepon omni no comburaturſed , augeatur potius minimeque in vſtione fætorem
cornu *habeat, tt in cornu ceruinioexperirilor elet. Ex Føreſto. Oxo artificio
mulierum cinni crocei euadant. CApillorum cullui mulieresmaximè vacát , illud
autem iisoprabilìus eft, vt Aauitiem acquirant. Referam mo dum , quo votum
aflequi poſsint. Su mito Rhabarbarifabæ magnitudinem , fæniGræci, croci
fylueftris , liquiri tiæ tabacci, corticum aranciorum quan .. titatem adtui
libitum , paleæ triticæ ft . militer, his quernum cinerem addito,, &
incoquito , vt tribusdigitisdefcen dat aqua , inde lauentur capilli : tanta
enim fauitie“ redundabunt , vt illos aurcos eſledicas., . Ex Porta in Phitogn .
tipios A4 itib...Adexcitandum in fenibus nauralem caló lorem , eorum ; vires
deperdit assenquandika confectio præftantiſsima. "Heſauris profecta
comparanda eſt , Marſilio Fici 4. no , in lib.z.devita producenda , Medicina
Magorum appellatur, quippe ſpiritus , naturalem , vitalem , & animalem
fouet, confirmat,& Toborat; & proptereaſenie bus præſtantiſsima eſt.
Conſtat hæcex thurisvnc.ij . myrrhæ vnc,j. auri in fo lia ducti drach. fem .
contundere fimul į tria oportet, atque aureo quodam mero confundere, & in
pilulas ducere. Sumi kä tur huius-mifturæ portiuncula inaurora ieiuno ſtomacho
; in æftarecum aqua: roſacea ; in hyeme verò cum exiguo Quomodo febris in
aliquo confeftim induci palent.. VI febrem in aliquo velad oftentatio .. nem ,
vel ad remedium , curioſi tatemque inducereoptabimus,(fiquidem in
conuulfionibus , parakyſi , aliisque frigidis affe & ibus,non parumaliquádo
K4 febrew meri potu . 14 Sheh febrem
excitare profuit , ) Scarabe cor buti in oleo decoquantur, illogue arte ria
brachialis iniungatur: tanta enim eſt corum potentia , vt confeftim febris,
& accenſiones corporis criantur. Ex Car Nuno. Amultis animalibus anni
tempora precognoſci. Tdcntur profe & ò plerac; animalia anni
temporaprecognoſcere:fiqui dem ex corum inſtinctu , illa homines commentiuntur.
Grues enim autumni tempore ad loca calida peruolant, hye mis frigora fugientes.
Hirundines ver nali tempeftate ad regiones noftras re meant. Ficedulæ ,
coturnices . aliaque multa volucria , in anni temporibus,pa bula
commutare,aliaque loca adire con ſpiciuntur. Hæc autem non Ver , Autu mnum,vel
Hyemem dire & è præſentiút, quemadmodum nonnulli falsò ſibi per fuafi funt
; fed verius ex facta alteratio neà calido , vel frigido in eorum corpo ribus
,fiue occulta qualitate ,has viciſsi sudines facere cognouerunt. Am ago Amantis
ex leuiſsima quidemoccafione sie furcenfere folent. : Viperditè amant ,leui
alioqui mo mento iraici videntur : ratiohuius rei eft , quiainiurias, licet
leues , graues iudicant. Grauefiquidem exiftimatur, vtilleiniuriam in te
committat, cui ma ximeplacere ftudeas. Cæterùm quem admodum fubitò dolet», qui
contra fui habitus propenfionem facere quippiam conátur ; ita &amantem
facere conſpi cimas ;moxtamen rixarum ,& odisper nätde , rurfusque fupplex
iugumſubacta ceruice repofcit.Ex Leona dojachine, IN Plenilunio , Nouilunio
Pharmaci ex bibitionem àMedicis maximè deteftai. Vlra rationc à Medicis in.
Pleni junio , & Nouilunio Pharmacam ehitatur: fiquidem Luna ,cùm interme
Hriseftzomhiijo caret lumine,atqueſub radijs lotaribus ia &ta , & proinde
ſolica caret humiditate, quo fit vt corpora ne ftra magis licca maneant, &
virtusteten trix robuftior exiſtat. Idcirco fin No puilunio ipharmacum ægris
exhibetur;a K 5 abfquedubio humores noxiosagitabit, atqueob retentricis
facultatis inobedie. entiam parum euacuabit.InPlenitapig ob Lunç porentiam
corpora noftu yali de calefcunt,humoresque augetur,Hing In pleniluniis no
&tesicalidioreselle ex perimur,cuius caufa , cailorem à centro ad
circumferentiam attrahi, verilmile : eſt's quas propter fihumores, corporis:
noftriad ambitum tendunt, procul dus bio pharmacum improbatur:illudenim à
circumferencia ad centrum trahitmg . tumque natureperuertit , quo facilefut
cedit ;vt virtus kadetur,&humorumsys tiacuatio ,velmale,veldeprauana.coring
gat: Ex loann,de Pitch 19continuatamaſculorum generatione Jep, LR timanm
mirabilembakere virtutem . : TIG apud multos fcriptores repe rifles, feptimun
mafculum com tinuatæ generationis mirabilem habere virtutem interhæc noftra
embammata minimehoc adieciſlem . Volunt enim quando aliquis ſeptem filios
maſculos Continuatim & inter eos fæminam nul, Quod autem in Hydrargiro mirabile pullam
ſuſcipiat, ſeptimum mirabilem virtutem & ftrumas , & alios plerofque
effe & us retinere ſanandi, An autem ve rum fit , ncſcio ,cupio tamen à
fapienti bus experiri. Forum Hydrargiri , fuperpofito yclamine, 1: in molem
Mercuriimatari, Yrifices dum valamineralla inau . rare cupiunt , Hydrargiro pro
bo peremoliendo vtuntur ; illud autem in igneimpofitumin fætores grauem , &
fætidas exhalationesreſoluitur,pernici--- ofas quidem , niſi abijscautè'euitantur.
iudicatur, eft iftud, ſiſuper illius fumá linteolum extendimus, in quo colligi.
poſsit , vtique in argentum viuum fu moſitas illa icerum conuertitur , &
Hya, drargiram renouatur. Experimur hoc . etiam in carbonum fumofitatibus in
traffas fuligines reuertuntur , licet die uerfimodè ab Hydrargiro,Ex Lemnie.
Eæculas Bryonia viera mundificando mirane babere pirtutem . 5 K Singularis
profe & ò fæcularum Bryo. niæ ,tum pro matrice muodificanda, tum ad
hiſtoricas ipſius paſsionesſanan das eſt efficacia :quippe ex multis expe.
rimentis comprobatum eft,in huiuſmo di affiEtibus curadis inter remedia,prin
cipatum habere. Referam ipfarum con ſtructionem , Exprimatur pręło ex Bry onix
conciſis radicibus, & contufis fuca cus.crit primò turbulétus,idcirco in va
ſe aliquo afferuādus eft , vefæcalisma . teria ſubſideat: detineatur in
locofrigi doper paucosdies; in hoc enim fpatio finclinato vaſculo,viturbulenta
aguia) Separetur, & proijciatur) fæces albiſsi mas inſtar amyli in fundo inueniemus
quas iterum in pluribusvafculis vitreis, aut terreis diuiſasin vmbra vt,
exiccen tur feruabimus;ita protectòintra paucas horaşexiccabitur, &
formáanjyli acqui rarexpreſlum , quã Bryonize foculá no minamus.Hac
fingipoſſunt pilulex.aut xij. granorum pondere, & cú palico ca ſtorci,
& alfęferidę ſummü; ac precipuú. aratur remediú cótra affcctusnarratos. Fæculæ
huiufmodi etiamfi diffoluütur, inaqua florum faþarú pro fuco ad orna tum
mulierum ,paneaſque defendas ef ficacifsimæ funt.Ex Quercerano, Miſaldo,
&Zubariaà Puted. Millefolium ad conſolidande vulnera misam babere
potentiam. Lurimis experimentis comprobatú audioMillefólij virtutem ad vulne
rum coitionem , indielğue nouis obſer : uationibus confirmari.Referam folum
quod ab Hellerioin Chirurg.adnotatur. Cuidam deciſus naſus erat,qua osin car
tilaginem definit: Ruſticus propenden tem partem alteridigitis coniunxit,her
bam tuſam ,& èvino nigro tritam ,quod Millefolium appellant,impegit ,
rudius omnia colligauit, vede celerrimè reſti . tit fanguis profuens, &
vulnus pulchra e cicatrice brcui coijt. Chymicam aztem, reterum tem ; eftate
floruiſe. Pud Veteres i maximo prctio ars p !eriſq ;illiusftudio
vacabátur:inginte s A K7 enim diuitiarum copias illa methodo homines
componebant,quibus ditiores facti cum Regibus bellum adibant.Pro . pterca
DiocletianumCæſarem legitur poftquam Achillem Aegyptiorum Du cem o &
omenſcsin Alexandria obſeſsú : profligaflet, omneschymicæ artis libros ,
diligenti ſtudio conquiſitos, deflagral. fe: pereparatis opibus , Romanisfacilè
. repugnarent. Ex Suidt, oOrolio. Quoartificio corpus glabrum reddi : poßit L
Itet varüs modis corpus depilatum ; &glabrum reddipoſsit,nulla tamen via
præftantior eft ,Varronis teftimo nio , quàm loca lauare aqua; vbi Bufo nes
decocti fint,donecad tertiam redcat: - quippè- fi tali decocto corpus Jauetur,
proculdubio glabrum ,&fine pilis had bebitur. . Natiuitatis hominum tempora
à multis : obferuari On leuis profectò eſt.multorem : ſcriptorum obſeruatio in
homia . EN lp mum natiuitatis tempore: à multis enim occafiopibus temperamenta
corú. variant, &plerique àrnaturæ terminis, roaximédiftrahantur.
Porròquiinipfor terremotus i momento nafcuntur femper patent in tonitru ſemper
lan guidifumo qardenet Cometa coex ar ... dendi complexjoneargentesfuntainter's
Lühiikempordebiles cuadunt, vel fals, temi Ariſtotelis teftimonio ) melan-;
eholici , & atrabile laborantes. Hydárrgýrum non effe vendnum in paura :
fumptums quam itme', fed adver : mes nes andas exiftere remedium ydrargyrum ,
vel fimauisargenti vionm , quodà multis venenum exiftimatur, feliciſsimo
fucceflu contra vermes exbibeturjzáptægue certitudi- . nis illud in Hiſpania
reputatur , vtmu lienes, tenellis pueris , quila ĉçis vomi.. ty laborant, ad
quantitatern granorum trium in propria fubftantia propinare audgár:bacn, via
morbuscellare videtur: frequen A Hedmare frequentatisexperimentis. Ego quidem
viduam mulierem curani, quæ nouem dierum fpatio vomitibus continuis ex
vermibuslaborauerat, & ferè triduono comederatznec cibum retinere valuerat.
Haiccùm fcrup.ij. bydrargyri mortifica tii , cum tantillo adoniipropinaffem
abfque vlla moleſtia peraluum centum , & pluresemifitvermes, &eademdie
lis berata eft , & folita exercuit domi, & foris negotia,magna profe
& ò parentum ſemper eventu , domique continuò a quamhabeo , in
quaHydrargyrum , in . furum retineo , illaa que puerulis pro vermibus
libentiſsimèconcedo , nec ad hucquempiam ex illo noxiam recepifle expertus ſum
. Vfuseft hoc remedioad vermesmecandos,MatthiolusHoratius, Augenius, &
plerique alii celebres viri, qui omnes huiusauxilii maximè extol. lunt
beneficium . Datur pueris in lub: ftantia Scrup. ji grandioribus Scrup.ij. vel
drach.j. Corrigitur illud , & nrore ficatur in mortario vitreo cum zuccaro
rubeo : ibi enim tam diù conteritur , vt in partes inuiſibiles diffoluatur; ne
au tem in priſtinam formam iterum redeat, * olei amigdal,dulc.gurtulas binas
adde re oportet, & cum zuccaro rof. violato , vel cidoniato ieiuno ftomacho
languen mtibus propinatur.Sciant igitur curioſiin hac dofi nullum præbere periculum
,in # maiori tamen non dedi,neque concede tem :licet apud Aufonium Epigram.10.
o legatur hydrargyrum contra medicinas venenofas valere. * Datura flores , com
ſemper, hominem in ri(was; concitane. M ! Tra eſt Daturæ potentia in faſcinan
.. dis , vt ita dicam , hominum men tibus , adeò quòd , qui illiusflores, vel
Temen ſumpſerit , à riſu , cachinnisque non defiftat,donec més alienata ex plan
tæ viribus in priſtinem redeat tempera mentum, Apud Indos à furibus Datura
vfurpatur;fores enim , vel femen in ci bos eorum , quosdepredari volunt, exhi.
bent, & in mentis alienationé, & in riſum 2. conci . MA it concitant: ita profecto furádi parantin
duftriam.Durat illorum riſus, & mentis error, viginti quatuor horarumtermipc..
Ex Gozdab Horto . Lupesſenio confectos in renibus venenoſosgeo net
areſerpentes. Agnum profectò in præſentiarü arcanum aperio , multis hucuſ. que
incognitum de luporum natura. Il lud eft,cur à Lupis animalia commorfa
modòfanentur,modòautemmoriantur.. Anquòdluporum aliqui venenoſi, ali qui verò ſine
veneno exiftant?Equidem CarolusStephanus lib7 Jus Agricult.cap.i. ſe obſerualle
fatetur, ib Luporum fenum renibus,primò ferpentes vno pede.Jona giores , &
breuiores, qui temporisſpa tio venenauſsimi effecti,Lupum enecás. Hac via
facilius nobis tribuiturconie &tura deLuporum morfibus.Si enimle piiuuenes
fuerint , animahaa, momor derint , ex benigniori eorum natura, mortem baud
inferunt,vtmultoties ob feruamus, niſifortè.vulnera in principi buscorporis
fuerint locis, vel tá grádia, vimori neceflc fit.Sin auté ſenio fuerint confe
& i,proculdubio leuiſsimo morſu animalianecabút,propter peculiare ve nenum
inLupo delitefcens,quod víu ve nit,vtpieraq; præmorla animalium , vel
moriantur, velmembrum morſum pu treſcat, vtfaltem difficillimè curetur. Ex.
Gaſp Benkino. Qualiartificio ab vxoribus homines mafcu losfilios fufcipere pale
ant. Vita à Scriptoribus ad marium M reperimus:hæcautem præcipua , & ve
riora effe exiftimaui.Primovthomo ex exceatur,folidiorig;vtatur cibo ,atq; ra
rius cócubat: ita n . & calidius & fpiflius fe . méeuadit,fita;
prolificum , & aptiſsimum ad marium conceptum . Secundo mater, &
incongreffu fuper latusdextrum recubat & à coitu confeftim fuper illud
conqui elcat: Siquidem Hippocratesmaſculosin dextris,fæminas verò in finiſtris
genera- . ri ſcripſit.In dextris enim ab Hepate fo . uetur ſemen ,quod eſt
calidum : in ſini. ftris autem à liene frigido quoquo pa.; do refrigeratur ,
& ad fæminarunt 3 conceptum'præparatur.Tertiò ſpiranti tibus Aquilonibus
concubant, Auſtris vero defiftát:Aquilo enim admares fuf. cipiendos
accommodatiſsimum eft ,Au fter verò ad fæmellas. Capimus huius rei ab ouibus
experimentum , quæ fiflá. te Aquilone concipiunt, marem ferunt; Auſtro autem
foeminam . Multi , inter quos Cardanus eft,ad marium concep tum Mercurialis maſculæ
elum extol lunt,hæc duos quafi coleos pro feminie bus habet, & ab vtroq;
coniuge depaſta, marem inducere occulte vi exiftimatur. Magnumele in hac
inferiora Lune con fluxum . Trabilis profectò eft Lunæ vis in hæc inferiora:
ipfa enim noctes illuminat, & fuper humida poteſtatem haber,marisfluxus,
& refluxus per quae draturasfuas intētiùs, & remifliùs facit; quippèdum
oritur,maria intumeſcunt, & in æftuariafluunt, quoufque ad circu. lum
meridianum illa perueniat; cùm autem ad occafum inclinat , Oceanus ab
æftuarijsrefluit ingurgites; quando ſub M Orizonte , percurrit,mare ad confueca
æftuaria conuertitur, quoad nocte me dia meridiei circulum Luna atringat;
poſtremdcùm ad Orienté tendit,Ocea Rusquoque ad folitos alueos regurgitat. Ipſa
in Agricultura rebus dicitur do , mina;propterea antiqui gentiles, qui in
terræcultura proficere optabant, Lund libamina ſpecialiter obtuliſſe dicuntur;
y ocabatur Diana, ſiue Latonia virgo, aut Plutonia coniux velProſerpin.
Leonardi asri deOdtimeftri pariu ſenten tiamdebilem effe. Peculatur Vairus in
lib. 2.de Faſcino, Cur partus odimeſtris vitalis mini mè lit,innuit hic, vir
alioquin doctus, talem partum non viuere, ob femen im perfectum :quia non datur
ſemen (vtar guit )quod ad illud tempus fætu procre. are valeat: ſicutin genere
triticiquod dam eft ,quod tribus menſibusgignitur; quoddam verò, quod nouem
menſibus: fed debile eft huius fundamentum , quá do in Hifpania, & Aegypto
o & imeltres partusões vitales efle perhibcãt:Potior ergo concluſionis
ratio requiritur,quam nos alibi tábgemus. somniarumprofagizà Deo diuinare,
aliqus bus bominibus concedi. On omnibusfomniorum diuina N
doconcellavidetur,fed quibusà Deo ex ſpeciali gratia permittitur. Qui anim
fomnia proprio ingenio diuirare intendunt ( dempta fomniorum intere pretatione,
quæ & caulis naturalibus in naſcitur , quorum præfagium ad media cos
pertinet) aut cæcutiunt , & delirant; aut dæmonum fallacijs inuoluuntur.
Iofeph apud Pharaonem , & Daniela pud Regem Chaldæorum ( vt infacris
habemus) quia diuina afflati erant ſapi entia, fomnia diuinabant.Propterea mi
niftris fuis Pharaonem audita fui fom . nijinterpretatione,dixifle legitur: Num
inueirepoterimustalem virum , quifpiriru Deiplenusfit ? & Rex Babylonis ad
Da. nielem :Audiui de te,queviäm fpiritum De orum habeas, ce ſcientia,inselligentiaq,
as Sapientia amplioresinuentafunsin tq.ExTa úello . Inter Polypodium , &
Cancrosmagxam in. eſſe antipathiam . Axima videtur inter polybodie M , i quòd
fi polypodiumſuper cancirú abie ceris viuum , breuiſpatio tum pedum cortices,cum
vngues ille eijcier:tanca eft i iſtius plantæ in illum particularis viru 3
lentia,& efficacia.Ex Mashioto, Ć Dengan Ibidis , ferpentesattonitos
reddere. Irabilis eſt ibidis pennarumvis M contra ſerpentes , quippe fi illius
penna ad illorum quempiam inijcitur , Confeſtim in veſtigiogreffus hæret: ad
mirabiliustamé eft, quòd ſerpens quer pis frondibuscontacta moriatur , quare
circulatores aftantibus mirabilia fæpè protrahere à racione inconucniens elle a
non debet:multa enim iis funt, quæ ad i mirandaiudicantur:quemadmodum eft
Viperam viſo Fago perterri:experimé. " to enim probatum eſt , illiusramo
ante hocanimal iniecto , veluti attonitú fie si, nec ampliusmoueri Hoc etiá
cuenic Gha . ti ſi barundine feuilsime percutitur : fin verò iterum eadem vipera
incutitur confirmari videtur , & fugam repentè adire. Mulieres rard
inebriari, acbrd autem ſenes, Ontrariam naturam ſenile corpus, Contd &
muliebre fortita funt:ob id mulie. res rarò ab ebrietate corripi afpicimus,
crebò tamen'ſencs. Mulier quidem hu mida eft, vtà cutis cenitate ,& fplendo
re.comperimus , fenex contra ſiccus , cucis afperitas&ſqualor confirmat.
M11, lier ex aſsiduis purgationibus fuperfluú exonerat; ſenex autem ex corporis
duri . tie,luperfluanonexcernit.Mulieriscor. pus, quia variis purgationibus
crat de putatum , pluribus foraminibus fuit có fertum ; non ſic ſenis corpus
,propterea naturales meatus à corporis ſiccitate, & duricie potiùs
obſerantur. Hæc funt în caula , vt ebrii fenes facilè fiant , muº lieres verò
perquàm rard . Nam fià mu. liere largè vinumfuerit hauſtum , illud magnam
mulieris humiditatem incidens,vtiq;vimluam perdit; dilutiulý; fit , &
cerebriſedem non petit: nam per. varia foramina mulieris illius vapor re Currit
, & celeriter eius fortitudo euanel cit.In ſenibus vinum contrarietatem no
recipit: quia corpusillorum ficcum eſt; ob id vinum firmiter adhæret, cerebría
que petit , quia in durioribus membris; & aridis(vt ita dică ) exhalatio
nulla fit: hincab ebrietate facilècapiücur. Ex MA crobio 7.Saturn. Qua induſtria
in vrgenti fomno, quis vac leat excitari. Agnus Alexander,vt ingerendo imperio,
occupatior eſſet,magnú contra ſomnum excogitauit remedium , quoſi quis
vtetur,facilèin ſomni graui tate excitari valebit. Ille Vas æneu pro pè lectum
conſtituebat, & pilamæneam fiue argenteam manu compreſſam ha
bebat,brachiumque ſuper vas illud ap tè componebat,vt pila in ſomno elapſa in
æneum procideret, & à fonitu excita retur, & furgeret.Mira equidé fuit
hu. ias ingenij dexteritas , licet hæc Alexandri dormitatio potius quàm fomnus
dici poſsit.Ex Ammiano Marcellino. Quibusfignü corpora venenata cognoſci
yaleant. L Icet venenorum genera multa fint, ex quo difficile fit omnia figna
repe rire,quibus cognofci valeant,afferam ta men qua mcthodo corpora, quæ
venenü fumpferint,intelligere poſsimus. Porrò magna fit in corpore commotio ,
dum quis venenum hauferit;præcipuè fiillud calidæ fuerit naturę:doloribus enim
va lidis ,atqueacutis in ſtomacho , & inte kinis torbonibus languens
cruciabitur, præcordiorum fentiet anguſtiam , fati gabitur vomitu,& fuxu
ventris , ſudor fuſcirabitur in fronte cum vultu frigi do : colorægri erit
pallidus , pulſus de bilis, inzqualis, & inordinatus ,fynco pi , &animi
deliquiis affligetur. Hæchi omania, vel in maiori parte fuccedunt, o porter celerrimèinggris.vomitum
pro uocare, vt aflumptum vencnum eiicia ur. Ex pal.Vilan. Luem Gallicam non
modò homines,fed canes etiam inuidere. Tanta eft morbi Gallici quandoque
immanitas, vt non modò ex vno lan guente,vel reſpiratione,tactu, autcom merci
oplures homines ea lue polluan tur; verùm atque canes , ſi vicera , vel
vnguenta infirini lingere potuerint.Ex I perientia hoc edocuit ; viſus eft enim
& quidam canis Gallica lue captus, quihe I riſui emplaſtra linxerat. Ex
obformatore if Iulii Scaligeri. 6. Poet. Quotermi nocorporis hominispulchritudo
conftitui debeat. Arii equidem funt Scriptores in conſtituendo termino
longitudi nis , & latitudiniscorporis pulchri:ihter quos, ſententia loannis
Goropii, in fua Gigantomachia , magis acceptanda vide tur à fapientibus:colligit
exHomeride Creto longitudinem hominis pulchri de bere eſſe quatuor cubitorum ,
latitudi nem verò vnius cubiti. Cymrinum bominibus palliditatem corporis
inducere. More Multa profectd ſunt , quæ vultus colorem hominum deflorare ob
ſeruantur: fiquidem panis hordeacęi v fus facit homines pallidos.Ex Ariftot. A
quælutulentæ potus, vſus ſalitorum , & immoderata Venus valde colorem de .
turbant: inter ea tamen , quæ ex proprie. tate decolerare putantur, Cyminivſus,
&olfactus eſt. Duo enim de hoc exem pla habentur apud Plin.lib.20.C.24.V.
num fe &tatorum Portij latronis, qui, ve illius imitarenturpallorem ,cymino
fre quenter vtebátur:alterum eſt Iulij Vine dicis ,qui, vt Neronen falleret
,palloré Sibicymino conciliabat. Ex Mercurialide Decorat . Regem Archelaum maximè
Aſtronomie fi iffe imperitum . T minibusneceffariaiudicatur,vt malè ciuitates,
refpublicas;hominumo; cætus fine illorumobſeruatione ij con leruare
valeant.Vtique horum ope té pora,annos, menſes , & horas metimur, &ſine
his in, varia labyrintha inuolui mus mur.Hoc apertè ille imperitus Aſtrono miæ
Rex Archelaus oftendit,qui (vt vi ri ſummæ fidei fcriptú reliquerunt) ob Solis
Eclipfim ,cuius caulam ignorabat, * tantotimore correptus eft ,vt regiam is
clauferit,filium totonderit, iudicia è fo ro fuftulerit , & iuriſdi&
ionem penitts en intermiſerit: vltimum enim orbis diem . eſſe arbitrabatur.Ex
Magino. Mira grecilitatis quofdam bomines fuilfe repertos. X Aeliano,&
Athençoquofdam ho mines extremæ gracilitatis fuiſſe * colligimus:legitur enim quendá
Arche ftratum vatem fuiſſe, qui captus ab ho ftibus tantæ gracilitatis repertus
eſt, vt cùmlanci apponeretur , pondus vnius obolihabuiſſet,quod
incredibile,& ferè ridiculum exiftimatur.Philetas Couse . tiaminuentuseft ,
quem ex gracilitate E vſque adeò inualidum fuiffe fcribunt, vt ne à vento
deijceretur , pondera ferrea pedibus, & foleis geftare coge { retur,
Anguit. Emine Anguillas cumAquilone mirambabere fyme putbiam . Trabilis profe
& ò conſenſus eſt, quem Anguillæ cum Aquiloni.. bus habent : ipfis enim
ſpirantibus fex. dies fine cibo, & aqua has viuere fertur; cum Auftrisautem
diſſentiunt, quippe his flátibus diu ſine cibo, & aqua illæ vi.. uere non
poflunt. Ex Bodino in Theat. Aſparagorum vſum corporis facere pitorem . Nter ea
,quæ nitorem ; &pulchritudia nem tur, Aſparagorum vfusconnumeratur, cuius
efficacia à multis in corpore colo.. rando ferè mirabilis iudicatur. Aſpara ..
gi fætentem reddunt arinam , & perilla pratos corporis expurganthumores:eb:
id mirum non eft ,fi,ijs euacuatis,corpus reliquum non modò odoratum redda tur,
ſed etiam nitidum , & coloratum : quippeex humorum prauorum conge. rie,
& palliditas , & defloreſcentia nobis jonaſcitur, quibus ceflantibus,
ceſat de . formitas, & colornitidus exoritur. Ex Auicenna. Picem cum oleo;
maximam babere colli gantiam . E X congeneri ferènatura Picem , Rea ſinam ,
& hujuſmodi, magnam cum oleo affinitatem retinereobferuamus:fi manus enim
pice , vel refina fædantur vtique eas oleum extergit,idque ob col" :
Tigantiam oritur. Oleum furfur tollit, furfur aqua eluit; aquam demumlintco:
ficcamus.Ex Cardino Mularumgenuse propriapecieminime propag ari: MVlasequidem
,& monftraconfimis lia,nec parere,nechium genus prou pagare obferuamus:id
fieri aiuntmulti;. ab improportionato generandi tempe ramento : veriùs tamen
cum Bodino in Theau.Natur: hot contingere exiftimo, une fpecierú fit infinitas
: natura enim in finitatem abhorret. Ariſtoteles in Syria fupra Phænicesmulas
parere ſcriplīt ; & Theophraſtus in Cappadocia illas genus 3 , propagare
voluit:tamen hoc veriſimile haud eſt. Propterea magis credendum reor , in illis
locis Aſinarum quoddams: genus oriri mulabus conſimile , potiùs, quàm mulas ,
quarum partus à noftris. prodigiofus, & funeftus effe dicitur , vt Iulius
Obſeq.inlib de prodig: adnotauit. Leones, Sole in Leone'peragrante,a'febribus,
moleftari: Irabileeſt, quod in Leonumfpecie contingit,dum Sol Leonis cælefte
fignum ingreditur:ijenim à febre tertia.. na in toto fyderis fpatio
excruciantur:a deà quòd fateri oportet , talium genus cum hoc fydere
antipathiam habere & tertianam recipere'; proinde Leoninaà multis
hæcfeprisapperiatur,bene iudi. cantibus, Leonemeſſe peculiarem . Leo. nes hoc
temporetertio quoque die paſo cuntur,neciemel etiam accidit, vt bidu um
,veltriduum inediam ſufferāt, Ster custunc ficciſsimum , & vrinam fatente
excernunt,vt Ariſtotelesadnotatum re liquit.Aiuntmulti, hocà natura forſitan
eſſe factum ,vt ferociſsimæ beſtiæ quo quo pacto cohiberetur impetus, & à
fre quentiori rapina coerceretur. Quo HORIVLVS GENLADIS. 149 Quo artificio in
fenibus barbas, albofque cam pillosdenigrare pale amus. Eferam notabilem
miſturam qua , ' R Jeant.Sumito lixiuij communis quantú volueris, decoque in eo
faluiæ , & lauri folia cum corticibusiuglandium viri. dium ; mox laua , aut
ablue madefa &ta fpongia :ita enimnigredinem compara bis, quæ diu durabit,
&lætaberis effectu . Ex Porta : Mergum ,& Anferem aquaticum in Hydrsa
phobiam plurimum valere Ntercuncta animalia adnotauit Arie ftoteles Anſerem
aquaticum folùm non rabire , ob id à multis huius efum in Hydrophobia maximè
celebrarur: mirifico autem experimento contra ram . bidi canis morlus valere
dicitur Mergus qui in aquis & maridegit, quippe ab Ace. tio ,eius eſu
Hydrophobosillicoaquam efflagitare narratur. Lacertasmira magnitudinisapud
Indos iz... Meniria NInfula Sancti Thomę, quçdam La IN Ls certæ ſpécies miræ
reperitur magnitu dinis,quæ admodum illius gentibus fa miliaris, eft .In Ioſula
etiam Capraria,, quæ vna èFortunatis eft , ingentis ma gnitudinis hæc animalia
cerpūrur;habis tatores autépro ijs interficiendis , bom . bardis,fiue
ſolopetis,alijfque bellicis in . ftrumentis vtuntur. Ex Amate Luſsin Dia.
ofcer. In educandis iuuenibus , miran fulle aibe: niexfium induftriam . Moser
Oserat Athenientum in iuvenum educatione, vtij cothurnicibus, fio uc qualeis,
aut gallis pugnantibus ftudi. an impendcrent:Solent enim hiermo. di
volucres,vfquead extremam virium defeâionem certare . Qulo exemplo ad
ſubeundapericula ; & vulnera contem merida, ifamınabant iuuencs increpan
tès au :bus minus ingenioſos effe homi. nes, non debere.Exsotino apud Lucianum
Serpentum eumapudl kudosfrequentari.. NCuba Inſula penes Indos ,ferpentes loua
totius corporis ipecie, ac forma prediti inueniuntur,quippe ſelquipedis IM I
plerumque longitudine exiftunt,& ex terra, & aqua viuunt:Quod autem
apud illas rationes mirabilius videtur inlay tioribusmenfis, horum animalium e
fum ,tanquam ibum ſapidiſsimum free quentari.Fx Petro Bembo. Quomifico,Po
ticaput; inmiram intumeſcentiam redderevaleamus. NterAgriculturæ arcana, non
infimi momenti methodus eſt, quaporri cam put in tumorem magnum reddere poro
Gimus.Aperiam abftrufum artificium :Si enim porri caput ,arundine, vel ligneo
ſtylo pupugeris,atq; raporum ,vel cucu- merum fomen vti foramine occultaueris
proculdubio propria capeo in tan tamtumorem deuenire, vtid prodigio- fum
iudicetur, Ex Mizaldo. Iwer Fraxinum , &Serpentes miram adeffe Antipathiami
Raxini fuccus ad ferpentum morfuss mirabili fuccelu à medicis vſurpa nec fine
ratione : hanc enim plans tam Serpentes, ex occulta antipathia ji miro odio infequuntur
: fiquidem illius L6 yobras OX tur , 252 BARICELLI vmbras tùm matutinas,tùm
veſpertinas euitant,& lógiusaufugiunt. Retulit Pli nius lib. 16.cap. 13.ex
fraxino experi. mentum quòd figyrum frondibus fra xini,& igne apparatur, in
cuius medio ſerpens lit proiectus,procul dubio ferá in ignempotius, quàm in
fraxinu aufu gere:tantusefthorum diffenfus , &co. culta ſerpentum
inimicitia. , Virginitatem in mulieribus, qua viaexperizi: paleamus. L Apathiū
maius in aperienda mulica rum virginitate aftantibus magnam retinet efficaciam
: ſi enim ex huius folijs faraturfuffumigium ,fiue hęc fuper ig . nitos
carbones inijciuntur,vteffument, vbi mulierum fit corona , cum odor ad pudenda
mulieris perueniet, illius bon. nitatem,vel malitiam oftendet: quippe fi viro
copulata fuerit,abfque dubio v rinabit, fim verò fuerit virgo ,vrina po tiùs
conftringitur, quam emictatur.Ide etiam faccre autumant,lignum Agallo chum ,
fiue Xiloaloem , vel femen portu-, acæ fi fuper carbonesiniecta,adeò effu ment
HORTVLVS GENIALIS. 253 L ment, vt ad pudenda mulieris odor va leat penetrare:
mouetur enim in deflo ratis vrina quantò citiùs , fecùs verò in
virginibus.Ex.Perta . Quomodo ex duabus aquis claris, lac effings re illud
valeamus.quod Virginale Pocatur. Ac illud,quodà pleriſque ob colo Cris
ſimilitudinem ,liue ex nouo ori gine, Virginale appellatur, ex duabus , aquis
artificiosè corifedis exoritur ad multa equidem corporis mala yti. Lifsimum ..
Eius modus talis eft . Su mito lithargyrij in puluerem redacti Vnc.ija
acetialbivnc.si.commiſta infi- , mul per filtram lineum deſtillato, & a
quam clară habebis.Vtautem alteram componas , fumito Salis gemmæ Vnc.), Aquæ
cómunis, fiuepluuialis claræ Vnc. Mimiketo fimul, & fic bimas habebisa quas
magni valoris. Cùm verò vel ad oftentationem , vel curioſitaré fiue ne.
celsitatem lac Virginale conficere opta bis,aquas vtrafque coniungesfimul mil
cendogita profectò confeftim laquor la L7 Ereus BA RICE E L'T M deus
ſuſcitabitur , qui Virgineusvoca . tur.Verrucæ in manibus fi hoc lacte per dies
aliquot beneconfricantur , euanef cunt. Impetigines,omneſq; faciei macu . læ
,rubores, & ex foleardores , hoclini. mento facillimè curantur. Caftrates
lienem ,velonorum vitellós durios ? res deglutire non poffe. Irabilc elt i :
lud,quod in caftratis, circa cibum obferuatur : hi enim nec lienem ,nec
duriores ouorum vitels losdeglutirepoffunt, vt frequentiſsima apud
multosinoleuirexperientia.Retulit Bodinus in ſuoTbea.tales priùs fame fe necari
pati, quàin lienem vorare por fe.Huius reialia non creditur effe ratio, quã xſophagiiſtorú
ex nimia adipecoão | guftatio, & cóftri& io; cũ auté lienis fub-.
Itātia spõgiofa &flatuoſa fit,atq; in mã. ducationemagis infletur;facile
fit , vtiji i ex ælophagi anguftia talem cibum deo to glutire nequeant. Eadem
ratio eftino uerum vitellisdurioribus', qui ex ſuba Itantia glutinoſa,per
anguftum non facie la tranſeunt. Spatium humanæ vita , centum annorum fom
cundum degyptios compenſariin . teruallo . in . * " Vriofa magis, quàm
veritari confo näns mihi videtur Aegyptiorum aliquotopinio,dehominum vitęmenfu,
ra :quippe illorú multi , qui medcata cadauera feruart conſueuerant , ex quada
conic & ura à cordis humani ponderede fumpta in eam deuenerefententiam ,
ho. minisviram centum annorum fpatio de Gniri.Sumebant experimentum in cora
poribus, quæ fine labemoriebantur; ho rumenim anniculi duarum drachmarú.
pondtrisgcorretinere videbantur , bini quatuor;& fic in iingulis annis, quo
in anno quinquagelimo bomines centum . drachmiscor in pondere retinere affiras
mabant:à quinquagefimo binas : dracha mas fingulisannis decreſcere , atque à
cordis pondere detrahi , minuijè dicea. bant, &fic in anno centefimo ad
primum , fui ponderis: fecundum iftorum conie ... awan ,corredibat.Ex Teicntio
/ arrone.. 256 BARICELLI Claro Pblibotomiam ex vena ſaluatella , pleneticis:
plurimumprodeffe. "VrabatGalenus ſpleneticum qué dam ;& cumdiù (vtipfe
narrat)de illius cura eſſet ſollicitus,atque diligen . ter remedia quæreret
quadam nođeſó niauit,fe in infirmo de vena faluatella, quæ eft
interminimú,& annularem ma nus digitos ſäguinétrahere; quod fecit, &
fanatus illeeſt. Hoc diuinæ bonitati tribuendúexiſtimo, quæ multoties, ho mines
per bonosfpiritus dirigit , vt ca perficiant, quæ in corpornm valetudine
concernuntur.Ex Bartbol.Sibylla. Gymnoſophiftas apud indosmire,viſus, &in
genij dexteritatis inueniri. MIIrabile profectò illud eft; quod de
-Gymnoſophiſtis quibusdam apud Indos narratur. Hienim ab exortu , vf quead
Solis occaſū ; oculis contentiscan . didiſsimi fyderis orbē intuentur,inglo bo
igneo rimantes fecreta quædam ,a renilgue feruentibus perpetem diem al ternis
pedibusinfiftunt.Ex Solino. Qui HORTVLVS GENIALIS, ' Quibus auxilysforumarum
materia ,per pri nis paleasensachari. Bseruatum eft huiufmodi præfi O sibus
euaneſcere.Adhibentur primò in firmis aliquot clyfteria, ex fucco bryo niæ,
& mercurialis,oleo , & fale concin nata, quibus patiens tum gelu, tum
ma. terias.viſcidas copiosè purgari videbi . tur:mox cum oleo amygdalaru
dulciū, vel mali aurantij coleis , manè dilucu .. lo , cantharidum præparatarum
grana quinque,velſex iuxta corporis naturama. capiet.Cantharides autem per
horas 24 .. in aceto infundantur,deindeexiccentur, &in puluerem
reddantur.Hic enim ea. rumpræparationis modus eſt. Huiul
modiauxilijsftrumarummaterias, vri pas euacuari compertum eft., Obferua uit
hocDo & orPhyficusJoannes Domi. nicus Donnus,cuitis familiaritas,animi
queindoleseſt mihiſemper gratiſsima, mihique tale remedium communicauit;
robuſtis tamen corporibus folú adhibe ducéleo: ex illius enim experiméto do
lors BARCE- 1 II! lores ad inftar parturientis circa pe &tine tale
præſidium commouereaudiui. Alijs etiam modis , & auxilijs (trupęcurătur,
quippe fioleo ,in quo rana terreſtris,tal pa vellacerto, ( vulgò dicitur racano
)fi ue lacerta magna vocata ebullierit , diú ftrumæ,purgato corpore, liniantur,abf
que dubioexiccátur, & euaneſcunt.Het animalia viua prius in oleo
fuffocantur, cùm ad carnium ab oſsibus ſeparationé ebulliunt, & oleum
mirabile ad ftrumas componitur. Nonpulliad earum extir . pationem caufticis
vtunturmedicamen tis, quorú potentia caro aperitur , & ftru
mæetiacuantur.Componuntur hęc talia ex arſenici fublimati drach.j. lithargyrij
aur. & aluminis roccean.drach.ij.fabari vftulatur:numero quinq; hæc in
pulue. rem reda & a cum frumenti farina,aceto que acerrimo mifcentur ,
& fit malfa , è qua orbiculi, vel plancentulæ formantur & exiccantur in
Sole, vel furno,admoué tur fuper ſtrumas , &fpatio horarum24. opus
perficiunt, Alexandri Magni magnanimitas in pofteros: ftudiofas. MVlta ratione
Alexander Macedo Magnusdi& us eft',cùm eius excel lentia non modò in
litteris apparuerit.. Ille quidem , vt Ariftoteles de animali bus
hiftoriasfcriberet,multa liberalitate in pofterum vtilitatem , octingenti auri
talenta , cum tribus hominum millibus dedit, vt fyluas,aularia , & viuaria,
omnis . generis diſquirerét, & opusab ipio per.. ficeretur.Illi autem per
Europain ,Afriw . - Cam , & Afiam peragrantes,multa anima : tium gencra ad
Ariſtotelem attulerunt, quarum difle & ionibus , de vniuerfa fen? rè horum
natura accuratiſsimè Philofon phus fcribere potuit.Ex loanne Bodeno. I WA
Mulieres quafdam in oculis, equi effigiem , pel: geminaspupilas babere
compertum eft. NO On rarò quædam mulicres magæ reperiuntur, quæ vt plurimum a-
. niculæ funt , hominibus , animalibusý; vilu ,nocentės. Solent hæ in fingulia,
acut 160 BARICELLI oculis, velgeminam habere pupillam , ( vt HieronymusMengus
de Arte Exe orciſt. adnotauit ) vel equi effigiem , quemadmodùm nonnullas
Pontumin colentes habuiſſe legitur. Referuntex iftarum oculis quofdam
emittiradios, qui non ſecus iacula & ſagitrę pro homi num cordibus
faſcinandis exiftunt , ità profe & ò totü pernicioſa quadam qua litate
corpus inficiūt,breuique velnullo temporis conſumpto interuallo,homie
nes,bruta,ſegetes,arbores polluunt , & ad interitum tæpè deducunt.
sanguinem caninum HydrophobosCupareba PotumAutumant Galenus N Serapio,&
pleriq;fapiêtes,fangui nis canini potu, canisrabidimorſum ca. rari teftantur :
quæautem fit ratio,apud hos non legitur. Referam tamen , quæ àMarſilio Ficino
in lib. z. de Vit.produc. adducitur. Ego opinor ( inquit) ſali ziam canis
rabidi venenoſam , impreſ fam hominis pedilæſo,per venas paula tim ad
corafcendere more veneni, nifi quid HORTVLVS GENIALIS : 261 quid in
tereadiſtrahat.Si igitur interim canis alterius fanguinem ille biberit,fan guis
illecrudus ad multashoras natat in ftomacho , eum denique velutperegrie - num
deie & uro per alium . Interea cani. pus languis ifte,faliuam caniná
fuperio ra membra prenſantem , priufquam ad præcordia veniat, deriuat ad
ftomachű : ná &in canino ſanguine virtus eft ad faa liuamcanis attrahendam
, & in ſaliuavia ciſsim viftus ad fimilem fanguinem proſequendum . Venenum
igitur à cor defemotum , fanguiniqueimbibitum , in aluo natanti, vnà cum
ſanguine per inferiora deducitur , hominemque ita relinquit incolumen .
Corallinam , ad puerorum vermes necandos maximè laudari. COMOrallinæ , quam
plerique muſcum marinum appellant , in puerorum ť vermibusnccandis,miraeft
virtus, & cf. ficacia .Hanccirculatores in plateis vene dere folent,talegue
remedium ad lum bricorum internecionem , fummis lau . dibus extollunt. Profectò
à veritate in hoc 262 BARICELLI hoc negotio haud abſuot:hoc enim cão teris
medicamentis, in rehacaccommo datis,excellétius eft:experimento fiqui. dem
comprobatum eft non modòlum . bricos interficeretale præfidium ; verùm atque
eadem die , cùin aſtantium admi ratione, oxpellere, vtiure dixit Mat thiolus,
quòd quandoque viſus fit puer, quiex aſſumpra huiuspulueris drachma, a centum
vermes excreuerit. Qua induſtria , labioram ,meruum , capia tamgmamilarum citifsimèfifuras
fanate vale anus. Periam ele &tiſsimum præfidium , A tumque mamillarum
fiffuris feliciſsimo fucceflu fere millies vfus fum . Sumiro lithargyrii
argent, myrrhæ , zinziberis an ,vncj.redigantur omnia in puluerem fubtilif .
& ex cera recenti, melle,& oleo oliuarum ad fuffic. fiat vnguentú. Vfus
talis eft : primò liniantur fifluræ ex hu mana ſaliua , mox defuper in tela
exten fum applicetur vnguentum ,ita cquidem paucis diebus fanantur, Rhabarbarum
cidoniatan , y terogerensabs que periculoalue exonerare. IN graudis mulier bus,
cùm grandi inorbo affliguntur, magna cautela ſo lent medici medicamenta
cuacuantiae ligere: vel enimhaud porrigunt,ne con Ceptum diſperdant, &
matrem occidant; velmitiſsima, & benigniſsima excogi tant, & propinant.
Multi Rhabarbarum ob eius caliditatem , & amarulentiă recu fát: ſed perperá
quidé, quádo illud cido nio Correptú, inter ele& ifsima &benig piſsima
connumerari debeat, Rcferam i qua induftria à Ludouico Mercato ,viro
celeberrimo,prçparetur.Sumanturcoto nea, ab interraneis repurgata , tes diuifa,
( ſed fuperftite pellicula , quæ valde eft odorata) in aquadonec tabuc rint
ebulliant: mox per linteum colata, & exprefla , optimolaccaro coquantur,
& dumid fit,adiicies ad lib.j. huius con diturz,vnc.j.Rhabarbari. Doſis cuius
fit vnc.j.vel Aliud cidoniatum compo nitur, quod eftgratius, & abfq;
moleftia efficacius euacuat. Diuidatur cidopium &fub God &in par 1 (264
& fublatis feminibuscủfolliculis, parti um ciuitates puluere optimi Rhabar,
negligenter triti,ac Drach.j.velj.- aut ij.imp cátur, vel, ſi affectus
poftulaueri agarici tantundem , vel foliorum ſene; mox vniantur cidonij partes
, papyro que inuoluantur, & ligata in clibano ,vel furnello coquantur ad
perfe &tam co & i onem ;poftremò abie &tis medicamentis internis,
pulpa manducetur. Hoc pro fe & ò medicinæ genus fecurè cuacuat, &
viſcera omnia corroborat. Animantium robur animi, à femine inge terari. Vanta
fit feminis efficacia, in aoda. cia hominibus comparanda , nullo aliomedio
ſecuriùs cognoſcitur, quàm caſtratorum natură compéfare.Hipro fextò ſtatim
atque teftibus priuantur, animi robur amittunt, atque máſueſcár: fiquidem &
à fpirituumcopia, & calore potiſsimùm naſcitur audacia , quæ in teſtium
natura valde { pongiola ge . merantur , & ab ijs in corpus deferuntur.Ob id
Galenus,in lib.1.de femine ,le méSolicóparauit, quod ſuo fulgoreorbe
illuſtrat;iuxta cuius fulgorcs ſemē,& ipi rituú ,& caloris potentia,
ferè corpusil luſtrare admonemur.Hinc Aegyptijſa pientiſsimi,cum Regem fractum
, hebe temq; repreſentare volebant,meritò Ti. phonem caſtratum pictabant benè
ani maduertentes,nil poſle verius hominem infirmum oftendere,quàin hominem fie
nc ſemine. Aegyptiorum aliquot ad Quartanam febrens ſecreta experimenta . х
bris quartanas Aegyptis familiaria ſunt , hoc pro ſele &tiſsimo remedio ha
bent,ægrotisdeco &tum ex menta para. tum ad femilibram ,calidum cum (polio
ſerpentis puluerizatibinisdrachmisan te accefsionem per horam propinare.A , lij
cum decocto affati temporeacceſsio nisvomitum procurant cum felici fuo . ceffu.Sunt
& nonnulli,quiante acceſsio nem pilularum drachmam exhibent. M He
exagarici,gentianę,caftorei,mytrhe, rutæ an , drach.ij.piperis longi,calamia
romatici,crocian . fcrup.iv.theriacæ an tiquæ drach. iij.conftant, & cum
ſyrupo de granat. dulcib.conficiuntur. Aliis ve ſitatiùs eft ,exhibere drach.
agarici,cum myrrhæ ſcrupulo, diſſoluram in pulegi deco & o, Ex Alpino de
Medic. Aegyp. Auesbacciarum taxi eſu nigro colore fieri. Axus inter plontas
virulentiam ha bere maximam videtur: quienim fub iftius vmbra dormire audebit,
in grauem affe & ionem incidet. In baccis autem venenum potiſsimum
viget.nam à viris comeftæ ,ventris profluuia, atque funefta pericula mouent :
boues illarum vfu moriútur, quemadmodum &peco ra ,ffortè has comederint,
Aues verò iftarum eſu minimè moriuntur , penna rum autem color in nigrediné
mutatus, Chelidonium Lapidem MIT APN epilepfiam baberepirtutcm . VIItrus
Chelidonii lapidis à pleriſque maximè extollitur: prelentaneum enim Epilepticis
réputatur remedium , adeò quòd non pauci iſtius vſu à tanta morbi forociate
liberati funt. Feruntin . Autumni principio ,Luna creſcente, hũc lapidem à
ventre hirundinis extrahi, & contricum aliquo liquore epilepticis in potum
propinari:quippe facultatem re tinere dicitur, tenacem , & vifcidum hu
morem, qui caufa caducimorbi eſt exica candi. Multi,chelidonium non folùm elu ,
fed etiam ſola ſuſpenſione, Epilep ticos à proprietate ſanare contendunt, Ex
Lomnio. Miram interafpides, & halic acabum inejſe Antipathiam . Irabilem
natura inter alpides, & halicacabum , quemaiorem veſi cariam inuenit
diſlenſum , & antipathi am :ijenim , fi iuxtà huiuſmodi plantæ radices
quoquo pacto corpora admoue rint,tanta ſtupiditate, & fomnolétia cor
Tipiontur, vt amplius nequeant excitari. Ariftotelem rerumcaufis maximum noſcena
dis adhibuiffe ftudium M M 2 Erat Aristoteles adeò cauſarum re , Erum
cognitionis ftudiofus,vedie cilè quiefceret , nifiad quæfitum exas ctum
ſcrutinium deueniret : ob id cumà. graui valetudineopprimeretur,atq; me dicus
citra morbicausa,pleraq; vetaret, fertur(teſtimonio Polybij ) sc.medico
dixiſſe:Nemecures,vt bubulcú , & for forem ; fed prius caufas ediſſere,
& ita pre ceptistuis facilè memorigeratum habe bis.Cum autem in Chalcide
exularet;ati que Euripi , qui inter Aulidem Bcotia portum,& Eubeam infulam
ſuntaugu iti freti,feptiesinterdiu noctuq;alternis fluctibus ſtato tempore
refluerent , ille maris recurſus excogitans,atque caulam reddere non valens,
tanto mærore affe & us eft ,vtmorti occumberet. Ex Iufting Martyr. Infates
a nutricib mores,& téperiē recipere, nfantes profe & ò à nutričibus non
foi lùm circa temperiem, fed etiam mo res multum recipere videntur.Ob id fat
pienterà veteribus,Romulum à lupafu. idela &tatum , proditum eſt ,
velhocfinx I ering HORTVLVS GENIALIS 26 erint, vel vera narrauerint; fuit enimRo
mulus ferinis moribus , callidus, fortif limus, &
incommodipatientifsimus.At præter hunc,multosà feris enutriros, & educatos
legimus; num autem hoc ijs, ex animi feritate fuerit tributum peſcio .
Scribitur Cyrum à cane fuiſſe nutritum , TelephumHerculis,filiumà cerua,Pelia
Neptuni filium abequa , Alexandrum Priamià vulpe,A egiſthum à capra,quo rum
inores,apudScriptoresnoti ſunt,vt apertènofcamus , quid nutrices infanti bus
afferant.Equidem quià capra lactá tur,ftulti fiunt, & fälaces;& ita hircuselt;.
quare ex hac conie & ura tales euadere in .. fantes , quales fuerint&
nutrices com perimus;fed mores virtute animi mode fari poffunt. Qdo artificio
vitrum diuidere valeamus. Icet vitrú folum ab adamante , cùm plicabile haud
fit, diuidiinueniatur, tamen alia induſtria etiam compertú eft illud poſle
diuidi,vt Cardanusrecenſuit Hic eft modus: Filum fulphure, & oleo irabue, L
M3 370 imbue,locum circunda,accende, repete, donec locus optimècalefcat;mox
confe ftim alio filo , aqua frigida madefa&to circundato , & vitro in
eo loco fractum , &diuiſum habebis.Ego quidéalio artie ficio , &
fecuriori vitrum , diuido ,caſug; hoc mihi notuit. Habebat quadam die cyathum
vitri vino ſublimato,fiue aqua vitæfemiplenum , ad curiofitatem non nullorum
amicorum ,a quamin flammá, accenfa candela ,reddidi, vt vinum fub. limatum
accendi folet , confuiripta all tem flamma , cyathusin medio diuifus eſt ,atque
co potiſsimùm loco , quema qua fupernatans attingebat.Ita ex curio .
loexperimento , vitruin diuidere apud alios amicosnon lemel valuir Gallinaceum
ftercusà fungorum virulentia bomines tueri . ' Vngorummalitia,ex multorum ex ..
perimento , pleroſquevita priuauit quia autem homines ab illorum elu ob luxus
abſtinere nequeunt,referam quid àGaleno,tanquam arcanum ,pro iſtorú. Fe virulentia
extirpanda,leu ſuperanda ada notetur.Erat in Myſia medicus quiho mines penè
ſuffocatos ab elu fungorum ad vitam ducebat, remedioa; tanquam arcano quodam
vtebatur: huncprecibus exorauit , vt tantum auxilium aperireta Stercus
gallinaceum ille adduxit , quo contrito ad- læuorem vtebatur , & cum :
oxycrato ,autoxymelite propinabat in firmis, qui celeriter omnesadiutiſunt. Hoc
vſus fuitmox in quibuſdam Vr- r banis Galenus, & verum inuenit : nain: qui
præfocabantur , paulò poftvome bant pituitofum humoré omninò cral hiſsimum ,
& exindeplanè liberati funt. Infuper Myſius ille vtebatur huiuſmodi
præſidio in diutinoColi dolorecú oxyo melite,propinato vino , velaqua , cum
felicifsimo fucceffu lob id Galenus ex Bolilongo dolore fpafmo correptos,ta li
remedio quoſdam perſanauit: nam & hoc colicum doloremaufert, qui caufa
ſpaſmi eſt.Ex Gal.16.simplic.cap.io . Varia deliramenta di vini
potentißimipotua.r exoriri. M 41 Multa Vlta equidem deliria in ijs,quia vino
potentiſsimo inebriantur, fecundùm humorum in corpore prædo-. minium ſuſcitari
ſolent:quippe iltorum nonnulliin riſum maximum mouentur, aliqui plorant,pleriq;
vociferantur , alij . profund ſsimo lomno quiefcunt.Refert Alphinus,in lib .de
medic, degypt. muliere quandam à vini potu largiori ebriam , primònimis euafifle
hilarem ,atq; in ho.. mines la ciuiffe, quoscomplectebatur, & ofculis
tenebat;moxèrifu , & cantu , ad ram , & furias deueniffe ex quibus
fami.. liares eam pertimentes, præcauebant;de. inumin mæftitiam ,vtdefun
&tos lamě. tabili voce deploraret;poftremò à fom . no oppreflam ,omnem
ebrietatem digef fiffe.Caufa omnium eft , quia vinum pri mòcalefacit,fecundò
adurit,tertiò refri gerat; ſi potésfuerit , & immodeſte poti. Ego profe
& ò quendam cognoui, qui a pud Marchionem primum Sancti Marci dominum meum
erat in culina,vt lances vaſaque culinaria in dies-collueret ; vo cabant Iulium
Colauentre. Hic epoto vino grandi, quodBeneuento pro domi 13 ni menſa forebatur
in tam immanemde uenit ebrietaté, vt Dæmoniacus appare ret ,os,manufq;
extorquebat,in fe ipfum fæuicbat, ia &tabatq; membra, & infinita agebat
deliramenta. Aulæ Sacerdos fa cris libris accingebatur ad exorcizandú hominem :
quando vocatus , ebrium illi effe faffus fum ,meoqueiuſſu ferula,mo Te puerorum
, circa nates,flagelliſá; con tačius, breui ebrietatem dereliquit. Syrium inter
fydera.calidißime exiſtere matuth. , Riente Syrio tantum aëris concipi.. præ
ardore langueſcant ;canes in rabiem trahuntur;furiunt viperx , & ferpétes ;
ftuant mariajaer occultam nocendi qua . fitatem recipit;ſemina, ia era ſub tali
ſy dere,minimènafcuntur : talis profectò eft Syrij natura. Exlib.2.de
Hydr.natur. Viterum in nuptis mulieribus varios fuiffe mores, o confuetudines.
. 3 MS Non 274 BARICELL ) : N.DE dumprima On vna equidem apud Veteresin .
nuptis fæminis erat confuetudo: quippe conſueuerát homines in finuPer. fico,
littoreg;Orientali , Virgines nobi. les nubiles haud deflorare , nifi brachijs
, margaritarıım ļineis ornatæ incederent:: ab id illæ in
magņo.erantprecio.Deſije. a nuncmosille, & margaritæ vilius illice. muntur.E
« Garzi4 ab Horto . Catullus, in nuptijs Pelei, Tetbidw , aliam natat con
ſuetudinem , Virgo nupta , noctecun marito erat concubituva , ita tra &
abatur:ante coitum eiuscollinen .. fura filo circumdato meníurabatur,mae
nèhocrepetebant,quòd fi latius , quam vt filo comprehenderent, collum inueni
ebant, defloratam ça nocte cenfebant:ſin : Vitò dibilomaius,integram , aut
antea. fuille deuịrginatam habebant. Aļijalias. habuere confuetudines .
Pupauetagrefte mirabiliter Pleuriticum mere bum fanare, Efeet
Galenuspapaueradolores miti gare , atq; interanodyna reponiina multis locis
referat;tamen agrelte,pleu , ritiden HORTVLVS GENIALIS 275 ritidem ,in lib
deremed paras.facil.confel, - fus eſt perſanare. Aperiam quodà mo nacho
empirico mirabili fucceflu in hoc morbo fa & um vidi.Hic folia & ſemina
agreſtis papaueris,in vmbra exiccata,ſe cum continuo deferebat:cum autê quis
laterali morbo infeftabatur , eius confr lio ſanguinem à brachio ſecundum ca 1
nones extrahi curabat,mox deco&ú fo liorum in brodio pulli collatum , cum
drach.j.velj- iplius papaueris ſeminis capillamentorum , quæ poft colaturam
addebãtur,capiebat tepidè , & ieiunio * ſtomacho. In loco doloris hæc
Epithe. cata adhibebantur.Parabantur ex pul yere roris marini, &
ſalis,farina , & aqua" tres placentulæ ,quæ ſuper calido latere in
firmam ſubſtantiam ducebantur : hiss locus,epithematis inſtar,fouebatur , &
breui tim dolor euanefcebat , tum etiá : apoftema rupebatur , & infirmus ad
fa. lutem magna admiratione priftinam rew . dibát, Corni plantam , Singuinarie,vel
SörbiHydrom phobiam curatam fufcitare. 1.1 ter 276 BARICE ILI INE Je Nterrerum
admiranda, connumera tur aliquot plantarum energia , quæ ſopitam , atque
curatam in hominibus Hydrophobiam ſuſcitare, & renouare couſueuere. Pluries
etenim obferuatum reperio à Canerabidocommorfos, fi plă tam corni, yel
fanguinariæ tetigerintan . te annum exa & um , velfub forbo dor mierint,
ineuitabiliter in rabiem incide. Tę. Salius in lib.de affe& . part, virus
hoc potius à toto ſubſtantia , quàmàtempe ramenti ratione ſufçitari prodidit;
nec enim à taląu , necab vmbra intemperi es introducipoteſt. Itaquemirabileelt,
ab iis lopitam rabiem renouari, quod. fieri non poſſet, niſicum rabidalue , ha
plantæ aliquam haberent antipathiamy cuius alia potior haud adduci poterit
ratio, quam tetigimus, quod huiufmodi a proprietate hocperficiant. Qua
induſtria penenum illumptum deſcen.. diffe ad gibbum Hepatis pèlinteftina .
rognoſcere valeamus. .. iquopropinato,nullamajor me dicis, difficultas exoritur
, quam veneni refidentiam reperire , vtritè ca adhibe antur pręfidia , quæ
talia oppugnare re perta ſunt. Si enim venenum fuerit in ſtomacho,vomitum
proderit excitare; fecus autem ,li tranſiuerit hepatis regio nes,Hiceft modus.
Ponaturoui vitellus cumalbugine , cum infirmi lotioin ma tula ;fiinfra
paucashorasnigrefcit, & fee tet, venenum adiecoris gibbú peruenit ; Tip
verò rugetur,çitrinefcat, & non fæte at, inteſtina haudtranfiuit. Hinc
indica tionem corradimus, veneno ad inteſtina Traiecto ,non conferre vomitum
prouo care, ExBAYTO . Plantas peduconfimiles ;congeneres retine YENİKHI€s .
MVltis experimentiscomprobatum Teperio ,plátas,fruticelý; ligna, quę quadã
aſpectus ſimilitudine cóueniunt, congeneres retinere vires.Sic multi mea
dicorum peritiſsimi locolingniGuaiaci, Buxo vtuntur;loco falſę parillæ,ſmilace
it aſpera, loco ſaſſafras, žylucftrifoeniculo; pro polypodio , filicecligunt;
protipfa M 7 na nyhor leum pro
myrto,liguitrů ; pro ea buio,fambucum ;pro china radicem no ftræ arundinis;pro
Rhabarbaro , hippo lapathú.Hçcn.facie corporeg; aſsimilá . túr,proindecöſimiles
vires habere exia ftimatur. Exlib.noftro de Hydran. Natur. Inter Arundinem .
Fräcem ,may nam inefſe extipathiam. Aturali quodam odio inter ſe Fi lix ,
&Afando diſsidere videntur : moritur enim filix, quæ ab arundinem : plantis
circundatur; & arundo quæ à fio licum virgultis: quo dudi experimen to
agricolæ , arundinis folia in colendis agris, vomeribus alligant , perſuaſi ab
iſtorūdiſſenlu, ſilices ab agris extrudere, &,vt audio votum in dies
conſequütur. Apri dentem ad Cynanchen , Pleuritiden mirabiliter valere. Agna
eft efficacia dentis Apriin NA ! uis eius oleo linino excipitur , ac locus affe
&tus tangatur cum pennę' extremitaa: tę,cx Arnaldo, & Auicenna habetur
,bảo morbum præfeptiſsimè curari.In curan da pleuritidenon minor eft virtus
eius. propterea folent practicantes admiſcere tum fyrupis,tum electuarijs
huiufinodi dentis puluerem ,benèpoſcentes ab oc ! culta,&aperta proprietate
talem pulue rem prodeſſe: quippè extenuādi, & exic , candi vim habet. De
hocdente mirum . feribitur;occiſo enim Apro recentar,ip fius détes adeo feruere
referüt, yt capil losadmotos nonnunquam comburant. Id accidit., quia Apricalór
magous eſt; dumý; occiditur, ira & exercitatione fer uefcit ; proinde
dentespropter denſam ſubſtantiam , magnamrecipiunrcalidita tem ,cuius indicium
ipmaeſt. Aparagos ju arundineros fatosmirabiliter ex . crefcere. FAximuseft
inter arundines, & af par gos naturalis cófenſus;idcir... Iragos, &
pulchriores, & core pore ?s atq; ſapidiores habere op tabit,ue, arundinetis
leminare procu rabitquippe ex naturali ſympathia mi rum in modum excreſcere,
& germinare , animaduertet. Meani co qui MVltis profe& ò notiſsima eft,
an Viero gerentes eſu cotoneorum induftrios; acuri ingenij parere filios..
Mirab Trabile eft illud , quodà multis de cotoncorum proprietate affirmari
audio : ſi enim.grauidæ mulieres ,quàm læpius cotones-comedere folitæ fuerint,
filios & induſtrios , & maximaingenij pårere dicuntur:fiquidem cotoneis
mia ram hanc facultatem ineffe credunt . A. liud autem mirum in ijsreperiri
apud Mizaldum legi,grauidas mulieres háud parere, velfalte difficulter fætum
ede re,ſi in cubiculo , quotempore partus fuerint,cotosca feruauerint : credo
ex eorum conftringentiodore, velocculta . rationeid euenire. Heder am cum vinomiram
habere diſcordiam . tipathia , quæ inter hederam , & vinuinànatura infita
eft; fi enim ex hc deræ trunco cratera componitur, in qua vinum dilutumfuerit
impofitum ,pro cul dubio vinum confeftim effluesfun detur aqua verò intus
retinebitur,adeò vini impatiens hedera exiſtimatur.Hoc ducti experimento
nonnulli in vinise mendis hederæ poculis vtuntur : ita e quidem num purum , vel
dilutum vi num exiftat;examinani, & cognoſcunt, Volatilium
piſciumg;fecunditatis,Ginteria. Tuprafagia . Oletin quibuſdam annis animanti
bus quædam peculiaris peſtis graſſa ri;hinc fit,ve ( liannus valde pluuioſus
extiterit(auium , volatilium , bombycú ſericeorum ,araneorum ,erucarum ,inte ..
ritum videamus;piſcium verò ftirpiúq;: fertilitatem , & valetudinem .Annus
ay . tem ficcusvolatilibus (apibus excepris) falutaris iudicatur;piſcibus verò
perni... ciofius:ficut enim in angulto aere, obim . pediram reſpirationein
,fuffocamur, vi. uereque nequimus;ita piſces in anguſtis aquis concluſi diu
vicam agere mini mè poſſunt. Gallinarum adipem( accharo obuolutam ,vor modò a
corruptela preferuari;verùm atque oleum redderepretiofis fimun . Mira BARICELLI
Mina Ira equidem eft facchari virtus, in conferuandis àcorruptela adi pibus.
Cum quadam hyemePrudenria filiamea gallinarum adipes collegiſſeter acfaccharo
albo benè conuolutasin va ſculorepofuiflet,æftate ſubſequenti, il lud oleo
femiplenum reperit, adeòpel lucido, vtcumad medeferret excellen tius haud
inueniri poffe iudicaui. Hoc licet illa pro exornandis capillisvtere tur, tamen
pro mitigandis corporis do loribus,pro carnis ( cabritie tollenda, ae liifque
infirmitatibus vtiliſsimum effe į cenfeo :Quod autem mirabiliusiudicaui: adipes
illas:poft multos annos conſerua.. tas, eodem colore,atqueodore , quo re- :
centesin vafculo fuerunt claufæ anim aducrti. A quodam Chirurgo amicoet ia
nintellexi,humanam adipem faccha. ro conuolutam ;per longifsima tempo ra à
carie, & rancido præferuari: quodiſi. ita eſt, credo in
omnibusanimantiumde. dipibus id euenire.Qrare Magpatú cor pora condienda melius
faccharo imple. ta, quàm aromatibus pofle conſeruari crederem ;eò magis, quia
hoc præſidio , corpora in propriocolore, vi deadipe dixi perfifterent.
Cucameres naturali odżo oleumabborreres - aquam verò appetere. INteſtina
iudicatur diſcordia, quæ in, ter cucumeres, & oleum ineft: nam , &
ijaquam ,appetere.à lege naturæ viden . tur.Proinde virentes , atque è propriis
. plancis pendentes, vafcula ff aqua plena ſübterhabuerint,adeò longius
extrahús , tur, vtaquam inſequiex certitudine ex. iſtimentur; fin autem oleum
fub his fue. rit eie & tum procul dubio in feipfos, ve Juti vncus,
retrahuntur;fiquidem ij olei impatientes ex naturali antipathia co
gnofcuntur.ExMatthiolo, Mandragoram pitibusapplántatam ,vim il tis infundere
ſoporiferam . T Antam habét Mandragora inducena, di ſoporem efficaciam , vteius
pom vel comeſta, vel odorata,quandoque ca taphoram exuſçirent. Illud autem mi
rabilc eft, vitibus Mandragoram com plantatam, propriam iis naturam infun-.
dere, adeò quòd vinum ex huiuſmodi: confectum ſophrem bibentibusinduce
reconſueuerit, vt Rhodiginus adnota-, uit. De Mandragora Iulius Frontinus
hiſtoriam feripſit Strathagemwoz.Arn balà Carthaginenfibus cõrra Afrosmit. ſus
fuerat, qui cùn ſciret gentem illam vini auidam eſſe,in quibuldam vini do liis,
quæ in caſtris habebat, Mandragore copiam coniecit,indeleui comiſſo bello, ex
induſtria celsit, fugamque ſimulauit. Barbari,occupatis caltris ,auidèmedica.
tum merũ cùmhaufiffent, in captapho ram lapſi ſunt, & ab Annibale
trucidatia: Quando, Aegypti mortuorum corpora come dire foleant: E condiendis
mortuorum corporibus, Aegyptiorum ex monumena tis multa , tum ab Hérodoto , tum
à Cæ . Jio Rhodigino exempla afferuntur. Ae gyptii enimmortuoscondiunt, atq; do
mi feruant: Ageſilai cadauer cera condi. tum fuit , yt & Perfæ facere
folent; Alex andri corpus melle colitum eſt. Apud Iudæos exmyrrha, & aloe
cadauera con diebantar,vé apud Ioanné Euangeliſtam cap. Iceportabile
equindependenciaenels C. 19. legimus: quippeNicodemus myr rhæ, & alocs ad
libras fermè centum mi. furam fecit pro corpore Ieſu Saluatoris noftri
condiendo. Magorum eratmos, non humare fuorum corpora, nifià fer - ris ante
laniata forent : Affyriorum Re gure fepulchra in paludibus condita fu ile
tradunt. Mellis vſum , vita hominibus inducere diuturnitatem . Nenarrabili
equidem potentia mel , corruptione cuſtodire valeret, à natura
productúeft:propterea Plinius l.20.maximè huius virtutem ad miratur,
ClaudioqueCæſari Hippocen taurum , exAegyptoin melleallatum , vt citra cariem
eſlet, commendauit: nam & hoc corpora computraſcere non ſinit ; fiquidem
multi fenium longum mulſi tantum intinctu tolerauêre.Celebre eft mellis
exemplum in Pollione, qui cen tefimum annů excefsit: hicenim ab Au . gufto
interrogatus, qua ratione, &ani mi, & corporis vigorem , maximè cuſto
difíet ,hocreſpódiſſe fertur :Melle intus, foris oleo . Proditur etiam Corficæ
in fulæ populos, ex aſsiduo mellis vfu , vi. tæ acquirere diuturnitatem , cuius
rei li cet Diodorus non comprobet exemplu eò quòd mel Corficú peſsimum cente
at, tamen non per hoc vſum mellis ad vi tæ produ & ionem improbauit.
Gulinas ouaparere quolibet anni temporefi femina urtica, velcanabisin cibis
habuerint. Scripſit Ariftoteles6.de Hiftor.animal. cap. 1 , Gallinas toto anno
oua parere, exceptis duobus menlibus brumalibus. Hoctamen tempore , quo à
fætura deti ftunt, ferninis vrtica, & canabis auxilio faciliter gallinæ
fæcundantur :fienim in cibis iſtorum ſemina Ticca comederit, procul dubio tota
hyemis tempeſtate , non modò calidis temporibus oua pari ent. Hæc profectò
earum corpora cale . faciunt, & ad fæcunditatem diſponunt. Curyepbylatam
infantium maculas è corpo Olent tenella infantium corpora , dű vtero exiftunt
materno , maculis 0 pore extricare. Solenereexiftuntmaterno, quibusdam , næuis,
lituris , veruciſque , quæ à matris imaginatione fiunt, com maculari: hæcporrò
quali ſigilla impri muntur, &difficulter poft ortum elui poſluņi. Pro iis
delendis principatum habetCaryophyllata , cuius vis ,& po tétia in
huiuſmodi maculis extricandis, mirabilis iudicatur.Sumitur enim plan ta hæc cum
ſuis radicibus in fine menfis Maij, quo tempore virtus vigorofror eſt atque à
terreitate emundata , in alem bicco deftillatur , mox ex aqua ſtil lata
infantium lituræ maculæque Tæpius lauantur , abſque dubio, eua . Deſcunt.
Vrrica folia in lotio infirmi cuftodita , vitam , vel interitumpreſagire. Ira
equidem , ex abdito naturæ eſcrutinio , in vica,morteq; infirmi praſagienda,
vrticæ virtus ,&potentia eft . Si enim recensplanta extirpatur, ac
-24.horarum ſpatio ia ægri lotio aderua tur, vtiquefiviridis colore permanebit
ex multorum experimentis,falutem , & vitam infirmiſignificare dicitur:fin
auté haud A cantu haud viridis cuſtoditur,colorema; mura bit,mortem ,
velgrauepericulum deno tare, Ex Caftore Durante. Philomelam axem miro conſenſu
à viperade. pafci. Vis Philomela cx cantu dulciſsi mo omnibus cognita eft;
incogni tus autemeiusconfenſus eſt, quoà Vipe rà depaſci permittit:dum enim ſub
ar bore,in quacantans auis fuerit, viperam viderit paulatim ex illa defcendit
,&ad viperam accedit, vt illi fiteſca. Ex Thoma Tomai. Caftorem fià canibus
inuaditur, minimè te fticulos fibi amputare. Linius,Solinus, & grauiſsimorú
Scri ptorum multi,caftorem fibi teſticu . los amputare referunt, quoties venato
tes ipfum canibus aggrediuntur quafi confcius exiſtat,quod(ijs reciſis ) à mof
tis periculo ſit ereptus; fiquidem vena tores hæc infequuntur animalia , vt ex
his accipiant,quodad medicinam vſur patur.' Rci autem veritate hi om . nes
grauiter errant ; quippe caftor, Ppioru testiculi iuxta ſpinam inclufi funt, vt
multis ex anatome obferuatum . eſtiſte rum error ex velicis quibuſdam ortus
eft, quæ in vtroque, maſculo & fæmina, loco teſticulorum pendent, flauo
plenæ liquore ad medicinam vſurpatæ . Has vocant caſtereum aromatarii,
teſticuii autem minimè lunt. Quo atsficio miliciæ Duces , vt hoftes offen danti
gnemmiſsilem perniciofum -con ponere valeant. APeriam potentiſsimiigpis
miſsilis, fiue artificiari compoſitionem ,cuius potentia tanta eft , vt
eiusminimaItilla non modò hominem viuum , verùmat que ferrum comburere valeat.
Sumun turſandaracæ factitiæ lib. 1o. ſulphuris viui lib.4.oleiè rafa, fiue ex
adipealbur ni ftillari lib . 2. ſalinitrifib.j. thuris lib.j.camphoræ
vnc.6.vini ſublimati, fi ue aquævitæ optiinę vnc.14 .Omniahọc lento igne bene
mifceátur; deinde fupa obuoluta , atque accenſa in ollis , in ho ſtes
inijciuntur. Ignishic , infernalis di citur,tum ex eo ,quòd mirabilia agat; tū
N atque ex Paracelfi impij ceſtimonio, qui retulit fc à quodam Dæmone fuille
hunc ignem edocum . Demoſthmen lingua duritiem , quibuſdama Lapillis
confregiffe. DEmetrius Phalereusalloquutus.com, quomodo fibi curaſſet linguæ
impedi menta ſciſcitatus eft.Habebat enim ille linguam duram , & ſcabram ,
&proinde adoratoriam exercitationem impoten. tiſsimam ). Sanatam refpondit
atque la . xatam fuiffe linguam raſpondit ex non nullis lapillisoreretentis,
quibus loqui conabatur.Cuius Demofthenis præfidi í um difficilem habentibus
loquutionem faluberrimum iudico , vtexpeditius fer mo citari valeat.Ex
Plutarcho. Vinum quoddam àferpentibus venenatum , pleroſque àdifficillimis
morbisconfanaffe. Trabilise{t hiltoria,quęáProlpe Milocro Alpino ,lib.4.de
Medic.Method . de vino à ſerpentibus venenato affertur In cella vinaria quidem
ciuis Ferrariz inter alia,vinidolium habebat, quod (i ne operculo diù apertum
extiterat : - & proinde compluresſerpentes,quos vul gus angues, &
anzasappellant,ingreſsi in vinum ſuffocati, & putrefa& i fuerát.
Multiægroti ex febribuschronicis; atq; difficillimis vexati morbis ignari,quod
ſerpétes in eomortuielent, vinum à ci ue emebant illud , quod guſtui gratum
iudicabant, & breui fanati ſunt. Alij ab huius viniſama ſuaui, cum paucos
dies bibillent,itidem lanati funt , & poft hos alijitidem eodem modo fere
innumeri. Quare vinidominus tantæ vini faculta tis admiratusvinum e dolio torum
edu xit, & ferpétes complures ſemi putridos inuenit,qui ré manifeſtá planè
fecerunt. Veteres equorum lacrymas inter auguria recepiſſe. Agnifaciebant
veteres equorum Llachrymas, atq; ex ijs auguriun
vaniſsimumrecipiebant.Propterea ante Cæfaris mortem ad Rubiconemcqui dedicati
ab eo flebant,idquemagno au gurio excerptum eſt. Illorum autem N 2 inanitas,ſiue
ruditas vt ita loquar, mani feftiffima nobiseft :fiquidétépeftate no ftra
fæpius equos collachrymātes afpici mus , necperinde ex ijs alicui ſiniſtri quid
accidereobſeruamus. Vt ipſe non Semelexpertusfum , æftate potiſsimum equos
lachrymari conſpexi, idcirco vel illorum naturá efle,velmorbú iudicaui.
Crocimerallorum compofitio. Fferam Quercetani, Croci metal. Jorumcompoſitionem
, qui potens medicamentum tam vomitiuum , quàm purgatiuum fimul eſt, variisque
affecti bus accommodatum . Præparatur cum zquis partibus MagnefiæSaturninæ,
& Nitri inuicem mixtis, & inflammatis in quodã crucibulo vt vtar artis
vocabulis, & remanebit quædam materia calcina ta in colore Hepatis, quz
puluerizata, rubicunda apparet inſtarcroci Martis, quæque dulcoranda eft: Doris
-grana x. vel xij.cum vino ,aut ațio liquore. Hominis compoſitionis mirabilia .
Ntet mirabilia, quæin hominis com I pofitionecontingunt,illud quidem mirum
HORTVLVS GENIALIS. 293 mirum eft,quòd tali corporis fit colla tusproportione,vt
partes omnes pera . que toti cópofito correſpondeat. Licet auto in eius ftatuia
nec certa nec deter , minatareperiatur mēſura;ex hominibo enim
aliquibreues,aliquilongi ſunt;la pienus nihilominus perfectioré homi. nis
ſtaturam è ſex pedibus cóftareiudi cauerunt , vel quod ſaltem feptem non
trárcédar.Interproportiones voluit Vi truuius cubitum quartam partem totius
corporis exiftere; eandemſ;penſurat . eſſed capitis vertice , ad
pectorisinitisko Manus longitudo à cõiun &tione ad mee dijdigiti
extremūcorporisdecimapars : eft.Facies à capillorum radicibus ad ex® tremum
barbę,eade eſt menſura.Maior pollicis coiú & io,oris eftaltitudo.Tota
manustotius faciei menfura eft, Maior iudicisconiun &tio ,frontiset
altitudo, cilijs fcilicet ad capillorum radices ; cæ teræ autem iftius coniun
& iones , nafi longitudinem oftendunt:Hominisproe funditas, ſi ſub
brachiis, pe& ore , & hu merismeluratur,ftaturæ illiusmedietas : 3
reperi 292 BARICE I 1.1 inanitas,ſiue ruditas vt ita loquar,mani.
feftiffimanobiseft :fiquide tépeftate no ftrafæpius equos collachrymātes afpici
mus , necperindeex ijsalicui finiftri quidaccidere obſeruamus. Vt ipfe non
femelexpertus fum , æftatepotiſsimum equos lachrymari conſpexi, idcirco vel
illorum natura efle, velmorbú iudicaui. Crocimet allorumscompofitio. Fferam
Quercetani, Crocí metal. A medicamentum tam vomitiuum ,quàm -purgatiuum fimul
eſt, variisque affecti busaccommodatum . Præparatur cuin zquis partibus
Magneſiæ Saturninz, & Nitri inuicem mixtis, & inflammatis in quodá
crucibulo vt vtar artis vocabulis, & remanebit quædam materia calcina ta in
colore Hepatis,quz puluerizata, rubicundaapparetinftar croci Martis, quæque
dulcoranda eſt: Dofis -grana x . . vel xij.cum vino,aut alio liquore. Hominis
compofitionis mirabilia . I' poſitione contingunt, illud quidem mirum mirtim
eft,quod tali corporis fit colla tus proportione,vt partes omnes pera quetoti
copofito correfpondeat. Licet autē in eius ſtatura nec certa ,nec deter ,
minata reperiatur mēſura ;ex hominibe enim aliquibreues,aliquilongi ſunt; la
pienas nihilominus perfectiorë homi nisſtaturam è ſex pedibus cóftareiudi
cauerunt , vel quod faltem feptem non trárcédat.Inter proportiones voluitVi
truuius cubitum quartam partem totius corporis exiftere;eandemg;menfurami eſea
capitisvertice, ad gedorisinitiúko Manuslongitudo à cõiun & ionead mes dijdigiti
extrema corporis decimapars : eft.Facies à capillorum radicibus ad ex tremum
Barbę,eadé eſt menſura.Maior polliciscóiú & io,oris eftaltitudo.Tota
manustotius facieimenfura eft, Maior Indicisconiun &
io,frontisettaltitudo,a cilijs fcilicet ad capillorum radices; cæ teræ autem
iftius coniunctiones , naf longitudinem oftendunt:Hominisprop funditas, fifub
brachiis,pe & ore, & hu merisméluratur, ftaturæ illiusmedietas. 3 rreperitur.
Cæteræ partes cum aliistra. bentrationem ,vtſuperius tetigimus. Apedumnaturam
mirabilem effe. IN Neer terreftria animalia,Aſpidum ne , tura mirabilis
iudicatur. Ex his enim mas & fæmina infimul vitam agunt, ta . tula; amoris
affectus inter ambdsinge ritur, vtfi cafu illorum alter occiditur viuens
occiforem infequi , quouſque fo dj,necem vlciſcatur,hauddeſinat.Quod autem
mirabilius eft,ex Plinij, & Ifidori Teſtimonio , occulta proprietate occiío
on noicit,( talem ifs natura indidit ) igi quemIrruit, licet in quantovis
hominu agmine reperiatur. Præceptum ergoo . mnibus eflc velim ,vtocciſo iſtorum
ani malium quopiã,celeri fugaiter occiſor arripiat,ne à compare animali veneno
fiſsimoinfeftetur, Leporesomneshaudeffe bermaphroditos ,con traVeterum
opinionem . Mneslepores vtriufq; lcxusexiſte re voluerunt Veteres, quod &
M. Varro ctiam tradidit. Error tamen eſt, vt diuturna docuit experientia, quama
feulos fculos à fæminis lexu eſſe diſcreros cognitum cft. Porrò tantorum
inſcitia, abhoc, vt reor,ortaeft, quia in leporum genere lępius, quàm in aliis
animantibus hermaphroditos reperimus : inde Hee brei naturæ arcana
intimiùsſubodors tes, leporéfæminino vocabulo léper ex planarunt,ARNEBETH , eò
quòd in iis foemineusſexuspræualet magis.Rej ve ritate noomncs
hermaphroditiſunt ,vt ex peritiſsimis venatoribus audiui; exic & ione
multorum cognoui,ficut.com iam Bodinus edoctus fuit ,vtivrhluth confitetur.
Equidem Hermaphrodig plurimi funt,fedfæcunditatem fervita . rumminimè
recinéignecmares vnquam vtero gerunt, necminus fuperfætant. Mirabilen eße
Imaginationis po tentiam n vtero gerentibus imaginationis po tentia apertè
cognoſcitur.Si enim illæ inter virorum amplexus, & fuauia,ali quid intensè
cogitauerint, facilè in in .. fántium corporisexternis partibus imax ginata
imprimunt. Hinc variæ rerum formar Ire N forme ,næui,lituræ , verrucæ , & alia figa
na in infantibus impreſſa conlpicimus, Lingmultæ ex leporum obeutu fætuse- ,
dunt ſciſſolabello,aliæ fimis naribus,ore diftorto , vultumonftruofo ,labris
turpè prominentibus,corporedifformi,ocu- , liſq; horrendis infantes genérant :
quia conceptus , vel grauidationis tempore, turpia,monſtruoſa,& horribilia
fixa co gitatione excogitarunt-Fæminisidcirce, præſertim
nuptis,pulchrasimaginesda mihaberecófulerem ,atq;à turpibus av effe ,ne pręuia
imaginatione fætus mó. Atruoſos, turpefá; concipiant. Veteres, Climaftericos
annos admodum ti muiffe . 1 A mationis apud Aſtronomos exi ſtunt &re vera
videtur in quolibet anni feptenario quædam hominis mutation deò quod , ficuti
in morbis dies criticos timemus,ita in vita hominum annosClin mactericos,qui à
multis ſcalares dicun tui, quòd gradatim eueniant.Sunthi an ni,
7.14.21.28.35.42.49.56.63.70.77.81 91.Inte hos annos 49.63. magis periculosos
credunt; quiaconſtant è feptenario , duplici, &nouenario complicato,obfero
uatumq; àgrauibus auctoribusreperio , maioremhominum partem io anno 63.
moricontingere.Idcirco hos veteres ada modumpertinebant,& , vt capiturin
Gellio lib . Auguftus itaſcripfit ad Ça ium nepotem :Spero te lætum , &bene
uolum celebraffe , quartum & fexagefi mumannum natalem meum :nam ,vt vi des,Elimactericum
communem fenio rum omnium , tertium & 'fexageſimum annum euafimus. Dehis
tractatum edi dit Iofephus de Roſsi à Sulmona vtilem &jucundum .
fMundiprimordiisinter homines, es ferpema tes antiparhiaminfurrexiffe.
IRRreconciliabile odium eft, quod inter homines,& ferpérescadit,adeò, quòd
expauefcit homo fi ferpentem inuenit, antvidet;magis autem fæmina : fiquidé
obſeruatum audio gravidam mulierem ( vifo ferpéte )præ timore abortire.Hu . ius
difcordia illa ratio potiſsima eft quodàmundiprimordijs ínterkanc, & QUnca Semuan
-illum Gt ſtatuta inimicitia, & irreparaa bile odium , quo altera-, alteram
fpecia em inſequatur. Carolum V I. Francorum Regem , Ceruum 4 latumpro
infigniprimò habuiße. Iluanettum Rex Carolus venandi cauſa fe contulerat ,
canum latratibus excitatusin fugam Ceruus, æneam tore. quem collogerere
viſuseſt, quem vena bulis,aut ferro appeti Rex prohibens,in calles, & retia
compellit.Erarin torque latinis litteris infcriptum :HocmeCçſar donauit.
Exeotempore Caroluserua alatum pro inſigni habuit ; &alii,regibus inſignijs
( quęlilijsaurcis tribus conftát) circa latera, Ceruos duos apponere con
fueuerunt. Gaguilis in vita Carol . V I. HANC. Reg . Insaanimantia confenfum ,
&difcas diane ineffe. Vllidubium inter animantia fym pathiam , &
antipathiam efle inter trpiantes ſubditur: fiquidem muſtelam miro eiulatu in
bufonis os deuorandam inueherelegimus; & bufonern in ferpen Npathi Lisa I
tis,botræ vocati, os ingredi.Inſuperci cutam , fturno eſle cibum ; homini vero
venenum in dies obſeruamus: atqueveo Fatrum cotumices nutrire , hominem autem
lædere non eft ambiguum . Senaterem quendam , exconiuge liberos ſur dos,
&mutosfufcepiffe omnes. nature . omnesex , &mutos ſuſcipi,itaequidem à
Fernelio obferuatum eft in quodā Senatore.Cre didit Ambianus huius reiobfcuram
, & cæcam eſſe rationem , mihi autem altera fubeft, quæa Phyficis minimè
differt: fi quidem auditio grauis , atque ſurditas quæ à natalibus viſa fit à
conformatio nis vitio exoriens , hæreditarios mor bosgenerare creditur, &
perinde libe ros, exhuiuſmodivitioſis,ſurdos, &muin tos excitari:fæpè autem
non in filiis,ſed ! in nepotibus hæclues oriri videtur. Apud Garamantes.
mirabilem fonterros obferuari, Dmiranda profe& ò, eft fontis il.com
ARJiusproprietas, quiin oppido Der 1 bris apud Garamantes reperitur. Hices nim
die friget, no&c verò æftuat; adeò quòd memoratu incredibile videtur,
quomodoin tambreui temporis fpatio tantam natura ſui faciat varietatem .
Equidem , quinoéte fontem afpicit , ibi flammasignefqueæternos exiſtere cres
dit :quiautem die hyemales ſpectat: fca. tebras, vtique fontem perpetuò rigere
exiſtimat. Propterea Debris apud mudi nationes inclyta eſt : eius enim aqua
qualitatem excæleſti vertigine,mutare confpiciuntur.Ex Solino. Quo artificio
Caminus per ſuperiorem "api cem ſolum fumum emittere valeat. N Caminorum
fru & ura ,.non modi aim tufferimus laboris , ne ignis fi molimtesin nos
ipfos erumpant: fiqu. dem in ventorum mutationc facile fit, vt fumi quandoque
potius defcendant; quàmadapicem aſcendant : ventorum enimvisillos deprimit , deſcenderequc
percaminum cogit. Egotale ad fumi ferlum impulfionem excogitaui artif . simm
.Struktur Caminus, cuiusfuperius fafti . zor faftigiu rotundú fit ,ibique
foramen la pidibus fi &tilibus conſtructum fit : mox ahenum inſtar tympani
ex-ære, in cuius latere feneſtella extracta ſit, fuper lapi des affigito:
ftylifớ ferreisfubcingito; ita tamen ,ve intus vagari, mouerique
commodèpoſsitapta demum fuper fer reos ftylos , & lebeten?' ex ære infuper
vexillum,quod feneftellam fubiec dia recto habeat,taliq ;induſtria ,vtin quo
libet vexilli motu, moueatur , & calda riumin gyrum ,ita profe & ò è
feneſtella , ventis oppofita,fumuserumpet, & non deſcendet.Pleriq;, vt
fpero, huit noftro fcruinio ,ineliorem addent Atructuram . meamque opinionem
noníſpernent. Adconftruendum celerrime Horologium muncrabile in paritte.
Ncoritruendis, pingendiſque ſolari , bus Horvlogiis, non modo lintā me ridianam
,opuseft imienire, vthorarum tempus fidele reperiamus, rerum atque Ortum ,
& Occalum , Borcam , &All ftrum cum Aquinoctia, & Solftitia: in
is.n. Solarismotusquarnaxime variat. N 7 Ego quidem , vt labores fugiamus, tale
excogitaui artificium .Globum planum . extabula lignea formato in cuius medio
ftylus ferreus ſitus fit;diuidito mox glo. bum lineis,ex centro ad extremum du
cendo illius in 24,portiones, demumin globiapice horas ſignato , &vltimo in
patiete contra Solis radios affigito. Vt auté ex Solaribus vmbris diei , horas
ve nari poſsis,Horologium portatile afpici. conglobumý; ad horam illam accommo.
dato :ita profectò ,abfq;alio auxilio , ce ferrimèHorologiumvmbratile in pari
cre habebis.In Aequinoctijs, & Solftitijs 1 eodem portatilis
Horologijauxilio ,fa. cillimè ad horarum æqualitatem globů reducere poterimus.
Infancium pir uitam , è capitefluerem , quo artificio Chartaginenſes fiftere
procurandTing, Xinfantium pituita , in capiteredú . dante,plerique fuecedunt
morbi in . ter alios , morbus comitialis exoritur, qui à multis puerilis
vocatur, quòd ijs,ve plurinum ,eueniat .. Vt autem infantes ab huiuſmodi
pręſèruarent Pæni, illorú vedas capitis lana ſuecida inurere ,pitu. itainý;
fuentem hoc præfidio compefa cere conſueuerunt. Athiopes infantes te ditos,ab
ipſo quoq; natali die ,in fronte adurút,ita profe & ò tumcapitis, tumo
culorü humorfiftitur. Apud Inſubress. ex teſtimonio Mercurialis, &
pleroſque populos,veícribit Scipio Mercurius ,l ditos infantes fetonein collo
muniunt, quod falutáre experti funt aduerſus mor . bos,qui à capite Huunt,
Inmise rasis pluuie,quapotiora ixdiceniny præfagia. pluuiam imminentem ,tum ex
Gallo rum cantu intempeſtiuo,tum ex fre quenti cornicis crocitarione multi præ
dicunt.Hisautem addendum puto muf cas( ca imminente)pulice's , pleraqzani
malcula à furore vexari, intentula;mer il dere :hæc enini à vaporum inaerem ctc
. rationc à radijs falar bus perturbantur. Infuper ( pluuia imminente )odoris
fra . grátia in floribus sétitur;apes ad alueária - sedcut;bufones,
vermeſi;èterraakédut 304 BARICELLI Brina vifa eft per dies præcedentes; catti
manibus caput, quafi linientes , compri munt; ouescapitacommotient:afini hu
miles habent aures; ftercora fumát, ma legue olent.Horum omniumratio , va
poresàSole exhumidisfublatifunt:pro. inde animalia,cerebra humida habentia,
nonnulla magis extorquentur. Vinum à Verrribus fuiffe mulieribus inter di&
um . Agna fuitVeterum à vinivfuab . Itinentia :illudautem adeò muli. eribus
erat interdi & um ,vtcapitale iudi. cium inirct,quæ vinum biberet. Porrò
inoleuit confuetudo,vtcognati, & affi. mes, mulieres ofcularentur, ore
explo rantes , an ex vinum bibiffent. Idem ve fusMafsilienfibus, Mileliis ,
pluribus ; Græcorum , &Barbarorum gentibusin ,. valuit, apud quos
muliereshydropota , & viri erant abftemiz: Intermemoran da illor um
temporum ,EgnatiusMetel fus, vxorem , quod vinum biberet,fufte necafe dicitur.
Quo artifii io è plumbo Antimonii flores ex Habere paleamase Ape nij, fiue
Stibinon femel extrahere Periam artem,qua flores Antimo à plumbo valui, quo
præſidioin multis corporis affe & ionibus feliciſsimo euétu voor.Capito
Plumbicampanam , è qua aromatarij rofarum aquam ftillatitiam extrahunt; hæc
habet æris fundum : tu verò txargilla eligito ,quodacerrimoa etto fupra
medietatem implendum con fuilo ,eaq; induſtria ,qua rofæ ftillantur, in aceti
deftillatione carbonibus bene ignitisagendum cít:caue tamen , ne totus fillet
acetum , ne aqua extracta vftioné fentiat.Hæcaqua auri colore eft, fapore xerò
facchari, & mellis; mirabilis tamen tum in potu , tum extrinfecè vfurpata ,
ob ftib j flores ex plumbo extre & os. vomitu , & aluo purgat, ob id
frigidis affectionibus ,obſtructionibusý; vtiliſ. fima' : In vlceribus putridis
, fætidis acoribus, ſcabie, herpere exedente , & aliis huiuſmodi,maximi eſt
valoris.Doe ſis in potu ſît vnc.ij. Deforisad placitū. Clarorum virorum exitum
aliquot inte felicem fuiffe Aniene fluuio Aeneas poft tot vi. & orias,
torque clara facinora periiffe dicitur: nec diſsimilisRomulo , Cæfari,
Alexandro,Annibali ,Scipioni, Iugur thæ ,Mithridati , atque alijs innumeris
mors ſucceſsit :per quàm n. pauci viriex iis, qui clari,atque illuſtres tum
virturi bus, tum fortuna habiti funt, quos non infælix exitus,tanq : á pro
exemolo ,fós offentäuérit porterial text caligero. Defipientiam , mulierum
natuefamiliarem indicati. MVlieres vtero gerèntes,fiàphrenia tide
capiuntur,Galeni teftimonio , rarò confanefcere legimus , vt fcribit tamen
Cælius Aur.femper minus graui ter,minuſquc periculosè, quam viri,mu lieres
ægrotant.Hoc autem , vt Merci. sialis opinatur,ab alia ratione continge re non
poteft, quam ab ipfarum natura, cuius familiarius eft defipere,quam viri.
Mirabile Annibalis, contra Romanos nauala fratagemia. Nfolita ,& mirabilis
Annibalis milita Eisafutia contra Romanos iudicarur: hic enim bello naturali
cum iis dimica . curus, cum impares vires habere anim aduerteret,rale
ſtratagema inuenit. Ser pentibus, quorumvenenumconfeftim enecat,pleraſq;ollas
impleuit,opertasq ; repente in hoftes iaculatus cít, quorum ictibus plurimi
cecidere.Hifceftratage matibus vir hic tanquam alter ſerperis, multoties
hoftium manus effugere con fucuit.Ex Gdenoin lib.de tbet.Akrijon Ambarum cum
vino alicui exbibitum , cena feftiminducere ebrietaisn . Mbarum , quod à vulgo
Ambrageye ſea vocatur,fomiſsisatiopam falfos opinionib & bituminofis
fontibus,qui in maris profunditate exiftunt, oritur, Hocautem primòliquidum eft
,cùm ve rò aquarum impetu ſurfum rapitur , ex aerisfrigiditatecondenſatur ,
& Amban rum fir:Siquidem in maris concauo, ple raq; mollia,teneraque
obfèruantur, & interalia Coralliú , quod ex aqua exea ptum , citiſsimè
lapideſeit. In Ambaro illud mirabileiudicatur, quod ab alique antequam vinum
hauriat,odoratum , ina sttar ebrii eladat : cum vinoa, propina tū ,confeſtim
notabiléinducere ebrieta tem multis experimentis eft comproba. tum. Ex Simeone
Sethi Greco auctore. oleam Lathyris Tympaniam , Colicas , affe& iones
mirabiliter ſanare. Irabile quidem ,quod è Cataputię -ſeminibus extrahitur,
oleum eft , quippein expellendismorbis,qui à filao tu luccile;frigidis
oriuntur, principem habet locum.Contundantur huius ſemi na, atq; in aquatam
diùebulliant,vt ex cocta videantur;mox oleum in aqua fu pernatans cochleari
colligendúeft. Mos eft apudIndos tale oleum cómodius per decoctionem, quàm
expreſsionem cola ligere.Vfurpaturhocfeliciſsimofuccef. fuin Tympania ,colicis,
iliaciſq;dolori . bus,ftomachiaffe & ione,aurium furdita te,atq, in iis
morbis,qui à ſuccis frigidis, fatua;fiunt. Huius gutta aliquo lique re in potu
ſumpta aquam citrinam euan euat,in articulorumq; doloribus pitui tam ,
humoreſque frigidos. Extrinfecè vfurpatur in omni Hydropis ſpecie : vbi
HORTVLVS GENIALIS 309 vbi tamen flatuofitas viget , maximam in expellenda
proprietatem habere vi detur. Ex Don Garzia ab Horto. Verenum à diſsimili
extingui; à fimili vero angeri. Hocpropriumelle veneni,àfapien Lrioribus
proditur, à diſsimili ex. tingui, & a ſimili augeri, & robuſtius fi
erizea propter non femel à perfidisho minibus exhibita venena nullius valo
risfuifleobſeruatum eft,cùmeadiſsimi libusfuerint fociata. Aconitú , &
Napel lus miram retinent vim necandi, com pefcitur accamen corum potentia à ve
neno diſsimili, ex quorum diſsimilitu dine,vtriuſq;vis hebetatur.Mira eftAu.
fonii hiſtoria de vxore mæcha, quzma rito venenum propinauerat, vt a. illud
robuftius effet, Hydrargyrum miſcuit ex quo toxici virtusdempta eft , & vir
immunis euafit. Hoc epigrammate ille monftrat; Texica Zelotypadedit vxor mecha
marito, Necfatis ad mortem , credidit effe datum : Miſcuit HA Mifcuit agente lethaliapandera viui,
Cogeret vt celerem visgemindanecem . Digid at ber fiquis faciunt difiseta
venenü; Ansideram fumet,quiſociala bibet. Ergo inter fefe dum noxia pocula cortant,
Cele lethalisnoxafalurifora Protinus,Go Vacuos duipetiêre receffiua, Lubrica
deie& is,quaria nota cibis. Quanpia cura Deumprodeft crudelier vxor, Elçüm
fata voluns,bina venena juuans. Cornelij Celfy de valetudine fanorum bomsi num
conferuandatutißimapræcepta . Nter grauiſsimosmedicos,& fcripto res,nemo
eft,qui in conſeruáda fano rum hominú fanitate oculatior exiſtat. Afferă
ciusverba ', ytfaluberrima iſtius præcepta rectius intelligantur.Sanus ho
mo,qui,&bene valet, & ſuæ (pontis eft, nullis obligare fe legibusdebet
, ac neq; medico,ncq; dcalipta egere.Húcoportet varium habere vitæ genus , modo
ruri eſſe,modòin vrbe,fæpiuſý; in agro : na uigare, venari,quiefcere interdum :
fed frequentius fe exercere.Siquidé ignauia corpus hebetat labor firmat; illa
matură lepc ſenectute,hic longăadoleſcentiá reddir. Prodefteciâincerdúbalnco
interdú ,aquis frigidisyti;modòvngi,modòipsú negli gere:nullú cibigenus
fugere,quopopu. lus-vtatur:interdú in cóuiuio eſie, inter. dum ab eo ſe
retrahere:modò plus iufto, modò no ampliusaffumere:bis die poti us quàm femel
cibú capere , & fèper quá plurimum ,dummodo hunc concoquat. Secl vt
huiusgenerisexercitationes cibi queneceſſarij ſunt;ficathletici, ſuperua. cui.
Nam , & intermiſſus propter ciui. les aliquas neceſsitates ordo exercitati.
onis,corpusaffligit, & ea corpora , quæ more eorum repleta funt,celerrimè ,
& fenelcunt, & ægrotant. Hæc firmis ſer : uapda fune ,cauendumquene
inſecunda valecudine , aduerfæ præſidia cenſum mantur.Ex lib.i. Socrati à
familiariDeironcde Plasonis indole Somnium fuiffe immiſſum. Solene
quandoq;malifpiritus homi nibus fomnia ingerere futurarum re rú , vel Dei
permiflione, vel vt nos ipfos dedecipiant. Hinc Socratem legimus, vidiffe per
ſomnium ,oloris pullum ſibi in gremio plumefcere , qui continuò exorcispennis
& expanfisalis, in altum aduolans , fua tiſsimos cantus edebat. Poftridie
Pla tone adducto, hic eft ( inquit ) Cygnus, quem ego præterita nocte cam
fuauiter canentem fomno videram . Hocfomnium , ve fcribit Henricus de Aſsia , à
fpirira fa. I miliari , ſub forma Cygni, quem Athe nienſesVeneri dicarunt ,
fuit immiſsum Socrati, vt Platonem in diſciplinam re ceperit ' , à quo , quum
ipſe uilil ſcrie ptum reliquerit , dulciſsimi ipfius & Caluberrimai
fermones proderentur, Magia ſeu inc antatianis ris . Onmeras eſſe præftigias,
quæ magica ? arte efficiuntur ; multis exemplis notum eft , fed vno in primis ,
quod deſcribere vifum eft. Rufticus quidam magnis doloribus ventriculi vexaba
tur :: quos etfi variis, medicameutis depellere cogar zur illi tamen non 1 ceffarunt
, fed potius in dies recrudeſcere vifi funt. Quare agricola doloruin impati ens
, cultello ſibi guttur abfcidit. Dum au tem tertio die mortuus ad fepulchrum ef
ferretur, à duobus chirurgisin magna ho. minum frequentia, illius ventriculus iraci.
fus eſt. In ee ( res mira , & prodigiofa ) lignum teres, & oblongum
,quatuor excha. lybe cultri , partim acuti , partim ferræ in . ftar dentari, ac
duo ferramenta aſpera re . perta fuerunt:quorum fingulaſpithamęlos gitudinem
excedebant. Aderat, &capillo. rum inuolucrum globi inftar. Credibileen
fanè, hęcin ventriculi cauitate congeſta fu iffe, non alia arte, quàm Dæmonis
aftu ,& dolo. Quo artificio epiftolam , in ouo celatam alicui afcribere
valeamus Nter ſcripturarum furtiuarum arcana non infinum locum tenere exiftimo
, in ouo epiftolam celare , atq; amico ſcribere, Videbis enim oui putamen
illæſum , mun . dung; illo tamen exempto, difruptos; cha paeteres apparebunt.
Aperiam ſecretum . S ? Atramento, ex gallis, alumine &aceto con. fecto , in
ouicortice literas ſignabis, votum pffequeris. Has oportet in Sole calente ex
ccare , mox ouum in muria concoquere ita enim à cortice characteres euaneſcune,
& ad interna gradiuntur:ſiquidem putami. ne exempto, notæ oui durato
albumine in ueniunturEx.Carolo Stephano. In aquafrigida captanda maximum
veterum fuiffeftudium . Aximam antiqui curam adhibebát, vt aquam frigidam pro
ætatis in. cendio temperando conferuarent: quareex niuibus eam parabant , vt
Athenæusretulit . Dequa re perbellè loquebacur Seneca , & panas montium in
voluptates transferunt, Alexandrini aquam Soletepentem , in fene ftris ad
ventorum incurfus exponebant , vt poctu frigeſceret;manè autem inte Solis or
ruin hani ponebant , folijſque lactucæ , ac que pampinis iniectis frigidam
tuebantur. HocGalen.parrat.6 . Epidemior. Plasarchu: 6.Sympus cotibus &
filicibus aquæ inietti hoc fieri fcripfit. Neronis autem in re har ftudium
nobiliſsimum fuiffe proditur: ise genim , vtninis voluptate, ablque njuisia
iniuria fruererur , feruentem aquam vitro immifiam in niues refrige
jarimandabat:Ex Heur nie. Ecua Fæminas in prima menftruorum eruptione in
Venerem maximè incitari. e Erunpune,fceminis bera exurgunt:Pana guis
ille,inftar occifi animalis videtur, atq ; in maiori copia erumpit , cùm vbera
ad du os digitos prominent, que tempore puella rum vocem in grauiorem mutari
confpici. mus, Illud autem maximè adnotandum eft , in prima menſtruorum
eruptione puellas in pudendis,valida tentigine, prurituque core ripi,ex quo ad
Venerem incitantur : quare per tempus illud cautè cuſtodiri exiſtimo. Ex
Arift.7.de Hift.anim . Qua induſtria Aegypti lapides à vefica,abfiga incifione
extrahant. Irabile quidem eſt Aegyptiorum ftudium in extrahendo lapide à ve
fica abſque inciſione, quando noftrates me dici, lapidarij ſine illa facerenequeant
, idque cum magno languentium vicę periculo. Hiligneam cannulam accipiunt ,
octo di . gitorum longitudine, & digiti pollicis latia tudine in opere
abfoluendo. Hanc colisca nali admouent, fortiterque infufflant;neau . tem
flatus ad interioraperueniat , extre . mū pudendimánu altera perftringunt , fo
. samen deinde cannulæ claudunt , vt virga 0 % cabang M N eagalisiotumeſcat,
latiorq ; fiar. Quo facto miniſter digitoin ano pofito, lapidem pau Jatim ad
canalem virgæ, atq; in eius vasex tremun deducit. Quivbipræputio lapidem
appropinquare ſentit,cannulam à virgæ ca nali fortiter, impetug; amouet, &
lapis ex . trahitur. Ex Alpino. Mult a praſidia ab animalibus, bomines
accepiffe. On pauca equidem præſidia funt, quæ ad hominum tutelam ab animalibus
accepta ſunt. Chelidoniæenim virtutein ad oculorum morbos ab Hirundine accepi .
mus, quæ hanc conquirit herbam ,vt furorú filiorum oculos, vel vitiatos,
vel.cæcos cu rer, Fæoiculi virtutem ad eandep tutelam ab'anguibus didicimus, Ab
Ibide, quæ in ftar Ciconię auis eft, clyftris vſum habui mus: nam & illa
roftre marinamaquam al lumere folet, illoſ; pro clyfteri vtitur, vt ventrem
nimis onuftum exonerare valeat. Inſuper marinus equus, Hyppopot mus di etus,
venarum fectionein nos docuit: illef . quidem mala oppreffus -valetudine, ad re
center fuccifas arundines graditur , acutio . riſ ;cuſpidefanguinem è cryrjuin
venis adi mit. Quod autem in hocmirabile eft, vela guinem cohibeat, in fimo,
vel cono volutatur , & ica vitam tuetur, & fanguinem fim ftit. Ex
Plinio, alis. Equorum teft :cilos ad ſecundas depellendas miram babere pirt
utern . Ingularis profecto Equi teſticulorum ad nulierum fecundasdepellendas
eft pro prietas, adeò, quod teftatur Genſerus in e pift. Rufticum quendam ,
quinquaginta in puerperis feliciter hoc vſum fuiſſe reme dio . Vfus eit &
Horatius Augerius in plu. ribus mirabili euentu: præſtantiſsimuin id circo à
grauibus auctoribus indicatur re ne diun),nam , & pluribusiam deploratis
pro fuit.Capiunturteſticuli equ: caftrati ,& tria ftillatim conciſi in forno
exiccantur, quorü puluis quantum capitur tribusdigitis è jure bibendas datur in
neceſsitate; idé; fi opus eit, bis, auc ter reperitur. Humanam faliuam
Scorpiones interimere. Ominum faliua Scorpionibus infe ttiſsimum venenum eít,
adeò quòd ca tacti confeftim intereanc . Porrò ijs, ſaliua fora ſubſtancia
aduerfaelt, ve Galenus lib.io fimp, medic. experimento confeffus eft; ist . nim
à fola faliua morientem vidit Scorpio. nem, id ; celeriter patientem à faliua
elue riencium , aut fit jentium ; tard autem ab 3 illis,qui cibo, potuque
fuerant impleti,ina. liis autem proportione, Apium riſus,bominesridendo
interfi. cere. Scelerata eft herba quæ Apiamrifusdicia cur, quod ridendo
homines interficiar: fi quis enim gnftauerit ieiunus vtique ridendo
exanimabitur, vt Apuleiusteftatus eft : Ex hacillud adagium ortum habuit
:Sardonius siſus; nam & Sardonia eriam vocatur.Porrò on ex rifu , qui hác
guftauerint, moriuntur fed potius ,vt placet Saluſtio neruos labio rum , &
orismuſculosillius, qui eam come dit, contrahere facit,adeò , vtridendo mori
videatur. Qua induſtria Partbi, Scytheque Sagittarum aciem venenajunt:
AR'thorum , Scytarumque toxicum , quo fagicrarum acies inungi folebant , humano
fanguine, & viperinaſanie confta bat , tantæquc feritatis erat hoc venenum
, ve leui tactu animal interimerer , Equidem Scythæ viperas recenter enixas
venantur , eaſque diesal.quoccontabelcere finunt, do necip fapien putre.cane,
mox com visus hominis fanguine in ollam effuſo , eam ex quifite coopertam ;
fimoque obrutam com putrefcere finunt , cuius demum .1 . ick or fan . PAT
fanguini ſupernatans, fiue ferum cuni vipe rarum faniecommixtum lethale
Scytharum toxicum eft. Ex Arift. Plinio, & Langio. Succinumpterogerentibus
exbibitum , mire partum accelerare. Mvicis experimentis comprobariaudio
ſuccinum parturientibus drach. ſemis pondere ex vipo albo potui dátum, mirè par
tuin accelerare. Hoc eriam facit eius oleum , fi gutta tantum ex aqua verbenæ
parturienti propinatur.Quidātamen medicusHetrufcus (Fallopii teftimonio
)exhibebatfcrup.i.bora• cis in decoctomatricariæ , velfabinæ diffolu tæ
difficulter parientib.mirag; faciebat: bre ui enim temporis fpatio feetus,vel
viuus,vel mortuns egrediebatur. Habebat ille medi euis pro arcano
præftantiſsimum hoc auxili um tamen neſcio quomodo postea fuerit de fetum . Ex
Andernaco Serpentum oua genituramí per imprudētiam in petu haufta,ſerpentesin
corpe ribus procreare: Dmiranda fuccedunt quandoq; fym dem imprudenter cum ea
femina , vel ova ſerpentú hauriuntur, è quibus moxſerpentes generantur. Genſerus
in lib 2. hift animal cap, de Ranis Rubetis, bufones in ventriculis in
reftinifq; hominum haufta eorum genitura, fieri, &nutriri probauit. Iacobus
Manlius, in lib.experim.in cuiuſdam equitis, exhau * Ita cuiufdam lacunæ aqua,
vbi erantſemina Serpentum , in ventriculo plures angues fu . iflegenicos
prodidit: quibus per internalla extractis, medicorum auxiliis, fanus factus
eft. Leuinus Lemnius Vermiculos cauda tos , atg; infolita forma beſtiolas
vomitu ciectas nouit. In nonnullis lacertas à phar . maco fuifle eductas
obferuatum eft, vt Gé. maCoſmocrit vidit. Quare maxima in a quæ potu hominibus
opus eſt animaduerfi . one huiufinodi exhanftis, pernicies corpo . Tis
conſequatur. In deſperato coli dolore Hydrargyruin, v4. glandem
plumbeamexbibitam , multos confanaffe. Irabile videtur, Hydrargyrum ,quod à
mulis venenum reputatur, in der. peraro coli'dolore exhibitum , plurimun
prodell:. Equidem Marianus Sanctus , ex multorum confilio , qui ab hoc lethali
mor bo fanati fint, fuadet, fi obstructio perfeue rauerit, & fæces per os
extrudantur , hau fire cum aqua fola argenti viui libras tres, Probat hic
exratione vinetuin feu duplicatű inteltinum Hydrargyri pondere explicari, fæces
detrudi,vermelý; fi ibi fuerint interi . mi , &ægrum liberari . Haud ab hoc
difsi mili auxilio quidam nobilis , poft alia ten tata ad morbi huiuſinodi
acerbita tem ma . chinamenta, liberatus eft. Hic hauftis olei amygdalarum
dulcium fine igne extraćti vnc. iij.cum vino albo, &aqua parietariæ mixcis,
mox deuorata glande pluoibea ar gento viuo illita , planè à colico cruciatit
euafit, illamque exano abſquelaborerede didjt. Ex Pareo lib. 16.
Infæniculorumfeminibus, vim quando que exitialem deliteſcere. Grauibus
ſcriptoribus comprobatur, ſerpentes fæniculorum elu , &fene ctam
exuere,&oculorum aciem rnonare. Hinc iis affricantur oculi anguium, vt vo .
tum affequantur, Ex attritu foeniculorum feminibus, praya quædam imprimitur qua
litas, è qua venenati producuntur vermi. culi,quorum eſu multi in peſsima
deuene . runt ſymptomata, &ab alexiteriis rarò ad iusj funt, tanta huius
veneni potentia eft. Quare foeniculorum ymbelli,antequam co. medantur,
aperiantur, & diligenter concu, tjantur, vtå vermibus emundentur. Præ, OS
Habis A A ſtabit al quantifper in frigida macerare. Ex Balthajaro Pifanello,
Noua admirandag; prafidia, ad Ang i nam , gutturules apoflemata. Fferanı
fingularia auxilia, è quibus ex grauiſsimis fcriptoribus, ad anginam &
gutturis apoſtemata mirabilia contigiffe proditur.Lignum hederæ ad gutturis
apoſte . mata à proprietate valere fcribit Ioannes Marquardus: quippe
obſeruatum eft , come dentem excochlearihederæ ligneo, fiue bi. bencem in
aliquo ipfius vafe ligneo, num quam, vel raro in gutturis , vel vuulæ apo .
temaińcurrere, Rubeta cocta , &pro em plaftroSynachicis impoſita,cófefim
liberat. Vermes.quandog, in cordis capſula pro creari , è quibus mors ſubitanea
pleriſqueexoritur. Abulofum haud eft, vermes in cordege : nerari. Hoc enim
Melues docet , Holle rius, Marth . Cornax , Alexius Pedemonta . nus, & alij
loan , Hebenftrit, in lib . de Pette, Principem quendam ex morbi fæuitia peri
iffe narrar, cuius cadauere diffecto , vermis albus præacito roſtello , eoq;
corneo præ. ditus, cordi adhęreſcere deprehenfus eft . Exmedicis, ſucco alii
feram hanc, tanquain ex indubitato remedio, interimi probatü eft . Petrus
Sphererius ( vt ScheukinsBarratti lem
fiorentinum morte fubitanea correpti, atq; diſſecatum obferuauit, in cuius
cordis caplula vermis viuus repertus fuit. Aiunt multi certiſsimo
experimenco-ficco allii,ra phani , & nafturtii hos vermes pecari, qui, ex
teſtimonio Pedemontani, in corde deli teſcentes,ſyncopim , Epilepfian , &
mortem inferre folent. Mares pleroſque in mamillis, mulierum instar, lac
producere. Icet marium mamillæ fpiffa carne in fuiffe productum obferuatum eft.
Nouit hoc Arift. vtlib . 1. dehiſt. animal. docuit. Veſali us non femel id
confpexiffe in 1: 4. 15. Anat. commemorat, & Hieronymus Eugubius in libell,
de lacte: fic & Cardanus,lib. 1. de Sub til. qui ianuæ vidit Antonium
Denzium , è cuius mamillis lactis tantum profluebat , vt infantem fernè lactàre
potuiffet. At hifto ria, quæ affertur ab Alex. Benedicto mira. bilis eft :
aitenim , Syrum quendam ,mortua coniuge, è qua infans ſupererar, ybera filio
admouiffe, ècuius ſuctu tanta lactiscopia i pupillam manauit, vt exinde loco
matris nn trire valuerit. Ego quidem in duobus filiis meis, in primis diebus à
partu obferuaui, ab obftetrice.mamillas cofrectatas, lacimpulſo (magno multorum
ftupore) emififfe: idậ; in aliis etiam infantibus contpexi, Lumbricosquandoque
tantaprocreari pi Tulentia , vt interior a corporis perfurare valeant. Nfanda
equidé fymptomata à vermibus aliquando proueniunt: refert enim Om bibonus, lib.
4. de morb. infant. Lumbricos ex vmbilico cuiuſdam erupiffe. Tralliani
teſtimonio habemus, hæc animalia ob ali menti inopiam inteftina laceraffe ,
fuiffe ob ſeruatum . Id etiam ab Aegineta confirma tur : jofuper Hollerius
confpexit , vermes per inguina, & vmbilicum prorupifle. Ma . gna igitur
cura opus eſt in horum redua dantia, ne interioracorporis valeant lace fare , A
Infamis vmbilicam , & Ceruinumpenem mirabiliter conceptumfacere. Lexander
Benedictus, 1.30. de curand. morbis,vmbilicü infantis, qui fponte caditquoquo ,
modo in ciboſumprú, fiigno rauerit mulier,adconceptum facere , pro .
didit;illumg; in brachialibus à muliere ge ftacuin conceptum inhibere eredir.
Cerui. aum inſuper penena aridum , & in fari . namredactum , oboli pondere,
à coitu forminis datum ; procul dubio ad concipien . dum prodeffe experimento
probat, Baueri. us tamen conf: 50.vterum ceruinum fingu lari dote ad conceptum
valere prædicat, Vlmi vſum , recentem Elephantiafim curare fuiffe obferuatum .
Inquam certum remedium, Vimi vfus in curanda recenti Elephantiaſi à laco. bo
Douinero , lib.Tic.7 . prædicatur. Vidit enim adoleſcentem tali affetu
laboranté, & decoctionis Vimi vſu ( factis faciendis ) conualuiffe . Ea
equidem pro omni potu vte barur in quolibet paſtu , cum pauco vino al. bo,
&cantiſudores mouebantur graueolen tes, vt vix illos cuftodes ferre
poffent. Ita viſcera purgabantur, &magaa yrinæ copia excernebatur, quibus
excretionibus fanus factus eft . Cyprinorum efum podagricis elle infeflum .
Vamuis inter piſces, Cyprinusnobi. lifsimus exiftimetur , cum optimum præbeat
nutrimentum , exquiſitiſsimigsexi Atat faporis; tamen podagricis infeftuin ef.
fe obferuatum eft. Nouit enim podagroſum Iulius Alexandrinus ( vt retulit lib .
15.6. 6.. de salubr. ) cui Cyprinorum efu pinguium, parata érat femper podagra,
ve in manu illi th effet, eo pacto accerfere, cùm vellet . G Puluere pellis
leporine, perniones à Sep tentrionalibusfanari. Laus, lib . 2. Rerum
Septentrionalium , , tilsimè perniones experiri fcripfit, qui mor bus, non
aliis ab iis fanatur remediis, quàm puluere pellis leporinæ. Plinius verò Rapú
domeſticum feruen's calcaneis impofitúla . nareretulit. Ego ex Carolo Séephano,
inlib. de Ragraria, in quodam expertus ſum reme dium , & bene fucceflit.
Accipit ille , ficos crematos, è quorum puluere, & cera yngné tum parat;hoc
pernionibus impofitum bre uiliberat patientes. Hydrargyrum loco amuletigeftatum
à pefte faſcinog corpora defendere. Arfilius Ficinus, & P. Droerus, in lib
. M , fienim auellana perforatur , &extracto in . teriori nucleocum
acicula, argento viuote pletur, & collo fuspenditur; mirum in mo dum à
peſte corpora tuta reddit: ira profe etò à peftifera lue fæniente fe
defenderuut multi. Hoc eriam præfidio mulieres lactan . tes, à faſcivatricibus,
ne lac fic ademptum, quo infantes alendi funt, præferuari poffe, i Thomas Iordanus,
in libe dePefte, prodidit. - Q " ppe multis experimentis obferuatum re ,
tulit (hoc fecum geſtao - ullas prorſus laga. ruin , lamiarú aut ftriguin
infidias lacrátibus nocere. CNICO Meſpili lignum ,collo appenfum grauidas ab
abo orth preferuare. Wm quadam æſtate apud D. Ioannem Nicolaumn Cucillum
Brancacium , mei amantifsimun, ytpuerum curarem interef ſem , fortè inter me ,
& Doininam D. Man. já Cotoneam e Toleris, eius vxorē, de abor tus
præſeruatione, tunc vtero gerentem , có : uentum est. Retulit domina hæc
Meſpili li gnum collo appenfum mirè ab abortu gra uidasdefendere;idq; millies à
fuis maiori bus foiffe expertum . Confiteor in plerifq ;, tale lignum fuifle à
me expertum , atq ;certú , & rarum remedium ſemper inueniffe fe: fi quidein
multæ aborrientes, & dolore , & fã . guinis fluxu ( appeofo ligno reſtrictæ
ſunt, &ab abortuſeruatæ , adeò quòdined parti cularem virtutem abortú
prohibendiinefile seor, Qua induftriabomines abſtemios reddere valeamus. Vleis
experimentis comprobatum re perio Anguillas, vel Mullos in vino M fuffo peri sfuffocatos
vini faftidium inducere : & enim ex eo bibant homines, procul dubio abfte
mii fiunt. Infuper philoſtratus in vita Apol loni , ona noćtuæ elxaca, &
infantibus pro cibo allata, hydropotos in tota vita illos reddere ſcripſit.
Mizaldus, Ragam viridem , ex iis, quæ in fontibus ſaliunt, viuam in vi. no
fuffocatam , idem efficere , fi tale vinum potetur, prodidit. Rotundam
Ariſtolochiam mirè piſces ftu pidos reddere. Ira eſt Ariſtolochiæ virtis in
piſces: ipfa enim illos odore ad fe al licit,moxftupidos reddit. Proprerea fi eius
radicem contritam , calciq; commiſtam , fiue eius decoctionem cum calce pacato
flumine aut maris littore piſcatores confpergent, piſces agminatim confluere
videbunt. Ili autem puluere deguftata, veluti examina ti ſupernatantes
capientur. Puellam veneno ab infantia nutritam , Alexandro ab Indorum Rege
fuiße miffam . Ndorum Rex Alexandri fortunæ inuidés, vt illum interimeret ,
miræ pulchritudi nis mifit puellam, ratus forfitan Alexandru confeftim cum ea
concubiturum. Illa au tem Nappelli veneno ferè à cunabulis erat educata ,
propterea more Serpentum ſcin tillances habebat oculos. Hos Ariftotelesar
piciens, caue tibi ab hac ( dixit ) 6 Alexan der; nam virus peftilentiſsimum
alit , vode tibi exitium paratur. Poft paucos dies pleri q; proci huius
commercio venenari periere ex quo Ariſtotelis praſagium mirabile fuit iudicatum
. Ex Auerroe. Quale fitigneum prafidium , quodin morbis ab Aegyptis, & *
Arab.bus vfurpatur. N lib . deMedicina Aegyptiorum prodi. dit Alpinus, quo
pacto illiin morbis cor . pora adurant. Accipiunteniin lineam peti . am cubiti
longitudine, latitudine verò tri um digitorum , quam ad formam pyramydis aptant
goſsipioque implent; ipfius latior pars, parti adurendæ applicatur, alterumg;
capuc accendunt, comburió; cam dia per miteant, ye faſciculus crematur.
Continuò ramen dum cutis vritur, ferro circumcirca accingunt carné,ne caloris
incendio aliqua oriatur inflammatio .Hocinfuperinuolucro parando obſeruant,
vein medio meatus ex iftar fafciculi: ita enim euentatio fue refa piratio
aliqua paratur, In vftione autem per aćta offium medulla in carneaduſta, quoad
eſchara cadat yantur.Hic vrendi modusAe. gyptiis & , Arabibus familiaris
eft. Olim in Creta familiasquaſdam mirè faſes: natricesadfuiffe A quoſdam , tum
fæminas in hiſce parti bus animalibus, pueriſque laudando faſci num attuliffe:
adeo quodij;fiad ouile, por cileque quodpiam adiuiffent,confeftim in teritum
pleriſque produxiffe: Quare mirum haud eft, quod legitur in Creta quaſdam fa.
milias adfuiffe, quæ laudando faſcinum is . ferebant. His profectonatura quædam
ferè venenofa efficitur, & ex oculis inde fpiritus efflant
venenatos,quibusanimalia ,pueri, & grandiores faſcino maculantur . Laudando
autem venenum promptiusoperatur : fiqui dem laus propria, gaudium affert, quo
cordis fpirituumque dilaratio oritur, & veneno . a ditus præparatur.Ex
Fracaſtorio - de fymp. sta Antypat.rer. Cyprint verticis oſsiculum mirabiliter
Epilep. ticisfubuenire. N Cyprini caluarix vertice quoddam re peritur ofsiculum
triangulare lapidisin ftar, quod in curanda Epilepſia ; principeng loců
obtinereaiunt. Táta enim efficacia epi lepticicis fubuenit, vt morbusis numquam
reuertatur,Hoc, vbifuturæ in vertice calua six Cyprinicômitrútur intus fubfiftit,prop
I cerea terea ſi illa capello penetratur, ſtacim fora profilit ,Andernacushoc
ofsiculum nummi Germanici cruciferi appellati,magnitudine exiſtere prodidit
,atque ſalutare eſſe Epilep fiæ remedium , Calphurnius Bestia Romanus qua pia
vxores dormientes interemerit. Nonnulliex veteribus in venenisnofçé & dili
gentiam inter alia Aconitum venenorus omnium elle ocyfsimam comprobarlot : fi
quidem tactis huiufinoti veneno genitali bus lexus faninini animaliuin , eodem
die mortem inferre viſiun eft.Hacvia Calphur nius beitia , veditaretur forſiçan
, vxores dor mientes interemit , de quo à M.Cæcilio ac cufatus eft.Hincilla
-atiox peroratio eius in digito mertuas. Confimili induftria Ladica laus
Neapolis Rex , cum cuiuſdam medici Prochytami filiam adamaret , cum eaque
concumberet , Florentinorum confilio ex cinctus eſt , AcetoStitillitieo
Bythagoram vitam longiſsi meproduxiße. Afecit:feripfit enim eius viulongāhonia
nes vitá conſequi, & vfquead eius extremum : finem permanere integrè, &
dextra valetu dine.lole cu quinquagefimum ageret awaum hoc remedio vfus eft &eius vfu ad centefi.
muum , & decimum ſeptimum productus et integer & nulla vnquam aduerfa
valetudine tentatus : cuius optimam facultatem admira. tus, confanguineis co
umuuicauit, vt illings vfum haberent. Oleiom lixiuio mixtum in lattis fpeciem
tran fire. ' rmè experimen : o oleum lixiuio mixtú, fi diuag retur,in lactis
ſpeciem tranfire, comprobatum eſt: eft enim lixiuium tenue, atque calidum
,oleum autem cum aêreum fit à lixiuio attenuatur, & proinde aerem con
cipit,ex qua albedoiunaſcitur. In aquis etis am, quæ diu agitantur,lactis
ſpecies quædam exoritur ex confimili induſtria. huius indi. In cium ſpuma eft,
quæ cun fic tenuis , aérem concipit , & dealbatur, Ex Cardano. Quainduftria
Scythe abſque cibo , potu per plures diesexiftant. Miraett herba Scythicæ operatio,
qua scythæ per plures diesfiue cibo , po - tuque viliere dicuntur. Hanc ij
circa Boeri. am inueniuntcreſcentem , & ad famem ficou timque tolerandam
vtuntur: fi quidem guftu dulcis, vt liquiritia eft , & in ore detenta fa
mis, fitifq; fenfum habetar, Idem apud cales C : Hippice præſtat, eò quòd hæc
planta equis confini HORTVLVSGENIALIS 333 confimilem generet effectum .
Aiuntmulci, Scythas his herbis duodesos eriam dies, fac mem, &ſicim non
ſentire.Ex Martbiolo. Catellos calorem natiuum augere , membros rumque dolores
conſopire. P Ro excitando nativo calore , membro . rumque cruciatibus
demulcendis, Carelo li præſtantiſsimi( Galeni teſtimonio ,7. Me thod
med.)exiſtimantur:illorun autem hu . ius naturæ haud omnes habentur, fed ijpræ
cipuè ,quibus pilus concolor eft . Propterea in Chiragra , podagra, & in
omni Arthri. tis fpecie cruciatus , quamlibet efferatos, parti affectæ
adhibitos s præſtantiſsime confopire àmalcis comprobatuni repe ris . plurima è
terra furſumtapi, iterumque deorfum cum pluuis pracips tari, Aximam
yellera,rang,vermiculi,lapil li,ligna,vabijgeneris frumentacealac, fanguis,
& id genus alia terræ permixta, quæ cum pluuijs quandoque præcipitari
afpici. mus, , nobis præftant admiracionem , adeo quod à cafu infolito plerique
perterriti, Cæli mipas metuunt; Celiat aixen admira. tio ,fi eorúcauſas
penfitamus:hæc enim pri mo 334 BARICELLI mò ventorum effluuijs, ventorumque
inipe tu terræ permixta furfum feruntur,mox cum pluuijs iterum deſcendunt.
Propterea nec ſemper mirum ,autinſolens à ſapientibusiu dicatur:
CorneliusGemma, inCoſmitriticaca 6.hæc caufas legitimas à coeleftibus Syzygi.
is habere prodidit: fed tamen eo vſque pro gredi ſoiere,cum fpecie fua, tum
magnitu dine,vt etiam in portentis principem inue niant locum, Cum Pſylis,
&Marfis, Serpentes haudbabere inimicitiam . M Irabile eft, Serpentes, quià
mundi pri uerfam ,inimicitiainque iniuere,cum - Pſyl lis, & Marfis nec
odium nec difconuenienti am retinere, Neceſſe ctenim elt, ve ijs aliqua miftio
non omnino contraria oriatur,auto dor , autaliud , è quo fpecies minus ingraca
videatur ; ita profecto inter homines ipſos. criam contingit: quandoque enim
fine cauſa nonnullos odimus,alios amamus,prout re sum.fpecies ad animam noſtram
perue. niunte, quibus conuenientiam , & diſconnenientiain capta mus. Ex
Fracastor rian - ) Oling HORTVLVSGENIALIS. 339 Olim vasta, ego robuſtafuifle
bominuincor pora . Vamuis Plinius,cæteriq ;ſcriptores, ho ninum corpora ,
robur, vitam ſemper imminui conquerantur;tamen olim Gigan ces extitiffe,
&vaſta hominum fuillecorpo . ra negandum non eft.D.Auguftinus lib.15.de
Ciuit.Dei.dentem gigantis in quodam flu mine inuentum fuiffe
prodidit,quiminutim diuiſus,centum ex noftris dentes ſuperabas. De Pailante
ſcribitur admirandum.Hic Ae neam contra Turnum Regem Rutilorum adiuuit ,
mortuustandem , & fepultus , vbi nunc Roma eft, ( reference Solino)Anno O.
atingefimo poft Chriftum Dominum dam quiædam ædificia Romefierentcafu in ſepul
chro quo arte mirabili cum lucerna ardenti códitus erat, inuétus eft, &
integer erectus altitudinem nuricapite excellebat.Quid de Aiace, & quid de
Turno ; & de ingenti ,faxo , quodvterque in hoftem conjecir , referatur
nouúhaud eſt.Quid tandem de Oreſte, filio Agamemnonis,cuiuscadauer oéto cub
tirá longitudinem excedebat, atque de alijs in numerisdicatur,apud fcriptores
reperitur. Idcirco præter ftirpem giganteam ,quæ poft diluuiumimminuca eft,
alia corpora vastitatem & robur maximum retinuiffe conce. dendum eft ; in
præfentiarum verò homi. num corpora huiuſmodi comparata , tam pufilla funt, vt
præ illis inania effe videan tur. Ex Helinando Chronographo. Equum Phaleris
accin&tum pulcbris, acri oremfieri. , chris ornantur phaleris, tum
acriores, tum pulchriores iudicentur. Eſt de his cla. rum exemplum de Bucephalo
Alexandri, qui phaleris accioétus Regijs neminem præter Alexandrum ( teftimonio
Aeliani) ad fe aſcendere paciebatur , & quoderat 18 illo mirabilius,
veaſcenſus facilior effet , demittebatur cum dominus equitare vole bat.Phaleris
autem remotis ,quilibet medi. aftinus aſcendere, &tractare poterat. Ego
quidem domimulam habeo ,cuius tanta eft ſagacitas,vt fi feruus meus ephipium
parat, habenafque illa humilis ,demiffa , & quafi gaudens
perfiſtic,viAernatur, hilariſque in . cedit, & acrior : fin autem
clitellas, calcitro fa, indomita, feraque confeftim fit , necta lem ſarcinam ,
niſi vinctis pedibus ferre ſu Atinet , adeò quòd feruus ab opere defiftere
cogitur. Exitiofißimum effe homini,ſub Lunaradijs ſomnum facere. Vnæproprium
eft,in hæc inferiora hu miditatem immittere: quare exitioſum elt,lub eius radijs
diu dormire; quippè dor mientes obleruatum eft ægrè excitari , atque proximos
infanis fieri, Lunæ vires in lignis, quæ ad ædificia colliguntur,potiſsimum ex
perimur:conciſa enim Luna creſcente , funt ferè emollira per humoris
conceptionem , idcirco tanquam inepta à fabricis reijciun rur. Agricola
'experimento cognouerunt, fruméta de agris in Lunæ diminutione colo lecta
diutius ficca permanere. Hæc à veterie bus Lucina vocabatur , & à
parturientibus inuocabatur : Lunæ enim diftendere rimas corporis,meatibuſgue
viam dare munus eft: propterea, tale ſydus partui ſalutare, illum.
queaccelerare putabant. Archelaum ,Mithridatispræfe&tum , ligneam turrim
incombuſtibilem confeiffe. Dmiranduin profectò iudicatum eft
AArchelai,Mithridatispræfe&ti,cótra Syllam commentum :hic enim turrim
ligue. ain iocombuſtibilem condidit,quam fruftra ille incendere conabatur. Erat
currista. bulata alumine collinita , in ijs autem cruſta durior erat obducta,
& alumen , plumbique albi 238 BARICELLI E albicineres pigmentis copioſè commifti:
quia induſtria ab igne feruata ſunt. Confio mili artificio ,Ceſar ex larigna
materia cir . ca Padum ,Caftellum etiarn conftruxit, Ex Lemnio. Viſcum
quercinum fola fufpenfioneEpilepti. cis fubuenire. X
grauibusfcriptoribusmultiorbicua losè viſco querciofola ſuſpenſione vulgari
filo transfixos idem præftare in 2 molienda,& præcauendaepilepfia tradunt,
quod peonię maſculæ radix ,aut ſmaragdus è collopendens efficere creditur,
Reculit Iacchinus in Epilepticerum curatione, fe mel ea ratione,qua ligno guaiaco
vtimur, Viſcum quercinum per dies 40. propinafre, & profuiffe quidem , non
tamen Worbum abituliffe,nequelicuilleiterum id temedij iofaciliori morbo
experiri. Isterbraſsicam o vites maxisnum ineſe dif fenfum . Focabilis equidem
difcordia inter braſsicam , & vites reperitur, propte reade Reruftica
fapientes fcriptores, VICCE à braſsica offendi, deterioreſque & fucco ,
&odore, fi ſecusplancatur, fieri prodidere. Experimento hoc comperitur:nam
gerinen ijspropius cu accellerit, auerſü ab inimico Notabilis compulſum odore
retrograditur. Infuper G inollam , vbi braſsica elixatur, vini vel mi nimum
conijcitur, quippe nec braſsica cona coqui vnquam poterit , & quod
mirabilius eft, colorem proprium amitter. Hacmotira tione ſapiéres,ebriis
braſsicæ ſucçú propinát, quo ebrietas ſubitò foluitur. Conuiuates pa riter, ne
à vini copia potenciaģ; offendantur ( Germanorum inftar ) braſsicam crudam
primò comedere debent : ita enim viruna ad ſatietatem , abfq; ebrietaris
periculo haua rire valebunt. Cati nigerrimiefum cerebrum , homines dementare,
Ericulofum eft , verſicoloris, &maximè nigerrimicati cerebrum alicui efirm
prz bere: ad iufaniam enim homines ducit, & quod peius, cerebri meatus
obftruit , ſpiri. Etuſý; impedit animales, Inter fcriptores Per trusApoinenfis,
huius efuadeò io ſanirehow' mines dixit,vt præftigiis quafiobnoxii videa antur.
Ponzertus pariter cati pilos venenoſos eſſe prodidit, citly; anhelitumfebrem
heoti cam induccre. Exbetulacorticibus, ardentesfaces comparari Etulæ cortices
non modò ignem confe. tim recipiunt, verùm atque flammam pariung Mha pariunt ardentem ; quo fit, vepleriq;
faces, pro noctis obſcuritate fuganda , ex iis com. ponaot, bene rati
lucidiorem has flammam , quãpini fædam parere: ex liquore autem picis inſtar,
qui dum vtuntur deftillat, oriri hociu dicatur , cuius natura cùm facile
accendatur, mirum haud eft: talem effectum producere. Hæmorrhoidalemn berbam
contactu Hamer rboides fünare. Ira eft Hæmorrhoidalis vis, & poté. tia in
perfanandis Hæmorrhoides: fi enimhuius radicibus, Hæmorrhoidales do lentes
tanguntur, atq; illæ per diem circa fe. mur ferantur , & mox in camino
fumanti ( afpendantur, procul dubio effectusfanatur: fiquidé Hæmorrhoides que
atq ; radices ex iccărur, fiaccelcıyor: qua caufa herba ab effe ctu nomen
deduxir, nec immeritò: namin iftarum infiammatione, &doloribus , fi hu us
radices contufæ applicantur, confeftim , & dolor, & inflammatio
mulcentur. Ex Ex Tante. Marine Paltinuca radium ,identium do loresmitigare.
entium dolores multis experimentis ex Marinæ pattinacæ radio mitigari vifi
func; huius eniin radio, qui in piſcis cauda cpa, situr , dentes tanguntur,
& gingina ſcari. ! x herbis non paucæ Ecale ſcar ficantur , quo præſidio
quan cítiſsime dolor euanefcit. Prodidit Dioſcorides , lib . 2,64p. 9. radiuin
hunc dentes frangere, & e urcare.quomodo autem hoc perficiat docu it
Plinius lib. 3. cap 4. Conteritur enim is, & cum Helleboro albo miſcetur,
quorin miſtura fi dentes illiti fuerint, fine vexatio ne extrahuntur, Plerasg,
berbas, Solisexortum , & occafuma ostendere, Solis ortum , & OC cafum
noffe videntur tantaq;huius lyde. ris ſectandi,talibus auiditas nafcitur, vt
Gr. miter inter kas, & folem magnam in ſe lym pathiam credamus.
Profe&to fos calendula in Solis ortu aperitur, &in occafii clauditur; ex
quo villicorum horologium à nuleis di citur. Sequuntur Solis fphæram non modo
papauer , & illudtithymalli genus, quod vo. cant helioſcopon ; ſed etiam
malua , lupini & cichorea; intenſius autem Lotus herba re ctatur,
&exortum quotidianum , &occafum noſcit. Hæc ( Theophrafti teitimonio )
cau lem, &florem veſpere mergit, & circa me. diam noctem tota in lacum
irruit , & adeo occulcatur , vt nec manu admiffa quis valeat inuenire ,
verciturmox panlatimg; erigitur , &in Solis exortu extra aquas confirrgit;
for P 3 reing Temą; aperit, &
patefacit , caliterá; etiam num confulit , vc alièab aqua abeffe videa quarum
Sodo Qualssin Sodomi, & Gomorriveſtigiso riantur fru & us. LtiſsimiDei
decreto quinq; vrbes 211a ciquicus incentæ ſunt wuum , & Gomorrhum
præftantifsimæ fiudj erbantur.Harum in fauillis quædam noſcú . tur veſtigia;
Giquidem cæleftis ignis reliquiæ adhuc perfiftunt. Quod autem illic admira bile
perfpicitur .viridancia fpectantur poma, formaci vuarum racemi, nec quis elt,
qui e dendi haud cupiditatem habeat: illa. autem manibus capta faciſcunt, &
in cinerem refol. uuntur, fumuggsexcitant, quafiadhucarde ant. Ex Egeſippalib .
4 . Magnam inter vterun , ammasinef Seſympathiam . On exiguus inter mulierum
vterum , & mammas contéplatur confenfus: quip pe alterum alterius pathema oftendere
on laruamus, A venis inter has partes coniunctis maximè ratio ošteditoriri
ſympathiá:ex iis e nim materias ab vtrifq; contentis transferring
&exonerari experimur.In menftruorum re dundantia Cucurbitula fub
mammisappofita , fluxum cohiberi ab Hippocrate docemur, Lactis copia in puerperis dum magna grauit q;
fuerit, die feptimo puerperii octauo, 10 nog; in vterum à naturaefunditur.
Suppreisi menfes in virginibus , & viduis caftis , non femel io mammasrefiliunt,
& la & tis copiam fuſcitant. In mulierum pubertate accedente menftruo
vtramq; parteni creſcere vidernus. Quo artificio Solis defectumfirmiter com
prehendere paleamus. Aria induſtria pleriq; conantur folis defectam
deprehendere;hocautem có pertum eft, artificio illius defectionem fir miter apprehendi,
Pelues hora inſtanti capi. antur , quæ non aqua , fed aut oleo, aút pice
implendæ ſunt; ratio enim fuadet, humorem pinguem non facile curbari , atq;
imagines perinde, quas recipit conſernare. Equidem in magines in liquido &
immoto tantum appa rereconfueuerunt, propterea in olen, & pi. ce ,
commodius, & firmius, quomodo Luna Solilc opponat, & illum abſcondat
accipere poterimus. Ex Seneca in Natur. Quaft. Virginummammillarum tumorem acis
cuta impediria Ac inter alias, cicuta pollet efficacia, vt contufa cum vmbeila,
atq; virginü B H mammillis impofita , tumorem , & excref centiam valeat
prohibere; fortaffe nutrimé cum impedit, quo minus augeantur, vt in pu crorun
tefticulis fuccedit, fi hæc adhibetur: ijenim reatibus alimenti obtufis facilè
ex iccantur. Aperiani in hoc loco quod à Bon doletio nultis experimentis
comprobatum Teperio de piſce Squarina: hicenim mulie. rum mammis fuperpofitus,
illas adeò con. ftringit , ve virginum mammillæ appareant; credunt multi in
genitalibus eundem fimili ter effectum producere. Quercusgallis, anniprafagia
comparari. Napoleon Onmodò à Plinio , verùm atq; à plea riſq; rei rufticæ
ſcriptoribus obſerua tum fuiffe comperio, à gallis quercus maio sibus præfagium
aliud anni, quodapud vece res in magno fuiſſe pretio,&opinione legi. tur.
Aperiuntur gallæ, quando integræ funt, ibig; muſca, aranea , aut vermiculus
repe . ritur : fiquidem planta hæc in gallis huiuſmo di aninialium gignere
confueuit. Si mufca volar, angi fertilitatem & bellum futurum præſagiunt ;
ſin vermiculus repit , annonæ carentiam arguunt; fi autem aranea profiliet
fummam caritatem , & peftilentes affectus prædicunt. His ego adderem ,
præfagia hu . iufmodi , fi Deo placuerit, confimiles ſecta . tur elientus.
Vitri puluerem , calculos comminuere. ron folum Galenus, fed Anicenna, &
mouendos vitri puluerem excollunt quomo do autem hæc fieret , plurimum
infudiui; tandem quæ ab Abecizoare componitur,mihi ex voto ſucceſsit, &
vitrum adurere didici. Capitur vieri albi , & perſpicui fruftulum , quod
terebinthina coll nire oporter totum , nyox tandiù in prunis detinere,
veexcandel. cat; hoc demum in aqua exſtinguicur, ſepti. eſg; iteratur, primò
tamen linitur, fecundò cxcoquitur, vltimò extinguitur; quo peracto , vitrum
conteritur, & in puluerem lubciliſsi mum mutacur. Propinamus languentibus
au rei pondus vel drach.j. cum vino albo, & ef ficaciter calculos comminui
experimur. Quo artificio aëris naturimexplorare valeamus. Eris qualitatem ,
& naturam cum ex plorare libuerit , fpongia bene ficca, atq; munda ſèreno cælo
per noctem fub diuo exponenda eft; illa eniin fiſicca mane fuerit, ficcu's P5
АБЫ liceus & aër erit ; fi
humecta,nimbolus; fi anoll cervda,humidus,acroridus Inſuper ft recente pané
eadem induftria expofueris , di corrupto,ficuin contrahere videbitur ;à fic co ,
fiec ficcus;ab Humido aucem, à ftacu pro prionon mutabitur.Siaër fuerit
peftilens, carnesexpofitæ corrumpuntur,atque colo rem mutant;fic eciam &
adipes.Siaércraf fus erit,patebit in marmore, & filicibus, qnę in cali
natura admodum madere folent; cós tra verò in aere'tenui, liges humidus eſſet ,
hę enim in tali con ica humeſcunt. Ex CATO dano. Quali fratagemate homines,
mortui Š videantur. Vltis experimétis confirmatum repe rio fublimatum , ffue
aqua vitæ cum fale miſce tur, ac in patina ( ſublata qualibet alia lua ce )
accenditur in cabiculo, nocturno tem pore, vbi homines reperiantur; fiquidem
ipfi immobiles fuerint, fpeciem mortuorús repræſentabunt. Pleriq; vt Aethiopes
fin gant , lucernam accendunt oleo plenam, cum quo ſepia atramentum fit dilucum
, fi we calchantuni, aut ærugo, nec fine ratio ne:oftédit enim ,lux eorû
colores, quæ in iis sát quæaccédācur: oportet tamen iu cubi culorcliquas luces
adimere, Nerein VA No Nereidesfaciehumana dy venufta, prezi que fuifferepertas
Ereides, quas vulgus Birenas appela lat, plurimæ in locis maritimisinué tę
funt;quodauté cátusdulcedine nauigātes hein foporem perliciant, &
capiant,nos. in lib . 1. de Hominis vita, abundedifferui mus, vbi de
Tritonibus, Nereidibus, ho. minibuſqs in maridegēribas, quos marinos vocant tractatur
; Poetarumq; fabulæ eno . dantur, Vidithas Theodorus Gaza & Gee orgius
Trapezont ius, homines nagnæ e ruditionis : Gaza in Pelepomeno exorta maris
tempeftate, Nereidem proiectain in lidcore reperije viuentem , & fpirantem
, ynleu hrniano, facie decora , corpore fqua mis hirto ad pubem vſq , cætera
autem ia locuftæcaudam definebant: ad hanc viſen dam magnus fuit concurſus,
illa tamen e vac maefta , crebrog, ſuſpirio fatigata & frequentia hominum
circumdata gemitus dedit & lacrymas emiſit,quibusmacus mi. fericordia,ad
mare deduxit, vbimagno im petu fluctus fecauit , & ex oculis omnium
cuanuit. Quid Trapezontius, pleriqs. alii viderint, in loco cita. to narrauimus
De Apunx natura, earumque mirabiliſa gacitate . Tu quidem anceps fui in
fcrutanda A pummellificatione,foetu , & cera:nam & apud auctores magna
reperitur controuer. fia , num illæ ge nerent , & aliundeprolem
habeant.Poft auem exactum fcrutinium cu iufdam amici va lido experimento
Ariftoter lis opinionem veram eflecomprobaui;fiqui dem Apese floribus fauos
conftruunt, exar borum lacryma ceram fingunt, & mella ex aëris'rore
captant.Hæ primum fauos confi . ciunt,mox fotin collocant , ore calidum
ſpirantes,vt vitain recipiat.Mellificanræfta . te, & autūno cibi caufa ;mel
autem autinale cleatius eft.Foetus in vere ferotino debilis fit : nã &
naiori ex parte emoritur. Multi aiunt oliuas, & examinum copiam cógenerem
ha . bere nataram : nam fi altera augetur, alcera abundans fit: fi vna deficit
,altera deprimitur ratio eft:nam mella ficcitates augent;lobo . lem verò
imbres; quofit, vt ſimuloliuæ , & sopia examinam fit. Vinorum aliquot
existere genera natura mirabilis. R aliquot vinorum genera mirabilis naturæ
quod ? co A quod vua & guftu , & fenfuà cæteris minime diſcrepanr, nec
vinum á ymis; tamen quod Heracliam Arcadiæ fit, viros reddicinfancs epotum ,
& mulieres fteriles: & apudcabyni. am Achaiæ abortum facic: & in
Thiffo vi num quoddam lomaum producit; quoddam verò, vigiliam Ex Tbeophraſto
lib.9. Plant. Quoartificio ignem manibus abſque læfione tractare valeamus. Pud
plerofque fcriptores inueni, ig nem fine læſione poffe tractari , fi tri .
tomaluauiſco cum ouorum albumine , ma.. nus liniuntur,ac defuper alumen
inducitur.. Hoc autem experimentuin à Magno Alber to captum eſt, apud quem
aliud legitur hu. ius negotijartificium :fi enim Ichthyocolle, & aluminis
æquales partes capiuntur , & ad inuicem commiſcentur, fiacetum his ſuper
funditur; quicquidtali miſcellanea illitum in ignem proijcitur , vtique non
comburie tür. Menftrua in ſenio ferèquibufdam fæminés 46 cidere. Vàm fallax fit
tum Ariſtotelis, tum ali orum iudicium ,quodin mulieribuscir ca quadragefimum
annum ,fiue quinquagefi mum menftrua deficiant, quotidiana demone strat
experiencia. Mulierem hic cognoui, Qyour P7 Victoriam nomine , eamque honeftam
& bene morigeratamshuic in anno 45.méftrua ceffarunt, & faufta
valetudine vixit,cum au tem fexagefimum ferè annum attingeret, ce teilli menfes
rubei,bonique coloris redie. De vberague , quæ priusflaccida erant,more:
virginum turgidula facta ſunt lactifque tan ta copia impleta ,vt impulſu
ferretur: quarez, vt puerulú filiæ fuæ lactaret àmeadmonita eft. Alteram
cognoui, quæ vfque ad annum 65.femper menftrua paffa, & hodie viuit , &
menftrua fingulis menfibus fuentia habet Hæcautem raròcontingunt.. Bufonislapidem
contra venena mirabileinha bere virtutem . Pleriſque lcriptoribus excollitur
lapiss ille terreſtrisinuenitur: ſiquidem contra venena folo contactu valere
expertü eft ; propterea inflationes abeftijs venenatis illatas diſcute re,
venenúq; elicere aiut.Scribit Lemnius, tu mores, & dolores ex
forieibus,araneis, vel pis,fcarabeis,gliribus, aliifuevenenofis 2 . nimalibus
caufatos fclo lapidis blaul do attritu.euanef cere HORTVLVS GENIALIST 1 Aquarum
Fluuios natur& mirabilis repe $ rire. N multis locis aquarum exortas, mira
cfficaciæ inuenirilegimus Scribit Arift. in terra Aſsirithidæ aquas naſci ,
quas cum oues biberint,moxgs inierint, nigros agnos generare. In Arandria dnos
ineffe fluuios ad .. notauit, quorum alter candorem , alter nio gritiem facit
pecoribas:at Scamander am gis, quem Homerus Xanthuniappellauit , fia uas
reddere oues creditur . Mirabilers in concepta imaginationis effe per rentiam
Maginationis potentiam tam miram effe Phyfici confitentur ve viſa per cóceptum
in partu fæpiſsimè eluceſcant. Referam hi ftoriain admirandam ex Ludouico Vives
12 ; de Ciuit.Dei de huius negotio conſcriptam In Brabantia Buſco ducis quædam
vrbs eft, in qua more eiufdem Prouinciæ quodam die rempli vrbis feſtum
celebratur, quo tempore varii ludi apparantur.Sunt aliquot, qui ſtato die
diuorum perſonas induunt:nönulli vera Dæmonů.Ex his vnus cū viſa puella
exarfif. fet, & demúfaltado ſe ſe recepiſſet , & apreprā Vt er at
perfonatus vxore fua in le &tum con . ieciſiet,ſe exeaDanonem gignere velle
di.. cells D cens , concubuit , &
concepit inulier: clim autem in partuinfantem peperiffet,'s fimul ac primum
editus eft, Calcitare cæpit forma, quali Dæ nones pinguntur. Dentium .stupores
à portulaca confeftim amoueri : Entium ftupores,qui ab acidis.edulijs Connarci
confueuere,ex aqua aut luc co , vel frondibus portulacæ commanfis , quam
citifsimèdiffoluuntur.Ipfe cum qua- . damæftate cùm fiti maxima , tùm dentium :
ftupore affligeretur,cömanfis ipfius frondi bus , &à fit , &à ftupore
fubito liberatussú, Ab amico quodam audiui parculacæ fuccúi collinitum ,abfque
dubio verrucas exter minare,mihiautem experiundi locus haudi adhuc datus eft.
Ex Aphrodiſeo , Ceraferum aquam ftillatitiam in Epilepfia ! fummumeſſeremedium
. Ninitis experimentis Ceraſorum aquam 10 laccurrendis Epilepticis conprebari
reperio propierea à loanneAgricola in lib .. Herbar.maximèetiam extollitur .
Qua pro vita producenda inter arcana natu 12 connumerentur. APudreru naturalium
(crucatores acer rimos inueni, idque in arcanis conſer wari Hellebori nigri
fólia Saccharo cómilta degluci INTHE HORT:VL VSGEN I AL-deglutientem ad
iuglandis magnitudinenia in offenſam valetudinem, ad ſenectutem vſ. que
conſeruari.InfuperSilicem ignitum lin . teiſque parum madidis inuolutum ,&
pedi. bus applicitum ,pernicioſos valetudinis vaki pores extrahere.
Quoartificio in mulieribuscrinesdenfiores, copiofiores comparare paluamus. Nter
ſelectiſsima prælidia, quæ ad capil lorum copiam generaodam ineffe cre duntur
,Maluæ radix connumerari poteft :: fi enim caput mulierum livinio lauatur in quo
elixa fit maluæ radix, & deinde fucco maluæ crines, inungantur, profecto ya
bercim prouenient, & cicila fimé. Giulio Cesare Baricelli (n. San Marco dei
Cavoti) è un filosofo. De hydronosa natura sive de sudore umani corporis
Hortulus genialis Thesaurus secretorum De lactis, seri, butyri facultatibus et
usu Indice baricelli — implicatura sudorosa — de hydronosa
natura — de medicinae praestantiae — amazones cur mammas dextras resecaverint —
olearum sterilitatis praesagium — nili flumines proprietas — de mundi creatione
— murium sagacitas — pluviosa tempestatis prognostica — agricolas non semper
tempestates et serenitates praedictunt — valeriana miravis contra epilepsiam —
transformationes hominum in bestias non esse reales — daemonis astutia apud indos
— quid picus de scientiarum varietatis sentiret — subditos principis
vitam ut plurium imitari — rutam et allium serpentibus adversari — animalis
oriri et vivere posse in igne compertum est — lacus asphaltritis mirabilis
naturae — pisces marinos salubriores et rapidiores fulminibis esse — mulieris
— hominos — cibus — gigantes in orbem — mulieres — excellentia —
falsissimum est salamandran in igne vivere posse — sabbatici — lactandis
infantibus — menstrualis — pharmacum — animal — tauri — faxa — aegypti reges —
sterilitatis praesagia — aeris salubritatem — lintea — hominibus — hydropes —
plenilunio — nationibus — romulus — serpentaria — echinum — animi pudorem —
animalia — alexandri morti — sanari — cervi sudori — vires — balnei — adam —
rutam — verbenam — anima — aeris — sulphuris — caraba — baccas — linguam
— galli — homines — magis — fuco — cacoethica — vipera — traulos — morbos
— lupi — vitrum — pregnantes — periculo — pro corporis — corporum hominum —
utero — paterna — araneus telas — menstruali — rutam — corpora — achatis —
hominibus — hominem — utero — praesagium — utero — tritico — scorpionum —
hominibus — bubulo — epilepsiam — arbores lapides — bardana — literas —
homines — hominibus — hominibus — filios parentibus signum — mare rebrum —
hydrargyri — lupum — epilepsia — flatu — corpora — pestilenti — efficacia —
animalium — seminis — basilicum — torpedinem — animalia — armenia — febre —
lumaca — amantissimam — astronomiam — martisque — passione — cantharides —
adagium — parere fetus — iucundi —de amoris origine — aqua — virtutes —
sagacitas — lapidis — naturam — partus — amorfus — equorum — spectacula —
marinum vitulum — epilepsia — vinum — homines — homines — cervi — gagatis —
epilepticos — hominum — laudano — mortem — pacto — a viro — hepaticos — mortem
— mithridatis — ossa — bryonia — herpetes — vina alba — flores — absynthium —
chalcantho — coralio — lethargicos — infantes — prunellae — catuli — gallum —
corios — artificio — theodorus — radicem — dilligentes — canicula — quatuor
elementis — phreneticos — digitum — carnes — vicera — testiculis — dentium
— hippocrate — animalibus — apii — satyrii testiculum — hominibus —
radicem — hominis — extractum — praesidia — hominem — antidotorum — cancri —
quomodo — morbi — animantium — pulchritudine — septentrionalibum — hemorraghia
— lingua ardor — aegyptios — gentium — solis — animalium — cervorum —
masculinum fetum — mirandulani — hydrargyro — incognita — tempestates — epiro —
hecla — hominum — galenum — graecos — cane — athritide — lionem — iumenta — acutis
— acetum — piscis — foeminas — corporis — alexandrum — hominum — ruditas
— angina — capillos — volucrum — agricolas — galege — infantis — oryalum —
homines — lapides — collegium — alexandrum — laparhiorum — feminum — aegyptios
— methodo — olivarum — admirandu — millepedum — frequentem — mulieres —
daemonum — carduum — infantes — menstrualem — corpori — medicina — animalia —
unicornu — mulierum — naturalem — febris — precognosci — medicis — masculorum —
hydrargiri — bryonia — consolidanda — chymicam — corpus — hominum — venenum —
semen — lupos — homines — luna — leonardi — hominibus — polypidium — ibidis —
mulieres — industria — corpora — gallicam — hominis — hominibus — regem —
homines — aquilone — usum — usum — oleo — genus — leones — artificio — mergum —
lacertas — educandis — artificio — serpentes — virginitatem — virginale —
vitellos — humana vita — vena — materia — alexandri — mulieres — hydrophobos —
puerorum — labiorum — utero — semine — aegyptorum — taxi — epilepsiam —
aspides — infantes — vitrum — homines — vini — syrium — nuptis — agreste —
hydrophobiam — hepatis — viventes — arundinem — cynanchem — parere filios —
vino — praesagia — gallinarum — aquam — mandragoram — corpora — vita
hominibus — semina — infantium — vitam — philomelam — castorem — duces — lingua
— vinum — equorum — croci — hominis — aspidum — hermaphroditos — imaginationis
potentian — climactericos — inter homines — carolum — animantia — liberos —
garamantes — caminus — horologium — infantium — praesagia — vinum — virorum — familiarem
— romanos — ambarum — tympaniam — venenum — toxica — socrati — magia —
epistolam — aqua frigida — menstruorum — lapides — homines — testiculos —
humanam salivam — homines ridendo — parthi — partum accelerare —
serpentum — hydrargyrum — vim — anginam — vermes — mamillis — lumbricos —
infantis — elephantiasim — cyprinorum — leporine — hydrargyrum — gravidas —
homines abstemios — aristolochiam — alexandro — morbis — creta — cyprini —
calphurnius bestia romanus — aceto — oleum — scythae — catellos — plurima —
martis — robusta hominum corpora — equum — homini lunae — mithridiatu — viscum
— vites — betulae — haemorrhoidalem — dentium dolores — sodomi — uterum — solis
— virginum — praesagia — vitri — aeris — homines — facie humana — apum natura —
vinorum — ignem — menstrua — virtutem — aquarum — in conceptu imaginationis
esse potentiam — dentium stupores — epilepsia — pro vita producenda —
mulieribus —
Giulio Cesare Baricelli. Keywords: sweat, il sudore umano, sudore e la regola,
stirgilo, amore, Socrate, Aristotele, controversia sull’origine del sentiment
dell’amore, Socrate, l’idea di causa in Aristotele. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Baricelli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691256836/in/photolist-2mKMcL9
Baroncelli –
compassione – filosofia ligure – filosofia italica – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Savona).
Filosofo. Grice: “I like Baroncelli – he can be hyperbolic – “Mi manda
Platone,” surely he only requested! My favourite is his ‘compassione,’ which is
‘calco’ of ‘sumpatheia’ and therefore at the core of my balance between
conversational egoism and conversational altruism.” Flavio Baroncelli (Savona) filosofo Nato e cresciuto a Savona, si laurea in
filosofia all'Genova nel 1969 con relatore Romeo Crippa, di cui diventa
assistente. Insegna Storia dell'età
dell'Illuminismo all'Trieste. Dal 1977
al 1981 è di nuovo a Genova, dove tiene la cattedra di Storia della filosofia
moderna. Nel 1981 diventa ordinario all'Università
della Calabria. L'anno successivo ritorna a Genova dove prende la cattedra di
Filosofia morale. Nel 1988 un grave
incidente motociclistico durante una vacanza in Turchia lo allontana per
qualche periodo dall'insegnamento e dalla ricerca, attività che riprende all'inizio
degli anni novanta come visiting scholar all'Madison, nel Wisconsin. Nel frattempo collabora con molti quotidiani
e periodici, come La Voce di Indro Montanelli, Village, Il diario della
settimana, il Secolo XIX. Tornato a
Genova, diviene molto amico del filosofo Franco Manti, segretario generale
dell’Istituto Italiano di Bioetica. Riprende la vita accademica per
allontanarsene a causa della malattia che lo porterà alla morte sopraggiunta
nel 2007. Il pensiero di Baroncelli
ripropose un'etica planetaria alla luce del mondo globalizzato, invitando a
riconsiderare i valori e le identità storiche dei gruppi umani occidentali
riorientandoli a favore di un sistema di valori e di identità individuali e
culturali di tipo mobile e pluralistico. Ha qualificato le varie culture come
sistemi aperti in grado comunicare e di essere traslati o esportati ovunque nel
mondo, nella convinzione che gli esseri umani appartengano tutti alla stessa
specie e siano tutti abitanti dello stesso pianeta. Pensiero e la ricerca Profondamente
influenzato da David Hume e dallo scetticismo inglese, si è occupato in
prevalenza di temi etico-politici come il razzismo, la tolleranza, il
liberalismo e il politically correct. Altre
opere: “Un inquietante filosofo perbene: saggio su Davide Home” (La Nuova
Italia, Firenze); “Sulla povertà, idee leggi e progetti nell'Europa moderna,
Herodote, Genova-Ivrea); “Il razzismo è una gaffe” “Eccessi e virtù del
"politically correct", Donzelli, Roma); “Viaggio al termine degli
Stati Uniti Perché gli americani votano Bush e se ne vantano” Donzelli, Roma); “Mi manda Platone, Il Nuovo
Melangolo, Genova Saggi "Giustizialismo" in Ragion Pratica, "Post-fazione"
a Lysander Spooner, No treason, "Etica e razionalità. Un finto
divorzio?" in Materiali per una storia della cultura giuridica, Il
riconoscimento e i suoi sofismi" in Quaderni di Bioetica, "Come scrivere sulla tolleranza" in
Materiali per una storia della cultura giuridica. Note
Franco Manti per la fondazione Pubblicità progresso, su
pubblicitaprogresso.org. 7 maggio
(archiviato il 7 maggio ). Franco Manti, Diversity, Otherness and the
Politics of Recognition , in Nordicum-Mediterraneum, 14, n. 2, Akureyri, , Ospitato su archive.is.
Citazione: To Flavio Baroncelli, a friend I met only too late, / whose lively
intellect, critical sense, friendliness / and clever irony I just had time to
appreciate. Info dalla pagina del
Dottorato in filosofia dell'Genova. Registrazione audio[collegamento
interrotto] dell'intervento a una trasmissione di Radio 3 dall'archivio RAI
Trascrizione di un dibattito con gli studenti sulla tolleranza dal Enciclopedia
Multimediale delle Scienze Filosofiche di Rai Educational Necrologi Archiviato
il 16 marzo 2007 in . di Giorgio Bertone, Vittorio Coletti, Salvatore Veca e
Pietro Cheli. Altri dello scrittore Bruno Morchio e dell'amico Daniele Miggino.
Sezione speciale della rivista Nordicum-Mediterraneum dedicata a Flavio
Baroncelli. Pagina di Wordpress su Flavio Baroncellicon alcuni testi inediti. Flavio
Baroncelli. Keywords: compassione, filosofia ligure, Home, etica, ragione,
giustizia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Baroncelli” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51790110604/in/dateposted-public/
Grice e Barone –
linguaggio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Grice:
“I like Barone, but I’m not sure he likes me! You see, in Italy, there’s
‘scienze filosofiche,’ and ‘scienza’ was indeed a way to describe philosophy!
But at Oxford, you have to take the great go! Lit. Hum., and I doubt Barone
did! – ginnasio e liceo, as the Italians have it! Therefore, his views on
‘filosofia e linguaggio,’ never mind his rather pretentiously titled ‘logica formale,’
‘logica trascendentale,’ ‘algebra dela logica,’ etc. have little to do with,
well, Italian!” Laureato in Filosofia a Torino nel 1946 come allievo di Augusto
Guzzo e Nicola Abbagnano, visse a Viareggio. Professore di Filosofia teoretica
all'Pisa (1957), dove fu preside della facoltà di Lettere e filosofia dal 1967
al 1968, fu poi docente di Filosofia della scienza (1987) nonché direttore
dell'Istituto di Filosofia nella stessa università (1960-80). Insegnò anche
Filosofia morale alla Scuola Normale Superiore di Pisa dal 1958 al 1974. Si dedicò soprattutto a studi di storia e
filosofia della scienza, pubblicando numerosi libri. Nel 1979 curò l'edizione
italiana delle opere di Niccolò Copernico. Socio nazionale dell'Accademia delle
scienze di Torino (dal 12 febbraio 1985), della Società Nazionale di Scienze,
Lettere e Arti in Napoli, e dell'Accademia Nazionale dei Lincei, a Milano fu
presidente del Centro del C.N.R. di studi del pensiero filosofico del
Cinquecento e del Seicento in relazione ai problemi della scienza. Pensiero Particolarmente interessato alla
filosofia di Nicolai Hartmann, Barone ne trasse spunto per un confronto tra la
dottrina realistica e quella neoidealista. La sua riflessione filosofica si sarebbe
poi focalizzata sui problemi epistemologici e della filosofia della
scienza. Come pubblicista affrontò temi
etico-politici sul rapporto tra individuo e società dal punto di vista della
ideologia liberale e liberista. Il tema
principale delle opere di Barone riguarda la filosofia della scienza e la
storia della scienza e della tecnica. Si deve a lui la prima pubblicazione in
Italia di una monografia sulla filosofia neopositivistica. Il suo pensiero si contraddistingue per lo
stretto rapporto tra epistemologia e storiografia della scienza, settore,
questo, in cui Barone ha preso in particolare considerazione il tema della
nascita dell'astronomia moderna, da Niccolò Copernico a Keplero e Galilei. Intorno agli anni sessanta, inoltre, Barone
si è dedicato con particolare attenzione agli sviluppi culturali,
epistemologici e filosofici della nascente informatica. Altre opere: “L'ontologia di Nicolai
Hartmann” (Edizioni di Filosofia, Torino); “Rudolf Carnap, Edizioni di
Filosofia, Torino); “Wittgenstein inedito, Edizioni di Filosofia, Torino); “Il
neopositivismo logico, Edizioni di Filosofia, Torino); “Assiologia e ontologia:
etica ed estetica nel pensiero di N. Hartmann, Torino); “Leibniz e la logica
formale, Edizioni di Filosofia, Torino); “Nicolai Hartmann nella filosofia del
Novecento, Edizioni di Filosofia, Torino); “Logica formale e logica
trascendentale, I, Da Leibniz a Kant,
Edizioni di Filosofia, Torino); L'algebra della logica, Edizioni di Filosofia,
Torino) Metafisica della mente e analisi del pensiero, Edizioni di Filosofia,
Torino) 1748: viaggio di Hume a Torino, Edizioni di Filosofia, Torino); “Mondo
e linguaggi” (Edizioni di Filosofia, Torino); “Determinismo e indeterminismo
nella metodologia scientifica” (Edizioni di Filosofia, Torino); “Concetti e
teorie nella scienza empirica, Edizioni di Filosofia, Torino); “Nicola
Copernico, Opere (F. Barone), UTET, Torino); “Immagini filosofiche della scienza,
Laterza, Roma-Bari); “Pensieri contro, Società Editrice Napoletana, Napoli); Teoria
ed osservazione nella metodologia scientifica, Guida, Napoli); Verso un nuovo
rapporto tra scienza e filosofia, Centro Pannunzio, Torino); La fondazione
dell'ontologia di Nicolai Hartmann (F. Barone), Fabbri, Milano); Leibniz ,
Scritti di logica (F. Barone), Zanichelli, Bologna). Note Francesco Barone, Neopositivismo, in
Enciclopedia del Novecento, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani,
1979 Barone, Francesco, in
TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Sito ufficiale, su francescobarone. Francesco Barone, su TreccaniEnciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Francesco Barone, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Francesco Barone, su BeWeb,
Conferenza Episcopale Italiana. Opere di
Francesco Barone, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Francesco
Barone, . David Hume, il filosofo della
non certezza di Francesco Barone, La Stampa, 26 agosto 19763. Addio a Barone il
filosofo che diffidava dei paradisi in terra di Dario Antiseri, Corriere della
Sera, 28 dicembre 200131, Archivio storico. Francesco Barone. Keywords:
linguaggio, assiologia, la semantica di Leibniz, la sintassi di Leibniz, logica
matematica, logica formale, logica trascendentale, logica aritmetica, Hume a
Torino, simbolo, logica simbolica, Leibnitii opera philosophica, assiologia ed
ontologia, mondo e linguaggio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barone” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51790459935/in/dateposted-public/
Grice e Barone –
dialettica fiorentina – filosofia italiana – Luigi Speranza (Alcamo). Filosofo. Grice:
“I like Barone; at last a priest that takes Italian humanism SERIOUSLY!”
-- Dopo avere finito gli studi teologici
nel Seminario Vescovile di Mazara del Vallo, fu ordinato sacerdote il 13 marzo
del 1937. Frequentò, quindi, la Pontificia Università Gregoriana di Roma dove
conseguì la laurea in Filosofia il 19 giugno 1946, trattando la tesi dal
titolo: L'Umanesimo filosofico di Giovanni Pico della Mirandola. Ebbe subito la nomina di Canonico della
Collegiata di Alcamo, poi dal 1949 al 1956 quella di Vicario foraneo e
Visitatore dei Monasteri; dal maggio 1951 fu nominato anche Canonico Onorario
della cattedrale di Trapani. Nel mese di
novembre 1956 fu pure nominato Cameriere Segreto Soprannumerario di Sua
Santità; fu quindi professore di lettere e filosofia del Seminario di Mazara
del Vallo e, per 16 anni, delegato Vescovile alla dirigenza dell'Istituto
Magistrale legalmente riconosciuto "Maria Santissima Immacolata" di
Alcamo. Per diversi anni, è stato anche
Rettore della Chiesa della Sacra Famiglia e della Badia Nuova; inoltre è stato
membro del Consiglio Presbiteriale diocesano e docente di Filosofia presso il
Seminario Vescovile di Trapani. Altre opere: “Il Santuario; Alcamo); “La Nuova
parrocchia di S.Oliva; ed. Bagolino, Alcamo); “Giovanni Pico della Mirandola profilo
biografico del celebre umanista; ed.Gastaldi, Milano-Roma); “L'Umanesimo
Filosofico di Giovanni Pico della Mirandola Studio del Pensiero Pichiano; ed.Gastaldi,
Milano-Roma); “Quattro saggi; ed. Accademia degli Studi "Ciullo",
Alcamo); “Donna IdealeIdeale di donna; ed. Accademia degli Studi
"Ciullo", Alcamo); “Didactica Magna di Comenius (traduzione italiana);
ed. Principato, Milano); “Scuola Libera, ed. Bagolino, Alcamo); “Il Vero
Maestro -Lineamenti di educazione; ed. Bagolino, Alcamo); “Verità e Vita; ed.
Cartografica, Alcamo, De hominis dignitate, di Giovanni Pico della Mirandola,
Firenze); “La Congregazione di Gesù Maria e Giuseppe nella chiesa della Sacra
Famiglia di Alcamo, Accademia di studi Cielo d'Alcamo); “La più bella
preghiera, Alcamo); “Antologia pichiana: letture filosofico-pedagogiche; ed.
Virgilio, Milano); “La docta pietas, di Sebastiano Bagolino erudito alcamese
del sec.XVI; tip. Bosco, Alcamo); “Maria fonte di Misericordia e Madre dei
Miracoli Patrona di Alcamo; tip. Sarograf, Alcamo); “Dialogo con gli invisibili;
tip. Bosco, Alcamo). Note
trapaninostra,//trapaninostra/libri/salvatoremugno/Poesia_narrativa_saggistica/Poesia_narrativa_e_saggistica_in_provincia_di_Trapani_02.pdf Tommaso Papa, Memorie storiche del clero di
Alcamo, Alcamo, Accademia di studi Cielo d'Alcamo, 1968. Tommaso Papa, Memorie storiche del clero di
Alcamo, Alcamo, Accademia di studi Cielo d'Alcamo, 1968. trapaninostra,// trapaninostra/
libri/salvatoremugno/ Poesia_narrativa_saggistica/ Poesia_ narrativa_e_saggistica_in_
provincia_di_Trapani_02.pdf. 14 giugno .
Vincenzo Regina Tommaso Papa 305357714
Identities-305357714 Biografie
Biografie Cattolicesimo
Cattolicesimo Letteratura Letteratura
Categorie: Presbiteri italianiInsegnanti italiani del XX secoloFilosofi
italiani Professore1914 2004 29 aprile 22 novembred Alcamod Alcamo. Giuseppe Barone.
Keywords: dialettica fiorentino, pico, umanesimo toscano, pico, pichiano,
pichismo, uomo, degno, la degnita dell’uomo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Barone” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51789692301/in/dateposted-public/
Grice e Barsio –
dialettica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Mantova). Filosofo. Grice:
“I like Barsio – he reminds me of G.Baker – there he is, Baker, succeeding me –
and an American! – as tutorial fellow in philosophy at St. John’s, and
dedicating his life to Witters – So when reminiscing, in my “Predilections and
prejudices” about them years, I said, “God forbid that you dedicate your life
to the oeuvre of a minor philosopher like Witters – it’s good to introject into
a philosopher’s shoes as you attain to grasp the longitudinal unity of
philosophy, but look for a non-minor pair of shoes!” – “Barsio is a radically
minor philosopher – in that, he never had to grade – I always hated grading and
seldom did it! – since he lived under the Gonzagas at Mantova – and he just
phiosophised to the sake of the pleasure he derived from it! My favourite is
his elegy to his enemy, Pomponazzi – but his satirical curriculum vitae is
fantastical, but possibly true!” -- Noto anche come Vincenzo Mantovano,
frequentò le corti del marchese Federico II Gonzaga e di sua moglie Isabella
d'Este, alla quale pare avesse dedicato il poemetto Silvia e la corte del
marchese di Castel Goffredo Aloisio Gonzaga, al quale dedicò il poema latino
Alba. Studia filosofia a Bologna. Altre opere: “Silvia, poemetto in tre libri,
Pamphilus; Alba, dedicato al marchese Aloisio Gonzaga, signore di Castel
Goffredo; Labyrintus, dedicato a Federico II Gonzaga. Ireneo Affò, Vita di
Luigi Gonzaga detto Rodomonte, 1780, Parma., su books.google. 18 luglio . Gaetano Melzi, Dizionario di opere anonime e
pseudonime di scrittori italiani, Milano, 1859., su books.google. Giuseppe
Coniglio, I Gonzaga, Varese, 1973., su books.google. Vincenzo Barsio, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. ICCU. Vincenzo Barsio., su edit16.iccu. Marsio.
Vincenzo Barsio. Keywords. dialettica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barsio”
– The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51715493552/in/photolist-2mMVquy
BARTOLI search.gianpaolo
--
Grice e Barzaghi –
scuola di anagogia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Monza).
Filosofo. Grice: “Barzaghi is a genius; the Italians hate him! In his
“Compendio di storia della filosofia,” there’s no mention of Cicero!” – Grice:
“Barzaghi is the Italian Copleston – what is it with religious minds – cf.
Kenny – that have this inclination towards the longitudinal unity of
philosophy?!” – Grice: “Barzaghi just ignores the most prosperous period in
Roman philosophy; not so much Romolo, but whatever happened in Rome after that
infamous ‘embassy’ of Carneade, an Academian, Critolao, a peripatetic, and
Diogoene di Celesia, a stoic!” -- Direttore
della Scuola di anagogia, fondata dal cardinale Giacomo Biffi. Discepolo del
filosofo Gustavo Bontadini e frate domenicano, è stato l'interlocutore
privilegiato di Emanuele Severino sulla questione di Dio e del
cristianesimo. Nella sua opera Oltre Dio, Barzaghi si interroga
dapprima sull’essenza del cristianesimo per giungere ad affermare la necessità,
per il credente, di assumere alcune fondamentali posizioni filosofiche riguardo
la vera comprensione della realtà: «Se il Cristianesimo è essenzialmente la
partecipazione della vita di Dio, cioè della vita eterna, per comprenderlo
occorrerà porsi dal punto di vista di Dio, cioè dell’eterno» (p. 13). Secondo
Barzaghi, l’Essere assoluto «non può essere inteso come qualcosa accanto ad
altre cose, e conseguentemente diviene il punto di vista rigoroso per
l’ispezione del tutto» (p. 17). In questo senso, la filosofia di Emanuele
Severino, che si presenta come alternativa al teismo, offre in realtà per
Barzaghi il fianco a un nuovo percorso argomentativo in favore dell’esistenza
di Dio (un Dio però non inteso come oggetto: da qui il titolo dell’opera, che
evoca esplicitamente un’espressione di Dionigi): se ogni cosa è eterna, e tale
dunque è anche il suo apparire, esso deve continuare ad apparire, eternamente,
anche quando “non appare”. «Dunqueafferma il filosofo –, se tale apparire non
permane nell’orizzonte dell’apparire che è la mia coscienza, perché consta
l’apparire-scomparire dell’ente, deve comunque continuare ad apparire […] in
modo determinatissimo, dunque alla sola scienza di Dio cui eternamente appaiono
gli eterni. Non ammettere questa scienza di Dio, cioè Dio, significa ammettere
che l’apparire, che è pur un non-niente, sia un niente nel momento in cui non
appare più determinatamente, individualmente» (p. 24). Questa scienzachiamata
nel linguaggio tomista scientia Dei visionis«ha la fisionomia dell’apparire
infinito di cui parla Severino nei suoi scritti» (p. 17). Nel pensiero
barzaghiano, il punto di vista sub specie aeternitatis (dal punto di vista dell’eternità)
diventa la condizione imprescindibile di tutta la riflessione teologica e
filosofica. In teologia, solo questa prospettiva riesce a rendere
metafisicamente plausibile l’affermazione rivelata dell’«Agnello immolato nella
stessa fondazione del cosmo» di cui parla il libro dell’Apocalisse, così da
poter parlare di una «inseità redentiva dell’atto creatore». Nella riflessione
filosofica, poi, la prospettiva sub specie aeternitatis consente di avere uno
sguardo «dialetticamente onninclusivo», per cui ogni ente rispecchia in sé
l’eternità del tutto e di ogni altro ente secondo la nozione di exemplar.
Ne Il fondamento teoretico della sintesi tomista, Barzaghi propone appunto
l’idea di exemplar come cardine speculativo, approfondendo e oltrepassando la proposta
di S. M. Ramírez, neotomista spagnolo (1891-1967) di individuare nella
“dottrina dell’ordine” la struttura più sintetica di tutto il pensiero di
Tommaso d'Aquino. L’exemplar rappresenta «il minimo di complessità per muoversi
nel massimo della complessità» (p. 31). Ma per compiere questa operazione di
analisi, occorre esprimersi attraverso l’analogia, «riflesso logico
gnoseologico dell’ordine ontologico [e] mezzo inventivo ed espressivo del
conoscere» (p. 47), che acquisisce conseguentemente una notevole importanza nel
pensiero di Barzaghi. Nell’esemplare (exemplar) si trova il centro della
spiegazione causale, dal momento che in esso si presenta in modo simultaneo
tutto l’ordine che lega le cause aristoteliche: il fine, l’agente che intende
il fine, la forma implicata, e la materia che la deve accogliere. E l’esemplare
trascende la mera dimensione funzionalistica: in quanto contiene tutto
(compreso l’esemplante nel suo riferirsi all’esemplato), è una totalità, e
possiede quindi caratteristiche di liberalità e assolutezza: è «sottratto alla
dipendenza e al dominio» (p. 90). In una frase, che sintetizza bene il punto di
vista anagogico della filosofia e della teologia di Barzaghi: «Dio, conoscendo
se stesso, conosce tutte le possibili realizzazioni similitudinarie della
propria essenza, cioè tutte le essenze create e creabili» (p.
96). Seguendo infine l’esempio specifico di Bontadini, suo maestro, egli
fa risiedere nell’atto creatore intemporale la consistenza della totalità delle
cose, cioè delle creature, giacché queste sono «nulla come aggiunta a Dio» (p.
98). Secondo tale prospettica dell’exemplar, si può così realizzare, senza
aporie dogmatiche, la visione del Deus omnia in omnibus (Dio tutto in
tutto). Il dibattito con Severino Il primo dibattito fra Giuseppe
Barzaghi ed Emanuele Severino avvenne nel 1995 nella forma di disputa tra le
posizioni della teologia cattolica tomista e quelle della filosofia
severiniana. Il dibattito trovò, al di là delle aspettative degli
organizzatori, alcuni punti di possibile convergenza, che portarono il
filosofo-teologo alla pubblicazione di Soliloqui sul divino (1997), in cui
l’autore cerca per la prima volta di rileggere le intuizioni di Severino in un
modo che egli definirà più tardi voler essere quello con cui Tommaso d'Aquino,
filosofo e teologo cristiano, leggeva e faceva tesoro dell’insegnamento
filosofico di Aristotele, filosofo pagano. Ciò rese il rapporto fra i due
pensatori un dialogo di reciproca conoscenza e stima. Il 2 novembre 1999
Severino dedicò a Barzaghi un articolo sul Corriere della sera, in cui indicava
il sacerdote monzese come il fautore del più interessante tentativo di
riportare la sua filosofia al contesto cristiano da cui si era volontariamente
staccato. In tale articolo, il filosofo ateo definiva “aperto” il dilemma sulla
possibilità o meno per il cristianesimo di porsi come casa abitabile per l’uomo
contemporaneo, a patto però di diradare, sull’esempio di Barzaghi, la nebbia
che circonda il discorso religioso attraverso una ripulitura dei concetti a
partire dal punto di vista dell’eterno. Seguirono poi altri dibattiti pubblici,
come quello del 29 novembre 2001 a Milano e quello del 12 giugno a Bologna. Altre opere: “Metafisica
della cultura” (Bologna, ESD); “L’essere, la ragione, la persuasione, Bologna,
ESD); “Diario di metafisica. Concetti e digressioni sul senso dell’essere,
Bologna, ESD); “Soliloqui sul divino. Meditazioni sul segreto cristiano,
Bologna, ESD); “Philosophia. Il piacere di pensare, Padova, Il Poligrafo); “Oltre
Dio, ovvero omnia in omnibus. Pensieri su Dio, il divino, la Deità, Bologna,
Barghigiani); “Maestro Eckart, Cinisello Balsamo, Ed. San Paolo); “Anagogia. Il
Cristianesimo sub specie aeternitatis, Modena, ETC); “Lo sguardo di Dio. Saggi
di teologia anagogica, Siena, Cantagalli); “Compendio di storia della filosofia,
Bologna, ESD); “Compendio di filosofia sistematica, Bologna, ESD); “La Fuga.
Esercizi di filosofia, Bologna, ESD); “L’originario. La culla del mondo,
Bologna, ESD); “Il fondamento teoretico della sintesi tomista. L’Exemplar,
Bologna, ESD); “La maestria contagiosa. Il segreto di Tommaso d’Aquino,
Bologna, ESD); “Il Riflesso, Bologna, ESD); “Lezioni di dialettica, Bologna,
ESD); “Il bene comune secondo S.Tommaso d’Aquino, in “Communio” L’alterità tra mondo e Dio: la verità
dell’essere e il divenire, in “Divus Thomas”, Ambientazione teologica del concetto
di “gioia”,in I. Valent , Cura e la salvezza. Saggi dedicati a Emanuele
Severino, Bergamo, Moretti & Vitali); “I fondamenti metafisici della
mistica, in M. Vannini, Mistica d’oriente e occidente oggi, Milano, Paoline, La potenza obbedienziale dell’intelletto
agente come chiave di volta del rapporto fede-ragione, in “Angelicum”, Articolazione
teoretica della teologia trinitaria in chiave tomistica, in A. Petterlini, G.
Brianese, G. Goggi , Le parole dell’Essere. Milano, Bruno Mondadori, Desiderio
e abbandono. Maestro Eckhart e Tommaso d’Aquino: le due facce di un'unica
metafisica, in C. Ciancio , Metafisica del desiderio, Milano, Vita e Pensiero);
Anagogia epistemica, in R. Serpa , Antropologia, metafisica, teologia. Studi in
onore di Battista Mondin, filosofo, teologo, ciclista, Bologna, ESD); L’unum
argumentum di Anselmo d’Aosta e il fulcro anagogico della metafisica. Essere
logici nel Logos, in T. Rossi , Figurae fidei. Strategie di ricerca nel
Medioevo, Studi, Roma, Angelicum University Press, Anagogia: voce in
“Enciclopedia Filosofica”, Milano, Ed. Bompiani, L’epistemologia teologica di
Tommaso d’Aquino. Analisi e approfondimento, in G. GrandiL. Grion , Rivelazione
e conoscenza, Soveria Mannelli, Rubbettino,L’intero antropologico. Con Gentile
oltre Gentile verso una rifondazione metafisica dell’antropologia tomista.
Ovvero le virtualità tomistiche del discorso filosofico sull’autocoscienza e la
corporeità umana, in “Divus Thomas”. Il luogo poetico e contemplativo del
sapere filosofico-teologico. L’anima del giudizio scientifico, in “Divus
Thomas” Mistica cristiana come estetica assoluta, in Mistica forum, Bologna, Lombar Key, Fenomenologia,
metafisica e anagogia, in “Divus Thomas”, Il bisbiglio del “Logos” e il suo
riflesso nella ragione, in “Divus Thomas”, Il destino sempiterno dell’Occaso.
L’inseità mistica della ragione, in A. Olmi , L’eredità dell’occidente.
Cristianesimo, Europa, nuovi mondi, Firenze, Nerbini, La commozione come
filosofia del valore. Saper nuotare negli affetti. L’ambiente invisibile della
vita cristiana: il Fondamento, in V. Lagioia , Storie di invisibili, marginali
ed esclusi, Bononia University Press, Bologna, Abitare teologicamente la
natura. Lo sguardo metaforico di Tommaso d’Aquino. Teoresi e struttura.
Riflessioni e approfondimenti sulla rigorizzazione bontadiniana, in “Divus
Thomas” Creazione dal nulla o relazione fondativa, in S. PinnaD. Riserbato Fenomeno & Fondamento. Ricerca
dell’Assoluto. Studi in onore di Antonio Margaritti, Città del Vaticano, Ed.
vaticana, Anagogia e teoria del fondamento, in “Divus Thomas” Metafora. La
trasparenza nella trasposizione, in M. RaveriL. V. Tarca, “I linguaggi
dell’Assoluto, Milano, Mimesis, , L’eternità dell’essente in teologia, in G.
GoggiI. TestoniAll’alba dell’eternità”. I primi 60 anni de ‘La Struttura
Originaria’, Padova, Padova University Press, Dibattito con E. Severino, in
“Divus Thomas” . Il quadro anagogico e i segreti della musica di J. S. Bach. La
Ciaccona e il Contrappunto XIV de L’Arte della Fuga, in “Divus Thomas” 2
(), 13-27. Note A. Postorino, La scienza di Dio. Il tomismo
anagogico di Giuseppe Barzaghi... Data
l'importanza dell'anagogia nel pensiero di Barzaghi, gli è stata commissionata
la stesura dell'omonima voce sull'Enciclopedia filosofica (Bompiani 2006),
nonché, sul versante teologico, la voce «mistica anagogica» sul Nuovo
dizionario di mistica dell’Editrice vaticana.
RaiCultura: Dio e il concetto filosofico di eternità del Tutto Dialogo tra Emanuele Severino e Giuseppe
Barzaghiparte 1 e parte 2 E. Severino,
Nascere. E altri problemi della coscienza religiosa, Articolo pubblicato sul
Corriere della Sera del 2 novembre 1999
Dionigi, I nomi divini (testo critico di M. Moranicommento di G.
Barzaghi), Bologna, ESD, , II, 3.
All'alba dell'eternità. I primi 60 anni de 'La struttura originaria'
(UniPa) Apocalisse 13, 8 Cfr. G. Barzaghi, Lo sguardo di Dio. Nuovi
saggi di teologia anagogica, Bologna, ESD, ,
157-270 Santiago María Ramírez
op, De ordine placita quaedam thomistica, Salamanca, San Esteban, 1963. G. Barzaghi, Lo sguardo di Dio. Saggi di
teologia anagogica, Siena, Cantagalli, 200333. UniPdL’eternità
dell’essente RaiScuola: Giuseppe Barzaghi.
Dio e il concetto filosofico… Si veda ad
esempio: E. SeverinoG. Barzaghi, L’alterità tra mondo e Dio: la verità
dell’essere e il divenire, in: “Divus Thomas” 3 (1998), 57-81.
E. Severino, Nascere. E altri problemi della coscienza religiosa Dialogo Severino-Barzaghi a Milano Giornata di studio dello Studio filosofico
domenicano di Bologna RaiCultura.
Giuseppe Barzaghi, Dio e il concetto filosofico di eternità del Tutto su
raicultura. Interviste ai filosofi: Giuseppe Barzaghi su youtube.com. Giuseppe
Barzaghi. Keywords: scuola di anagogia, ana-gogia, il quadro anagogico,
anagogia, greco ‘anagogia’. Implicatura storica, la porta di velia, girgentu,
l’implicatura di milesso, il segno di boezio, filosofia italiana. Scuola di
anagogia, Bologna, fidanza, Aquino, filosofia romana, carneade, l’ambassiata
greca a Roma, filosofia, la scuola di Crotone, l’impicatura di Gorgia di
Leonzio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Barzaghi” – The Swimming-Pool Library.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51790037784/in/dateposted-public/
Grice e Barzellotti –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: “The good
thing about Barzellotti’s treatment of Cicerone’s dialettica is that he pours
in all his expterise on two fields: Italian mentality, Roman mentality – so he
can understand, in a way an Englishman cannot, the way Cicerone dealt with the
‘dialectic,’ Athenian dialectic, if you wish, and turned it into a ‘Roman’
dialectic --. He of course never considers English interpreters, only German!
And refutes them!” -- “You’ve got to love Barzellotti – he is critical of the
idea of ‘Italian philosophy,’ but not of what he calls ‘The Oxcford school of
philosophy,’ – Philosophy has no country-tag; she belongs to humanity; a
DOCTRINE, or a school, may have a ‘national’ identification – And part of the
problem with Italian philosophy is that there was Italian philosophy before
there was Italy!” Grice: “My favourite is his tract on Cicero, who he sees as
an Italian!” -- Senatore del Regno d'Italia nella XXII legislatura. Allievo di
Terenzio Mamiani e di Augusto Conti, entrambi filosofi spiritualisti, si
professò poi seguace del Neokantismo. Si interessò soprattutto alla storia
della filosofia con particolare riguardo ai problemi di psicologia artistica e
religiosa. Ebbe la cattedra di Filosofia morale alle Pavia nel 1881 e di
Napoli, nel 1887. Nel 1896 divenne professore di Storia della filosofia
all'Roma. Fu ammesso all'Accademia nazionale dei Lincei nel 1899. Nel 1908 fu
nominato senatore del Regno d'Italia. Fu
iniziato in Massoneria nella Loggia Concordia di Firenze, appartenente al Grande
Oriente d'Italia. Altre opere: “La morale
nella filosofia positive” (Firenze: M. Cellini); “La rivoluzione italiana” (Firenze:
Successori Le Monnier); “La nuova scuola del Kant e la filosofia scientifica”
(Roma: Tip. Barbera); “David Lazzaretti di Arcidosso (detto il santo), Bologna:
Zanichelli); “Monte Amiata e il suo
profeta, Milano: Fratelli Treves); “ “Santi, solitari, filosofi: saggi
psicologici” (Bologna: Nicola Zanichelli); “Studi e ritratti, Bologna:
Zanichelli); “Taine, Roma : Loescher); “L'opera storica della filosofia, Palermo:
R. Sandron). Note Vittorio Gnocchini,
L'Italia dei Liberi Muratori, Erasmo ed., Roma, 200526. Virginia Cappelletti, Giacomo Barzellotti, in
Dizionario biografico degli italiani, 7,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1970. 20 novembre . Giacomo
Barzellotti, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 1930, giacomo-barzellotti. 20 novembre . Altri progetti Collabora a
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Horizons Unlimited srl. Opere di Giacomo Barzellotti, . Giacomo Barzellotti, su Senatori d'Italia,
Senato della Repubblica. Filosofia Filosofo
del XIX secoloFilosofi italiani Professore1844 1917 7 luglio 19 settembre
Firenze PiancastagnaioAccademici dei Lincei. Se
questa ricostruzione, che vengo tentando, del movimento filosofico nella
seconda metà del secolo XIX in Italia,dovesse rigida mente obbedire alle leggi
di una storia della filosofia,alcuni scrit tori,che rientrano nel nostro
quadro,ne andrebbero certamente esclusi. Lo notammo a proposito di T. Mamiani;e
torna opportuno dichiararlo per Giacomo Barzellotti. La prima legge della
storia della filosofia è, che il suo oggetto è costituito dal pensiero
filosofico, ossia dalla metafisica, o concezione della realtà, che voglia
dirsi.E però non potranno far parte di essa gli spiriti che a questa conce
zione non abbiano comunque lavorato,o che non ne abbiano sentito il bisogno o
che non ne abbiano avuto le forze. Il Mamiani non ne ebbe le forze, benchè
vivamente desiderasse di pervenire a una filosofia, e ben presto creasse a se
medesimo l'illusione di esservi pervenuto. Il Barzellotti pare invece che non
abbia sentito il biso gno ; e, ingegno letterario anche lui, abbia cercato
nell'attività este tica piuttosto che nella speculativa il vanto di scrittore :
più accorto in ciò e sia detto a sua lode del Mamiani, che per voler essere
quel che non era, non fu nè anche quel che fino a un certo segno,avrebbe potuto
essere. Il Barzellotti, invece, è stato uno degli scrittori italiani più
noti e più letti dell'ultimo trentennio del secolo: il suo nome può dirsi a
buon dritto che sia divenuto popolare : il solo forse tra quelli di scrittori
di cose filosofiche. Chi non ha letto i due volumi di saggi pubblicati dallo
Zanichelli : Santi, solitari e filosofi (1) e Studi e (1)Santi, sol.efil.,
saggi psicologici, Bologna, Zanichelli,2.a ediz.,1886. ritratti?(1).A questa
popolaritàegliappuntoaspirava,consciodelle attitudini del suo ingegno; e ha
messo da parte i problemi, a cui non era nato. Li ha messi da parte come
fanno tutti quelli che limettonodaparte,--negandon e il valore. Ma nell'averlimessi intanto da parte per suo conto è
il suo merito e il segreto della sua fortuna letteraria. Rileggiamo una
confessione, che è nella prefazione ai Santi, solitari efilosofi: « Più d'una
volta al sentirmi chiedere quasi come tessera d'ingresso ai posti distinti
dell'insegnamento o al favore di certi cenacoli letterari o filosofici una
di quelle professioni di fede assoluta nei dommi di qualche sistema,ho pensato
involontariamente a quelle domande che le signore fanno spesso nei giuochi di
sala o nei loro albums profumati, mettendo vi in mano illapis per la
risposta:-- Guardi, mi faccia ilpiacere di dirmi o di scrivermi qui, subito,che
cos'è l'amore,e poi che cosa ella pensa dello Shakespeare epoianche,secrede,
del Goethe;ma chelarispostasiabreve,la prego,non più che dieci
righe,perchè,quaggiù,vede,ha da seri vere anche la mia nipotina
». Vale a dire:il Barzellotti ha bensì aspirato ai posti
distinti dell'insegnamento filosofico.C'era avviato,era quella la sua car
riera:e l'ha percorsa ormai tutta con onore,fino alla cattedra di storia della
filosofia nell'università di Roma ; ma egli non ha potuto mai persuadersi
che per occuparsi di filosofia bisognasse aver fede assoluta in un sistema:che
per mangiar frutta,direbbe Hegel, bi sogna contentarsi di mangiare
ciliege,pere,uva ecc.Non che pro prio abbia ricusato la filosofia, in generale.
La sua filosofia l'ha avutaanche lui; ma «diametralmente opposta»
aquelladichigli venne sempre chiedendo a qualesistemaegliaderisse;opposta
«appunto in questo: che il suo resultato più sicuro, e ormai consentito da
quanti oggi vivono la vita intellettuale dei nostri tempi, si è la
dimostrazione critica dell'impossibilità di chiuder la mente umana inunaforma sistematica
d'interpretazione dell'universo da potersi dire definitiva per la
scienza».Un'opposizione,come puòvedere chiunque abbia studiato con mente
filosofica la storia della filosofia, affatto illusoria:fondata sopra quella
confusione dell'universale e del particolare (per rispetto al concetto della
filosofia) messa in canzonatura da Hegel nel luogo citato dell'Enciclopedia. In
realtà, nessuna forma sistematica ha voluto mai essere definitiva; ma
s'è (1) St. e ritr., ivi, 1893. sforzata di organizzarsi a sistema,
per essere qualche cosa di filoso fico, per vivere nel pensiero, che non può
esser pensiero senz'esser uno. E lo stesso Barzellotti nota una volta che
perfino il Kant,il grande avversario dei sistemi,costrui anche lui la sua
Critica in forma complicata ma strettamente organata di sistema. E che
questo orrore dei sistemi significhi, pel Barzellotti,non negazione critica
della metafisica (com'egli, si vedrà,avrebbe voluto significasse), ma, a
dirittura, liquidazione,anzi evaporazione della filosofia, negata nella sua
universalità perchè negata in tutte le sue forme particolari;loattesta,non
foss'altro,ladichiarazioneseguente: che il valore intimo di cotesta sua
superstite filosofia « sta tutto nel penetrar ch'essa fa oggi del suo spirito
critico i metodi e la parte più alta delle scienze naturali e matematiche non
meno che delle morali».Sit diva, dum nonsitviva.L'ideale delfilosofo,Helm holtz
(tante volte citato dal Barzellotti): un fisico. Voltando,quindi,in
effetti le spalle alla filosofia,ilBarzellotti sentiva bene di non dover
riuscire ostico ai nemici della filosofia, ossia agl'ignoranti di filosofia. Le
sue idee intorno a questo punto della secolarizzazione delle menti,
riescono molto interessanti e istruttive, perchè aiutano a intendere tutta la
psicologia dello scrit tore:« Tra noi in Italia,oggi,lo so da lunga
esperienza,solo a far balenare un momento sul frontespizio d'un
librolatestadifilosofia c'è da vedersi impietrar davanti dallo spavento o dalla
noia quante facce di lettori s'eran chinate a guardarlo ». Di chi la colpa ?
Della filosofia o dei lettori? Il Barzellotti avrebbe una gran voglia di
gettarla tutta addosso alla prima ; m a poichè una certa filosofia deve credere
di coltivarla anche lui,una filosofia invisibile perchè cela tasi nelle scienze
speciali o nell'arte, un pochino di colpa l'ha pur da dare ai lettori,
lamentando « quell'abito come lo chiamerò d'antipatia o di pigrizia mentale? –
che nella scienza e nell'arte ci fa rifuggire dalle forme più alte e più
complicate del pensiero, che ci sanno di aspro o di esotico ». Ma , s'intende,
il maggior torto è della filosofia: È l'effetto del discredito
meritatissimo, in cui la filosofia cadde tra noi parlando per tanto tempo il
gergo barbaro del pensare e dello scri vere di troppi ormai che ne hanno fatto
una casistica da medio evo in ritardo,e che,o predicassero dal pulpito delle
nostre scuole ortodosse,o negassero Dio e l'anima mettendo in cattivo italiano
i loro imparaticci francesi, inglesi o tedeschi, hanno nella filosofia impedito
tra noi quasi sino ad oggi quella definitiva secolarizzazione delle menti che
per tutto fuori di qui segna da un pezzo l'avvenimento della cultura moderna. In Italia,un lettore che abbia familiare l'abito di mente
inseparabile dalla cultura e dalla scienza contemporanea,è raro che,aprendo per
distra zione o in mancanza d'ogni altra lettura,un libro di filosofia,non lo
faccia con quello stesso viso con cui un giornalista della capitale si la
scia,in viaggio,dare le ultime notizie di una crisi ministeriale da un suo
corrispondente di Cuneo o di Brindisi.E avrà anche torto;ma che dire,quando il
fatto stesso del mancare tra noi un pubblico di lettori per la filosofia mostra
chiaro che in Italia la filosofia non sa,meno rare eccezioni,farsi leggere,cioè
non sa pensare e scrivere,non voglio dire coipiùepeipiù,ma almeno
coipiùcolti,con coloro che pensano;il che poi significa ch'essa non vive ancora
tra noi la vita della mente contemporanea? La filosofia, per vivere la
vita di questa mente contemporanea, deve abbandonare il suo barbaro gergo. Si
potrebbe pensare dataluno che l'unico movimento di qualche vigore che si sia
avuto in Italia negli ultimi tempi,è quello hegeliano di Napoli. Ma quello, secondo il Barzellotti, riuscìpiùascuoter
elementi,chea fecon darle di germi durevoli,a cagione appunto della sacra
tenebra delle formule, nella quale i più di quegli scrittori
s'avvolgevano, del gergo tra barbaro e bizantino che facevano parlare al loro
pensiero oracoleggiante (1). Ma, che cosa è questo gergo e quest'oracoleggiare
se non la forma specifica della filosofia,inaccessibile,naturalmente, non solo
ai più, ma anche ai più culti, quando la loro cultura non abbracci anche la
filosofia; e la filosofia non liquida o vaporante
nellasuaastrattauniversalità,ma solidaeconcretanellasuccessione progressiva
delle sue forme storiche, fino a quella, alla quale una determinata
ricostruzione della storia mette capo? E la secolariz zazione dello spirito, e
il farsi leggere della filosofia che altro p o s sono significare se non
distruggere quella differenza specifica che costituisce il valore del grado
spirituale proprio della filosofia ? Intendiamoci: non già che il filosofo
debba scriver male. Il Barzellotti dice della Vita del Vico che « ha dal lato
letterario il difetto di tutti i libri delgranfilosofo: èmalescritta»(2).
E non è vero,com'è vero invece che è « mal composta,oscura,involuta ). Oscuro e
involuto rimase appunto gran parte del pensiero delVico; e quindi l'oscurità e
l'involuzione della forma. Ma il Vico scriveva benissimo,esprimendo con
efficacia potente d'immagini i (1) Vedi lo scritto Il pessimismo
filosofico in Germania e ilproblema m o . rale dei nostri tempi, nella N.
Antologia del 1.0 maggio 1889, p. 56. (2) D a l r i n a s c i m e n t o a
l r i s o r g i m e n t o , P a l e r m o , S a n d r o n , 1 9 0 4 , p . 2 0 1
. suoi concetti; ma,s'intende,quando avevadeiconcetti:laddoveè certo, come
lo stesso Barzellotti dice, che a lui mancò « la co scienza chiara, luminosa
del proprio pensiero, che è la parte prima ed essenziale dello scrittore ». In
altri termini, egli non pervenne alpossessocompletode'suoiconcetti,parecchideiquali,enon
i secondarii, rimasero in uno sfondo di penombra in quella gran mente che
così largo giro ne volle stringere nella sua speculazione, sbozzata con
persistente lavorìo intorno a una materia non veramente omogenea,tradistoriaedifilosofia.IlVico
scrive male dove e in quanto pensa male ; e questo è il Vico che non conta
nella storia. Ma ilVico che conta, il filosofo vero e proprio è uno
scrittore sommo.E non potrebbe essere altrimenti,perchè l'arteelafilosofia non
sono due muse sorelle,ma l'unico Apollo,lo spirito,che non sale alla filosofia
se non attraverso l'arte, e non supera mai se stesso, come avvertì per primo
Aristotile, se non conservando se stesso, crescendo sempre sopra disè.–
Chiscrivemale,perciò,appunto perchè scrive male non è filosofo. Ma lo
scriver bene del filosofo non è lo scriver bene del poeta;altrimenti verrebbe
meno la differenza, tra l'uno e l'altro, che nessuno vuol negare. E comeil
poeta scrive sempre bene se vien poetando, così il filosofo scrive bene anche
lui se, anzi che pensare a scriver bene, pensa piuttosto e riesce a filosofare,
anche a costo di finire per ravvolgersi in un gergo. Non c'è pure il gergo
della poesia? O non era poeta chi diede l'espressione classica della impopolarità
essenziale delle forme alte dello spirito nell'odi profanum vulgus? Pel
Barzellotti,invece,il filosofo può farsi leggere,se si contenta di metter da
parte la filosofia. Nella menzionata confessione, premessa ai Santi, solitari e
filosofi (1), lo dice chiaro : « lo vorrei, senz'aver l'aria di presumer
troppo,poter dire press'a poco quello che un amico mio diceva ai lettori
d'un giornale,annunziandovi la prima edizione del Lazzaretti: perdonate a
questo libro quel po' di filosofia che l'Autore ci ha voluto,a ogni
costo,mettere (giacchè patisce, poveretto!,diqueste
malinconie);perdonateglielaingrazia di quel tanto dipiùedimeglioche illibro
visaprà farpensare oviracconteràovidescriverà come opera d'arte».Vedremo
fra pocoinche consiste quel po' di filosofiadacuiilBarzellottinon
s'èvoluto mai distaccare;ma non bisogna dimenticare,che quel che di più e
di meglio egli ha inteso di mettere ne'proprii scritti (1) Santi, p. 52
n. Perchè dunque parliamo qui del Barzellotti, e in questa
parte dedicata ai platonici Ecco: queste note, senza voler essere
propriamente una storia,mirano piuttosto a rivedere criticamente i
giudizii correnti intorno agli ultimi scrittori italiani di filosofia. Ora
il Barzellotti, per giudizio comune, avrebbe partecipato al movimento dei
nostri studii filosofici, e avrebbe agito nella cultura nazionale appunto
come filosofo. Domandate ai suoi molti lettori se egli sia uno scrittore
di filosofia o un prosatore, un artista; novantanove su cento vi
risponderanno che è sì un artista,ma un artista-filosofo, o meglio un
filosofo-artista; uno dei pochi, o il solo dei nostri filosofi, che abbia
saputo liberare la scienza della forma pedantesca della scuola e del
barbarico gergo abituale, per esporla in saggi eleganti, ossia in maniera
accessibile a tutte le persone colte e di gusto. Ripeterebbero, insomma, quel
che il Barzellotti stesso ha sempre pensato e detto di sé. Perchè, bisogna
pur dirlo, niente riesce più a render perplessi e a sviare igiudizii,di
questa specie di sofisticazioni della scienza,operate dai secolarizzatori
o popolarizzatori della medesima. Il po ' di filosofia viene apprezzato non
in ragione del suo valore,che può esser nullo,ma in ragione dell'arte, in
cui si diceepuò parere che si siamesso; l'operad'arte,egual mente, non è giudicata
con tutta la severità che si userebbe verso le opere di arte pura, che non
avessero quella difficoltà di una materia ribelle all'elaborazione artistica; e
i critici letterarii, inetti a giudicare quel po'di filosofia, indulgono a
quell'arte gravida o s a z i a d i s a p e r e. Perchè , s e h o d e t t o c h
e il B a r z e l l o t t i è u n a r t i s t a p i ù che un filosofo,non
credo poi (se mi è lecito proprio questa volta una digressione letteraria (1))
che possa dirsi un artista finito, e che il suo capolavoro (ilLazzaretti) siaun
capolavororiuscito. È ilmeglio riu scito di questi suoi tentativi artistici,
pel senso vivo del paesaggio e dell'anima popolare di quell'angolo della
Toscana, in cui il B a r è al di qua della filosofia: è qualche cosa che
può far pensare,una riflessione morale e psicologica;è soprattutto opera
d'arte.Dello scritto su David Lazzaretti, che può forse considerarsi come il ca
p o l a v o r o d e l B a r z e l l o t t i , il q u a l e i n e s s o si p r o
p o s e b e n s ì d i f a r e u n o studio di psicologia religiosa,lo stesso
autore dice che « vorrebbe essere,se pure non pretende troppo,un'opera
d'arte,ma senzadar nel romanzo ».(1) Vedi in questo fasc. l’art. del Croce, pp.
337-8. zel lot ti era vissuto fanciullo, e tornato spesso a rinnovare le
sensa zioni dei primi anni.Ma anche lì quel po'di filosofia come stuona in
quell'ambiente pastoraleenell'ingenua psicologiadel misticismo lazzarettiano! E
come appiccicato è lo studio sull'origineelosvol gimento e i caratteri di quel
moto religioso sulla cornice dell'im mediata azione, in cui l'autore l'ha
voluto inquadrare, per aver agioa descrivere meglio iluoghi,che furono scena
dei fatti del Lazzaretti,e individuare itipi de'suoi seguaci!L'azione, troppo
povera,è una gita di caccia,a cui l'autore per altro non partecipa, restando
sempre in disparte ad almanaccare sull'anima del barocciaio di Arcidosso.Dopo
la caccia c'è una colazione,sull'erba;e alacolazione questa volta pare pigli
parte anche il Barzellotti Ma quale parte? Egli titrova nel cerchiounuomo del paese,
Filippo, il,bigonciaio, un discepolo del Lazzaretti ; e subito ne profitta,
dicen dogli che avrebbe avuto caro di sapere « molti particolari intorno aDavid
e alla vita che i suoi seguaci avevano fatto con lui in quelluogo »,lisulla
torre di Monte Labbro.Il lettore,nemico della filosofia, a cui il Barzellotti
s'indirizza, s'aspetterebbe la conversa zione dell'autore con Filippo,il quale
dovrebbe farci entrare a poco a poco con i suoi ricordi in tutto quel mondo
morale che l'autore civuolrappresentare.Difficileimpresa,certo;ma soloachi,come
ilBarzellotti,non avesse davvero il suo Filippo rivelatore vivo e parlante
nella fantasia; sibbene gli scritti del Lazzaretti,gli appunti delle relazioni
fornitegli da amici del luogo,le deposizioni dei lazza r e t t i s t i, e
p o i i v o l u m i d e l R e n a n , e l e o p e r e d e l l ' H a r t m a n n
e q u a l che fascicolo del Nineteenth Century sul tavolino. Il Barzellotti,che pure ha scritto un bel saggio sulla
sincerità nell'arte,in quel punto della sua opera non si ricorda di quelle
sue giustissime idee : e dopo aver detto come inducesse Filippo a
parlare,continua : « Mi rispose con un leggero atto della testa che
acconsentiva,e ci mettemmo tutti amangiare ».Ma alla conversazione non ci fa
assistere.«E ora mi pare da vero tempo che anche i lettori conoscano per :filo
e per segno i fatti cui ho accennato tante volte, e li conoscano, quello che
più importa,in ordine alle loro cause e alle condizioni sociali e morali
de'luoghi, o, come oggisidice, dell'ambiente nelquale ebbero origine ».E segue
infatti il corpo,per dir così,dello studio sul Lazzaretti: centoquaranta pagine
(1), in cui Filippo e la colazione sondimenticati.Poi
l'autoreripiglia:«Questecosemi andavano per la mente cinque anni dopo la morte
di David mentre co'miei (1) Santi, pp. 121-262. amici stavo nel
piazzale davanti all'eremo di Monte Labbro.Passato quel silenzio profondo
dei primi bocconi. »;– e torna a saltar su finalmente Filippo,che però il B.
non ci fa mai udire.Sicchè nel l'immaginazione dell'artista durante quella
colazione,oltre che per tutte le considerazioni seguenti sul carattere della
fede di Filippo, ci sarebbe stato il tempo per andar pensando a tutte quelle
140 paginediroba! L'elementodescrittivoedrammaticorestaaffatto estraneo e
sovrapposto allo studio storico-psicologico. E questa so vrapposizione,questa
mancanza di fusione,che accuserebbe per sè, quando non vi fossero le
dichiarazioni esplicite dello scrittore,le sue preoccupazioni artistiche,
mentre egli realmente non si mette mai
inunasituazionesinceramenteartistica,sonoilmaggiordifetto che io vedo in questi
suoi tentativi d'arte.- E un altro mi sia lecito anche notarne,che è in fondo
una conseguenza del primo,e mi fa tornare al mio soggetto speciale: la
lungaggine, la prolissità dello scrittore:difetto da lui stesso additato come
uno degli effetti più gravi della rettorica, della vuotaggine di gran parte
della lette ratura italiana. « Solo chi ha poco o nulla da dire dice sempre di
più di quello che dovrebbe dire »(1).Appunto,la esiguità del con tenuto
spirituale del Barzellotti gli ha fatto scrivere molte e molte pagine a cui
s'attagliano parecchie delle osservazioni da lui fatte intorno a cotesto
difetto della letteratura italiana, dominata dallo ideale umanistico.Non c'è
scritto di lui in cui sia detto breve e chiaro quello che l'autore s'è proposto
di dire;e spesso si stenta ad afferrare il suo concetto, tra le molte parole
non abbastanza precise e determinate,in cui egli si sforza d'esprimerlo,cioè di
concretarlo,quasi per una serie di approssimazioni al pensiero, che non si
riesce afermare inuna formavivente.Tipica,per questo riguardo,mi sembra la
prolusione letta a Napoli nel 1887:La morale come scienza e come fatto e il suo
progresso nella storia (2). E valga per esempio questo squarcio,che ne tolgo a
caso: Perchè è bene che io lo dica fin da ora,o signori,anche a titolo di quella
schietta professione di fede scientifica che mi pare d'esser tenuto a
farvi qui.Il modo in cui io concepisco la legge intima
dell'organismo e della vita delle scienze morali o,meglio,delle scienze che io
chiamo più propriamente umane,e quindi dell'etica,che se ne può dire quasi il
centro, non è quello stesso che pare presupposto da quanti oggi
ponendo, (1)Dal rinascimento al risorgimento, p.206. (2)Rivista
ital.difilos.del FERRI, a.I, vol.II(1887), pp.3-33. con ragione, l'esperienza
a fondamento di tutto il sapere umano,non di stinguono con qual divario
profondo il processo di costruzione ideale del pensiero scientifico sui dati
sperimentali si faccia nelle dottrine naturali e in quelle morali e storiche.
Là l'ufficio, l'opera della scienza sta nel ritrarre, nel rilevare a uno a uno,
sino a i piùintimi, i tratti della fisonomia eternamente immota e impassibile
della natura, che anche nel l'inesausta ricchezza delle sue produzioni, ripete
eternamente se stessa; stanel far penetrare,se posso dir cosi,la parola,più e
più criticamente riveduta delle teorie e delle ipotesi,quasi scandaglio che
tenti un fondo impossibile però a toccare mai tutto,sempre più verso l'ultima
espres sione approssimativa di un vero che, inesauribile in sé,sappiamo però essere
e durare ab eterno eguale a sè stesso. Ed ecco perchè, una volta messe queste
scienze sulla via maestra del metodo sperimentale, e fu, o «signori,
merito imperituro dellafilosofiadelsec.XVI, latradizione del l'acquisto lento,
faticoso, ma sicuro del vero,vi si stabili con una fermezza che non ha pur
troppo riscontro alcuno nella storia delle scienze del l'uomo e della
società. In questa l'opera ideale costruttiva,la funzione che vi ha il
pensiero scientifico di assimilare a sè il vero dei fatti sperimentati e
osservati e di trarlo quasi in sostanza sua, è, mi pare, tutt'altro. È un
farsi, uno svol gersi della vita e dell'organismo riflesso della scienza
insieme con quello spontaneo del vero umano e sociale che si spiega,che fluisce
inesauribilmente ricco, fecondo e vario ne'secoli.E l'occhio delle scienze
morali, intento a scrutarne le leggi,è simile a quello di un osservatore
che da punti di prospettiva via via sempre nuovi studiasse, camminando, le
forme,le proporzioni e la direzione di un'immensa folla di oggetti che gli
simostrano dinanzi. Sbaglierò; ma a me pare che, tolti i fronzoli e i
particolari inutili, il pensiero adombrato in tutta questa pagina sarebbe stato
espresso forse più chiaramente, se si fosse detto press'a poco così: lescienzemoralisifondano,alparidellescienzenaturali,sul
l'esperienza;ma siccome la natura è sempre quella, el'uomohauna storia, le
verità scoperte dalle scienze naturali hanno una stabilità e fermezza
incompatibile con quelle via via determinate dalle scienze morali, alle quali
spetta di seguire il processo storico del loro o g getto. Egli è che al
Barzellotti, mente coltissima, è mancata proprio quella qualità ch'egli è
andato sempre cercando:l'intimità,il con tatto dell'anima con le cose. Quindi
l'artifizio e lo stento,la forma levigata, elegante,ma alquanto vuota e sonora.
Le sue professioni difedefilosofica,percuilodovremmo aggregareaineokantiani,
sono semplici adesioni formali, spesso ripetute con la premura di chi tiene ad
apparire spirito moderno, del proprio tempo (come (1)Nella
N. Antologia del 15 febbraio 1880,pp.591-630. (2)Fil.sc.ital.,
1878,XVIII,42-3.(3)Pag.38n. egli ha detto
di sè tante volte); ma non corrispondono a una par tecipazione effettiva della
sua mente ai problemi critici e morali, ridestati dal ritorno a Kant.Lo
scritto,che secondo lo stesso Bar zellotti, dovrebbe essere più significativo
per questa sua adesione al criticismo (La nuova scuola del Kant e la filosofia
scientifica contemporanea in Germania ) (1); e al quale egli infatti s'è
riferito ogni volta che ha voluto documentare l'affermazione sul suo in dirizzo
di pensiero,è un'esposizione informativa,condotta innanzi senza un indizio di
vero consenso, che le considerazioni dei neo kantiani trovassero nell'anima
dell'autore. E quando verso la con chiusione questi dice che « la natura
relativa d'ogni nostra cogni zione sensata è inconciliabile colla pretesa che
ha il dommatismo di determinare positivamente l'essere delle cose in se stesse,
di poter penetrare sino alle sostanze e alle forze ch'egli suppone al di là
de'fenomeni » non puoi dire sicuramente se questo sia il pensiero di chi
scrive,o il pensiero di quegli scrittori di cui que sticihaparlato. Meno che
meno potresti cogliere ilpensierodel Barzellotti nel suo precedente scritto La
critica della conoscenza e la metafisica dopo ilKant (1878-79), lavoro
prevalentemente storico, per cui l'autore si attiene più alle storie del
Fischer e dello Zeller, che alle fonti originali.In una storia dell'idealismo postkantiano,di cui questo
scritto voleva essere un saggio (ma si arrestò allo Schelling), un n e o k a n
t i a n o v e r o n o n p u ò n o n f a r apparire i s u o i c r i t e r i
i filosofici; e non c'è sforzo d'oggettività storica che possa fargli dire
che l'interpetrazione realistica (a cui tenne sempre più fermamente lo stesso
Kant) della critica risponde alla lettera del kantismo,e l'interpetrazione
idealistica del Maimon,del Beck,del Fichte, ri sponde piuttosto allo spirito.
Un neokantiano non avrebbe scritto che il concetto realistico del noumeno (come
qualche cosa che è in sè,indipendentemente dalle forme del conoscere,ed opera
sui sensi)è in Kant un residuo del dommatismo antico che la Critica non era mai
riuscita a spogliarsi interamente, e che stuonava coi risultati negativi e
idealistici della dottrina della conoscenza;e che era una contradizione (2): un
pensiero non pienamente consentaneo a se stesso in ogni sua parte (3).Al
Barzellotti il partito di superare idealisticamentelaCritica,come
feceilFichte,dopol'Enesidemo, pare «ogni giorno più,non che consigliato,
imposto inesorabilmente dalla necessità logica che trascinava le dottrine
del Kant alle loro ultime conseguenze» (1).– Ma tutto questo è
detto,anziripetuto, non con l'accento energico di una convinzione maturata per
proprio conto;sibbene con quella stessa indifferenza che è propria di chi
osserva da spettatore assolutamente disinteressato. Che cosa pre cisamente
debba pensarsi di quel benedetto noumeno,che è lo spettro pauroso
dell'idealismo moderno,non sembra che sia affare che tocchi l'animo del
Barzellotti: il quale potrà dirsi a sua voglia neokantiano(2);ma nonfarà mai
ilneo-kantiano,perchè non sen tirà mai veramente il problema filosofico. E
non ha fatto quindi nè anche ilplatonico,benchè all'indi rizzo dei
platoneggianti italiani egli si accostasse ne'suoi scritti gio vanili,il
principale dei quali è la tesi Delle dottrine filosofiche nei libridi Cicerone
(1867),in cui si vede ancora lo scolaro di A. Conti edi T. Mamiani.Egli doveva
pensare anche a sè quando,discor rendo della Filosofia delle scuole italiane,—
della quale fu sempre uno dei compilatori ordinarii,e se ne poteva dire la
sentinella avan zata verso le letterature filosofiche straniere,di cui scriveva
una cronaca;– disse: «I collaboratori di quellaRivistahannopienali bertà di
pensiero e di discussione ; anzi varii tra di essi professano dottrine molte
diverse da quelle del Mamiani ; ma si raccolgono intorno a lui come al
rappresentante più autorevole di quel moto speculativo,che aiutò il nostro
risorgimento e ci riscosse da una inerzia intellettuale di più che due secoli »
(3). Anche al Barzellotti, insomma,piaceva di essere un filosofo delle scuole
italiane,insieme col Mamianielasuaonrevolgente.Anche aluipareva,p.e.,che
il«merito innegabile della scuola hegeliana(diNapoli)apparirebbe maggiore allo
storico imparziale,se essa avesse tenuto più conto delle disposizioni naturali
e tradizionali dello spirito italiano » (4). Egli dunque si mise nella schiera
del Mamiani ; e io non potevo staccarnelo, non avendo potuto trovare
ne'suoi scritti la dottrina filosofica sua, che ne lo separasse. (1) Pag.
45 (2)Vedi specialmente le proteste nella pref, ai Santi,p.xxm n. (3)
La filosofia in Italia, nella N. Antologia del 15 febbraio 1879, p.
630 (4) Ivi,p.639. (1) Nella Rivista difilos,scientifica,
1882,vol.I,pp.496-525. (2 ) P a g . 4 9 8 . (3) Cosi nel libro sul
Taine qui appresso cit.,p. 168 dirà sempre : « La dot trina idealistica chefa
del mondo sensibile esterno un mero ordine di fenomeni e di segni datici dalle
sensazioni, debba dirsi, per ora almeno, l'ultima parola della scienza, venuta
a confermare la parte indubbiamente vera delle teorie del Berkeley e del Kant
».Vedi poi l'articolo su L'idealismo di A. Schopenh. e la sua dottrina della
percezione, nella Fil. dellesc.ital.,1882, XXVI, 137-65; la cui conclusione
favorevole ai filosofi che « tempo e spazio accolgono in se elementi , a u n t
e m p o , ideali ed empirici, subbiettivi e obiettiv i , h a n n o il l o
r o e s s e r e e la loro legge così nel pensiero come nelle cose,così in
noicome fuori di noi – non vedocomepossaacc larsiconl'idealismoberkeleiano!Masipuòpar
lare di contraddizione ? (4) Credaro nel Grundriss di
UEBERWEG-HEINZE,I,1,364. ( 5 ) C f r . L a m o r a l e c o m e s c i e n z
a e c o m e f a t t o , n e l l a R i v . i t a l . d i f i l o s .,
1887,II,15-16elapref.aiSanti,p.xxi n. Nella prolusione con cui iniziò a
Pavia il suo insegnamento ufficiale universitario, nel 1881, Le condizioni
presenti della filosofia e il problema della morale (t), puoi ravvisare tutto
lo scrittore. Ivi più schietta la professione di fede neo-critica: l'idealismo
da Fichte a Hegel accusato non solo di aver voluto costruire luni verso da un
sol punto, con un solo principio assoluto,ma di avere altresì dimenticato «
quello che le aveva lasciato detto il maestro, che cioè,se i fatti senza le
idee sono ciechi,queste alla lor volta, non cimentate coll'esperienza, riescon
vuote e ingannevoli » (tra vestimento del genuino pensiero kantiano e
disconoscimento del genuino pensiero hegeliano); la riflessione filosofica
definita per artifizio(2); approvato- comegià nella Morale della filosofia
positiva (1871)– l'indirizzo psicologico-sperimentale dato dagl'inglesi alla
filosofia dello spirito; fatto buon viso alla loro teoria della re latività del
conoscere (dove l'autore vede un kantismo ricondotto addietro fino a
Berkeley (3); dato corpo in certo modo a quella specie di eccletismo, che gli è
stato talvolta attribuito (4), e a cui egli stesso in alcuni scrittisi può
dire che abbia accennato parlando di una mediazione tra il criticismo e
l'evoluzionismo (5); rifatta un'altra volta la storia del ritorno a Kant,
nonchè della scuola spe rimentale inglese,per conchiudere che oggi il filosofo
« non prova più in sè quello che pure era,ed è tuttora,così proprio
de'meta fisici, il sentimento superbo di un preteso primato sui cultori
dell altre scienze, la vana persuasione di potersi segregare da loro nella
solitudine di un infecondo sapere assoluto, superiore alle
indagini pazienti de fatti e all'esperienza, e ambizioso di tutto darle,
senza nulla riceverne ». Qui si abbandona,come ognun vede, esplicitamente
l'eterno proposito della filosofia. Niente di superiore ai fatti e
all'esperienza. Il filosofo non deve aspirare se non,come tutti gli altri
scienziati,a fornire col proprio lavoro alcuni pochi tra gl'infiniti dati, tra
le infinite verità d'esperienza e di ragionamento a c cessibili alla mente
umana nel suo sublime tentativo d'interpretare l ' unità delle cose e
delle loro leggi. Nien t ' a l t r o c h e d a t i ! Non c e r t o
«un'assolutadisperazionedelvero»,ma «una fede assai condizionata nel valore di
quelle forme del vero che la mente umana accoglie in sè successivamente »;
un « abito di mente critica inquisitiva per eccellenza, che non riposa mai o
quasi mai in una conchiusione, che rifà di continuo i proprii convincimenti
». Abito di mente, insomma,da spettatore,non da artefice della verità.
E chi lo afferma si vede bene che,accortosi della vanità di
questo affaticarsi perenne nel tentativo sublime,quanto a sè,intende
mettersi da un canto,e stare a vedere.Qui, nella ricerca della verità, non
c'è l'anima del Barzellotti.Di questa ricerca egli non vede se non una
vita vana,dicui nessuno spirito può vivere.Onde vidirà: l'uomo è nato non tanto
a pensare quanto ad operare.E per operare ci vogliono quei saldi convincimenti,che
la scienza non può dare. Perciò è che la filosofia non può prendere il luogo
delle credenze religiose. Il Barzellotti non dice propriamente perchè, e gira
attorno a questo problema,che è dei più delicati circa il valore della
filosofia. Ma fa alcune osservazioni,che ritraggono lo spirito dello
scrittore. Non tutti possono vivere su principii, che siano il risultato del
ragionamento; infiniti sempre attingeranno la norma delle azioni « dal
cuore,dall'immaginativa, dalla fede, dalla per suasione affettuosa immediata,da
un che in somma non ragionato, m a sentito e i n t u i t o » . C o n t r o
c h i c r e d e , c o m e il R e n a n , che p o s s a la scienza un
giorno trasformare e governare tutta la vita,bisogna notare che « delle due
forme di conoscenza ond'è capace la nostra mente,la concreta e diretta,o vuoi
intuitiva, ha sull'astratta e sulla riflessa infiniti vantaggi nella pratica
della vita. Se non che,tale appunto quale è,ottimo istrumento e guida
all'azione,la conoscenza intuitiva ha in sè questo di più specialmente proprio
e suo e d'op posto all'indole del sapere scientifico.; appunto perchè
concreta, particolare e attinta dalla viva esperienza e quasi dal contatto
delle cose e degli uomini, essa è tutta individuale, e per ciò incomunicabile:più
che vera e propria cognizione, potrebbe dirsi un certo tatto finissimo. La
scienza stessa., in ciò ch'essa ha in sè di più intimo e d'organico, presa come
un tutto che si muove e vive d'una vita inseparabile da quella d'ogni mente che
l'ha in sè e l'ha fatta sua propria, riesce non meno individuale e
incomunicabile di quello che sia l'intuito, l'arte, l'esperienza immediata,la
convinzione istintiva ». Qui n d i l ' i n e f f i c a c i a della scienza ; q
u i n d i il segreto della forza delle religioni,che s'impossessano di tutto
l'uomo. Perchè la religione abbia quest'afflato, che manca alla scienza, il
Barzellotti non dice.E la verità dell'osservazione consiste,a parer mio
,nell'esperienza personale dell'autore, di cui essa deve ritenersi un indizio.
È la scienza sua,da cui egli si sente ingombra la mente,non riformata
l'anima,che non può cacciar di nido la religione.Se la metafisica, l'alta veduta speculativa investe tutto
l'uomo nei grandi pensatori, egli è che il pensatore in fondo è un artista.Onde
ilBarzellotti plau dirà al pensiero del Taine (in Idéal dans l'art): « che tra
i diversi modi,in cui l'uomo coglie la verità delle cose,il più potente e il
più vero è l'Arte.Essa infatti penetra,per dir così,giù sino al cuore del
grande organismo della natura,e non si limita a darcene,come
falascienza,soloilprofiloesterno,leleggigenerali quantitative,ma ce n'esprime
l'intimo senso,ce ne fa sentire nel loro lavorìo se greto le forze vitali, le
potenze originarie e germinali » (1). E al Taine tributa la gran lode di aver
avuto « anima e mente da ca pire come la scienza,che ci dà solo gli elementi
generali e comuni dei fatti e delle cose,non riesca nello studio dello spirito
umano a rendercene tutto il vero, se non è compenetrata con l'Arte, che
intuisce il particolare, l'individuale, ciò che sfugge all'analisi e al
l'astrazione » (2), E l'autore continua : « Qui sta con buona pace
dellapedanteriatogataditanticheoggisichiamanodotti– la superiorità
dell'Arte,se siagrande e vera, sulla scienza pura, quanto al comprendere l
a vita, il c a r a t t e r e e i sentiment i u m a n i . Si può esser certi
infatti che nessuno specialista, nessuno scienziato nello stretto senso della
parola,arriverà mai a scuotere una di quelle grandi verità della coscienza e
dell'ordine morale,che finora sono state trovate tutte dai fondatori di
religioni, dai metafisici sommi – artisti del pensieroessipure—
daipoeti,dagliscrittori,da co loro che il volgo degl'indotti e dei dotti chiama
uomini non p o sitivi » (3). (1)Ippolito Taine, Roma, Loescher, 1895,pp.
191-2. (2) Ivi, p. 149. (3) Pag. 150. E così ci accostiamo al po'di
filosofia del Barzellotti: a quel po'almeno, che è la nota metafisica vera e
sincera, che risuona nel l'anima sua. E questa nota suona spesso negli
scritti del Barzellotti, benchè non sia che una nota.La religione,dice in uno scritto su L'idea religiosa negli
uomini di stato del risorgimento (1887), è «qualcosa di analogo all'artee
d'irriducibile,per una legge del nostro spirito,ad altre forme della sua vita
interiore »: « la cer tezza delle verità religiose venirci dal sentimento e
dall'intuito, e appartenere a un ordine affatto diverso da quello della
certezza che cipossonodare le dimostrazioni della ragione» (1).– Enellostudio
La giovinezza e la prima educazione di A. Schopenhauer e di G. Leopardi (1881):
« L'uomo, egli (lo Sch.) soleva dire con parole che esprimono forse l'aspetto
più nuovo e più vero della sua filo sofia, ha le sue radici nel cuore, non
nella testa » (2). Quindi quel sentimento,che in uno scritto,anche
precedente,sullo stesso Schopenhauer, è detto « ormai cessato da un pezzo in
Germania; ma dura tuttavia, e cresce nei lettori colti d'ogni paese.: quello
del bisogno che tutti abbiamo,ma che in specie gli studiosi hanno di stringersi
in più intima armonia colla natura e colla realtà » (3). Questo estetismo
o misticismo estetizzante venne al B. dai ro mantici tedeschi,dallo
Schopenhauer,oggetto di suoi studi insistenti? Certo non ha che vedere col suo
preteso criticismo, che è uno scetticismo ingenuo, appenalarvato. Ma visiriconnettenelsensoche, dimostrandoci il
temperamento spirituale dell'uomo, ci fa inten dere la sua naturale avversione
alla vera e propria filosofia.Questo estetismo a me pare appunto la tendenza
naturale del suo spirito; e non prende infatti la forma dimostrativa e
sistematica,che in altri scrittori si atteggia almeno a una critica
gnoseologica del natura lismo, dal Barzellotti non mai fatta; ma resta sempre
una ten denza, che determina l'indirizzo degli studii del Barzellotti, quando
egli trova la sua strada.Più che un concetto pensato e ragionato dalla sua
mente,è un carattere reale della sua mentalità:per cui egli si può dire che
abbia trovato la sua strada quando ha comin
ciatoascrivereisuostudiieritrattiesaggipsicologici,intorno a
scrittori,indirizzi di cultura,epoche o popoli:dove non ha certo teorizzato
sulla tendenza, che ho detto, ma ha obbedito ad essa, cercando il concreto,
l'individuum ineffabile, con l'intuizione del (1) D a l r i n a s c . a l
r i s o r g ., p . 163 . (2 ) S a n t i , p . 4 1 5 . (3) Op . cit ., p .
4 0 5 - l'artista, vedendo, come egli disse, « nello studio
dell'uomo oltrechè un'arte d'intuito e di
divinazione felice,la lenta opera d'una scienza che ormai ha saputo prendere la
sua via in disparte dai sistemi »: rimettendo,insomma,in armonia sè con se
stesso, riducendo tutta lafilosofiaall'arte, cui natura più lo traeva. Se
nonsivogliadire arte,dicasi storia; ma illavoro mentale del Barzellotti non
mira al di là della rappresentazione individuale del concreto.E questa è la sua
filosofia; la quale ha inteso a «unireilpiùpossibile- egli dice l'arte alla
scienza » e « provarsi a ritrovare sui modelli vivi, che danno la storia,
le biografie intime e l'osservazione delle cose sociali,quanti più poteva dei
tratti veri,parlanti di quell'anima umana, che la scienza delle scuole e delle
accademie ci ha per troppo tempo fatta conoscere solo in copie
vaghe,generiche,lavorate di fantasia e di maniera »(1). Da S. Agostino al
Lazzaretti, dalla psicologia delle tentazioni a quella del pessimismo
filosofico, dal Taine al Nietzsche, dallo spi rito paganeggiante del
rinascimento alla tempra morale della deca denza, alla religiosità dei nostri
uomini del risorgimento, al river bero della nostra anima nazionale nella
letteratura, il Barzellotti dall'8o in circa ad oggi si può dire che abbia
raccolto tutte le forze della sua mente intorno a particolari problemi storici
di psicologia, cercando così attraverso i procedimenti intuitivi dell'arte
quella ve rità alla cui visione non s'era potuto elevare col metodo razionale
del pensiero speculativo:spargendo, in verità,gran copia di osser vazioni fini
ed acute principalmente sulla storia dellaforma mentis, com'egli ama dire, del
popolo italiano.Se incotestaarte, peraltro, egli sia riuscito di solito a
toccare il segno,non è il luogo questo di ricercare: se dovessi esprimere il
mio giudizio,direi che per sif fatte indagini di storia psicologica al
Barzellotti manca,per otte nere la rappresentazione piena e viva dell'anima
umana,ciò che forma davvero lo storico e l'artista: lo sguardo diretto
all'intimo della individualità; la quale non si potrà mai ricostruire,se non
s'affisa prima di tutto il centro vitale del suo organismo; laddove il
Barzellotti gira troppo con considerazioni e divagazioni generali intorno ai
personaggi e agli stati morali presi a studiare.E gli manca altresì, per lo
più, quella piena e diretta conoscenza dei particolari, in mezzo ai quali
soltanto è dato d'imbattersi negl'individui vivi, in quelle anime vere, che il
Barzellotti è andato cercando. (1) Santi, pp. XII-XIII. Di questa sua
veduta estetizzante dello spirito umano bisogna ricordarsi per intendere nel
loro genuino significato i motivi della comunicazione fatta dal Barzellotti
intorno al metodo storico nella trattazione della storia della filosofia al
congresso romano di scienze storiche nel 1903 (1): contro la quale insorse il
vecchio Lasson in nome della universalità della ragione e della scienza
(2). Pel Barzel lotti la filosofia dev'essere rappresentata dallo storico come
la filo sofia di una nazione o di un'altra,quale in una certa epoca essa si
costituisce in stretta attinenza con tutte le condizioni della cultura
circostante, e sulla base degli abiti e delle forme di mente individuali del filosofoo
prevalenti nel tempo dilui.E certo una storia per ogni parte compiuta della
filosofia non può non tener conto ditutta cotesta condizionalità dei sistemi
filosofici; ma ad un patto: che si rammenti non essere la condizionalità, nè
qui nè altrove, la realtà condizionata;e quando tutta la cultura contemporanea
che agi sullo spirito di Kant sia nota,e tutta spiegata la psicologia per
sonale di questo pensatore e del suo secolo,restare tuttavia da in tendere
tutta la sua filosofia, in quel che ha di veramente filosofico, ossia di valore
universale ed eterno. Qui la verità affermata dal Lasson,edal Barzellotti
disconosciuta, per quel suo occhio, fatto per vedere il particolare,cieco
all'universale. E poichè l'universale è l'intimità vera delle menti speculative,anche
qui ei conferma ilsuo difetto di attitudine vera a penetrare nell'intimo degli
spiriti. Egli vede i p e n s a t o r i, e n o n v e d e il pensiero; e però non
vede n è a n c h e veramente i pensatori.Ne son prova isuoi molteplici saggi
sullo Schopenhauer e sul Kant. Ma il Barzellotti è stato forse letto
invano per la cultura intellettuale e morale italiana? Io non credo:non èstato
un filosofo, e neanche un artista riuscito; ma è pure stato un nobile
scrittore, che ha agitato molte menti e molti cuori intorno a questioni morali
e religiose troppo trascuratetra noi; è statoun lucidospecchio di molta parte
della cultura filosofica straniera contemporanea;ed è stato un forbito
scrittore, imitabile esempio ai pedanteschi filoso fanti italiani degli ultimi
tempi. (1) Di alcuni criteri direttivi dell'odierno concetto della storia,
che re stano tuttora da applicare pienamente e rigorosamente alla storia della
fi losofia, massime di quel periodo che va dal Rinascimento a Kant, negli Atti
d e l C o n g r . i n t e r n . d i s c . s t o r . ( R o m a ). Fra i
più malagevoli ufficj della Critica istorica è per certo il determinare come e
quanto contribuisca l'inge gno di ciascun popolo alla sua grandezza
intellettuale e civile, di quanto egli sia debitore alle tradizioni dei suoi
maggiori,o alla civiltà delle nazioni contemporanee; que stione ardua , e più
che alla storia appartenente alla F i losofia, perchè risguarda una legge
intima ed arcana della natura,onde nell'armonia delle facoltà umane s'avvicenda
l'operare e ilpatire,ilconservareeilprodurre,la reve renza alle tradizioni e la
libertà dell'ingegno inventivo. Alla difficoltà d'un tale esame,la quale cresce
a misura che ci avanziamo verso i tempi più antichi,in cui fanno difetto i
documenti e le notizie necessarie ad illustrarne la storia, sono dovuti i
giudizj severi di molti critici in torno alle lettere e alla filosofia
de'Romani; giudizj che introdotti da un pezzo nelle scuole,e avvalorati dal
quasi comune consentimento,negano del tutto o quasi del tutto indole nuova ed
originale alle manifestazioni dell'ingegno latino. Gli argomenti che si
allegano per sostenere tali sentenze io mi dispenserò dal recarli, e perchè
assai noti nella storia delle lettere e della filosofia, e perchè tutti 1
Questa ultima affermazione tanto più è conforme alla storia,in
quanto,sebbene la maggior parte dei critici odierni ricusi da un pezzo nome
autorità di filosofo al senatore romano , è per altro consentito da tutti che i
suoi scritti filosofici si conservarono chiari per benefica efficacia lungo
tutta la decadenza delle lettere e delle scienze latine, e per avere mantenuto
e trasmesso nei principj dell'Era cristiana, e giù pel Medio Evo le dot trine
della filosofia greca alle scuole de'Padri e de'Dottori, 2- concordi nel
sostenere che ai Romani , poco atti sin da principio per naturale tempra
d'ingegno, e distolti per lunga età dalle intestine discordie, dalla brama del d
o minare e dall'esercizio delle armi, e finalmente abba gliati dallo splendore
della civiltà greca,mancò una libera disposizione a ritrarre e a creare il vero
ed il bello negli esercizj della scienza e dell'arte.(Degerando, Brucker,
Tennemann,Ritter,Kuehner ed altri).Ai quali argomenti quando per sè non
rispondesse abbastanza la ragione istorica,la quale vieta potersi sempre
dedurre da ciò,che un popolo fece in certe condizioni di tempi e di civiltà,
quello che in altre condizioni avrebbe potuto e saputo fare; se non mostrasse
il contrario la scuola dei Giure consulti,che dalla coscienza del genere umano
e dalle forme logiche greche compose con tradizione costante quella scienza del
gius costitutrice delle nazioni europee, se l'Eneide emula all'Iliade, Lucrezio
maggiore d'Esio do,la Commedia di Plauto,le storie di Livio,di Sallustio, di
Tacito, la Satira togata di Giovenale e di Persio, l'Elegie di Catullo non
indicassero assai che il genio latino,libero nella imitazione,seppe aggiungere
all'ideale del vero e del bello greco un che d'universale e di so lenne, un
certo senso pratico e positivo, e un'intima ri velazione degli umani affetti,
ignota fin allora ai Gentili e resa più perfetta dal Cristianesimo,io mi
restringerei alle sole opere filosofiche di Cicerone,che sono, parmi, una fra
le prove maggiori del come la scienza deinostri padri, modestamente operosa,
recasse la sua parte alla civiltà universale. e all'età
delRinnovamento.(Ritter,Hist.dela Phil.an cienne,tom.IV, p. 136,e nota 2,Paris,
1858,Ladrange. Kuehner,M. T.Cic.inphil.ejusq.partesmerita.Ham burgi, 1825, P.
V. C. IV. Epil.) La storia della Fi losofia ci mostra di fatto che Cicerone fu
a’Padri latini molto in pregio,e segnatamente a Lattanzio che lo chiama
eccellente, e lo cita nel de Opificio hominis, e nelle In stitutiones divinæ
più volte; poi a sant'Agostino che ri conosce dall'Ortensio la preparazione al
cristianesimo, e in più luoghi della Città di Dio,e altrove lo cita o ne tira
le dottrine; altresì a san Girolamo che tanto l'amò da riferire in una sua
epistola il sì famoso castigo avu tone divinamente, poichè, meglio di
cristiano, meritava chiamarsi Ciceroniano.Fra iDottori più principali è noto
come Boezio togliesse da Tullio il pensiero sulle consola zioni perenni della
filosofia, e apparisce lo studio che di questo egli fece sì da'pensieri e sì
dallo stile; come san Tommaso ne arrechi l'autorità in più luoghi della sua
Somma,comeDante lomeditasse;piùtardinelsecolo decimosesto Erasmo lo esaltava
con lodi famose, e nel decimosettimo l'Autore della Scienza nuova attingeva in
parte dal libro de Legibus il pensiero d’un gius ideale eterno celebrato nella
città dell'universo col disegno della Provvidenza. Ad una fama sì lunga e sì
costante, e che per certo doveva avere una causa non soltanto, come si afferma
generalmente, in quella forma popolare e spontanea, onde le dottrine del
filosofo latino si porgevano all'educazione morale e civile, m a
nell'intrinseco loro valore speculativo, non disconosciuto nè anche oggi da
uomini egregj (Forsyth, Life ofCicero,London,1864,vol.II,XXV,p.282),con
trastano singolarmente i giudizj di alcuni critici piùre c e n t i . L a o p i
n i o n e e s p r e s s a d a t a l i g i u d i z j, a v o l e r l a r i a s
sumere in breve,è la seguente:M. T. Cicerone,ingegno universale, acutissimo e
disposto ai combattimenti dell'elo quenza, più che alle severe indagini
speculative, pensò e compì negli anni del suo ritiro dalla pubblica vita un
compendio largo, chiaro, eloquente della filosofia greca 3
in servigio dei suoi connazionali digiuni sino a quel tempo di tali
studj, o costretti ad attingerli da fonti greche. Da questa pretesa
insufficienza dell'ingegno speculativo di Tullio,dal fine pratico e letterario
ch'e'sipropose,e dal difetto di studjpreparatorj la Criticamodernadeduce la
natura delle sue dottrine; le quali,benchè guidate sempre da criterio sano, e
da una retta applicazione del senso comune,non vanno troppo addentro nei
fondamenti della scienza, affermano per lo più senza esame maturo, nè
costituiscono,come le dottrine dei migliori filosofi greci, un largo e ben
architettato disegno di scienza.(Brucker, H i s t . C r i t . P h i l ., V . I
I , p a r . 2 , p . 1 . C . 1 . T e n n e m a n n , G. Bernhardy, Grundriss der
Römischen Litteratur. Braunsweig, 1862, pag. 769, $ 119.) 2. Facendoci a
cercare l'origine di tali giudizj abba stanza severi,parmi se ne potrebbe
addurre innanzi tutto unacausaassairemota,ma inparterelativaalmodoben
differente, con cui gli antichi e i moderni giudicano il valore di certi uomini
e di certi principj. Tale è la ri forma cominciata in Italia col Bruno, col
Cartesio in Francia, e in Inghilterra con Francesco Bacone,che spez zando ogni
autorità del passato,e quanto sino allora un'eccessiva venerazione avea recato
a fastidio,proclamò l'assoluta libertà della riflessione filosofica, l'assoluta
novità dei sistemi. C o m e s'intendessero quella libertà, e quella novità ; e
quali resultati ne seguitassero alle let tere, alle scienze, alle arti,al
vivere privato e civile,come se ne avvantaggiasse o ne patisse la Morale e la
Reli gione,la Scuola,la Famiglia e lo Stato,non è qui luogo a mostrarlo,e le
son cose oggimai troppo note. Nè io voglio negare i benefizj innegabili della
riforma,e soprat tutto di quella introdotta nelle scienze sperimentali dal Galilei,eda
FrancescoBacone;chè,selariflessioneli bera ed esercitata desunse mirabili
frutti di dottrina da ogni campo dell'umano sapere, e se ne avvantaggiò la
scienza dell'uomo, ne crebbero l'erudizione, la filosofia, le discipline morali
e civili; perfezionò i suoi metodi la Medicina, si levò gigante la Chimica ,la
Geologia sfogliando -4
illibrodellanaturavilesseleetàdelmondo;se tanti incrementi ne provennero
alle industrie e alle manifat ture, onde il viaggiatore trascorre paesi e province
con v e l o c i t à p i ù c h e u m a n a , e i n m e n d ’ u n b a l e n o il
s a l u t o r i congiunge gli amici,benchè separati dalla immensità del
l'oceano, di tutto ciò alla riforma della filosofia è debi trice l'Europa. M a
le è pur debitrice di quella inquieta brama del sapere speculativo, onde si
successero sistemi a sistemi del tutto nuovi sui più impenetrabili misteri
della conoscenza umana,e quel nuovo si cercò da molti nell'inusitato e nello
strano più che nel vero ; così co minciata in Italia ed in Francia la licenza
della rifles sione esaminatrice sui fondamenti della filosofia, ecco il
panteismo superbo del Bruno, del Campanella e dello Spinosa;poi,scontenti del
panteismo,ci diedero dottrine dualistiche il Malebranche e il Guelinx ,
l'idealismo e il sensismo ci vennero dal Berckeley e dal Locke,lo scet ticismo
dal Bayle e dall’ H u m e ; più tardi le sconfinate immaginazioni degli
Alemanni,e un ridurre Dio e l'uni
versoall'uomo,dall'uomoalpensiero,dalpensieroall'idea, dall'idea novamente alla
materia, ed ultima conseguenza di tutto uno scetticismo più sconsolato, un
correre con tinuo a una felicità e a una beatitudine ignota senza rag giungerla
mai ;ecco i resultati dell'aver voluto tutto inno vare !Posta in tal guisa la
filosofia su questo cammino delle restaurazioni assolute, e detto una volta che
la scienza dee rifar la natura (non,come è chiaro,dovere anzila scienza
presuppor la natura tal quale essa è, con tutti i suoi dati, con tutte le sue
relazioni, dover verificarla, non annientarla ), l'indirizzo introdotto
nell'esercizio del pensiero filosofico da quella folla di sistemi eccessiva
mente inquisitivi, doveva esser tale,che quando poi,sof fermata un istante la
foga delle invenzioni, il pensiero istesso si sarebbe rivolto sopra i suoi
passi, e ne sarebbe nata compiuta e perfetta la storia della filosofia, quella
storia ritenesse come presupposto del suo metodo, che unico,o quasi unico
criterio per giudicare della eccellenza di un filosofo e della sua filosofia,
fosse l'assoluta indi 5- 6 pendenza del pensiero esaminatore
dallo stato della n a turale certezza, fosse in una parola la compiuta novità
del sistema. A questo criterio, desunto dallo scetticismo e padre di parziali
opinioni, furono conformati più o meno quei metodi falsi e incompiuti che si seguirono
da oltre mezzo secolo in qua nello scrivere storie della filosofia, onde ne
derivò in Francia e nella Germania una folla di libri, come ad esempio la
storia comparata dei sistemi del Degerando,e la storia del Tennemann,dove si
giudi cano le varie filosofie alla stregua del problema sull'ori gine
dell'umane conoscenze, e dall'avvicinarsi che esse faccian più o meno alle
dottrine del criticismo di Kant; e un tal criterio ci spiega come più tardi
negli storici più temperati e meno imparziali,segnatamente Alemanni, e nei
filosofi delle altre nazioni, immuni dal criticismo, continuasse ereditato
dalla riforma questo soverchio studio dei sistemi inventati, esclusivi, che
ricusano dalla natura qualunque presupposto sull'efficacia delle potenze
conosci tive, e se ne avvalorasse l'opinione levata a cielo ne’diarj e ne’libri
di filosofia, sulla così detta individualità d'ogni sistema,e incomunicabilità
delle dottrine speculative. C o n siderate le quali cose,non dovrebbe far
maraviglia se quel tempo che corse tra lo scorcio del secolo decimosesto e i
principj del decimosettimo,quando Italia e Francia,stanche dell'autorità
abusata dagli scolastici, volevano innovare tutta quanta la scienza (e fu
allora appunto,come nota il Brucker, che si tentarono i primi lavori speciali
sulle dottrine dei Romani e di Cicerone),se quel tempo, dico, non era troppo
opportuno a giudicare imparzialmente una filosofia studiosa delle più antiche e
venerate tradi zioni.E nel vero anche piùtardi intuttoilsecoloXVII, se
n'eccettui coloro che rifiutarono i dubbj del Cartesio, m a tennero il suo
metodo d'esaminare la coscienza, quali il Bossuet, il Fénelon e i più segnalati
di Porto Reale, agli altri che s'appresero ai dubbj, e venner giù giù n e gando
i pregj dell'antichità,nemici d'ogni tradizione,non poteva andare a genio
davvero quella riflessione modesta e tranquillamente efficace che il grande
oratore avea 1 recato sulle verità eterne della coscienza,
desumendone le armonie universali delle dottrine greche temperate dal senno e
dalla moderazione latina. (Vedi l'opinione che ebbero diTullioilPomponaccio
eilCampanella,citatidal Brucker,pag.49,tomo II,notaa.) M a d'altra parte, se
per ispiegare questa opinione si nistra invalsa in Europa contro la letteratura
e la filosofia d'un popolo,che fu per eccellenza il popolo delle tradi
zioni,giova riportarci alle sorgenti diquella Critica, ec cessivamente nemica
al passato, questi giudizj poco reve renti che oggi si ripetono dai più,
apparvero solo nella Storia della Filosofia nata ne'principj del secolo passato
in Germania ed in Francia.Tra ifrancesi,per tacere dei p i ù a n t i c h i , il
D e g e r a n d o v i s p e n d e il c a p . X V I I I d e l l a s u a Storia
comparata dei Sistemi,dove enumerati prima gli ostacoli che impedirono ai Romani
un proprio esercizio dell'indagine speculativa,nota opportunamente non essere
stata abbastanza osservata dał comune degli storici la grande efficacia che
ebbe l'ingegno latino sulla Filosofia trapiantata di Grecia, ond'essa assunse
colore ed indole più positiva, e dalle soverchie astrazioni si ricondusse al
reale. Passa poi ad esaminare gli scritti di Cicerone nel quale rinviene le
note distintive d'ogni altro filosofo ro mano,cioè una scienza desunta dalle
greche tradizioni e composta con metodo ecclettico dalle scuole differenti, una
scienza accessibile ad ogni intelligenza educata, e confa cente a spirar vita
nell'eloquenza, ne'costumi, nell'arte politica; scienza supremamente pratica e
applicabile agli individui e agli stati. (Histoire comparée des systèmes de
philosophie considérés relativement aux principes des connaissances humaines,
par M. Degerando, tom. III, parte I, 1823.) Giudizj assai meno temperati
comparvero inAlemagna, dove fiorendo mirabilmente le discipline filosofiche e
isto riche, e pubblicandosi tuttodì lavori speciali che illustrano con somma
accuratezza ogni parte delle lettere antiche, prevalse però più che altrove la
severità della Critica, che negava ogni nota originale alle lettere e alle
scienze C Tra i critici alemanni va innanzi agli altri in
ordine di tempo e di autorità Giacomo Brucker vero fondatore della Storia della
Filosofia.Ma considerando però il ca pitolo dove egli parla della filosofia
de'romani e di Cice rone,ti accorgi tosto che quell'uomo dottissimo moveva egli
pure dal presupposto non esservi stata in Roma che una semplice continuazione
delle scuole greche ;e secondo le varie specie di queste scuole divide lo
storico il suo trattato intorno alle dottrine romane annoverando Cicerone tra
iseguaci della Nuova Accademia ;quantunque confessi poco appresso ch'ei non
seguì alcuna forma particolare di setta,ma inclinò a quel Sincretismo
istituitoda Antioco. Veramente ilBrucker nel proporsi ilquesito,perchè mai i
Romani e Cicerone non crearono una filosofia propria,non ne accusa, come oggi
il Forsyth, la infelice disposizione dell'ingegno latino (the unmetaphysical
character of the Roman intellect.Life of Cicero,vol.II,p.282);ma quanto ai
Romani in generale ei ne trova la causa nelle occupa zioni della vita civile, e
nella setta Accademica, che cri ticando e sindacando tutti isistemi,svogliava
gl'intelletti da nuove speculazioni ; e quanto a Cicerone, nella natura del suo
ingegno, più immaginoso assai che penetrativo, ond'egli (dice lo storico)
preferiva il probabile all'esame profondo del certo, e delle greche dottrine
rappresen tava nelle sue opere la parte viva e oratoria più che il severo
ordine dei giudicj e delle deduzioni,e la generale armonia del
sistema.(Brucker,Hist.Crit.Phil.,tom.II.) Al giudizio dato dal Brucker si avvicina
in gran parte quello del Tennemann ,e nelle loro opinioni v'ha molto di vero e
di certo, oltre la solita accuratezza nella esposi 8 latine,
appoggiandosi ben di frequente a così deboli prove da far credere quasi che la
movesse un'infelice gelosia di nazione. Ora da qualche anno in Inghilterra e
nella stessa Germania si torna con più studio al passato, e molte parzialità si
correggono ; ed io sono certo che ri composta in pace l'Europa,ilprimo debito
di giustizia alle memorie latine lo pagheranno gli scrittori di quelle grandi e
generose nazioni. 1 zione dei fatti;ma per quanta possa essere la
reverenza dovuta ai due storici insigni della Filosofia, come non accorgersi
che il loro esame,informato da un criterio an ticipato e parziale, riesce insufficiente
a cogliere il vero significato d'una dottrina, come quella di Cicerone, la cui
nota essenziale consiste nel rifiuto d'ogni opinione di setta, e in un
principio universale, che supera ogni si stema ? M a se tanto può dirsi a buon
dritto del Brucker e del Tennemann, merita più speciale considerazione l'esame
assai temperato,e per certo ingegnoso,che fece degli scritti filosofici di
Tullio, Enrico Ritter nella sua storia della Filosofia antica. 3. Le indagini
dotte e meditate del Ritter movendo dai tempi antistorici della Filosofia,e
procedendo lungo i tempi della civiltà indiana, ionica e delle colonie italo
greche fino all'origine delle scuole socratiche, da queste al loro declinare e
disperdersi in una confusione di sistemi sparpagliati e sofistici, giungono a
quello ch'ei chiama terzo periodo dell'antica filosofia, all'età che intercede
tra ilcadere delle repubbliche greche sotto la romana, la rovina di
quest'ultima, e il sorgere del Cristianesimo. Due cause potenti egli allega del
nuovo indirizzo preso in quella età dalla filosofia greco-romana,e le ritrova
nella storia delle due nazioni, che allora si ricambiavano una vicendevole
efficacia nelle lettere, e nelle scienze, e nel vivere privato e civile. Nei
Greci, perchè la costoro scienza impoverita oramai dall'uso eccessivo della
facoltà creatrice nei tempi anteriori, dallo scadimento della li bertà e dei
costumi, e costretta, per accomodarsi all'in gegno e all'educazione dei nuovi
dominatori,a vestire le forme ed il metodo d'una disciplina scolastica, non d e
sunse più le sue dottrine immediatamente dalla riflessione, ma ritornò agli
antichi sistemi,li paragonò,li esaminò, li accordò, desumendo da essi stessi e
incompiutamente, non dalla natura intima del pensiero, il principio del l'esame
e dell'accordo. Nei Romani, perchè essi non of frirono ai Greci alcuna
guarentigia di riforme scientifiche, -9 ma vissuti sino a
quel tempo in mezzo ai tumulti della vita civile,e fra lo strepito delle
armi,tranne una certa tendenza, che li moveva agli ordinamenti giuridici, nè la
natura, nè la educazione loro si porgeva punto alle indagini della scienza.
Quindi (osserva ildotto Alemanno) era ben naturale che, date quelle condizioni
morali,civili e scientifiche, dall'accoppiamento dell'ingegno greco e latino derivasse
un Ecclettismo erudito; derivò infatti; e di questa filosofia, l'indole della
quale è sostituire la li bertà della scelta alla libertà dell'ingegno
inventivo, accomodarsi alla natura degli scrittori,abbandonato l'or dinamento
scienziale non fidarsi all'esame, e se occorre, attenersi principalmente
all'autorità del consentimento comune,eitrovò la più importante
manifestazione,oltrechè nel pendio generale dei tempi,nella vita,nell'animo e
nelle opere di Cicerone. Ei ne considerò con raro accor gimento la vita,e
vedendo come la parte ch'ei tiene nella storia della Filosofia, è perfettamente
d'accordo con quella che occupò nella storia civile dei tempi ; come furono le
medesime qualità e gli stessi difetti che, se lo levarono alto nella vita
pubblica e nella filosofia, non gli consen tirono per altro di giungere al
sommo e nell'una e nel l'altra, ricercò queste qualità e questi difetti
nell'indole di lui, e non gli parve rinvenirvi accoppiata alla vivezza
dell'ingegno oratorio, al sentimento squisito del diritto, all'amore per gli
altri,e particolarmente pe'suoi,all'ope rosità indefessa,a una rara previdenza
dell'avvenire,quella sicurtà in sè stesso e quella fermezza di volere che costi
tuisce il grande scrittore e l'uomo di stato. Condotto, egli dice,dall'efficacia
di condizioni esteriori a filosofare, come nella sua gioventù, mentre applicava
la filosofia all'esercizio dell'eloquenza,egli avea frequentato le prin cipali
scuole di Grecia, così nel suo ritiro dalla pubblica vita non seguì una
dottrina particolare, ma trascelse il meglio di tutte; la quale incertezza di
studj, che non a p profondivano la scienza, ma la assaggiavano appena, ri
sentiva della incertezza della sua condizione politica, perchè ei scrisse le
sue opere principali durante gli scon 10 volgimenti del primo
triumvirato,la dittatura di Cesare e il consolato di Antonio,tempi calamitosi
per la libertà, nei quali escluso da ogni ingerimento civile, e fuggendo il
cospetto degli scellerati, andava consolando la sua soli tudine colle meditazioni
della scienza.Era quindi ben naturale che il grande oratore, vissuto da lunghi
anni in tanto splendore delle pubbliche faccende, non si ripo sasse volentieri
negli ozj solitarj delle sue ville ; la d e bolezza innata dell'animo suo, come
gli avea impedito di rimaner fermo al governo delle cose civili, di valersi
della sua autorità per contrastare ai principj della ti rannide cesarea, ora
gl'impediva di darsi a tutt'uomo agli studj della filosofia; ed ei ne scriveva
ad Attico, e all'amico dipingeva con vivi colori questo penoso on deggiar ch'
ei faceva tra l'amore onde era tratto agli studj, e il desiderio di prender
parte ai pubblici affari, tra la sfiducia sua nelle consolazioni della
scienza,e una sublime speranza che lo levava al disopra delle umane cose. Da
queste intime qualità dell'indole di Cicerone deduce l'istorico Alemanno la
natura della sua filosofia, ch'è,secondo lui,un moderato
scetticismo,espressione fe dele di animo titubante;scetticismo moderato,perchè
seb bene talvolta, oppresso dal peso delle sventure proprie e della patria, ei
mostri dubitare del vero eterno e della virtù, nondimeno conserva sempre
intemerata la nobiltà d e l l a v i t a , e il d e s i d e r i o d i u n a m o
r t e g l o r i o s a ; m a t u t t a v i a scetticismo, perchè riconoscendo la
natura assoluta del vero, ammette solo come verosimili le dottrine che ne d e
rivano, e dubitando interroga tutte le scuole, prende ad esame tutte le
opinioni greche,e accordandole insieme più con intendimento politico, che con
vero criterio di scienza, ne vuole arricchire il patrimonio della romana
letteratura. Sennonchè tra le varie dottrine in cui si di videvano le scuole
greche, una ve n'era che s'accordava mirabilmente agli intendimenti, e
all'ecclettismo scettico abbracciato da Cicerone; e questa era la dottrina
della Nuova Accademia.Se Tullio infatti poneva ilfondamento della filosofia in
un dubbio moderato sui principj delle - 11 - umane
conoscenze, la Nuova Accademia , guidata allora da Filone, che gli era stato maestro
nella sua giovi nezza, riconosceva come legittimo questo dubbio, e lo temperava
con la verosimiglianza ; se l'oratore romano voleva che le dottrine della
filosofia conferissero ad a d destrare il pensiero e la parola negli esercizj
della elo quenza, nessuna scuola si porgeva meglio a questa di sciplina della
scuola dei Nuovi Accademici, che oltre all'essere stata sempre frequentata da
uomini eloquentis simi, si riduceva in sostanza a un metodo disputativo ;
infine se egli raccoglieva le principali dottrine della filo sofia greca,per
comporne una scienza accomodata all'in gegno
eall'educazionefilosoficadeisuoilettori,laNuova Accademia,che disputava contro
tutti e di tutto, che la sciava al filosofo la maggiore libertà dei proprj
giudizj, gli si porgeva opportuna a disegnare in brevi tratti ai Romani lo
stato della filosofia passata e contempo ranea, ad innamorarne i lettori, senza
perderli in vane e astruse dottrine, o incatenarli a un sistema. Cice rone
dunque (secondo l'opinione del Ritter) come ecclet tico dubitante,come oratore
e come espositore della filo sofia greca ai Romani, abbracciò le dottrine della
Nuova Accademia ;e va notato particolarmente, sì perchè questa è l'opinione più
universalmente accettata intorno alla vita filosofica di Tullio, e alla parte
che tengono le sue dottrine nella storia della filosofia, e perchè il comune
degli storici ricollega quasi sostanzialmente a quel si stema le sue opinioni
sulle parti principali in cui si divide la scienza. Così opina anche il Ritter,
e prendendo ad esame le opere tulliane, secondo la tripartizione plato nica
della filosofia più comune agli antichi (egli avverte però che,stante
l'incertezza dello scrittore e delle dottrine e la loro qualità, tutta pratica
e positiva, la distinzione delle tre parti non è abbastanza spiccata), rinviene
in tutte più o meno chiaro,più o meno deciso il dubbio della Nuova Accademia.
V'ha dubbio deciso nella parte fisica, perchè ivi abbondavano più che altrove
le dispute e le contradizioni dei filosofanti; dispute sulla natura delle
12 cose, dispute sull'esistenza e sulla natura di Dio e sua
provvidenza, sulla natura dell'anima e sua immortalità ; e di tutti questi veri
Cicerone o dubita compiutamente,o ammette solo una leggera verosimiglianza.
V'ha dubbio anche maggiore nella parte logica, anzi è questa la più povera e la
meno determinata di tutte le sue dottrine,e perchè ei la collegava meno d'ogni
altra agl' interessi pratici della vita,e perchè il sensismo degli Stoici e
degli Epicurei, che aveva a combattere, non potea tener fronte agli argomenti
della Nuova Accademia ; finalmente v'ha dubbio manifesto anche nella morale,
perchè s'ei con traddice ricisamente alla ignobiltà delle dottrine epi curee,
la controversia tra gli Stoici e i Peripatetici l o lascia indeciso da un lato
tra un'idea trascendente della virtù, a cui lo muove la grandezza dell'animo
romano, dall'altro la fragilità di natura ; incertezza che pure lo segue nella
politica, e nelle attinenze della politica colla morale. Talchè il Ritter
movendo dal presupposto che la filosofia di Tullio non fosse che
eloquente dell'indole particolare dello scrittore e dei tempi, negò ogni
certezza e ogni legame di scienza in
ciascunasuaparte;ogniconcatenamentologicaledelle tre parti tra loro (perchè
quella logica e quella fisica non sono per lui che un'appendice della morale,
considerata da Tullio com'arte pratica della vita); negò ogni unità di disegno
scientifico, perchè mancava allo scrittore l'unità del principio fondamentale,
posto dalla riflessione, e a cui rispondesse l'universale armonia del
sistema.Onde a rias sumere in breve ciò che rappresentino alla mente del
l'istorico tedesco le dottrine tulliane,direi ch'e'le con siderava qualcosa più
e qualcosa meno d'un ecclettismo; ma una scelta a cui manca e libertà di
riflessione e cri t e r i o d i s c i e n z a . ( H i s t . d e l a P h i l . a
n c ., l i b r o X I I , c a p . I I , vol.IV,ed.cit.) una manifestazione 13 Se
noi ci siamo alquanto trattenuti nell'esporre le opinioni del Degerando, del
Brucker e del Ritter,è stato segnatamente per due ragioni ; la prima perchè
poteva recare non piccola luce intorno ad una questione che abbiam
preso ad esaminare,e su cui sono infinite le dispute dei critici e de'filosofi,
il giudizio degli storici migliori che vanti la nostra scienza ; e in secondo
luogo affinchè i pochi cenni, che ne abbiamo dato,muovano gli studiosi a
ricercare con maggior diligenza le variazioni e iprogressi, che ha fatti sino a
noi la critica sulle dottrine filosofiche di Cicerone. Questa critica non pare
immeritevole di qualche considerazione, perchè rappresenta quasi in sè stessa
quel moto graduale dell'esame, e quel lento c h i a r i r s i d e ' p r i n c i
p j s u p r e m i , c h e g o v e r n a n o i f a t t i, o n d e si generava in
Europa la storia della filosofia. I primi tra questi storici,come Stanley e De
Burigny, che nuovi del cammino, e spaventati dalla grandezza dell'impresa,
fecero lavori imperfetti e meglio tentativi di storie, che storie vere, o
tacquero affatto, o poco parlarono di Cice rone che nella modestia delle
proprie opinioni (magnus opinator) non aveva dato un sistema. Negli storici se
guenti, che abbiamo citato, e segnatamente nel Brucker quella critica comincia
a chiarirsi;vi si medita con più ampio concetto la parte che ebbero i Romani nell'adu
nare le greche dottrine, nel farle proprie, e trasmetterle a noi;Cicerone v'è
considerato,non già come un filoso fastro qualelochiamò ilPomponaccio,ma
comeunvasto e ben disciplinato intelletto,che,scorrendo ilcampo della filosofia
greca, ne chiamava a rassegna ad uno ad uno i sistemi. E contuttociò quella
critica era ancora ben lon tana da un esame profondo e spassionato delle
dottrine tulliane; dovevansi emendare molte inesattezze, tor via molte
preoccupazioni (qual era,per esempio,quella che faceva di Cicerone un perfetto
seguace della Nuova Ac c a d e m i a , e u n e c c l e t t i c o d u b i t a n
t e ), e , q u e l c h e s o p r a t t u t t o importava,trattandosi di M.
Tullio,che tanto ritrasse da Socrate e nel metodo e ne'principj,conveniva cercare
per entro alle sue dottrine l'immagine della vita e del carat tere dello
scrittore. Tale intendimento apparisce in alcune memorie del sig.Gautier de
Sibertche hanno per titolo,Examen de la philosophie de Cicéron, lette
all'Accademia francese 14 15 delle Iscrizioni e Belle
Lettere, nella seconda metà del secolo scorso ; dove si esamina accuratamente
la parte oggettiva delle dottrine tulliane, si dimostra il vincolo di sistema
che le congiunge , e si difende dalle accuse di scetticismo la fama del grande
Oratore. Lavoro merite vole di molta considerazione per sanità e profondità di
giudizj, se a questa non nocesse talvolta l'aver guardato più alla materia
delle dottrine che alla loro forma scien tifica, e considerato Cicerone come
filosofo compiuto e dommatico in ogni parte,anzichè avvolto di continuo nelle
dispute degli opposti sistemi.(Mémoir. de l'Acad. des I n s c r i p t . e t B e
l l . L e t t ., v o l . X L I , X L I I , X L V I .) A questi difetti sembra
(come vedemmo) riparare in gran parte l'esame del Ritter, che sebbene ritenga
molto delle sue opinioni private e di quelle della filosofia che lungo tempo ha
dominato in Germania, nondimeno rias sume in breve quanto di meno inverosimile
può dirsi sul preteso ecclettismo ciceroniano. E dirò anche di più, che l'esame
del Ritter, fondato com'è in una conoscenza profonda delle opere di Cicerone,
contiene innegabili verità, qual è quella,per es.,che nello svolgimento delle
dottrine del grande Oratore esercitasse una singolare efficacia i suoi tempi,
la sua nazione, la sua indole propria; che speciale qualità di questa indole
fosse sovente un ondeggiare fra la fiducia e la dispera zione del vero e del
bene eterno,e che a queste dubbiezze contrastasse efficacemente il senno
pratico della natura romana .M a d'altra parte noi siamo ben lungi dal credere
che il dotto Tedesco,e quanti innanzi e dopo ne tennero le opinioni, abbiano
considerato nel suo vero aspetto l'indole delle dottrine tulliane; chè, se non
può negarsi da un lato esservi in esse un che di necessariamente re lativo alle
condizioni dei tempi e alla natura dello scrit tore, e quindi mutabile, non
necessario e contraddicente alla natura assoluta e apodittica della scienza,non
è men vero dall'altro ch'ei pur rinvenne nell'intimo delle dot trine contemporanee,
e nello studio profondo dei veri eterni specchiati in sè stesso e negli
altriuomini,un cri 16 terio certo, universale, infallibile da
costituirvi la scienza. V’ha dunque nella filosofia di Cicerone questo che di
oggettivo e di soggettivo, di relativo e di assoluto, di mutabile e di
necessario ; m a l'una e l'altra qualità si ricollegano insieme per nodi di
universale armonia ; armonia di relazioni tra l'uomo di un tempo e l'uomo di
tutti i tempi,tra il romano e l'abitatore di tutta la terra, tra Cicerone
oratore e politico e Cicerone filosofo; armonia esterna e oggettiva a cui
risponde quell'altra interiore, attestataci dalla coscienza, tra il pensiero e
l'affetto, tra la volontà e la ragione,tra l'intelletto e le verità immortali.
E certo a queste considerazioni, disco nosciute dal Ritter e dagli altri
critici Alemanni, badò Raffaele Kuehner,autore sin qui del più compiuto esame
delle dottrine di Cicerone ch'io mi conosca,edito in A m burgo l'anno
1825,quando rispondendo al quesito pro posto da uomini dottissimi ; se Cicerone
meritasse o no il nome e l'autorità di filosofo,pensava che algrande Ora tore
s'appartiene giustamente quel titolo per l'ampiezza dell'ingegno,la vasta
cognizione delle dottrine contem poranee, l'uso ch'egli ne fece volgendole in
latino a cul tura e ammaestramento dei suoi concittadini, e infine per la
facoltà unica in lui, ond'egli seppe abbracciare tanta mole di scienza, fissare
l'indagine della riflessione sulle verità principali, e comparando tra loro le
varie dottrine, ricomporle coll'efficacia del proprio giudizio in unità di
sistema.(M.T. Cic.in phil.ejusq:partes merita, Auc.R. Kuehner.Hambur.1825. Pars
altera.Cap.VI; Utrum Cic.philosophus judicandus sit,nec ne,anquiritur,
pag.130.) E questi pajono anche a m e i meriti veri e innegabili del senatore
romano ; e nondimeno ogni qual volta io rileggo quelle sue opere, nelle quali
spira tanta univer salità di pensieri e d'affetti, universalità veramente
latina, incui ilvero è sìprofondamente immedesimato col buono, e tutta s'accoglie
la sapienza delle scuole socratiche, mi pare che la critica delle sue dottrine
possa ricevere a n cora notevoli perfezionamenti, sempre che col
chiarirsi Posto ciò, non sarà difficile, parmi, determinare con
sufficiente chiarezza in quali confini si contenesse l'effi cacia che l'ingegno
di Cicerone ebbe nella riforma della filosofia quand'essa fu trasferita di
Grecia in Roma, e in quali vicendevoli attinenze stiano tra loro quanto di già
meditato e discusso gli venne dalle scuole d'oltremare, e quanto vi seppe
recare egli stesso rivolgendo il pensiero sui fondamenti della scienza ,
questione che (conforme a quanto è detto più sopra) noi ci siam proposti di
chia rire nel presente discorso, fermandoci a tre punti segna tamente
:cioè,qual era la condizione della filosofia greco romana ai tempi di Cicerone,
e con qual metodo egli esaminasse e combattesse le dottrine delle principali
scuole tentando di conciliarle ; finalmente qual filosofia derivasse dalla
deliberata opposizione e dal metodo compositivo del l'Oratore latino.
successivo di quella legge,che regola la filosofia nel tempo, se ne va
perfezionando la storia. Ora quella legge può solo spiegare, a mio
avviso,l'ufficio della filosofia de’Giu reconsulti e di Cicerone, e
dall'ufficio desumerne la na tura e i principj. Può spiegarne l'ufficio, già
manifesto e considerato da molti rispetto alla Giurisprudenza e agli ordini
militari e politici, alla Religione e all'Architettura, che è di comprendere in
sè il buono degli altri popoli, tentando ridurlo a nuovi ordinamenti di
scienza; può spiegarne la natura, che è appunto quella comprensione universale,
tanto diversa dall'ecclettismo, che procede per accozzamento disordinato dei
sistemi,anzichè ricomporre le intime relazioni delle verità naturali sul disegno
della coscienza;finalmentepuòspiegarneilprincipio,cheèl'esa me
dell'uomointeriore,contrappostosull'esempiodiSocrate al dubbio , o all'esame
arbitrario e imperfetto dei sistemi contemporanei; tre punti importantissimi, a
mio parere, e che, ben meditati, danno luogo a chiarire i principali problemi
esaminati sin qui dalla critica sulle dottrinedel sommo Oratore. 17 2
18 1, Gli storici più reputati della filosofia si accordano tutti in
mostrarci un manifesto scadimento delle dottrine greche,il quale apparve dopo
il fiorire dell'antica Acca demia e del Peripato, e crebbe fino ai tempi di
Tullio, accompagnandosi,come suole avvenire il più delle volte, colle vicende
degli ordini privati e politici. I quali sin dalla prima metà del secolo V
avanti l'èra volgare venuti a mirabile altezza d'incivilimento, e generatori in
pochi anni di tanti miracoli di virtù e di dottrina, quanti presso altre
nazioni può appena rammentarne la storia di molti secoli,mancata la virtù che
liaveva nutriti,prima ancora d'invecchiare, si corruppero e precipitarono,
rappresen tando in sè stessi un'immagine stupenda, abbenchè fug gitiva, della
vita dell'uomo. E invero la gioventù della Grecia fu tutta in quei memorabili
anni ne'quali i suoi figli per ben due volte ricacciarono in Asia gl'invasori
Persiani, in quei combattimenti ne'quali la sua m a rina doventò signora del
Mediterraneo, ne crebbero i suoi commerci e le sue industrie, ne trassero
argomento a sublimi ispirazioni i poeti e gli artisti; così da quel primo
incitamento si propagò in tutte le repubbliche greche,e segnatamente in Atene,
un moto fecondo d'opere, d'istituti,di dottrine,d'eleganti costumi,che nutriva
in sè nella crescente corruzione del Gentilesimo germi di
rinnovamento,fecondati più tardi dalla riforma di Socrate e dalla filosofia di
Platone, nelle dottrine de'quali tu vedi scolpita quella vita operosa del
pensiero e de'co stumi popolareschi, quel conversare continuo, quelle di spute
in piazza e per via, quella reverenza delle tradizioni sacre,quel sentimento
profondo del divino e dell'immor tale che accompagnava la giovinezza del popolo
greco. Ma passata appena una generazione dal fondatore del l'antica Accademia,
le conseguenze della malaugurata guerra del Peloponneso si facevano
sentire,l'abuso scon II. umana 19 sigliato delle libertà
cittadine recava frutti di servitù, e la Macedonia invadeva.Chè se quella può
dirsi con qual che ragione l'età virile del popolo greco,nella quale raf
forzatosi di potenti ordini militari e principeschi sotto il regno di Filippo,
portò guerra con Alessandro nel cuore dell'Asia,vendicandoiTrecento
delleTermopili,èquesta una virilità che giàdeclina a vecchiezza;e n'è indiziola
filosofia d'Aristotele,superiore a Platone nel severo or dinamento scienziale,
e nell'indirizzo fecondo dato alla riflessione sul reale e alle scienze
d’esperimento,ma su perato da lui nella sublimità della dialettica, nella vi
vezza delle tradizioni sacre, e nella idealità del sistema. M a ormai la
discesa dei tempi non si poteva più tratte nere ; e la Grecia passata dal
dominio degli Spartani a quello de Macedoni, dai Macedoni, morto Alessandro e
diviso il regno nei successori, sotto un tritume di piccole tirannidi, non ebbe
nè anche, come più tardi avrebbe avuto l'Italia del secolo XVI,un legame di
alleanza poli. tica fra i suoi stati tanto da conservare un'effigie qua lunque
d'unità nazionale,e mancò,come l'Italia del se colo XVI,di quella efficacia di
salde istituzioni che una monarchia prudente suole introdurre nei popoli guasti
da libertà licenziosa. N o n è quindi a maravigliare se quella stessa Atene,
che avea veduto un Pericle non attentarsi a spogliare delle apparenze civili
l'autorità quasi regia consentitagli dai cittadini, pativa più tardi la
signoria d’un Demetrio di Falera,e quel popolo istesso,che avea punito di morte
Socrate accusato d'irreligione, salutava col nome d’iddio un Demetrio
Poliorcete, e lui pro fanatore d'ogni cosa e divina accoglieva nei sacri
penetrali del Partenone. Sono questi i segni più indubitati della vecchiaia
d'un popolo, e quel lento e continuo scadere dell'ingegno e della vita del
popolo greco, oltrechè negli ordini politici,appariva in ogni altra parte della
sua civiltà. Scadevano sempre più gli ordini materiali, perchè a quel primo
moto di commercj e d’in dustrie,nutrito dalle libere istituzioni,era succeduto
quel solito languore, quel ristagno d'operosità, che è conse guenza
necessaria (e noi lo sappiamo) delle arti dei go verni assoluti;e la signoria
de'mari, ristretta per l'in nanzi agli stati del continente e dell'Arcipelago
greco,si allargava ora ai Fenicj, agli Asiatici, agl’Italioti.Si cor rompevano
i costumi, e la corruzione tanto più rapida procedeva, quanto più nel crescente
oscurarsi delle anti che tradizioni si sentivano funesti gli effetti delle cre
denze gentili; e quella vita di raffinata eleganza non più temperata dal moto e
dalla severità dell'educazione re pubblicana, si affogava ne'diletti del senso;
e al senso, non più al pensiero, servivano le arti del bello divenute
adulazione di tiranni e di meretrici; infine di tutto ciò come causa ed effetto
risentivasi la filosofia, di rado a v versando, più spesso secondando il pendio
della corrut tela universale. E noi, lasciato da parte lo scetticismo, che fece
un breve e inopportuno tentativo in Pirrone,di remo più specialmente dei
principali sistemi fioriti in questa età, e che spiegarono maggiore e più
diretta effi cacia sulla filosofia latina. 2. Onde mossero dunque questi
sistemi? Ritenendo essi qual più qual meno , sebbene con notevoli alterazioni,
il metodo e il fondamento delle dottrine socratiche, co minciarono da un
ritorno ai sistemi che avean posto fine all'età antecedente della filosofia
italogreca, ritorno evi dentissimo negli Stoici, e che ci spiega com’essi,
mentre derivarono da Socrate la loro morale,e ne ritennero in parte il
dualismo, retrocedettero in fisica al panteismo degl'Ionj, e come contrastando
alle lusinghe dei tempi coll'idea sublime del bene, li secondarono poi brutta
mente desumendo la causa e la ragione suprema dalla materia e dal senso. E
anche questa volta la confusione del panteismo nacque da un modo fantastico e
altutto ar bitrario di conciliare ciò che si presenta alla ragione ed al
senso,la immobilità dell'essenza e la mobilità del fenomeno, il mutabile e
l'immutabile, l'ente e il non -ente, il neces s a r i o e il c o n t i n g e n
t e , il r e l a t i v o e l ' a s s o l u t o ; e p i ù , d a u n
pervertimento del concetto di causa prima.Per pensare, 0,meglio,immaginare
quella conciliazione, bisognava porre 20 un unico principio,
in cui esistessero ab eterno identifi cati in stato di quiete una potenza ed un
atto indeter minati ambedue, e che si determinassero poi al momento in cui
l'universo dall'indeterminatezza primordiale dovea passare alla forma e agli
atti successivi.Gli Stoici y'an darono alterando il concetto di causa prima.
Causa, essi dissero, è ciò per cui una cosa s'effettua; ora niente pro duce un
effetto, che non sia corpo ; dunque l'essenza uni versale di tutte le cose è un
che di corporeo; e quindi essi partivano dal punto direttamente opposto a
quello dacuierano mossiPlatoneeAristotele;chè,sel’Ateniese e lo Stagirita
concepivano la materia come negazione di essere (to un ow), e il primo
segnatamente poneva l' es senza assoluta nell'incorporeo e nell'intelligibile,gli
Stoici invece concepirono la materia corporea come il primo principio e
l'intima realtà delle cose tutte. M a che cosa era questa materia ? Questa
materia primitiva ch'è in Platone e in Aristotele, e che più tardi troviamo
negli Scolastici, senza qualità e senza forma, sostanza oscura,
infinitamentepassivaesuscettibilediforme,infinitamente divisibile,è una
finzione immaginativa,è una vTÓGeols (nel doppio significato antico e moderno)
collocata a capo delle cose tutte per ispiegarne in un modo qualunque la possi
bilità,ed eludere l'antico assioma ex nihilo nihil;ma non avvertivano que'
pensatori che, se v'è un caso in cui l'as sioma abbia un vero valore, è appunto
questo,poichè la materia pura potenza è un che vuoto,nudo ed inefficace, è il
nulla vestito dalla fantasia delle qualità del reale. Cercata la causa nel seno
medesimo dell'effetto, anzi iden tificata coll'effetto, il germe del panteismo
doveva svol gersi necessariamente,e sisvolse.Come?Si tornò al di namismo di una
parte degli Ionj, e poichè fondamento del dinamismo è l'ammettere che il moto
fenomenale delle cose si faccia per isvolgimenti di forze intrinseche ad esse,
si concepì nella essenza intima dell'universo,che a somiglianza d'Eraclito
dicevasi dagli Stoici essere il fuoco artificioso, rūp témuczor,un'energia
primitiva,un che infinitamente attivo,cagione unica di tutti i fenomeni
21 22 delle cose,e della loro forma determinata,perchè traendo ad
atto le forze intime della materia, ne va foggiando questo univers0 sensibile,(τον
θεόν σπερματικός λόγον όντα ToŬ zoopov.Diog.L.,VII,136,e Cic.,De N. D.,libroII,
cap. XXII,e pass.). La falsa induzione che per vizio d'antromorfismo finge le
potenze e gli atti universali della natura ad esempio delle facoltà umane,non
si arresta qui, ma informa da cima a fondo la fisica degli Stoici. Essi
considerando che in noi principio primo di moto e d'at tività è l'anima,
chiamavano anima quella virtù infor matrice delle cose tutte, e l'universo
rassomigliavano a u n g r a n d e a n i m a l e ; p e r c h è, d i c e v a n o
(u s a n d o u n a r g o m e n t o di panteismo rigoroso adoperato più tardi
dal Campanella ), se le parti del mondo sono animate,sarà animato anche il
tutto, e se le varie parti del corpo sono mosse dall’anima, e l'anima è
governata dalla ragione, anche i moti del mondo proverranno dall'anima
universale, il cui princi pato risiede nella ragione. Quest'atto, anima e
ragione dell'universo per gli Stoici era Dio ; e quindi si capisce com'essi
trasportando sempre nel divino le facoltà del l'umano,concepisseroDiodaunlatocomeprincipio
prov vidente e ordinatore, e dall'altro come energia primitiva, come causa e
unità di tutti imoti fenomenali,e perchè,m e n tre lo simboleggiavano sotto la
cieca e inevitabile neces sità del destino (dep.zpuéva), che contenendo la
materia l'agitava di causa in causa con movimento perpetuo, attribuissero a
questo spirito divino abitatore della m a teria la divinazione delle cose
future.(Cic.,De N. D.,De Divin .,De Fato,pass.)Concependo in tal modo la
materia come contenuta e vivificata intimamente dall'unità della forza divina
(unità che per il principio della filosofia s o cratica distinguevano in forze
secondarie ed opposte),non è maraviglia che gli Stoici, tornando anche in
questa parte agli Ionj,attribuissero qualità divine alle grandi potenze della
natura, come agli astri,agli elementi,ai vizj, alle virtù,e segnatamente
all'anima umana,e ne deri vasse la loro interpretazione fisica delle mitologie.
Quindi dai principj della loro scienza naturale uscivano la logica e
la psicologia.Che cosa è l'anima?Essa per gli Stoici,come tuttele altre
cose,come Dio stesso,ècorporea;ma come forza primitiva e principio di moto
partecipante all'atti vità universale, intimamente è divina ; e la sua unione
col corpo la immaginavano come una compenetrazione, sì per il loro principio
della compenetrazione delle so stanze, e sì per la somiglianza, che l'anima
dell'uomo ritiene coll'anima universale compenetrante e vivificante l'universo
delle cose;e come quest'anima universale, seb bene distinta in altre forze
seconde,è in sè stessa prin cipio unico de'moti e de'fenomeni delle cose, così
in noi tutti i fatti dell'anima riducevano all'unità del principio dominatore
(nepovezov ) che è fonte e causa motrice delle facoltà seconde. E qui è notevole
assai,che mentre l'in dirizzo dato all'osservazione dell'uomo interiore dalla
riforma di Socrate salvava gran parte della psicologia stoica dalle conseguenze
materialistiche del principio che la informava, quella loro inclinazione a
studiare i soli fenomeni della materia ricomparve nella dialet tica, e ne
proveniva il sensismo. Movevano anche que sta volta da un cattivo concetto di
potenza e di causa. E valga il vero. A quel modo stesso che in fisica aveano
pensato la prima potenza e la comune possibi lità delle cose come un che vuoto
e privo naturalmente d'entità e d'efficacia, così immaginarono nell'anima la
possibilità del conoscimento come una potenza nuda, inefficace e priva di
contenuto,simile, dicevano, ad una pergamena senza caratteri (ώσπερ χαρτίoν
άνεργον εις c.Troypapiv ), dove , svegliatosi l'atto dell'anima (come l'atto
primitivo di Giove nella materia) all'occasione delle sensazioni, imprime le
rappresentanze o le pav Tuoive delle cose. Che cosa poi fossero queste fantasie
è facile a immaginarlo, e ce lo dice anche il nome. Nel quale comprendevano gli
Stoici la totalità dei fatti interiori presenti alla coscienza ed originati
tutti dai sensi, nè potevano dare al conoscimento altra qualità in fuori dalla
sensibile, e perchè l'anima umana,come parte delDio animantelecose
tutte,ritiene ilsuo modo 23 - 24 di conoscere,che conforme
alla sua natură è un cono scere sensitivo, e perchè essa stessa l'anima è
corpo, e perchè, l'essenza universale di tutte le cose essendo cor porea, non
si può dar conoscenza se non di corpo. Or che ne veniva da ciò? Ne veniva che
ammettendo essi da un lato ogni conoscenza derivare dai sensi, dall'altro non
potendo negare la natura dell'intelligibile necessaria, assoluta e
profondamente opposta alla natura del sensibile, ponevano le idee come una
trasformazione della sensa zione operata dall'anima, precedendo in tal modo i
sen sisti francesi. M a , di grazia, sì gli uni che gli altri sfug
givanoforseallanecessitàdellacontradizione?Ne rimaneva una intrinseca al loro
sistema e maggiore di tutte,quella cioè di negare all'anima un primo principio,
una capa cità naturale al conoscere e immaginare ch'essa poi ve nutale la
materia di fuori, doventi all'improvviso o p e rante e di operazioni tutte sue
proprie. M a in tal m o d o il sensista tira più là la questione, e non la
risolve; per chè,quando eisarà pervenuto a un dato termine dellasua
dimostrazione, io gli mostrerò com'ei si trovi in opposi zione diretta ai
principj su cui l'ha fondata. Dice:Nego nell'anima qualunque notizia primitiva
e fontale delle idee;e aggiunge:ecco però come nell'anima stessa si generano
quelle idee.L'oggetto esterno fa impressione sui sensi; i sensi per mezzo dei
nervi comunicano le i m pressioni al cervello,e l'uomo acquista l'idea
dell'obbietto s e n t i t o . M a è q u i a p p u n t o d o v ’ i o p r e g o
il s e n s i s t a a d a r restarsi. Poichè, manifestatasi in noi la notizia,
che al certo provenne dall'occasione de'sensi, se la mente si volge a
considerarla nella sua natura,vi riconosce bensì da un lato un referimento
esterno all'obbietto onde spe rimentammo l'efficacia causale,ma d'altro lato vi
scuo pre anche una più intima e segreta relazione cogli atti dello spirito, e
coi sommi principj del vero, obbietto i m mediato della potenza conoscitiva.Tale
contradizione che deriva dal confondere insieme la natura del sentimento e
delle cose e la natura ideale, non potranno mai fug gire i sensisti, se pure
essi non vorranno ammettere la conseguenza più legittima del loro
sistema,vo'dire il m a terialismo; al qual proposito bene osserva il Leibniz
nei Nuovi Saggi (lib. II), che coloro i quali s'immaginano l'anima informa di
una tavoletta,o di un pezzo di cera,in cui nulla sia scritto prima della
sensazione, trasferiscono in lei le condizioni passive e inefficaci della
materia. Se consideriamo adunque attentamente il sistema de gli Stoici,esso ci
si presenterà da un lato come un pan teismo, dall'altro come un dualismo. È un
panteismo se guardiamo a ciò che, secondo il Ritter, ne formava il d o m m a fondamentale,
all'unità primigenia e finale delle cose tutte e al concatenamento o consenso
delle parti della natura informata dall'anima universale e divina, ond'era
costituita per gli Stoici la legge del Fato ; ma è invece un dualismo,se vi
meditiamo la opposizione tra Dio anima del mondo e il corpo del mondo, tra la m
a t e r i a e l a f o r m a , il p a s s i v o e l ' a t t i v o , il p i ù e m
e n p e r fetto nelle esistenze, l'unità assoluta di Dio e la diversità delle
cose,diversità che pur dee terminare una volta rientrando nella indifferenza
primitiva di Dio. La quale opposizione, che ha reso non ben definito il
giudizio di parecchi istorici sulla qualità di questo sistema, io credo
derivasse non tanto da quella medesima incertezza tra la confusione dell'età
orientale ed italo-greca e il nuovo bisogno delle distinzioni dialettiche, che
è pur manifesta nelle dottrine di Platone e d'Aristotile,quanto dall'avere gli
Stoici, più assai de'loro predecessori,esagerata l'in duzione che dalla notizia
dell'uomo litrasportava a quella dell'universo e di Dio. E fu qui dove
peggiorarono assai dai sistemi anteriori. Peggiorarono in fisica, perchè seb
bene Platone nel Timeo dimostrasse che l'universo tutto quanto era animato,e
Aristotile,adombrando per via con trariaildivenirehegeliano,trasformasselamateriaintutte
lecose,ambedue silevaronpiùalto,eoltrequell'universo animato e al di là di
quella materia,l'uno contemplò l'Ar tefice divino, da cui s'irraggiava nelle
cose e nelle anime la luce degli esemplari eterni , e l'altro intravide il fine
supremo desiderato dalla universale natura ; peggiora 25 3. E
d ecco circa in quei medesimi anni, nei quali fioriva Zenone Cizico,e spiegava
le sue dottrine infette di panteismo e di dualismo (verso l'a. 300 prima di
Gesù Cristo), apparire la negazione particolare dei sensisti e degli idealisti
con Epicuro e con Arcesilao. E quanto al primo, chi ben consideri la sua
filosofia, vi troverà un nuovo e sempre crescente pervertimento delle dottrine
o anteriori o contemporanee ; chè se già era cattivo indi zio in Zenone e in
Crisippo l'imitazione degli Ionj e d'Eraclito, fu pessimo in Epicuro il ritorno
ai sofisti della stessa età italo-greca,e segnatamente a Democrito. Notammo
anche come nonostante la rigidità e l'altezza della morale stoica,vi si
scorgeva chiaro un esame s e m pre più imperfetto e parziale dellaumana
coscienza;ora questo è anche più manifesto negli Epicurei, i quali non si
contentarono come gli Stoici, lasciate da un lato le naturali tendenze,di porre
la virtù e la beatitudine in un sublime disprezzo dei beni della vita ;m a
scesero più basso restringendo l'una e l'altra al godimento dei piaceri del
corpo; e riducendo i piaceri dell'animo alla speranza e al ricordo dei piaceri
del senso.Nel che essi secondavano bruttamente l'abbandono sensuale dei tempi ;
nè già mi reca maraviglia,in quella età in cui,rotto il freno ad ogni licenza,
si maturava negli ozj voluttuosi la servitù della 26 rono in
logica,stante che se Platone,giunto alla nozione suprema dell'essere,se ne faceva
scala per salire agli universali divini, e Aristotile distinguendo dal senso
l'in telletto, poneva in quest'ultimo l'apprensione dell'uni versale, gli
Stoici non ammettevano che il senso, e dal senso desumevano la necessità della
scienza ; peggiora rono finalmente in morale all'osservazione compiuta e
perfetta delle tendenze naturali, qual era nell'Accademia e nel Peripato,
sostituendo un esame sempre più povero e sminuzzato della coscienza morale,onde
il concetto del bene diventò più che umano , e quell'idea solitaria e i m
passibile della virtù parve quasi uno scherno in mezzo alle infinite sventure
deitempi.(Cic.,De Fin.,IV,V. Ritter,XI,L. 1,2,3,4.) - 27
Grecia,quando laNuova Commedia svelavaagliocchi delle moltitudini affollate le
più seducenti sembianze del vizio,e ne'ginnasj d’Atene convenivano le meretrici
a disputare co'filosofi,immaginarmi Epicuro che siede dettando nei suoi
giardini in mezzo alle gioje del convito i precetti della morale.Eppure più
secoli dopo in una etànon meno ar rendevole al senso di quella d'Epicuro,e che
precedè di poco quel tuono di uno dei più grandi rivolgimenti eu ropei, v'ebbe
chi nelle scuole de'filosofi difese Epicuro mostrando velato nei suoi precetti
morali sotto l'appa rente arrendersi al senso un rigore più che da stoico ; m a
q u e l r i g o r e , n o t a b e n e C i c e r o n e ( D e F i n ., L . I I )
, e r a un finto stoicismo e una maschera da saggio,che mal si addiceva sul
volto del filosofo gozzovigliante,era una sod disfazione
ch'e’dava,malgradosuo,all'autoritàdelsenso morale e della pubblica opinione. E
poi,se quel sistema mancava d'ogni fondamento scientifico,come poteva cer care
nella necessità dei principj ilpernio della morale ?E che tutto per Epicuro
fosse relativo,contingente,fuggitivo, nulla universale,necessario e assoluto,
lo mostra il con cetto ch'e’s'era fatto del giusto,stabilito da lui come una
norma destinata a tutelare la vita del saggio,e che quindi mutava
sostanzialmente a seconda degli interessi civili.Posto così a capo dei precetti
morali il puro sen timento animale,non poteva non derivarne una logica (o,come
Epicuro la chiamava,una Canonica) che peggio r a s s e il s e n s i s m o d e g
l i S t o i c i e n o n m o v e s s e u n p a s s o o l t r e la sensazione.
Infatti, mentre gli Stoici andavano almeno fino all'idea che proveniva dalla
percezione, e passavano dal soggetto all'oggetto per l'attinenza di causalità
(Vedi Cicerone nel secondo degli Accademici),Epicuro,lasciata da parte
l'idea,riconosceva il criterio del vero nella sola realtà della sensazione, e
negando che dal senziente si desse certo passaggio all'entità del sentito,
lastricava la via all'idealismo degli accademici e alle dottrine scet tiche
d'Enesidemo e di Sesto Empirico. Infine; negata ogni interiore attività dello spirito,
riconosciuta nella sola opposizione dei resultati sensibili la verità e
la falsità della sensazione,ristretti i fondamenti delle inda gini
scientifiche alla pretta significazione delle parole, a m o 'dei Nominalisti;
ecco in due parole la logica degli E p i c u r e i ( C i c ., D e N a t . D e o
r ., L . I. C . X X V , 1 0 . ) N è a d i verso cammino si volgeva la fisica
fondata da Epicuro sull'atomismo meccanico di Democrito.Ora,se ben con
sideriamo, questa dottrina naturale del filosofo di Samo paragonata al
dinamismo stoico è un nuovo perverti mento della ragione scientifica,e più che
con la filosofia del senso si accorda con quella della materia. E di fatto,
laddove gli Stoici che avean molto de'materialisti, pur trascendevano il
fenomeno sensibile,e vi rinvenivano l'intima energia, l'intimo atto che dava
vita e movimento alle cose, gli Epicurei lasciando da un lato la potenza
nascosta, se ne stavano contenti agli effetti, cioè alle trasformazioni
esteriori delle molecole materiali. Quindi la dottrina d'Epicuro intorno agli
atomi, mentre,come nota il Ritter, ha l'apparenza d'essere la confutazione
della sua logica materiale fondando tutta la scienza del mondo su quelle nature
elementari, non accessibili al conoscimento, n'è invece (dico io) la riprova
maggio re, perchè io non veggo in quelli atomi se non un abbaglio di fantasia
che pretende spiegare in modo ar cano i fenomeni più ovvj dell'aggregazione e
della dis gregazione molecolare.(De Fin.,L.I.)Che manchi,come io diceva più
sopra,nelle dottrine del filosofo di Samo qualunque criterio di scienza, si
vede quindi da ciò che in quelle intimamente repugna fra i principj e le con
seguenze. Egli non ammetteva nell'ordine dell' essere niente che non cadesse
sotto l'apprendimento dei sensi; ma poseaprincipiodituttelecoseilvuotoimmensoegli
atomi nè sensibili in modo alcuno nè intelligibili. (De Fin .,L. 1. 6.) Credè
immaginando la spontanea diversione degli atomi dalla perpendicolare, sottrarsi
alla inesora bile legge del Fato ; m a s'imbattè in un'altra potenza non meno
cieca e inconcepibile, nella potenza del caso. (De N. D.,L. I;De Fato, C. X.)
Finalmente un ultimo indizio di quanto poco conto ei facesse dei veri i m m o
r 28 tali presenti alla coscienza dell'uomo, è che voleva spe
gnere per mezzo delle sue indagini fisiche quel concetto arcano dell'infinito
per cui la nostra mente dalle cause seconde si leva fino alla Causa prima,
quell'intimo senso di stupore e d'ammirazione che destano in noi,le tempeste,
ifulmini,le meteore,icieli sereni,lenottistellate,le so litudini de'mari, voce
della natura a cui risponde dal profondo dell'anima un'altra voce che ci parla
di Dio. (Lucr.,De rer.nat.,Ritter,L.X,C.II.Vedianche gli op. di Plutarco
tradotti dall'Adriani: 1. Che non si può vivere lietamente secondo la dottrina
di Epicuro ;2. Della superstizione.) 4. Contemporaneo d'Epicuro, e un poco
posteriore a Zenone,poneva Arcesilao i fondamenti dell'idealismo ac cademico .
L'incertezza delle notizie intorno alla sua vita e ai suoi scritti ha dato
occasione a purgarlo dall'accusa di filosofo dubitante,dicendosi ch'e'non
negava ilpositivo delledottrinesocratiche,ma soloopponevailsuodubbio temperato
al dommatismo stoico di Crisippo (Vedi Gautier de Sibert, Mem . de l'Ac. des
Inscrip. et Bell. Lett., tom.XLIII),e Sant'Agostino nel libro Contra
Academicos, L. III, p. 111), ci rappresenta questa dottrina come un domma
filosofale, svelato prima nell'insegnamento del l'antica Accademia , e
ristretto poi nel mistero all'appa rire del sensismo stoico, e adombrante
l'intimo significato della filosofia di Platone : due essere i mondi , uno
intel ligibile, l'altro sensibile; quello vero, verosimile questo, perchè fatto
a somiglianza degli archetipi eterni; del primo per via delle idee generarsi
nel saggio la scienza, del secondo una semplice opinione di verosimiglianza.M a
quando io penso che il vescovo d'Ippona dettava quel libro poco innanzi la sua
conversione, scampato appena dal dubbio della nuova Accademia, e che per
guarire lo scetticismo inveterato del tempo cercava le più riposte armonie
della sapienza antica colle dottrine cristiane, attingendo principalmente a
fonti neoplatoniche; quando ritraggo dalla testimonianza concorde dei più
deglistorici che Arcesilao andò più là di Socrate, dicendo non po
29 30 tersi nè anche sapere di saper niente, che aprì scuola
d'insegnamento pro e contro ogni opinione, negando in tal modo il vero assoluto
e ammettendo soltanto quello relativo ai principj d'ogni sistema ; e che
finalmente quel suo idealismo operò direttamente sul dubbio univer sale degli
Empirici ; allora son tratto ad attribuire a un pervertimento delle dottrine
Socratiche, e alla efficacia de’tempi quello che Agostino riferiva al semplice
accor gimento d'Arcesilao.(Cic.,De Oratore,III,18.)Socrate opponendo
all'orgoglio del sofista la modesta affermazione del saggio,negava potersi
trarre da una cavillosa dialettica l'onnipotenza della ragione, e dalle
dottrine meccaniche degli lonj il conoscimento intimo delle cose.Platone tenne
fermo quel dubbio, temperandolo col conosci te stesso, e sceso a considerare i
più riposti veri dell'umana coscienza, vi riconobbe il combattimento della
ragione coll'appetito, dell'intelletto colla carne, quel non so che d'immortale
e di terreno ch'è in noi, e che lampeggia nelle serene aspi razioni del
vero,del bello e del buono,e s'abbuja nelle tempeste de’sensi;quindi
trasportando quell'intimo co noscimento all'esteriore forma delle cose,e al
giudizio della loro perfezione, ne derivò la dottrina dell'ente e del non ente,
della üln e del c o s . E qui (si noti) consisteva essenzialmente il positivo e
il negativo delle dottrine platoniche. Poneva egli, è vero, da un lato il
concetto della scienza nel salire dai particolari agli universali,da ciò che
muta a ciò che non muta, dalla sensazione al l'idea che rappresenta l'essenza,
e il fondamento della sua dialettica stabiliva nel cogliere fra i molteplici
ele menti de'fatti particolari il concetto supremo che tutti li contiene.Ma
d'altra parte mosso dall'idea trascendente della scienza,e dalle tradizioni
delle dottrine panteistiche orientali ed eleatiche, onde germinava il dualismo,
egli faceva del particolare, del mutabile, del sensibile un che intimamente
oscuro,e non soggetto al conoscimento,perchè partecipante della materia che è
l'opposto dell'ente,e alle MatematicheeallaFisicaindagatricede'fattinegònome di
scienza.Si dirà forse ch'e'rimediava a questa dualità ri
conoscendo necessaria attinenza tra gliArchetipi divini e le cose, e nella
mente dell'Artefice eterno che le informava della perfezione di quelli, e nella
mente dell'uomo per via della reminiscenza, onde per lui si dava reale pas
saggio dalla opinione al sapere; m a la illazione del d u b bio, che scendeva
dalle premesse del suo sistema,non si arrestava, perchè, se a Dio è coeterna la
materia,e l'una è negazione dell'altro, chi mi assicura che fra termini sì
disparati possa darsi attinenza di conoscimento ?nè,derivato da Dio
l'intelletto, basta la sola ipotesi ch'egli fingeva della preesistenza degli
animi nostri in una vita anterio re,e un debole legame di verosimiglianza tra
iparadigmi e le cose,'per verificare la certezza di quelle notizie che
civengonodaicontingenti.E perfermo,indebolitacosìdal principio della filosofia
platonica la relazione tra il cono scente e ilconosciuto,non v'era che un passo
a negare o l'uno o l'altro di questi due termini; e il termine intelli gibile
negarono gli Stoici, alle cui innovazioni aveva aperto la via il semi-panteismo
materiale del Peripato, e quella negazione sensistica esagerarono gli Epicurei
col restrin gersi nello studio della materia ; restava a trarre l'altra
conseguenza del sistema platonico negando il sensibile, e ciò fece Arcesilao
colla sua dottrina ideale-scettica, scetticismo però non al tutto compiuto,
perchè non n e gava l'entità del vero nelle cose, m a poneva soltanto in dubbio
la loro corrispondenza reale coll'apprensione del l'intelletto. È dunque vero
in parte quel che affermava Agostino che la dottrina della nuova Accademia (o
media che voglia chiamarsi) ebbe la sua ragione d'origine nel fondo del sistema
di Platone,e la sua ragione di svolgi mento nel sensismo contemporaneo di
Crisippo, m a è anche vera l'osservazione del Ritter che quel metodo di dubbio
fu corruzione del metodo socratico, e resultò dall'idea della scienza qual era nell'antica
Accademia,idea troppo trascendente la certezza naturale,e che togliendo l'atti
nenza tra il soggetto e l'oggetto imprigionava il pensiero nella coscienza
solitaria, e al dualismo innestava la Cri tica della
conoscenza.(Ritter,tom.XI,C. VI.Conclus.) 31 La quale non
ancora matura e compiuta in Arcesilao si svolse nei successori,perchè,laddove
il filosofo Pitano sostenendo la sua tesi contro i sensisti moveva special
mente dalla fallacia de'sensi e dall'oscurità della materia; Carneade,che gli
successe,introdusse in quella tesi maggior rigore scientifico,quando esaminò ex
professo l'entità della relazione inclusa nel conoscimento, e distinguendo
nella percezione sensitiva o rappresentazione due lati,uno ri
feribileall'oggetto,l'altro al soggetto,mostrò XIX secoli prima del Kant non
darsi vera certezza del sapere, per chè il conoscente trae in propria forma la
materia del conosciuto. V'ha egli dunque un nuovo peggioramento in Carneade ?
Sì ; perchè e'negò fede espressamente alla validità della ragione, dicendo non
potersi dare un crite rio certo pel ritrovamento del vero, e dovere contentarsi
il sapiente della semplice verosimiglianza; onde per lui l'idealismo accademico
si accostò sempre più alla nega zione universale, che compiendo le dottrine anteriori
di Pirrone, ricomparve più tardi;e n'è prova evidente il pas saggio ch'e'fece
dal dubbio sui fatti esteriori al dubbio sull'entità oggettiva delle idee
universali che si specchiano nella coscienza, manifestato da lui ambasciatore
per gli Ateniesi in Roma nel discorso sulla giustizia,dove to gliendo nota
d'universalità e d'assolutezza al concetto del bene,abbattevaifondamenti
dellamorale(Cic.,De Rep., L. 1. Ritter,L. XI,Cap.VI.) 5.E
ildiscorsodiCarneadeudivanoaffollatiiRomani, nella cui patria splendeva quella
gran scuola paesana dei Giureconsulti dove l'idea della personalità umana ,e la
n o zione del dovere e del diritto si desumevano da principj d'immortale
necessità, e dove la natura della legge dovea definirsi più tardi congenita
alla natura di Dio.(V. Cantù, St.
Un.Brucker,Degerando,Ritter,Kuehner.Cic.,Tusc.IV, 1,2,3.) È noto infatti come
fino dal secolo XVII G. Batt. Vico nel suo libro De antiquissima Italorum
sapientia indagando nella storia de’fatti umani iprincipj universali che
reggono il sapere, trovasse vestigj di antichissime e profonde speculazioni
ne'linguaggi primitivj d’Italia ; il 32 che,se non prova che
presso quei popoli, come ad esem pio i latini (intesi per lungo tempo e
unicamente ai ne gozj civili),fiorisse un vero e proprio esercizio d'indagini
scienziali, mostra però che v'era nel loro ingegno un'in tima disposizione a
filosofare. E questa disposizione d o veva attuarsi quando ilpensiero latino
libero dalle stret tezze presenti, e sollevato a un ideale più ampio,dal sen
timento di nazione si sarebbe volto a considerare l'umana natura specchiata in
sè stesso, e nell'universalità della storia. Queste erano le preparazioni e le
cause del fatto ; l'occasione esterna venne dalla celebre ambasceria di Cri
tolao, Carneade e Diogene babilonese. (A. di R. 585. V. gli autori soprac.)
Volgeva intanto a metà ilsecondo se colo innanzi l'Era volgare,e Roma,vinto
Antioco in Asia, distrutta Cartagine,e sottomessa definitivamente la Grecia
colle guerre Macedoniche, e colla memoranda presa di Corinto,riceveva dai vinti
la tradizione delle arti e delle discipline civili per parteciparle novamente e
sott'altra forma all'Europa ed al mondo. Ma quelle arti e quelle discipline che
giungevano d'oltremare non più informate dalla libera spontaneità dell'ingegno
dei padri, educato alla scuola del sentimento civile e del magistero divino, ma
guaste dal dubbio della nuova Accademia,e infette da signorie corruttrici e da
profonda sensualità di costu mi,trovarono nei Romani dismesso l'abito della
severità antica, e omai volgente a rovina quella repubblica inde bolita dalle
mollezze d'Affrica e d’Oriente .(Sallustio, C a til.,C.X.c.f.XI.XIV.)Non
èquindiamaravigliarechenon ostante i tentativi di molti ingegni valorosi,
dall'unione di due civiltà semispente non nascesse un grande rinno vamento ;
chè ogni rinnovamento è possibile quando nelle rovine dei popoli s'accoglie una
favilla immortale di vita, e un impulso efficace li risospinge ai principj; non
possibile allora,in quelli anni ultimi dell'Era pagana, in cui, ecclissato ogni
lume d'antiche tradizioni, spenta la famiglia e ridotto in pochi lo stato,
Europa, Affrica ed Asia precipitavano nella barbarie. Nè c'inganni quel moto
apparentemente efficace di letteratura e di scienza m a 33 era 3
nifestatosi nelle città greche, e nelle corti di Pergamo e
deiTolomei.Tranne inRoma,dovefinoallamorted'Au gusto durarono potente
incitamento alla libertà degl'in gegni le sembianze,e la memoria degli ordini
repubblicani, nel resto d'Europa nell’Asia e nell'Affrica le lettere e le
scienze doventarono trastullo di principi e di cortigiane, o sollievo di popoli
in gioconda schiavitù sonnecchianti, o (come apparisce da Filone Ebreo,dalla
Kabbala,da Apol lonio Tianeo,Moderato, Nicomaco,Plutarco,Apuleio ed altri)
doventarono contemplazione solitaria di pochi stu diosi, onde alla spontaneità
dell'arte che crea sottentrò l'erudizione ragunatrice dei commentatori e degli
illustra tori, e il panteismo greco -asiatico da cui poi derivarono gli
Alessandrini; e un vero e fecondo avanzamento ebbero soltanto le scienze
matematiche e d'esperienza sostenute dai principi e dalle città mercantili e
dalla agiatezza dei tempi.Ma d'altra parte (ed è un esempio che s’è rin novato
più volte) indietreggiavano ogni giorno più le di scipline speculative;nè solo
(come vedemmo)quanto alla materia,ma altresì quanto alla forma scientifica dei
si stemi ;perchè, se è legge connaturata all'umano intelletto che in quella
dirittura necessaria di relazioni, che passa tra il soggetto esaminato e la
riflessione esaminatrice, consista intimamente il metodo d'una scienza,una
volta guasta o distrutta la notizia dei veri principali, se ne scom piglia
l'indirizzo della riflessione, non si ravvisa più chiara l'integrità della
coscienza su cui cade l'esame,e n'è dis fatta la scienza. Richiamando ora in
breve le cose discorse, che mai ci mostra la storia della filosofia da Socrate
a Cicerone ? N o n altro che un continuo scadere della riflessione scientifica
da sistemi più ideali e che al sentimento del divino e del l'immortale accoppiavano
il rispetto delle più antiche e v e nerate tradizioni, ad altri infetti di
materialità e dispregia tori d'ogni magistero divino ed umano ;quindi da
dottrine che offrono più ampio disegno di riflessione,e più perfetto
ordinamento scienziale,si sdrucciola ad altre che alla c o m prensione totale
della coscienza e delle sue relazioni fanno 34 seguire un
esame monco,spicciolato,minuzioso,eaimetodi positivi e dogmatici (benchè misti
di legittimo esame) im e todi semplicemente negativi e gl'inquisitivi.Questo è
il pen dío naturale del pensiero filosofico in quell'età,che dalle altezze del
disputare platonico ci conduce nelle ruvide a n gustie di alcuni trattati
aristotelici,dagli archetipi eterni, all'anima informatrice della materia
corporea, poi al Dio animante di Zenone e agli aridi sillogismi di Crisippo per
terminare nel materialismo d'Epicuro, e nella negazione della nuova Accademia ;
che infine dalla interpretazione sublime della Mitologia,qual era in Platone,ci
guida all'in terpretazione fisica e storica degli Stoici e d ' E v e m e r o .
M a la nuova Accademia di contro alle dottrine d'Epicuro,se non forse quanto
alla materia, era un nuovo peggiora mento quanto alla forma scientifica, perchè
Epicuro rico nosceva almeno molti veri, e offriva un disegno di pro prie
dottrine sulle principali teoriche della scienza ; gli Accademici negavano
soltanto, e, tranne poche e sparpa g l i a t e a f f e r m a z i o n i i n f i
s i c a e d i n m o r a l e , r e s t r i n g e v a n o il soggetto della filosofia
al problema del conoscimento ; ora da questo idealismo che solo ammetteva pochi
veri par ticolari, e scioglieva ogni attinenza del conoscimento coi proprj
obbietti, non v'era che un passo alla negazione scientifica d'ogni verità della
scienza, e da questa al d u b bio popolare e grossolano e ai sistemi empirici e
positivi che non sono più scienza. E anche allora fu detto o sot tinteso da
uomini dottissimi che unico criterio del vero era il mancare d'ogni
criterio,che la scienza era ilm e todo,e che unica e naturale forma del
pensiero filosofico era la storia ;e da questi abbagli di critica stemperata
che sirinnovano anche oggiinFrancia,inAlemagna einItalia, nacque l'ecclettismo
erudito degli Stoici e de'Peripatetici, e le dottrine empiriche d'Enesidemo e
di Sesto,come oggi dagli eccessi della critica Kanziana pullularono gli E m p i
rici Alemanni , l'Ecclettismo del Cousin e la Filosofia P o sitiva di Augusto
Comte.In quelle condizioni della filosofia
era,com'oggi,indispensabileunariforma,elariforma,come moto contrario alle
cagioni del male, dovea consistere 35 segnatamente nel
tornare ai princip j della coscienza n a turale, abbracciando la
universalità dei suoi veri, e affer mando
interoeindivisibileciòchelesetteaffermavano spar pagliato e diviso.Fu questa
l'opera immortale di Cicerone, e a tentarla egli ebbe occasione e conforto
dalle q u a lità dell'ingegno latino, mosso da antiche tradizioni e da indole
propria allacomprensione delle attinenze scienti fiche, dallo stato politico e
civile di R o m a , e dal contrasto ai dubbj che laceravano la scienza. Di
fatto, se era pos sibile una riforma in tanto scadimento di civiltà e di dot
trine, più che altrove ella dovea tentarsi in Italia ed in R o m a , dove le
sacre tradizioni primitive s'erano conser vate più schiette per opera degli
affetti di famiglia e d e gli ordinamenti civili ; durava ancora potente
l'efficacia della civiltà etrusca ed italica, ed ora dilatato il dominio romano
all'Europa, all’Affrica e a gran parte dell'Asia, vi correvano,come a centro
comune delle genti conosciute, la scienza, la letteratura, le arti, le
industrie, compagne della grandezza, e vi s'accoglieva,quasi a compire la m a e
stà della gran repubblica dominatrice,lacoscienza del ge nere umano.Quindi in
Roma era più che altrove potente ilsentimento
dell'universale,condizionenecessariaal na scere della Filosofia.D'altra
parte,se volgiamo gli occhi alla Grecia,ci si presenta un turbinìo d'opinioni e
di sette a cui non tien dietro la storia ; la filosofia era lacerata in sistemi
che ponevano la scienza nel paralogisma, e sempre più tralignanti dagli
istitutori scendevano il pen dío della negazione universale ; gli Epicurei e i
Cirenaici, facili secondatori della corruttela dei tempi, ogni giorno più
sprofondavano nell'ateismo e nel senso ;i Platonici e iPeripatetici,come
Cratippo,Stasea,AndronicodiRodi, Alessandro Afrodiseo si diedero
all'erudizione, e poichè non sapevano creare nulla di nuovo,rimestarono con cri
tica infeconda le dottrine anteriori; lo stoicismo con P a nezio e con
Possidonio, allontanatosi dall'aridità delle dottrine di Zenone, favorì
l'eloquenza trattando la filoso fia in modo più popolare,e ravvicinandosi alle
altre scuole socratiche; ravvicinamento anche più manifesto in Filone 36
- e in Antioco,contemporanei ambedue e maestri di Cice rone,
l'ultimo dei quali segnatamente intese a conciliare il Portico colla nuova
Accademia,e riconobbe la validità del conoscimento. Infine secondavano da un
lato quell'in dirizzo le dottrine romane qual più qual meno imitatrici delle
greche, e perciò prive di u n metodo proprio e di proprie speculazioni; mentre
dall'altro lato (sebbene al quanto più tardi) si apparecchiava nelle dottrine
de'N e o platonici e Neopitagorici greci un congiungimento tra la sapienza
orientale e le scuole socratiche. Sembrerà forse a qualche lettore che dettando
questi cenni sui principali sistemi antecedenti a M. Tullio,ci siamo
allontanati di troppo dai confini di una semplice introduzione ; m a il
rimanente di questo discorso farà m a nifesto che a ben chiarire la natura del
filosofo nostro,i suoi intendimenti,lefontidellesueopereeilconcettoche egli
ebbe di riformare e riordinare la scienza, era neces sario distendersi alquanto
intorno alle scuole precedenti e contemporanee e all'efficacia loro sulle parti
della filo sofia. Per fermo allorchè l'oratore latino, fuggendo nella
solitudine di Tuscolo e di Cuma il cospetto degli scelle rati,poneva mano
all'Ortensio(A. di Roma 709 in circa), appariva,come ben notailRitter,una
straordinariapo vertà di speculazioni scientifiche in tutta Europa ; poche e
sparpagliate verità rimanevano intatte nei fondamenti del sapere; l'umana
coscienza illuminata una volta dai principj morali, allora in quella rovina
d'ogni umano prin cipio taceva, e al mancare della materia desunta dalla
considerazione dell'animo umano ,la forma scienziale, seb bene apparentemente
raffinata, impoveriva ogni giorno. Impoveriva di fatti la logica, venuto meno
colle dottrine di Zenone il vero concetto del principio e dell'atto del
conoscimento, e ridotta da Arcesilao e da Carneade a cogliere solo, sfuggendo
gli universali, le contradizioni particolari dei varj sistemi;il semipanteismo
stoico e dei Platonici posteriori, confondendo sempre più l'ente col non-ente,
il finito coll'infinito, il relativo coll'assoluto, uccideva la fisica e
s'attraversava al buon uso dei m e 37 todi sperimentali; la
morale per ultimo risentiva d'ogni setta,massime della epicurea, le cui ultime
dottrine ve nute in luce nel secolo scorso dai papirj Ercolanesi colle opere di
Filodemo Gadarense, contemporaneo e famigliare di Cicerone, testimoniarono
anche una volta la vacuità e i vaneggiamenti di una scienza decrepita.(Vedi
Hercu lanensium Voluminum quue supersunt.Nap.,1793.) Pertanto in quelle
condizioni di civiltà e di dottrine due sole vie rimanevano aperte
all'indirizzo del pensiero speculativo; o un ecclettismo erudito, o un ritorno
all'uni versalità e all'unità della scienza coll'indagine dell'uomo
interiore,del senso comune,e delletradizioniscientifiche e religiose ; impresa
che, sebbene difficilissima e degna di sublimi intelletti, non poteva esser
sorgente a specula zioni copiose, mirando più che altro a sceverare il certo
dall'incerto,il teorematico dal problematico, il necessario dal mutabile, il
consentito dal disputato. La qual cosa, mentre è una conferma dei meriti di
Cicerone come filo sofo,e della modesta grandezza della sua dottrina, ci spiega
il divario notevole che lo distingue dai filosofi contem poranei, e la brevità
delle speculazioni latine; e di fatti, se è vero che la storia della filosofia
ci offre a quegli anni in Grecia ed in Roma un ecclettismo erudito, testimo
nianza imperfetta dell'universale disposizione degl' inge gni a ritornare sul
passato, e a ricostituire la scienza sull'armonia delle attinenze universali, è
anche vero che Cicerone, solo tra i suoi contemporanei, tentò ridurre l'ec
clettismo romano a vera e propria forma di scienza, imi tatore e seguace di
quella scuola dei Giureconsulti, che desumendo dalle consuetudini e dal gius
naturale la santità delle leggi, aveva aperta la via ad un ritorno della rifles
sione filosofica sulla coscienza morale. 38 1. Quella
sentenza del Segretario fiorentino, che af ferma,doversi ogni umana istituzione
ritirare verso i principj,fa manifesta a chi consideri il cammino del pensiero
e delle opere umane nelle età della storia,una legge di scadimento e di
progresso, di barbarie e di ci viltà, di rovine e di restaurazioni, che si
verificò in ogni tempo, così negli ordini civili,come in quelli della filo sofia.
La ragione di questo fatto m i sembra chiara e nel l'un caso e nell'altro;è
chiara negli ordini civili,iquali, se hanno per principio e per fine
l'adempimento delle necessità umane e la conservazione del viver sociale,una
volta allontanati da quello riescono a contraddire la loro natura ; è
chiarissima poi nella scienza, e massime nella filosofia, che costituita nel
proprio essere di scienza pri ma da un ripiegarsi della riflessione sul
pensiero come pensiero,e sulle verità universali,ricereimmediatamente dalla
natura ilproprio soggetto,ipostulatiedilmetodo. La filosofia dunque,come
scienza sovrana che ha imme diatamente innanzi a sè la ragion di sè stessa, è
ripen samento del pensiero naturale e delle sue leggi,è,in una parola,
ripensamento della natura ; la qual cosa concessa , PARTE SECONDA. ESAME
DELLE DOTTRINE FILOSOFICHE DI CICERONE. I. sembra doversi dedurre
ch'ella abbia altresì nella natura la possibilità di un indefinito svolgimento,
e la possibilità delle proprie riforme, se pure non vuol pensarsi che l'ef
fetto sia inadeguato alla causa, e la vita dell'animale e della pianta alla
virtù generativa del proprio germe.A chi affermando diversamente volesse
mostrarmi, o che il pensiero non vale a trar fuori dalle prime notizie, con
progresso indefinito di dimostrazione,la scienza, o che la riflessione del
filosofo può introdurvi alcunchè non sup posto antecedentemente dalla natura,
io addurrei per ragione la coscienza, spettacolo sublime dei fatti interni e
dei più ardui problemi sulle verità principali,evidente e misterioso ad un
tempo,dove si acchiude come in ger me la possibilità del sapere che si svolge
ne'secoli, ad durrei per ragione la storia,che ci mostra d'età in età i più
grandi intelletti muovere alla ricerca del vero ignoto dall'affermazione
compiuta della coscienza, deftinirne le più alte questioni concordemente alle
tradizioni più a n tiche, e alla parola del genere umano e di Dio, e fra i
delirj e i vaneggiamenti delle sette conservare e tra mandarsi l'un l'altro la
Filosofia perenne. La testimonianza più lampeggiante di questa verità ne’secoli
pagani sono per certo le due riformedi Socrate e di Cicerone ; entrambi
trovarono la filosofia perduta in dubbiezze infinite; entrambi la rilevarono
con uno sforzo supremo tornandola alla coscienza ; l'Ateniese divino in gegno,
e iniziatore fecondo di un moto speculativo che non è ancora cessato;più
modesto intelletto ilRomano, ma non meno benemerito della buona filosofia,per
avere tentato, solo, in un popolo nuovo fino allora a ogni eser cizio di
speculazione e nell'universale scadimento della civiltà e della scienza, ciò
che il Maestro avea potuto compireincondizionimeno avversedelsapereedeipub
blici costumi. Per convincerci di ciò,basta paragonare la Grecia dei tempi di
Socrate con Roma dei tempi di Ci cerone.E nel vero quel principio di corruzione
e di sfi nimento che il paganesimo già da lungo tempo recava in sè stesso,
s'era mostrato segnatamente in Grecia sin dal 40 - 41 D'altra
parte i tempi in cui Cicerone, nato in Arpino di famiglia provinciale (il terzo
giorno di gennajo l'anno A. C. 106, coss. C. Atilio Serrano, e Q. Servilio
Cepione), venne a R o m a per apprendervi l'esercizio dell'eloquenza, che gli
fosse via alle cause del fôro e al pubblico arringo, eran tempi di più profondi
rivolgimenti civili, conse guenza delle due grandi questioni che da lunghi anni
empivano la storia romana,la prevalenza degli Ottimati sopra la plebe, la
prevalenza di Roma sopra il resto di Italia e del mondo. (Cantù, St. Univ .)
Già sin da quando tonò la prima volta nel fôro la potente parola de'Grac chi,
un moto profondo in favore delle franchigie popolari e dei diritti di
cittadinanza romana s'era venuto propa gando in Roma e nel rimanente d'Italia,
e quel moto crebbe cogli anni, e coll'ampliarsi della potenza repub blicana, e
ruppe finalmente nelle dissensioni civili di Mario e di Silla, e nella guerra
sociale. Cominciarono allora que'tempi pieni di sedizioni, di esilj e di
sangue, ne'quali la libertà, mantenutasi per tanti anni incorrotta , fu solo
istrumento dell'ambizione di pochi, e la gloria militare, guarentigia
d'indipendenza, venne adoperata a sovvertire le leggi; non più libera nel fôro
la parola degli oratori,non più inviolata la persona e le sostanze d'un
cittadino romano , dispersa la pubblica ricchezza, venduti a chi più li pagava
i consolati e le amministra l'entrare della guerra del Peloponneso;
poichè pessimo segno del decadimento di un popolo è sempre il succedere delle
interne gare alle lotte d'independenza ; m a il vivo agitarsi della gente
greca, calda ancora di gioventù vi gorosa,ne'commerci,nelle riforme
civili,ne'viaggi,nel l'agricoltura, nelle arti, manteneva allora negli ordini
materiali e politici qualche seme di bene,e negli ordini in tellettuali volgeva
le menti allo studio amoroso del vero l'efficacia della filosofia italo-greca,
che avea recato dal l'Oriente gran parte delle tradizioni primitive, la
fantasia greca, intesa a rendere l'animo interno nelle manifesta zioni
dell'arte plastica, e infine una gagliarda educazione del pensiero nella
dialettica de sofisti. zioni delle province , interrotti i giudizj,
annullati i d e creti del senato e del popolo ; così passarono i settanta anni
precedenti al regno d'Augusto, finchè l'abuso della libertà messe capo ad un
governo assoluto.Causa di tanta rovina fu per fermo la crescente corruzione
d'ogni principio morale, chè una libertà partorita dal sangue di tanti uo mini
grandi, e da secoli di virtù, non si perde senza crollare i fondamenti
dell'edifizio civile ; e qual fosse a quel tempo la pubblica moralità in Roma
,ce lo dice Sal lustio complice e accusatore dei delitti narrati. (Sall.,
Catil.,cap.X,XI,XIV.)Quellacorruzione,profondanegli ordini civili, non appariva
minore negli ordini dell'intel ligenza ; innanzi tutto perchè, il progresso
intellettivo di un popolo non andando mai scompagnato dal suo pro gresso
morale,e la scienza essendo un che vivo, affet tuoso, e supremamente civile,
l'armonia del sapere col l'armonia della vita è legge innegabile nella storia
delle nazioni; e secondariamente perchè la scienza era stata sino a quel tempo
più spesso istrumento di dominio in mano degli Ottimati che manifestazione
della coscienza e dell'indole latina. Scendono da questi fatti due
considerazioni impor tanti sul nostro filosofo. Prima che, mentre (come nota
più d'uno storico) la letteratura e la filosofia fu colti vata in Roma dai
principali uomini di stato come arte di governo, Cicerone mostrò co’suoi
scritti ch'e'fece della scienza e della cultura, non già un istrumento per domi
narelarepubblicaesalireaglionori,ma,uomo dipace qual era,e conservatore degli
ordini civili che avean for mata la gloria degli avi, studiò la scienza del
vero l'arte del bello per contrapporla alla corruttela de tempi, e
all'oscurarsi d'ogni principio morale. La seconda con siderazione è che Tullio
s'oppose segnatamente, e con maggior vigore che a qualunque altra,alla dottrina
degli Epicurei.Ora,se consideriamo che l'epicurea era quella fra le scuole
contemporanee che avea posto più profonde radici in Roma,e che mentre ciò era
al certo l'effetto della civile corruzione, ne doventava poi alla sua
volta 42 e 2. M a qui c'imbattiamo subito in una questione i
m portante. - Cicerone fu egli soltanto condotto a filoso fare da cause
straordinarie ed esteriori? quando si pose a scrivere aveva egli profondamente
meditato sui più ardui problemi della vita e dell'animo umano ? possedeva
quell'ampiezza e universalità di studj speculativi necessaria per indirizzarlo
nella via della scienza? — Parecchi cri tici tra i quali il Ritter,ilDegerando,
e il Bernhardy lo hanno negato, e affermarono non potersi chiamare filosofo
vero esso che nella sua gioventù avea studiato la filosofia come semplice
istrumento dell'arte di persuadere. Sembra altresì che una simile domanda gli
fosse stata fatta da talunifraicontemporanei,quandoudiamo luistesso,il
testimone più autorevole nella storia della sua vita, re plicare espressamente
dicendo : io nè cominciai tutto a un tratto a filosofare, nè da’primi anni
della mia vita consumai in questo studio mediocre opera e cura,e allora, quando
meno parera, io era maggiormente intento a filosofare (De
Nat.Deor.,I,III,6);parole che potreb bero forse sembrare dettate da soverchio
amore di sè stesso,seiprimiindizj che ci rimangono de'suoi studj, e le opere
antecedenti alle filosofiche non mostrassero assai che ilsuo
ingegno,giovanissimoancora,sivolse'sui principj, sui metodi e sui più ardui
problemi della Scienza prima. Della qual cosa uno fra gl'indizj più certi si è
l'ain piezza e la comprensione ch'e'diede a'primi suoi studj, indizio notevole
per chi ricordi il disprezzo che i più fra i Romani contemporanei affettavano
verso la filosofia e le lettere greche.Ma inCicerone,appena ventenne,appa risce
un sentimento vivo,e quasi direi religioso,dell'unità della scienza; poeta
elegante e vigoroso ne'primi anni, poi traduttore di cose greche,udiva i più
eccellenti m a e stri d'ogni filosofia, studiava con Q. Mucio Scerola il giure,
coi più autoreroli cittadini la scienza delle cose 43 una causa, vedreino
essere immenso il beneficio che il grande uomo recò alla sua patria, più ancora
che come riformatore filosofo, come riformatore civile. civili, la
declamazione con Esopo e con Roscio, ed ebbe a maestri di rettorica Molone
Rodio, e Demetrio di Siria (Cic.Brutodal91allafine;Forsyth,ThelifeofM. T:
Cicero,chap.I,II,III.London,1864).Nutrito l'ingegno con tanta larghezza di
cognizioni, appena si fece avanti nel foro,si accorse,com'egli stesso ci dice
(Brut.93,e pro A r c h i a , V I ) , c h e a c o s t i t u i r e il p e r f e t
t o o r a t o r e n o n e r a s u f ficienteladestrezzaelacopiadellaparola,ma
bisognava che la materia scientifica desse pienezza e fondamento alla forma
dell'arte; quindi ei considerò sin d'allora la filosofiainunmodo
involutoecomprensivocomeunascienza che abbracciava le regole della
vita,dell'arte oratoria,del diritto, d'ogni disciplina umana e divina,
philosophiam matrem omnium benefactorum benequedictorum(Brut.93); omnis rerum
optimarum cognitio,atque in iis exercitatio philosophia nominatur (De Orat.,
III);concetto univer sale, che apparisce in uno fra i primi suoi- scritti, nel
-de Inventione, dove parla delle virtù secondo le dottrine platoniche, e
introduce l'eloquenza fondatrice delle città e del consorzio civile. Un tal
concetto che certo doveva poi chiarirsi cogli anni, e uscirne un disegno più
specifi cato di dottrine morali e speculative, mostra che il suo amore per la
filosofia si accrebbe col suo progresso nel l'eloquenza, talchè in lui (come
osserva ilRitter) l'ora tore preparò lo scrittore in filosofia, ed anzi
leggendo attentamente il De oratore, il Brutus e l'Orator vi senti spirare da
cima a fondo un alito di speculazione di scienza.Il dialogo De oratore è finto
a imitazione del Fedro, e la tesi sostenuta dei disputanti appartiene intimamente
alla filosofia, poichè trattasi ivi di sta bilire se l'eloquenza sia una
dottrina universale od un'arte, s' ella debba restringersi al puro esercizio
del la parola, o allargarsi alla scienza delle cose divine ed umane. E qui v'è
contrapposto deliberatamente nelle stesse persone dei disputanti il concetto
più ampio e più universale,e per conseguenza più filosofico,che Ci cerone avea
del sapere, al concetto parziale e negativo de'suoi contemporanei; Crasso
infatti, che rappresenta 44 l'opinione dell'Autore, movendo
dal principio che una sola è la sintesi delle materie scientifiche,e che su
tutte può e deve cadere l'esercizio dell'eloquenza,reputa ne cessario al
perfetto oratore quasi tutto lo scibile u m a n o , e conferma questa sentenza
coll'autorità degli antichi presso i quali l'arte del pensare e del dire erano
state sino ai tempi di Socrate indivisibilmente congiunte (III, 14, 19.). Lo
stesso argomento è trattato nell'altra opera Orator, dov'egli cercò pure
l'ideale dell'oratore perfetto assumendo a principio le idee archetipe di
Platone ; talchè l'armonia della scienza colla vita, dell'una e dell'altra
colla letteratura e coll'arte,l'accordo della materia scien tifica colla forma
oratoria, e della ragione col gusto, costituisce nei libri rettorici di
Cicerone una vera e pro pria unità di concetto . Considerando questo principio
universale,a cui il filo sofo latino rannodava le discipline letterarie,e
l'alto sen timento ch'egli ebbe dell'arte, io sempre meglio mi per suado che la
vita d'oratore e di politico fu per lui un apparecchio necessario agli scritti
speculativi. Più tardi, allorchèlalibertàvenneinmano degliscellerati,eilgran
cittadino si astenne volontariamente dall'esercizio della pubblica vita,tornò
agli studj non mai interrotti dalla giovanezza, cercandovi la pace che gli
negava l'animo addolorato per le sventure civili,una nuova occasione ad
esercitarvi l'eloquenza muta nel senato e nel fôro, un mezzo per confortare a
virtù le fiacche generazioni, e arricchire la letteratura della sua patria di
questa nuova gloria, sino a quel tempo non partecipata coi Greci
(Tusc.,II,5,6,7,8,9,10;I,1,2,3;III,3;De divin., I , 1 3 ; D e o f f ., I I , 1
, 2 ; A d f a m ., V , 1 5 ) . C h i c o n s i d e r a s s e partitamente un
solo di questi fini, senza comprenderli tutti nell'unità della mente e
dell'animo dello scrittore, mostrerebbe di non averlo compreso ; a lui
l'inclinazione oratoria e l'amor nazionale porgevano il pensiero di un nuovo
accordo della scienza coll'arte nelle opere di filo sofia, onde si aprisse
questo nuovo campo intentato agli ingegni latini; i mali e le necessità del suo
tempo gli 45 consigliavano le dottrine morali e civili come
riforma dei costumi corrotti, e dall'intendimento letterario,nazionale e morale
insieme congiunti e contemperati uscì per l'ef ficacia dell'ingegno,degli studj
anteriori, e della riflessione psicologica, la riforma speculativa. La quale
armonia di cause determinanti e di fini fra l'animo dello scrittore ed i tempi,
è notevole in Cicerone ; perchè vi si fonda quella unione socratica tra il vero
ed il buono, onde la filosofia di lui, come quella d'ogni socratico, tanto più
è affermativa e solenne,quanto più gli argomenti metafisici hanno attinenza
colle ragioni morali, nè ciò per quello che oggi si chiama senso pratico , e
che si crede diviso dalla ragione speculativa, m a perchè appunto la ragione
prima del conoscimento si riconosce identica colla legge dell'operare . Se tali
erano i fini, con cui si accinse a filosofare, tra l'indole positiva e morale
delle sue dottrine, e il loro cri terio speculativo non v'ha per fermo alcuna
contradizione, chè anzi quella contradizione apparente,che il Ritter e il
Bernhardy han creduto di rinvenirvi, si dilegua tosto quando raccogliamo dalla
piena lettura delle opere filo sofiche un'idea complessiva del concetto della
filosofia, e seguendo le varie definizioni ch'egli ne diede,perveniamo fino al
punto in cui concepisce chiaro l'ordine scien ziale. 46 Il primo e più
notevole concetto ch'egli ebbe della filosofia, considerata come vera dottrina,
si è di una scienza moderatrice delle azioni e istitutrice della vita: vitæ
philosophia dux, virtutis indagatrix, expultrixque vitiorum ; animi medicina
philosophia ; a questo propo sito il conosci te stesso di Socrate ei lo prendeva
in un senso puramente morale, senso che apparisce più volte nella Repubblica,e
nelle Leggi, e nelle Tusculane, dove si agitano questioni relative alla vita e
ai costumi,e per quanto abbiamo da chiari indizj appariva pure nell’Orten
sio,opera perduta,dov'ei tesseva l'elogio della filosofia rac comandandola allo
studio dei concittadini come dottrina su premamente morale e
civile.(V.Hort.,fram.,e specialmente 47 il fram . 21, L. I. ed. di
Lipsia pag. 284, vol.III,p.IV.) Ora siffatto concetto involgeva di necessità un
criterio scientifico; innanzi tutto perchè chi medita l'ordinarsi d'una
dottrina scienziale, qualunque ella sia,ad un eser cizio d'operazioni, si
suppone averne penetrato l'intima essenza in cui quel principio regolatore
risiede; e poi perchèilverorelativoallavita,sebbene manifestoin noi pel
sentimento morale, s'attiene alle parti più vive e più affettuose dell'essere
umano,ond’è mossa la rifles sione a ripensare da sè stessa e con proprj
principj l'ordine speculativo delle conoscenze. Pervenuto a tal punto il
filosofo, non ha da fare che un passo per racco gliersi nella coscienza morale,
e quindi trar fuori con metodo ascensivo e discensivo d'induzione e di
deduzione tutto quanto il disegno dell'edifizio scientifico ; la qual cosa
apparisce a chi prenda ad esaminare in Cicerone l'ordinamento logico degli
scritti morali. Dove si scorge (e lo mostreremo a suo tempo) com'egli
procedendo di passo in passo nell'induzione, dall'idea morale di legge e di
diritto, che lampeggiava nella coscienza d'ogni cit tadino di Roma,si levò a
concepire un ordinamento di relazioni e di gradi dagli esseri inferiori
a'supremi; re lazioni che intercedevano tra Dio e l'uomo per l'eccel lenza
della ragione, tra uomo ed uomo per somiglianza di natura intellettuale e
socievole ; e quindi usciva una specie d'equazione ideale tra Dio e le
creature, tra gli enti ragionevoli, e i non dotati di ragione, per la reci
procanza dei doveri e dei dritti;e vi s'acchiudevano in germe Teologia
naturale, e Antropologia, Cosmologia e Filosofia del buono. Questo largo
disegno di veri morali fu il principio da cui Tullio moveva nella via della
scienza, e lo mostrano i libri politici e civili antecedenti in ordine di tempo
alle altre opere speculative. 3. Ora soffermiamoci un poco.Mostrato così per
suc cinto quale idea egli avesse della Scienza prima e dei suoi principj,
domandiamo che cosa debba pensarsi sul dubbio accademico quasi universalmente a
lui attribuito. La questione su tal soggetto,disputata a lungo dai
critici e storici della Filosofia, durante il secolo scorso,mentre
gl'ingegni si dividevano incerti tra l'amore dell'antico e la curiosità del
nuovo,e l'Enciclopedia affermava dogma ticamente le sue negazioni, mosse ne'più
de'casi dal pre supposto che Cicerone,come seguace della Nuova Acca
demia,ponesseildubbiouniversaleafondamentodiscienza. Così opinò il
Bayle,e,sebbene alquanto meno risoluti,lo affermarono il Brucker,ilDegerando e
ilBernhardy.Per combattere una siffatta obbiezione non rimanevano alla critica
che due sole vie ; o negare di pianta lo scettici smo della Seconda Accademia,
o rifacendosi da un nuovo e più accurato esame delle dottrine di Tullio,
cercare quale e quanta efficacia vi esercitasse quel dubbio, o come metodo
semplicemente,o come principio fondamen tale ed interno. La prima di queste vie
fu seguita dal sig.Gautier de Sibert in una memoria scritta da lui sui Nuovi
Accademici,la seconda da Raffaele Kuehner.Ma il critico francese,sebbene
dottissimo,quando volle mostrare che la Nuova Accademia non negava la possibilità
della scienza, contraddisse alla storia, nè rispose al quesito del come
conciliare la certezza dei libri morali di Tullio col dubbio quasi assoluto
d'Arcesilao e di Carneade ;l'Ale manno mostrava invece con maggior verità come
il filo sofo nostro, seguace della Nuova Accademia quanto al metodo inquisitivo
dei veri particolari,ne temperasse per altro il dubbio ravvicinandolo alle
fonti socratiche. Ma ilKuehner,cheraccolseconstudioletestimonianze fatte da
Tullio ne'più de'proemj sulla bontà e la modera zione del suo metodo,non ha
considerato abbastanza nei libri morali come a quel precetto apparentemente
negativo dinoncercarecheilprobabile,edirattenerel'assenso,con
trappongasempre,ad esempiodiSocrate,l'altrosuprema mente affermativo del
conosci te stesso.Nè il tornare che egli fa tante volte a raccomandare ilfamoso
placito del savio ateniese, si prenda come artifizio rettorico,o come vano e
miserabile ossequio alle tradizioni. L'esame più diligente e spregiudicato
delle sue opere (io lo affermo sin d'ora) mostra che il dubbio universale e
sistematico, il dubbio 48 di Carneade,del Cartesio e del
Kant,non antecedeva nella mente dell'oratore-filosofo allo stato di
scienza.Egli,prima d'esserefilosofo,come uomo,come romanogiàsisentiva e si
riconosceva nel vero;e quel vero,a cui l'animo spon taneamente piegava sin
da'primi anni per inconsapevole virtù di natura,l'intelletto glielo mostrava
più tardi adu nato, e come raccolto nell'evidenza interiore; evidenza non
solitaria,non priva d'oggettività,non fenomeno puro, quasi paesaggi riflessi
sulla tela da magico apparecchio dilenti,ma uno spettacolo interno,a
cuirispondevano. tre grandi attinenze dell'uomo con sè stesso,coll'universo e
con Dio ; un'armonia d'enti che la scienza dovea tras formare in armonia di
principj. » Nam quum animus cognitis perceptisque virtutibus, a corporis
obsequio indulgentiaque discesserit, volupta sedDelphico deo
tribueretur.Nam quiseipsenorit,primum 49 A questo proposito ci giova riferire
le sue parole tolte da un luogo eloquente del dialogo delle Leggi,dove egli
stesso in propria persona descrive il concetto ed il metodo della scienza
prima. « Ita fit (così il testo latino, che io trascrivo per maggiore esattezza
secondo l'ediz. di Lipsia riveduta dal Klotz) ut mater omnium bonarum rerum sit
sapientia, a cujus amore Græco verbo philosophia nomen invenit, qua nihil a dîs
immortalibus uberius, nihil florentius, nihil præstabilius hominum vitæ datum
est. Hæc enim una nos quum ceteras res omnes tum quod est difficil limum
docuitutnosmet ipsosnosceremus:cujuspræcepti tanta vis et tanta sententia
est,ut ea non homini cuipiam , aliquid se habere sentiet divinum ingeniumque in
se suum sicut simulacrum aliquod dedicatum putabit , tantoque munere deorum
semper dignum aliquid et faciet et sentiet, et,quum se ipse perspexerit
totumque temptârit,intelliget quem ad modum a natura subornatus in vitam
venerit quantaque instrumenta habeat ad obtinendam adipiscen
damquesapientiam,quoniamprincipiorerumomniumquasi adumbratas intelligentias
animo ac mente conceperit, quibus illustratis sapientia duce bonum virum et ob
eam ipsam causam cernat se beatum fore. 4 temque sicut labem
aliquam dedecoris oppresserit, o m n e m que mortis dolorisque timorem
effugerit, societatemque caritatis coierit cum suis , omnesque natura
coniunctos suos duxerit,cultumque deorum et puram religionem su sceperit,et
exacuerit illam,ut oculorum ,sic ingenii aciem ad bona eligenda et reiicienda
contraria, quæ virtus ex providendo est appellata prudentia, quid eo dici aut
co gitaripoteritbeatius?Idemque quum cælum,terras,maria rerumque omnium naturam
perspexerit eaque unde ge nerata,quo recurrant,quando,quo modo obitura,quid in
his mortale et caducum,quid divinum æternumque sit viderit, ipsumque ea
moderantem et regentem paene prehenderit seseque non unius circumdatum mænibus
loci, sed civem totius mundi quasi unius urbis agnoverit,in hac ille
magnificentia rerum atque in hoc conspectu et cogni
tionenaturæ,diimmortales,quam seipsenoscet!quod Apollo præcepit Pythius, quam
contemnet, quam despi ciet, quam pro nihilo putabit ea,quæ vulgo ducuntur
amplissima! » Atque hæc omnia quasi sæpimento aliquo vallabit disserendi
ratione, veri et falsi iudicandi scientia et arte quadam intelligendi quid
quamque rem sequatur et quid sit cuique contrarium . Quumque se ad civilem
societatem natum senserit, non solum illa subtili disputatione sibi utendum
putabit, sed etiam fusa latius perpetua oratione, qua regat populos, qua
stabiliat leges, qua castiget i m probos, qua tueatur bonos, qua laudet claros
viros, qua præcepta salutis et laudis apte ad persuadendum edat suis
civibus,qua hortari ad decus,revocare a flagitio, con solari possit adflictos
factaque et consulta fortium et sa pientium cum improborum ignominia
sempiternis monu mentis prodere. Quae cum tot res tantæque sint, quæ inesse in
homine perspiciantur ab iis, qui se ipsi velint nosse, earum parens est
educatrixque sapientia. » (De Leg.,I,XXII,XXIII.) 50 Qui s'espone a
dettatura del nostro filosofo il suo metodo dell'osservazione interiore induttivo
e deduttivo, quale uscì dalle dottrine di Socrate e di Platone, e si
51 continuò, accolto dal Cristianesimo , lungo le scuole m i gliori
dell'universale Filosofia. Vi si distinguono tre cose : lo ciò che antecede ;
2o ciò che accompagna ; 3o ciò che sussegue alla scienza. 1° Lo stato che
antecede la scienza non è il dubbio, m a un riconoscimento pratico e
speculativo dell'ordine universale.L'uomo ha innanzi tutto un sentimento ar
cano della sua somiglianza con l'Essere infinitamente perfetto; e quel sentimento
della dignità umana, e quel l'aspirazione all'immutabile e all'assoluto in cui
vero e buono sono congiunti, e la ragione procede da uno stesso fonte identica
colla legge morale, risveglia in lui l'evidenza intima de principj speculativi,
ond’e’si leva alla cognizione di sè stesso e di Dio, capisce pei mezzi
l'eccellenza del fine a cui nacque, e costituendo in ar monia pensiero e
volere,premette la riforma morale di sè stesso alla riforma speculativa.Due
condizioni del sog. getto rendono possibile in lui la contempla zione dell'og
getto che è scienza:prima la retta disposizione dell'animo purificato
spiritualmente dalla morale, l'istinto sociale educato dalla vita civile,
l'istinto religioso santificato e nutrito dal culto; in secondo luogo rende
possibile la scienza la capacità delle potenze conoscitive, che non sa rebbero
potenze ordinate alla notizia del vero,se un che di determinato e d'efficace,
se una verità prima non le costituisse tali nell'essere loro;ma è prima
necessaria la retta disposizione dell'animo,perchè ilpensiero avvalorato
dalcuore (animo acmente)ravvisinell'intellezioneprima (adumbrata
intelligentia),un po'confusa e indeterminata, le notizie riflesse. 2o Ciò
posto, si procede allo stato di scienza,e il filo sofo movendo dall'esperienza
interiore, col soccorso della Dialettica dottrina delle conseguenze e
conciliatrice dei contrarj, levasi alle ragioni supreme dell'essere, del co
noscere e del fare,si forma i concetti d'origine e di fine, di contingente e di
necessario, di temporaneo e di eterno, che gli sono via a discendere di nuovo
alla notizia di sè stesso e del mondo , notizia comprensiva ed univer
52 sale che lo palesa inferiore soltanto a Dio , eguale ai suoi simili,
e cittadino dell'universo. 3. Dall'ordine universale della Scienza prima discen
dono due dottrine applicate, e strette in vincoli di co munanza fra di loro :
la eloquenza civile e l'arte dello stato . Tali erano per Cicerone i
fondamenti, ed il metodo della scienza. Ora ecco, secondo che riassume un
istorico recente della Filosofia, quali erano isuoi criterj: « Nella coscienza
di noi stessi Cicerone, come Socrate,più di So crate forse perchè romano
,sentiva l'universalità del vero, distinta dalle opinioni particolari,e l'amore
che tende al vero, e l'essere nostro sociale e religioso, relazioni uni versali
anch'esse ; e però egli inculcava sempre di fermar l'occhio in ciò ch'è proprio
dell'uomo,ossia nella retta ragione (De off, I e II passim ); e contro gli
Epicurei fa valere gli affetti più generosi dell'animo (ivi, e negli Acc.e
ne'Tuscul.e quasipertutto);echiama insoste gno il senso comune e le tradizioni
umane e divine.Così ne' libri Tuscolani (I, 12) adopera l'autorità del senso
comune a dimostrare l'esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima umana,e dice
ne'Paradossi contro gli Stoici: « Noi più adoperiamo quella filosofia che
partorisce copia di dire, e dove si dicono cose non molto discordi dal pen
sardellagente.»(Proem.)E nelleseguentiparolede'Tu scolani si vede com’ei
raccogliesse,di mezzo alle opinioni varie,le tradizioni universali de'filosofi
e le divine;« Inol tre,d'ottime autorità intorno a tal sentenza (cioè l'im
mortalità dell'anima) possiamo far uso; il che in tutte le questioni e dee e
suole valere moltissimo (in omnibus, caussis et debet et solet valere plurimum
); e prima, di tutta l'antichità (omni antiquitate); la quale quanto più era
presso all'origine divina (ab ortu et divina progenie ) tanto più forse
discerneva la verità.» (Tusc.,I,12).E tra'filosofi, ch'egli cita,preferisce
appunto Ferecide,come antico,antiquus sane;e indine conferma l'autorità con
quella di Pitagora e de'Pitagorici;il nome de quali, egli dice, ebbe per tanti
secoli tanta virtù che niun altro paresse dotto (S 16). E dice più
oltre che, secondo Pla tone,la filosofia fu un dono,ma quanto a sè,una inven
zione degli dèi : « Philosophia vero omnium mater artium , quid est aliud,nisi,
ut Plato ait,donum , ut ego, inventio deorum ? » ($ 26.) Nel che s'accenna il
principio divino della Sapienza e della tradizione.(Conti,St. della Filo sofia,
part.I,Lez.XVIII.) 4. Se per ciò che risguarda i principj e i fondamenti della
filosofia egli mosse direttamente da Socrate affer mando la chiarezza naturale
del soggetto scientifico,e l'efficacia della conoscenza, quanto poi al metodo
più propriamente detto, indagatore dei veri particolari, fu se guace, o come ci
dice egli stesso,restauratore della Nuova Accademia (deserte discipline et iam
pridem relicte ), restaurazione che, a mio parere, può e debbe chiamarsi una
vera riforma; perchè l'idealismo d'Arcesilao e di Carneade tralignava nel
dubbio, e, piuttosto che all'An tica Accademia , si ricongiunse agli scettici
dell'età italo greca e a Pirrone; m a Tullio attingendo alle fonti socra tiche
si riscontrò nelle tradizioni genuine della sua scuola. Questo fatto s'è
rinnovato in Italia nel secolo XVII, quando Galileo Galilei tornando al vero
metodo aristote lico dell'induzione, restaurava la filosofia naturale ; più
peripatetico in ciò, come egli stesso scriveva al Liceti,di tutti i
peripatetici de'tempi suoi. 53 Riassumendo il tutto in poche parole,
Cicerone attri buiva alla filosofia universalità di fini, di principj e di
metodo, e tutto ciò comprendeva,come Socrate,nel senso generalissimo della voce
sapienza, talchè dopo averla descritta ne'libri oratorj come un semplice
esercizio di raziocinio, e in alcune opere morali come una dottrina puramente
pratica e positiva,ne'Tuscolani e nel secondo libro degli Officj la chiamò con
significato più largo : scienza delle cose divine ed umane e delle loro cagioni.
Suolsi affermare comunemente dai critici e dai filosofi che Cicerone diè prova
di scarso ingegno speculativo non componendo le sparse verità in un sistema
ordinato. La quale accusa vuol bene determinarsi; perchè,se con essa
si nega che Cicerone aggiungesse copiose speculazioni alla materia delle
dottrine contemporanee, e che componesse le verità antecedentemente trattate
dalle scuole socrati che in un compiuto e perfetto sistema, ha ragione la cri
tica, m a la critica ha torto,se vuol negare che a Cicerone mancasse qualunque
disegno di scienza, o un proprio cri terio per l'ordinamento formale delle
dottrine. L'affermar ciò, rispetto a Cicerone, importerebbe nel vero affermarlo
pure di Socrate,e d'ogni altro riformatore; chè il sistema della filosofia di
Tullio (se così vuolsi chiamarlo), come quello di Socrate, non è ordinato
secondo un disegno po sitivo corrispondente all'ordine del soggetto ripensato
dalla coscienza, m a si svolge nella stessa opposizione alle sette, e in quella
opposizione egli scuopre il concetto della scienza,e il metodo,e i criterj che
gli son guida,indizio manifesto che,mentre da un lato egli demoliva le dot
trine sofistiche dei contemporanei, edificava dall'altro sui fondamenti
incrollabili della coscienza umana. Ora si avverta come il considerare in tal
modo questa temperata efficacia della speculazione di Tullio, che ri pensa e
rifà le dottrine degli altri con un proprio criterio positivo di paragone e di
scelta,in contrapposto alla pas sività negativa dell'eclettico erudito che
ricopia quelle dottrine e le raguna nella memoria ,anzichè comporle nella
riflessione; è metodo forse non seguito fin qui dai prin cipali critici di
Cicerone,e tale che potrebbe condurre a meglio comprenderlo e giudicarlo col
chiarire molte que stioni, tra le quali non ultima quella sull'uso ch'egli fece
dell'autorità quanto ai fonti delle sue dottrine,trattata a lungo in Germania,
e sì bene dal Kuehner nel capitolo quinto, parte seconda della Dissertazione
citata. 54 E tale è il metodo che noi abbiam preso a seguire, ond'escono
alcune conseguenze e regole pel nostro esame. I n p r i m o l u o g o , p o i c
h è s o l o p e r n o s t r o a v v i s o , il c o n t r a p porre Tullio
a'suoi contemporanei può dimostrare quanta altezza d'ingegno e potenza d'analisi
gli abbisognasse per isceverare dalla confusione de'sistemi le verità
principali, chiarirle e ordinarle in forma di scienza, terremo l'uso
d'esporre ogni volta le principali opposizioni de' sistemi, e poi qual
giudizio ne recasse il filosofo latino.In secondo luogo avremo questo a
principio di critica, notato da altri, che, poichè le opere di Cicerone sono
per la m a s sima parte dispute scritte, e, come tali, ritraggono nei varj
personaggj il conflitto delle opinioni, e le nature differenti degl'interlocutori,
convien distinguere con ogni diligenza quando egli riferisce la propria, e
quando l'opi nione degli altri, quando egli stesso prende parte al dia logo, o
si tien fuori, quando tratta ex professo una m a
teria,oquandosoltantol'accenna(V.Degerando,Brucker, Kuehner, Middleton .)
Finalmente si consideri bene che l'ordine di questo ragionamento mostrerà come
una pro gressiva verificazione dei principj supremi nella mente di Tullio, a
misura ch'egli passa dalla filosofia fisica alla logica, e poi alla morale ; ed
è perciò che qualche argo mento interrotto in una parte delle dottrine, verrà
ab bandonato e poi ripreso in un'altra, quand'egli,conside randolo sotto un
aspetto diverso, sempre più lo verifica, e sempre più lo chiarisce. Le fonti da
cui trarre le dottrine di Cicerone, sono principalmente i suoi libri di
filosofia, che ci pervennero la maggior parte, se n'eccettui le traduzioni
Oeconomica Xenophontis (scritta forse l'anno p. u. c.670, o il se
guente),Protagoras ex Platone (lavoro giovanile secondo Quintiliano.) Timæus de
Universo (trad., come app. dal p r o e m ., d o p o g l i A c c a d e m i c i ,
c i o è d o p o i l 7 1 0 d i R o m a ) ; i libri vriginali, Hortensius de
philosophia (2 libri del l'anno forse p.u.c.709),Consolatio de luctu minuendo
(scritta dopo la morte della figlia avvenuta nel 709, poco prima dei
Tuscolani), D e Gloria (2 libri, compiti circa alla metà del 710), Commentarius
de virtutibus (incertadata),Cato,sivelausM. Catonis(709),Deiure civili in urtem
redigendo; de'più fra'quali rimangono frammenti. Gli altri, non interi tutti, e
che in ordine di tempo si distribuiscono cosi: De republica (6 libri scritti
dal 700 al 703 di Roma),De legibus(6 libri,composti dopo il De republica),
Paradoxa (avanti il Giugno 55 e del 708),Academicorum (ne
fece due edizioni dette Acad. priorum in 2 libri, e posteriorum ,in 4
libri;della prima c'è rimasto il secondo libro, della seconda il primo ; anno
709),De finibus bonorum et malorum (5 libri del 709 di R.); Tusculanarum
disputationum (5 libri, cominciati l ' a n n o d i R o m a 7 0 9 , c o m p i t
i il 7 1 0 a v a n t i l a m o r t e d i Cesare),De natura Deorum
(3libri,compostitral'estate del709egl'idjdiMarzodel710),De Divinatione(2libri,
cominciati il 710), De fato (un libro scritto a corredo dei due precedenti), De
officiis (tre libri cominciati nella seconda metà del 710), Cato major de
senectute (un li bro, scritto e pubblicato il 710), Lelius de amicitia
(id.scritto dopo il Catone maggiore av.gliOfficj);furono variamente distinti
dai critici secondo la loro materia e la forma. Il Ritter li distinse in
riposti ed in popolari, clistinzione che più esattamente potrebbe ridursi
all'altra de'dialoghi speculativi, come i libri Accademici, de'Fini, delle
Leggi,della Natura degli Dei ;dagli scritti che hanno È noto quanto siasi
discusso tra i critici sulle dale dei libri di Ci cerone.Cilusa principale del
dissenso è il non trovarsi d'accordo quauto al determinare l'anno della nascita
dell'Autore. 1 Forsyth lo dice nato il 3 d i g e n n a i o , 1 0 6 a v . C r i
s t o ( 6 4 8 d i R o m a ), m a a g g i u n g e i n n o t a a p . 2 , che,
secondo il calendario Giuliano, egli sarebbe nato l'ottobre del 107 (647 di
Roma). In questo anno pongono la sua nascita il Middleton, il Kuehner ed altri
autori meno recenti;onde seguita che,mentre, a cagione ll'esempio,essi fanno il
De consolatione,l'Orlensio,gli Accademici, il De finibus e le Tuscolane, del
708 di Roma, (av. Cristo 46 e 62 della vita di Cicerone),eleopere De Natura
deorum,DeDivinatione,DeFato,De Offi riis, Cato Vajor e Lælius, del 709 di Roma
(45 av.Cristo c 63'della vita di Cicerone); il Forsyth e l'edizione di Lipsia
del 1854 (riveduta dal Clolz so quelle dell'Orelli e dell'Ernesti), riferiscono
i primi cinque trattati al 7 0 9 d i R o m a ( 4 5 a v . C r i s t o , 6 2 d i
C i c e r o n e ), e g l i a l t r i a l 7 1 0 . N o i s t i a m o col critico
di Lipsia, e col Forsyth,perchè mollo recenti,e temperati assai nei giudizj.Del
resto di parecchie opere si conosce la data.Intorno a quella del De Republica e
De Legibus rimane qualche incertezza. Il dott.P. Richarz. in una dissert., De
politicorum Ciceronis librorum tempore natali (Wir ceb., 1822), stabilisce
avervi speso Cicerone oltre a dieci anni, e averli pubblicati nel principio
circa del 703 di Roma.Questa ed altre molte dis sertazioni di critici tedeschi
e francesi,citate da noi,ricevemmo dalla cor. tesia dell'illustre A. Vannucci,
a cui rendiamo pubblica testimonianza di gratitudine. 56 un
fine pratico,ad esempio gli Officj,dell'Amicizia,iPara dossi, le Tusculane e
qualche altro. Noi abbiam seguito l'altra distinzione più principale, ammessa
da tutti icri tici, e che fino a un certo punto concilia l'ordine logico dei
libri coll'ordine di tempo, tra le opere fisiche (De matura Deorum ,De divinatione,
De fato, e il Somnium Scipionis parte della Rep.), le logiche (Academicorum ,
Topica, De inventione,etc.),lemorali(Definibus,Tuscu
lanarum,Paradoxa,Delegibus,Deofficiis,De republica, De senectute,De amicitia)
;avvertendo che la distinzione non siprenda troppo assoluta,ma che si guardi
alla qua litàche prevale.Fonti secondarj,ma dausarsiconmolto
riserbo,sono,secondo nota opportunamente il Middleton nella vita di Cicerone,le
Orazioni e l’Epistolario; e noi vi aggiungiamoleopererettoriche,segnatamente ilDe
Ora tore e l'Orator. La distinzione accennata delle opere fisiche,logiche e
morali risponde al concetto della scienza, e al metodo della antica Accademia
seguito da Tullio nell'ordina mento generale delle dottrine, e ne partisce la
filosofia nelle tre grandi teoriche dell'essere, del conoscere e del l'operare.
Premessi questi principj generali, si passi ora al l'esame più specificato
delle dottrine. II. 1. Il prendere ad esame con quella larghezza e dili
genza,che è necessaria allacriticaistorica,levarieparti delle dottrine
tulliane, è cosa invero che ricerca un abito non ordinario di osservazione, e
un sentimento vivo delle attinenze scientifiche; perchè, sebbene, come fu
notato nel capitolo antecedente, non si trovi nell'Arpinate un pieno disegno di
filosofia ordinata a sistema, basta leg gere alcuno dei suoi libri speculativi
per accorgersi tosto ch'ei ritraeva da Socrate,non soltanto ilmetodo esterno
del disputare e la sobrietà dell'esame, m a altresì quella 57
58 riflessione larga e compiuta, onde l'Ateniese coglieva nel l'universo
delle idee la unità della scienza. E di fatto socratici veri sono, come ben
nota il Ritter,tutti coloro che videro chiaramente la necessità di collegare la
scienza de'fatti interni con quella dell'universo, l'osservazione morale
coll'esperienza e la fisica colla psicologia. Nes suno dunque fu più vero e
perfetto socratico del nostro Autore. Anch'egli si accorse, come già il suo
Maestro , che se un sentimento naturale, abbenchè indeterminato, dell'attinenza
tra il pensiero nostro e gli oggetti, mosse la riflessione ne'primi passi della
scienza a riconoscersi per illusione identica col mondo esteriore,illusione da
cui poi i Pittagorici, gli Eleati e gli Ionj traevano il pantei smo,e uscì la
dialettica de'sofisti, un secondo passo a ristorare la scienza caduta nella
materia e nelle astra zioni eccessive, doveva essere l'affermazione dell'uomo
interiore, e di quella sintesi intellettiva e morale, sola realtà oggettiva, in
cui mirando il pensiero potesse rav visaresèstessoinattinenzacollecose
conDio.Suquesti fondamenti Socrate restaurava la vera dottrina dell'es
sere,dottrina che tratta di Dio,dell'universo e dell'uomo, considerati nella
loro esistenza, natura e relazioni su preme, e abbraccia in sè le scienze
fisiche e matemati che, la teologia naturale, la psicologia e la cosmologia.
Tutto ciò veniva compreso dagli antichi sotto il nome universale di Fisica
(usato in più luoghi da Cicerone ), e la Fisica includevano nella Filosofia,
perchè questa trat tando degli enti nel loro ordine universale contemplato
interiormente dalla coscienza,porge alle dottrine d'osser vazione esteriore il
soggetto e i principj. Or qui bisogna avvertire che questa unione intima delle
parti scienziali, sentita vivamente dalle scuole antiche italiane, e confer
mata da Socrate (il quale, nemico della fisica sofistica degli Ionj,favorì
invece coll'osservazione interiore la fisica buona), dava occasione, come
sempre, ad un bene e ad un male ; il bene era l'altezza della riflessione
scientifica, che comprendendo nell'unità de'principj l'intelligibile e il
sovrintelligibile, la natura e il divino, scorgeva sempre 59 più
addentro i legami che stringono la teologia naturale, la psicologia e la
cosmologia ; il male era che le scienze sperimentali così intimamente collegate
alla filosofia spe culativa,mentre se ne avvantaggiavano da un lato rispetto
all'universalità, traendo dall'accordo colle altre parti del l'umano sapere
occasione a più vera e perfetta compren sione della propria materia, dall'altra
ne scapitavano quanto ai metodi, allorchè all'osservazione esteriore o
induttiva, che sola ci può condurre alla notizia dei corpi, si volle sostituire
la deduzione, che da pochi generalissimi, posati a priori, scendeva di salto,
come nota Bacone , al particolarede'fatti.Due fontiperennid'errorenellescienze
sperimentali furono pertanto il panteismo e il dualismo ; ilprimo,perchè,data
l'unità di sostanza,ne consegue la medesimezza dell'ordine ideale col
reale,onde deduce il filosofo darsi vero passaggio dalle idee alle cose,senza
necessità di sensata esperienza ; il secondo, perchè, fatta coeterna a Dio la
materia,ne viene alterato il concetto di finitudine, e il mondo si pensa non
più finito e tem poraneo, m a infinito ed eterno, e animata la materia e
incorruttibiliicieli;pertalmodo panteismo edualismo ci diedero la fisica
fabbricata a priori, quale fu nelle scuole dell'India,nelle Pittagoriche, nelle
Eleatiche,in Platone, negli Stoici e nei Peripatetici del medio -evo. Le quali
considerazioni son necessarie,parmi,a chiunque voglia esaminare la metafisica
di Cicerone, e chiarire come mai,mentre lafisicasuperioreeledottrinesuDio,
sull'uomo e sull'universo sono fondate da lui sopra prin cipj sì alti, vi
prendono pochissima parte e indiretta le indagini sperimentali. Ai tempi
dell'Arpinate in cui, venuta all'ultima cor ruzione laGentilità,si rinnovarono
esiesageraronotutti gli errori delle età anteriori, quello strano accozzo delle
scienze fisiche colle metafisiche era venuto al suo colmo, e potente occasione
di scetticismo era il contrasto delle opinioni. Ora v è un luogo sulla fine
degli Accademici primi,dove Tullio descrivendo in persona propria la di scordia
delle sette contemporanee nelle tre parti della scienza,e volendo
mostrare come quella discordia giusti ficasseildubbiodellaNuova
Accademia,sitrattienepiùspe cialmente sulle dottrine de'Fisici (Acad., 37, 38,
39). D a quel luogo apparisce che il panteismo e il dualismo italo-greco
spingendo all'eccesso l'induzione astrattiva, per stabilire l'identità della
sostanza prima, avean con cepito a priori un'essenza nascosta e universale
delle cose distinta dalle loro qualità manifeste pel senso,e che si convertiva
in tutti gli elementi ; m a sulla natura di quest' intima essenza si disputava
segnatamente tra le scuole pittagorica, eleatica ed ionica. D'altra parte sor
geva questione tra le differenti scuole socratiche sull'or dine e sui destini
dell'universo;gli Stoici ammettendo una continua successione di mondi,
affermavano temporaneo il presente ordine delle cose ; Aristotele lo diceva
eterno ; i primi trasportando l'immagine dell'uomo nel principio supremo,
concepivano Dio provvidente nei particolari e negli universali ; m a Stratone
da Lampsaco e Democrito gli rifiutavano ogni ingerimento nelle cose del mondo,
inentre Aristotile,accordandogli la provvidenza dei generi e delle specie, gli
negava quella dei particolari. Tal m e todo di ragionare a priori sull'essenza
delle cose,occulta intimamente all'umano intelletto,non piaceva a Tullio,
ond'e'consigliavaun piùmodestosapere;mostravacome la notizia, che noi
acquistiamo de'corpi, movendo dagli effetti, non comprende l'intima essenza e
l'efficacia delle cause, e se all'occhio stesso dell'anatomico, che pur p e
metra ne'corpi, non si manifesta l'attività che li avviva, molto meno ella si
manifesterà al Fisico, che non può tagliare e dividere la natura delle cose per
indagare i fondamenti su cui posa laterra.(39.)Procedendo di questo passo
l'Autore faceva vedere negli Accademici, nei T u sculani e nel libro della
Natura degli Dei,come i dubbj opposti alle eccessive affermazioni de'Fisici
intorno alla essenza delle cose si trasportavano dalla Nuova Accade mia
sull'esistenza,natura e destini dell'anima,sull'esi stenza e natura di Dio e
sue relazioni coll'universo, e sulle altre principali verità della
scienza. 60 61 Nei luoghi citatiadunque e in qualche
altro ancora,in cui l'oratore latino dipinge il dissidio delle scuole sulle
verità naturali, non può negarsi ch'egli si faccia seguace della Nuova Accademia
; e non pertanto s'ingannerebbe col Ritter chi, attingendo di preferenza a quei
libri che han fine principalmente metodico, e dove le dottrine della Fisica
superiore si toccano per incidente, ne inferisse il dubbio universale di
Cicerone sui fondamenti di tutta la scienza. Nella fisica ciceroniana si vuol
distinguere infatti le verità problematiche dalle teorematiche ; le prime ri
feribili all'intima essenza e natura de'corpi, alle leggi de’loro moti,alla
costituzione fisica dell'universo ;l'altre risguardanti l'esistenza e natura di
Dio , dell'uomo e del mondo, considerati nell'ordine loro e relazioni supreme.
Quanto ai problemi naturali,egli non impugnava la pro babilità che la scienza
pervenisse a risolverli, e, come primo presupposto somministrato dalla
filosofia alle dot trinesperimentali,ammetteva lapercezionede'corpi;ma di
contro all'orgoglioso dommatismo degli Stoici, degli Ionj e degli Eleati gli
pareva assai più degna del saggio la modesta verosimiglianza della Nuova
Accademia,e fu per certo impresa vantaggiosa alla Fisica, in una età come
quella quando gli errori del panteismo,e il difetto dei metodi e degli
istrumenti toglievano fede alle verità di sensata esperienza, professare una
modesta ignoranza del vero per arrestare in tal guisa i rapidi progressi dello
scetticismo universale. E lo scetticismo, diceva Cicerone, si sarebbe aperta la
via quando que'filosofi dommatici non avessero considerato, come sentenziando
con assoluta certezza di cose occulte e dubbiose, si toglievano poi l'autorità
d'affermarne altre d'evidenza maggiore; os servazione importante e che mostra
come anche rispetto alla scienza sperimentale Tullio non professasse un dub bio
assoluto, m a riconoscesse un ordinamento di gradi dal verosimile al
certo.(Acad.prior.,41,e De repub.,I,10.) M a la prova maggiore si è che, mentre
le intermi nabili e vane questioni ond'era ingombra la fisica, lo la sciavano
sconfortato e dubbioso,un desiderio,quasi direi 62
giovanile,nutrito dall'ingegno potente e dall'animo roma no,loinvogliava delle
indagini naturali,di quelle indagini onde ci leviamo sopra noi stessi, e
dispregiando la picco lezza delle umane cose,proviamo un vivo sentimento del
divino e dell'immortale. « Nè anche io penso (così scrive Cicerone)che
sidebbano tor via tali questioni dei fisici; poichè viè un certo naturale
alimento degli animi nel considerare e contemplare la natura ;ce ne
sentiamo inal zati,e fatti più grandi, e nel pensiero delle cose supe riori e
celesti dispregiamo queste nostre del mondo come leggiere e di nessuna
importanza ; anche l'indagine stessa di cose grandissime e occultissime diletta
oltremodo ; se poi c'imbattiamo in qualcosa che sembri verosimile,l'ani mo
nostro è compreso da quel piacere che supremamente è degno
dell'uomo.»(Acad.prior., De fin.,IV,5).Innamo rato quindi della fisica, come
fonte di più alte specula zioni, egli rigettava le fantasie grossolane di
Democrito e d'Epicuro (De fin.,I,6);lodava Zenone perchè imitatore dell'antica
accademia diligente indagatrice della natura ( D e f i n ., I V ) ; e i q u e s
i t i d e l l a f i s i c a c h e l o m o s s e r o g i à vecchio a tradurre il
Timeo di Platone, gli avevan det tato qualche anno avanti le pagine più
eloquenti del trattato sulla Repubblica; il ragionamento di Filo e lo stupendo
sogno di Scipione.(De rep.,I,17,VI,9 e De fin.,IV,5;Tuscul.,V,23,25). Due
conseguenze,per quanto ci sembra,discendono dal contesto generale dei passi
sopraccitati,e da una lettura complessiva dei libri fisici di Cicerone : 1o che
il filosofo latino, a misura che dalla ricerca delle cose sensibili, e
dell'essenza loro occulta all'intelletto dell'uomo,argo mento de problemi, si
levava col discorso induttivo ai teoremi della scienza, scopriva illuminate da
una luce interiore le verità più alte, sebbene in mezzo alle tene
bredelgentilesimononardissedeterminarle;2ache,ofosse la dottrina stoica a cui
pendeva,o l'indole viva e meri dionale del suo ingegno, nella natura egli
sentiva e rico nosceva il divino; e tale attinenza sentimentale e logica della
sua mente tra ilfinito e l'infinito,tra il contingente e
l'assoluto, tra il temporaneo e l'eterno gli era scala a pensare la relazione
ontologica;e questa poi per abito alsemipanteismo-dualistico di Platone e
degliStoici lo conduceva probabilmente a immaginarsi l'intelletto umano emanato
da Dio,e Dio e le creature supreme disgiunte dall'universo de'corpi. In questo
metodo che sale per gradi di verosimiglianza dalla natura al divino, metodo
improntato sulle meditazioni socratiche,sta l'essenza della fisica di
Cicerone,e n’escono chiarite e per ordine le sue dottrine sull'esistenza e
natura di Dio, dell'universo e dell'uomo, sulla provvidenza e sulla libertà
dell'arbitrio. 2. La dottrina sull'esistenza e natura di Dio tiene il primo
luogo nella fisica di Cicerone.La causa di questo primato apparisce evidente
innanzi tutto per la sovranità incontestata dell'idea di Dio nella scienza.
Dio, oggetto necessario e reale assoluto ed eterno che si manifesta come prima
causa al di fuori di sè stesso nell'universo degli e n t i , e li g o v e r n a
v o l g e n d o l i a d u n f i n e i m m o r t a l e , c h e n e è prima
legge,in quanto si rivela all'intelletto dell'uomo nel mondo
degl'intelligibili,come ragione prima,signoreggia per fermo tutto l'ordine
scienziale ;e infatti,sebbene l'inda gine della coscienza interiore sia
principio e fondamento al sapere nell'ordine della riflessione, è pur certo che
i veri, i quali si dicono da’filosofi più noti rispetto a sè stessi, e son
centro d'infinite relazioni, come quello di Dio,partecipano all'uomo
quell'ampia veduta ideale,che sola lo conduce alle armonie della scienza. Nè il
primato del concetto di Dio si menoma punto se la mente sale da ciò che muta a
ciò che non muta,e dalla natura al di vino, una volta ch'ella v’ascende guidata
da un concetto necessario d'attinenza causale, attinenza di termini cor
relativi, l'uno dei quali è Dio stesso presente con arcana e invisibile
efficacia nel soggetto pensante. Anche senza
l'unitàassolutadeipanteisti,lafilosofiasicompone dunque in forma di scienza,e
la psicologia e la cosmologia si congiungono insieme nel massimo problema della
teologia naturale.La qual cosa è assai provata dal metodo di S o crate, che
movendo dalla coscienza produsse in Platone 63 64 u n a c o m
p i u t a a r m o n i a d i s i s t e m a , e a i u t o il f i l o s o f o l a
t i n o , venuto in tempi di povere e scucite speculazioni, a ser bare un
vincolo di dottrine nei suoi libri di fisica, che scritti in ordine successivo
di materie e di tempo,debbono quindi esser presi ad esame da noi come un solo
trattato. Premesse queste cose, viene spontanea la domanda : quale
fosseilpensierodell'oratorelatinointornoaDio.Se dopo una attenta lettura dei
passi delle sue opere, dove tal pensiero s'accenna,e un diligente ragguaglio di
questi passi tra loro,ci facciamo tal quesito, verrà spontanea pure
larispostach'eglidell'esistenzadiDio,diquelladell'anima e sua immortalità,
della provvidenza e del libero arbitrio non dubitava,e soltanto accoglieva una
più o meno decisa incertezza quanto al determinarne la natura ; e il suo criterio
in sì ardua questione della filosofia era un vivo intuito e un sentimento più
vivo dell'eccellenza e della armonia delle cose palesata internamente dalla
coscienza morale, esternamente dai principj supremi di universale
consenso.(Kuehner,Pars.IV,c.11,p.VIII.B. P. van Wesele
Scholten,Dissertatiophilosophico-criticadephi losophiæ ciceronianæ loco qui est
de Divina Natura . Amstelaed,1783,c.I,V,p.35).Inquestocriterioioravvisoil
riformatore e il filosofo vero ; il riformatore, perchè m o veva da ciò che
v’ha di più vivo e di più efficace nel l'uomo, dall'autorità delle tendenze
morali, il filosofo, perchè non se ne stava già al testimonio privato e indi
viduale,ma con deliberata indagine scientificacercavale note del vero nella
ragionevole natura dell'uomo, e nel suo carattere d’universalità. Tale
osservazione è degna d'es sere avvertita sin d'ora,perchè parecchi istorici
della filo sofia,tra iquali anche ilRitter,considerando ilmodo ora
dubitativo,oradommaticoconcuiCiceronesiesprimeinsif fatta dottrina,ilsuo
riserbo nell'accettare le opinioni degli altri, nell'esaminarle, nel
ventilarle, han voluto dedurre che egli in questa parte,filosofo di non troppo
sottili spe culazioni, più che a una severa riflessione, se ne stasse al
sentimento individuale destituito da criterj scientifici.
(Ritter,Hist.,L.XII,c.II,p.112. Brucker,Degerando.) M a questi
storici non hanno considerato a quali tempi si abbattè Cicerone ; tempi di
sfrenate passioni, di orribili scelleratezze, di guerre sterminatrici, ne'quali
ogni fon damento dell'edifizio civile crollava, e la scienza,abban donato il
sublime ministero di propagatrice del vero, si prostituiva
alguadagno.Alloralavocedelsenso comune e degli affetti naturali, alterata dalla
Gentilità, non so nava nelle plebi,quale una volta,testimone dei veriuni
versali e delle tradizioni primitive; la voce del popolo non era più quella di
Dio. Allora la tradizione scienti fica, che ravviata da Socrate s'era andata
continuando, benchè con notevoli alterazioni,lungo le scuole socrati che,
pervertita dagli ultimi sofisti avea perduto ogni sen timento del
vero;talchèalfilosofo,chenon avesse voluto o bestemmiar colle plebi o delirar
coi sapienti, non ri maneva che cercare iprincipj della scienza nella propria
natura non corrotta e nell'antichità veneranda. Ecco il fondamento che cercò
Cicerone alle principali dottrine della teologia,ed ecco icriterj che lo
guidarono in mezzo ai ravvolgimenti delle scuole sofistiche. Qui per altro è
necessario notare che,quando diciamo che in tempi di sì corrotta filosofia
Cicerone ebbe e metodo, e indagini pro prie,e guide non fallaci del vero,noi
non lo rappresen tiamo immune del tutto dalla funesta efficacia delle dot
trinecontemporanee,nèintendiamoch'e'fossesìfortunato da ravvisare scevre
d'errore nel santuario della coscienza le verità principali.- Ebbe egli
compiuta e perfetta n o tizia della natura di Dio e delle sue perfezioni ?
conobbe senza mischianza d’errori i d o m m i della spiritualità e i m
mortalità dell'anima umana ?ravvisò semplici e schiette, senza infezione di
panteismo e di dualismo,le attinenze dell'Ente supremo coll'intelletto
dell'uomo e col mondo ? - I o so che tali quesiti furono proposti più volte
dagli storici della filosofia, e poichè parve che Tullio non s e m pre
rispondesse chiaro e deciso all'esame dei postulanti, gli fu negato nome e
autorità di filosofo, e valore d'in gegno speculativo. (Brucker lo difese
dall'ateismo ; redi Bayle,Diz.Art.Spinoza).E veramente la conclusione 65
5 Il metodo ch'e'si propose apparisce manifesto dai tre libri D e
natura Deorum ; e tal metodo discende dal fine di tutto iltrattato.Or qual
eraquelfine? Chiamare 66 scenderebbe di necessità dai principj, quando si
potesse provare che la riflessione scientifica s'è trovata in ogni tempo nel
medesimo stato di certezza di contro al sapere naturale e al soggetto della
scienza,o che lo spirito umano nonsegueun cammino
diprogressivosvolgimentonellaetà dellastoria;e sela criticamoderna immune da
preoccupa zioni, adoperasse sempre una stessa severità imparziale nell'esame
d'ogni filosofo. M a la cosa procede ben altri menti ; perchè da un lato il
razionalismo alemanno coi suoi seguaci d'ogni paese, che ammette ogni
perfeziona mento scientifico come un prodotto spontaneo e succes sivo della
ragione nel tempo,non potrebbe,senza rischio di contraddire ai principj del
proprio sistema, negare che la forma logicale e il fondamento delle dottrine
dei filo sofi antichi sia rispetto a quel de'moderni notevolmente imperfetto ;
d'altra parte il filosofo del Cristianesimo, che afferma oscurate e corrotte
prima della venuta di Cristo le tradizioni e le verità primitive, e restituite
dalla parola rivelatrice del Verbo quelle tradizioni e quelle verità
all'intelletto dell'uomo redento, non può non ravvisare nelle dottrine cristiane
un perfezionamento notevole delle dottrine gentili; infine, ed è conseguenza
del già detto, nessuno rimprovera ai filosofi Indiani, Italo-Greci, a So crate,
a Platone, ad Aristotele l'ignoranza, l'errore e le manifeste dubbiezze intorno
a parti sostanzialissime della scienza. Le quali cose premesse, è
inutile,parmi, far conside rare al lettore di Cicerone ch' e' non vi troverà
deter minato senza ondeggiamenti d'idee e d'espressioni il con cetto di Dio ;
anzi dirò di più che tal concetto in parecchi luoghi delle sue opere (come nel
De natura Deorum ) apparisce più assai negativo che positivo. Resta ora che
cerchiamo in breve per quale indagine lenta e progressiva giungesse il filosofo
nostro a una verificazione sempre m a g giore di quel concetto divino. ad
esame le principali opinioni de'filosofi intorno a Dio, discuterle,confutarle,
e mostrare come le loro controversie sovra una parte sì nobile della scienza
siano ben sovente occasione e pericolo di scetticismo. (I. C. I,1;C. VI, 13,
14.) Con questo intendimento venuto egli ad esporre l'occasione del dialogo,
racconta come essendo stato invi tato nel tempo delle Ferie latine in casa
dell'accademico C. Aurelio Cotta pontefice e suo familiare (fra il 676 e il 679
di R o m a ), e trovatolo insieme con C. Vellejo, che
alloraavevavoced'essereinRoma ilprimotragliEpi curei,e Q. Lucilio Balbo,stoico
da paragonarsi ai più prestanti fra iGreci, cominciarono questi a disputare,
lui presente, della natura degli Dei, spartendo tutta la m a teria in tre punti
principali ; vale a dire : se vi fossero Dei,quale fosse la natura loro,e quale
intervento aves sero nelle cose del mondo e degliuomini.La qual spar tizione è
conservata in appresso sì nell'esposizione delle dottrine di Vellejo e di
Balbo, come nelle risposte di Cotta, che replicando ogni volta a ciascuno di
loro, li confuta entrambi. Il dialogo sulla natura degli Dei,che è dei più im
portanti fra i libri speculativi del nostro autore, si riduce in sostanza a una
esposizione viva ed eloquentissima delle incompiutezze dei sistemi sofistici,
contraddicenti alla c o scienza e al suo naturale riconoscimento, e si vede
quivi come gli errori più perniciosi sul concetto di causalità prima che è
fonte a noi del concetto di Dio,accumulati da secoli, corrompevano allora le speculazioni
gentili. Il panteista, immedesimando Dio colle creature, pervertiva l'idea
della sua natura infinita e assoluta, introducendo nell'ente senza difetti il
maggior de'difetti,la negazione dell'infinito e dell'assoluto ; il dualista che
svolge l'unità primordiale del panteismo, segregando il Creatore dalle cose
create e indiando la natura, si perdeva nella contra dizione immortale di due
infiniti coeterni, onde moltipli c a n d o D i o , l ' a n n i e n t a v a ; il
m a t e r i a l i s t a e l ' i d e a l i s t a l ’ u n o affogato nel senso,
l'altro confinato nella fredda solitu dine dell'idea, o si vedevano dileguare
il concetto di Dio 67 68 tra i fenomeni della materia, o lo
perdevano di vista nelle indefinite astrazioni; m a l'uno e l'altro riuscivano
a n e garlo,perchè sempre si nega per necessità di sofisma l'evi denza non
affermata per difetto di logica. Ora egli è a p punto questa legge inesorabile
dell'errore che Cicerone volle rappresentare mettendo alle prese l'Epicureo con
lo stoico, e sottoponendoli entrambi al sindacato della Nuova Accademia. E
invero quell'ardita e sconsigliata filosofia d'Epicuro che riesce sì
lusinghiera vestita dello splendore di Lucrezio, si mostra in tutta la sua
nudità nel discorso di Vellejo (Lib.I,dal C. VIII al XXI).Po neva egli come
certo che gli Dei sono,perchè la natura avea impressa negli animi di tutti la
loro anticipata no tizia (apódnbev),e ne accennava vagamente l'essere e la
figura, facendoli eterni e perfettissimi e conformati a si militudine umana,ma non
da materia corporea e sensi bile,bensì da un fortuito accozzo d'immagini simili
rin novantisi all'infinito (imaginibus similitudine et transi tione perceptis);
gli Dei così costituiti dipingeva beati, e non curanti nè di sè stessi, nè
delle cose pertinenti agli umani. Ora è chiaro che le conseguenze d'una
siffatta dottrina eran ridurre la natura di Dio ad un puro con cetto della
mente,ad un'immagine d'inerzia non conci liabile coll'ordine e col moto d'ogni
cosa creata. Ma a più alto concetto di Dio si levava lo stoico Lucilio. Gli
Stoici che,come vedemmo nella prima parte,ammettevano contenuta
nell'indeterminatezza primordiale della materia passiva, oscura, divisibile,
capace all'infinito di forme un'intima energia che traendola all'atto ne
costituiva la vita dell'universo, concepivano Dio in questa vita,e m o vevano
per affermarlo esistente dall'universale consenso, dai prodigj,dall'armonia
delle cose,e dalla eccellenza dello spirito umano. Sostenuta da questi
argomenti la prova fisica della provvidenza di Dio che va dal C. XXXIII al
LXVII del libro secondo, è uno dei più mirabili tratti dell'eloquenza romana .
Giunti a questo punto,se esaminiamo la polemica della Nuova Accademia contro le
dottrine d'Epicuro e di Cri sippo (I, dal cap. 21 al 43, e tutto
il libro terzo), ci si presenta la questione, a lungo agitata nelle scuole,
qual sia in questo libro il vero pensiero di Tullio su Dio,e se il dubbio
accademico si manifesti in lui sotto la per sona di Aurelio Cotta. I critici
più antichi lo affermarono risolutamente, alcuni più recenti come lo Scholten,
il Kuehner e il Ritter, con qualche riserbo. M a sì gli uni che gli altri si
avvicinarono al vero senza comprenderlo a pieno ; perchè essi ponevansi ad
esaminare quel libro preoccupati dal concetto che Cicerone conforme a ciò che
dice in varj de'suoi proemj,e nel proemio del De natura Deorum
(11),partecipassequivideltuttoildubbio fon damentale e sistematico, il dubbio
di Carneade sulle verità principali; laddove bisognava invece considerare come
il quesito proposto risguardasse intimamente il complesso delle dottrine, nè
quindi potesse essere risolto badando a qualche frase staccata, m a solo
serbando nell'esame la rigorosa armonia delle parti col tutto. Alla qual cosa,
se non m'inganno, noi ci aprimmo la strada sin da prin cipio,quando
distinguemmo nell'oratore latino due parti, e quasi due forme dell'indagine
scienziale; per l'una, che chiamerei intrinseca e dommatica, egli si
ravvicinava ai principj socratici, e ammetteva i fondamenti del vero nei fatti
della coscienza ; per l'altra estrinseca e negativa, che eraildubbio
dellaNuovaAccademia,moderatamente partecipato da lui, egli confutava i sistemi
contemporanei con dedurre da più negazioni particolari una compiuta
affermazione del vero. Assumendo egli in tal guisa le dot trine d'Arcesilao,
più come istrumento metodico e inqui sitivo,che come sostanza delleproprie
opinioni,ed anzi, quel che è maggiormente notevole, rifiutando il dubbio
fondamentale sulla validità della scienza,stabilito da A r cesilao e da Carneade,doveva
avvenire (siconsideri bene) che il fondamento delle teoriche tulliane contraddi
più volte a quella sua apparenza di dubbio,talchè vi fos sero in lui quasi due
persone distinte, l'una delle quali negava,l'altra implicitamente edecisamente affermava.
Ora si avverta un poco come questa contradizione, non 69 1
però sostanziale,apparisca, più che altrove,evidente nel l'opera che noi
esaminiamo; e come,introducendosi ivi da un lato Cicerone che assiste al
dialogo senza prendervi parte, e dall'altro Cotta che vi sostiene la parte di
con futatorecolmetododellaNuovaAccademia,èdato occa sione alla critica di
verificare con bastante certezza le sue opinioni, raffrontando insieme la
persona del ponte fice con quella dello scrittore. A persuadersi di ciò ba
sterebbe considerare qualmente, se Cicerone intendeva celarsi sotto la persona
di Cotta,era inutile allora che introducesse sè stesso;ma egli si dipinse là in
mezzo a que'disputanti, chiuso in un silenzio veramente sublime, per
rappresentare in sè l'immagine viva del sapiente, che, sebbene certo per natura
di veri infiniti, tuttavia procede cauto e riguardoso all'acquisto della
certezza scienziale. Noi affermiamo sin d'ora che Cicerone possedeva da n a
tura la certezza del teorema che prendeva a chiarire, perchè egli
stesso,alludendo a ciò nel proemio dove dis corre in persona propria, ci dice
che le discordie dei dotti intorno a materie importanti sono occasione potente
di scetticismo anche a coloro che han fiducia in qualche cosa di certo (I. 14);
e perchè i due primi capitoli del libro primo sono un testimonio irrepugnabile
del come il filosofo latino ponesse l'esistenza di Dio e la sua prov videnza
sui fondamenti della certezza morale (I. Cap.II, 1, 2,3,4,5).Il dubbio di
Cicerone nel libro De natura Deorum era dunque semplicemente verificativo delle
ra gioni già possedute, e avea per fine sostituire alla cer tezza naturale la
certezza scientifica. M a d'altra parte chi guardi le dottrine della Nuova
Accademia, quali ci sono rappresentate nella persona di Cotta,che le conduce
alle ultime conseguenze,siaccorge tosto che la loro indole negativa non era già
apparente e metodica, m a procedeva dall'intima essenza dell'idea lismo
d'Arcesilao, il quale dubitando d'una reale corri spondenza tra l'essere delle
cose e le potenze conosci tive, dovea dubitare pur anco della certezza naturale
e del senso comune, testimone per lui d'un'ingannatrice 70 71
evidenza. Questa è la ragione per cui Cotta nelle sue ri sposte moveva dal
negare agli Epicurei ed agli Stoici la nozione preconcetta di Dio, attestata
dal senso co mune.(I,21,23.III,3,7.)Ora siavvertacome la Nuova Accademia non
affermando un proprio e fermo fondamento di vero negli umani giudizj, e solo
una tal quale verosimiglianza eguale per tutti, mancava di prin cipj certi e
positivi da costituirvi la scienza,e conseguen temente anche di un criterio
sicuro a cui ragguagliare la critica de'sistemi contrarj. Questi sistemi,
conforme alle opinioni della Nuova Accademia,non erano quindi alcun chè di vero
o di falso secondochè si avvicinavano o si dilungavano dai principj
irrepugnabili della scienza ; con tenevano tutti, sebbene in gradi differenti,
la verosimi glianza concessa all'umano intelletto, e solo quando il legame
logico, che intercede di necessità tra le conse guenze e i principj, non era
strettamente serbato, allora soltanto si dava in essi l'errore. U n tal
criterio, sostan zialmente negativo e relativo,abbisognava (sidirà)diun
criterio positivo e assoluto desunto dall'evidenza de'prin cipj supremi,su cui
posa incardinata la necessità logica d'ogni sistema;ma laNuova Accademia non
vibadava, e ragguagliando ciascuna filosofia colle premesse del pro prio
sistema, tentava coglierla in evidente contradizione. (Nelle opere di Cicerone
passim.) U n si manifesto contrasto tra il dubbio verificativo e
scientifico del nostro Autore, e il dubbio scettico della Nuova Accademia
apparisce in ogni passo de'suoi libri, in cui egli introduce la persona di
qualche Accademico che confuta gli opposti sistemi; apparisce poi più evi dente
che mai nella conclusione del De Natura Deorum , dove Tullio, uditi i filosofi
disputanti, termina dicendo : la disputazione di Cotta (Accademico) sembrò a
Vellejo (Epicureo)più vera;a me l'altra diBalbo (Stoico)più verisimile; il che
è quanto dire che la Nuova Accademia dubitando di Dio si avvicinava agli
Epicurei, mentr'egli, certo di questo vero,si allontanava dagli uni e dagli
altri accettando in parte le dottrine del Portico.E che dim e 72
gliopotevaeglifareinmezzoalturbiníode’sistemi?Estinte quasi del tutto le sacre
tradizioni, il consentimento p o polare offuscato dai vizj, da un lato,
imbestiati nella materia negavano gli Epicurei la spiritualità del concetto di
Dio, e la sua provvidenza, dall'altro negavano gli Accademici la efficacia del
senso comune nell'affermare Dio,e sottili argomentatori lo contrapponevano al
male; ai primi Tullio opponeva nel proemio citato la dignità dell'umana
mente,ilbisogno innegabile della religione consentito da tutti;ai
secondi,l'efficacia del testimonio universale,gli affetti dell'animo,isupremi
principj della r a g i o n e e l a l i b e r t à d e l v o l e r e ( T u s c .,
d e N a t . D e o r ., D e Leg.,passim);del resto egli pendeva verso gli
Stoici,e perchè consentivano il consentito da lui, e perchè lo in namorava quel
loro sublime concetto della umana eccel lenza e dell'armonia delle cose.Come
poi egli movesse dalla coscienza morale, osservata al lume d'un criterio
scientifico, sarà dimostrato in altra parte di questo dis corso col libro delle
Leggi, dove l'efficacia esercitata nell'animo nostro dall'idea d'una suprema
sanzione gli faceva porre a proemio di tutte le istituzioni civili Dio
provvidente,e allegarne per prova la natura dell'uomo, solo fra gli animali, in
cui sia innata la notizia di Dio, e alberghi un animo immortale originato dal
cielo. (D e Leg.,I,7,II,7.) Premesse queste considerazioni, se ne possono
dedurre tre cose : 1° Il vero intendimento di C i cerone nello scrivere ilDe
Natura Deorum fu,esporre e confutare i principali sistemi contemporanei, e a
tal fine egli assunse come istrumento metodico e inquisitivo il dubbio della
Nuova Accademia,senza accettarne lo scet ticismo; 2o Cicerone non rappresentò
sè stesso nella per sona di Cotta, m a soltanto la forma estrinseca del m e
todo proprio ; 3o Il filosofo latino volle significare nelle parole del
proemio, e della conclusione,e nel silenzio ser bato in tutto il dialogo
ch'egli aveva di Dio un alto concetto, che quel concetto nella sua mente era
certo di certezza naturale, m a che in mezzo alle tenebre del G e n tilesimo e
alla discordia dei dotti,non ardiva determi . 73 narlo in
ogni sua parte, e sostituirvi una assoluta cer tezza di scienza. Ora si
domanda, perchè non riuscisse a Cicerone definire a sè stesso questo concetto.
3. Dimostra l'Ontologia come l'intelletto dell'uomo investigando le proprietà
metafisiche dell'ente in ordine ai concetti universali, distingue l'essenza
dall'essere di una cosa;quella come idea generale rappresentante una
possibilità di cose indefinita, questo un che d'attuale, di esistente e di
determinato in sè stesso. Ora si badi che ciascuna cosa esistente, sebbene
offerta all'intendimento dell'uomo dall'intelligibilità universale della sua
essenza, in quanto è esistente,vale a dire in quanto è un atto reale dell'essere,
cade per via de'sensi sotto l'apprensione delle potenze conoscitive,e come tale
è appresa particolare e finita; dall'apprensione poi di molti finiti nella
serie degli atti intellettuali la mente dell'uomo,soccorsa dalla rifles s i o n
e , l e v a s i a l c o n c e p i m e n t o d e l l e c o s e i n f i n i t e .
M a il c o n cetto dell'infinito, che è cima della piramide ideale,può es sere
inteso in diversi significati; l'un significato che ci offre l'entità assoluta,
necessaria e in ogni sua parte perfetta; l'altro che ci rappresenta una
semplice entità indetermi nata,e un mero portato dell'astrazione mentale.Però
seb bene un intervallo notevole disgiunga nell'intelletto del filo
sofoedell'uomovolgareitreconcettidelfinito,dell'infinito e del non definito,
merita di essere considerata quella ragione qualunque di rapporto e di
similitudine per cui essi possono scambiarsi talvolta. La riflessione naturale
aiutata dal lume della scienza e dalla pienezza delle tra dizioni divine, avea
concepito ab antico, indi al termine dell'Era pagana ravvisò con evidenza
maggiore nelle dot trine cristiane l'idea dell'infinito assoluto, dell'ente per
essenza correlativa necessariamente all'idea del finito, vide in quest'ultimo,
naturalmente determinato e imper fetto,come non darsi possibilità
d'attoinfinito,così nean che necessità d'eterna esistenza,onde dedusse ilfinito
procedere per atto creativo dall'infinito, il temporaneo dall'eterno,il
contingente dal necessario.Tale è la teorica cristiana della creazione, fondata
sopra una serie logica - 74 di concetti, la cui necessità è
confermata a noi tutti fino dai primi anni in una voce interiore che ci parlò
sublimi cose di Dio,in un continuo desiderio,che ci travaglia inconsapevoli per
tutta la vita in cerca d'una perfezione immortale. Nel procedere che fa la
mente a questo apice dei concetti v’ha per altro un pericolo d'arrestarsi per
via;chè sebbene ilsentimento e l'intuito dell'infinito non possa verificarsi
nell'uomo senza una segreta unione del l'intelletto con Dio (qualunque poi sia
questa unione,e in qualunque modo s'effettui), e sebbene per l'attinenza di
creazione l'atto infinito ed eternale del Creatore costi tuisca nelle cose
finite alcunchè di somigliante a sè stesso, cioè un'indefinita potenzialità
d'atti,di forme, di m o menti,è però assurdo scambiare quell'attinenza
coll'iden tità, e quella potenzialità indefinita coll'infinito che la pone.Tale
assurdo è l'origine del concetto d'indefinito applicato alla causa
creatrice.Fingasi ch'io pensi iltempo, lo spazio, o l'indefinita potenza del
mio pensiero ; allora (e può facilmente avvenire ciò che tutti provammo alla
vista di pianure interminate e di mari, o in un facile abbandono della mente a
sè stessa), se in quell'arcana presenza di Dio la fantasia prende il di sopra
sulla r a gione, io mi rappresento quell'ordine d'atti, di durate, di
coesistenze come infinitamente continuato, continuato per una perpetua
remozione di limiti che,a dir così,sono e non sono ad un tempo ; e
quell'abbaglio di fantasia si muta in un concetto reale,ed io penso
l'infinito,l'eterno, l'immenso di Dio sotto l'immagine d'indefinito.Così nacque
ilpanteismo in Asia,in Italia ed in Grecia;e così pen sano l'assoluto i
panteisti Alemanni, e l'Hegel segnata mente. Veduta la differenza d'origine dei
tre concetti di finito, d'infinito e d'indefinito,si domanda ora quanto
all'essere loro quale d'essi sia negativo. Per fermo l'infinito,se ne togli il
materiale significato della parola, evidentemente nel suo concetto non ha nulla
di negativo, desso che non ha limiti ond'è costituita negli enti la negazione
dell'es sere; non limiti di contingenza,perchè necessario,non 75
limiti di tempo, perchè eterno, non limiti di modi e di mutazioni,perchè
assoluta sostanza;anzi èinfinitamente positivo come causa infinita, e perchè
dotato d'efficienza assoluta pone dal nulla l'effetto, e perchè ne rappresenta
in sè in modo sopraeminente e immensurabile le perfezioni finite.Il finito poi
da un lato è negativo nella sua essenza ideale, come rappresentante all'intelletto
un che fornito di limiti, dall'altro lato è positivo nel suo essere come atto
sussistente e determinato ; l'indefinito che è propria mente l ' i p o y dei
greci, è negativo nell'essenza e nel l'essere ;nell'essenza c o m e astratta
potenzialità del finito, nell'essere come un qualcosa che perennemente diviene,
e non è mai ; e dico che è negativo in ogni sua parte, per che se il positivo
del finito consiste nell'essere determinato come atto individuo e
concreto,l'indefinito che nega quella i n d e t e r m i n a t e z z a , si r i
d u c e a d u n a p r e t t a a s t r a z i o n e m e n talee per
ultimaconseguenzarisolvesiinnulla.A chipoisi maravigliasse che ilconcetto
d'indefinito,cima delle astra zioni, si fosse pôrto per tanto tempo e a tante
nobili menti in luogo del concetto più naturale assai d'infinito a spiegare la
divina entità, io addurrei per ragione lo strano giuoco della fantasia che
nelle nature vivamente passionate si mesce alle operazioni delle potenze cono
scitive, addurrei l'oscurarsi delle sacre tradizioni onde avviene che
nell'animo abbandonato a sè stesso la divina luce dell'intelletto soggiaccia
agli adombramenti del senso, e infine, ultima conseguenza di ciò,la superbia
dell'uomo che Dio e l'universo volle rassomigliati a sè stesso. Io parlo cose
ben chiare a chi abbia sufficiente notizia della Storia della Filosofia, quando
dico che la Paganità tutta avanti l'Era volgare,e nell'Era volgare tutti i
filosofi più o meno infetti di paganesimo ignorarono ilvero con cetto
dell'infinito applicabile alla natura di Dio;dico il vero concetto,e non
escludo che anche tra'pagani alcuni, e segnatamente Platone,vi si accostassero
in parte; tale è l'evidenza suprema di quella idea all'umano intelletto, e tale
il sentimento non repugnabile che la creatura rav vicina al Creatore.
- 76 Ma tornando alnostro filosofo,egli,come tuttipiùo meno gli antichi,
come tutti i pagani, rimase molto al di qua dal concetto genuino e legittimo
dell'infinito. C o n tuttociò,sebbene nel De Natura Deorum rappresenti del concetto
di Dio la parte più negativa,tra perchè quivi egli procedeva per metodo
d'eliminazione confutando i sofisti, e perchè mostrò avvicinarsi all'idea
indefinita che ne avevan gli Stoici,è noto alla Storia della Filosofia che
nelle sue dottrine s'incontra sovente l'altro concetto più positivo degli
attributi dell'anima considerati come corre lativi, o analogici agli attributi
di Dio. Questa teorica, accennata in fine del De Natura Deorum , ritorna negli
ultimi capitoli della Repubblica,e nel primo libro dei Tusculani. Argomento di
quei capitoli della Repubblica è il sogno di Scipione Affricano imitato dalla
Repubblica di Platone, ed è necessario fermarvisi un poco, perchè, sebbene ivi
si tratti dell'immortalità come premio delle virtù domestiche e civili, e
perciò la materia contenga un intendimento morale,l'essenza di quelle dottrine
si ri connette intimamente alla fisica.La ragione poi è chiaris sima. Nel fondo
di tutti isistemi gentili, per quanto con
nessiconsottilissimeprove,eanimatidaunintimoprincipio diidealità,siannidava pur
sempre una ragione dimateria lismo, procedente dall'idea indefinita ch'essi
qual più qual meno s'eran formati dell'infinito,e che originandosi da un
ristagno dell'immaginativa nei fenomeni della m a teria e del senso,ivi la riconduceva
pur sempre giù dalle altezze più metafisiche della scienza. I Gentili, e segna
tamente gl'Ionj, considerando in tal guisa l'operare delle cause naturali,per
quindi dedurne la prima causa del l'universo,tra i fenomeni esterni posero
particolare atten zione al moto, e perchè al moto si riducono sostanzial mente
tutte le trasformazioni della natura, e perchè al moto s'attribuisce in
generale la causa de'fecondamenti terrestri; il moto poi richiede un'intima
forza motrice delle sostanze, altrimenti non si spiegherebbe come , data
l'inerzia della materia,dall'una sostanza e'si comunichi all'altra;ecco perchè
negli antichi panteisti e semipan 77 teisti, e nei loro imitatori
moderni primeggia il concetto di forza (Büchner, Forza e Materia ); applicate poi
questo concetto delle forze particolari all'universalità delle cose, e
immaginate un'unica sostanza a cui segua necessaria mente un'unica forza, e
avrete il panteismo dinamico di Capila, degl'Ionj, del Timeo e degli
Stoici.Questo sistema dinamico ritiene nel suo fondo l'impronta del pensiero
che lo concepisce. Di fatto, poichè in esso la riflessione procede astraendo
per ragionamento induttivo lungo una serie di cause modali dalla più manifesta
e determinata ad una occulta e generalissima cui sidà ilnome di causa prima, e
tra le cause modali,fornite di più intima e m a nifesta efficacia,l’anima,che
ha coscienza viva del proprio essere,è tratta a concepire sè stessa per prima,
ne viene che l'ultima causa si pensi ad immagine dell'anima come un alcunché diuno,origine
difattimolteplici,presente col l'unica attività a ogni parte della materia
informata,fonte di vita, di movimento,di senso. Stabilita questa dottrina
panteistica,apparisce chiaro quali conseguenze ne prover ranno alla dottrina
dell'anima. Il filosofo gentile che dal concetto dell'anima è tratto a pensare
la causa prima dell'universo, e la natura di Dio che lo informa, discen dendo
novamente da Dio e dall'universo in sè stesso, immaginerà l'anima d'origine e
d'attributi divini (h u m a nus animus decerptus ex mente divina. Tusc.), ne
spie gherà l'intima efficacia e il modo d'operare delle sue facoltà a
somiglianza della natura divina, e finalmente confondendo l'eternità, attributo
dell'ente infinito, col l'immortalità che appartiene agli spiriti finiti, farà
eterna e immortale l'anima,dicendo con Platone che essa è una causa,origine di
moto ad altre,senzaorigine essa stessa e p e r c i ò s e n z a f i n e ( D e R
e p ., l i b . V I , c a p . X X V ; e T u s c ., lib.I,XXIII.). Questa è la
sostanza del sistema panteistico (o semi panteistico) esposto dal filosofo
nostro negli ultimi capi della Repubblica. Ivi descrivendosi in modo stupendo
la costituzione dell'universo, si rappresenta la terra circon data dalle nove
orbite dei pianeti animati da divine menti, dei quali l'ultimo che
contiene tutti gli altri,è sommo e principe Iddio. D a questi fuochi sempiterni
disceso l'animo dell' Da queste considerazioni apparisce quanto sia intima
mente collegata alla teologia naturale la psicologia del filosofo latino.Se noi
volessimo recare per esteso la ra gione più generale di questo legame , e
spiegare coi filo sofi recenti quel modo d'induzione correlativa, onde la mente
negando al finito le sue limitazioni, si leva a cono scere l'infinito di
Dio,trascenderemmo di troppo itermini della presente questione. Invero la
notizia che all'uomo è concessa dell'assoluto divino,procedendo per analogie e
rap presentanze il cui contenuto ci è pôrto da elementi speri mentali, dee
riuscire di necessità inadeguata all'oggetto; 78 u o m o , è D i o e s s
o p u r e c h e g o v e r n a e m u o v e il c o r p o come il Dio
principe,l'universo;sempiterno,immortale, rinchiuso nel corpo come in un
carcere,e desideroso della sua dimora celeste,dove restituito dopo la morte in premio
delle virtù cittadine godrà eternamente la compagnia degli spiriti immortali.In
questo luogo son chiare le remi niscenze di Platone e degli Stoici;ma degli
Stoici v'è poco ; laonde io non vi riconosco col Ritter un prevalere del
concetto stoico di materialità sul concetto della spi r i t u a l i t à d i v i
n a ( H i s t . d e l a p h i l . a n c ., t o m o I V , p a g . 1 1 6 ) ;
perchè, sebbene Cicerone volendo abbellire della fantasia le sue dottrine
fisiche ai lettori romani,riproducesse ivi la parte più immaginosa e più
sensibile del sistema pla tonico del Timeo,è noto come quelle immagini nascon
dono nell’Ateniese una idealità di concetti sublimi,e più m'è argomento che
Cicerone in questo luogo si scostò dagli Stoici, il vedere com’ei faccia
immortale non sol tanto l'anima universale, m a anche le anime particolari,
mentre per confessione del dotto Alemanno, « era con forme alle dottrine degli
Stoici il ricusare all'anima indi viduale, come parte dell'anima universale,
l'immortalità insensoproprio.»(Ritter, XII,cap.II,pag.116,Physique des
Stoïciens. Vedi però nelle Confessioni del Mamiani , Ontologia, lib.IV,cap. VI,
150, acutamente accennata l'opinione contraria.) inadeguata,io
dico,perchè l'animo che giunge al concetto di Dio trascendendo infinitamente sè
stesso,non può far sì che nelle conseguenze di quella induzione non soprabbondi
tuttavia il sensibile e il contingente che si conteneva nelle premesse ; e
perchè in quella via che dalla natura ci mena al divino,noi siamo ancora molto
di qua dal ter mine che dovremmo varcare,sebbene pur di qua piova su noi la
luce incommutabile dell'infinito riflessa dal l'universo a quel modo istesso
che il sole, non ancora spuntato sull'orizzonte, si rifrange scintillando nel
mare. È questa la vera causa per cui Cicerone, comecchè s'avanzasse d'assai
soccorso dall'indole sublime,e l'universalità dell'ingegno latino, non giunse
però (e lo vedemmo) al concetto ben determinato dell'infinito; ma è vero
altresì che uno fra gli studj più belli della Storia della Filosofia si è il
cercare nei suoi libri popolari e s p e culativi come il concetto di
Dio,correlativo a quello del l'anima, si va grado a grado perfezionando nelle
opere fisiche, finchè perviene alla sua pienezza nelle dottrine morali. U n
primo passo di questa ardita speculazione noi lo vedemmo nel De Natura Deorum
,libro essenzialmente istorico e disputativo, in cui Cicerone, avvolto nella di
scordia delle sètte,e inteso a paragonarle tra loro e a c o m batterle con ogni
argomento,non sa affermar che ben poco, e si restringe all'esame delle altrui
opinioni; tien dietro a questo nell'ordine de'suoi pensieri il Sogno di
Scipione, dove il concetto di Dio si determina meglio, e apparisce anche più
chiara la tendenza alle dottrine platoniche ; m a quelle dottrine sono trattate
ampiamente nel primo libro delle Tusculane,testimonio del suo metodo che de
sume i principj dell'osservazione intima della coscienza, e si sforza,
trascendendo il creato, di profondarsi nel l'essenza di Dio. In quei capitoli
si tratta dell'immorta lità, secondo il metodo della Nuova Accademia ;cioè vuol
provarsi (giusta l'intendimento metodico del libro) come ammessa o non ammessa
la indistruttibilità dell'anima umana,segua in ogni modo che la morte non è da
te mersi; l'immortalità poi si dimostra movendo dalla tra dal 79
80 dizione degli antichi, tradizione efficace quod propius aberant ab
ortu et divina progenie, dal consenso univer sale che è legge di natura,
manifesto nelle consuetudini, nelle leggi, nelle cerimonie, negl'istituti, e
dal senti mento naturale, onde alberga nelle menti degli uomini, e segnatamente
dei grandi,il desiderio della gloria che Cicerone chiama con bella immagine un
augurio de'se coli futuri. Sostenuto da tali prove la cui efficacia de riva dal
fondo del pensiero platonico, egli per ispiegare la condizione dell'anima dopo
la morte, ricorreva a de terminarne la natura, e contro gli Stoici che le
aveano concesso un'immortalità temporanea,affermava con ra gione essere più
difficile assai pensare l'anima rac chiusa nel corpo, che immaginarla libera da
ogni m a teria, e tornata ad abitare nel cielo ond'ella è discesa. (I.XXII.)In
queste parole si accenna la spiritualità che prevale tra gli attributi
dell'anima ; sennonchè il nostro filosofo,che avea penetrato nel Cap.XXII ilvero
senso scientifico della parola, dicendo: ciò che è spiri tuale, sebbene non
percepibile al senso, andar soggetto per altro all'apprensione del
conoscimento, venuto poi a determinarlo, rimase un po'titubante;onde,sebbenetra
cinque elementi, che secondo Aristotele costituivano la sostanza terrestre,
scegliesse il quinto non nominato, più che non inteso a costituirne l'essenza,
e rifiutasse le gros solane fantasie d’Aristoxeno,di Democrito e d'Epicuro,
quando se la immaginò separata dal corpo, necompose una dottrina non al tutto
spirituale. (XVII,XVIII,XIX, X X , X X I .) C o n c e d a n s i q u e s t e i n
c e r t e z z e , d a c u i n o n a n d ò assoluto neanche Platone, al bujo
sempre crescente delle speculazioni gentili.Ma da modesti principj si leva il filosofo
latino alla sublimità della scienza. Egli è tanto inclinato con Platone ad
affermare l'anima come una natura perfetta e immune da ogni contagio colla
materia, che la vuol rinchiusa nel corpo come in un carcere (X X , XXII);colle
dottrine della filosofia moderna ne inferisce la semplicità dal sentimento
unico ch'ella ha del molte plice;riproduce,come nella Repubblica, il noto
argo mento platonico tolto dall'eternità de'principj motori
(XXIII),e chiama plebei quei filosofi (gli Epicurei)che non ne consentivano
l'efficacia; espone anche l'altro che all'anima attribuisce l'immortalità per
l'intuizione degli eterni esemplari (XXIV.).Che dunque inferiva da queste prove
? Egli stante la incertezza de'filosofi contemporanei , non si perdeva a
determinare in che proprio consistesse l'essenza dell'anima, o dove la sua sede
nel corpo ; atte nendosi al concetto di causa,rivendicava al ragionamento
induttivo sui fatti interiori la sua validità di contro al l'induzione delle
scienze sperimentali; e si volgeva agli empirici materialisti,maravigliandosi
come negassero poter concepire l'essenzadell'animaseparatadalcorpo,essiche pur
tanto poco conoscevano dell'initimo operare della materia ; argomento valevole
anch'oggi a smascherare i pretesi nemici della Metafisica,se la reverenza alla
ne cessità logica de principj fosse mantenuta nel fatto, come è predicata a
parole,da quanti amano chiamarsi seguaci d e l l e d i s c i p l i n e s p e c
u l a t i v e . ( T u s c ., I . X X I I , X X V , X V I I I , X I X ; C. f. Cato
M . 21 , 23, de A m . 4. c. p .) Meditando i capitoli della Repubblica e delle
Tuscu lane, alcuni del Catone Maggiore e del Lelio, e qualche
squarciodelleOrazioni(Miloniana,cap.30,31),sivede in tutta la psicologia del
nostro filosofo, anzi in ogni parte della sua fisica questo ritorno costante
dell'induzione correlativa;nè sfugga all'osservazione del critico una nota
importante di questa dottrina, e cioè che, sebbene parrebbe a primo aspetto
avere Cicerone desunto la cer tezza scientifica della esistenza e delle
perfezioni di Dio dalla contemplazione dell'universo e dell'animo umano,
apparisce invece in più luoghi che un sentimento vivo del l'eccellenza di
Dio,nutrito dall'indole religiosa, e dalle tradizioni latine, dà lume e
certezza al concetto positivo dell'anima. E invero, se egli mostra talvolta di
dubitare della semplicità e immortalità dell'anima u m a n a , dell'esi stenza
di Dio e delle sue perfezioni infinite non dubita mai.«L'origine dell'anima
umana,egli diceva nel De consolatione, non può in alcun modo trovarsi su
questa 81 6 82 terra. Non v'ha in essa niente di misto, nè di
concreto o di terrestre; niente d'aria, d'acqua o di fuoco. I m perocchè tali
sostanze non sono suscettibili di m e m o ria, d'intelligenza o di pensiero,
nulla hanno in loro che ritener possa il passato, prevedere il futuro, c o m
prendere il presente ; le quali facoltà sono unicamente divine, e non possono
in guisa alcuna essere venute nel l'uomo,se non discendon da Dio. La natura
dell'anima è perciò d'una specie singolarissima, e da queste comuni e cognite
nature distinta;talchè,qualunque esso sia,ciò che in noi sente e gusta,vive e
si muove,deve essere per necessità celeste e divino, e però eterno. Infatti Dio
stesso,che èinteso da noi,non può intendersi in altro modo che come una mente
liberissima e pura,sgombra da ogni concrezione mortale, che vede e move ogni
cosa, e sè stessa con sempiterno moto ; di questa sorta e di questa stessa
natura è l'anima umana.» (XXVII, 66.) Con queste parole conchiude Cicerone nel
primo dei Tu sculani la dimostrazione dell'anima e di Dio, dimostra zione
mirabile per lucentezza speculativa, e per schietta e dignitosa eleganza; qui
lo vedi abbandonato al nobile istinto del genio, e a un'immortale devozione pel
bello, levarsi nel mondo degli universali, nella dimora degli spiriti eterni, e
indovinare quasi sui vestigj di Platone i fondamenti ove posa la teologia del
teismo; salvochè, se il lettore tien dietro al procedere delle prove, e al le
game segreto che le connette,s'accorge tosto come per l'abito d'indurre dalle
cause modali manchi alla sua d e finizione di Dio la vera trascendenza logica
del concetto , sebbene (come vedremo) ve lo ravvicinasse d'assai nel primo
delle Leggi la viva coscienza dell'ingegno latino. La maggior parte di coloro
che ci hanno preceduto nella critica di Cicerone, hanno esaminato
diligentemente l'indole delle prove a cui s'appoggiava la dottrina del
l'immortalità, e alcuni andarono tant'oltre, nonostante le sue continue e
ripetute affermazioni,che da certe epi stole consolatorie agli amici (la
sedicesima e l'ultima del libro V,e la ventunesima del libro VI,ad
Diversos)de Principio etherio flammatus Iuppiter igni Vertitur et
totum collustrat lumine mundum , Menteque divina cælum terrasque petissit: Quæ
penitus sensus hominum vitasque retentat, Ætheris æterni sæpta atque inclusa
cavernis. » (De suo Consul.1.II,v.De Divin.,1.I,c.11,§ 17.) - 83 dussero
ch'egli ne dubitava ; m a a queste accuse rispose vittoriosamente il Gautier de
Sibert nell'Accademia di Francia,eilKuehner piùtardiloconfermava.Delresto per
ciò che risguarda gli attributi divini, e se Cicerone ammettesse uno o più
dèi,e se quest'unico Dio facesse veramente
eterno,onnipotente,necessario,immutabile,e qual fosse conforme alla sua
dottrina la condizione degli animi separati dal corpo, questione trattata da
parecchi critici, io son d'avviso che tutto ciò non possa stabilirsi con
assoluta certezza, varie opere del nostro filosofo es essendo andate perdute,
nè trattando egli espressamente tali materie nelle altre che ci sono rimaste.E
nondimeno per chi mediti senza preoccupazione i suoi libri v'è tanto ancora
quanto basti a mostrare,come in mezzo a una re pubblica corrottissima e ad
uomini scelleratissimi l'ora tore latino cercasse nel concetto genuino di Dio e
del l'immortalità un degno conforto alle sventure civili, e un magnanimo
entusiasmo alla sua parola propugna trice ultima delle libere istituzioni; egli
che in uno dei suoi poemi,composto nel bel mezzo della vita politica, avea
definito Dio con quella immagine sublime di vera poesia :
4.Oratornandoalladottrinateologica,questosegregare la mente dell'uomo da ogni
natura corporea,e sublimarla a una parentela soprannaturale con Dio, il che è
già accennato nel sogno di Scipione,dove nel senso platonico la natura
materiale del corpo è opposta a quella del l'anima, e la vita nostra è chiamata
una morte ci dà oc casione a stabilire un punto importante della fisica di M.
Tullio, cioè il suo dualismo, o semipanteismo. Di tal dualismo mi pare
sipossano arrecare due cause;l'una co 84 mune
allaleggeconcuisisvolgonoisistemifilosoficinella storia,l'altra ristretta
particolarmente all'ingegno di Cice rone.Quanto alla prima causa,se ricordiamo
ilgià detto in torno al modo con cui l'uomo partendo da sè stesso conce pisce
nell'indefinito del suo pensiero l'indefinito di Dio,e l'anima lungo la serie
delle cause modali da sè,prima causa più manifesta e più vicina a sè
stessa,immagina la divina causalità, intenderemo come fra le contradizioni del
pan teismo quella che subito si porgeva più chiara alla riflessione
esaminatrice,fosse la medesimezza dell'anima e di Dio infi
niticollamateriafinita,passibile,imperfettaedalrifiutodi questa contradizione
uscisse il dualismo di Dio e della m a teria,dell'anima e del corpo,dell'intelletto
e del senso.Tal dualismo desunto da Platone, benchè in fondo contradit torio
esso pure,indica un vivo sentimento dell'eccellenza di Dio e dell'essere umano
, e mi piace riconoscerlo come proprio degli uomini sommi ; laonde è ben
naturale vi dovesse aderire Cicerone, non tanto perchè innamorato degli esempj
delle scuole socratiche la cui efficacia infor mava vivamente le dottrine
romane, quanto perchè poco amante della incertezza delle scienze sperimentali,
e testi mone egli a sè stesso dell'altezza dell'umano ingegno,la cui
onnipotenza tante volte gli apparve ne'combattimenti immortali della tribuna.
(Vedi più luoghi negli Ufficj e segnat. L. III, c. XLIV , ed opere pass.) E poi
se quel dualismo soddisfaceva da un lato le aspirazioni dei più grandi intelletti,
e metteva la notizia diDio al sicuro da ogni condizione del finito, d'altro
lato il concetto astratto che dava di quello la scuola socratica faceva nascere
il dubbio sul come spiegarne le relazioni, pur necessarie, coll'universo dei
corpi. Tal dubbio implicava il solito quesito sul come conciliare l'ente col
non -ente, il finito coll'infinito, il relativo coll'assoluto, la perenne
mutabi lità de'moti fenomenali colla quiete immutabile dell'es senza prima,
quesito continuamente proposto dalla G e n tilità,nè mai risoluto,perchè
mancava a sciogliereilnodo il vero concetto d'attinenza creatrice.(Vedi
Platone,Sofi sta.) Quindi la mente desaggj ondeggiava di continuo da
un termine all'altro di quella contradizione immortale. Enrico Ritter, più
volte citato, esaminando il sentire del filosofo latino intorno a siffatto
quesito, e rappresentando con vivi colori quell'opposizione ch'ei pose tra la
natura e il divino, non ne conobbe forse la causa più vera ; la quale gli
sarebbe apparsa evidente se in luogo di vol gersi soltanto all'indole dello
scrittore, l'avesse cercata in questa contradizione che affaticava da più
secoli la filosofia pagana. Ma il Ritter s'appose anche in parte, poichè quel
vivo intuito delle perfezioni divine ed umane, e della differenza tra la
materia e lo spirito che prima avea salvato Cicerone dalla dottrina d’un'unica
sostanza, ora lo teneva sospeso nelle contradizioni del dualismo, massima delle
quali era il contrasto tra la libertà divina ed umana e le leggi fatali della
natura che spegneva ogni fede nella provvidenza, nel libero arbitrio e nella
religione degli avi. Come il nostro filosofo mantenendo il dualismo inten desse
di conciliare l'efficacia della prima cagione nelle cagioni seconde col moto
necessario dell'universo, come spiegasse quell'atto misterioso di causalità con
cui l'in finito si congiunge al finito, e lo comprende e lo sostiene senza
identificarsi con esso, e, mentre faceva con Platone emanato da Dio
l'intelletto,rivendicasse all'altra parte del l'uomo,identica colla natura
sensibile,l'autonomia de'pro prj atti,e l'imputazione morale,è quesito di non
poca dif ficoltà, sì perchè la sua dottrina fisica del dualismo non è
abbastanza accertata,e perchè d'altra parte ne’libri che esaminiamo al
presente, ma più ne'morali, s'incontrano affermazioni decise e ben ragionate
sulla provvidenza di Dio e l a l i b e r t à d e l l ' e s s e r e u m a n o .
( D e L e g ., 1 1 , 7 ; 1 , 8 , F i n ., I V , 5;V,11;Tusc.,I,49,25;N.
D.,I,2;Catil.,I,5;pro M a r c e l l o , I I I ; a d A t t ., I , 1 6 ; a d D i
v ., V , 1 6 . ) C e r t o s ' e g l i non fosse nato nell'ultima età dell'era
pagana, e avesse accolta quella teorica della creazione ex nihilo, chiamata
giustamente da Terenzio Mamiani una delle maggiori conquiste ottenute dalla speculativa
dei nuovi tempi sulle e t à t r a p a s s a t e , ( C o n f ., l i b . I V , 1
0 8 ) a v r e b b e t r a t t o d a l l a S5 notizia di Dio
creatore un concetto chiaro delle sue re lazioni col mondo, e i due ordini
naturale e soprannatu rale gli sarebbero apparsi intrecciati fra loro per quel
legame di causa che congiunge la teologia colla scienza del mondo.Ma
Cicerone,come tutti igentili,rifiutavala dottrina della creazione, sebbene
proposta alla mente dei filosofi e delle plebi forse dalla memoria d'antiche
tradi zioni, il che mostra un frammento del libro terzo De Natura
Deorum,conservatocidaLattanzionellibro secon do,c.8 delle Istituzioni divine.
Esclusa la teorica del congiungimento tral'infinitoeilfinitoperattinenzacrea
tiva,non rimanevano,come vedemmo, che due sole vie;o l'unità consustanziale di
Dio e dell'universo,o l'assoluta separazione di questo da quello, del
molteplice dall’uno, dell'assoluto dal relativo. M a la dottrina de'panteisti
menata alle sue ultime conseguenze,oltre all'incorrere in quella lunga serie di
paradossi e di antinomie che in parte accennammo, e la cui dimostrazione ha
esercitato per tanto tempo l'ingegno de'filosofi d'ogni parte d'Eu ropa,
repugnava secondo Cicerone all'indole pratica e positiva del politico e del cittadino
; laonde egli la c o m battè acutamente colle armi della Nuova Accademia nel
quesito proposto dagli Stoici sulla divinazione o previ sione del futuro.
Secondo questa dottrina che usciva dalle premesse della fisica di Zenone,l'uomo
poteva prevedere ilfuturo daisegnidellecoseanimateodinanimate,essen dochè
l'universo fosse collegato ab eterno da un ordine necessario di cause
efficienti;ordine necessario nell'uomo, che era una particella o determinazione
dell'anima uni versale;necessario nella natura,dove ogni fatto è gover nato da
leggi, e racchiude in sè la ragione de'fatti con secutivi; necessario in Dio
stesso che, immutabile per sè, si trasforma ne'fenomeni della natura come in
uno svol gimento fatale della propria esistenza. Questa dottrina che si finge
esposta dal fratello di Cicerone nel primo De divinatione,è poi confutata dal
l'autore nel libro secondo; e quel dialogo è di somma importanza
nellastoriadellecredenzeumane,perchè trat 86 tando la gran
questione del soprannaturale agitata ai tempi di Tullio,riproduce nel calore
della controversia quello stato penoso degli animi,sospesi nell'incertezza dei
più nobili veri, e in un'età in cui la rovina del politeismo già preparava il
rinnovamento cristiano. La conciliazione tra l'ordine necessario del mondo e
l'autonomia dell'essere umano è accennata nell'operetta de Fato.Questo libro,o
meglio questoframmento,dove si espone un dialogo avuto dall'Autore presso
Pozzuoli con Aulo Irzio,console designato,nel 710 di Roma,fu scritto, insieme
coi due libri della Divinazione,a supple mento dell'altra opera de Natura
Deorum per sostenere la libertà dell'arbitrio contro il concatenamento fatale
delle cause, e temperare le ultime illazioni de'panteisti e de'dualisti
contemporanei. Il metodo dell'osservazione, applicato nei soli termini della
natura sensibile,menava al lora(come oggi)alcunifilosofisperimentali ad
accettarela dottrina del Fato (detto dagli Stoici eiuzpuévn),inteso come un
ordine e una serie di forze,manifestanti la natura di cause , e che s'intrecciano
fra loro d'effetto in effetto per leggi costanti d'antecedenza e di
conseguenza.Ora è chiaro che da questa dottrina condotta alle ultime
conseguenze, uscivaalteratol'ordineuniversale,eilconcettodinecessità che lo
sovraneggia. Era alterato dal panteismo,dove ve rificandosi l'identità de'due
ordini soprannaturale e natu rale,ogni atto fisico ed umano si riduceva a un
deter minarsi necessario della causa divina ; era alterato dal dualismo che
opponendo Dio allanatura,e immaginando quest'ultima come sospinta da un ordine
fatale di cause intrinseche ad essa,non poteva spiegare in eterno come in
quest'ordine naturale si dessero fatti liberamente o p e rati. Ma Cicerone si
schermiva da questi errori ricor rendo alla osservazione interna, e al concetto
di causa . Che cos'è la libera volontà? 87 salità poi non dee intendersi
costituita dalla pura e s e m plice successione de'fatti,ma dallasuccessione
lorounita coll'efficienza degli uni sugli altri.Or dunque (riprendeva
ilfilosoforomano controCrisippo),argomentano benegli Una libera
causa;lacail Stoici dicendo che nell'ordine prestabilito della
natura tutto si opera per cause antecedenti ed esterne, m a non hanno ragione
se vogliono turbata questa legge della n a tura dall'operare dell'arbitrio ; «
poichè quando diciamo di volere o non volere qualche cosa senza una causa, fac
ciamo uso non buono di una consuetudine del linguaggio comune, intendendo dire,
senza causa esterna ed antece dente, ma non senza una causa qualunque;di
fattiil moto volontario degli animi ha tale natura che è in
nostropotereeciubbidisce,non peròsenzacausa;chè la causa di tutto ciò è la sua
stessa natura (XI).» Non ci è permesso riferire qual fosse in ogni parte la
dottrina diTuiliosullalibertàdelvolere,perchè illibroDe Fato racchiude importanti
lacune; m a apparisce però da più luoghi ch'egli la fondava sulla certezza
dell'imputabilità degli atti umani,e per tal via si apriva il passaggio dalle
opere fisiche alle morali,nel modo che appositamente e con ordine verrà
dimostrato nel capitolo quarto. Concludendo, alle dottrine sin qui esaminate si
re stringe le serie delle opere fisiche di Cicerone.Nelle quali vuolsi
considerare com'egli avviluppato in una moltitu dine di sistemi contradittorj e
negativi,e costretto ad esercitare l'esame della riflessione sopra una materia
scientifica ingombra nelle parti più sostanziali dalle te nebre del sofisma,
distinse le verità disputabili dai teoremi della scienza,sceverò con critica
coscienziosa ilbuono ed il certo delle filosofie contemporanee ponendo l'una a
ri scontro dell'altra, e temperandole ne'loro eccessi. Per tal modo le
principali verità mantenendosi intatte, soc correvano il pensiero a
ricostituire l'Ontologia nei prin cipj della scienza cristiana; e questo è
davvero un m e rito insigne e innegabile della fisica ciceroniana, come altri
notati da noi sono la sua temperanza verso le affer mazioni eccessive degli
sperimentali, il concetto di Dio, ravvicinato alla dottrina di Socrate,e
sciolto,per quanto erapossibileallora,dallecondizionielimitazionidell'uomo, la
natura spirituale dell'anima,la sua libertà dimostrate in tempi di abbattimento
morale e di costumi nefandi.Su 88 89 questi principj fondava
l'oratore latino la sua fede religio sa ;chè se (come nota bene il Vannucci) «
nella Divinazione ed altrove,allontanandosi dalle forme timide della Nuova
Accademia ........ con argomentazione più forte che in ogni altro scritto
combattè da arditissimo novatore le credenze usate già come istrumenti oratorj
e politici,e mostrò il vano e il ridicolo dell'arte divinatoria, e dei prodigj,
e delle imposture sacerdotali ; » Senatore e console di R o m a , egli voleva
una fede ritemprata alle sorgenti incorruttibili della morale , e che
diventasse vero fondamento alla rico stituzione civile della sua patria. 1. Se
la scienza, come affermammo più volte, è un portato delle naturali notizie; se,
ritenendo essa nel suo svolgimento la natura del principio che la informava, la
unità dell'oggetto scientifico, riconosciuta dalla riflessione, si fonda in un
primitivo ordine di veri presenti tutti al l'armonia della coscienza,che
costituisce il soggetto scien tifico; nessuno può dubitare che i principj della
teorica del conoscere, o della Logica non si colleghino intima mente con quelli
della teorica dell'essere, coi principi dell'Ontologia. Il fondamento di questo
legame che, a n teriore al fatto della scienza, si riproduce tal quale nella
scienza stessa, ha la sua ragione nell'idea della persona lità umana, da cui,
come da unico fonte, rampolla la triplice attività dell'esistere,del
conoscere,dell'operare; l'ha nella stessa natura del vero che unico in sè, se
lo esamini sotto duplice aspetto, è prima essere nelle cose, e poi si fa vero
contemplato nell'intelletto. La medesi mezza delle due parti suddette della
filosofia apparisce per modo indiretto nella continua attinenza che strin fra
loro le questioni più importanti della logica e del l'ontologia dai più remoti
principj della nostra scienza fino ai tempi a noi più vicini.È un fatto omai
noto nella storia della filosofia come il quesito fondamentale della
90 logica : qual sia la relazione che corre tra l'ideale e il reale,
quale la corrispondenza tra le leggi del pensiero e quelle della natura, e se
dandosi passaggio dall'intelli gente all'inteso,se ne costituisca la possibilità
della scienza, quesito contenuto ab antico nella materia delle specula zioni
pagane, ricevesse la sua vera espressione scientifica dalle dottrine critiche
della Riforma. È altresì noto ai di nostri come dalla posizione deliberata di
tal quesito si diramarono due scuole;ilCriticismofranceseealemanno, e
ilCriticismo cristiano,che cominciato dai Dottori e dalla buona Scolastica
ne'tempi di mezzo,segue a fiorire segna tamente in Italia ai dì nostri. Ambedue
queste scuole, di verse sostanzialmenteneiprincipjontologicidelsistema,dis
sentono pure nella logica.La prima desumendo le sue dot trine dal panteismo e
dualismo antico, resuscitato più tardi da un ritorno della civiltà cristiana ai
dommi del Genti lesimo,disconobbe l'attinenza manifestatrice che per legge di
natura intercede tra il pensiero e le cose, tra il sog getto e l'oggetto,e
quell'attinenza odenaturò in identità colle dottrine d'un'unica sostanza,o
ridusse a separazione ammettendo col Cartesio un'intima differenza tra le qua
litàdell'esteso elequalitàdelpensiero,d'ondeilsistema delle cause occasionali
del Malebranche, quello dell'ar monia prestabilita del Leibnitz e lo
scetticismo del Bayle e del Kant. La seconda scuola movendo dal principio che
la libertà del pensiero scientifico soggiace per legge di natura alla
condizione di non potere alterare l'ordine necessario degli enti fra loro,
trovava con sublime e trascendente concetto il legame dell'idealità col reale e
nell'intima essenza dell'atto creativo di Dio, che pose primitivamente una coordinazione
d'atti fra l'essere delle cose e gl'intelletti creati ; e in Dio stesso nella
cui n a tura infinita e impartibile s'immedesima l'idealità colla realtà, la
realtà dell'essenza coll'eterne idee rappresen tative e causative degli enti
creati. Or che si deduce da c i ò ? C h e s e il p r i n c i p i o d e l C r i
t i c i s m o, o n d ' è r i d o t t o a problema il teorema della conoscenza,
ha un intimo ri scontro nei fondamenti della dottrina dell'essere, e i si
M a qui cade per altro una considerazione importante. Il panteismo e
ildualismo,sebbene alterassero dai fonda menti la dottrina della conoscenza o
distruggendo la re lazione ond' è manifestativo il pensiero, o affermando
un'incomunicabilità primordiale tra ilsenso e la materia, principio di corruzione
e d'ignoranza, e lo spirito eterno emanato da Dio, non negavano per anco
esplicitamente nè l'un termine nè l'altro dell'attinenza conoscitiva;e quando
in un sistema, sia pur guasta e corrotta,sia pure implicitamente
negata,siconserva nell'intimo significato delle dottrine la piena comprensione
del soggetto su cui cadelascienza,qualunquedisputaintornoaiprincipalipro blemi
si offre sempre con probabilità di scioglimento alla riflessione esaminatrice.
Quella probabilità cessa quando sensismo, materialismo e idealismo, negando due
parti sostanziali del soggetto, l'intelletto e l'idea manifestante, causa e
mezzo del conoscimento, e la cosa manifestata, termine della cognizione, si
chiudono la via ad affermare i n t e r a l a n o t i z i a d e l l ' e s s e r
e u m a n o , d e n a t u r a n o il l e g a m e che intercede tra l'ideale e
il reale, e rendono impossi bilelapsicologia,ingannatricelalogica.Un
breveaccenno di questa legge necessaria che si riscontra nella storia delle
controversie filosofiche, l'abbiamo già fatto nella prima parte toccando dei
sistemi principali che apparvero in Grecia dal primo scadere della scuola
socratica fino ai tempi dell'Arpinate ; allora fu osservato da noi come a n
dasse di pari passo coll'oscurarsi sempre maggiore dei veri principali e delle
antichissime tradizioni l'impoverire della forma logicale dei sistemi,e come
l'ultimo grado di questo scadimento fosse segnato dal sistema d'Epicuro, e
dalle dottrine logiche della Nuova Accademia.Ora poi 91 stemi che alterarono
questa dottrina sono contemporanei ai primordj della filosofia, antichissimo
deve essere il fon damento del Criticismo; e ne sono testimonj le più strane
teoriche sul modo del conoscimento procedenti dalla fisica de'sistemid'India,
d'Italia,diGrecia,come,ad esempio, gli atomi di Capila,gl'idoletti
diDemocrito,leimmagini fluenti d'Epicuro e di Lucrezio. ci sia
permesso venire su questo proposito a maggior particolari, perchè, giunti a
questa parte delle opere di Tullio dove conviene esaminare la controversia tra
gli Stoici e la Nuova Accademia sulle dottrine del conosci
mento,rappresentatada luineilibriAccademici,importa massimamente il notare
perchè e come ai tempi del filo sofo latino,o poco avanti,ilproblema
fondamentale della logica si fosseristretto alla percezione sensitiva; e come
dal punto diverso e dai confini onde le due parti dispu tanti consideravano il
quesito intorno al conoscere, di penda il valore delle prove allegate, e il
principio su premo che governa la controversia. 2. Venendo dunque al proposito,
il sistema d'Epicuro e le dottrine della Nuova Accademia, non che lo scetti
cismo e l'empirismo finale ci palesano quasi una spos satezza del pensiero
greco,che non val più ad abbracciare la totalità del soggetto scientifico con
quell'ampiezza di principj e di leggi con cui Platone e Aristotele l'avevano
abbracciata;ma un peggioramentoimportantenellaforma scienziale già si notava
nel sistema degli Stoici. Consi derate un poco la sostanza di quelle dottrine,e
vi troverete due principj che danno a tutto il sistema due qualità e due
aspettiben differenti.Il cardine del sistema di Ze none è infatti l'unità
primordiale e finale delle cose tutte, la unità della sostanza prima indistinta
e indeterminata, che poi si determina e si partisce per l'efficacia del prin
cipio attivo e divino svolgendo da un unico germe la dualitàde'principj.La
sostanzaprima,distintaallorain un'anima e in un corpo universali, causa delle
anime e dei corpi particolari, costituisce l'essere del mondo che rappresenta
la vita di Dio ; quella vita diffusa in tutte le cose animate ed inanimate le
fa partecipare per un in timo principio di compenetrazione alla natura e
all'effi cacia di Dio,e l'anima umana,ch'è più vicina a quella sorgente
universale, ne ritrae maggiormente, informando e compenetrando il corpo, a
somiglianza dell'anima uni versale, e come quella riducendo a un solo principio
m o tore le facoltà seconde; talchè per gli Stoici dall'unità 92
dell'essenza prima esce identificato l'intelligibile col reale, il p e n
s i e r o c o g l i o g g e t t i , l ' i n t e n d i m e n t o c o l s e n s o
. C o n s i derato inquestegeneralitàilsistemadiZenoneabbraccia tutto intero il
complesso dei veri palesati dalla coscienza, alterandone la natura col
Panteismo.Ma se vieni ad esa minarlo più particolarmente, allora i molti
principj con tenuti nel seno fecondo della materia prima,e in lei de terminati
più tardi,Dio e materia,anima e corpo,intelletto e senso,pensiero ed
oggetti,scompajono tutti,e siriducono ad un solo ; alla natura informe e
indeterminata della materia. Allora ti apparirà vizio capitale di quel sistema
la riflessione esaminatrice che, sebbene apparentemente voglia svincolarsi dal
senso e dalla materia, concependo a m o 'degli Ionj dinamici nel seno dei
fenomeni naturali un'intima energia infinitamente diversa dalla materia , e
cagione di que'moti,non sa dominare la fantasia, e ab bandonata al pendío
voluttuoso dei tempi,trasporta in quella forza primitiva e in Dio stesso,che la
pone in atto, le qualità corporee. Così la dottrina degli Stoici sin dalle sue
radici s'infettava di materialismo. Ora è tale il ri scontro dei veri
principali nella legge necessaria del co noscimento , che, oscurato il concetto
di Dio e delle cose, se ne oscura alla mente dell'uomo la nozione di sè stesso
Non è dunque a maravigliare se per gli Stoici al mate rialismo in fisica
tenesse dietro il sensismo in psicologia ; quindi,giàloaccennammo,alterato
ilvero concettodi potenza conoscitiva,scambiarono inostril'occasionedel l'atto
apprensivo, che ci viene dai sensi,colla causa intima di quello,veramente
causatrice, che è l'attività dello spi rito;quindi,non bene distinto l'operare
dei sensi e del l'immaginativa dall'operare dell' intelletto, diedero al
complesso dei fantasmi le qualità del pensiero. In questo esame parziale e
negativo delle facoltà del soggetto, quale ci offre la psicologia degli
Stoici,si nascondeva per fermo una potente causa di scetticismo;chè movendo dal
lato indiretto da cui la Stoa considerava il fatto dell'umano conoscimento , e
negli angusti confini in cui restringeva la coscienza delle interne operazioni
dell'animo,era facile 93 a sottili ragionatori trovare
appiglio per dubitare di qual che cosa o di tutto.Vi si prestava la natura
dell'idea, che avendo il proprio essere in un'attinenza manifestatrice, se la
consideri identica ai fatti animali, ti doventa un mistero; vi si prestava la
natura del senso, inesplicabile, oscuro e sostanzialmente erroneo, se non lo
risguardi illu minato dalla luce dell'intelletto ; vi si prestava infine la
fantasia perenne creatrice del falso, facile a denaturare coi più vivi colori
del senso gli ultimi resultati della p o tenza astrattiva. Così dal sofisma
degli Stoici (e sofisma vuol dire sempre difetto) germinava quello della Nuova
Accademia . Chè , se fu cattivo abito della riflessione esa minatrice nelle
dottrine di Zenone il fare ombra dei fe nomeni materiali allo splendore delle
idee,e ridurre quasi ciò che v'ha di più vivo nell'umana personalità allo
sviluppo meccanico delle funzioni apprensive,fu pessimo nella Nuova
Accademia,non già l'opporre ilvero all’er rore,il compiuto all'imperfetto esame
della coscienza,lo che essa non fece; m a profondarsi nelle sole astrazioni, m
a restringersi nel pensiero vuoto,fenomenale, apparente, o al più negl'inganni
d'un fallace conoscimento. Quindi a una negazione di negazione si riduceva ai
tempi di Tullio, o poco innanzi, la polemica tra gli Stoici e la Nuova A c
cademia.Ed ecco (ciò che cieravamo proposti a mostrare) perchè dopo i notevoli
perfezionamenti che la dialettica avea ricevuto dalle scuole italica ed
eleatica, da Platone e dall'Organo aristotelico, la teorica sulle fonti del
cono scimento, complessiva di tanti veri, s'era allora ristretta alla disputa
sulla percezione sensitiva. 94 Tal disputa , dipinta con tanta verità di
colori da Tullio nei due libri degli Accademici Primi, e massime nel se condo
(chè il breve frammento rimastoci del primo degli Accademici Posteriori,
dedicato a Varrone, si riduce ad una semplice esposizione istorica delle
principali scuole socratiche), rappresenta in fondo la lotta di tutti i tempi
tra ildommatismo inconseguente e lo scetticismo presun tuoso. Quel venire ai
cozzi di opinioni eccessivamente af fermative con altre assolutamente
inquisitive era, come dei nostri, un portato naturale dei tempi di
Tullio,tempi di contradizioni profonde, nei quali, come oggi, da una parte
tutto si disfaceva con rabbia sterminatrice, dall'altra con puntigliosa
rigidità si sosteneva qualunque lato anche debole e imperfetto del vero,imperfettamente
considerato. La superbia e ildisprezzo erano le armi con cui si scon travano i
combattenti, e l'una e l'altro stavano bene a quelliuomini,eloquenti,come
noi,nell'esaltareiprincipj, e non logici quanto conveniva nel dedurre da quelli
le gittime conseguenze ; altrettanto facili ai propositi gene rosi,quanto
difficilinell'eseguirli;filosofidaaccademia,e da piazza ; politici predicanti
la severità antica nelle m o l lezze moderne ; uomini a cui mancava la lena di
levarsi sulle ali del pensiero alle universali armonie della scienza nel
vero,nel bello e nel buono,capaci soltanto d'impri gionarsi nelle angustie
d'una dialettica ingannatrice o p ponendo sofisma a sofisma,contradizione a
contradizione. Quindi massimo argomento in questo, come in simili casi, del
difetto delle due parti che disputavano, era che, se tu esamini l'una e l'altra
con animo non preoccupato, e poi non imiti il Cousin, che dall'accozzo fortuito
degli errori volle ricomporre il corpo formoso della filosofia, quasi statua da
brani dispersi sopra antiche ruine , m a cerchi di compirle ambedue colla
pienezza dei veri atte stati dalla coscienza naturale, soltanto allora elle
t'appa riranno perfette, e risoluta la tesi, ti vedrai brillare al pensiero la
luce d'un irrepugnabile convincimento. La disputa è finta da Cicerone come
avvenuta presso Baule in una villa d'Ortensio, presenti lo stesso Ortensio, Ca
tulo e Lucullo. Gl'interlocutori principali sono Lucullo e Cicerone. Lucullo
sostiene le parti d'Antioco (stoico) contro Filone (Accademico ); Tullio quelle
di Filone con tro Antioco. Or qual era il principio da cui moveva, e quali i
punti più segnalati in cui si spartiva il ragiona mento ? Qui occorre ridurci a
memoria un'importante osser vazione del Ritter. Il quale nella sua Storia della
filosofia antica, tenendo dietro all'indirizzo che la dottrina sulle
95 96 fonti del conoscimento avea preso da Aristotele in poi,
quando nota la differenza segnalata che correva tra gli Stoici e il filosofo di
Stagira, mentre questi moveva sì dalla sensazione, ma senza negare il
resultamento del l'attività intellettuale dell'anima, laddove gli Stoici, più
vicini in ciò agli Epicurei,cercarono di ravvicinare di più in più il pensiero
razionale alla sensazione concependolo solo come una sua conseguenza e trasformazione,
aggiunge inoltre che nell'evitare le grandi difficoltà, le quali si o p p o
nevano alla dimostrazione di quel loro sensismo, si rias sume intera la
dottrina degli Stoici intorno al criterio del vero (Ritter, L. XI , 3.).
L'osservazione del Ritter è giusta. Di fatti per quella solita opposizione che
trovi in ogni filosofo di setta tra le tendenze vive dell'animo e l'indirizzo
artefatto della riflessione, si vedevano negli Stoici due disposizioni opposte
che imprimevano qualità contradittorie al loro sistema; da un lato il pendio
del l'età e il decadimento della forma e della materia scienti fica li
inchinava al sensismo e alla meditazione incompiuta del soggetto su cui cade la
scienza ; dall'altro la tradi zione socratica e la voce non muta del senso
comune li chiamava ad abbracciare il complesso dei veri di natura, le facoltà
dell'animo e i termini loro, e a rendere p o s sibilmente perfetta la forma
scienziale ; antitesi d'opposte tendenze che pur si specchia in
quell'ondeggiare continuo del loro sistema tra il panteismo ionio e il dualismo
so cratico. Ora che ne veniva da ciò ? Dal lato imperfetto da cui gli Stoici
consideravano l'umana coscienza quanto alla dottrina del conoscimento,
resultava ch'essi sbaglia vano il concetto di potenza,di causa,di relazione,
fonda menti primi di tal dottrina;quindi la loro logica si re stringeva alla
dimostrazione del conoscimento acquistato per via de'sensi,di cui ponevano
l'essenza nella rappresenta .zione vera o comprensiva (parrugia
2270)atlyn),ch'è un patire dell'anima,a cui risponde da un lato l'operare del
l'oggetto sentito, dall'altro l'operare dell'anima stessa che conseguentemente
alla sensazione ricevuta assente,giudica e ragiona.Ma
qui,giovailripeterlo,stavalafallaciadell'ar gomento;gliStoicimovevano
dalnulla,edaquelnullaface vano uscire la pienezza del soggetto e dei principj
costituenti la scienza.E veramente io non negherò mai alla buona filosofia che
ilfatto della percezione sensibile,intesa come attinenza reale tra il sentito e
il senziente, mi riporti al l'esistenza di due termini de'quali l'uno è causa
esterna e occasionale della sensazione, l' altro è causa intima e veramente
efficace; non negherò mai che l'illazione di causalità mi mova ad affermare la
reale natura dell'ente che opera sugli organi de'sensi,e che il concetto di po
tenza m'induca a concepire nelle facoltà conoscitive un qualcosa che le
costituisca operanti,un che di positivo e d'efficace che risponde alla
passività negativa del sentimento ; m a io nego agli Stoici quel loro metodo di
facili illazioni, onde identificata la potenza intellettiva col senso volevano
dedurre in virtù di universali prin cipj da una condizione passiva delle
facoltà del sog getto l'efficacia dell'intendimento, e dalla sensazione
mutabile e fenomenale l'incommutabile necessità della scienza.Ma
ilfatodellalogicanon's'arrestava;egliStoici ristretti in tal modo nelle
angustie dei fenomeni sensibili, tanto più quanto levavano lo sguardo alla cima
del sa pere,rammentando le tradizioni del Sofo ateniese, vede vano l'importanza
di ribattere le prove degli avversarj che paragonavano la mutabilità e
l'incertezza de'fatti animali colla natura assoluta del vero contenuta negli
universali concetti,onde germoglia e si sviluppa la scienza. Quindi proveniva
il bisogno vivamente sentito da loro di movere da un fatto e da principj
indubitabili ed evidenti (Acad.,II,VI,17);quindi la necessità di
mostrare,primo, come si possa distinguere la rappresentazione falsa dalla vera
;secondo, come movendo dal reale della rappresenta zione apparisca che la mente
stessa che è fonte dei sensi, e che essa medesima è senso,abbia una naturale
energia per cui tende a ciò che la move al di fuori; mens ipsa que sensuum fons
est,atque etiam ipsa sensus est,naturalem vim habeatquamintenditadeaquibusmovetur.(X,30.)
Da questo concetto,fondamentale nella logica degli Stoici, 97
La prima parte cadeva sulla domanda : se la perce zione sensibile avesse
impressi in sè certi segni della v e rità dell'oggetto rappresentato ; il che
negava la Nuova Accademia,affermando che in una percezione,fosse pur vera, non
era alcuna certa nota per distinguerla da una falsa; dubitavano dunque che per
mezzo dei sensi l'entità della cosa sentita passasse tal quale ella era
nell'appren sione del soggetto conoscitore. Posta in tal modo la que s t i o n
e , è c h i a r o c h e p o i c h è il m e z z o d i p a s s a g g i o d e l v
e r o conosciutodallacosa,occasionedelsentimento,allepotenze conoscitive, è il
senso ed isuoi organi, conveniva innanzi tutto,a provare la realtà della
cognizione, argomentarla dalla veracità naturale dei sensi.Dai quali movendo
Lucullo ne afferma chiaro e indubitato il giudizio,nulla valendo, ei dice,gli
artificiosi argomenti degli avversarj intorno alle false apparenze delle
percezioni ; poichè : 1°,dato che i sensi siano sani,col buono uso ch'io ne
faccio posso ret tificarne i giudizj,posso coll'esercizio e coll'arte aumen
tarnemirabilmente laforza;2°,ilsensoèdimostratovero ne'suoi giudizj dal
successivo lavorìo della mente sulla materia da esso somministrata formandosene
i concetti delle qualità e delle specie che son via ai principj più universali,
ai quali naturalmente l'intelletto dà fede, e tolti i quali ogni arte,ogni
scienza,ogni regola della vita cadrebbe. Tutta la teorica si regge manifestamente
sul principio di causa e di relazione. Se io, diceva Antioco, ho sperimentato
in me l'effetto della percezione sensibile, questa mi riporta ad una causa per
via d'una necessaria attinenza. M a Filone invece (e in ciò è imitato dagli
scet tici odierni) ammettendo la possibilità del fenomeno come di un che
vuoto,di una mera apparenza senza alcun con tenuto, poneva come probabile che
la sensazione non ci scoprisse l'entità di veruna cosa. M a, riprendeva A n
tioco, primieramente oltre i naturali giudizi e i giudizj scientifici, che
nascono e si fanno manifesti in noi per l'occasione de'sensi, dal germe del
conoscimento spunta 98 il ragionamento d’Antioco si dirama in due capi :
della percezione e dell'assenso. 3. Il ragionamento di Lucullo,
compreso dal quinto al ventesimo cap.del secondo librodegliAccademici,edove
l'umano intelletto fa prova di quella forza irresistibile che in mezzo alle
contradizioni del sofisma pur lo sospinge ai principj universali del vero, è
uno dei più mirabili tratti della filosofia e della eloquenza latina, e chi
n'ha seguito con gioja confidente il cammino,se poi si volge ad aspettare la
risposta di Cicerone, gli par di vederlo quale si dipinge con vivezza egli
stesso « non minus c o m motum quam solebat in caussis majoribus. » Egli per
aprirsi la via a dimostrare la sua tesi, non move da una professione di
scetticismo assoluto, m a bensì da una cri tica temperata ; e si fonda in
special modo sull'argomento con cui Arcesilao avea combattuto Zenone, cioè
sull'in discernibilità delle percezioni vere dalle false,onde avve niva che al
sapiente non rimanesse alcun assenso deciso, m a una semplice opinione di
verosimiglianza. Comunque sia, s'è domandato da molti : Cicerone non sostiene
egli in questo libro le parti dello scetticismo accademico contro le dottrine
stoiche della percezione ? non si professa più volte ne'proemj delle sue opere
seguace della riforma 99 il fiore dell'appetito istintivo, il quale se
voi mi negate avere persuoproprio enaturaltermineilvero,inquanto è conosciuto
appetibile, io sono condotto ad affermare nell'uomo l'assurdo di più facoltà
naturali che natural mente s'ingannano. Poi il falso non può mai essere ter
mine dell'apprensione intellettuale,perchè ilconoscimento coglie di sua natura
l'essere delle cose, ma il falso è appunto,rispetto al conoscimento,lanegazione
dell'essere; dunque il falsonon può mai cadere sotto ilconoscimento.
Finalmente, se nulla è vero, sarà almen vero questo che nulla è vero, perchè
una scienza,una dottrina qualunque, per essere costituita nella sua natura,
ch'è ordine di veri conosciuti,ha bisogno,come di un metodo e di un fine a cui
vada e a cui giunga,così di un principio da cui mova indubitabile e certo. Lo
stesso ordine di concetti desunto dal principio di potenza e di relazione regge
a un di presso la teorica dell'assenso (Guyaute 985e»). introdotta
da Arcesilao ? non scrisse egli i due libri,che voi esaminate, per mostrare ai
Romani l'ottimo metodo del filosofare sull'esempio della Nuova Accademia ? non
han ripetuto e non ripetono ancora a una voce quasi tutti gli storici della
filosofia che Tullio, seguace nella sua gio ventù dell'Antica Accademia,
s'accostò già maturo alla Nuova, a cui lo traeva il suo istinto oratorio, lo
scetti cismo de'tempi, l'animo incerto in tanta folla didottrine
contradittorie, e la forma ecclettica di filosofia ch'e'si era proposta ?
Dunque Cicerone nelle tre parti della scienza,emassime
inlogica,seguitòildubbiodellaNuova
Accademia.(Brucker,Degerando,Bernhardy,Ritter).Tal conclusione,di cui demmo qualche
accenno nel cap.Idi questa parte,sebbene apparentemente provata da parecchj
testi divisi del filosofo nostro, da varie sue esplicite affer mazioni,e
segnatamente da tutto il tenore di questi due libri, dove e'prende con lungo
ragionamento in persona di Filone a confutare la certezza delle notizie che ci
ven gon dai sensi,e dove in ultimo contrappone ex professo la sua dottrina del
dubbio sistematico e della probabilità alle contradizioni in cui si lacerava la
logica contempo ranea, tal conclusione, dico, non regge avanti al tutto delle
dottrine esaminate spassionatamente, e avanti a quella norma di critica, che
ponemmo sin da principio,di badar bene alle opinioni che Tullio combatte,e ai
metodi che rappresenta in sè stesso senza per altro interamente accettarli. Le
affermazioni eccessive della critica odierna, bene merita per tanti rispetti
della civiltà e della scienza,hanno la loro sorgente esse pure nel falso
principio del Criti cismo speculativo, che togliendo il pensiero scientifico
fuori delle sue naturali armonie con sè stesso, colle cose, col Creatore e col
genere umano , non riconosce più nello scienziato e nel filosofo l'uomo,e fa
della più socievole fra le dottrine un gergo incomprensibile e
solitario.Bisogna invece nell'esame dei sistemi non uscir mai dalla n a tura di
que'tempi, di quegli uomini, di quelle passioni, di que'pregiudizj, di quelle
consuetudini; bisogna im 100 maginarsi i filosofi quali
furono in realtà, disputanti e pensanti, uomini di tribuna e di tavolino, soggetti
essi, come noi, alle contradizioni frequenti di qualche dottrina anche erronea
concessa nel calore della disputa alle prove degli avversarj, colla interna
coscienza, testimonio irrepugnabile al vero. Tale è più volte ilcaso di
Cicerone, e tal metodo noi tenemmo nella parte fisica delle sue dot trine, e
terremo nella logica e nella morale. Il Ritter scrittore accuratissimo nella
critica'de'filo sofi,e alemanno davvero nella coscienziosa ricerca dei passi e
dei documenti, talvolta, ci duole a confessarlo, compo nendo con disegno
ingegnoso brani staccati di varie opere, ne fa resultare in conferma delle
proprie opinioni un si gnificato che forse non germoglia dalla totalità del
sistema. Così nell'esame della dialettica di Tullio, sebbene non n e ghi che il
filosofo latino si leva al concetto dei principj e delle idee universali,
cardine dell'intelligenza, pure af ferma che in logica ei riferì una singolare
importanza al sentimento, pigliando questa parola nel significato in cui
laintendono iRazionalisti,come di un che sostanzialmente opposto alla scienza,
e soggetto alla cieca fatalità de
gl’istinti.(Hist.,lib.XII,cap.II,pag.105,106).Ma inprimo luogo, oltrechè
Cicerone (e lo vedremo meglio in morale) non fece mai del sentimento un
qualcosa di opposto alla scienza, e anzi lo allegò sempre in un significato
essen zialmente scientifico, quale una necessaria attinenza del l'affetto
spirituale col vero (De Fin ., lib.II,passim ), è poi
esattaabbastanzal'asserzionedelRitter,checioèiprincipj fondamentali della sua
filosofia naturale lo conducessero
alledottrinelogicheperviadellasensibilità?Sefosselecito affermare risoluto
contro l'autorità dello storico insigne, direi invece che due cause,intrinseca
l'una,l'altra estrin seca alle dottrine di Tullio,lo guidarono in logica a con
clusioni direttamente opposte, e lo ravvicinarono (pro
gressorarointantacorruzioneditempi)aidommi sublimi dell'Antica Accademia . In
tal questione egli si trovò in mezzo al proprio semipanteismo e dualismo e alle
dottrine materiali e sensistiche di Zenone. Non è egli vero che il
101 dualismo semipanteistico da un lato rifuggendo alle con
tradizioni del panteismo che più repugnano agl'ingegni sovrani, e gratificando
dall' altro agli affetti spirituali, segregò la materia da Dio, lo spirito dal
senso,e pose la ragione del conoscere nella medesimezza fondamentale
dell'intelletto divino e degl'intelletti secondarj ? Ora tal sistema,
partecipato da quasi tutte le scuole socratiche e da Tullio,rompeva
l'attinenzatrailpensieroeipensati, tra l'ideale e il reale, e restringeva
l'intendimento alla semplice e inefficace visione degli universali. Se così è,
pare che il filosofo latino dovesse essere ben lungi dal porre nei resultati
delle potenze sensitive la certezza del conoscimento;e lo prova la sua fisica
dove sull'esem pio di Platone si rigettano i metodi delle scienze speri mentali
come incapaci di somministrare una sicura notizia de'corpi, e l'indagine
naturale si ammette solo come via di levarsi in virtù di principj superiori ai
veri della scienza soprannaturale ; lo prova la sua psicologia che tante volte
contrappone il fenomenale della materia e del corpo al l'essenza dello spirito,
che afferma il commercio dell'anima col corpo risiedere in una semplice
comunicazione di moto , isensiesseresoloun emissariodell'anima,un'intelligenza
ammezzata, e la personalità umana un gastigo. (Tuscul., De Leg.,De Rep.nel
sogno di Scipione). L'altra causa estrinseca che allontanò Cicerone dalla fede
che altri poneva nel conoscimento prodotto dai sensi, è l'opposizione ch'ei
dovette fare al dommatismo degli Stoici, nella quale opposizione si vede che,
mentre da un lato egli temperava colla moderazione dell'ingegno latino il
dubbio eccessivo a cui l'avrebbero forse condotto le dottrine della Nuova
Accademia, dall'altro sapeva con raro acume di logica smascherare e combattere
le intime contradizioni degli avversarj. Qual era la fonte di tutte queste
contradizioni ? Noi già la conosciamo ;era l'eterna differenza che corre tra il
sentimento mutabile e fenome nale e l'incommutabile necessità della scienza.
Questa necessità sembrerebbe a primo aspetto bastantemente di mostrata nel
sistema degli Stoici dal porre ch'essi face 102 vano il
conoscimento scientifico nel possesso delle idee pure, e nel rappresentarcelo
quasi l'ultimo grado di ferma convinzione,a cui lo spirito umano perviene col
passare pei gradi intermedj della ouzoté0:015 (adsentio) e della 2.zténnyes
(comprehensio), movendo come da suo prin cipio dalla suurusis,o
rappresentazione sensibile (visum ). (Ritter;Cic.,Acad.II,47).Ma,seconsideriamomeglio,gli
Stoici con quella loro immagine della mano stesa e del pugno chiuso ed aperto
determinavano in qualche modo l'idea di una differenza tra il sentimento e
ilsapere,ma non uscivano dai fenomeni animali,non sapevano accen nare quella nuova
parte essenziale intrinseca al soggetto, che congiunta colla oggettività della
percezione costituisce il conoscimento; laonde la Nuova Accademia avrebbe po
tutodirloro:è vero che ilsaperedifferiscedalsenso,che il possesso sicuro delle
rappresentazioni resulta dalla c o n trazione e dall'energia dello
spirito(TÓvos);ma sepervoi l'intelletto non è che il travestimento del
senso,mostra teci orsù come la potenza derivi dall'impotenza, l'asso luto dal
relativo, il necessario dal contingente. Ora la Nuova Accademia senza levarsi a
questi principj universali ch'essa non ammetteva,ma, giusta il suo costume, no.
tando piuttosto quelle contradizioni che sidesumevano dal sistema stoico
paragonato a sè stesso, pure implicitamente li confessava. Fallita infatti agli
Stoici la definizione del concetto della scienza dato per via dell'attività
spontanea dell'anima,non rimaneva loro altro scampo che ridurre la ragione del
conoscimento alla indubitabilità della p e r cezione vera.Ma come mai
dimostrare tale indubitabilità? Questo mutamento notevole che doveva introdursi
nel l'indirizzo della questione sul problema della conoscenza per la legge a
cui è soggetta necessariamente la vita d'ogni sistema,è attestato dalla
storia;perchè,come os serva il Ritter, i primi Stoici dimostravano la necessità
del sapere per quella forza interna dell'animo che si mani festa nell'atto
d'apprendere la sensazione,e pel bisogno d'ammettere qual termine della
facoltàintellettivaeap petitiva il vero ed il bene ; laddove gli Stoici
susseguenti, 103 al numero de'quali appartiene Crisippo,
vedendo che ciò contraddiceva ai principj del sensismo,trassero alle ultime
illazioni il sistema ponendo il criterio del conoscere nella rappresentazione
vera che si manifesta da sè stessa come prodotta da un obbietto reale
analogamente alla sua natura . Nonpertanto una grave difficoltà rimaneva sempre
a risolvere anche dopo la modificazione introdotta da Cri sippo. Chè se il
vizio fondamentale di tutta la loro dot trina stava nel disconoscere
quell'intreccio d'attinenze interne ed esterne ond'è manifestativo
ilpensiero;iprimi Stoici guardarono troppo al lato interno e soggettivo di
quelle attinenze, mentre Crisippo, eccedendo per l'altra parte, si fermò
unicamente all'esterno; e quindi rima neva sempre intatto il quesito, se la
rappresentazione percetta offrisse piena e indubitata qual era la realità
dell'obbietto rappresentato. E invero si ponga mente. Fingasi che un oggetto
qualunque a cui noi riferiamo date proprietà di freddo, di caldo, di liscio, di
ruvido, d'ottuso, di tagliente etc., faccia impressione sui miei organi s e n
sorj,e che l'impressione, trasmessa per la treccia de'nervi al centro del
senso, sia occasione a farmi concepire l'idea d'entità; se io esamino allora lo
stato interno della mia coscienza, il fatto del conoscimento, unico in sè, mi
si paleserà resultante da una mirabile armonia di fatti se condi, successivi
bensì nell'esame della riflessione, con temporanei tutti nell'atto delle
potenze spirituali.Ciascuno di questi fatti sarà l'operare d'una special
facoltà, e cia scuna di quelle operazioni avrà il proprio termine ; io poi che
mi faccio ad esaminare quel nodo d'attinenze tra il soggetto e gli oggetti,
vedo che la qualità dell'atto conoscitivo resulta bensì dalla qualità di
ciascuno di quelli atti secondi, ma la sua certezza proviene da una legge di
natura che li costituisce contemporanei e correlativi. Fa'che io tolga via col
pensiero o l'uno o l'altro di quegli atti e i termini loro, quella stupenda
armonia di natura mi si spezza davanti agli occhi, e io cado di n e cessità
nello scetticismo ; tolgo via l'impressione sensibile 104 Il
sistema cristiano, che movendo dalla formula di creazione riproduce in uno
stupendo ordinamento di veri palesati dall'intimo della coscienza l'universale armonia
del creato, può soltanto offrire un'adeguata risposta ai quesiti dello
scetticismo sulla questione del conoscimento ; perchè solo in quel sistema le
attinenze dell'umano p e n siero con sè e cogli obbietti sono rigorosamente
serbate, nè può lo scettico separando o negando creare vane a p parenze quasi
dell'intelletto segregato in sè stesso,o della fantasia o del senso producenti
fenomeni vani non retti ficati poi dal paragone dei giudizj mentali. L'ingegno
di Agostino che meglio d'ogni altro comprese in sè stesso le armonie del
Cristianesimo e della scienza de'Padri, dava un esempio del confutare
cristianamente gli scettici nell'opera Contra Academicos, dove chiaro apparisce
lo studio profondo degli scritti di Cicerone, e come quei e 105 e il
termine materiale ? e la conoscenza mi si presenta come un fenomeno soggettivo
;non vedo più l'azione dello spirito e il termine ideale in cui cade ? e il
conoscimento doventa un qualche cosa d'estraneo a me stesso, un in ganno
misterioso del senso e della materia.Quest'ultimo segnatamente fu il vizio
fondamentale della dottrina degli Stoici nuovi, e in ciò,nota bene Cicerone,
essi furono assai meno conseguenti degli Epicurei. Costoro movendo dal
principio, che data unapercezione fallace mancava ogni criterio per verificare
la certezza delle umane notizie, ponevano quel criterio nella realtà stessa del
fenomeno sensibile, più conseguenti, dico, degli Stoici, i quali non ammettendo
come veretuttelepercezioni,ma soloquelle che presentavano in sè l'evidenza
della cosa percetta , nè riconoscendo d'altronde, come sensisti,la natura pro
pria dell'intelletto a cui solo spetta il giudizio sui r e sultamenti del
senso, si chiudevano la via per discernere la conoscenza vera dagl'inganni
dell'immaginazione; e quindi a buon dritto la Nuova Accademia allegava contro
gli Stoici i soliti argomenti della fallacia del senso degl'inganni dei
ragionamenti sofistici. (Acad., I e II dal cap.28 in giù). germi
immortali di vero che il filosofo romano seppe raccorre con rara indagine scientifica
nel suo tentativo di conciliare le scuole greche,producessero una vitaope rosa
di scienza fecondati dal calore di una dottrina rin novatrice. Nel libro Contra
Academicos Sant'Agostino serba a un di presso lo stesso ordine della disputa
seguito da Lucullo e da Cicerone, move dagli stessi principj, ribatte le
medesime contradizioni;ma un non so che di insolito, d'efficace, d'affettuoso
che annunzia una civiltà e una religione nuova tu lo senti là dentro,e non
tanto nello stile che, non paragonabile mai all'eleganza tulliana, ritrae pur
qualche volta la vivezza e il brio del parlare improvviso, quanto nell'energia
insolita dell'argomentare che sfuggendo iparticolari, dove facilmente sipuò
intro durre il sofisma, si rifugia nell'evidenza de'principj s u premi. Ma
ilmodo d'argomentare usato da Sant'Agostino non calzava agli Stoici; chè essi
non ammettendo un'in tima e reale attività dello spirito distinta dal senso e
capace di rettificarne gl'inganni, non potevano rinvenire nell'essere stesso
della percezione segni indubitati ch'ella fosse verace; e il loro
concettualismo non li lasciava af fermare contro il dubbio aceennato dalla
Nuova Accade mia sulla validità del pensiero. Gli storici della filosofia ci
han serbato in fatti memoria di una strana dottrina degli Stoici procedente del
resto dall'intimo del loro sistema e da quella tendenza dualistica che vi si
mesco lava ai principj del panteismo.Qual era questa dottrina? Gli Stoici
ponendo in fisica per un lato la realtà delle cose nella sostanza corporea ,nè
per l'altro costretti dalla logica riuscendo a negare del tutto l'essere delle
idee universali, distinsero queste dal reale corporeo,e ne fecero alcunchè di
non reale, ma capace d'essere concepito dall'intelletto ed espresso in
proposizioni (Asztóv).Distin guevano quindi due specie di vero ; il sensibile
contenuto nelle percezioni de'corpi, e il pensabile ristretto alle in
tellezioni della mente,questo procedente da quello e a quello correlativo ;
volevano con tale dottrina porre su stabili fondamenti la necessità de'principj
in cui cade la 106 .. scienza, nè gli acuti pensatori
s'avvidero che, se l'idea può rappresentarmi il reale, ciò accade appunto in
con seguenza ch'ella stessa è reale, non s'avvidero che n e gando qualunque
conformità tra il concetto universale e l'essenza del concepito, si cade nel
concettualismo rinno vato poi da Abelardo nei tempi di mezzo.La Nuova Accademia
recava alle ultime loro illazioni questi falsi prin cipj della scuola stoica ;
dal principio del sensismo traeva occasione a dubitare della veracità della
percezione sen sitiva; moveva dalle conclusioni del concettualismo per negare
la realtà del pensiero imprigionato in sè stesso, e diceva (argomento assai
notevole infatti) la dialettica non potere giudicare delle leggi della
geometria,perchè aliene dal proprio ordine di veri,non giudicare delle pro
prie, perchè non può il pensiero rivolgersi sopra sè stesso per giudicarsi.
L'argomento è di recentissima data,come ognun vede,e lo ripetono anch'oggi
iseguaci del Comte, iPositivisti francesi. E recenti pure sono le conseguenze
che ne deduceva la Nuova Accademia; poichè racchiuso una volta il pensiero in
sè stesso, e negata la sua atti nenza colle cose reali,manca ogni criterio a
risolvere il problema dei giudizj contradittorj,nè v’ha che un passo a dedurne
che dunque la contradizione è una legge ne cessaria dell'intelletto. Questa
ultima conclusione, che accenna per altro un notevole perfezionamento della
rifles sione nelle teoriche del criticismo, è dovuta al filosofo di Conisberga,m
a già è racchiusa implicitamente nei sofismi disgiuntivi della Nuova
Accademia.(Ac.,1.II,15,16,29, 30, 31.) Costituita dunque in questi termini, la
controversia sulle fonti del conoscimento conduceva la Nuova Acca demia a uno
scetticismo assoluto,e noi già ne vedemmo non dubbj segni in Carneade ; m a era
qui appunto dove Cicerone si arrestava temperando col suo vivo sentimento dei
veri naturali e colla moderazione latina gli eccessi del metodo da lui fino
allora seguito. Quindi usciva la sua teorica sulla verosimiglianza delle
percezioni sensibili che riporterò così riassunta dal Ritter. « Les
Stoïciens,en 107 108 admettant la possibilité de saisir
quelque chose avec tant de précision qu'il ne puisse y avoir
erreur,n'accordaient ce savoir qu'au sage. Ils ne faisaient donc en cela que de
refuser cette espèce de savoir aux hommes ordinaires, car eux-mêmes ne
pouvaient dire quel est l'homme qui est ou qui a été sage ; ils regardaient, au
contraire, tout le monde comme insensé, et refusaient en conséquence le savoir
véritable à tout le monde.Cicéron n'aspire pas à un pareil degré de savoir;
mais il veut que le non -sage aussi sache quelque chose,c'est-à-dire, qu'il ait
une per suasion de la vérité des phénomènes sensibles,sans cepen dant pouvoir y
croir avec une parfaite certitude.Son opinion est, qu'il y a des impressions
sensibles auxquelles nous pouvons nous fier, parce qu'elles ébranlent fortement
notre sens ou notre esprit;mais sans pouvoir cependant les adop ter comme
parfaitement vraies.Telle est sa théorie de la vraisemblance. Il ne veut pas
faire disparaître la différence entre le vrai et le faux ; nous avons raison de
tenir quelque chose pour vrai et de rejeter autre chose come faux; mais nous
n'avons aucun signe certain de la vérité et de la fausseté.Il croit pouvoir
prévenir l'objection,qu'il y a ce pendant ceci de certain,qu'il n'y a rien de
certain en te nant aussi pour vraisemblable seulement qu'il n'y a rien de
certain. C'est ainsi qu'il se purge du reproche que la théorie qui donne tout
pour incertain est impossible dans la vie pratique, car cette vie se conforme à
la vraisem blance, et la plus part des arts qui s'y rapportent avouent même
qu'ils ont plutôt pour but la conjecture que la science. Il ne voit d'autre
différence entre son opinion et celle des dogmatiques, si ce n'est que ceux-ci
ne dou tent pas de tout ce qu'ils soutiennent;mais qu'il est vrai qu'il
considère au contraire beaucoup des choses comme vraisemblables, qu'il peut
suivre, sans pouvoir cependant les affirmer avec una parfaite certitude..... On
voit bien que cette théorie de la vraisemblance s'éloigne un peu de la doctrine
de la nouvelle académie, du moins telle que Carnéade l'avait exposée; car elle
n'aspire pas à un art de tout rendre également vraisemblable et invraisemblable,
mais elle tient quelque chose pour vraisemblable, autre chose pour
invraisemblable. Cicéron remarque même qu'en ce point il s'écartait de ses
maîtres, particulière ment pour ce qui est des préceptes de la morale.Il avoue
à la vérité qu'il n'est pas assez hardi pour réfuter le doute de nouveaux
académiciens,par rapport à la morale, mais il désire les atténuer. » (Stor.,
vol. IV, pag. 108, 109, 110 tradotta dal Tissot.) 4. Il fondamento della teoria
tulliana sulla verosi miglianza è dunque nella questione del criterio del vero;
e qui, segnatamente nel giudizio sulle percezioni sensibili, apparisce il
moderato scetticismo dell'oratore latino;m o derato, dico, e parmi sia chiaro
dopo le cose predette che egli avvolto, come Socrate, in mezzo ai combattimenti
del dommatismo e dello scetticismo eccessivo, serbò una norma scientifica
nell'affermare e nel dubitare, temperò gli Stoici non accordando una fede
illimitata al solo te stimonio de'sensi ; temperò gli Accademici sostituendo al
loro dubbio,uguale per qualunque opinione,una graduata v e r o s i m i g l i a
n z a n e ' c a s i p a r t i c o l a r i, c o m b a t t è g l i u n i e g l i
altri rigettando il dubbio assoluto sui principj fondamen
taliesulleveritàteorematiche.(Vediiproemj particol. De Off,De Div.,De
Nat.Deor.,Acad.) La sua psicologia in quelle parti che si collega alla logica,
sebbene qua e là i n f e t t a d e l d u a l i s m o s o c r a t i c o, f a f e
d e c o m ' e g l i e m e n d a s s e il vizio della scienza contemporanea
opponendo all' i m perfetta riflessione de'sofisti un esame comprensivo del
umano soggetto. Con metodo induttivo egli moveva dalla coscienza, ed
ivi,riconosciuti inaturali concetti dell'oltre naturale e dell'intelligibile,
s'innalzava con essi alla c o gnizione dell'animo
(Tuscul.,lib.I,cap.XXII);nell'animo distingueva la ragione dal senso;la
ragione,sovrana delle facoltà umane,ha un immortale e quasi divino istintodel
vero,legame primigenio tra il Creatore e icreati;isensi, satelliti e nuncj
dell'anima,le danno di molte cose certa notiziaconfusaeammezzata,cheèun qualche
fondamento alla scienza, e la scienza ne sorge per la libera efficacia
dell'animo, che comprendendo in sè il particolare e ilm u 109
tabile dei sentimenti, si leva alle idee e alle nozioni uni versali;
quindi i sensi ben guidati da natura,nè torti da mala educazione, hanno una
naturale rettitudine al vero, nell'animo dove cade il libero giudizio della
riflessione, ivi soltanto può introdursi l'errore.(De Leg., 1,23,26,
17,47;Tusc.,1,20;Ac.,1,8, 11,7.) Così col metodo induttivo di Platone egli sale
fino ai principj più universali, d'onde col deduttivo d'Aristotele ridiscende
ai particolari; e ne son prova i libri rettorici. Tra i quali merita speciale
considerazione la Topica, o logica inventrice, intitolata a Trebazio giovane
giurecon sulto e discepolo dell'autore,e dove ogni precetto è ac compagnato da
esempj di giurisprudenza. In questo libro che ha per soggetto tutte quelle
distinzioni e scomposizioni dialettiche che si ricercano per l'invenzione degli
argo menti, e si operano sui concetti che ne sono signifi cativi, Cicerone
divide la logica in inventiva e giudica trice, la prima delle quali parti porge
gli argomenti per disputare,la seconda li dispone,li analizza e lim a neggia
per persuadere.La logica Ciceroniana,osservata altresì ne'dialoghi,ed esposta
nel De Inventione, e nel De 'Oratore, è in fondo la istessa logica d'Aristotele
qualepiùtardisimodificònegliStoicienellaNuova Ac cademia, e l'accettarono in
gran parte i giureconsulti romani e gli oratori ; la qual cosa, perciò che
risguarda i Topici, si disputava lungamente, non sono molti anni, in alcune
università tedesche, come apparisce da un'ac curata dissertazione,De fontibus
Topicorum Ciceronis,di Giovanni Giuseppe Klein. (Bonnae 1844.) Ivi l'autore
prendendo ad esame la questione proposta dai critici a n teriori,se e quanto e
con qual metodo Cicerone seguisse in questo libro la Topica d'Aristotele che ci
pervenne, ovvero se attingesse ad un'altra di presente perduta, come qualche
critico mostrò sospettare; conclude dopo un dili gente ragguaglio dei due
scrittori,che le opere loro quanto aiprincipj,e in molte
partisecondarie,differiscono note volmente ; che Cicerone nella sua Topica non
si propose (il che apparirebbe a prima giunta dal proemio) di fare
110 111 un semplice compendio dei libri Aristotelici;ma resulta da
tutto il contesto avere l'oratore latino attinto la m a teria del libro dai
Rettorici dello Stagirita e da alcuni precetti degli Stoici e della media
Accademia,e poi averla composta col proprio giudizio in una forma di vera e par
ticolare disciplina. Sui Topici di Cicerone scrisse con fine più filosofico un
ampio e bel commento Severino Boezio,in cui la storia della filosofia ravvisa
il primo passaggio tra le dottrine dei Padri e quelle de'Dottori,tra l'ultimo
spirare della civiltà latina sotto le conquiste de barbari e ilprimo rinnovarsi
delle lettere e delle scienze nella nostra Italia.Or quel c o m mento , che
all'indole del trattato, già di per sè stesso analitico, accoppia il rigore
della dialettica della Scuola, e congiunge i nomi di Aristotele, di Tullio, di
Trebazio Testa e di Severino Boezio, mi rappresenta al pensiero l'armonia delle
scienze giuridiche colla filosofia, dell'ana lisi colla sintesi,della
dialettica colla storia, della pratica colla speculazione, dell'amore operoso e
civile colla sa pienza cristiana. 1. Entrando ora a parlare dei libri morali,
apparte nenti alla teorica sulle azioni, l'ordine della materia sembra
invitarci, come facemmo nei capitoli precedenti, a dire qualche cosa in
generale del disegno scientifico che li collega, e delle attinenze loro più
immediate e più rigorose colle altre parti della filosofia di Cicerone. In vero
la scienza morale nata sui rudimenti del senso co mune,quale Socrate la menava
a conversare famigliar niente fra gli uomini ,e più tardi venne accolta e
trasmessa sino a noi dalle scuole migliori, si può assomigliarla ad uno
stupendo poema, se guardiamo la sublimità de'suoi veri,illegame che unisce i
principj alle conseguenze,e l'armonia delle speculazioni colla parte più
affettuosa dell'uomo e colla vita civile. Il principio n'è dato dalla
IV. 112 natura,presupposto indispensabile della scienza; chè la
riflessione posta una volta su quel cammino ov'essa pro cedendo incontra e ravvisa
ad una ad una leveritàpiù prin cipali della Filosofia, move dai primordj della
vita vege tativa e animale ,manifestati nella puerizia dai sentimenti
indefiniti e dagli istinti,passa su su agli inizj della vita razionale,
allorchè quei sentimenti illuminati dallo splen dore della conoscenza si
palesano come tendenze amorose al vero, al bello ed al bene; in quei termini
riconosce la ragione di fine,ed il fine,considerato come qualcosa onde nasce
armonia nelle operazioni d'un ente,guida la rifles sione al concetto di legge,
d'un archetipo assoluto ed eterno che per mezzo dell'intelletto indirizza il
volere a un'immortale destinazione. Principj naturali, bene, fine, legge ; ecco
i concetti che, intrecciati mirabilmente fra loro nell'armonia della coscienza,
costituiscono l'ordito dell'Etica,allaquale,considerataperquestorispettocome
scienza direttrice della più nobile parte dell'umana n a tura, fan capo le
altre scienze costitutrici della filosofia. L a F i s i c a , c o m e l a i n t
e n d e v a n o g l i a n t i c h i, l a q u a l e m e ditando il principio
primo dell'essere nell'universo e nel l'uomo,ne ravvisa facile il fine che
nell'universo è un termine oltrenaturale di naturali armonie, desiderato dagli
enti tutti, e nell'uomo è un'idea di perfezione immortale, appresa
confusamente, nè mai raggiunta nell'ordine delle creature. La Logica, perchè
trattando dell'ente sotto la ragione di vero,ne scorge facileilpassaggio alla
ragione di bene pel concetto d'amabilità, testimonj i sentimenti più schietti
della natura che antecedono ilvero e ne ger minano come tendenze ed affetti. Vi
conduce la Scienza dei doveri e dei diritti;chè dovere e diritto sono concetti
eminentemente morali in quanto da un lato discendono dall'idea della legge,le
cui divine esigenze s'impongono alla coscienza degli enti creati,capaci di
cognizione,pur ri spettando quelli enti nell'ordine della loro natura ; dal
l'altro lato vengono su dall'idea dell'uomo,ente dotato d'intelletto e
d'amore,che riconosce in sè e nel suo libero arbitrio la sanzione di quella
legge,la quale osservando 113 si sente capace d’immortali destini.
Così l'ontologia, la logica, la scienza delle obbligazioni e il gius di natura
si appuntano, come in unico centro, nella morale, da cui pur si dirama il gius
civile, la politica, la legislazione, la storia e ogni altra scienza
meditatrice dell'uomo. Il Cristianesimo, dottrina e religione moralmente inci
vilitrice, che nata in tempi di costumi nefandi operò un mirabile rivolgimento
nella vita dell'uomo, ponendo a capo dei suoi precetti l'amore santificato da
tanto sangue di martiri, e ad esempio dei nuovi costumi, l'immagine più che
umana del figlio di Maria,il cristianesimo solo poteva dare un perfezionamento
vero alle teoriche della morale. E quel perfezionamento lo diede allorchè
dichia rando senz'ombra di dubbio l'infinita natura di Dio,la finita natura
dell'uomo, si valse dell'idea intermedia di creazione per assorgere al concetto
più puro delle loro attinenze, potè meglio chiarire l'idea di fine, di bene e
di legge,ricostituire l'ordine dei fini nella natura in telligibile e
sovrintelligibile, vedere l'uomo e l'universo ordinati a un disegno della
provvidenza;e quindi,posto a capo di tutta la Filosofia il concetto di Dio, se
ne sparse nuova luce sulle dottrine del soprannaturale e del naturale, sulla
psicologia e la logica, sulla teorica dei doveri e dei diritti; le scienze
politiche e civili e la storia ne apparvero nobilitate. Il che è tanto vero,
che quel tendere continuo dalle miserie di nostra natura all'i m mortale,
all'assoluto, all'eterno,può solo spiegarci le sca turigini arcane onde move
un'aura d'ineffabile bellezza, chela scienza cristiana respira,sono ormai più
che quat tordici secoli, dai dialoghi di sant'Agostino, e dalle let tere di san
Girolamo in poi,sino alla Divina Commedia, alla Somma dell'Aquinate,e alle
sublimi fantasie di Vin cenzo Gioberti. Considerate le quali cose, se alcuno mi
domandasse onde accadde che la Paganità, in tanto e continuo sca dere di
costumi e di scienza, riconobbe più volte, senza pur cadere in errori
sostanzialissimi,le principali verità della morale,di che abbiamo esempj
segnalati nelle Indie, 8 114 in Magna Grecia e soprattutto
nelle scuole socratiche e in Cicerone nostro, addurrei per risposta la vivezza delle
umane tendenze e l'efficacia de'sentimenti,che ger minando da naturaciportano
inconsapevolialvero ignoto, l'istinto della socievolezza e l'amore per gli enti
della medesima specie, che essendo un vivo bisogno dell'uomo, gli mantiene
fresca nell'animo la voce degli affetti do mestici e civili, e infine la
notevole differenza che corre fra l'apprensione astratta del vero e il
sentimento che n'hai nella vita, onde spesso il filosofo discorda dal l'uomo, e
il popolano e la povera vecchierella fanno a m mutolire coll'evidenza della
rozza parola il superbo sa piente.In Grecia,e segnatamente inAtene,dove nacque
Socrate, e dove si conservava nell'amore del bello e nei gentili attici costumi
un germe di rinnovamento, rimase aperta la via a tornare sulle antiche
tradizioni, attestate dalla coscienza e dal linguaggio, e a derivarne, come
scintilla da selce,i principj della morale che fanno sì bella parte delle
scuole socratiche. M a quei principj (già lo sappiamo) erano forse più facili a
ravvisarsi l’età sus seguenteallasocratica,inRoma;e perchèinRoma s'era
insanguinata e commista la civiltà dei popoli italici, in cui si manifestò ab
antico una notevole inclinazione alla scienza avvivata dal sentimento e da fini
di pratica a p plicazione,eperchè in Roma erafioritaefiorivalascuola dei
Giureconsulti, il cui pernio era l'idea morale della legge e del dritto,e
infine perchè, se una riforma era da farsi in tanta corruzione di civiltà e di
costumi,in tanto scadimento delle relazioni domestiche e civili, e nella
notevole prevalenza che da circa due secoli avean preso le dottrine epicuree,
certo quella riforma dovea comin ciare dai principj della morale.L'Etica
ciceroniana, che è uno dei più nobili tentativi fatti dall'umano ingegno per
opporsi, senz'altro ajuto che l'evidenza del vero de sunta dalla natura viva,
alla rovina d'un'intera nazione, era dunque preceduta da un grande
preparamento; chè giammai si compie un gran fatto senza che nei tempi e nella
società,da cui nasce,se ne acchiudano igermi.Ei 115 germi della
riforma morale iniziata da Tullio furono, oltre le condizioni civili e
politiche di tutta l'Italia e di R o m a , i Giureconsulti e le sètte, alle
quali s'oppose il riforma tore; le splendide tradizioni delle scuole
socratiche, e segnatamente idommi platonici,aristotelici e stoici;ivi egli
mirando componeva il disegno scientifico della sua morale ;-m a quel nobile
magistero l'avrebbe ajutato ad accozzare brani di verità,non a comporre una
vera dot trina, a ragunare nella memoria, non ad unire nella ri flessione
esaminatrice, s'e'non avesse avuto l'occhio in un principio più alto, superiore
ad ogni opinione e ad ogni setta, nell'esemplare della natura considerata nel
suo popolo, in Italia, in Grecia, in Europa , nelle genti tutte conosciute, e
più viva in sè stesso, cittadino gene roso,scrittore sommo,oratore che tante
volte dall'alto della tribuna avea signoreggiato gli umani affetti colla parola
onnipotente. Questa meditazione profonda dell'uomo interiore, il cui fine era
dedurre le ragioni del giusto dalle attinenze dell'anima e dell'universo con
Dio,valse a Cicerone le accuse di quell'acuto intelletto che fu Michele Montai
gne. M a il Montaigne, osserva opportunamente un altro scrittore francese,
cercava forse troppo sovente materia al sorriso nell'invilire l'uomo e nel rassegnarlo
tra i bruti;.Cicerone lo stimava creato a qualcosa di più alto e di più solenne
(ad majora et magnificentiora quædam ), e riconosceva da Dio la nobiltà
dell'umana natura,e l'ef ficacia della ragione e del libero arbitrio, per
costituire la morale e con essa la vita civile su fondamenti non peri turi.
Premesse queste considerazioni, l'Etica di Tullio, in cui Francesco Forti
osservava rappresentarsi la maturità della ragion naturale presso gli antichi ,
si distingua i n nanzi tutto in due parti determinate intimamente dal
l'indirizzo del suo pensiero speculativo nell'esame dei veri morali,
estrinsecamente dalla forma filosofica de'trat tati. U n a parte è teoretica e
principalmente speculativa ; e in essa Cicerone esaminò la ragione delle
tendenze n a turali nell'umano soggetto per ispiegare il problema
sulla natura dei beni, e si levò coll'induzione da questo esame ai concetti
universali di legge, di dovere, di diritto (De finibus, De legibus); l'altra
parte, in cui prevale un fine pratico o di applicazione, movendo essa pure dai
principj fondamentali, innanzi chiariti, scende a determi narli nella vita
dell'uomo individuo e sociale e nelle dot trine sulle forme di governo
(Tusculanarum , Paradoxa, De officiis,De republica,De amicitia eDe senectute).Se
poi si considera bene,nella prima parte di tal distinzione, avvertita pure dal
Kuehner, è compresa manifestamente un'indagine soggettiva e oggettiva ;
soggettiva e ogget tiva ad un tempo,perchè nel problema, posto da Tullio
intorno alla natura dei beni, la riflessione scientifica si volge da un lato
sulle tendenze e sugli affetti spirituali, mentre dall'altro vi riconosce un
riferimento necessario a qualcosa d'assoluto, d'immutabile,d'infinito, di essen
zialmente oggettivo, all'esemplare di legge, da cui si ge nera in noi
l'obbligazione morale; e quindi è che la teorica de'Fini si distingue nel
filosofo nostro da quella del D o vere,e sorge fra l'una e l'altra, come centro
unitivo delle armonie morali, la teorica della legge. 2. Ponendo mano
impertanto all'esame della parte speculativa,cominceremo dalla
dottrinadeiFini,trattata ex professo, e con intendimento al tutto scientifico,
nel libro D e finibus, a cui fanno corredo con secondaria i m portanza, e con
oggetto non immediatamente speculativo, le Questioni Tusculane, e l'operetta
dei Paradossi. G i o vanni Rodolfo Thorbecke in una sua dotta dissertazione
universitaria sul principio della Filosofia e degli Officj desunto dalle opere
di Cicerone, osserva che il quesito dei Fini,o del sommo bene,occupa un luogo
principalis simo nella sua morale. Il critico tedesco allega a questo proposito
l'autorità stessa del nostro oratore,che più volte nelle sue opere , e
segnatamente nel primo libro degli Officj (I,3),riferisce ilfondamento delle
dottrine morali alla disputa sul fine dei beni,e nel De finibus nota oppor
tunamente contro gli Stoici non potersi separare, come 116
Due metodi si presentavano alla riflessione esamina trice per risolvere
il problema sulla natura dei beni. L'uno,che èmetodo comprensivo edessenzialmente
scien tifico, necessario in qualunque parte della filosofia,e so prattutto
indispensabile in questa, stava nel riprodurre esattamente coll'ordine del
pensiero speculativo l'ordine del soggetto, nell'abbracciare quella stupenda
armonia di tendenze e di fini, che ci manifesta l'uomo interiore senza nulla
tralasciare,nullanegare,nullaesaminare im perfettamente. L'altro metodo invece,
che s'informava dalle qualità negative e parziali del sofisma, consisteva nel
dimezzare colla scienza ciò che la natura avea unito, nel considerare l'essere
umano soltanto in certe sue dis posizioni e facoltà, tralasciando le altre,
nell'offrire c o m e opera compiuta del vero e di Dio un informe viluppo di
contradizioni e d'errori. Questa seconda fu la via torta e fallace seguita
dalle sette grecoromane; quello il m e todo di Socrate e della coscienza
tracciato da Tullio, come n'è testimone l'intero trattato de'Fini. La quale
avvertenza occorre fare fin d'ora ;perchè parecchj storici della Filosofia
trovarono anche in questa parte della m o 117 termini identici d'una
stessa relazione morale, il principio dell'operare e il fine dei beni. Tale
suprema importanza scientifica del trattato dei Fini si desume ancora dal con
siderare che la materia di quel problema si estende per un larghissimo campo di
relazioni intercedenti fra la psicologia e le dottrine morali.Invero il
filosofo,che pone mano a risolverlo,bisogna che mova dai rudimenti di natura,
comprenda con diligente esame tutto l'essere umano,e rifacendosi dalle prime tendenze,dove
appena appena si manifesta l'affetto, e da quelle che palesano nel sentimento,
nell'associazione dei fantasmi e nella m e moria lo svolgimento della vita
animale, e il germe del raziocinio, si apra la strada ad esaminare tutto l'uomo
nella conoscenza che più tardi acquista dell'essere pro prio,dei proprj
doveri,delle prime notiziescientifiche,e a considerarlo come parte della
famiglia, come individuo e come membro della civil società. rale di
Cicerone un appicco alle accuse;dissero non avere egli compreso il vero aspetto
scientifico della questione dei Fini, e poichè, sprovveduto di un saldo
criterio di scienza, tentava comporre le più disparate dottrine, quali erano
quelle degli Stoici e degli Accademici e Peripatetici antichi, la tentata conciliazione
provare anche una volta la povertà del suo ingegno speculativo (Ritter,Brucker
). A una simile accusa, benchè apparentemente sostenuta da
validiargomenti,rispondemmo altravolta,eciparve che la prova più solenne e
palpabile contro le afferma zioni dei critici avversi forse il prendere in m a
n o le opere del filosofo latino, svolgerle con diligenza, ed esponendo
que'suoi dialoghi pieni di tanta vita d'eloquenza e di speculazione,
rappresentarlo,se fosse possibile,alla fan tasia dei lettori quale io me lo
immagino là nelle cam pagne di Tuscolo e di Cuma seduto all'ombra della quer
cia di Mario, e inteso a conciliare le negazioni de'sofisti nell'affermazione
compiuta dell'umana coscienza. Il dialogo de'Fini è diviso in tre giornate,e
ciascuna comprende una disputa,nella quale Tullio assume sem pre la parte di
giudice e di confutatore, argomentando in favore d'Epicuro, degli Stoici e
dell’Antica Accademia il consolare L. M. Torquato,M. Catone e L. Pupio Pisone.
Il dialogo è introdotto ora nella villa di Cicerone in quel di
Cuma,oranellabibliotecadiLucullopresso Tuscolo,e in
fineall'ombrasilenziosadeplataninell'Accademiad'Atene. Per cominciare dalla
disputa contro Epicuro,occorre qui rammentarci come nella prima parte di questa
tesi esami nando le principali scuole che fiorivano in Grecia avanti i tempi di
Cicerone, e tra queste la scuola epicurea, vi trovammo un nuovo e sempre
crescente pervertimento delle dottrine anteriori o contemporanee,e come tal per
vertimento consistesse,a nostro avviso, in un esame sem pre più povero e
parziale del soggetto su cui cade la scienza, manifestato, segnatamente in
fisica, col fermare l'osservazione al nudo meccanismo degli atomi,in logica con
ridurre ogni facoltà dello spirito al senso, e nella morale restringendo la virtù
e la beatitudine ai piaceri 118 del corpo e i piaceri
dell'animo alla speranza o al ricordo dei piaceri del senso.Una siffatta
dottrina,che spegnendo ogni più nobile tendenza dell'uomo, riduceva il sapiente
alla condizione del bruto, subito la riconosci come il por tato d'un ingegno
profondamente sofistico, solo il sofisma togliendo all'uomo l'intuito vivo
delle armonie di natura ; chè, posto a capo dell'Etica il puro sentimento
animale, se ne oscura la notizia dell'uomo, ente capace non solo disentimento,ma
d'intellettoed'amore,noncapiscipiù la possibilità del dovere che dee cercarsi
per sè,non già per diletto,e s'offende la dignità dell'umana natura e delle
virtù ponendo fra esse la voluttà come una meretrice in u n ' a s s e m b l e a
d i m a t r o n e . ( D e f i n ., L . I , I I , 2 2 , 4 , D e o f f ., I , C.
II.) Tali sono gli argomenti, tolti altresì dalle in time contradizioni di quel
sistema, che Cicerone vibra di rimando contro Epicuro colle armi d'una
concitata elo quenza,e davvero la sua risposta a Torquato è un con tinuo
contrapporre a un cattivo e sofistico esame del l'umana natura, un esame più
alto e più vero delle sue leggi, de'suoi destini, del suo aspirare
all'immutabile e all'assoluto;chèilnobile animo dell'accusatorediVerre, e del persecutore
di Catilina e d'Antonio poneva da parte ogni dubbio combattendo nelle dottrine
epicuree una tra le cause maggiori dell'affrettata rovina di R o m a. M a v'è
un luogo,noterole su tutti gli altri,in cui l'Ora tore latino, volendo mostrare
come l'affetto abbia efficacia viva e spontanea per ricondurci nel
vero,rappresenta quella contradizione tra il pensiero e l'operare, tra le
dottrine e la vita,non rara neppure ai dì nostri in uomini spon taneamente
inclinati al bene per virtù di natura, e che han guasta la mente da malvage
filosofie. In quel luogo egli si volge a Torquato, e invoca la sua coscienza di
cittadino, il suo desiderio di gloria, le tradizioni de'suoi avi famosi e il
suo magnanimo affetto alla patria in te stimonio delle dottrine da lui professate
; e gli chiede p e r chè mai non oserebbe sostenerle nei comizj, alla presenza
del popolo, o in pieno senato. Crede egli con intimo coif vincimento unico fine
della vita ilpiacere? E allora perchè 119 mai v'è tanta
contradizione tra quello che fa e dice come cittadino e quello che sostiene
come filosofo? Teme egli forse l'odio del popolo ? M a badi, risponde Cicerone,
che in questo caso l'errore dell'intelletto non venga raddiriz zato dal cuore ;
badi che il sentimento universale, onde ogni popolo della terra si leva come un
sol uomo a con dannare Epicuro,non sia iltestimonio interiore e inappel labile
della natura, repugnante alla teorica del piacere! 120 Questo intimo
disaccordo tra la ragione ed il cuore, tra le dottrine della scienza e la vita
civile, rappresen tato in Torquato, oltre al mostrarci un alto principio della
filosofia di Socrate e di Tullio, che vuole il cono scimento del vero
costituito da un'interiore armonia del l'affetto coll'evidenza, serve poi in
questo caso a ritrarre mirabilmente i tempi dello scrittore, e a partecipare al
dialogolavitaeilmovimento deldramma.I tempi di Cicerone in molte parti
somigliavano ai nostri. Dismessa a poco a poco nelle mollezze la severità del
costume, s'era affievolito negli animi umani, per l'abito fatto a dottrine
sensuali, quel profondo discernimento del retto che non patteggia mai colla
coscienza,e sdegna chiamare con altri nomi da quello che sono il bene ed il
male. Quindi, come sempre avviene, l'errore nelle opinioni d o ventavapoicausanon
lievedidecadimento neicostumipri vati e civili,e non pertanto alla corruzione
profonda degli intelletti e delle volontà contrastava potentemente nei più, e
in special modo nel volgo,l'efficacia ingenita dell'af fetto del bene. Ora
questo che ad altri poteva sembrare niente più che un argomento di fatto della
differenza tra le opinioni volgari e le dottrine dei filosofi, avea per C i
cerone il valore di una prova scientifica, come testimo nianza resa dalla
natura ai supremi principj morali, e questa testimonianza ei la vedeva,da un
lato nell'efficacia degli affetti osservati in ogni individuo, e dall'altro nel
riscontrarsi la veracità di questi affetti coi pronunciati solenni e
infallibili del senso comune. • Sennonchè, mentre nel secondo libro de'Fini era
i m presa di non grande difficoltà pel filosofo latino il con
futare Epicuro la cui dottrina mancava d'ogni severo prin cipio di
scienza, la sua parte di giudice e di contradittore doventa non lieve quando
nel terzo e nel quarto libro egli prende ad esame la morale del Portico difesa
dall'autorità edalleparolediCatoneUticense.E invero,qualunquevolta a mostrare
la solidità e l'ampiezza dei principj etici e speculativi su cui Zenone fondava
la teorica de costumi, non bastasse il suo esame diligente dell'animo umano e
degli affetti spirituali osservati in ogni età della vita, varrebbe soltanto
ilrichiamare ch'ei faceva la morale, nelle sue parti più generali, ai sommi
principj della scienza della natura . Il filosofo di Cittio avea fondato la sua
dottrina sul riconoscimento pratico e speculativo del l'ordine naturale,
espresso in quella sentenza :vivi confor me alla natura. Πρώτος ο Ζήνων ...
τέλος είπε το ομολογ ouuevos rõ qurat Eno, così Diogene Laerzio ; e in quella
sentenza, chi ben la consideri, si riconosce l'efficacia del l'insegnamento
socratico, continuato in Zenone , onde a v veniva, e lo notammo più addietro,
che, mentre la sua logica e la fisica erano infette da un esame parziale e
meschinamente sofistico dell'universo e dell'uomo, la m o rale offriva un assai
più largo disegno di veri speculativi. Il principio fondamentale dell'Etica
degli Stoici era fuor d'ogni dubbio il concetto puro e assoluto del bene in
attinenza cogli affetti spirituali;tuttavia se fu merito insi gne di quella
dottrina che essi pervenissero a tale concetto dopo un largo esame psicologico
delle umane tendenze,il vizio era che partiti dalla comprensione totale
dell'essere nostro e giunti all'idea di virtù, restringevano ogni cosa a
quest'ultima,non abbracciando più tutto l'uomo nello spirito e nel senso ,
nell'intelletto e nel cuore , in sè stesso e nelle condizioni esteriori. Le
cose, diceva Zenone, si conoscono dall'uomo o per esperienza,o per giudizio di
causa,o per analogia, o per raciocinio comparativo, e in quest'ultimo cade la
notizia del bene , alla quale l'animo ascende universaleggiando da quelle cose
che sono secondo natura (L. III, C. X. 33). Laonde dal concetto del bene come
d'un che ideale, assoluto e simile soltanto a sè 121 122 s t
e s s o , v e n i v a p o i il c o n c e t t o d e l l a v i r t ù , a l q u a
l e l o s t o i c o saliva per la nozione intermedia d'onesto. Che cos'era
l'onesto ? L'onesto per gli Stoici altro non era che la convenienza dell'atto
umano colla natura, riconosciuta dalla ragione ; e quindi essi dicevano,
avvolgendosi in un paralogisma, che poichè quel riconoscimento pratico e
razionale avveniva nella pienezza delle facoltà intellet tuali dopo
l'infanzia,che è quella età in cui le prime cose conformi a natura ( prima
nature) (tá apota xato qusiv) si appetiscono inconsapevolmente,da queste prime
inclina zionidellanaturamovevailprincipiodell'operare,ma non però quelle
cose,che n'erano il termine, si annoveravano tra i beni. Questo principio era
vero in parte, m a nel l ' e s a g e r a r l o s t a v a il v i z i o f o n d a
m e n t a l e d e l l a m o r a l e s t o i c a ; l'esagerazione poi consisteva
in considerare l'atto m o rale come avente a fine sè stesso, niente altro che
sè stesso, nell'astrarre da ogni condizione esterna della vita privata o
civile, e da quell'armonia che intercede tra la ragione e gli affetti, onde il
libero volere o è condotto o conduce ; nel porre in petto al sapiente quella
virtù fredda, impassibile, solitaria, divisa dell'universo e da Dio, come
immobile quercia radicata nei macigni delle Alpi. Se poi si considera più
addentro nelle ragioni isto riche del sistema, il concetto eccessivo della
virtù ci p a lesa un vivo contrasto della morale stoica coi tempi. Qual fosse
il secolo di Zenone facemmo vedere più in nanzi. Ora se immaginiamo in quel
secolo un uomo di gagliardo volere e di generosi propositi, che ponga mano alla
filosofia coll’intendimento di fortificare il co stume,e di avviarlo ad un fine
più alto,subito si capi sce come a quell'uomo, profondamente ristucco dalla
ignavia dei tempi, la vita del saggio dovesse sembrare una lotta continua della
ragione innamorata del bene cogli affetti interiori, col rigoglio dei sensi,
colle ree c o stumanze civili, e l'onesto una perfezione quasi supe riore
all'umana, e conseguibile solo da pochi sapienti. (De finibus, tutto il libro
terzo ; Kuehner e Thorbecke passim .) Esponendo e confutando i
principj più generali della morale stoica,abbiamo esposto in gran parte intorno
a questa materia le opinioni del filosofo nostro. Solo ci ri mane da cercare in
qual modo egli svolgesse le proprie dottrine morali in contrapposto alle
dottrine del Portico, e come l'erroneo concetto del bene supremo da lui
combattuto nel quarto libro, movesse la sua riflessione a pensare un più vero e
men difettivo scioglimento del gran problema morale.Non v'ha forse
luogonelleopere da noi esaminate,in cui questa facoltà potente dell'inge gno
speculativo di Cicerone si faccia meglio manifesta, e con essa il suo metodo
delle attinenze che concilia gli opposti sistemi nell'unità non divisibile
dell'uomo. I principj su cui è fondata la confutazione, movendo dalle idee più
comuni e più popolari intorno alla poca conve nienza delle dottrine del Portico
colle necessità e cogli usi della vita civile (Capitoli VII, VIII, IX),
procedono poco appresso a cercare le cause più remote del paralo gisma nei
fondamenti del sistema avversario.I giudizi del filosofo latino, informati da
un metodo rigoroso d'esame , cadono sempre sul concatenamento scientifico delle
dot trine, e sulla loro armonia coll'indole del soggetto ; nè
sembreranno,iocredo,eccessivamente severi,come parvero
alKuehner,qualorasipensiche Cicerone,traisistemi maggiormente seguiti a'suoi
tempi, preferiva ad ogni altro lo stoico, e che inoltre la storia moderna della
filosofia riassumendo l'esame di lui sulle dottrine m o rali del Portico,
solennemente lo confermava. In prova di ciò Enrico Ritter, più volte citato,
considerando l'idea che del saggio s'erano formati gli Stoici, e su cui fonda v
a n o l a m o r a l e , v i s c o p r e il p r i n c i p i o d ' o g n i l o r
p a r a d o s s o , e di parecchie false opinioni sulla vita dell'uomo ;
poichè, se da un lato, egli nota,si nascondeva in quella idea un alto
intendimento civile, ne veniva poi necessariamente alterato il concetto della
vita e dei doveri affermandosi quivi l'apatia del saggio, ovvero (come suona in
greco quella parola) il suo affrancamento assoluto da ogni pas sione e da ogni
causa esterna che turbasse la tranquillità 123 - . del suo
spirito. (Ritter, Morale des Stoïciens, T. III,
pag.540.)Questaeraun'ambiziosaostentazionedelsommo bene,così la chiama ilnostro
Oratore,ostentazione degna d'una filosofia da ottimati che faceva privilegio
della s a pienza, e l'appartava lungi dalla modesta sublimità del senso comune.
Laonde gli Stoici (prosegue Tullio), per non essere da quanto il volgo,
mutavano i principj della natura,dicevano che l'uomo è anima e corpo,che visono
nel corpo alcune cose desiderate da noi come beni ; m a poi,avendo fatto
nell'uomo eccellente l'animo sopra ogni altra sua facoltà, designarono per modo
la natura del bene sommo come se l'anima non sovrastasse soltanto,ma fosse
unica parte della umana persona.(C.XII.) E qui è notevole davvero come
ricercando il nostro filosofo le cause ultime dell'errore nel principio stoico
del bene supremo,si va gradatamente avvicinando al con cetto positivo e
scientifico della morale.Io dico che dalla confutazione degli Stoici esce un
concetto positivo e scien tifico della morale, perchè quivi egli non segue le
forme irresolute della Nuova Accademia, nè desume gli argo menti più validi
dalle contradizioni relative e parziali del sistemaavverso,ma
procedepiùinnanzi,indagasottilmente l'intervallo che separa il conoscimento
diretto dal cono scimento riflesso, e pone la vera indole della scienza nel suo
differire dalla natura,a quel modo che il compiuto differisce dall'incompiuto,
l'attuale dal virtuale e il per fezionamento dal perfettibile. La scienza, dice
Cicerone, move dai principjdi natura, e come tale ha nella stessa natura la
possibilità d'ogni suo sviluppo ulteriore; la scienza non crea l'uomo,ma ne è
un perfezionamento, non genera le notizie dirette,m a le chiarisce,le
distingue, le corregge,le riduce a principj; non disegna ella stessa l'immagine
dell'umana virtù, nè dispone l'uomo a desi derarla, m a trae in atto quelle
essenziali e ingenite dis posizioni; talchè l'opera sua è un continuo
avvicinarsi al concetto del bene,seguendo un archetipo eterno di perfezione, e
somiglia all'opera dello scultore che riceve da altri già disegnata e delineata
la statua per ridurla 124 125 poi a compimento colla virtù
del proprio scalpello. « Ut Phidias potest a primo instituere signum idque
perficere, potest ab alio inchoatum accipere et absolvere,huic similis est
sapientia : non enim ipsa genuit hominem ,sed accepit a natura inchoatum. Hanc
ergo intuens debet institutum illud quasi signum absolvere.Qualem igitur natura
homi nem inchoavit? et quod est munus,quod opus sapientiæ? quid est quod ab ea
absolvi et perfici debeat? Si nihil in quo perficiendum est præter motum
ingenii quemdam , id est,rationem,necesse est huic ultimum esse ex virtute
agere : rationis enim perfectio est virtus : si nihil nisi corpus, summa erunt
illa, valetudo, vacuitas doloris, pulcritudo,cætera.Nunc de hominis summo bono
quæ ritur. Quid ergo dubitamus in tota ejus natura quærere quid sit effectum?
Quum enim constet inter omnes,omne officium munusque sapientiæ in hominis cultu
esse occu patum , alii ne me existimes contra Stoicos solum di cere, eas
sententias adferunt, ut summum bonum in eo genere ponant,quod sitextra nostram
potestatem,tam quam de inanimo aliquo loquantur, alii contra, quasi corpus
nullum sit hominis, ita præter animum nihil cu rant, quum præsertim ipse quoque
animus non inane nescio quid sit -- neque enim id possum intelligere -- , sed
in quodam genere corporis, ut ne is quidem virtute una contentus sit,sed
appetat vacuitatem doloris.Quam ob rem utrique idem faciunt, ut si lævam partem
negli gerent, dexteram tuerentur, aut ipsius animi, ut fecit Herillus,
cognitionem amplexarentur, actionem relinque rent. Eorum enim omnium , multa
prætermittentium , dum eligant aliquid,quod sequantur,quasi curta senten
tia.Atveroillaperfectaatqueplena eorum,quiquum de hominis summo bono quærerent,nullam
in eo neque animi neque corporis partem vacuam tutela reliquerunt.»
Questa bella dimostrazione, che il Kuehner annovera tra le dottrine interamente
proprie di Tullio (Part. V , cap. 2), e che trascorre con tanta signoria di sè
stessa dalle nature inferiori alle superiori, ponendo la legge che governa il
sapere a riscontro colla legge dell'uni 126 verso, mostra quanto
alto fosse pel filosofo romano il concetto della Scienza Prima,ed è uno
splendido testi monio della sua potenza speculativa e dell'universalità
dell'ingegno latino.Concepiva ilRomano lascienzacome un ripensamento della
natura, e la natura, considerata nell'ordine che la informa, era per lui
un'arcana ar monia d'attinenze ; talchè la scienza ei la immaginava come un
ripensamento delle naturali relazioni, che in tercedono tra i varj gradi della
vita nell'universo, tra le varie parti della natura fisica, intellettiva e
morale nell'uomo, e poi tra la natura e la speculazione, e tra la speculazione
e la vita civile. Filosofo vero è per lui chi ripete veracemente,tal quale
gliela diè la coscienza, quell'armonia di natura;filosofo falso o sofista chi
con fondendo o separando riesce a negarla. Quindi era sofista l'epicureo, che
meditando l'uomo solo nella parte più bassa di sua natura, e chiudendo gli
occhj davanti alla luce non estinguibile dell'intelletto, poneva nel piacere il
supremo dei beni ; era sofista Erillo che disconoscendo la libera attività del
volere, confinava la virtù nell'in tuizione inefficace e disamorata del vero scientifico;
ma non errava meno lo stoico, che pervenuto al concetto di virtù movendo dalle
naturali tendenze,a un tratto le a b bandonava per rifugiarsi in un ideale di
sapienza che alla natura dell'uomo contraddiceva.(Cap.XIII,XIV,e glialtri
sinoallafinedellibroIV;c.f.De legibus,I,C.XVI.) Considerata sotto questo
rispetto,l'idea altamente c o m prensiva,che Tullio s'era formata della scienza
morale, lo ravvicinava ai principj delle scuole socratiche.La ra gione parmi
assai chiara;poichè,posto una volta,com'è di fatto, la scienza non essere altro
che un fedele ripen samento dell'umano soggetto, e dall'ordine dei principj
intrinseci ad esso venire l'ordine esterno costitutivo del metodo dilei;ammesso
inoltre infilosofiailrinnovamento essenziale d'ogni riforma essere,come nelle
istituzioni ci vili, un ritorno verso i naturali principj dell'animo ; da ciò
consegue che la misura per determinare la bontà del m e t o d o d ' u n a s c u
o l a , e il s u o a v a n z a r e o a l l o n t a n a r s i d a l
l'istituto riformatore,sarà ilparagone tra la pienezza della forma scienziale e
l'integrità della materia esaminata; talchè, dato un degeneramento delle scuole
successive dal principale istitutore, chi prendesse a confutarle richia mandole
ad un esame più pieno dell'umana coscienza, s'incontrerebbe per via diretta
negl'intendimenti del ri formatore. Tale è il caso da noi esaminato rispetto al
filosofo latino. Il principio della morale delle scuole so cratiche è il
conosci te stesso. Ora è noto quale fosse la pienezza e la comprensione del
significato, che il filosofo ateniese dava a quel precetto in ogni parte della
filosofia, e come il sentimento della perfezione ideale, connaturato
all'ingegno greco, e reso più vivo dalle armonie pitta goriche,traesse lui,uomo
di smisurato intelletto, a im maginare la virtù costituita da un armonico
concorso delle facoltà umane fra loro e coi termini esterni, e a conce pire il
cittadino nell'ideale dell'uomo perfetto. Tale indirizzo dell'ingegno greco nei
principj costi tutivi della morale seguitarono Platone e Aristotele; ma l'uno,
giovane della fantasia e dell'affetto,e nato in una civiltà, giovane ancora, e
che serbava nell'evento delle istituzioni civili tutte le speranze d'un
avvenire glorioso, sebbene affermasse l'effettuamento del bene assoluto non p o
t e r s i d a r e q u a g g i ù , p e r c h è il b e n e a s s o l u t o è l '
e n t e i n finito, in sè e per sè sussistente,e partecipato solo im
perfettamente dalle cose finite, pure faceva consistere la virtù in un continuo
avvicinarsi dell'uomo a quell'esem plare immortale di perfezione, e riconosceva
nei beni ter reni un'effigie lontana e appena un'analogia della beati t u d i n
e e t e r n a ( Q u o i w s i s S e w . D e r e p . e T h e a e t . ). A r i s
t o t e l e , ingegno più virile e più temperato e ritraente dai tempi, in
cui,perduto il fatto delle libere istituzioni, se ne ve niva creando con
affetto maggiore la scienza, se rinvenne il perfetto della vita nell'intuizione
del vero specula tivo, si volgeva di preferenza alla pratica, e faceva del
pensiero un semplice avviamento all'azione,della politica la parte
principalissima della sua morale. 127 Il concetto del bene , rimasto
assai indeterminato nelle dottrine del figlio di Sofronisco, si
bipartisce dunque nel l'Accademia e nel Peripato ; Platone lo congiungeva alla
psicologia e alla dialettica ; Aristotele lo ravvicinava alla politica; con
che, si avverta bene, noi vogliamo solo far notare certa speciale prevalenza
nella forma scientifica delle due scuole, non già determinare una essenziale
diver sitàneifondamentidellamorale.Chèlapienezzadell'osser vazione interiore,
tanto raccomandata da Socrate, durava lungo tempo ancora nei successori
d'Aristotele e di Pla tone, e fu tra le cause principali ond'essi, concordi con
Zenone nel sostanziale del sistema, ne combatterono il metodo e il concetto del
bene supremo come un trali gnamento dalle dottrine dei loro istitutori. Da
queste considerazioni s'inferisce più cose.Primie ramente si comprende come il
pensiero dell'oratore latino s u l l a t e o r i c a d e l b e n e m o r a l e
, c o n s i d e r a t o s o t t o il r i s p e t t o semplicemente speculativo,
sia universale, comprensivo e di un importante valore scientifico, sia un
testimonio di più del suo risalire mediante un principio più alto e più
generale,non certamente partecipato dalle scuole negative e
sofistiche,aiverisupremicostituentilascienza.Da que ste considerazioni esce
anche nuova luce sull’intendimento a c u i m i r a il l i b r o D e f i n i b u
s . Q u e s t ' o p e r a è d i u n a s i n golare importanza per la storia
della scienza morale, e, a considerarla bene, si vede che Tullio a fin di
mostrare e chiarire la perfetta dottrina sulla natura del bene su premo , si
valse del metodo più famigliare a Socrate e a Platone, metodo che potrebbe
dirsi ab absurdis, assai usato nelle dimostrazioni dei problemi di Geometria
;pose cioè più concetti particolari e negativi del bene perfetto, e su via di
contradizione in contradizione si levò elimi nando, e integrando insieme, al
concetto più universale e più comprensivo. Per talmodo egli,imitando ilSocrate
del Convito, del Fedro e della Repubblica,addestrava il giovane ingegno latino
a scoprire nel particolare e nel mutabile delle opinioni l'idea universale che
signoreggia la scienza. Conforme a tal metodo, se egli nel primo e nel secondo
libro confutava Epicuro mostrando quant 128 fosse difettivo
il suo principio che ponera il bene ed il fine nel puro sentimento animale,e se
nel terzo e nel quarto esponendo e correggendo le dottrine del Portico
richiamava i filosofi a meditarne la parte imperfetta, cioè il prevalere
soverchio del principio spirituale e sog . gettivo nel concetto del bene;nel
quinto libro intro dusse a coronamento della morale ilsistema dell'Antica Accademia
e del Peripato. Questo libro è una sintesi di tutta quanta la scienza ; vi si
studia l'uomo dai primi rudimenti della vita vegetativa e animale su su fino
agli albori della vita intellettiva e morale ; vi si mostra come l'istinto
primitivo della conservazione esca in sentimento, il sentimento germini in
affetto,e quell'affetto,incerto e inconsaputo da prima, a poco a poco
coll'apprensione più viva di noi stessi e della differenza che ci distingue
dagli altrianimali,simuta inconoscimento;vis'insegna come debba la filosofia
tener conto nelle sue meditazioni di questa piega üei sentimenti animali e
spirituali, perchè le sono scala all'evidenza del vero che più tardi la ri
flessione esaminatrice coglie nei penetrali della coscienza . Invero quando io
leggo il trattato dei Fini non mi posso capacitare come vi siano stati alcuni
critici che han vo luto scoprire nel quinto e nel quarto libro, e nella con
ciliazione ivi proposta tra gli Stoici e l'Antica Accademia , non altro che un
misero tentativo dell'eclettismo latino; poichè (giova ripeterlo)mentre
investigava ilfine scientifi camente,Cicerone conciliava le scuole,ma
integrando col metodo dell'osservazione interiore; procedeva sì ravvici
nandoisistemide'filosofi,ma ilprincipiodellaloroarmo nia desumeva dall'esemplare
della natura, ch'è sistema immortale di Dio.(Vedi riassunto e citato
diligentemente ilDe finibus nella dissertazione già allegata di G. R.
Thorbecke,e inquelladelKuehner,Part.V,4,5,6,7, 8,9,18,19,20. Vedi pure per ciò
che risguarda ilconcetto di tutto il trattato l'importante dissertazione di G.
Carlo Hinkel :D e variis formis doctrine moralis Peripatetico rum usque ad
Ciceronem ,earumque cum cæterarum scho larum placitis comparatione.Marburgi
Cattorum, 1839). 129 9 130 Il concetto scientifico della
morale di Cicerone, quale noi l'abbiamo meditato sin qui,comprendendo nella sua
pienezza tutti i principj costitutivi di quella dottrina, e unificando in un
termine superiore,che era l'integrità del soggetto u m a n o , le contradizioni
parziali delle scuole, dà luogo a risolvere una delle più importanti questioni
mosse dagli storici sulla morale dell'oratore latino. I m perocchè ci spiega in
qual modo, concorde coll'antica Accademia e col Peripato nei principj supremi e
nel l'idea del bene e della virtù, quanto poi alle parti a c cessorie,che
avevan per fine determinare il contegno del saggio rispetto a sè stesso,e nelle
relazioni civili,egli se condasse talvolta gli Stoici la cui severità,
civilmente con siderata,glipareva un argine saldocontrolastraboccata corruttela
dei tempi. Procedendo con tal criterio, i libri attinenti a questa parte
soggettiva della morale appajono informati da un solo ed unico disegno di
scienza,e ven gono distribuiti per classi in ordine al metodo e agli in
tendimenti. Infatti dall'opera dei Fini, la quale tiene la parte suprema
dell'Etica, ch'io chiamai soggettiva, e discorre del bene e della vita con fine
immediatamente scientifico, scendono conforme a questo principio le Q u e
stioni Tusculane, e il libro dei Paradossi.Manifestano un fine positivo o
d'applicazione e un esercizio di metodo le dispute Tusculane,dove in mezzo ai
precetti stoici,esposti nella maggior parte dell'opera, traluce l'intendimento
di offrire, in tanta corruttela delle pubbliche istituzioni e dei costumi
romani,un alto esemplare del saggio,capace di volgere le menti a studj più
generosi ; e divisa la filosofia in più questioni (loca),si prende in ciascuna
a ribattere le istanze proposte col metodo della Nuova Accademia . Poi un
semplice esercizio di metodo forense rivelano i Paradossi, nei quali Tullio
poco dopo la morte di Catone Uticense prese a lodare secondo i principj stoici
le virtù dell'amico, e mostrò agli studiosi dell'eloquenza come qualunque
soggetto di filosofia, il più remoto dalle opi nioni volgari,si porgesse ad un
utile esperimento dell'in gegno oratorio. « Ego vero (così egli dice nel
Proemio) 131 illa ipsa quæ vix in gymnasiis et in otio Stoici
probant, ludens conieci in communes locos.» 3. Insino a questo punto, esponendo
fedelmente l'in dirizzo delle indagini speculative di Cicerone nella con
troversia intorno al bene supremo,noi paragonammo volta per volta le sue
opinioni coi principali sistemi contem poranei. Da quindi innanzi procederemo
con metodo di verso e più spedito, giunti a parlare di quella parte della sua
filosofia, dove egli si avvenne a minori opposizioni,e dove la sua riflessione
era soccorsa più largamente dalle idee nazionali e dai principj del Diritto
romano. mente la parte soggettiva della morale,che,come vedem il fine
dell'operare affetti e nel più intimo della coscienza mo sinqui,indaga umani ,
e col riscontro di Tullio non lieve di veri incer avvalorata indubitabili tezza
alla riflessione più che altrove cadendo l'indagine affettuosa dell'essere mai
dalla scienza, potea far velo al giudizio; separabile o perchè la discordia
senza metodo più ragione i problemi e le controversie .Ma con si governa sicuro
, e con più evidenti da sottili argomenti , offriva ai tempi esaminatrice
.Forse perchè in quella oggettiva della nella quale egli,esaminate
tendenze,el'istinto filosofale sulla umano,ilfomite delle sette vi avea
moltiplicati principj morale di Cicerone la parte , ossia quella parte le
naturali felicità, e ciò che per rispetto del della l'adempimento bene e alla
suprema universale della legge e del dovere. E proprio feconda speculazione va
dal soggetto all'oggetto dall'esame e conoscitive eterni, tanto più , come chi
senta del fine, si leva al concetto idealità anche in , che quanto più il
nostro questo è im fatto notevole ,trascende minuto delle potenze affettive
alla contemplazione per la via della scienza degli intelligibili animoso
procede della valle a una alleggerirsi vista interminata il respiro uscendo dal
basso teorica della della filosofia di pianure e di mari. La e del dovere è
dunque il fondamento legge civile di M. Tullio ; e certo a questa chiarezza dei
sommi parte più delle passioni,non E vera degli ,perquanto nella piega a noi
costituisce tempi di pensiero il sensibile,e passa 132 principj morali
da cui ella è desunta,e dove il pensiero del filosofo latino si ferma per
rinvenire le armonie più remote della scienza morale colle dottrine dello stato
e della vita politica, conviene attribuire quella pienezza di speculazioni
largamente intrecciate all'esame del mondo e dell'animo umano,onde il libro
delle Leggi riassumendo le teoriche civili,si rannoda da un lato col dialogo
dei Fini e coll’Etica soggettiva,e dall'altro cogli Officj e col libro della
Repubblica. Talchè, a voler direpienamente il pen siero del filosofo romano,
tutta la scienza morale sì del l'individuo come dell'umana famiglia, e la
filosofia civile nelle sue più remote congiunzioni colle altre dottrine,
muovono, come due maestose riviere di fiumi perenni, da quel fonte immutabile,
che è il concetto della eterna legge . Le dottrine della filosofia civile di
Cicerone furono da molti anni soggetto di lunghe e diligenti ricerche in
Germania, in Inghilterra ed in Francia, tanto che su questa più che sopra
qualunque altra parte delle sue opere forniscono le biblioteche copiosa materia
di lavori storici, critici e dottrinali agli studj dei commentatori e dei filo
sofi.La quale abbondanza di ricerche sulle dottrine posi
tivedelfilosofolatinoprovennealcerto,cosìdaunatalquale novità e armonia di
disegno scientifico che egli dava ai suoi studj sulla filosofia civile,
applicandovi l'esempio di R o m a e i larghi principj della Giurisprudenza e
del d i ritto latino;come da quell'opinione invalsa universalmente tra i dotti
ch'egli avesse un ingegno più fecondo nel l'applicare che nel trovare,più
acconcio ad esporre i pre cetti della scienza che a fondarne i principj per via
di rigorose indagini speculative. M a niente è più contrario a questa opinione
quanto un severo esame del libro De legibus. Meditando con attenzione questo
dialogo,uno dei più eloquenti che mai uscissero dalla fantasia largamente
inventiva del nostro filosofo, ti accorgi tosto essersi in gannati a partito
coloro i quali sull'autorità di alcune poche parole di lui nel cap. VI : «
quoniam in populari ratione omnis nostra versatur oratio,populariter
interduin loqui necesse erit », vollero indurre doversi annoverare
questo trattato fra i libri mancanti di vera speculazione scientifica, e volti
ad un fine semplicemente pratico popolare.Ora per risolvere una siffatta
questione, non certo di poca importanza nella critica della morale di Cicerone,
e risguardante quei principj che ne collegano le varie parti in u n disegno
ordinato di scienza , io distinguo nel libro De legibus due rispetti parimente
importanti in cui può essere considerato:un rispetto istorico, o giu ridico, e
un rispetto semplicemente speculativo. E a par lare innanzi tutto del primo,
non debbo lasciare indietro come dal 490,età della prima guerra cartaginese, al
628, anno della distruzione di Numanzia, mentre gran parte all'oriente e
all'occidente d'Europa, e l'Africa stessa venivano in potere dei Romani, la
repubblica (come dice il Forti) rapidamente si corrompesse.S'indeboliva a poco
a poco l'ordine delle famiglie, si mutava la moderazione in crudeltà e
capriccio, l'ossequio e l'ubbidienza in vile condiscendenza ai vizj con animo
rivolto a sciogliersi dai legami della famiglia, perdera forza la religione del
giu ramento ; nel VI secolo frequenti i privilegj, caduta in discredito l'autorità
sacerdotale, frequenti le prorogazioni degl'imperj; indi a grado a grado
cessava Roma dal l'avere una costituzione fissa e un prudente consiglio che la
dirigesse, e s'avviava all'anarchia popolare. Di queste condizioni civili,che
rendevano sempre più facile il vivere sciolto da ogni legge morale, dovea
risentirsi la disci plina del dritto. La quale nata da una viva disposizione
dell'ingegno latino a ricercare la suprema legge del vero nella moralità delle
azioni, e guidata dalla sublime idea del giure che G. B. Vico riconobbe nel
linguaggio dei primitivi italiani , si perfezionava tra il sesto secolo e il
settimo a causa del bisogno vivamente sentito di ridurre le consuetudini a
leggi scritte, per l'uso delle lettere greche, per lo studio dell'antichità
necessario alla notizia delle leggi,e per l'efficacia della morale stoica.Va
frat tanto la sparsa materia del diritto romano non si ordi nava in forma di
scienza ; non già che molte massime 133 134 generali delle
XII tavole e dei pretori non fossero d e sunte dall'intimo della filosofia, e
che l'applicazione e lo svolgimento delle dottrine non desse impulso efficace
al l'ingegno speculativo de'Giureconsulti.Vi s'opponeva un difetto,antico nella
costituzione romana,percuicadendo in dissuetudine le leggi, spesso occorreva di
rinnovarle, l'autorità troppo larga dei legislatori, onde, al dire di Cicerone,
si studiavano piuttosto gli editti del Pretore e le opere dei Giureconsulti,
che il testo delle XII tavole, e poi il moltiplicare delle massime e delle
questioni per cui avveniva che la scienza, anzichè ordinarsi a sistema con
universalità di disegno, si veniva soltanto applicando gradatamente ai bisogni
civili. M a verso la metà del settimo secolo,quello stesso in cui Cicerone
scriveva la Topica,eaRoma epertuttoildominiodellarepubblica s'era da un pezzo
largamente propagato lo studio della filosofia e delle lettere greche,l'ingegno
romano già esperto nell'esercizio della logica, e maturo all'abito della rifles
sione interiore, cominciò a dare forma più rigorosa di scienza alle discipline
del giure. Uno di coloro che più vi si volse, e che, per testimonianza di
Cicerone,vi recò un vero abito del raziocinio nutrito da studj profondi di
filosofia, fu il giureconsulto Servio Sulpicio,di cui si parla con molte lodi
nel libro De claris oratoribus (XLI); e dopo lui il nostro filosofo, al quale
chi legga il libro delle Leggi non può negare il merito insigne di avere
meditato una riforma del giure, desumendone l'origine,come dice egli stesso,
dall'intimo della filosofia, e tentato un codice del diritto pubblico per
sopperire al bisogno,allora viva mente sentito,di ridurre a principj universali
e a dise gno ordinato le sparse discipline del Diritto romano. (Libro I, e
sey.) Ma questo stesso proporsi una riforma del giure e meditarne l'ordinamento
scienziale, chi non vede ch'era già nella mente del nostro filosofo un naturale
appa recchio all'indagine speculativa dei principj morali ? L'oratore latino a
cercare che cosa è legge, mosse,come i giureconsulti odierni, dalla
considerazione di due rispetti nei quali la legge può meditarsi,
cioè in quanto ella esiste nel fatto come regola coattiva delle azioni, ovvero
in quanto ha una ragione d'esistere,o vogliam dire una origine razionale
(Forti). Ei risguardò di preferenza il secondo rispetto, e cercando nella sua
definizione l'ottimo ideale, « si rifece da un gius naturale anteriore alle
leggi, variabili secondo il volere dei legislatori,norma razionale al paragone
della quale si potesse distinguere la legge buona dalla cattiva, che in
sostanza è una violazione del giusto sostenuta dalle forze della società.
Questo termine di confronto delle leggi civili lo ravvisava nella legge di
natura,ossia nella somma ragione dell'economia che gli dèi, signori
dell'universo, avean posta nel governo delle coseumane.Da
questofontederivavalagiustiziaassoluta ed eterna, che definisce il bene ed il
male indipendente mente dagli stabilimenti sociali e dalle opinioni degli u o
mini.Idea di assoluta giustizia,che,come Cicerone avverte egregiamente, non può
star separata dalla credenza reli giosa in un supremo legislatore cui sia a
cuore il bene e l'avanzamento dell'umanità. I comandi e le proibizioni di
questa legge suprema sono noti agli uomini, secondo Cicerone,per natural lume
di ragione, solchè essi vogliano esaminare se stessi e consultare la coscienza.
Laonde è da considerare sapientissimo il detto dell'antico savio, c h e p o n e
v a a f o n d a m e n t o d i s a p i e n z a il c o n o s c e r s è s t e s s
o . Conoscendo sè stesso, l'uomo vede di essere naturalmente socievole,e va
persuaso che la società è uno stato neces sario al genere umano.Vede eziandio
che gli uomini tutti fanno una sola famiglia, che ha un padre e regolatore
comune,che tutti ama ugualmente e gliobbliga a vicen devoli uffizj. » Francesco
Forti, nome caro alle lettere e alla giurisprudenza toscana,così riassumeva nel
I libro delle sue Istituzioni civili le dottrine del dialogo sulle Leggi ; ed
io lo citai augurando che per suo esempio il trattato insigne del filosofo latino
porgesse materia di larghe e fruttifere meditazioni agli studiosi del Diritto.
Tra le cause adunque che dettarono a Cicerone il dialogo delle Leggi, sono in
primo luogo da annoverarsi 135 136 l'incertezza del vero
senso del giure per la moltiplicità delle massime,deglieditti,delle
leggi,degl'interpretanti, onde spesso si perdeva il significato filosofico e
morale nella aridità delle formule, ed era opera di scienza vera e fruttuosa il
ricondurvi le umane menti ;poi una ragione politica che voleva richiamate ai
principj morali le libere istituzioni;ed infine un contrasto alle scuole
greche, e specialmente alla Nuova Accademia,la cui dottrina po teva riuscir
fatale all'Etica e alla Giurisprudenza, fon data com'era,non già
sull'osservazione interiore o sopra un vero criterio scientifico, m a sui
deboli artifizj della dialettica e del sofisma (Lib. I, c. IV, e XIII). Ora si
consideri bene come ilnotare diligentemente questo con trasto del filosofo
latino colle scuole negative degli asso luti principj morali,ci mena a poco a
poco a scoprire la parte altamente speculativa delle sue indagini intorno alle
leggi,la quale dobbiam confessare avere sin qui assai poco considerata i
critici e i commentatori. Eppure ogni età della storia (e lo notammo più
innanzi) ci porge ampie e innegabili testimonianze di questo tornare della
riflessione all'esame della legge morale e della genesi dei sommi principj che
ne derivano, e si manifestano all'intelletto fecondi d'innumerevoli attinenze
con qua lunque parte dello scibile umano,ogni volta che le dot trine dei
sofisti pullulate dalla profonda corruzione civile e dall'intepidire del senso
morale , ponevano il bene ed il giusto nell'attraimento degli istinti animali,
e nel l'esca dell'interesse. In quei tempi di grandi sventure private e
pubbliche, massima delle quali è per certo il dilungarsi degli ordini civili
dalla notizia dei sommi prin cipj,gl'intelletti più alti,nutriti nella
meditazione e negli studj dell'antichità, mossero la riforma morale da quella
relazione chiarissima e primitiva che intercede tra l'in telletto e l'assoluto,
e si manifesta nell'energia dell'im perativo morale.Questo intendimento di
opporsi allo scet ticismo coll'esame della realità oggettiva del supremo
concetto di legge,è manifesto nelle teoriche del Vico,è m a nifestissimo in
quelle degli Scozzesi,e dettò le pagine più 137 eloquenti di quel
famoso libro che s'intitola dalla Ragione pratica,sebbene l'affermare,come
essofa,chelamia ra gione è un che d'imperativo, che la mia volontà vi si sente
soggetta, e che quindi m'accorgo che quell'impero è universale e viene da Dio
legislatore,creatore e prov vidente, sia pronunciato assolutamente contrario al
si stema della scuola critica e alle dottrine del filosofo di Conisberga. M a
poichè in questo luogo facemmo espressa menzione del libro della Ragione
pratica,vogliamo invitare inostri lettori a seguirci in un paragone per certo
singolare e inaspettato delle dottrine di due differentissimi ingegni. Il
filosofo di Conisberga, abbeverato alle dottrine del C a r tesio, e seguace,
benchè inconsapevole, dello scetticismo d i D a v i d H u m e , il K a n t c h
e n a c q u e il 1 7 2 4 , e v i d e n e l l a seconda metà del secolo XVIII i
primi baleni di quella filosofia, onde più tardi sfolgorava la rivoluzione fran
cese, ammise a fondamento del suo sistema l'assoluta impossibilità di
trapassare dal soggetto all'oggetto, rap presentando il pensiero racchiuso in
sè stesso e pensante le cose con proprie forme o categorie. La qual dottrina,
oltre al contraddire, come fa, alla natura del pensiero e all'evidenza
immediata della percezione,e porre il filo sofo nell'assoluta impossibilità di
edificare la scienza nel tempo stesso ch'egli sipropone ilproblema,se lascienza
è possibile, distrugge ogni certezza morale, e vieta alla mente di aggiungere
mai colla riflessione scientifica l'ori gine vera della legislazione assoluta.
« Pel Kant (osserva giustamente il Mamiani) l'anima è onninamente legisla trice
di sè medesima e crea l'assoluto dovere,crea,dico, non meno di un assoluto; e
quella forza invincibile di approvare o di biasimare è pur fattura dell'anima,
onde ella identicamente e simultaneamente è comando e obbe dienza, è autorità
ed obbligazione, è diritto e dovere, è attiva e passiva, è finita e infinita
(perchè ogni assoluto vero è infinito), e rimordesi talvolta amarissimamente
delle azioni contrarie all'imperativo di cui ella stessa è autrice spontanea
..... Cotal dovere e cotale legislazione as soluta che emerge
tutta ed unicamente dall'umano sub bietto,appare nel Kant (se è lecito
dirlo)più contradit toria assai che negli Stoici antichi e nei moderni
panteisti germanici.Imperocchè appo entrambe le scuole la volontà e libertà
umana si sustanzia in ultimo con la divina e assoluta. Quindi nelle loro
dottrine morali ricomparisce la contradizione perpetua d'identificare azione e
passione, finito e infinito e così proseguì;ma non vi si dee ravvi sare cotesta
forma particolare di ripugnanza tanto più deplorevole quanto la scienza morale
à un carattere sacro e interessa il genere umano e la vita civile più che altra
disciplina quale che sia. » (Confessioni, V. I, Lib. II, pag.294,95.) Tale è
pertanto la differenza notevole che corre tra le contradizioni morali del Kant
e quelle del nostro filo sofo. Già vedemmo parlando delle dottrine sulla natura
come da parecchj luoghi dei suoi trattati apparisca assai chiaro ch'egli,
seguace del semipanteismo platonico e stoico,faceva consustanziali l'intelletto
umano eildivino; la qual dottrina applicata nel dialogo delle Leggi avrebbe
dovuto condurlo per legittima illazione a identificare la natura infinita del
precetto morale colla ragione finita dell'uomo.Ora una volta ammessa questa
dottrina,come mai poteva dedurne il filosofo l'azione trascendente e as soluta
dell'imperativo morale sull'anima nostra? Come concluderne che la ragione
perfetta, in quanto risplende dell'assoluto concetto del bene, s'impone alla
mente e prende natura di legge? E d'altra parte è chiaro a chi sia
mediocremente versato nella storia della nostra scienza c h e l ' o r a t o r e
r o m a n o , il q u a l e r i f i u t a n e l l i b r o D e f i n i b u s la
parte soggettiva della morale del Portico,come il su perbo concetto del
perfezionamento umano ,l'indifferenza ai beni esteriori e l'eguaglianza delle
imputazioni, qui nel dialogo delle Leggi ne accettò pienamente la parte
oggettiva, vo'dire l'idea della legge eterna e i concetti dell'obbligazione e
della città universale. Tale repu gnanza del semipanteismo platonico e stoico
accoltoda Cicerone coll’autonomia dell'umano arbitrio, e coll'effi
138 Veramente non è ben chiaro se Cicerone si facesse mai tal
domanda; ma , a dirla breve e come io la penso, il sentimento più naturale e
spontaneo ch'io ritrassi dalla prima lettera del libro D e legibus, fu una
ferma opinione che il filosofo latino movendo dalla indagine sul concetto di
legge,soccorso dalle tradizioni del diritto romano, d o vesse riuscire a
rappresentarsi quell'azione trascendente della legge morale sull'animo nostro
siccome derivata dall'intima natura di un assoluto,distinto dalla ragione
dell'uomo e a lei superiore. Argomento valevole assai per confermarmi in tale
giudizio,è l'altezza a cui poggia l'indagine speculativa di Tullio,che
allontanatosi dal l'esame particolare e sottile delle scuole antecedenti e
contemporanee, e dalla parte soggettiva della stessa d o t trina
stoica,riordinava la scienza tutta al lume dei sommi principj,più tardi usciti
a fondamento della sapienza cristiana. 139 cacia trascendente di quella
virtù onde si genera in noi l'obbligazione morale, involge un importante
quesito di storia della filosofia. Nel quale si domanda, se il filosofo latino
propose giammai nettamente innanzi all'esame della sua riflessione questa
controversia da cui dipende il principio costitutivo dell'obbligazione e del
bene m o rale; e se chiese a sè stesso come potessero mai conci liarsi
l'identità di natura tra l'intelletto divino e l'intel letto dell'uomo con quel
sentimento di soggezione assoluta che in noi s'accompagna all'impero della
legge morale. Un'altra prova di non lieve importanza è altresì la dif ferenza
notevole che corre tra i libri fisici e morali del filo sofonostro.In
quellieglidubitailpiùdellevolte,e,meno che nei principj fondamentali,segue
irresoluto leforme della Nuova Accademia;neilibrimorali partuttoun altr'uomo, e
le sue conclusioni rivelano sempre una maravigliosa armonia del sentimento
colla riflessione speculativa. A l tresì non v'è dubbio alcuno che i concetti
correlativi di Dio e dell'anima umana e del libero arbitrio,assai inde terminati
nel De natura deorum,nelle Tuscolane, nel Sogno di Scipione e negli Accademici
primi,qui nel libro 140 delle Leggi profilano più nettamente le
loro fattezze,e ne discende ordinata e architettata nelle sue verità uni
versali tutta quanta la scienza.Il concetto di Dio sopra ogni altro giunge in
questo libro ad un'altezza scono sciuta alla maggior parte dei filosofi
antichi.Egli è rap presentato al lume delle tradizioni romane come inente
eterna ed eccelsa che tuttoprovvede,che a tutto impera,e veste idue caratteri
dell'arbitrio e dellam o ralità, che, al dir del Gioberti, ne costituiscono le
origi nalifattezze.L'indaginetullianadellaleggesuprema pa lesa poi,per mio
avviso,un vigore non ordinario d'ingegno speculativo.Posta a capo di tutto
ilragionamento lano zione di legge universale come un riscontro delle leggi
particolari e una misura intelligibile a cui ricorrendo si potesse apprezzare
l'essenza delle cose giuste od ingiuste, tal nozione presentava in sè due
rispetti intimi ambedue eambeduenecessarj.Lapoteviconsiderarecome idealità
suprema,come infinitagiustiziaonde ilgiusto sipartecipa, benchè
imperfettamente, alle cose finite, e come primo assoluto ed universale, che
volgendo le menti alla comune dispensazione del bene porgesse quasi l'unità morale
del l'umana famiglia. Considerata nel primo rispetto, la n o zione di legge si
offriva alla mente del filosofo latino come idealità suprema e assoluta,e come
un intelligibile primo che rappresentando ilperfetto nell'ordine della ra gione
le si imponeva come regola dell'operare.Egli dunque concepiva quella nozione
come un vivo riverbero dell'as soluto, e poichè l'assoluto è divino, e la sua
idea si palesa partecipata come luce dall'alto nella perfetta ragione
dell'uomo, unico di tutti gli animali che abbia innata nell'animo la notizia di
Dio, quell'idea gli parve una partecipazione segreta ed arcana dell'assoluto
nell'umano intelletto. Udiamo le sue parole: « Est quidem vera lex recta
ratio,naturæ congruens,diffusa in omnes,constans, sempiterna, quæ vocet ad
officium jubendo, vetando a fraude deterreat, quæ tamen neque probos frustra
jubet aut vetat nec improbos jubendo aut vetando movet.Huic legi nec abrogari
fas est neque derogare ex hac aliquid una licet neque tota
abrogari potest,nec vero aut per senatum aut per populum
solvihaclegepossumus,neque estquæ rendus explanator aut interpres ejus
alius,nec erit alia lex Romæ , alia Athenis, alia nunc, alia posthac, sed et
omnes gentes et omni tempore una lex et sempiterna et immutabilis continebit
unusque erit communis quasi m a gisteretimperatoromnium
deus:illelegishujusinventor, disceptator, lator, cui qui non parebit, ipse se
fugiet ac naturam hominis aspernatus hoc ipso luet maximas p æ nas,etiam si
cætera supplicia, quæ putantur, effugerit.» (Cic.,lib.III,De
Repub.,XXII,33,riportatoda Lattanzio
Instit.div.,1.VI,cap.8.)Stupendadefinizioneèquestadel principio regolatore
degli atti umani,e tale da mostrare una volta per sempre che qualcosa più di
una semplice continuazione delle scuole greche s'acchiudeva nei prin cipj
dell'Etica romana . Vi s'acchiudeva la speranza e la promessa immortale del
Cristianesimo! Considerato al lume di questi principj, il dialogo delle Leggi
ci si offre come una sintesi vasta di tutta la scienza. Una volta posto con
tanta chiarezza ilconcetto di legge nella cima dell'umana ragione,e l'umana
ragione stretta da un legame arcano d'attinenza coll'assoluto, se ne chiariva
alla mente del nostro filosofo la nozione di Dio e quella dell'uomo e
dell'universo, e il fondamento primo dei doveri civili. La causa di tutto ciò
era per fermo nel l'intima natura del metodo di lui,ilquale movendo dalla
coscienza morale e dal vivo sentimento dell'obbligazione, coglieva nel suo
stesso principio la più ampia e la più feconda di tutte le armonie scientifiche
; siccome quella in cui soggetto e oggetto si trovano unificati in un ter mine
superiore e trascendente,onde poi si diparte,come da unico centro, l'ordine
universale delle idee e quello dei fatti.La qual cosa non accade per certo
nella ragione informatrice del sistema di Emanuele Kant, e degli altri critici
e razionalisti moderni. In tali sistemi il pensiero (per valerci delle loro
stesse parole) non esce mai da se stesso,non coglie la realità viva e concreta
che è pre sente all'intuito, nè anche, dico, in questa parte della 141
- filosofia de'costumi, dove la mente afferma ogni volta per
ingenita necessità di natura l'indipendenza del pre cetto morale assoluto
dall'atto informatore del nostro spirito. Non ha dunque la filosofia soggettiva
un punto stabile e fermo in cui getti le prime fondamenta dell’edi
fiziomorale,eillegameintimodeipensierichene con nette le parti, non avendo
corrispondenza nella realità obbiettiva dei sommi principj,dee riuscire per
necessità fenomenico, relativo e contingente. Eppure, come ben nota il
Gioberti,vano è il voler riformare la dottrina del Buono senza risalire ai
principj, che è quanto dire, senza considerarla come una scienza
seconda,fondata sui canoni della scienza prima. (Del Buono,cap.III.) Questa
nobile impresa, degna di un condiscepolo dei Giureconsulti romani, fu tentata
dall'Autore del dialogo delle Leggi. L'esame della sua dottrina,solo che
illettore se lo riduca per poco al pensiero, ci ha mostrato assai largamente
che il metodo Socratico dell'osservazione in teriore lo condusse nei libri
fisici e logici ad accettare il conoscimento come un dato legittimo della
scienza,e nella disputa contro gli Stoici intorno al fine quel metodo istesso
lo avvertiva doversi trovare la ragione constitutrice del bene per rispetto
all'uomo nell'indagine piena dell'umano soggetto. Da questa cognizione
dell'animo si levava il Romano per l'evidenza dei comandi morali alla notizia
più perfetta di Dio,e lo concepiva come mente e ragione infinita in cui posa
l'idea della legge eterna, di questa legge obbiettiva,immutabile,
necessaria,anteriore a tutte le leggi civili, più antica d'ogni città e d'ogni
gente, e coevaa quel Dio che governa laterraedilcielo.Da Dio è disceso l'uomo;
egli uscito nel mondo ultimo degli ani mali, allorchè la natura fu disposta ad
accoglierlo,benchè mortale nelle altre parti dell'esser suo,nell'animo è ge
nerato da Dio.Egli solo quindi tra tutti gli animali ha notizia del Creatore,
solo è capace di virtù, e può valersi in suo servigio dei frutti della terra, e
inventò per a m maestramento della natura innumerevoli arti che imitate poi
dalla ragione gli procacciarono le cose necessarie alla 142
vita. L'uomo dunque è primitivamente simile a Dio ;simi litudine che può
vedersi dal fine a che la natura stessa lo destinava, e dai mezzi che gli diede
a conseguire quel fine; conciossiachè prima ordinò la intera costituzione del
mondo in suo beneficio, e all'uomo stesso diede conosci mento veloce, e del
conoscimento ministri e satelliti i sensi,e gl'impresse nell'intelletto certe
oscure nozioni di cose innumerevoli che furono in qualche modo fonda mento
allascienza:Diede anche all'uomo forma dimembra acconce a significarne la
natura intellettuale;poichè,mentre gli altri animali fece inchini alla terra
per l'uso del pasto, il solo uomo rivolse al cielo quasi alla contemplazione
del l'antica sua patria, e ne atteggiò il volto per modo che vi si leggesse
profondamente scolpita l'effigie dell'animo. 143 Sarebbe lungo il seguire
M. Tullio in questa larga deduzione dei veri morali e psicologici ch'egli
trasse dal concetto di legge. Basti per noi l'osservare che son belle e vere
dottrine, più tardi ripetute dai Padri e dai Dottori e dalle recenti scuole
italiane,l'autorità assoluta dell'im perativo morale,la sua attinenza con Dio
provvidente, l'idea dell'imputazione e dell'atto umano, e finalmente quella
grande città in cui l'ordine mondano e sopram mondano si congiungono insieme
nella universale comu nione degli spiriti eterni. (De leg., lib. I.) Esaminata
la legge nel suo primo rispetto,vale a dire in quanto essa è
obbiettiva,necessaria,immutabile, eterna, il filosofo latino passa a
considerarla come un principio universale, che si dispiega al di fuori di sè
stesso in un ordine di relazioni,ed è norma comune dell'operare agli umani
intelletti. E qui egli veniva cercando la comunità del concetto di legge nella
somiglianza di natura intel lettuale, onde avviene che a significare tutta
quanta la umana specie vale una sola definizione,e principio del consorzio
civile è la comune e vicendevole partecipazione del giure. « Non est enim (egli
diceva) singulare nec solivagum genus humanum .» Quindi esce altresì nel primo
della Repubblica la bella definizione della città, fonda mento alle sue
dottrine politiche: « est igitur respublica 144 Il cardine della
morale di Cicerone posa dunque m a n i festamente in questa dottrina delle
Leggi, il cui merito insigne si è di avere volto le sparse discipline del
diritto romano contemporaneo ad un ordinamento più razionale, e fondata la
metafisica e la filosofia civile sopra principj assoluti di scienza. Questo
intendimento del nostro ora tore è tanto più manifesto,in quanto che egli,dopo
spie gata per ordine la dottrina della legge suprema, assume nel primo libro la
questione più tardi agitata nel De finibus, e contro le dottrine di coloro che
il buono misu ravano dall'utile, si distende a provare la virtù sola d e
siderabile per sè stessa, e l'efficacia del buono venire dalla natura anzichè
dalle mutabili opinioni. (XVII, X V I I I , X I X .) L a q u a l c o s a , m e
n t r e è u n a p r o v a d i p i ù per mostrare come l’oratore-filosofo dai
punti capitalis simi della morale, scendesse con unità di concetto alle più
remote applicazioni, prende in fallo quei critici che supposero di fresco avere
Cicerone abbandonato improv visamente la dottrina dell'Antica Accademia sulla
legge naturale per accettare il metodo peripatetico nel suo più recente
trattato dei Beni. M a innanzi tutto noi d o m a n diamo a quei critici come
mai,se Tullio si ribellò più tardi alla ragione informatrice delle dottrine
platoniche, qui nel libro delle Leggi espone con fronte sicura la stessa
teorica trattata nei Fini ? In secondo luogo, fra le due opere v'è certo
diversità nella ragione del metodo esterno (procedendosi deduttivamente nel
libro delle Leggi, e induttivamente nel libro dei Fini), ma la diversità non
involge alcuna contradizione; poichè nel trattato dei Beni, quando esaminava
quella controversia da parte dell'umano res populi; populus autem non
omnis hominum quoquo modo congregatus, sed cætus multitudinis juris consensu et
utilitatis communione sociatus,» dove egli af ferma ilnesso primitivo tra il
diritto naturale e ildiritto delle genti, e contro Platone che attribuiva
l'origine del consorzio umano alla debolezza degl'individui,riconosce invece
quell'origine nella comunità di una legge assoluta e soprammondana. cætus 1
! soggetto, affermò nella vita presente non pervenire l'uomo al
compiuto adempimento del fine se non svolgendo e perfezionando ogni parte
integrale di sua natura,laddove qui nelle Leggi salito ad un concetto più
universale, m e ditò oggettivamente l'idea del buono e dell'obbligazione,
riconoscendovi un'assoluta efficacia indipendente dall'atto dello spirito
umano.Così da questi due larghissimi aspetti in cui può essere meditata la
materia della scienza m o rale, e dove all'intelletto del filosofo appajono
congiunti l'assoluto e il relativo, il contingente e il necessario, l'anima e
Dio,deriva secondo la mente di Cicerone, il vero e più ampio concetto della
dottrina sul buono. 4. La diligente esposizione impresa da noi degli scritti
del filosofo latino ci ha condotti,come avranno osservato i lettori, a
trattenerci alquanto intorno alla parte specu lativa delle sue dottrine morali,
e segnatamente intorno ai due trattati De finibus e De legibus. La qual cosa
abbiamo fatta coll'intendimento di porre innanzi agli occhi degli studiosi i
principj fondamentali e il disegno scien tifico dell'Etica latina,esposta da
Cicerone,sembrandoci che questo esame fosse stato assai leggermente condotto
sin qui dai critici precedenti, i quali o tenerano Cicerone in luogo di un
eclettico e di un moralista positivo e spe rimentale, o non facendo professione
di filosofi, conside ravano nei suoi trattati meglio la parte istorica e lette
raria che l'intimo nesso e il metodo speculativo delle dottrine.Eppure convien
confessarlo) questa critica preoc cupata e parziale è sommamente contraria alla
giusta estimazione dei libri speculativi di Tullio.Per essa avviene che i
principj e la unità delle sue dottrine morali ci ri mane ignota per sempre ; ci
sfuggono le più alte indu zioni che il grande oratore e i Giureconsulti
adoperarono intorno ai pronunciati del senso comune,e riesce un fatto senza
ragione alcuna quell'ampia utilità applicativa del l'Etica romana,da tutti
riconosciuta,se il filosofo morale non ne rintraccia i principj nelle
speculazioni più remote intorno al vero ed al buono. 145 10 Premesse
queste osservazioni, veniamo ora alla parte positiva dell’Etica tulliana,
nella quale ci terremo più brevi secondo è richiesto dalla natura
principalmente fi losofica di questo scritto. L'indagine che si contiene nel
primo libro delle Leggi, porge naturalmente il passaggio dai supremi principj
speculativi alle dottrine pratiche della morale, pel con cetto d'obbligazione e
di vicendevole comunanza del giure, onde il libero arbitrio sperimentando in sè
l'efficacia trascendente del precetto morale, e riconoscendovi un impero
incondizionato che si dilata nell'universalità del l'umana famiglia, si sente
stretto all'osservanza degli officj religiosi, individuali e civili. Officio
dunque (così lo domandavano le scuole socratiche) è illibero conformarsi della
virtù all'impero della legge morale. E importa assai determinare il significato
scientifico della parola, perchè si capisca come la teorica dell'officio che ha
tanta parte nel sistema del Portico,mentre discende immediatamente da quella
del dovere (considerato nella sua genesi razio nale),ha poi certi suoi
peculiari rapporti che la connet tono colla parte più positiva della scienza
morale. Due specie d'officio distinguevano gli Stoici.L'officio retto o
perfetto (29Tóptospa, zadrzov téheLov) che cade uni camente nel saggio,o in
colui che abbia ottenuto l'ultimo grado del perfezionamento morale ;e l'officio
comune,o m e dio (2997zov uésov),che era un ordinario conformarsi della virtù
agli obblighi della vita privata e civile,o,come direbbesi oggi popolarmente,un
fare da persona dab bene. Ora insorse controversia tra i critici, se Cicerone
nel suo trattato, da tanti anni notissimo nelle scuole, de finisse
scientificamente l'officio.IlManuzio eilFacciolati difesero Cicerone ; il Lilie
con altri più antichi, citati dal Kuehner, giudicò veramente omessa quella
definizione; mentre il Binkes,il Kuehner e ilGrysar avvisavano avere Cicerone
definito soltanto l'officio medio, di cui prese a trattare espressamente nel
suo libro,in quelle parole del capitoloIII,1.I:«medium officiumidesse,quodcur
factum sit ratio probabilis reddi possit. » (Vedi Lilie, Comment.de
Stoic.doctrin.mor.ad Cic.libr.De off.,1, 146 147
p.30;Kuehner,p.237;Fran.Binkes,Responsio ad quæst. juridicam etc., Franeq.,
1818, pag. 11; Prolegomena ad Cic.libr.De Off.scripsit,C.I.Grysar,Köln,1844,
pag.33.) Questa opinione dei commentatori tedeschi tanto più è conforme alla
natura del libro D e officiis e al metodo espositivo che quivi si propose
l'autore, in quanto che egli stesso ci dice nel capitolo III: due questioni
potersi fare intorno all'officio; l'una che si riferisce al fine dei beni,l'altra
che cade nei precetti ai quali in ogni parte si può conformare l'uso della vita
; parole meritevoli di speciale considerazione, conciossiachè mentre spiegano
quell'intimo nesso scientifico che annoda le dottrine p o sitive colla teorica
del bene morale, stabiliscono poi il vero oggetto del presente trattato,il
quale non è altro, come giustamente osserva un critico moderno, che la
determinazione dei nostri doveri particolari. Coloro d u n que che dal libro
degli Officj prendevano argomento a ravvisare nel filosofo latino un mediocre
valore scientifico, perchè egli trattando dell'officio non si solleva ai
supremi principj della morale, non osservarono quale attinenza corra tra i
libri speculativi e pratici della sua morale, onde egli investigato prima che
cosa è il bene nell'umano soggetto (D e finibus), si leva alla nozione
oggettiva di legge (D e legibus), e scende per ultimo alle applicazioni più
remote dell'Etica nella vita privata e civile. (De of ficiis,De republica,De
amicitia,De senectute.) Migliore giudizio invece recarono quei critici, segna
tamente francesi, i quali considerando di preferenza questo speciale rispetto
tutto positivo e civile, in cui possono meditarsi gli Officj, quindi desumevano
i pregj e i difetti del libro. Infatti il trattato degli Officj non è un'opera
semplicemente speculativa,o un'opera di psicologia. Ivi si richiamano, è
vero,le altre parti delle dottrine m o rali, vi si accenna la distinzione
stoica tra l'officio per fetto e l'officio comune,e il pensiero dello scrittore
si leva talvolta a indagare la qualità morale degli atti nel l'intima natura
dell'uomo,ma l'intendimento primo a La gentilezza degli Attici
educata nell'ordine m a t e riale della civiltà da fina eleganza di costumi , e
dallo spettacolo d'una natura ridente, li traeva ad una viva e, quasi
direi,religiosa ammirazione del bello,onde il pen siero dalla convenienza e
armonia delle parti reali che genera il perfetto nei corpi,passava
all'invisibile bellezza degli animi. M a in R o m a dove ogni istituzione fu vôlta
sin da principio a rafforzare i legami che vincolavano il cittadino allo stato,
e il rispetto delle relazioni civili superava a gran pezza gl'interessi
domestici e il culto delle arti, regnava dominatrice siffatta la pubblica opi
nione che in lei risedeva il solo e inappellabile arbitrio di giudicare le
azioni. E per fermo i Greci considerando nella virtù la corrispondenza ideale
che corre tra l'ar monia interiore dell'animo nostro e le forme più elette
della natura sensibile,la nominarono bellezza, pei Romani la virtù sono quasi
convenienza delle azioni colle leggi sociali. Laonde Cicerone che qui negli
Officj la conside 148 cui mira quel libro, è un intendimento civile, e
Tullio che lo compose dopo la morte di Cesare, quando to *nava per l'ultima volta
nel fôro in difesa delle libere istituzioni, volle lasciare a suo figlio in
luogo di testa mento il codice più compiuto della morale politica. A questo
proposito nel libro degli Officj merita spe ciale considerazione una dottrina
che pel modo in cui fu trattata da Tullio palesa un rispetto istorico,e un'atti
nenza immediata colle istituzioni e coi costumi di R o m a . Tale è la dottrina
del decoro (Tpétrov), esposta nel capi tolo XXVII del libro primo.
Cicerone,osserva acutamente il Ritter, traduceva nei Paradossi la sentenza
degli Stoici : crcpovovaysoró 2.016;ilsolobuonoèbello,collepa role: quod
honestum sit,id solum bonum esse;onorabile è solamente ciò che è buono. Ora
questo diverso concetto che i Greci e i Latini s'erano fatto della virtù, e che
più volte ritorna nel De officiis, come in quel libro in cui Cicerone conformò
forse maggiormente le sue dottrine morali al pensare e al sentire romano , si
spiega assai facilmente ricorrendo alla Storia. rava in un rispetto
quasi esclusivamente civile, l'accom pagnava al decoro, o vogliam dire a quella
luce esterna di onoratezza , onde la stessa virtù si porgeva all'ammi razione
della pubblica coscienza. Considerato per questo rispetto, il libro D e
officiis, mentre si attiene alle altre opere speculative, presenta nelle sue
parti più sostanziale un vero ordinamento di scienza. Il filosofo latino seguì
liberamente Panezio, e perchè autore di un ottimo libro intorno agli Officj,
adesso perduto, e perchè assai temperato nelle dottrine dello stoicismo,come
portava l'età.Da Panezio,eforseda Pos sidonio, continuatore di lui, trasse in
gran parte le dot trine intorno all'onesto ed all'utile, che offrono soggetto
ai due primi libri, e v’aggiunse del proprio la materia del terzo, ovvero il
combattimento dell’utile coll'onesto, omessa dallo scrittore greco. La parte
più bella e più filosofica di tutto il trat tato, e dove splende più pura la
nobiltà dell'animo di Cicerone, è quella dov'egli toccando le relazioni della
politica colla morale, biasima altamente quei fatti, nei quali l'interesse
dell'utile pubblico avanzò le norme della giustizia e della onestà, e propone
al figlio i più sui blimi esempj dell'antica virtù ne'quali l'animo ritem
prando possa uscire incontaminato dalle scelleratezze dei tempi. E i tempi dovevano
esser tristi davvero, se con sideriamo parecchj esempjd'ingiustizia
contemporanea che Tullio ricorda al suo Marco, e ch'egli sebbene commessi da
uomini potentissimi nella repubblica e amici suoi, ge nerosamente condanna.Nè
dee far maraviglia che fosse cosìa
chiconsidericomeildisgiungersidellamoraledalla scienza di stato è uno dei
maggiori indizj della corru zione civile, e che tutto allora in R o m a
precipitava a ro vina, religione, costumi, esercito , cittadinanza, popolo,
senato, magistrati, privati ; e in quel rovescio d'ogni cosa e divina poneva i
fondamenti sanguinosi la ti rannide degli imperatori. Nel terzo libro, discorse
le attinenze della politica colla morale, passa il filosofo latino alle
attinenze della 149 umana morale colle altre scienze sociali,
la Giurisprudenza e l'Economia. In queste pagine di Tullio, a sempre più
smentire l'opinione di quelli che non trovano nei giure consulti romani le
tracce d'una profonda speculazione,si vede chiaramente come la giurisprudenza
latina, benchè costituisse da sè stessa un vero e proprio corpo di scienza con
norme immutabili e fisse, con ordine scienziale di dottrine, desumeva
da'principj della filosofia i suoi fon damenti ; il che mostra Cicerone citando
parecchie que stioni esaminate dagli antichi giureconsulti, e definite con
formule certe che più tardi assunsero la forza di legge.La qual cosa apparisce
vie più manifesta quando ne' seguenti capitoli Tullio, dopo definite alcune
questioni di morale, appellandosene al testimonio della coscienza e della retta
ragione,quasi a riprova di quei principj ne cerca il riscontro nella più antica
e venerata delle legislazioni romane, nella legge delle XII Tavole. Questo
ricorrere ai più vetusti testimonj, oltrechè era proprio al metodo di
Cicerone,che cercava nell'antichità più presso all'origine divina,le verità
naturali più schiet te,e le prime tradizioni,ha qui un'importanza d'oppor
tunità, perchè egli di fronte alla corruzione della morale civile voleva
additare lo scadimento della repubblica. Lo che è chiaro in tutto il libro;
chiarissimo poi dove avendo citato gli esempj di Fabbrizio e di Cammillo e
dell'antico senato romano,soggiunge l'infamia di L. Silla che coll'autorità del
senato raggravava i dazj antichi so pra alcuni popoli che se n'erano sciolti pagando,
nè r e s t i t u i v a il d a n a r o ; e p r o r o m p e c o n m o b i l e s d
e g n o : p i r a tarum enim melior fides quam senatus ! Il De officiis accolto
nelle scuole d'Europa sino dal primo risorgimento delle lettere antiche, e
stampato per la prima volta a Magonza il 1465, levò di sè tanta fama da
affaticare per ogni tempo l'acume degli eru diti e dei commentatori. Un esame
critico di questo trattato, che Paolo Janet chiama « il più belmonumento
filosofico della letteratura latina, » fu recentemente pro posto dall'Accademia
delle scienze morali e politiche 150 151 di Francia,e ne
usciva nel 1865 il libro del signor Arthur Desjardins col titolo : Les devoirs,
essai sur la morale de Cicéron . In quest'opera ricca d'ingegno, di filosofia e
di larga dottrina in ogni parte della giuris prudenza e delle lettere
antiche,l'autore con utile esem pio, che vorremmo rinnovato in Italia, prende a
esami nare largamente il libro D e officiis, ne mostra le varie attinenze coi
principj supremi della morale tulliana, e lo confronta coi migliori filosofi
antichi, e coi giurecon sulti moderni. È un lavoro di critica larga e profonda,
in cui la gravità del soggetto è abbellita dallo stile ele gantemente sereno. E
accresce lode al critico francese la schietta imparzialità dei giudizj, onde
egli intento solo a conoscere la verità, difese da ingiuste accuse la fama del
grande oratore, ne osservò opportunamente le omissioni o la brevità soverchia
per quel che risguarda i doveri verso Dio,la famiglia e noi stessi, e rappresentò
il De officiis come un codice compiuto di Etica civile, in cui si ragiona dei
doveri del cittadino verso lo Stato,e il concetto della umana famiglia e della
carità universale perviene a tale altezza da annunciarci vicino il grande
rinnovamento dell'Evangelo. 5. Dai principj della filosofia civile e dai
precetti par ticolari intorno ai costumi si varca alla teorica dello Stato .
Questafuesposta da Ciceronenel De republica,giudicato universalmente dai
critici come una delle opere le più ori ginali del nostro autore.Gran parte ne
andò sventu ratamente perduta,ma le reliquie del primo e del se condo libro
fanno assai splendida testimonianza che l'ora tore latino vi avea diffuse
largamente le memorie della antichità greca,legrazieseveredell'eloquenza,eigrandi
insegnamenti della vita politica. Quando prese a trattare dello Stato,egli avea
innanzi a sè due scuole egualmente illustri, egualmente seguite dagli
scrittori: la scuola di Platone e la scuola d'Aristotele. Ma ei dovette certo
considerare che l'ingegno dell’Ateniese, poderoso d'in venzione e di veduta
speculativa, non intese forse nei termini del vero le attinenze della filosofia
colla politica. Il merito insigne di aver sostituito alle dottrine
ideali l'autorità degli esempj, è pur quello della Repubblica di Cicerone. In
quest'opera, spartita in sei libri, e condotta
conlargaunitàdidisegno,ilgrandeoratoreimitò Pla tone nella forma letteraria e
nel tono dello stile, del resto si attenne al metodo aristotelico ; e volendo
fare opera nonsoloutileallelettere,ma vantaggiosaallapatriae alle più
lontanegenerazioni,incarnòisuoiprecettinelgrande esempio di R o m a . L a
dottrina sui reggimenti civili si r i duce alla disputa delle tre forme
monarchica, aristocra tica e popolare, alle quali egli preferiva la mista, invo
cando le ragioni d'Aristotele e di Polibio e tutta quanta la storia di Roma. 6.
Da queste premesse esce a compimento delle dot trine morali la disputa
sull'immortalità.E qui Cicerone lasciando al tutto le orme dei Greci, seguì
l'indole pro pria e della sua nazione, e fece di quel problema una vera e
compiuta dottrina. Forse l'incertezza in cui aveano la sciata la controversia
sui destini dell'anima i panteisti 152 La quale, mentre ha bisogno per
disegnare e applicare le civili istituzioni di ricorrere talvolta ai principj
uni versali della natura,non può trascurare per altro nel l'ordine dei fatti le
imperfezioni dell'essere umano, e quella lunga serie d'esperienze infelici per
cui soltanto nella storia dei popoli si perviene ad applicare le istitu zioni
alle necessità dei tempi. A questo metodo, chiamato da'Cesare Balbo un metodo
razionale, si opponeva l'altro sperimentale d'Aristotele. Il filosofo di
Stagira, disposto per natura d'ingegno a un accordo più perfetto della spe
culazione col senno civile,e cresciuto alla scuola di Fi lippo e d'Alessandro,
intravide con occhio più fermo le armonie delle dottrine scientifiche
coll'esperienza, applicó alla scienza dello Stato quell'analisi sicura e
paziente che negli ordini del pensiero e della natura lo avea condotto a creare
la logica e la fisica; raccolse da ogni parte gli esempj dei governi migliori,
li ordinò, li paragon ), li ridusse a principi, e ne trasse la sua Politica
fonda mento della scienza civile. Ma ataliprovediragioneedifattoaltreseneag
giungevano per lui desunte dall'affetto individuale e civile. L'indole del suo
ingegno, inclinato a quanto v'ha di più grande e di più sublime nelle opere
della natura e di Dio, gli svegliava nell'animo un vivo desiderio dei sommi
estinti, e massimamente di quelli la cui vita consacrata alla patria nelle
scienze,nelle lettere,nelle arti,nei p u b b l i c i n e g o z j , li r a c c o
m a n d a v a a l l a r i c o n o s c e n z a d i R o m a . Gran parte,e la più
bella forse della sua vita,s'era pas sata nella società di quei grandi ; chè
molti n'avea co nosciuti da giovinetto, e seguiti nello studio delle leggi e
nella pratica del fôro; di molti avea udito favellare al padre e agli zii
paterni, m a di tutti gli restava impressa nell'anima una memoria viva e
costante, siccome di per sone domestiche e care.La vita lungamente agitata nei
pubblici affari in tempi di grandi rivolgimenti, non gli tolse quest'abito di
ritornare sul passato, e perchè vi pendeva l'animo naturalmente mite, e
disposto a racco gliersi in sè stesso, e perchè la sua parte di conservatore lo
menava in politica a desiderare il ritorno della virtù e d e g l i a n t i c h
i c o s t u m i. P i ù t a r d i l e s v e n t u r e d e l l a p a t r i a lo
strinsero a ritirarsi dalla vita pubblica, e allora la fantasia nutrita negli
studj speculativi gli consolava spesso colle grandi memorie i dolori civili e
le meditazioni della scienza. E quindi si spiega perchè quelle meditazioni,in
cambio di riuscire una fredda copia delle opere greche, gli si convertivano
spesso in dialoghi vivi e passionati,e l'abito di conversare coi s o m m i
estinti gliene porgesse gli interlocutori, e si spiega altresì come la dottrina
del l'immortalità occupi tanta parte nel Sogno dell’Affricano 153 e
dualisti italici e greci, contribuì non poco a svogliarlo d'immaginarie
astrazioni, e volgerlo a una via più sicura. Fatto è che nelle Tusculane,ma più
nel De republica e negli opuscoli popolari della Vecchiezza e dell'Amicizia,
egli chiese di preferenza le prove dell'immortalità alla coscienza morale, alle
antiche tradizioni, ai riti delle tombe, al desiderio, connaturato nell'uomo,
del divino e dell'assoluto. 154 e nel Catone Maggiore, dov'egli
imitando il Socrate di Platone, paragonava sè stesso ai sommi che l'avean
preceduto, e si consolava di speranze immortali. Un'altra occasione,
opportuna a indirizzare le medita zioni del nostro filosofo sulla controversia
dell'immorta lità, e a dettargli intorno al soggetto affettuosi e mesti
pensieri, fu per certo la morte della sua Tullia, avvenuta il mese di Febbraio
dell'anno 709. Nelle solitudini della sua villa presso Astura, là dove avea in
animo d'inal zare un tempio alla figlia perduta, egli scrisse un libretto che
poco appresso indirizzò ad Attico, e che intitolava Consolazione. Su questo
libro,adesso perduto,gli eruditi studiarono a lungo,e dai pochi frammenti che
Cicerone stesso ci conservava ,e da quel che ne dissero parecchj scrit tori
antichi,in special modo Lattanzio nelle Istituzioni di vine,tentarono
restituire per sommi capi il disegno gene rale e lo spartimento delle materie.
Francesco Schneider ne ragionava in una sua dissertazione dottorale del l'anno
1835 ,dove suppose Cicerone avere trattato a lungo dell'immortalità degli
spiriti nell'opera della Consolazione, come apparisce in gran parte dal primo
libro delle Tusco lane.La quale supposizione, che riteniamo a buon dritto per
certa,ci fa grandemente deplorare la perdita di questo monumento della
letteratura latina,una forse delle opere più originali di Cicerone,e da
mostrare come il desiderio della figlia perduta gli volgesse a più gravi e più
solenni ispirazioni l'ingegno naturalmente fecondo. CICERONE;LORO
PARTE NELLA STORIA DELLA FILOSOFIA. CONCLUSIONE . 1. Può sembrare opportuno ai
lettori (se pure ne avemmo in questo esame della filosofia di M. Tullio) che
noi dopo aver discorso delle scuole precedenti o contem poranee all'oratore
latino,del suo metodo e concetto della scienza e finalmente dei libri fisici,
logici e morali, con sideriamo adesso sotto un rispetto più universale il
valore speculativoel'indoledellesue dottrine.La qual cosa,ol tre all'essere
richiesta dalle leggi severe delle discipline scientifiche, in cui l'uso della
sintesi non deve mai scom pagnarsi da quello dell'analisi,si porge opportuna a con
futare l'accusa, che da alcuno potrebbe esserci mossa ,di attribuire al più
grande degli oratori latini una potenza d'ingegno speculativo che mai per
avventura non ebbe. La critica intorno alle opere dottrinali di Cicerone, ne
gletta dagli eruditi e dagli storici più antichi, e infor mata a una severità
eccessiva da quelli del secolo scorso e del presente, è tempo ormai che ritorni
a più maturo esameeapiùimparzialigiudizj.Ma ciòammesso,non resta men fermo
quell'altro supremo pronunziato che Tacito invocava eloquentemente in un'età
scellerata come PARTE TERZA. INDOLE, VALORE SPECULATIVO E FONTI DELLE
DOTTRINE DI I. 156 norma dell'ottima condotta civile, e che comanda
allo spirito umano di seguire una via lontana del pari dalla venerazione cieca,
e dal disprezzo non ragionevole del l'autorità. A questa via ci siamo attenuti
nell'esame delle opere di Cicerone.E non pertanto al critico che prende in mano
quei suoi scritti così varj, così fecondi, dove si mesce tanta parte della vita
e delle memorie latine, soprag giungono di tratto in tratto infinite
difficoltà; non ultima per certo quella, avvertita altra volta da noi, di accom
pagnarlo nell'indagine di tanti sistemi discordi, di racco glierne le sparse
dottrine,e quindi ricomporle nell'armonia dei principj e delle conseguenze. La
imparzialità delle opinioni, e il largo apprezzamento di quel tanto di vero e
di buono, che si trova sempre in ogni sistema,mentre costituisce un pregio
capitale della filosofia di Cicerone, fa sì che ella non si porga sempre favorevolmente
al giudizio della critica odierna,la quale troppo più spesso vien cercando
nelle materie speculative lo stupore delle invenzioni, anzichè la legittima
novità dell'esame e delle attinenze scientifiche. Ma per contrario nulla v'è
d'in ventato, nulla di strano nella filosofia di Marco Tullio. Ella è la
filosofia del senso comune e delle grandi tra dizioni, la quale, per definirla
con uno dei nostri filosofi, « non presume in alcuna cosa di saperne più là
della stessa natura:ma di questa,invece, si dichiara attenta disce pola, e ne
accetta i pronunziati siccome oracoli;.... filo sofia tanto riguardosa e
modesta, quanto serena e sicura nei suoi giudicj,e della quale fu detto averla
Socrate pri mamente levata dal cielo,e condotta a conversare fami g l i a r m e
n t e i n m e z z o a g l i u o m i n i . » ( M a m i a n i , C o n f ., p . 2
4 , vol. I.) Tale è l'indole vera della filosofia di Marco Tullio; e
contuttociò crediamo avere abbastanza mostrato in que sto nostro lavoro, come
alla semplicità de'principj e dei metodi si congiunga,segnatamente nella parte
morale,il procedimento rigoroso e l'unità di scienza. Coloro poi che
misurano il valore degli ingegni spe culativi dall'ardimento delle innovazioni,
e giudicano Marco Tullio una povera mente perchè dice egli stesso
di professare dottrine non arroganti, e non molto disco ste dalle opinioni
popolari, non hanno considerato a b bastanza in quanti modi si possa esercitare
la spontaneità del pensiero nelle materie scientifiche. V'hanno infatti di
quelle filosofie che esaminando e sindacando combattono gli errori de'tempi
loro;ve ne hanno altre che esponendo un nuovo ordine di pensieri,
ricostituiscono sopra diversi fondamenti l'edifizio scientifico;e nell'un caso
e nell'al tro l'intelletto del filosofo è attivo nelle materie esami nate od
esposte, e in quella efficacia speculativa v'ha pure sempre del nuovo. La
critica e l'esposizione delle dottrine speculative, sebbene quanto alla forma
estrin seca de pensieri sia opera d'arte, quanto alla materia è un esercizio
rigoroso di ragionamento e di filosofia; im perocchè al critico, se non vuol
fermarsi nella superficie, m a penetrare nel fondo e nell'anima delle
cose,convenga rifare,a dir così,il concetto dell'autore e trasformarsi in lui
stesso,convenga svelare illegame intimo che annoda le idee principali,
concepirne una moltitudine di acces sorie, da cui soltanto rampollano quelle,
vedere i trapassi e le attinenze più remote tra concetto e concetto,e scom
posta la totalità del sistema, ricomporla poi novamente colla viva efficacia
del suo pensiero. Apparisce da queste considerazioni che la novità e il valore
speculativo delle dottrine di Tullio si potrebbe soltanto dedurre dalla critica
assennata, e spesso profonda, ch'e'fece delle dottrine a n tecedenti e contemporanee,
raccogliendo con rara lar ghezza di principj e d'esame quanto di meglio gli por
gevano le scuole greche, per suggellarlo dell'impronta latina,e svogliare
iconnazionali della imitazionede'fo restieri. Questa parte espositiva e
confutativa delle greche dottrine, che tanto prevale nei libri tulliani, noi la
m o strammo contrapponendo ai pensieri proprj del sommo oratore l'analisi
de'sistemi da lui combattuti ed esposti; e tanto più perchè sappiamo essersi
affermato piùvolte da critici insigni che mancò a Cicerone una notizia pro
fonda della filosofia greca, mentre è cosa omai notissima 157
Cicerone adunque può innanzi tutto considerarsi come un istorico insigne
della filosofia, degno d'essere raggua gliato con Aristotele e con Platone per
l'ampio studio delle dottrine antecedenti e contemporanee. Chè se dai critici
più recenti è tenuto a ragione come fonte non principale di storia, perchè
spesso allega testi divisi, e perchè l'indole della sua riflessione scientifica
lo menava non di rado,come Platone,a suggellare del proprio pen siero le
dottrine d'altri sistemi, ogni età debbe essergli riconoscente d'aver campato
tanta e sì nobile parte delle greche meditazioni dalla ingiuria de'tempi e
dalla b a r barie degli uomini. M a d'altro canto, dopo una lettura ben
considerata degli scritti tulliani, può egli negarsi che vi si rinvenga una
parte dommatica, e un esercizio suo proprio della riflessione speculativa ? A
una simile domanda ci sembra avere bastantemente soddisfatto nella parte
antecedente di questo discorso coll'esporre ilmetodo di Cicerone nelle
principali teoriche della scienza; e qui facemmo manife sto come un tal metodo
di fina osservazione consistesse per lui nel ridurre ai semplici elementi delle
verità prin cipali i sistemi, e, sceverati gli errori, comporre un'altra volta
quelle verità nell'ordine del sapere. Difficile i m presa,che in tempi funesti
alla scienza ricercava un in gegno universale, e un potente esercizio della
riflessione. La quale,adoperata da Tullio al lume dell'evidenza in teriore, lo
condusse a salvare dal naufragio dello scetti cismo le più nobili parti delle
dottrine speculative.In Fisica mantenne la distinzione, quantunque non piena,
tra il finito e l'infinito, il contingente e il necessario, la n a t u r a e il
d i v i n o , l ' e s i s t e n z a d i D i o , d e l l ' u n i v e r s o e d e
l l'uomo, la natura delle cose corporee inferiori alle spi rituali e
all'eterne, l'ordine universale, la eccellenza della - '158 nelle storie
che la critica degli antichi scrittori, segna tamente per opera degli
Alessandrini,fioriva ai tempi di lui, eruditissimo nella lingua de'Greci, da
cui tradusse più libri di letteratura e di scienza, e che indirizzava i suoi
scritti ai più culti ingegni di R o m a . 159 r a g i o n e , il l
i b e r o a r b i t r i o e l ' i m m o r t a l i t à . I n L o g i c a t e n n
e salda la capacità del conoscimento a cogliere il vero, il concetto di
potenza, i sommi principj della ragione, la evidenza interiore, la distinzione
tra senso e intelletto e il metodo inventivo delle conoscenze. Nella Morale al
lume dei sentimenti interiori e del senso comune ricom
poseilsistemaperfettodiquellascienza,e salendocon metodo induttivo dalle
tendenze e dai fini della natura all'oggetto universale di legge e di dovere, ne
seppe d e durre tutto l'ordine dei veri relativi alla famiglia, all'in dividuo
e allo stato.Veramente se ad un uomo,apparso in quella età quando tutta la
scienza,divenuta un pro blema, si lacerava fra i delirj di una moltitudine di
so fisti, nasca il pensiero di ricomporla a sistema, e riassu mendo l'impresa
di Socrate,raccolga le verità principali in una sintesi vasta; e se vissuto in
mezzo ai pregiudizj di un patriziato superbo, e in tempi d'ateismo e di co
stumi nefandi, egli invochi a soccorso della riflessione speculativa l'esame
delle antiche tradizioni e delle verità fontali, contenute nella coscienza del
genere u m a n o e nei piùnobiliaffetti,aquest'uomo,parmi,non sipossane g a r e
il n o m e d i f i l o s o f o g r a n d e . L ' i n d a g i n e d e i d o m m
i p r i mitivi e dei sentimenti nella natura e nel linguaggio dei popoli voleva
in Cicerone un ingegno forte e addestrato a meditare, e un uso continuo
dell'osservazione interiore. Del che sono splendido testimonio le Orazioni,
l’Epistole, il primo libro delle Tusculane , il secondo e il quinto dei Fini e
il proemio delle Leggi ; che esposti senza preoc cupazione rettificherebbero
d'assai il giudizio sul valore speculativo dei suoi libri, e mostrerebbero
com'egli esa minasse con vero criterio di scienza l'umana natura nelle varie
età,nelle diseguaglianze de'sessi,degl'ingegni e de gli ordini civili, e sino
dall'alto della tribuna, o seduto agli spettacoli del circo cogliesse le verità
eterne della coscienza nelle manifestazioni spontanee del sentimento popolare .
Parecchj critici di Cicerone,e segnatamente quelli che gli negano ogni facoltà
d'ingegno speculativo,non hanno 160 inoltre considerato qual uso
ei facesse della tradizione scientifica,e come, movendo dalla coscienza, contrappo
nesse all'esame imperfetto e negativo de sistemi un esame comprensivo di tutto
il sapere. Dissi più volte ch'egli moveva dalla coscienza ; e questo fatto
dell'osservazione interiore, manifestissimo nelnostro filosofo,ogni volta che
egli prende a trattare importanti materie morali, non può mai andare disgiunto
nell'esame compiuto dei suoi scritti dallo studio ch'e'fece de'sistemi
antecedenti e contem poranei, perchè ci porge la più intima ragione del suo
metodo esterno, chiamato da molti impropriamente un eclettismo;e ci spiega come
nella viva armonia dell'animo umano egli cercasse quell'unità informatrice
delle sue dottrine,che il metodo sincretico d'Antioco e d'altri eru diti
avrebbe indarno aspettato dall'accozzamento inge gnoso di cento scuole. Certo
Cicerone non ebbe quella potenza inventrice d'ingegno speculativo, e quella
rara f e l i c i t à d e g l i a r d i m e n t i m e t a f i s i c i, c h e e b
b e r o S o c r a t e , P l a tone,Aristotele tra gli antichi,e tra imoderni
Renato Cartesio, Emanuele Kant e G. Batt.Vico. Il suo ingegno non altrettanto
acuto, rapido e penetrativo, quanto uni versale,comprensivo e solenne,più che
in escogitare nuove dottrine, e in architettare sistemi mirabili per ipotesi a
u daci e tirati a filo rigoroso di logica, piacevasi nel sot toporre ad esame
le antiche dottrine,sceverarne gli errori, ribatterne le istanze,scoprire nuove
armonie della ra gionescientificacolsensocomune,e iltuttopoi ricom porre in un
vasto disegno di scienza concorde colle arti, coi costumi e colla vita civile.
Nel che mirabilmente lo secondavano itempi.Allora,come era avvenuto nel secolo
di Socrate,e come per molte parti accade ora nel nostro, si manifestava nella
condizione delle discipline morali un'imperiosa necessità di riforma. L'eccesso
delle specu lazioni avea spossati gl'ingegni, e la scienza e l'arte tor navano
al vero della natura,unica fonte delle opere grandi. Era dunque suprema
necessità deporre la vana superbia delle innovazioni assolute, farsi discepoli
della natura, tornare agli adagj della sapienza popolare, e chiedere
alla tradizione de savj, non già il supremo criterio del vero,m a il
sindacato delle opinioni attinto nella coscienza più eletta del genere umano.
Tale è la parte modesta, e a un tempo solenne, che Marco Tullio rappresenta nella
storia della filosofia. Se ne'suoi scritti prevale il criterio della tradizione
scien tifica, perchè poco o nulla rimaneva da aggiungere alle speculazioni dei
filosofi greci ; e se, parlando ai concitta dini innamorati della letteratura e
delle dottrine stra niere, si mostra studioso al sommo dell'altrui autorità,
confessa però nel 1° degli Offici, ch'e'non seguiva gli a n tichi come
interprete, m a per proprio arbitrio e con li bero esame attingeva ai loro
fonti. È scritto nel primo dei Fini che egli sosteneva quelle dottrine soltanto
che erano approvate da lui,e vi aggiungeva un ordine pro prio di scrivere. Come
poi quest'ordine di scrivere (si gnificante non altro che un ordine di
pensieri) si esten desse per lui al collegamento necessario di tutta la
scienza, te lo dice in quelle parole dei Tuscolani (II, 1): « D i f ficile est
in philosophia pauca esse einota,cui non sint aut pleraque aut omnia.»
161 Noi dunque invitiamo gli studiosi delle lettere e della filosofia antica a
prendere in più seria considerazione quella sentenza, divenuta pur troppo
comune , che fa del filosofo latino non più che un seguace d'Antioco, e un
modesto raccoglitore delle dottrine greche. Di quanto in tervallo egli si
lasciasse discosti i migliori filosofi greci contemporanei può apparire assai
manifesto a chi ricordi quanto è detto nella prima parte di questo discorso.
Fra i latini poi non sapremmo chi contrapporgli,se non forse il dottissimo M.
Terenzio Varrone suo familiare, rammen tato nel primo degli Accademici,e della cui
filosofia per altro o poco o nulla sappiamo. Veramente, ammesso che l'oratore
romano fosse un eclettico, nella schietta e ger mana
significazionedellaparola,eglinon solo(siconsideri bene ) avrebbe dovuto
accettare le principali dottrine della scienza tal quali gliele porgeva la
Grecia, senza nulla mutare o innovare,ma l'autorità della tradizione scien
11 tifica sarebbe stata per lui unico e assoluto criterio per
venire dall'opinione al sapere.Ma per contrario, esami nando nella loro pienezza
le dottrine di Tullio, si vede ch'egli, anzichè inchinarsi a servile
imitazione, intese l'uso dell'autorità come un legittimo ossequio della ra
gione al vero riconosciuto per altrui testimonianza, e propose a sè stesso il
gran problema (chiarito poi dai moderni) del passaggio dalla certezza naturale
o volgare alla certezza scientifica. Pensatore e scrittore di cose fi losofiche
in una età in cui la scienza si divideva tra un dommatismo eccessivo e uno
scetticismo quasi assoluto, stimò che avrebbe ben meritato dell'umana ragione e
della patria,seguendo una filosofia modesta in mezzo agli estremi del tutto
credere e del tutto negare ; e scelse a suo metodo la verosimiglianza della
Nuova Accademia senza parteciparne lo scetticismo. Condotto da questo metodo in
mezzo alla confusione dei sistemi e alle rovine dell'edifizio scientifico, ne
sottopose ad esame le princi pali dottrine, e nelle parti incerte e dubbiose
ammise più gradi di verosimiglianza; le verità d'evidenza interiore affermò
risoluto. Nella fisica sperimentale non ebbe che verosimiglianze; in teologia
naturale, in cosmologia,in psicologia ed in logica ondeggiò tra il verosimile e
il certo; nella morale soggettiva e oggettiva, nelle teoriche del Diritto e
dello Stato si volse alla luce innegabile della coscienza e affermò con
certezza assoluta. Talchè in cia scuna parte delle sue dottrine, e nella
successione delle tre parti fra loro si nota quest'ordine di gradi che vanno
dal verosimile al certo. Tale procedimento, che si attiene all'intimo del suo
pensiero speculativo,l'osservi anche talvolta nella forma estrinseca e
nell'ordine logi cale delle dottrine.Imperciocchè,mentre isuoi scrittisono per
la maggior parte inquisitivi e disputativi,e la disputa ferve specialmente
nelle teoriche dell'essere e del cono scere e nei principj della teorica
dell'operare, quanto più procediamo nell'esame di questa, e dai giudizj dei
sistemi particolari e dalle pure opinioni ci leviamo al concetto di Dio, che
pose nell'umana ragione,a testimonianza di sè 162 163
stesso,laleggemorale,lacontroversia gradopergrado diminuisce,e questa
parte,cominciata col De finibus,dia logo contenzioso, segue col D e legibus e
col D e officiis, opere espositive, terminando colle dottrine della Repub
blica, e co'dialoghi popolari dell'Amicizia e della V e c chiezza. Esaminando
nella successione dei libri fisici, dialettici e morali questo procedimento del
pensiero di Tullio, le sue dottrine ci rappresentano quasi un tentativo di
ricom porre la filosofia nell'ordine perfetto delle conoscenze. Fu provato
assai largamente nel Capitolo primo della seconda parte, e in più luoghi delle
dottrine morali, come il nostro filosofo concepisse chiara la relazione che
inter cede tra la pienezza del soggetto scientifico, su cui si volge il
pensiero, e la unità oggettiva de'principj che danno legamento e connessione
rigorosa alla scienzaprima. Certo,checchè ne dicano il Brucker e il Bernhardy
(il secondo de'quali afferma che gli ultimi fondamenti del sapere rimasero
dubbiosi per Cicerone),apparisce evidente dai libri morali che il nostro
oratore seguendo la ragione informatrice del sistema platonico e dell'Etica di
Zenone, intese la sovranità dell'idea del Buono nell'ordine delle cognizioni, e
cercò in quel principio la più vasta di tutte le sintesi, che gli porgesse unificata
e spiegata nelle più remote sue applicazioni tutta la scienza. La qual cosa
crediamo avere posta sufficientemente in chiaro, esami nando il dialogo delle
Leggi. Ma il por mente a questa unità informatrice delle dottrine
tulliane, ci spiana la via per vedere come il suo metodo conciliativo delle
scuole particolari si risolvesse inun
criteriointrinsecodiragione.Quistaildivario es senziale tra la filosofia di
Cicerone e la filosofia degli eclettici. L'eclettico infatti raccogliendo le
sue dottrine da sistemi contradittorj e infetti sostanzialmente d'errore, come
non può sperare di levarsi mai colla riflessione a principj assoluti di
scienza, così è costretto a scambiare la vera filosofia,che è semplice ed
una,con un viluppo di multiformi dottrine senz'armonia e senz'accordo. La
verità,cheèingenita,assoluta,immortale,nonpuò uscire in eterno
dall'accozzo fortuito del falso; e la scelta a b bandonata a sè stessa e senza
un criterio intrinseco ed uno, mancherà sempre di principj saldi, universali,
apodittici. La qual cosa non conobbe abbastanza quella scuola fran cese,fiorita
nella prima metà di questo secolo, e a cui giu stamente si attribuisce la lode
di avere spento il sensismo, e restaurati gli studj istorici della filosofia
nella nostra Europa, quando sentenziava che i sistemi più avversi si compiono
tra loro, e che lo spirito umano procede d'er rore in errore per cammino non
interrotto alle armonie della Scienza prima. Ma Cicerone intese ben altrimenti
il principio costi tutivo delle sue dottrine. Per lui la tradizione scientifica
trovava un riscontro nell'esame immediato dei fatti in terni, e quindi egli
desunse il criterio con cui variamente conciliava i sistemi. Ora a questo
criterio che è la parte propria ed originale di sua dottrina, e che rappresenta
un vero esercizio dell'indagine filosofale nel sindacato delle scuole
particolari,fa d'uopo aver l'occhio per ve dere come e quanto egli attingesse
ai fonti delle opere greche. Sennonchè in tal questione, come osserva il
Kuehner, che ne disputava a lungo, e con rara diligenza, si affacciano
naturalmente non lievi difficoltà. In primo luogo, perchè M. Tullio, fornito di
varia e multiforme erudizione, volse in proprio uso tutte le migliori dottrine
dell'antichità italica e greca; secondariamente, perchè parlando di un dato
soggetto, non se ne stava contento all'autorità di un solo autore, m a
interrogava la m a g gior parte di quelli che ne avevano trattato, moltissimi
tra’ quali andarono per noi sventuratamente perduti ; e infine perchè il nostro
filosofo o tace non di rado, o accenna di passaggio i fonti a cui attinse, o
soltanto rammenta gli autori quando gli accade di confutarli. Passando poi a
determinare il metodo con cui Cicerone attinse ai greci filosofi, osserva
giustamente il critico te desco che questo metodo si esercitava in tre maniere.
Traduceva egli dal greco, trasportando liberamente in 164 165
latino, tanto (come egli stesso ci avverte nell'operetta De optimo genere
oratorum ) da serbare il colorito e la forza nativa del testo. Nelle altre
opere filosofiche segui principalmente un solo autore, adoperandovi sopra con
libera efficacia di riflessione ilsuo giudizio,e componendo le materie con
proprio ordine di pensieri;ricorse ad altri scrittori ove quello che seguiva
fosse riuscito mancante, e v'aggiunse del proprio.Era altresì suo costume inter
rogare varj libri che avean preso a trattare un m e d e simo soggetto, e ove
fosse stato possibile il conciliarli, trar fuori dalle loro dottrine un tutto
perfettamente connesso ed armonizzato.Quindi,prosegue ilKuehner,è necessario al
critico di Cicerone avvertire con diligenza gli scrittori da lui citati e
accennati, raffrontare spesso i suoi libri coi grandi monumenti dell'antica
filosofia, che ci pervennero intatti, osservare quello ch'egli trasse dai suoi
maestri,e non piccola luce daranno le congetture assennate e prudenti.
Esposte queste norme più generali di critica, noi non seguiremo più oltre
l'erudito tedesco nell'indagine minuta intorno alle fonti delle dottrine
tulliane. Tale indagine infatti, oltrechè si allontanerebbe di troppo dal
l'indole speculativa e dai confini di questo scritto,e riu scirebbe inutile al
tutto per noi che non neghiamo avere il filosofo latino attinto le sue dottrine
migliori dall'an tichità greca, è piena altresì d'incertezza e di congetture là
dove i fonti originali andarono perduti, e dove riesce difficile lo sceverare
quanto appartiene all'ingegno del nostro filosofo, e quanto debba invece
attribuirsi all'au torità stessa dei Greci. Del resto, concludendo coll'au tore
della dissertazione, M. Tullio ne'libri fisici, e in special modo nella disputa
sull'immortalità,seguì princi palmente Platone ; nei libri logici e nella
questione sul criterio della verosimiglianza e sulla percezione sensitiva ,
attinse dal Portico e dalla Nuova Accademia ; nei libri morali poi, discepolo
degli Stoici e dell'Antica Accade mia e del Peripato per ciò che risguarda le
dottrine speculative del bene e della legge, nelle materie politi
che e civili seguì a preferenza Aristotele,Teofrasto e P o libio. L a
qual cosa per altro vuole essere intesa discre tamente ; poichè, a considerare
bene il metodo con cui egli c o m p o s e i v a r j s i s t e m i, s i v e d e
c h e , s e b b e n e i n p i ù l u o ghi attinse separatamente dagli Stoici e
da Platone,tut tavia la natura dell'ingegno latino lo menava a tempe rare
l'austerità degli Stoici colle massime dell'Ateniese ; il che fece in più
luoghi, e segnatamente nel secondo libro della Natura degli Dei, e nel primo
della Divina zione. Come poi usando le opere dei greci scrittori, è attingendo
ai loro fonti la materia di sue dottrine, ei conservasse non pertanto la
libertà dell'ingegno, con queste parole lo attesta il Kuehner : « Negari quidem
non potest Ciceronem disputationes suas philosophicas e Graecorum fontibus
hausisse ; sed græca non interpretis modo ad verbum in linguam latinam
convertit,sed suum ipse iis adjunxit judicium,suum scribendi ordinem,viam
rationemque atque orationis lumen.Reputemus nobiscum , quantum ingenii
judiciique dexteritatis Cicero probaverit in hauriendis sapientiæ præceptis e
græcorum philoso phorum monumentis. Nam ex omnibus omnium æta tum græcorum
philosophorum disciplinis, ex hac ingenti materiæ quasi silva,ea delibavit,quæ
ad fingendos mores sapientiæ præceptis,et ad omnem vitam conformandam vim
omnino habebant saluberrimam. » (Epilogus). 2. Cicerone dunque , a riassumere
il tutto in poche parole,non fu nè Stoico,nè Accademico, nè Peripate tico, m a
fu vero Socratico con libertà di riflessione e di esame. Come Socrate, egli non
compose un sistema per fetto di cognizioni, m a tentò una riforma; non pervenne
agli estremi resultamenti delle indagini iniziate da lui, ma ne accennò la via
più sicura;non chiuse tutta la scienza nell'ambito angusto d'un'ipotesi,
d'un'inven zione o d'un fatto; m a assorgendo colla mente alla più feconda
delle armonie scientifiche, che è la ragione m o rale, vedeva in un'occhiata
spiegarsi da quella sintesi l'ordinamento necessario della scienza prima. Per
certo l'ingegno onnipotente dell’Ateniese, la cui efficacia dura
166 da ventiquattro secoli nell'indirizzo delle dottrine specu
lative, è unico esempio, e non mai superabile, nella storia della filosofia.Ma
consideri un poco il lettore, come al filosofo romano,ingegno senza dubbio men
vasto e meno inventivo, mentre si attraversavano per via le stesse dif ficoltà,
e forse maggiori,non arrisero altrettanto propizie, quanto al greco, le
condizioni dei tempi e dei pubblici costumi. Tullio non s'abbattè,come Socrate,
ad un po polo,qual era quello d'Atene, poderoso della fantasia, supremamente
inclinato da natura agli studj speculativi, e innamorato d’un amore infinito
del bello e del per fetto.La gente romana,sebbene felicemente disposta a
sentire ciò che è certo e applicabile fra i resultamenti dell'umano ingegno,
sebbene disciplinata nelle deduzioni morali dal magistero dei Giureconsulti,
ritenne per se coli quei costumi severi e quell'abito politico e militare, non
facilmente conciliabile colla vita meditativa della scienza e dell'arte. Più
tardi allorchè l'impero esteso a d u e t e r z i d e l m o n d o , e il v i v e
r e a g i a t o , e l a n e c e s s i t à d i allontanare il pensiero dallo
spettacolo della tirannia nascente, volgeva i migliori tra i Romani agli studj
della filosofia, la Grecia, maestra ai vincitori d'ogni arte e di ogni
disciplina civile, li trasse a sè, sviando la sponta neità degl'ingegni col
facile diletto dell'imitazione.Chè, se ciò non può dirsi assolutamente delle
lettere e delle scienze latine da chi consideri quel tanto d'originale che pur
v'è nelle imitazioni di Lucrezio, di Catullo e di Virgi lio,e che sappiamo
esservistato nei libridiVarrone,ora perduti,non resta men vero che tanta era
laservitùdel pensiero ai tempi di Tullio da costringerlo a scusarsi
pubblicamente per avere usata la propria lingua nelle materie speculative.
Opera altamente civile, altamente romana fu adun que quella che imprese il
nostro filosofo, procacciando di volgere il linguaggio latino alla
significazione dei veri scientifici. Nel che, tanto più egli si mostrò gran
maestro , quanto minori e maggiormente imperfetti erano gli esempi di coloro
che l'avean preceduto. Amafinio e Rabirio 167 168 epicurei,
rammentati da lui nel libro terzo delle Tusco lane (C. II),e ch'egli dice non
averlettoneppure,scris sero primi di cose filosofiche in modo informe ed
incolto. Più tardi Tito Lucrezio Caro esponeva splendidamente nelpoema De
rerumnaturalafilosofiad'Epicuro;ma tutti questi scrittori, dei quali il secondo
non era uscito dalle pastoje della poesia didascalica, non aveano potuto al
certo esercitare un'alta efficacia sul linguaggio filo sofico di Roma,ristretti
com'erano nelle cerchia d'un sistema povero e meschinamente sofistico.Noi
dunque con corriamo ben volentieri nella sentenza del Ritter, assicu rando che
soltanto ai tempi di Cicerone la filosofia volse in proprio uso l'idioma latino
; la qual cosa,per quanto è lecito pensarne ai moderni, può unicamente
affermarsi dei libri di lui dove la lingua filosofica è già formata, e dove la
parola si porge per modo mirabile ad ogni m o venza e inflessione del pensiero.
L'impresa che Cicerone tentava, era dunque novissima, e l'istrumento ch'egli a
v e v a f r a m a n o , il m e n o a c c o n c i o a c o m p i r l a . P e r c
h è n o n si trattava già d'esporre le dottrine d'un solo filosofo, come avean
fatto Amafinio, Rabirio e Lucrezio,ma con veniva volgersi a tutte le scuole, e
addestrare il giovane linguaggio latino nell'intero ámbito della
scienza.Talvolta, è vero, gli mancò la parola più appropriata al concetto, e
ristretto entro i termini d'una lingua non disciplinata ancora nelle indagini
troppo sottili, procedè incerto sulla significazione di qualche frase
scientifica appresa dai Greci; m a nella maggior parte dei suoi scritti egli
ebbe in grado supremo la facoltà di lumeggiare e colorire l'idea, e di far sì
che il pensiero rispondesse nella p a rola, come figura bella in limpido
specchio. Sentenziando ch'è vana impresa e da fanciulli voler dire con favella
ornata le cose sottili, plane autem it perspicue posse, docti et intelligentis
viri (D e fin ., III,5), seguì uno stile che fosse egualmente lontano dalla
forma splendida degli oratori, e dalla aridità faticosa di parec chj
contemporanei. Quinci egli trasse quel genere d'ora zione che negli Officj
chiamò æquabile et temperatum . 8 L'ingegno universale e
comprensivo di Cicerone a p parisce in ogni parte delle sue dottrine. Venuto ,
tuttora giovanissimo,inRoma,dove facevano capo le faccende d'Italia e del
mondo,tollerante per natura delle altrui opinioni, e disposto a tolleranza
maggiore dallo studio 1 Intorno allo stile filosofico di Cicerone scrisse con
molta dottrina il prof. Michele Ferrucci, in un suo discorso De singolari
merili di Cice g'one nella lingua ed cloquenza latina, edito recentemente in Pisa
coi tipi del Nistri. 169 La severità della meditazione scientifica è in
lui sempre solenne, m a variamente temperata dall'indole del sog
getto;èsobriol'usodellemetafore;ilperiodo procede ora maestoso, ora interrotto,
ora veloce, ora lento, a se conda della materia,e talvolta (come negli
Accademici) imita il linguaggio familiare, talaltra (come nelle Tusco lane)
sembra avvicinarsi piuttosto alla forma oratoria. Chi poi considerasse a parte
a parte la varietà degli stili nelle opere differenti, osserverebbe potersi
queste distin guere in più classi (modernamente in più maniere) cor rispondenti
ai varj tempi in cui l'autore le scrisse. Il D e republica e il D e legibus,
appartenenti al primo tempo, in cui egli era ancora indefessamente occupato nei
negozj pubblici e del fôro, hanno più del carattere ora torio.Gli
Accademici,ilDe finibus,ilDe natura deo rum,scritti nel 709 e 710 di Roma,poco
prima e poco dopo la morte di Cesare, palesano uno studio delibe rato,continuo
della severa forma speculativa; laddove nel De officiis, nel Cato Major e nel
De amicitia t’av vedi come l'abito della meditazione e la lettura degli ottimi
esemplari greci lo avessero condotto al miglior temperamento dello stile
didattico colla forma oratoria. Imitatore delle melodie d'Iocrate, e innamorato
dello splendore di Platone, ch'egli chiama il dio dei filosofi, lo seguì non
soltanto nella forma estrinseca de' suoi trat tati, e nel metodo del
dialogizzare, m a improntò sul Fedro, sulla Repubblica, sul Fedone, sulle Leggi
i tratti più belli delle opere sue, rimasti fino a noi come uno dei monumenti
più solenni delle lettere antiche. 170 imparziale che fece delle
dottrine contemporanee, con trasse per tempo quell'abito universale
d'osservazione, e quel sentimento delle armonie scientifiche, così vivo in ogni
tempo nelle menti romane,in lui straordinario.Cre sciuto intempi funesti alla
libertà,e testimone di quanti esilj e di quanto sangue contaminasse l'Italia la
rabbia scellerata di Mario e di Silla, egli in mezzo allo strepito delle armi e
all'imperversare delle civili discordie appli cava dì e notte con ardore
inestimabile ad ogni genera zione di studj. Più tardi per restaurare la salute,
inde bolita dalla pratica del fôro, si recò in Grecia, dove udì le scuole
migliori, peragrò tutta l'Asia, si trattenne a Rodi,e tornava inpatria
ammaestrato da una larga no tizia d’uomini e di cose,e dalla
famigliaritàcoipiùpre stanti oratori. La sua eloquenza, nutrita negli spazj del
l'Accademia, ebbe ampiezza misurata e solenne, tanto diversa dalla nervosa
concisione di Demostene, e quale s'addiceva alla pienezza e solennità de'suoi
pensieri.Ne la ragione intima dell'arte sua cirimane occulta,qualora si
consideri nel De oratore, nel Bruto e nell'Orator il significato vastissimo
ch'egli riferisce alla parola elo quenza. Quindi il largo concetto dell'unità
del sapere, espresso in varj luoghi del D e oratore, e meglio in quella
sentenza: « omnem doctrinam ingenuarum et humana rum artium uno quodam
societatis vinculo contineri,» ci fa manifesto com'egli intendeva l'officio
dello scrittore,e come nella sua vita di cittadino, d'oratore e di filosofo si
mostrasse uno degli uomini più universali che mai siano apparsi nel mondo. Come
uomo di stato, egli vagheggiò la carità univer sale del genere umano, e ne
scrisse mirabili parole negli Offici e nelle Leggi.Giovane ancora,patrocinando
lacausa di una donna Aretina, giustificò le pretensioni delle città italiane
alla cittadinanza romana.Nel suo consolato sven tando la congiura di
Catilina,salvava da pericolo certo e imminente la libertà di Roma,e tentava
comporre l'or dine senatorio e l’equestre in un saldo partito contro il
prevalere della fazione plebea.Come avvocato e come oratore
politico (così scrive di lui il Vannucci),«creò un nuovo genere d'eloquenza
composto di tutto ciò che v'era di più bello a Roma e fra iGreci.Per giungere a
questo con l'amore e con l'entusiasmo,che è padre di tutte le egregie cose,
coltivò gli studj trascurati da altri, e con siderando che il poeta e l'oratore
dal lato degli orna menti hanno, com'egli scrisse, molte cose comuni, con
esercizj poetici ingentili e perfezionò lo stile latino. R i cercò i modelli
più famosi dell'eloquenza romana,svolse i Greci,ne tradusse per suo uso le
orazioni più belle.Sti mava che per esser grande oratore si vuol sapere ogni
cosa,e avere tutte le dottrine come compagne e ministre. Quindi afforzò la sua
ragione colle dottrine dei grandi filosofi, si arricchì della scienza del
diritto, non lasciò niuno studio da banda ; e così apparecchiato rappresentò
nel fôro la grandezza romana ingentilita dall'arte greca, e apparve come
splendido esempio dell'oratore perfetto, di cui mandò a noi il ritratto ne'suoi
scritti didattici.» (Studi storici e morali sulla letteratura latina, Firenze,
F. Le Monnier, 1862.) Non è dunque maraviglia se, dis posto per abito di mente
e per disciplina a sentire l’uni versalità in ogni cosa, espose più tardi
ne'suoi scritti speculativi ilmeglio delle scuole greche,e tornando ai fon
damenti e ai principj di tutto il sapere, vi cercò quel legame unitivo che
desse vita e armonia alle sparse membra della tradizione scientifica.
Seinluidopol'oratoreeilpoliticoconsideratel'uomo, dovrete riconoscere negli
scritti speculativi profondamente scolpite le tracce del sentimento e
dell'animo suo. In essi,quanto alla manifestazione degli affetti, ritrovi
quella sua schiettezza d'indole generosa, quegli amori potenti di gloria, di
famiglia e di patria, quell'abbandono di t e nerezza,ond'era caro finchè visse
ad ogni anima gen tile, e l'incertezza dei propositi, che talvolta lo rese in
feriore all'impeto degli avvenimenti, e un desiderio di lodi un po' troppo
sincero lo sentì qua e là nell'irreso lutezza delle espressioni e nello stile
maestoso non senza, pompa . L'esempio di Roma antica ch'egli seguì e studio
171 con amore,quale un perfetto monumento di sapienza ci vile,non
gli tolse però di vederne e di biasimarne i difetti, come l'eccessivo potere
del popolo che spesso trascorreva in licenza,l'abuso dell'autorità
ne'patrizj,le guerre volte a istrumento di grandezza privata,la prolungazione
degli imperj, idisordini quotidiani nel fôro, e quelle leggi agrarie e sui
contratti, la cui promulgazione sciogliendo i diritti di proprietà e
l'osservanza della fede,era un vero attentato alle basi della società civile.Dalla
critica meno benigna si allegano alcuni passi dei suoi scritti politici in cui
parve dimenticare i principj della giustizia e della moralità l o d a n d o il
t i r a n n i c i d i o , t e n t a n d o g i u s t i f i c a r e c o l t i t o
l o d e l l a c i v i l t à il p r i m a t o o p p r e s s i v o d e i R o m a
n i s u l l e a l t r e n a z i o n i , ammettendo come teorica di condotta
civile il cangiar partito a seconda delle circostanze.Nè io lo difendo da
queste accuse;ma rammento solo per debito imparziale d'istoria, che le stesse
ragioni recate da lui a' suoi tempi per giustificare le conquiste romane, sono
state addotte in pieno secolo XIX da una delle nazioni più civili del mondo per
iscusare non meno odiose conquiste;e che,se la storia non giustificò Tullio nel
diritto,l'ha in parte giustificato nel fatto, mostrando di quanto lume di
civiltà la moderna Europa sia debitrice alle conquiste romane. I giudizj
intorno alla sua condotta morale e politica, già di troppo benigni nelle opere
del Middleton , e del Niebuhr,troppo severi in quelle di Melmoth, Drumann e
Mommsen,furono non ha guari saviamente temperati in un bel libro del signor
William Forsyth, venuto alla luce in Londra il 1864, e di cui abbiam veduta
quest'anno una nuova edizione. Tullio, così osserva sapientemente il biografo
inglese, fu qualche volta debole, timido, irreso luto,m a a tali difetti
rispose in altre condizioni di tempi con una nobile condotta civile. Ei si
diportò da uomo e da cittadino nella congiura di Catilina, e nel finale c o m
battimento contro il triunviro Antonio.Chè se non sem pre fu pari agli
avvenimenti che lo incalzavano, se non sostenne coraggiosamente l'esilio, e
restituito in patria, ondeggiò a lungo tra la parte di Cesare e quella di
172 173 Pompeo,bisogna considerare quanto difficili tempi fossero
quelli a chi, come lui, non avea mai patteggiato colla coscienza, e riconosceva
nella religione del giuramento, e nella santità dei costumi civili il principio
tutelare delle libere istituzioni. Questo alto sentimento del buono,po
tentissimo nel nostro oratore, è la ragione che diede sublimità vera alle sue
dottrine morali ; e ci spiega c o m e nei libri degli Officj, della Repubblica
e delleLeggi egli desunse i principj fondamentali della filosofia civile dal concetto
più puro dell'onesto e della legge ; e vissuto in tempi nefandi intese a
conciliare l'interesse dell'utile pubblico colla giustizia assoluta, nell'idea
della famiglia, nell'idea dello stato,nel possesso, nella legislazione e nei
diritti di guerra e di pace. · Tale pure è l'opinione esposta dal signor Gaston
Boissier ne'suoi dotti articoli sulla politica di Cicerone, stampati nella
Rivista de'Duc Mondi. Corre adesso in Europa un tempo assai propizio alla
critica degli scrittori latini.Invero gli studj che accompa gnarono fra noi
ilprimo risorgimento delle lettere anti che, mossi da curiosità e da desiderio
di un passato a cui la notte tempestosa dei tempi di mezzo sembrava aver
cresciuto splendore, non mantennero sempre una giusta eguaglianza fra il libero
esame e l'ossequio dovuto alle tradizioni. M a tal difetto venne largamente
emendato in età più vicina, allorchè da molti si esaminò solo per negare,e le
passioni politiche e religiose fecero impaccio più volte alla schietta
manifestazione del vero. Oggi la quiete dei tempi,e questo nuovo ricomporsi
d'Europa a monarchie nazionali,avvicinando i popoli tra loro e ren dendo sempre
più facile il sindacato delle opinioni, per suade le menti a giudizj più severi
e imparziali. Ne mancano esempj di queste nuove condizioni della critica
odierna, segnatamente per ciò che risguarda gli studj del l'antichità latina;
non ignorano infatti i nostri lettori che,mentre in Germania il Bernhardy e il
Mommsen giudicarono con molta severità Cicerone, in Francia e in Inghilterra
hanno parlato con bella temperanza delle sue dottrine morali e
della sua vita politica il Desjardins e il Forsyth. Fra noi gli studj istorici
della filosofia o non furono sin qui troppo favorevolmente accolti, o rimasero
oscuri nella solitudine dei gabinetti, mentre le lettere esercitavano un
ufficio civile, e all'unità e all'indipen denza dava opera l'intera nazione. È
tempo oggimai che torniamo a così nobili studj ;e la critica istorica e filoso
fica faccia prova di richiamare nella memoria ricono scente degli Italiani la
storia di quel popolo da cui venne il Desjardins e il Forsyth. Fra noi gli
studj istorici della filosofia o non furono sin qui troppo favorevolmente
accolti, o rimasero oscuri nella solitudine dei gabinetti, mentre le lettere esercitavano
un ufficio civile, e all'unità e all'indipen denza dava opera l'intera nazione.
È tempo oggimai che torniamo a così nobili studj ;e la critica istorica e
filoso fica faccia prova di richiamare nella memoria ricono scente degli
Italiani la storia di quel popolo da cui venne la prima luce delle nostre
istituzioni. Allora soltanto le dottrine di Cicerone saranno meglio studiate e
apprezzate, e la natura comprensiva dell'ingegno romano,dicuiegli fu esempio
solenne, ci apparirà come una sintesi vasta e feconda in cui s'accoglieva la
coscienza dei popoli antichi.Giacomo Barzellotti. Keywords. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Barzellotti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688392822/in/photolist-2mRLqgk-2mKwwoA/
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