Grice e Capua – filosofia romana –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Bagnoli Irpino). Filosofo. Grice:
“I like Capua – from the middle of nowhere – Lago Laceno – he founds an
“Accademia degl’Investiganti” in Capri! To philosophise!” Vestigia lustrat,
i.e. even in dreams the hound follows the trace of the hare!” -- Impegnato
nella ricerca e nella sperimentazione, in antitesi ai vecchi capiscuola come
Aristotele, Ippocrate, Galeno ed altri, fu a capo di un'accademia dal nome gli
"Investiganti". Pubblicò il "Parere", sostenendo le
idee di chi opponeva la ricerca medica e scientifica al sapere della tradizione. Nacque
a Villa Capua, in Via Carpine, da Cesare e Giovanna Bruno. Nonostante la
famiglia fosse facoltosa, non gli venne assegnato un precettore che lo seguisse
negli studi oltre le basi grammaticali. Ad ogni modo, si dedica con passione,
sin da giovanissimo, all'approfondimento del latino, del greco e della retorica.
Persi entrambi i genitori e dovette cominciare a provvedere da sé alla sua
educazione. Trasferitosi a Napoli per seguire la sorella, frequenta la scuola
dei padri della Compagnia di Gesù. Impara le Istituzioni di Giustiniano,
leggendo al tempo stesso anche le osservazioni di Giacomo Cuiacio, testi che
segnarono profondamente la sua formazione, come è evidente in vari passaggi del
suo "Parere" e nelle sue "Lezioni intorno alla natura delle
mofete". Si laurea e fa ritorno a
Bagnoli, con l’intenzione di approfondire le sue conoscenze naturali ed
anatomiche, effettuando osservazioni dirette su animali vivi sezionati e con il
supporto di testi reperiti a Napoli. Proprio in quegli anni prese forma il suo
pensiero critico circa l'inadeguatezza del metodo della filosofia. Degli anni
di ritiro a Bagnoli non abbiamo ulteriori notizie biografiche. Amenta, autore
di una sua biografia, ci riferisce anche di una certa attività letteraria,
collocabile in questo periodo, di cui, tuttavia, non ci è giunta testimonianza.
I suoi testi furono rubati mentre era in viaggio verso Napoli. Si
trasferì definitivamente in Napoli. Probabilmente il suo trasferimento fu
favorito dalla presenza a Napoli di Cornelio, suo amico, il quale vantava una
lunga preparazione alla scuola galileiana e indirizza Di Capua alla ricerca
scientifica nella linea segnata da Galilei e da Cartesio, protagonisti della
rivoluzione che la filosofia sperimentale portava all'interno di una cultura
legata al passato e in cui vigeva la legge dell'"ipse dixit". Sulla
scia di questo fervore intellettuale, fonda insieme a Cornelio, e Borelli
Gl’Investiganti, gruppo di gioco filosofica di neta ispirazione anti0aristotelica.
La sua casa fu spesso luogo, ad ogni modo, di incontri tra gli intellettuali
napoletani che facevano capo agl’Investiganti. Ottenne il riconoscimento dal
Principe Francesco Carafa, di essere iscritto all'Arcadia di Roma, con il nome
di Alessi Cillenio. Tale riconoscimento scaturisce dalla fama e dall'operosità
scientifica che ottenne non solo a Napoli, ma in tutta Italia. A causa del suo
ruolo di spicco all'interno dell'Accademia e della pubblicazione della sua
opera più celebre, il "Parere", e coinvolto nel processo agl’ateisti che
fu da molti visto come un processo indetto dal tribunale dell'Inquisizione per
contrastare il diffondersi delle nuove idee in ambito scientifico e filosofico.
Il processo era ancora aperto quando morì. Fu un professionista scrupoloso e un
illustre innovatore scientifico nello scenario culturale napoletano della
seconda metà del Seicento. Egli dimostrò notevole interesse per le dispute
galileiane e i processi contro lo scienziato pisano, che in quegli anni erano
al centro delle cronache del mondo politico, religioso e scientifico. In quel
periodo Di Capua era anche interessato al pensiero di Bruno, Campanella e Porta,
ma soprattutto era affascinato dalle novità scientifiche a cui lo introdusse il
suo amico Cornelio, riguardanti i libri e le pubblicazioni dei principali
scienziati e filosofi italiani ed europei come Francesco Bacone, Cartesio,
William Harvey, Thomas Hobbes, Pierre Gassendi, Daniel Samert, Hooke, Willis,
Boyle. Tra Cornelio e Di Capua sorse una solida amicizia basata su ideali
comuni: entrambi non condividevano né l'autoritarismo aristotelico né le
vecchie teorie di Ippocrate e di Galeno. Dello stesso pensiero era Giovanni
Alfonso Borelli (1608-1679), medico fisico e matematico, ammiratore, anche lui,
del metodo di Galileo. Infatti lo sperimentalismo galileiano, basilare
nell'attività dell'Accademia del Cimento, influenzò e si congiunse con
l'attivismo speculativo degli Investiganti napoletani. L'ambiente
culturale napoletano era dunque vivo e attivo e le librerie di via San Biagio
dei Librai divennero centri di raduno intellettuale, in cui si discuteva sulle
novità di fisica, astronomia, filosofia e medicina. Di Capua, ancora prima
della fondazione dell'Accademia degli Investiganti, aveva già incominciato a
contribuire al risorgere della cultura napoletana, partecipando attivamente
alle riunioni e ai circoli culturali sorti a Napoli nella seconda metà del
Seicento, tra cui quello fondato da Camillo Colonna. In un’ottica del tutto
contrastante alla Controriforma della Chiesa cattolica che da circa cinquanta
anni aveva preso piede, Napoli diventa il centro della vita letteraria e delle
attività scientifico filosofiche, spostando l'attenzione da Firenze a Napoli:
si passa dal Cimento e dai Lincei agli Investiganti, dalle Accademie fiorentine
e romane a quella napoletana. Si forma quindi in questa “nuova” Napoli,
sotto lo stimolo, l'esempio e l'amicizia di Cornelio e Borelli, i quali, durante
i loro viaggi, erano stati illuminati dall’ “Accademie des Sciences” di Parigi
e la “Royal Society” di Londra. È in questo contesto culturale che ‘Il Parere”
richiama l’attenzione di Redi. Lui e Redi erano entrambi scienziati,
intellettuali, accaniti osservatori della natura; tutti e due seguivano il
metodo sperimentale secondo lo spirito galileiano. Redi scrisse a Di Capua una
lettera dopo aver letto le sue "Lezioni sulla natura delle mofete",
in cui gli manifesta tutta la sua stima e ammirazione. Redi fu il primo ad
effettuare ricerche sul cancro e sulla parassitologia. L’ammirazione che
provava nei confronti del Di Capua era la dimostrazione che quest’ultimo era
inserito nell'élite culturale italiana del tempo, anche al di fuori del
circuito napoletano, fino al punto che la Regina Maria Cristina di Svezia si
interessò vivamente a lui e alle sue idee, comunicandogli il desiderio di
conoscere con maggiore chiarezza ed approfondimenti il suo parere sullo stato
dell’incertezza della medicina. Scrisse allora i “Tre Ragionamenti sull'Incertezza
dei Medicamenti”. Nelle sue pubblicazioni non fa menzione di Vico, suo
devoto alunno, probabilmente in quanto al momento della sua morte il Vico aveva
soltanto 25 anni. Quindi non aveva avuto modo di intuire le capacità
intellettuali di Vico, il suo genio raziocinante di storico e di filosofo.
Certamente Vico fu influenzato dalle idee e dalle teorie di Di Capua, che
affiorano in alcune orazioni giovanili vichiane (il concetto della divinità presente
in tutta la natura). Vico, di natura solitaria, fu molto sensibile alle novità
scientifiche e filosofiche del tempo, partecipa al movimento culturale napoletano
e frequenta la casa Di Capua, che considerava il suo ideale maestro. Capua,
Cornelio, Andrea, e Borelli fondano a Napoli “Gli’Investiganti”insieme ad altre
illustri personalità del mondo scientifico filosofico napoletano.
Gl’Investiganti sorgeno in uno scenario di fervore intellettuale nuovo,
dall'esigenza, quindi, di allontanarsi dalla filosofia aristotelica e dalle
teorie di Ippocrate e di Galeno, per abbracciare le nuove teorie
rivoluzionarie. Il motto degl’Investiganti e una citazione di Lucrezio:
"vestigia lustrat" seguito dall'immagine di un cane che segue le
tracce e fiuta le impronte, rappresentando a pieno lo sforzo degl’nvestiganti
nella ricerca delle cause alla base dei fenomeni naturali. L'Accademia fu
chiusa per la peste nel 1656. Venne riaperta dal marchese Andrea Conclubet,
spinta da una nuova energia vitale: superare l'arretratezza culturale del paese
per mettersi al passo con gli altri Stati europei. Gli investiganti si
riunivano ogni 20 giorni e non si limitavano alla discussione dei vari
argomenti, ma anche alla sperimentazione proprio come gli accademici della
Royal Society di Londra e del Cimento. Alla riapertura dell'Accademia, quindi,
le prime lezioni furono tenute dal Di Capua su argomenti di natura scientifica.
Altre lezioni ebbero come argomento l'anima, la fisiologia e l'embriologia. Si
eseguirono anche esperimenti di fisica, meccanica e idromeccanica in situ, cioè
nei luoghi dove certi fenomeni si verificavano (per esempio nella grotta del
cane di Pozzuoli, nota per i fenomeni mefitici). Le nuove teorie degli
Investiganti determinarono una reazione nel mondo del conservatorismo gesuitico,
che sfociò nella fondazione di un'Accademia antagonista: l'"Accademia dei
Discordanti", guidata dai famosi medici Carlo Pignatari e Tozzi. Quest'ultimo
fu primo medico del Regno di Napoli, professore alla Sapienza e in seguito alla
morte di Malpighi gli venne affidata la carica di archiatra pontificio. Da
allora i contrasti tra le due Accademie si moltiplicarono a tal punto che il
viceré Pedro Antonio de Aragón dispose di chiudere entrambe le Accademie. In
seguito riapre una sua scuola, dando prova della sua convinzione sulla
fondatezza delle sue teorie e sul desiderio di trasmettere queste verità agli
alunni. Questo periodo rappresenta un momento di massima notorietà del pensiero
culturale a capo di Di Capua, tanto che, il viceré spagnolo Ferdinando Gioacchino
Faiardo indisse un congresso, in cui diversi medici dovettero esprimere il
proprio parere per ciò che concerne lo stato delle teorie medico scientifiche
oggetto di disputa. Fu così che, in occasione del convegno, Dcompose il suo
"Parere Divisato in otto ragionamenti..", che ottenne notevoli
riconoscimenti oscurando il conservatorismo cattolico dei suoi detrattori. Nonostante
il Seicento, secolo del barocco, avesse come personaggio di spicco a Napoli Giambattista
Marino, ritenuto dai suoi contemporanei un genio poetico di grandezza
insuperabile, si dichiara nettamente anti-marinista, in quanto la sua mentalità
era di natura critica, analitica e scientifica. Si forma nel pieno delle
dispute letterarie tra marinisti e tradizionalisti di stampo petrarchista. In
quell'epoca predomina il trecentismo linguistico, perorato da Bembo e codificato
dalla Crusca, che Salviati detta e di cui nel solo Seicento esistevano ben 3
edizioni. La notorietà, l'autorità, il peso culturale di questo nuovo dogma
della lingua italiana ebbe una notevole presa su Capua grazie anche alla
sua predilezione per la poesia di Petrarca. Poiché i petrarchisti sono
considerati “antiquari” dai marinisti, lui stesso venne etichettato come un
antiquario, in quanto purista linguistico e seguace della tradizione dei
dettami della Crusca. Di fatto, tuttavia, egli sosteneva principi rivoluzionari
di scienza, seppur mediati da un linguaggio ormai arcaico. Tuttavia a Napoli,
nella seconda metà del Seicento, si afferma intorno a lui un movimento puristico,
a tendenza arcaicizzante che esercitò il suo influsso anche su Vico. Questo
sottolinea il suo aspetto conservatore, riferito esclusivamente al linguaggio
da lui usato, tipico del purismo letterario petrarchesco. In contrasto con
questo atteggiamento letterario antiquario, fu senza dubbio un rivoluzionario
in ambito scientifico nello scenario culturale napoletano. La sua produzione
filosofica è, dunque, caratterizzata nel complesso da una forte contraddizione
tra il nuovo del suo pensiero scientifico ed il vecchio o antico della lingua
da lui scelta. La sua oè costituita da duemila sonetti, due tragedie ("Il
martirio di Santa Tecla" e "Il martirio di Santa Caterina"), alcune
commedie, una favola a sfondo idilliaco e altri scritti filosofici vari. Di questa produzione non abbiamo
testimonianza a causa del furto subito da lui in viaggio verso Napoli. I
sonetti, tanto nella forma quanto nel contenuto, sono di imitazione
petrarchesca. La stesura di questi ultimi, inoltre, è collocabile al periodo
dell'adolescenza e, pur non potendolo affermare con certezza, è lecito intuire
che la sua cosiddetta produzione non abbia potuto assurgere ad alte cime,
considerata anche la sua indole disposta più allo studio dei fenomeni e al
razionalismo che all'aspetto psicologico o ai fattori emotivi. Le opere
drammatiche sono, al contrario, ispirate al modello di Porta. Il Parere divisato
in otto ragionamenti è indubbiamente la sua opera più importante, pubblicata a
Napoli, ristampata con le Lezioni intorno alle mofete. In questo testo parte
dalla pretesa di dimostrare quanto vana, quanto priva di ogni salda dottrina
fosse la filosofia di Aristotele, rivendicando un rinnovamento culturale , un
bisogno di liberarsi dagli eccessi del potere politico ed ideologico di alcune
posizioni. Proprio a causa di questo spirito di rivolta rintracciabile nel
testo fu intentato un processo contro lui da parte dei Gesuiti, capitanati da Benedictis,
che si svolse a Napoli. Nel Parere, tuttavia, più che negare il pensiero di
Aristotele nel campo della conoscenza, intende contestare l'atteggiamento di
coloro che ne avevano adottato in maniera eccessivamente pedissequa il metodo.
La posizione da lui presa è tutta in favore della rivalutazione delle scienze e
di un approccio nei confronti di queste che non sia statico, bensì critico
anche nei confronti della tradizione. La medicina in particolare è una scienza
che non può fondarsi, a suo parere, su nozioni incontestabili, ma deve
piuttosto essere costantemente messa in discussione, pur mantenendosi nei limiti
dell'esperienza e della debole ragione. Nell'opera, comprensiva di otto
ragionamenti, viene anche delineata la figura ideale del "buon filosofo",
il quale deve essere allo stesso tempo anche amante della filosofia e buon conoscitore
della geometria. Agli otto ragionamenti aggiunse un'appendice al
"Parere": "L’incertezza". In entrambe le opere Di Capua
finisce con il constatare lo stato dubbioso tanto della conoscenza e come
proprio il loro caratteristico elemento di imprevedibilità, anche in quanto
soggette agli elementi umani, rendano impossibile una conoscenza del tutto obiettiva.
Le Lezioni sulla natura delle mofete riprendeno i concetti già esposti nel
"Parere" sull'aria, concepita come anima dell'universo. Anche nella
descrizione e nello studio delle mofete, fenomeni naturali caratterizzati
dall'uscita di anidride carbonica, vapore acqueo e altri gas da terreni di
origine vulcanica, rivela le sue attitudini alla razionalità, alla
dimostrazione obiettiva di ogni evento fisico, sostenendo come la conoscenza di
un fenomeno debba essere fondata sul metodo sperimentale. Altra opera
pubblicata a Napoli e una biografia del condottiero Andrea Cantelmo, il quale
milita nell'esercito di Ferdinando II D'Austria e a cui veniva attribuita
l'invenzione delle mine volanti e di un tipo di pistola a ripetizione con 25
colpi. La biografia diventa il pretesto per l'autore per far affiorare la sua
concezione sull'individuo, sull'uomo, sui giochi della fortuna, sulla
dialettica tra gli avvenimenti storici riguardanti l'uomo come personalità
unica ed individuale e l'intreccio dello svolgimento degli eventi. Generoso De
Rogatis, Cenni biografici degli uomini illustri di Bagnoli Irpina. Carmine
Jannaco Martino Capucci, Storia letteraria d'Italia (F. Vallardi, Milano,
Piccin nuova libraria, Padova); . Mario
Puppo, Discussioni linguistiche del Seicento, UTET, Torino). “Parere del signor
Lionardo di Capoa divisato in otto ragionamenti, ne' quali partitamente
narrandosi l'origine, e'l progresso della medicina, chiaramente l'incertezza della
medesima si fa manifesta” (Antonio Bulifon, Napoli); Niccolò Amenta, Vita di
Lionardo Di Capua, Venezia). Niccolò Amenta, Vita di Lionardo di Capoa detto fra
gli Arcadi Alcesto Cilleneo” (Venezia). Nicola Badaloni, Introduzione a
Giambattista Vico , Laterza, Roma; Bari); Cotugno, La sorte di Giambattista
Vico e le polemiche scientifiche e letter. dalla fine del XVII alla metà del
XVIII secolo, Tip. del R. Ospizio V. E., Giovinazzo. Salvo Mastellone, Pensiero
politico e vita culturale a Napoli nella seconda metà del Seicento, D'Anna
editore, Messina-Firenze); Walter Maturi, Fausto Nicolini, La giovinezza di Gian
Battista Vico; saggio biografico, Napoli); Camillo Minieri Riccio, Cenno
storico delle Accademie fiorite nella città di Napoli, Bologna); Luciano Osbat,
L'Inquisizione a Napoli. Il processo agli ateisti, Edizioni di storia e
letteratura, Roma); Amedeo Quondam, "Minima dandreiana: prima ricognizione
sul testo delle "risposte" di F. d'Andrea a Benedetto Aletino"
in Rivista storica italiana, Napoli); Gabriele Reppucci, Saggio monografico su Capua,
scienziato-medico-filosofo bagnolese (Circolo Sociale "Leonardo di
Capua", Bagnoli Irpino). Dizionario Biografico degli italiani. Vico,
Autobiografia, a cura di B. Croce Bari (Edizioni Pauline, Milano). Lionardo Di
Capoa's Parere is just that: an opinion in response to a specific request by
the Viceroy and the Consiglio Collaterale in 1678 put to a group of prominent
Neapolitans for counsel on a legal regulatory policy. Di Capoa's attack on
Aristotelian discursive modes seems simple, ordinary Aristotle-bashing. Di
Capoa maintains a theoretical investment in the anima: this is not a
recuperation, or a conscious continuation, of Aristotle on Di Capoa's part. Di
Capoa wishes then, to protect medicine not only from mechanical applications of
logical techniques, but also from premature, reductionist applications of
beast/machine metaphors. Di Capoa wishes then, to protect medicine not only
from mechanical applications of logical techniques, but also from premature,
reductionist applications of beast/machine metaphors. Aristotle offers a
'biological concept of the soul' as the 'first actuality of life', the
principle of life. IL PARERE DEL SIGNOR LIONARDO DI CAPOA
divisato in otto ragionamenti, ne’ quali partitamente narrando l’origine, e'l progrello
della filosofia, chiaramente l'incertezza della medefima ſi fa manifefta . SOMA
I N N POLI Å Per Antonio Bulifon MDCLXXXI. Columa de Superiori. 1”
All'Illuſtriſſimo, ed Eccellentiſſimo Sig. LCTEA IL SIGNOR D. FRANCESCO CARRAFA
Principe di Belvedere, Marcheſe d'Anzi , &c. On avendo io coſa ,
Eccellentiſsimo Signor mio , che m'abbia in più pre gio di quel che fo la
padronanza voſtra , cerco per quanto poſso , di farla paleſe a ciaſcuno :
ficome altri fa il poſſedimento delle coſe più care, e prezioſe, ch' egli
s’abbia , o per ſua induſtria , o per fortuna ac quiſtate . Ho penſato dunque ,
che a ciò fare io non potrei avere migliore opportunità di queſta , che mi
porge il preſente libro , che per mia gran vençura eſſendomi capitato alle
mani, ho preſo a far iſtampa re, s'io il mettesli fuori ſotto ilnomevoſtro, La
ſcrit tura veramente a giudicio di Voi medeſimo, e d'ogn altr'huomo intendente
è tale , che agevolmente poſ ſo da lei promettertii il fine , che m'ho propoſto
;im perciocchè ben toſto n'andrà ella per le mani delle perſone di miglior
giudicio nelle buone letiere , sì per per ta cognizione , che s'ha dell'autore
dilei , doa vunque ha di quelli , che ſe ne dilectano , sì perch' ella il vale
, per l'eloquenza , e doctrina, di che ſi ve de ripiena : oltre all'autorità ,
e fama, che le ſi accre fcerà dall'iſteſso nome voſtro ch'ella porta ſeco .
Poichè posſiam dire, che poche ſono quelle parti d' Europa, ove non s'abbia
conrezza diVoi, e delle voſtre egregie qualità , o per la fama, o per la pre ſenza
di Voi; ma che quaſi tuttele havete cerche colle lunghe , e laudevoli
peregrinazioni, le quali in quella guiſa , che da Voi ſono ſtate
fatte,ſidebbono riporre fra quegli ſtudj , con che vi ſiete ſempre in gegnato ,
e v'è venuto fatto d'aprirvi la ſtrada allº intera cognizione delle umane cofe
, e d'accreſcere con le doti dell'animo , e dell'ingegno lo fplendore ch'avete
ereditato da'voſtri maggiori . Oltre a ciò non doveva queſta ſcrittura venirne
fuori ſotto al. tro nome , che'l voſtro : mentre , e la ſtima, che Voi fate
dell'autore di eſsa , e l'affezione , che gli porta te , ficome fare ancora a
ogn'altro huomo lettera to , e l'antica dimeſtichezza, ch'egli ha con eſſo Voi
il richiedeano . Ricevete dunque ilpreſente dono , ch'io vifo di queſto libro ,
o per più vero dire , della picciola parte , ch'io ho in quello , per l'opera
da me polta in farlo ſtampare , con l'uſata voſtra uma nità in ſegno
dell'oſſervanza,ch'io viporto . E pre go Iddio , ch'avanzi in bene ogni voſtro
deſiderio; e alla buona Voſtra mercè umilmente mi raccomando. Di V. E ,
Vmiliſs. Servidore. Giacomo Raillar D. Carlo Buragna ; a'Lettori. E Gli sono
già alcuni meſi paſati,che d'ordine del Signor Vicerè fu tenuto conſiglio da
alcuni Medici di metter qualche compenſo agli abuſi , ed errori , che tutta via
ſi commettono nel medicare . Edopo qualche ragio namenti intorno a cotal
biſogna avuti , diviſarono eglino , che per potere con piis loro acconcio
eſaminar le ragioni , eipareri propoſti , e da proporſi , ciaſcuno doveſſe
mettere in iſcritto il fuo. Perchèconvenne al Sig. Lionardo di Capocs, che fu
uno de’chiamati a queſta adunanza ſcrivere il parer ſuo intorno a cotal materia
; e parendo a lui, che ciò non fi poteffe fare acconciamente, senza conſiderare
innanzi tratto , e riandar con diligenza la natura della coſa , che s'aveva a
trattare , cioè della medicinz : sì il fece egli con tanta dottrina , elo
quenza , ed erudizione, che , ejfendo il ſuoſcritto venuto al le mani d'alcuni
huomini letterati , e altri amici di lui, par ve loro dettato più toſto per
l'univerfalità di coloro , che fi dilettano delle bettere piie eſquiſite , che
per haverfi egli awe rimanere fra i termini d'una picciola , e privata
compagnia: comechè l'autore di quello non s'aveffe nello ſcrivere propoſto
altro fine , che di ſoddisfare al carico da quella impoſtogli.Sti marono dunque
coſtoro , che foſſe una tale ſcrittura dameia ter in luce per mezzo delle
ſtampe : e tanto fecero ,che alla per fine perſuaſero il Signor Lionardo a
farne loro copia , e a con tentarſi, che ſi stampaſealmen queſta delle molte, e
diverſe opere fue, ch' egli tieneappreffo di fe. E in ciò non pure eb bero
eglino riguardo al piacere, che ſarannoper prender i doe tine i curioſi della
lettura di queſto fcritto , ma all'utile an che ne può riſultare a ogni forte
di perſone , e Spezial mente agli avveduti, e giudiciofi ragguardatori delle
cofe . Poichè , vedendo eglino la varietà delle opinioni, edelle Seite, e le
diverſe , eSpelle volte contrarie guiſe di medicare , che fra i medici ditempo
in tempofonvenute sì , anche ſenza entrar coʻfiloſofanti in più ſottili
Speculazioni , potranno age volmente accorgerſi, con quanta ragione altri
Àfaccia a cre Bere D 1 grand 4 derë , o voglia dare a vedere, che una
profeffione perfefef ſa cosè dubbiofa , e incerta , habbia in ſe dottrina , o
principi, ſu i quali altri pola porre alcuno ſtabile fondamento;e quan to fa
pericoloſa coſa il vederſi nelle mani di coloro , che così fi dannoad
intendere, espezialmente dove ne va la ſanità , e la vita . Oltre a queſto , chi
non vede di quanto frutto può rium Scire queſto ſcritto a'giovani, che danno
opera alla medicina ? mentre dalla fola lettura di lui potranno efi per
avventura apparar più di ciò , che alla cognizione della natura di lei
s'appartiene, che non farebbono col rivolgere tutt'ora i volumi de'più
riputati, e folennimaeſtri di quella : e accorger fi a un'ora qual via
nell'impreſa del medicare ſi vuol tener da colui , che laſciate andarele
giunterie, e le ciance , intende Secondochè la condizined'untal meſtiere comporta
, faronore a fe , e giovamento agli infermialla ſua cura commeſſi . Ne meno
faranno efli, e ciaſcun'altro, che attende a’migliori ljudj, per vedere
apertamente quanti , e nella medicina, e nell'altre Scienze ci sono ſtati, e
fono di quelli , che fi vanno ſtillando il cervello pur dietro a quello, che o
norciès o pure non ſi ritro va ; e, come dile il noſtro Dante, Trattando
l'ombre , come coſa falda . Maſenza, che Io mi diſtenda più oltre in voler
dimoſtrares chente, e quale , e quanto profittevole , e dotta fi fia queſta
ſcrittura , a ſufficienza il lettore ſol potrà egli vedere di ſe: e come anche
non eſſendo ella fata dettata a fine d'averſe a divolgare , non per queſto
rimane, ch'ella non corriſponda al la fama dell'ciutore di efsa , e all'opinione
, che portanodi lui gli huomini più intendenti, e giudiciof . Sta ſano . EMINENTISSIMO
SIGNORE A I Ntonio Bulifon eſpone a V. Em. come deſidera darë alle ſtampe un
libro intitolato Parere del Signor Lionardo di Capoa , intorno alle coſe della
medicina , per ciò ſupplica V. Em .commetterne la reviſione a chi me glio
parerà all’Enı.V.ut Deus, & c. N Congregatione habita coram Eminentiſſimo
Domino Cardinali Caracciolo Archiepiſcopo Neapolitano ſub die 3. O &tobris
1679. fuit dictum , quod R.P.Franciſcus Verciulli Soc. Ieſu revideat , & in
ſcriptis referat eidem Congregationis. MENATTVS VIC. GEN. Iofeph Imp. Soc. Iefu
Theol.Eminentiſs. EMINENTISSIMO SIGNORE O letto per comandamento di V. Emin. il
libro del Si gnor Lionardo di Capoa : intitolato Parere intor noalla medicina ,
ne vi ho ritrovato coſa alcuna con traria alla dottrina della Fede , overo a'
buoni coſtumi . Per queſto lo giudico degno di ſtapa, per pubblica utilità , e
per ammaeſtramento degl' ingegni curioſi di recondita , e fruttuoſa filoſofia .
13. di Aprile 1680. HE Dell'Em. V. Antico, umilifs. Servo Franceſco Verciulli
della Comp.di Giesi . N Eminentiſs. Dom . Cardinali Caracciolo Archiepiſcopo
Neapolitano fuit dictum , quod ſtante relatione (upra ſcripti Reviſoris ,
imprimatur MEN ATTVS VI C. GEN. 1 Iofeph Imp. Soc. Ieſu Theol. Eminentifs. 1
ECCELLENTISSIMO SIGNORE A Ntonio Bulifon eſponea V. E. come deſidera dare alle
ſtampe uno ſcritto intitolato Parere del sig. Lionardo diCapoa , intorno alle
coſe della medicina, perciò ſupplica V.E.commetterne la reviſione a chi meglio
parerà a V.E. ut Deus, & c . Magnificus Michael Biancardi videat ,
&inferiptis referai. CARRILLO REG. CALA REG. SORIA REG. Proviſum per Suam
Excell. Neap. dic 4. Aprilis 1680. Maſtellonus. ECCELLENTISSIMO SIGNORE PA Er
obedire a'comandidi V. E. ho letto il libro intitola to Parere del sig.
Lionardo di Capoa,intorno alle cose della inedicina , e perchè in eſſo non ho
ritrovato coſa contraddicciite alle Regie giuriſdizioni, giudico poterli dare
alle ſtampe,fe cosi reſterà V.E. ſervita . In Nap. 16. Maggio 1680 DiV.E.
Devotifs. Servidore ! Michele Biancardi Viſa ſupraſcripta relatione ,
iinprimatur, & in publicatione fervetur Regia Pragmatica CARRILLO REG. CALA
REG. SORIA REG. Maſtellonus RA: RAGIONAMENTO PRI M O, 8CMA 220 GLI non hàveramente
impreſa , o Signo ri, che più ragguardevole comparir faccia la maeſtà d'un
prudente, e valoroſo Prin cipe , quanto l'adoperar sì col ſenno , e colla mano
, che i Popoli alla ſua cura commeſſi non vengano da ſtraniero ferro aſſaliti,
o ſenza vendetta miſeramente oltraggiati. Ma non è opera per mio avviſo men
laudevole , e generoſa il render loro poi ſicuri da gl'inganni de’dimeſtici
nimici;i quali al lora più gravemente nuocer ſogliono ,quando ſotto il vela mo
della benivolenza,edella carità aftutiffimamente ſi cuo prono; e
ch’infingendoſi tutti umani, e compaſſionevoli al l'altrui fciagure, tendon poi
loro sì inſidioſilacciuoli, che rade volte ,o non mai ſenza mortale offeſa
ſchifar ſi poſſo no . E nel vero, che monterebbe eglimai l'uſcir talvo , e
ſicuro da' manifeſti riſchi della guerra ad huom , che poi nella tranquillità
della pace,in tanto più acerbi,quanto più naſcoſi pericoli inavvedutamente
cader doveſſe ? Anzi queſti di tanta maggior compalfione degno ſarebbe, quáto
più gravi , e più dure , e lagrimevoli da giudicar ſono le А ſven Ragionameñto
Primo ſventure di quella nave, che ſcampata da più alti mari , giunta poi in
bocca del porto miſerabilmente virompe . Perchè non mai a baſtanza potrà
commendarſi il pietoſo , e faggio avvedimento - del noſtro Eccellentiſſimo
Signor Vicerè ; il quale auendo con maraviglioſa , e incredibile felicità il
primo ottimamente compiuto ; e reſi vani gl'in tendimenti , e gli sforzi di
quelle armate, che ſuperbe, e crudeli infeſtando i mari , e le terre , ad ogn'or
di ſangue , e di fuoco ne minacciavano ; e ſgombrate ſimigliantemen te le
fchiere de gli sbanditi, e de gliſcherani, che le ſtrade tutte, ei contadi
ſcorrendo il noftro Regno malmenavano; ora con ogni ſtudio , e diligenza và
riparando, che non ſia mo aman ſalva nell'avere,e nella perſona miſerabilmente
oltraggiati per lomal'uſo della Medicina. La quale per ciocchè a ciaſcun forſe
abbiſogna, ſicome ove ſia infra’li miti mantenuta della ſperienza , e della
noſtra comeche debil ragione, eſſer puote per avventura di qualche giova mcnto
al comune : così allo incontro s'egli mai avvien, che fi torca à ſiniſtro
cammino , affai più delle malattie mede fime dannofa fi ſperimenta, e nocevole
al genere umano . Nè prima alla notizia di lui gl’infelici avvenimenti d'alcu
ni infermi fon pervenuti, per li quali le Chimiche medici ne forte
s’accagionavano, ch'eglitantoſto ne impone, che per noi con minuta diligenza li
cerchi ogni modo più op portuno da potervi dar riparo : e inſieme di
preſcrivere a Medici, ove faccia meſtiere , certe , ſicure , e falde regole nel
loro operare. Ma io quantunque voltemeco penſando riguardo quan te , e quali
ſian le malagevolezze d’un tale affare , tante fra me mcdeſimo confuſo oltre
modo, e fofpeſo rimango;per ciocchè, o che ficome in tutt'altre biſogne di gran
conſide razione interviene, o che natura di tal'arte nol patiſca, du ro molto ,
e malagevol ſembra il dar legge alle coſe a quel la appartenenti . Perchè
amerci più toſto ſenz'altro fare , tacendo di non darmene briga , ſe non fapelli,
ch’in sì fat ta maniera contravvcrrei a ' comandamenti di colui , icui senni
,non che le richicke debbo di preſente , ſenza replica alcu Del Sig.Lionardodi
Capoa. 3 alcuna , e con ſomma venerazione ſeguire ; da' quali ſol moſſo , ed
anche dal giovamento, ch'alla mia patria ne po trebbe forſe avvenire,
volentieri, e di grado mi vilaſcierò entrare . Ed acciocchè ogni diliberazione
, o partito, ch'intorno a ciò ſia da prendere, a vano , ed inutil fine affatto
non rie ſca , tutte le forze del mio deboliflimo intendimento im piegherovvi ;
diviſando in prima le malagevolezze , in cui di leggier s'avvengono non che
Principi, o Maeſtrati ; ma Medici ancora , comechè faggi , e intendentiſſimi in
dare ſtabili , e certe leggi alla Medicina ; eſſendo fommamente una tal'arte di
ſua natura incerta , e dubbitoſa, ed incoſtan te . Indi poi pian piano , e con
diſcreto avviſo più adden tro facendoci,ilmodo proporremo , col quale quanto
law natura della coſa comporti, un buon Medico , ed un mi glior Chimico far ſi
poſſa. Ne altro provvediméto intorno a ciò al preſente mi ſovviene, che
valevole , ed a propoſito ſia per riparare alle perpetue , e quaſi fatali
calamità della Medicina. E per cominciare dalle memorie più antiche , laſciando
da parte ftare quanto poco duraſſe in India, in Babilonia , edin Afiria quel
lor diviſo di dover allogure gl'infermi nelle più uſate contrade e della Terra,
perche fuffer cura ti da’ viandanti; nell'Egitto là , dove l'arti tutte, e i
più no bili ſtudj nacquero in prima , e fiorirono , ſolamente a’Rè , ed a'
Sacerdoti , ed a pochi Baroni d'alto affare ilmedicar gl'infermi era conceduto
; onde da Manetone fra' Medici d'altiffimo fapere annoverati furono Antotide
ſecondo Rè della prima dinaſtia de'Tiniti, il quale laſciò ſcritti alquan ti
libri di notomia : e Tofortro Rè della terza dinaſtia , la qual’era
de'Menfitani . Ma poi tratto tratto cotal meſtiere con tutti s'accomunò ,
eziandio colla minuta plebe; e tan to il numero de' Medici s'accrebbe , che ben
per ciaſcun male era il particolar Medico ſtabilito , che ad altro malo re non
dovea por mano , come ne dà teftimonianza Erodo. to della Greca Iſtoria padre ,
con queſte parole : ; dè intpoxaj A κατα : 1 2 I Strab. lib . 3.8 . 16.
Ragionamento Primo κατι δέ σφι δέδασε μιής νούσου έκασG- ιησος, και ου πλεόνων»
παντού δ ' ιητών επί σλέα.οι μενεγαρ οφθαλμών Ιητοί κατεσέασι, οι δε κεφαλής ,
οι δε όδόντων, οι δε τών και νηδήν , οι δε των αφανέων νούσων, cioc fala
Medicina appo loro divifaeflendo per ogni malore, e nongià per più il ſuo
Medico : Ondetuttoilpaeſe vien da Medicin gombro ,perocchè altri curano gli
occhi, altri il capo , altri i denti , altri le parti del ventre , e altri i
mali interni , e na Scofi . Rimaſa poi in man ſolamente delle private perſones
non ſi può creder di leggieri , quanto cadendo dal ſuo pri mo ſplendore
l'Egiziaca medicina cangiolli per l'infingar dia, ed ignoranza de' novelli
Medici, iquali eran di così poco talento , che come dice ilteſtè mentovato
Erodoto, i primi della Corte del gran Rè della Perſia , allorche a co ſtui gli ſi
era dislogato ilpiè, non pur no’l ſepper guarire , ma coʻloro argomenti a
peſſimo ſtato il riduſlero . Perchè ſicome ſenza fallo è da credere , fù
a’Medici , come narra Diodoro, nell'Egitto per legge vietato il traviar
da’coman damenti degli antichi Maeſtri , a' quali ſe alcun contrave gnendo
interveniva , che piggiorato ne foſſe lo infermo , n'era perciò acerbamente
punito ,xq'v Teis ex tās iegãs 616nou νόμοις αναγινοσκουμένοις ακολουθήσαντες
αδυνατήσωσι σώσαι τον κά. μνοντα ,αθώοι παντός εγκλήματG- απολυόνται.εαν δε
παρά το γεραμ μένα ποιήσωσι, θανάτου κρίσιν υπομένεσιν. Εnel vero fu non po ca
fortuna di Galieno (per tacere al preſente d'Ippocrate, e d'altri) il non eſſer
egli nato à que'tempi,ed in quc'paeſi; perocchè non così agevolmente n'avrebbe
ſchivata la pe na, ſe quaſi ad onta della reverenda autorità di tal legge oso
pur dire quette parole: ου γαρΙπποκράτης μόνον , αλακαν τοϊς άλλους παλαιούς,
ουχ απλώς οίς αν είσαι τίς αυτών πυρεύω βασανίζω δε και αυτός τη τεπείρα , και
ταλόγω. ciοε , πότερον αληθές εςιν , ή fèuda ö yayçá Daci , Io ciò offervo non
ſolamente negli ſcritti d'Ippocrate, ma in tutt'aliri libri de gli antichi; che
non così di leggieri foglio commendare ciò che ciaſcun di loro ne aveſſe
laſciato ſcritto ;maprima il vò ben’io ejjaminando colla Sperienza, e colla
ragione,ſe vero, o falfo fifia ;ſe pure egli, che valente maeſtro di loica era
, per iſchermirfi non aveſſe tali chioſe fatte in su gli ſcritti de gli
antichi, e tanto i lor Del Sig.Lionardo di Capoa. 3 . i lor ſentimenti ſtravolti,
ed avviluppati , finche paruti fof ſer conformi a ciò che più gli era a grado.
Coſtuina , che più di ogni altra han poi ſeguita, e ſeguono tuttavia i Me dici,
che gli vanno appreffo , i quali in tal guiſa i ſuoi detti sformano , ed anche
que’d'Ippocrate, che ſovente fan ve duta di dir tutt'altro di ciò che da prima
ſi propoſero . E forſe gli Egizziaci medeſimi con iſchernire la lor legge
anch'eſſi vezzatamente cotal arte operavano ſecondo il proverbio : fatta la
legge , penſata lamalizia . E a tanto giunſe per avventura la lor traſcutata
arditezza , che ſo vente vegnendo toſto alle purgagioni , e per lo più con in
felice avveniméto per ripararvi traſandata la prima legge una nuova ne
publicarono, ſecondochè ne narri Ariſtotele con quette parole: Εν Αιγύπτω μετα
την πταήμερον κινείν έξεσι τοις Ιατζούς, έαν δε πρότερον επί τω αυτε"
κινδύνω , eler lecito a' Medici muovere ſolamente dopo il quarto giorno , che
fe'l voglion far. prima, lo ſi facciano a lor pericolo .La qual mellonaggines
non ritrovò gran fatto , ch'io mi creda , ricevitori , ſe mai avviſarono quanto
di leggier poſſano avvenir que’mali, a ? quali fa meſtieri d'eſtremi
medicamenti anche nel primie ro giorno, e toſto che ſi fan manifeſti. Ma o
quanto da nul la ſtato ſarebbe quel Medico , che procurato aveſſe l'altrui
ſalute a coſto della propria vita, Eda tali ſconvenevolezze avendo per
avventura riguar doi Greci, i quali come nell'arti , c nelle ſcienze, così nel
la prudenza civile ogni altra nazione ſi laſciarono ſenza contraſto addietro :
non mai dar vollono determinate leggi alla Medicina, ed a que', che la
eſercitavano; amando me glio , che ne'liniſtri avvenimenti de gli infermiper
colpa ' de’Medici n'aveſſercoſtoro in condegna pena la ſola infa mia portata :
και πιο σιμον γαρ ιητικής μούνης έν τήσι πόλεσιν ουδέν 60315042 Tinio a'došíns
, la quale a coloro, cui preme l'animo cu ra di vero onore, più ch'ogni altro
fupplicio grave riuſcir fuole, e nojofa. La qual coſtuma ſi vede manifeſta da
File, mone, ovc dice : Μόνω. 2 Ippocrate , 6 Ragionamento Primo 1 111 Μόνω
διατάω τούτο και συνηγόρω Εξεσιν αποκτείναν μεν , αποθνήσκαν δε μη . Cioè a
dire , al Medico ſolamente, ed al giudice fi permet te uccidere a man ſalva le
genti . Piacque ciò anche all'al to ingegno del divino Platone , laſciando egli
così nella ſua Republica ordinato : Aniuna pena fia ,che foggiaccia il Medicó,
s'alcun infermo da lui curato contro ſua voglia fia che ne muojaιατρών δε
περιπτάντων αν ο θεραπευόμενων υπ'αυτών τε arvoſi xabago's tsw na odvopov . Dal
cui divilo non punto ſi di lungo Luciano , ove diſſe : L'arte della Medicina
quanto di maggior pregio è degna , e più dell'altre alla vita giovevole, tanto
i ſuoimaeſtri debbono più godere di libertà' ; e convene volcoſa è , che goda
di qualcheprivilegio, nè fia giamai liga ta , o foggiogata da potenza veruna
una dottrina confecrata agl'Iddij,e diporto degli uominipiù ſcienziati,nè vegna
alla dura ſervitù delle leggiſottomeffa , e al timore , e alle pene acTribunali
. π δε της ιατζικής όσω σεμνότερόν έσι και τώ βίω Χρησι μώτερον τοσέτω και
ελευθεριώτερον είναι προσήκει τοϊς χρωμένοις , και πνα πονομείων έχειν την
τέχνην δίκαιον τηεξεσία της χρήσεως , αναγκάζεσθαι δε μηδεν , μήδε ποσάττεσθαι
, πράγμα ιερον και θεών παίδευμα και ανθρώ πων.σοφών επιτήδευμα.μήδ ' υπο
δελείαν γενέσθαι νόμου μήδ' υπο φόβος και auweiar dixæsnetw . E cõciofoſſecoſa
, che frà Greci gli Ate nieli ſolamente vietaſſero alle donne , e a'ſervi lo
ſtudio del la medicina ; non è però gran fatto da lodare , per non dir che
molto da biaſimar ſia un cotale ſtatuto ; perciocchè,co me più avanti diraſli ,
lo intendimento di valoroſe donne contro al loro avviſo s'è moſtro più fiate
valevole a viril mente imprendere i più alti ſtudj; ed a ' ſervi ancora conce
dette la natura più volte animo , e ingegno alla libertà fi loſofica acconcio :
perchè a ragione non guariappreſſo fù rivocato : rapportando Igino :
Obſtetricibus neceffitatis , honeſtatis gratia ufus medicina tandem ab
Athenienſibus con ceffus fuit . E molto meno dovrem noi credere , che rima
neſſe in piè la beſſagine di Seleuco , che tal potremoſenza fallo quella ſua
legge chiamare , colla quale non altrimen te , che ſe veleno ſtato foſſe proibì
il ber vino ſotto capi tal pena a tutti gli ammalati Locreſi, ſalvo ſe prima
non ne ayer 1 DelSig. Lionardo di Capoa. aveffero da loro Medici la licenza
ottenuta. 3 Ens Aoxgüv των Επιζεφυρίων νοσών έπεν οίνον α'κρατον μη προσάξαν7G-
ταθεραπεύ αντG ,εί και περιεσώθη θάνατG- ή ζημία ήν άντώ, οπ μη προσαχθέν από
o'Se triev. La Romana Republica , che non pur nel governo militare , ma nel
politico ancora avanzò di gran lunga le greche tutte, e lebarbare nazioni,
giudicò convenevol com fa il non commetter ſenza freno alla balia deMedici la
cu sa della vita de gli uomini ; e perciò preſe per partito, che Aquilio
Tribuno della plebe, non so ſe Gallo , o altro e' ſi fofíe,con un plebiſcito ,
il qual fu poi annoverato infra le leggi di Roma,qualche penaa'loro fallimenti
iinponeffe , per la qual’accorti divenuti foſſero , e cauti nell'operare . Non
per tanto dimcno è da credere che legge tale, o ple biſcito , che ſi foſſe ,
non mai ſi metteſſe in ufo , ch'altrimen te avrebbe avuto il torto Plinio di
ſclamare in sì fatta gui. fa contra’Medici. + Nulla præterea lex punit
inſcitiam capitalem , nullum exemplum vindiétæ : indi ſoggiugnere : difcunt
periculis noſtris, experimenta per murtes agunt: ed in fin conchiudere :
Medicoque tantum hominem occidiſe fumma impunitas eft. Ma vi ha di vantaggio
ſecondo il me delimo Autore tranfit convitium , &intemperantia culpa tur ,
ultroque qui periere argauntur . E perciò immagino , ch'in compilando i Digeſti
per commandamento di Giuſti niano a bello ſtudio traſandaffero que celebri
Legiſtila fentenza troppo dura nelvero, e crudele di Paolo ſopra la legge
Cornelia de Sicariis . S Si ex eo medicamine, quodad falutem homini , vel ad
remedium datum erat homoperierit, is qui dederit ahoneftior fuerit, in inſulam
deportatur, humi lior autem capite punitur . La quale a giudicio di quella
grand'animadella civil ragione GiacomoCujacio, alla già detta legge Cornelia non
può propiamente ridurſi; peroc chè dice egli il Medico ſanandi,non nocendi
animodedit. Ed avvegnacchè i medeſimi Legiſti nelle Hituta , e ne’Di gefti vi
rigiſtraffero non ſolamente il già detto capo della legge Aquilia , ma ancora
le ſeguenti parole d'V Ipiano , SicutiMedico imputari eventusmortalitatis non
debet , itad quod * Elannt. lib 2.9.cap.z. lib.recept.lent. 6 Cuias.in Ang Corn
de Sioar. 8' Ragionamento Primo tores quodper imperitiam commifitimputari ei
debet, ebo pretextu fragilitatis humanadeliétum decipientis in periculo homines
innoxium eſſe non debet. Nientedimeno o di rado, o non mai certamente fur meſſi
in uſo cotali ſtatuti, avvegnachè non ſolamente Plinio, ma molti, e molti anche
dopo lui le que. rele medeſime replicando con più vive doglianze l'acca
gionaſſero ; infra’quali il dottiſſimo Agnolo Poliziano in una ſua piſtola al
Leoniceno così ſcrive, indolui rurſus ge neris humani vicem , quod in fegraſari
tamdiu impune tri ſtem hanc inſcitiam patiatur, atque ab ijs interdum vitæ fpem
pretio emat, unde mors certifima proficifcatur ,e'l Vives co sì grida : Errata
illius (del Medico ei favellando) impung funt:immomercede compenſantur, e
Battiſta da Mantova: His etfi tenebraspalpant eſt facta poteſtas Excruciandi
ægros, homineſqueimpune necandi. E un Satirico Italiano ſcherzando col titolo
del Dottor dice a queſto propoſito medeſimo del Medico: Mapoichè un tal ci può
donar la morte Senza punizione, e ſenzapena Forzaè, che sì gentil titol riporte
E'l noſtro Accademico in quel ſuo vaghiſſimo dialogo , hoc tamen ipfo -ſecuri ,
dice parimente deMedici, quod nulla fit lex,quæ puniat infcitiam capitalem :
immo vero cum mercede gratia referatur, ed altrove: Carnifici medicus par eſt:
nam cædit vterque Impune: &merces cædis utrique datur . E un'altro Autore:
Si quæcamque ſuaplectuntur crimina lege Quas Medici maneant modo veſira piacula
pænas ? Quiplerumque ipſo facitis medicamine morbum, Etdiro ante diem ægrotos
demittitis orco . ? Scilicet hoc vobis indulſit opinio rerum Vna potens. Clades
inferre impune per Orbem Mercedemque alieno obitu , laudemque parare.
Edavvegnachè Maſlimino condennaſſe nella perſona tutti ſuoi Medici , perche non
gli aveſſero o ſaldate affatto le piaghe, o alleggiato il dolore , nondimeno
l'eſfemplo d'un tal DelSig.Lionardo di Capoa. 9 tal tiranno non può dar vigore
a leggeniuna ; e fu queſta non men, che tutt'altre ſue crudeltà biaſimata da
gli ſcrit tori del ſuo ſecolo , ſicome anche Aleſsádromeritevolme te riportò
titolo di crudele, per haver fatto ingiuſtamente ammazzar Glaucia Medico , per
ſoſpetto, ch'egli aveache colui poco faggiamente aveſſe curato il ſuo cariſlino
Éfc ſtione. Comeallo incontro grandemente vien commenda ta la clemenza, e
umanità di Dario Iſtaſpe Redella Perſia, il quale i Medici già alla morte
dannati , perchèlui aveſſer malamente cnrato , volentier permiſe , che liberaci
foſſero da Democide illuſtre Medico da Cotrone . Ma non però creda alcuno ,
aver iMedici per traſcutaggine de’reggi menti una tal libertà guadagnata ; anzi
egli è ſomma nc ceſſità del comune, e quaſi arte di buon governo; perocchè
ſarebbeli quaſi affatto ſpenta , e com’Io avviſo annullata fin la memoria del
meſtier della Medicina, ſe contro aʼme dicanti con rigor di giuſtizia ſi
procedefle. Ed in vero qnal huomo mai, ſe non ſe ſommainente ſciocco, e
ſcimunito, o temerario aſſai avrebbe vanamente logorato il tempo , e le fatiche
dietro ad un'arte ( ſe pur arte poſſiamo chiamar la Medicina , non avendo
quella niuna certa , e filla regola nelle ſue operazioni ) quanto a ſe
ſpiacevolc,e malagevo liſſima a conſeguire , e ne gli avvenimenti dubitoſa
aſſai? E dicola ſpiacevole, perocchè qualmaggior noja, e ſpiaci mento , che
quel di colui , che continuo ha da bazzicar co? malati, e veder ſempre , &
udire l'altrui miſerie ſenza aver talora opportuno argomento da riſanarli ? Ed
è anche malagevole ad imprendere , e incerta ſempre negli avve. nimenti :
imperocchè nella cura delle malattie non meil dell'avvedutezza del Medico il
caſo ancora, e la fortuna vi fan la lor parte '; perchè ſurſe quel volgar detto:
Fa meſtieri il Medico ejjer forto benigna coſtellazion nato . Ed o quanto aſſai
ſoyente avviene , che contro ad ogni avviſo umano , ficome ſcriſſe Celſo ,
etiam Spes fruſtratur : & moritur aliquis , de quo Medicus fecurus
primòfuit. Ed : Ippocrato medeſimo avvegnacchè altiſſimoMedico , &
avvedutiſſimo B giu 7 Plutarcom: 11 / a ? ! . 10 Ragionamento Primo giudicato ,
purconfeffa se da tal meſtiere ancor più di bia limo, che di lode
aver’acquiſtato. r fywye doréw pasiove uspelo Morgíny topov xexangãoBan Thin Tégun.E
quinci è, che duracoſa, o malagevoliſſima, o impoſſibile ſempre mai è'l
ravviſare ſe le cattive uſcite de' mali da dapocaggine de' Medici più toſto
avvengano , o da natura delmale , o da altra interna cagione , in cuiſenno
alcuno , ne umano provvedimento giammai non vaglia. Incertiſſimi ſempremai, ed
oſcuri gli uſcimenti delle malattie ſi ſono ,maſſimamente delle acute, ſecondo
il ſentimento d'Ippocrate ; perchèdiceva anche Celſo: Neque ignorare oportet in
acutis morbis fallacesma gis effe notas falutis ,& mortis. Senza che
ſoglionſi ne'cor pi degli animali ingenerare, e talvolta anche di preſente ,
iveleni per ſubitana, o precipitazione , o coagulazione ; e può anche huomo,
che non altri, ma Apollo, ed Eſculapio medeſimogiudicherebber faniſſimo,aver
dentro enfiature, o altri nafcofi malori , che quando egli men ſi crede ſian ,
valevoli ad irreparabil morte condurlo ; e ciò anche nel tempo ſteſſo , che li
s'appreſtano i medicamenti; perchè a torto poi i rimedjmedeſimi, e non il
malore accagionatine vengono. Ed oltre a ciò poſſono alcuni medicamenti, che
buoni, e giovevoli alla ſalute degli huomini ſi giudicano , tal curbamento
dentro cagionare , che l'ammalato le new muoja avanti , che noi col noſtro
corto intendimento pof fiamo ne pur badarvi : 8 Quæque medendi caufa repertow
ſunt ( comene fà teſtimonianza Celſo ) nonnunquam in pejus aliquod convertuntur
, neque id evitare humana imbe. cillitas in tanta varietate corporum poteft .
Perchè non ſarà egli colpa de'Medici l'avertalvolta piggiorato co’ſuoi me
dicaméti lo infermo; ne in ciò le leggi potranno giámai coſa del mondo
determinare . Ma su concedaſi , pure , che per legge ſia a' Medici l'uſo del
medicar preſcritto : come mai potrebber coloro eſſer caſtigati ſe la
travalicaſſero ? o co me mai potrebbe porſi in chiaro il delitto , acciocchè
poi ſecondo il diritto delle leggi vi ſi procedefle ? E chi baſte volmente non
sa quanto i Medici tutti ſian contrarj di ſet te, s lib.z.cap.6. DelSig.
Lionardo di Capoa. IT ) te, e diſcordanti ſempre ne’loro ſentimenti ? Perche
oda paleſe nimiſtà , o dacoperta invidia, il che è peggio, ſempre ſtuzzicati, o
tratti dall'amore e dalla benivoglienza de’lo ro parziali, traſandata la verità
delle coſe rappreſentano al Giudice tutt'altro , che di giuſtizia dovrebbero ,e
dannoli a divedere, come ſuol dirlila Luna nel pozzo, ſecondo il lor diſiderio
; ſenza che il timor della pena , in cui potrebbe di leggieri incorrer il
Medico, ſempre ſoſpeſo, e inviluppa to il terrebbe in prender partito anche
quando faceſſe me ſtiere dipiù efficacemente operare ; ed egli timido , econ
fuſo per non porre a riſchio la ſua perſona nelle piu gravi malattie
ſcioperato, e colle mani penzoloni ſe ne ſtarebbe; o pure per non partirſi dal
comun ſentimento del vulgo , comechè falſo , e almal contrario, talvolta vani,
e perico lofi rimedi uſerebbe . Coſa , chepiù ch'altrui a'Medici de Principi ,
come avvisò il Cardano , avvenir ſuole ; i quali per tema non pur dell'infamia
, ma di mal maggiore ſi ten gono di adoperar grandi, e non uſati medicamenti. Ne
ſam rà quì fuor di propoſito l'apportare un'eſemplo del meſtier della guerra,da
quel della Medicina non guari in verità per l'incertezza de'ſucceſſi lontano .
Compativano anzi che nò i Romani Maeſtrati gli erroride' Capitani de’loro eſer
citi;e ben ſi vede a quale altezza ne montafſe perciò lo im perio di Roma, come
all'incontro sa ciaſcuno a qual miſe rabil fine ſi conduceſſero i Cartagineſi
per operar ſempre mai ilcontrario . E più vicin deʼnoſtri tempi ben lo mani
feſtarono i Viniziani con loro gravoſiſsimo danno, e quaſi con la caduta
univerſale del lor comune, quando ingiuſta mente per la ſua tracotanza
decapitarono il Carmagnuo la; perchè poi ſmagato il Liviano, e ſecondando il
fenti mento de’malcauti provveditori,ne perdette la giornata di Vicenza , e
miſerabilmente con tutto l'eſercito ne reſtò tagliato, e ſconfitto . E forſe la
morte data al Vitelli fu an che una delle principali cagioni , onde i
Fiorentini traditi dal Baglione,la libertà poi miſeramente ne perderono. E ben
potrebbe qui alcuno non ſenza qualche ragione andare ſpiando,che la legge
Aquilia, cometutt'altre leggi B 2 de' 12 Ragionamento Primo 1 ! de’Romani da
noi teſtè rapportate, nõ già per li valétiMea dici oMetodici , o Empirici, o
Razionali ſtare foſſer fatte, ma ſolamente pe’ſoli popoleſchi Empirici,e
volgari; eſſen do comunal ufo appo coloro di non ſolamente con nome di Medico i
volgari Empiricichiamare , ma quegli ancora, che di caſtrare i fanciullieran
uſi ;come agevolmente ſi può ne'Digeſti, e nel Codice così di Teodofio, come diGiuſti
niano comprendere . E certamente in coſtoro ſolamente da credere , ch'aveſſe
luogo l'ignoranza dell'arte ; per ca gion della quale furono in Romacontro a'
Medici ordina te le leggi. Ma sì fatta razza di medicanti ben ne do vrebbe
eſſere acerbamente punita: intramettendoſi teme rariamente in meſtier di tanta
conſiderazione , quanto è il mcdicare; e ordinando alla cieca rimedi di riſchio
sù la vi ta de gli ammalati. Perchè ſtimo ben fatto aſſai, ch'in mol te parti
dell'Europa , venga loro ſotto graviſſime pene if medicare interdetto ;
avvegnacchè poi cotali divieti poco, o nulla fian melli in uſo . E ben d'eſſo
loro a gran ragione dice Anneo deRoberticiocchè degliStrolaghi diſſe in pri
maTacito : Genus hominumpotentibus infidum , Sperantibus fallax : quod in
Civitate noſtra vetabitur femper ; & retine bitur: Se non ſe troppo fcarſo
èil paragon del Roberti ; che i cattivelli degli Strolaghi altro no fanno,che
con lor cian cie tenere a bada le brigate de' curioſi con paſcer loro di
vaniſſime ſperanze; e gli Empirici volgari co'lor vani ſegre ti , e con lor
ciarle , o rattengono gli ammalati , che non prédano rimedj da'buoni
Medici,ondepoi ſe ne muojano: o pure con lor nocevolifumi medicamenti eglino
medeſimi gli uccidono. E giuſtamente per avventura furon prima digradati , c
poi nella perſona condenvati que' viliſimi paltonieri nel reame di Francia ,
ch’in vece diguarireil Rè Carlo Seſto , preſſo a morte coʻlor medicamenti , e
quaſi a perduta ſpe ranza ilcondufſero . Ma egli fu per mio avviſo poco ſag.
gio, cavveduto quel valoroſo Re arriſchiando in mano di giuntatori , e
pancaccieri la propia vita; e ben come da pri ma li s’offerſero di voler
riparare a'ſuoi malori , così do 1 veali Del Sig.Lionardo di Capod. 13 veali
toſto e ſenza niuna pruova fare , o aſpettar di lor pro meſſe :del temerario, e
folle ardimento punire. Se pure non fu malavoglienza , edaſtio de’maligni
Medici di que’tem pi,che fe si malcapitare que'cattivelli, Ma come potevan
giammaicon ſalde, e durevoli leggi ſtabilir la Medicina, oi Popoli , o i
Maeſtrati , i quali po co , o nulla per la più parte di quella s'intendevano ;
le a tanto non poteronmaii più ſaggi, e avveduti Medici per venire, li quali
per lungo ſtudio, ed eſercizio molto adden tro in quella ſentivano ? Inventore
per quel che fi creda , o almeno antichiſſiino ſcrittore fu della medicina
Eſcula pio , e come ne da teſtimonianza Ippocrate , o chiunque altro fi foſſe
l'autor della piſtola a Democrito, molte re gole all'eſercizio del medicare
egli preſcriffe : ma ben to fto non buone conoſcendole parecchj ſaviſſimamente
diſ fenne; quròs , dice e' parlando d’Eſculapio , è moois deepcóunge καθάπες
ημίν αι των ξυγκαφέων βίβλοι Perchè può dirſi col toſcano lirico , che Solchi
onde, in rena fondi, e ſcriva in vento colui , che dietro lo ſtabilimento di sì
fatte regole s'affati ca, e a cuic.iglia di chiarirfene cercherò per quanto io
pof ſa di inoſtrargliene con ordinato diviſamento le cagioni. La medicina tanto
, e tanto oggimai creſciuta, e avanza ta, che ben di maggioranza co’più illuſtri
, e più nobili ſtu dj gareggiar ſi vede, e colla ſua giuridizione fin détro i
più rimoſſi,ed vltimiconfinidella natura s'innoltra : pure fra gli anguſti
limiti di pochiſſime piante ſi vide in prima riſtret ta, come avviſa per tacer
d'altri l'antico chioſatore d'Ome ro vidpxxia inteixen év GOTÁVOLS ñ ; e'l
nostro Seneca : Medicina quondam paucarum fuit fcientia herbarum ; anzi in quel
dolce, e ſovr'ogn'altro avventuroſo tempo Quando era cibo il latte Del
pargoletto Mondo, e culla il boſco. col ſolo digiuno gli huomini ſi medicavano,
9 E pur viuean que'primi huomini allora, Elefebbriſcacciar, quando l'aiuto Non
9 Ercol.Bentiv.Satir, 3 . 14 Ragionamento Primo Non davan l'erbe, ne'lfapere
ancora, o perchèpoco loro abbiſognaſſe la medicina, come avviſa altresì Seneca
: Firmis adhuc, folidiſquecorporibus, & facili cibo,nec per artem ,
voluptatemq; corrupto: o perchèficome à tutt'altre coſe di quaggiù è dato ,
eziandio alle più grandi, da deboliſſimi principj dovea la medicina trarre
l'origine; que’medicamenti uſando gli huomini allora, che loro, o dal caſo , o
da bruti animali , o dalla propia induſtria venian manifeſti . 10 Perchè
ragionevolmente credeſi, che Age nore , e Chirone tenuti per alcuni ipiù
antichi di tutti i Medici,coll'uſo delle ſole piāte medicaſſero. Túcsospeli
Aynuo είδη,Μάγνητες δέ Χείρωνα τοϊς πρώτους ματςεύσαι λεγομένοις απαρχας κα
μίζουσι.ρίζαι γάρ εισι και βόταναι δι' ών ιώντι τες κάμνον ζεις.Ε di Chi rone
ritrovatore del Panace Chironio : πρώτην μεν χείρων G- επαλθέα ρίζαν ελέσθαι
κενταύρου χρονίδαο φερώνυμον, ήν ποτε χώρων πολίω εν νιφόεντι κικών εφράσσατο
δείρη narra 11 Euſtazio , ch'eſſendo egli nella mano ferito , oco me vuole
Plinio, nel piede ritrovaſſe la medicina dell'erbe, χείρωνα γάρ φασι σώθενζ
ποπτην χώρακαι την δια βοτανών επινοήσασθαι ixreixn\v: e per tacer di Mercurio
,ilquale inſegnò come can ta Omero l'uſo ad Vliſſe dell'erba Moli Ως α'eg
φωνήσας πάρε φάρμακον Α'ργαφόντης Εκ γαίης έρύσαςκαι μιν φύσιν αυτού έδειξεν e
ſi pare, che medicaſſero altresì non con altro , che colle fole piante Ercole,
onde traſſe il nome il Panace Erculeo; e Ilide e Oſiride, e Apollo, e Arabo , e
Cadmo, e Bacco per opera del quale come dice Plutarco, si ritrova
primieramente, e monta in pregio il vino , medicamen to poderoſo , e ſoave, e
venne anchepaleſata al mondo la gran virtù dell'edera , la quale
maraviglioſamente riparar ſuole i danni , che provenir poſſono dal vino
ſtrabocche γolmète ufato , ο ΔιόνυσG- και μόνον τώ τον οίνον ευρώνιχυρόα τον
φάρ μακον και η διεν,ίατρος ένομίσθη μέτσι, αλα και το τον κιτζόν ανπταπό μενον
μάλισα τη δυνάμει πεος τον οίνον ας πμην προαγαγών και τεφανά . σθαι διδάξαι τα
βακχένοντας , ως ήταν υπότα οϊνα ανιόντο , τα κιλά κα ποσβεννύνθG- την μέθην τη
ψυχρότητ: δηλοί δε και των ονοματώ, ένια την Σ 10 Trif.appo Plur. u lib.i'lliad
Del Sig . Lionardo di Capoa. Is 2 την πιο ταύ πολυπραγμοσύνην. Le fole erbe
dovettero pari méte adoperarc Eſculapio inventore del Panace Aſclepio , col
quale egli,comecāta Nicádro guarì lola figlio d'Ificle: a's" χει και
πίνακες φλεγυήϊον όρρατε πρώτο παιήων μέλανG- ποταμε " παρg χάλG- αμερσεν
αμφιτζυωνιάδαο θέρων, ΙφλίκλεG- έργG έντε συν ηρακλή κακήν έπυράκτεν ύδρην e
che come avviſa il ſuo chioſatore ſolea nclle cure de gli altri fuoi inferimi
anche adoperare . δ Ασκληπιον τέτω λέγεται Ιατεύσαι όσις ήν της κορωνίδα της
θυγατςός τ8 φλεγύο παιήων só coxnýma. ed Amitaone, e Melampo , il quale come ſi
legge in Dioſcoride dell'elleboro ſerviſſi nel curar le fi gliuole di Preto Rè
de gli Argivi. Mercun Qutisaitór @ toe's Afolty Osya tegas Hayelous év ained,
cioè coll'ellebero xa Jogou weó tos ĉ beeg Tolcay , e Podalirio, e Macaone non
d'altro , che d'erbe fi valfer pe' feriti dell'oſte greca , e prima della
guerra Trojana Medea , come narra Diodoro coller be guarì le ferite di
Giaſone,di Laerte,d’Atalanta, e di Te fpiade. Ιάσονα και Λαέρτην, έπ δε
Αταλάντης, και τους Θεσπιάδας προσα γορευομένους· τούτοις μεν ουν φασίν υπο της
Μηδείας εν ολίγαις ημέραις Tori písars Borzívass DeexWeu Iñvou . E Trifone appo
Plutarco in nalza , e loda ſommamente gli antichi nneisy xexenuefuésmo' Qurwv
ixrçıxß. Quindi provati più volte , e riprovati poi i lor medicamenti , dieder
la prima bozza all'arte del medicare, como cantù Manilio : Per varios caſus
artem experientia fecit Exemplo monftrante viam . Macome pochi , e ſemplici erano
in prima i medicamenti, poche, e ſemplici altresì eſſer dovettero allora le
regole della medicina: quindi per gli errori, ne'quali puotè age volmente
incorrere la ſperiêza,abbiſognò ,che cotali rego le,comechè pochiſſime,pure
talvolta mutafler faccia ,cam biandoſi tuttavia , è migliorandofi i primi
medicamenti. Così cominciò la medicina ſu'l bel principio a far manifeſta la
ſua incoſtanza . Ma non guari così ella in man delle ſemplici perſone riſtette
, che tratto tratto non vi poneſſer mano anche i filoſofanti; i quali è da
credere, che da prima da 16 Ragionamento Primo da ſola curioſità, e diſiderio
d'inveſtigar la cagione de'me ? dicamenti tratti vi cifoſſero ; ma pian piano
vie piu avan zandoviſi,ericoncentrandoviſi,giunſero poi a tale,che bia ſimando
, comeincoſtante, e pericoloſa l'antica ſemplicità del medicare, le prime
fondamenta gittarono della razio nal medicina ; comeche Euſtazio ne faccia
Podalirio il primiero inventore , ed egli ſembri per quelche ne narri Eriſimaco
appo Platone, ch’un tanto onore al ſuo padre Eſculapio ſi debba attribuire :
onuéte? Quiséger G Astana's ( ως φασιν διδε οι ποιητα, και εγω πείθομαι
)συνέςησε την ημετέραν τέχνην . ή τεν ιατζική (ώσπερ λέγω ) πάσα δια το θεε τε
του κυβερνάται.Ε pri ma aveaegli detto:έπισήμη των τε' σώματG-ερωτικών προς
πλησμο νην και κένωσιν , και ο διαγιγνώσκων εν τα' τους τον καλόν τε και αίρον
έρω το , 8'τός εςιν ο ιατρικώτιτς- και ο μεταβάλειν ποιών ώστε αντί το ' ετέρα
έρωτG- τον έτερον κτησάσθαι : και οίς μη ένεστιν έρως δει δ'εγγενέσθαι,έπισα
μενG- εμποιήσαι , και εν όντα εξελεϊν , αγαθός αν είη δημιουργός : δεί γαρ δη
τα έχθισα όντα εν τωσώματι , φίλα οΐόντ είναι ποιείν , και έραν αλήλων , έξι δε
έχθισα , τα εναντιώτατα ψυχρoνθερμώ,πικρον γλυκεί , ξηρονυγρό πάνω τα τοιαύα
τούτοις έπιςηθείς έρωτα εμποιήσω και ομόνοιαν . Ma non per tanto non
ceſſarono,mavie più moltiplicarono le ſue muitazioni e le ſue incertezze : e
come varj erano , e diſcordanti quei , chela cſercitayano, così varia ella ne
divenne, equaſi in inille parti diviſa. Ma pur ſi manteneva intanto con
iſtrettiſſimo legam alla filoſofia la razionalıncdicina congiunta ; intanto che
da'più ſaggi, e prudenti ſtimatori delle coſe , come Celſo avviſa, parte di
quella veniva concordevolmente giudic.ee ta: eral parve che ſe ne ſteſs’ella fino
all'età di Erodico, detto da alcunimalamente Prodico . Or coſtui come rio
traceiar ſi puote da quel che ne narr. Platone nel Ginna fio , di cui egli era
Mactro, cpriino miniſtro , cagionevole divenuto della perſona, per lo biſogno,
che gliene faceva , a coltivarla medicina con tutto l'aniino , e conogni ſtudio
maggiore ſi volſe; e quella alla Ginnaſtica congiugnendo, e preſcrivendole
alquante regole da lui per via della ra gione, e della ſperienza daprima
ritrovate, li parve,ch'an zi d'ogni altro qualche forma d’arte a darle
incominciaſſe. E illo DelSig.Lionardo di Capoa . 17 E allora venne ella pian
piano a perderdella filoſofia l'an tica uſata dimeſtichezza : comechè Celſo, ed
altri portino opinione eſſer ciò per opera d'Ippocrate primieramente avvenuto .
E da Erodico ſembra eglipoi, ch'il reſtì da noi mentovato Ippocrate ſuo ícolare
, ed Eurifonte , e altri il coſtume di trattar ſeparatamente dallafiloſofia le
coſe alla medicina appartenenti apprelo aveſſero . Ed avvegnachè ad alcuniciò
ſembraſſe ben fatto affaire digran giovamen to alla medicina ; non però di
menomolto manifeſto egli ſi potrà comprendere per colui , ch'alla verità delle
core voglia ben profondamente guardare, cſſergliene anziche no graviſſimo
nocimento ſeguito. Imperciocchè quindi i filoſofanri niuna curanon dandoſi di
por mano alla media cina , e quinci i Medici delle biſogne di quella groſamen
te diviſando , per poco di razional non le rimare , altro che'l nome. E giunſe
a tale sì biaſımevol coſtume, ch’in di fenderlo tuttavia i lor poſteri
pertinacemente s'affaticava no : e oſtinati in su la credenzi coglievan pruova
da farlo a credere alle genti . E Galieno pure osò dir d'Ippocrate , aver lui
certamente gran ſenno fatto in non inframetterſi giammai di volere ſicome ſi fè
poi da Platone , inveſtigar la natura , e la generazione delle qualità di
que'loro quat tro primi corpi, ondegiudicano ciaſcuna coſa , ela malli ...
turta del mondo cſſer compoſta, e ordinata; dicendo, un cotalbriga
a'filoſofanti ſpezialmente , e non già a'Medici appartenerſi; i quali ogniloro
uficio han baſtantemente , compiuto,toſto che a ſapere aggiungono la ſanità
de'corpi dal temperamento , o dalla meſcolanza del caldo , e del freddo , e
dell'umido , e del ſecco ingenerarſi,ſenza più ol tre curioſamente ſpiarne. Ma
qual di queſta giammai po trebbe alla medicina coſa più offendevole , c più
dannoſa immaginarſi? Così per lungo uſo ne' Medici , che razionali appellar ſi
facevano l'amor della fapienza tratto tratto mancando , più fiere aflaise più
crudeli le conteſe della malandata mc dicina rappiccaronſi; perciocchè ove in
prima i ſentimenti gli uni de gli altri per vaghezza ſolaméte della verità con
C trila 18 Ragionamento Primo traſtar ſolevano , allora affondati tutti nelle
fazioni, e oſti nati ne gli appoſtamenti, non rifinarono di piatire , e riot
tare, e carminarſi l'un l'altro, e proverbiare; intanto che ne meno i primi
maeſtri, e ritrovatori dell'arte ne fur ſalvi, Apollo giudicato Iddio della
medicina , era allora poco a capital dalla fciocca gétese volgare torma de
Medici tenu to , rimproverandoli apertamente eſſer luiciarlone , e mil
lantatore; e ſovra tutto d'ingratitudine anche il cacciarono; perciocchè avendo
egli dall'altrui urmanità , e corteſia law medicina apprefa,tutto ſuperbo poise
gonfio ſe n'andavas come s'egli, e no altri dapprima per propria induftria
ritra vata l'aveffe. Anzi perchè egli in maggior pregio ,e gloria formontar ne
doveſſe incominciò lo ſcaltcrito ,e fagace pá cacciere,avédone appreſa l'arte
da Glauco, ch'era un volpā vecchio, a cicciar carore,e far l'indovinello
,aprēdo la ſtra da alle frodi, e aſtuzie da trccellar le genti. Proverbiò altri
Eſculapio anch'egli Dio della medicina,perchè egli bergol foſſe , è di poca
fermezza in mcdicando ;e non poche be ſtemmic ancora li furono ſcagliate per la
ſua ingordilimizu avarizia: imperciocchè egli in priina d'ogni altro , ficome
narrano, 12 l'arte ragguardevole, e ſacrosāta della medicina in profan’uſo
rivolgendo, tratto da vil guadagnos2 prezzo medicando a un'infermoPrincipe
vendèinfinito teſoro al quante poche erbe, e radici, perchè giuſtamente
eglimeri tóne poi cffer fulmimato ,ed arſo daGiove;e laſcionne a'pe fteri un
così ſeoncio , e così abbominevole eſemplo . E ol tre a ciò dicono ,ch'egli in
far l'indovino, el malioſo , ci tutt'altre giunterie, e frafche il ſuo padre
Apollo digran lunga avanzaſſe, perchè poi funne ſovraſtante a gli augurj, e
all'arte divinatoria per ciaſcun creduto. E côtro di lui di vantaggio
aggiungono aver lui con mille modi , e artifici fconvenevoli dato a divedere altrui,
ficome fè ſuo pa dre , che anche i cadaveri ſapeſſe egli in bella vita riporre;
e che in sì fatta gaiſa il titolo di divino fecleratamento d'accattar fi
proccuraffe . Ma per recarvi le molte parole in una , e'conchiudono alla
perfine, ch'Apollo poco,onul la Pindaro, Del Sig.Lionardodi Capoa : 19 la di
medicina s'intendeſſe : e molto meno ne ſapeſſe il ſuo figliuolo Eſculapio ;
perciocchè sfidandoſi colui di poter nell'arte propia il figliuot compiutamente
ammaeſtrares, fotto la diſciplina di Chirone fegliele lungamente impren dere.
13 E coſtui dopo cotanto ludio , e tempo, che logo rovvi, tanto ne venne in
ſuſo , che per guarire un menomo dolor di denti fu a riſchio di perdervi il ſuo
buon nome; e le ftanco alla perfine con una preſta diliberazione per torli
d'addoſſo una cotal ſeccaggine a viva forza no'l cavava , fuora al malato chi
sà che gliene farebbe ſeguito ? E'l ſuo gran Maeſtro Chirone non che altri , ma
ſe medeſimo cu far non valſe , allor che a caſo da Ercole ferito preſe per
partito di far larga rinuncia della vita , e dell'immortalità 2 Prometeo , e
così uſcir valoroſamente fuor d'ogni impac cio . 13 E ben da ciò fi può
apertamente comprendere , re vere foſſero quelle tanto maraviglioſo , e tanto
impareg giabili pruove , che di lor falfamente la menzoniera anti chità và
millantando . Così per avventura gli aftioſi con tradittori di que'primi
maeſtri favellano : c Io ancora a vo lerne dire al preſente ciò, che me ne paia
, non mi ſembra gran fatto da porre in dubbio eſfer que’ primi ritrovatori
della medicina appo'Greci poco in quella cercamente pro firtati; ſe nc'ſecoli
appreſſo ancora , quando colletà in cia lcuno ſtudio , carte avanzavaſi
ilmondo, meno ſaviamente coloro diviſandone, moſtraron'altresì d'aſſai poco
ſaperne. E quantunque eglino in tanto buon nome , e pregio per tutto ne
montaſſero; non però di meno non dobbiamo noi dalla noſtra credenza rimanerci ;
giudicando nelle prime bozze dell'arti al ſemplice, e creſcente mondo eſſer ſem
brati maraviglioſi, e divini ritrovati le prime opere della medicina. E fu ciò
più che a tutt'altri inventori, agevol molto a’Medici ; perciocchè ogni lor
grave fallimento , ed errore in medicando, eſſendo, come diſle colui, naſcoſto
in fieme coʻgli ucciſi da loro forterra ; e allo incontro appa rendo folaméte
di quà le loro comechè menomiſſime pruo ve ne'vivi da loro riſanati, ſenza
troppa invidia poteronfi C 2 age 13 Apollodoro . RagionamentoPrimo agevolmente
acquiſtar loda , e pregio immortale . Senzaa chè nelle più ribalde, e cattive
perſone certamente ciò avviene ; le quali ſicome aſute , e malizioſe ſi van
procac ciando per tutto favorevoli , e parteggianti ; e dalla vera
fapienzalontane non laſciano qualunque froda , 0 giunte ria , onde preſſo la
minuta bruzzaglia delpopolo diventi no ragguardevoli. Perchè è certamente da
giudicare eſſere ftati coſtoro , di cui cotanto buccinavaſi, aſtutiſſimi giunta
tori , e ramanzieri. Nè Io ho in animo di recarvene qui molti eſempli,chea gran
dovizia potrei ritrarre dalle anti che , e dalle moderne memorie ; ſolamente
non laſcerò di rapportarc ,effer'antica fama,che Acrone d’Agrigéto aveſ ſe una
volta damortifera peſtilenza liberata la Città d'A . tene colle grandi
luminarie , e fuochi , cheper entro vi fè accendere. Ma ſe ciò da fuoco avvenir
poſſa , non che da altro ,da gli occhi noſtri propjcertamente ce ne habbiamo
potuto ricredere.Narrali il medeſimo aver fatto a’ſuoi tépi İppocrate . E
Toſſare ancora dopo morte acquiſtonne e Itatue, e ſacrifici, ed altri onori
divini; perciocchè, come narra Luciano, in tempo che Atene era più che mai
dalla fogadella peſtilenza malmenatas e tutto che dipopolata , e ſgombra ,
diceſi eſſer apparſo colui ad Architele moglie d'un cotal huomo dell'Areopago
,e averle ſicuramente det to , che ſe gli Atenicli fpargeſſero le ſtrade tutte divino,
di preſente farebbcſi attutata la peltilenza ; e ciò facendo co loro , dilubito
, conforme colui loro promeſſo aveva,ne fur del tutto rimofti , δπι της ελάδα
κατά τον λοιμον την μέγαν έδοξεν και Αρχιτέλος γυνή Αρεοπαγίτε ανδρος επιφάνια
τώ λοιμώ έχόμενοι, ή τας σενωπες δίνω παλά ράνωσι τέτε συχνάκις γενόμενον ( 8 '
γαρ ημίλη σαν Αθηναίοι οι ακούσαντες ) έπαυσε μηκέτι λοιμώξειν αυτούς. Or qui
io amereil'uſato ſuo avvedimento in Luciano , il quale ſcioccamente ſe'l crede,
e va fantaſticando , ciò eſſer potu to avvenire da vapori del vino , i quali
trameſtati all'aria Paveſſero purgata , e dilibera da gli aliti peſtilenzioſi,
che l'infcrtavano .Madominc ſe coteſte peſtilenze non manca rono, fe no ſe dopo
lungo ſterminio ,c mortalità delle genti, allorchc ſtanco rimafeli il male ;
perchè dovrem noi dire eller BIBLIOTICA NA effer ciò avvenuto per opera
de’vani, e poco giovevoli ar gomenti , e non più toſto per isfogamento , c
periſtracce del malore? Cosi certamento è da giudicare, che gliaſtuti, e molto
ſcalteriti giuntatori conofcendo il male effer già nel calo, e nel
menomamento,per procacciarſi loda, e pre gio immmortale vezzatamente v'aveſſero
poſto conſiglio; acciocchè poi l'opera delſalvamento foſſe più coſto a loro ,
che alla natura del male attribuita . Artificio ,che tutto dì ſi ſperimenta
ne'Medici ancora de’noſtri tempi. Ma in qual to ad Eſculapio ben può egli
rimanerſene có quella gloria, che per eſſer egliſtato il primo Maeſtro del
mondo in civar déti,glivien ragionevolméteattribuita dal romano Orato re, quádo
che diceÆfculapius : primus dentis evulfionem in venit:concioffiecoſachè le
cure per lui fatte sì rare,e si ma raviglioſe elle ci vengano in tante , e si
diverſe guiſe nar rate , ch'elle come avvisò ſaggiamente Seſto Empirico ſon per
ciò da dire del tutto favoloſe , wwóJeon gas éautois yolañ λαμβάνοντες οι
ιπεικοί ή ορχηγών ημών και επιςήμης Ασκληπιον κεκε » egυνώ.θα λέγεσιν εκ
νεκέμνοι τω ψύσματι, ενώ και ποικίλως αυτό μεG anárixa. Narra Steficoro effer
Eſculapio alla ſua maggior gloria formontato per aver riſuſcitati co'fuoj
inedicamenti alquanti di coloro ch'in Tebe crano trapaſſati; ma Polian to dice
ellerli Eſculapio refo ragguardevole per eſsere ſta ti di ſua mano riſanati
alquanti per iſdegno di Giunone impazzati . E Parraſio racconta eſser fui ſopra
tutto ſtato commendato peraver da morte ricolto Tindaro. E Maſta filo vuole,
chcil ſuo maggior pregio foſſe ſtato ľaver ri congiunto , e riſuſcitato
Ippolito ſquarciato in cento brini da fpaurati corſieri .Ma Filarco rapporta
tutto il ſuo buon nome, e onore dalla viſta ritornata a figliaoli di Fineo aver
avuto dirivo. E Teleffarco finalmentcrafferma efser lui ag giunto infra '
Dij,perciocchè tentato aveva di riſuſcitar da morte Driσne. ΣτησίχορG» μεν εν
Εριφύλη ειπων , όπ πινας των επι Θήβαις πεσόντων και ανισά . ΠολύανθG-δε ο
Κυρηναίς , εν τω πρί των Ασκληπιαδών γενέσεως. ότι τάς Προύσε θυγατέρας κατα
χόλον Ηράς εμ μανάς γενομένας ιάσατο .Παρράσιο- δε , δια το νεκρόν Τυνδάρεω ανα
· τηςαι.Σλάφυλφ δε εν τω περί Αρκάδων , όπ Ιππόλνιου έτράπευσε φέ EMANUEL BLI
UBIO EMANUE BOMA govca 22 Ragionamento Primo 1 γονία εκ Τροιζήνα- και καλα τις
παραδεδομένας κατ' αυ78 ° έν τοϊς τραγωδε μένος φήμες . ΦύλαρχG- δε , εν τη
εννάτη για το της Φινέως υους των φλωθένας απκαςήσαι χαριζόμενον αυτών τη μηρή
Κλεοπάτρα τη Ερεχθέως . Τελέσαρχος δε και εν τω Αργολικώ, και ότι Ωρίωνα
επεβαλέτο avasãows, Ma quali artificj e' non tcntò per eſser tenuto di ligente,
e ſcorto nel medicare ancora che ſchifi, e abbomi nevoli fuſſero ? Egli volle (
liçome narra Cclio Rodigino , c venne in ciò Eſculapio da Ippocrate imitato
sallaggiar fin le feccie degl'inferni, coinc ſe ciò necellario ancor foſse a
rintraciar le cagioni delle malattie, perchè poi da Ariſtos fane nel Pluto
proverbioſamente oxaloDeéy @ ne fu chiama to , e Noipiù acconciamente potremmo
à lui dire col no ftro Azzio Sincero . Efe idem poteris Merdicus, &Medicus;
Ma ſopra tutto giovaron lommámente ad E/culapio gl’in dovinelli, le malie,gli
oracoli, i ſacrificj, gli agurj, e altre,e altre molte ſorti di ſuperſtizioni,
e d'altre fraſche ,e giunte rie , ch'egliuſava ; ficcando carote alla ſciocca
gentane , c tenendo in sù la gruccia con ſuoi cicalamenti gl'infermi. Cola la
quale ſi coſtumava allora da chiunque voleva con qualche lode eſſercitar la
medicina. E per tacer di Medea, c d'altri molti, Melampo con sì fatti artificj,
e fanfaluche , oltre alla fama grande , che gliene ſeguì, di povero conta dino
, ch'egli era , inſieme con ſuo fratello divennero ric chiſſimi Principi , e
ſovrani Signori delle due parti delRe gnodiPreto , e mariti delle figliuole di
lui da sè riſanaten, le quali chiamavanſi per quel che ne dica Apollodoro, Li
ſippe, e lfianaſſa; ma ſecondo Eliano Elea, e Celene; e che o per lo troppo uſo
del vino , o per opera della Reina di Cipri impazzare andavan paſcendo
brancoloni, e muge ghiando coinc vacche per le valli della Morea , e d'altri
paeſi intieme con lor ſorella Ifinoc , la qual prima di eſser medicata ſe ne
morì : delle quali narra Virgilio nella Bu. colica: Pretides impleruntfalfis
mugitibus agros; At non tamturpes pecudum tamen ulla fecuta eft Concubitus ;
quamvis collo timuiffe: aratrum , Et 1 Del Sig. Lionardo di Capoa. 23 Et fæpè
in levi quæfiffet cornuafronte. E che per opera di Melampo poi poſeſi conſiglio
al lor fu rore,e furono ricoverate a ſanità coll'elleboro nero, come vuol
Dioſcoride ; avvegnachè Galien giudichi , e con più falda ragione ,eſsere
ſtatolelleboro bianco,che ciò opera to aveſse . Il qualmedicamento apparò in
prima Melampo dalle pecore,come vuol Teofraſto , o più toſto dalle capre,
ch'e'guardava ,come ſcrive Plinio; le qualicon paſcer l'el leboro ſi purgavano
. Comechè alcuni portinoopinione eſser da Melampo l'impazzate donzelle guarite
non già coll’elleboro , ma con latte di capre paſciute in prima di quello ; e
altripur vogliano eſser non già quel Melampo caprajo , che loro il ſenno
ricoverato aveſse ; ma un'altro Melampo detto l'indovino : E Polianto ciò ad
Eſculapio attribuiſce , ſicome narra Seſto Empirico , ed Eudoilo appo Stefano
antichiſſimo Geografo : Ma che che ſia di ciò, non è da dubitare, che Melampo
dopo lunghe cerimo nie, e facrifici ,e ſuperſtizioni volle, che imprima le
impaz zate Donzelle fi lavaſſero in quella famoſa fonte d'Arca dia chiamata
Clitorio ; perciocchè in memoria di ciò vi ſi leggevano in un marmo que' belliſſimiverfi
rapportati da Iſogono antichiſſimo Scrittore dell'acque. Αγρότα συν ποίμνεις το
μεσημβρινόν ήν σε βαρύνη Δύψος αν εσχατιας κλείτορG- ερχόμενον , Της μέν από
κρήνης αρύσαι πόμα , και παρα νύμφαις Υδριάσι σήσον παν το σόν αιπόλιον . Αλα
συ μήτ' επί λετρα Gάλης κρόα μη σε και αύρη Πημένη θερμής εντός εάνια μέθης .
Φεύγε δ' εμην πηγήν μισάμπελον ενθου μελάμπες ΛεσαμενΘ- λύασης ποιτίδας
αργαλίης Távla xabaqueor fxoļev daóx gupov súr’ ár át' deyes συρεα τρηχείης
ήλυθεν αρχαδίης.. Perchè poi ſurfe conteſa infra gli Scrittori di giudicar di
verſamente quella cura : e altri dicono eſſere ftato il ſacri ficio ſolamente,
e'l bagno: altri l'elleboro; ma certamenre per quel che per noiavviſar fi
poffa, egli ſi pare , ch'amena due i medicamenti vi fuffer da Melampo
adoperati; perchè Pittagora così dice appreffo Ovidio: . Clito 24 Ragionamento
Primo Clitorio quicumquefitim de fontelevarit ; Vina fugit:
gaudetquemerisabſtemius undis , Seavis eft in aqua calido contraria vine :
Sive, quod indigena memorant, Amithaone natus, Prætidas attonitas poftquam per
carmen , &herbas Eripuit furijs ;purgamina mentis in illas Mifit aquas;
odiumquemeri permanfitin undis. Al qual coſtuine avendo per avventura riguardo
l'Omero Ferrareſe volleche Aſtolfo faceſſe lavar più volte in mare il ſuo
forſennato Orlando pria che gli da se bere il licores avuto in Ciclo per
guarirlo: 1.0 fà lavare Aſtolfo ſette volte , E ſette volte ſott'acqua
l'attuffa Si che dal viſo , e da le membra folte Lava la brutta ruggine , e la
muffa. Ma non ſi contentava già disì fatti artificj ſoli Melampo, ma a render
più ragguardevoli,e famoſe le ſue cure ſi van tava anche come ſcorgerſi puote
in Sinelio 14 di ſapere in terpetrare i ſogni , e ſi valca oltre a ciò degli
augurj, e da va ad intendere a tutti che gli aveſſe Apollo inſegnata l'ar te
dell'indovinare , e che avendoſi egli allevate in caſa al quáte bilce, quelle
poi dormendoſi egli nel più alto filézio della notte gli haveſſero leccare
l'orecchie, ond'egli ſubita mére p paura deſtatoſi havelle inteſo preſlo
all'alba chiara mente i linguaggi tutti degli uccelli, os, parlando di Melāpo
dice Apollodoro, επί των χωρίων διατελών ,ε'σης πτό τε οικήσεως αυτού δρυός,έν
και φωλεος όφεων υπήρχεν αποκλεινανίων των θεραπόντων τους όφας,τα μη ερπετα
ξύλα συμφορήσαςέκαυσε τους και τ όφεων νερατους έθρε . ψενοι δε γενόμμoι τέλιου
σειράντες αυτώ κοιμωμδύω τώμων εξ εκατέρω : ma's exca's Txis gaca sesi
exclougor . o de avasara moi gerópfu were δεης των υπερπτπρίων ορνέων τις φωνας
συνία . και παρ' εκείνων μανθεί vwv, niuna arte dunque gianmaiebbe , per quanto
lo mi creda, tanto commercio colle menzogne , e colle frodi , e colle
ſuperſtizioni, quanto il meſtier della medicina. La qual cola così manifeſta ſi
pare a chiunque ſia di quella mezzanamente inteſo, che non abbiſogna al
preſente, ch'io 14 lib.3 . di van Del Sig.Lionardo di Capod. 25 di vantaggio mi
v'affacichi. Non però di meno non laſce ? rò d'accennare le ſtrane, e ridevoli
cerimonie, ch'adopera vano gli antichi in raccorre le piáte, acciocchè poi più
ma raviglioſi, eragguardevoli dalla ſcimunita gente giudicati foſſero i lor
medicamenti. Non poteaſi la Peonia coglier di giorno ; perciocchè dubitavano
non v'aveſſero a perder di preſente la viſta,ſe da qualche ghiandaja vi foſsero
in colti. Colui, che cavar voleva la Mandragola, conveniva, che ben ſi
guardaſse dal verto contrario : e prima dicavar la formavale con un coltello
incorno tre cerchi: e in divel lendola poi tener ſi voleva la faccia volta
verſo Occiden te : e mentre divellcvaſi faceva di meitieri, ch’un'altro le
andaſse intorno faltando, e ſghignazzando, e dicendo non foquali parole ſconce,
e laſcive , come racconta Teofraſto con quette parole . Περιγράφειν δε και τον
μανδραγόρgν εις τάς ξίφα: τέμνειν δε πεός εσπέραν βλέπονται τον δε έτερον κύκλω
περιορ - χεΐσθαι , και λέγειν ώς πλείσα πτρια φροδισίων τέτο δεόμοιον έoικε των
περί τξ κυμίνε λεγομλύω κατι την βλασφημίαν όταν σπείρεσ . Le Quali poida
Plinio nel ſuo volgar cavate non fur così intiera mente rapportate . Cavent,
dice egli, effofuri contrariun ventum , & tribus circulis ante gladio
circumfcribunt:poftea fodiunt ad Occaſum ſpectantes. Mach afsai maggiori
cerimonie cavavaſi preſso gli anti chi la Baara, la qual vogliono aicuni, che
altro certamente non foſse, che la Mandragola medeſima. Eglino in prima le
gittavan ſopra del ſangue metruo , o dell'urina delles donne , quindi cavandole
intorno alla barba la terra liga vanla cautamente dietro un cane ; il qual poi
chiamato dal padrone in correndo la ſtrappava di terra , e di preſente ne
moriya. Cosìda Giuſeppe Ebreo vien narrato a dágay γος δε και κατά την άρκτου
περιεχέσης την πόλιν βαάρας ονομάζεται τόπος φία σε ρίζαν ομωνύμως λεγομένην
αυτώ αύτη φλογί μεν την χροιαν έoικε , περί δε τοις εσπέρας σέλας απασρέπτεσα
τους δε επιεσε και βε λομένοις λαβείν αυτήν εκ έσιν ευχείρώτος αλ' υποφεύγει
και επόπρον ί' Edi quell'altro delmedeſimo Ariſtotile , che il tralaſciar da
parte i ſenfi per laſciarne cie camente alla ragione guidare, d'aſſai debolezza
d'ingegno ar gomento ſia ? O forſe non fu egli del medelimo ſentimento anche
Galieno ? ecco le ſue parole : coloro tutti da giudicar fono , anzi forſennati,
che ſavj, i qaali potendo le coſe pie namente comprendere , ed apparar da'
ſenſi, voglion pures che da apprender fieno dalle ſoledimoſtrazioni . Ealtrove
il medeſimo autore: è dottrina da tiranno , e piena di confu fioni , e di
contefe quella di coloro , che ſolamente agli altrui detti s'appoggiano. E di
grazia leggan pure una volta il me deſimo fentiinento nel loro Avicenna ; e ſe
non altro , va dano, e sì l'apparino dal Principe de' Teologi , Giovanni Scoto
54 Ragionamento Primo Scoto , ove dice , che tutti coloro, che'a' ſenſinon
voglio no dar fede , degni giuſtamente ſieno delle fiamme. E ſap piano di
vantaggio, che chiunque abbia qualche ſcintilluz za di ragione , diqualunquc
Serta egli ſi ſia , debba pure con quel gran lume della Galienica, e
dell'Ippocritica medicina Niccolò Leoniceno dire : non debemus profecto de
Situere ita nosmet ipfos, ut aliorumfemper veſtigia fequentes, nihil ita per
nosmet ipfos decernamus. Hoc enim verè effet alienis oculis videre , alienis
auribus audire , alienis naribus odorare , aliena ſapere intelligentia : ac
nibil nos aliud quam lapides effe ftatuere, fi omnia alienisaffertionibus
committe remus , nihilque à nobis ipfis diſcutiendum putaremus . E queſta
pertinacia medeſima un'altro parzial di Galic no ( 1) oltremodo tacciādo,prende
a narrare un piacevoliſ fimo avvenimento; cioè, che un pubblico lettore uſato
lun , go tempo , ed invecchiato in ſu'libri d'Ariſtotile , abbatté. doſi per
avventura un giorno in una notomia , e veggendo manifeſtamente la vena cava
dalle innumerabili fila , ora dici , chę ſon nel fegato la ſua originç trarre ,
tutto ingom, bro , e pien di maraviglia , Come chi mai avf4 incredibil vide,
confeſsò , che nel vero per quel, che gliene moſtraffero i fenfi la vena cava
diramar dovelle dal fegato ; ma non per ciò egli credédo a' fenfi contraddir
doveffe al ſuo maeſtro Ariſtotile , il quale tutte le vene nell'huomo aver
principio dal cuore, coitantemente afferma; perocchè,diceva egli, più agevole
allai eſſere , i noſtri ſenſi talvolta ingannarſi, che il grande , e fourano
Ariſtotile in errore alcuno giammai eſſere caduto . E più avanti cbbe di male
la ſua oſtinazio ne,chę vegnendo per alcun diinoftro in brigata d'huomi ni
letterari,eſſere intorno al cuore alquanta lugna , la qua le a ficvol lumicino
di candela liquefacevali, con tutto ciò per difender oſtinatamente il ſuo
Ariſtotile, negante law medeſima coſa , osù pur dire , che quel dalui veduto
non era miga graſcio . Maaſai per certo piacevole egli ſi è ciò , che a tal pro
poſito anche narra il chiariſlimo Redi, che un ' profondo 1 1??30 , ( 1 )
Santoro. DelSig. Lionardo di Capoa mac ro in iſcriteura peripatetica , perchè
non veniſſe egli coſtretto a confeſſar per vere le ſtelle , ed altre nuove core
dal gran Galilei in Cielo ravviſato , ricusò l'ajuto dell'oc chiale ; e ch’un
altro più teſtereccio non volle mai degnar di vedere aprir da lui una di quelle
picciole rane , che per le polveroſe ſtrade in tempo diſtato ſpicciano , per
non eller altresì coſtretto a confeſſare , ch'elleno non s'ingene rino nello
ſtante dell'incorporamento della gocciola con 1.2 polvere. Maove Io ferbero di
narrare i piati, e le conteſe, che nella medicina del nobiliſſimo medico
Proſpero Mar ziano in Roma s'accrebbero ? il quale di non volgare dot trina , e
di faggio avvedimento fornito , quanto avea dita lento, ed'induſtria, tutto
glorioſamente in iſpicgare la doc trina d'Ippocrate impiegando, diè
manifeſtamente a vede re , che allai ſovente Galieno,o non aveſſe compreſo,o
non avelle comprender voluto il vero ſentimento di quelgran vecchio . E ciò
anche Pier Caſtelli narrando dice, che Ga lieno così parimente foſseſi
adoperato in iſpicgar del divi no Platone i dottilimi ſentimenti : Galenus ,
vel non intel . kexit, vel intelligere noluit Hippocratem , & Platonem , ut
ſua extarent. Quindida'rimproveri , e da’mordimenti dilui difende il laviffimo
vecchio , ſpezialmente intorno alle c.2 gioni delle febbri, coſtantemente
affermando , non ſola mente Ippocrate non avere a ' febbricitanti giammai pre
ſcritto il lalaro , ſe non ſe ove caſo di grande infiammagio ne d'entro
richieſto l'avelse : il che già prima di lui piena mente Girolamo Cardano
avviſato avea; anzi per ſentimé to d'Ippocrate vudl , che la febbre una di
quelle cagioni ſia, che il ſegrare affatto abborriſcono . E queſte , ed altre
buone dottrine il valent:huomo del Marziano faggiamente manifcftando , ravvivò
con eſle la caduta , c quali eftinta ferta del ſuo caro Ippocrate . Ma non ſolo
come fin ora abbia dimenticato una dona na , la qual comechè tale , pur merita
d'eſsere in iſchiera de' più nobili letterati annoverata . Io dico la Signoras
D. Oliva Sabuco: Co Ragionamento Primo 1 Coſtei gl'ingegnifemminili , egli uſi
Tutti Sprezzo fin da l'etade acerba : A’ lavori d'Aracne , a l'ago , a' fufi
Inchinar non degnò la manſuperba: Ed eſsendo ella di valore, c d'ingegno più
che maſchile abbondevolmente fornita , animoſamente fi iniſe col cere vello , e
con l'animo ad inveſtigar le coſe naturali; e più ol tre avanzandoſi, ed in
biſogne di maggior utile , e prò la mente rivolgendo , acciocchè le Spagne, e'l
mondo tutto qualche concio ne traeſsero, ad un nuovo , ed ingegnoſif fimo
diviſo dimedicina diè maraviglioſamente principio . Ella così all’Auguſtiſſimo
Monarca Filippo Secondo d'e terna ,e glorioſa memoria in una lettera
ſcrivédo,iſuoi pre gi manifeſta. Reſulta muy clara y evidenteměte, como reſul
ta la luz del Sol, eſtar errada la medicina antigua que ſe lee yeſtudia en ſus
fundamentos principales, por no aver enten dido ni alcançado los Filofofos
antiguos y Medicos, ſu natu raleza propria, dondeſe funday tiene ſu origen la
Medicina. Delo qual no ſolamente losſabios y ChriſtianosMedicospue den ſer
juezes, pero aun tambien los de alto juyzio de otras facultades , y qualquier
hombre abil yde buen juyzio. E quin di poco appreffo : y el que no la
entendiere ni cumprehendie re , dexela para los orros y para los venideros , o
crea a law eſperiencia, y no a ella , pues mi pericion es juſta, queſeprue ve
efta miſecta un año,pueshan provadola medicina de Hip pocrates y Galeno dos mil
años , y enella han hallado tan poco effecto y fines tan inciertos , comoſe vee
claro cada dia , y so vido enelgran catarrotavardete , viruelas, y en peftes
paf Sadas , y otras muchas enfermedades dondeno tieneeffetto al guno , pues de
mil no viven tres todoel curſo de la vidabaſta la muerte natural : y todos los
de mas mueren muerte violen ta de enfermedad , fin aprovechar nadaſu medicina
anti gua . E nel dialogo della vera medicina : Nomepodreys negar (Señor Doctor
) que la medicina eſcrita que ufays eſta incier. ta , varia y falta y que ju
fin , y efeto fale incierto , falfu y dudoſo,como vemos claramente ellasde m34s
artes iener füis 1 1 fines Del Sig.Lionardo di Capo a. 57 20$ fines y
efetosciertos , y verdaderos fin variacion , ni engažo, comola Aritmetica,
Geometria, Musica, Astrologia, y las de mas , que a quel fin , y bien que
prometen , lo cumplen, y fale cierto ſiempre y verdadero. Todo lo qualbien vers
que falta en la medicina ,pues eſta tanengañoſa , incierta; yva ria :luego
claro eſta que eſta arte tiene algunafalta en las raga zes , y fundamentos
,pues no echa el fruto, conforme a lo quc promete, que muchas vezes esperamos
lindas māçanas echa eſcaramujos agallas y niſpolas :lo qual al buen juyzio
pondra en duda, y dira por ventura, Eſte aunquepaſtor trae , razon , que los
antiguos tambien fucron ombres como eſte. E più ſotto ſeguendoil medeſimo
ſentimento ſoggiunge: No nze podeys negar ,Señor Doctor , la incoſtancia, y
quantas ve zes fuemudada la medicina , y que eſtuvo vedadamucho tič po en Roma
, y que muchos ſabios mo le han dado credito , ni ſe han querido curar con
medico por las cauſas que tengo dichas, que ſon degran eficacia . Ylos
Sarracenos, y los del Reyno de la China, no admiten inedicos , j' ay mas gente
que en Eſpaña . Y eſosmiſmos autores antiguos , graves le ponen gran dificultad
, diziendo , que la vida esbreve, y el arte es largo , el juyzio difficultoſo ,
la eſperiencia engañoſa , & c. I dixo Hippocrates : que perfecta yacabada
certinidad de la medicina no ſe alcanca , y no me podeys negar , Señor Do Etor
que fueron hombres, cimo noſotros: y que ſus dichos , no forçaron a la
naturaleza del hombre, a que ella fueffe lo quc ellos dezian , que ella ſe quedo
en lo queera , y ſu dicho no la mudo , y pudieron errar como hombres,pues
tantas vezes fue frrada y mudada , como lo podeys veren Plinio , donde dize que
ninguna de las artes fuemasincuſtante ,y mudable, que la medicina : y que cada
dia ſe mude. Più oltre crapaffala signora D. Oliva , i cui fourani pre gi nou è
mio diviſo al preſente raccorre , ed annoverare , che troppo a lungo ne verrei
. E baſterammi accennar ſo lamente molte coſe averſi alcuni de'più rinomati
autori in veſtite , inillantando falſamente, ſe eſſere ſtati i primi a mani
feſtarle , come intorno all'ordimento , che tien la natura in compartire alle
parti de'corpi animati il nutriinento, che H cla 58 Ragionamento Primo
ellämolto avanti ravvitate appieno , e glorioſamente già paleſate ne'luoi libri
l'avea . Surſe dopo coſtei nella noſtra Italia un novello Siſtema di razional
medicina, e fu gentil trovato diquel celebre filoſofante , e maeſtro in
divinità Tomaſſo Campanella . Non miſe egli già le mani all' opere della
medicina : ma pure ſpiar volle di quella i più ripoſti arcani ; e comeage vol
fu al ſuo pellegrino intendimento lo ſceverar la ſua fi loſofia dalla volgare ,
che nelle ſcuole comunemente inſe gnavafi , così potè ancheordinar con belle
dottrine un'al tro trovato dirazional medicina , e quindi ancor ne ſegui rono
molti, e varj rimeſcolamenti, e conteſe nell'arte. Ma i ſegni, e le coſtoro
mete , o quanto trapaſsò gene roſo a’giorni noſtri il grand'Ermete della balla
Germania , Giovan Battiſta Elmonte , che con più alti apparecchi , e colla
mente di più nobili arredi fornitas tentò Ia grand'im preſa , onde vie più
s'accrebboro i contraſti , e le miſchie . Coſtui a ſingolar acutezza d'ingegno,
cãdidezza accoppia do di non volgari coſtumi, rivolto curioſamente alla Spa
girica , intorno allo ſcioglimento de’naturali corpi tutto dieſſi, e ne a
fatica,ne a ſpeſe giammai perdonando, tant'ol. tre avanzoſi, che laſciandoli
dietro l'orme glorioſe dal Pa racelſo ſegnate s nórimai ſi riſtette', fino a
tanto, che ull maraviglioſo , e non più udito liſtema di razional medicina egli
giunſe felicemente a formare . E a qucſta medeſima guiſa veduto abbiamo a ' di
noſtri per lo ſentiero dell'immortalità, e della gloria avviarſi a gran paſſi
co'l ſuo novello ſiſtema di razional medicina il celebre Tomaſſo Vilfis ; ne di
leggieripuò crederſi, qua to egli con ogni ſtudio maggiore proccuraffe
d'ammannar tutto ciò , ch'avvisò dovergli farluogo a sì nobil lavoro : e con
qnale sforzo, con qnai ſudori, con quali vigilie egli s'adoperaſe per condurlo
allo intero ſuo compimento. Ma non vi durarono minor fatica", ne minore
induſtria adope rarono per fomigliante impreſa , e’l Silvio , celebre per lo
innumerabile drappellode Fuoi ſeguacije'l Gliffonio ,e l'El vezio , e'l
Meſfonieri; e'l Travaginis , ed altri illuſtri l'ette rati Del Sig.Lionardodi
Capoa . 59 rati dell'età noftra , a molti de'quali, che che ſtata ne forte la
cagione, non è venuto fatto di poter mettere fuorii loro concetti. Taccio al
preſente di que'valent' huomini, che tuttavia ſudano all'opera , e colla ſcorta
de’moderni trova ti della notomia , e della moderna filoſofia naturale, ſpera
no, quando che ſia divenire a capo de’lor generoſi diſegna menti dietro a yarj
ſiſtemi di razional medicina. E taccio altresì di coloro, che ſottilmente van
tutto di diviſando (i ſtemi di ſperimentale, e di metodica medicina , ma
dall'an tica gran fatto varia , ediſcordante , Ma o quantoperciò più le têzoni
de Medicine ſiano acceſe con porre ſottoſo pra , ed avviluppar la medicina
tutta , non fa meſtierial preſente narrare , ſe tutto dì co’propj occhj
apertamente il veggiamo. Perchè ſe a'dì noftri l'eloquentiſſimo Plinio vi vo
fosse, griderebbe dicerto più che mai con quelle ſue adirate parole: mutatur
ars quotidie toties intarpollis, & in geniorum flatu impellimur , non già
di que’della Grecia ora Icioperata , e incodardita ſotto'l giogo della barbarie
; ma di que'celebratiſſimi dell'Inghilterra, e d'altre Provincie , da lui
ne’tempi ſuoi barbare giudicate , Malo ormai giunto mi veggioal più copioſo
ſtormo de medici,in tante ſchiere , e tazioni partita , e quaſi ſtraccia ta
veggendo la medicina, che ormai per ingegno umanono fi può più avanti partire.
F ſon coſtoro que'cutti,che nondi Greco , o di Latino, o di Barbaro, o d'altro
ſtrano ſcrittone , modernoso anticoch’e'ſiaſi,ſeguirvogliono la peſta ,ed a gli
altrui ſentimenti ſempre ligarſi; ma liberi affatto , e ſciolti gir con
iſpedito voloi valtiſſimi Regni della natura fcorré do ; quindi cozzando contro
i più duri, cd oftinati malori con quell'armi , ch'a coſto delle propie fatiche
s'acquiſta rono ,nonpreſe , o tolte da gli arſenali altrui , ed alla cic ca
adoperate , fanno con glorioſe impreſe render eterni , e illuſtri i lor nomi.
Così nulla altrui credendo , ſalvo ſelor non venga da propj ſenſi, o da
certiſſima ſperienza appro vato , tutcoyogliono ſpiare , a tutto penetrare, e
tutto ſot tilmente con occhio curioſo eſaminare ;ne per iſmaltire hā no altre
ragioni, che quelle ſolamente,ch'all'avvedutezza H 2 del 80 Ragionamento Primo
delloro intendimento confannoſi . Ed eſſendo a tutte ſet te contrari, e a niun
de'ſertegiantiaffatto nimici, giurano che in queſta guiſa,più che altri
oftinataméte fi faccia, l'or me d'Ippocrate , e di Galieno vengano ſopratutto a
ſegui tare . E perciocchèlo giudico , che aſſai monti al noſtro intendimento il
vedere, ſe una tal libertà , debba loro eſa fere permeſfa: priegovi o Signori,
poichè a baſtanza par mi d'aver ragionato, nella vegnenteaſsemblea ad udir loro
ragioni. RA 81 RAGIONAMENTO SECONDO, 322 ) EBBO per ſoddisfare all'obbligazion del
la mia promeſsa diviſarvi oggi,o Signori, le ragioni di quei filoſofanti , che
alla li bertà de'loro ingegni alcun freno di fer vitù generoſamente ſdegnando ,
voglion gir liberi a lor talento fpaziando pe' vaſti, e ſiniſurati campi della
Natura . Ma conciosſiecofachè el le fien molte , e molte , e tutte di gran
lieva ,io non ſo qual prima mi debba dire , quafdopo ; ſenzachè a me non fu
conceſſa in ſorte larga vena diben parfare , perchè con purgato ſtile
ſpianandole ( e quale alla lor dignità per av ventura ſi converrebbe ) la for
ſaldezza , e valore veniffer per voi più chiaramente compreſi. Ma forſe hanno
elle an cora ciòdi vantaggio , che rôzzamente accennatc poffano, e pregio , e
commendazione non ordinaria da voi merite volmente ricevere . E per venirne
omaia capo, parmi che alcuno autor di quelle a queſta guiſa d'eſſo loro
parlamen , tando potrebbe imprenderne il filo . Egli non alzò certamente natura
con ſingolar vantaggio fovra tutt'altri animali all'huomo inverlo il Ciclo la
fronte ; di sì 68 Ragionamento Secondo di sì generoſi , e ſublimi, e liberi
ſpiriti abbondantemente fregiandolo , perchè egli poi qual paluſtre mergo ,
raden do lempre maiil ſuolo , non avelle ardimento di battere generoſamente in
alto le penne, per potere da ſe medeſi mo ſpiare, e inveſtigare quelle si
varie, e sì ſtrane apparen ze , onde bello ſi rende , ed ammirabile l’Vniverlo
; ma acciocchè largamente per tutto ſpaziandoli , il tutto e'cer chi, il tutto
e'ravviſi,il tutto e' pienamente comprenda , non già nelle copie incerte , e
ragionevolmente d'error ſo ſpette , manel primo , c vero loro originale . Così
quell' Aquila deGreci filoſofanti glorioſamente adoperando, con felice., e
ſpeditiffimo volo Proceſſit longè flammantia mænia mundi, Atque omneimmenfum
peragravit mente ,animoque. E pure ad onta d'una sì provveduta madre, v'hà chi
a dáni, ed a rovina diſe , e de gli altri Segnò le mete , e'n troppo brevi
chioſtri L'ardir riſtrinfe de l'ingegno umano , facendo sì , che i troppo
creduli, e ſciocchi poſteri ad altro non badaffero , ch'a leggere, c rileggere,
e tutto dì di chio ſe , e di coinenti gli arzigogolise le fanfaiuche d'un mondo
tutto fantaſtico caricare . Quicfto non volle già,che faceſſe in modo alcuno il
giovinetto Lidia , quel gran maeſtro della greca filoſofia Antiltene : quando
di nuovo libro , di nuoyo ſtile , ditavolette nuove a doverſi fornir gl’impoſe
', fe filoſofar con ello lui voleſſe ; e ciò , perchè egli compré deſfe , che
le coſe ,che per lui , da regiſtrar foſfero , eſfer quelle non doveano , che
già da altrui ſcritte in prima , diviſate ſi erano .. Eciò anche molto innanzi
ad Antiſtene inſegnò quell'antichiſſimo Savio , che primadi tutt'altri,
Filoſofia chiamò con nome degno, quando a ' luoiſcolari diceva , non doverſi da
loro nella , popolare ſtradaconfuſamente co'l volgo ignorante cammi nare .
Equeſta libertà nelle ſcienze ciaſcun'altro de più ce lebri , e rinominaci
filoſofi comunemente ancor richieſe : c da più illufri medici, e per valor
d'ingegno , e per opera di mano eccel'éti faclia Grecia futta oltre modo abbrac
ciata. Del Sig. Lionardo di Capoa. 69 ciata . La cui altezza d'animo
ſaggiamente imitar volle il famoſiſſimo medico , e filoſofo Claudio Galieno ,
ficome in più luoghi ne da pienamente teſtimoniāza nelle ſue ope re, o
quand'egli oltremodo uccella , e berteggia i tenacif ſimi ſeguaci d'Eraſiſtrato
,i quali a' detti di lui , come agli oracoli d'Iddio riverenti
s'acchetano,faldiſſime, ed infalli bili verità , ſempre mai giudicandole, o
quando coſtante mente afferma eſſer egli d'ingegno rintuzzato affatto , ed
abbattuto lo farſene ſcioccamente a’derti, ed alle ſenten ze , cd a'giudicj
altrui , non volendo coſa alcuna bilancia re , ne punto a lor paſſare innanzi:
o quando altrove iſtan cemente priega , e ſcongiura i parteggianti tutti a por
giù la ſcabbia , e'l furore , e la ſtolta follia delle ſette : 0 quin do
adiratamente grida effer dura , e malagevole impreſa a ridur coloro alla
ſtradadella verità , i quali già ſotto il ſera vilgingo di qualche ſchiera
ſottomeſſi fi fieno . Quindi la ra gion recandone ſaggiamente ſoggiugne, che le
falſe opinio niingombrando gli animidegli buomini, non folamente fordi, ma
ciechi ancora renderglifogliano, intanto che ſcorger affat to non posſano ciò ,
che altri di neceſſità rimira . O quando altrove proteſta , eſſer egli un male
da non potere in verű modo guarire,la folle , e ſciocchiffima caponeria di
cotali parreggianti; e di qualunque ſcabbia più dura affai, e ma ſagevole a
trarre : e che cotali uccellacci non che fappian , giammai nulla di buono ,
anzi ne men d'appararlo ſi ſtudj no : o quando ſtizzoſamente ſclama, amarpiù
toſto, coloro, cfer della patria , che della propriafetta traditori , e
rubelli. Et o piaceſſe pure al Cielo , che coralidetti non ſi vedeſ fero a
giornate dall’oſtinatiffima pertinacia di coſtoro av verativolendo : più toſto
manifeſtamente uccidere i miſeri infermi , che ſpiccarſi punto
daʼnocevoliſentimenti de’loro amati Maeſtri . Ma perchè dobbiam mai ſempre noi
con follc oſtinazio ne laſciarci trarre afreverendiſlimo parer degli antichi? for
ſe non ſono ſtate lor molte coſe a grado , ch'a noi ſpiace voli ora ſono , ed
affatto nojofes Cosi 64 Ragionamento Secondo 1 Cosi la gente prima,chegià viſe
Nel mundo ancoraſemplice, ed infante Stimò dolce bevanda , e dolce cibo L'acqua
, e le ghiande, ed orl'acqua, ele ghiande Sono cibo , e bevanda d'animali , Or
che s'è poſto in ufoilgrano, e l'uva , O forſe alcuna coſa , ch'al lor
cortiſlino intendimento vera parve, ora falliſiima manifeftaméte p opera degli
ingegnoſi moderninon ſi è ſcorta ? Così ſon veriſſiine prove de’mo derni
notomiſti il ritrovato dell'aggiramento dei ſangue, delle vene lattec, edel
códotto del Virſungo ,e del ſaccolat to, e de'vali acquoſi, e degli uſi delle
glādole, e d'altre par ti, e altri infinici nuovitrovati ,che crollano, c
ſcovolgono,e da’fondamenti abbattono , cd atterrano ogni razional ſi Atema
d'antica medicina . O forſe farà egli colpa degli in nocenti moderni l'effer'
eglino nați dopo gli antichi auto rir ma ſe ciò è fallo , e colpa , certamente
commiſerla in prima coloro , i quali da' ſentimenti de' loro più antichi
maeſtri tralignando , e nuove ſchiere di filoſofia , c di me, dicina
anmutinando , ofarono in prima novelli ſcolari ri bellarc a'loro antichi
maeſtri, e darne nocevole cſemplo di si follo , e temerario ardiinento .
Imperciocchè ognianți co a'tempi ſuoi fu moderno ; perchè figgiamente il Princi
pe Claudio Ceſare apppreſſo Tacito ebbe a dire : quæ nunc vetuftifſima
creduntur nova fuere : inveterafcet feculum no firum, & quod hodie exemplis
tuemur , inter exempla erit, (1 ) cd a queita medeſima cagione avendo riguardo
un mo derno Poeta contro que' , che per eller egli moderno biafi mavano il
Paracelſo , in ſomigliante guiſa conchiude , Qui nova damnatis , veteres
damnetis oportet ; Aut iſta nihil eft in novitate novi Saran dunque acerbamente
da vituperar Platone , Antiſte nc , Eſchine, ed altrifamoſiſſimiingegni, i
quali poſto in non cale le vecchic ſcuole , che allora nella Grecia fioriva .
no , a quella di Socrate , che nuova era , per imprender fi loſofia coraggioſamente
ſe'n girono ? anzi ne furon perciò foin ( 1 ) Etienne Paſquier . 1 1 Del Sig.
Lionardo di Capoa 05 sómamente da cómnendare. E nuove altresi furono le ſcuole
di Platone:e pure Ariſtotile,e Senocrate,e Speuſippo,ed al tri molti cotăto
tépo v’uſarono; 11e alcuno ebbe perciò giá mai ardiméto alcuno di biaſimargli .
E dalla novella ſcuola d'Ariſtotile in tanta gloria mótò Teofraſto per
l'uſarvicon tinuo , che uguale , e forſe al inaeſtro ſuperior ne divenne;
perchè dal padredegli ſtoici filoſofanti Zenone , funne poi grandemente lodato.
E nuova anche fu la ſcuola di Zenga ne , e nuova quella d'Ariſtippo , e quella
di Fedcne, equel. la di Euclide daMogara . Così anche fur nuove le ſcuole
d'Eubolide , d'Epicuro , di Menedemo , d’Arcuila , e d'al tri molti maeſtri di
filoſofia , e pure per huoinini illuftri,ed egregj, alle vecchie , e famoſe
ſcuole degli antichi filoſofan ti furono antipoſte , riportandone ſempre mai
buon nome, e fama non ordinaria dicandidi, e veritieri ſcrittori di que tempi .
E perchè nó ſarà lecito anche a noi tralaſciando le vecchie ſcuole ad una
novella indirizzarci, e maſſimamen te in quelle coſe , ove già i manifeftiffimi
errori degli anti chi maeſtri abbiam compreſi ? E forſe ſarebbe a tanta altezza
pervenuta la nobiliffima arte della pittura , ſe gli antichi maeſtri paghi
ſolamente della rozžillima imitazione del vecchio Filocle,nö ſi foſſero
ſtudiati di vantaggio con la loro induſtria di limarla : e col tirar ſolamente
le linee dell'ombre de'corpi aveſſero così alla groffa ſchizzate ſempre le lor
confuſe, e diſtinate figu re ? O forſe fu egli troppo ardimentoſa tracotanza
dell'in gegnoſo Cleofante , odi Parrafio , o di Polignoto , o di Zeuſi, o d'Ag
laufone , o del vaghiſfimo Apelle il dar loro più vivi i colori,e più regolati i
diſegni,e più ſquiſite le om bre , onde poi vive , e perfettiſlime
riſaltando,n'aveffero ,e gli augelli , e i deſtrieri, ei cani , ei maeſtri
medeſimidell arte glorioſamente ad ingannare ? così anche i noſtri avan zandoſi
di mano in mano l'un l'altro a'tempi di Dante Ali ghicri, Credette Cimabue ne
la pittura Tener lo campo, ed or ha Giotto il grido; Si cbe la fama di colui
ofcurawi I Quin 86 Ragionamento Secondo Quindi fu il famolo dipintor di Madonna
Laura Mae Itro Simone cotanto commendato dal Divino Petrarca, ed altri
famoſiſſimi dipintori. Ma ſopratutti ſi tolſero il van to , ed al preſente
s'ammirano comemiracoli dell'arte l'o pere maraviglioſe di Rafaello , e di
Tiziano , e di quel grande Michel più che mortale Angel divino. Necertamente
potrebbe la Grecia gir ſuperba, e altiera della ſonora tromba del
grand'Omero,del grave coturno di Sofocle della ſublime lira di Pindaro, e de'
ſouviſlimi verſi d'Anacreonte , di Teocrito , e di tant'altri illuſtri , c
nobili Poeti ; o Roma de' ſuoiLucrezj , de’ Virgilj , de’ Catulli , de'
Properzj, de' Tibulli , degli Orazj . Ne la Spagna ammirerebbe l'altiſſiino
canto del Camoes, e le colte rime del Garzilaflo . Ne goderebbe la Francia
l'ornato ſtile del dottiſſimo Ronzardo , e del Bert: ſſo. Ne il noſtro più ,che
tutt'altri, dolce,vago,e bello Idioma, vātar potrebbe il divi no cato
dell'incóparabile Torquato Taſſo ,di Giovani della Caſa , o la maraviglioſa
evidenza dell'Arioſto , e dell'Ali ghicri,o la dolciſſima muſa del Petrarca,del
Bébo,dell’Ala māni, del Triſlino, delMolza,del Guidiccione ,del Taffo Pa
dre,del Guarini,di Galeazzo di Tarſia ,edi altri,ed altri no bili ſpiriti,che
di valor colla ſuperba grecia gioſtrano ,o pur la vincono , ſe coſtoro
tuttida'veſtigj de'rozzi antichi non aveſſero oſato d'allontanarſi; il perchè
faggiamente ebbe a dire Iſocrate:yeggiamo noi l'arti,e tute'altre coſe eſſer
van taggiate , e creſciute non già per coloro , che le comunali, e uſitate
ritennero , ma per coloro , che d'ammendarle , e torne via glierrori , e
migliorarle preſero ardimento: ta's επιδόσεις δρώμεν γινομένας, και των τεχνών
, και των άλλων απάντων , και δια της εμμένονάς τοϊς καθεξώσιν , αλα δια
τηςεπανορθένας, και τολμώνας «ί τι κινείν των μη καλώς εχόντων . Ε fe cio fi
vedea giornates anche in quelle arti avvenire, nelle quali pare , che omai poco,
o nulla fi poffa più oltre andare , e pure non vi ha altra ſtrada d'avanzarli a
maggior perfezione, che del mai ſempre nuove coſe inveſtigare: perchè non ſi
dourà an che ciò alla filoſofia , ed alla medicina permettere ? malli mamcn
DelSig.Lionardo di Capoa . 67 mamente , che il campo di eſſe è queſto si vafto
, e grandif ſimo teatro dell'univerſo, nel quale ad ore , ed a moinenti apparir
tutto dinuove , e nuove coſe fi veggiono , da te nervi i più ſublimi, e
pellegrini ingegni mai ſempre img piegati . Multa dies , variufque labor
mutabilis ævi Rettulit in melius; ſenzachè certiſlima coſa è , che'l mondo più
ſempre mai col tempo invecchiando ,dinuovi , ed utili ritrovati per la noſtra
ſperienza di mano in mano i ſecoli arricchiſce . Co sì noi veramente ſiam da
dirci vecchi , e gli antichi, i quali nel vecchio mondo ſiam nati , e non
que’tali , che nelmo do infante, e giovane,men di noi ſperimentando conobbe ro
. Anzi coloro , che per innanzi naſceranno , più di noi ſaran vecchj , ed
antichi, e conſeguentemente d'eſſer più di noi dotti, e ſperimentati , e
diquant'altri per l'addietro mai furono , auran cagione . Ed a propoſito di ciò
ſovven gonmi quelle belliſſime parole del gran Baccone da Vero lánio: de
antiquitate autě(dice egliopinio ,quam homines de ipfa fovent,negligens omnino
eft, ex vix verbo ipfi congrua : Níundi enımſenium, & grandavitas pro
antiquitate vere habendafunt;quæ temporibus noftris tribui debent,non junio ri
ætati mundi, qualis apud antiquos fuit. Illa enim ætas re Spectu noftri
antiqua, &major ; reſpectu mundi ipfius,nova , minor fuit.Atque revera
quemadmodum majorem rerum humanarum notitiam , á maturius judicium , ab homine
fene expectamus , quam à juvene-propter experientiam , & rerü , quas vidit
, & audivit, & cogitavit, varietatem , copia eodem modo, do à noftra
etate (fi vires ſuas nuffet , & expe riri , &intendere vellet)majora
multo , quam à prifcis tem puribus expectari par eft ; utpote ætate mundi
grundiore, infinitis experimentis, & obſervationibus aucta, & cumulata
. E in verità , chi ha mai tante , e si diverſe maraviglie in Cielo , e in
terra , e nell'acqua, e negli augelli, e ne’peſci, e ne' bruci animali, e nelle
piante ſcovrir potuto , dove turto di attenti , ed intricati gli ingegni tutti
de' più ſottili I 2 filo 88 Ragionamento Seconda filoſofanti viſi aminirano, ſe
non ſe la noſtra età , cioè a dire il mondo vecchin, il quale ne va nuove
maraviglie di giornata in giornata rappreſentado; intanto , che ora d'ogni
tempo quafi n'è lecito a dire. quod optanti divum promittere nomo Auderet ,
folvenda dies en attulit ultro . Oltre a ciò gli antichi ſavj, ſicome i confini
delle loro co trade appena s'argomentarono di paſſare , così altii ani
mali,altre piante,ed altri minerali fuori di quelle non iſpiar mai, ne
conobbero , e ſe ne rimaſero alla ſemplice relazio ne de'marinari , c d'altre
perſone idiote , e volgari , dalle quali ingannati,ne ſcriſſero poi tante
incredibili bugie . E chi potrebbe mai tener le rila in leggendo ciò , che
Erodo to favoleggiò dell'incenſo, dicendo, che gli Arabiil colga no profumando
in prima l'arbore con iſtorace : iinperocchè fra irami di quello s'appiattano
folti (tuoli di ſerpentelli coll'ali di variati colori : τον μέν γε λιβανωτον
συλλέγεστ , την σύeακα θυμιών της . E non guari apprefio,τα γαρ δένδρεα Gύτα
του λιβανωτοφόρ , όφιες υπόθεροι και μικροί τα μεγάθεα, ποικίλοι τα είδεα ,
Qurárrs01 , Trnýber mondo, me ei sér d por exasov . E del Laudano ,affer: mò
eſſer quello odorifero , e dilettevole a fiutare , e pur na ſcere in luoghi
puzzolenti , e ſpiacevoli; e che ritrovaſi ſu le barbe de'becchi a guiſa di
muffi, che naſce da' legni pu tridi: έν γαρ δυσοδμοταίω γινόμενον,ευωδέ αλόν εσ
• των γας αιγών των τζάγων εν τοίπ πώγωσε ευρίσκεται έγινόμενον , οιται γλοιός
από και o'rins . Ma Rufo da Efeſo dice , alle barbe delle capre ap piccarſi il
L.audano allor che le frodi del Ciſto van ghiot tamente paſcendo Αλο δε πε κατι
γαίαν έρέμβων λήθανον εύροις Αιγών αμφί γένια • το γας καθύμιον αιξε Κισσε
ανθήενθG- επέδμεναι άκρα πίτηλα Τον δ' από λαχνήεν7G- ανεπλήσθησαν αλοιφής
Λίγες υπαί λασίασε γενίασε πλευρά τε πάνω . E forſe il medeſimo volle dire
Erodoto. E ſimilniente fi pare , che credeſſe Dioſcoride colà, ove ſcriſle
parlando del Ciſto : Imperocchè pafcédo le ſue frõde i becchi, e le capre lor
fu la barba, e ſu'l vello dell’anche s'appiaitriccia quella tena
DelSig.Lionardo di Capoa. 69 tenace graffezza , onde poi pettinandola la
raccolgono i Paſtori, e colata non altrimenti, che ſi faccia del miele, e ne
forman paſtelli, e la ripongono . Sonyi alcri, che tirando, e sbattendo certe
corde ſopra queſti arboſcelli raſchiano poi la graſſezza , chevi s’appicca, c
fannone paſtelli, e a quefta guifa la riferbano:τα φύλα γας αυτού νεμόμεναι αι
αίγες και οι τεάγοι ή λιπαρίαν αναλαμβάνει το πώγωνα γνωρίμως • και τους μερούς
πτοσπλαήoμένην δια το τυγχάνειν ιξώδη• ην αφαιρώντες ύλίζει, και απο τίθενζι
αναπλάοσοντες μαγίδας · ένιοι δε και χοινία επισύρεσι τοις θάμνοις , και το
πζοσπλασθεν αυτοίς λίπG- αποξύσαν τις αναπλάσει: Il medeſimo dir vollc Plinio ,
ma in traslatido le parole di Dioſcoride poco bene peravventura intendendo la
parola Jauvois, e l'altra unigovor ſcriſſe : Sunt qui herbam in Cypro , ex qua
id fiat,ledam appellent : etenim illi ledanum vocant : hu jus
pingueinfidere:itaque attractis funiculis herbam eam con volvi, atqueita offas
fieri.Vidiede ancora inciera credenza Galieno , quando dice gevers auto del
laudano, favellan do ) κατά τα γένεια των τάγων έν πτ χωeίοις επιγίγνεώι: e
Paulo da Egina λάδανον από τον κίσε τού λάδανος λεγόμενον γίνεθαινεμόμεναι γαρ
αυ τον αι αίγες , εν τοίς πώγωσι , και τοϊς μηρούς αυτών και λιπαρώτε ρον , και
οπώδες πόας αφαιρούνι . Éd Eichio λάδανον το με απο των πωγώνων των αιγών , και
τάγων Ma à chi cgli non ſembrerà incredibile ciò ches del Malabatro narrano
Diofcoride, e Plinio , pur troppo groſſi nell'informarſi , e nelcreder
leggieri. Eftima il pri mo naſcer quello nelle lacune a guila di lente paluſtre
; e'l ſecondo no’l fa punto diverſo dalle foglie del Nar do Indiano; e pur
ſappiamoeſſer foglia di ben grande , co ſpazioſo albore , non già paludoſo , ma
ſalvatico , emon tano . Io non farò menzione delle tante , e tante inyeriſi.
mili bugie, ch'cglino medefimi, e Teofraſto della cotanto celebrata ( piganardi
inventarono . Ne mi fermcrò a ſpia nare i fallimenti di Dioſcoride colà ove
diffe , che le radici del gégiovo fié così picciole,come quelle del Cipero; è
co me ciò,che buccinavaſi appo gli antichi dell’ambra gialla moſtri anch'e' di
credere , cioè,che il liquor d'amendue i pioppi preſſo le rive del Po in
diſtillando da tali alberi fi rap 7ο RagionamentoSecondo rapprenda in ambra,
ſeguendo in ciò la volgar fama de'ma fonieri Poeti, i quali fan che l'ambra ſia
il doloroſo umore, che per gli occhj fuor verſarono le pie , e addolorate ſorel
le, che dell'acerbo caſo del lor Fetonte dogliendoſi furono in quegli alberi
ſtranamente converſe , onde poi Fluunt lacryme : ſtellataque fole rigefcunt De
Ramis electra novis : qua lucidus amnis Excipit , du nurubus mitiit geſianda
larinis. Ma non men piacevoli a udir ſono i falli del ſovraca cennato Erodoto
dietro al raccoglimento della caſſia, e del cinnamomo. Credette egli con altri
antichi, e la lor creden za gli Arabi, c molti de'noſtri follemente ſeguirono ,
que Ite effer due piante fra eſſe lordifferenti; e vuol egli , che la callia
naſca in una palude non guari profonda ,per entro , e d'intorno alla quale
ſoggiornano alcune fierucole alate fimili a' vipiſtrelli, che mandan fuori
orribili ſtrida, e ſono di gran forza , e vigore ; ma gli Arabi per iſchermirli
da' yelenoſi lor morſi, in cogliendola ſi cuoprono il volto , e'l corpo tutto
,da gli occhi in fuora ,di cuoja ,e d'altre pelligec colefue parole : επταν
καζδήσωνοι Βύρσησι δέρμασι άλoισι πάν το σώμα, και το πόσωπον , πλην αυτών των
οφθαλμών έρχονται επί την καασίην • η δε έν λίμνη φύεται ου βαθέη , σιρι δε
αυτήν, και εν αυτή αυ . λίζεται κού θηeία ερωτι , της νυκτίρια ποστίκελα
μάλιστα και και τί . SUYE δεινον και ες αλκήν άλκιμα • τα δη απαμυνομένες από
των ópfamutów . E quale aggiraméto di ſtrano cervello ſi pare ciò , che leggeli
rapportato da Teofraſto, che i rami della caſſia P cſfer nervoſi non poffano
ſcortecciarſi , ma tagliinſi in pic cioli pezzetti , i quali ſicuciono dentro
a’pclli di bovi pur mo ſcorticati , perchè i vermicelli , che nel corromperſi
del legno s'ingenerano ,roſicchiádone la midolla, inutile laſcia no la
corteccia intera , mercè l'amarezza , e l'acrimonia del fuo odore , την δε
κασταν φασι τας μέν ραβδες παχυτέρας έχαν, ινώδης δε σφόδρα , και ουκ είναι
τριφλοίσα , χρήσιμον δε ταύτην τον φλοι δν· αν ουν τέμνωσε πως ραδες και
κατακόπαν ως διδακτυλα το μήκG-, ή μικρά μάζω ταύταδ' άς νεόδωρον βρείνον
καταρραΠεαν · ατ ' εκ ταύτης, και των ξύλον σκυμένων, σκουλήκια γίνεσθαι , από
μια ξύλον κατεσθίει • τα φλοιού δε ουχ απεπειι , δια την πικρότητας και
δριμύτητα 7ης οσμής , 1e O 1 1 quali parole cosìtraslatò Plinio con l'uláta
eleganza:Con fecant furculos longitudinebinum cubitorum , mox præſuunt
recentibus coriis quadrupedum ob id interemptarum ,ut ijs pu trefcentibus
vermiculi lignum erodunt, & excavent corticem tutum amaritudine . Ma che
direm noi delle lunghe dice rie del Cinnamomo appo Erodoto più incredibili
delle ciance del verace Turpino preſſo del Bojardo, e del l'Arioſto . Il
Cinnamomo , dice Erodoto che non ci fia manifeſto ove , e'n qual modo naſca ,
ſe non che pro babilmente ſi crede ingenerarſi in que'paeli, ove Bacco fu
nutricato , e le feſtuchedi eſſo eſſer quindi da certi grandi uccellacci
traſportate in alcune ſcoſceſc, einacceſſibili mo. tagne per fabbricarvi
inidi,contro a’quali han gli Arabi ritrovato un ſottil modo : cglino tagliano
in pezzi, e con quidono le membra di boyi, d'aſini, e d'altri giumenti, e
quelli appreſan quanto è poſſibile a’nidi, e quindi ſi dipar tono ; gli uccelli
intanto calan giù , e preſo della carne la ripongon entro a’lor nidi , i quali
non valevoli a ſoſtener tanto peſo caggiono a terra , e gli Arabi allora ne fan
race colta :όκα με γας γίνει αι , και ήτις μιν γή ή τσέφεσα έστ , έκ έχεσι -
πών, πλην όπλόγω άκόπ χρεώμενοι , εν πίστ δε χωeίοισι φασί πνες αυ η φύεσθαι εν
τοϊσι ο Διόνυσος εξάφη • όρνιθας δε λέγεσαι μεγάλες φορέ eaν ταύται το κάρφεα,
τα ήμεϊς , απο Φοινίκων μαθόνης , κινναμωμον καλέομεν · φορέειν δε τους όρνιθας
ές νεοσιας πεπλασμίνας πηλό πέος αποκρήμνοισι ούρεσι , ένθα πόσβασην ανθρώπω ουδεμίην
άνοι : πεος ών δή ταύα τους Αραβίους σοφίζεσθαι τάδε · βοών π και όνων των
απαγινο . μένων, και των άλλων υποζυγίων τα μέλια διαμόνας ως μέγια και κομί
ζειν ες Gύτα τα χωρία και σφεα θένας άγχου των νεο Αστέων απαλάασε . « θαι έκας
αυτέων• τας δε όρνιθαςκατο πετυμένος και αυτών τα μέλεια των υποζυγίων
αναφορέαν επι τας νεοσπαστας δε ου δυναμίνας ίσχειν,καταρρής γνυσθαι γαρεπί
γήν, τους δε επόντους συλλέγαν ούτω με πκινναμωμον. Ma fe quefto fembra fogno
d'infermi, ben fola di Ro manzi ſarà, ſenza fallo , quel convenente
d’Ariſtotile in torno al medeſimo fatto ,dove e' narra, ch’un uccello detto in
Arabia Cinnamomo (comechè appreſlo Plinio chiami fi Cinnamologo) vada cogliendo
i fuſcelli della canella, e fe · ue fabbrichi il nido ſu le cimede gli alberi ,
onde pofcia gli Secondo Regionamento ܐܶܡ gli Arabi con
faette di piombo lo ſcroſtano , e caduto giù in terra l'adunano φαστ δε ο
κινναμωμον όρνεον είναι οι εκ των το . πων εκείνων , ¢ το καλούμενον κινναμωμον
φέρων πεθέν τούτο το ορειον, και την νεολίαν εξ αυτού ποιείσθαινεολεύα δεφ'
υψηλού δένδρετε εν τοις θαλ. λοϊς των δένδρων, αλλά τους εγχωρίες μόλιόδον προς
τοις οισοίς πέοσαρ των τας , τοξεύοντας καζβάλειν τε ού7ω συνάγειν , έκ του
φουτου το κινναμωμον : elmedefimo vien confermato da Antigono, ov ” codices
λέγαν δέ τινας τε το κιννάμωμον όρνεον είναι , και αρώμα & φί. ραν , και
τους νεοφίας εκ τούτου ποιείσθαινεοτεύειν δ' εφ ' υψήλων δένδρων τ' α Gάτων ,
7ους δε εγχωρίες μόλιόδον τοϊς δίπϊς προτιθών ας τοξεύαν , και κα - αρρηγνύειν
τας νεολίας . E non molto diffimile e cio , che ne vien creduto da molti altri
antichi appo Teofraſto: néger aus δέ πς και μύθος υπέρ αυτού · φύεσθαι μεν γάρ
φασιν εν φάραγξιν , εν ταύζις δ ' όφης αναι πολλές δήγμα θανάσιμον έχοντας :
πεος ούς φραξάμενοι τας χώρας,και τες πόδας , καταβαίνεσι, και συλλέγεσιν,είθ'
ό'ταν εξενέγκωσιδιε λόντες βίαμέρη διακληράν τει πεος τον ήλιον Ma ſe mai mi
foffe in animod'annoverare gli errori tut ti , ne'quali caddero gli antichi per
eſſer eglino maldelle ftraniere faccende informati:Io direi come Plinio
follemé. te dica, che'l Cinnamomo naſca nell'Etiopia , ed indi aſſai più
vaneggiãdo ſoggiúga,che gli Eriopi il coprano da que de'proſſimani paeli;e che
giungendo poiegli al colmo del le vanezze, apertamëte contraddicendoſi, non ſi
vergogni d'affermare , ch'eglino ſe'l portino per alti mari con lun ghe , e
pericoloſe navigazioni, ove non giova governo de nocchieri , ne vela , o
remi,inafol l'umano ardire, e la for tuna gli regga . Direi come in alcuni
antichi Greci comentarj leggaſi , che'l Cinnamomo col ſolo toccaméto ,l'acque
bogliéti rin freſchi , e meſſo ne'bagni, i ferventi loro vapori in un bel
freſco tramuti ;e che tutti gli animali di putredine nati,am 2nazzi:ότι ζέοντος
φασή του εν λέβητα ύδατος είπες θίγοι μόνον η κιννα. μωμον ευθυς καταψύχειν το
ύδως και και λετάω έπεισενεχθέν διαπύρω μετα ποιεϊν τον εν τώ αίρι φλεγμον εις
ψυχρότειν , και αφανισικήν των εκ φθο ράς πνος ζωογονουμένων την
φύσινέχαν.Direi di vantaggio , co medel pepe favoleggiado Dioſcoride ne narri ,
naſcer quel lo in India da un coral arbuſcello , che produce un frutto 1Ο Del
Sig.Lionardo di Capoa. 73" lungo , ſicome baccello , il qual chiam ali
pepelungo : den tro del quale dice ritrovarſi alcune granella non guari dau
quelle del migliodiſſomiglianti; e che queſto ſia il perfer to pepe;imperocchè
aprédoſi col tépo n'eſcon fuora i raci moli carichi di granella , ficome gli
veggiamo; e queſti anzi d'effer venutia maturezza colti, fāno il pepe biaco ,
e'l nero poi dice egli conciosſiecofachè ſia maturo, eſſer odorifero ,e
dilettevole al guſto più che'l bianco ; il quale perciocchè a debita maturezza
non è pervenuto , non è cotanto perfetto . Πέπερ , δέρδρον 15ηρείται φύομεναι
εν ενδία βραχύ καρπον δε ανίησι , κα . &ρχας με πξομήκηκα θάπερ λοβούς όπες
επί μακρόν πέπερι: έχον τα ένο (λεις ) κέγχρω παραπλήσιον και το μέλι έσεσθαι
και τέλειον πέ. περι . όπερκαλα τους οικείας καιρούς αναπλoύμνον βότρυς ανίησε
κόκκινο φέροντας οί'ες ίσ μου και τους δε, και ομφακώδες και οι τινες εισι το
λευκόν πε . περι , epoco appreffo:το δε μέλαν ήδιον και δριμύτερον του λευλου ,
φύσιμώτερον· και μάλλον δια 10' ναι ώριμον αρωματίζον• εύχρησότερόν τη εις τας
αρτύσπις· το δε λευκών και ομφακίζον ασθενέτρον των πτοειρημέ . ng IWY , Ma
troppo lūga materia da ſtancarne nell'impreſo arin farebbe il volere ad uno ad
uno tutt'altri lor fallimenti annoverare . Perdoniam pure a gli antichi ogni
lor negli genza , ſenulla ſeppero , over nulla curarono del muſchio ,
dell'ambra grigia ,del zibetto, della noce moſcada,de'ga rofani e d'altri, ed
altri aromati. Non fia lor colpa, ma del la fola fortuna , il non aver eſſi
avuto contezza niuna della Mecciocana , della Contrerba, del Saſſafras, del
Cafè , del Legno Guajacosdel Balſamo del Perù, dell'Erba Te,dellas Salſa ,
della China , e d'altri quaſi innumerabili ſtranieri ſemplici, che al preſente
ſon così manifeſti, e conti , che van per le bocche, e per le mani d'ogn’uno .
Mache più: laſciam pur, che gli antichi ordiſcan degli animali le più
incredibili fole , che peravventura cader potrebbono in penſamento umano : 0
pure avendole da altrui udito , co me ſe da propj occhj ſtate foſſer vedute ,
sì le abbinn per vere , e le rapportino . Laſciam , che creda Anafſagora appo
Ariſtotile , che i Corvi uſin per bocca colle lor fem . K 74 Ragionamento
Secondo 1 minc , e dea cagione dicantare a colui :. CorueSalutator, quare
fellator baberis. E trapaſſiam fotto ſilenzio ciò che infinſero agli antichi
della Catapleba , di cui Plinio, e Solino fan parole, e Sor gona appellafi appo
Ateneo , la qual vogliono,che talma lìa dal ſolo ſguardo diffonda, che
immantinente l'animal rimirato , ſtupido,ed inſenſato divega,e poco ftante fi
muo ja ; il che vagamente deſcriſſe in quc'verli il Petrarca. Ne l'eſtremo
occidente V na fera è ſoave , e queta tanto , Che nulla più . Mapianto E doglia
, e morte dentro a gli occhi porta Neprendiam briga d'annoverar ciò che
favoleggiarono Megaſtene , Daimaco , Nearco , Ariſtea , Onoficrito, Te fia , ed
altri appo Erodoto , Strabone , Diodoro , Plinio , e Gellio degli huomini, che
in Oriente preſſo il Gange naſcono ſenza bocca, e ſol Gi paſcon d'odore : degli
huo mini , che in India appo i Nomadi vivono ſenza naſo : de gli altri, ch’appo
i Troglodici ſon ſenza capo , e collo, ed han gli occhj ſu la ſpalla :d'altri ,
che han faccia di cane, e latrano , e di tant'altri di fimil figura , a quei ,
che la ma ga Alcina in guardia al ſuo palaggio teneva . Non fu veduta mai
piùſtrana torma , Più moſtruoſi volti , e peggio fatti . Alcun dal collo in giù
d'huomini ban forma , Col viſo altri diſcimie , altri di gatti . Stampa no
alcun co’piè caprigni l'orma: E traſandiam Platone , che verace credette quella
bugiar da fama de'Poeti , che i Cigoi preſſo l'eſtreno for giorno mandin fuori
più bello, e più ſoave il canto; e non ci fer miamo a ſtacciar la cagione, che
di tal fatto ne arreca táto ſottile, che da per ſe la ſcavezza, cioè, che eſſi
cantano pe'l gran contento , che prendono del preſto ritorno , cli’al lo ro
Apollo a far hanno . E con queſto diPlatone,laſciamo impunito anche il fallo
d'Ariſtotile, qualor prende licenza di dir , che nell'Africa molti ne furveduti
da’marinari, che buſamente , e doloroſamente cantavano ; eſſendo in veri tà Del
Sig.Lionardodi Capoa. 75 tà il lor căto un'imporcuno gridare ,comedioche
ſalvati che,anzi che no.Ne prendiam niuna cura diripigliar Teo fraſto ſeguito
da Celſo , da Solino , e da altri, perchè po co , o nulla ſagace ſcriveſſe del
Cainelconte', ch'egli il 'a ria ſi viva:così d'affermarlo niuno ſcrupolo non
avendone, come ſe ſtati foſſero un di quei Poeti , che coll ulata lor licenza
cantarono, ſicome Ovidio , Id quoquequod ventis Animal nutritur , & aura
El'Alciato Semper hiat,ſemper tenuem qua vefcitur auram Reciprocat Cameleon . O
di caffar quegli, che vollero ,eſſere it Camelconto della
grandezzadelCoccodrillo , ſe pure non fu queſto , crrore di Plinio ;imperocchè
tutto ciò che narra delCameleonte , dice d'averlo tolto di peſo a Democrito ,
che un libro in tiero ne fcrife , ρve dicendo και το μέγεθος ομοιον είναι τώ
κροκο dergoe, ' non badò punto , che nel Ionico linguaggio , nel qual Democrito
favellava ,la parola xpowodeina , val quel la Lucertola , che appo gli Atenieſi
, e gli altri Greci dice fi sæūgos, ficome fanno gli ſtudioſi di tal linguaggio
. Elaſciamo ſtare ciò , che gli antichi, a'quali ſi parve , che deffer credenza
Varrone , Plinio , Solino , Columel la , Marziano Capella , e Servio follemente
vaneggiaro che alcune cavalle ſu'l Tago ſieno ingravidate dal vento , e moran
fuori polledrivelociſſimi al corſo . Co per vero dir non men fantaſtica del
Pegaſeo di Bellero fonte , o dell'Ippogrifo d'Aſtolfo , e ben degna , che ne
freggino i lor Poemicoloro, cui a par de'pittori è cócedu to di poter tutro
ardicainente attentare . E sì cantar puo. tè Omero de'Cavalli del fuo Achille ,
Εάνθαν και Βαλίον ,τωάμα ποιηση πελέσθην , Tες έτεκε Ζεφύρω άνεμω άρπια Ποδάργη
. E ſimilmente Virgilio Ore omnes verſa in Zephyrūſtant rupibus altis
Exceptante; leves auras, á fæpefine ullis Conjugiis , ventogravide, mirabile
dicru ! E Silio Italico delo lociſfimo Peloro no , fa K 2 Nu 76 Ragionamento
Secondo Nullus erat pater ad Zephyri nova flamina campis Vectonum eductum
genitrix effuderai Harpe E dell'Aquilino il noſtro ammirabil Torquato , Queſti
ſu'lTago nacque , ove talora L'avida madre del guerrero armento Quando
l'almaſtagion , che n'innamora , Nel cor le inftiga il naturaltalento , Volta
l'aperta bocca incontra l'ora , Raccoglie i ſemidel fecondo vento , E de'tepidi
fiati( o maraviglia! ) Cupidamente ella concepe , e figlia . E finalmente
perdoniamo agli antichi ciò che ſognarono de'Pigmei , della Fenice , del
Centauro , dell'Aquila, del I.eone , del Coccodrillo , della Salamandra , della
Pirau ſta , della Remola , del Cavallo marino , del Baſiliſco ,del l'Elefante ,
de'Satiri, degli Ipogrifi , de'Ciclopi , delle Si rene ; e tant'altri errori ,
ne' quali non pur degli animali , ma de’minerali altresì in trattando
incorſero, i quali di bé groffi volumi, non che di brevi dicerie ſarebber lunga
ma teria , ſol che a noi ſi conceda picciola ,e ben dovuta rin chieſta , il
poter da’lor falli ritrarci , uſcir da’lor rei inſe gnamenti, non coſto iinboccarne
loro ſtrane ſentenze , e per ſeguir la verità tutti lor falſi rapporti porre in
no cale ; a noi, cui tutto il mondo, è già quaſi omai ſcorto , e mercè la
diligenzza delle lunghe pellegrinazioni, non pur ſap piamo i luoghi , i
portamenti, i coſtumi degli abitatori : ma di che animali qualche ſi ſia paeſe
venga fornito , quali piante germogli , quai minerali produca . E non v'ha ge
te nel vero sì barbara , e feroce , la quale , o per avventu ra , o da
neceſſità coſtretta non abbia a pro del comune qualche commendevol rimedio
ritrovato , il quale ad al tre più umane , e ben coſtumare nazioninon è occorſo
. E ben ciò a pruova ſappiamo ; imperocchè ne per lunghe vi gilie , ne per
iſparti ſudori di'ſavj greci , o daʼnoſtri fi po tè ritrovar mai rimedio tanto
valevole a domar la ferocia delle febbri , quanto è quella maravigliofa
corteccia ,inſe gnatane da' barbari abitatori del Perù e Eto quanto se quan .
DelSig. Lionardo di Capoa 77 quanto egli ora ammirerebbe per Dio queſta
fortunata , e prodigioſa fecondità , e con qual leggiadria , ed altezza di
ſtile egli anche per celebrarla ſarebbe,il ſublime poeta filoſofante Lucrezio ,
ſe dique' pochiſſimi trovati del ſuo ſecolo così maraviglioſamente preſe a
cantare : quædam nunc artes expoliuntur : Nunc etiam augeſcunt : nunc addita
navigiis funt Multa : modoorganici melicos peperere fonores. Denique natura hac
rerum ratioque reperta eft Nuper , & hanc primus cumprimis ipſe repertus
Nunc ego fum in patrias, qui poſſim vertere voces. Deh ſi paragonino p Dio le
ſtorie della natura di quc fto noſtro ſecolo non ancor finito , con tutte
l'antiche , e veggaſi ſe più fecondo di maraviglioſi trovati fia queſto poco di
tempo, che itati non ſiano per addietro tanti , tanti altri ſecoli paſſati. Si
paragonino pur le perſone, ci medici, e i filoſofinti antichi, emodernifi
bilancino . Ma che dico Io deMedici, e filoſofanti moderni ? baſta ſolo un ſol
filoſofo , l'ingegnoſiſſimo Galileo , per tacer di Re nato , del Gaſſendo ,
dell’Obbes , del lungio , e di tant’al tri , ad oſcurare , cſommerger affatto
la gloria di tutta quanta l'antichità . Orche direbbe Plinio il giovine in
rimirar tanti belliſſi mi , e nuovi trovati dell'età noſtra ? ſe de’tempi ſuoi,
che pur ne furono affatto ſterili , ed infecondi, così ebbe a di re : Sum ex
illis fateor , qui mirer antiquos ; non tamen , ut quidam temporum noftrorum
ingenia deſpicio. Neque enim quafilaxa , & effeta natura elt , ut nihil jam
laudabile riat . Ma ſu concedaſı pure ciò , che a niun modo conce der mai
certamente ſi dee , cioè a dire , che alla antichità ſolamente abbiamo a
ſtarcene ; come mai potrà egli ſenza guida di boſſolo il corſo della ſua nave
reggere il nocchie. ro?come ravviſar l'aſtronomo le nuove ftelle ſenza il nuo
vo occhialone? come abbatter le ſchiere nimiche, o rintuz zarne gli affalti il
Capitano ſenza gli archibugj, e l'arti glierie, e ſenz'altri moderni ritrovati
da guerra ? Che farà il filoſofo , e'l medico ſenza il microſcopio ? Quanto ri
pa mar 78 Ragionamento Secondo 1 2 2 ! 1 1 . 1 1 marrà a ſuper della Terra al
Geografo , ſenza le novelle ; tavole dell'America ? in quaiviluppi , cgarbugli,
e con fuſioni troverrebberſi mai gli Stronomisi quali a far prova aveſſero del
Siſtema di Tolomeo infino a’di noſtri, quafi comunemente per tutti ricevuto ?
Non s'addofferebbero le ſghignazzate , e le riſa anche del popolo minuto , e de
più ſemplicifanciulli , s'eglino mai a negare ardiſſero lo innumerabili ſtelle
della via lattea ? o faceſſer veduta di non iſcorger in faccia al Sole le
macchie? oi compagni di Saturno ,ch'alcuniorecchj, altri anella , ed altri
manichi chiamano, o le nuove ſtelle Medicee , o lo ſcambiar della faccia di
Venere , o'l dimorar più in là delle lunari regio nile Comece , o le montuoſità
della Luna ; o l'aggirarſi di Venere , di Mercurio , di Giove, e di Marte
intorno al So le ? E con qual fronte ofercbbero i filoſofi ora difender
l'incorruttibilità de'corpi celeſtiali, la faldezza de' Cieli , la sfera del
fuoco , e tanti , e tant'altri ſogni d'ozioſi cer velli ? E come ardirebbero i
medici ſenza i novelli trovati della notomia morta , e della notomia vitale ad
impren der eure ſenza manifeſtiſſimo riſchio de'mileri ammalati ? Ed o quanto,e
quanto mal conſigliati ſarebber quegli in fermi, chenelle lormani li
porrebbono; edo quanto in názi tratto ſarebbe il migliore ad arriſchiar la vita
più to ſto in man d'avveduto, e ſaggio Empirico , il cui meſtiere, comechè
manchevole , tuttavia a pericolo d'errare aſſai men ſoggiacer ſi vede , che la
falſa razional medicina daw Galieno in guiſa tale abborrira , e biaſimata , che
ezian dio contro le regole dialettiche egligiudica eſfer coſa iin poſſibile
poterfi mai da’ falli principjdi quella altre con cluſioni, cheſempre falſe ,
cavarc . Ma laſciando ciò al preſente , che troppo larga materia da diſcorrer
ſarebbe, dico, che un talmio diviſo di dover ſi ſemprcmai al miglior di
ciaſcuno , o antico , o moderno autorch'egli diafi , appigliare, ne a '
ſentimenti d'alcuno tenacemente ligarli , ſenzachèè egli ragionevole aſſai, e
conveniéte, fù di vataggio da tutti gli ſcrittori di maggior lieva abbracciato
, e da' più ſavj filoſofancije da ſacriTeo . 1 logi Del Sig. Lionardo di Capoa.
79 logi comunemente leguito , e fommamente da ciaſcun commendato. Odafi di
grazia fra’primi quel Principe de Lirici, e de'Satirici Poeti Latini,checol
ſuaviſſimo ſuo me. tro i rigidiprecetti dell'Epicurea , c della Stoica
filoſofia addolcendo , così ne canta Quod verü ,atque decens,curo, di rogo
&omnis in hoc să . Condo , &compono,quod mox deprumere poffim . Ac ne
forte roges quo me duce , quo lare tuter : Nullius addictus jurare in verba
magiftri, Quo me cunque rapit tempeſtas , deferor hofpes ; Nunc agilis fio ,
& verfor civilibusundis ; Virtutis vere cuſtos , rigiduſque ſatelles : Nunc
in Ariſtippi furtim præcepta relabor's Et mihi res , non me rebus ſubmittcre
conur. Equel , ch'altrove eglimedeſimamente va diviſando. .., Quodfitam
Gracisnovitas inviſa fuiſſet Quameſt nobis , quid nunc effet vetus ? aut quid
habcret. Quod legeretztereretque viciſim publicusuſus ? Odafi Quintiliano :
neque id ftatim legenti perſuaſum fit, omnia , quæmagni autoresdixerunt ,
utique efleperfecta ; e recando « gli di ciò la ragione, ſoggiunge: nam , &
labun tur aliquando , & oneri cedunt , & indulgent ingeniorum , fuorum
voluptati : nec intendunt animum : Odali il Roma no Oratore : non tam autores
in diſputando, quam rationis momenta quærenda funt ,quin etiam abeft iis qui
dicere van lunt , plerumque eorum autoritas , quife docere profitentur :
definunt enim fuum judicium adhibere , atque id habent ra tum quod ab eo , quem
probant judicatum vident. Indi tra paſſando a condennare il vituperevole
coſtume de' Pitta gorici , a'quali per certa, ed infallibil ragione l'autorità
fo Jamente del Reverendo lor maeſtro baſtava : conchiude : tantum opinio
præjudicata poterat , ut etiam fine ratione va leret authoritas . Odali oltre
a' già rapportati autori più fiace il medeſimo avviſo dalla ſaggia mente di
Platone, ac comandatone ſpecialmente nel Critone , ove diffe : 10 ſon di sì
fatta natura , che a niun'altro mai mi ſon condot to a preſtar fede, ſalvo, che
a quella ragione , che più vol te da go Ragionamento Primo te da me
diligentemente ſtacciata , e diflaminarā alla fine ho ritrovato eſſer l'ottima
: as iywa õ jóvov vũ , anc ' wy de Tolos 1G- , οΐG τωνεμών μηδενί άλω πάθεσθαι,
ή τώ λόγω , δς αν μοι λογιζα Hér w Gea Tigos Paívntou , Odaſi il famoſo
Ariſtotile, ilquale , avendo a trattar certa quiſtione, ove le faceva uopo per
la verità d'impugnar le determinazioni de'ſuoi amici,veg gendoſi quaſi allo
ſtrettojo, pur ſaggiamente diliberando, cbbe a dire,più umana coſa eſſere il
preporre la verità agli amici αμφοίν γαρ όνπιν φίλων , όστον πτοπμαν την
αλήθειαν , e pri ma auea egli detro a pro della verità , far meſtiere , maffi
mamente al filoſofo , diſtrugger le ſue proprie credenze ; ma odaſi quella
maraviglioſa , e divina ſentenza ch'egli medeſimodal Fedone del ſuo maeſtro
apprefe, e pur da tut ti coloro , che Ariſtotelici, o Ippocratici , o
Galieniſti in torto chiamar ſi fanno , vien comunemente traſandata,an zi
affitto ſpregiata : Amico Socrate, Amico Platone, ma più amnica la verità ; la
qual diviſando, esfigurando queſti Iciocconi indegniſſimi del nome di vero
filoſofante , foven temente dir ſogliono : eſſi amar meglio di ſcioccheggiar
con Ariſtotile , Ippocrate , e Galieno che con altri laggia mente diſcorrere .
E ben di quella più amico ſoventemo ftroſli il medeſimo lor Ariſtotile, ſe
migliaja di yolte ripre ſe,e biaſimòTalete , Pittagora , Parmenide , Anafſiman
dro , Anaſlimene , Meliſſo , Democrito , Anaffagora , cd altri molti , che
prima di luieran lodevolmente feduti fra filoſofica famiglia ; e ne meno per
riverenza talor ſi ritena ne , chea'medeſimi ſuoi maeſtri Socrate , e Platone
il fi inigliante non faceſſe, i quali manifeſtamente alle volte bialima , e
riprende ; e forſe ſe ſua malavoglienza , ed ill vidia non foſſe, potrebbeſi
ancor credere , che egli per ſo lo zelo della verità così loro villaneggiaſſe,
e carminaſſe , chiamandogli talora, e ſcempiati, ed ebbri , e farnetici , e
ſciocconi, e ſtolti , e ſcimuniti , e non farebbe per avven tura gran ſenno ,
che ſon pur coloro gran maeſtri in filoſo fia , e danon così gravemente mordere
. Ma queſta cotai ſentenza ebbero in bocca poi tutti i ſuoi più celebri
diſcepoli, e ſeguaci, Licome ſcorger.age. 2 vol DelSig. Lionardo di Capoa 80
volmente e'ſi puote , in Teofraſto , in Ermia, in Iſtracone, iu Ariſtoſſeno ,
in Ipparco , ed in altri molti, i quali ſi vide ro mai ſempre antiporre la
verità , ſe mai lor ſi parve d'a verla rinvenuta , almedeſimolor maeſtro , e
duce Ariſtote le , non che ad altri filoſofanti; e'l ripigliano liberamente e
ſenza ritegno,qualora in qualche fàllo il tolgono; e queſta medeſima ſentenza,
dipoi han comunemente avvuta fiffa inmente tuttii moderni riformatori della
filoſofia , a’quali tanto , e sì fattamente piacque ad ogn'orapreporre la veri
tà ad Ariſtotele , che allora con ſignoria da tiranno in tutte le ſcuole del
mondo regnava, ed a guiſa di celeſtial nume per ciaſcun riverivali, checon
eroica fortezza, e con in vincibile , e veramente filoſofica coſtanza , nulla
curanda che perciò ne foſſero eglino mai ſempre , e proverbiati , e deriſi,il
ripreſero ſoventemente , e lo dimentirono di non , pochi ſuoi falli. Ma odaſi
omaiquell'altra non men famoſa ſentenza, la ) quale à Socrate ſuo maeſtro è da
Platone attribuita rávws γαρ και 1ειο σκεπτέον ός τις αυτο είπεν, αλα πότερον
αληθές λέγεται η ου , Non già chi abbia detta la coſa , ma s’eidica , o non
dica il vero ,doverſi conſiderare . Ne in ciò punto è da tralaſciare il celebre
latino Stoico; il quale al ſuo Lucilio in una piſtola, così favella: Epicurus,
inquis , dixit : quid tibi cum alieno? quod verum eſt, meum eft: indi egli
foggiugne con quelle veramente memorabili parole: Perfeverabo Epicurum tibi
ingerere, utifti qui in e verba jurant , nec quid dicatur æftimant, fed à quo
fciant, quæ optima ſunt eſſe communia . Ne meno è da notare as noſtro propoſito
ciò che altrove parimenteegli dice contro i miſerevoli parteggianti: qui alium
fequitur , nihil inve nit , immonequequerit; e ciò , che altrove ancora : Non
ergo fequor priores ? faciofed ; permitto mihi, bu invenire ali quid , mutare,
nec fervio illis fed , aſſentior, e ciò, che un' altra fiata egli così proteſta
: Qui ante nos ifta noverunt,non domini noftri , fed duces funt. Ne è da paſſar
ſotto filézio quel belliſſimo detto di Por frio το αληθεύειν και μόνον
δύναταιτους ανθρώσες ποιάν Θεό Παραλεσίες, L. caya 82 Ragionamento Secondo 1
cavato nel ſuo volgare dal beato Girolaino con queſte vo ci . Poft Deum
,veritatem colendam , quæ fola bomines Deo proximos facit . E ſe tanto può far
la verità , dove più riporrem noi l'a nimo , a qual'altro fine indirizzerem noi
i noſtri ſtudj,dure rem noſtre fatiche , ſpargerem noftri ſudori, vegghierem le
gelide, e ſerene notti, ſe non perla verità ? Eccovi, ecco vi o Signori il vero
ſentiero dell'immortalità , e della glo ria. Ecco quel ſentiero, che ſegnarono
i barbari daprima, indi i Greci, ed ultimamente i moderni noſtri filoſófanti ,
che in tanto pregio ,e tanta fama glorioſamente falirono ; e perchè crederem
noi, che l'antica età aveſſe , e Talete , e Anaffimenc, e Senofane , e
Anafſimandro , e Pittagora , ed Empedocle, e Leucippo , e Democrito , ed
Eraclito, ed Anaſlagora, e Socrate , e Platone, ed Ariſtotele , ed Epi curo , e
Zenone , e tanti , e tant'altri filoſofi d'immortal fa ma degni: e ſi pregin
parimente , e lidian yanto i noſtri ſex coli d'aver recati almondo il Cardinal
Cuſano , e' Co pernico , el Patrici , e'l Teleſio , el Ramo , e'l Do nio , e
Ticone, e'l Cheplero, e'l Bruni, e'l Gilberti, e'l Montagna , e'l Merſenni, e'l
Baſſoni, e'l Galilei , e lo Sti gliola , e'lCampanella , e'l Verulamio, e
Renato , e'l Gaf fendi , e'l lungio , e'lConte Digbi , e'l Oggelandio , e'l
Boile , e’l Borrelli , e'l Maignano, e'l Robervallio , e'l Mal pighi, e'l Redi
, e lo Stenone , e'l Ricci ,e l'Vliva , e'l Por zio , e ' Bellini, e'l
Marchetti , e'l Montanari, e queſti,che ſommamente fregian la noſtra patria
Tomaſſo Cornelio Gio: Battiſta Capucci , e D. Carlo Buragna, dicui ben to ſto
s'ammireranno gl'ingegnoſi filoſofici trovamenti, ed al tri incomparabili eroi,
che con gloriofiffima gara lundcl l'altro fe'n vanno per le vaſtiſſime regioni
della natura, fu perbi ,e alti voli lpiegando: fe non perchè tutti coltoro va
ghilimioltremodo di ſpiar la ſola verità,non vollero giá mai ſtarſene a niuno ,
ne a' derti di niuno traportar cieca mente ſi laſciarono . E viuran ſeipremai
pe'l contrario ſenza fama , e ſenza lode appo i faggi, e prudenti ſtimato ri
delle coſc tutticoloro , che toglier non vogliono una sì 1 com .-s 1 Del Sig. Lionardodi
Capoa. 83 commendevole, e neceflaria libertà ; anzi ſovente in tai fal. limenti
dalla lor cieca oſtinazione ſon tratti, che ne ſenza riſa rimembrare, ne ſenza
nota d'obbrobrio , e di vitupero nominar unque ſi poſſono. E io comechè ſopra
ciò diviſar lungamente potrei , e di sì fatti errori quaſi infinito numero
rapportarvene,purnon dimeno rimarrommene per modeſtia ; c fie baſtante il ri
duryi amemoria , ſol ciò, che d'un ' oſtinato , e duriſſimo Peripatetico narra
il Sagredi appreſſo quell'altiſſimo filo ſofante,ch'oggi l'Italia tutta onora
più che altri già non fe la ſua Grecia . Mi troyai, dic'egliga caſa un Medico
molto „ ſtimato in Vinegia , dove alcuni p loro ſtudio ,e altri per » curioſità
convenivano talvolta a vederqualche taglio di „ notomia per mano d'uno , non
men dotto , che diligen te , e pratico notomiſta; ed accadde quel giorno , chę
ſi andava ritrovando l'origine , e naſcimento de'ner » vi , ſopra di che è
famoſa controverſia infra' medici „ Galienifti, e Peripatetici ; c moſtrando il
notomiſta , co » me partendoſi dal cervello , e paſſando per la nuca il gra »
diſſimo ceppo de' nervi , s'andava poi diftendendo per es la ſpinalc ,
diramandoſi per tutto il corpo : eche ſolo un fil ſottiliflimo , come di refe
n'arrivava alcuore : voltofi 5 ad un gentil'huomo , ch'egli conoſceva per
filoſofo Pee ripatetico , e per la preſenza del quale egli avea cons
iftraordinaria diligenza ſcoverto, e moſtrato il tutto,gli „ addomandò , s'egli
reſtava ben pago , e ſicuro, l'origine de'nervi venir dalcervello , e non dal
cuore : al quale il „, filoſofo dopo eſſere ſtato alquanto ſopra diſc , riſpoſe
: voi m'avete fatto veder queſta coſa talmente aperta , e ſenſata , the quando
il teſto d'Ariſtotele non foſſe in chiaro , ch'apertamente dice i nervi naſcere
dal cuore, biſognerebbe per forza confeſſarla per vera . Ragione. volmente
adunque potè cantando eſclamar colui. Sæpe graves, magnoſque viros ,
famaqueverendos , Errare , & labi contingit , plurima fecum Ingenia in
tenebras cunfuerunt nominis alti Autores , uticonnivent , deducere eajdım , 1.
Ta . 2 84 Ragionamento Secondo Tantum exemplavalent , adeo eſt imitabilis
error. Fin quìha potuto trarmi con convenevol diſdegno dive dere in tanti
errori i miſerelli parteggianti vitupcrofamen ce cadere . Ma vegnamo a moſtrar
ora, ſicome già propo nevam di fare,quanto i Sacri Teologi la libertà , che noi
commendiamo, eglino altresì , ed approvino , e lodino . E chi baſtantemente mai
rapportarpotrebbe,con quan co fervore s'attraverſi a coloro che la libertà
degli Scritto ri intendonodi riſtrignere, quel ſottiliſſimo fra gli Scolaſti ci
Teologi Durando ? Egli con chiare , ed efficaci ragioni manifeftaméte il ci va
dimoſtrado con dire che ſe mai noi dovremo agli altrui detti acchetare ( il che
non ſi deca niú modo concedere ) chi così temerario , e così folle farà ,the
più toſto a’Pagani , e perfidi gentili fede preftar vorrà , che a’ facri , e
piiſcrittori , e Padri di Chieſa Santa da divin lu me illuftratis e pure
Agoſtino proteſta di non voler'egli già , ch'a'ſuoi detti dar s'abbia ferma
credenza : ma che ciaſcuno in prima ben bene gli diſamini , & abburatti, e
ſe veri non gli pajano ſenz'altro alcun riguardo gli rifiuti to Ito , e rigetti
;indi le parole medeſime di Agoſtino recate avendo così fieramento ſcagliandoſi
contro alcuni barbaf fori , che vogliono impor meta alla libertà degli altrui
in gegni, e ridurli al durofervaggio di qualche fi fia ſcrittore, e che altro ,
eſclama egli , è ciò per Dio, ſe non che un vo lere quel tale ſcrittore
antipurre a'Dottori di Santa Chieſa ? fe non che un chiudere il varco a color
,che vanno in traccia della verità ?Se non che un far argine a quei , che
s'inviano pe'lſentiero della ſapienza : ſe non cheun'ammorzar violen temente ,
non che oſcurare il chiariſſimolume della ragione . Così quel gran Dottor della
Chieſa , non men d'ammira bil ſantità , che di profonda ſcienza dotato,
ſcrivendo al Gran Girolamo, lume maggiore della Criſtiana Religio ne , dopo
avergli detto , ch'egli dava intera , e ferma credenza a'libri ſolamente della
ſacra Scrittura , ed agli autori di quella , degli altri in sì fatta guiſa egli
favella : Alios autem omnes ita lego , ut quantalibet San &titate do
Etrinaqueprecellant , non ideo verum putem , quia ipfi itas Jenſe is
DelSig:Lionardo di Capoa . 85 fenferint,fed quia mibi, vel per illos
authenticos autores ,vel probabili ratione , quod à vero non devient perſuadcre
po tuerunt . Ma prima di S. Agoſtino quel criſtiano Tullio, Lattan zio
Firiniano,avendo iſentimenti medeſimi con eloquenza; ed efficacia non ordinaria
manifeſtati,ſiegue a dir poi, ch' ogni ſapienza da ſe caccian via coloro ,che
ſenza diſcreto giudicio ,i trovati degliantichiapprovano , e a guiſa di pe
corelle dietro a quelli ſi laſciano ciecamente trarre ; per ciocchè : ficome
egli ſoggiugne : Hoc eos fallit , quod maa jorum nomine pofito non putant
fieripulje , utaut ipſi plus fa piant , quia minores vocantur , aut illi
deſipuerint , quia majores nominantur: cd alla fine così gridando ei conchiu de
: Quid ergo impedit , quin ab ipfis fumamus exemplum , at quomodo illi ,
quifalſa inveneruntpofteris tradiderunt, fic nos , qui verum invenimus poſteris
meliora tradamus . Or dunque , fe tanta libertà ſi tolgono i Sacri Teologi ,
che talor dove ragion ripugna contraſtano ferventemente a'lo ro maeſtri , ed a’Dottorimedelimidi
Chieſa Santa , ere tāta libertà richiedeſi a'filoſofanti a poter ſaggiamente in
veſtigar la natura delle coſe ; quanta crederem noi ch’ab.
biſognardebbaaʼmedici . Anzi coſtoro di tutt'altri certa mente maggior la
debbon godere ſenza alcun paragone ; imperocchè ſei filoſofi volendo pur
ſtrettamente appiccar ſi ad alcuno , altro per avventura non fanno, che con in
gannar ſe medeſimitrarli alcun'altro dietro ſenza nocimé to alcuno , che
all'altrui vita ſeguir ne poſſa: i Medici per lo contrario , con laſciarſi
a'lormaeſtri ingannare , non di naſconder ſolamente altrui le verità naturali
,non di ficcar carote al baſſo vulgo ſolamente ſi ſtudiano , ma oltre a ciò
da'vani,e ſtoltiloro aggiramenti,offeles c per lo più mor talijanzi ſterminje
rovinc cagionarſitutto di crudeliſſima mente veggiamo . E pure i mediciduri , e
oſtinati dietro al lor Galieno le veſtigie di lui , nõ già la verità ,vā
ricercă do ; e come ſaggiamente notò l'avveduciſſimo Signor di Montagna: On ne
demande pas fiGalien a rien diet qui vail le:mais s'il a diet ainſin,ou
autrement. Esì gli antichi am, . 1 mae 86 Ragionamento Secondo maeſtramenti,
anzi gli antichierrori ſempremai ſeguir vom gliono ; e mi ricorda a tal
propoſito , che ritrovandomi in brigata di curioſi, e dotti amici a caſa il
noſtro Severino quivi da un diligente notomiſta Daueſe ne fur moſtre le vene
acquoſe in un cane da lui aperto ; ma immantinente levolli ſuſo un teſtereccio
Galieniſta (il qualeſimili trova ti prendendo a gabbo poc'anzi avea detto effer
eglino ar zigogoli di moderni ingegni per far contraſto al for ſaggio Galieno )
e contro al buon notomiſta in ceffo rabbuffato , c adattandoſi gli occhiali al
naſo ſtizzoſamente ſcaglioſli con un preſto argumenter contra : ne era inai
egli per rifi pare , ſe oltre alle riſa de'circo tantichetamente , e in vo ce
piena di carità , e di modeſtia, non gli aveſſe il prudente Notomiſta replicato
, ſe non valere ſtar su le difeſe , mu eſſer pienamente pagodi ciò , che
gliocchi, e le man pro pie le facevan chiaramente vedere . O ſtrana , o incredi
bil pertinacia de parteggianiMedici, voler eſſere anzi cic chi , e ſordi, e
tradir ſe medeſimi, ei malati, che ponen do giù la dura , e pertinace loro
oſtinazione ricrederſi de' manifeſti errori de’loro macſori: anzi porre in oblio
l'uma nità , e'lnatural conoſcimento , e lume, per gire così loro
inconſideratamente appreſſo , Come le pecurelleeſcon del chiuso Ad una , a due,
a tre : e l'altrefanno Timidetteatterrandol'occhio , e'l muſo ; E ciò che fa la
prima , e l'altre fanno , Addo andoſi a lei s’ella s'arreſta, Semplici, e quete
, e lo perchè non ſanno Ma chczben ſo lo , che per la più parte ciò fanno coſto
ro , non peraltro , ſe non ſe ſolamente per torſi da doſo la troppo nel vero
gravoſa , e malagevolc briga d'inveſtigar con iſtenti, e ſudori la naſcoſa , ed
a’lor m.cítri non cono ſciuta verità ; e perciò fan veduta d'eſſer ſaggia
elczione di ragionevole genio, quella , che certamentealtro non è , che
dapocaggined'intelletto groſſo , e tondo ; e sì la loro ignoranza, e la loro
pecoraggine cercan di ricoprire, onde poi d'aſtio , c d'invidia fremēdo, per
dar quanto (torpo per lo DelSig.Lionardo diCapoa. 87 loro ſi poſſa alla gloria
de moderni ſcrittori, quella degli antichi mai sëpre d'innalzar fi argomentano;
del quale ma ligno, e biafimevole artificio , forte lagnádoſi Marziale col ſuo
Regolo così canta : Eifequid hoc dicam vivis, quod fama negatur Et ſua quod
rarus tempora leltor amet. Hifuntinvidia nimirum Regule mores Præferat antiquos
ſemper,utilla nuvis. Nono Signori, che non ſon già queſti i veri ſentieri,per
cuine’tempiantichi s'avvivono , ed Ippocrate , e Diocle, e Pliſtonico , e
Praſlagora , ed Erofilo , e Filotimo , e Cri fippo , ed Eraſiſtrato , ed
Aſclepiade, per tacer d'altri , es d'altri famoſi razionali medici antichi.
Così anche a'tem pi noſtri ſi ſon vedutimontar feliceméte al titolo de'ſaggi,
e'l Valentino , c'l Paracelſo, e'l Quercetano ,e l'Elmonte, e'l Villis , e'l
Silvio, e tant'altri avvedutiffimi medici moderni . Non è giàtale crederemio
Galienifti, non è già tale il ſentiero del voſtro Galieno ; (gannatevi pure una
volta , e ſe non altrui , credetelo a lui medeſimo, che oltre a quel , che
n’abbiam di ſopra rapportato , egli più ch'altrove af faichiaramente quivi
l'afferma, ove diſe medeſimo narra , che egliavea per coſtumedi chiamar ſervi
tutti coloro , i qualidaIppocrate, e da Praffagora , o da chiunque altro fi
foſſe predevano il nome, e che da tutti egli uſava di mai fempre fcegliere il
migliore : ήρετο πνα των εμών φίλων από ποί και έην αιρέσεως • ακούσας δ'όπ
δούλες ονομάζω τους εαυτός αναγο ρεύσανας ιπποκρατείας, και πραξαγορίες , η
όλως από πνος άνδρας , εκ λίγοιμι δε τα παρ' εκάσες καλά, δεύτερον ήρετο , ίνα
μάλιση των πα hasūv in aivoso: ma che ? un'altra fiata lo ſteſſo voftro Galie
no non dice, che a manifestiſſimo riſchio d'incorrer in nons pochi
erroricoluis'eſpone, che fermamente ſecondar ſem premai vuole i ſentimenti ,
che il maeſtro della ſua fettan come falde, ed infallibili verità gli diviſa ?
conciosſiecofa chèſecconc una certiMima ragione di ini medeſimo colle ſue
propie parole ) Χαλεπόν γαρ ανθρωπιν όν % μη διαμαρτάνειν εν πολ . λοίς: τα μεν
όλως αγνοήσαν τα , τα δε κακώς κρίναντα , τα δε αμελί segov ypay ar to ,cioè :
egli è malagevol molto , o pure impoſſi bile, 88 Ragionamento Secondo bile
cheunoseſſendo buomo,in tante, e si diverſe coſe ialor non s'aggiri, alcune
affatto non ſappiendo,enon conoſcendo,e d'al tre malgiudicando , e d' altre
alla fine con poca cura, ed avo vedutezza favellando. Fin quì Galieno , il cui
faggio av viſo non ſolocome mai pofla per Galieniſta alcun traſan darſi , o
manifeſtamente diſpregiarli; e pure egliè tale, che più , che a tutt'altri,
dovrebbe eſſer a cuore a'Galieniſti , i quali lodovrebbon prontamente ſeguire ,
ſe non mai per altro , almeno per darne a divedere, ch'elli veramente há bo in
quel pregio , ed in quella ſtima , che tutto dì millan tano , il lormaeſtro ,
il lor principe Galieno ; altrimente vero dirà Paganino Gaudenzio, il quale
queſto graviſſimo fallo loro rimproverando, prorompe in queſte parole , Ga
Lenum voce tenus extollunt, re ipſa autem deferunt , atque contemnunt . Tanto
dice o Signoriilſaggio , e ben conſigliato rino vatore della vera filoſofia , e
medicina , e con ragioni, e con teſtimonianze forſe di maggior lieva più oltre
proce derebbe , s'egli non avviſaffe , che il rimanente ben pote te voi, come
ſavj,per voi medeſimi pienamente compren dere; onde con quelle divine parole,
le quali già lo inge gnoſiſlimo Teleſio ſotto l'effigie della Verità
giuſtamente ( culſe Móva pod pina , cioè a dire Sola coſtei a me amica ; e con
quelle parole , che replicar così ſovente il Paracelſo folea : Alterius non
fis, qui ſuuseffe poteft, ê ſe ne rimane Ma io aggiugnerò di vantaggio , coſa ,
che per avven tura a primafaccia ella creduta nó mifie, e pur ella è vera, e
pur ella è certa : ne loolerei dirla, ſe non ilperaſli farve la toccar con mani
, cioè , che poco men , che tutti i più celebri , e più ſtimati parteggianti di
Galieno da chiarore di verità talvolta illuminatihan fatto come propj i medeſi
miſentimenti , e quaſi tutti tanto nel filoſofare , quanto al fatto del
medicare foglion ſovente dall'orme di Galieno, e d'Ippocrate medeſimo partirſi,
alcuni liberamente ciò có deſfando, altri poidiſimulando la coſa , e'l
contrario tutto con Del Sig. Lionardo di Capoa. 89 con fatti adoperando, di ciò
,che ſempremai con parole proteſtar ſogliono . E percominciar dalle Spagne ,
acciocchè per noi in si lungo narramento con qualche ordine ſi proceda , Tomaſo
Rodrigo Viega,infra gli altri Spagnuoli nobiliſſimo inter petre di Galieno,
ſcuſandoſi una volta di aver contra a’sé. timenti del ſuo maeſtro diviſato, di
cui allora appunto egli ſtava il libro delle differenze delle febbri
comentando,co si ebbe a dire : Eſſer egli da credere , che noi non pur fiam
nati ad interpetrare gli altrui detti, ma altresì a diſami nargli ben bene, più
pregiandola forza della ragione, che l'autorità de'maeſtri ; ed ove ſiam da
neceſſità coſtretti, li beramente da lor ci dipartiamo , perchè dalla verità
non venghiamo a dilungarne ; e quindi a poco paſſando a di ſaminar le ſue
dottrine , il toglie in non pochi falli,de'qua li ſuoi avviſi ſommamente egli
pregiandoſi, alla fine con chiude : quæ animadverſiones liberum animum
oftendunt,com uni veritati vacantem . Nequi rapporterò lo altre ſue parole
intorno al mede fimno ſentimento , che troppo lungo ne verrebbe il mio di.
ſcorſo ; ma non laſcerò lo già di dire , come forte per lui ſi ripigli ,
l'haver Galieno la reſpirazione al cervello aterie buita,ſognandoviſi per
ſoſtener sì folle opinione , unamé brana non mai per niun Notomiſta ravviſata.
Ne men ta cerò , come chioſando egli quel luogo, ove Galien con feſla
apertamenteeſſerſi eglimededelimo ingannato in giudicandod'un ſuo propio male ,
contro luiprorompa in queſte parole: Galenus qui in propriis malis cæcutivit,
quid in alienis faceret ? Ma chi potrebbe mai il famofiffiino Galieniſta
Frances ſco Vallelio séza taccia di traſcuraggine intorno a ciò tra laſciare ?
cgli avvedutiffimo ne'luoilentimenti , non pure il ſuo maeſtro Galieno , e'l ſuo
divino Ippocrate nelle co ſe di maggior confiderazione arditamente abbandona ,
fi come nelpurgare , e nel cavar ſangue , quantunque quafi con argani, e con
lieve, co tutte ſue forze a ſentimentiluoi di traſcinargli ſi affatichi ; ma in
un particolar luo libbri M cino 90 RagionamentoSecondo 1 cino alcuni detti del
ſuo Galieno rapportar volle, coranto fra ſe contrarj , e diſcordi , ch’in niun
modo , ſecondo lui , difender mai , o riconciar baſtantemente fi poſſono ; la
qual coſa prima di luiaveaſiancor tolta a fare quell'altro dotto compilator di
Galieno Andrea Laguna. Così anco ra dal giogo degli antichi due Greci maeſtri
ſi ſon talvolta ſcolli,, e ſtrappati , e per altre ſtrade liberamente avviati
il Lemoſio, il Mercato , ilMena , il Segarra , il Peramati , il Pereira , e'l
Mattamoros. Ma ciò far ſi vide più di tutt'al tri Spagnuoli, e con maggior
nerbo, l'avvedutiſſimo Pier Garlia nobiliſſimo profeſſor di medicina
nell'Accademic Compluteſe ; la qualcoſa così egli faggiamente proteſtā do ,
dice , che altri non prenda maraviglia, ſe di quelle co ſe , ch'e' rapporta ,
alcune n’abbia colte altrui variamen te diſaminandole, e ſe inolte ſien nuove,
e nonmaidaglian tichi pria dette, ne pubblicate in alcun modo: quàm( ſog
giugnendo ) in rebus ad examen revocandis non authorita tes ,sed rationum
momenta conſtet preponderare , indeque , vetus verbum : Amicus Plato , fed
magis amica veritas,oy tum babuiſe . E per far motto intorno a sì fatta maniera
, ancor de Medici di Valenza , i quali sì con Ippocrate, e con Galicno ſtar
ſogliono ſtrettamente confederati , che anzi a ſommo fallo li recherebbon , che
no, il dilungarſi in un ſol minuto punto dalle loro dottrine . Pure il Pereda
fuo chioſatore forte fi briga diſcuſar Michel Paſcali cele bre ſcrittor di
pratica Valenziano, perchè queſto poco ti? lor ſiaſi curato delparere di quegli
antichi maeſtri, così dicendo ; cum bic vir doctus ſcripſerit tempore quo multæ
falf & barbarorum ſententiæ vigebant, veritates Galeni,quas modo multorum
auctorum lectione habemuserantocculte. Ma che forſe il Pereda in quelle ſteſſe
ſue chioſc , ove a fuo potcre egli crede di rimettere il Paſcali nella diritta
ſtra da , non ne torce ancor'egli , e non una , o due , ma più, e più fiate ?
certo , che sì ; imperocchè in trattando delle febbri ardenti, così ne ragiona:
Cum vero in hac febre non apparent figna fanguinis, non eft neceſſaria
ſanguinis miſſio , fed purgatio bilis, neque inomni putrida febri ſecandaeſt ve
14 , ut 1 DelSig.Lionardo di Capoa . 91 na , ut multi recentiores medici cum
Galeno X1. Meth . vo. lunt . Or ecco , come da Galieno ribellando il ſuo giura
to campione , e lotto le bandiere del barbaro , e miſcredé te Avicenna
fuggendoſi,arditamente gli fà teſta , e cerca , di mandare a terra una
dellebaſtie più celebridella Galie nica medicina, fondata in ſu quella
univerſal ſentenza,che veruna eccezione non patiſce , cotanto replicata da Ga
lieno, e celebrata da’ſeguaci di lui: xala ,soy eli cw , ws dignton, φλέβα
τέμνειν ου μόνον εν τοίς συνόχοις πυρετούς , αλα και τοις άλλοις απαστ τοϊς επί
σήψ « χυμούς , όταν γε ήτοι τα τ ηλικίας , ή τα τ δυνά pescos pead montées :
Egli è coſa falutevoliſſima , ficome io hogià detto , ilcavarſangue , non folo
nelle finoche , ma eziandio in tutt'altre febbri, che daputridi umori fon
cagionate , fol, che l'età , o be forzeno'l vietino . E comechè li forzi egli
di ceſſare la fellonia , con dir , che Galieno non faccia men zion del falaſſo
altrimenti nella terzana ſemplice, ed altri moltiſſimi eſempli vada ei
rapportando : queſto però è un volere ſaldar la piaga con pannicelli caldi,
direbbe lo’nfa rinato della Cruſca, ed un'aggiugner colpa a colpa, fallo 2
fallo , in modotale , Che non l'avria Demoſtene difeſo ; imperocchè vien'egliin
sì fatta guiſa ad accufare il maeſtro di contradizione, o di poca fermezza almeno
, il che affai monta in faccende di così gran rilievo.Ne men moſtra ,che molto
fedel ſia di Galieno il Pereda, colà ove dice: Mul ti fequutiGalenum
lib.VI.derat. vict. in morb. acut. in by dropeanafarca ex fuppreſiunemenfium ,
d hemorrhoidibus, autalia plethoricaaffectione orto ,quando incipit fecant ve
nam, quod difficillimum nobis videtur,immo falfum , quia in hydrope jecur
maxime refrigeratū eſt, do funguinis misfio ex accidéti refrigerat.E
finalmétericordevole d'eſſer filoſofo, d'esſer medico, d'eſſer libero, a viſo
aperto dice altra volta il Pereda , favellando d'un luogo d'Ippocrate
malamente, ſecondo lui da Galieno ſpiegato ; quem locūzignofcant mihi ejus
manes , Galenusnon recte explicuit . Stefano Roderi go da Caſtello ,
Portogheſe,celebre lettor nella famoſilli M 2 ma ſcuo 92 Ragionamento Secondo
ma ſcuola di Piſa , nei libro de Meteoris microcoſmi, ove ſommaméte proneggia
d'effer medico , e filoſofante libe ro , dapoi ch'egli ha commendaro Ariſtotile
, che ne ha laſciaci credi del ſuo libero filoſofare , forte ſgridando co loro
, che voglion ſempremai gir carpone collo inge gno , e farti ſervi d'altrui ,
così favella : fed quotus quiſ que eft, qui hanclibertatem velit ? Proh dolor ,
ingewa phi lofophia ſervos parit: ed altrove : ego vero quid antiquiores
fenferint parü ſollicitus , &nulli ſedia addictus.E poco ap
preſſo:Neotericorú inventa, fi qua mihi arrident, amplector, quæ difplicēt
relinquo.Chiama egli più d'una fiata Galieno negligente , duro , oſtinato ,
caparbio , protcryo , e catti vo filoſofante; e cotanto allontanoſſi dalla
dottrina di Ga lieno il Roderico nel menzionato volume , che vennnea formare un
novello ſiſtema di razional medicina . Il celebre fra'GalieniſtiSpagnuoli
Andrea Santacroce , quante volte, e quante all'opinion di Galieno, e d'altri an
tichi , o non bada , o non cura , o talora lc fpregia ? Noil dic'egli una volta
: mihi fufpe &ta eft Galeni doctrina ; ed al tra volta motteggia il
medeſimo, perch'e'malaméte ſpiega un teſto d'Ippocrate có dire:frigida
explicativ; ed altra fia ta ripigliádo có viſo d'armi Galieno,nó dice, ch'egli
a tor to ofa cacciare Ippocrate , come colui , che non intera mente aveſſe
aflegnate le cagioni della debolezza delles forze nelle malactie : eccone le
ſue parole : Hippocrates elio modo , & forfan clariori caufas debilitatis
nobis propo fuit , quamvis Galenus illumfine ullo fundamento repreben dere
aggrediatur . Ma quale oggidiaperto campo, e libe ro nello Spagne tutte a'
medici lia dato da potere agiata mente perciafcuna fetta ſcorrerc, affai fie
manifesto a chi pon mente alle parole framezzate nell'opera del medico della
Regal caſa Gaſpar Bravo , valoroſo , e forte cam pione della doctrina diGalieno
: e fono le ſeguenti : liens Non eft conformatum à natura , ut fit receptaculum
bumoris melancholici redeuntis è jecore , quod Galenus , & reliqui
dugmarici antiqui illi ſubſcribentesfinem pracipuum quare fuerit lien à natura
conformatum ignorarunt; quod Galenus in ina Del Sig.Lionardodi Capoa. 93 in
infantis anatomes non potuit circulationem fanguinis , cu motum percipere. E in
priina , di Galieno medeſimo avea già detto :fiabſolute velit
interdicerefanguinis miſionem in pueris, non ftandum ejus doctrine . Senzachè
volen tier coſtui ad alcuni novelli trovati dà piena credenza , fi come
all'aggirarli del ſangue , ed alle vene latree, e ad al tri molci diviſi
moderni ; perchè ragionando d'Arveo, così manifeſtanente dice : quod Haruei
doctrina, ſi vera,non ob ftat , quod nova , ab illo noviter dicta , quia in
naturali busnon tam quis dixit , quam quid dixit examinandun. O faggia
veramente, e prudentiſſima ſentenza, e degna d'un vero filoſofo , degna d'un
vero medico , degna d'uns vero , ed avveduto diſcepolo d'Ippocrate, e di
Galieno ! E che direm noi o Signori dell'Accademie tutte delle Spagne, da quella
di Valenza in fuori, la qual ſola , eco ſtantemente di non dipartirſi giammai
in coſa niuna dal ſuo Ippocrate, e Galieno ſi da vanto ? Coſtoro certamen te
han ſeguito ſempre , cſeguon tuttavia per ſolo titolo i medeſimi Greci maeſtri
; ma in verità quanto poi da loro nell'adoperare dilunghinſi , non ſi può egli
bastantemente narrare . Eben'avviſollo una volta il teſte mentovato Ga lieniſta
Andrea Santacroce , il qual dopo aver due luoghi delluo Galieno recati, ove
coluidice, che ne’troppo fred di , o nc'troppo caldi tépi non ſi debba a niun
partito cavar ſangue , avvegnachè grave , e di riſchio ſia la malattia ,e
l'infermo freſco , e giovine , c ben’atante della perſonas foggiugne
inanifeſtamente poi : certe qui hæc legit,quomo dotempore Eſtivo, &in ifta
tam calida Matriti regione,pre cipue hoc anno, tam audacter mittit fanguinem ?
quid mira quod multi interierint , ut dicitGalenus? fed quid mirum fi tantum
aberrent multi , ut mittantſanguinem folius refri, gerationis gratia ?
Malaſciādoci omai addietro le Spagne,valichiamo pu ., rca ragionar della
Frácia, nella quale avvegnachè la oſti natiſfiina ſcuola di Parigi aveſſe col
Quercetano tutt'altri Chimiciperſeguitati , e banditi , non fù ella poi così
fal dase coſtante , che non abbandonate talvolta , ed aper tamen 94
Ragionamento Secondo tamente non rintuzzaſſe la ſcuola d'Ippocrate , e di Galie
no ; imperciocchè da’ſentimenti di coſtoro , quanto al fat to delle purgagioni,
e del ſegnare , e d'alcune altre core di lieva alla medicina appartenenti,
tanto , e si fattamen te fi dipartono , e s'allontanano , che più non farebbero
p avventura i medeſimi liberi , o vaghi mcdicanti ; il che pienamente ſi può
per ciaſcun comprenderedall'opere de più famoſi medici di coral nazione. Ne
permio avviſo è da logorar punto di tempo in far parole del famoſiſſimo
Rondelezj; eſlendo purtroppo manifeſta la libertà , con cui egli imprende a
vagliare, ed a riprovar l'antiche opinioni, e produrre in mezzo, e ſtabilir le
novelle, dal propio inge gnioritrovate. No meno è gran fatto da prender cura di
porre in chiaro quanto il dottiflimo Valerioia îi moftraſſe ſempremai fido
amatore , e difenſor della verità ,le cuilo di di celebrare , ed innalzar fino
alle ſtelle non è mai ſtan ca la ſua eloquentiffima penna ; oltremodo commendan
do altresì Galieno , perciocchè ancor'egli per amor della verità avelle più
fiate fronteggiato il venerando macſtro Ippocrate ; eſſendo egliciò ben
conoſciuto a chiunque l'o pere diluiabbia rivolte . E oltre a ciò quanto il
medeſi mo Valeriola ſenza alcun ritegno ove gli ſia in concio ad Ippocrate ,
Ariſtotile , e Galieno faccia contraſto ; palesí do ſenza riſpetto , quanto
ſoventemente,l'un detto diGiz lieno l'altro annulli , ſpezialmente colà , ove
ſi briga di vo lere ſpianar la facoltà dell'orzo, o dove ragiona filoſofan , do
dell'amaro ſapore , e tutt'altri fallimenti di lui, qualo ra gli vengan
conoſciuti, non laſcia con generoſa libertà di ſvelargli, e ripigliargli. Ma
non potrei tacer'io dell'elegantiſſimo Fernelio , il quale , comeche foſſe
motteggiato dall'Italico Galieno Aleflandro Maſſaria con quelle pungenti parole
: fummus cum ratione hic vir ſuo libro titulum inferipfit , Ferneliime dicina ;
namque fi totam illius inftitutionem , omniaque dig mata diligenter
animadvertas,ea majoriex parte juntite ejus propria, epeculiaria , ut prope
fint nullius alierius:pur decegli, non ſolo gran lume della riſtorata cloqueaza
Ro mila , 1 DelSig.Lionardo di Capoa. 98 mana, ma ſovrano pregio dell'arte
della medicina eſtimar fi ; perchè credendolo proverbiare il Maſſaria , il
vennes anzi a commendare , che nò ; imperciocchè , fe ad altro , ch’a ricercar
nuove coſe , e per alcun'altro non mai prima tocche ebbe il Fernelio l'animo
tutto , e'l penſier rivolto , per certo , che egli fi fe in tal guiſa conoſcere
per degno imitatore , anzi einolo d'Ippocrate, e di Galieno. Ma forſe il
Maſſaria non riguardò punto a quelle parole , le qualiil Fernelio ,antiveggendo
,che delle ſue novità ſareb be per alcun da eſſer tacciato ,nelprincipio del
ſuo vaghiſ ſimo volume laſciò ſcritte ; la dove egli con sì efficaci , e
convincenti ragioni, econ sì maraviglioſa facondia , la fua cauſa difende , che
più non farebber per avventura , o'l fottiliſſimo Demoſtene, o l'eloquentiſimo
Tullio; le qua li per eſſere ſoverchiamente lunghe qui io non rapporto; ma non
gia tacerò lo quell'ultime ſue parole , colle quali maravigliando egli de
famoſi trovati dell'età fua , così al tamente favella :nihilvere docto
illifeculo debet hæc invi dere . Dicendi ratio , fummaqueeloquentia nunc paffim
flo refcit, philofophiæ genus omne excolitur :m :ufici , geometra, fabri,
pictores , architecti ,fculptores,aliiquc artifices innu merificmentis aciem
extulerunt , ut artes quique ſuas pre claris, magnificiſque operibus
exornarint, quevetuſtioribus illis uno omnium ore celebratis nihilcedant. Neque
inven tis folum ornamenta, e incrementa adjunxit temporum ex curfio , fed
&artes novasprotulit,ad quas priorum nunquã, velingenium , vel induſtria
penetraverat . Quindi ſieguo egli a raccontar delle bombarde, delle ſtampe , delle
bof fole da navigare , e d'altri maraviglioſi ritrovati de'tempi addietro ; e
intorno al navigare ſi vanta ſommamente d'a vervi anch'egli fatta la ſua parte.
Mao quanto più il benz parlante Fernelio com menderebbe la noſtra età , fe
vedeſſe a' dì noftri di nuove , e più maraviglioſe pro ve la fperienza
accreſciuta, e ſempremai ritrovarſi da gli ingegnoſi moderni , o le carrette a
vela , o le trombe parlanti , o le lanterne magiche , o i teleſcopj, oimicro
ſcopi , o le tante , e tante , e sì maraviglioſeforti d'oriuo J ligo 96
Ragionamento Secondo li, o i varj, e varj, e non mai poſti più in opera ſpecchi
co cavi,che repentemente liquefanno anchei metalli più du. ri: o le Pitture,
che apparir fíno a’riguardáti, Protei di mil le forme le colorite telc : o con
qual arte da guerra infra brieve ſpazio di tempo in terra ſi gettino le
Cittadelle , ultimo rifugio de’vinti , & ultimo ſtento de’vincitori : e co
me dall'acceſe bombarde li mandi ſoccorſo alle caden ti fortezze , traendo
argomento di ſalute da’medelimi ſtrumenti d'offcfe: 0 come a diſpetto quaſi
della natura ſi poſla forc'acqua francamente navigare . E come egli au rebbe
aggrottate per iſtupor le ciglia in avviſando altreer ranti , ed altre fille
non mai più vedute Itelle , ed altri , ed aleri movimenti, oltre a quegli già
per l'addietro conoſciu ti nel Ciclo dagli antichi. E che aurebbe egli detto
dell' Elatere dell'Aria, de' Barometri, delle Termometre , e degli ſtrumenti
del vuoto , in cui non rimane ne men pic cio iſlimoacomo d'aria ? Eche
de’nuovi, e maraviglioſi uſi della calamita ? e che del trasfonderli del ſangue
e di cotant'altre prlove , che commendevol tanto rendono, e amipirabile l'età
noftra . Certainente con maggior mara viglia egli ſclimato aurebbe , e con onta
pur degli inutili e pecoroni parreggianti : fi omnem laborem pofteri collocaf-,
fent , ut eas folum artes, diſciplinas exædificarent , qua rum fundamenta
priores jecerant , nunquam tam multa di fciplinarum copia creviſet. Si qua in
veterum mentem non venerant, juniores non aperuiſſent, neque illorum induftriam
fuis vigiliis excitafent: nova ingeniorum lumina minime lucefcerent . Ma e'l
Fernclio , e tutt'altri autori Franceſchi prima di lui , quanto al filoſofar
liberamente poſſon ceder tutti la maggioranza a Lorenzo Giuberti nobilillimo
lettore nell’Academia di Mompelieri ; il quale dopo ellerli oltre modo lagnato
de gravioltraggj , che per opera d'Ariſtote le han villanamente molti degli
antichi ſavi patiti , haven do colui si fittamente i lor ſentimenti inviluppati
, e {tra yolri , che s'eglino pur ci ritornaſſero , non più , comopro pi lor
parti ravviſur certamente gli potrebbero: indico 4 1 1 4 silog. Del
Sig.Lionardo di Capoa 97 sì loggiugne. Hinc res eò miferia tandem reducta fuit
, ut quum maximophilofophurum damno aliorum commentaria periiſſent ,in iis
nullo refragante poſteritas tenaciffime inhee Jerit, ea tantum vera eſe ſibi
perſuadens , quæ fine contro verſia proponerentur. Quindi egli con animo libero
, e fin loſofico, dinon dover ſenza minuta conſiderazione laſciar fi trarre a
gli altrui pareri,manifeſtamente proteſta : avve . gnachè ſian quelli pure
diGalieno medeſimo, dicuiegli così dice . Hec dum animadverto,non poffum non
illius quo que dicta exactiusperpendere , de pleriſque dubitare : ut
diligentiore facta inquifitione veritastandem ( abfit invidia dicto )
eluceſcat. La qual faggia libertà , dice egli, da cia ſcun doverſi ſommamente
ſeguire,tra per l'utilità , che ol tremodo ſe ne ritragge , e per l'autorità
de'letterati più prodi , ed in iſcienze più valoroſi , che ſempre glorioſamé te
l'han ſeguita ; de'quali egli fa un brieve, ma ſcelto ca talogo,arrollandovi
anche in fine l'avvedutiſſimo Gugliel mo Rondelezj , e ſommamente
commendandolo. Ma non ſolamente Lorenzo Giuberti nel ſoftener la fin loſofica
libertà moſtrar volle la ſua maraviglioſa coſtan ża , anzi non pago di ſe
medeſimo d'imprimere, e propag ginar sì nobili ſentiméti anchenegli animi de'
ſuoi ſcolari ſommamente ſtudiosſi . Perchè un diloro ebbe già quell'e
legantiſſima orazione , che oggidi ancora vien da'curioſi con maraviglia
guardata; e nella quale dopo aver colui có forti, e valevoli prove ſaggiamente
la ſua ragion difeſa , la gran forza ſpiegando della verità , dice , quella
ſola la greca filoſofia a cotant'altezza aver potuta condurre,e por l'ultima mano
alla latina eloquenza : e da quella ſola ani cora eſſer la Criſtiana Religione
introdotta , e ſeminata in Europa: e cô la verità medeſima aver fatto capo a
Socrate ache Platone; e côtro Platone poi eſſerſi armato Ariſtotele; e
nell'Italia gran tratto dagli Aſiatici aver ſeparato Cice rone . E fu opera
anche della verità il replicare appreffoi Criſtiani Paolo a Pietro , e opporſi
Agoſtino a Cipriano ; e altri molti eſſerſi per ſola vaghezza di quella l'un
l'altro perſeguitati. Quindi rivolgendo il ſuo ragionamento a’ri N gidi, 1 1 98
Ragionamento Secondo gidi, e ſuperſtizioli barbafforidi quella ſcuola rancida ,
che più le viete anticaglie degli ſtolidi maeſtri, chela nuova , e pur mo nata
verità ſcioccamente pregiano così ſoggiugne . Et paganorum quorundam ( cioè a
dire d'Ippocrate , e di Galieno ) memoriam ſuperſtitiosè coletis ? eorum nomina
tam aniliterperhorrefcetis , ut à falfifſimis quorundam decretisnon poffe
quemquamfine nefario ſcelere deficere judicetis ? Ma non comporta il tempo ,
che più avanti lo ne rapporti , comeche per tutto quel libbricino vaghiſſime,
ed ingegnofiffime coſe ſparſe vi lieno : ed a cui caglia di leggerlo forſe non
rincreſcerà . Di tanta, e sì valevol forza fur le perſuaſioni, e l'au corità
de'due valentiffimi maeſtri , cioè del Rondelezine del Giuberti , che traendoſi
dietro già tutta la ſtudioſa gioventù di Mompelieri , da indi in poi in quella
famofiffi ma Accademia fempre la libertà del ben filoſofare è cam. peggiata .
Ne con più ardente , e con più vigoroſo ſtile altra ſcuola di Francia armolli
mai a far teſta a quella di Parigi a pro della Chimica, e del Quercetano ,
quanto la famofiflima ſcuola di Mompelieri : da cui ſon ſempre uſci ti , ed
eſcon tuttavia valorofi germogli . Che più ? egli è táto non chebiaſimevole,ma
impoſſibi le a fofferire la fervitù delle Sette agli ſtudioſi ingegni
Franceſchi, che non che altri , macoloro , i quali la liber tà in altrui
ſommamente riprendono , come il Silvio , l'Ol Jerio , il Doreto , eiduo Riolani
, lor fa meſtieri , ch'a ' giurati maeſtri , o di naſcoſto ſi ſottraggano , o
manifeſta mente ribellino . Anzi (chi il crederebbe !) anche colui , ch’a
difeſa di Galieno contro il Vefalio sì fieramente ar moſſi , voi m’intendete o
Signori , io dico il rabbioſo An drea di Lorenzo , udite come pur ebbe a dire :
Ego enim hactenus is fui ,qui nullius jurare in verba magiſtri aſſuevi, multa
prioribus ſeculisincognita , & diligenti noftra ubfer vatione animadverſa
in apertam lucem profero . Mala Lamagna , quantunque foſſe ſtata il Teatro ,ovej
con Paracelſo da prima , e poſcia con gli ſcolari di lui ten zonaſſero i più
oſtinati difenſori degli antichi maeſtri : es quan Del Sig .Lionardodi Capoa.
99 quantunque ſurti vi foſſero , ed in quel meſcolamentoal ſchermo del lor
Galieno.v'aveſſer fatta puntaglia il Fuſio , il Platero , il Cratone , ed altri
acerbiffimi,e valorofi Gas lieniſti : nonpertanto ſono ſtati i Tedeſchi, de
France fchi medeſini nel filoſofar ſemprese nel medicare aſſai più
liberi,licome ne dan piena teſtimonianza Giorgio Agrico la , come colui , che
in trattando delle coſe minerali tante, e tante fiare va ripigliando gli
antichi maeſtri , e Taddeo Duni , il quale , tutto cheGalienifta, pur contro.il
mede fimo ſuo maeſtro Galieno , un libro partitamente compo ſe , ove nel
procmio così apertamente dice: Galenusquis dem amicus eft, & fcriptor
antiquus, & illuftris., vene randus : veritas tamen , & antiquior ,
& illuftrior , dve. neranda magis.. E che direm noi di Geremia Triverio ,di
Felice Plateri, di Corrado Geſncro , di Martin Rollando , e d'altri aſſai, ma
più di tutt'altri di Mattia Vnſeri.il qua le al ſuo Galieno apertamente
ribellandoſi infra l'altre una volta dice con efficaciſſime ragioni aver lui
dimoſtro ,andar Galieno follemente errato nel filoſofare delle cagioni del.
l'Epilellia : e che de' ſuoi falli eredierano rinaſi gli oſti nati ſuoi
ſeguaci, negli animi de'qualila falla dottrina del lormaeſtro così tenacemente
ſi trovava radicata , ut ( per dirla colle ſue propie parole ) Scirrum quamvis
durum cia tius digeras , quain inveteratam hanc opinionem àpuero con ceptam ,
ipfis è mente eripias . Ma quel che maggiormente recar dee eglimaraviglia fiè,
che imedeſiminimici,e per fecutori del Paracelſo , eziandio i più fieri, ed
acerbi anch'eglino talvolta dalla loro annodata congiura mani feſtamente fi
partono, come Felice Plateri , Tomaſo Era fto ,Giovan Cratone,GaſparreOfmanno
,nimico il più im placabile, che mai Chimici aveſſero ilqual tutt'altri medi
ci, anche di ſua ſchiera, intinto biaſimò, e ſquarciò , che afpriſfimamente da
due diſcepoli di Galieno anche funne ripreſo : l'un de'quali , che fù Daniello
Orſtio , così pro verbiando il motteggia : ad Hoffmanni modum , qui inftar anys
rixoſe heroes medicos paſſim fcurrilitertraducit; e l'al tro , che è Riollano
il figlio , ſdegnato oltremodo, di lui N 2 ſcri Tôo Ragionamento Secondo ferive
: Hoffmannusnimis liberè, & licentiosè caftigat omnes Medicos ,
utfolusſibiſapere videatur. Mainfra gli altri partiſſene ancora Rinieri
Solenandri filoſofo , e medico digran pregio, il quale coll' armi , dal
medeſimo Galieno un tempo adoperate , coraggioſaméte diféde la ſua ragione ; e
dopo d'aver acculato Galieno de' falli p lui comeſſi nel libro de’séplici
medicaméti,così con tro di lui , e degli altri antichi maeſtri ſaggiamente
ragio na . Si in his medicina partibus , in quibus plus externi ſon Jus ,
experientia valet , quam judicium , & ratio , tantū deliquerunt majores
noftri, quid credere debemusfactum ef feincæteris omnibus , quæ fola ratio,
& ingenii ac umen af Sequi, eperſuadere poteft ? E che direbbe ora il
Solenan dri , ſe vedeſſe di già fatto palele al mondo , quanto G2 lieno, e
altri Antichi,della verità andaſſero lungamente er rati, in filoſofando dietro
le parti tutte della medicina? Ma non v'ha infra tutti i Tedeſchi Galieniſti,
che de’detti del lor maeſtro Galieno sì poco conto faccia, quanto , ſecon do ,
ch'io mi creda , quel tanto celebrato ſeguace di lui Daniel Sennerto ;del quale
perciocchè e' fa moſtra in ogni luogo d'eſſer libero, no fà meſtieri al preséte
ch'io sétéza alcuna ne rechi. Tanto ſolamente apporterovvene ciò, che egli in
difeſa di ſe ad Antonio Guntero ragiona . Semper novum ( dice egli) Suſpectum
fuit , antiquum vero lauda tum ; fed an jure ſemper , dubito; nam , quod nobis
antiqui, olim novum fuit : ideoque non tempore , fed rationibus opi niones
affirmandæ funt , eæque veriſimehabende , quæ cum natura , qua antiquiſſima
eft', confentiunt . E poco avă ti : multa adhuc in natura reſtant explicanda;
& plurimas in ea ita obſcura ſunt , ut magni etiam viripleraque vix de finire
aufi fint . Ma non hà egliper mio avviſo animo me no nobile , e generoſo del
Sennerti , il famoſo Galienilta Ollandeſe Giovan Antonio Lindeni intorno al
giudicar li beramente , e fecondo ragione,la verità delle coſe , ſenza eſfer di
vaſallaggio alcuno. Coſtui infra gli altri ſuoi li beri , e memorabili
conſigli, una fiata ragionando di Ga lieno , e avviſando in quante beſtemmie ,
cd empiezze foffe DelSig.Lionardo di Capoa. ΤΟΥ foſſe coluinelle ſue dottrine
ſtrabocchevolmente caduto così eſclama : Quid eft abnegare Deum , fi hoc non
eft ? fi enim iſta non poteſt , ne quidem Deus eſt ? alla fine contro i
parteggianti di lui ſtizzoſamente prorompe: &hic eſt illes homo ,cui non
aſſurrexiſe grandenefas eft ? cuique contra dixiſſe mortale peccatum eft ? E altra
volta così del ſuo mae ftro Galieno ragionando : Galenus ( diſſe ) magnus eſt,
& fuit , &erit ; non tantus tamen , quem patiar libertati med fibulam
imponere in iis , qua meliori ratione, atqueexperiêm tia certiore habeo
comprobata. Ne men del Lindeni maa gnanimo , e libero fu quell'altro Galieniſta
parimente Ol landeſe Zaccaria Silvio ; intanto che non laſciandoſi tra ſcinare
,ma ſolamente condurre a reverendi ſentimenti del maeſtro , ritroſo , e reſtio,
ſovente a quelli ricalcitra ;e tra viando dagli antichi ſentieri , per nuove, e
non uſate vie s'argomenta talvolta , comechè poco felicemente , d'ag giugnere alla
verità . Priorum veſtigia (dice egli) omnia premere, & eaděſemper inculcare
ridiculū eft.E no guari ap preſſo : Pigri eft ingenii contentum effeiis,
quæfunt ab aliis inventa , fiquidem mentis acrimoni: nihilnon humanarum rerum
ſubjicitur . Perciocchè ficome egli medeſimo ra giona , non è la medicina , o
la filoſofia così ſtretta , così anguſta , e di sì poca ſpazioſità , che di
preſente dagli an tichi primi macſtri ſi foſſe potuta ingoinbrar tutta, ſenza
laſciarne ſpanna altrui ; ne così manifeſta , e ſviluppata, iz ciaſcuno è la
verità delle coſe chei primicri inveſtigatori di quella aveſſero avuto ventura
di prenderla liberamen te ſenza gli argomenti di cotante ſperienze; e giugnendo
primieri alla gloria vincerla ſolamente della mano ; veri tas , fù ſentenza di
lui , in multo altiorem demerfa puteum eft, quam utpaucis inde extrahi poſſit
feculis . Énel mede fimo ſentimento fu certamente ciaſcun'altro medico , fi
loſofante di Ollanda ; c Io ne potreiquì rapportare infini te teſtimonianze ,
ſe non che io temo per avventura di ſo verchiamente ſtuccarvi colla mia
lunghezza. Ma non poſſo perciò tralaſciare a dire dell'ingegnoſo filoſofante, e
medico de'ſuoitempi Giacomo Bacchio ; il qual veggens е doſi 102 Ragionamento
Secondo doſi da' ſentimenti, e dalla ragione perſuaſo ,anzicoſtret to , e vinto
a confeſſar l'aggiramento del ſangue, niente curando,ch'una tal dottrina non
l'aveſſc egli apparata da' volumi degli antichi maeſtri, sì volentieri la
ricevette , e intanto l'abbracciò , che conchiuſe alla fine doverſi quella in
diſpetto degli oſtinati Galieniſti tutti ſeguire,ſe ben l'or dine tutto
dell'antica medicina aveffe foſſopra a ſconvol gerſi , e andarne a fondo;
perciocchè ſecondo un sì nuovo diviſo in aſſai coſe fi riformerebbe la medicina
, e in mi glior filo certamente ſi metterebbe . Sic contingit , oſſer vò egli ,
concefo , ftatutoque ſanguinis circulatorio motu ,in numera veteris doctrina
fiatuta inverti ; unde totus docendi ordo turbatus præpoſtere , & fine
certa methodo, & doétrina omnino confuſe inſtituitur , addiſcitur; quam
pofitioni bus cashenatim cohærentibus , &certo ordine inſtructis ſia biliri
decer . Ma che direm poi del medicar della Lamagna, il quale , da queldella
Francia poco certamente s'allontana ? ſe non fe i Tedeſchi aſſai più de
Franceſchidi ſegnar ſi ritengo no ; e intanto l'abborriſcono , e ne ſon ritrofi
, che deter minatamente giudicano, i Salaſli mai ſempre eſer danne voli , e
ſconcj, e ſe non altro alla per fine menomandone gli ſpiriti , raccorciarne
miſerabilmente la vita . No lo mi prenderò quì punto briga in provarvi quanto i
Tedeſchi ſien filoſofi , emedicidabbene , e amatori della verità , no
appiccandoſi oſtinati, e provani a Setta niuna ; ed egli ſiè ben manifeſto a
ciaſcuno , non più fortemente altronde che dalla Lamagna eſſere ſtato dimentito
, e ricreduto più fiate de'ſuoi errori Galieno . Ma non men libera dell'altre
nazioni fu la gran Bretta gna in non yolermai tenacemente appiccarſi a'
ſentiinenti d'Ippocrate, e di Galieno , o d'altri antichi medici, ſenza in
prima lungamente abburattargli, e porgli allo ſquitti no delle ſperienze , e
delle ragioni. E ciò agevolmente potrà comprendere chiunque prenderaſli briga
tanto qua to di rivoltarci tarlati, e polveroſi volumi dell'antico Ric cardo ,
o di Giubetto , o di quelGiovanni, che ſopra tutti 1 inani DelSig.Lionardo di
Capoa 103 ز manifeſtò i ſuoi laudevoli, e generoſiſentimenti in quel li bro
mandato fuora da lui , ſotto nome di Roſa Anglicana ; e da cotant'altri antichi
Inghileſi, a' quali , comeduchi,e maeſtri del filoſofare , e dell'opere di
medicina , piacque anzi gli Arabi dottori, che i Greci maeſtri nelle loro ſcuo
le ſeguitare . E più allor crebbe , e avanzoſſi nell'Inghil terra la libertà
del medicare, quando pofta giù la ruggine di que'rozzi ſecoli, più preſſo
a'tempi noſtri,per opera de gļItaliani maeſtri, rinacquero quivi le lungamente
ſepolte greche , elatine lettere ; perciocchè allorcertamente con maggior ſenno
, e avvedimento ſi puotè per valenti lette rati gareggiar vicendevolmente per
la verità; e crebbe tă to poi nella famoſa penna del Primeroſio , dell'Igmoro ,
e d'altri valenti Galieniſti Inghilefi la libertà delloſcrivere nella medicina
, che ſoverchio ſarebbe il raccontarlo. Pu re non mi terrò di ſommamente
commendar quelle famo ſe ſcuole ,onde ſi moſſe da prima l'incontraſtabile
difeſa a pro dellaggiramento del ſangue , la qual sì forte , e valo . roſamente
Fiaccò le corna del ſoverchio orgoglio al gonfio , e folle Pariſano , che
vergognato , e ontoſool tremodo divenutone, non osò il cattivello per innanzi
far ne più motto . Ma chi mai pareggiar potrebbe il valore del grãde Ar veo ?
ilqual ſgombrate da ſe tutte paffioni di Sette , e di nimiſtà , intanto
avvantaggioſſi colla ſua laudevole liber tà ne'ſentimentipiù veri delle coſe ,
che nelle ſue glorioſe . opere così par , che ſaggiamente ragioni : Io miſon
forte fovente meco medeſimo maravigliato di coloro , anzi tal volta hogli preſo
a gabbo , i quali follemente s'avviſano aver l'operc d'Ariſtotile , o di
Galieno , o d'altro più cele bre maeſtro cotanta perfezione , e compimento, che
nulla certamente lor poffa aggiugnerſi più di vantaggio . Non è la natura delle
coſe cotanto aprima faccia manifeſta che compiutamente per huom’poſſa
prenderſi, ſenza ben cutca in prima diſtintamente ſpiarla . Ella ha i fuoi
ſegreti na ſcondigli, a'quali non può certamente aggiugnerſi, ſenza la 104
Ragionamento Secondo la guida di lei medeſima: e ciò , che in alcune coſe confu
ſamente, e inviluppatamente n'accenna , altrove poi reſa . ne fedeliſſima
interpetre , più diſtintamente , e manifeſta mente n’eſpone. Perchè ſenza
dubbio mal potrà giugnes re a diterminar coſa del mondo intorno all'uſo , o
alme ftier delle parti del corpo umano , chiunque in prima non n'abbia ben
preſo argomento da ciaſcun ' altro bruto ani male , e'l ſito diligentemente , e
la fabbrica , eicongiunti vaſi , e altri accidenti di quelli , e delle lor
parti conoſciu to , e l'uſo loro per pruova ſaputo . Et putabimus, dirolla pure
colle ſue propie parole , nihil prorſus commodi ab his auxiliisfcientiarum
nobis accedere ; verum omnem plane fa pientiam à primis ftatimfeculis abforptam
fuiſe ? Ignavia profeéto hæc noftre, haud naturæ culpa eſt . Ma che non di ce
egli, e quali ſaldiſſiine ragioni non apporta in concio a' ſuoi liberi
ſentimenti , o nella famoſiſfima lettera dirizza ta al Collegio di Londra , o
nel proemio del libro della generazion deglianimali ? Pudeat, udite , come
all'alta impreſa del liberamente filoſofare ne ſtuzzichi , e ne ſpro ni il
magnanimo amator della verità : pudeat itaque in hoc nature campo tam ſpacioſo,
tam .admirabili, promifique majora femper perſolvente,aliorum fcriptis credere
; incerta indè problemata videre ; &ſpinofas, captioſaſque diſputa
tiunculas nectere . Natura ipſa adeunda eft; & ſemita quă nobis monſtrat
infiftendum . Ma dalle nazioni ſtraniere , paſſiamo omai a narrar del. la
noſtra vaghiſſima Italia , pregio delle più belle lettere, e ricovero ditutte
ſcienze ; la qual certamente , intorno alla medicina, oltre a gli Abbanije i
Niccoli, c i Gentili , e i Dini, ei Tomalli, e i Taddei, e i Ferrari, e gli
Vghi, e i Girardi , e i Platearj, e i Turiſani,e i Salvatichije i Giacomi da
Forli, e i Mattei da Grado , e gli Arduini , e i Montagnani, gli Arcolani, c i
Zerbi, ei Savanaroli , e cento , c millal tri avvedutiſſimi ſeguaci
dell'Arabeſchedottrine : hebbe anche Aleſſandro de Benedetti, e Matteo Curzio ,
eGio van Manardi , e Giovan Battiſta Montani, e Antonio Mu fa Brafavolo , c
Nicolò I.coniccni, per tacer d'altri molti, a’quali DelSig. Lionardo di Capoa:
105 a' quali più di ciaſcun'altro per avventura piacque le doe trine
d'Ippocrate, e di Galieno fominamente ſeguire . E pur veggiam talvolta effer
coſtoro manifeitamente , trali gnati dalle reverede dottrine de’lor carimaeſtri
, e in mol te , emolte coſe , che a grado lor non furono , avvegna chè di non
poca conſiderazione,loro apertamente contra-. ſtare . Ne reco Io già al
preſente per teſtimonio del mio ragionaméto Gabriel Fallopio, ne il
Trincavelli, ne il Mer curiale,ne Ercole di Saſſonia ,ne Girolamo Capodivaccas
ne Orazio degli Eugenj,ne Ceſare Magati,ne altri , e altri avvedutiſlimi
medici, e filoſofi commendati ne’loro tempi, c pregiati allai . Solamente
ricorderò le glorie del famo fiflimo Giovanni Argenterio , e cotant'altri loro
valoroſi ſeguaci , e imitatori; i quali traſandate le leggi, e le ſtret tiifime
mere degli antichi maeſtri, ſcorſero liberamente perlo gran campo della
medicina , ſenza appiccarſi molto tenacemente, ad Ippocrate , o a Galicno
,comechè Ippo cratici , e Galieniſti eglino li foſſero . Ma cometutt'altri , e
in dottrina , cin chiarezza di fama avanza di gran lun ga queltanto valoroſo ,
ed eccellente ſcrittore Girolamo Cardano , così a niuno certamente egli cedede
Galieniſti medici Italiani nella gloria del liberainente filoſofare.Egli a niun
pregio tenendo maeſtro alcuno , ſolamente s'affa . tica , e ſi ſtudia per la
verità, e non ha quaſi facciuola nel le ſue opere , ove egli non ſi vegga oftinatamente
conten dere col ſuo Galieno , prendendo cagione tratto tratto d '
accoccargliela , e manifeſtamente biaſimarlo, intorno alla maniera del ſuo
filoſofare , e del ſuo ſcrivere , e del porre in opera il ſuo furbeſco meſtiere
; infra le quali non mi par da dover tralaſciare quel che in un de'ſuoi libri ,
di lui narra , dicendo eſſere ſtato colui prima Cerulico: e che in ciò pure non
molto tempo , e ſtudio logorato v’aveffe,ac ciocchè al colino di tal meſtiere
ne foſſe dovuto formota re . E delinedeſimoGalieno altra volta forte biaſimando
ſi, dice ſoiainente eſſere ſtata cagion di cotanti ſuoi errori, e fallil'effer
egli riſtato in sù gli arzigogoli dello ſpecula re , ſcnza diſcender giammai
all'operare , e ſenza far prìo O va del 106 Ragionamentosecondo 1 va delle ſue
mal credute dottrine : Caufa errorum in medi cina eft , quod quicontemplantur,
non medentur, ut Galenus, Paulus , & c Princeps , & hodie omnes
medicine profeſores; ideo ( avvertimento ben degno da dover far faldiffima im
preſſione ne’noſtri medici) loco regularum , &dogmatum fcribuntfomnia.
Mayperchèa far parole del Cardano ci ſiam condotti , e'nó mipare di dover
tacere, quáto nella ſchicttezza,e bo tà dell'animo, e nell'amor della verità
egli lungamenteve Galieno medeſimo,non che altri ſi laſciaſſe addietro ; per
ciocchè biaſimando oltremodo la malvagità , e la caſtro naggine de' teſtereccj
, émalandati parteggianti de' ſuci tempi ,infra l'altre , cosi una volta
ſtizzoſamente gli pun ge , egli beffeggia . Demiror , dice egli , credulitatem ,
de mentiam , & impietatem medicorum noftræ ætatis , quorum aliqui eo
deveniunt , ut cbliti omnis humanitatis , maline perdere homines , utferviant
pertinaciæ , quam revocari, a eosſervare. E oltre a ciò vaegli conſiderādo
intanto giu gner l'oſtinazione, e l'affetto degli accieciti parteggianti, che
riguardando alle dottrine de’loro cari maeſtri, non che a capital niuno la
verità teneſſero , anzi l'anime loro medeſimc non curando , foventi fiate il
diritto delle divi ne leggi, e delle naturali traſandano: cdeo ſectis , grida
egli pictoſamente piagnendo , addicti ſunt , at nec immor talitatis aninorum
,nec præceptorum philofophiæ reſpectus ul lus eos teneat . Machirccherammi
amcinoria tutti gl'infelici, e com paſionevoli avvenimenti, i quali dalla
mellonaggine,dalla pertinacia , dall'ambizione,dall'avarizia, e dalla malvagi
tà de'cattivi parteggianti tratto tratto ſeguir ſogliono, che egli lungamente
va diviſando : Eglino ſempre oſtinati ncl le loro fanciullaggini, non che
foſſer giammai da tanto , che guarir ſapefiero alcuna malattia
diconſiderazione;an zi fovenci volte si , e tanto operano colle loro trappole ,
che ne tolgono la voita aʼmedici più valoroſi. E ſon pur così ribaldi, e
ſcellerati , che sfregiando colle loro opere il digniffimo nome di Criſtiano ,
e laſciata affatto la pietà, cla ! Del Sig.Lionardodi Capod. 101 e la carità
unico patrimonio de'ſeguaci di Criſto ,tuttiaya: ri , e ambizioſi,ſi
veggono,ſolamenteiricchi, ei nobili am. malati viſitare , e i poveri, e
miſerabili, dalla fortuna ab. bandonati,dopoaverglilungaméte ſpolpati, o
affatto non curare , o ſe pur vi vanno frettoloſi, e ſuperbi, come vili
giumenti, o come altri bruti animali crudelmente trattar gli . Del quale
graviſſimo misfatto certamente la cagioa ne ſi è il lor Maeſtro Galieno , da
cui eglino tutto apparā doprendono ancora ad eſſer oltremodo ambizioſi, e
avari. Hujus tanti mali, ſono le parole propie del Cardano , au tor fuitnofter Galenus,
qui nil ubique jactat, niſi proceres , atque Imperatores ; quum tam
juveniseffet, ut ambitione, inani nomine potius, quamartis peritia eis
innotuerit. Nc oltre a ciò tace il Cardano l'aſture frodi di que'Vol poni
maeſtri , i quali a perpetuar la lor tirannia,agl’ingan ni , alle millanterie ,
alle beffe , all'aſtuzie , aile giglioffe rie gl’innocenti ſcolari tratto
tratto avvezzavano . E di tanti misfatti , e ſcelleratezze'non laſcia
d'accagionarne ſopratutto le perſone nobili , e d'alto affare , i quali per
ciocche delle coſe del mondo , e della natura poco, o nulla ſi conoſcono , non
laſciano a ciò porre acconcio compen ſo, ficome certamente dovrebbono ; anzi
intanto giugne la lor biaſimevole dappocaggine, chc in luogo di ricercar
ne'medici profonda dottrina , buoni coſtumi, intendimen to di linguaggi,
avvedimento grande , ſcienze alla medi cina appartenenti, pierà de gl'inferini,
antivedimento del Je future cole, ſperienza delle cure malagevoli , conoſci
mento delle matematiche, ripoſo di mente , amor di glo ria , che naſca dal ben
operare , diſpregio d'altre coſe ſol lazzevoli , e ardente diſiderio d'apparare
; vi richiedeva no orrevoli veſtimenta , aſpetto grazioſo , viſo piacevole,
adulazion di parole , abbondanza d'ammalati illuſtri , e grandi,magnificenza di
ricchezze, e cento, e mille altre ſo miglianti vanità. E ben gli parve , che
meritevolment , coſtoro ne portaffer poi la debita penitenza , omorendo ne loro
i più cari parenti, o ſtandone eglino medelimi ſem premai ſparuti, c
triſtınzuoli , e cagionevoli aſſai dell i per 0 2 108 Ragionamento Secondo
perſona : diuturno cruciatu protractorum per longumtempus morborum : per
rapportarvi omai alcune altre delle ſue pa role medesime,che mi ſovvengono:
preterea fiderationum , debilitatum ,quæ poft fanationem illis relinquuntur ;
avs vegnachè affatto non ſi vedeſſe Gir del pari la pena colpeccato, mal
capitandone non pur eſli,magl’innocentiloro figliuo li , e amici . Ma troppo
piacevol coſa è a ſentire ciò , che finalmente egli contro i medici de'ſuoi
tempi narra , i quali baldanzoſi , e tronfi liberamente ſcorrendo a lor talento
per tutto , e abborrando, e malmenando la medicina, co ( trignevano alla fine i
cattivelli infermi, che male a lor uopo nelle lormanicapitavano , a pagare a
ingordiſino prezzo i rimedj, e talora anche la morte ; facendo eglino ancora
forſe la lor mano negli ſtrabbocchevoli guadagni degli ſpeziali.. Ma, che direm
noi di Giulio Ceſare della Scala digniſ fimo medico de'ſuoitempi . Egli comechè
fieriſlimo ne mico foſſe del Cardano , e s'argomentaſſe a ſpada tratta
dirimbeccarlo quaſi in ogni parola; intanto , che ne pur la loro oſtinatiſſima
nimiſtà Ha diſciolto colei , ch'il tutto ſolve . Atque ut etiam nunc poſt
cineres , dice coll' uſata elegan za il noſtro Severino.ſtridēt in ævum ab
ipfis exaratæ chara te ; non però di meno , ove ſol ſi tratta della libertà
della filoſofia , e di non laſciarſi dictro gli antichi ciecamente traſcorrere
, allorcertamente poſto giù lo ſdegno , e’lli vidore ſon tutti di convegna a
ritrarſi di parteggiare , e far capo oſtinatamente alle ſette . Errata majorum
, diſſe generoſamente una volta Giulio Ceſare della Scala , diſi mulanda non
funt , ne eo ipfo pofteritati imponamus .E benſi valſe egli del ſuo avviſo ,
quádo cruccioſamente diile d'Ip pocrate al Cardano : Tueris , atque profiteris
nefandum illud Hippocratis deliramentum , à quo non abfunt Galeni
trepidationes, animam nihil aliud eſſe, quam cæleſte calidum: avvegnachè ſenza
ragione alcuna aveſſe egli rimprovera to una volta a Galieno una sìfitta
libertà , e ſtizzoſamé 1 te bia . Del Sig. Lionardo di Capoa. 109 te
biaſimatolo d'aver egli ſovente contraſtato il reverendo Ariſtotele;come ſe
graviſſimo fallo , c ſcelleratczza ciò ſi foſſe: Galenus avidiſſimus ,dice egli
, carpendi longe de meliorem ; in quella guiſa appunto , che quel nobile Ga
lieniſta Giulio Aleſſandrinovoleva , che ſolamente all'Ar genterio foſle
vietato il por mano all'opere degli Antichi per ammendarne gli errori ; della
qual coſa , non ſenza gran ragione per avventura forte fi biaſimail Solenandri
, così rimproverandogli: Verum fateris,antiquiores fcripto res erraſſe,
concedifque aliis omnibus , qui funt ingenio , em judicio aliquo prediti, ut
poffint ea reprehendere , quæ ma lè funtdieta , &meliora tradere : foli
Argenteriohanc li centiam adimis . Ma prima delCardano , e di Giulio Ceſare
della Scala, per ripigliare ilfil del noſtro ragionamento, grandiſſimali bertà
ufar ſi vide , e nelfiloſofare , e nello ſcrivere un'ala tro valent'huomo nelle
inatematiche , e nella filoſofia , e nella medicina aſlai bene fcorto , ed
cſercitato ; perchè meritonne d'eſſer'altamente pregiato , e onorato da quel
generoſo favoreggiatore , e intendente delle buone lette re Lione il Decimo ,
Sommo Pontefice . E fu coſtuiGio vanni da Bagnuolo, il qual non mica pago nelle
ſcuole d' averdato ſaggio del ſuomagnanimo, e nobile ſpirito , no curante
l'altrui autorità in non poche concluſioni: e aven do fuor dell'uſo comune
mandata avanti la Chimica: coſa a que’tempirariſima, maſlimamente in Italia :
volle in cc minciando un capo diquel libro, ch'egli fa dell'ecliſſe del la Luna
, più manifcftamente proteſarlo , portando ſenti menti veramente da filoſofo
ragguardevole , e di gran lie va . Quoniam noſtri antiqui progenitores , dice
egli ,fcien tiarum inventores , rationibus , experimentis, comperie runt
ſcientias ; veriphilofophantes ipfos imitando conari de berent no perfiftere
inventis,fed nova nature ſecreta venari. Maquel famofiffimo medico, e filoſofo
, e pocta de Verona Girolamo Fracaſtoro , avvegnachè da' ſervili fen timenti
delle ſcuole ingombro troppo commendaſſe il fuo maeſtro Galieno , e molto a
capitale il teneſſe ; non però dime 110 Ragionamento Secondo di meno , reſo
talvolta avveduto dalla verità, non ſi tiene, ove gli venga in concio,
d'aſpramente riinbeccarlo, e qua. to al fatto de’giorni critici rinfacciargli
ch'egli pur troppo ſcioccamente ponendo in non cale gl'inſegnamenti de’alo
ſofi, a'vani preſtigj degli ſtrolaghi ſia ricorſo . E oltre a ciò nelmedicare
,e nel filoſofare da'diviſamentidi lui ſi di lunga; come agevolmente ſi può
veder ne'ſuoi libri della fimpatia, e antipatia delle coſe, e della contagione
, eins altri luoghi ; ma ſopratutti nel ſuo divin poema della Sifi lide , per
cui huom certamente crede , lui all'altezza del gran Marone eſſer’aggiunto , e
che tutt'altri poeti felice mente G laſci addietro . Nel qual poemacontro
l'opinion del ſuo Galieno va egli cantando , l'aria ſola di tutte coſe eller
principio , così manifeſtamente raffermando: Aër quippe pater rerum eft,
&originisauctor. E prima egli così del naſcimento delle coſe avea diviſato
: Principio quæque in terris, quæque æthere in alto : Atque mari in magno
natura educit in auras , Cuncta quidem nec forte una , nec legibus iiſdem
Proveniunt, sed enim, quorumprimordia constant Epaucis,crebro ac paſſim pars
magna creantur : Rarius aſt alia apparent, non niſi certis Temporibufve ,
locifve , quibus violentior ortus, Et longefita principia: ac nonnulla prius,
quam Erumpant tenebris , &opaco carcere noctis , Milletrahuntannos
,fpatiofaque ſecula poſcunt Tanta vicoëuntgenitaliaſemina in unum . Quindi con
l'uſata ſua eloquenza della cagion de'mali di viſando, cosiegli canta Ergo
&morborum quoniam non omnibus una Nafcendi eft ratio , facilispars maxima
viſu eft, Et faciles ortus babet , &primordia praſto. Rarius emergunt alii
, poft tempore longo Difficiles cauſas , & inextricabile fatum , Et
feropotuere altas ſuperare tenebras. Ne men del Fracaſtoro al ſottiliſſimo
Andrea Cefalpi. ni piacque ſommamente levarſi ſuſo contro il ſuo maeſtro Galie
DelSig.Lionardo di Capod. ilt * Galieno, e iſeguaci di lui , prendendola
oſtinatamente a favor d'Ariſtotele , e de'Peripateticiin ciò , che da coloro
dipartonſ i Galieniſti ; ſenzachè egli è pur troppo mani feſto a ciaſcuno
eſſere ſtato primiero il Cefalpinia ſcoprir glorioſamente al mondo
l'aggiramento del ſangue:tutto , che parer poſla ciò, che moltoprima di lui
aveſſe fatto Pla tone con quelle parole: Μέγιστν δε όταν α'μαι καθαρά
συγκερασθείσα , το τών ινών γένος , εκ της εαυτών διαφορή τάξεως . αι
διεσπάρησαν εις αίμα , να συμμέ Πρως λειότητος ίχοι και πάχους , και μήτε δια
θερμότη ως υγρών εκ μανού του σώματG- εκρέσι , μήτ' αυ πυκνοτέρον δυσκίνητον
ον, μόλις axaspécouto iv Cais Preti,che ſuonano in noſtra lingua : E maf.
fimamente quando ( la bile )col puro ſanguemeſcolata,difor dina quella ſpezie
di fibre ,le quali ſono ſparſe per lo ſangue, acciò ſia in eſlo una mezzanitate
tra'l groſo, e'lſottile:per chè mediante ilcalore non iſcorra per lo corpo
,ficome ogni li quida cofa fcurre perun corporaro, neſia troppo groſo , e
difficile a ſcorrere , sì, che appena poipoteſſe andare , eritor nare per le
vene . Ma non poco certamente e' ſiparc, che Santorio Santori, famoſo, e
raggaardevol medico de'ſuoi tempi profittafleſi in liberamente ſcrivere , non
avendo ri guardo a ſetta niuna , per aver eglicol Sarpi , e col Gali Jei un
tempo ufato ; i cui ſentiméti vollc cgli in molti luo ghide'ſuoi ſcritti, come
ſuoi propj diviſamenti manifeſta re , e ſpezialmente in quel libro cotanto per
ciaſcun com mendato, della Staticamedicina , comcchè il più delle vol te male
egli apprendendo le commendevoli dottrine di que’valent'huomini, e alle ſue
volgari ſconciamente me ſcolandole , fe ne faceſſero le ſcherne gli accorti
lettori. Maciò da parte al preſente laſciando , non ſi può egli di leggier
narrare, quanto da lui carminati, e proverbiati du ramente foſſero i
parteggianti tutti medici , e filoſofi ; e quantunque volte gli vien fatto loro
l'accocca , rapportão do in ſuo pro varie, e molte autorità d'Ariſtotele, e di
Ga lieno ; di cui ſeguendo la traccia arditamente ofa afferma re,alquanti
Aforiſmi d'Ippocrate ritrovarſi talora dalla verità non poco lontani : e molti,
e molti errori ne'moder ni, e 112 Ragionamento Secondo - { ni , e negli antichi
ſcrittori dimedicinaegli ravviſa: e non pochi anche ne ritrova in Galieno. Così
eglibiaſimando, e maladicendo oltremodo la follia, ſicome e'dice , di pa recchj
ſcuole dell'Europa , dice , che in quelle ſcioccamé te maggior credenza preſtar
ſogliaſi all’orrevole autorità d'Ariſtotele, d'Ippocrate, o di Galieno , che a'
ſentimenti noſtri medefimi; e pur dice cgli Ariſtotele medeſimo, Galieno di
comun conſentimento più volte affermare, ef ſer anzi alla ſperienza , e a'
ſentimenti, che all'altrui auto rità da dar fede. E poichè in concio al ſuo
ragionamento più luoghi di Galieno egli rapporta , così alla per fine con chiude:
Quare quum Galenus,neque meus fueritaffinis, confanguineus , aut majorum meorum
avunculus , quod ſciã , neque in Sanctorum catalogo fit collocatus,
quiafflatusdi vinitate fuerit loquutus , non video cur omnes non poffint
honorificè , fi fenfibusudverſetur, eum relinquere. Neè da tralaſciare al
preſente di narrare ancora del fa moſiſſimo Andrea Mattioli , il qual comeche
parzialiſſimo del ſuo Galieno , purc in più luoghi, della verità reſo ay veduto
, dice manifeſtamente , eſſerſi colui in leggendo Dioſcoride aggirato ,e
ſovente non averne parola inteſo ; e una volta infra l'altre non puotè
ritenerſi di non iſtizzo ſamente gridare : videtur Galenus non folum plurimum à
Diofcoridis fententia ,ac hiſtoria aberraſſe , fedetiam à ra tione ipfa ,
acveritatelongè fane abeffe . E oltre a ciò dice eſſere ſtato Galieno di poco
ſenno ,ein molti luoghima nifeſtamente contradirli; ed eſſer egli ſtato nato a’
Poeti , c troppo di leggieri alle loro vanillime fa vole aver preſtato fede,
non altrimente , che ſe ſtate foſſe ro incontraſtabili verità da raffermar con
tutti i ſacramen ti del mondo . Ma il dottiſſimo Proſpero Alpini in tutti
que'ſuoi libri della metodica medicina , avvegnachè ancor egli di parte
Galieniſta pur altro certamente non fa, ſe non ſe difendere i metodicida’mordimenti
del ſuo Galieno , e d'altri R.2 zionali medici ; e ſpezialmente ove Galieno
così ſconcia mente carica di bialimi, e di maladicenze Attalo famoſif troppo
affezio fimo DelSig.Lionardo di Capoa 113 Timomedico metodico , dicendo , che
per opera di lui for fe ftato ucciſo Teagene filoſofo cinico . Ma quanto poco
capital faceſſe di Galieno, e d'altri razionali medici il nar rato Attalo , ſi
può agevolmente comprendere dall'acerba riſpoſta da lui data a Galieno ;la qual
coſtuipoſcia,come ſua sóma lode foſse , volle nell'opere ſue laſciare ſciocca
mente regiſtrate . E forſe fuella più ancor pugnereccia, e di piggior talento ,
che egli ne racconta . Eche direm noi del valoroſo Girolamo dall'Acquape dente
digniſſimomaeſtro del grand’Arveo ? Quante fiate ) egli, comechè Galieniſta,
pur da’ſentimentidiGalieno ra gionevolmente ſi diparte ? Quante ,e quante fiate
grave mente il proverbia , e riprende di ſciocchezza, ed'igno ranza ? Pure
infra cotanti biaſimi, e rimprocci , ch'Io per brevità tralaſcio , recheronne
al preſente uno , che val per cutti , lagnandoſi egli forte del tempo ,
ch'avendone tolte tutte le bell'opere degli antichi filoſofánti, ne abbia ſola
mente laſciate quelle d'Ariſtotele , e diGalieno , como ſchiuma de libri , e
viliſfimo fondaccio di tutte le buone dottrine ; eſſendo coloro in molte , e
molte coſe ſempre mai fallati ; e ſpezialmente taccia Galieno diquella folle
ſua opinione intorno alla formazion della viſta . E intanto è vero ciò , che
noi raccontiamo , eſſerſi i va lenti Galieniſti pur talvolta per vaghezza della
verità al lor maeſtro Galieno ribellati , che maraviglia è a narrar come
Aleſſandro Maſſaria,cotanto oſtinato, e leal parteg. giante di Galieno ,
pur’una fiata ponendolo in non cale, aveſſe oſato cavar ſangue nella diſſenteria
, comechè cer caſſe poi a ſua poſta didarne a vedere con fievoliſſime ra gioni,
eſſer ciò anche ſecondo il ſentimento del ſuo G2 lieno ; e'l celebre Settala
ancor' cglicotanto fedel ſegua ce del medeſimo , pure l'aveſſe fronteggiato , e
ripigliato , 12, ove egli ragiona delle cagioni del color glauco degli occhj ;
ed ove dice , che l'acque de'pozzi non fiano ,me appajano fredde l'eſtate più ,
che in altri tempi; percioc. che ſi toccano colle mani calde; e che l'inverno
al contra rio ne pajano calde , perocchè ſi toccano colle mani food P dc. . 114
Ragionamento Secondo 1 1 1 de. Ma quel , ch'è più da conſiderare ſi è ,ch'egli
in un'in ? tero libro riprova l'antico , e praticato uſo di medicar le ferite ,
appigliandoſi ad un nuovo modo da Ippocrate, e da Galieno non mai conoſciuto ,
non che adoperato . Ma troppa gran briga fermamente lo mi prenderei , ſe recar
qui ora voleſsi ciò, che ad uno ad uno tutti gli ec cellenti, e famofi
ſcrittori Italiani lungamente ne diviſino . Chiudaſi adunque sì nobil corona
colle parole del ſotti liffimo Pier Caſtelli, il quale una fiata infra l'altre
contro cotali pecoroni da greggia maggiormente ſdegnato , così proruppe : An
omnia novit folus Galenus ? an nihilreliquit pofteris inveſtigandum ? Quo
merito infudit illi uni Deus (quod alteri nulli) totam , perfectam ,
&integram medici nafcientiam ,nihil nobis reliquens ? e dopò molte
graviſſime parole , che egli apporta a queſto propoſito , così alla fine
conclude : Patet boc , quia poft Galenum tanta medicinefa Eta eſt additio , ut
triplo auctam dicere poflimus. E si nobil costume di liberamente filoſofare in
medi cina,ben da molte , e molte fcritture publicate in iftampa , apertamente
ſi ſcorge, ch’abbian ſeguito a gara l'Accade mie , ond'è sì abbondevole ,
ctanto fi pregia tutto il bel paeſe, Ch’Appennin parte , e'l mar circonda, e
l'Alpe. Ma io tralaſciando a bello fludio tutt'altre parti , ragio nerò
ſolamente della nobili : lima noftra Città , delle Sirene , e delle Muſe
amenillima ſtanza , che non pur nella gloria delle lettere , ma in ogni altra a
niuna delle più celebri , cd illuſtridell'Vniverſo riman certamente feconda . E
laſciā do di favellar del Belli , del Bozzayotra , del Tucca , e d' altri , e
d'altri lettori diminor grido oſtinatiſſimi ſeguaci, e parziali d'Avicenna :
come potrò mai lo pienamente nar rare co quanta maraviglia udiſfer già legger
le noſtre ſcuo le il teſte da noi mentovato Argenterio ; al cui ſottile in
gegno , ed avveduto giudicio ,non miga, come altri per av vétura coftumano
,baltādo il copiare , e l'appropiarſi l'al trui viete dottrine ; ma volendo
egli diſaminare , e far pro va delle coſe della medicina ne’libri già ſcritte,
il diſcreto, e av Del Sig. Lionardo di Capoa 115 e avveduto , e giuſto
Giudiceſtudiavaſi d’aſſomigliare ; il qual non a tutti pienamente dà
fede,maaltri approva, al tri traſanda , altri manifeſtamente rifiuta, ficome
appunto ragion chiede; ficome avviſa quel ſuo difenditore . Su mus omnes in
arte noſtra tanquam in fenatu conſtituti, in quo non ut pedariiftatim pedibus
in aliorum fententiam ire debe mus , fed ut prudentes Senatores viderequid
conveniat ; at que ita ingenue proferrede rebus , quod rationi confonum ar
bitramur. E ben per ciaſcuno il finiſſimo , ed eccellente giudicio
dell'Argenterio intorno al noſtro propoſito potrà agevolmente da queſte parole
di lui ravviſarſi . Non tam Servili, dice eglifimus , animo , ut omnia
veterumplacita , oraculorum inftar indiſcriminatim veneremur , vel tam ab jecto
, ut pofteris omnem , meliora excogitandi occafionem prareptam , ac præciſam
effe arbitremur ; quafi vero non idő nuncſit , quod olim Cælum, eadem terra ,
idēgenerandimo dus : eadem denique, & facilior etiam , quam aliis fueritdin
cendi , inveniendique ratio . Ma certamente non men dell’Argenterio ſdegnarono
con filoſofica libertà altri Na poletani lettori aſſai, di lcgarſı-a'
ſentimenti d'Ippocrate , o di Galieno: avvegnachè per ceſſar forſe l'invidia
della ribaldaglia del volgo , con parole alcuni di eſſi il diſfimu laſſero ,
facendo ſempremai veduta di abbracciar , e di ri tener tenacemente tutto ciò ,
che inſegnato viene per Ip pocrate , c per Galieno . Infra'quali Filippo
Ingrafiagavi do oltremodo , e curioſo di conoſcer la vera fabbrica del corpo
umano, ebbe ventura d'abbatterſi il primonelle veſi chette ſeminali,non più per
addietro da alcun degli antichi medici ravviſate ; ed infra l'altre coſe ebbe
ardimento, nc d'Ippocrate , ne di Galieno punto curando , di purgare cziandio
nelvigor delle malattie . Così anche gencrofa mente ſi ſottrailero alle ſchiere
de parteggianti Bernardi no Longo , Paolo Monaco , e Giovanni Antonio Piſani :
un diſcepolo de'quali ( 1) in una apologia in difeſa diſe , e de'ſuoi maeſtri
compoſta,volle, che per ciaſcun ſi leggeſſe: femper licuit omnibus literarum
profefforibus non folum con P 2 ( 1 ) Ferdinando Caſſani, t tra 116
Ragionamento Seconda tra recentiores medicos , & Philofophos ,ſed etiam
contra Gao lenum ipfum , &Platonem , alioſque illuſtresfcriptores dice re ,
fi quando ratio dictaverit . Seguiron poi con la mede fima libertà ſempre Girolamo
Polverini, Quinzio Buon giovanni , e Latino Tancredi,huomo, come dice Sertorio
Quattromani, di molte lettere , e di molto giudicio , e gran difenſore della
dottrina del Telefio . S'allontanò altresìda gli antichi talora ſalvo Sclani ,
e Mario Zuccari, il qual co sì forte , e vigoroſamente riprende Galieno nel
giudicio che colui diè intorno alla malattia d'Erofonte : ed altrove sì
ardicamente , che nulla più , e come ſuol dirſi, a ſpada tratta prende a
difender il coſtume de’Napoletani , intor no al cibar gl'infermi, contro i più
valoroſi Campioni, ch' aveſſer mai le dottrine d'Ippocrate, e di Galieno
ritenute. Ed a' di noſtri abbiamo pur veduto Giovan Battiſta Ma fulli , Antonio
Santorelli , e Girolamo Fortunato , il qual tutto ciò , che nell'opere d'Ippocrate
, e di Galien fi riſer ba , sì fattamente per le maniavci , che non v'era forſe
parola , di cui improviſo domandarone non gli veniſſe to ito a memoria ; e
nondimeno tanto , e sì fovente ove gli pareva , cheragione il richiedeſſe ,
coſtumava egli a rim beccar l'antiche , e comuni opinioni , che per tanto a' Ga
lieniſti tutti n'era in uggia , e crepacuiore: e ſofina , e cavil Joſo ſempre
chiamavanlo . Ma ben comprendelí l'animo fuo libero , dal libro , ch'e' compoſe
de’principi delle coſc naturali , ed in quello ancora de ſenſi ,il quale egli
ſotto nomc d'un ſuo ſcolare mandò fuora . E dietro alle ſue ver ftigie poi non
guari lontano andar mirammo Onofrio del Riccio , huomo veramente per vivezza
d'ingegno , e per dabbenagginc d'animo , tenuto fommamente caro dalla Città
tutta . Ma perchè addietro laſcio ora Io Paolo Emilio Ferrilli della nuova , e
della vecchia medicina parimente inteſo , e di ciaſcuna di effe egualmente
libero profefforc ?il qual da' fuoi lunghi viaggi , e pellegrinazioni tante, e
sì fatte forti di nobili, e cari medicamenti alla patria riportò , che ben
volentieri a pro di ciaſcuno le botteghe tutte degli ſpeziali 1 1 * cor Del
Sig. Lionardo di Capoa. 117 corteſeméte arricchiune. E dove lo trapaſſo ſotto
ſilenzio ingratamente aſcoſo il piùſovrano pregio , che aveſſer mai le noſtre
ſcuole , il dottiſſimo Marco Aurelio Severino , il qual non ſolo , ſe miglior
Chimico , o medico, e ſe più va lorofo in fiſica , o in cirugia, e ' li foſſe .
Egli animoſamen te ſeguédo l'orme del famoſo Giulio Azzolini ſuo maeſtro : anzi
oltre affai più gittandoſi , in favellando , ed in iſcrivé docon filoſofica
libertà ripigliò Galieno , e gli altri anti chi , e nelle noſtre ſcuole tante
fiare , e tante fè conmae ftra mano chiaramente vedere paleſi, e manifcfti agli
oc chj di tutti i ſolennillimi falli, che iGreci , egli Arabi , ei Latini lor
ſeguaci nel notomizare i corpi aveano in prima commeſli. A bello ſtudio poi non
fò lo aleuna menzione quì di Baſtian Bartoli , non avendo huom , che non ſappia
, che tra'vantaggi fuoi maggiori ei ripoſe il goder mai ſem pre , e valerſi
d'una sóma libertà nel filofofare , colla quale egli conſumò l'impreſa d'un
novello filtema di medicina. Ma che tanto infra i lettori Napoletani andarmipiù
rav . volgendo , ſe tutti i maeſtri delle noſtre ſcuole da Diego Raguſi in
fuora , che ſaldi , & interi i ſensimenti d'Ippo crate mai ſempre ſeguir
volte, il qual pure, così in queſto, come in altro non ſi vide ſecondar nella
ſteſſa maniera poi Popinion di Galieno , in ciaſcun tempo conformaronſi se pre
con l'uſo del noſtro comun medicare il quale quanto dalla dottrina se da'
ſentimenti d'Ippocrate , cdiGalieno s'allontani , avvegnachè il contrario
comunemente fi giu dichi , agevolmente può da ciaſcun ravviſarſi . Ed Io ,per
chè di più non mipermette il tempo , daronne al preſente qualche breviſſimo
ſaggio . E percominciar con qualche ordinato diviſamento , manifeſta coſa è ,
che gli argome ti maggiori , de'quali fornir ſi vuole la medicina , s'ella mai
di giugner intende al ſuo laudevot fine d'approdare il genere umano, per comun
ſentimento di tutti più ſaggiIp pocratici , e Galieniſti ,a tre capi quali
tutti, principalmen te fi riſtringano , nella Dieta , nella Cirugia, e in
quel,ch' appreffo iGreci chiamaf; Φαρμακευσης . Intorno alla Dieta quanto da'
due Greci Mae ſtri 118 Ragionamento Secondo 1 ſtri i Napoletani medici fian
diſcordanti , dicalo ir mia vece quel famoſo Galieniſta Melaneſe Lodovico Set
tala , (1 ) fuerunt , dice egli,quiprimis tribusfaltem diebus, aut inedia , aut
tenuiffimo vietu laborantes exficcabant , pro grelu autem temporis cibos tum in
forma, tum in quantita te adaugebant ,quos Galenus in lib. method. med.
pluribus in locis exagitabat. Hanc cibandi rationem fervare intelli go Hiſpanos
medicos, Neapolitanos. Narra egli minuta mente il modo daʼnoſtri Napoletani
tenuto nel cibare gľ infermi; indi poichiaramente dimoſtra eſſer ciò affatto
con trario agli inſegnamenti d'Ippocrate, e di Galieno ; la qual coſa aſſai già
prima del Settala avea un de'famoſi maeſtri del paſſato ſecolo , Paolo Tucca
avviſato ,così nel la ſua pratica del medicar Napoletano dicendo,fciendum ,
quod longediftat modus dietandi Hippocratis, Galeni, & Avicenna , ab eo
quem obſervamusdiebusnoftris. Illi enim principes voluerunt in febrium
principio craſſiusfore reficien dum : in ftatu vero , aut nihil offerendum ,
aut tenuiſine dietandum . Nos vero quaſi oppoſitum obfervantes in ftatu
reſumptive , in principio autem alternative cibamus. Ma da Paolo Tucca in poi
non può di leggier crederſi quanto vie più da Ippocrate , e Galicno in cibar
gl'infermi ſianli i noftri medici dilungati, e ciò fu cagione di quella famo
fiffima difeſa , che ancora va per le mani de’letterati , fatta a pro di
Giacomo Bonaventura medico di Cleméte VIII. contro Mario Zuccaro, già in queſto
noſtro ſtudio lettore per Maſſenzo Piccini da Lecce. Ma non che nella quantità
, e nel tempo co'due Greci maeſtri i Napoletanimedicimanifeftamente conſentano
, anzi nel modo ancora , e nella qualità de'cibi ſopratutto da color fi partono
, di tutt'altrevivande nutrendo gli in fermi , che diquelle , che da’lor
venerandi maeſtri ne fuz rono in prima ne’loro libri diviſate.E dove di grazia
ſono ora l'acque melate , e l'orzate, e altri ſomiglianti beverag gj, cotanto
da'Greci commendati, certamente in lor luogo i brodi di polli , e le peſte
carnidelle galline nella noſtra Cit 1 (1) In comment.in problemat. Ariftot. Del
Sig.Lionardodi Capoa. 119 ye Città ſi coſtumano.L'orzata , dice una volta
Ippocrate ( 1) di ragion mi pare, ch’alle vivāde di fermēto ſia da antiporre, e
lodo coloro , i quali l'antipongono. Iltocáva refü šv douée oefãs ποκεκείσθαι
των σιτηρών γευμάτων εν τετέοισι τοϊσι νοσήμασι και εποι vÉo To's asforgivavtas
. Ed altra volta dice , eſſer l'orzata oltremodo valevole ad umettare , e
perciò a' febbricitanti recar grandiſſimo giovamento;a’quali ſecondo i fentimen
ti di lui medeſimo, l'umettativo cibo è sépremai convene vole ed allo incótro
le carni tutte nocevoli.E l'altro Greco maeſtro Galieno ( 2) oltremodo
berteggia, c proverbia Pe trona,aſpraméte rimproverādogli, che agliammalati
ſuoi có lor no poco nociimento concedeſſe le carni. Perchè ma nifeſtamente ſi
comprende, i Napoletani medici irrorno al nutricar gl'infermi , anzigli
ammaeſtramenti di Petronas , che que' d'Ippocrate (3) o di Galieno (4) feguire
. Così è da dir, che le brodadelle galline non ſian da dare agl'in fermi di
febbre, conciosſiecoſachè quelle al parer d'Ippocrate , e di Galienio abbian
certamento vigor di ritenere, e di ſtrignere , dove l'orzata, ſecondo i
ſentimenti di coloro, è mollificativa , e mezzanamente umoroſa ,ne punto riſtri
gnente , perchèqueſta , c non quelle a ' febbricitanti ra gionevolmente dar ſi
vuole . Ma che direi noi del vino , che da’Napoletanimedici , non altrimente ,
che ſe toſſico foffe ,a ' febbricitanti ſi victa ? e di Galieno fir pur dato ad
un'ammalato di febbre acuta , e come egli ne narra, di cal do , e ſecco
temperamento ; anziegli manifeſtamentene conſiglia , e ne conforta , che
inzuppandovi il pane ſi dia , mangiare a'febbricitanti , anche talvolta nel
comincia mento delribrezzo . Ne è già mio intendimento al preſente di dar
giudicio fopra si futre quiſtioni, o ſopra tutt'altre , ch'io qui rap porti ;
ma ben ſolamente dico, ſembrarmi agevol molen , e piano il coſtumedel cibar
Napoletano ; e che null'altro , che dappoc.iggine, e vaghezza di riſparmiar
fatica l'abbia in pri (1) lppocr . nel lib.i.della dieta (2) nel com . 1. fop.
il 2.11b.della diesa ne'male Atw8. (3 ) nel s . della dieta. (4) nel 1.lib .
della facoltà de'med.Jemplo I20 Ragionamento Secondo in prima a'neghittoti
Cittadiniportato , traſandandoſi co sì pian piano, ed abbandonandoſi quel
d'Ippocrate , e di Galieno, che malagevole affai, ed intralciato a’beſci uc
celloni medici delbarbaro ſecolo ſembrava. Iinpercioc chè , licome il primo de'Greci
maeſtri dice , ( 1 ) e l'altro il conferma ( 2 ) eragione il richiede , dee il
ſaggio ,ed avve duto medico in prima ben avviſare quanto egli per durare il mal
Gia ,ed in ciò gli argomēti tutti del ſuo ſottiliſſimo in tendimento adoperare.
Il che quanto ſia malagevole a certamente comprendere , ſenza reſtarne talvolta
da' ſuoi avviſi ingannato , ciaſcun da per se baſtantemente , ſenza ch'io
divantaggio gliele inſegni potrà ravviſare . E ciò ri chieſero ne'medicique’due
maeſtri, acciocchè nelle brevi malattie debba ſempre con iſtrettiſſimo cibo
nutricarſi l'a malato , e nelle men brevi non così coſto da prima gli fi menomi
a ſpiluzzico , onde poi nel maggior avanzo del male ne venga debole , e ſpoſato
, e ſenza poterſi con ar gomenti ajutare; ma pian piano riſtrignendogliele,
poffin poi il medico nel colmo della malattia maggiormen te ſcarſeggiando ,
poco , o nulla concedergliene . Intorno poi alla Cirugia cgli è duro molto a
credere , quanto da ſentimenti d'Ippocrite , e di Galieno , il medicar di Na poli
ſia lontano. E laſciando da parte ſtare come quì ſu bitamente, e ſenza
conſiderazion niuna in ciaſcuna febbre fi coſtumi cavar ſangue,contro il
proponimento d'Ippocra te , anzidi tutt'altri medici del ſuo tempo , o più
antichi , i quali , ficome narra il Cardano:in febribusnon folebant mit tere
fanguinem ,etiam ardentifimis; ora cavaſi a giorna te il ſanguenella noſtra
Città, non ſolamente a’vecchi, e deboli , ma eziandio a'bambini di latte , e
talora anche a' ſoſpettidileggeriſſimi mali; quando tutto il contrario di ce
Ippocrate : Τα δ' οξέα πάθεα , φλεβοτομήσεις, ήν εαυρον φαί γηται το νούσημα,
και οι έχοντες ακμάζωπ τη ηλικία, και ρωμη πανή aúrtorw . Ma negli acuti malori
cavarſangue fi dee ove fire grande il male , e l'infermo giovane fia ,e ben
gagliardı, e vi goroſo. Il che richiede anco in molti , e molti luoghi Ga ( 1 )
ippocrate nit lib . 1.degli Aforij.nell' A or.7.8.9.10 . ( 2 ) Gal.nel Com . *
lieno DelSig.Lionardo di Capoa. IZI lieno ( 1) in un fra glialtri dicendo : si
péya zo voonud reordea κoίημεν ειναι και η παρον ήδη θεoρoίημεν , ή αρχόμενον
επισκεψάμενοι την ρώμην της δυνάμεως έξελούντος του λόγε μόνατα παιδια ..
Dunque ſe noi temiamo non avvegna qualche gran malattia, oſe pre Jente quella
già ,o pure in ſu'l cominciar fia ,avědo ben prima le
forzedell'infermoconſiderate,aprirem poſcia la vena :So lamente da queſto
divifamento i fanciulli riſerbădone. E po ſcia egli medeſimo l'età preſcrive.,
ove da prima i fanciul li ſegnare fi poſſano , dicendo (2 ) , che non ſi debba
no aprir le vene a' fanciulli , intin , che giungano all anno quattordiceſimo .
E altrove ( 3 ) anche dice , che ſe le forze di colui , che ammalerà di febbre
per putrefa zion d'umore,nel lor vigor dureranno , toito come coinin cierà ella
a farſi vedere gli ſi converrà cavar ſangue : ſolo , che non abbia crudità
nello ſtomaco , e l'età 'l conſentiſca, e le forze ſien robuſte ; perciocchè
altrimenti aon gli fi dee in modo alcuno aprir la vena. E quindi poco appreſſo
ma nifeſtamente ſoggiugno : che ſe l'infermo farà bambino , o non giunto ancora
all'anno quattordiceſimo,non gli fica coſa delmondo ſangue. Ne ſon da
tralaſciare quel l'altre parole del medeſimo Galieno ; le quali molto al no
ſtro propoſito ſi confanno:ove ſpiegando tutto ciò , ch’al falaffo richiedefi
cosi dice : ( 4 ) δεύτερG- σκοπός της φλεβότα μίας εςιν , ει ακμάζει καλά την
ηλικίαν οκάμνων» ούτε γαρ παίς , ούτε γέ έων , φέρει την φλεβοτομίαν , ουδ ' αν
μέγα νόσημα νοσώσιν. La fecd da cofaze che ſi richiedenel dover trar ſangue
fiè,cheguardar fi deeſelámalato ſia giovane perciocchène i făciutli,ne i vec
chiSoſtēgono ilfalaſſo,avvegnachèpur gravefase di riſchio la malattia , che
loro dea noja : E tralaſciando di rapportare al triluoghi , ove ſempre il
medeſimo, e'grida , e ripete, di rem ſolamente de'tempi , ch'egli giudica al
ſalaiſo oppor tuni: mentre che in Napoli , ſenza alcun riguardo alle troppo
freddo, o troppo calde ſtagioni avere , cavaſi co munemente in ogni tempo
ſangue da Galieniſti, a' troppo .crcduli , e mal conſigliati infermi; i quali
iinınaginano,an Q zi fer ( 1 ) Gal.della maniera del curare col falafo. ( 2 )
aelmed.luogo ( 3 ) nel mes. ( 4) nel.com.ſop.illib d'ippocr.della Dieta. vi per
. 122 RagionamentoSecondo zi fermamente credono venir medicati ſecondo le
regole di Galieno , e d'Ippocrate. E pure i noſtri medici nulla ba dano
a’rigoroſi divieti di coloro , e maſſimamente di Gaa lieno (1) il qual vuole ,
che oltremodo ſi debba dal medi. co aver riguardo al temperamento dell'aria
,ch'ella non ſia eſtremaméte calda , e ſecca, ſicome è infra'l tépo del naſci
méto del cance dell'Arturo ;e ravviſa egli , che tutti colo rosa'quali i medici
nulla alle ſtagioni badado, traſfer fuora del ſangue , irreparabilmente
morirono . Così vuol Ga lieno ancora che nelrigor del verno,ſia molto da temere
il falaſſo, e dice effer manifeſta coſa , che da ciò molti, e gra vi pericoli
ſeguir ne poffano . E perciocchè egli ſtima va eſſer ciò coſa di grandiſſima
conſiderazione , dopo tan to , e tanto manifeſtarlaci , di nuovo con queſte
parole la ci perfuade:( 2 ) πτoσθήσω δε ένεκα του μηδεν λείπειν , τον από του
περιέχον ημάς αέρG- σκοπών , όταν η θερμος ικανώς και ξηρος , ως διαφορεΐσθαι
ταχέως υπο του που το σώμα τηνικαύζ γαρ αφισάμεθα της φλεβοτομίας 4 και μέγα το
νόσημα , και ακμάζων ο άνθρωπG- άη - Ma acciochè nulla vi manchi , aggiugnerò
quell'altra coſa , alla quale è di meſtieri averminutoriguardo,cioèa dire l'a
ria , che ne circonda : e guardare s’ella fia sformatamente calda, e fecca ,
intanto , che molto ne venga a ſvaporare , ed sfalare il corpo ; imperciocchè allora
di ſegnar ci rimarremo: comechè graviſſima ſia la malattia , e l'huom per tofa
, e robuſto . Ma no meno i Napoletani medici nel trar fangue avvifan punto ſe
la compleſſion del corpo ſia fie vole , o vizzi , graffa , o ſcialba, nelle
qualiſecondo il lor Galieno , avvegnachè grave infermità il richicgga,o nien te
certamente , o molto poco fangue è da trarre ; ma nien te in verità poi ne
ſecchereccidella ſtate . Ma egli è omailuogo da tralaſciar per iſtrettezza di
té po altre condizioniper Ippocrate, e per Galieno , al ſalaſ ſo richieſte ,
alle quali o poco , o nulla mai i Napoletani medici riguardar
fogliono.Finalmente trapaſſando al ter zo ftruméto della medicina chiamato da
Greci Maguáxeu ois dimoſtrerem brevemente, come ne precedenti abbiam ( 1 ) nel 1.lib.dell'arte
curat. A Glaucone. ( 2 ) nel com. 4. fop. il lib. della Dieta. altro vigo mani
DelSig.Lionardo di Capoa. 123 manifeſtato, quanto i Napoletani medici in
adoperarlo ſom gliano da Ippocrate , cda Galieno allontanarſi . Eglino in
priina molti , e molti medicamenti coſtumano , che da Ippocrate , e da Galieno
ne inen per nome conoſciuti già mai furono ; ficome ſenza dubbio veruno son la
Callia , i Tamarindi, il Riobarbaro , la Siena , la Scialappa,ilMec ciocano la
Gottagomma , la China , la Salſa,ed altri aſſai , che per eſſer ben conoſciuti,
e per non recarvi noja al pre fence tralaſcio . Le compoſizioni poi
deʼmedicamenti nelle noſtre bot teghe introdotte, ſono il più ,o dagli Arabi
tratte , o da gli Ermetici filoſofanti; ina quel, ch'è di maggior conſdera
zione nell'uſo de medicamenti puganti ſi è , che i noſtri medici
Napoletani,laſciati da parte , ed abbandonati af fatto i due Greci maeſtri,van
per diverſe tracce cammina do , ſenza ritegno, o ſcrupolo niuno di purgar
audaciſfima mente in ognitempo , in ogni diſpoſizione di ſtagione , in ogni età
dell'infermo, e in ogni ſtato di malattia:e purga do eziandio i corpi ſani, con
far credere alla ſemplice , e credula gente , che cosìvoglia Ippocrate , e che
così co mandi Galieno ; imperocchè ingeneranſi continuamen re in noi vizioſi
eſcrementi, da dover con gli argomenti delle purgagion continuo anche vuotare .
La qual nuova coſtuma, quanto da Ippocrate , quanto da Galieno ſia ri provata
ben ſi comprende da ciò , che Ippocrate una vol ta dice: φυλάσσεσθαι δε χρή
μάλιστα τας μεσολας των ωρέων τας μεγίτας και μήτε φάμακον διδόναι
εκόντος.Βifogna minutamire ri guardare alle grandi mutazioni de'tēpijacciocchè
in quello no s'appreftino di leggieremedicamenti agl'infermi. E'l medeſi
moIppocrate nó guari appreſſo , cosi parimétedice : jiti κινδυνόλαι ηλίκ τζοπαί
αμφότεροι, και μάλλον θεριναί • και ισημερινα νομιζόμεναι είναι αμφόπραικαι
μάλλον δε αι μετοπωριναί • δά δε και των άτρων στις επιταλας φυλάσσεσθαι , και
μάλιστα τα κυνός· έπειά αρκλέρη, και επί πληϊάδων δύσει • τε γαρ νοστύμα
μάλιστα εν ταύτησα τησαν ημίρηση κρίνεται και τα μου απο φθίνει , τα δε λήγα ,
τα δε άλα πάνω jebésalom és ÉTELOV GÒ Qu, weg,étépnu xatásamov • Pericolofifuno
amē, Q.2 due i ' 124 Ragionamento Secondo 1 1 due iSolſtizi ; eſpezialmente
quel della ſtate; pericoloſo ale tresì l'uno, e l'altro equinozio ; ma quel
maggiormente dell' Autunno . E biſogna ancora aver riguardo al naſcimento delle
ſtelle,mafimamentedella Canicola ; quindi altramon . sar dell'Artaro, e delle
Pleiadi; imperciocchè le malattie in queſtigiorni più, che in altriſi
giudicano: altre morte recan do , ed altreſvanendo, o d'uno in altroftato
facendo paſſag gio . E Galieno in altro luogovuole , che anche a ' tempi troppo
caldi , o troppo freddipormente ſi debb.2 ; che lè'l temperamento della
ſtagione, o del luogo ſarà qual'eſſer dee’del tutto ce ne terremo; ma ſe talnon
è , purgheremo sì bene , ma molto meno di quel che faremmo, qualora ne l'un ,
ne l'altro il ci vietaffe . E del tempo della ſtate egli dice (1) confermando
il detto d'Ippocrate , che ne'gior ni caniculari, cd avanti di quelli,
malagevole , e danno ſo ſie l'uſo de'medicamenti purganti . E parimente in un'
altro luogo ( 2 ) egli dice , che coloro , i quali, o per crudi tà, o per altra
qualunque cagione accolgono abbondanzas di non cotto umore , oche più
dell'uſato averanno gonfio, il ventre , e'l corpo tutto ingroſſato , non
ſofferiſcono pur gagioni. Egli vuole altresì Galieno , che que'febbricicá ti, i
quali abbondano d'umori crudi , che moleſtan loro lo ſtomaco , non ſi debban ne
ſegnare ne purgare : A niun di coſtoro , ſono le ſue propie parole , e' fi
fuole trar ſangue giammai , chenon gliene provengagraviſſimo danno,e come chè a
lor faccia meſtieri la vacuazione, nonpoſſono nientedi meno eglino tollerare, ne
le purgagioni, ne i Sala, fe fenza queſto ſincopizzanti pur fono : (3) éx'
Sevd's twv Toroutwv cipecto της αφαίρεσης άνευ μεγίσης έωθε γίγνεσθε βλάβης·
και τσι δέονται γε κενώσεως • αλ ' έτη φλεβοτομίαν , έτε κάθαρσιν φίρεσιν εύγε
, και καρλς Tobrwv étaipuns ougróMorlar. Ed un'altra fiata egli medefimo dice,
la ſoſtanza de' fanciulli infra l'altre tutte agevoliſſi mainente digerirſi , e
diſliparſi; eſſendo ella ſopra tutte maggiorméte abbõdevole d'umore,comechè
meno fredda ella fia : ma però men di purgagione aver biſogno, perchè da ſe
medeſima ella vuotar li ſuole . Ed altrove ancora ma 1 (1) nel 14.lib . del metod.
(2 )nelmetod,allib.9 .(3) nel met, al lib.12. 1 nife Del Sig.Lionardodi Capod.
125 nifeſtamente inſegna,che'l vuotare i ſoperchj umori, che nel corpo continuo
ne s'ingenerano , non è di giovamento alcuno alla gente ; anzi le alcuno per
temna, che l'abbon danza degli cſcrementinon gli noccia , voleſſeſi avvezza. re
a purgarſi una , o due volte il meſe , oltre al manifeſto nocimento , che gliene
fiegue, prenderanne il corpo una dannevole , e peſſima uſanza . Ma ſopratutto ,
quanto al purgar gli umori nelle malattie , i quali abbian dicocimi to biſogno
, da’ſentimenti d'Ippocrate , e di Galieno ina nifeſtamente ſi partono i noſtri
medici ; quantunque a tut ta lor poſſa con belle parole di dare a divedere
altrui il contrario ſempre s'argomentino . Ne lo prenderom mi troppa briga di
dimoſtrar ciò con lunghe , e ben’ordi nate ragioni;ma baſtcrammi ſolamente le
parole d'Ippo crate , edi Galicno rapportare , acciocchè da quelle per ciaſcun
comprender baſtevolmente ſi poffa , quanto nella crudità degli umori, onde
cagionaſı il male,da coſtoro sé pre i medicamenti purgativi vietar fi fogliano,
ſalvo,che radiſſime volte , e nel principio di quellemalattie , che có
enfiamento cominciano . Ilmaeſtro di Galieno , e de' Ga lienifti, per quel
ch'eglino tutto dì dicano,fipare , che ne ſuoi Aforiſmi , ne’qualibrievemente ,
quanto mai di buo no, o ſcritto, o oſſervato negli anni tutti della ſua vita
egli mai aveſſe riſtringa , una cotal co ? a con una general pro
poſizionenediffiniſce ; colla quale quanto altrove ne dice tutto conformaſi ,
anzi quindicome conſeguenza ſi cava ; la qual coſa è sì chiara , e manifefta ,
che di vantaggio più manifeſtar non ſi può; perchè a confeſſarla per verail me
deſimo Vittorio Trincavelli,non che altri funne coſtretto , oftinatiſſimo
diféditore della cótraria fentéza.Egli aduque ( 1) così dice ; ab hoc aphoriſmo
cæteri omnes , qui huc fpe ctant , tanquam corollaria deducti ſunt : ed oltre a
ciò ſog giugne : ita ut nullam aliam exceptionem admittat, niß eam quam ipfe
expreffit : quum morbusturget. Ed è l'Afo riſmo, il qual da Galieno,oracolo fù
chiamato una volta, cosi ( 2) Le materie cotte purgare , e muover fi debbono;
mas, non ( 1 ) del confer.la fan.nellib. 4. (2) nell'afor. 22. dellib . 1. -
126 Ragionamento Secondo 1 . non già le crude ; nemica nel cominciamento; ſe
nonſe allor , che turgidefono,malepiù volte turgide non ſono : Témava Pago
μακεύειν, και κινέαν , μη ωμα, μηδε εν αρκήσιν , ήν μη οργά • τα δε πλά sve oux
ogy : Intorno alla qual voce opgør mi par doverſi cô . fiderare , che in queſto
luogo appreiſo Ippocrate altro non dinoti , che diſiderar ferventisſimamente ,
e con impazien za ; ed avvegnachè non men dell'animate, che delle inani mate
coſe dir ſi ſoglia , tuttavia più acconciamente agli animali ella conviene ,
ſecondo il ſentimento di Galieno,il qual forſe da Ariſtorile ( 1 ) appreſo
l'avea . E diceſi di quegli animali ,che tratti da iinpetuoſa foga di libidine
ſtā no in ſucchio , e come diſſe Virgilio In furias , ignemque ruunt: quindi
preſeli la metafora degli umori nel corpo uma no , i quali avidi di fcappar
fuora,ſtrabocchevolmente , e con impeto , diparte in parte ſi muovono , non
laſciando aver punto di ſoſta al povero ammalato . Ma noi , avve. gnachè
diſcorrimento , o foga più ſaggiamente da dir ſia , o enfiamento , o pure con
nuova voce alla noſtra lingua Turgenza , o Turgidezza: dal gonfiare , o ſia
enfiare,e dal turgere diciamo ad imitazione dique'valent’huomini, che nel
latino linguaggio‘l'opere d'Ippocrate , e di Galieno traportando,preſero la
voce turgere : onde poi novellame re ne diramaron quell'altra Turgentia , ad
orecchio latino de'buonitempinon mai più per quel,che mi paja per l'ad dietro
udita : gonfie , e turgide parimente chiamiamo, quelle materic , che a si fatto
movimento ſoggiacciono ;ed in verità gli umori , che’n tal guiſa ſi muovono, ſi
formen tano , ſi rarefanno, egonfiano. Ma alla coſa ritornádo: queſto Aforiſmo
appunto cófer mafi per quell'altro ( 2 ) Nel cominciamento delle acute ma
lattie di rado lepurgative medicine da uſar ſono : e ciò con diſcreta
avvedutezza ſide'fare : iv Toirov ožico maderav énezaéxus εν αρκήσι τησι
φαρμακείοσι χρέεσθαι , και τούτο πξοεξευκρινήσαν τις sterkev. Per la qualcoſa
avendo egli in priina avviſato , che folamente quegli ammalati da purgar fieno
, ne' quali liu mate ( 1 ) nel lib.o dell'iſtoria degli animali : ( 2 ) nel
1.degl' Aforiſmi. ( Del Sig . Lionardodi Capoa. 127 materia , onde il mal
s'ingenera , ben cotta , e digerita ſia , fe pur quella non turge , è che rade
volte ciò avviene; e ritrovandoli nel cominciamento di tutte le malattie mai
ſempre cruda,e non digerita la materia: fiegue di neceſſità, che rade volte in
ſu'l cominciar delle malattie, fieno gl’in fermi da purgare. Ed è pur piacciuto
ad Ippocrate , ſcar ſo altrove di parole , enegli aforiſmi ſenza fallo
ſcarſiſsi mo , e riſtretto , oltre ad ogni ſuo coſtume quivi la mede fima coſa
avvedutamente ridire,acciocchè per tutti i me dici l'importanza di sì grave
precetto avviſar ſi debba , ed apprender quanto quello lor faccia di meſtieri,
e di riſchio fia a travalicare . Etali Aforiſmi con avvedutezza non or dinaria
chioſando poi Galieno ,oltremodo ciò ne impone , e ne accomanda: e sempre, che
egli di tal biſogna impren de a dire , toſto a quelli ne rimanda,comea
faviſſīme nor me , che il tutto intorno a tal materia perfettamente con tengano
. Ed avendo in un'altro Aforiſmo Ippocrate parimente detto ; ne'mali oltremodo
acutifon da purgare il medeſimo giornogli ammalati, ſe vi è gonfiamento ;
concioſiecofachè allora l'indugiare è dannoſo affai( 1) Papuaxetes , év
toñosning οξέσιν , ήν οργα, αυθημερον• χρονίζαν γαρ εν τοϊσι τοιούτοισιν ,
κακον Galieno però vuole , ed eſpreſſamente n'impone , che an che in queſto
caſo dell'enfiamento , il che molto di rado 'avvenir fuole , vi s’abbia in
prima ben bene a riguardarc, e penſare , cioè con tal riguardo,e ritegno
adoperare , che nulla più : ne meno ove fia enfiamento purgando, ſe il cor po
valcvol non fià a ſoſtenere il purgamento ; perchè aj tal propofito Galieno
dife ( 1 ) ώς τ' ευλόγως ολιγάκις εν τοις οξίσιν νοσήμασι κατ' αρχάς γενήσεξι
ημϊν χρώα φαρμάκων , τω μήτε πολάκις οργάν εν αρχή τους λυπούνας ,μήτε , ά και
του υπάρχει και του κοσουνίG- αν επιληδεία προς την κάθαρσιν όντG- , αλα μηδέ
καιρών ημίν παρέχοντG- επιτήδειον παρασκευάσαι. Per la qual cofa nelle acute
malattie ragionevolmente operando, di rado , nel prin cipio impiegheremo noi
purgative medicine ; concioffiecoſachè gli afflittivi umori , nel principio le
più volte, ſtuzzicati non fieno , (1 ) nel lib.di que'che convien purgare . 128
Ragionamento Secondo fieno , e potrebbe intervenire altresì , che ove eglino
fienosi fattamente ſtuzzicati , allor non foſelo infering a fojtener la
purgagione adatto . E più addietro , de' medelimi umo. ri favellando avendetto:
τους ούν τοιούτος εκκενούν πξοσήκες , τε τέσι τους εν κινήσει , και φορά, και
ρύσι • τους δε καθ' έν πμόριονεσηεγμέ νς,ούτ' άλω πνι βοηθήματα χρή κινείν,
ούτε φαρμακεύειν , πζίν εφθή . ναι : τηνικαύτα γας και την φύσιν έξομεν
βοηθούσαν . Αdunque con venevol coſa è , che cotali umuri ſtando in continuo
moto, e diſcorrimento , e fluffo, fi vuotino ; ma que' , che in qual che luogo
del corpo giä ſi ſon fermati, ne con argomento alcu no , ne con purgativa
medicina damuoverfono, anzi che fieno ben digeriti ; imperocchè allora anche la
natura dello infermoalla purgagione fauorevole auremo. Ma il principio delmale
, ficome ne inſegna Galieno , prendeſitalora per lo primo aſfalimento , o
quando da prima comincia a chiocciar l'ammalato ; altre volte anche inſino
a’tre primi giorni ; e aſſai ſovente per tutto quello ſpazio di tempo ,nel
quale niuno affatto , o troppo debi le , e oſcuro ſegnal di cocimento ſi pare .
E'l gravamento , o accreſcimento del male liè , quando manifeſtamente il
cociinento , o pur ſegnia ciù contrarj ſi ſcorgono ; e dura finattanto , che
alla dovuta perfezione il cocimento ridu caſi ; per la qual cofa allora
maggiormente le moleſtie , e le noje degli ammalatiad accreſcer ſi vengono . Ma
il gó fiamento avviene, o toſto, che alcuno ad ammalar comin cia , o non molto
indiappreſſo , cioè nel primo, o nel ſeco do giorno , ſicomc par , che in più
d'un luogo avviſi Ga licno . Ma ritornando al tempo delle purgagioni : ſo
ben’In , non eſſer paruto ſaggio a Galieno il diviſo di colui, che volle,non
doverſi porger giammai le purgagioni, anzi de' primi tre giorni : ma ſi ben
dopo il quarto , a coloro , che patiſcono ſcorrimento di ventre ; il qual
parere egli ri provando, conchiude così dicendo : Egli adunque è di meſtiere,
che non già dopo il terzo giorno fi pergano imedica menti , ma
ficomediceapertamente l'aforiſmo( 1) Negli acu. 11 111.1 (7)
L’Aforij.24.ditlib.i. ' DelSig.Lionardo di Capoa. 129 - ti malori di rado,e
nelprincipio dobbiam delle purgagioni va lerci. E perciò ci biſogna diffinir la
coſa giuſta la mente de gii aforiſmi, ed inveſtigar ove abbiamo a purgare in
fulprin cipio, ed ove abbiamo ad attendere il cocimento del males. Imperocchè
fe alcun determinerà ſolamente nel principio , o non iſtabilirà alcuna delle
parti , rimarràſenza fallo ingan κato . πτοσήκεν ουν ούχ ως πανώ μεία τας ταϊς,
αλ' ώσπερ ο αφορισ μός εςι τοϊος • έν τοϊς οξέσι πτέθεσιν ολιγάκις , και εν
αρχίσει τησι φαρμα κίησι χρέεσθε , και χρή καλα τους αφορισμους διορίζεσθαί τε
και σκέλεσθε, πότε κατ' αρχάς έξι χρησέον τη φαρμακείη , και πότετην πέψιν
αναμείναν . τιτε νοσήματος. έαν δε πς ήτοι κατ' αρχάς είπoι απλώς , και μη
διορισάμε . ν ©· , εκάτερον σφάλετε: Adunque per Imanifefto fentimento
d'Ippocrate , c di Galieno , di rado nel cominciamento delle acute malattie da
inuover ſono gli umori, e nell'avā zo non mai , ma ſolamente,facendo di
meſtiere, nello ſce mo del male . E ben ſaggiamente troppo , ſecondo che ad
huom paja , in tal biſogno ſpeſe più lunghe parole l'av vedutiſſimo Ippocrate
più , e più volte i medeſimi ſen timenti divilaudonc ; imperocchè egli avviſava
graviſ ſimno danno dal muover gli umori crudi dover certamente ſeguire . Perchè
altrove favellando egli di que' , che pur gano nel principio dell'infiammagioni:
il che Galieno nel comento vuol , ciic s'intenda anche , di que' tutt'altri
mali , chedagli umori procedono :dice , che per coſtoro nulla dal luogo offeſo
certamente ſi vuota , non mai cedé do alla forza del medicamento , ciò che
ancora è crudo ma per lo medicamento debilitanſi, e ſciolgonſi più coſto quelle
coſe , che ſane eſſendo , al inal contraſtano , per chè infievolitone il corpo
, agevolmente farà dal mal ſo verchiato, ed abbattuto : ne potràricoverarſi più
mai per argomento alcuno » ο κόστ δε τα φλεγμαίνον εν αρχή νόσωνευ θέως
επιχορέασι λύειν φαρμακη και του με ξυνεταμένου , και φλεγ μαίνοντG- έδεν
αφαιρέσον • γαρ ενδιδοί ώμον εον το παθG- , τα δε αντί . χον% τω νεσήματα και
υγιεινα ξυντήκασιν ασθενές- δε του σώματG- κνο μένα το νούσημα επικρα ]έι ·
οκόταν δε ονούσημα επικρατήση του σώ μας το τοιόνδε ανιάτως έχα. Ma ſe ciò per
buona ventura dell' ammalato pur non R gliene 139 Ragionamento Secondo 3 gliene
liegue , non per tanto certiſſimi danni, ed irrepara bili avvenir gliene
debbono; e ſe non altro , certamente gliene andrà alla lunga il male , e
ſconvolgeraſli il giudi cio , che ſopra quello da dar era ; ſicome non una, ma
più fiate Ippocrate ,e Galieno ( 1) pienamente ne dimoſtrarono. Ora quì , chi
non iſcorge allai chiaro , che minorar ſecon do Ippocrate , e Galieno non mai
li puote la cruda mate ria , come beſtialmente ſi perfuadono i noſtri mcdici; i
qua li tentan ciò fare colle ininoranti , che lor dicono,medici. ne . Ma
comechè in ciò grandiſſima arte , emalizia ado perar ſogliano coloro , che ſon
di contrario ſentimento , p coprire , e naſcondere al Mondo, la manifeſta lor
ribellio nca’maeſtri ; pur non fanno sì fare , che da ciaſcun non li conoſca ,
e non ſi ſcopra la ragia , onde ne reſtin poi vergognoſamente dinnentiti , e
convinti; così ſciocche ſon le chioſe , eicomenti , co' quali ſi ſtudiano a
tutta lor poſſa d'inviluppare , e travolgere gli apportati Aforiſ mi , e con
lor ciance far calandrini , non ſolo la volgare , e cieca gente , Cheficrede
ogni coſa, che l'è detto : ma col volgo ancora que'letterati , che poco , o
nulla a sì filtre coſe ,avvegnachè digrandiſſima conliderazione , ſo glion
badare . E certamente non poſſo non maravigliarmi forte della lor tracotanza :
ſe così poco, o nulla eli riguar dando alla ſtima di sìvenerandi maeſtri , ad
ogn'ora così vituperevolmente gli beffano . Perciocchè volendo coſto ro, che
nella copia grande , nella malizia , e nella ſorti gliezza degli uniori, e
ſomigliantemente ne'caſi di confi derazione, o per riguardo della dignità della
parte offeſa, o della gravezza del male , o della grandezza delle cagio ni , o
del pericolo imminente , o per altre ragioni ſia das purgar l'ammalato , tutto
che la materia cruda lia , e non pur nel principio , ma nell'aumento , e nel
vigore delma le : o ciechi affatto , e diflennati ; e pure ſcioccamente ma
lizioſi, e maligni apertamente a tutti ſi fan vedere, non ſolo, perchè vengono
ad accagionar di ſoppiatto , ſe non (1) nel lib.4. della dies. p.44 . di mal
Del Sig.Lionardodi Capoa 131 di malvagità, di traſcuraggine almeno , i lor
maeſtri ; poi chè in materia di tanta conſiderazione , ne Ippocrate , nes
Galieno di cotalicaſi han fatto menzione alcuna , comes certamente doveano; ma
anco , perchè, o non avviſano , o fingono dinon avvederſi , che poco men , che
ſempre ; o una , o più delle coſe per lor dette, ne'mali acuti ſi trova no .
Laonde , ſe tale veramente , qual per loro fi finge, li foſſe ſtata veramente
opinione d'Ippocrate , e diGalicno, aurebbon elli in verità tutto il contrario
dovuto dire: cioè, che no miga già di rado,come dicono, ma ſovétiſſimamen te ,
o poco men , che ſempre nel principio degli acuti ma li ſi debba purgare , e
che nell'aumento , e nel vigore di ef fi ciò anche ſi debba eſeguire . Ma pure
per iſchermirli da cotal colpo s'argomentan coſtoro di traſcinare a'lor
ſentimentiqualche ſentenza de'loro maeſtri: da cui tutt'altro certamente ſi
compren de , che qucl, ch'elli intendono . Ne dovea in buona veri tà Ippocrate
, ſe pure frenetico, e mentecatto egli del tut to non era , in que'luoghi , ove
del gonfiaincnto ſolamente fe menzione , non annoverarvi ancora quell' altre
condi zioni , per le qualis’aveſſe parimente a purgar la materia, non anche al
debito cocimento pervenuta . Che ſe non è da dire , lui quivi averle per
balordaggine dimenticate , masſimamente negli aforiſmi, ove tutto il ſuo
ſtudio,e tut ta l'avvedutezza maggiore egli logorò , perchè per ogni parte
perfetta l'opera riuſcir doveſſe , biſogna di neceſlicà conchiudere,talenon
eſſer mai ſtato il ſentimento di lui , cioè a dire, che gli umori non cotti,
anche ove gonfiamé to non foſſe , a purgar s’aveſſero • E Galieno, che così
abbondatisſimo di parole egli ſi fu, che anche in coſe di niun momento
vanamente alla lunga ſcialacquolle, come poi vogliam dire , che in materia di
tanto affare, oltre al ſuo natural coſtumeaveſſe affatto ri ſparmiate. E
certamente non ſi dee in niun modo crede re , ch'egli così traſcurato ſi foſſe
, che quivi ancor nons v'aveſſe fatta la ſua diceria , fe ftato foſſe meſtieri
, diviſan done a ſuo modo quáto n’abbiſognaffe in que'caſi'la pur R 2 gage 4
132 Ragionamento Secondo ga , e quanto ſtrabocchevoldanno , e nocimento, traſan
dandola,per ſeguir ne foſſe al malato . Ma certamente no fu tale il ſuo
ſentimento , ficome cotefti diffeonati ſquali modei vogliono follemente darne a
divederc. E ben avvi faronlo anche molti valentisſimi Galicniſti , cosìdel
paſſa to , come del preſente ſecolo; masſimaméte Giulio Ceſare
Claudino,avvegnachè del purgare ainicisſimo, pur nõ po cédolo ricoprire
apertisſimainete cõfeffollo ,dicédo : Equia dem fic exiſtimo valdè efe
probabile, mentem efe Galeni, a Hippocratis, cruda materia nunquam
efſeexhibendum phare macum excepto uno turgentia caſu . E di lui molto innanzi
Giovan Manardi, che per conoſcerſi bene della greca fa vella , e perciò più
leal interpetre de’veri ſentimenti d'Ip pocrate eſſendo ,così delle purgagioni
nel principio delle malattie , ebbe a dire . Et licet Hippocrates dicat buc
raro faciendum , nos rationibus adductismoti, crebrius id face re poſſumus ,
debemus. E de’noſtrimedici replicar po trebbe Aleſſandro Maſſaria ciò , che del
Manardi e di tute' altri del ſentimento di lui già diſſe . Hippocrates ducet,ra
roin morbisacutis effe medicamenta adminiſtranda: contra non defunt Manardus,
&alii ,ſidiis placet , Heroes , qui audent affeverare, illa effe crebrius,
immo Semper admini ſtrandas. Ma omai s'è táto oltre in diſpetto di Galieno, e
d'Ippo crate l'uſanza di purgar la materia cruda pian piano avan zata , che ove
in prima non altri medicamenti ſi metteva no in opera , che piacevoli, e deboli
, ne più , che una , o pur due volte : ora a gran dovizia grandi ,ed
efficaciſſime purgagioni cosìcompoſte ,come ſeinplici, da'noſtri Galie niſti
largamente diviſanſı; e ſe pur talvolta , o per tema , che n'abbiano
gl'infermi, o per altra cagione , alquan to più lievi , e deboli loro le
impongono , nondimeno , o con accreſcerne la quantità , o con meſcolarvi per
entro alero in ggior medicamento , o collo ſpeſſo reiterar delle medicine
coſtringono maggiormente a vuotarſi il corpo con dannograviffimo, e irreparabil
riſchio degli ammala ti ; fe puread Ippocrate preſtar fede noi vogliamo ; il
qual fico Del Sig.Lionardo di Capoa 133 ficome di ſopra è detto , tante , e
tante fiate manifeſtol loci : e Galicno medeſimamente , il quale oltre a ciò av
vifa , che 3Gν αρχηταί η νόσημα των εκκρινομένων αδέν έκκρίνε. αι τίωικανά τα
λόγω της φύσεως , αλ' έσιν άπαντα συμπτώμα των εν τω σώματι παρά φύσιν ,
διαθέσεων • ν ώ γας χρόνω βαρύνεται με υπό των νοσωδών αιτίων η φύσις , απεψία
δ ' ες των χυμών , εν τέλω κενέσθαι τη χρησώς αδύνατον • πτοηγάσθαι μεν Κρή
πέψιν, ακολα θησαι δε διάκρισιν , 49' εξής κένωσαν την αγαθή γένηται κρίσης.
Cioc. quando alcun male comincia , ſe cofa maiavvien, cheppura ghi, allor
certamentenon purgheraftſecondonatura , ma ciò Farafficontro le diſpoſizioni
diquella; imperocchè ,'quando la natura vien aggravata dalle cagioni delle
malattie , ma fon crudi gli umori , allora impoſſibil coſaè, che alcuna eva
cuazionefelicemente rieſca ,concioffiecofachèfadi meſtieriche in prima il cucimento
, quindi lo fceveramento , e finalmente l'evacuazion ſi faccia , perche ſia
buono il giudicio. E fomi gliantemente in quel luogo ove dice.Per la qual coſa
effen. dovi nelcominciamento delle malattie sēpremaiſegni dicru . dità ,
ſemprealtresi nocevol ſarà , e darnofa l'evacnazione di si fatti umori : ώς τ'
εα ειδη κατα την αρχήν τα νοσήματος απε . ψίας εσιν αι σημάα , μοχθηρα δια
παντός έσαι των τοιέτων χυμών ή xívwos : E quindi, per tacer altri luoghi, ſi
ſcorge quan to vadano errati , così coloro , che follemente immagina no non
aver vietate altrimenti quelle purgative medicine , cheminorantieſſi chiamano,
no Ippocrate , ne Galieno nella crudezza degli umori : comequegli altri ancora
, che ofano affermare , che Ippocrate, e Galieno, non per al tro vietafler le
purgagioni , che per non eſſer note loro, ſe non che quelle purgative medicine
, che violenti ſono nell'operare ; il che però eſſer molto , e molto dal veroló
tano chiaramente ogn’huom vede ; imperocchè per tacer del latte rappreſo ,
dicuicosì ſovente Ippocrate ſi valles certiſſima coſa è , che gli antichi
ebbero contezza della Mercorella ( la quale per poco val quanto la Siena)
dell'E pittiino , della Fumaria , dello Goico , del Polipodio , dell'Agarico,
il quale per Galicno malamente venne ſti mato radice , comeche fungo egli
veramente ſia , e d'al tre , e 134 Ragionamento Secondo 1 tre,e d'altrebenigne
purgative medicine. Ne è daracer qui, cheGalieno dice a Glaucone, che dar egli
debba l’Aſsézio, leggeriſſimo, ſenza fallo, medicamento, nelle terzane, allo ra
quando apparir ſi veggano i ſegni del cocimento . Ga lien parimente viera,
cheſi deanell'infiammagioni interne la Iera di Temiſone, leggeriſſima medicina
, ſe non che quando la materia ſarà al cuocimento pervenuta; ed avve gnachè
alcuna delle accennate medicine lenitiva ſolamen te fia, nondimeno , come la
ſperienza , ne inſegna data in quantità grande divien purgativa. In quanto
all'Epit timo , ed alPolipodio , Galien dice chiaramente eſserel Jeno benigne
medicine,e che moderatamente purgano ( 1) E quanto è a me , Io porto fermiſſima
opinione, che lo pocrate , e Galieno aveſsero dalle continue, e diligenti of
fervazionide'Sacerdotidell'Egitto un tal parere appreſo ; e perciò
eſſer'avvenuto , che così ſtabilmente poſcia l'avel fer ſempremai conſervato ;
eche dall'Egitto le sì fatte of ſervazioni quel gran padre della filoſofia , e
medicina Ita liana,Pittagora,in prima aveſse nella Grecia recate ; quel
Pittagora lo dico, di cui altri ella non vide, da Democrito in fuori , che il
pareggiaſse, non che con lui poteſse entra re in gaggio, o'l ſuperaſse giammai
. Ma che Pittagora , foſse di tal ſentimento , egli li par manifeſto per quel
che nc fia ſcritto in quel celebre Dialogo , che della natura dell'univerſo
compoſe il divino Platone, la ove Timco no biliſſimo Pittagorico introduce
delle purgagioni in ſimil guiſa a favellare. La terza ſpecie del commovimento
ſuol riuſcir , ma non però ſempre giovevole ad huom , che da grave neceſſità vi
ſia tratto ; ne altrimenti da chi ſia di ſana mente è da uſare, cioè quella
forte di medicina purgativa; * imperciocchè que’mali,che no ſono guari
pericololi , non ſono da ſtuzzicar con purgagioni ; concioffiecoſachè la di
ſpoſizione di ciaſcun male fie ſomigliante alla natura degli animali : c
certamente la coſtituzion dicoſtoro è talmente ordinata , che generalmente ha i
termini della vita già ſta biliti , e qualunque animale ci naſce , con fatale ,
e deter mina ( 1 ) nelmerodal.lib.13.6.15. DelSig.Lionardo di Capoa 135 minato
ſpazio ncmena egli i ſuoi giorni: trattone fuora quelle paffioni , che di
neceſſità avvengono; imperocchè i triangoli dal naſcimento di ciaſcú d'eſso
loro tal virtù ſor tiſcono , che ſol yale a mantenere il loro ordinamento per
infino ad un certo tempo , oltre al quale a niuno è conce duto dipoter più
avanti allungar la ſua vita . Lamede ſima diſpoſizione adunque è data alle
malattie , e ſe altri colle purgagioni contro al fatal tempo ſconccralla , al
lora di piccioli,grandi , e di pochi , molti diverranno ; il perchè col
regolamento del vitto le sì fatte malattie ſon da correggere , e rintuzzare ,
per quanto a ciaſcun veriì , ad huopo ; ne il durevol male con medicamenti
irritar fi dee : Πίτον δε αδG- κινήσεως και σφόδρα ποπ αναγκαζο μένω χρήσιμον ,
άλως δε ουδαμώς τα νούν έχοντι προσδεκτέον , το της φαρμακευτικής καθάρσεως
γιγνόμενον ιατρικών • τα γαρ νοσήμα όσα μη μεγάλος έχει κινδύνες , ουκ
ερεθισέον φαρμακείαις · πα σα γαρ ξύτα στις νόσων , όσον πνα τη των ζώων φύσει
ποσέρικε και γαρ η τούλων ξύ. νοδG- έχασα πάγμένες του βίον γίγνει χρόνος , του
ο γένες ξύμ . παν G καθ ' αυτό το ζώον ειμαρμένον έχον έκαςον, τον βίον , φύει
χωρίς των εξ ανάγκης παθημάτων • το γαρ τσίγωνα ευθυς καρχας εκάσων δύναμιν
έχον & ξυνίσταται μέχρι πνος χρόνε δυνατού εξαρκών , ου βίον ούκ αν ποτέ
τις ας το περgν έπ βιώη» τόπος ουν αυτης και της πε και τα νοσήμα ξυάσεως ήν •
όταν τις παρα την ειμαρμένην του κράνε φθείρη φαρμακίαις , άμα εκ μικρών μεγάλα
, και πολλα εξ ολίγων νοσήμα τα φιλί έγνεσθαι· διο παιδαγωγών δεά διαίταις
πάντα τα τοιαύται καθ , όσον αν και τα αλή » αλ ' ου φαρμακεύοντας κακον
δύσκολον ερεθιστον , Ma diſcédédo a qualche particolarmalattia ,egliè da ſapere
che fu ſentimento diGalieno, che in quelle febbri, che portan ſeco i flulli da
purgar giāmai,ne da ſegnar fia l'am malato, quantunque ben fi pareſſe , che la
materia per la ſoccorrenza uſcita , non foſſe ella alla debita purgabaſtá te ,
o altro vi foffe da dover cacciar fuora nell'ammalato ; ſoggiugnendo
manifeſtamente Galieno al ſuo Glaucone , eſſervi ſtatialcuni , che ſcioccamente
in sì fatto caſo ab bian condotti, preſſo che a gli ultimi sfinimenti, gl'infer
mi . Mai noſtri mediciavvegnachè d'eſſer di Galien fede liſſimi ſeguaci
ſommamente di pregino, pure i ſaldiſſimi ann 0ae 136 'Ragionamento Secondo
maeſtramenti di lui affatto traſcurando , a lor talento , e purgano , e ſegnano
in ſomiglianti caſi, nulla guardando a’riſchj, che , ſecondo egli avviſa ,
ſeguir ſovente ne pof ſono . Così ſomigliantemete Galieno nelle febbriſincopa
li (p tacer della diffenteria)vieta in tutto il falaſſo , e le pur gagioni'; e
pur coſtoro arditamente contro i ſentimenti * del lor maeſtro tutto dì ve
l'adoperano . Così anche nel la puntura quando appajano gli ſputi del ſangue,e
nel do lor delle coſtole , vieta apertamente Ippocrate l'aprir la vena, ſe pure
nel dolor delle coſtole qualche manifefto ſe gno d'infiammagionenell'interiora
non appaja . Ma cote iti diſcreti diviſamenti del loro Ippocrate non altrimente
, che vaniſſime fuperftizioni fi foſſero diſpregiando i noſtri Ippocratici
medici, baſta ſolamente loro in tali avvenime ti , che col dolor vi ravviſin la
febbre, che come in prima poffono, cosìin diſpetto d'Ippocratc ,e di chiunque
ad Ip pocrate crede, per iſvenare i miſeri cattivelli arruotano barbaramente le
lanciuole , direbbe Proſpero Marziano per avventura . Ma dove laſciato avea lo
il purgar le dó ne levate appena del parto , e non paſſati ancora i termi ni
fatali aſſegnati apertamente da Ippocrate a ciò conve nevolmente operare ? E
dove nelle lunghe malattie , nelle quali la materia ha maggiormente di cocimento
biſogno , ne fegnal d'enfiamento eſſer mai vi puote, il purgar de’no Itri
medici contro i manifefti divieti d'Ippocrate , e di Ga lieno:E dove il cibare
a roveſcio gli ammalatise non guar dar punto all'età de'fanciulli, e de’vecchi
, o alle ſtagioni dell'anno , e cento e mille altre coſe di grandiſſima confi
derazione , ovemanifeſtamente da’lormaeſtri ſi partono ? Troppo largo campo o
Signori da valicare aurei , s’lole voleſti fil filo tutte narrare: ne per poco
di venirne a capo Io ſpererei, Ma come ciò avvenuto ſia , che in tante coſe , e
malli mamente nel purgare , c nel trar ſangue dal loro Ippocra te , e Galieno i
noſtri Galieniſti partiti fi fiano : e che ezian dio que' che han riſtorata la
lor medicina, e ſottrattala al l'arabeſca rozzezza , pure travalicando i lor
diviſi abbia no in Del Sig.Lionardodi Capoa . 137 no in ciò manifeſtamente
fallato ; lo ciò giudico avvenirc, perchè gli ammalati , e i lor parenti,
efamigliari ſian ſem pre deſideroſi oltremodo di rimedj, e ſpezialmente di
quei, che per manifeſta vacuazione adoperar fi veggono ; come fe da quelli il
lor ſalvamento , e non più toſto la lor morte dependa . Perchè nelle malattie ,
e maſſimamente nelle più gravi, e nel vigore , e accreſcimento di quelle , ove
l'intermo maggiormente languiſca, per non moſtrarſi i me dici ſcioperati ſenza
ajutarli con argomento niuno , fi va gliono di cotali medicine , e talor vi
ſono dagli ammalati medeſimi, o da congiuntidi coloro contro lorvoglia i me
dici menati ; perchè altrimenti a color non ſarebbon a grado. E quinci anche è
, che alcuno de’moderni intro duttori di nuovi ſiſtemidi medicina ,abbian
ritenuti in par te sì fatti modi di inedicare : non perchè egli veramente crcda
, che ſien valevoli conſigli, da riſtorare ammalati ; ma perchè egli avviſa in
tal errore eſſer già foinmerſa , ed incallita la gente, che ſe altriméti
adoperaſe,niuno certa o pochiſſimi ammalati da medicar gli giugne rebbono.
Adunque manifeftamente da ciò , che detto è compré der ſi puote , che purtroppo
grandemente nel medicare , da Ippocrate, e daGalieno i Napoletanimedici ſi
diparto no , e s'allontanano ; emolto più aſſai di quel, che'l Paracelſo , e
l'Elmonte ſteſſo , e altri moderni ſpargirici, o altri , ch'elli fieno, per
avventura ſi facciano . Mafi laſci ad altri la briga di ciò conſiderare: baſti
a noi il ſapere,co . me ancora da ciaſcun Galieniſta Napoletano ſi viene con
fatti a commendar ciò , che con parole da alcuni di loro manifeſtamente ſi
biaſima ; e come ancor' eglino laſcia no il loro Ippocrate, ed il loro Galieno
, ove lor venga in talento : e che tutti igualmente abbandonando l'an tiche
ſtrade più ch'alle cieche autorità de' creduti maeſtri , alla ragion ne
laſcianio guidare. E perciò per Dio ceſſino coſtoro d'abbajare addoſſo
a’moderni medi canti , e di mordere , e di lacerar tutto dìla loro lode vole
libertà , ne mai più per innanzicon uggia , e crepa mente > S CUO 138
•Ragionamento Secondo cuore ſi ſtudjno di contradiarla , e di metterla in fondo
; poichè, come per addietro ſi è fatto per noi manifeſto, da' più ſublimi
ingegni,che ſtati fieno in ciaſcun tempo s'è ab bracciata , e mantenuta da' più
nobili ſcrittori, edalle più illuſtri Accademic , e Scuole dell'Italia , della
Lamagna , della Francia , dell'Inghilterra , della Svezia , della D2 nia ,
della Polonia, e da tutt'altre parti del mondo glorio famentc ſeguita. Ma
riſerb.andomi di ciò favellare a miglior huopo, ri tornerò pure a'piati ,ed
alle conteſe deimedici; onde già mi partii. E quantunque fin'ora per me molte
narrate ne ſieno , pur molte ancora , e quaſi infinite a raccontar ne
rimangono; le quali poichè mi pare d'aver oggi ragionato a baſtanza , e già il
ſole comincia a gir ſotto , riſerberolle. alla ſeguente aſſemblea . RA 139 j:
Milli RAGIONAMENTO T E R Z O Beda Vantunque volte meco ſteſſo penſando rammento
quel tranquillo , e feliciſſimo ſecolo , che meritevolmente dell'oro per
ciaſcuno vien detto : tante a biaſi mar la preſente , e miſerevol noſtra età;
quaſi di forza ſon tratto . Non pure , perchè a quella la terra dall'aratro non
ancor tocca , tutto ciò , che al mantenimento di noſtra vita abbiſogna
abbondantemente produceva ; ed ora a romper zolle col Vomere , e col Raſtro , a
ſveller pru ni c ſtecchi anza , e ſuda , e talora anche in darno il Bi folco ;
ne perchè allora , e nuvoli , e nebbie ,e tempefte ', c turbini non
intorbidavano , ficome or fanno , i lucidi ſereni dell'aria ; ne perchè
l'eſecrabil fama dell'oro, non ancor ſignoreggiava il mondo : reſo ora
ſcellerato, e crude le, poichè fol vince l'oro , e regna l'oro ; ne per tant'al
tri privilegj , che diquella s'annoverano , de'quali altro che un'intenſo
deliderio , ch'il cuore acerbamente ne pun ga a noi non n'è rimaſo ; ma ſi bene
perciocchè , e liti , e S 2 pia 2 1:40 Ragionamento Terzo piati , econtefe , ed
armi,eguerre non allignarono . No arruotava le zanne a mordere il cinghiale ;
non digrigna va i denti il maſtino ;non rabbuffava il doſlo il Lionefra ;
l'erbe , e fiori s’appiattava ſenza veleno l'angue . Ma che è ciò ? l'huomo ,
l'huomo di tutt'altri animali duca , e ſigno re non fabbricò nave ,
ch'apportaſſe guerra agli altrui li di , non forbì , non arruotòferro
periſvenar l'altrui petto : non aſſordò l'orecchie con iſtrepito ditrombe , di
corni, o di bellicofi tamburi ; vivea ciaſcun ficuro ſenza il riparo di murate
Città . Ed a'dinoftri , che più fi tenta , che più fi machina , ove più fi bada
, fe non ſe a' nuovi ordigni da guerra , perchèl'un Principe, l'altro abatta;
l'una Repub blica , l'altra eſpugni; l'una Signoria, l'altra atterri; l'una
Città , l'altra ſtermini; l'un nimico, l'altro affondi; ſi com batte nelle
campagne , ſi combatte nelle Città , s'armas contro l'un l'altro amico,'e fin
dentro il nario albergo con l'un, l'altro fratello, anzi il padre co'l figlio
calora conten de; va in ſomma il mondotutto in conteſe , e benchè tar dis pure
è gionto agli antipodi il furore dell'armi. M2 egliè pur vero , chele diſcordie
abbian per qualche tempo auuto fine , ne in ogni tempo le porte di Giano ſieno
ſtate sbarrate . Ma quel, che pür troppo è da maravigliare , è ciò , che lo
ne’paſſati ragionamenti v'ho detto , e debbo nel preſente ſeguire ; egli cono
le tante , e tanto invilup patecontefe de’medici. Queſte non han mai ſofta ,
quefte non han inai line ; e comeche moltisſime ve n’abbia fin or diviſate ,
pur altre aflai a narrar ne rimangono ; le qua li lo fon ora
perdiviſarvibrievemente , e darvia diveder , che tutte quante dall'incertezza
dell'arte abbiano origine; la quale perchè più chiaramente per voi ſi
comprenda,dirò brievemente altresì,chente mi paja delle ſette de'medici. E perchè
fi comprenda , quanto queſt'arte fia ſempre mai nemica naturalmente di pace: ne
baſterà per avventi ra il riguardar ſolamente al cófuſiſſimo drappello de'Ga
lieniſti, che co’lor diverſi, confuſi, e ritorti ſentimenti ban turbati i mari
Con menti avverſe, ed intelletti vaghi, Non 1 Del Sig.Lionardodi Capoa. 141 Non
per ſaper , ma per contender chiari . Eper la verità delle loro ſtrane , e
ſtravolte opinioni da . to brigando romoreggiano , che poco men fanno per av
ventura l'onde torbide, e fonanti del noſtro Tirreno qual ora nelle più atroci
tempeſte giungono furioſe a riverfar G ſu i lidi. Magna mentis admiratione
diftrahor , dper surbor ( dicea di loro appunto favellando Giovanni da Sa
lisberia ) quod a fe ipfo tanto verborum conflictu, &collifio ne rationum
defiliunt, &difcordant. Neancor paghi del le lor lunghe e, oſtinate conteſe
aggiugnendo ſempre pia tiapiati, quiſtioni a quiſtioni , ne preſero anche in
preſto dalla brigante filoſofia , altri più inviluppati , e nodofi , da fare
ſtancar inutilmente per un'intero ſecolo i più riottoſi dicitori del mondo .
Perchè riſtucco , ecrannojato l'avve durisſimo Lodovico Vives , così (clamando
proruppe. Ex fcholaftica illa phyfice exercitatione ingentem , ácopiofifſimă
difputandi materiam in hanc quoque artem, tanquam plar ftris invexerunt, de intentione,
& remilline formarum, de raritate, & denfitate departibus
proportionalibus, de inſtáribus: ea que nec funt, nec unquam evenient
ventilantes fua fomnia ; defertapugna cum morbis interea loci premen tibus ,
atque occidentibus . Ea res fecunda , e infinita non aliterquam bydra quædam
diutiſſimèremurata eft ingenia, cum fructu aliis vacatura. Videre eft
cavillariones a, trj. cas Iacobi Forlivienſis, nec minus fpinofas, nec minus
inu tiles , quam Suiceticas: nec prolixitate, cu moleftia cedentes. E Gregorio
Giraldi huom di rara , e di ſquiſita letteratu ra , così de’diſcordanti
pareri,che a danno altruiportano , e mettono in campo i medici , fe vagamente
parole . Nec minus quoquo medici noſtro periculo de medēdi ratione ejuſq;
partibus difenſere, aliis alia fubindeapprobantibus , ut no ftra etiam hac
ætate tanta fit inter medicos diſſimilitudo , ut corumaliqui vena inciſiunem
omnino prohibeant, alii ad eam aperiendam potius exclamext. E per recarne
brievemente un faggio , eglino intorno aº principj delle coſe naturali
contender fieramente ſogliono: ne ſi può di leggier credere quante diverſe , e
confuſisſime opi 142 Ragionamento Terzo opinioni ciaſcun di loro ne porti .
Dicono alcuni ritrovar fi veramente , e formalmente gli clementi ne'miſti:
altri in contria opinion tratti ,ſolamente in virtù, ed in potenza. Vogliono
coſtoro , ſecondo ilſentimento del lor maeſtro , effer le qualità formevere
degli elementi, e de'milti : co loro tutte le forme eſſerveriſſime ſoſtanze
giudicano. S'ay vilan molti collor Galieno , amendue le qualità nel lor fommo
grado eſler igualmente negli elementi ; altri una in più alto , e altra in più
baſſo grado ne allogano ; quin di infra coſtoro altra nuova quiſtion forge, ſe
colle più fie voli qualità degli elementi le côtrarie accoppiar ſi ſoglia no .
Ma ſe le dette qualità ſien tutte , come dicon poſiti ve , e vere : 0 pure
alcune di loro ſolamente privazioni di quelle , lungamente affai ſi contraſta
ora eziandio in fra’ Galienifti medici. Ed oltre a ciò giudicano alcuni,in qua
lunque,comechè picciolisſima particella deʼmiſti , formal mente avervi parti
corriſpondenti a ciaſcuno degli elemé. ti ; altri ſono dicontrario parere . Ma
chi potrebbe mai intorno a ciò rapportar tutte le antiche, e le moderneopi
nioni ? ſenzachè non ſon minorile conteſe , s'egli ſia pur vero , che vi ſia
temperamento ; ſe quello veramente ſia l'anima medeſima dell'huomo, come
cmpiamente avviſoſ ſi Galieno , o pure altro , che quella ; ſe ſia da porre il
ſo ſtanzial temperamento ; e ſe quel poſto , del qualitativo in nulla
differente egli ſia . Oltre a ciò quante le differen ze deil'uno , e dell'altro
teinperamento ſi ſieno ; ſe il qua litativo ſolamente nella proporzicn delle
quattro prime qualità riſieda , o pure in altra qualità da quelle riſurtu . Ma
troppo a lungo ne verrei, ſe tutte diſtintamente nar rar volesſi intorno a sì
fatta materia , le zuffe , e le conte ſe de’alieniſti filoſofanti. O forſe
almen , ſe in tutt'al tro ſi rodon l'un l'altro il baſto, faranno a buon concio
ra nodati , e concordi in render ragione dell'eſiſtenza de’lor quattro elementi
nella natura ? Anzi in ciò più che altrove gareggiano in rintuzzarſi ,
rifiutando altri ciò, che altri ne dice , e tutti l'un l'altro oſtinatamente
carminandofi ; an zi fra cllo loro Vopiſco Fortunata Pemplio dopo averne molte
I DelSig.Lionardo di Capou . 143 . molte , e molte ragioni recate ,e tutte
rifiutate,ultimame. te con tali parole i ſuoi propj ſentimenti ne paleſa. Sed
hæc omnia quăfint imbecillia quilibet videt.Quapropter aliorum etiam qui
hactenus id ipfum conati ſunt argumentis penficum latis ,puto non poffe vera,
& efficaci rationeprobari, ejetan tum , veleffe debuifle quatuor elementa ,
ſed id ita effe, nos accredere Ariſtoteli toti omnium fcientiarum fapientia
lumi ni . Concluſione indegniſſima nel vero non pur di lui : ma di qualunque
più cattivello ſcolaretto , che per filoſofante ſi voglia fare acredere; c ne
verrebbe ſicuramente cgli dal ſuo Ariſtotele , c dal ſuo Galicno ſchernito , e
forſe da lor nc torrebbe in capo del ſer Meſtola, e delgocciolone , le il
ſecodo ne meno ad Ippocrate vuol dar fede ſenza il pc gno in mano delle ragioni
, el primo allega l'autorità nel l'ultimo luogo dopo tutt'altre pruove , con
ciò manifeſta mente inſegnando , che non miga delle autorità , ma delle ragioni
lo intelletto ſolamente debba eſſer pago. Ma pu re Iddio voleſſe ,che aſſai non
vi foſſero a’dì uoſtri, di quel li , i quali ſecondo il ſentimento del Pemplio
, non alla migliore, ma alla maggior parte degli ſcrittori voglion gir dietro
,pecorum ritu ,perdirlo colle parole di Seneca , non qua eundum eft , fed qua
itur . Cattivelli di loro, che tratti dalla bordaglia de letterati,immaginano ,
che allora ſien da lor meſſi in ſu’l filo del vero ſapere, qualora da lo ro forſe
più, che da ogn'altra coſa del mondo, ne fon di ſtornati, e danneggiati così ,
come cantò il Bembo nello ſuc diviniſſime ſtanze : Sicome nuoce al gregge
ſemplicetto La ſcorta fua quandell'eſce diſtrada , Che tutto errandopoi
convien,che vada . Ed’o ſe mai eglino fi riducellero alla memoria la ſentenza
del teſte da noi citato filoſofo , Argumentum peſſimi turba eft. E quell'altre
parole del medeſimo,non eadem hic,cioè nel filoſofare, quam in reliquis
peregrinationibus condicio eft in illis comprehenfus aliquis limes ,
interrogati incola non patiuntur errare : at hæc tritiſima quaquevia,
&celeberri ma maxime decipis : certamente infomiglianti falli ſcimu. niti ,
14 Ragionamento Terzo niti , ch'elli ſono , non fi laſcerebbono traſcinare. Ma
egli però giova credere, che il Pemplio non già da fenno, ma per irrifion
parlaffe , ed ironia , ' fe poi ſenza al cun rimordimento , e fenza ſcrupolo
averne di temerità, in trattando delle qualità,paleſemente delle dottrine d'Ari
ftotele , e di Galieno famoſtra di non curare . Malaſcian do da parte ſtare
tutt'altre quiſtioni, nelle quali inveſchia ti, e impaſtojati i Galieniſti
tutti ſtralciar mainon ſi poſe fono , ficome ſon quelle intorno a' principj
dello ingene. rarſi dell'huomo , al caldo natio, all'umido , che dicon ra
dicale, all'eſiſtenza , alla natura , e al numero degli ſpiriti ; e
ſomigliantemente intorno all'inviluppatiſime, e tutto che innumerabili quiſtioni
della natura , del numero, del luogo , della diſtinzione delle potenze, e
ſpezialmente in torno a quelle coſe , onde il chilo , e'l ſangue, e gli altri
umori s'ingenerano ; o pure in trattar del polſo , dell'arte rie , e del
movimento del cuore : ed onde i ſentimenti nc végano, e formiſi il moto.Chimai
baftevol ſarebbea por gli d'accordo intorno a quella cotanto celebre , e
faniores conteſa , e di tanta conſiderazione in medicina , ſe la bi le , la
flemma , ela malinconia ftian di fatto , o pure in po tenza nella maſſa , come
dicono,del ſangue ? Il che in buo ſentimento viene a dire , fe veramente vi
lieno , o no; im perciocchè certamente nulla monta il potervi eſſere , ac
ciocchè ſi dica,che vi ficno ;ficome direbbeſi altresì , che nel ſangue vi
ſieno in potenza , e carne , e vermini , e cene to , e mille altre coſe ,
chequivi ingenerar ſi poſſono . Ma a cui caglia di vedere un confuſiſſimo
rimeſcolamento di diverſe , e ſtrane opinioni , riguardi digrazia a' Galienilti
medici intorno al diviſar della natura , delle differenze, e delle cagioni
delle materie delle febbri, e de'luoghi, ove s'ingenerano ; riguardi all'opere
de’loro antichi, e moder ni maeſtri : e poi, ſe potrà, ridicamiquando mai
potreb be alcuno ſcalappiar dall'intralciato , e confufiffimo labi rinto di
tanti , e sì fatti riboboli, e indovinelli; e guari pu re a quali debolillime
fila aſſai ſovente la medicina di Galicno s'attenga , Tralaſcio pure le lunghe
, ed inviluf pate 1 1 DelSig. Lionardo di Capoa 145 pate quiſtioni intorno
all'apopleſſia, al catarro, al letargo, alla mattezza ,alla malinconia, a'
capogirli, al mal caduco, alla peſtiléza,almalfrāceſco, eda täi'altre dubbioſe
cotro verlie , che non ſarebbe per avventura minore impreſa il raccorle quì
tutte, che l'arene del mare, e le ſtelle del Cie to minutamente annoverare . E
comechè per queſto capo incerta , e confuſa , e inviluppata la medicina de'
Galieni fti oltremodo ſi ſcorga , e perciò inucile , e nocevole ad
adoperare:non peròdi meno non è ella intorno alle mag giori biſognedell'huomo
incerta maggiormente, ed in tralciata, cioè a dire intorno alla dieta : i fini,
e le condi zioni del trar fangue : la natura , la facoltà , gli effettia e'l
modo dell'adoperar de’medicamcnti : quando , ed in qua’rempi del male ſien da
dar le purgagioni: ed altre , ed altre infinite quiſtioni,delle quali
queſte,ch'io ho quì bric vemente raccolte , una menomiſſima particella ſi fono
, e certamente lo m'avviſo , ch’in leggendolei curioſi da non poca inaraviglia
ſien ſoprapreſi; anzi forte ſoſpirerano , s ſdegneranſi , veggendo a quante
controverſie,a quanti ſo fiſini, a quanti pericoli per lor ſi faccia foggiacere
il bene ftare , e la vita deglihuomini. E chicon occhio aſciutto può rimirar il
crudeliffimo ſterminio , che fan tutt'ora de gli ammalati di febbre maligna,
per non ſaper di quella , cofa del mondo? Eglino piatiſcono in prima delle
cagioni di fuora , chenti , e quali elle fiano , e d'onde naſcano , come
operino , e muovano il male ; quindi intorno a quel. le d'entro combattono , ſe
fien verainente qualità : efe tali, naſcoſc più toſto , o manifeſte , o pur ſe
da loverchio di putrefazione avvengano , o da tutta la ſoſtanza più to ſto
gualta ; e corrotta ; e oltre a ciò in quali luoghi elle fi covino ,
diverſamente contraſtano . Così mordendoſi l'un l'altro , e piatcndo , niun
l'imbrocca , e tutti a malpartito menano gli ammalati ; volendo altri i falaſſi
, ed altri vie tandogli, ed altri una fol volta permettendogli , chi ſcar
ſamente , cchi fino a trar loro tutto il ſangue , chi dalle venc delle braccia
, e chi da quello de piedi , e chi anches da quelle parti , delle quali è bello
il cacere , con appic T carvi 140 · Ragionamento Terzo carvi le mignatte; altri
a tutti coſtoro cótraſtando voglió , che dalla buccia ſolamente per coppette fi
tragga . Alcu ni vengon toſto alle purgagioni, altri aſpettan qualche de
boliſſimo ſegnal di cocimento ;ed altri, o nel principio pur gar logliono , ove
turgide lien le materie , il che di rado . avvenir ſuole, o pure inſino allo
ſcemo del male s'indugia no . Molti poi nel purgare , de’violenti medicamenti
fer vir ſi fogliono ,molti de'mezzani, ç moltide’deboli , e be nigni
n'adoperano : e parecchi ancora con lenitivi rimedi folamente medicar
s'argomentano. V'ha chi purga una ſol volta , e chi più volte in ogni tempo , e
ſtato del mal lo coſtuma . V'ha alcuni , che come il mal comincia , cosi toſto
con le purgagioni v'accorrono ; ma dopo i trè dì af fatto le victano ; e
dicoſtoro altri di vomitive, alori di sé plici purgative medicine ſervir ſi
fogliono. Alcuni ne'pri migiornidel male a' rimedj , che chiaman veſcicanti ,
gli infermi condannano ; altri vuol, che in prima purgati , e ſegnati color
fieno ; echi in un luogo, e chi in un'altro cô -sì fatti rimedj marchiar gli
vogliono , togliendo loro così manifeſtamente le forze , e crucciandogli , e
dando loro vigilie , e dolori, e forſe con riſchio di gangrene,di piaghe nelle
reni , e nella veſcica, di malagevolezze d'orina ,e d'altri malori , che ne
foguono . Ne mancano eziandio infra'Galieniſti medici alcuni più rinominati ,
che per be nevoglienza al lor maeſtro Galicno , cd Ippocrate , o per chè così
veramente lor paja,cotal ritrovato come peſtilen zioſo ; e ficriſlino, e di
barbara gente, e crudele , oleremo do vituperino, e danninozil quale non a
confortar vaglia, ed ajutare il cocimento , ma ſolamente a fraſtornarlo , ed
indugiarlo , con accreſcer le cagioni ad un'ora , e gli effet tidel male , e
con piagar , ed infiammar malamente ſpeſſo ſpeſſo le reni , e la veſcica, e far
talora gli addolorati lan guenti di puro fpafimo miſerabilmente morire . E v'ha
, eziandio di coloro , che non d'altri rimedi, che de ſolian sidoti nelle
maligne febbri ſervir fi fogliono; ed intorno a queſti ancora diverſamente
piariſcono . E forſe faran mai per riconciarſi, e porſi d'accordo infra qualche
ſpazio di + tein DelSig.Lionardo di Capoa 147 tempo le lor conteie ? e le loro
incertezze appianate , fari per porſi fuora, quando che ſia un più ſtabile , e
veriſimile fifteina di medicina? anzi per quanto ne poſſiam conghier turare
eglivie piů a giornate s'accreſcerannoi piati , e le conteſe , e ſempre più
confuſo , e incerto , e pericoloſo il lor meſtier diverráne. E nel vero,chi mai
potrebbe deci derle ? non le autorità , non le ragioni , non l'eſperienze ;
imperciocchè , così gli uni , come gli altri, di loro eſperi menci egualmente
fan moſtra , e pompa ; morendo vera mcnte , e guarendo così degli uni , come
degli altri , i malati . Per amendue le parti poi lor ragioni ſi produco no in
mezo; equinci , e quindi ogni conteſa ha ancora i fuoi parziali . Ne v'ha
cagionealcuna , per la qual mag giormente attenerci dobbiamo a Giovan
Manardi,ad Er cole Saſſonia , ad Orazio degli Eugenj , che d'altra parte più
coſto ad Aleſſandro Maſſaria ,ed a Fabio Paccio , eze Pietro Salio, o a
Girolamo Cardano preſtar fede, conciofa fiecoſachè tutti egualmente ficn di
pregio, e lieva nella Gia lienica medicina , ed egualmente di maggioranza gareg
giar îi veggino . Perchènon ebbero certamente il torto , per quelch’lo ini
creda ', a dir quc' valene' huomini:non . polje comprehendi patere ex eorum qui
de his diſputarunt di fcordia ; ciim de ifta re , neque inter ſapientia
profeſſores , neque inter ipfos medicos conveniat. Ma poiche Io in par te vi ho
diviſato a’quali tempeſtoſe procelle di litigj ediconteſe la medicina tutta
ſoggiaccia , diſconveneyol coſa non farà ', ch'Io mi ſtudi per avventura , e mi
argome ti di recarvene brievemente la cagione . Alcuni ſciocca . mente fi
perſuadono ciò ſolamente per colpa deʼmedici avvenire , i quali oltremodo
d'onor deſideroſi,ed avariſfi mi del denajo , e naturalmente ancora riottofi ,
e ſuperbi, ſi graffjno ſeipremai , e ſimalmenino ; cercando a ſpada tratta
ciaſcuno , ove a lui venga in concio, altrui travaglia re , e neinichevolmente
affitto atterrare . Così vengono a partirſi in fazioni, e ſempremai a
premerſi,e tenzonare , non altrimenti , che tutt'altri macftri di cialcun'altro
me ſtier fi facciano; perchè faggiamente diffe Eriodo وا T 2 Ka? 148
RagionamentoTerzo 1 Και κεραμεύς κεραμά κοτέα , και τέκτονι τέκτων Και ωχός
πτωχώ φθανέα , και αοιδος αοιδώ . Che in lingua noſtra riſuona Al fabbro , è'l
fabbro in odia : e'l vafellajo Non puòſoffrir compagno : arde diſdegno Contro
un mendico l'altro : el’un cantore Contro l'altro cantor di rabbia freme. Malo
per me fermamente credo , che alcra di ciò ne ſia la cagione : e che non tanto
per uggia , e mal talento deʼme dici, quanto per mancamento dell'arte medeſima
così in certa,e intralciata ,e dubbioſa no poſſan goder mai, ne pa ce ' , ne
ripoſo que', che l'eſercitano.Negià in tante, e tan te diverſità di ſentiméti
ciafcun'altro meſtiere partir fi fuo le , in quante la medicina ſi parte , ſe
già non foſſe , che la filoſofia , e tutte quelle ſcienze , c'han colla
filoſofia qual che attacco , o dependenza , alle inedeſime tempeſte del la
medeſima ſoggiacer ſi veggono ; nelle quali malagevol molto , e difficile è lo
inveſtigar la verità , licome confeſſa no que'filoſofi , e medici medeſimi, che
d'haver preſte loa lor pruove , e dimoſtrazioni falſamente ſi pregiano ,
Nemailetto di ſelva allor , che priva L'arbor difoglie il venta,ha tante fronde
quante , e quante diverſe , e diſcordevoli fette ha l'anti ca , e la moderna
filoſofia ; o in ciaſcuna ſetta di quelle's quante, e quanto diverſe infra loro
fian de parteggiatilo pinioni. Così de'Peripatetici ſolamente , chi non sa quam
to li premano , e li rintuzzino iGreci ,egli Arabi , eiLa tini Maeſtri ? quorum
fudium , dice un di loro, perpetuum ,ut contradicant, ab aliis
femperdiffentiant . Ed a cui non ſon manifeſte le continue , ed oftinate
contefe delle dire Peripatetiche ſchiere ancora,che nominali chiamano, creali ?
E a tanto giunſe la lor riottoſa oſtinazione , che poco fallò , ch'un dì in
Parigi venendo alle mani , nó iſve gliaſſero nella Francia una nuova , e
fanguinofa guerra ci yile . Ed infra i Reali medefimi chi potrebbemai, co’TO
miſti gli Scottiſti rappartumare? e chi co’Tomiſti i Tomi fti medelimi:econ gli
Scottiſti gli Scottiſti ? ma per noi 3 di DelSig.Lionardo di Capoa 149
dipartirci della noſtra medicina, in queſta altro non è egli per certo di tante
, e tante diſcordie cagione , ſe non ſe la medeſima malagevolezza del rinvenir
la verità delle coſe naturali . E ciò ben’avvisò Galieno medeſimo, ove quel, le
parole di Ippocrate va in prima chiosãdo xehosganemi il giudicio difficile : ο
λόγG- δ'αν ηκρίσης άη , το κρίνεσθαι παρ' αυτό τα ποιητία .χαλεπος και
δυσθήρατός εσιν όγε αληθής , ως δηλόι και το πλήθG- των κατα την ιατρικής
τέχνης αιρέσεων •ου γαρ αν άπερ οίον τ' ήν ραδίως ευρεθήναι το αληθές , ας
τοσούτον ήκον αντιλογίας αλήλοις οι ζητήσαντες αυτό τοιούτοι τε και τοσούτοι
γενόμενοι . 11 giudicio , dice egli , fi è la ragion medeſima : poichèper
quella le coſe , che da far fono , fon giudicate. E certamente egli è difficil
molto , e malagevole , a rinvenire, Io dico il giudicio vero , il qual
manifeſtamente ravvifarfo fà dalla diverfità delle fetre della medicina.
Concioffiecofachè le agevol foſſe il xin venir la verità , non ſi ſarebber
tanti , e tanti valent'huomi ni , che per imprenderla con ogniſudio ſi ſono
affaticati, in colante ſette partiti . Fin qui l'avveduto Greco.Manoi più
avanti procedendo ci avviſizmo , il rinvenir la verità effer certamente molto
più malagevole , o piùardua imprefa aſſai di quel', che s'immagini , e dica
Galieno . Ad inve Aigar di ciò la ragione convien ridurci amemoria , che noi
non men , che gli altri animali , poveri , e mudi affatto di qualunque , comechèmenoma
contezza delle coſe,naſcii mo ; verità così chiara , e conoſciuta per ognuno,
che non le fa d'alcuna pruova meſtiere , e molto ben ad ogniora Iz ravviſiano,
e Platone ſteſſo venne coſtretto a confeſſar fa , avvegnachè altra volta faccia
ſembiante di tener con truia opinione , dicendo , che'l noſtro apparare altro
in vero egli non ſia , ſe non , che un rammentarci quelle co ſe appunto
nredelune , che già noi prima di naſcere ſape vaino ; ed imperciò tutte le
notizie ſenza fallo conviene , che da noi ſteſſi l'appariamo; ma come, e da
cui,non èma lagevol troppo per avventura ad inveſtigare. L'animanoſtra , alla
quale , come a parte più nobile , e più principale dell'umana compoſizione,
ſolamente con. viene l'apprender le coſe ; ondefolea ſaggiamente Epicar modi
150 Ragionamento Terzo mo dire: la mente vede, la mente ode, l'altre coſe tutte
fon forde , e cieche ; l'anima noſtra lo dico , comechè in corporca forma , ed
inviſibile ella fia , in sì fatta guiſa no dimeno unita , ed avviticchiata ,
per così dire, ella al cor po ſi ritrova,che ſe queſto dalle ſenſibili coſe di
fuora toc co , emoflo ad eſſer mai viene , varj , e varj penſamenti in effa
egli è valevole a ingenerare ; c ciò avvicne qualunque ora elleno toccano ,e
muovono le fibre de’ncryi , le quali a guiſa di fila ſottiliflime di ſeta
trapunte in ricamato pan 10, {parce per tutto ilcorpo ravviſanſi, e che queſte
poi avvalorate da un diſcorrente , e ſottil licore , gli avvti mo viinenti alla
prima loro origine riportano nel cerebro principal ſedia dell'anima , ove
quella il comprende, o per me dire ſente . E le fibre poi col venir variamen te
premute da quelle parti del corpo , che ſi chiamano organide'ſenſi,
ecoltorcerſi, e col piegarſi in varie, ed in varie maniere sì , e tal mutamento
ricevono ne pori, enel ſito delle lor particelle , che da loro , e dalla
diverſità de li ſenſibili oggetti di fuora la diverſità del comprendera , o fia
de'ſenſi,ncll'animna procede . Quinci ſcorger ſi puore , chei ſenſi ſono quelli
, per li quali non altrimenti , che per le fineſtre liz luce , entrano
nell'anima le prime contezze delle coſe, e da queſte ella poi altre , ed altre
contezze col mezo del diſcorſo tracndo , tratto tratto ſe ne viene ad
arricchire ; ma come, e dove ſi riſerbino l'acquiſtato notizie , e come l'anima
l'abbia più , o meno pronte, quae do valer ſe ne vuole , e come per ſe ſteſſe
talora all'anima firappreſentino , è malagevoliſſimo ad inveſtigare ; ne queſto
propoſito più che tanto appartiene forſe a noi il fa perlo . Ed al ſentir
dell'anima ritornando, lo dico libera mente , e confeſſo , che i ſenſi nc ſe
medelimi , ne l'anima mentir non poſſono gianmai; inperocchè i ſenſi le im
preſſioni degli eſterni ſenſibili oggetti mai ſempre tali all' anima
rappreſentano , quali eſſi appunto le ricevono, fen za curare, o prenderſi
d'altro brigi. Verità , la quale non ſo lo come de'peripatetici le ſcuole col
maeſtro Ariſtotile abbiano ofato negare;cocioffiecofachè ſe nella maniera , la
qui Del Sig.Lionardodi Capoa. 151 quale effi fingono andaſſe la faccenda, ogni
fabbrica di no Itro diſcorſo certamente a terra ne verrebbe, come faggia mente
avviſa quellaltilimo filoſofante , e poeta latino: .. Vt in fabrica ſipravaſt
regula prima:“ Normaque fi fallax rectis regionibus exit: Et libella aliqua fi
exparte claudicat hilum : Omniamendose fieri :atque obſtipa neceſ umft: Prava :
cubantia : prona : Supina: atq; obfona tecta Iam ruere ut quædam videantur
velle: ruantq; Prodita judiciis fallacibusomniaprimis. E ſe i ſenſi mai
poteſſero una ſol volta , o ſe , o altri ingão Nare , ſi toglierebbe via
certamente dal mondo ogni con tezza , ogni giudicio , ogni fede ; e non per
altro in vero gli antichi Padri della Chieſa così acerbamente ripigliaro no i
filoſofanti d'una sì erronica , e ſciocca dottrina : Re cita Ioannis teftimonium
, dice Tertulliano , quod audivi. mus ; quod vidimus oculis noſtris , quod
perfpeximus, ma nus noftræ contrectaverunt de verbo vitè falfa utique teſta
-tio fi oculorum , aurium , & manuum fenfusnatura mer titur . Ma a chi mai
ricorrer ſi dovrebbe per conoſcer, ed ammendare i fallimenti di ciaſcun ſenſo ?
ad altro forſe ? certamente no; imperocchè dell'uno non meno l'altro ſen ſo
farà ſoſpetto difalſità , e d'errore; ſi chiederà forſe aju to agli altri ſenſi
tutti : manon ſono queſt'altri ancora ſom ſpetti di falſità ? o ſia una , o
ſieno più le perſone , che ne deano teſtimonianza , nulla importa,fe di eſſe
tutte è dub biofa , ed incerta la fede . O forſe, come Ariſtotele ſi per Snade
, gli errori de'ſenſiconoſcerà la ragione ? ma come potrà cio mai eſſa fare ,
fe per avvederti dell'error d'un ſenſo , ad ammendarlo , dineceſſità le fa
meſtieri fervirſi dell'opera d'un'altro ſenſo , e di notizie , e di regole col
me. zo de'ſenfi parimente avvte . A queſte, e ſimili malagevo lezze ponendo
mente peravventura Ariſtotele , ne aven do altro rifugio dice, che ben può la
fagione giudicare del l'error d'un ſenſo colla ſcorta d'un'altro ſenſo , il
quale abbia però più ben fatto , e ſquiſito l'organo ; e fi ſerve egli per ciò
dimoſtrare dell'eſemplo dell'anello , il quale mello و IS2 RagionamentoTero
meſlo ſenza frámettervi ſpazio notabile ditempo, or nel l'uno , or nell'altro
dito della inano appare al ſenſo del tatto non uno , ma due eſſer gli anelli ;
il quale per error del tatto vien ſecondo lui avvertito , ed ainmendato dalla
ragione col cõſeglio del ſenſo della viſta: l'organo del qua le è più
eccellente di quello del tatto . Ma a chi per Dio un sì fatto riparo vano non
ſembra; poichè quancunque l'eccellenza dell'organo perfetta aſſai , e compiuta
ſia , nó ſarà mai valevole ad operare, che quel ſenſo non men degli alori non
vada ingannato . E per valermi del medeſimo p · lui rapportato eſemplo del
ſenſo della viſta, non s'inganna queſti , ſecondo cheporta opinione il medeſimo
Ariſtote. le , ne'colori dell'Iride , e delcollo della colomba; anzi ſe
poteſſero mai i ſenſi ad alcuna forte d'errore ſoggiacere , fi ritroverebbe per
tale , che ben ſottilmente vi badaſſe, affii più agevolmente ad errare il ſenſo
della viſta , che tutt'al tri ſentimentiincorrere . Ma lo forte mi maraviglio
poi , come non avviſaffe Ariſtotele , che ſoventemente l'errore del ſenſo , che
ha più eccellente l'organo , da un'altro fen fo , di cui l'organo è aſſaimeno
ſquiſito conoſcaſi , e cor reggafi; comeincontrarſuole nelremo dentro dell'acqua,
ove l'organo della viſta dal toccamento vien ricreduto, e ciò lo dico
favellando fecondo i ſuoi medelimi ſentimenti. E alla fine domáderei ad
Ariſtotele, ſe i ſenſi de'quali egli intende doverſi la ragione ſervire per
riprovar altri ſenti menti , ſieno anch'eglino tali , e ſe tali pur ſono ,
perchè cglino ancora non potranno eſſer fall? adunque mai potrà giudicar la
ragione appiccata allc lor pruove , c certamen te mal può convincer perſona di
falſità quel Giudice , al quale convenga dineceſſità valerſi di teſtimoni
ſoſpetti. E a ciò riguardando forſe Ariſtotele con la ſua uſata poca fermezza
in alcun luogo dice , i ſenli non potere in modo alcuno errare, cche ſia
debolezza d'intelletto i ſenſi per la ragione laſciare. Ma quantunque non
poſſano iſenſi , ne ſe , ne altri in gannare , non però di meno poſſono molto
bene allo in telletto , cui propianente il giudicar s'appartiene , effer 1
cagio Del Sig.LionardodiCapod. 153 cagione d'errore , e d'abbagliamento ;
ecomechè poffafig avventura l'inganno , o l'errore ſchivare col non precipi tar
coſto ,e inconſiderataméte il giudicio, ma ſoſpedédolo, e ritenédolo finattanto
che fiarrivi a quell'evidéza de’sē timenti , tanto , e tanto celebrata per
Epicuro : tutta fia ta ,perciocchè ne in tutticorpi,ne in ciaſcuna particella
di quelli, tra per la lor picciolezza , e per altro impedimento egli non è
a'ſenſid'internarſi , e di profondarſi conceduto, e quando ben loro ciò venga
permeſſo , ne men altro egli no certamente comprender ne potráno ſe non
ſecotali im preſſioni ſolaméte,che da quelliricevono , pchè no già mi ga i
corpi, ma qualche operazione ſolamēte de'corpi vien loro ad eſſer manifefta ;
ma la ragion poiè quella chedal le varie , e varie operazioni de'corpi , varie
, e varie core alla natura lor pertinenti imprende ad inveſtigare. Ma pera
ciocchè dell'operazioni medeſime, che per li ſentiinenti s'avviſano , varie , e
diverſe eſſer poſſono le cagioni , e nel trarne argomento vezzoſa talora , e
ingannevole loro ſi fa davanti Falfa di verità ſembianza , e larvä, agevolmente
la ragion vi s'inganna, giudicando fallaces mente ,da tale cagione un'effetto
naſcere,che da altra cer tamente avviene ; e come già cantò l'Ennio noftro Ita
liano : Veramentepiù volte appajon coſe, Che danno a dubitar falſa matera Per
le vere cagion , che ſono afcoſe, così s’alcun dicelle, che l'oriuolo collo
ſtelo , e colmare tello tratti da contrapeſi,e da ruote,n'additi l'ore del
giore no , vero per avventura egli direbbe ; ma non mai potreb be certaméte
affermarlo,potendo altri ed altri ſtrumentila medeſimacoſa operare . Perchè
ciaſcun fillogiſmo, che intorno alle coſe naturali formaſi,probabile ſolamente
ef ſer può , non già dimoſtrativo , ſe pur toglier non nevo gliamo alquanti ben
pochi, che da quegli effetti ſi dedu cono , i quali d'una ſola , e certa
cagione poſſono avveni re ; ſicome per avventura farebbe il dire, dover eſſer
ne V ceſke 154 Ragionamento Terzo ceſſariamente corpo ciò , che gli organi
de'ſentimenti ne muove ; concioſliecoſachè la coſa, che muove, a ciò fare è ben
di meſtier , che tocchi; e'l toccamento , ſalvo che da corpo ,non ſi può
incontrare: perchè ſaggiaméte Lucrezio: Tangere , vel tangi , niſi corpus,
nullapoteſt res. Così ancora , che'l corpo mentre egli è dimenſionato poſſa in
parti parimente dimenſionate eſſer diviſo . Che tra uno, &altro corpo eſſer
nó pofta altro di divario,ſalvo , che nella grandezza , nella figura , nel
moviinento, nel l'eſſer diviſo in parti, o non divifo, e nell'aver le parti ol
tre alle già dette vario il ſito, e l'ordine tra di eflo loro ;co
ciofliecoſachè altro di queſto non poffa, ne al corpo, ne al le parti , nelle
qualiil corpo ſia diviſo , avvenire . E però è da dire , la diverſità , che
così grande eſſer noi veggia mone'corpi dell'univerſo , altronde certamente non
pro cedere , che dalle coſe già dette , che'l calore , la freddez za , la
ſaldezza , il diſcorrimento , icolori, ei ſapori tutti , cd altre
ſomigliantiqualità , le quali a noi parc , che nc corpi dell'univerſo ſieno
jaltro verainente non ſieno , ſe non ſe ,o l'accennate coſe : ſe veramente
elleno ne'corpi ſono : e ſe ſono in noi, cffetti di quelle , o per me' dire de'
corpi per quellemodificati . Maqueiti ,e ſomiglianti argomenti ſon così pochi ,
e generali, che per lor non ſi può al vero conoſcimento di quelle particolari
cagioni pervenire , ove ſenza fallo, del 12 natural filoſofia il pregio tutto è
ripoſto . E ciò sì bene fu conoſciuto al principe di tutti greci filoſofanti
Demo crito , ed a molti ancorde’ſavjantichi, che perciò in ap portando le
cagioni delle naturali apparenze, delle fole probabili ragioni s'appagavano; e
ſaggiamente il Padre de Criſtianifiloſofi Agoſtino il Santo ebbe a dire:latet
ve rit atis quærenda modus; e'l gran Galileo de Galilei , che tanto abbiun
veduto a’dì noſtri gir dentro alle ſecrete coſe delle ſcienze, che al parer del
dottiſſimo Obbes : Primus aperuitvobis Phyfica univerſaportamprimam : pur dir
ſo leva eſſer pochiuimicoloro , che qualche particella di filo fofia ſi
ſappiano , e Iddio ſolamente ſaperla tutta , eche quan Del Sig.Lionardo di
Capod. 155. * quanto più in perfezione monterà la filoſofia , tantomeno merà il
novero di quelle concluſioni, che da quella dimo ſtrar ſi fogliono. E'l
celebratiffino fondator della peripa tetica ſcuola , avvegnachè talvolta
d'altro ſentir faccia veduta , pur tanta forza ha la verità , che gli potè purc
al la fine una volta trar di bocca , e far apertamente confer fare , eſſer la
noſtra mente alle coſe più manifeſte della na tura , qual'occhio di notturno
augello a'rai delSole ; e 'altrove , che diquelle coſe , che ſono a’noftri
ſentimenti naſcoſe allor baſtevolmente d'aver ragionato penſar dob biamo ,
quandoſecondo il diritto della ragione provevol mente , come eller poffino ne
ragioniamo. E quel Fio rentin filoſofo , c poeta fa , che ſecondo il ſentimento
del la ſua peripatetica ſcuola la ſua Bice gli dica , e facciagli a ſapere .
dietro a’ſenle Vedi, che la ragion ha corte l'ali . E innanzi parimente avcagli
colei detto : Erra l'opinione de'mortali Ove chiave di ſenſo non differra . Ma
non penſaron mai, licome far certamente doveano , o pure il naſcoſero , e Dante
, ed Ariſtotele, le naturalico ſe eller a' ſentimenti, non perla lontananza
ſolamente de gli oggetti, ma per altro ancora vietate , e che noicolsé ſo non
già le coſe , ma ciò , che in noi le coſe operino ſo lamente comprendiamo.
Verità aſſai ben penctrata da quegli antichi ſavj , che diſſero appo Aulo
Gellio : (1)om xes omnino res, que fenfushominum movent são osis , cioè a dire
, come egli ſpiega : nibil eje quicquam quod ex fefe conſtet , ncc quod habeat
vim propriam naturam ; fed om nia prorſum ad aliquid referri:taliaque videri
effe,qualis fit. eorum ſpecies, dum videntur: qualiaque apud fenfusnoftros,
quopervenerunt creantur,non apud fefe, unde profeeta sunt. Ma a che più da
filoſofi ,eda’Poeti mendicar teſtimonian zein coſa cotanto manifeſta , la qual
dalla verità medeſi ma ne fu ſpiegata per bocca del ſapientiſſimo Re Salamo V 2
( 1 ) lib.iLcap.i . ne : 0 m I56 Ragionamento Terzo ! ne : Omnibus, quæ fiunt
fubfole hanc occupationem pesſimam dedit Deus filiis hominum , ut occuparentur
in ea . Intellexi quod omnium operumDei nullam poffit homo invenire ration nem
eorum quæ fiunt ſubfole , & quanto plus laboraverit ad quærendum tantò
minus inveniet . Etiam fi dixeritſapiens ſe ea noſſe ,non poterit reperire. Or
qual contezza dunque aver mai potrà la incdicina intorno alle coſe a ſe
appartenenti,ſe quelle medeſime fo no , ove s'intralcia , e s'inviluppa
maggiormente la filoſo fia ? Ne in ciò la medicina , dalla filoſofia è
differente , re non fe quella in più largo campo forſe va ſpaziando, e nel la
contemplazion ſolamente , o ſemplice diſcorſo s'acche ta : e queſta ha per ſuo
fine, e berſaglio il porre in opera• Perchè ſicome la filoſofia , la medicina
ancora di pochili me coſe naturali conoſcer douraſi , e quelle forſe poco, o
nulla al medicar ſaranno acconce : intanto , che non ſap piendole non è gran
fatto per huom da curarlene. Ma per diſcendere in qualche particolarità,e far
quãto più ſi pof fa una tal verità manifeſta : non vi par’egli , o Signori ,
che alla medicina ſovra tutt'altre cofe farebbe di meſtierc,che gutte le parti
liquidc, e ſalde del corpo umano, e l'aficio le facoltà, e la natura ne foſſero
interamente manifcfte? or dove mai ne fa ſcorta la coſtruttura dello ſtomaco ,
degli inteſtini , del fegato , della milza, delle reni, della veſcica, del
pulmone , del cuore , delle glandule , le quali ſparte per tutto il corpo poco
men che innumerabili fono , ele più di effe di canta picciolezza,che fenza
l'ajuto del micro fcopio non ſi poſſon raffigurare , per tacer d'altre , e d'al
tre parti ; e quantunque a tal ſegno di perfezione eller giunta a'dì noſtri
veggiamo la notomia , che nulla più : nientedimeno non ſi è egli potuto , ne
men ſi potrà giam mai camminar ſicuro , ne determinare , ſe non ſe pochiſſi me
coſe intorno all'ammirabile magiſtero de' corpi degli animalized agli uficj,ed
alle operazioni delle parti di quel li.Ed a dir liberaméte il vero , licome
avvenir noi parimen te veggiamo , in tutt'altre partidella filoſofia , e della
me dicina dopo tante induſtrie, e fatiche durate, e dopo tan . ti ſparti ! Del
Sig.Lionardodi Capoa. 157 ti ſparti ſudori per cotanti valent’huomini,altro
alla firms non ſi è arrivato a ſapere,ſe non fe altrimente in verità an dar le
coſe di quel , che s'avviſavano , e davano a noia divedere gli antichi; e
comechè gliocchi de’modernino tomiſti dal microcoſpio avvalorati poco men che
lincei fie divenuti , eche eziandio colla ſcorta dell'avveduto Bilſio apparato
abbiano a fchivare alcuni intoppi aʼnotoiniſti de' vivi animali , per
l'addietro inſuperabili ; impertanto non poſsono in modoalcuno nelle
menomiſfime particelle pe netrare , le quali ſe non vengono ben ſottilmente
avviſa te , e ad unaad una diligentemente conſiderate , Io non ſo in qual modo
ſaper fi pofsa la fabbricazione,e la coſtruttu ra delle parti maggiori, che
ſenza fallo di quelle compo fte, e formate ſono . Perchè egli avvien ſovente
,dover noi in sì fatte bifogne camminare al bujo , attenendone ſola mente a
troppo deboli , e incerte conghietture , e per cal. laje inviluppate andando .
La inalagevolezza inedeſimi, anzi maggiore vienſi ad incontrar poi negli uficj
e nell'o perazioni dieſſe parti ; e quel configlio, che porger ne puote in sì
fatte traverſie il vital notomiſta , fia pur detto con pacedel Valentino , del
Paracelſo , c dell'Elmonte , quantunque grande , ofere ognicredere egli ſi paja
, e che torno d'ogni briga magnificamente ne prometta , fovente ſuole, per la
malagevolezza eſtremadella coſt, ſcarſo , e debole molto riuſcire , e talvolta
anche in tutto inutile ; il che da non altro certamente naſce , ſe non ſe dalla
troppo fquiſita, e dilicata finezza del lavorio de ' corpi degli ani mali . Ma
della fabbrica del cervello cotanto intralciata,e ma ravigliofa , Dio buono,
che han potuto giammai, o gli an richi, oimoderni Notomiſti di certo raccorre ?
non è ſta ta egli ogni lor fatica inutil ſempre,e vana , facendovi ma la pruova
la loro induſtria , e’l loro ſtudio ? Egli ſono le fi bre , che'lcervello
compongono , così minute, e ſpeſſe , e ſottili , e sì la for teſſitura , e
reticulazione è dilicata , e la lor ſoſtanza molle , che a volerle ben partire
fenza riſchio di romperle , o di perderle , inalagevole anzi impoſſibile : ogni
158 Ragionamento Terzo ) ogni impreſa rieſce . E sì, e tanto egli è ſpinoſa ,
ed intri cata, che'l gran Renato delle Carte reſtādovici anche egli tutto
inviluppato , e preſo, ragionevolméte quell' huom, ch'egli compoſe per molti
valenc'huomini vēne propiamé te idcale, e ſuo luomo appellato . Ma ſe tanto
avvien del. le parti grandi del corpo perciaſcun vedute , che farà cgli da dir
poi delle picciole , inolte , e inolte delle quali ha forſe la natura a
nobiliffmi uficj, ed operazioni deputate ? eci ha alcune di eſſe parti cotanto
menome , e ſottili , che non ha mano cosìſcaltra , ed avveduta , che poſſa
ſperar di venire a capo di dividerle co'l ferro giammai. E altre vi fono più
ſottili aſſaile quali appena per la lor sóma piccio lezza ſi poſſono col più
fino , eſottile microſcopio ravvi fare ; E di queſte ancora vi ſono altreminori
, e quaſime nomillime linee , nelle quali inutile ſi prova ogni arte , vano
ogni ſtrumento per ravviſarle . Ma chi mai potrà le particelle del ſangue darne
piena mente ad intendere , le quali ogni chimico ritrovamento per farne notomia
vincono ? Chiquelle del ſugo nutritivo , della linfa , del licor pancreatico ,
dell'orina,del fiele ,del la mucilaggine, che veſte le membrane, detta dal
Paracel . ſo finovia , e d'altre , e d'altre diſcorrenti ſoſtáze del cor po
delle qualiinfin’ad ora nulla ſe ne fa , ne ſe ne potrà giammai per avventura
per huom ſapere, comechè ſcorto, e diligente nel meſtier del far notomie egli
fia . E chi finalmente aggiugnerà a capire , ſe non ſe per in certe , e
fallabili conghietture , o la grandezza, o la figu ra , o'l lito, o'l movimento
di quegli inviſibili corpicciuoli, che ogni inenoma particella delle falde , e
delle liquide parti del corpo dell'animale compongovo ? E ſe ciò all'u mano
ingegno è naſcoſo , come potrà egli mai paſſar oltre a-ſpiarne le facoltà, gli
uficj, e l'operazioni , e tute'altre biſogne , che di neceſſità all'economia
degli animali s'ap. partengono . E come ravviſar mai potrafli , da chi , ed in
qual manie ra s'ingencri il Chilo , e comc, e per chi a cambiar ſi ven ga in
ſangue , e coine il ſangue ad ogni ora in tante, e tan te mae DelSig.Lionardo
di Capoa 159 te maniere ſi muova, e mai ſempre caldo ſe ne ſtea, e ten ga in
vita i membri tutti dell'animale , e come ſi faccia il ſenſo, e'l moto: e
cante, e tante altre operazioni,le quali non ſappiêdoſi, ne men certamente
conoſcer fi potrebbono gli ſtravolgimēti di eſſe,cioè a dire le malattie e
queſte igno rādoſi,come poi ſi potranritrovar certieſicuri argomenti da
riſanarle ? Ma per darvi anco qualche ſaggio dell'incer rezza degli
antivedimenti de'medici , ſe non ſi fa , ne può ſaperſi giammai coſa , che
certa , e ſicura ſia dell'orina , e de polli ,chi può indovinarmai, per Dio ,
non che ſalda mente ſapere, tutte quelle cagioni , per le quali eglino ,
malimamente ipolli, anche in un momento ſpeſſo ſpeſſo variando, così
ſtranamente ſi cambjno ? che direm poi de gli altri ſegnali della medicina ,
onde argomentar parimé. te ſogliono imedici le malattie , e le cagioni di eſſe
non meno de’polſi, e dell'orina , anzi aſſai più di queſti talora incerti , e
fallaci ? Certamente non mai potrà compren derſi perloro la qualità del inalore
, e la cagione argomé tare. Ed ebbero ſenz'altro il torto di sì fatti ſegnali
cotá to millantare i greci maeſtri, ſpezialmente Galieno, come ſi può ſcorgere
, per tacer d'altre ſue opere , in quellibro, ch'egli a Poftumo intorno a tal
materia ne ſcriſſe; che lo per me credo , che quelle , che a forec loro ne
riuſcirono , certamēte colcarbon bianco ſi ſarebbon potute ſegnare . De'cibi ,
e de’medicainenti, e delle loro facoltà , e valore nulla certamentenemen potrà
ſaperſi, nonſolo per defimi, ma per quel, che poſſano nel corpo umano opera re
. E comechè i Chimici più che tutt'altri d'aver delle già dette coſe più pieno
conoſcimento giuſtamente vantar potrebbono ; pure quel che ne fanno riſpetto a
quel che rimarrebbea fapere è poco , anzi nulla . E ſon di vantag gio tutte le
pruove non altro , che probabili , e poco ſalde conghietture ; perciocchè , non
ſolamente imcitrui(liami pur lecito al preſente uſar termini dell'arte ) ma
l'aria an cora , e'l fuoco , e ivaſi, e tutt'altri ſtrumenti , che vi s'a
doperano, ragionevolmente d'errore , e d'inganno pofſon render ſoſpetta ognilor
più diligente , e accorta notomia, ſe me 1 con 160 RagionamentoTerzo ne ſeco
conmeſcola per entro a'corpi, che ſi dividono qualche lor particella , che
magagni , emuti la lor compleſſione i E mallimamente l'aria, in cui tanti,e sì
diverſi corpicciuo li diſcorrono ; i quali dalla terra , e anche altronde melli
fuora , e infra quelle monome particelle del corpo diviſo per avventura
meſcolandoſi , agevolmente le potranno in altre cambiare. E'l fuoco d'altra
parte introducendovial cune di quelle particelle , licvi , e ſottili , che
rubate ad altri corpi ſuol con leco ſempreportare ; o pur portando per li pori
del vaſo le medelime particelle delcor po del quale ſi fa notomia , e
maſsimamente le più nobili, ele più operative , che in eſſo dimorano : comechè
la boca ca del vaſo ſia bene, e come dicono, ermeticainente turata ; o purcolla
ſua forza nel digeſtire , e nel formentare , e nel lo ſceverare,ch'egli fà le
particelle del corpo , del qual li fa notomia , diſponendo altramente quelle ,
e altramente meſcolandole , e dando lor movimento , per nulla dirdel. la
grandezza , e della figura loro per eſſo diverſamente cambiate . Perchè fe
tante , e tante cagioni poſſono alla fotomia delle coſe intervenire,come potrà
egli mai ilChi mico notomiſta co'ſuoi argomenti vantuti dipienamente ,
conoſcerle : Anzi tanto egli ne ſaprà meno, quanto mag giormente
faticandovil'havrà guaſte, e ſconce. Adunque ſe vaniancora , e infruttuoſigli
avviſi , e gli argomēti de'più intimifamigliaridella natura ci rieſcono; e ſe
nulla approda la più diligente , e ſottil notomia delle coſe a ſpogliar dalle
dubbietà , e dalle incertezze la noſtra Medicina : Io per mè non ſaprei qual
conſiglio prender mi doveſſi a dichiarirla dalle ſue nubi . Ne è da tralaſciare
a queſto propoſito quanto agio s’a veſler preſo i Medici
filoſofantidall'incertezze della me, dicina a ragionar ſovente , e piatir nelle
ſcuole or d'una , or d'altra parte, più per vaghezza d'ingegno, che per amor
della verità , difendendo tutte opinioni, ed ove lor con cio vi ene ,
giudicando non altrimenti che quel ſottiliſſimo filoſofante Pittagora
faceaveder della filoſofia de omni re pervalermi delle parole di Seneca ) in
utramque partem diſpu 1 1 Del Sig.Lionardodi Capoa . 101
difputaripoleexaquo.Perchè nõ è da maravigliare, ſe Dica nilio Egeo prendendo a
difender cento contrarie opinioni in altrettanti capi partite , diede a diveder
manifeſtamente l'incertezza di cotal arte . Il primo capo delle ſue conte ſe
ſiè,che egualméte dal padre,e dalla madre fiinādi fuo ra il ſeme a ingenerar
gli animali. Il ſecondo , che non d'ambedue ſi mandi. Il terzo, che ſi mandi da
tutto'l cor po . Il quarto , che iteſticoli ſolamente v’abbian parte . Il
quinto , che'l cibo nello ſtomaco per opera del calor ſi (maltiſca. Il ſeſto ,
cheno . Il ſettimo, che ciò ſia per lo ſuo sfacimento , e ſtritolamento .
L'ottavo , che no . Il nono ,che ſia dalnativo fpirital calore . Il decimo ,
che no . L'undecimo , che per lo corrompiincnto del cibo fia . Il duodecimo ,
che no. Il tredecimo , che avvegna per propietà de' ſughi. Il quartodecino, che
no . Il quinde cimo , che il calor natio a qualità s'appartegna. Il ſede cimo ,
che no . Il diciaſettefiino, che per lo calore avve gna la digeſtion de'cibi.
Il diciaotteſimo, che no . Il di ciannoveſimo , che la diſtribuzion de'cibi lia
per attraimé. to di calore . Il venteſimo , che no . Il ventuneſimo , che dagli
ſpiriti la digeſtion ſi faccia . Ilventidueſimo, che no . Il ventitreeſimo
cheper opera dell'arterie ſi digeſtiſca Il ventiquattreſimo, che no . Il
venticinqueſimo, che ciò ſia permancamento a vuoto accompagnato . Il venteſimo
feſto , che non per ogni mancamento eglilia . Il venzette. fimo, cheil glauco
degli occhi per mancanza d'alimento al condotto viſivo s’ingeneri. Il
ventotteſimo, che no. Il ventinoveſimo , che quel naſca per diſcorrimento di
fan , gue nelcondotto vilivo . Il trenteſimo , che no . Il tren tuneſimo , che
dalla graſſezza degli umori , e dalla eſala zione ſi faccian gli occhi glauchi.
Il trentadueſimo, che no , Il trentatreeſimo , che la freneſia dal
diſtendimento delle membrane del cerebro , e dal corrompimento del ſangue fi
cagioni . Il trentaquattreſimo,cheno . Il trentacinque fimo , che per
ſoverchianza di calore ella non avvegna . Il trentelimo fcfto, che no . Il
trenzetteſimo, che per infiam magione ella ſia . Il trentottelimo , cheno . Il
trentano X volimo, : 162 Ragionamento Tero 1 1 velimo, che da infiammagione ſi
cagioniillecargo. Il qua ranteſimo, che no . Il quarantuncfimo, che per
diſtendi mento , e per corruzione egli ſia . Il quarantadueſimo che non già per
ſoverchianza , ma per la qualità dell'eſa lazione avvegna. Il quarantatreeſimo
che la fames e la fere ſia di tutto il corpo . Il quarantaquattreſimo, che,
dallo ſtonxaco folamente provenga. Il quarantacinqueſia mo , che ſia ſol nel
penſiero , e nell'immaginazione . !! quarantefimo feſto , che la ſete per
diſſeccamento s'accen da . Il quaranzetteſimo,cheno . Il quarantotteſino, che
nello ſtomaco due diverſe operazioni ſi facciano . Il qua rantanoveſimo , che
no . Il cinquanteſimo , chedalla pelli cella dentro dal cerebro traggano il lor
principio i nervi . Il cinquantunelino , che'l traggan da quella di fuora . Il
cinquantadueſimo, che le parganti medicine operino per lo corpo fpargendoſi. Il
cinquantatreeſimo, che colloro fcorriincnto folamente , ſenza fpargerſi vuotino
. Il cin quantaquattreſimo , che da uſar fieno purganti medica nienti. Ilcinquantaciirquelimo,
che no.Il cinquantefimo fefto ,cheda ſegnar fia . Il cinquāzettefimo , cheno .
Ilcin quattrotteſimo,che ſia da dare a febbricoli il vino. Il cinquá
sanoveſimo,che no . Il ſeſsãtefimo,che adoperar debbano il bagno. Il
ſeſsātnneſimo che no.Il feſtancaduelimo,che nell' accreſcimento de’nrali fia da
far if crifteo agl'infermi. Il fola sātatreclimo che no.Il feſsátaquattrefimo,
che in ſu’l prin cipio delle malattie fan da uſar leunzioni. Il ſeſsátacinque
fimo,che no.I)fefsātefimo fefto ,che nella teſta poſſanoado perarſi i
cataplaſini. Il fellazettelimo , che no ; ma ſola mente vi li debbano porre
coſe odorifere . Il feflantotteli mo,effer giovevoli quelle coſe , che muovono
a vomito . Il fefsancanoveſimo , che no . IHfettantcfimo , che dal cuor fi
dirami al corpo ilſangue . Il fettantunelimo , che no . Il ſettantadueliino,che
gli fpiriti dal cuorfi mandiitos ne dall'arterie ſien tratti . Il
fettantatreeſimo , che no . Il fettátaquattreſimo,che da per ſe il cuor ſi
muova.Il ſettan tacinquefimo , che no . Il ſettantelimo ſeſto , che l'arterie
per lor natura ſieno ſtanza del ſangue . Il ſettanzetteſimo , che 1 Del Sig.
Lionardo di Capoa 163 che no. Il ſettantotteſimo, che tuttii vali che
ſopraſtano, e gonfiano , fieno ſemplici. Il ſettancanoveſinio , che i
ricettacoli ſieno invoglie inteſſure. L'ottantelimo, che per mezzo
de'nervifacciali il ſentimiento , el moto . Lottan tuneſimo , che no .
L'ottantadueſimo, che'lcuor fia prin cipio delle vene. L'ottantatreeſimo,che
no. L'ottantaquat trelimo, che ſia il fegato . L'ottatacinqueſimo , che no .
L'ottanteſimo ſeſto che ſia il ventricolo . L'ottázetteſimo, che no .
L'ottantottelimo, che tutti i ricettacoli ſi dirani no dalle pellicelle, che
veſtono il cerebro. L'ottantanoveli mo , cheno . Il nonanteſimo , che'l pulmore
ſia priucipio dell'arterie . Il nonantunefiino , che no . Il nonantaduefi ſimo
, che quell'arteria , la quale ſta preſſo alla ſpina , ſia di tutt'altre
arteric capo. Il nonantatreeſimo , che no . I nonantaquattreſimo , chedal cuor
naſcano tutte larteric . Il nonantacinqueſimo, cheno . 11 nonanteſimo feſto ,
che dalla membrana del cerebro traggano i nervi origine, non già dal cuore . Il
nonanzcttcrimo , che no . Il nonantot tcfimo , che non nel cuore , ma nella
teſta la potenza it tellettuale dimori . Il novantanoveſimo , che nelcuore . Il
centeſimo , che nel ventricino del cerebro ella ſia . Ma di cotante rivolture ,
e mutamenti d'opinioni, e di ſentimenti certamente egli non è da maravigliare,
ſe tanto forſe avrebbe ancor fatto Galienomedeſimo , ove in con cio gli foſſe
venuto . E di ciò egli ſteſſo ne' ſuoi libri ſi vā millantando ſommamente di
poter improvviſo cial cuna ſerta dc'medici de' ſuoi tempi a buona ragion difen
dere . Perchè ſe dir non vogliamo , eſser egliſtato Galie no un riottofo giuntatore
, o berlingatore ſofiſta , che co' ſuoi fiſicoſi aggiramenti per diritto , e a
torto il tutto a di fender togliendo , uccellar n'aveſſe voluto, convien di ne
ceflità affermare , ciaſcuna ſetta de'ſuoitempi anche ſeco do il ſentimento di
lui eſsere Itata igualmente ragionevo le ; e conſeguentemente a niuna certezza
eſſer la medi cina appoggiata . EccmechèGalieno ciò dimenticando vanti fovente
di poter far pruova de'luoi detti, avendo sé pre in lor concio nuove
diinoſtrazioni ; non però di meno X 2 (il ci ta , 7 164 Ragionamento Terzo il
dirò pur con buonapace di lui) le ſue millanterie row vente ſogliono in
vaniſimo vento riuſcire. Anzi egli me deſimo dimentendoſi talvolta , e in più
luoghi contaſtan doſi, ne fà della fua beſsaggine , e della fua poca fermez za
avvedere . Quid enim , dice di lui ſtizzoſamente gridan do il Giuberti , quid
enim in Galeni fcriptis frequentiusoc currit , quàm ipſumplerumque videre, quod
alibimultis ra tionibus fueraidemolitus,id conſtantiſime afferere ? ERi nieri
de'Solenandriznon men delGiubcrti della dottrina di Galieno intendentiſſimo,
così parimente avviſollo . Gale nus , quiuberrimo ingenio fuit , ca oratione
liberali ferè prodigus , innumeros propè confcripfit libros: in quibus rerü,
&dogmatum multitudine plurima ſuntdiſcrepantia , nec fo bi ipfis
conſentientia ; quafi quis attentè cum judicio legit ,fi quis diligenter in
unum colligit , ingens chaos agnoſcit. Ma lo dirò di vantaggio ( il che non mi
ſarebbe per av ventura peralcun creduto, ſe con l'autorità del medeſimo Galicno
Io non gliene facelli certa , e ben falda pruova ) che ſe ancor la medicina
foffe dattanto , che a ſaper dicer to molte , e molte di quelle coſc
aggiugneſſe , le quali per addietro dicemmo eſſer di quelle ,chein quiſtion
cadono tutto'l giorno , e più altre affai: ne meno alla ſicura nell’o perar
ſarebbe ; abbiſognado a tale effetto, ſecondo Galie no , che molto bene in
prima la propria natura , e com plexió di colui ſi conoſceſse, il quale ſarebbe
da medicare. il che ſecondo, che cgli medeſimo apertamente confeſſa , non ſi
può per partito alcuno baſtevolmente giammairav viſare , Ma ſe sì poco da noi
in medicina per la ſua dubbiezza è da avere a capitale la ragione, non però
dimeno e'non creda alcuno , che ſicura nc fia la ſperienza ;anzi per mag giormente
incerta, e dubbioſa più avanti per noi ſarà mo Itrata . Perchè ſeguiranne poi
ſicuramente , che non purla sagione dalla ſperienza accompagnata,valevol ſia a
render certa , elicura la medicina ; concioffiecofachè verifimile a veriſimile
accozzádo ; e no certo a non certo, e per lunghi argométise pruove che vi ſi
aggiugono, non potrà mai, che I cer DelSig. Lionardo di Capoa 105 .1 } certa ,
e incontratabil fia , ſicuramente riſorgerne. Magià ſi è per queſte , e per
altre coſe addietro diviſa te veduto a baſtanza , e con quanta diligenza per
noi li è potuto la varietà delle ſette della medicina, e le diverſe ; e ſoventi
fiate contrarie inaniere del medicare , e la varieră dell'opinioni , che
fra’mnedicanti di tempo in tempo ſono venute in sù , non da altro, che dalla
grandiſſima incertez za dell'arte pervenire ; egli forza fit, ch'al preſente
fati gi per noi ſi duri in eſatninar le letto della medicina come già
proponemmo , ed intorno a quelle i noſtri fenti menti ſpiegare ; quantunque a
chi attentamente voleſse alle parole, che fino adora di tutta la medicina
breveme te abbiam fitto , riguardare, non farebbe forſe meſtieri più
diſtintamente diviſargliene , potendoſi ognuno a ſuffi cienza accorgere , ſe
giammai un'arte così dubbiola , in coſtante , ed incerta poſſa avere in ſe
dottrina , o principi tali , che su vi poſſa huom porrealcuno ſtabile fondamen
to , e ſicuro . Ma per dar cominciainento dalla volgare Empirica , chiamata
imperfetta , è ella certamente la più copioſa, c abbondevol di ſeguaci, che tutt'altre
ſchieredi medicina unite inſieme, e rannodate fi vantino giamnsai d'arrollare ;
infanto , che dir potrei, come ad altro pro polito il noſtro lirico, Non ba
tanti animili il far fra l'onde, Ne lafsio fupra'lcerchio de la lung Vide mai
tante ſtelle alcuna notte , Ne tanti augeili albergan per ti boſchi, Ne
tant’erbe ebbe maicampo,nepiaggia . Onde ebbe ragionevol cagion di dubitare
colui , ſe più coſtoro ſi foſſero , o l'infinita ſchiera degli ſciocchi; ne ba
fa tutti interamente a comprendere quel volgar diſtico, Fingitfemedicumquiſquis
idiota profanus, Iudæus .... hiſtrio , rafor , anns. E ben diſſe il Carlectone
: Medicos ſe fingunt quoque Rizo tomi , Seplaſarii , fordidi
Balneatores,triobolares Phleboto matores,fpurcidici Lenones,indo&tiparochiaram
Sacrificuli, favella egli de’miniſtri della falla ſciſmatica Chieſa In 1 3 ghi
166 Ragionamento Terzo ghileſe , de'quali fa parole altresì , e forte ſi duole
il Pri meroſio ) Chymiſte carboniperdes , audaculi Edentato res, impudentiſſimi
V romantes , veteratores Fatidici , lj bidinoja obſtetrices 231Sádes, a pre
cæteris omnibus perfi da illa , ingratifimaque impoſtorum gens , Pharmacopo le
; qui ſuntin Rep. agrorum pernicies,reimedicècalamitas, & Libitin &
præſides . Che più , fe toccar quaſi co’mani l'innuincrabil torina di sì farti
medici al Duca Nicolò da Ferrara il motteggevol Gonnella , allor , che nel
novero di coloro , oltre allamaggiorparte della Città, il medeſimo Duca
arrollando ripole ; ed egli era così celebre , e ftima to tanto in quella Città
la volgare Empirica, che molti , e molti de'Razionali inedici oltreinodo
godeano di militar ſotto le ſue inſegne . Maper Ferrara medicando quanti Veggo
andar io , che barbagianni funo Ridicoli , ineſperti , ed ignoranti : Che non
ftudiar d10 anni , fur a ſuono Digran campana alzati al dottorato Per amicizia
o per promeſſo dono : Che ne Ariſtotel mailejer,ne Plato, Ne Avicenna , o
Galien , ma due ricette, E le regole appena del Donato. Ma ciò permio avviſo ,
non altronde certamentewviene, che da una tal naturale inchinazione, che
ſempremai inver la medicina par che tuttiegualmente abbiamo , e del co prender
quanto quella ne abbia ad ogn’or luogo tra per noi medeſimi, e per gli amici ,
e per tutt'altre perſone del mondo . E perciocchè ad interamente apprenderla, e
ado perarla , qual veramente fi conviene , di grandiflima fiti ca , e di ſudore
non ordinarione fa meſtiere , ciaſcuno, co me il meglio puote malmenandola , ed
abborrandola , in pochi giorni l'appara , e ſenza troppo diſagio la mette iz
opera . E in vero cotalforte di medicina è molto agevole a imprendere , e
ſovente dinon poco pregio , eguadagno Suol eller cagione ; perchè parecchj
diigraziati,cuile robe o per nanfragj, o per fallimenti mancarono, o a giuochi,
4 o dic DelSig.Lionardo di Capoa 167 o dietro a feminine diinondo , o nelle
follie dell'Alchimia vanainente fcialacquaronle , ſtenchi alla fine ,eigannati
ri courar ſoyére al ſicuro porto d'una tal medicina ſi veggo no . Ed ora mi
ſovviene di quel gran miniſtro di ſtato , il quale avédo perduti có la grazia
del ſuo Principe ache tut ti gli avanzi delle ſue miſere fortune, diedeli
ultimamente lo Igraziato a compor ballotte da medicina , e ſpacciarles a
prezzo,qual vilisſimo pancacciere, ſoſtentando così l'in felice ſua vecchiaja.
Ma non fa meſtier , che intorno a coſtoro lo troppa brin ga mi prenda in
manifeſtar le lor beſsaggini, e i loro erro ri ; che purtroppo chiaramente per
ciaicun ti conoſce quanto eglino ſempremai ciecamente medichino , ed ari fchio
, ed a ventura ; non ſappiendo talora ne men groſsa mente , econfuſamente i
ſegnali delle inalacrie , non che la natura di quelle ; perchè convien poi loro
nel diviſare, e adoperarc i medicamenti andar ſempre atatone , con af pettarne
, timoroli, gli avvenimenti. Maggior fatica fen za fallo rimane in dar giudicio
della perfetta Einpirica ; la qual per le ſue regolate maniere di adoperare ,
nelle qualianifeftamente ſi ſcorge aver qualche ſcintilluzza di ragione ,puofſi
in certo inodło covenevolméteRazionale Empirica chiamare ; conciolliecoſachè la
perfetta Empi rica inedicina ſopra uma falrima baſe aver ſembri le ſue
fondamenta, che è la fperienza , non folamente per la baſ. fa gente, ma per
gl’ifteli medici raziunali cotanto ſtimata , e a capital tenuta : che
apertamente talora, e in ifcritto , e in voce una delle due colonne della
medicina chiamarla fogliono ; eſſendo l'altra , fecondo lor ſentimenti la ragio
ne . Anzi huomini chiarillimi diqueſta medeſima ſembra glia de'Razionali cotáto
agli Empirici nemica (tra’quali fur Eraclide da Taranto medico , e filoſofo di
sì gran fapere, ecosì nell'arte eſercitato , che agevolmente e' li puotè ad
ogni più eccellére medico greco paragonare) abbadonādo la lor fetta Razionale e
laſciate affatto le ragioni alla fola ſperiéza degliEmpirici ricoverati alla
fine ſi rifuggirono ;ed altri comechè perſeverino nella ſetta de'Razionali,pur
ma nifc 168 Ragionamento Terzo niſeſtanente confeilano eſſer ſoventi volte da
antiporre la ſperienza alla ragione ; e dicono , che ove d'una parte la ragione
, e d'altra la ſperienza il contrario ne perſuadono , che allora il medico
laſciar debba affatto la ragione , e la ſperienza ſolamente ſeguire. Ed infra
filoſofi di grido Ari ftotele apertamenteconfeffa , all'arti tutte aſſai più di
con cio , e d’utile la fperienza recare , che la ragione , e che'l medico
maggiorinente in pregio ſormonti nel far pruova continuo degli ammalati, checon
beccarſi tutto giorno il cervello ne’libri . E quel ſcrittore , che col ſuo acu
tilimo intendimento ſi ſeppe così addentro innoltrare ne gli affari del mondo ,
avvisò , la medicina non eller altro , che ſperienza fatta dagli antichi medici
,fopra la quale fosi dano i medici preſenti i loro giudicj; ma prima dilui avea
detto Quintiliano,medicina ex obfervasione falubrium ,atq ; his contrariorum
reperta eft , & ut quibufdam placet,tota co hat experimentis ; nondimeno
l'Empirica medicina , non che abbia giammai nulla di certo , anzi ſoventi volte
in graviffimi errori traſcorrer ſuole , laſciandoſi oltre al dove. re alla ſola
ſperienza ciecanente guidare ; la qual come Ippocrate grandiffimo
ſperimentatore avviſa , ſovente è fallace,e vana . E in vero ſe la ſperienza è
ricordo di quel le coſe,le quali più d'una volta ſtate ſono oſſervate , chi
oſerà mai certamente affermare , che ciò che più volte av venne , debba poi
altre , cd altre volte ſomigliantemente avvenire ? Certamente niuno , ſe non
colui ſolamente , che inveſtigatane la cagione , onde quelle volte già que gli
effetti avvennero,delle ſeguenti riuſcite ragionevoli ar gométi potrà cavarc;
delle quali cagioni , ſe le medeſime ſaranno , certamente nc ſeguiranno i
medeſimi effetti , ma ſe peravventura non ſaran deffe,o quanto diverſi,e
varjef. ferti uſcir ne potranno; ſenzachè la medeſima cagione per la diverſità
delle molte circoſtanze , che l'accompagnano , non ſempre ſuole i inedeſimi
effetti produrre , ina diver ſi , ſecondo la diverſità delle perſone ,
de'luoghi, c d'altre coſe , che vi concorrono , Alche ficome in tutte ſcienze è
ſommainente da riguardare , così non è da traſcurar punto DelSig.Lionardo
diCapoa. 169 1 I punto in medicina: nella quale avviſaſi a giornate , noul
ſempre i medeſimi mali dallemedeſime cagioni avvenire : non ſempre congiurar le
medeſime circoſtanze in mante ner le medeſimemalattie : e finalmente non ſempre
que, mali , che i medefimi eſſer ſembrano , effer veramente ta li, quali ſi
pajano ; concioſliecoſachè i ſegni tutti e gli in dizj, pe'qualicomprender ſi
poſſono,ingannevoliſovente, e fallaci fieno , facendo veduta d'eſſer
manifeſtamented un male , il qual poi tutt'altro ſarà di quel , che noi alla
prima faccia argomentiamo. Ma ne meno giudicar puoſ, fi con piena certezza , ſe
ſia ſtata opera del medicamento il migliorare,e'l guarirc dello infermo ;
imperciocchè tal volta dalla ſola natura del malato , o del male ſuole ava venire
; ed altri pur follemente immaginerà , eſſere dal ſuo medicamento ſolamente
ſeguito . E allora più mala gevol ciò, e intralciato ſi rende, quando
all'ammalato più d'un rimedio ſi porge ; perciocchè allora non può age.
volmente imbroccarſi, qual di que’tanti medicamenti ab bia per avventura
all'inferno approdato. Ma tacciaſi al preſente di ciò , che di leggier forſe po
trebbeſi ſchivare , comealtresì è da tacer della credenza , la qual ſenza
manifeſto riſchio d'errore non ſi può piena mente alle ſtorie degli ſcrittori
preſtare : coſa la qual già tanto contra gli Empirici rimproverarſuole Galieno
. Ne meno faticheremo in dir cola alcuna intorno al paſſag gio , che da parte a
parte far fogliono gli Empirici , e dal la ben compoſta analogia di male in male
; che ben ciaſ cuno a prim'occhio potrà agevolmente comprendere,quã. to
ftrabocchevole, e inviluppata ſia la lor dottrina , e d'e videntiſſimi riſchj
tutta ripiena . Manon fia forſe fuor di propoſito il rapportare al preſente ciò
che della ſperienza un graviſſimo autore , e più , che altri per avventura in
quella eſercitato ne manifeſta dicendo ,eſſer la ſperienza in man del medico ,
non altrimenti , che il cuor di bella donna in mano di fido amante; il quale,
quádo più immagi na di tenerlo ſtretto allora quello in altrui inani ſe n'è vo
lato . Verità anchemolto ben conoſciuta all'avvedutiſſi. Y moje 170
Ragionamento Terzo mo , e faviſſimo ſperimentator de’noftri tempi Franceſco
Redi; il quale ſcrive trovargiornalmente, che le ſperien ze più malagevoli, e più
fallaci lien quelle, le quali intor no alle coſe medicinali fi fanno . Ma
volete voi , ch'lo brievemente vidia a diyedere quanto vana , e fallace ſia
nella medicina la ſperienza ? Ella non ha mai potuto ne pur una delle famoſe
quiſtioni appianare, che mai ſempre le penne de'medici tengono affaticate . Ma
riguardando i maeſtri, e fondacori della Metodica medicina all'incertezza
dell'Empirica : e d'altra parte av viſando quanto la Razionale in ſu le
fanfaluche degli ar gomenti, e delle ſofiſticherie vanamente s'aggiri : vollero
ſolamente a certe poche coſe veriffime, e manifeſte del tutto appiccarfi, e
quivi l'arte tutta della lor medicina piantare. Eglino a due foli generi i mali
tutti del mondo riſtringono : uno de'quali diſcorrente , e l'altro ſtretto chiamano
. Naſce il diſcorrente allora, quando i pori del corpo fon ſoverchiamente
allargati , e fatti maggiori aſſai di quelli, che in prima erano ; o quando
altri nuovamen te accreſciuti glie ne ſono; e lo ſtretto allo incontro è quż do
le parti oleremodo ſtrette infra loro , e congiunte lì ſo no , perchètalora , o
più abbondevolmente , o più di ra do li vuota il corpo . Quinci eglino due
forme di manife fti indizj di ciò , che far li dee argomentar fogliono : una di
ſtrignere , ed una di allargare : e queſte chiaman comu nità curative , e
quelle paſſive; aggiugnendovi di vantag gio le comunità temporali, cioè a dire
il principio , l'avā zamento, il vigore, e lo ſcemo della malattia . E percioc
chè il male talvolta d'amendue le prime comunità con polto effer ſoglia , cioè
diſcorrente inſieme, e ſtretto : vo gliono allora i metodici , doverſi la cura
alla maggiore , e più ragguardevol parte ſolamente indirizzare . E tanto
baſtial preſente aver de’loro principj accennato ; chi più addentro ne vuol
ſpiare,leggane più diſtintamente in Ga lieno , e Proſpero Alpini , il qualcon
lunga fatica accolſe inſieme, e ragunò tutti gli avanzi dell'antica Metodica
medicina , e di difender quella con cutta forza oſtinata medite i DelSig.
Lionardodi Capoa 171 ſenza troppa mente ſi ſtudia ; ma non puote però per
fatica, che v'ado: peri far sì,che non rieſca malagevoltroppo,ed intralcia to
a' curioſi l'apprenderne intera la dottrina ; concioſie coſachè alcune coſe ,
poco forſe bene, e fedelmente egli rapporti; ed in altre faccia meſtiere andar
pur tentone , ed alla cieca . Ma lo quanto è a me , voglio al preſente più di
Galie no medeſimo eſſer liberale a'Signori Metodici , e conce der loro di
vantaggio molte, emolte di quelle coſe , che fatica durare , agevolmente negar
loro po trei . Sien pure , com'eglino s'avviſano , le comunità cut te manifeſte
, e piane , e a quelle nulla mai oppor ſi poſſa: or come, e in qual modo
baſterà ciò ſapere per prender aº mali conſiglio , ſenza più oltre ricercare
argomenti a ciò opportuniz ma eglino nel medicare ſi laſcian pure allora
ciecamente trarre alla ſperienza ; adunque eglino anco ra in ſembraglia
de’Razionali, e degli Empirici andando alla ventura , e facendo argomento dall'
incertezza degli avvenimenti , manifeſtamente talora inceſpando traripa no . Ma
ciò traſandando,ſia pur da curar malattia di ſtret tezza , come di poftema , o
d'altro ſomigliante malore , che di allargamento abbia biſogno : manifeſta coſa
è,che la materia ingozzata , e rattenuta in qualche luogo della perſona;cotal
ſtrettezza cagioni ; ed acciocchè poſſa li beramente far punta , ed uſcir
fuora, conviene in primas, che la durezza liſciolga , ed ammolliſca: ed altro
s'impré da con argomenti a ciò fare valevoli, & opportuni . Or come potrà
mai ciò ſeguirc, ſe non ſi ravvili in prima , di qual natura ſia la materia
indurata, acciocchè poi libera mente il ſuo vero , ed acconcio rimedio trovare
, ed adato tar viſi poſſa : O forſe ciò , che ſcioglie una ſoſtanza,co sì
ſomigliantemente tutt'altre ſcioglier puote? anzi talora in contrario da quello
indurar le veggiamo, Limus, ut hic durefcit, bæc ut cera liquefcit V no,
eodemque igne: Ed ecco brievemente abbattuta a terra l'evidenza de Metodici ;
ecco , che pur convien loro entro i confini de? 1 1 Y 2 Ra 172 Ragionamento
Terzo Razionali medici alla fine ricoverare . Ne più intorno alla lor dottrina
impiegherovvial preſente parola . Ma delle ſchiere Razionali degli antichi
Greci così ſcarſe rimaſe ſono appreflo noile memorie , che non v'ha luogo
alcuno di diviſarne, non che d'abburattarle , o per avventura riprovarle; anzi
ne men ſaper certamente por ſiamo , chi mai ſtato fi foſle il primiero
tra'Greci , cui foſ ſe venuto fatto di dar principio alla Razional medicina , e
ciò chealtrove andato ſe n'è per noi ricercando , non li è potuto ancora così
rinvenire , che foſſe valevole a to gliere ogni dubbietà . Ma non è egli però
da porre in for ſe , ove ſottilmente la coſa ſia riguardata, che la Razional
medicina da tempi aſſai più lõtani di quel, che per avven tura comunemente
s'eſtima, tragga la ſua origine ; e forſe forſe ella è sì antica , che non pur
ne convien dire , ch'af fai prima della volgare Empirica ella naſceffe , ma
chel Empirica volgare ſia della Razionale , anzi, che no giove nil parto , e
creatura ;la qual coſa in sì fatta guiſa leggier mente noitoccheremo . Quelle
coſe onde diſcacciar ſi ſogliono talora da' corpi le malattie , e che rimedj
comunemente ſi chiamano, con vien dineceſſità , che tutte da ſe ſteſſo l'huomo
le im prenda ( non avendo altri ch'inſegnar gliele poſſa ) natu ralmente , da
alquante poche in fuora ſi alla medicina non fanno , le quali gli vengono da'
bruti animali dimoſtre ; ma può tali medicamenti l'huomo ap prendere , o a caſo
in effi abbattendoſi ; o col diſcorſo in veſtigandogli. E
concioffiecoſachèrariſien quei rimedi, che a caſo ritrovar ſi poſſano ; nc
ſembri veriſimil punto , che le tante erbe , e radici, onde negli antichiſſimi
tempi, non pur le ferite , ma gl'interni malori altresì medicavan ſi ,
veniſſero a ſorte lor conoſciute ; rimane adunque, che per la più parte dalla
ragione i medicamêti ftati fieno ſco verti . Ma come que'primi rozzi huomini
per queſta via aveſſero potuto rinvenir le sì varie virtù de'medicamen ti , non
è coſa molto malagevole per avventura ad inveſti gare,ſopratutto cui voglia pormente
a'bruti , e andar mi > che nulla qua nutamen DelSig.Lionardo di Capoa. 173
nutamente ſpiando come tutto di s'adoperino in ritrovar le medicine perloro
malattie . I brutistutto che d'anima ragionevole privi, pur nondimeno oltre a'
ſenſi , ſi trova no di tutto ciò , che a lor fa meſtiere a comprendere le ;
coſe neceſſarie al proprio mantenimento, baſtantemente provveduti
,anziabbondevolmente dalla larga , e prodi ga mano della natura arricchiti .
Vengono talora agli animali le medicine dal caſo di moſtre , comedel Dittamo ,
erba crinita , e di purpureo fiore , avvenir ſuole , eſca oltremnodo gradita ,
e foave al palato delle capre ; onde ſoventi fiate ſavoroſamente la paſcono ; e
ravviſando elleno , che ſe mai ferite vengano da' cacciatori dopo haverla
poc'anzi paſciuta ,dalla fe . rita , allora Volontario per fe loftralſe'n eſce,
ſi riſtagna di preſente il ſangue , e ractamente ſe ne fugge il dolore : ad
ogni ora poi,che ferite ſi ſentono, a paſcerlo frettoloſe ſe ne corrono ; e per
queſta da noi menzionata ſtrada , e non già per quella del ſognato , e favoloſo
iſtin > to , . maſtra natura alle montane Capre ne inſegna la virtù celata
Qualor vengon percole , e lor rimane Nel fianco affilala faetta alata ; e a
queſto medeſimo modo fors'anche addottrinati De la Scimmia il Leon languente,
ed egro Avidamente cerca il feropaſto; E beve il Pardo de la Capra il ſangue,
Epafcei ramofcei d'oliva il Cervo; perocchè eſſendone cibati a caſo , allora ,
che infermi fi ritrovavano , giovevoli aſsai ſperimentarongli : E ſomi
gliantemente altresì La teſtuggine allor , che'l fero tofco De la ſerpe
l'ancide , e dentro ſerpė Il paſciuto velen falute , , e vita Dall'Origano
cerca , e non indarno. Opera ſomigliantemente del caſo , e' certamente ſema
bra, i 174 Ragionamento Terzo bra ,ſe per qualche male infaſtiditi,dalcibo
aftenendoſi gli animali avviſan riuſcir cotale aſtinenza loro giovevole, c
perciò per innanzi per ſimili cagioni ſi rimangono di ci barſi . Ma con più
ſottil modo, e più fagacemente ven gono gli opportuni medicamenti di vantaggio
lor cono ſciuti ; comene'lupi ,ne'gatti , e ne' cani, per tacer d'al tri ,
manifeſtamenie ſcorger ne lece, allora , che ſenten doſi eſſi aggravare , e
moleſtar lo ſtomaco pe'l guaſto , e corrotto cibo , ed avviſando , che alcune
erbe , le quali talora forſe loro punſero il muſo , poſſano , ſtuzzicando le
parti interne,provocar di leggieri il vomito; di quelle op portunamente ſi
vagliono . Chiunque andaſle poi con qualche minuta diligenza , e ſollecitudinc
ricercando , ravviſerebbe per avventura,che ove il gran fattore della natura ha
della ragionevole ani ma privi i bruti animali, abbia nondimeno lor dato forſe
alcun ſentimento de’noſtri più dilicato , e perſpicace , valevole più
agevolmente a comprendere ogni menoma impreſſione, che lor da ſenſibilioggetti
ſi venga a fare, on de poſſano la lor vita acconciamente regolare ; ma ſe tal
ſentimento poi, cone ſovente avvenir egli ſuole , diritta mente non gliſcorge ,
elli ne argomento alcuno hanno di riparare a'lor mali, ne fanno, ne poſſono
dalle mortali di ſavventure in modoniuno ſchermirſi;perchè veggiam tut to dì le
capre , le pecore, le vacche, i cavalli , ed altri ani mali infermar gravemente
; e ſpeſſe volte per aver palaiu to erbe nocevoli, e velenoſe ; il che quando
mai altra ra gion no'l dimoſtraſse, nc dà chiaramente a divedere , non
ritrovarſi veramente negli animali quel maraviglioſo , ed inverifimilc iſtinto,
che cosi inagnificamente lor s’attribui ſce percoloro , che non ſi avanzan più
oltre nel filoſofare , che nella prima ſola corteccia delle coſe . Or ſe tanto
a’ bruti animaliè conceduto , che poſſan talora con qualche dilicato
ſentimento, e con rozzo, ed imperfetto modo in veſtigare , o pure rinvenir
qualche ombra di Razional medicina ; come non aurà potuto l'huomo , ſoura loro
d'anima fpirituale, e ragionevole, e immortal dotato come 1 dico Del Sig.
Lionardo di Capoa 175 : dico non avrà potuto ſino a’ primi tempi , e col
naſcente mondo, col diſcorſo i medicamenti ricercare , e ritrovare ? ſenzachè
fa meſtier certamente all'huomo, ſe ſcovrir pure egli vuole la naſcoſa virtù
medicinale o di pianta , o d'ani male , o di vegetabile alcuno , prender in
duce , e in iſcor ta la ragione; imperocchè l'huomo non gode di quella feli
cità in guatando le coſe , che grande a maraviglia aver- , fi ſcorge ne'bruti;
ne'quali, coine di ſopra dicevamo , o liau per le ſvariate diſpoſizioni degli
organi, o ſia pure, che'l di Icorſo rechi qualche impedimento alſentire, Dove
manca ragione ilfenfu abbonda. E in confermazione di quanto lo dico, s'egli ſi
riandaſſero, comechè leggiermente l'antiche memoric, ſi ravviſerebbe
apertamente , che a'primi maeſtri della medicina convenne valerſi della ragione
per inveſtigare, e rinvenire i medica menti. E percominciar da’ Cineſi : Popoli
ſenza fallo di tutt'altri più antichi:leggeſi ne' loro annali, che'l grans,
monarcaCinnungo ,il quale ſuccedette a Fojo che no guari dopo il diluvio refle
l'imperio della Cina, c che quivi prin cipe de' medici , e inventore della
medicina vien comune mentetenuto, ritrovaſſe perpruova fatta in ſe medeſimo la
virtù di molte , emolte radici , e piante, abili non ineno produrre, che a
diſcacciare lemalattie; ech'egli ne compo neſſe varj, e varj libri, de'quali
infino ad ora li ſon valuti , e fi vagliono anche oggidi i Cineſi medici con
felicità non or dinaria nel medicare. Or non sebra mica egli credibile che a
caſola prima fiata e' poteſſe Cinnungo pormano a quel la tal pianta , o radice
per farne la pruova? Ma è veriſimil molto, che foſpinto e'veniſſe a ciò fare da
qualche ragione; altrimenti non ne ſarebbe egli giammai potuto venir a ca po;
tanto più, che Cinnúgo, ſicomeivi è furna, nell'anguſto { pazio d'un anno ſolo
inveſtigò ,e rinvenne ben ſeſſanta ve lenoſi ſemplici, caltrettanti
falutevoli,e abili a rintuzzare, e a vincere illoro veleno;e contale , e tanto
avvedimento econ ſucceſſi così fortunati egli vi ſi adoperava, che comu
neinente buccinavaſi eſſere i luoi occhj vie più aſſai di que' del lupo
ccrviero acuti , c penetranti. E più chiaro molto rio 170 Ragionamento Terzo
ciò che lo ora dico ſi ſcorgerebbe per avventura , ſe colui che ſi diè cura, e
impiegò il ſuo ingegno a traslatare in la. tino idioma le croniche de'Cineſi,il
medeſimo fatto aveſſe de'volumi della lormedicina . Ma più certo ſi rende , che
que'primi Cineſi medici , da ragione ſcorti, aveſſer rivolto l'animo ad
inveſtigare i medicamenti ,daciò ch'eglino a queſt'opera fare, ancor della
Chimica valuti commodamé te fi foffero. Per la qual ragione creder pariméte ſi
dee, che que', che nell'Egitto la medicina trovarono , i quali altresì della
chimica ſcorti furono, e inteſi:parimente ſi foſſero del diſcorſo valuri : non
riſtandoſi in ciò, che dal ſolo caſo lor ſi parava davanti.E per dir qualche
coſa anche della Scitia, la quale non ſoggetta allo imperio d'altra nazione,
conten de d'antichità (comeper Trogo Pompeo narraſi) coll’Egit to medeſimo ;
tutto che da Erodoto un tal vanto alla Fri gia s'attribuiſca ;della Scitia lo
dico, chi mai recar potrebbe in dubbio, che i primi medici per via della
ragione rinve niſſero i medicamenti: ſe in Prometeo , dal quale, ebbe il ſuo
primo cominciamento la medicina degli Sciti, accom pagnata mai ſempre ſi vide
la medicina, colla filoſofia; e fe non aveſſero alla ragion poſto mente, come
mai que’primi medici dell'Arabia ravviſar potevano la puzza del bitume, e delle
barbe de'becchi dar cõpéſo alle infermità cagiona te a que'popoli dalla
ſoverchiaza degli odori ſoavi . Ne meno in verità nella Fenicia i nepoti
diScdoc, i quali, co me narraſi per Sáconiato ,o lia Filalete, appo Euſebio ritro
varono primieraméte, qual ſorte d'erbe, oqual maniera di cã to valevol.fi foſſe
adomar queſta,o quella malattia, ſenza l'ajuto d'una profodiſfına natural
filoſofia ciò inveſtigar mai poterono.I Druidi poi dellaGallia , nõ meno in
filoſofia , che in medicina ſcarti,che infra l'altre medicine adoperavano, quel
,che dica Plinio , il fūmo della ſelaginc al mal degli oc chj.no avrebbon fenza
fallo mai a caſo ardendo la ſelagine Sperimétar potuto agli occhi giovevole
ilſuo fumo:ma pri ma di ciò fare cóvié dire ,ch'eglino aveſſero in prima alla
na tura dalla ſelagine,e del ſuo voláte ſale poſto mente. E p fa vellar della
Grecia , da qualche ragione moſli furono Chi rone Del Sig.Lionardodi Capoa. 177
rone , Eſculapio , Ercole , Melampo , ed Achille a valerli primieramente della
Centaurea , dell'Aſclepio , dell'Era clio , dell’Achillea , piante che non
poteva certamente il caſo loro porle davanti, per effere elle amariſſime, e non
mai per huom veruno , in cibo uſate . E ſe mai eglino vo lendole ferite
turare,di qualch'erba ſi yalſero, la qual ven . ne sì factamente la ſua virtù a
ſcoprire: comepotea mai ciò avvenire delle radici, malimamente , che alcune di
loro convien che con zappe , o marre dalla terra a viva forza li ſuellano ; e
parea vana affatto una tal fatica, quando coll erbe più agevolmente, ed
aflaimeglio all'aperte piaghe approdar ſi potea . Fu dunque l'eſperienza dalla
ragion ; preceduta ; ed ebbe il corto Quintiliano affermando il contrario colà
ove difle :Vulnusdeligavitaliquis , ante quam hèc ars effet , & febrem
quiete , eo abftinentia , non quia rationem videbat :fed quia id valetudo
coëgerat,mis tigavit. E come mai fu egli poſſibile , che Melampo , il quale
parve , che nella greca medicina introduceſte l'uſo de'mi nerali ,rinveniſſe a
caſo effer la ruggine del ferro giovevo le alla ſterilità . Ma ſe razionali
furono avvegnachè roz zi , ed imperfetti quegli antichisſimimaeſtri , ed
invento . ri della medicina,convenevole certamente egli ſembra .' che qualche
coſa anche di loro da dir ſia . E daremoa tal diviſamento da'Cineſi principio .
Coa me, e quanto oltre nelle coſe della natura filoſofando s'a vanzaſſero i
Cinefi, il grande teſtè di noi mentovata lin peradorc Cinnungo , e gli altri
primi medici della Cina , Io porto per me ferma opinione , che penetrar non ſi
pof ſa per huom giammai; concioſsiecorachè i libri poco mé, che tutti furono al
niente dalle voraci fiamme condotti, gia ſon due mila anni traſcorſi, per
ordine dell'Imperado re Cino , il quale rizzò incontro a’ Tartari quelle ma.
raviglioſe mura , e delle lettere implacabil nimico maisé pre moſtrosſi;
avviſando faggiamente, che'l troppo ſtudio di quelle , rendea gli animi
ſnervati, ed imbelli, ediſadar tia difender la patria dagli allalti nimici; e
ſe alcuni pure Z de 178 Ragionamento Terzo 1 de’più antichi tuttavia per
avventura ſalvınerimaſero.no vi avendo ora chi intender poſſa que’miſterioſi
caratteri, ne’quali ſcritti furono , è tanto , comeſe ſmarriti anch'e glino ,
ed abbruciati fi foſſero . Ma da qualche veſtigio , che tuttavia ne rimane , ſi
ſcorge apertamente , che i Ci neſi nella geometria , nella filoſofia , e
nell'altre ſcienze molto furono addottrinati , e ſi valſero della Chimica , e
conobbero ,un ſolo eſſere il principio delle coſe naturali; e fer ſecondi
principj le cinque ſoſtanze dette da loro me tallo , legno , acqua , fuoco , e
terra ; ma diverſi da que' corpi, che comunemente con tal nome ſi chiamano, e
non disſimili per avventura da' principj de' noftri Chi mici . Ma ſi par
certamente , che Cinnungo non molto nella filoſofia , e nella medicina
avanzaffeli ; mal potendo per opera d'un ſol huomo sì grand'impreſa , c di
tanta lievas in un tratto naſcere , e ricevere l'ultimo ſuo compimen to ;
masſimamente alla medicina richiedendofi molto re po, e che molti, e niolti
huomini a tal lavoro s'adoperino, acciocchè a qualche ſtato di perfezione , e
di eccellenza pervenga . Ma chi no ſarà periſcorgere anco a prima viſta poi qua
to fien favoloſe , ed inverilimili quelle pruove,chedi Cin nungo ſi narrano ,
che egli faceſſe in ſe ſteſſo lo eſperimen so delle piante nocevoli , e rift
orative , e che nello ſpazio sì breved'una ſola giornata , tante ne provaſse, e
ne ripro vaffc ; il che fa chiaramente conoſcere , quanto la medici na , ſe
acquiſtar vuole eſtimazione , in tutti i tempi , cd in ructii luoghi abbia in
coſtume di porre in opera le men zogne , ele millanterie . Quáto poi valeſſero
gli antichi medici Cineſi nella Chi mica , chi potrà mai indovinare fi la ſolo
, che eglino s' ingegnarono di trovar medicine , non ſolo acconce agua rir le
malattie : ma anche valevoli negli huomioi ad eter nar la vita ; e
comediRaimondo, d'Arnaldo da Villanova millantano i frati della Roſea Croce ,
che vivi anche oggi ſien o , che vadano ſempremaiper lo mondo vagando; co sì
fin 1 ! Del Sig.Lionardodi Capox . 179 . sì fingono ,e danno ora ad intenderei
moderni Cineli Chi mici , eſser molti , e molti di quegli antichiſapienti, che
, fattafi colla gran medicina immortali , dimorino nelle cia me degli
altisſiini monti , e quindi vadano , anzi volino dove lor più ſia a grado , ed
anche in Cielo, Sciolti da tutte qualitati umane, Ma più , che tutt'altri ſi
laſciarono nella Cina da' Chia mici ingannare i troppo ſemplici Imperadori;e
narraſi,che da lor perſuaſo l'Inperadore luoo a comporla medicinas da poter divenire
immortale, faceſse fabbricar un pala gio di cedro , di cipreſso,di canfora, e
d'altri legni odori feri, che'l loro odore lūgia inolte miglia facea
ſentirſi.Al zò nel palagio una torre dibronzo altisſima nella cui vce ta eravi
una conca parimente di bronzo , formara a guiſe d'unamano , nella quale ogni
mattina avcaſi a raccorres. purisſima la celeſte rugiada: ove macerar pofcia fi
dovea no le perle , ed altre peregrine, e rare coſe , delle quali compor li
doveva quel prezioſo , e divino medicamento , che facea l'immortalità
conſeguirea qualunque adoper2= valo . Ed anche a’giorni noftri ſi veggon per
tutti i reami diquel vaſtisų moimperia , andar ad ogn'ora vagabon deggiando ,
in grandisſimonumero i Chimici; i quali in fingendoſi dicſer nati più e più ſecoli
addietro , vendon altrui la medicina , che fà gli huomini immortali, e tra per
le loro trappole , e per lo deſiderio , che è in ciaſcheduno di conſeguir
l'immortalità , ritrovano , e più tra’letterati che tra gli altri ,
chilorpreſta credenza . Ma laſciando sì fatte memorie da parte ſare , ſi ſcorge
quáto ben forniti foſſero de'rimedi efficaci gli antichi Ci ucfi , dalle
maraviglioſe cure , che con eſli tuttavia fanno i moderni medici . Solamente
potrebbeſilevare incontro taluno,dicendo che non ſiano giunti a ſaper quanto
dilet. tevol ſia ilber freddo, ne mai habbia meſſo in uſo i ſalalli; ma tali
appoſizioni recar potrebbonſi eglino a ſomma lo da ; imperocchè col ber caldo
ſi ſono i Cineſi ſottratti al nale della pietra , alle podagre , e ad altre
atrociffime malattie , che così frequenti , ed abbondevoli ſono fra z 2 noi 180
Ragionamento Terzo . 1 1 3 noi . E quanto al non trar ſangue, oltre al novero
de’gre ei , e de’noftri medicanti, che ſeguono il medeſimo iſtitu to: la ben
lunga preſcrizione di quaranta, e più ſecoli , ne? quali han potuto guarir
feliciffimamente, ed in iſpazio al ſai brieve le malattie , non gli rende degni
, non dico di ſcuſa , ma d'altiſſima loda ? eda ciò vorrei, che poneſſer mente
tutti coloro, che così di leggieri ſi laſciano a' medi ci trar ſangue. I
moderni Cineſi medici non altrimenti , che gli antichi già fi faceſſero,
de’ſemi , delle frondi , delle corteccie d'alcune piante ſi vagliono, e
d'alcune pictre al tresì , e ſerban libri, ove ſon figurate l'immagini di tali
piante , e pietre , e le loro virtù narrate ne’precetti, e nelle
regolemedicinali,non guarida noi eglino ne van lontani . Preſcrivono a’loro
infermi sì rigoroſe diete , che alle volte laſcian paſſar fino a venti dà fenza
dar loro altro cibo , che certo ſugo dipere , tre , o quattro fiate il giorno ,
e ber quãto acqua richieggiono; e sì molte graviilime malattie a buonoje
perfetto ſtato riducono. Immagina alcuno , che tal dieta non potrebbe
fofferirſi da'noſtri huomini; ma quanto egli vada errato,ilpuò far vedere l'eſſere
ſtata in uſo appo gli antichiſſimi greci , e l'eſſere i Cineſi di noi più
teneri, e dilicati aſſai.Ma che che ſia di queſte,van tutto dì i Cineſi
compilando libride'ſegni,delle cagioni, e degli effetti de' mali,da’quali,non
avendo nella Cina ſcuole di medicina, e da' proprj lor padri i Cineſi la
ſogliono apparare • Di. cono tutti , che i Cineſi medici ſono séza alcun
paragone aſſai più de’noftri,valenti in guarire i mali; ma nondimeno ancora ivi
colla medicina s'accompagna l'inganno, e l'ar tificio ; ed eſſendo eglino
intendenti molto de'polli, tutta via per parere in ciò da più affai ,
s'interrégono fin’a mez ' ora , fingendo d'oſſervar minutamente le lor
mutazioni in toccandogli , e danno a diveder dapoi , che con una tal diligenza
eſſi aggiungano a ſapere d'ogni varia , e più oc culta interna diſpoſizione , e
diqualunque più ſtrana mas, lattia la natura , e la vera cagione . Ma è per mio
avviſo il pregio maggiore della lor medi cina l'aver certi argomenti da poter
talora porre utile cos pen . DelSiy.Lionardo di Capoa ISI penſo alle più gravi
malattie . Vlano frequentemente la prezioſa radice, detta da loro Ginſen ,
dalla quale ſové te ſi veggon guarir gl'infermi , eziandio morienti, e però una
libra di eſa , non val meno di tre libre d'argento . Nil la io dico dell'erba
Te , percioccliè ella ſi adopera tutto dì anche ora appo noi : comcchè non ſi
veggian quì d'cila que’maraviglici effetti , che narraſi ſoler nella Cina mo
ſtrare, o ch'ella colla navigazion così lunga perda per lo maggior parte quel,
che chiamar fogliono i Chimici vola tile Alcali , e con eſſo inſieme poco men ,
che tutta la ſui virtù , o qualunque altra ſiane la c.igione. Eavvegnachè
alcuni de’noftri ſcrittori ſi ſieno ſtudiati di tor via altrui ogni buona
opinione , che di tal erba portavano ,dicendo, ch'ella ſoglia talor cagionare
Apoplesſia a cui ſovente l'u fi ; non però dimeno noi ben ſappiamo per pruova ,
cſſer ciò falſo; e ſe egli è incontrato , che alcuno avendola ado perata fia
caduto in Apopleſſia , certamente non vi ha avu to ella parte niuna . Egli è
vero però , che talerba ſoglia apportar qualche moleſtia, ſe ſi prenda allor,
che nello ſto maco non ben digeſto il cibo ſia , e di ſoverchio acetofo : il
che adoperar ſuole altresì il Cafè , ela Cicolata ; alla , qual coſa riparare
ottimo rimedio è il digiuno . Ma io no voglio laſciar di dire con queſta
opportunità, che in luogo dell'erba Te lo ſoglio ſověte imporre a'malati
qualch'er ba noftrale , cos lor giovamento non ordinario :e che gli Ollandeſi
portano nella Cina le frondi della Salvia involte a guiſa della Te, e per una
libra di frondi di Salvia tre tan te ne riportano di Te; cotanto le ſtraniere
coſe più in pre gio delle propie dagli huomini tengonſi . Ma avvegnachènella
Cina i medici, quanto alfatto del medicare fien così fortunati, comediviſato
abbiamo: non dimeno avuti vi ſono in pochisſimo pregio ,c ſtima. E quinci
avvien poi , che tutti coloro , i quali ſien d'alto in gegno , e di ſaggio
avvedimento dalla natura forniti,nul. la badandoviaila , moral filoſofia ſtudioſamente
ſi volga no , onde a'primi onori del regno agevolmente poi pervé gono.E ciò
permio avviſo è Itata una delle principalica, 1 { gioni 182 Ragionamento Terzo
1 1 ! doti , gioni , per la quale de'buoni libri dell'antica medicina , e della
natural filoſofia pochi rottami ſi trovino , e che a? di noſtri ogni ſtudio di
natural filoſofia tralandiſi. Ma per trapaſſare all’Egiziaca medicina; quanto
chia ri,erinominati al inondo , ſe'n viſſero già lungamente per fama , quegli
avveduti , e ſapientisſimifiloſofi, i quali la medicina ritrovarono
primieramente , e ſtabilirono il Egitto : altrettanto certamente ſono oggi in
lunga dimé cicáza ſepolti, e ſol ſervono all'umana cupidigia per pruos va della
leggerezza , e della fragiltà della gloria monda na ; perciocchè eziandio di
coloro , iquali ebbero già vé tura d'eſſer collocati infra’Dei immortali, non è
a noine meno il vero nome pervenir potuto . Caſtigo ben douuto all'invidia ,cd
alla tracotanza di quei Principi , e Sacer , i quali ſotto pene gravisſime a
tutti l'apparare , e l'eſercitar la medicina victarono; e per maggiormente na
ſconderla , e invilupparla con cnimmi,econ caratteri da lor ſolamente
compreſi,ſempremai di ricoprirne i miſteri ſommamente ſi ſtudiarono . Perchè io
giudico , che po co , o nulla della medicina Egiziaca apprender certamen te
poteſsero que'curioſisſimi valent'huomini Greci, i qua li tratti dal deſiderio
d'appararla inſieme colla inacemati ca , e colla filoſofia naturale , e altre
buone arti nell'Egit to pellegrinarono ; ed in quel tempo appunto per lor di (
grazia vi giunſero, che caduta ivi affatto dal ſuo ſplendo re la medicina, ed
empirica volgar tutta divenuta , comun nemcnte da' medici ſcimuniti , e balordi
ſi malmenava ; ed i ſacerdoti l'antiche note più non intendeano , o ſe pu re qualche
coſa ne penetravano,ſommamente avari delle loro dottrine , tenevanſi
d'inſegnarle altrui , e masſima mente a' foreſtieri ; del che manifeſtisfima
tcftimonianza è il leggere ciò che della ſtrologia avvisò Luciano , quan do e'
diſſe , che i Greci niente di eſsa affatto dagli Egizi n'aveano mai apparato .
Eλήνες δε ούτε παρ' Αιθίοπων,ούτε παρ' Aiguntów césporogins ma ei ou fèy óxx
gav . Senzachè, ſe a Greci al trôde venuta foſse la medicina ,certamente ella
non ſareb be tanto indugiaca ad allignarvi , e di veniryi a tanto ſtato 1 1 1
di glo Del Sig.Lionardo di Capoa. 183 di gloria , a quanto ella poi in proceſſo
di tempo creſcen do aggiunſe. E comechè per oltraggio de'ſecoli niunas certezza
a noi dell’Egiziaca medicina ſia pervenuta ;pur potrebbeſi ragionevolmente
argomentare , eſſere ſtata quella a grandiflima altezza da' Re , e da'
Sacerdoti del l'Egitto condotta , da ciò, che ne ragiona Omero colà ove narra ,
che la moglie di Tono Re dell'Egitto diede la can to celebrata Nepente ad Elena
. Ενθ' αύτ ' αλ' ενόησ’ Ελένη Διος εκγεγαλα , Αυίκ' άρ' ας οίνον βάλε φάρμακον
ένθεν έπιναν Νηπενθέςτ'αχολόν τε, κακών επίληθον απάντων . ος το καταβρόξειεν
επην κρητήρι μιγείη , Ούκ άν εφημέριος γε βάλοι και δάκρυ παρειών , ουδ ' ά οι
κατατεθναίη μήτης τε , πα ής τε , Ουδ' ή οι πιοπάροιθεν αδελφεόν, και φίλον τον
Χαλκώ δηγόων , όδ' οφθαλμοίσιν δρώτα . Τοϊα Διός θυγάτης έχε φάρμακα μηπόενα
Β'θλα ταοι Πολύδαμνα πόρην Θώνος παρξί κοιτς . Onde a la bella , e vaga Elena,
figlia Del ſommo Giove,allbor nuovopenſiero Venne ne l'alma , che nel vino
infuſe Ch'efibevean 'un prezioſo , alme Liquur , che toſto ogni dolor diſcaccia
Da l'almaoppreſſa , e l'iraſpegne, ed indi Induce dolce , e graziojo oblio Di
tutti i mali ; onde ſe alcun guſtoffe Di tal bevanda nella tazza miſta Non potria
mai per tutto un giorno intero Sparger dagli occhi per le guance l'onde Del
pianto ; o d'attriftarſi ;ancorchè morti Davanti aveſſe i cari madre , e padre
; Nefe con gli occhi propri anco vedele, Troncar col ferro l'infelici membra ,
Del frate amato , o del fuo dolce figlio . Cosifatti i liquori erano , e i
ſughi De l'alma figlia del gran Giove eterno ; Cb'erano utili, e buoni, a lei
dati Polia 184 Ragionamento Terzo Polidanna gli avea di ToneSpoſa . Il qual
medicamento , qualcertamente fi foſſe in que' te pi malagevol molto è ora ad
inveſtigare ; ne comporta il mio ſcarſo ragionamento , che lungamente lo ne
favelli, ne che fra sì varie , e cotante opinioni inutilmente lo mº aggiri ,
mentre altri vogliono , non altro eſſere la Nepēte, che una ſemplice, e cruda
erba infuſa nel vino ; altri allo incontro medicina artificioſamente preparata
, chi dice d'uno , echi di più ſemplici compoſtage lavorata . Io giu dico , ne
forſe da' limiti della ragione gran tratto queſto mio ſentimento s'allontana ,
chela Nepente opera foffe della Chimica; imperocchè sì piacevole ed efficace,e
pre zioſo medicaméro, qual ne vien dagli antichi narrato , al tro cercaméte non
ſembra chedi que', che tutto dà i noſtri Chimici metton fuora nelle loro
botteghe . E fu nel vero la Chimica nell'Egitto antichiſſima ; pcrciocchè
Vulcano figliuol di Nilo guardiano dell'Egitto,Opi, e Fia da' ter razzani anche
chianato,daprima il fuoco, e l'uſo di quel lo ritrovò , e diè principio egli
altresì all'arti tutte , che del fuoco ſi ſervono ; il cheoltre a Zezze moderno
, e ſti mato da alcuni poco veritiere ſcrittore , il qual dice . Πύρ , και
τέχνας δε ύκ πυρος οπό σας tutti i Tcologi,ei Filoſofi antichi di comun
ſentimento af fermano ; 'e Vulcano altresì , ſecondo Ariſtotele , e So zione
appreffo DiogeneLaerzio , inveſtigò da prima i prin cipj della natural
filoſofia;perchè potrebbeſi danoi a buo na ragione affermare , aver lui per
dover più acconciamé te farc , e rinvenir ne'corpi diſciolti , eminuzzati, i
primi lor componenti , adoperato da prima il fuoco , e sì fatta niente dato
alla Chimica rozzamente principio . E quin ci nacque per avventura la favola
dell'adulterio di Marte, e di Venere da Vulcano a gli altri Dii paleſato ; con
la qualc ne vollono per mio avviſo dare a divedere quegli antichi filoſofanti,
qualche gran miſtero della Chimic'arte eſſere ſtato da Vulcano primieramenre
trovato , e dalui poſcia a’Re,ea Sacerdotidimoſtro.Ma laſciando a'Chimi ci tut
Del Sig.LionardodiCapod. 185 ci tutto ciò, che dietro a tal fatto potrebbeſi
più profon damente eſaminare . lo dico , che non ha dubbio veruno avere gli
Egizi Sacerdoti per la lor medicina tratto gran , pro dalla Chimica ;
imperocchè ella venne a tale , cheti to altamente ne puotè favellare il
dolciſſimo Iſocrate con queſte parole : gli Egizi Sacerdoti per guarire il
corpo dalle malattie ritrovarono la medicina; non già quella , che ſi
valede’ınedicamenti pericoloſi, ma ſi bene quell'al tra , che potendoſi colla
medeſima ſicurtà adoperare , che gli ordinarj cibi d'ogni giorno ; recar ſuole
poi tanti, e ta li giovamenti, che gli fa vivere ſani lunghisſimo tempo :
Ιατρικήν εξεύρον επικερίαν , και διακεκινδυνευμένοις φαρμάκοις χρω - μένην :
αλα τοιέτοις , α τίω μεασφάλμαν έχ ομοίαν τη τροφή τη καθ' ημέραν : τας δε
ωφελείας τηλικαύτας , ωπ εκείνες ομολογεμένως ogcevozallos ng Harga61w télys
civos. Magran pezza avanti Iſo crate , e nel tempo appunto , che in Egitto
fioriva la ve ra medicina , avea detto Omero , dell'Egitto favellando, Ιητςος
δε έκασΘ-έπιαμενΘ-. περί πάντων Αν θρώπων . cioè, ficome volgarizza il
Baccelli: Ivi ciaſcuno è melico perfetto, F più ,ch'gn 'altro ajui perito, e
fuggio. Poichè in verità ciò che ſconciamente dell'Egiziaca me dicina vien
narraco per Diodoro , quand'e'dice : gli Egi zj non aver meſſo maialtra forte
di rimedio in uſo , fe non fe criſtci folamente , purgative medicine , c
digiuni, e vo mitivi : τας δε νόσους περκαταλαμβανόμενα και θεραπεύει το σώμα .
τα κλυσμοϊς , και ποτίμοις τε καθαρτηρίοις και νησείαις και εμέ. τους και
ενίοτε μου καθ' εκάτην ημέραν, ενίοτε δε τάς ή παρgς ημέρας dia menortes
.e'debbeſi ſolaincnte di quc'tempi prendere,nc' quali la medicina da'Re , c da'
Sacerdoti, in mano della più minuta bordaglia del popolo eraſi vergognoſamente
invilita , eſſendo già caduta dal ſuo primo ſplendore, ed in iſtato di
miſerevole ignoranza ridotta ; ſicome avviſaſi da quelle leggi, da noi nel
primo ragionamento recate , che il mediconon aveſſeſi giammaia dipartir dagli
ammae ſtramenti degli antichi, ne foſſe lecito porger a’malati al; A a cun -186
Ragionamento Terzo cun medicamentoprima del quarto giorno , ſe non ſe a ri
ſchio della propia perſona del medico . Al che forſe po nendo mente il
Corringio, e non diſtinguendo i tempi, af ſolutamente ebbe a dire , la medicina
degli Egizi eſſere ſtaca rozza aſſaige materiale . Ma ſe perciò dal Borric chio
egli meritevolmente ne venne biafimato , egli fareb be certamente aſſai più da
biaſimar Galieno , il qual ne gar non potendo, che gli Egizi prima de Greci
avefler contezza de'medicamenti , pure osò dire eſſere ſtato il lo ro conoſcimento
affai groſſo , e rozzo , e che con l'agio di aprire i cadaveri p imbalſamargli
ritrovato aveſſero mol te coſe alla notomia dell'huomo pertinéti. Ed era tanto
in: Egitto la medicina caduta,e avvallata allor;che quel pae ſe
da’Perſianiſoggiogato venne , e domato in guerra , che i ſuoimedicipiù celebri
, e più valorofi , quali effer do veano ſenza fallo que" , che medicavano
il Re,furono vin ti agevoliſſimamente da Greci, i quali ancora erano roz zi ,
enovizi nell'arte . Caduto poil'Egitto ſotto l'Imperio d'Aleſſandro , l'Egi
ziaca medicina , ruinà anch'ella , e tracollò sì facramente, che i medeſimi
Egizi da’Grecimaeſtri poi l'apparavano.. E infino alla cadura del Romano
Imperio in Aleſſandria le ſcuole di varie ſette de' medicanti Greci in grande ſtato
, edorrevole durarono ; e tratto tratto poi crebbero in tanta fama di dottrina
, che a Galieno , come egli me delimo ne da teſtimonianza ,non increbbe
d'andarvi per udir Nemeſiano, famofiflimo infra’diſcepoli di Quinto ,che di
Galien medeſimo era ſtaro maeſtro ; e ſi mantennero le ſcuole d'Aleſſandria in
ranta grandezza , e ſplendore lun go ſpazio di tempo intanto , che, come narra
Ammiano Marcellino,baſtava in que'tempi, chehuomo aveſſe ftu diato in medicina
in Aleſſandria per eſſer in pregio poi di valentiſſimo medico tcnuto . Narrali
per Damaſcio nella vita d'Iſidoro , i fatti egregi di Giacomo medico
Aleſſandrino, per li quali meritò egli, che gli ſi ergeſſero ſtatue in parecchi
luoghi, e ſpezial mente in Atene . Coſtui quarant'anni continui logorò fa cendo
DelSig. Lionardo di Capok 187 cendo eſperienze , e dopo aver tutto il mondo
traverſato cſercendo ſempre la medicina , ed inſegnandola al figlio , che ſeco
conduceva: pervenuto poi in Coſtantinopoli,tro vò quivi medici, che poco , o
nulla di medicina ſappien . do , non con la ſperienza , come doveano , ma
congli al trui detti medicavano a ritroſo , anzi ( conciamente mal megavano i
caccivelli infermi; maGiacomoin medican do, cosi egli, come il figlio ſervivaſi
delle purgagioni, e debagni,non traendo a niuno mai ſaugue. E quanto al fatto
della Cirugia , oglino ſolean molto di rado porre in opera il ferro, e'l fuoco
; ma le maligne piaghe con la fola dieta curavano. Eben coſtoro amendue
farebbero da ri putar degni di molta loda , ſe non foſſero ſtati ſuperſtizio fi
, e idolatri , come par,che dica Fozio , comechè un an rico autore appo Suida
affermi , Giacomo eſſere ſtato Criſtiano ; maavviſa il dottiflimo Iſacco
Cauſaboni, che Fozio ciò aveſſe derto di Giaccmo , moſſo ſolamente da coloro ,
che'l credeano mago ,per le maraviglioſe cure , ch'ei facea . Dice di più
Damaſcio , che diſcepolo di Giacomo fù Aſclepiodoto , il qual di muſico ,
ch'egli era in prima,li fè medico , e infra breve tempo cotanto in ſapere
vantag gioſli , che in molte coſc , emolte , ſi laſciò dietro il me delimo ſuo
maeſtro . Fu coſtui gran matematico , c'l più eccellente infra tutti i
filoſofanti de' ſuoi tempi , comeche di coranto intendimento non foſſe , che
poteſse i miſteri d'Orfco, e de’lavj Caldej penetrare. Egli de' medici de ſuoi
tempi avea ſolamente in pregio Giacomo ſuo Mae ftro , e degli antichi,
Ippocrate , Sorano , Cilice , e Mal leoco . Perchè ſembra , ch'egli, e Giacomo
ſuo maeſtro foſſero ſtati metodici ; e quinci ſi ſcorge,ch'a'que'tempi vi cran
de'valenr'huomini , che in niun pregio avcano Ga lieno . Rinovò Aſclepiodoro
felicemente l'uſo dell'Elleboro bianco , già lungo tempo traſandato , e ne
vinſe incura bili malori. Entrò egli nella famoſa mofeta di lerapoli,e ſe ne
uſcì ſalvo , ponendoſi al naſo , e alla bocca la veltes Аа 2 ripie 188
Ragionamento Terzo ripiegata sì fattamente , che racchiuder vi poteſse qual che
particella d'aria , onde egli agevolmente reſpirar do veſse ; quindi
accoppiando inſieme varj minerali,con ma. raviglioſo artificio una ſomigliante
mofeta ne compoſe. Ciò , che di vantaggio di lui narra Damaſcio per non recarvi
tedio al preſente tralaſcio . Tanto vo dire,che de' medici d'Aleſsandria altro
non raccontandoſi, ſi vede,che poco alla fama riſponder dovea il loro valore .
Ne pur nell'Egitto la greca medicina nel ſuo buon nome lungo tempo durò ;
perciocchè di mano in mano piggiorando magagnoli, finche tolto al Romano
Imperio per opera de' capitani d'Omare l’Egitto, e venuto in mano de Saracenia
poco a poco vi fi ſpenſe la greca medicina, ed in ſuo luogo un'imperfetta
volgare Empirica vi rimaſe;alla quale ſucce dette poi , e fin’ora vi regna
un'ombra di Razionale, o per ine’dire , di Metodica mcdicina aſsai rozza, e
ſciocca, iil una, o in duc cotali coſe appiccata , e ſtabilita , le quali
ſembrano a que’maeſtri ſcimmioni , cvidenti principi, fondamenta di quella , c
non altrimenti che ſe foſscro già al tempo d'Erodoto . Egli ha ora in Egitto
un'infinita fchiera di medicanti barattieri , i quali per pochi bajocchi
ottenuta licenza di medicare dall'Alimbali , over princi pe de'medici,
deſtinato , ed eletto a quell'uficio per denaro dal Barsa del Cairo , o che
ſappia egli , o non ſappia di me dicina,medicano , una o più fortidi malattie ,
comc più lo ro in concio viene ; c giudicano eglino , due ſole eſser lo cagioni
di cutti mali yil caldo , e'l freddo; ed eſsendo l’E gitto grandemente al callo
ſottopoſto , immaginano qui vi follemnente , che tutte le malattie , o procedan
dal cal do , o fian da ftrabocchevole caldo almeno accompa gnate ; perchè
giudicando, che l’un contrario ſi ſpegna per Taltro , ſeryonli mai ſempre di
rimedj acconci , ſecondo la loro opinione , e valevoli a rinfreſcare . Perchè
traggon · largamente ſangue in tutte le empleſſioni , in tutte l'età , in tutte
le ſtagioni dell'anno , ed a tutti infermi , e dan be re acqua agghiacciata ;
il che «i ! anto fuor d'ogni ragione la fascia , non ha cercamente huomo di sì
mezzano inten dimen DelSig. Lionardo di Capoa 189 dimento , che di leggieri
avviſar no'l poſsa ; ſenzachè i cauterj , e le ſcarificazioni, che
crudelisſimamente, e fen za riguardo alcuno anche nelle più menome malattie ſo
gliono adoperare , tolgono affitto loro ogni buon nome ; intanto , che affatto
contrarj a quegli antichi mediciſein brano , i quali avean piacevoli argomenti
folamente il uſo . Ma ritornando alla medicina degli antichisſimi Egizzi,
certamente lo non ſo , come iſcuſar ſi poſsa quel graviſſi mo fallo , nel quale
que'Re, e Sacerdoti incorſero in te nendo cotanto a riguardo l'eſercizio della
medicina; il că po della quale è così vaſto , e così malagevole, cheappe na ,
che più , e più persone colle lunghe eſperienze , e col le ragioui una menoma
parte oggi coltivar ne poſsano . Ma no meno da biaſimar íono gli Egizi medici,
per aver oglino primieramente colla vanità della divinatoria fero logia ,
corrotta , e magagnata la medicina, ſe pure è de preſtar credenza alle parole
di Giulio Firmico : Nekepfo egli dice , Ægypri jufiifimus Imperator, a
Aſtrologus val de bonus , per ipfos Decanos omnia vitia , valetudineſques
collegit , oftendens quam valetudinem Decanus efficeret, quia natura alia
vincitur , quia Deum frequenter alius Deus vincit , ex contrariis ideonaturis ,
contrariiſque pote ftatibusgumnium ægritudinum medelas divinæ rationisma
gifteriis invenit . Triginta ſex itaque Decani omnem Zo diaci poffident
circulum , ac per duodecim fignorum numeri ifte Deorum numerus , ideft
decanurum dividitur . Se poi dagli antichi medici cra ſtato introdotta nell’E
gitto quell'uſanza , che nel tempo d'Erodoto , nel quale fenza fallo la buona
medicina iyi affatto era mancata, fer bavali , clic per tre giorni di ciaſcun
meſe dell'anno gli huomini per conſervarli fani ſi purgavano col vomito , e ſi
Ιανοvg!'inteftini τόπω δε ζόης τοιώδε διαχρέωνται : συρμαΐζεσαι σάς ημέρας
επεξής μηνός εκάσg , εμέτοισι θηρώμενοι την υγίειην , και κλύσμασι, νομίζονες
απο τών τξεφόνων στίων πάσας τας νούσος τοϊσι ανθρώποισι γίνεσθαι . loper me
non credo,come si poſſa generalmere favel lan 190 RagionamentoTerzo 1 lando ,
comeche rieſca calor peravventura giovevole , tal coſtume in tutto lodare ;
conciolliecoſachè coll'uſare il yomito , ei medicamenti, lo ſtomaco, e
gl'inteftini a poco a poco s'indebiliſcono , e fi ſconvolgono notabilmente , e
alconciano oltremodo le lor commeſſure, c li vuotano in ſieme con i cattivi
umori le mucilagini , che veſtono , e difendono le loro membrane , ed altre ,
ed altre ſoſtanze non ſolo utili , ma ſommamente ancora all'economia , all'
operazioni , ed alla vita degli animali neceſsarie, non che gioveyoli. Altro
non rimane a dire dell'Egiziaca medi cina , ſe non chenon coſtumò ella ne meno
allora quando era caduta dal ſuo primiero ſtato , per quel, che ſe ne ſap pia ,
di trarre mai ſangue : comechè comunemente credam ſi, che dall'Ippopotamo , o
ſia cavallo di fiume, in Egitto da prima i medici l'apprendeſsero; perciocchè
egli,come Diodoro racconta,nel fondo del Nilo quivi dimora , oco. me Ammian
Marcellino , fra'canneci delle rive di quel 1o . Ma Prometeo , o pure Magog ,
onde ebbero la prima origine gli Sciti arricchìpreſso quelli la medicina, per
ſua opera primieramente ritrovata , dinoli, e molti nobili , cgiovevoli
medicaméri, co’quali ebbe egli fortuna dico si felicemente eſercitarla,ch'egli
ragionevolmente ſi vanta appreſso il ſublime poera Eſchilo , ch'egli medicava
me [ colando inſieme medicine acconce, ed atce a domar le malattie , con guarir
tutti coloro , che così malamente ſi ritrovavano ridotti , che non ſi cran
pocuti per niun riine dio in prima riſanare , e che prima , che a lui veniſse
fatto di ritrovarle, e di porle in opera , non vi avea rimedio al cuno per le
malattie To pelice régason , & nis vóm glori, Ουκ ήν αλεξημ’ δεν έδε
Βρωμον, ρύ χρυσόν , και δε πιςον , αλα φαρμάκων Χρία κατέσκέλoντo πείν έγω
σφίσιν Εδάξα κegίσεις ηπίων ακεσμάτων Αις τας απάσας εξαμάζονται νόσος , Ma di
lui ancor ragionevolmente dottar ſi potrebbe,nó egli 1 Del Sig.LionardodiCapoa.
191 egli aveffe dato alla ſua medicina principio con iſcioglie re i corpi più
duri , quali ſono i mecalli, per opera dei fuo co : mentre è coſtante fama appo
l'ancichità , ch'egli pri ma di tutti da varie, e varie minicre ritraele i
metallico me ſi può da que'verli vedere, Χαλκόν , σίδηρον , άργυρον, χρυσύνη
της Φησεν αν πάροιθω εξεύρειν έμού . E conciofoffe coſa , che atanta impreſa
gli faceſſe cer tamente meſtieri riguardar ſottilmente ancora al fuoco , e in
diverſi gradi partirlo , e perciocchèegli peravventura , del calor del Sole
ſervisſi : finſero , ch'egli affole il fuoco imbofaco aveſle . Ma tafciam di
ciò , a' Chimici il penſie ro , come anche di fpiegar l'allegoria dell'effer
Prometeo al raffo legato per comandamento diGiove; il che cicga remente vien
nel fuo idioma da Eſchilo medeſimo narra to , ed è nel noſtro tale il ſenſo ,
Gia fiam giunti,o Vulcan , ne'vaflicamping E nelle folitadini deferte Per dove
a Scitia valle; a te s'aſpetta i decreti adempir delGenitore ; Equeſto audace
all'alte eccelſe rupi Con lacci indiſolubil didiamante Legar fra i duri faffi .
Eito fplendore Del foco onnipotente , onde tu altero N'andavigià , furotti,
damortali Dono nefeo : dritroi , che d'un sal fallo Pagbiagli Dei la meritata
pent's ondiegti a venerar l'alto potere Di Giove, e l'huomo almeno amare
apprenda. lo perme immagino , che Promeceo , o che'l caſo il por: taile , o da
qualche ragione ſoſpinto accendeffè il fuoco con i raggi del ſole , e che da
queſto traerſe origine la fa voka accennata . Mache che fia di ciò , li diede
Prome teo ad intcrpetrarc i ſogni, e diceſi, ch'ei trovaſſe gli au gurj: Teórus
di nous isoleradio il che fa vedere , che in fin al ſuo primo cominciamento la
f media 192 Ragionamento Terzo 1 medicina ſempremaiaccompagnoli coll’arti
ſuperſtizio : ſe , e vane . Ma come poi gli Scici della medicina di Pro meteo
ſi valeſſero , Io non ne ſaprei dir altro , ſalvo , cho eglino ſi ſervivano
delle purgagioni , e della dieta nel cu rare le malattie , come appo Plutarco
riferiſce Talete την δίαιταν αυτή & τον καθαρμον ο χρώνται Σκύθαι περί τους
κάμ νοντας και αφθόνως , και προθύμως παραδέδωκε Ma trapaſſando ora alla
Fenicia :ebbe ella ne'primi tem pi huomini d'acutiſſimo, e maraviglioſo
intendimento , e ſopratütro aſſai vaghi d'inveſtigar le biſogne del mondo , si
fattamente , che prima di ciaſcun'altra nazione ebbero ardimento di condurfi
per nuovi mari ( fabbricando ad ogni ora nuove Città , e popolandole di gente douunque
capitavano ) a lontani, e per addietro non conoſciuti paeſi d'Africa , e d’Aſia
, e d'Europa , perchè creduto venne, che i Fenici foſſero i primi, che
ſolcaſſero co’legni il mare: onde diſſe Tibullo . * Prima ratem ventis credere
docta Tyros. Perchègiudicar dobbiamo, eſſere ſtati i Fenici, abi. li ſoprammodo
a imprender colle ſpeculazioni, e colles ſperienze la medicina , e che però
ella nella Fenicii , fe condochè la natura d'un talc affare comporta , alcolmo
della perfezioneaggiugneſſe . E di vero convennc , cho gni ſua parte arricchita
, ed illuſtrata veniſſe dal profondo fapere di Cadino , come colui , che dopo
diverſe,c glorio ſe vittorie dell'Africa avute , come canta Nonno nel poema
dc'fatti dfBacco , edificò cento Città . • ... Λιβυσίδι ΚαδμG- αρούρη Δομήσας
πολέων εκατονταδα , δωκε δεκάτη Δύσβαζα λαϊνέοις υφούμενα τύχεα πύργοις e
ſpezialmente la famoſa di Tebe, ove egli regnar poi do veva . Quindi egli
ſpogliando dell'antica rozzezza , c pe coraggine la grecia , le diedeinſieme
con tante , e tante doctrine molti vocaboli , e le lettere ancora , e
l'umanità. Il chei medeſimi Greci apertainente confeſſano , dicendo Erodoto
>, per tacer di Filoſtrato , d'Ateneo , e di Diogene Laerzio , chei Fenici,
che vennero con Cadmo, conmol te al . . DelSig.Lionardo di Capoa 193 te altre
dottrine , le lettere , che prima non vi erano , in Grecia introduffero: ως δε
Φοίνικες ούτοι ως συν Κάδμω απικό. μενοι , εσήγαγαν διδασκάλια είς τους
Ελληνας, και δη , και γράμματα ουκ toy a aliv eranos . Conoſceſi anche manifeftamenre
in ciò , che nella Fenicia la vera natural filoſofia allora regnavas la quale,
come Strabone ,e Poſſidonio appo Seſto Empiri co raccontano, da Moſco Fenice ,
Leucippo da prima apparò . Ma più che altro , l'eccellenza della medicina de
Fenicj ne da manifeſtamente a divedere, l'aver ella pe netrar ſaputo , come ſi
poſſa col canto domar la ferocia delle malattic ; al che certamente imprendere
ben ſalda, e ſottil filoſofia loro abbiſognava , eun'avvedimento non . miga
ordinario , e volgare; eſſendo loro neceſſario dilige temente inveſtigare la
materia del ſuono , qual veramen te ella lia , ſe l'aria , o ſe pure qualche
ſpezial ſoſtanza,che nell'aria fi crovi , e le figure , e la grandezza delle
parti celle , che la compongono ; e come la lingua , che forma il canto per via
di miſure , e di convenenza , or fortemen te , or pianamente , or velocemente ,
or tardamente la muova ; e coine sì fatto movimento or s’uniſca , or fi di
funiſca , or creſca , or manchi , or fi rifletta , or s’attuti ; come intorno intorno
egli così velocemete liſpáda;e co. me all'orecchio finalmente pervenuta la
ſonora ſoſtanza , o penetri i poridel timpano, e per li tortuoſi ſentieri del
laberinto , e della chiocciola aggitandoſi, a percooter rat ta ſe'n vada
ne'nervi dell’udico , o pure le ſue particelle dieno il lor movinento al
timpano , e'l timpano le com munichialle particelle dell'aria , qual falfamente
inn.itu chiamaſi , e queſte poi alla membrana, che veſte la chioc ciola il
compartano . Ma ſopratutto inveſtigar loro cer tamente ancora conveniva , come
le fibre de nervi dell'u dito , rappreſentando fedelmente all'anima lc vare, e
va rie maniere, colle quali elleno tocche , e percofie furo no , facciano sì ,
ch'ella la sì varia , e táta diverſità deluo ni ne venga ad imprendere ; e come
l'anima poi da una ſorte di ſuono noja , e da un'altra diletto tragga ; e come
da ciò s'ingenerino in eſſa amore , odio , ira , timore , ed Bb altre, 194
Ragionamento Terza 1 altre , ed altre paſſioni ; e come queſte finalinente , o
cre ſcendo, o ceſando il movimentodel ſangue , e dell'altre diſcorrenti
ſoſtanze del corpo , o allargando , o riſtrignen do , o chiudendo i pori delle
parti ſalde, fi rendan valevo li , come d'ingenerare , così anco di menomare ,
c di eſtin guere parecchie malattie . Mache che ſia del filoſofar, ch'eglino ſi
faceſſero intor no a tal facenda, quáto giugner poſta la forza del căto tut to
dì ne' bambini a noſtre caſe oggi'l veggiamo ; a ' qu ali per lo ſolo canto,
avvegnachè non ancora i ſentimenti del le voci pienamente comprendano ,
s’alleggiano i dolori,e talvolta affatto ancor fi tolgono , e ſi ſeccan ſu le
pupille le lagrime,luſingādogli pianaméte alla quiere il sono;e vede ſi talora
huomo pe'lcāto aſsõnare, in cui vana ache la virtù dell'oppio ſperimétata ſi
era.Il che ne può far fede vero efa fer potuto ciò,che d'Aſclepiade ſi legge
cioè ch'egli la rab bioſa furia del ribellante vulgo colla muſica , ecol ſuono
eſtingucſse . Mapoimaggiore senza filo ſi prova la virtù del căto,ove ſia
chiintéda la ſignificāza delle parole ,come quelle , che ancora per ſe ſtelle
fole, gli affettinell'animo, valevolia deſtar ſono . Onde non ſenza maraviglia
lo lege go in Diodoro , che la muſica dagli Egiziachi, non ſolo inutile , ma
nocevole anzi che no venille ſtiinata , Tu'vuge σακην νομίζεσιν , ου μόνον
άχρηστν υπάρχειν, αλα, και βλαβεραν, ecio che Eforo appreſſo Polibio dice : la
muſica eſſere ſtata ri trovata per ingannare gli huomini : ettes , ¿ ' atémy,
aggona πία παρεισήχθαι τους ανθρώποις . Perché non eeglia mio cre dere affatto
inveriſimile, che Damone co'l căto aveſſe té perar potuto , e raffrenar le
menti offuſcate , ed alterate dall'ebbrezza . E ciò , che narrafi di Terpandro
, e d'A rione , ch'aveſſer col canto riſanati gli abitatori di I.esbo; chc di
graviſſiine malattie moleſtati, ed oppreffi langui vano ; e di Pittagora ciò ,
che ne narra Eutimio,che a ſuon di cornamuſa aveſſe ad un giovine tutto
infiammato d'a moroſo foco , l'ardentiſſime fiamme amoroſe ſmorzate , ad
un'altro, che infuriato correva col ferro ignudo, lo sfre nato orgoglio
arreſtato ; e di Timoteo , che con furioſo canto Del Sig.Lionardodi Capoa. 195
canto iſtigaſſe Aleſſandro Macedone a prender l'ar : me ; ma addolciando le
note sì adoperaffe, che le poneſſe giù di bel nuovo ; e di Aſclepiade , che le
impazzate men ti, e da furor turbate , aveſſe con ſoave melodia in iſtato di
ſanità ridotte ; e del medeſimo, che a ſuon di tromba a’ fordi renduto aveſſe
l'udito . Ma non così di leggieri pe I ) ſembra ,che preſtar ſi poſſa fede a
Marziano Capella , il quale afferma,eſſere ſtate guarite le piaghe perla muſi
ca ; ed à ciò , che diceli d'Itinenia Tebano, che col canto guariſſe la
ſciatica, comechè li fien fovente vedute per im provviſo timore , e le podagre,
e le quartane febbri dipre ſente fanate . Ma che Talere poi colla ſoavità della
Ce tera la peſtilenza aveſſe fugar potutz , coſa ſembra affatto lontana dalla
verità . · Ma il valor della muſica ben venne conoſciuto a tutte quelle
nazioni, che in mezo alle battaglie vollono i ſuo ni , e l'armonie framettere ;
come quelle , che troppo va levoli lor lembravano a trarre gli animi
de'combattenti, e colle varie note ſvolgergli, ove più l'era a grado ; e talora
incoraggiargli a più pericoloſe impreſe . E sìi Geti uſa rono le Cetere , e le
Siringhe : i Creteſi ', le Lire : i Lidi ed i Lacedemonj gli Auli,a ſuon
de'quali pria di comin ciare la miſchia , di cantare un melos qucſti eran uſi,
che Embetterio appellarono. E gli Arcadi p incoraggiare la lor giovētù ad
altiſſime impreſe, e per addolciar la rozzezza de’ioro animi,cagionata
dall'aſprezza dell'aria ,, con ogni ſtudio ferventemente alla mulica
s'impiegavano ; e l'eſſer ne ignoranti aurebbonſi a fommo ſcorno recato ; onde
diffe Polibio, che fin dalla tenera fanciullezza s’avvezavan gli Arcadi a
cantar Inni, e Perni , i quali ſecondo il patrio coſtume erano indirizzati a
lodare gli Eroi, e gli Dei della Patria ; e altri ufici della lor inuſica va il
medelimo Polibio lungamente diviſando ; e ne fa anco parola Atenco .. Vennero,
ma non guari feliceméte i Fenici da’mcdicanti dell'altre nazioni imitati , i
quali le maraviglioſe pruove, che per coſtoro col canto facevanſi ſcorgendo , e
non ſap piendone la cagione, ne per iſtudio c'huom vi mertelle Bb giam 2 196
Ragionamento Terzo 1 7 1 giammai penetrar potendola, li fecero a credere , che
l'ar monia tucti mali diſcacciar poteſse ; anzi vi ebbe di van taggio chi
ſconciamente filoſofando immaginò , non ſo lamente ſopra gli animali, maaltresì
ſopra l'infenſate co ſe quella ſignoreggiare , e fin ſopra i Cieli , e nel
baſso in ferno diſtenderſi. E perciò vollono , che colà giuſo nell abiſso
calando Orfeo, co'l ſuon della ſua Cetera ſtrozzal ſe ſu le fauci di Cerbero i
latrati , che uſo era contro a ' paſsaggieri con crudel rabbia di mandar fuori:
raffermal ſe l'orgoglio delle furie ſmanianti: e l'anime tutte perdue te ,
aveſler dall'acerbe lor pene alcuna triegua: ne lacera te p allor foſsero dagli
Avoltoj a brano a brano le viſce re a Tizio , ne le membra a Siſifo dal grayoſo
ſaſso sfra cellare ; ne per ſete delle vicine acque, e per fame delle vedute
poma arrabbiaſse Tantalo . E tutti quanti in ső ma l'inceſsabili torméti col
ſuon della ſua lira in quel paſ ſaggio ſgombraſse; anzi colla dolce armonia sì
poteſse fa re , e tanto , che dagli infernali Dei a'regni della luce law ſua
cara Euridice otteneſse di riportare ; il che vagamen . te deſcriſse
l'ingegnoſo latino poeta. T alia dicentem , nervofque ad verba moventem ,
Exangues flebant animæ,nec Tantalus undam Capravit refugam : ſtupuitq; Ixionis
orbis. Nec carpere jecur volucres urniſque vacarunt Belides: inque tuofedifti
Siſyphe ſaxo. Tum primum lacrymis vibarum carmine, fama ef Eumenidum maduiſſe
genas : nec regia conjux Suſtinet oranti , nec qui regit ima , negare : E per
tal cagione altresì,ad imitazione di Teocrito , Virgi lio introduce Alfefibeo a
dire Carmina , vel Calo poſuntdeducere lunam . Carminibus Circe focius mutavit
V lalei Frigidus in pratis cantando rumpitur anguis : Eplamedeſima cagione
pariméte quel noſtro Poeta puo tè far dire alla Ninfa , dicui narrò
Ricciardetto aRu. giero: Dal Giella Luna al mio cantar difcende , S'ago
DelSig.Lionardo di Capoa. 197, . S'agghiaccia il foco , e l'aria fifa dura , Ed
bo talor con ſemplici parole Moffa la terra , ed ho fermato il ſole . Ma
cotanto oltre portofſi la ſomma ſmcmoraggine di quegli ſciocchi imitatori
de'Fenici, che non ſolamente nel canto , manelle parole ſole ancora una tanta
virtù, ed ef ficacia conſiſter crederono , e di quelle in medicando fer vivanſi
: onde fi legge in Omero ,che colle parole ſtagnals ſero il ſangue delle ferite
d’Vliſse i figli d'Autolico, Τονμάρ Αυτολύκου παίδες φίλοι αμφεπένοντο, Ω'πιλήν
δ ' ο'δυσπG- αμύμονG- αναθέριο Δήσανέπιαμόνως • επαοιδη δ' αίμα κελαινόν
Εχεθος: cioè , Mad' Aurolico i figli eſtrema cura si preſer del divino Vliſſe ,
e prima Congrand'arte legaron la ferita Tenendo ilſangue , che già fuor n'uſcia
Conparole d'incanto entro le vene . Ma non ſolo i greci, maanche i noſtri
poeti, per cacer de’latini , ſecondando i ſentimenti del vulgo ciò ſcriſſero ,
infra' quali il Taſso padre finge , che la donzella della fa ta Silvana
medicaſse colle parole quell'Inghileſe Cava liere gravemente per man d'Alidoro
ferito , cosìdicendo: E con la forçade'magici incanti Fe in lui tornar la virtù
già ſmarrita, Se ricourati i vaghiSpirti erranti , Gli fanò in breve tempo ogni
ferita . E dicono altri ſcrittori aſsai, che operino ciò anche le parole in
tutt'altre malattie : infra’quali Vindiciano: Namque eft res certa Carmen ab
occultis tribuens miracula verbis : e priina di lui Quinto Sereno:
Multaquepræterea verborum monftrafilebo; Nam febrem vario depelli carmine polle
Vana fuperftitio credit , tremuleque parentes. La qual beſſaggine è durata
fempremai, edura tuttavia nel 198 Ragionamento Termo nel mondo , attenendoſi a
cotali fraiche , e novelle'; non ſolo la ſcempiata plebe , maancora quei , che
tra’letterati tengono qualche luogo; e nel paſſato ſecolo il Perrino,fa
mofiflimo Peripatetico , per tacer d'altri di minor liéva , con vaniſſimi
ſofiſmi, diſoſtener sì fatte pecoraggini fol lemente argomentoſſi, cercando di
dare a divedere,che le parole naturalmente ciò poſſano operare; anzi di vantag
gioancor giudicano , che le parole eziandio ſcritte , e ad doffo portate , non
ſolo a guarire i mali , e le febbri, ma anche a render yani i colpi delle
ſpade, e delle palle degli archibuſi ſommamenteapprodino. Onde poi prendono i
noſtri Poeti a favoleggiar de’loro Cavalieri crranti , co me di Ferraù narra
l'Arioſto: Ch'habbiate ſignor mio già intefo eftimo, Che Ferraùper tutto era
fatato , Fuorche là dovel'alimentoprimo Piglia’lbambin nel ventre ancor
ferrato. E del ſuo valorofifſimo Orlando : Era egualmente il Principe
d'Anglante Tuttofatato , furrche in una parte : Ferito eller pote a fotto le
piante: Ma le guardòcon ogni ſtudio sed arte . Duro era il reſto lor ,come diamante
( Sela famadal ver nonſi diparte ) E l'uno , e l'altro andòpiùper ornato , Che
per biſogno a le battaglie armato . Ma più ridevole in vero, e ſtrana allai,
èpreſſo il Bojardo , e l'Arioſto , la novella d'Orillo , il quale ingaggiato a
bàttagiia con Grifone , ed Aquilante ſu le ſponde del Ni lo , non mai da
que’prodi campioni potea trarſi di vita : imperocchè per virtù diparole ,e
d'incanto , egli era sì fattamente ciurmato , che dopo eſſere ſminuzzato , e
tri tato, di nuovo, que'minuzzoli da per ſe acozzandoſi , -ri tornava ,
ſicomeprima a vivere , e a combattere ; onde cantò il Bojardo Segli tagliafſi
il collo , il petto ,e l'anca Piùminuto il tritaſi, che'l panico, 6 Mai
DelSig.Lionardo di Capoa. 199 Mainonſarà dello Spiritoprivo, Spezzato in mille parti
torna vivo. Famoſa ſenza fallo , e chiara al mondo fe la medicina de Traci il
valencillimo medico , e filoſofante Orfeo , come colui , che per teltimonianza
di Clemente Aleſſandrino nelle ſecrete coſe della natura fi fè addétro aſſai ;
e fu il pri mo, checurioſamente, per quel che ſi ſappia , dell'erbé ſcriſfe :
primus, dice Plinio , omnium , quos memoria novit Orpheus de herbis aliqua
prodidit . Compoſe egli ancora alcuni libri della natural filoſofia, delle
gemme, del ſito delle fibre , e un libro ſe'l ver dice Galieno della compoſia
zione degli antidoti, e molti , e molte altri libri di coſe naturali ; ſenzachè
non ſi può egli di leggier credere, in quanto pregio avuto egli foſſe tra per
la dolciſſimaarmo nia del ſuo canto , e per altre ſue rare dottrine , maſlima
mente della politica , di cui ſecondamente che ne raccon ta Pauſania , fù egli
un gran maeſtro , molte , e molte di di quelle coſe inſegnando , le quali alla
vita, e al regime to degli huomini abbiſognano. E anche fu egli pregiato molto
, e tenuto a capitale per le molte , e valevoli medi cine a corali malattic non
men del corpo , che dell'animo dalui ne'ſuoi infermi felicemente adoperato. E
comechè favoloſo affatto , e vano fia ciò , che vien narraro di ſua moglie
Euridice,da luicol canto riſuſcitata : non però di meno vogliono molti antichi
ſcrittori , che Orfeo la riſa naſſe , preſſo a morte ridotta dal morſo d'una
ſerpc, e che poſcia ella ſe ne moriſſe per colpadel medeſimo Orfeo .Ma ſe foſſe
veramente d’Orfeo quel poema dell’Argonautica, che la bugiarda Grecia ſotto il
ſuo nome divulgò , dottar non ſi potrebbe , che egli non foſſe ſtato della
Chimica molto , e molto avviſato , mentre ſi deſcrive in quel libro
minutisſimainente ciò, che ſi richiede per lo gran magiſte ro , che deſcritto era
, come ſi finge nel libro , che Orfeo con gli altri argonauti a Colco
conquiſtarono. E quinci certamente ſi pare poi, che i poeti prendelſer
l'occaſione di finger quel celebre favoloſo racconto del Vello dell'o ro:, il
quale , come dicono lo ſcoliaſte d'Apollonio ,e Sui da, e 200 Ragionamento
Terzo da , e Varino Favorino , altro veramente ei non era , che una pelle ,
nella quale l'artificiofa maniera da cambiar in oro qualunque altro
demetallideſcritta leggevaſi. Ma le tante arti , e ſpezialmente la muſica,e la
poeſia ; nelle quali dilettavali aſſai Orteo , e l'eſſer egli ſtato , CO me
Simplicio riferiſce,autore, ed inventore deltaco , e no per altro, che per
iſcuſarſi, e riveſciar ſopra la di lui inevi. tabile neceſſità quelle morti,
che per ſua colpa a'poveri in fermi avvenivano , mi dan per avventura giuſta
cagione di dubitare, non egli foſſe ſtato nella filoſofia,e nellamedi cina da
mé, che altri credevalo ;ne tāta loda meritar dovel ſe , quanta in prima
guadagnoli nel creſcere dell'arti ap preſſo i troppo ſemplici , enon eſperti
antichi, iquali pa ghi ſolainente delle primeapparenze delle coſe , nonnes
venivano troppo addétro a penetrare le cagioni;comeche Pittagora ſtudiato
oltreinodo ſi foſſe delle doctrine di lui apparare , e diſcerner ſuoi librilegittimi
da non veri,ſico me non pochiſcrittori teſtimoniano, e ſpezialmente Siria no ,
il quale di moſtrare a' fentiinenti d'Orfco que'diPi tagora , e di Platone
concordevoli argomentolli. E più avanti è da dottar della ſua dottrina , e
valoria ; percioc chè non è egli vero ciò , che il ſemplice vulgo parimento di
lui credeva , efſer le ſue azioni , ed andamenti tutti con una coral gravità di
coſtumi, e lantità di vita ſempremai ſtati accompagnati ; conciofoſſe coſa ,
che egli dimoltes malvage uſanze , c cattive vezze la Grecia cutra gualta, e
corrotta aveſſe : Sacra Liberi Patris , dice Lattanzio , pri mus Orpheusinduxit
in Greciam , primufque celebravit in monte Bootie Thebis , ubi Liber natus eft.
E di vantaggio ſcrive di lui Ovidio : Ille etiam Tbracum populis fuitauthor
amores In teneros vertiſe mares : Ma la medicina de Traciin fama,edonor
maggiorinen te poi crebbe per opera di Zamolſide, non meno ſaggio , che
valoroſo lor Principe, da alcuni fallamente appo Ero doto creduto ſervo , e
diſcepolo di Pittagora . Ma della medicina di Zamollide altro noi non abbiano,
ſe non quel poco DelSig. LionardodiCapoa 201 poco che appo Platone ſe
nelegge,cioè,nó poterſi medicar gli occhj ſenza la teſta ,ne la teſta ſenza
tuttoilcorpo, ne il corpo ſenza l'anima. E queſta dicca Zamolſide eſser la ra
gione, perchè molte malattie de'corpi fieno naſcoſe a'me dici Greci , a’quali
non è manifeſto dove primjeramente faccia meſtieri applicar la medicina, cioè
al tutto , il qua le non iſtando bene , è imposſibile , che qualunque ſuas
parte ſe ne ſtea bene;cócioſliecoſachè,ficomc egli dicevil ', ciaſcun noftro
bene , o male dall'anima noftra ne diſcenda al corpo , e da quello
conſeguentemente a ciaſcuna parte di ſe, e perciò agli occhj ſi partiſca ; e
però giudicava in prima eſſer l'anima ſopratutto da medicarc ; acciocchè bé poi
ne ſteſſc la teſta , e tutto il corpo .Mal'anima egli volc va , appo
Platone,che da medicar foſsc có incanci; e queſti diceva eſserci buoni ſermoni
, e indirizzamenti, i quali certamente fan pro a render l'huomo temperaro , e
ſigno reggiante l'impeto de'ſenſi alla ragione rubelli ; e quindi 1.2 ſanità al
capo , e a tutto il rimanente del corpo agevol mente poicompartirſi: ecco le
ſue parole sa's dº itu'sa's Guo ας , τες λόγες είναι τις καλές • εκ δε των
τοιέτων λόγων εν αις ψυχαίς σοφροσύνην εγγίγνεσθαι ,ής εγγενομένης , και
παρέσης ράδιον ήδη είναι την υγίειαν , και τη κεφαλή, και το άλω σώμαπ πορίζων
, Ma non facea meſtieri certamente di molto ftudio , e di molta acutezza
d'intendimento a porre in aja sì fatti di viſamenti , che poſsono di leggieri
cadere in mente anche alle più idiote perlone . Nevero egli ſi ritrova , che le
malattie tutte del corpo , dall'anima dependano , o ſem - prc , chepatiſce una
parte , debba neceſsariamente patir il tutto , o'lmal delia parte da tutto il
corpo, o da qualche parte principale di quelle dependere; perciocchè ben può
eſser tutto il rimanente del corpo, ſano , & una , o altra parte ſolamente
magagnata . È ciò avvenir tutto dì live de ,maſſimamente nelle ferite, ed epfiamenti,
che colme dicar la parte offeſa ſola, ſenza badar ad altro , quella feli
cemente ſi riſana ; e ciò conferma l'eſemplo del fatto a'no ſtri tempi avvenuto
, dicolui , che portar non potendo il troppo acerbo dolore , che per la podagra
pativa in un de Сс diti 1 2 202 RagionamentoTerzo diti del ſuo piè , venne a
tanta diſperazione, che preſo un coltello, troncoſselo , ne più mai in altro
luogo poi venne gli la podagra . Macon gran prontezza venne abbracciata , e con
gra disſima ſuperſtizione oſservata sìfatta guiſa di medicare da'Greci medici
razionali ; e di quella tuttavia ſivaglio no i noſtri medici ancora , tra per
far pompa di quel ſape. re , ch'effi non hanno , ed ancora per menar la cura
alla lunga ; ma ſopratutto per non aver rimedio opportuno al male ; e di cotali
ſorti di medicine ſi ſervono , le quali al la malattia punto non s'appartengono
; e nondimeno egli no millantando dicono uſarle opportunamente: acciocchè prima
il tutto , e le parti principali medicate ſieno ; e quin di all'offeſa parte fi
venga a dar riparo ; e immaginando follemente ancora , che ciò far conaltro
argomento non ſi poffa , i lor ſalalli , e le ſtomachevoli purgagioni, che fono
i maggiori ricoveri della loro ignoranza , mettono di preſente in opera,co
imporgli largamente ovunque più loro aggrada , fino a far infralir gli ſpiriti
, e preffo , che amorte giugner i malati; ma ben ſovente incontrar ſuole, che
da qualche femminella , o altro menomo Empirico ' , cui il vero rimedio ſia
conoſciuto , di sì fatte lor cianceri mangan beffati , e ricreduti . Ma per
altro poi molto manifeſto fiſcorge, che in Za mollide aſſai più che'l
ſapere,parte v’ebbero l'aſtuzic,ele frodi, delle quali niun forſe di lui meglio
ſi ſeppe a'luoi tempi valere . Fabbricò egli un belliſſimo palagio ( co me narra
Erodoto , comeche Strabone altrimentijl fatto deſcriv2 ) nel quale convitava a
mangiare la gente più principale , e lor perfuadeva , che ne eſſo , ne alcun di
co loro , che gli tenean compagnia giammai morirebbe; ma inſieme con eſo lui
dopo il trapallamento della preſentes vita , eterna beatitudine goderebbono.
Edificò egli un ' altro palagio ſotto terra, la dove egli infingendoſi mor to
ſtette celatamente tre anni ; nel qual tempo con pieto fi ſoſpiri, ed amare
lagrimc doloroſamente fu pianto da que'popoli; ed uſciione poſcia diè a
diyedere, ch'egliera in vi DelSig. Lionardo diCapoa 203 ciò , in vita ritornato
; e queſto , ed altro egli ebbe agio di fa . re , perch'era in grandiſſima
gloria ſalito , tra per la medi cina , e tra per eller qnci popoli groſſi , e
materiali ſoprá modo ; intanto , chenon ſolo diedero intera credenza a che
detto aveya : ma ancora dopo mortc in cotanta , maraviglia fu tenuto , che
venne da loro per Dio adora to ; ed a’teinpi di Erodoto eglino ancora avevano
in co ſtume di madargli uno ambaſciadore con una nave di cin que hucmini:
aʼquali era impoſto , che giunti ad un ſoli tario , ed ermo luogo,prendeſſero
per lo piede il detto am baſciadore, e lo ſoſpingelſer ſu in modo tal ,
ch'eglive niſo a cader giù loura tre lance a tal effetto acconce ; il quale fe
immantenente ſe ne moriva , eran ſicuri , che Za molde favorevol farebbe ſtato
alle lor dimande ; ma ſe per avventura morto non foſſe , n'era accagionato ,
coine indegno dell'ambaſceria , e reo , e perfido huomo era ap pellato; ed un'altro
ambaſciadore a queſt'opera fare eleg gevano , al quale le medeſime ambaſciate
imponevano Quefta fortuna medeſima appretſo lui participarono i ſuoi fcaltriti
diſcepoli, come quei, che poteron dare agevol mente a divedere a quc'ſemplici
popoli , che valevoli foſ ſero coʻloro argomenti a dare altrui quella
immortalitá che per ſe medeſimi conſeguir non potevano. Ma Bacco,
ſapientiſſimo, e valoroſiſſimo Principe de' popoli Affirj, della medicina de'
quali ora lo intendo di ragionare , avendo in pochiſſimo tempo a forza d'ar me
vinta l’Iberia , e la Libia , e l'Oriente tutto , e più, e più volte calcate
colle vittorioſe piante l'arene dell’O ceano , e fin l'ultime regioni della
terra penetrate , e po ſtevi per eternamemoria de'ſuoi trionfi quelle due famo
ſe colonne: così ragguardevole, e glorioſo in tutto'lmon do divenuto,pur ebbe
in cotanto pregio la medicina , che non già monarca , e conquiſtator delmondo,
ma medico ſolamente volle elles chiamato . E nel vero così magnifi che, c
gloriofe furle fue impreſe , che per tacer de Fenicja ftudiaronli i Greci
millantatori colle loro uſate menzogne di Cadmo al nipote , huom di loro
nazione propiamente Сс 2 inve 204 Ragionamento Terzo 1 1 inveſtirle ; ma ſi ben
non ſeppero con loro novelle la coſa comporre , che non ſene doveſſe
manifeſtamente avvede. re ciaſcun , che de'tempi di coloro faceſſe ragione ;
per ciocchè egli è coſa manifeſta , che molto tempo addietro a Cadmomedeſimo,
non che a ſuo nipote, ci foſse Bacco vivuto , ſecondamente che s'avviſa in
Euripide , introdu cente nella Bacchide Cadmo a comındare il culto di Bac co ,
fol perchè egli antico fi foſse : Πατος παραδοχας, άσθ' ομήλικα , χρόνων
Κεκτήμεθ' , έδεις αντο καβάλει λόγG-. Ed Ateneo ,graviſſimo ſcrittore,
ſomiglianteméte dice,far fi menzione di Bacco nella lapida del ſepolcro di Nino
, il qual viſſe certamente ſeicento anni prima de'tépi di Cad mo ; ſenzachè
appo Filoſtrato affermano in verità gl'In diani , eſſer Bacco , non dalla
Grecia , comealtri crede , ma dall’Affiria nelle loro contrade capitato. La
maggior opera, che Bacco in medicina faceſse, ſem bra ſenzafallo il
ritrovamento del vino . E ciò fù per av ventura , che adoperando cgli il ſugo
dell'uva per cotal fua biſogna a caſoqualche parte nelvaſo avanzata ne for
ſe,la qual poi bollendo,e formétandoſi in vino fi cambial fe: e diciò
avvedutofi egli , a bello ſtudio poi la colaj provaſse , eriprovaſse, finchè
avviſandolo alla fine così ſpiritofo , e giovevole al genere umano l'adoperaſſe
in prima nelle malattie, quindi ancora agli huomini ſani lar gamente il
concedeſse . Ma forſe egli , ſecondochè lo immagino , per via della Chimica
ritrovollo ; la qual , ficome in Egitto , così anche doveva allora in quelle
con trade ſommamente adoperarſi. E veramente ſolo a'Chi miciconviene col
digeſtimento , e formentazione neʼlu ghi vegetabili ſuegliar gli ſpiriti, i
quali pigri in prima, e quaſi addormentari in quelli dimoravano . E potrebbe
eſser’anche , che Bacco apparato l'aveſse in ciò , che lo frutte , da ſe
medeſimeforinentar fi ſogliono , el ſapore e l'altre qualità convencvoli al
vino acquiſtare; avvenen . do ciò per opera de'movevoli ſommamente , &
acuti cor picciuoli , i quali dall'aria intorno lor communicandoſi, e ajuta Del
Sig .Lionardodi Capoa. 205 ajutati da cotali atometti di quelli , onde il fuoco
s’ingco nera,che continuo portan ſeco ,e che in que'corpi trovano, fuiluppano
tratto tratto, e ſciolgono quella nobiliſsima foſtanza , ch'anima del vino può
dirſi , e da' Chimici , che colla diſtillazione ſoglion dal vino
ſepararla,acquarzente, e ſpirito di vino ſi chiama. Ma comechè del ritrovamento
del vino ſe ne debba veramente l'onore al noſtro comun padre Noè ; impertá to è
da credere, eſſer' il modo di fare il vino da lui già ri trovato ,per
travalicamento di tempo , ſmarrito : cche Bacco poi da capo il rinveniſſe . lo
fo , che alcuni favo leggiando voglion con lor novelle darnc a divedere ,eſſere
ſtata una medeſima perſona Noè , e Bacco ; ma ciò trala fcio , per non effer
egli in modo alcuno da credere ; per ciocchè per quel , che comprender ſi poſſa
dalle ſagre car te , non guerreggiò giammai Noè , ne altra impreſa fece , che
ſpezialmente a Bacco s'attribuiſca . E molto meno è da preſtar credenza al
Voſſio padre , il quale a deboliſſime fondamenta appoggiato , giudica , non
altri eſſere ſtato Bacco , che'l ſanto Moisè ; perciocchè Moisè non fu mai in
India a guerreggiare , non chepunto ta foggiogaſſe. Ma ciò non appartenendo
punto al noſtro propoſito dico, che ciò , che ſifacefle in inedicando Bacco , e
quali altrimedi camienti egli adoperaſle , e come co'l vino guariſse i mala ti
, e coll'edera poi a'nocimenti del vino e' riparaffe , non ; ne abbiamo al
preſente,per quel ch’lo ſappia, contezza alcuna . E avvegnachè
valentisſimomedicante e' li foſſe, c imperciò dall'oracolo il dator della vita
chiamato , non però di meno eſſendo egli avido di loda , e vanaglorioſo aflai,
pur comegli altri per maggiormente cfſer tenuto a capitale ,
vollemueſtrevolmente render più maraviglioſe le ſue cure , con far veduta , che
qualche coſa ſopranatu rale anchev'aveſse ; perchè ſerviſſi delle divinazioni e
de facrifici, i quali tra per queſto , e per la ſperanza di veni re anch'egli
dopo mortequal Dio dagli huomini celebra . to , nell'Alliria , e ne'paeſi dalui
ſoggiogati , in primaj introduſſe. 200 Ragionamento Terzo 1 Ante tuos ortus
ar& fine honore fuerunt Liber , & in gelidis berba reperta focis . Te
memorant Gange, totoque Oriente ſubalty Primitias magnofepofuiße lovi . Cinnama
tu primus, captivaque thura dediſti , Deque triumphato viſceratoſta bove. Ma trapaſſando
dalla medicina degli Affirj a quella de gli Arabi , ſe rozza veramente , e
ſciocca oltremodo ne gli antichi tempiquella fi foſſe ,o ſe talpur ſi
pareſc,ben G ravviſa in ciò , che da Agatorchide per teſtimonianza di Strabone,
e di Diodoro , che da lui tolfer di peſo ciò , chc ſcriſſer delle coſe degli
Arabi, narrato ne viene . Do po aver detto Agatoichide, che nell'Arabia per la
trop pa fragranzia,e acutezza, che ivi fentivaſi degli odori del le loro piante
, diffolvendoſi , e dilatandoſi tratto tratto la teſſitura delle membra di
quegli abitatori, divenivano i cattivelli in fierisſime cagioni , e malattie .
Soggiugne egli poi , che a quelle co'l fumo, ccolla puzza delle bar bc
de'becchi , e del bitume davan riparo : da#reouév8 rõrúa ματG- υπ ' ακράτε , και
μη τικής δυνάμεως , και την συμμετρον πύκνω. σαν επιπλεονεξίσης, ωπάγαν ας
έκλυσαν ισχύ την .Ρcrche fembra ad alcuni , che a ciò fare ſoſpinti foſſer gli
Arabi medican ti da quel volgar ſentimento , che l’un contrario , per l'al tro
curarſi debba . Ma che che ſia della verità di ciò ,tan to , e tanto oggi meſſa
in dubbio da’moderni medici : di co , che ſe rimedio pur quellera , certamente
era cgli più acconcio a conſervare , e difendere da quelle malattie i
pericolanti paeſani , che le già appiccate ceffare. Ne è pū. to vero ciò, che
il dottiſlimo Salmafio giudica , esſere ſta ta queſta in Arabia una cotal ſorte
di metodica medicina ; perciocchè i Razionalimedici ancora ſi prendon guardia
di non laſciar di ſoverchio turati , o ſpalancati i pori degli animali , e
oltre al convencvole ſtemperati. Maccrtamē te è da dire , che eſſendo ora cosi
odorifera di ſpezierie l'Arabia , quale in quegli antichissimi tempi ſi era:ne
per ciò cagionandoſi quivisì fatte malattie , fieno affatto fa volore, e vane
cotali no c!le di que'tcmpi; o alti vode,che dagli Del Sig.Lionardodi Capod.
207 dagli odori foſſe ciò avvenuto. Ne poſto in ciò della tram { curaggine di
Strabonc , e di Diodoro forte non maravi gliarmi,i quali non ſi dieron mai cura
di ravviſare un cotal farfallonenegli antichi, e pure nc'loro tépi affai ben
cono ſciuta ſi era l'Arabia.Ma nella Grecia da chi , e in qual té po da prima
ritrovata ſi foſſe la medicina , Io quanto a me confeſſo affatto non ſapere ;
nondimeno farei d'opiniones molto tempo avanti di quel , che comunemente ſi
giudi ca , quivi eſſere ſtata quella ritrovata : e ben priina aſſai , che Cadmo
le priine lettere vi recaffe ; perciocchè per le gravi , e crudeli malattie ,
che continuo quella infeltava no , ſommaméte allora faceva la medicina alla Grecia
me ſtieri . Il che fu anche cagione , perchè con tanto ſtudio, e in tanto
novero i Greci tutti allora alla medicina s'impie gaſſero; e non fu egli al
mondo ,per quanto ſi poſſa in iſto ric avviſare , nazione alcuna , che cotanto
vis'inviluppal ſe , quanto la Greca . Perchè ſembrami egli certamente
imposſibile , che nelle tenebre di tanti , e tanti paſsati ſe coli , e da
poche, e non ordinate memorie , che appena ai noſtra notizia fien pervenute, ſi
poſſa in alcun modo inve ſtigar la verità di cotali coſe ; ſenzachè fon le loro
ſtories tutte ſofperte di falſità , e millantatrici, ccon l'uſate lor favole ,
e novelle ſempremai meſcolate;imperciocchè, co me avviſa Giuſeppe Ebreo: non
avēdo avuto i Greci ſcrit ture pubbliche , nelle quali fedelmente ficonfervaſsero
fe . memorie delle coſe avvenute , oguiſcrittore poteva ,come più gliera a
grado narrar le coſe,ſenza aver timore di po ter mai eſser colso in fallo ', e
convinto di bugia . Arro ge , che i Greci , come afferma Dione , erano così
avvez zi al piacere , che ſtimavan vere tutte le coſe , che narrate foffero con
eleganza di ſtile ; il che poi cagionava, che gli ſcrittori d'altro cura non ſi
deſsero , chedivagamente, ed ornatamente ſcrivere , fenza durar fatica
nell'inveſtigar la verità de' fatti ; anzialcuni ſovente ſi ſtudiavano , meſco
. lando a bello ſtudio menzogne coll’iſtorie , di fare altrui delle loro
ſtrabocchevoli impreſe maravigliare ; e altri fi adoperavano in ben comporre ,
e inviluppar le coſe per coglier 1 1 208 Ragionamento Ter 70 6 1 coglier
poicagione di trarre a ſua patria ciò , che di ma. gnifico , e di pregiato
andaſſe attorno . Così il comun der Greci le glorioſe geſte in medicina d'Oſiri
Egizio , perta cer d'altre ſue impreſe , che non fanno al preſente a noſtro
propoſito , al ſuo Apollo figliuol di Latona mentendo at tribuì; e'l figliuol
di Semele reſe chiaro , e illuſtre co' fat ri di Bacco Afirio . Così ancora
quanto di grande , e di glorioſo in medicina operaſle Tofortride, inſieme coʻl
ſuo medeſimo ſoprannome al ſuo Eſculapio falſamente attri buì; laſciando così
in tanti volumi , e confuſioni il pren . derſi cura gli ſcrittori di rapportare
il tempo , in cui par citamente quegli antichi medici Greci viſſero , de'quali
ancora a' noftri tempi ne ſon giunte qualche contezze,che malagevole , anzi
impoſſibile egli ſembra ad huom lo ſvi lupparſene . Ma io in quanto potrò per
fornire il mio di viſo , faronne una breve , comechè confuſa accolta , eſc
condochè alla memoria a mano a mano mi ſovverrà , ter rò ragionamento di
ciaſcuno . E prima di tutt'altri mi convien narrar di Peone tenuto in sì gran
maraviglia appreſſo gli antichi per la ſua impareggiabil’arte del medicare ,
che ragionevolmente giudicarono , aver lui meritato d'eſſer medico diGiove, e
cotanto lafsù pregiato , e tenuto a capitale, che più dicia fcun'altro Dio
preſſo a quello orrevolmente ſi ſedeſſe;nar, rando di lui Omero . Παρ δε διά
κρονίωνι καθέζείο κύδει γαίων , e'l medeſimo poeta nell'Odiſſea avea detto , i
medici del l'Egitto eſſere eccellenti per eſſer della ſchiatta di Peone :
Tlainavos dirigevédans . Il che ci può far credere , che Peone foſſe Egizio , e
non Greco di nazione , ma inſieme con gli altri , che teſtè dicemmo agli Egizi
da'Greci rubbato ; e intanto crebbe nella Grecia la fama di Peone , che ciaſcun
medico dopo di lui giudicava , ſe eſser ſommamentelti mato , e commendato, ſe
col ſuo nome chiamar ſi faceſse; anzile mani inedeſime de'valenti medici da
Galjeno, c da altri ſcrittori vennerdette pconie ; e peonie parimente fi
diſsero l'erbe più giovevoli,ed efficaci ad uſo di medicina; perchè cantò il
Poeta Et ful 4 - Del Sig.Lionardo di Capoa 209 fuperas Cali veniſe sub auras
Peoniisrevocatum herbis , cioè a dire , come avviſa Servio , à Peone Dcorum
medico Vsò Peone in medicando le ferice, piacevoli, e dolci mc dicamenti,
co’quali curò egli Plutone, per le mani d'Er cole grayemente ferito : Τα δ '
επι Παιήων οδυνηφα φάρμακα πέσων, Η'κέσατ' Dalla qual cura ſi può agevolmente
avviſare, eſsere ſta to Peone appreſso gli antichi in maggior pregio aſs :ri
del medeſimo Apollo : comechè alcuni vanamente giudichi no , la modelima
perſona eſſer Peonc , ed Apollo . Ma ciò quanto ſia lontano dal vero
manifeſtamente in ciò ſi conoſce , che Omero nel ſuo maggior poema , di Peone,
e d'Apollo , come di due diverſe perſone ſeinpremai farvel 1.1. Ne è punto da
dar credenza al chioſator di Nicandro, che vuole,Peoneeſſere ſtato il medeſimo
, ch'Eſculapio ; nel quale crrore cadde poſcia Artemidoro ,quando diſse :
Slautwv gas ó Arxassatoo's heyeces: imperciocchè nc' tempi d' Omicro , Eſculapio
non era ancora deificato ; trattando Omero comc huono Eſculapio allora quando
e' dice , in favellando di Macaone, che egli era figlio d'Eſculapio ec
cellentiſſimo medico : Φώτ' Α ' σκληπιά υον αμύμον G- ιητήρG- , Maciò laſciando
al preséte, e ritornando al noſtro pro poſito della medicina , dico , che di
Peone non s'hà ine moria , ch'Iomiſappia , niuna , fuor ſolamente della Peo nia
: Vetuftifima ,narra Plinio , inventio paoniæ eft , no menque authoris retinet.
MaIo quanto a me giudico, non cffer lui ſtato cotanto valoroſo medico, qual per
avventu ra lo ci danno a credere i troppo rozzi antichi; percioc chè altro
delle ſue pruqve non abbiaino, che l'aver lui una fola ferita ſaldaca . Perchèè
cgli a buona ragion da crede re , che Peone per dovere a cotanta gloria ,
quanta egli acquiſtonne , condurſi, tutti i buoni, c malvagj contigli adoperati
y’aveſe,facendoſembiante alla ſciocca , e fem , D d plice 210 Ragionamento
Terzo plice gente,con ſuefruſche,di tar lemaraviglic . E per av ventura egli ſi
fu il primo, che ne fe credere cotáte ſcioc chezze della ſua peonia:
dicendo,dover'huom quella in lis la notte cogliere, per non eſſer dalle
ghiandaje veduto ,le quali ſtandole continuo a guardia, crocchiando , e volan
do accorron coſto a bezzicar gli occhi di chi la ſvelle ; ſen zachè dicono
correr colui manifeſto pericolo di cicpargli gl'inteſtini , ſe digiorno la
coglie . Novella ſecondochè giudica Plinio , a bello ſtudio ordinata, e
compoſta per dar maggiormente ammirazione alla coſa . Ma non che ciò ſia vero ,
anzi le virtù tante della Peonia cotanto dagli ſcrittoricommendate , e da Peone
forſe da prima a quella attribuite , ora in verità tutto vane , e falſe
ſperimentate fi ſono : ne ad alcun lieto finc giammai riuſcir ſi veggono .
Perchè colſer cagionc alcunidi dubitare , non forſe que Ita noftra Peonia altra
fi foſſe , che quella cotanto tenuta in pregio dagli antichi , e adoperata in
diverſe lor malat tie. È altri giudicano effer veramente quella ; ma per
conſervarli nelle ſue virtù vogliono , che ſia in certi tem pi ſolamente , e
ſotto cotal coſtellazione da raccoglicre . Ne è da tacere in queſto propoſito ,
quanto arditamente uccellar ne voglia Galieno , il quale afferma aver lui me
delimo ſperimentato , che la radice della Peonia appicca ta al collo de fanciulli,
c quivi da lor tenuta , non ſolaine se glidifenda dal mal caduco , ma anche
quando già pre ſi ne ſono, facciagli di preſente rinvenire. Malaſciando al
preſente Pconc , e trapaſſando a dir d' Apollo , creduto comunemente Dio della
medicina : egli è da ſapere , che molti Apelli già furono in Grecia , e
cctante, e sì diverſe , e dal vero lótane ſono quelle coſe , che per gli
ſcrittoridilor ſi narrano , che ſarebbe certa mente un logorar fuor di
propoſito il tempo , il venirle qui ad una ad una a raccontare. Solaméte dirò
del figliuol di Latona quelle poche , e confuſe memorie alla ſua me dicina
pertinenti , che per quanto lo ſappia a' noſtri tem pi pervenute ſono . E in
prima , quantunque Apollo al cuna erba ritrovaſſe ad uſo di medicina , quale è
quella per 1 Del Sig.Lionardo di Capoa. 211 percid detta Apollinare, che è una
cotal ſpezie di Solatro; Apollo hanc berbam ,dice diquella Apuleo, fertur
inveniffe, da Aſclepio dediffe,&apollinaris nomen impofuiſſe ; inper tanto
non è perciò egli da eſſerne cotantoonorato col rag guardevol titolo di Dio
della medicina , ficome dal vula go , or follemente ſi giudica ; perciocchè in
quel medeſi mo tempo , ch'e'fioriva , molto d'altra parte in medicina
vantaggiavaſi Chirone ; il qual certamente in ciò cotanto di lui fu maggiore ,
ch'egli inedefino conoſcendolo tale , volle, ch’Eſculapio ſuo figlio per
maggiormére profittar vi, da Chircne la medicinaapparaſſe , come da maeſtro di
ſe più valoroſo aflai . Senzachè narra Igino,cſſere ſtato Apollo il primicro
ſolamente a ritrovar la inedicina degli occhj , non di tutt'altre malattie del
corpo umano. Ele disse d’Apollo, Callımaco, che da lui primieramente gli
huomini apparato avevano a cellare i pericoli della morte: Κάνε δε θυμαι και
μάντιες : έκ δε νυ Φοίβε , Iyisod dedeany , ardermoor Java Toio : ſeguì in ciò
certainentc egli la comun credenza della gente volgare , non badando punto alla
verità del fatto. Ma ſia pur ciò , comeſi voglia : lo quanto a me immagi gino ,
che Apollo , o avendo egli col ſuo ſtudio , e colla ſua diligenza rinvenuta
cotal medicina a’malori degli oc chi giovevole , o pur da qualche vegliarda
appreſa aven dola , a quella adoperare con ogni ſuo ſtudio continua mente
intendeſſe; e comechè in quella parte reſo fi foſ ſe ragguardevol molto alla
gente di que'tempi, non pe rò di meno egli è da dire , nel rimanéte eſſer lui
ſtato mol to rozzo , e dappoco in medicina , e'l ſaper ſuo manche vole affai;
ajutandoci a ciò giudicare la comun mellonag gine di que’tempi, e maſſimamente
nella Grecia nell'arti più ragguardevoli. E che cotal foſſe ſtato anch'egli
Apol lo , in ciò certamente ravviſar fi potrebbe , ch'egli poco alla ſua
ſcienza fidando per dovere aggiugnere a gloria di valoroſo , quella parte della
medicina a imprender ſi dic de , la quale intorno agli antivedimenti
s'adopera;quindi D d 2 росо 2 IZ Ragionamento Terzo poco in quella ancor
profittando,peraltre ſtrade ſconce, e ſuperſtizioſe argomentofli di venire a
capo de' ſuoi avviſi, apparando dal vecchio Pane l'arte ſcaltrita , cingannevo
le del vaticinare . Quindi andato in Delfo , la dove Te. mide dava le riſpoſte,
e avendo quivi la ſerpe ingannevol mento ucciſi , la quale gli vietava
l'entrata nell'aperturu dell'oracolo , ingombrollo di preſente , e cominciovvi
in un tratto maeſtrevolinente a profetizzare; ſcrivendo di ciò Apollodoro
quette perole: Απόλλων δε την μαντικήν μαθών παρα του Πανός , του Διός Θυμάρεως
ήκεν ας Δελφούς χρησμωδούσης το σε Θέμιδα • ως δε ο φρερών το μαντίον Πύθων
ώρις εκώλυεν αυτόν παρελθείν εις το χάσμα και του τον ανελών , το μανλείον
παραλαμβάνει . E queſto vien altresì conferinato di Strabonc, il quale meglio
ſembra per mio avviſo , che abbia ſaputo la coſi . Dice egli ch'effedo ſtato
Apollo ammaeſtrato nell'arte de' vaticinj da Pane , che diede le leggi agli
Arcadi , ſe n'an daffela dove la Notte,e la Dea Temide davan le riſpoſte, ed
ammazzato il tiranno di quel luogo chiamato Pitone, ribaldo , e terribile
huomo,che per la ſua grandearroganza dicevali se zw ,cioè Dragone,preſidéte
allora della menſa de’ vaticinj, ſe ne impadroniſſe , e celebrar vi faceſſe gli
ſpettacoli . Coſtuma poi ſeguita per tanti ſecoli da que gliempi , c fugaciſuoi
facerdoti, e miniſtri , i quali imi tando in ciò il loro aſtuto maeſtro ,
vezzatamente davanj le riſpoſte inviluppate d’enimmi, e diriboboli, intanto ,
chequalunque caſo poi n'incontraſſe, ſipotea ben dire , eller quello verainente
ſecondo il lor divino predicimen to ſeguito . Nc in ciò punto meno ſcaltriti, c
maliziofi fi rono dopo Apollo gli altri medici, col tener macítrevol mente mai
ſempre i cattivelli malati a bada, e ragionando ſemprea riguardo , c con
duplicità , delle lor malattie,per dover ſempre poi indovinare, a qualunque
fine il mal ne siulciffe . E quelle fi fur larti, onde in tanta fama, e pregio
2p preſo il vulgo montò Apollo , che guadagnoſsene il titolo k ! maggior
medicante del mondo,anzidi Dio della me sna. Misi, e tanto non potè egli con
fue afuzicado 1 Del Sig.Lionardo di Capoa. 213 perare , che di più intendenti,
ed avveduti huomini non foſſe ignorante , e poco del meſtier della medicina
confa pevole reputato . Ne per pruova altro che talcertamen te potevano
giudicarlo , riguardando tutto giorno per mā, di lui, e di Diuna ſua ſorell.2 (
la qual medica ancor ella , ritrovò , e diede ilnomeall'Artemiſia) morirſi a
centina. ja i miſeri malati , ſenza mai guarirfene niuno . Infra’qua li furono
i figli della ſventurata Niobe ; di chic eila cotan to dolor preſe, che
mancandole ad un tratto i ſentimenti, e riſtretti in ſe gli ſpiriti , ſenza
alcun motto fare, chiuſei le pugna, pirò ; perchè poi preſer cagione i Poetidi
favo leggiare , ch'in fafso ella cambiata ſi foſſe . E quinci nac que poi ,
ch'eziandio dopo che furono Apollo , e Diana nel numero degli Dei allogati
,credevaſi comuneméte, che tutti quegli infermi , che capitavan niale delle lor
malat tie , ſe femmine follero , perman di Diana , e ſe huomini, per man
d’Apollo moriſscro ; perchè Omero, Ε'λθων αργυρότοξ - Απόλλων Αρτέμιδι ξυν και
οίς άγανούς βελέσουτ κατέκτεινε . E’l medeſimo poeta finge , ch’Apollo mandaſſe
la pe ſtilenza nel campo greco ; ne per altro , al creder di Por firio furono
poſtele ſaette nelle mani d'Apollo , é ne ven ne giudicato Dio infernale . Qual
ſi foſſe egli poi ne'co ftumi , il taccio ; eſsendo pur troppo manifeſte a
ciaſcuno le ſue infamie , e ciò che avveniffe alcattivel di Giacinto , per fua
mano , e a Lino . Tanto mipar , chedebba lo ac cennare ciò , che alnoſtro
propofito ſi conviene , cioè, ch ' cgli avvili da prima , e profanò il ſanto
meſtier della me dicina , inſegnandola ad Enone in pagamento d'averle tolta a
viva forza la verginità , e l'onore ; perchè ella co sì preſso Ovidio fi vanta
, Me fide conſpicuus Troje muwitor amavit Ille med fpolium virginitatis habet ;
Id quoqueiaétando : rupi tamen ante capillos, Öraque ſuntdigitis afpera facta meis.
Nec pretium ſtuprigemmas , aurumque popofcit; Turpiter ingenuum munera corpus
emunt . IR . L : 214 Ragionamento Terzo ! Ipfe ratas dignam medicas mihi
tradidit artes, Admiſisque meis ad fua dona manus . Quècunque herba potens ad
opem ,radixque medendi Veilis in toto nafcitur orbe ,mea ef . Ma trapaſsando a
Melampo : grande nel vero , e non ordinario fu il pregio , che guadagnoſli
oglicolla me dicina , mentre oltre alle figlie di Preto , egli guarà an cora
della ſterilità , per quel , che nc narri Euſtazio , Ifi cle , colla ruggine
del ferro ; comechè ſecondo l'ufan za comune de'medici , maſſimamente di que'
tempi, per più ragguardevole render l'opera , facefle egli veduta ,do po aver
ſacrificato un bue agli uccelli , con diſtribuire a ciaſcuno di eſſi la ſua
parte , ch'un avoltojo alla fine croc chiando gli rivclaſſe , che la ſpada ,
colla quale Iflaco té tò d'uccider lficle , e da quello affiſſa ad un pero
ſelvaggio, l'aveſſe reſo infecondo. Ma ben fi pare, che Melampo foſſe di non
mezzano intendimento fornito , e che egli for ſe il primo , che cominciato
aveſſe a medicar nella Grecia co’minerali . Perchè agevolmente porraſſi
argomentare ', l'uſo di quelli eſſere ſtato antichiſſimo nel mondo : comc che
per loro poca uſanza, maffimamente eſſendo ſtati ado perati ſempre da medici
ſolamente diprima lieva , detto fia , che l'antica medicina nell'erbe ſolamente
confiftelſe . Ma come ciò avvenir poſla , che la ruggine del ferro ab bia virtù
ditor via la ſterilità dall' huomo , e di diſporlo a potere acconciamente
ingenerare , egli non è certamen ce troppo malagevole, ad avviſare a chiunque
ben fappia, onde provenir ſoglia cocal vizio nel corpo umano; per. ciocchè
ſuol'egli naſcere talvolta dalla ſoperchievole ace toſità de'lughi : alla quale
ammendare fa certamente gra diſſimo proil ferro , e maſſimamente la ſua ruggine
; la quale oltre che non ſuole alle viſcere quella gran moleſtia cagionare ,
che la limatura diquello talvolta apporta , el la preparata dagli aliti acetoli
del nitro , e del fal ma rino , che continuo per l'aria diſcorrono , i qual
eſsendo più ſottili affai di quelli fpiriti, che per arte li fanno , più
cfficace , e profitcevole ſi rende di quella ruggine , che per ! man Del
Sig.Lionardodi Capoa. 215 man de'Chimici maeſtri li lavoraziinperciocchè è più
accô . ia a meſcolarſi colle ſottiliflime , e acute particelle , che
travagliano le viſcere . E di ciò fenne più volte pruova quel celebre Franceſco
medicante Riverio il vecchio . Ma ſoſpettar p avvétura alcú potrebbe,che o
nell'Egit to , o nella Fenicia in ſicmecoll'uſo delle purgagioni una tal
medicina Melampo da, priina appreſa avelle ; percioc chè, focondamente chenarra
Erodoto , egli dell'Egitto alla Grecia , inlieincco'ſacrifici di Bacco , molte
, e molte novelle ufanze reco: Εγώ με νύν φημί Μελάμποδα γενόμενον άν δes oφoν
, μαντικήντα έωυτή συσή σαι , και πυθόμμoν απ’ ΑΙ' γύπτου άλα και πολλά
απηγήσασθαι Ε΄ληση , και τα περί τον Διόνυσον ολίγα αυ των πειραλάξανά . Tanto
, e tanto oltre portoſli nell'arte col ſuo altiſſimo intendimento Chirone , che
non ſolo all'indebolite parti del corpo , come Maſſimo Tirio racconta , con
efficaci ar gomenti la ſm.rrrita ſanità egli ſi vedea tutto di rivocare's m.i
agli animi ancora utiliſime medicine appreſtava . Ne ſolo fu cgli ( per quel ,
che n'avviſi Stafilo ) eccellente in filoſofia , e in aſtronomia ; ma valſe
ancora affai nella mu fica , e in modo , che ſeppe, come il medeſimo Stafilo ,
e Boezio narrano , parecchjinfcrinità coll’arinonia della ſua cetera guarire;e
fu cotanto vago di ſpiare i ſegreti del la medicina , che in volontario eſilio
lungi dalle Cittàan doffene aid abitar nelle ſelve , per poter ivi a più
bell'agio la natura , e le complellioni dell'erbe inveſtigare ; nel che
s'adoperò egli si bene , che inventor della inedicina dell' erbe ne venne
comunemente tenuto: e da altri inventor di tutta quanta la micdicina fu detto ;
e in cotanta fama , e grido crebbe , che non iſdegnarono ( come narran Filo
ftrato , e Zezze) per appararnela medicina, d'abitar con e To lui entro la
grotta del moute Pelio ,oye egli ſtanziava, Telamone , Peleo , ed Achille , e
Giaſone , ed Ariſteo , ed Ercole , c Teleo , ed altri : huomini di gran pro ,
eva lore ; i quali , coine laſciò ſcritto Maffino Tirio , egli in continue
fatiche d'ogni ſorte eſercitando , e nelle cacce , e nel corſo , facendo loro
giacer nella nuda terra , e per 216 Ragionamento Terzo e per burrari , e per
aſpre vic affaticandogli, e dando lor fcrini cibi mangiare, e ber ſemplici
acque di fiume, ad un perfettisſimo ſtato di ſanità riduccvagli ; e doppia utiliti
da tali ſuoi diviſamenti traevan quei grand'huomini ; per. ciocchè non pure il
modo di ſe medelimi regolare, ma di curar áltri ad un ora apparavano . Neè da
tacere, che pcr più profittar egli con maggior copie di ſperienze , media car
ſoleva anche i bruti animali ; anzi cgli li fu il primo a ciò fare ; e imperò
venne Itimato figliuol d'un cavallo.Ne per mio avviſo è vero, che alla Cirugia
, comealtri ſi dan no a c.edere, e ' ſolamente daſic opera; avendo egli , coine
narra Apollodoro , relicuita la viſta a Fenice , il qual fu poi un de '
compagni d'Achille nella guerra Trojana : cù . το υπ του πατρός έτυφλώθη
καίGψευσαμένης φθο, Κλυτίας και του πα τζος παλακίδος . Πηλεύς δε αυτον προς
χείρωνα κομίσας υπ' εκείνα θε egπευβέντα τας όψεις , βασιλέα κατέςησ: Δολόπων.
ΕPindaro an cora par , che voglia dire, che Chirone ogni forte d'inter mità
aveſſe mcdicato ;poichèdeſiderava ,ch'egli tornaiſe in vita , acciocchè aveſſe
potuto render la ſanità all'infermo Ierone , perciocchè egli pativa del mal
della pietra , co me dice un'antico Scoliaſte di Pindaro , o di fcbbre, com'
altri vogliono. Ηθελον χώρωνα κε φιλυρίδας , et Κρεαν του3 αμετέρας από γλάς -
σας κοινον εύξαθαι έπες , ζώειν τον απικόμδυον , Io vorrei ch'il Filliride.
Chirone, ( Se tanto defiar lice a chiſpera ) Tornaſea reſpirar l'aure del
giorno: cpoco appreffo ,, « δε σώφρων αντιξον έναιεν έπ Χείρων , και 1ι οι
φίλον εν θυμώ μελιγαρυες ύμνοι αμέτεροι τίθεν , ατήρα του κέν μιν πίθον , και
νυν έσλοίππα αέάν ανδράσι θερμάν νουσών , Or Del Sig.Lionardo diCapoa 217 Or ſe
ne l'antro fuo foſe Chirone E che queſt'Inno mio gli foſe grato , Saria mia
voglia inteſa A dirle fol tua medica arte adopragi: Onde i mali , ch'induce
Eſtremo caldo, bai didomar valore. Diceſi che Chirone tanto valeſſe nella
Cirugia , che'l antiche ulcerazioni, e malagevoli a guarire, da luipoichia mate
foſſero chironic , o perchè lorluogo aveſſe il valor di Chirone , come vogliono
Euſtazio , e Paulo da Egina, o ch'egli foſſe ſtato il primo , che sì fatte
piaghe aveſſe riſa-. nate, com'eſtima Galieno . Ma io , ch'alla fama comun
degli ſcrittori non così di leggierimilaſcio trarre , a cona feſſar il vero ,
aſſai dappoco , e rozzo parmi, chefoſſe ſta to Chirone anche in Cirugia ;
perciocchè egli l'uſo del ta ſto , e le maniere da faſciar le ferite affatto
non ſapeva . Perchè ragionevolmente immagina alcuno, che chironic fi dican le
piaghemalagevoli a guarire , perchè Chironie prima di tutti foſſe ſtato ad
averle ; e sì fattamente , che vano riuſcì tutto il ſuo ſtudio , e ſapere , nó
che a guarirle, ma ad alleggiare almeno il dolore acerbiſsimo , che quel le gli
cagionavano ; intanto che a morte poi ne divenne ; comeche alcuni dicano ,
ch'egli da ſaetta folgore ucciſo morille . Ma vengaſi ora alla medicina
d'Eſculapio cotanto fa moſa , enegli antichiſecoli celebrata . Tiene Eſculapio
, per comun conſentimento degli ſcrittori, il più orrevol grado in medicina ,
che inedico giammai aveſſe ; intanto che meritonne quel famoſo Inno del maggior
poeta de' Greci. Di lui varie coſe , e di gran lieva ſi narrano, le quali
traſandando lo , alcune diquelle, che alla medicina s'ap partengono ſol
brievemente dironne .Già dicevam di lui, eſſer fama, che primad'ogn'altro
metteſſe fuora alquante regole di medicina; manon ſembrandole poi all'eſperien
za , e alla ragion conformi, alcune correſlene., altre di sfenne affatto , el
contrario ne preſcriſſe'; e forſe quelle ch'e'laſciò dopo morte , cancellate in
tutto , ed annullate Еe avreb 218 RagionamentoTerzio avrebbe , ſe di ciò tare
gli foſse avanzato tempo . Credeſi dalla più parte degli ſcrittori, ch'egli a
veſse folamente inteſo alla Cirugia , ne d'altre parti di medicina fi foſse
giammai intramelso .Ma ſe vogliam prcfar credenza ad Erodoto, o qual che ſiaſi
colui cheſcriſsc il libro detto in troduzione, overo , il medico: egli è da
dir, che di cia ſcuna parte della medicina egli pienamente ſi conoſceſse ;
perciocchè quivi leggeſi, ch’Eſculapio fu quello il qualow ritrovò la perfetta,
e in tutte ſueparti compiuta medicina; e Pindaro parimente dice, ch'a lui
accorrevano per curar (i non ſolasiente i feriti , ma i febbricitanti ancora ,
c que ch'entro d'altre malattie erano magagnati: τους με ών όσοι μόλον
αυτοφύτων έλκέων ξυνάονες , και πολιώ χαλκώ μίλη πτωμένοι , ή χερμάδι τηλεβόλω
, À Deenvã Avei nego tórefwoodśuas , και Xepewo , aurons amor , áa λοίων αχίων
εξαγεν • τους με μαλακαίς επαοιδαίς αμφίπων , τους δε προσανία πί νοντας , ή
γύoις περιάπων πάντοθεν * φάρμακα και τους δε τοματς έπασιν ορθούς . Quindi
veniano a lui le ſchierea volo De’languenti infeliciegri mortali , O traejjero
in fen fiftola ,o piaga , O dapietre , odaferro aſpra ferita , O pur nafceffeil
duolo , Da'diſcordi fra lor femivitali , Ogni dolor , ogni tormento appaga :
Porge con molli incanti a queſti aita , Ed a quei con bevande il malor toglie
Per un farmacod'erbe inſieme aduna, Per altro acque raccoglie. A chi con tagli
induſtri, e Cirugia , Drie 1 1 1 Del Sig.Lionardodi Capoa. 219 Drizza le membra
, e fero duol travia , E prima l'aveva chiamato difcacciatordi tutti mali
Ασκλαπιών άρω παντοδαπών αλεκ' ήετανούσων. Ffculapio s'appella , Sourano Eroe
diſanità perfetta, Có'ogni morbo da lbson caccia , e ſaettai Egli non ſembra
veriſimile adunque ciò , che dice P12 tone, ch’Eſculapio traſcurato aveſſe
quella parte della me dicina , la quale ſuole il cibo agl'infermi diviſare. Ma
fo pra qualifondamenta egli appoggiato aveſe il ſiſtema del la ſua medicina,
egli è malagevol molto ad inveſtigare ; perciocchè nc libro alcuno dilui c'è
pervenuto, ne ſenten zaveruna ſua appo altri ſcrittori ſi ritrova. Tanto ne vie
ve accennato appreffo Platone,ch'egli inſegnato n'aveſse esſer.nel corponoftro
molte, e molte coſe infra lor nimi. chevoli , e tenzonanti; e di loro
abbiſognar,che'lmedico diſcreto ne rintuzzi, e raccheti le contele , e vadale
pian piano co’ſuoiargomentirappaciando ; e queſte diſcordá ti coſe vuol egli ,
che ficno il freddo, e'l caldo : l’amaro , e'l dolce : il fecco , e l'umido , e
altre sì fatte. Ma ſe altro di ciò non ritrovò in medicina Eſculapio ,
certamente è da dir , che troppo ftrabocchevoli le lodi immeritevolmé te gli
addoffaſſe il buon Erodoto ; -e ben ne potrebbe egli a buon concio
eſſercontento di meno ; imperocchè, non che egli l'intero compimento aveſſe
giammai dato alla medicina , come Erodoto immagina, anzine men la pri mabozza ,
per que , che fi ſappia , certamente le dicde.' E che mai potrà il medico
ritrarre dal ſapere, che s'abbia no le diſcordanti parti ad accordare , o che
queſte nel cor po umano ſi trovino , ſe poi più avanti non ſappia minuta mente
, ove elle fiano allogate, ove ſia il dolce, ove lama ro ', ondeil freddo ,
onde il caldo -s'ingeneri, onde la lor nimiſtà provenga , in che la lor natura
conſiſta , con quali argomenti poſſan porſi d'accordo , come vuotarli , qualo
ra lien di foverchio rigoglioſe , e ſtrabocchevoli, o am mendarſi qualora
piggiorino ,o porger loro ſoccorſo qua Ee 2 lora 220 Ragionamento Terzo lora
infievoliſcano ; che per altro quel , che ſappiamo averne diviſaro il
grandiſſimo Eſculapio , ad ogni huom di contado agevolmente potrebbe
occorrere,ed eſſer ma nifeſto . Affai rozza dunque, e imperfetta oltremodo fu
ſenza fallo d'Eſculapio la medicina , ne sì grandi , e rag . guardevoli furono
i ſuoi trovati,come huomdice ; e ſc cgli oltre all'accennate coſeritrovò
qualch'erba, anche i ruſti ci , ei bruti molte, e molte n’han ſapute
ritrovare;nę grād' acutezza d'ingegno per ritrovar il taſto , oʻl modo di fa
ſciar le ferite abbiſognava , o per trar fuora i denti dalla bocca , che lo
perme non vo torgli queſt'altra gloria , co mechè Cicerone ad un'altro Eſculapio
l'attribuiſca colà ove dice . Aeſculapiorum primus Apollinis , quem Arcades
volunt,qui ſpecilluminveniſe, primuſque vulnus obligaviſ fe dicitur .
SecundusſecundiMercurii frater : is fulmin percujus dicitur humatus effe
Cynoſuris. Tertius Arſippine Arſinoe :qui primus purgationem alui , dentiſque
evulfio nem , ut ferunt , invenit . Ne ſembra punto vero quel ,che Diodoro dice
d'Eſculapio ,ch'egliparecchjinfermi co'ſuoi argomenti guariſse; onde fe
poifavoleggiare altrui,ch'e gli aveſſe richiamati anche in vita i morti;
imperocchè Strabone , graviſſimo autore , e degno ſenza fallo , che gli ficreda
aſſai più che a Diodoro, chiaramente dice, che lo gni furono d'huominiozioſi, e
ſcioperati, quali certame te i Greci ſi furono , le cure tutte ad Eſculapio
attribuite. E Celſo in lode d'Eſculapio altro non ſeppe dire, ſe non fe , cſſer
lui ſtato ricevuto nel numero degli Dei , perchè l'arte della medicina aſſai
rozza,e materiale in que'tempi, aveſſe alquato dalla ſua groſſezza forbita :
quoniam adhuc rudem , a vulgarem , dic'egli, parlando d’Eſculapio , banc
fcientiam paulòfubtilius excoluit , in Deorum numero rece ptuseſt. Convenne
adunque certamente , ch’Eſculapio có l'uſate frodide’medici la ſua grandiſſima
debolezza ap piattata tenelse ; imperciocchè cgli,come Pindaro dice, li valle
dell'incantagioni; ma più nc ſi fa manifeſto in ciò che San Cirillo ne ſcrive,
ch'egli intento oltremodo alle guadagnerie, continuó con giunterie , ed altri
rei artifici an . DelSig. Lionardo di Capoa 22 1 > andato ſe ne foſseper io inondo
diſcorrendo ( il che mol to ajutar ſuole i medici , ad acquiſtar fama, e pregio
) offerendo liberamente a ciaſcun , che biſogno n'avel ſe il ſuo meſtiere e
dove che giugneva prometten do le maraviglie . Così egli vanagloriando per
tutto, ſe non huono mortale , ma celeſtiale Dio eſser diceva , e millantaya
temerariainente il ſuo valor diſtenderſi fino a riſucitare i morti . Le quali
arti , e giunterie , acciocchè poteſse a fine più acconciamente condurre, ſi
pensò egli , che l'iſpida , e folta barba nudrendo , e laſciandola a gui ſa
dicaprone lunga ſcédergiuſo dal méto al petto avreb be più di leggieri alle ſue
trappole trovato crcdito . E sì il fece egli, e con tanto vantaggio
adoperovvili , che ſervì d'eſemplo a tutti i medici appreſso . Il che diede forſe
cagione a Luciano di far dire da Momo ad Apollo , ch'egli non operaſse come
fanciullo , ma favellaſse ani moſamente, é diceſse luo parere, ne fi
vergognaſse ad ar ringare per non aver barba; perchè era ſuo figliuolo Eſcu
lapio , il qual così grande , e lunga , e folta l'aveva üst menn μaegκιεύε πεος
ήμας , αλα λέγε θαρρών ήδη τα δοκάνα , μη αιδε . σθεις , αγένειο» ών
δημηγορήτις , και αυ% βαθυπώγωνα , και ευγέ ναον έτως τον έχων τον Ασκληπιόν Vì
ha chi vuole , ch’Eſculapio a quella guiſa appunto , che a'noſtriciurm.dori
veggiam fare , portaſse ſecole ſerpi : e che per riſparmio camminaſse a piedi :
e che que ſta ſia la vera cagione perchè alle ſue ſtatue, o ritratti ſipo neſse
in mano la ſerpe , e'l baſtone ; ſopra le quali coſe poi ſognate ſi ſono tante
, e tante fraſche di allegorie per gli ſcrittori , chemolto lunghe, c nojoſe
farebbono a rac contare . Ma vie più dopo inorte crebbe in fama , edono re
Eſculapio , tanto era folle , e cieca allor la gentilità : perchè glivénero
alzati in diverſe parti delmodo,e parte, e per materia ricchiffimi tépj, co
maraviglioſe ,e belle ſtatue dimarino , d'avorio, d'argento , e d'oro, e
medaglie infini te furon ſtampate colla ſua effigie ; e sì , e tanta era la
fede, che aveyano gli huomini in lui,che i ſuoi tempj ſempremai ſi vedevan
pieni d'infermi, trattivi d'ogni parte ; i quali # di 222 Ragionamento Terzo 2
di notte, edi giorno quiviil ſuo ajuto aſpettando ſe ne gia cevano;e per tacer
d'altri, abbiam di ciòmeinoria nel Cure culione di Plauto , dove del ruffiano
dice Fedromo a Pa linuro : Id eo fit,quia hic leno ægrotus incubat In
Aeſculapii fano ; e così ſtandoimalati,venivan loro i facerdoti malizioſi ,
fcaltriti , facendo veduta dinulla ſaper dimedicina , o del male , che coloro
avevano ; quindi appreffati all'oracolo fingevan ch’Eſculapio rivelato loro
aveſe il medicamento all'orecchio. Talorapareva,ch’Eſculapio medeſimo all'infer
mo in ſogno additaſse il rimedio ;c ciò per avventura avve niva tra per lo aver
lui guatato ffaméte il giorno la ſtatua d'Eſculapio , c per li lunghi
ragionamenti , che dietro a tal materia coʻminiſtri dei tempio avevan forſe
tenuti , i quali avevangli per avventura le maraviglioſe cure d'E fculapio
narrate vero per aver inteſo quel rimedio fterfo da'incdici ,o da’altri . Ma
pur v'aveva fra' Gentili huomini di ſcalcrito intendimento , chea ciò niuna
credé za preſtavano , come Filoſtrato narra di Filemone;al qua le avêdo in
ſogno detto Eſculapio ,che s'egli voleva guari re dalla podagra, conveniva, che
ſi afteneiſe dal bere fred do , egli deſto poi la vegnente inattina diſle ad
Eſculapio proverbiandolo , c che altro rimedio o valent' huomo a nreſti tu dato
, le medicar avelli voluto un bue ? E ſe mai interveniva , che alcuno ( o che'l
rimedio , o ch'altro ca gioné ne foſſe ) guariſſe , oltra’doni , che coluiagli
altari offeriva , toſto alle mura un'effigiata tavoletta , a perpetua memoria
della ricevuta ſanità appendevaſi a gloria d'E ſculapio ; perchè poi ſe ne
traſcriſfero nc'libri de' medici parecchj rimedj ; c delle dette già tavolette
, anche a' di noſtri ſe ne vede alcuni ; delle quali per eſemplo vi ridur rò a
memoria quella pietra , in cui fu regiſtrato , che di ſperato da tutti Giuliano
per unvomito di ſangue,eſſendo ricorſo all'oracolo, n'ebbe riſpoſta , che
veniffe , e da tro altari piglialle pinocchie di quelli per tre giorni con inic
le mangiaſſe; ed in tal modo liberato colui, lefe le grazie al Del Sig.Lionardo
di Capoa. 223 alla prefenza di tutto il popolo , αίμα αναφέροντα Ιαλιανώ ,
απηλπισμλύω υπο παντός ανθρώπε εχρημάτσεν ο θεός ελθών, καιεκ τα Βιβώνκαι άραι
κόκκος προβύλες και φαγών μετα μέλιτG- επι της ημέ . φας , και εσώθη , και
ελθών δημοσία ηυχαρίσησεν έμπροσθεν τε δήμε. Ma trapallando alla medicina
d'Ercole;ſe Ercole come fu in medicina , foſſe così ſtato valoroſo Ne l'ardue
impreſe del ſanguigno Marte , non avrebbe certamente ripieno il mondo delle ſue
mara viglioſe prodezze , ne ſtancate di tanti , e tanti ſcrittori le penne per
celebrarle . Ma ciò non ſi dee punto a neglige za attribuire , o a poco
intendimento , ch'egli avuto avef ſe ; perciocchè logorò egli gran tempo ,
egran fatica ad imprender la medicina ; e fu sì profondo , ed acuto il ſuo
intendiinento , ch'ei ſi fu il primiero a comprendere , che per ta fimilitudine
, la quale i Chimici chiaman ſegiratu , ra , ravviſar ſi poteſſe la complesſion
delle piante'; e per uſo propio ſe nevalſe allor,che preſso a morte ferito dal
l'Idra , ricorſe per guarire alla Dragontea , la quale coll? Idra ha alquanta
ſomiglianza; quantunque egli poiso per tener ciò altrui naſcofo , o per più
ragguardevol renderli appreſso la gente , o per altra cagion , che ſi fofse ,
infin . geffe ciò dalla riſpoſta dell'oracolo aver apparato : il qua le
l'aveſse impoſto , ch'egli ſi inetreſse in camino verſo la dove naſce il ſole ;
perciocchè quivi al valicar d'una rivie ra aurebbe ritrovata un'erba
ſomigliante all'Idra ,colla quale lc ferite da’morfi dell'Idra fatregli poi
egli aurebbe ſicuramente potuto medicare , eguarire . Io non ſo , ſe collo
intendimento G foſse Ercole tanto avanti portato , che foſse giunto a penetrar
, che la Dragontea col ſuo fab volatile acuciſſiino , del quale eila oltremodo
è abbon devole, forza aveſse di ammendare l'acetoſità , in che co filte il
guarir delle piaghe ; ma la medicina non era allora tanto oltre paſsata , che
aveſse potuto sì fatte ſottigliez ze ſcoprire . E queſta, e non altra dovette
eſsere la cagio NC , per la quale Ercole non potè nella medicina sì eccel lente
divenire , e che guarir non poteſse egli le piaghe al fuo maeſtro Chirone ,
comechè gli veniſse fatto di guarir lamo 1 224 Ragionamento Terző la
moglied'Achille preſso a morte ridotta ; onde poi Eu ripide finſe nell'Alceſte
, averla lui da morte riſucitata : E queſto è quanto Io ho potuto raccogliere
della medici na d'Ercole Tebano fra le tante,e tante varietà degli ſcrit ti ,
iquali così di lui confuſamente ſcrivono , che nulla più ; dicendo Varrone ,
eſsere ſtati quarantadue famoſi huomini di tal nomé; altri dodici , altri tre ,
altri due, e Ci cerone ſei ;ed evvi ancora , chi porta opinione , non eſser mai
ſtato sì fatto huomo al mondo . Ma della medicina d'Ariſteo figliuol d'Apollo ,
o pur di Giove , come altri giudica , non ne vengono ſcritte , per quanto lo
ſappia , ſe non certe poche , e confuſe memorie ; ſolamente ſap piamo da
Cicerone , e dallo Scoliaſte d’Ariſtofane, che Ariſteo aveſse ritrovato il modo
di far l'olio , il miele , e'l Gifo.ΆρσαίG- δε ο Απόλλων G και Κυρήνης πτώτην
την εργασίαν τα σπλ . φίον εξεύρεν , ώσπερ , και το μέλλG- . Infegno parirnente
Ariteo meſcolare il vino col miele, per quel che dica Plinio : Ari Seusprimus
omnium in eademgente,melmiſcuiſe vino fua vitate præcipua utriuſque natura
ſponte provenientis: e non fi dee tacere ciò , che d'Ariſteo dice Giuſtino :
Arifteum in Arcadia lase regnaffe, eamque primum , apum , á mellis ufum ,
&lactis , &coagulihominibus tradidiffe , folftitia . leſque ortus, do
federum primum inveniſe. Ma quantun que il filfio , e'l miele, e l'olio, i
quali Ariſteo non fola mente ritrovò, ma prima di tutti inſegnonne agli altri
me dici la virtù , e la maniera, colla quale adoperar fi doveſ ſero , abbiano
recato gran giovamento al mondo;non pe rò di meno s'altro di ciò non fece
Ariſteo , non sò locome ei ſi poſsa infra gli altri eccellenti medici
annoveraré; m2 pure fu egli di tanto avvedimento fornito , che ſeppe con
l'uſate giunterie ,e menzogne riparare alle diffalte del ſuo poco ſapere ; e
raccontaſi di lui da Teofraſto , da Apollo nio , da Cicerone , da Germanico, e
da Igino, che eſſendo l'iſola di Ceo dal rabbioſo furor della canicola gravemés
te percoffa , sì che feccavan le biade , e gli huomini mi ſeramenre morivano ,
eche avendo Ariſtco al ſuo padru Apollo domandato , come ſi poteſſe a tanta
calamità ri para 1 Del Sig.Lionardo di Capoa 225. parare, n'aveſſe rilpoita,che
proccuraffè egli prima di pure garcon vittime , e ſacrificj l’Ilola , la qual
era così atro ceméte punica o aver dato ella ricovero agli ucciditori d '
Icario ; e quindi pregaffe Nettuno,ſicome Germanico Cé fare riferiſce, coinechè
Teofraſto , ed Apollonio Rodio cd Igino dicano aver riſpoſto Apollo, che pregar
egli doveſse Giove,ch’allo ſpuntar della Canicola faceſſe per quaranta
giorni,ſoavi venti ſpirare, che queſti agli ardori di cotale Hella aurebber
dato agevolmente compenſo ; cd avendo ciò egli puntalmente cſeguito ,ſpiraſſero
i promeſli venti, e. ceſſalsero di preſente i danni tutti dal ſoverchiante
caldo w ?quell'Iſola cagionati ; perchè ne venne egli poi Giove Ariſtço , ed
Apollo Agreo chiamato , e frale ſtelle in Cie: { o collocato . Or chiper Dio
non ravviſa, che una cotat folenne giuntcria imboccaffe Ariſtco a quel
rozziſſimo po polazzo , ſappiendo di certo , che il naſcimento delle cas nicola
gli ulti venti preceder fogliono , cd accomp2 guare? Venue fomimamente
commendato Achille dalla ſonora cróba del greco pocta per le maraviglioſe
prodezze da lui nella guerra Trojana operate;ne altro quaſi in tutta l'Ilia de
raccontaſi , che l'invincibil fortezza d'un tanto Eroe ; ne in quel divino
pocma ſenza lunga maraviglia legger fi pofiono le ſanguinoſe battaglie , ele
ragguardevoli im preſe d'Achillc.Ma doveva egliper mio avviſo da non mi nor
pocta d'Omero eſſer altrettanto commendato per la contezza, e perl'eſercizio
cli'egli ebbedella medicina e con tanta maggior ragione , quanto più generoſo ,
e più magnifico ſenza fallo è il dare , che'l torre altrui la vita . E ben'egli
conobbe di quanta loda meritevole e ſe ne rés deſſe , che però appo Stazio egli
vantoſfi eſſergli ſtata in fra l'altre coſe la medicina ancora da Chirone fuo
Avolo inſegnata . Quin etiam ſuccos ,atque auxiliantia morbis Gramina, quo
nimius ftaretmedicamineſanguis: Quid faciat fomxos , quid hiantia vulnera
claudat, Queferrocohibenda lues , que caderes herbis Edocuit. Ff Fu 1 226
Ragionamento Terzio Fu cgli tanto ſtimato nel greco campo, in medicina,ch'
Euripilo gravemente ferito , volle effer ſolamente da Pa troclo medicato ,
perchè eglifoſse compagno d'Achille , c'l vero modo di medicar le ferite
n'aveſse apparato ; Νίζ υδαπ λιαρώ , επί δήπια φαρμακα πασσε Ε'εθλα , τα σπ ποπ
φασίν Αχιλήφ»δεδιδάχθαι . Ma ſopratutto vien commendato Achille per aver co
noſciute le cagionidella peſtilenza , che allor travagliava ſommamente il campo
greco ; e per aver anco ritrovato il Millefoglio,per lui detto Achilleasil
quale anche a' dì no ftri molto giovevole alle ferite , e ad altri parecchj
malili ſperimenta ; e ſomigliantemente per aver riſanato Telefo, nella cura del
quale adoperò egli la ruggine della mede fima lancia, colla quale ferito cgli
prima l'aveva : Eft , rubigo ipfa , ſcrivePlinio , in remediis, cific Telephum
pro diturfanaſeAchilles , five id area , fiveferrea cufpide feo cit ; ed in
un'altro luogo il medeſimo Plinio dice : arugi nem inveniſe , utiliſimam
emplaftris , ideoque pingitur ex cuſpide decutiens eam gladio in vulnus Telephi
; avvegna chè altri vogliano averlo egli con l'Achillea guarito ,ed al tri, con
l'Achillea , ccon la ruggine del ferro . Perchè moſtra, ch'egli fu il ſecondo ,
cheſi fappia infra'greci me dici, che i minerali adoperati aveſſe in medicina.
Ma po trebbe per avventura alcun ſoſpettare , e con qualchera gione, non egli
applicua aveſſe la ruggine del ferro alla Jancia imbagnata in fangue d'Euripilo
, non già alla feri ta di lui ; e che gli ſcrittori, i quali la biſogna
pienamente non coinprendevano,contentati ſi foſſero ſolamente di di re , che
l'atta d'Achille modelima faceva, e riſanava le feri te . Il che ſe vero foſſe
, non moderno ritrovato , ma ben molto antico da dir ſarebbe la cura , che
chiaman ſimpa tica nclle ferite . Dice Plutarco , che Achille intendente foſſe
del modo di guarir colla dieta , e ch'egli trovaſſe con ragione, che i corpi, i
quali avvezzi in prima alle fatichc, in proceſſo di tempo poi le laſciano , e
li ripoſano , toſto triſtanzuoli, e cagionevoli, e languidi di compleſſione
divengono ; e pe 1 rò di Del Sig.Lionardo di Capoa. 227 1 rò dice che egli
ſoleva far paſcere a cavalli che avevā ma gagnati i piedi per l'intermeſſo
eſercizio , l'appio rimedio grāde a tal male.Macon pace pur di Plutarco, Io non
ſo , che gran coſa queſta fi ſia ; ne per eſſa , ne per l'altre di lui narrate
coſe ſi può dire in verità , che Achille gran medi co ſtato e’ſi foſſe. In
quáto poi alla cura ſimpatica delle ferite: lo p me la ſtimo favoloſa invētione
del Valentini; e forte mi maravi glio, che tanti , e tanti valent'huomini vi fi
lieno oltremodo affaticati, in contendendo alcuni cheper ſopranatural po tenza
doveſſe quella intervenire; e altri ciò coſtantemente negando ; e cercando
d'inveſtigarne altronde la vera ca gione ; ma , ne queſti, ne quelli avviſano ,
chele ferite tal volta ,eziandio più gravicpericoloſe ſenza rimedio alcuno
guariſcono; perchè non ſi può trarre argomento niuno dal. la lor guarigione a
pro della ſimpatica medicina . Io non ſaprei ridire ſe Palamede inventore di
cotante ; coſe , ch'abbiſognano alla vita degli huomini aveſſe anco ra in
medicina qualche bella curioſità rinvenuta; avvegna diochè ſia molto
veriſimile, ch'egli ciò facerſe, come colui, che di natura era molto acconcio a
filoſofare; in tanto , che ne venne appellato noivoo PG , cioè a dire il ſavio
di tutto, come leggeli in molti verſi fatti in ſua loda ; quantunque Omero non
faccia di Palamede menzione alcuna , o per invidia , che gli aveſſe, perchèegli
era miglior poeta di ſe, o pure per renderſi grato a ſucceſſori d'Agamennone,
ili tra'l quale, e Palamede fu mortal nimiſtà ; impertanto li ſcorge
manifeſtamente in altri ſcrittori più degni di fede aſſaidi Omero , eſſere
veramente ſtato Palamede il più fa vio di guerra di tutti greci,e in prodezza
non puntominor d'Achille . Madi ciò ch'operaffe in medicina Palamede', altro
non ne abbiamo,ſe non ſe ciò che ne racconta Filo { trato ; il quale
l'introduce una volta a dire, che a chiunque voglia preſervarſi dalla pefte ,
faccia meſtierimangiar po co , e affaticarſi molto , e che così egli avvezzati
aveſſe a viv ere i ſuoi ſoldati; perchè poi la crudel peſtilenza da Po to nella
Città dell’Elleſponto , ed in Troja appiccata , aw ni un de’greci noja mai
diede ; comechè eglino fi foſſero in Ef 2 perti 228 Ragionamento Terzo
peſtilenzioſi luoghiaccampati. Ma quanto cotali avver . timenti lontani dal
vero ſieno, non ha tra noi,chi non l'ab bia non ha guari pienamente
ſperimentato ; e però di più dirne al preſente mirimarrò . La medicina di
Patroclo compagno d'Achillo , e di Po dalirio , e Macaone figliuoli d'Eſculapio
, che ſerbaraſſi eterna , ed immortale nella memoria degli huomini mercè del
ſovrano poeta greco , che ſi diè cura di cele brarla : ſembra ad alcuno , che
ſolamente nelle ferite s'a doperaſſe ; e veramente a riparar i
dannidellapeſtilenza , che nel greco campo faceva fieramente ſentirti,non ſi
leg. ge in Omero , che in coſa alcuna, o Podalirio, o Macaone, o Patrocło mai
s'adoperaſſero : avvegnachè la cura de’ga voccioli , e d'altre enfiature, che
ſuolo cotal morbo cagio nare , alla Cirugia dirittamente s'appartenga; la qual
coſa vien raffermata ancheda Celſo , allor che facendo men zione di Podalirio ,
e di Macaone, dice : Homerus non in peftilentia , neque in variis
generibusmorborum aliquid at tuliſe auxilii , fed vulneribus tantummodo ferro ,
& medi camentis mederi ſolitos elle propoſuit. Ma con pace pur di Celſo,
dall'aver ciò taciuto Omero non ſi può certamente argomentare eller loro
ſolamente ſtati cerufici; e fe noi medicaron la peſte,forſe ciò fecer eglino
per non tracollar dal loro buon nome in medicar quel morbo , cui non v'ha
rimedio alcuno , e che l'antichità credeva,che ſolamente gli Dii poteſſero
riſanare; ne ha ſembianza alcuna divero, ch’Eſculapio lor padre,emaeſtro la
Cirugia ſola loro infc gnaffe ; ſenzachè(comeavviſa Eulazio ) Podalirio , non ſolamente
curò diverſe infermità : ma prima di tutti, come egli dice, gittò le fondamenta
della razional medicina. Ma a quale ſtato di perfezione la medicina per
Podalirio Macaone , e per Patroclo uſata montafle, dal poema mag giore d'Omero
ſi può agevolmente comprendere . Primie. ramente ſolevano in medicando
ſucciartalora eglino colle labbra il ſangue delle ferite ; e'a tal modo Macaone
medi car ſi vide a Menelao la piaga fattagli da Pandaro, Aύ πιο επα δεν έλκG- '
έμπιστ πικρος οιτς Αίμ' εκμυζήσας επ' άρ' ήπια φάρμακα είδως Πασσα . Sem . ,per
DelSig.Lionardo di Capoa. 229 Sembrare egli potrebbe per avventura ad alcımno
il ciò fa re vano , ed inutile , anzi per l'umidità della ſaliva alles ferite
anche nocevole ciò li pare , ſenzachè è ſtomachevol coſa , e pur troppo alla
dignità de'medici ſconvenevole Nero io , comeil primo Baron dell'oſte greca , e
nipote diGiovediſavanzando dal ſuo pregio, inchinar ſi poteſse ad una sì vile ,
e vituperevole opera . Non ſolo permet teyan poi coſtoroa'feriti mollidi fudore
, edi ſangue, pu re allora uſciti dalla battaglia, lo ſtarſene giacédo all'om
bra , ed al frelco ventilar de’zefiri per riſtorar dolcemente la ſtanchezza ;
ma lo ſteſso medicante Macaone dopo ch ? egli fu ferito ciò fece : οίδε
έδρώαπεψύχοντο χιτώνων Irávte ne Ti Tvorni zaregi og ános. Ma quanto polfa
nuocere il vento ad huomini anchei faniqualor eglino molli di ſudore fiano ,non
che a’feritija ? quali feoza fallo per lo minor danno inacerbir puore les
piaghe, non è chi noʻl fappia . Ponevano altresi medica do alla groffa, entro
le ferite,radici d'erbe crude , e ſem plici fenza eller punto confattese
preparate ad uſo de’me: dicamenti: επί δε ρίζαν βαλε πικρών χερσι διατρέψας. Ma
inolto più ſciocchi, e più rozzi furono i loro divi famenti intorno al
regolainento del vitto degl'infermi ; eglino cibavangli di groſse cipolle , e
di miele κρόμμυρν ποτώ όψον, Η δε μέλι χλωρον παρ' δ' άλφιτα ιερά ακτήν. edavan
loro berc il loro ufato contadineſco Ciceone ; bem veraggio il qual di farina,
e di cacio di capra, e di più grá di , e poderoſi vini delle Smirre componeyaſi
Πινέμαι δ' εκέλευσεν επαρ' όπλισε κυκεώ . E queſte fono le care , e falucevoli
vivande, e beverage gj , che la belliſſima Ecamede concubina dell'antico Nem
ftore dava loro ; i quali non iſcherni, ne rifiutò il medefi mo Macaone,ſenza
conſiderare , ne pure un menomori ſchio d’infiammagione, che agevolméte ſeguir
ne poteva Ma 1 230 Ragionamento Terzo Ma ben ſo lo , che di fomiglianticoſe ,
ed in pro, ed in contro diſputando, veriſimilmente dir ſi potrebbe, che no già
eglino ſomigliantiguiſe di sì reo , eſconcio medicar praticafsero ; ma che
Omero a ſuo talento le finga , poco eſsendo della verità informato ; che ſe ciò
vero foſse , lo non ſo come infra gli altri cotanti pregj inveſtir ſi potreb be
ad Omero l'eſser lui ſtato di tutte ſcienze, più di qua lunquc altro maeſtro
,affai ben conoſciuto; nihil unquam . ceciniſe , dice Pier Laſena , quod nun
prudenter excogita tum ,ex induſtria diſpoſitum , &in alicujus rei utile
dixeris documentnm . Potrebbe anche dirſi, eſsere il Ciceone di que' tempi
valevole , a ſtagnar il ſangue delle ferite , o pure a ſciorlo , ove egli fia
rappreſo , e corrotto ; avve gnachè Platone dica eſser molto nocevole cotal
beverag . gio a’malacije oltre all'infimagione,che apporta, ingene rare anche
non poca flemma;e per avventura con più falda ragione potrebbeſi delle cipolle
dire , che per lo lorotale aguto , oltre allo ſcioglimento del ſangue
potrebber'an che difender le ferite dall'accroſità , da cui certamente la
febbre , e'l dolore , e lamarcia ,e l'infiammagione,e tutt' altro male a'feriti
avviene . E ſe pure coloro uſava no con ſemplici radici , e crude, medicar le
ferite , ciò era, perciocchè eglino ben’avviſavano eſserl'erbe cotanto più
giovevoli , e vigoroſe , quanto più ſemplicemente ne ſon dalla natura
ſomminiſtrate, e che col tanto confarle, e ma cerarle , e logorarle ad ufo
delle noſtre medicine, manchi alla fine, e ſvaniſca ognilorvigore; fe pure
nonvogliamo dire , eſsere ſtate di tanta virtù , e di si ſaldo giovamento da’
medici ſperimentate, che ſenza confettarſi punto,o sé. za contiglio
dimeſcolamento niuno le più gravi ferite ma raviglioſamente ſaldavano ; ne a
ciò foſse itato anco me. ſtieriregolamento alcuno di mangiare , o di bere: per
ciocchè egli narrafi per coſa certa ,che a' tempi più a noi vicini, il
Paracelſo,per lo gran valore de'ſuoi medicaméti, poco , o nulla a ciò badando
laſciaſse che a lor talento fi nutricaſser gliufermi, facendogli talora ſeco a
deſco lie tamente federe , mangiando in brigata ; ſenzachè Platon dice, DelSig.
Lionardo di Capoa 231 dice, che per eſſer quegliantichi aſſai regolati nel
mangia re , e pel bere , non avevan poi gl'infermi biſogno , che regola alcuna
intorno a ciò la preſcrivelſe ; e finalmente l'uſo di ſucciar le ferite, non
eſsere fuor di ragione ; impe rocchè cotal medicamento molto fa pro a riparare
al gua ftamento del ſangue , traendol fuora delle ferite, e difen dendolo col
fuo ſale dall'acetofità , per cui elleno marci ſcono ; perchè cotal medicamento
a'di noſtri ancora co munemente l'uſiano e, per pruova tutto di ſperimentia mo
eſser giovevole a'feriti , e utile aſsai ; ficome anche ſi può ſcorger ne'cani
: da’quali per avventura Podalirio , e Macaone , oi loro più antichimacſtri
ildovettero da prie ma appararc ; perchè ſe veggiamo, che cotanto approda
a'feriti, perchè ſarà egli da biaſimare ?Maper me non cre do, che si facce
difeſe loro facciā luogo; imperocchè Ome ro tutto che la incdicina ignoraſse ,
deſcriſse nientedime no le coſe, o coine di altri ſcrittori venivan narrate, o dal
la famaerano rapportate , maſlinamente dove cgli non aveva cagione alcuna
d'allòtanarſi dalla verità, o per ren der più vago , c più inır.zviglioſo il
ſuo poem 1,0 per altra cagione ; ne punto vale l'eſemplo del Paracelſo ,
imperoc che , ſe pur è vera la ſtoria , il Paracelſo fi ſerviva di bala ſamisì
prezioſi, e valevoli a guarir le ferite , che non fa ceva loro d'alero
meſtieri. Ma in quanto al Ciceone ; egli è una bevanda in verità sì ſconcia , e
mal fatta , che ſenza fallo non può ella altro inai , che nocuinentu agli
huomini ſani , non che agl'infer mi apportare , che che ſi credan Plutarco , ed
Ateneo , i qualinon avviſarono la ſtrana, e nocevole formentazio ne , che'l
cacio , il vino , e la farina inſieme meſcolati far poſsono nelle vifcere . Vltimamente
, le radici , e l'erbe non preparate , maffimamente l'Achillea , e
l’Ariſtologia , colle quali molti antichi ſcrittori ſi credono , che Podali rio
, Macaone, e Patroclo medicaſsero , abbondevoli ſo no d'umore acquoſo , e non
ben digeſto , il quale oltre che infievoliſce il ſolfo , e l'alcaliloro
volatile , in cui law vir 232 Ragionamento Terza virtù conſiſte , per ſc iteſso
altresì egli è ſommamente alle ferite nocevole . ... In quanto poi al lavar ,
come è già detto con l'acqua ſemplice le ferite , non è vero'ciò , che
alcunidicono, che ciò eglino-faceffero per iſtagnar di preſente il ſangue;men
cre ciò non ſolamente non licſprime da Omero , appo il quale ſi ſuol fermare il
ſanguecon l'incantagioni ; ina di ce eglichiaramente , che l'acqua , colla quale
le ferite li lavavano era calda, e perù più acconcia aſſai ad aprire, che a
riſtrignere; al che avendo per avventura riguardo il lati no poeta,con l'acqua
allora allora tratta dal Tevere fin ge , che'l ſuo Mezenzio ſi lavaſſe le
piaghe . Interea Genitor Tyberini ad fluminis undam Vulnera ficcabat lymphis ,
corpuſque levabat . Nove , aphyſice , dice ſu queſto il chioſatore Servio, nan
cum aqua omnia infundătur,hic aitficcari vulnus ab aqua , Oratio vera eft ,quia
fluxussăguinis aquarü frigorecôtines Yur.Ma Servio freddamente troppo,per mio
avviſo ſcuſa il ſuo Virgilio d'una sì ſtravolta maniera di favellare : ma un
tal modo di mcdicar le ferite , con l'acqua lavandole , tut to che ricevuto ,ed
uſato anche dopo grăde ſpazio di tem po da’Latini, e da'Greci , onde dice Silio
purgat vulnera lympha: anzi ſin’al paſſato ſecolo da molti Ceruſici anche
coſtuma to, quáto lia nocevole ravviſar puollo facilmente ciaſche duno,che
punto abbia d'incendimento ;laonde con più lag gio avviſo da’moderni medicanti
leferite col vino , o col l'acquarzente , ovc,lor huopo ciò lor faccia , vengon
lä vate . Maquantunquc sì malamente medicaſſero Podalia rio , e Macaone ,
venncro non ſolo vivi, ma anco dopo morte in sì gran pregio tenuti , che
furonodi ſtatuc, di té pj , e facrificionorati . Quelle coſe poi , che di
Podalirio narra aver letto in al cuni antichilibri Celio Rodigino , elle fon
tutte, per quel ch'io micrcda novellette da Romanzi ; ciò Zono ,degli avendo
rotto in invar preilo la Caria, fu ſottratto al perico lo da 0 ! Del
Sig.LionardodiCapoa. 233 lo da un'avvenente paftore,e lu’l lido corteſemente
accol to ; e che poi; il Re di quel paeſe avendone coutezza avu ta , per
luimandato aveſſe perchè medicaſſe una ſua fis gliuola, che dalla vetta d'una
torre era giuſo caduta ; cui egli facendo crar ſangue da amendue le braccia , e
con al tri rimedi aveſſe in buona ſanità rimeſſa ; di che il padre oltremodo
contento magnificamente della Provincia del Cherſoneſo dotatala , data gliele
aveſſe per moglie; e che Podalirio nel Cherſoneſo födate aveſſedue belle, ed
egre gic Città , una col nome della moglie Cirene , e l'altra col nome di quel
Paſtore chiamandone. Convenevol coſa ſtata ſarebbe, che noi ſecondo lo in
cominciato aringo ordinatamente procedendo , avellimo molto addietro fatto
parole di Teſco , di Giaſone , di Pe. lco , di Telamone , e del ſuo figliuolo
Teucro , e d'Erobo te : ora concioſliecoſachè ſcarliflime memorie di loro fien
no a noi pervenute, n'è convenuto tacergli ; e perciò pal farem ſomigliantcméte
ſotto filenzio,'e Nicomaco , c Gor gaſo figlidiMacaone, e d'Anticlea , i quali
ſuccedettero al regno di Diocle loro Avolo materno , e come nar ra Paufania ,
lolevano gl'infermi corteſemente curare , e maſſimamente le dislogate oſla , o
membra in buon concio rimettere ; onde per grado, gran tratto ne furono come
Dij da’poſteri venerati . Ne meno terrò lo ragiona mcnto diSoſtrato ,di Dardano
, di Cleomitide , di Teo doro , di Criſime , dc'quali oltre aʼnomni, nulla
affatto noi non poſſiamo fpere. Ma prima ch'a' più baſſi , e più vicini tempi
facciamo paſsaggio,n’è paruto bene il doverci alquanto intertenere a ragionare
di quel ſiſtema , del quale Ippocrate fa parole nel libro della vecchia
medicina;ritrovato ,comepar ch'ca. gli porti opinione, da’primi inventori
dell'arte. Or dice Ip pocrate,che quegli átichisſimi e ſagaci inveſtigatori
della medicina,faggiamere avviſaſſero ,che ne il caldo,ne il fred do , ne
l'umido , nc'l fecco , ne altra ſomigliante coſa all' huomo foſſe d'alcun
nocumento gianımai; ma di sì fatte coſe il fomino , o l'ecceſso , che vogliam
dire , il qual per Gg ſover 234 Ragionamento Terzo ſoverchio di vigore , non
poſſa eſſer dalla natura ſoprava zato , ſia agli animali d'offeſa, e
didannaggio cagione; U queſto proccuravano có ogni ſtudio di reprimere,o tor via
; il quale ecceſſo dicevan' eſſi avvenire , qualora l'amaro , amariſſimo : il
dolce , dolciſſimo : l'acetofo , acetofilimo divenga ;mentre portavano
opinione, l'Amaro , il Dolce; il Salſo , l'Acetoſo , il Diſcorrente , l’Acerbo
, e altre infi nite coſe di varie, e molte virtù fornite, dovere eſſere di ne
ceflità nell'huomo, sì veramente , che fteano frá eſlo lor meſcolate , e
confuſe, e l'una temperata dall'altra ; che foj mai avvien ch'alcuna di eſſe da
tutt'altre appartandoſi , così ſceveratamente ſe ne ſtca , allor fallendo al
diritto or dinamento del corpo umano cominci a farſi con mole ftia ſentire , e
grave offeſa recare. De' cibi buoni, ed offendevoli, eglino ſomigliantemé te
diſcorrevano :dicendo cheil Pane, o altri cibi, onde 1 huom niun male non
pruova,ſia dall'accennate coſe , e ſa pori acconciamente temperato, e che
quegli , onde alcun danno riceve , abbiſogni ch'una delle già dette coſe ab bia
ſoverchiamente d'aſſai. Più avanti volevan'effi , che il caldo , e'l freddo men
di tutte le già dette coſe fieno operativi ; cd ove rimeſcolici inſiemeneſteano
niun danno giammai non facciano ; ma quantunque volte ſi leparino ,e che o
riprezzo , o furiofa febbre perciò hucm ne patiſca l'altro contrario imman
tinente accorrendovi , e la furia del tiranneggiante nimico affrenando, toſto
venga l'infermo d'ogni affanno a liberar fi . Il che ſe pur non li vede nelle
ardēti febbri,nelle infiá magion de'polmoni, ed in altre gravi malattie
avvenire , dicevan'eglino , che in sì fatti cali non già dal folo caldo , ma
inſieme colcaldo dall'amaro, e dall'acetoſo, o da altra fimil coſa la febbre
veniffe generata . Finalmente tutto ciò , ch'Ippocrate dietro a tal materia
fiegne a narrare , e come egli prenda a ripigliar coloro che dipartendoſi da
queſti diviſamenti,le cagioni di tutti i ma li all'umido , al ſecco , al freddo
, al caldo fi ftudiavano d ' attribuire,per eſſer molto lungo , e forſe di poco
momen to, lo Del Sig.Lionardo diCapoa 235 to , lo tralaſcio diriferire . Ma
quanto al fatto del teſte da noi rapportato ſiſtema, egli ne ſembra per le
parole del medeſimo Ippocrate, che Apollo , o Chirone , o Eſculapio , i quali è
fama d'aver primieramente la medicina inventata, ſtati ne ſiano gli au tori. E
quanto ad Eſculapio , comechè contuſamente ne faccia parole Platone , e a guiſa
d'huom , che di dubbia , coſa favelli, par che dir voglia , ch'egli in tal modo
fi loſofaſſe , ed è veriſimil molto , che dal ſuo maeſtro Chi, rone , o
dialcun'altro egli appreſo l'aveſſe : e Chirone da alcun'altro fimilméte di lui
più antico : eche poi avendolo Eſculapio altrui inſegnato tratto tratto infino
a' tempi d ' Ippocrate per altri andatoſi foſſe avanzando ,e a quelter mine
condotto , ſicome egli il riferiſce ; ma egli è nondi meno per mio avviſo ,
aſſai manchevole , e ſcempiato , ne Ippocrate interamente , e qualli
converrebbe il rapporta; si che ne laſcia cagion di dabitare, che ne men'egli
il con tenuto di tal fiſtemi capiſſe . Ne ſembra impertanto, che non già di
ſoli medici; madi filoſofanti , e medici inſie me , o di ſoli filoſofanti ſia
tal lavoro; e per una tal breve, e confuſa notizia , che può averſene, pur
manifeſtamente ſi ſcorge , che non mai dovette cader in penſiero a que gli
antichi medici, e filoſofi , che di quattro corpi, che ſon comunemente Elementi
chiamati , tutto l'Vniverſo com pongali, i quali diquelle , che prime qualità
le ſcuole , appellano forinati, con altre , che ſeconde nominano ac cozzati, i
tanto varj corpi miſti vengano a ingenerare; m2 che quaſi infinite particelle
di figura diverſe ,in varie gui le ora accoppiandoſi, or ſeparandoſi,tuttele
coſe faceſſe ro ; o per me'dire , e più ſecondo la loro opinione , da tale
accozzamento , o ſceveramento tutte le coſe ſi faceffcro in varie guiſe
ſenſibili ; e che , ne generazione, ne corrompi mento v'abbia in Natura
giammai, ficome dice chiaramé. te nel libro della Dieta il medeſimo Ippocrate ;
ma che ogni coſa , che dinuovo ſimanifeſta , pureravi innázi . Il qual modo di
filoſofare , ſe non è appunto il medeſimo có quel di Anaſlagora , certamente da
quello non è guari di verſo . G g 2 La 236 Ragionamento Terzo La maniera del
medicare di quegli antichiſſimi medici autori di sì fatto ſiſtema , viene
apertamente accennata da Ippocrate quando dice , ch'eglino davano .opera a tor
via dall'huomo tutto ciò , ch'eſſendo della ſua natura via più valevole , e
no'l potendoella vincere , offefa ne rim.z. ne ; come l'amariſfimo , il
dolciſſimo , e altre ſomiglianti teſtè mentovatecoſe; le medicine poi a
vuotarle voleva no eglino, che ſi daſſero nel tempo opportuno a ciò fare , cioè
allor,che per eſſer elleno al dovuto cocimento perve nute , era ceffato il lor
impeto , e mitigato il furore; d'on de fi cava , che quegli
avvedutiffimihuomini non adope ravan le purgagioni, ſalvo che nella
declinazione del nia le ; e chiaramente dice ſecondando i lor ſentimenti Ippo
crate , che allor , che nell'huomo ſomınamente creſce la collera , in tutto
quel tempo , ch'ella ſi trova ſtemperara ; cruday e ſincera per arte niuna ſi
poſsono , ne il dolore, ne la febbre , che da leicagionanſi mitigare , non che
eſtin guere. Macon quali argomenti eglino cercato aveſsero di cuocere , e
diridurre al lor primicro ftato le nocevoli materie,Ippocrate non ne tien
ragionamento; folamente fi pare , per quanto raccoglier fi pofsa dagli altri
ſuoi libri, e dalle parole , che reftè abbiam noi recate,che eglino in ciò non
ſi valeſsero de'falasſi . Ritrovò a'noftri vicini tempi un sì facro fiftema ,
oltre al Paralcelſo , al Severino , ed al Quercetano altri , eal. tri
doctisſimi ricevitori ; i quali colle tante , e rante cu rioſe , e ſottili
dottrine , che viaggiunſero ſommamente il nobilitarono , e lo fecero altro in
verità parere da quel lo , che così rozzamente defcritto nel libro della
vecchia medicina ſcorgeſi ; ma non poterono nientedimeno que' valentisſimi huomini
, per quanto mai s'affaticaſſero, e che poneſsero ancora in opera per ciò più
acconciainente fare la vital notomia , ritrovar argomento giammai , che effi
cacemente provar poteſſe , che nell'huomo , ed in altri corpitante, e tante
varietà innumerabili ſi trovino di coſe ; laonde degni certamente diſcufa mi
pajono que'primi au tori del ſiſtensa ,fe ne meno eglino non le vennero in quel
il a Del Sig.Lionardo di Capoa. 237 li a dimoſtrare ; ed in verità lo per me
crcdo , che ne me no eglino non aveſſer potuto ciò fare giammai ; imperoc chè
ſe ſono , come esſi vogliono , in minutisſime particel le diviſe , e l'une
coll'altre meſcolate , e confuſe , necon i ſentimenti ſi arrivano a comprendere
, ne effetti poſſono produrre , da’quali argomentar ſi poſlá lor ritrovarſi at
tualmente nell'huomo , ed in altri corpi , e ſe mai pure in eſso loro talvolta
feorganfialcune delle dette ſoftanze di quando in quando venir ſuſo, non ſi può
ſapere certa mente ſe vi erano in primanaſcoſe , o le pure elleno da' primi lor
femi di nuovo fiſiono ingenerate. Orper diffalta di queſte certezze,non farà
egli manche vole, e ſcépiata quella medicina, che preſupponendole, ſu vi
s'appoggia ? Ed oltre a ciò fe prima diligentemente non inveſtigheraſſi, e
giugneraſſi a faper qualſia la natura dell' acerbo, delPacecoſo , e d'altre
ſimili coſe , qual contezza de’loro effettipotrà averli, o del loro operare, e
delle ma lattic , e della virtù deʼmedicamenti , e del modo d'ufar gli . E
forte aggiroffi Ippocrate , ſofifti tutti que' fapien tìſliini filoſofi ,
emedici nominando,i quali volevan,che il medico foſſe pienamente di tutti gli
affari della natura in formato , e intefo minutamente di tutto ciò, onde
l'huomo compongali , e quanto al ſuo mirabiłmagiſtero concorra . E parvc al
buon huono , che il conoſcimento di ciò antaa più alla pittura , che alla
medicina s'apparteneſſe ; e ba it are al medico ſol tanto , ch'egli conoſca
l'huomo in ri guardo al mangiare , e al bere, che gli convicne . Ma quefto
medelimo chi non vede , che non mai poſſa fa perfi, fe la natura dell'huomo in
prima , e poi di tutti i cia bi, e beveraggi, e d'altre, e d'altre coſe e non
iſcorgaſi. Io nóho preſo a vagliar ciòsche dicefi pariméte,che qua Jora popera
del ſolo caldo ſeparato dal freddo fi cagionano le malattie, il freddo
v'accorra a dar riparo; che ſomigliati fraſchenõ maiimmagino ,che foſſero
ufcite di bocca dique' valoroſi átichi;ne fo Io,comeIppocrate fe l'abbia maiim
maginar potute. Aurebbono bēdovuto dire eglino , o eſſer mol 238 Ragionamento
Terzo altra opera , greca , molto, e molto agevolea ritrovare il rimedio, ſe le
malac tie dalcaldo , o dal freddo ſolo avveniſſero , avendo noi pronti ſempre
tra le mani quegli argomenti, iquali, o ſcal dare , o raffreddarne poſſono; o
pure, che il loverchievol caldo , in perdendo le particelle , che fanno il moto
, les quali sfumano velocemente , ove non v'abbia coſa , che vaglia a
intertenerle,coſto s'ammorti,e venga meno.E ſo migliáteméte eglino ácora dir
potevano delfreddo fover chievole ,che tor ſi poſſa agevolméte via incótanéte
ſenza che della ſola continua formentazione del ſangue. E tanto baſti del più
antico ſiſtema della medicina , ficome a noi ne giova credere, al preſente aver
detto ; onde come d'abbondevole , e larga fonte tanti, e vari ruſcelletri poi
d'altri ſiſtemi di razional medicina tratto tratto li diram irono : chenon pur
la grecia tuttav , ma alere barbareſche, e più rimöte nazioni allagarono. E
primieramente quel ſe ne vide uſcir fuori, di cui ſicome noi teſtè dicevamo fa
Ippocrate mézione ; il quale dell'u mido , del ſecco , del caldo , del freddo
nel filoſofare ſi valſe ; e quell'altro purdalmedeſimo Ippocrate accenna to ,
di coloro , i quali più ſottilmente le coſe fin da’loro primiprincipj fil filo
d'inveſtigare li ſtudiavano ; ed altri , ed altri Siſtemi ancor covenne,che a
que'répi ſi adaffer tut tavia mettendo fuora per que' filoſofi, che in molte ,
e varie ſchiere eran partiti; alcuni de’quali, come addietro accennammo, ciò
fecero per avventura ſol per render pa ga la lor curioſità , e per vaghezza di
ſpiarei ſegretidella natura ; ed altri per intendere oltre al filoſofare ,
anches all'opera della medicina , fino a’tempi d'Erodico , oveda prima ad alcun
ſembra che dalla filoſofia indegnamente divorzio faceſſe la medicina ; le pure
alai molto prima, e per opera d'altri ciò non avvenne , e ben’ Ippocrate nel
libro della natura dell'huomo, oltre a'già narrati,di quegli altri Siſtemi ta
menzione, formati da que'medici ,che volevano , o dal ſangue , o dalla collera,
o dalla flemma elfer formato l'huomo , Ma 1 DelSig. Lionardo di Capoa 239 Ma
tempo ſarebbe omai di patrare ad altro ; más poichè non è queſt'opera da dover
fornire in brieve ſpa zio di tempo : ed lo tanto oltre mi ritrovo col mio fa-.
vellar traſcorſo , che già omai è l'umid'ombra della not te ſopravenuta , egli
fie convenevole, che ad un'altra ada nanza l'eſaminamento degli altri ſiſtemi
di medicina lo ri ſerbi. KK KE UP) RA: 240 All RAGIONAMENTO QV A RT 0. 22 S E
quelle gravi , ed acerbe quercle , che veggiam tutto di metterſi fuora dalle pé
ne di tanti, e tanti ſcrittori contro le bar bareſche armate , perchè coile più
bello meinorie della famoſaGrecia abbia quel le i più prezioſi libri della
medicina cru delinente malmenatic diſtrutti: vorrem noi dirittamente guardare,
ritroverein per mio avviſo eſſer quelle in veri tà poco ragionevoli , cmenche
giuſte doglianze ; iinpe l'occhè ſe gli ſmarriti libri della greca medicina
eran fimi glianti a queſti, che a noſtre mani ſon pervenuti , fideu certamente
ſtimare alſai ben lieve la lor perdita , ne da do Ierſene gran fatto , anzi da
non mettere in conto ; mare pure quelli di maggior lieva ſi erano , e più vera
, e fotril doctrina contenenti , bcn'a torto , s'io pur non vado erra to ,
oiGoti, o gli Alani, o gli Vnni , o iBulgari, o i Sa raceni di sì grā misfatto
accagionanſi; imperchè di coſtoro certaméte niuno giunſe giamai a depre.larc,ed
a ſignoreg giare la Grecia tutta ; c quãdo ultimaméte il Turcheſco fu rore
ſurſe ſtruggédola , ed ingiuſtaméte uſurpádola , cd oc cuparl Del Sig .Lionardo
di Capoa. 241 cupandola inleme colla Città , ſede, e capo dell'Orientale ,
Imperio , allora preſſo che tuttii libri , che vi avevano della greca
nazione,mercè all'induſtria degli Italiani huo mini nelle noſtre contrade
vennero traſportati; ſenzachè v'han pure molte Iſole greche, ch'all'Ottomano
giogono ſottomeſse dell'antica libertà anche a' di noſtri ſi godo no . La vera
cagion dunque della perdita de' più beilibri non purdella medicina , ma delle
più nobili arti , e delle più ſovrane ſcienze,non già alla furia dell'armi , o
delle fiamme nemiche : non già alla rabbia del tempo di tutte l'umane coſe
fiera divoratrice ; ma recheſi ad altrettanto più cruda, quanto men furioſa , e
mentemuta cagione.Diec tracollo , chi'l crederebbe ! dier tracollo dal lor
primo ſplendore le lettere , non per altro , ſe non ſe per manca mento, e per
colpa de'letterati medeſimi; c donde atten devan ſoftegno , e riſtoro , quindi
ſterminio elleno ebbe ro , c ſtruggimento ; conciofoſse coſa ,che , ficome
talora in bello , e ſpazioſo campo di grano ſoglion naſcer avene , logli , ed
erbe ſterili , e dannoſo , e ſoffocarlo , cosìſur ſero tratto tratto nella
Grecia fra quell'anime grandi , es valenti , che del vero ſapere eran ſolamente
paghe, alqua ti huomini di ſtolido , ed ottuſo intendimento , i quali da
vaghezza tratti divano onore , e di popoleſca fama, ogni loro ftudio ponendo in
farſi tener alla minuta plebe ſapie ti ſol dieder opera ; e tutti intelero a
certe vane ombre di dortrine ; e perciò laſciando in abbandonamento i buoni
libri a conſumar dalla polvere, e a roſicchiar dalle tarme, ſol cura ſi diedero
di riſerbare , e di tramandare a' po fteri que’libri , che con pompa , cd
arringo di belle parole facevan veduta d'inſegnar tutto quando poco , o niente
in lor v'era di pregio ; e delle lodi di sì fatti volumi,aven do eſſi riempiute
le carte , la troppo credula , anzi cieca , pofterità , come prezioſi teſori
gli ha ricevuti , e ſempre mai venerati. Mai voſtri ingegni, o Signori,per cui
veggio omai ſcorgerci da miglior lume la verità : mi danno ani mo ch’lo
proſeguendo la incominciata tela de’varj ſiſtemi de'Greci medici, vi faccia
ſcorgere ad un'ora per la più Hh par 242 Ragionamento Quarto parte falſe eſſere
quelle eccelléti prerogative, che di mol ti ſcrittori va buccinando da per
tutto immeritevolmente la fama. La medicina di Erodico ,la quale quatūque in
vitupere vol guiſa per Platoneſtata foſſe trattata: no però di meno dal
gétilillimo ſuo ftilc ella vene sõmaméte nobilitata ,ere ſa immortale, per
fatica , che vi ſi duri , Io non ſo vede re , come ſi poſſa giammai ad
eſaminazione acconciamen te ridurre,poichè d'efla sì poche, e cófuſe memorie
avázate ne fono,che appena ne ſi aprirà capo da potere alcun degli
argomentiond'ogli fabbricolla indovinare ; impertanto a volerne dir ciò che per
noi fi può , rammentomi, che Platon riferiſce, Erodico eſſere ſtato miglior
maeſtro d'in ſegnare, come gl'infermi eſercitar doveſſero le membra, e
ſtropicciarle , ed ugnerle , e regolatamente prendere il ci bo , chedi
giovevoli , ed efficaci medicamenti a coloro preſcrivere;perchè e'ne viene dal
medeſimo Platone affai Íconciamente vituperato ; dicendo , ch'egliin sì fatta
gui fa non diſtruggeva altrimenti le malattie , ma le complcf fioni ſolo a
poter quelle lungamente foſtenere ajutava ; ond' egli paſsò ad affermare la
medicina d'Erodico eſſer arte da Pedagogo ;imperocchè ficome da coftoro i
fanciul lini, così da quella i mali reggevāli; mache di ciò Erodico la dovuru
pena aveſſe meritevolmente pagata ; imperoc chè della ſua inutil medicina ,
penofa , e cagionevolvita traſſe continuo , e ad una lunga , e ftentata morte
ſempre diſpofta,perocchè da una nojofiffima, e mortal malattia preſo , egli per
trovarqualche argomento da ſoftenerla , tutto nello fludio della medicina
s’involſe , traſandando tutt'altre biſogne , e ſolo a ciò di forza intendendo ,
altro non gliene avvenne , ſe non ch'egliebbe a viver si parca mente , e
regolato, che ſe mai dall'uſato cibo ſi dipartiva, toſto ritornava ad ammalare
, e più che prima cagionevo le diveniva ; e a queſta guiſa reſo a ſe medeſimo
inutile, e grave peſo , viſſe infino all'ultima vecchiczza ; ove di que favita
rinereſcédogliil morirc, ſdegnofaméte fi dipartio.E alla finc Platone
motteggiandolo conchiude , che una ec cellen Del Sig.Lionardo di Capoa 243
cellente , e ragguardevol palma e' riportaſſe dall'arte ſua, e talc , qual
veramente gliſi conveniva , come a colui , il qual non ſapeva , ch'Eſculapio
una cotal guiſa di medica re a' pofteri non aveſſe inſegnata, non già perchè
non gli foſſe aliai bé conoſciuta : ma ſi bene perocchè egli ſcorge va,che in
una bé ordinata Città a ciaſcun debba eſſere l'o . pera ſua convcncvole
aſſegnata , alla qual fornire doven do intendere , mal potevagli ozio lungo
avanzare , du potere a ſtéto da una tal medicina attender prò , o riſtoro ; coſa
, la quale certamente ridevole ella ſembra ſe vien el la mai negli
arteficiconfiderata . Reca Platon l'eſemplo d'un legnajuolo , il quale ſe mai,
come porta la ſua diſ grazia ritrovali preſo da grave malattia , egli toſto
inan dando per lo medico, da lui richiede , che diviſandoglial cuna purgativa ,
o pur vomichevole medicina , o col fer ro proccuri toſto di torgli ogni inale ,
e ogni ſeccagin da doſſo ;ma ſe allora il medico ſolpreſcrivcſſoglilungadieta,
e altri così fatti riguardi , certamente , che colui gli re plicherebbe, non
eſſer miga ſuo intendimento di menar il can per l'aja , e foggiacere a una sì
nojoſa, e miſerevol vi ta ; e così datogli dipreſente il congedo coll'uſata
libertà ſe ne rimarrebbe ; e ſemai avveniſſe per forte , ch'egli guariffe , ſi
viverebbe per innanzi felice ; ma ſe il corpo no potendo al mal far contratto
ſe ne moriſſe, almen verrebb’ egli ad eſſere da tante noje ſviluppato . E dopo
queſti ra gionamenti Platone apertamente una tal medicina caccia via dalla ſua
repubblica , come dannoſa , e tale , che i ſuoi cittadini non meno alle lor
private biſogne , ch'a quelle del comune verrebbe a fraſtornare, e ritorre.
D'una tal materia ſi legge una lettera dello Speroni , con la quale egli va
dimoſtrado con vani ſofiſmi,la vita ſobria eſfer no cevole uzi che no; infra
l'altre coſe dicendo , la vita ſo bria non poterſi appellar ſana, eſſendo la
ſanità un'acci dente , che coll’inferinità , ch'è il ſuo contrario via ſi cac
cia del ſuo ſoggetto ; perchè ſe nella vita ſobria non può effer inferinità ,
non può eſſer (anità vera; c ſe tinto , e non più fi mangia , quanto baſta al
vivere noi ne coin H h 2 bar 1 244 RagionamentoQuarto batteremo, ne
cămineremo,ne falteremo giámai, ne potre mo ciò fare , perchè non averemo le
forze,mangiando fo lamente per vivere , il che ſarebbe un gran difetto nell
huomo . Oltre a ciò e' dice, che come la mano ſtorpiata , non è mano , perchè
no può come mano operare,così la ſo bria vita no è vita,ma meza morte, perchè
no opera quan to , e come dee l'huomo operare.Dice parimente egli che il morir
per riſoluzione ſia la peggior guiſa di morte, che poſſa fare l'huomo :perchè
queſto è inorir di fame ; della qualmorte parlando Omero in perſona de'compagni
d'V Jiffe l'abborriſce infinitamente : ed elegge più coſto lo an negarſi ,
che'lmorir di fame į ne peraltro Dante biafi matanto i Piſani, che per aver
fatto morir di fame il Con te Vgolino ,benchè foſſe traditore della Patria .
Con chiude egli alla fine , che chi è ſobrio nel cibo faria huopo cffer ſobrio
in molt'altre coſe : peſare il vino, e'l pane, nu merare l'ore: farebbe luogo
ancora pefare i peſieri, lo ſcri vere , il leggere', e ſimili cofe , che
impediſcono la dige ſtione : numerare i palli, e le parole , che ajutano la
dige ſtione : non dormir ſe non tante ore il dì , e tante la notte . Ma il
chiariſſimo Signor Luigi Cornaro , a cui era in dirizzata la lettera ; col ſuo
proprio cſemplo fe veder ma nifcſtamente quanto ciò vano , e fuor di ragion fia
: impe socchè egli colla rigorofa dieta lano , c vigorofo , e bene atante della
perſona anche nella cadente età ſi mantenne , e viſſe oltr'a cent'annipronto
ſempremai , e col ſenno , e colla mano alle biſogne tutte della ſua patria
;comechè ca gionevole aſſai di compleſſione e'li foſse in prima ſtato ncl Ja
ſua giovanezza , ca molti, e graviſſimimali ſoggetto ; intanto , che
comunemente da'medici dopo varj , e diverſi argomenti indarno adoperativi ,
diſperato ſovente di ſuas ſalure ſtato ne foſſe . Ma quanto vane ,quanto deboli
, e fanciullefche fien le ragioni, con che Platone s'argomenta d'abbatter Erodi
co ,e come ſcioccamente la dappocaggine d'Eſculapio , e de figliuoli di lui
egli di ſcuſare s'ingegni : Io non pren derommi al preſente briga di
dimoſtrarlo , potendo ciaſcũ 1 da per Del Sig.Lionardo di Capoa. 245 da per fe
a prima veduta baſtantemente comprenderlo . Macome non ſi può in modo niuno
negare, che quel me dico , il quale aveſse per le mani ſicura ,ed
efficacemedici na , che ſenza indugio poteſse un grave male di prefence guarire
, non dovrebbe certamentead altri medicamenti aſpettarſi; nondimeno non ſo lo
fe Eſculapio , cotanto da Platone commendato, aveſse pronta ſempremai unas
cotal medicina non che a tutti mali acconcia , ma ſola mente alle ferire ;
eſsendo rade molto cotali forti di me dicamenti , e radiſsimi coloro , che
alcun certamente ne ſappiano ; perchè lopratutto fa meſtieri, che'l medico per
ogni via ſappia all'infermo ſoccorrere, eſe non può riſa, narlo,poſsa almeno
tantoſto indugiar la fua morte , tem poreggiando , e ſcherinendolo a ſuo potere
. Perchè fom mamente egli è da lodare il ſaggio avviſamento d'Erodi co , il
quale molto bene a pruova ſcorgendo quanto poco a capitale da tener foſse
l'operazion de’medicamenti, diede opera più che altro a quelle coſe , che ſe
non ſono ditroppo vaglia , s'annoverano fenza fallo infra le meno incerte
dellamedicina . Ecertamente per quelle uſare no fi corre pericolo niuno
da’malati , e poca , e niuna fatica . s'imprende a porle in opera .
MadalPaverle Erodico dalla ginnaſtica portatealla me dicina,quanta lode egli
per ciò ne meriti , Galieno mede. fimo il confeſsa ; il qual nondimeno una
tanta lode ad Ip pocrate attribuiſce . Io per me ſtupiſco della fcimunita
tricotanza di tal’huomo che avendo letto più volte i dia loghi della repubblica
di Platone , e recatone nel fuo li bro pur qualche luogo, ardiſca pure
d'affermare , che Platone in ciò ſolamente la cattiva ginnaſtica biaſimaſſers
la quale ſi predeva cura di difpor gli Atleti ad eſser valo roſi , ed abili a
loro eſercizj . E certamente ſe quellibro di Platone ſinarrito per ayventura ſi
fofse , ciafcun farga mente le ſciocchezze di Galieno crederebbefi . E come
voleva Platone biaſimar la ginnaſtica, che per Galien cat tiva dicefi , s'egli
nella ſua Città ordina , che s'edifichiil ginnaſio , e diſegna con molte parole
la contrada acconcia per i 246 Ragionamento Quarto per quello , e vi ricerca in
iſpezialità copia d'acquc cor renti , così per derivarla in uſo de' caldi bagni
, coine per irrigare il terreno , e render vago , eadorno il luogo ; ſen zachè
no mai ſtanco ſi moſtra Platone in tutte le ſue ope re di celebrare il ginnaſio
, e quegli eſercizi , che ivi fico ftumavano di fare : come ſommamente utilia
conſervar la ſanità ; e fra l'altre egli ebbe a dire una volta, eſsere ma
lagevol molto il ritrovare diſciplina miglior di quella, la quale fin’alla ſua
età in lunghiſſimo ſpazio di tempo s'era ritrovata ; cioè della muſica , che
all'animo , e della gin naſtica , che al corpo appartiene. Ma laſciando ciò da
par te ſtare , egli va grandemente per mio avviſo errato Pla tone
nell'affermare, che que'buoni antichi medici non cu raſsero il regolaricibi
a'malati , e che ciò eglino faceſse ro , non peraltro , ſe non perchè non
avevali a que’tempi di ciò punto biſogno, perchè agli antichi , i qualimaisé.
pre regolaramente vivevano, non faceva poſcia inferman doſi huopo diregola
alcuna di medico ; concioffiecofachè le tante , e tante förti di malattie , che
fra gli antichi ſové teniente ſi vedevano , faccian’aperta , e fedele
teſtimonia za del contrario . Ma quantunque vero foſſe ciò ,che Pla tone
immagina della ſobrietà grande degli antichi huo mini , pure altri cibi
a'lani,ed altri a'malati convengono; e quelmedico , il quale cibaſse l'infermo
come fano , e'l ſano come infermo ugualmente nel certo all'uno , ed all l'altro
nocerebbe . Egli poi non ha dubbio alcuno , che'l regolar i cibi foſse la prima
coſa certamente , che s'ado peraſse in medicina ; anzi da ciò venne ſuſo
primieramé ce la medicina ; e prima , che foſsero i medici , i medelimi infermi
da per ſe il ritrovarono ; e illuſtri.fimo in queſto affare è il luogo di
Celſo; il quale ci giova quì tutto rec.le re , comemolto al noſtro propoſito
faccente: Ægrorums, dice egli, qui fine medicis erant , alios propter
aviditatem primisdiebusprotinuscibum affumpfiffe , alius propter faſti dium
ahſtinuile, levatumque magis eorum morbum effe , qui abſtinuerant :
itemquealios inipfa febre aliquid ediſ Te , alios paulò ante eam , alios poft
remiffionem ejus , optime dein Del Sig. Lionardo di Capoa 247 ! deinde his
ceflife , quipoft finem febris id fecerint . Eadeque ratione alios inter
principia protinus ufos effe cibo ple viore , alios exiguo , graviureſque eos
factos qui fe imple rent. Hæc, ſimiliaque quum quotidie inciderent , diligentes
homines notaje: quæ plerumquemelius refponderent ,dein deægrotantibusea
præcipere cæpiſſe :fic medicinam ortam-, ſubinde aliorumſalute ,aliorum
interitu pernicioſa diſcer nentem à ſalutaribus, Ma intorno al cibari malati,
certiſſima coſa egli ſi è, che gli antichi medici gră pezza affai prima d'Ippocratemol
. te coſe , e molte diviſarono, come ſi può agevolmente ve dere nel libro della
vecchia medicina , ed in altre opere d ' Ippocrate medeſimo , onde parimente
ravviſar fi puote quanto errato vada Galieno, il quale di ciò far yolle il buo
Ippocrate autore. Ma , che che ſia di tali faccende, terri bile allai ſembrami
nel vero la cenſura , con la quale Ip pocrate, non avendo veruno riguardo alla
venerazion do vuta al maeſtro Erodico , fconciamente il riprende,e vitu pera ;
dicendo, ch'egli togliere la vita a tutti que'cattivel li febbricitanti , ch'e'
medicava colle fatiche , e co' fummi. caldi , che loro imponeva; e ne reca egli
di ciò la ragione, dicendo cfler a' febbricitanti il pareggiare, il correre,e
gli ftrofinamenti , eifomenti oltreinodo contrari .Aggiugne Galieno a ciò che
dice lppocrate , che Erodico in ciò fa re, ne anche alla ſperiéza guidar
certaméte e'li faceſſe ,non volendo niuna ragion delmondo , che'l male col
male, la fatica colla fatica , il ſimile col liinile da medicar ſia ; an zi
e'dice , che gli argomenti tutti adoperati per Erodico nelle febbri , valevoli
più toſto ſiano ad accreſcere sfor matamente il calore , che a toglierlo . Ma
certamente no molta fatica aurebber egli durata i ſeguaci d'Erodico in
rimboccare Ippocrate , e Galieno ,dicendo ,che Erodico, come buon medico
razionale non già alle febbri, ma alla cagione di quelle riguardar doveva,alla
qual togliere cer tamente quemedeſimiargomenti fi convengono, i quali egli
adoperava , avvegnachè in prima ſe ne creſca talottas la febbre per qualche
poco ſpazio di tempo ; ma poi ſen za fala 248 Ragionamento Quarto za fallo
rimoſſane la cagione del tutto ſi ſpegne ; ſenza chè ben potrebbono di
vantaggio aggiugnere , il medeſi mo appunto farſi da Ippocrate , e da Galieno :
i quali con fregamenti , e con dare a {piluzzico , e a riguardo il cibo medicar
parimente ſogliono i febbricitanti . Ne qui deb befi tacere , ſcorgerſi da ciò
chiaramente eſſere antichiſ ſimo coſtume de'medici biaſimare in altri , come
manche voli , e malfatte anchequelle coſe , che eglino medeſimi in ſomiglianti
caſi operar tuttavia ſogliono. Ne poffo sé. za maraviglia riguardare alla gran
tracotanza di Galieno, il quale così aſprainenre riprende il diviſamento
d'Erodico ſenza punto penſare , che ello ancora alcune febbri linco pali
co'fregamenti, e col digiuno curar foglia ; perchè egli vien forte ripigliato
dal Tralliano , il quale rintuzza lo , c percuotelo , e con maggior ragione per
avventura , con quell'arme medeſime, che Galieno aveva contro Ero dico adoperace.
Vltimamente ſe un ſomigliante coll'alcro da curar ſia , coloro ſe'l veggano , i
quali comeche con parole il biaſimino , purcon fatti talvolta il ſogliono ado.
perare : ſolamente lo avviſo , che Ippocrate medeſimoma nifeftaméte afferma,
che'l yomito col vomito ſi cefla ,e che col limile il ſimile ſi cura . Quinci
ſcorger ſi puote , chcgli huomini tutti,e più che altriimedici, Togliono di
leggieri nell'arti, chedi nuovo imprendono ad eſercitare , valerſi di quelle
coſe, alle qua li per qualche ſpazio di tempo diedero in prima opera ; e percið
Erodico per mio avviſo ſi ſerviva così ſpeſſo degli Itropicciamentiin medicando
gl'infermi, e d'altre opere , ch'erano in uſo nel ginnaſio , di cui egli aveva
avuto la cu ra ; così veggiam que' ,che, o d'Aſtrologi, o d'Alchimi ſti
divengono medici , non preſcriver rimedio alcuno , che non ſe ne fian colle
ſtelle , eco'fornelli conſigliati; ma no penſi però alcuno , che'l maeſtro , o
preferto del Gimnaſio aveſſe cura di far ſtropicciare , o d’ugnere que' ch'eran
deſtinati alle lutte , al corſo , e agli altri gilochi , che ſi fa cevano nel
Gimnaſio ; ma il ſuo uficio ſi era il comandar nel Ginnaio , e conliſteva nella
ſupreina autorità di quello p li vile Del Sig.Lionardo di Capoa. 249 li
varjufici a quella ſottopoſti, e per le ipeſe , che per l'e ſercitazioni
facevan meſtieri ; edun taluficio era in sì grá pregio,edonore tenuto,che nó
foleva darſi,ſe non ſe a'più nobili , o ben’agiati huomini del paeſe; c durò
lungamen te tal uſanza sì fattamente ,che i medeſimi Romani Im peradori
talvolta non iſdegnarono in volendo favoreggiar qualche Città amica, e qualche
popolo a loro affeziona to , infra i titoli , egli onori degli altri maeſtrati,
d'accet tar anche quello di prefetto , o maeſtro del Ginnaſio . Ma non men
della medicina montò in grandiſſimo pre gio , e venerazion l’arte ginnaſtica ,
la qual fu cotanto ce lebrata a que'rempi dalle dotte penne de ſagaciflimiſcrit
tori , che nulla più ; d'alcun de'quali con ſomma lode fa menzion Galieno, appo
il quale leggefi di vantaggio ,che non ſolamente eglino contendevano co’più
chiari , ed il luftri medici razionali, ma che quegli fteffi , chenel Gin naſio
bazzicavano proverbiar ſolevano Ippocrate ,che egli temerariamente inipreſo
aveſſe ad inſegnar un'arte , dicui cgli era affatto ignorante , e digiuno . Ma
ritornando ad Erodico , chc che ſi dica di lui Platone , non ſi fermò egli
nelle coſe ſole della ginnaſtica ncll'eſercitar la medicina , ma ſi valſe
d'altri , e d'altri rimedj, de' quali altri medici dopo lui parimente fi
valſero : come ſi può vedere in Ce lio Aureliano , il quale in facendo parole
della ſciatica , delle medicine d'Erodico così dicc : Herodicus igitur, ut
Aſclepiades memorat , ventrisadhibet purgationem , atque pofl cenam vomitus ,
quifunt implebiles potius quam ficcabi les: tum vaporationibus tepidis aceti
decocti exhalatione con fectis utitur , vel aqua marina , admifta thalsa
herba,atq ; biljopo, & his fimilibus, veficis bubulis repletis corpus va
purandum probat, vel aliis quibufque majoribus inflatis tu mentia loca pulſari
jubet , e tanto baſti della medicina d’E rodico avere accennato. Eurifonte
celebre medicante dell'antichiſſima ſcuola di Gnido , il quale ,come riferiſce
Sorano inſieme con Ippo crate medicò Perdicca Rè della Macedonia , dalle poche
memorie , che n'abbiamo, non ſi può ſcorgere in qual ma I i niera 250
Ragionamento Quarto 1 niera egli medicaffe , ene meno come egli in medicina fi
loſofato aveſſe ; e delle ſentenze Gnidie, dicui voglion ch ' egli li foſſe
l'autore, ne reca tanto poco Ippocrate , il qua le fi diè cura di eſaminarle ,
ch' Io per me non ho che di viſarne . Egli vien rapportato da Ippocrate , che i
compi latori di quel libro aſſai minutamente, ed a ſpiluzzico avel ſer raccolto
, e diviſato tutte quelle coſe , che avvenir ſo gliono agl'infermi in ogni lor
malattia ; ma non è per ſuo avviſo da far gran fatto ſtiina della coſtoro
induſtria , come quella, ch'aſſai leggiera , ed agevole impreſa è a chiunque
neprenda cura , quantúque niente informato di medicina egli ſia : baſtado
ſol,che dallo infermo della nojoſa iſtoria della propia malattia pienamente
véga avviſato.Ma lo ,có buona pace d'Ippocrate , ſono in contrario parere; e
lem brami, che gran ſenno faccian que’medici , e fieno ſom mamente da
commendare , qualora ſi danno ſomiglianti brighe; imperocchè,non di ſole
ciance,madicoſe in qual chemodo rilevāti ſi vedrebbon ripiene le ſcritture
de’me dici . Ma che è ciò , che ſoggiugne poſcia Ippocrate, che egli fia queſto
un peſo da tutte braccia , ne v'abbiſogni in tendimento di medicina ? E chi non
vede quanto dalvero manifeſtamente il ſuo parer li diparta? da che a ſimili rac
conti fa luogo comprender le variazioni de' polli, e altre biſogne ſola medici
conoſciute; edo che vaghe novelluz ze da riftuccar la pazienza di ciaſcuno
ſarebbon le imper tinenti ciuffole , ed anfanie , che talor foglion narrare a '
medici gl'inferini, fe quelle appunto aveſſero a deſcriver ſi poi ! e ſe per
alcun, ſicome affai ſovente avvenir veggia mo , foffe offeſo il cervello , che
domine potrà unqua ridir dirittamente giammai de'ſuoi travagli l'infermo ?
nondi. meno, quantunque una tal impreſa lia aſſai propia del me dico , lo
giudico , che ſe altri vi ponetle mano , chemedi co non foffe,peraltro riguardo
maggior utile ſe ne ritrar. rebbe ; iinpcroccliè nurrerebbe egli ſemplicemente
come và la biſogna ſenza giugnervi nulla di ſuo , ove da ' medici mercè
dell'ufire loro aliuzie , tra per ridur'la cagion d'o gni avvenimento de'ma i
alle lor concepute opinioni,o per altrid 1 DelSig. Lionardo di Capoa 291 alera
cagione,cofa ,che ſoſpetta di falſicà,cd'errore non ſia non pongono in
iſcrittura giámai . Soggiugne Ippocrate, che di quelle coſe , delle quali dee
aver contezza ilmedi co per propia fua induſtria , oltr'a quelle , che poſſon
ſa perſi dalla bocca dello infermo , molte ne tacquero que gli ſcrittori; e
ch'egli di quelle notizie , che s'acquiſtano per opera della conghicttura, e
che pertinenti ſono al mo do , col quale curar fi dee ciaſcuna malattia , non
s'app.2 ga affatto di ciò , che color ne dicono ; e quinci ſi pare, ch '
Eurifonte medico razionalc ſtato ſi foſſe , e che , ſecondo i ſentimenti
d'Ippocrate medeſimo ſuo emulo, aveſſe ſcrit to affai bene in medicina :
nientedimeno, per quel che Ip pocrate parimenteriferiſca , chiaramente ſi
ſcorge,che co sì Eurifonte , come que' della ſua ſcuola di Gnido ben molto poco
valfero nella medicina ; imperocchè nel medi car le malattie, toltene l’acute,
fi valevano ſolaméte dell'e Jarerio,del latte, e del fiero; e veramente intorno
a ciò IP pocrate a gran ragione ne ripiglia l'autore di quel libro
ſoggiugnendo, che ſarebbe degno di gran lode l'adoperar pochi medicamenti,ſe
quelli buoni li foffero e conveniffe ro veramente a que’mali , a'qualieglino
gli preſcrivono; ma che altrimenti vada la biſogna . Vengono in ciò i medicanti
da Gnido imitati da parec chj de'moderni medici , i quali ſi tengon le mani a
cintola ne'mali lunghi, ed allo incontro poi nellacute malattica non dan mai
foſta a' poveri infermi , travagliandogli ad ogn'ora con importuniffimi rimedj
, la dove dovrebbono ſenza fallo il contrario operare ; concioſliecofachè il ma
de , il quale qualche ſpazio di tempo dur.2 ,renda aſſai age vole al medico il
potere inveſtigarne, e rinvenirne il rime dio ; il che nc'mali acuti
malagevolmente riuſcir puote , i quali per ſe ſteſſi , o bene , o male
finiſcono in brieve. Ma nondimeno egli è ſommo artificio di medico il medi car
sì fatti mali con molti rimedj: imperocchè ſe l'infermo guariſce, il vulgo
ignorante agevolméte crede eſſer ciò per opera avvenuto di alcuno di que'tanci
rimedi , che gli furono dal medico preſcritti : non avviſando , che celeres, !
I i 2 & acu 252 Ragionamento Quarto 1 cu acutæ pafſiones, etiam fponte
folvuntur , &nunc fortuna, nuncnatura favente, come laggiamente Celio
Aureliano avvila ; e ſe purl'infermomai vienea capitar male, tutta via della
ſua induſtria ognuno contento , ed appagato li tiene , inmaginando , che egli
non abbia laſciata coſa p riſanarlo. Ma che che ſia di ciù ne'mali lunghi,ove
nel vero l'imprendimento, e l'opera del buon medico maggiorme te ſi richiede ,
perciocchè, ficome avviſa il medeſimo Ce lio , neque natura , neque fortuna
folvuntur , ſi portò pelli maméte, per avviſo d'Ippocrate,Eurifóte;maſe
crediamo a Celio Aureliano, nelmedeſimo fallo incorſero parimen te con
Ippocrate ſteſſo tutt'altri greci medici , che furono prima di Temilone. Ma
ricornando ad Eurifonte , Io non ſo, s'egli, o pure alcri compilando la ſeconda
volta il libro delle ſentenze Gnidie,maggiormente , come porta opinione
Ippocrates, il perfezionaffe: parte delle coſe, che in prima vi li legge vano ,
come chioſa Galieno , affatto togliendo , e parte in altro cambiando ; effetti,
come altrove abbiamo pa rimente avviſato ,che provenir ſogliono dall'incertezza
della medicina ; e queſto è quanto laſciò ſcritto Ippocra te della medicina
d’Eurifonte . Si valſe cgli , come Ce Jio Aureliano dice , di qualche
medicamento d'Erodico , e ſcriſſe per quel che narri Galieno, di notonia,e di
quel le inedicine ,che ſi poſſono in luogo d'altre , che mancal ſero porre in
opera . Ma trapaſſando ora alla medicina d'Ippocrate, egli cer tamente
oltrealcrcder di ciaſcuno malagevole mi ſembra a diviſarne ora i miei
ſentimenti ; perciocchè di que’libri, che ſotto il ſuo nome ſi leggono, ne pure
a teinpo dell'an tico ſcrittore , che ne racconta la vita , dar fermo , e ſicu
ro giudicio ſe ne poteva . Ma che unque diciò ſia ,manife ſta coſa è , che
parecchi dell'opere dilui per travalicamé to di tempo ſmarrironſi , ed altre
manchcvoli in parte , tronche li riinaſero ; ed in altre ancora molto, e molto
co ſe , o da ſuoi ſcolari, o da altri aggiunte furono ; noiz però di meno c'fi
pare ad alcuno che , coll'efler perdute l l'ope 1 Del Sig.Lionardo di Capoa.
253 -- Popere d'Eraliſtrato, di Diocle d'Aſclepiade,e d'altri buoni medici
antichi, in queſte ſolaméte, che ſotto nome d'Ippo crate ne rimaſero, oggi ſia
quaſi tuttoquáto di buono v'ab bia infra'Greci di medicina,cópreſo; impertanto
moſtrano manifeftaméte, che non riſpondono a quel gran nome,che da alcun medico
greco in prima , e poi da altri anchenon medici ſenza troppo ben'eſaminar la
coſa ,egli n'ha ripor tato ; ne lo ſo permevedere , come ſi poteſſer mai, nu
Platone , ne Ariſtotcle approfittarli per efle tanto quanto nella filoſofia
naturale , come Galieno , e altri medici ſo gliono ad ogn'ora millancare . Ma
chi per Dio paſſerà sé . za riſa la beſtaggine di Macrobio , il qual poco di sì
fatte coſe conoſciuto , e nõ avédo forſe mai letti i librid'Ippocra te,
follemére cómendandolo , gli attribuiſce ciò che a Dio ſolamente conviene,
dicendo: Hippocrates qui eam fallere, quam falli neſcius. Nulla poi dico
diGalieno ,il quales tutto che non ſi vegga mai pago di lodare Ippocrate , con
dire una fiata infra l'altre ,che le ſentenze dilui tutte ve riffime fieno ,
Ta' ti Ittasaxegéros dogueala mutu le árugega tab iar e che la parola
d'Ippocrate fi: come la voce d'Iddio: Notip Des our nj In Toregros
réžis:impertātono approva egli poi co* fatti ciò, che dicecolle parole:
imperocchèmolte,emolte fiate apertamente dalla ſua dottrina s'allontana ; anzi
tal volta dimenticando quanto aveva detto in ſua lode , for te il proverbia,
e'l biaſima, come altrove dimoſtrato ab biamo . Mai più ſapienti,cd ayveduti
tra gli antichi ſcrit tori , quali furono ſenza fallo i Setteggianti, e
queich'eb ber più valore, e più nome tra ’ loro ſeguaci, in pochillimo pregio
tennero Ippocrate : come ſi può agevolmente ve dere in Celio Aureliano; ed
Aſclepiade chiamar ſolevala medicina d'Ippocrate Meditazione della morte . Ma
noi non badando a'cicalecci di niuno , diciamo primicramente , ch'egli ſi pare
certamente , che Ippocra te aveſſe in qualche grado avuto quel natural talento,
che alla medicina richiedeli; e che ſi foſse altresì cgli ſtato un' huomo infin
da’primi anninello ſtudio , e nell'eſercizio di ella continuamente involto ; e
comechè non ben intelo ſcor 254 Ragionamento Quarto I ſcorgeli ſovente delle
coſe , ſembra pure , ch'egli ciò che ſi conoſceva in medicina in que'rozzi
tempi, ne’libri degli antichi letto , & veduto egli aveſſe; e chi ben vi
affiserà la mente ravviſerà nelle ſue opere affai più manifeſte le fondamenta
delle varie , e diverſe ſette della medicina, di quel , che già follemente
millantando Plutarco ne ſcriſſe , d'avere i principj tutti delle ſchiere
de'filoſofi ne' Poemi d'Omero pienamente rinvenuti ; perchè fi dee ‘ certamente
credere,o cheIppocrate impiegato tutto nell'uſo delme dicare non aveſſe
avutomaitempo d'inveſtigare , e deter minare ciò chepiù vero gli foſſe paruto
in medicina:o che pure avendo egli coſa per coſa minutamente ſtacciata , ed
abburattata, ftanco alla finc,manifeftaméte avviſato aver ſe non eſſer più da
appiccarſi ad uno , che ad un'altro fi ſtema di medicina,per la loro egual
dubbietà ;e quinci egli poi di varj , e tra effo loro contrarj ſentimenti da'
capi di diverſe ſette appreſi i ſuoi ſcritti riempic ; e per tacer d'al tro per
ciaſcun ſi ravviſa aver Ippocrate nel libro della natura umana impreſo a
parlare d'uno ſpezial fiſtema di medicina , ed'un altro nel libro della vecchia
medicina , e d'un'altro nel libro degli fpiriti, e d'un'altro ultimamen te nel
libro della dieta , comechè qucftie'confonda con gli altri ſiſtemi da lui poco
ben'inteſi , e ſpezialmente con quello della vecchia medicina ; il quale ultimo
ad alcuno ſembra , che intorno a tal materia .e ' compoſto aveſſe ; e viene
ſcioccamente da molti creduto non già ď Ippocrate , ma di Democrito ; ma
certamente fuor d'ogni ragione ; perciocchè in altra più nobile , e più ſottil
ma niera quel ſublime filoſofante compoſto l'avrebbe . Ma che che di ciò
ſia,per tornare a quelchereſtè dicevamo, pié d'incertezze , e tcmpellante :
Ippocrate , par che talvolta alla ſperienza , ed alla ragione il tutto
raſſegni; ed altre yolte ſembra, ch'egli alla ſperienza ſolamente s'attenga ; e
da ciò moſſi negli antichitempi alcuni , come narra Ga ļieno , ed alcuni altri
della noſtra età, infra'quali è il Mon tano , preſero cagionedi piatire, fe
Ippocrate in medicina da parte empirica , o da parte razionalc veramente tenuto
ha Del Sig. Lionardo di Capoa 25.5 ! + haveſſe ; ma non poteva certamente
egli,comechènon foſe ſe di molto grande intendimento fornito, nel maneggiar
tutto dila medicina non avvederſi della poca fermezza e della molta dubbierà di
quella . Ma per altro poi, quan to Ippocratemancaffe di quell'intendimento ,
che a gran filoſofante , emedico , qual vien' egli comunemente te nuto
appartienfi:ſcorger fi può chiaramente in tutte le ſue opere, e particolarmente
nel libro della vecchia medicina; nel quale avendo egli avviſato eſſer da
filoſofare in medi cina in quella guiſa appunto , che cgli quivi ſecondo i fen
timenti de'più antichimaeſtri diviſa, da chiunque al vero, e perfetto
conoſciinento di quella aggiugnere intenda:ed oltre a ciò , che la medicina non
foſſe ella ancor tutta a ' ſuoi tempi ritrovata , ma unamenoma ſola parte di
quel la, e che molto ancor ne reſtaffe per innanzi a ſcoprire; egli nondimeno,
ne molto , ne poco vi s'affutico ; anzi andò dietro ad altri, ed altri ſiſtemi
di medicina a guiſa di cieco , che séza guida alcuna vada caſtoni, ed
attenědoſi a ciò che , incontra , or per una , or per altra ſtradì errando ,
ſenza mai venire a capo del ſuo cammino;la qual verità ben vé ne dului
me.Iclimo conoſciuta , e finceramente paleſata nella piſtola ( ſe alori ſecondo
i ſuoi ſentimenti in nom :) fuo , pur non la finale ) che egli ſcrive a Deinocrito
; over apertimente dice ſeno eſſere ancora pervenuto a quel le gno nell'arte ,
che diviſato ſi aveva , avvegnachè negli an ni molto , e molto avanzato, e
nell'uſo del inedicare con tinuanente logorato fi foſſe . Map far pienamérc
vedere,e toccar co muni quáto po co in filoſofia avázato fi foſſe Ippocrate,
egli ſi convégono ad uno ad uno elaininarle fondamenta de'varj ſuoi, e co tanto
infra loro diſcordanci ſiſtemi di medicina ; coinechè ciò per avventura
ſoverchio giudicar ſi potrebbe; percioc chè tali , e tante ſono le dippocaggini
di lui , e le ſcioco chezze de'ſuoi ſentimenti , che tolto per qualunque mez
zano intendimento ſenza troppa firtica avviſar li potreb bono ; il che egli
ancor conoſcendo , e reſtandovi alla fine inviluppato , e contuſo , in njun di
quelli riſtr fermame te ſi > 256 Ragionamento Quarto te fi volle , dottando,
e tempellando ſempremai di ciaſcu no. E conciofoſſe coſa, che del Giſtema della
vecchia me dicina altrove baſtevolmente detto ſia', cominceremo al preſenteda
quello , che nel libro della dieta con lungo , e magnifico apparecchiamento di
parole egli neporge. Pri mieramente in quel libro e'nedice ſecondo il
ſentimento , ch'egli altrove rifiutato avea dique'valent'huomini da lui contro
ogni ragionechiamati ſofiſti, che chiunque a ſcri ver imprenda della dieta
all'huom pertinente , egli con venga in primain prima aver piena ,e perfetta
contezza della natura dell'huomo, e di qualiprincipj egli da prima compoſto
foſſe : e oltre a ciò ſpiar minutamente , e com prendere quali di que'principj
in lui maggiormente s'avã taggino . Sentimento quanto ſaldo , evero , e che non
ha di pruova alcunabiſogno , altrettanto volgare , e agevole a penſare; perchè
eglimoſtra ,che Ippocrate non abbia per quello , ſe pure è ſuo , cotanto merito
appo i medici dovuto acquiſtare ; non peròdi meno lo ſcaltrito temen do negato
non gli foſſe sì bel diviſaméto ,ne vuol far pruo va , ſo giugnendo , che ciò
non fi ſappiendo , mal ſi po trebbe cibo ,che profittevole abbia ad eſſere , ad
huom ’ ragionevolmente diviſare. Indi foggiugne convenire an cora aʼmedici la
compleſſion di tutti cibi , e vivande, che noi uſiano eſſer conoſciuta ;e ſopra
ciò con lunga,ed inutil diceria grā pezza cgli di provar s’affatica,comcchè di
pruo va niuna ciò abbia punto biſogno.E quindi il ſuo ragiona mento cominciando
intorno a principj delle coſe della natura , in sì fatta gniſa ne parla. Così
l'huomo, come tutt'altri animali di due principj so compoſti, i quali comechè
diverſi ficno quanto alle lor facultà , all'uſo nondimeno ſon concordevoli , e
acconci; ciò ſono l'acqua , e'l fuoco ; i quali amendue non meno a tutt'altre
coſe , che l'uno all'altro ſcambicvolmente ba fano ; ina ciaſcuno per fe a ſe
inedefimo , ne ad altra coſa del mondo non baſta ; e la virtù , e la forza di ciaſcun
di effi è tale cheper lo fuocoli muove ciaſcuna coſa qualun qne clia lia , c in
qualunque luogo dimori : e per l'acqua Con DelSig.Lionardo di Capoa 257
convenevolmente ella ſi nutrica , e creſce . Ma in conti nui piati, e battaglie
elliftando ſempremai fi contraſta no , e ſi vincono ; non però sì fattamente ,
ch'alcun d'eſli cotanto abbattuto , eſpoſſato ne rimanga , che niente più di
vigore,o di forza non gli avanzi; perciocchè ove il fuo co preſſo all'eſtremo
dell'acqua ſtrabocchevolmēte è per venuto , toſto il debito nutrimento gli
manca; perchè egli volgeli colà , ove nutricar ſi poſſa ; e l'acqua d'altra
parte quando all'eſtremità del fuoco è aggiunta riman priva di inovimento , e
nulla vale ; perchè vien toſto dallo ſcorre te fuoco in nutrimento cambiata . E
imperciò nel conti nuo lor tempellaméto niun di loro sì pienamente può ſo
verchiar l'altro , che affatto l'uccida ; ma amendue vengo no in sì fatta guiſa
ſcambievolmente a ſoſtenerſi, che egli no ſolamente baſtevoli ad ogni coſa
rieſcono per doverla in qualunque modo comporre. Orchi domine cotáto ſarà di
cieca paſſionc ingombro , che non iſcorga pienamente quanto vani , e ridevoli
ſieno i diviſamenti d'Ippocrate intorno a ' ſuoi principj . Vn ſol principio ,
dice egli ,non baſta ; ma baſterà egli , che sì il dica ? anzi vi ſarà chi vi
replichi , uno eſſer ſufficientiſfi mo , ove le parti, che il compongono di
diverfa figura fie no, e diverſamente fieno allogato , e infra loro compoſte, e
ſi muovano : perchè poidi yarie facce le coſe tutte del mondo compor debbano ;
ſenzachè ſe principj delle coſe vuole egli , che ſieno il fuoco , e l'acqua,
perchè egli non ne ſpiega lor natura ? ne baſta in ciò ſolamente dire eller il
fuoco valevole a dare il movimento ; perciocchè ben do veva egli più avanti ragionando
ſpiar la cagione del movi mento delfuoco , e ricercarminutamente diche egliſia
compoſto , e chedifferente il faccia dall'acqua : e queſte coſe ritrovate
riporle poi per principj delle coſe , come quelle , onde tuce'altre vengono
ingenerate: e non già il fuoco , e l'acqua , che non ſon primieri
nell'ingenerare . Ma mentre egli con l'uſata ſua traſcuraggine di ciò niuna
briga ſi prende , certamente dall'acqua , e dal fuoco in quella guiſa , ch'e'
ne favella , nc huomo, ne altro animal K k niu i 258 Ragionamento Quarto 1
niuno coinpiuto , ne coſa altra delinondo non ſe ne potrå comporre giammai ;
econtraſtino pure , e ſi meſcolino quanto ſi vogliano l'acqua , e'l fuoco tra
cſſo loro , che poche coſe infra lor diverſe riuſcir ne dovranno : licorne di
due lole lettere dell’Abici non poſſono per rimeſcola mento comporſi , fuor
ſolamente , che due fillabe : conie da A , ed L : di cui altro , che LA , ed AL
non può for marfi. Macome potran mai riſtrignerſi cotanto , eammaſlarla le
particelle dell'acqua , che formar ſe ne poſſano , ecar ne , e oſſa , e nervi,
e cotant'altre fulde , e dure parti d'a nimali , e d'altre coſe del inondo ? Ne
ciò può adoperarli punto dal fuoco ; perciocchè egli nell'acqua altro far non
può, che le particelle diquella col ſuo movimento , che chiaman dilatante ,
ſempre partire , e ſceverare , licome noicontinuo incontrar veggiamo : perchè
l'acqua vie più liquida , c diſcorrente , e rada ne diviene , non che s'am
maſſi, e fi riſtrigna in coſe falde , e dure . E alla fine ell2 dal fuoco cotanto
menoma , e faccil diventa , che ſe non , d'aria , d'un corpo all'aria
ſomigliante , certamente ella prende forma ; ſenzachè l'acquanon può per troppo
ſpa zio di tempo ritencre il fuoco , e convien ſe calda ſi vuol mantenere, che
continuo altronde quello le venga ſom miniſtrato . Ma che'l fuoco ,come
s'avviſa Ippocrate , dall' acqua nutrito fia , e perchè l'un l'altro vincer non
poſla , ſciocco troppo lo mi terrei , ſe perder tempo lo voleli in rifiutarlo .
Vuole oltre a ciò Ippocrate , che l'acqua fia fredda, ed umida,e'l fuoco caldo,
c ſecco : e che'l fuoco riceva dall'ac qua l'umidità , e l'acqua
vicendevolmente dal fuocolas ſecchezzaze che così eglino l'un nell'altro
adoperando,le tante , e tanto varie forme, e generazioni di ſemi, eda nimali
vengano a produrre : e cotanto diverſe infra loro , che ne quanto all'apparenza
, ne quanto alla lor virtù hā nulla di ſomigliante ; perciocchè non iſtando
giámai l'ac qua , e'l fuoco nello ſtato medeſimo : e ſempreinai cam biandoli ,
e diſcorrendo , forza è , che le coſe , che da lor 1 : fife Del Sig.Lionardodi
Capoa. 259 fi ſeparano , eli producono ,diſſimiglianti oltremodo rie ? fciano .
E certamente , com'e' diviſa, niuna coſa del mon do non muore , nc ſi fa quel
che in prima non erazma me ſcolate inſieme, e partite ſi cambiano le coſe :
come chè giudichi alcuno , che da Pluto per accreſcimento tratto venga alla
luce, e ſi crii : e altro incontrario ,che dal la luce per iſcemamento a Pluto
giunto ſi diſtruggage dice poi,che nó ha dubbio veruno , che fia più toſto da
preſtar fede agli occhi , ch’alle opinioni , o pareri degli huomini. Reca
eglipoi di ciò la pruova , dicendo animali ef ſer queſtie, quelli , e non eſſer
miga poſſibile, ch'uno ani mal ſi conſumi , non con tutti : conciolliecoſachè
chi po tri mai diſtruggerlo ? ne può ingenerarli giammai quel che non è , non
avendovicofa alcuna ,che non ſia , onde poſſa ingenerarſi;mabé s'accreſcono
tutte coſe,e li meno mano a soma grādezza,e picciolezza in quanto egli ſi può:
e quinci s'ingenera, e muore alcuna coſa. Indi egli ſpiega in grazia del Vulgo
, che lo ingenerarſi, e'l corróperli del le coſe altro non ſia , che'l
meſcolamento , e lo ſcevera mento . Ma più avanti facendoſi dice , che lo
ingenerarſi, e'lcorromperli la medeſima coſa ſieno : e'l medeſimo pa rimente il
meſcolamento , e lo ſceveramento : e che lo i13 generarſi altro che il
mefcolamento non fia : el corrom perſi , e'l menomare altro non fit , che lo
fceveramento : e che ciaſcınıa coſa ſia la medeſima , che l'altra : e tutte
lien uno ; e in queſte sì fatte coſedice egli l'uſanza eſſer con traria alla
natura ; ma ſpartamente ciaſcuna cofa , o ſia di vina , o umana ,ſufo , e giuſo
vicendevolmente, giorno, e notte , più , o meno traſcorrere. Indi fiegue egli a
di se il fuoco, e l'acqua hanno avvicinamento ; il Sole l'hà lunghiſſimo , e
breviſſimo ; di nuovo queſti , e noi qucfti ; la luce a Giove , le tenebre a
Pluto : la lu ce a Pluto , e le tenebre a Giove avvicinanſi, ecam ' bianſi
quelle quà, e quelte là;d'ogni tempo paffano quello coſe di queſte,e queſte di
quelle ; ne fi lanno quel che el leno medeſime fi facciano , comeche faccian
veduta di fa . perlo :ne ciò , che veggono,conoſcono , ma in tutto ciò Kk 2
ogni 260 Ragionamento Quarto 1 . ogni coſa loro per divina neceſſità avviene,
così in quel le coſe , che vogliono , comein quelle , che non voglio no ,
perciocchè accozzandoſi , e partendofi quelle quà,e queſte là , fra eſſo loro
avviluppate , e confuſe , ciaſcuna il preſcritto fato adempie. Or chi ſarà così
da paſſione accięcato , e imbard.ato , che manifeftamente non ravviſi in ciò ,
che rapportato nº abbiamo , effer egli una ſtrania cervelliera , e poco men ,
che ſpiritata colui, che ſognandolo lo ſcriſſe Ė non fico prende chiaro in
cotanti aggiramenti, ed arzigogoli, che Ippocrate parla aſſai di ciò ,che meno
intende ? e che nő ſolo coll'oſcurità delle parole vuol naſcădere la ſua dap
pocaggine , e ignoranza ; ma anche farne cotanti Calan drini :e tenendo lo
ſciocco vulgo in parole , il qual fem premai coſtuma di pregiare aſſai più ciò
che non gli èma nifeſto , darne conmaraviglia a divedere ch'egli delle co ſe
della natura oltremodo conoſciuto ſia . Egli è ben ve ro, che molti anche di
coloro, i quali letterati ſtimanſi,há creduto , o moſtrato di credere , che in
queſti riboboli , cd enimmi d'Ippocrate , e in altri ancora, che largamen te
ſon ſeminati entro i libri tutti della dicta, e in quel del la vecchia medicina
, edell'alimento , ch'egli tutti i più naſcoſi , e pregiati miſteri della
medicina , e della filoſo fia abbia deſcritti; e non ha guari che'l Tacchenio
nel ſuo Ippocrate chimico ſi è ſtudiato con queſto libro di darne a divedere
eſſere ſtato Ippocrate un valentiſſimo chimi co . Ma ritornando a ciò , che
diciavamo, lo m'avviſo , che Ippocrate ciò trovaſſe ſcritto in qualche libro
d'alcú di quelli antichi filoſofi, i quali ſolevano cosi vezzatamé te favellare
:e che poco cgli incédédoiſentiméti di coloro, così ſconcj, e guaſti l'abbia
portati , in quella guiſa,che fileggono ; e tanto più , chemoſtra ,ch'egli
confonda in ſieme, e meſcoli due ſiſtemi di medicina, e di filoſofia fra ello
loro contrarj ; da che egli dopo aver portati que? due primieri principj delle
coſe, avvedutofi forſe, che non baſtavano , parla poi non altrimenti , che
ſtabilito aveſſe in prima , che ciaſcuna coſa in ciafcuna coſa ſia , nel . Del
Sig.Lionardodi Capoa. 201 nella maniera appunto, che ſi accennò nella cenſura
del libro della vecchia medicina; perciocchè e' dice, che nul la ci s'ingenera
di nuovo , ma sì ſi meſcolano inſieme le parti, e compongono le coſe,e lefan
grandi,ne alcuna co fa li muore al poſtutto , mà ſparpagliandoſi, e dividendo
ſi vien meno . Coſa, la quale non può intenderſi in verű modo di ciò , ch'aveva
egli in prima detto ; perciocchè ſe l'acqua , e'l fuoco i principj ſono
dell'huomo , meſcolan doſi queſti , e accozzandoli a formar l'huomo, non ſe ne
potrà certamente altro naſcondere , che l'acqua , e'l fuo co medeſimo,prendendo
ſembianza delle parti dell’huo mo , com'e' dice ; ma non già le parti
dell'huomo, ciò ſo no carne , offa , nervi, e altri membri di quello, eſſendo
ci in prima , comechè appiattate , e naſcoſe , nel meſcola mento dell'acqua , e
del fuoco ci ſi laſcino poi di preſen te vedere ; ne partendoſi poi l'acqua dal
fuoco, e guaſtā doſi il lavorio dell'huomo non diverrà ne la carne ,ne l'ol fo
così menoma , e tritolata , che non ſi parrà ; ma tutta la carne , e tutto
l'oſſo diverrà acqua , e fuoco : e queſti che in prima non apparivano ,
manifeitamente nelloro .ſcioglimento poi ſi vedranno . Si pare adunque,ch'e '
vo glia dire eſſer nell'acqua le particelle , chc chiaman ſimi lari, ma così
menome, e ſottili, che non ſi poſſan per huom ravviſare : le quali poi
rannodate, o ſciolte dal fuo co , compongano, e guaſtino le coſe . Ma ſe pur
queſto cgli volle intendere , comepotrà mai il fuoco le particel le dell'acqua
colla ſua forza annodare, ſe il movimento è dilatativo, come dicono , e
ſempremai ſcioglie, e parte ? Convenivaadunque , che Ippocrate altre, ed altre
ragio ni ne recaſſe , le quali ciò poteſſer operare . Ma concedaſi ciò pure a
lui : non perciò l'acqua,c’lfuoco , ma le par ticelle ſimilari ſarebbon da dir
principi delle coſe. Ma cadendogli dalla memoria ciò ,che poco anzi egli detto
aveva, ricorre di nuovo all'acqua , eal fuoco : e in favellando dell'anima
dell'huomo,non mçno ſciocco ,che empio , e miſcredentc,dice quella ancora, come
tutt'altre coſe , eſfer d'acqua , e difuoco compoſta . E tante, e tali ſono 262
Ragionamento Quarto 1 4 ſono le ſue ſcempiezze, e mellonaggini neʼlibri della
die ta , che lungo ſarebbe ad una ad una narrarle . Ma trapaſſando all'altre
ſueopere , contende il Vale riola , e con luianche ſi conforma il Cardano , non
eſſer d'Ippocrate illibro intitolato mei quoär , overo degli ſpia riti groiſi,
o vizioſi : peralcuneſciocche , e falſe dottri ne , che in quello s'avviſano ,
e altre ancora contrarie a quelle , che in altri ſuoi volumi egli divisò , Ma
fe tale oppofizione aveſſe luogo , converrebbe certamente con dannar come non
ſue l'opere tutte , che ſotto il fuo nome fi leggono ; perchè è da dire , che poco
ragionevolmente aveſſe perciò cotal libro ilValeriola colto a lppocrate;ma
Galieno , comeche in quel libro vi ſien diviſamenti poco a' ſuoi pareri
conformi, non però di meno riconoſcendo lo egli d'Ippocrate , il reca ſovente
in concio di qualche ſuo ſentimento . Sembra certamente il libro miglior per
avventura di tutt'altri,chc intorno a ſomigliante materia aveſſe mai compoſto
l'autore ; imperciocchè ha egli ordi ne , e qualche forte di chiarezza : e
moſtra fovente , che l'autore intenda bene ciò, che ſi dica . Vuole egli in
eſſo darne a divedere , che tutti mali , che n'avvenge:10 , da una ſola cagione
ſi dirivino ; comeche per li diverſi luo ghidelcorpo , ove n'aggravano,
diſſomiglianti affai ne ſembrino . Tutti corpi , eglidice , così
dell'Iruomo,come d'altri animali,del cibo ,dello fpirito , edel bere ſi loſten
tano . Gli ſpiriti, che ſono entro il corpo , vengono da Ippocrate chiamati
quoca: e quello, che è fuora del cor po aveõua cioè : a dire , aria . L'aria
fecondo Ippocrate ha grandiſſima parte fra le coſe , che accaſcano alcorpo : ed
è donna , e lignora del tutto . Indi egli lungamente fopra quella ragionando ,
dice delle fue gran virtù , ed opere , Itabilendo in prima qualche ſentenza ;
la quale preſe 2 gabbo dal Valeriola n'è moſtra a' di noſtri per ve re dalle
maravigliore , c fommamente comincndevoli of fervazioni de’noftri moderni .
Dice egli , che tutto ciò she fra’l Cielo , ela terra s'interponeſia , da
ſpirito ingôn bro : e che lo ſpirito cagioni il verno , e la ſtate : e che'l
cor DelSig. Lionardo di Capoa 263 1 corſo della Luna , e delle Stelle per lo
īpirito facciali : e che lo ſpirito alimenti ilfuoco , intanto che ſenza quello
non poſſa il fuoco più vivere : c che l'aria ſottil perpe tua purimente
perpetuo mantenga il corſo del Sole . E oltre a ciò avviſa Ippocrate ritrovarſi
achcin mare lo ſpio rico ; perciocchè ſe quelnon vi foſſe , dice egli , che i
pe ſci non potrebbono in niun modo vivere ; concioſliecola chè non
participerebbono dello ſpirito dell'acqua traen dolo . Aggiugne di vantaggio
effer la terra fondamento dell'aria,c queſta veicolo della terra: ne aver coſa
niuna al mondo vuota di quella : e quella ſolamente eſſer cagione a noi della
vita , e diciaſcuna malattia , che n'avviene ; intanto che avendone meno infra
bricve ſpazio di tempo ciaſcun ſi muore ; perciocchè ben può ciaſcuno ſenza ci
bo , o beveraggio alcuno viver qualche giorno: ma non già ſenza ſpirito ; e ben
poſſiamo poſando ceſar di tutte noſtre operazioni , comechè menome, e brievi
elle ſieno; ma non già del reſpirarc . E quinci egli vuol trar conſe guenza ,
eſſer molto ragionevole, che ficome la morte , così anche le malattie tutte
dallo ſpirito n'avvengano , e che quello calor compreſo , e putrefatto da altre
cagioni diſcorrendone per lo corpo n'offenda . Quindi egli co minciando dalle
febbri và diviſando , ficome ciaſcun ma le dallo ſpirito ſi formi : e tutti
minutamente gli anno vera . Ma un sì fatto liſteina , perchè ingegnoſo fia , e
conte gna in se qualche coſa di ragionevole, non però di meno , generalmente ragionando
, falſo affatto , e inveriſimiles eſſer fi ſcorge; concioſliecoſachè quantunque
grande fia il biſogno , chedell'aria abbiamo, non è perciò quel a ſo la , che
ne mantiene , e ne nutrica : ma l'acqua ancora al noſtro vivere è neceſſaria ,
e altre molte coſe , così den tro , come fuora del corpo ; le quali , o
mancando , oſo verchiando , o alterandoſi, non men dell'aria medeſima cſfer
poſſono a noi cagion di malattie . Nemeno al preſente è da tacere , come cotal
ſiſtema di medicina s'appoggi a'divilainenti , i quali non cheda Ippo 264
Ragionamento Quarto Ippocrate foſſer provati , anzi dalvero talora manifeſta
mente appajon lontani . E comechèalcuni di loro ne sém brino aver qualche
ſembianza divero ; non però di meno fon da lui con parole non propie , e
ambigue a bello ſtu dio inviluppati , e adombrati ; acciocchè aggiugnendo noi
con malagevolezza, e fatica a ritrovarne il coltrutto , da quelli poi
prendeſimo argomento di giudicar talijan zi maggiori gli altri ſuoi ſentimenti
ſciocchi, e vani , com poſtida lui per uccellarne maggiormente . Ma ſe lo
ſpirito,ſecondochèIppocrate così liberamen te afferma , è colui , che
ſignoreggia , e governa ciaſcuna coſa del mondo , e che la vita , e la morte ne
porge : per chènon iſpiega egli poi , ficome certamente fargli con veniva ,
come, e con quali artificj tante maraviglie quel lo adoperi ? e perchènon
ragiona della natura di quello , e diquell'altre ſoſtanze , che , come e' dice
, imbrattan dolo, e inſuccidandolo cotanto a noinocevole , e peſti lenzioſo il
rendono ? E per avventura gran ſenno egli fe a non addoſſarſi cotanta briga;
perchè è da dire , che ciò egli non ſappiendo, non potrà certamente mai la
natura , e la generazion delle malattie per sì fatta ſtrada incoglie re ; e
ſeguentemente gli argomenti ancora , come a quel le da proveder ſia non ſaprà.
E quinci avvien poi , che ne men di que’mali, cheper compreſſion dell'aria vera
mente n'avvengono, no mai egli coſa alcuna di ſaldo rap porta; perciocchè non
ſappiendo egli la natura dique'cor picciuoli,da cui compreſso lo ſpirito quella
generazion di febbre cagiona , la quale , com'eglidice, è tutta comune, e
appellati peſte : ſenza dubbio non giugnerà egli giam mai a penetrare gli
effetti tutti , che da quelle diverſame te provengono, e le varie maniere , colle
quali ciaſcuno animale offendono. E ſe egli non cura d'inveſtigare altre si
quali ſoſtanze ſieno quelle, che s'accompagnano collo ſpirito allor che
racchiuſo entro noi ne muove la colica ,o altri ſomiglianti mali , come ne
potrà egli mai compiuta mente ragionare : o donde trarrà egli gli argomenti da
porvi ragionevol conſiglio ? Ma 1 Del Sig. Lionardo diCapoa 205 Ma ſe le
ſoſtanze , che collo ſpirito -meſcolanſi , ſon ca gion di cotante malattie ,
come potralli eglia buona ragić dire , che lo ſpirito medeſimo, enon più toſto
quelle ciò adoperino ? perchè è da dire , che ſtabilendo Ippocrate it ſuo
ſiſtemà, alla prima v'abbia dato di becco , e vi ſia infe liceinente
fdrucciolato , dicendo eſſer l'aria cagion del. le noſtre malattie , e non più
toſto le varie , e diverſe for ſtanze , che per quella diſcorrono , e collaria
inſieme en trano ne'noſtri corpi: quali ſono molti ſemi, e animaletti, chę
ſovente fi ravviſano , così nelſangue , come nell'altre parti liquidedi noie,
le rendono mal'acconcc ad adem piere i loro uficj: e fermandoſi talora o nel
cuore , o nell? altre parti ſalde del noſtro corpo in molte, e molte manie re
le moleſtano ; ſenzachè ſon nell'aria varie , e varieme nomiſſime altre ſuſtáze
da'vegetali, e da’ıninerali corpia quella mandate : alcune delle quali, quando
di ſoverchio vi diſcorrono , fannofi anoi per opera dell'odorato ſentirez e
l'avvedutiſſimo Elmonte intorno a ciò narra chente , es quali ritrovate egli
n'aveſſe una volta in una tela ſtata al quanto appiccata al merlo d'un'alta
torre ; perchè egli for: te fi maraviglia,come noi che continuo le beviamo,
lunga mente viver poſſiamo ſenza nocimento alcuno; ma non aya visò egli eſſer
ancora nell'aria molte , e molt'altre ſoſtanze a noi giovevoli,le quali
certamentepoſſona'dannidi quel le riparare . Ora in queſte,e in ſomigliati
oſſervazioni cõveniva, che il buono Ippocrare tutto il ſuo ſtudio
impiegafle,ricercan do diligentemente le vere cagioni della peſtilenza, accioc
che prender vi dovelle convenevol riparo : e non fare il pancacciere con lunghe
dicerie , e vane , e inutili fraſche tenendone a bada in quel ſuo fainoſiſſimo
libretto,ove egli lungamente ragiona degli ſpiriti. Ma lalciãdo alpreséte ciò
da parte ſtare,quáto Ippocra te manchevole, e difettoſo ſia ſtato in queſto ſuo
nuovo ſi ſtema di medicina, ſi può agevolmente conoſcerc in ciò , che cgli
della febbre và diviſando . Dice egli, che allor che diſoverchio empieli il
corpo di cibi, ingencranfi in 1. 1 130i 266 :: Ragionamento Quarto noi grandi
ventolit , le quali non potendoper lo ventre di ſotto uſcire per ritrovarlo
chiuſo , ruggiando per ic bu della diſcorrono all'altre parti del corpo ,
maſlimamente a quelle, ove ſerbaſi il langue , e sì l'infreddano , e'l fanno
intriſire . Or come domine potrà mai dentro de' ſuoi vaſi infreddare il săgue
plo ſpirito che è nelle viſcere ? ma egli ingannofi forſe Ippocrate avviſando
il ſanguc tratto dalle . vene, il qual per l'aria di fuora divicn freddo . Ma
che che ſia di ciò, davcva ben egliconſiderare non potcrne in mo do alcuno
raffreddare il ſangue dentro alle vene l'aria , in che di verno crudo , e
rabbruzzata dalle nevi , comeche continuo ne circondi, e continuo da noi fi
reſpiri. Erra ancora grandemente Ippocrate in dicendo , che'l ſangue
dall'orrore , e dal treinore fopravegnenté intimo rito ſi rifugga alle parti
più calde del corpo : ove poi ſi ri ſcaldi, e ſiraccenda per maniera tale, che
anche l'aria me delima, che prima infreddato l'aveva,nc divenga calda; e sì
amendue ftraboccheyolmente affocati riſcaldino cutto il corpo, e'l faccia febbricoſo
. E certaméte in ciò egli ragio nando, molto ſconciamente
s'ingāna;perciocchè,le, come egli confeffa , il caldo tutto al corpo dal fangue
fi cagio. na,come potrà mai infreddato il ſangue niuna parte del corpo rimaner
calda ; anzi treinerà egli per tutto, e diver rà ghiaccio , come cantò
l'antichiſſimo fiorentin Poeta. Qual'è colui, c'ha sì preſſo il riprezzo De la
quartana , c'ba già l'unghiaſmarte, E triema tutto purguardando il rezzo . Ma,
ſicome egli s'avviſa , rimangano pur calde l'altre parti del corpo ,
nedall'infreddardel ſangue fi mortifichi no ; non mai tanto però faran vive , e
affocate , che vale voli ſiano a raccender l'agghiacciato ſangue, e ſvegliare
in quello un sì rabbioſocalore,qual ſenza fallo è quel del la febbre . Ma
troppo nojolo lo nc verrei , ſe tutti minutamente raccontar voleſſi gli errori
d'Ippocrate intorno a sì fatto ſia ſtema ; perchè rimanendomi al preſente di
più ragionarne trapaſſerò a quell'altro ſuo ſiſtema di medicina cotanto ICITU 1
1 1 Del Sig. Lionardodi Capo a. 287 eenuto in pregio , e commendaco dal luo
chiòfator Galie no , che nulla più : di cui cotanti filoſofi, e medici in
ragioz nando , e in iſcrivendo ſi ſon valuti , e tuttavia li vaglionoj che
ſembra omai ſconvenevoliſſimo , e indicibil fallo il mu* farvi contro , non che
manifeſtamente abburattarlo . E queſto ſi è il diviſamento , ch'e'fa nel libro
della natura umana ; il qual libro non può recarſi ir dubbio,che-d'Ip pocrate
verainente non ſia , in ciò che , come faggiamente avviſa , e argomenta Gilieno
della teſtinonianza di quel lo ſerviſſi più volte Platonc ; e ben può per
quello chiun que n’abbia talento agevolmentecomprendere ,fin’a quá to
d'Ippocrate ſi ſtendeſſe l'intendimenco , ela valoria, co sì nell'inveſtigar le
coſe della natura, come in altre, ed ala tre coſe alla medicina pertinenti ; e
coincchè per Galien ſi contenda eſſere ſtato verannénre Ippocrate il pri:11 )
ittle tore , e inventore d'un sì fatto ſiſtemi; noa però dimeno per
teſtimonianza delmedeſimo Ippocratc apertimento ciò eſſer fa ſo s'avviſa ;
concioſliecoſachè rapportandolo egli nel libro della vecchia medicina
manifeſtamente na ragiona , come di dottrina da altri già prima di lui ricrova
ta , einſegnata;anzi nel medeſimo libro della natura un la 112 agevolmente per
ciaſcun ſi può comprendere , che Ip pocratc,non come di ſuo propio diviſamento
ne ragionin . Miche che fadi ciò tralaſciandolo digiudicar noi al pre ſente ,
darem cominciamento dal titolo dellibro così an pio , e inagnifico , che nulla
più ; e certamente cilcuno abbattédoſi nella prima faccia nel libro deci puoi
cvJpurs, ſcaglierebbeſi tolto a leggerlo, e a volerne imprender con ingordigia
tutto ciò , ch'e defidera : giudicando , ch'un si valentemedico , e
filosofantc, qual Ippocrate comuneiné te ſtimaſi , verainente trattata l'aveſic
, licomealla propo fta materia ſi conveniva : cche,comegià Marco Tullio del
divino Democrito , il quale nel cominciuniento d’un ſuo libro ſcritto aveir ,
b.ec loquarde univerſis , ebbe a dire nit excipit de quo non profiteatur , così
d'aſpettar foile d'Ippo crate, chenulla già quivi tralaſciato aveſſe di quanto
alla natura umana s'appartiene. Ma tolto egli del.no avviſo LI 2 folier 268
Ragionamento Quarto [ chernixo , e beffato rimarrebbeli,vedendo in quante brico
vi parole fuggendo Ippocrate traſcorra tolto una così ma lagevole , e così
vaſta matcria ; e ciò , che è affatto impor tevole in lui, che cotanto nella
brevità dilettoſli , egli è il libro più ricco aſſai di parole , che dicoſe ;
anzi di poco falla , che tutto parole egli non ſia : e quelle pochiſſime coſe ,
che vi ſono , così ſconce, e ſenza ragione ſi portanto , opure con cosi vani,e
fanciulleſchi ſofiſmiintralciate, che nulla di ſaldo vi ſi può per huom giammai
apprendere. Egli dice primieramente Ippocrate con lungo aggira mento di ciarlc
, che alcuni giudicavano eſſer l'huomo ſo lamente una coſa ; ma , che coſtoro
tuttimal certainente comprendevan quello , di cui favelſavano, e che perciò di
verfâmente l'andavano ſpiegando ; concioſlīccofachè quá tunque ciaſcun di loro
concordevolmente diceffe, tutte co ſe , che ci ſono eſſer una , e queſta
medeſima effer una a tutte; non però di meno diſcordavā poi oltremodo inſieme
in dando a quella nome ; perciocchè altri dicevano eſſer aria , altri fuoco ,
altri acqua , e altri terra . Soggiugne egli poi , che ciafcun di coſtoro
recava teſtimonianze , e ſe gni , ma di niuna lieva, in concio del fuo
ſentimento; e che tenendo tutti la medeſima opinione , e contradiandoſi nel le
parole , davan manifeſtamente a divedere, che niun di Loro ſapea veramente la
coſa ; e che ciò parimente ſi ſcor geva ili vedendo tutti coſtoro nel lor
continuo piacire, che tratto tratto facevano , non mai per tre fiare continové
riu fcir dalla battaglia i medelimi: maoruno, or altro eſfer il vincitore ,
ſecondamente che ben parlante egliera , edat popolo tenuto in pregio .
Conchiude alla fine Ippocrate , chuom , che di coſe vere, e da ſe ben
conoſciute faceſſe pa role , ſempremai dalle conteſe con vittoria uſcirebbe ; o
che ſembra a lui , che coſtoro piatiſfer con parole più per iſocmypiczzi , che
per altro ; perciocchè tutti alla per fine convenivano infra loro nel
ſentimento di Mcliffo . Ma Galicno chiofando queſto luogo d'Ippocrate, con '
gran pompa di parole forte fi maraviglia , una sì fciocca credenza eller caduta
nell'aniino di que'filoſofanti, i qua live Del Sig .Lionardodi Capoa: 269 Si
venivano in sì fatta guiſa a coglier via la contemplazioni delle coſc naturali,
mindando a fondo la vera filoſofia. Ma ftiaſene pur con pace Galieno : non
ſembra per Dio , che con sì fatto cominciamento prometter ne voglia Ippocra te
un trattato beir lungo della materias ch'egli imprender a ragionare , e quale
appunto quella richiede ? mapoinon trapaſſando oltre a divifarne, par che ne
vogliamanifeſta mente uccellare , laſciandone affatto digiu ni della mate ria ,
ne inſegnandone coſa alcuna di lieva . Ma ſi per doni queſto pure a Ippocrate :
qual ſi foſſe veramente las ſentenza di que’valent’huoinini, Io nonmidarò al
prelen te curz niuna d'inveſtigare ; tanto accennerò , che eglino tutti una
medeſima coſa dicevano : e cheniun di loro giu dicava , che o l'acqua , o la
terra , o l'arir , o'l fuoco foſſe principio delle coſe dell'Vniverſo :ne di
ciò mai fu conteſa infra loro , comeſcioccamente giudicano Ippocrate, e Ga
licno ; ma ſolainente eglito piativano, e andavan confide rando di qual faccia
veſtiſſe l'univerſo da prima , allor,che fu fatto ilmondo ,ſe d’acqua , o di
fuoco , o d'aria , o di terra . Ne laſcerò d'accennare quanto vana', e ridevole
fia la ragioneper Ippocrate recata ; concioſſiccofachè chiſa rà colui, che
manifeſtamente non ſappia,che nel piatir de? letterati huomini , maſſimamente
appreſſo il vulgo , non mai vincer foglia colui ' , che ſa ben la coſa, e che
dice vero : ma colui, che meglio con vaghe' , e ben ordinate dicerie Ja fa
colorare : eche il più delle volte nelle conreſe ne ha ſempre la miglior parte
l'ignorante , e'l ſofiſta ,come ilme deſimo Ippocrate ancor rafferma ? Macome
que’valent" huomini porevan mai eſſer d'accordo colla ſentēza di Me liffo
, il qualnon diterminò mai il principio delle coſe nx turali , fe eglino , comc
Ippocrate racconta , il ditermina vino Ma che che ſia di ciò , Io per me
immagino, che te neſſer veramente eglino la ſentenza di Meliſſo , come Ip
pocrate dice' ; ma ſe ciò era , a torto certamente da lui fur biaſimati :
dicendo egli, che coloro determinato aveſſero il principio delle coſc qualli
foſſe , con chiamarlo o arias , o acqua ,o fuoco , o terra ; ſe pure non
vogliam dire , che -- Ip 270 Ragionamento Quarta Ippocrate veramente non intendeſſe
ciò che que’valent huomini fi diceſfero , it che fe ben li conſidera , il fue
vellare , che in tutto il ſuo libro ne fa Ippocrate, ſembra nel vero più
ragionevole . Fin qui e' fi pare , cheIppocra te abbia de'filoſofanci ſoli
favellato : ora ſe'n viene egli a’ medici , e dice , che alcuni diloro
affermavano non alira cola , che ſangue eſſer l'huomo; altri eller quello
ſolamen tecollera : ed altri ſolamente flemına ; perchè dice egli che coſtoro
imitavaro que’hiloſofi dalui in prima raccon tati , tenendo uno eſſere il
principio dell'huomo, e chia mandolo col nome, che più lor veniva a grado, o di
colle ra , o diflemma, o di ſangue , e che quello dalcaldo,e dal freddo a
cambiar fi venga in ſembiante , ed in virtù , e di venga, e amaro , e dolce , e
bianco e nera , cd ogn'altra.com fa . Soggiugne indiappreſſo Ippocrate , che
molti, emol ti così dicevano , e che altri , ed altri dicevan parimente coſe da
queſto non guari lontane. Or quinci ſi vede chia ramente chenei ,cqualiſi
foſféro anche ne tempi d'Ippa crate infraʼmedici le conteſe ; perchèmoſtra
veramente , che da ſe ſteffa la medicina altro non ſia , ch'un fertiliffi mo
campo , che litigj,piati, e diſcordio ad ogn'ora pro duca . Ma riprova
Ippocrate si fatte opinioni con quell'argo mcnto cotanto per Galienu ammirato ,
e celebrato , che nulla più : ſe una coſa fola , dice egli , l'huomo ſi foſſe
non verrebbe certaméte eglimzi a dolerſi:imperchè nó aureb be egli donde venir
gli potefíe il dolore , per eſſer ogni coſa una ſola coſa ; e fe pure l'huom
mai li doleffe , convera rebbe ſenza fallo , che uno ſi forre il rimedio , coʻl
quale egli guarir doveſſe ; ma in farti va altrimenti la biſogna. Micomechè
nella prima vista ogn’un ch’abbia punto d' intendimento avveder ſi poſa della
vanità di sì fatto argn mento , pure ne farem noi qualche parola'; ma veggiani
prima ſe contro coloro , a'quali par propiamente indiriz zato , coſa alcuna
egli conchiuda. lo permeavviſo , che que'buoni medici nulla curar fi dovettero
mai di sì tutte ciuffole , ed anfanie , imperciocchè eglino tenevano , che 1 1
1 o '! 10 Del Sig.Lionardo di Capoa. 271 o'l fangue, o la collera , o la flemma
ſia quelprincipio prof fimo, cioè donde iminediatamente s’ingeneri l'huomo:ma
che ciaſcun di eſli venga poicompoſto da quell'altro pri mo principio , del
quale l'altre coſe del mondo tutto fatte ſono; e che queſto foſſe ſtato lor
ſentimento ſcorger fi puo te chiaramente dalle parole , chc Ippocrate medeſimo
di lor riferiſce allor ch'e'dice , che eſi volevano , che o dal ſangue , o
dalla collera , o dalla flemma ſi-cagioni l'amaro, e'l dolce , e tutte altre
coſe , che nell'huomo li ravviſano ; or comenon può agevolmente l'huomo,tutto
che di ſana gue ſolo formato e' li foffe , ayer cagione di dolore dall'a . maro
, dal falſo , dall'acetoſo je da altre , e altre coſe, co mechè eſſe dal
ſoloſangue ſi foſſero ingenerate ?ora a que. fte tante cagioni de’dolori non fa
egli meſtieri, che con più d'uno rimedio li ripari : e ſe in ſentenza di
que'valent'huo mini nelle vene altro non è , ſalvo che o ſolo ſangue , o ſo la
flemma, o ſola collera : potrannocertamente rondime no nelle vene ſteſſe , o
dal fangue ſolo , o pur dalla flem ma ; o dalla collera . , ed oltre a ciò
nello ſtomaco da'cibi molte, e molte coſe parimente di diverſa natura
,contrarie ; e moleſte all'huomoingenerarfi , che potranno ſenza fallo elfer
cagioni di dolori , e di varie ; e varie generazioni di malattie, le quali
certamente con altrettante medicine di fcacciar ſi convengono . Egli doveva
adunque provar Ippocrate primicramentes che dal ſolo ſangue , o dalla ſola
flemma, o dalla collera , fola,nientealtro ,che o ſangue, o flemma , o collera
inge: nerar fi poffa; il chein niun modo fa egli , e ne men fare veramente il
potea : concioffiecofachè favellando ſecondo i medeſimi ſentimenti d'Ippocrate
aurebbon potuto dire que'medici , il ſangue, la flemma,e la collerà eſſer non
ſemplici, ma compoſte coſe di que'quattro corpi , che Ip pocrate vuole , che
ſiano i primi principj; e come tali ben poter eglino in varie , e varie forme
cambiarſi; ed in vero fe le varie , e varie ſoſtanze onde l'huom ſi nutrica ,
come dovetter fenza fallo conoſcer que'valent'huomini, non ſo : no di ſangue
formate , e d'eſſe nondimeno s'ingenera il să gue r . 272 RagionamentoQuarto
gue, convien neceffariamente dire , che varie , e varic coſe che ne meno han
ſomiglianza niuna col ſangue , fi pof fan dal ſangue parimente ingenerare ; e
cosi ſomigliante mente della collcra , e dellaflemma aurebbon potuto co loro
filoſofare , Ma aurebbe poi per avventura riſpoſto un di que'filo ſofi, che
Ippocrate s'avviſa parimente colla ſua ragione di riprovare , chel'aria ſola
col riſtrignerſi , e coll'allargarſi , e con altri , e altri movimenti delle
ſue particelle valevole fi renda a ingenerare , e ſangue , e carne, e oſſa , e
nervi, c altre , e altre parti cosìſalde , come diſcorrenti dell'huo mo, e che
ſimiglianteméte coʻmedefimi ſuoi vari moviine ti cagionar poſſa mole’altre
generazioni di varie altre lo ftanze, onde ricever poi debba l'huomo non una,
ma più, e più cagioni di dolori , e di malattie , alle quali faccian ,
meſtiericotantialtri medicamenti per ſuperarle. Ma cer tamente Meliſso , e gli
altri buoni filofofanti, i quali fole lemente ſi fa a credereGalieno ch'abbia
Ippocrate vinti, direbbono , che non ſolo veramente uno ſia il principio.di
tutte coſe , cioè il corpo : ma che ſe uno il principio non foſſe, non ci
ſarebbe ne dolore , ne malattia , ne rimedio alcuno giammai , e che a fare
diverſità di inali, e di rime dj altro non vi ſirichiegga, che l'eſſer
quell'uno corpo di verſamente ſtritolato , e partito : lecui ſottiliflime
particel le di tante, e sì varie figure compoſte, ſolamente in ciò dif
feriſcano . Mimaraviglio poi oltremodo di Galieno , il qualnon s'avvede,ciò che
impugna Ippocrate eſſer crede za d'Ippocrate medeſimo ; ma ciò che nedee recar
vcra mente più maraviglia , ſi è ch ' una tal opinione dallo ſteſ ſo Galieno
vien tenuta in tutte le ſue opere, e particolar méte nelle chioſe di queſto
medeſimo libro.Ma Ippocrate dopo aver recata la ſúdetta ragione folleméte
dice,checo lui ilquale porta opinione , che l'buomo ſia ſolo ſangue , debba
mo& rar , che'l ſangue non muti ſpezie, ne ſi cábj in varie , e varie
maniere,c allegnare almeno un'ora ſola dell' anno , o qualche età dell' huomo ,
nella quale non altro che ſangue in eſſo lui fi ravviſi, e ſimilmente dice egli
degli altri . Del Sig.Lionardo di Capoa 273 aleri . Ma perdonifi ad Ippocrate
il non oſſervar lui l'ordi nato diviſamento nel favellare , avendolo egli
ſempremai per coſtume : Io l'addimando in prima , perchè ſecondo lui la collera
, il ſangue, e la flemma, e la malinconia nel comporre varie , e varie parti
dell'huomo, poterono sì be no cambiar natura : e cambiar non potralla ciaſcuna
di lo ro ſeparatamente ? e s'egli riſpondeſſe , che non già col cambiar natura
, macol ſolo meſcolamento quelle parti formarono , lo gli ritorno a dire, che
non mai col ſolo meſcolamento quattro corpi a far mai valevoli ſaranno tá ta ,
c tanta varietà dicoſe ; e addurrei per eſemplo , che quattro lettere
dell'alfabeto col ſolo meſcolarſi pochiſſi me ſillabe arrivano a formare . Ma
ſe que’mcdici diceſſe ro eſser un di que'loro umori compoſto de quattro corpi
d'Ippocrate , come potrebbe mai Ippocrate quelli impu gnare ? ciò, che promette
poi Ippocrate di fiar vedere, che quelle coſe , delle quali egli compone
l'huomo ſi trovino mai ſempre nell'huomo medeſimo : Io per me non ſo , co me
ſarà egli ciò mai per moſtrare ? Contende parimento Ippocrate non poterſi farla
generazione da un ſolo princi pio; recando perragione , che un ſolo principio non
poſsa meſcolarſi . Ma chiaramente ſi dimoſtra ciò che in pri ma lo avviſai,
Ippocrate non miga comprenderei veri se timenti di que'filoſofi;
concioffiecoſachè un principio , il quale abbia particelle diverſe tra di loro
per figura , per grandezza , e per movimento , con meſcolarſi clieno infra loro
in varie, e varic guiſe,valevole egli è certaméte ad in gencrar tutte coſe .
Per far pruova poi maggiormente della ſua ragione ſog giugne Ippocrate : ſe ne
meno il caldo , il freddo ,e l'umi do , e'l ſecco ,fe temperati eglino non ſono
,non baſtano a far la generazione , come aurà mai vigor di farla un ſol
principio : Io per me non ſo , che ſorte d'argomentar ſi ſia queſta d'Ippocrate
; doveva certamente egli , il che mai no adempie , provare in prima con efficaci
ragioni, che di quclle quattro coſe il tutto s’ingencri ; e poi addurle per
elemplo. E nel certo egli non ha dubbio, che a lui avreb M m bon 274
Ragionamento Quarto 1 · bon riſpoſto quei filoſofi , che clleno , comeche ten
perate ſi fingano , non poſsano in niun modo ciò fare, un principio ſolo a
tanto bene valevol' eſsere : ficomenes terra ,ne acqua,ne pietra, ne aria, ne
altre, e altre coſe mol te poſsono formare una ſpada, un'elmo,una corazza , e
tanti , e tanti iſtrumenti da guerra, che'l ſolo ferro può fa re : imperocchè
il ferro ſolo è quello, il quale ricever puo te le diſpoſizioni neceſsarie a
formargli, non altrimenti il corpo , il quale in particelle , o ſia già diviſo
, o divider ſi poſsa , le quali ricever poſsano parimente varie , e varie grandezze
, fito ,figure , eordine, può ogni coſa produrre , ne que quattro corpi
d'Ippocratenel modo, che egli va filoſofando , potranno mai ne anco un
menomiſlimo gra nello di ſenape giammai ingcnerare . Ma non altrimenti , che
s'egliavuta già aveſse la vitto ria , faccendo gran gallorìa trionfa il buono
Ippocrate di quegli antichi maeſtri, e dando a lor la ſentenzia finale co tro ,
determina temerariamente la quiſtione con dire , che eſſendo la natura
dell'huomo , e dell'altre coſe chente , e quale egli ha diviſato , non uno ſia
l'huomo: ma che ogn' una delle coſe , che lo ingenerano abbia una cal virtù,
che al corpo ella ha dato . Magodaſi pure Ippocrate della ſua vittoria , e ne
riceva l'applauſo da Galieno , il quale non per altro certamente fa ſembiante di
farne cotanta ſtima , ſe non ſe per acquiſtar fede alle ſue opinioni ; qual
coſtu maegli parimente negli altri autori tener ſempremai ſcor geſi , delle
teſtimonianze de'quali ſe mai egli a ſuo pro fi vale commendagli , che nulla
più ; ma ove poi cofa inſe gnino alle ſue opinioni contraria , non ha villania
, che ſi diceſſe mai a triſto huomo , che lornon dica . Ma ripi gliando il
noſtro diſcorſo , vuol egli intendere certamente per le teſtè menzionate
parole, che que' quattro ſuoi corpi ritengano il calore , la fredezza , la
ſiccità , e l'umidità nel corpo per loro ingenerato . Ma cotante altre , che
nell’ huomo ravviſanſı donde cglino naſcono ? Dirà egli dall' accénate quattro
qualità;ma ſe altri ciò negaſſe,come glie le neghiamo noi , come il proverebbe
mai? Ma così ſcon ciaméte diſcorre Ippocrate p no aver voluto mai volger 1 .
ſiad Del Sig.Lionardo di Capoa. 275 fi ad inveſtigar la natura di quelle ſue
quattro qualità ; il che certamente al filoſofo, e al medico far ſi
conviene,mal. Gimamente ove imprenda a trattare della natura dell'huo mo : e
dall'aver ciò traſandato Ippocrate , avvien , ch'egli forte aggirandoſi
immagini potere il leggiero , e diſcorré te caldo quelle coſe operare ,che a
ſpiritual ſoſtanza ſola mente convengono. Ma laſciam noi a miglior huopo il
diviſar di ſomigliante biſogna: ſoggiugne appreſſo Ippo cratc con lungo giro
d'ozioſe ciance , che in diſtruggendo fi l'umancompoſto , tutti e quattro i già
detti corpi ſce verandoſi, alla lor primiera natura ritornino ; e ciò vuoľ
anch'egli,chenel disfacimento di qualunque altra coſawa avvegna . Ma le egli
ficomea caſo , in fretta , e ſenza niu no avviſo ſomiglianti coſe afferma, così
foſſe andato a poco a poco con ſagace diſcernimento diſaminandole , lo porto
opinione, che in cotanti errori non ſi ſarebbe lalciaa to così agevolmente
traſcorrere; perciocchè oltre alla Chi mica arte,altro ancora ne rende ſicuri ,
che quelle ſoſtanze in cui nel lor disfacimento ſi riſolvono i corpi,ſiano non
, miga ſemplici, ficomee'vuole , ma compoſte. Paffa più oltre Ippocrate
coll'impreſo ordine a dir, che nel corpo umano viſia il Sangue , la Flemma, la
Collera gialla, enera,iquali umori ove ſiano con quell'ordinamen to , che ſi
convenga, l’huom viva in ſanità :mafe'l contrario avvenga e' toſto ammali .
S'affatica egli con lunghe dice ric di moſtrar , come poffan que' quattro umori
tutte le malattie ingenerare :maciò fa egli troppo groſſamente , e generalmente
ne'dubbj maggiori tacitamente paſſandoſe ne ; e dopo queſto torna di bel nuovo
alla canzone dell' uccellino, che ſian quattro gl'umori de'corpi degli anima li
, di natura , e di nome fra effo lor differenti ; la qual di verſità immagina
egli di ſtabilire, e poter ſaggiainente ar. gomentare dalla diverſità
de'colori, e dalla diffomiglian za del tatto , che ſecondo lui vi s'avviſa . Ma
s'aveſſc egli mai poſto mente a cotante coſe ; ch'avendo un medeſimo colore fon
di natura poi diverſiſſime, e al contrario ad al tre , ch'avendo una medeſima
natura han colori aſſai di M m - 2 ver 276 Ragionamento Quarto 1 verſi , ſicome
le Fraghe , le Ciriegie , le Azzaruole , le Corniuole , eľVve , e i Fichi ,
certamente , del ſuo ab baglio ſi ſarebbe avveduto . E più avanti dovea
fomiglia temente avviſare , che v’abbian parecchi, e parecchj altre coſe, che
per poco artificio variando grandeméte nel colo rela medelima natura pur
ſerbano;licome della Cera, dell' Ambra gialla,dell'Inceſo,delCorallo,del corno
delCervio avvenire a giornate ſperimentiamo;evidétiſlimo argomen to , che i
vari colori non ſian buoni, e fedeli teſtimonjdel la varietà della natura delle
coſe . Ne la ragione il con trario ne addita ; imperocchè la varietà de'colori,
non al tronde avviene falvo che dal variamento del ſito , o della diſpoſizione
della ſuperficie de'corpi, la qual diverſamen te i luminoſi raggi riflette. Ma
che domine cadde cgli in mente ad Ippocrate allor che diſſe , che dalla varietà
del toccamento , poſſano iva rjumori diſcernergli E quale è mai quel divario,
che mer cè della mano poſſa avviſarfi , ſe tutti egualmente caldi fi
ſperimentano , tutti egualmente nelle vene , e nell'artcrie so diſcorréti. E da
cotali lor vaſi uſciti eglino p la più par te e'li rapprendono , e in una maſſa
s’uniſcono , nella quale, poco , oniun divario per lo toccamento può ſcorgerſi
E ſe più avanti facendociconſidereremo l'altra ragion pre ſa dalla varictà del
calore , dell'umidità , della ſiccità , no aurem di forza a confeffar , ch'ella
più frivola aſsai, eri devol fia delle prime , e che moſtri ben’appieno quanto
egli sbalcſtrato in filoſofando Ippocrate vanamente s'ag giri?
concioſiecofachè, ſe negli umori non v'ha ficcità , come potrebbeſi dalla
ficcità la lor differenza conoſcerſi ? e ſe l'umidor del corpo altro non è , ſe
non che la ſua di ſcorréza, c'l poterſi agevoliéte ad altro corpo appiccare,
ficome conſentir ſi dee da chiunque voglia Tanamente fi loſofure , egli dourà
concederſi , che tutti gli umori del corpo umano egualmente fian umidi , dache
tutti s'ap piccano parimente alcorpo tangente , e tutti parimente ſon
diſcorréti,e quanto al calore détro al corpo, tutti ſono egualmente caldi , e
fuor di quello tutti fimilmente dalla circon Del Sig. Lionardo di Capoa 277
circonſtante aria raffreddati vengono, o riſcaldati . Ma più avanti: ſe gli
umori nel corpo umano ſognati da Ippocrate , ſicome e vuole veramente ſi
foſſero , e alcun di elli , o calorc,o freddo eccitaffe , impertanto no
potrebbe dirſi effer cotale umore,o freddo , o caldo : imperocchè ſe o ſpina ,
o chiodo , o altra pugnente , o doloroſa materia in alcuna parte del noſtro
corpo violentemente ſi ficcarella ſuol poco ſtante , e freddi riprezzi , e
ardenti febbri ecci tare ; e pur la ſpina , il chiodonon per tanto , o freddi,
o caldi potrà dirſi,chefiano . Finalmente ſi sforza Ippocrate queſta varietà
d'umori di Atabilire con conghietture tratte dalle purgative medicine. Se
medicina purgante la flemma , dice egli , ad huom da raſli giammai , certamente
fi vuoterà la flemma, e così pa rimente ſiegue a dire dell’una,e dell'altra
collera; e ſoggiu gne appreſſo : veggiam noi per ogni ſcalfittura uſcir fuora
il ſangue, e ciò in qualunque tempo , o d'eſtate , o d'inver no, o digiorno , o
di notte ; ma ſe alcun primieramente riſpondeffe ad Ippocrate , come per tacer
de’noſtri, già fe rono i più valenti , e più celebri fra gli antichi medici,non
avervi medicina , che vaglia a vuotar determinato umore , che mai incontro gli
ſi potrebbbc per lui replicare? E a yo ler dire il vero, lo ſtimo da non dover
mettere in forſe, che Ippocrate niuna notizia aveſſe delmodo, comeoperano le
purganti medicine ; che ſe mai di quello ſi foſſe alquan to inteſo , forſe non
gli ſarebbono dalla penna uſcite cotante fraſche , e novelluzze ; ne ftillato
s'aurebbe il cervello per dimoſtrar gli errori in cui credette eſſere tutti
coloro chediſſero uno eſſer l'huomo,e non già dal guazza buglio di sì diverfi
umori compoſto : c pur egli non giunſe mai la mente di que'valent’huomini
ſanamente a compren dere , come chiaro dal medeſimo ſuo diviſamento ſi fior ge
. Credettero , dice Ippocrate , coloro uno effer l'huo mo; perciocchè vedevano
per le purganti medicine morir ſene alcuni con vuotarſi un ſolo umore ; perchè
ſtimavano altro non eſſer l'huomo , che quel folo umore; ed altresì dallo
ſcorgere ſolamente ſangue nfcir a' decapitati,non ef fer al 278 Ragionamento
Quarto 4 fer altro l'huomo,che ſangue; e per la medeſima cagione non mancò chi
diceſſe eſſere il ſangue l'anima umana . Or contro ad eſſi la vuole Ippocrate ,
e immagina di gettare a terra tutti i loro argomenti, e opinioni , dicendo non
mai alcuno eſſer morto colla vacuazione d'un ſolo umore, ſenza tutt'altri
eſsere inſiemcmente ſcappati fuora ; e vuol che quantunque volte huom prendendo
medicina purgante la collera ſe ne muoja , vomiti primicramente la collera , ap
preſſo la flemma, indi la malinconia , e finalmente il ſan gue di forza
ancordalla purgazione ſia tratto fuori , e ſo migliante avvenga nell'altre
purganti medicine . Ma chi quinci non iſcorgerebbe, che Ippocrate, o voleſſe
altrui uccellare , o ſcriver ciò che prima gli cadeſſe in penſiero , fenza
prenderſi briga di narrar gli avvenimenti diquegl'in fermi, cheper virtù delle
purganti medicine forſe a gior nate gli morivano nelle mani;e perciò anche
aveſſe a sì gra zioſa favoletta aggiunta una più vana ragione , cioè , che il
medicamento entrato in corpo vada da prima movendo , e cacciando fuora
quell'umor, che ha porianza di trar fuo ra . Aggiugne per iſpianar la
materia,l'eſemplo delle pian te, le quali dic'egli ; dalla terra per lor
nutriméto traggono varj ſughi dolci,acetoſi, e falli ; c ſomigliantemente po
tranno le purganti medicine trarre da tutto il corpo uma no i varj uinori, ma
coll'ordinamento , che teſtè accenna vamo : cioè , che la medicina purgante la
flemma debba vuotar prima la flemma, e poi gli altri umori , e finalmen te il
ſangue , e cosìſimilmente tutt'altre ; ma dagli ſcan naci prima il ſangue , poi
la flemma , e appreſſo la collera eſca fuori. Ma con tale eſemplo delle piante,
non che non agevoli egli l'intelligenza de'ſuoi trovati, ma vie più l'in
garbuglia , e ravviluppa ; concioffiecoſachè non mai può ſembrar vero, cui
voglia la coſa pe'l ſuo verſo guardare che le piante ſenza uncini avere , o
mani , e ſenza poter dar di grappo poſſano trar ſugo dalla terra , o altro ,
che lor bi fogni; elleno ſi nutriſcono della terra , macon altro ma giſtero di
quel che troppo groſſamente immaginò il buon Ippocrate . Evvi nelle piante una
fotcililina , e volantes ſoltan DelSig. Lionardo di Capoa 279 ſoſtanza
ſomigliante molto allo ſpirito del ſangue degli animali , la quale ſtando in
continuo movimento diforme cazione, la picciola pianticella sbucciando ſcappa
fuori, e framiſchiaſi colla terra proffimana alle radici ; or tra per lo
movimento d'eſſa , e per quello , checontinuo dal Sol ri ceve la terra , e
damolt'altri minuti corpi , che perla lor focofa, e attiva natura , a guiſa di
tanti ſpiritelli l'agitano ,e la commuovono , molte parti d'eſſa in ſu vengon
fofpinte in licve alito aſſottigliate, le quali di leggier poſſono i pic cioli
pori delle radici, in cui s'abbattono penetrare , e fic candofi elleno in così
farti buchi vengonoa cambiar figu ra , e da'formenti digeſtivi delle medeſime
piante altro va riamento ricevono si, che pian piano vengono la pianti cella ad
accreſcere , in lei traſmutandofi ;ne queſta trasfor mazione è maligevol molto
a comprendere, anziin molte frutta può agevolmente oſſervarſi ; pongaſi mente
alle me lagrane , che a volerle aſſaggiare ritroveralli , che le ſue fibre
portano a' granelli un amarisſimoſugo , il quale , o dolce , o alquanto agro
divien nella carne d'eſlo granello, ma nell'oſſo inſipido , e ſcipito ; e
ſimilmente avviſeremo altresì in quelle frutta , che colte da propj alberi , e
ripo ſte ſoglion venire a inaturezza : alcunide’quali eſſendoin prima amari
divengon poi dolci , e ſaporofi, ficome ſono le ſorba , le neſpole , e le melegrane
medeſime. Non fa dunque luogo di traimento veruno alle piante , acciocchè fi
nutrichino ; il qual traimento da filoſofi è ſtato meſſo nella natura , comechè
di ciò alcuna pruova giammai non aveſſero:ne ſo lo pchè vogliano farci a
credere,ch'un ſimile abbia a trar l'altro fimile séza adoperarvi altro ,
cheſimpa tia, la quale altro noè, che un bel vocabolo. Nóv'ha adun que medicina
al modo, che vuoti il tale,o'l tal determinato umore ; ne mai vero diſſe
chiunque affermò aver ciò offer vato : ma le purganti medicine ciò che nelle
viſcere ritro vano, formentano, e rendon mordace, e fangli cambiar na túra ; e
quinci avvien,che ciò che ſi vuota appaja di diver fi colori , e prenda una
puzza ſimile a'cadaveri sper , eſſer le purgativemedicine si ſtimolofe , che
aprono ledelicate boc 280 Ragionamento Quarto boccuzze de'vaſi facendo , da
eſſe uicir fuori il ſugo in ef ſo lor contenuto , e corrompendolo ; e
conſiſtendo la virtù delle purganti medicine ne'lali , chein eſſe ſono, in
quelle foſtāze elle più operano, e la efficacia lor dimoſtrano mag giormente
ove i ſali più preſtamente diſſolvonſi ; e quinci avvien , che le fecce, che
per eſſe ſi vuotano liquide diven gono , e diſcorrenti. Finalmente lo immagino
, che non mai veduto avelle Ippocrate ſcanar Porco njuno ,e che ſe pur cgli
guatato mai aveſſe immolar vittime negli altari , aveſse avuti gli occhi di
glauco,o di nero colore tu le pupille ripieni,õde la gialla, e nera collera nel
lor ſangue diveder raffembrogli. Scorſe egli per avventura alcuna fiata, Io bé glicle
cóſento ,ad huo dopo aver preſo vomitiva,o altra ſimigliante medicina,get tar
perla bocca fuori inſipido,amaro, acetoſo, biáco,o gial lo uinore, ma non
giunſe a conſiderar tanto che baſti,cioè che i sì fatti umori s'ingenerano
nello ſtomaco de'corpi c.2 gionevoli , e infermicci, e chenon ſi ravviſano
nelle venc , ne pur quand'huomo inferma. Ne deve egli così toſto ob bliar ciò ,
che altrove più d'una fiata racconta , altri ſughi aver egli oſſervato recere ,
c per ſotto altrui cacciar fuori certi altri umori , i quali eglinondimeno vuol
, che nelle vene non abbian luogo ; sì cheanche ſecondo lui , non è fano
diſcorſo , ne concludente argométo a provar gli umo ri eſſervinelle vene ,
perchè ſi vuotano colle purgagioni. Ma a che domine dovrà egli tanta fatica
logorar tanto tempo indarno , ſtillarli sì fattamente il cervello , e porger
cagione a' poſteri di ricercar ſempremai Duovi ſofiſmi per iſtabilir la ſua
ſentenza in materia, che con un foi fifo gua tuento potea ben coſto determinare
? Ecco come una ri cevuta opinione ne fa velo alla mente,si ch'ella obblia ſo
vente i più piani ſentieri della verità . Orlo , direi ad Ip pocrate , e a
tutti quanti i ſeguaci di lui, traggaſi ad huom fano il ſangue , cd aſsaggiſi ,
chee' non ritroveralli ne af ſai ne poco amaro ; oue è dunque la collera? e non
ſarà l'a cctoſo , oveè la malinconia ? Replicheran per avventura, che'l
miſchiaméto, ela cõfuſione di sì fatti umori fraſtorni DelSig.Lionardo di Capoa
. 281 tal diſcerniméto al palato ; ma ſe a giuſta porzion di ſangue poche
gocciole d'acetoſo liquore,o picciola quãtità di fiele ſi meſcoli, e ſi dibaſti
in modo, che daper tutto ſi ſparga ,e fi confonda,noi proverem nel ſangue,e
l'acetoſo, e l'amaro ſapore:adunque ſe nõ vi ſi aſſaggiavano in prima , novi do
vevan eſſere . Più avanti veggiam ſe ſceverandoſi i diverſi liquori, che nel
raffreddato ságue ſi ſcorgono ſi poſſano av viſare i quattro umori
d'Ippocrate;egli è ver,che nel ſangue ſia un liquore acquoſo ,in su'l quale
vogliono i ſeguaci d'Ip pocrate, che nuoti la collera,ingannati da un certo
giallor, che vi ravviſano, e'l rimanente ſia tutto ſiero ; ma s'egli ciò vero
foffe , abbiſognerebbe , che la ſuperficie del detto li quore amareggiaffc ;il
che no mai veggiamo avvenire.Se poi tutto il ſiero ſitragga via dal ſangue,
rimarrà una materias rappreſa , la qualroffa nel ſommo,e nera apparirà nel fon
do ; ma non miga egli è vero , ficome per coloro ſi eſtima che quella , ch'è in
fondo del vaſo ſia la malinconia , 1013 efſendo ella di niun modo aceroſa , ma
del ſapor medeſimo della roſſa; ſenzachè fe tal fanguigna maſſa foſfopra ſia ro
veſciata , la roffa parte in nera , e la nera ſcambieraſli in rof. fa ; il che
avvien dall'aria , la qual movendo le particello ; della fuperficie del ſangue
, le fa così roffe, e di più allegro color dell'altre apparire. Ma oltre alle
già dette coſe , due altre ſoſtanze nel rapa preſo ſangue ſi ſcorgono; una
dellequalicſſendo diſcorre te , e bianca , ne fa chiaro veder , ch'ella fia
chilo , in fan gue non ancor traſınutato : l'altra gaglioſa,e tenace , di cui
ne fa purmenzione Ippocrate ; e perciocch'ella è deſtinata a nutrir le parti
tutte del corpo, da' moderni ſugo nutriti vo acconciamente vien detto; e queſto
ſugo va col ſieroſo migliantemente miſchiato ; e agevolmente la coinprenderà chiunque
ponendo il vaſo del detto fiero ſu le lente bragie nie farà tutto l'acquoſo
unore agiatamente eſalare . Nefi nalmente voglio laſciar d'avviſare , che in
quelle febbri, le quali per parere d'Ippocrate ſon dalla bile prodotte, non ,
mai ritroveralli il ſangue d'alcun'amaro ſapore , nepur quella parte , che vi
va a nuoto ; ne in quell'altre , che per Nn avvi 282 Ragionamento Quarto avviſo
di lui dalla malinconia provengono , il ſangue ſenti rà miga dell'acetoſo ; ne
men quella parte d'ello che , nera appariſce; ſicome ſenza durarvi molta fatica
potea chiarir fene Ippocrate , ſe pur ſicome non ebbe a ſchifo le ſtoma chevoli
fecce degl'infermi aſſaggiare,così la pūta della fin gua in cotai parti del
ságuedegnato aveſſe d'intignere, qua lora veniva tratto agli ammalati di
terzan2,0 quartana;e ſe a coſtoro egli non ne traeva , in altre opportunità
potea farne eſperimento . E più di lui era debito di Galieno tal fatto , nie
dovea a chiuſi occhj in biſogna di cotanto rilievo preſtar fede ad Ippocrate .
Ma Io non poflo non ammirar quì quelle anime grandi, le quali a torto accagiona
Ippocrate , perchè elle dicano , effer flemma l'huomo ; perchè avendo nel
ſangueſcorta quella bianca ſoſtanza ch’appella flemma Ippocrate, giun ſero a
comprendere , di quella effer formato l'huomoje ve ramente di quella vié la
parte materiale del ſeine formata , di quella il latte , diquella tutt'altre
parti del corpo uma no nutricanſi. Ma ad Ippocrate ritornando : tralafciò egli
in queſto luogo di far parole della più nobil parte del ſan gue , dico della
parte ſpiritofa ; quantunque altrove oſeu ramente ne faccia motto , e ſenza
penetrare , o diſaminar tanto che bafti la ſua natura ; e moftra , che la
riponeſe fra le ſoſtanze diſcorrenti non umide , licome è l'aere,e non già fra
le umide , com'è l'aqua : il cui ſembiante più coſto par, che ritiga lo ſpirito
del fangue ;il che no dovea trapal farſi tacitamēte da Ippocrate;e doveaegli
por mēte altresì a cotāte altre umide ſoſtanze dell'huomo, e diſaminar così di
effe , come delle parti ſolide , la natura , gli uficj,e le ope razioni ; le
quali ignorand'egli nulla viene a ſaper della na tura di quello , la quale
altrui pretende d'inſegnare, ne può ſiſtem.2 alcuno ne meno manchevole , e
ſcempio ftabi fire di razional medicina . Ma il buono Ippocratc , come ſe taſe
uficio aveſſe inte ramente compiuto , e come ſe quanto avea diviſato foffes
incontraſtabile , e fermo , paſſa più avanti nel fuo libro a nar
DelSig.Lionardodi Capoa. 283 narrare, che l'inverno s'avanza nell'huom la
flemma,come quella, che più d'altri umori a cotale ſtagion confaffi,eſſen do
più di tutt'altri fredda; la qual coſa egli vuol ritrarre non altronde , che
dal toccamento ; ed afferma coſtante mente , cha la fiemma,del ſangue , e della
collera ſempre ha'l tocco più freddo ; la qual coſa però quanto ſia falſa è
teſte per noi detto. Fa egli , che l'inverno abbondi più ch ' altro tempo la
flemma; perocchè in più larga copia ne veg giam per le bocche , per le narici
degli animali uſcir fuori; e per l'enfiature , e altri mali dalla flemma
cagionati , che ſovente in quella ſtagione afcir ſogliono agli huomini . Ma ſe
l'inverno, ficomealtroveafferına Ippocrate più che mai le viſcere , ele
interiora ſon riſcaldate , non ſo lo come poſs'egli argomentar ch'abbiano
allora a ingenerare abbó dante copia di flemma, poſto che la flemma foſſe da an
noverare infra gli umori; e flemma foſſe ciò, che per la boce ca ſi ſpurga, e
per le narici , e ch'ella produceſſe que'mali, che freddi s'appellano . Ma più
avāti al diviſamento d'Ippocrate fa la continua cſperienza contraſto , e
ſcorgeſi, che l'eſtate , ſe avviene ad huom qualche catarro , qualunque ne ſia
la cagione, e' ſcaricherà per le narici , e per la bocca le flemme, ch'e'di ce,
in tanta copia, cheſtimeraſli colui non aver altro inca po , ne in corpo ,
ſalvo che flemma. Ora Ippocrate a voler faggiamente diſcorrere , dovea bé
avviſar, che l'inverno per lo freddo riſtrigonfi i pori della' noſtra pelle :
il perchè non potendo per eſli uſcirne cosi ah bondantemente quella ſoſtanza ,
che in ſottile alito ,altro tempo ſvaporar ne ſuole , vienaa rapprenderli in
flemma, edella natura per più larghe ſtrade ſivuota. La Primavera vuol , che
ancor ſian copioſe le flemme ; ma collo ſcemamento del freddo comincino pian
piano w ſcemarli, e'n loro veceil ſanguigno umor vada creſcendo . Ma feper
opinion di lui anche la primavera le vilcere lon cal:liffim , chefanno in corpo
le fléme , e chi loro da luo go ? Ma la ragio , che ne reca per l'avanzaméro
del ſangue, cui no fem ! rerebbe dimoſtrazion di ſcrupoloſo Geometras Nn 2 ܐܐ
284 Ragionamento Quarto : la Primavera dic'egliè calda, ed umida,e caldo , ed
umido è altresì il ságue:adúquc alla primavera cofaſſi. Ma pur noi veggiamo,che
a quel tempo ilſiero alquáto più copioſo di venga , anziche no , ſe a quel
tempo ſon più abbondanti le urine, e oltremodo patiſcono gli Idropici , in lor
ſover chiando sformatamente le acque. E che abbiam noi a dir degli altri
argométi, ond'egli ſi sforza Ippocrate di confer mare tal ſoperchiamento di
ſanguenella già detta ſtagione: in cui , dic'egli , fogliono avvenir
diffenterie , e vacuazion di ſangue per le narici , ed è il ſangue più caldo ,
e roſſo , che mai ? Certamente come altre fiate abbiam detto ; im perocchè la
diſſenteria non puòdal ſangue avvenire,il qual giuſta i ſentimenti d'Ippocrate
è umor piacevole , e dolce anzi che no ; e più toſto la malinconia, e la
collera dovreb bon eſserne accagionate , le quali eſsendo aſpre , e ſtimo Joſe
avrebbon a rodere le inteſtina , e farne uſcir fuori il fangue. Rimarrebbono
altre leggiere coſe a diſaminare in que fto libro d'Ippocrate dietro tal
materia de'quattro umori, le quali da lui coll'uſato ſcioperìo , e groſſezza fi
trattano, e altre coſe degne da avvertire occorrerebbono per avven tura a
chiunque con minuta diligenza l'andaſse rivolgen do, ch'Io per fretta non ho
curato d'oſservare . E baſtami d'averne fol tanto confuſamente rapportato,
perchèfi ſcor ga qual foſse la traccia da Ippocrate temtita nel filoſofare
dietro le biſogne della medicina ; e ch'egli andato foſse nolto lungi dal vero
, ne mai imbroccato aveſse al legno . Ma ſe pure a lui non venne fatto di poter
con pruove fta bilire i quattro primi corpi,no è da prenderne maraviglia :
imperocchène iné v'aggiuſe Ariſtotele ;il quale,e pl'altez za dell'intédiméco,
e per le notizie di varie coſe,digrā lūga gli ſi dee antiporre,che che ſe ne
dica in contrarioGalieno ; e veramente le ragioni per colui rapportate eſſer
frivole , e di niun valore, non che da altri,mada'medefimi Peripatetici vien
conſentito ; ma che chc ſia di ciò , non avendo Ippo crate potirto giámai
provar ne l'eſiſtenza de'primi quattro corpi ſemplici, ne de'quattro umori ,
tutto il ſiſtema deila ſun Del Sig.Lionardo di Capoa. 285 - ſuamedicina,chelu
vi fő:la,cõvié,che crolli ad ogni leggier foffio , e cada giù in terra. Maben
s'avvide Ippocrate della debolezza de' ſuoi ſiſtemi; onde o di rado, o non mai
in al tri ſuoi libri volle valerſene , e particolarmente in quei de gli
Aforiſmi;i quali non voglio lo traſandar ſotto lilenzio, poichè da molti ſono
avuti in sì gran pregio appo Suida , che loro non già inortal coſa , ma opera
di ſouraumano in gegno raſſembra, non altrimenti, che dell'Alcorano ſi fac
ciano i melenli ſeguaci di Macometto . E per lo meno cre de altri , che non
maisì grand'impreſa fu da un’huomo ſo lo compiuta ; c anche coſtor ſon partiti,
alcuni credendo , ch'egli da varj ſcrittori gli aveſſe raccolti ; c altri ,
ch'e' la veſſe copiatidalle tavolette affilfe nel tempio d'Eſculapio . E
certamente ſe mai vero foſſe , che Ippocrate , come An drea antichillimo autor
riferifce , miſe a fiamme, ed a fuo co quella cotanto celebre libreria di Gnido
, egli ſarebbe da fufpicare, che nõ pur gli Aforiſmi,maquát’opere van del fuo
nome intitolate,ſtate folero altrui fatiche, ed ei per ac cattarne reputazione,
come propie le aveſſe divolgate. Ma avend' egli per avventura poco ſanamente le
opinioni di quegli autori compreſe,sì malamente compilare le aveſſe ; e quinci
ſia altresì avvenuto , che tante varie , e diſcordan ti dottrine , e opinioni
per entro vi ſi ritrovino ; e perciò ſia indarno gettata la fatica di coloro ,
che di accordarle tanto lungamente ſi ſtudiano ; a ciaſcun de'quali potrebbe
ram mentarſi l'avviſo di Franceſco Ottomanno : Vercor ne ple rumque in iis ,
qui confultò inter fe diffentiunt conciliandis nimium ingenioſi eſe velimus. Ma
che che ſia di ciò , lo per me ſon ſicuro, che agevolmente accorgerafli , cui
caglia di chiarirſene , non effer degni di cotante lodi gli Aforiſmi
d'Ippocrate , quante d’uma cieca, e comun fama ne han ri cevuti ; e perciò
nella ſchiera de poco accorti foſſe il noſtro Petrarca ,ovein favellando di
biſogna a lui poco conoſciu ta ebbe a dire: E quel di Coo , che fe vie miglior
l'opra , Seben intefi foller gli Aforiſmi. Sicome del poco lor valore s'avvider
tutti que’medici,che infra 286 Ragionamento Quarto 1 nfra i Greci ebbero
inaggiore ſtıma,e rinomea ;i quali non men , che di tutte altre opere
d'Ippocrate , tenner pochiſſi mo , o niun conto degli Aforilmi; la qualcoſa ſi
ſcorge rebbe manifeſtamente da noi,ſe ſpente non foſſero ,e ſmar rite tutte
loro ſcritture ; ma nondimeno può argomentar ſi ſenza rimanerne in forſc ,
dalle reliquie , chene' libri di Galieno , e di Celio Aureliano , a '
dinoſtriſe ne riſerba no ; e per quelle poche memorie , ch'abbiam di Giuliano
eccellentiſſimo filoſofo , e medico , quantunque il con trario ſis forzi
dimoſtrarGalieno . Ma ſe ancor foſsero in piè que’libri, che ilmedeſimoGiuliano
compilò contro gli Aforiſmi, o ſe foſſero almen rimaſe le chioſe , che ſu d'er
ſi fe Lico , il quale ſi diede cura d'andargli un per uno mi nutamente , e
ſenzariguardo alcuno diłaminando, chente, e quali eſſi ſiano apparirebbe chiaro
, comechè io non mi dalli briga di favellarne ; ma poichè così va la biſogna:
di co, che molti degli Aforiſmi liano così generali, che per la medicina poco ,
o niun pro trar ſe ne poſla ; e di leggier ſi potrebbono ad ogn'altra materia
acconciamēte adattare; il che ha porto occaſione di occupar certi sfaccédati
cervelli a travorgergli con pochisſimo ſtorciméto alla politica , alla milizia
, e ad altre arti , e diſcipline ; altri ve ne hanno co tenenti sì groſſo, e
materialinotizie , che ad ogn ' huom di 'contado aſsai meglio ſon conoſciute ;
altri , come avviſa il Santoro , non li poſson mai recare ad effetto ſenza
molto ritegno , e ſenza l'indirizzamento delle regole dell'arte ;di fetto ,
ſenza fallo ,gravisſimo ad autor, che imprenda a pre. ſcriver certe regole , e
leggi in qualunque arte , emaſlima mente in medicina ; e altri v'han cui
facendo biſogno di pruove , fur da lui tralaſciati ſenza alcuna ragione ; e ſe
pu re alcuna fiata vi rapporta qualche argomento , ritroveral fi eſſer poco
ſaldo , o inefficace ; anzi loventi fiate ridevo le, e frivolo ; altri ſe ne
ritrovano ,la cui dottrina, o aper tamente, o per poco che ſi vada diſaminando
, falſa , e fal lace ſi ſcorge. Altri finalmente per entro a quel libro ve
n'han sì confuſi , e oſcuri ,e impigliati, ch'a volervi per in tendergli
qualunque più grave farica durare, non ſe ne ri trar Del Sig.Lionardodi Capod .
287 trarrà coſa , che monti un frullo . Ma l'oſcurità è vizio si ordinario
d'Ippocrate , che ne men Galieno cotanto di co lui parziale potè contenerſi sì,
che non ne faceſſe motto , a non ne lo proverbiaſſe , e ſcherniffe più fiate.
Ma fe è vizio , ed error grave l'oſcurità in qualunque materia , egli è ſenza
fallo graviſſimo , ove ſi tratti dimc. dicina ; arte malagevoliſſima per ſe
ſteſſa , e in cui l'crrare potrebb’eſſer di graviſſimi danni , e nocumenti
cagione ; if perchè non ſon da intendere quelle ſcuſe , che dell'oſcurità
d'Ippocrate voglion farſi per alcuni , dicendo ch'egli a ſtu dio voleſſe sì
fattamente ſcrivere le ſue opere , e maſſima mente gli Aforiſmi, acciocchè sì
prezioſiteſorinon iſtaffe ro ſenza riſerbo ; ma quafi ſotto bel velo ricoverti
, e aſco ſi; imperocchè lo primieramente non ſo intendere qualſia mai
quell'altezza di dottrine, che nella medicina d'Ippo. crate ſia ripoſta , ne
fin'ora v'è ſtato chi abbia potuto fco vrirla ; anzi è avvenuto a coloro, che
troppo v'han durato fatica a interpretrarla , quel che accader ſuole
ſoventeagli Alchimiſti, che in vece di divenir dovizioſi d'oro , e d'arie tutto
il for picciolo capitale ſcialacquano . Ma fe Ip pocrate voleva aſconder la ſua
dottrina,sì che da altri non mai fi riſapeſſe, potea con un più bello , e
fottil modo ben farlo , cioè rimanendoſene in pace , ſenza ſehiccherarle carte
, o por tanticervelli a partito per intender la ſua mé te , con si grave
riſchio de' poveri ammalati . Or veggafi di vantaggio quanto egli foffe dabbene
, equanto oſſerva tor dell'impromeſſe,e facraméti ,co’quali dichiarò di voler
a'ſuoi ſcolari tutta quanta la medicina perfettamente inſe gnare ; e certamente
ſe non altro lor comunicò di ciò che ne'ſuoi libri , e particolarmente in que'
degli Aforiſmi la fciò regiſtrato , e in quella sì confuſa maniera , que' catti
velli l'olio , e la fpeſa indarno vi dovettero logorare. Ma il bujo di quella
favella, ſe mal puofli fofferire altrove,cer tamente nell'opere degli Aforiſmi,
ove principalmente egli vuol dar leggi , e regole di ciò , che fi dce nell'arte
eſe guire , è tanto biafimevole , e ſconcia , che nulla più ; e ſe Principe mai
, o Repubblica in dettando leggi , e ftatuti ſi valeſ. to , 288 Ragionamento
Quarto valeſſe dello ſtile degli Aforiſmi d'Ippocrate, in quali tea nebre , in
quai garbugli, in quali intrighi, in quantipiati , o conteſe ſe ne viverebbe
quella malnata Città , quellas infelice provincia? S'attēta altri di ſcuſare
Ippocrate col precetto d'Orazio Quicquid precipies eſto brevis,utcito dicta
Recipiant animidociles , teneantquefideles. Ma per coſtui non badoſli , a
quel,che poco avanti dal medeſimo Poeta fu ſcritto : Decipimurſpecie recti :
brevis effe laboro Obfcurusfio : Ne potè ciòdiſſimulare, comeche parzialisſimo
d'Ippoa crate , per tacer d'altri chioſatori, il Signor della Sciam bre , sì
chenon aveſſe arditamente a dire d'Ariſtotele , ed' Ippocrate , e de'loro
eſpoſitori favellando : ita perplexe, & obfcurè uterque locutus eſt, ut ad
ſingula verbaceſpitandum illis fuerit,antequam tantis tenebris lucem aliquam
afferro potuerint . E quantunque egli appreſſo imprenda a farne ſcuſa, indi a
poco ſoggiugnendo: Atque id ſaneHippocrates quadam neceffitate impulſus
præftitit in Aphoriſmis : cùm enim ad pauca quædam capita vaſtam , &
immenfam artem contrahereftatuiffet, ne trunca, manca redderetur, necef fe illi
fuit ſuh unoquoque plura præcepta recondere , quàm quæ verbis deſignarentur:
&fingulos Aphoriſmos prêter id , quod exprefsè docent, proponere , ut figna
, du notas , quibus aliarum rerumeadem ſpectantium recordatio excitaretur: no però
dimeno lo perme non ſo ſe venga sì fattamente ad iſcuſarſipiù tolto , o ad
accagionarli Ippocrate ; imperoc chè qualbiſogna , o diſtretta lo sforzò mai a
favellar di tut to , e'l tutto avviluppare, ed entrar nell'aringo ditanti , e
sì diſgiunti ragionamenti per diviſar pochiſſimecoſe , c di niun rilievo ? E
qual lode è mai d'uno ſcrittore l'accennar ſotto velame d'oſcurillime parole
una cofa , e laſciarnu cento , e mille , cuiabbiſognerebbe , che
dall'intendiinen to del diſcreto lerrore fi ſuppliſſero; il che ſe mai il letto
re far poteſſe da ſe medeſimo , a che affaticarſi in sicer carle fu le altrui
ſcritture con ſuo diſtento . Ma ſe pur po telle Del Sig.Lionardo di Capoa 289
teſse Ippocrate ritrovar qualche perdono persì fatte ſcule in alcunadelle ſue
opere, chi mai potrebbe ſofferir quelli oſcurità , che per tacer d'altri ſi
ravviſa nc' libri della Die ta , degli umori, degli alimenti , in cui ebbe a
dire quel celebre galieniſta Antonio Fracanziano ſuo chioſatore , Hippocrates
anigmaticè , dw obfcurè adeo loquitur , ut divi nandum magis quandoque , quam
afferendumquid voluerit: orin quegli certamente le ſottili difeſe del Signor
dellau Sciambre non poſſono a niun modo aver luogo . Egli adú que nc fa
meſtieri di dire a voler ſchiettamente la verità có. feffare , che l'oſcurità
d'Ippocrate avvenga dal rozzo , e oſcuro conoſcinicnto , ch'ebbe di quelle coſe
, che a ſpia nare egli impreſe; e perciò con oſcure , c affai brevi parole
cerchi toſto sbrigarſene , come fan coloro, che di future, e loro ignote coſe ragionano.Ma
pur troppo bene è riuſci ta ad Ippocrate, e d'onde biaſimo e' meritava, e
vitupero, quindi gli avvenne lode , e commendazione dalla voigare ſchiera
de'letterati; i quali ciò che meno intendono , comes cofa maggior de’loro
ingegni vie più commendano ; e per ciò è avvenuto , che sì folta turba
de'chioſatori abbia in darno tanta fatica durata,per
volerdimoſtrare,ch'altiſlima dottrina ſotto l'ombra di quel favellar ſi
naſconda; e dico indarno : imperocchè a gente di ſano intendimento quelle
cotante lor novelluzze malagevoliſſimamente iinboccar poſſono ;
eſſendomanifeſto , che ove Ippocrate favella di coſe, ch'egli intenda ,e
ſappia, ſicome quando narra avve nimenti , e iſtorie di malattie, o fa parole
di qualche parte di notomia , ch'egli avea oſſervata, non torbido , e confuſo
ſtile;ma cõchiaro ,e intelligibil ragionaje ſe ben ſempremai ſparge per entro a
tai ragionamenti qualche antica , e vieta, e poco inteſa parola : impertanto
non può renderli tutto il favellar sì avviluppato, che in fine la ſua mente non
fi com- ' prenda . Egli è adunque oſcuro , ove di ciò che non inten de ,
imprende a favellare. Ma per non iltar quaſi ſempre in ſu l'ali , c diſcender
omaia qualche particolarità : lo dico , che il primo, ove procura di ſcorgerne
la medicina , come poſta lu la vet Oo t2 290 Ragionamento Quarto 1 1 ta d'un
erta , e lunga , e ſtraripevol roccia ,' oue mat puofli, tra per la brevità
della vita ,ei molti , e gravi peri coli , che vi s’incontrano per huom
pervenire ; e tale,e tan to , che vale a torre il pregio a quanti e'ne
ſoggiugne;im perocchè ſe cotante malagevolezze ha la medicina per fe medelima ,
ei, che dovea far altro , fe non ſe a tutto sforzo . agevolarne il ſentiero ? e
pur coʻſuoi Aforiſmi il varco sì fattamente impruna , che ove huom dietro a lui
mettaſi in cammino,a diftento fenza offefa potrà ritrarne il piede.Do vea ben
avviſar Ippocrate , chela brevità, ove l'oſcurità non iſchifi, quanto ſcema
allo ſcrittor di fatica , al lettore altrettanto ne aggiugne . E nel vero chi
potrebbe confide rar quanto ftento dovettero durar tutti coloro , che prima di
Galieno ſi dieder briga d'interpetrar l'opere d'Ippocra te ; e pur nientedimeno
non uſciron dal laberinto , come vuol Galieno; il qual ſoggiugne lui aver
primieramente porto il filo da poterlo ſpiar tutto , e ritornare in ſalvamé to
; quantunque v'há chi non gliele vuol credere , e affer ma coſtantemente
ch'egli vi ſia rimalo avvolpacchiato,co me tutt'aleri ; e ne ci reca la ragion
dicendo , che ſe vera mente per Galieno foſſero ſtati compreſi i ſentimenti
d'Ip pocrate , cotante quiſtioni , e piati dopo lui non ſarebboe no inſurti ,
per indovinar , che diavol d'inſegnamenti ſian que' d'Ippocrate ,maſſimamente
negli Aforiſmi. Orail té. po , che in ván fi logora in sì fatti litigj,nó
ſarebbe meglio, e con maggior pro nell'inveſtigar tante coſe, che fann'huo po
allame licina , opportunamente impiegato ? Ma nella feconda parte di queſto
primoAforiſmo, poi chè tanto gli è a cuore la brevità , a che perder parole per
dire,che , acciocchè il medico adempier poffa felicemente il ſuo uficio ,
abbiſogni che vi concorrano l'opere dello in fermo , de’famigliari, e
tutt'altre eſteriori coſe al biſogno fian preſte ? O utiliſſimo , o raro , e
non mai caduto in mé. te umana conſiglio del diviniflimo Ippocrate ! e Monna
Berta , e Monna Nonna ſomigliantemente non l'averebbe ſaputo ? Ma il ſecondo
Aforiſmo, per la cui eſpoſizione veggiam venire fino a villane parole i
Chioſatori, e alqua 1 le più Del Sig.Lionardo di Capoa 2.91 1 le più coſto con
aringo d'ornate ciance , che con faldezze di dottrina , cerca difar riparo
Galieno a petto degli argo menti , che incontro gli avventa Giuliano : non
contien al tro certamente , ſalvo che unadottrina molto volgare, tanto baſſa ,
ch’un Maeſtro Simone, non che altri G verge gnerebbe d'averla meſſa in dozzina
, maſſimamente ſules prima fronte d'un libro di tanta eſpettazione ; ella è
tales : le vacuazioni , che per vomito , o di ſotto ſpotaneamente avvengono ,
ſe fian tali, quali eſſer denno , giovano , e age volmente ſi collerano ; e ſe
ilvuotamento de’vaſi tal lia,qual çiler dee , giova , e ſi tollera .
Orlaſciando da parte ftare, che con chiarezza , e brevità maggiore potea cotal
diviſa mento ſpiegarſi, per avventura dicendo , cheſe l'arte , o la natura
vuoterà ciò che pecca nel corpo , fie di giovamento l'evacuazione: lo quì
chiederci, chemifoſſe moftro , ove ſia l'altiſſima ſapienza, ove il ſottile
intendimento del Prin cipe , e dell'inventore , come Galien lo dice , della
razio nal medicina Ippocrate ; adunque in faccenda di cotanta lieva haſſi a
giudicar degli eventi : A che dunque vagliol tanti ſiſtemi di razional medicina
, sì lungamente, eintan ti libri da lui regiſtrati? A che giova l'aver
eglicotanto ra gionato degli uinori, e dell'altre cagioni delle malattie , e
delle altre coſe confacenti alla medicina,ſe al miglior huo po non gli vagliono
un frullo ,egli abbiſogna , ch'a ſuomal grado ,alla fallace empirica abbia
ricorſo . Ma più oltre: onde fe meſtieri ad Ippocrate dirigiſtrar tale
avvertimento nel divin volume degli Aforiſmi, ſe non v'ha perſona così
ſcicmpiata tra'l vulgo , che molto bene non ſappia , che al lor , chenon reca
moleſtia allo infermo, e ch'egli ſe n’ap profitta , che tale qual eller
deeſiaſi la vacuatione; ma do vea certamente , &aurebbe fatto il meglio,avviſare
Ippo crate , che quantunque non ne tragga alcun diſagio l'infer mo , e che
imınantinente dopo la vacuazioncegli guariſca, avvenir può talora , che l'umor
vuotato non ſia tale , quale vacuar ſi dec ;imperciocchè ben potrebbe egli di
leggieri avvenire , che dopo la vacuazione di qualche materia , la quale niente
aveſſe che fare colmale , riſtoraſleli l'infermo Oo 2 per -- 292 Ragionamento
Quarto per qualche vacuazione inſenſibile di ciò , che cagiona il male,fattanel
medeſimo tempo. Nedee ciò recar maravi glia , ſe talora ne’più gravi , e
pericolofi malori , quanto più rigoglioſi,cotanto menome, e fottili ſono la
cagioni, che l'adoperano ; e ben ſovente avviene fenfibilc vacuazione per opera
di quelmovimento ,cheſi fa nel corpo nello ſcio glierli , e nell'ufcir fuora ,
e nel mutar faccia , fito, o movi mento que corpicciuoli , onde il mal ſi
cagiona : a pruova conoſcendoſi , che huom ſuda , vomita , e manda fuori per
altre parti quantità d'umori , e ſi ſgrava immantinente dal male ; che ſe non
uſciſſe allora o pietra , o altro , che'l ca gionaſſe , ogn’un di certo
giudicherebbe, che per la vacua zion di quelle materie foffe l'infermo
riſanato. In confer mazion di ciò che lo dico, in quci , che ſon morſi dalle vi
pere noi veggiamotutto di dopo preſi gli antidoti vacuarſi per vomito , e per
ſudore gran copia dimaterie nel tempo medeſiino , che guariſcono ; e pure
quelle non han coſa del mondo che fare col veleno della vipera , il quale in
altro non conſiſte , che in una piccioliſſima, e poco men ch'insé fibile
ſoſtanza , la quale rappigliandone il ſangue nelle ve ne toſto n’uccide . Ma
che non veggiamotutto di nelle poſteme; e nelle ferite , ed in altre ſorti di
malattie vuotar fi copia d'umori ad eſſe non pertinenti,c guarire , ma per al
tra cagione,gl'infermid e quinci poiinginn.icii medici con falaſli , e
purgagioni , ed Jorinojoſi , cimportuni rimedj i loro infermi crudelmente
ſogliono malmenare ; giudican do così imitar l'opere della natura ; e per aver
talvolta av viſto , che qualche febbre , o altro male ſi ſia diminuito dopo un
grand'uſcimento di ſangue : comandan poi , che nelle febbri ſi tragga langue.
Ne per altro parimente,nulla curando l'avviſo d'Ippocrate, e di Galieno,ſi
vagliono del le purgigioni nel principio , nell'accreſcimento ,e nel vigo re delle
malattic , ſe non ſe dall'aver eglino veduto , come chè radillime volte , che
dopo eſſerſi vacuata qualche ma teria in que’rempi lia migliorato , e riſanato
qualche infer mo ; e queſto è quello , s'io non vado errato , che dovca norar
Ippocrate negli aforiſmi. Ma ne meno ſempre che quel DelSig. Lionardo di Capoa
293 qnelle materie ſi vuotano , quali appunto da vuotar ſono, ciò vien
lievemente comportato dall'infermo ; concioffie coſachè molte volte elleno tra
per la loro mordacità, e per la delicatezza della parte , per la quale ſi
vuotano , e per altre cagioni ancora recar ſogliono noja grande agl'infer mi ;
come Ippocrate medeſimo ſe ſteſſo dimenticando al trove avviſa ; ma non ſenza
ragione Giuliano prover bia , e ripiglia Ippocrate dicendo , ch'egli
incominciando queſto aforiſmo afferma come vera una propoſizione non miga per
lui provata , ne dimoſtrata in prima, cioè , che naſcan le malattie dalla
foprabbondanza ſolamente , o dal cambiamento degli umori in altra qualità di
quella , che in prima aveano , la qualvien da'medici, corrottela , chiama ta ;
ch'egli però giudica ,che ove non ſi ſcorga legno di cor rottela d'umori,che la
ſoperchianza ſia de’inali cagione . Coſa , la quale foggiugne Giuliano , in
modo veruno in tender noir fi puote , ne è vera : imperocchè fe ciò foſſe ,
eglinon ha dubbio , che tutte in fermità agevolmente gua rir potrebbonſi : ne
fi vedrebbe giammai lunghezza di ina lattia : e una ſola la maniera di tutte
curarle certamente fac rebbe ; imperocchè ciaſcun potrebbe agevolmente qualo ra
a grado gli foſse , effendo ciò in ſua mano , comeilmal l'affale , così toſto
ripararvignon gli biſognando a ciò altro , falvo che fa ſola vacuazione , la
quale in qualunque tein po porre ſi può in opera col ſegnare , ſe'l male ſarà
cagio . nato dal ſangue , e fe dalla flemma , e dalla collera ,condar loro
acconce medicine. Riſponde Galieno all'argomento di Giuliano con dire , che
allora oltragli umori, abbia an cora nelle parti falde del corpo qualche vizio
; perchè va cuito l'umore dura ancora il male; ma ſe nel inale ,ficome
Ippocrate ſuppone, tengono gráī parte gli umori, dovrebbe almeno tanto quanto
fcemarlo il vuotamento di quelli ; il che certamente non avviene ; anzi Galieno
medeſimo ri portando in ciò molte fperienze , coſtantemeure altrove il niega .
Ma come allor, che fon crudele materienel princi pio de’mali ,quando le parti
ſalde non ſon potute ancora contaminar da eſſe , le vacuazioni riefcono
nocevoli , non che 1 294 Ragionamento Quarto che infruttuoſe : e allo incontro
poi, licomecon Ippocrao te afferma Galieno , elle giovano affai,e colgono via
il ma lenel loro ſcemo, quando non può eſſere , che non ſiano rimaſte offeſe
gravemente, e contaminate le partiſalde , le quali in tutto il tempo delmale in
varieguiſe moleſtate , e ſconce ne vennero ? adunque direbbe Giuliano, non
avran nulla che fare con quelle malattie le diſcorrenti ſoſtāze del corpo ; e
allor , che li veggono dopo la vacuazion di qual che umoré ceſſar le malattie,
ciò non avvien certamente per la vacuazione,comeIppocrate afferma. Ma par egli
certa mente , che Ippocratemedefimo non troppo fitidi in ciò della ſua dottrina
; imperocchè avviſa egli poi nell'ultima parte dell'aforiſmo, che convengafi
aver riguardo al paeſe, alla ſtagione , e alle mulattie, e all'età, ove da far
Giala va cuazione . Ma per tacer della ſtagione , dell'età , e del paeſe , onde
niuna certezza trar ſi puote , con qual argo mento in tata incertezza delle
coſe dell'arte potrà mai rin venire il inedico fe fia , e qualſia quella parte
diſcorrente , che cagioni l'infermità ? Credeſi la collera cagionar la ter zana
: la malinconia , la quartana : e pure queſte alla va cuazione , che penſan
fare i medici di tali umori , non ce dono :'maſivincono ſenza vacuazion’alcuna
colla ſcorza del Perù , e con altre molte sì fatte medicine. Il terzo Aforiſmo
per mio avviſo parve al Paracelſo co tener dottrina di sì poca conſiderazione ,
che egli lo tra sformò sì , che in tutto è diverſo da quello d'Ippocrate;ma ſe
cosi debbonſi chiofare, e interpetrare i detti degli auto ri , egli ſe'l veda ·
Dice Ippocrate, lo ſtato degli Atleti, i quali ſian pervenuti al ſommo della
bontà eſſer pericoloſo; imperocchè non potendo poſare,ne vantaggiarli in
meglio, convien , che vada al peggio; e che però dipreſente huopo faccia
vuotargli . Primicramente la ragion d'Ippocrate, la quale ha dato cagione di
quiſtionar canto , e d'aggirarſi fra vani argomenti al Forli alSermoneta , e ad
altri ozioſi cervelli, è troppo rozza nel vero ., e materiale , e più li ſten
de aſſai di ciò , che Ippocrate s'avviſa ; imperocchè perpe tuamente ſe la
detta ragione aveſſe luogo , sìfatte perſone dovreb Del Sig.LionardodiCapoa.
295 dovrebbono andaralpeggio ; il che falſo ſi ſperimenta ; e ben ſi
conoſcerebbe apertamétc per ciaſcuno la falſità del la menzionataragione
d'Ippocrate , s'egli come far dovea, l'aveſſe con più parole ſpiegata ,
comepofcia fecero i ſuoi chioſatori , dicendo , che non poffan mantenerſi nello
ſta-, to preſente , nepofare : perchè continuamente cibandoſi sì fatti huomini,
e ingenerandoſi in loro il chilo , e'l fangue , c queſto ad ogni ora
diſtribuendoli per le parci del corpo , ne potendoſi a quello unire per non
eſſervi luogose peròſo verchiandos debba di neceſſità cambiar in peſſimo il
lorot timo ſtato . Ma non poſer mente coſtoro alla copia grande. del ſangue, e
delPaltre tuţte diſcorrenti parti , e ſalde del. le loro foſtanze ,
checontinuamente G dileguano, e per sé.. fibili,e p cieche ſtrade efco fuora
da'corpi degli huomini p . la continua formentazione di quello , che in aliti
lotciliſi- . mi mai ſempre gli va ſciogliendo ; e quanto più abbonde vole , e
di buona condizione è il ſangue, tanto più egli è vigoroſo , e valevole
ne'ſuoimovimenti, e nell'altre ſue operazioni ; e quindi ſcorgonſimolcijemolti
dicotali huo mini ftar bene lungo tempo : e comechènondimeno qual-, che volta
coſtoro pur ne pericolino, ciò non èmiga già per la ragione per Ippocrate
apportata; maperchè venendo ta lora oltre al dovere per qualche cagione di
fuora a muo- , verfi , e a rarificarſi ſoverchiamente il ſangue, ſi rompono
ivaſi, che'l contengono : 0 pure quello diſcorrendo in co pia grande nelle
parti falde delcorpo , cdivi fermatofi, or una , or un'altra ſorte di mali , e
talvolta con impedir affar to la circolazione del ſangue repétina morte alcresì
cagio na ; e ciò è quanto dovea il noſtro buon Ippocrate avvi fare . Appreffo
fålla egli gravemente , ſenza dubbio , in tacendo come, e in qual maniera
s'abbia negli Atleti a tor. via la pienezza; ſe colle vacuazioni , o pur colla
dicta ; s'egli quì intende di quella vacuazione, che ſi fa colla die. ta ,
comedicono i chioſatori di queſto aforiſmo,dovea pur certamente egli avviſare
quando ciò far convenga colla ſc. la dieta , e quando altrimenti e in sì fatta
maniera non in fruttuoſi affacco ,e vani farebbono ſta i per avventura i ſu : i
avvertimenti . Im 296 Ragionamento Quarto Imprende poi ne ſeguenti
aforiſmiinfino al venteſimo a far paroleIppocrate dietro al cibar degl'infermi
; e come chè in lor ſi contenga qualche utile avvertimento, pur col Puſato ſuo
modo intrigato del favellare , confonde quelle materie , che meſtier fenza
fallo gli facea illuſtrare ; eſſen do nel vero la maniera del cibar gl'infermi
una delle coſe più neceſſarie a ſapere in medicina ; eavendo in quegli aforiſmi
alcune regole , alle quali fa meſtieri d ' eccezione , le dovea egli almeno
accennare ; ed era aſſai più neceſſario l'inſegnar ciò , che le tant' altre
bazzicatu re , in cui inutilmente di certo ſpende egli tante parole das vegghia
, come quello, che agevolmente lapute ſono,e co noſciute per ogn’uno. E in
verità, chi è , che non ſappia eziandio fra quelli, che non mai ſtudiarono in
medicina , che ne'mali lunghi s'abbian’a mantener le forze dello in fermo, e
conſeguentemente, che dar non gli ſi debba a ſpi luzzico il cibo , ma un poco
più largamente x Chiè , che non conoſca , che nell'acceſſioni della febbre ,
non ſi debba a niun modo cibare il malato ? ma sì general legge dover cgli
riſtrigaendo avviſar , ch'alcuna fata anche ciò far colz venga . Nel duodecimo
aforiſmo fi da briga , e ragionevolme te nel vero Ippocrate, di narrac i
ſegnali delle durate delle malattie ; ma in materia di sì gran lieva, e onde ,
com'e gli medeſimo avviſa, depende il diritto regolaméto del nu tricar
gl'infermi,ſecondo il ſuo coſtume, ofcuro , e intral Lito favella , e con poche
parole ſi toglie dal doffo ogni ſeccaggine ; tralaſciando non per ſuo mal
talento , ma per ſuo poco ſapere di far motto de'polſi. E quanto al fat to
deglieſempli , egli è molto ſcarſo : recandone un ſolo della pleureſi, e nemeno
in quella fi trova ſempre eſſer ve che apparendo nel cominciamento di quella lo
ſputo , il male abbia poco a durare . Va errato parimente Ippo crate in dar
intera credenza a ſudori , alle fecce , e ſpezial mente all'orina ; la quale
per tralaſciar altre ragioninon tutta li ſepara dal ſangue ;maparte di eſſa
trapelando dal ſacco latteo per una breviſſima ſtrada tragittaſi alle reni ; e
ro , come Del Sig. Lionardo di Capoa. 297 comechè una sì fatta ſtrada ignoraffe
Ippocrate, dovca pur cgli por mente ad alcuni beveraggi , che appena tranghiot
titi , di preſente ſi orinano : e agli ſparagi , al Terebinto, e ad altre coſe
, che ſenza toccar punto il ſangue alterano sé, fibilmente l'orina . Nel
tredecimo aforiſmo dice Ippocrate , cheivecchi portano agevolmenteil digiuno ;
e quindi paſſa a far paro le dell'altre età . Ma queſto è un'errormaſchio ;
imperoc chè dal continuo ſperimento ne fi fa chiaro , ch'a’vecchi tra per la
lor debolczza ,e perchè poco nutrimento traggo no da'cibi, aſſai ſpeſſo faccia
meſtier riſtorarſi . E verilimo troviain noi l'avviſo di Celſo : inediam
facillimè fuftinet media etates , minus juvenes , minimè pueri, &
fenectutes confećti. Vien poil'Aforiſmodecimoquarto, il qual tanto ammi rar ſi
ſuoledaʼnoſtri medici , cioè , che coloro , i quali cre ſcono , abbiano in
copia grandeil caldo innato, e che per ciò faccia lor meſtiere abbondevol cibo
, alorimenti il cor po ſi conſumi . Ma non avviſano coſtoro , che alcuni peſci
creſcono oltremodo , e non che eglino caldi fieno , anzi só freddi si
fattamente , che lc loro interiora agghiacciate,no altrimenti che neve li
ſentono : come avviſa de’luccj del la nuova Francia il Padre Giuſeppe Breſſani
: ho aperto (dic' egli) il luccio ancor vivo , e trovato il freddo del ſuo
ſtomaco, quafi inſopportabile alla mia maro. Altra coſa adunque co vien
certamente dire, che ſia quella , per la cui opera ben ,' digeſtendoſiicibi , e
altra cagion concorrendovi creſcano glianimali; e a quella in prima dovea por
mente Ippocra te , e poi diterminare ; ma eglia ciò non badando , indias poco
ſiegue a dire nell'altro aforiſino , che di verno , o di primavera fiano le
viſcere per natura caldiſſime , ei louni lunghiſſini ; e perciò in quelle
ſtagioni più largo cibo dar ſi debba ;concioliecofachè l'innato calore allor
creſca , cui maggior cibo certamente abbiſogna , e che di tal coſa nes fan
pruova l'età , egli Atleti. Ma che fan qui tantc parole a ſpiegar una sì breve
ſen tenza : ecco l'uſata felicità del ſuo breviffimo ſtile ; ma ab biz Рp 298
Ragionamento Quarto I biaſi pur ciò per niente , egli non è tuttoda trafandar
fotro ſilenzio , che quantunquevero in tutti huomini , per tacer d'altri
animali, ciò che diceIppocrate ſi ſperimentaſſe, che diverno , e di primavera
affai meglio fmaltiſcanſi i cibi : la ragione nondimeno , che di ciò e' ne reca
è falſa ; concior fiecofachè falfo apertamente ſia , che nelle menzionatcſta
gioni caldiſſime fiano leviſcere degli animali; e perchè ciò vero fofle , nemen
nulla montcrebbe : non facendoſi altri méte dal calore la digeſtione de'cibi:
ficome ne ſiamo omai tanto accertati , chenon fa luogo, che lo vi ſpenda
parola. Perchè in van brigafi Galieno di recare in concio d'Ippo crate le
ragioni fanciulleſched'Ariſtotele , che le viſcere di verno caldiffime fiano,
perchè il caldo, come ſenſo egliavel fe , e del circoſtante freddo ſentiſſe
l'offeſe , alle più naſco fe interiora ſi rifugga ; e certamentecotal ſciocca
filoſofia , che i luoghi ſotterra caldi ſiano di verno , e freddi di ſtate ,
per lo Termofcopio falſa apertamente ravvifaſi , comeché tali pajano a noi ,
che di ſtate caldi, e di verno freddi v’en triamo dentro . Ma avvegnachè a pro
d'Ippocrate dir potrebbeſi , che di verno per eſſer chiuli i poridegli animali
ſi venga aritener quella ſoſtanza , che di ſtate eſce fuori , la quale da al
ſan gue col movimento il calore : non però di meno , come fiè accennato ,
manifcſtamente in noi ſtesſi ravviliamo le parti dentro del noſtro corpo tutte
, non altrimenti, che quelle di fuora , effer più affai calde di ſtato , che
diverno; ne per altro nella detta ſtagione così volentieri acque freſche, e
altri raffreddari liquori beviamo ; ne Ippocrate medefimo oferebbe ciò negare ;
il quale dice altrove , che di verno s' ingenera la flemma, ſecondo
luifreddiflimo umore , eche avvengano lunghe , e cagionate da tardi , lenti , e
freddi umori le malattie . Ma Galieno volendo le parti del ſuo maeſtro
difendere , immagina sì fatta malagevolezzaceſare, con dire , che di ftate ſian
calde , maggiormentc che diverno le viſcere , di quel caldo , ch'egli
avveniticcio , e foreſtiere chiama ,ma non già miga deicaldo innato . Chiama
egli caldo innato una i 1 1 DelSig.Lionardo di Capoa . 299 remo . una aerea
acquoſa ſoſtanza d'un calor mite, e ſoave inſieme con gli animali nata , e
avveniticcio allo incontro poi chia ma un caldo terreo mordace affocato ; e di
queſto egli di ce nell'infelice difeſa del precedente aforiſmo d'Ippocrate
contra Lico, che abbondevoli fiano maggiormente i giova ni , e di quello i
fanciulli. Ma quanto ciò poco , anzi nulla approdi a difefa d'Ippocrate, noi or
brievemenre dimoſtre Primieramente convien ſapere, che'l calore negli anima li
naſce tutto dal ſangue ; perclié folea dire l'Arveo , altro non eſſere il caldo
innato , che'l ſanguemedeſimo: folusnē pefanguis eft calidum innatum , ſeu
primo natus calor ani. malis, uti ex obſervationibus noſtris circa generationem
ani. malium , præfertim pulli in ovo luculenter conftat : utentia ,
multiplicare fit fupervacuum . Argomento manifeſtiſimo è di ciò , ch'io dico lo
ſcorgere , ch'abbandonata dal ſangue qualunque parte dell'animale ,
immantenente ogni calor viene ella a perdere : e ſe mai eſce dall'animale tutto
fuori il ſangue , ben toſto dal cuore , dalle vene , dall'arterie , da altre
parti falde tutto il calor fi diparte. Vano , e falſo adunque è ciò, che con
Ariſtotelecomunemente dir ſi ſuo le , il cuore effer fonte del calore : ne ſo
lo vedere , come in sì fatta opinione compiaceſſeſi quel grandiſſimo filoſo
fante Renato delle Carte ; imperocchè agevolmente egli avviſar potea il cuore
noneſſer più caldo , che l'altre vilce re deglianimali. Ma fe'l ſangue ( e ciò
avviſa infra gli al tri il noſtro Ippocrate ) per ſe ſteſſo non è caldo ,
convien! inveſtigare , onde il calore in prima gli avvenga,e la cagio ne per la
quale caldo mai ſempre nell'arterie , e nelle vene quello mantieneſi .
Credettero alcuni degli antichi, che'l fangue ſi riſcaldi , e caldo
continuamente ſi mantenga , perlo movimento , che dal cuore , o dall'arterie
egli conti nuo riceve ; ma non baſta certamente un si debile movie, mento a
ingenerar nel ſangue sì gran calore ; anzi prima che'l cuore , e che l'arterie
ſi faccian vedere nell'huomo , caldo vi ſi ſperimenta il ſangue ; ne meno a ciò
baſtevole è certamente il ſuo perpetuo muoverſiin giro ; ma chiunque P p 2 pon
300 Ragionamento Quarto pon mente alla materia , onde ingeneraſi il ſangue, più
age? volmente peravventura inveſtigar ne potrà la cagione. E gli faſſi séza
dubbio il sāgue del Chilo, e'l Chilo s'inge nera d'erbe , e di frutta , e di
carni, che altresì dell'erbe, e del le frutta vennero fatte , e ingenerate ; or
sì fatte vegetabili ſostanze, come ancora le minerali,per la formentazione ſo
la divengon calde sì factamente , che ſenza aver d'altro bi ſogno., mentre dura
la forinentazione, dura parimente in loro più , o meno il calore ; cofa,la quale
nel mofto, c in al tri ſomiglianti fughi da chiunque mente vi pone ad ogni ora
ravviſar eglifi puote ; ma d'altra affai più nobile , e più maraviglioſa
maniera certamente e' ſi pare quella formen tazione,che faffi nel fangue , la
quale in parte è ſomiglian te a quella , che avvenir ſcorgeſi alle diſcorrenti
ſoſtanze minerali ; onde avviene che lo ſpirito ,che per chimica ma no dal
ſangue li trae, ſia gran fatto diffimile da quello che ſi tragge dal vino e da
altri ſughi formientati vegetabili trar fi ſuole . Ma come veramente una tanta
opera nel ſangue fi faccia , e qual ne ſia la cagione, non mi par tempo oppor
tuno a conghietturare ; e baſti per ora ſolamente ſapere, la formentazioneeſſer
quella , la quale diliberando nel fan , gue i ſemi del fuoco da que'ritegni ,
per li quali non pote vano eglino muoverſi di quel moto mai ſempre dilatante
propio delfuoco , v'ingenera, e vi mantiene continuo il ca lore;ma nel ſangue
poi(o in altro ſugo al fangue equivale te )de’peſci, o d'altri ſomigliáti
animali, no mai calor fi rav vila; cõcioffiecofachè i femi del fuoco in lor
fieno , o molto pochi, o in sì fatta guiſa con altri, & altri ſemi di varie
altre coſe avviluppati,che mal ſi poſſono eglino per lo movime to della
formétazione,conechè grāde e’lia agevolınéte ſvi luppare . Ma che che fja di
ciò, uno ſolo è certamente per manevole negli animali il calore , il quale , or
naturale , or non naturale porrà dirſi, fecondochè convenevole , o non
convencvole e farà alla natura di quelli . Ma fe'l ſangue concinuo va cõſumandoſi
cô ingenerarſene ſempre mainuo vo, intanto ,che dopo qualche giorno non ne
riman più goc cia alcuna del vecchio, certamente convien dire ch'appena ne'fan
DelSig.Lionardo di Capoa. 301 ne fanciullinon inolto guari dopo i loro
naſciinenti il caldo innato ritrovar puoſſi; ed ecco, s'io pur non m'inganno,
ca duti, e ſparti a terra fin dalle fondamenta i maggiori argo menti in difeſa
della doctrina d'Ippocrate , portati per Ga licno . Ma per ritornare al noſtro
propoſito : di ſtate pllo calore dell'aria circonſtante , la qual continuamente
dagli huomi niper la reſpirazione li bee , e per le ſoſtanze del volante . ſalc
, che'n quella , più , che in altra ſtagione nell'aria ſi ri trovano ,
sformatamente la formentazione del ſangue , e in eſſo in prima , e poi nelle
viſcere divien più grande,e pa riinente ilcalore ; allo incontro poi il verno,
mancando all' aria que'ſali, e tra per queſto , e per la ſua freddezza ſi di
minuiſce colla formentazione, così nel ſangue,come nelle viſcere
neceſſariamente il calore ; ne per altra cagione nel le parti di Settentrione
il ſangue , e le viſcere , maſſimame te di verno non molto calde ſcorgonſi
ncgli animali, e in alcuni di eſli mancar affatto ſi ravviſa ogni fcintilluzza
di calore,sì fattamente , che per ogn’uno trapaſſati ſi ſtimereb bono ; ne pare
dalla verità lontano ciò che de' Lucumori narra Sigiſmondo Libero : Dicono che
agli kuominidi Lucu morie : coſa mirabile , e incredibile , e che ha più della
favo la , che del verifimile : fuole intervenire , chequelli per ciaſ cun'anno
, cioè a' ventiſette del meſedi Novembre , nel qual giorno appreffo de', Ruteni
è la feſta di S. Giorgio , muojano,6 chepoi nella ſeguenteprimavera
a'ventiquattro d'Aprile al la fimilitudine delle ranocchie di nuovo riſuſcitino
. Ma che che faſi di quelli : lo dico , che ſe Ippocrate , e Galieno aveſſer
voluto veramente filoſofare , avrebber per avven tura ritrovato la vera ragione
, per la quale di verno , e di primavera i cibi meglio aſſai fi digeſtiſcano,
eſſere ſolo per chè a que’tempi quella nobiliſima ſoſtanza, la quale fico
municâ dal ſangue allo ſtomaco , e fa la digeſtione,affai più vigoroſa, e forte
fia, che di ſtate non è, in cui per lo calore oltremodo in quello accreſciuto
ſi diſlipa , e fi dilegua ; cf fendo ella , comechè accender non fi poffa , vie
più dello {pirito delvino volante , e ſottile ; e per mancamento d'u pa co 302
Ragionamento Quarto na cotal ſoſtanza ſenza fallo avviene , che gli huomini, co
mechèpiù caldi , men gagliardi ſi ſentano , e atanti della perſona . Ma nc .men
ſe ſi concedeſſe a Galieno , che v'abbian ve ramente due ſorti di caldo negli
animali , ſarebbe ciò pun-, to per giovare ad Ippocrate ; concioſliecoſachè , o
innato , o avveniticcio che'l caldo fi concepiſca, purchè e' s'avanzi
.nell'animale , conſumerà ſenza fallo il corpo diquello ; la onde ſe fi ammette
la ragion da Ippocrate nel precedente aforiſmo recata , converrà certamente
dire , ch'a' giovani più ch'a' fanciulli , e che di ſtate più che di verno
abbon devol cibo faccia meſtiere ; ma ciò Ippocrate , e Galieno fe'l vedano ,
che per altro poiifanciulli più largamente eſ ſer denno cibati ; sì perchè
abbiſogna lor copia di materia per creſcere , sì perchè la lor ſoſtanza più
agevolmente fi dillipa; e quantunque di ſtate abbian più biſogno di riſtoro , e
dicibo gli animali , nondimeno non molto bene, e per fettamente in quel tempo
facendofi la digeſtione , convien che parchi ſiano alquanto eglino nel cibarſi.
Ma lo laſcia to aveva di rammentarvi , che Ippocrate medeſimo rifiuta
incautamente ciò, che Galien delle due ſorti di caldo, a pro di lui dice;
imperocchè Ippocrate reca l'eſemplo degli atle ti, in cui certamente il caldo
avveniticcio , è quel che ſovrabbonda ; tralaſcio ciò che dice parimente
Ippocrates, cheivecchj per avere ſcarſità di calore , non ainmalino co sì ,
come i giovani difebbri acute; co che pare, che ne me no il calor de'febbricoſi
, ſecondo Ippocrate, differiſca dal l'innato , ſalvo che per gradi . Maper mio
avviſo la colpa tutta non è miga già diGalieno, ma d'Ippocratc ; imperoc chè
egli,comechè no'l dica apertamente , ſuppone le due ſorti di caldo ; perchè nel
medegmo aforiſmo a ſe medeli mo e'viene a contraddire . Nell'aforiſmo ſedecimo
fi dice, chci cibi umidiconven gono a 'febbricitanti tutti. Ma a color , che
patiſcon coti diane febbri, o terzane, diquelle chechiamāli( purie , i qua per
tutto il corſo del male tengono lo ſtomaco , e l'altres viſcere
ripiened'acquoſe , ed unnidiſſime ſoſtanze , lo per me li Del Sig. Lionardodi
Capoa 303 me non sò , comegli umidi cibi poſſan unqueinai approda re. Lafciando
egli poi di favellar più de'cibi , fa ſtrano pal faggio Ippocrate alle medicine
purgative ; foggiugnendo nell'aforiſmo venteſimo, che quelle coſe , le quali o
figiu dicano , o giudicate interamente già ſono , non ſi debbano muovere, e ne
con medicine , ne con altro irritare , ma lila fcin così ſtare ; ſentenza, la
quale con altre de' libri degli aforiſmi volle Ippocrate , che ſi leggeſſe nel
libro degli umori , ed in altre ſue opere , e contiene ſenza fallo uil,
atiliffimo avvertimento ;mapotea certamente Ippocrate far di meno ditorſi una
sì tatta briga , cotanto ella è chia ra, e manifeſta coſa ; e nel vero chi
ignorar mai potrebbe , avvegnachè non inai ſtudiato abbia in medicina , che ad
huom perfettamente guarito della malattia , non che lava cuazione, che potrebbe
di nuovo ſcopigliare il ſano ordi namento del corpo , ma niuna altra forte di
rimedio non faccia meſtiere ? Ma forſe ſcorger dovette Ippocrate, che i medici
de'ſuoi tempi, non altrimenti che li facciano og. gidì que' de’noftri , o poco
, o nalla vi badavano ; e ciò per mioavviſo avviene , perchè di lor natura i
medici avidi ſon mai ſempre di far coli, chepaja al vulgo grande ; come è il
vuotar con ſalafli , e con purgative medicine ; e van cer cando ogniora qualche
apparente cagione di poter ciò egli no fare ;eforſe che'l medeſimo Ippocrate
non gliele porge allor ch'e ' dice in un'altro aforiſmo, che ciò che rimane
dopole malattie foglia dinuovo ingenerarle ? ma chi ben riguarda la coſa ,
apertainente ſcorge, che non ſolamente in ciò ,che accénato abbiamo,maquaſi in
tutte altre materie ritrovano i medici ciò, che lor fa inefticre, nell'opere
d'Ip pocrate ; e queſta certamente è la cagione , per cuida'no Atri
Setteggianti ſia Ippocrate in qualche pregio tenuto. Ma che che lia di ciò ,
dovea annoverar Ippocrate minutamen te i ſegni , per li quali ravviſar poſſa il
medico , che'l male interamente lia andato via ; c que'ch'egli altrove , e
Galić nelle chioſe brievemére produce in mezzo ,quáto ſianofal laci ognun per
ſe ſteſſo conoſcer puote . Doveva pariméte Ippocrate ſpiegar diligenteméte,che
ſia ciò che rimane do po le A 304 Ragionamento Quarto po lemalattic ; es aitro
e' non dice, niente certamenteegli inſegna , chenon ſia a tutti ben noto . Dice
indi nell'aforiſmo venteſimo primo Ippocrate, che ciò che vuotar fi dee ,per le
ſtrade, onde ha egli cominciato ad uſcir fuori, e per li convenevoli luoghi
convenga vuo tarlo . Qui il gran macſtro delle più aſcoſe materie dell'ar te ,
non fi dipartendo dall'uſato ſuo coſtume , imprende ad inſegnare faccenda,
eziádio alle madrine manifefta; e non fa menzione di niuno di quegli
avvertimenti, i quali dovca egli negli aforiſmicertamente regiſtrare ; cioè
quali vera mente li licno que'luoghi, ch'egliappella convenevoli, come talora
tra per la delicatezza d'alcune parti , e per le mordacità de’lughi , o per
altra cagione convenga al me dico altrimenti operare di quel ,che li faccia la
natura. Vien poſcia quell’Aforiſmo altrove da noi recaro , che contiene nel
vero un'ammaeſtramento molto , e molto ne ceffario a ſaperſi dal medico intorno
al tempo delle purgam gioni nelle malattie ; ma da’ſeguaci d'Ippocrate , e diGa
licno , come abbiam dimoſtrato,in niunconto tenuto . Mów la colpa , s'Io pur
non vado errato , in gran parte ſi dec ad Ippocrate attribuire, ilquale dovea
certamente ſcriver co ſa di sì gran momento d'altra miglior forma,e produrre in
mezzo le ragioni, e le ſperienze, che fanno al propoſito , e poſſono la verità
dalui inſegnata appieno aʼmedici perſua dere. Ma il buono Ippocrate ciò
traſandando logora il té po in narrar altre inutili novelluzze ; anzi con recar
egli quell'altro Aforiſmo :nel cominciamento de’mali , ſe pu re ti pare, che
s'abbia a muovere, tu muoverai: séza giugner altro, comecertamente dovea
eglifare,da cagione di por re in dubbietà ciò che prima avea egli inſegnato .
Nell’Aforiſmo ventitreeſimo ripete Ippocrate vanamé te ciò ch'egli altre fiate
avea detto;ma ciò ch'e'poſcia v'ag giugne , egli è certamente un'avviſo così
fuor di ragione , che giuſtamente da più avveduri medicanti , comechè per altro
ſuoi parziali,vien traſandato ; cioè che vuotar fi deb ba fin’allo sfinimento ,
ſe mai ne ficcia inelticri, purchè pof ſa comportarlo l'infermo. Maquinon ha
dubbio nuno , che Del Sig.Lionardodi Capoa. 305 che Ippocrate dato c'non abbia
il cervello a rimpedulare; imperciocchè non ſi rammenta , che poco addietro
corali vuotamenti avea egli oltremodo biafiinati, ſaggiamente ſti mádogli di
grādilimo riſchio; quantunque egli in ſe ritor nato altrove poidi nuovo gli
rifiuti.Ma più v'è di male , che Ippocrate no fa parola niuna diqual vuotaméto
intēder vo glia ; ſe di quel , che per li ſalaſli , come ſpiega Filoteo , o
pure diquel, che per le purgagioni s'adopera; come rac coglier fi può da ciò ,
che in prima egli ha detto ; o diquel che fafli , e per gli uni , e per l'altre
,comevuol Galieno , il quale ſcioccamente approva nelle chioſe la menzionata ,
dottrina dell'Aforiſmo, Ma ſe mai d'un sì grave fallo ſcu ſazion ritrovar
poteſſe Ippocrate , e vero foſſe ancora in qualche malattia haver luogo sì
fatte eſtreme,e mortali va cuazioni, Io ſaper vorrei da lui,comemai cotali
purgagioni s'abbiano a porre in opera sì , che o giúgano appunto allo
sfinimento,o no’ltrapaffino anche di molto; perciocchè con graviſſimo riſchio
del povero infermo sì fattamente ancora operar potrebbono, che colle liquide
ſoſtanze curte ſi vuo caſſero päriméte le falde,anzil'anima ácora, e 12 vita
;séza chè p cercana (periéza abbiamo, che debile, e ſpoſfata puc gativa
medicina ralormolto vuoti , e groſſo calice d'ama riſſimo , e violentiſſimo
beveraggio nulla non operi, ſecon dochè 'l corpo, più, o menvi & ritrova
adatto ;perchè trop po pericoloſo nel vero riuſcirebbe a porre in opera
l'avviſo d'Ippocrate , ponendoci a troppo ſtretto riſchio d'ammaz zar l'infermo,
o di nulla giovarlo . Ma poſto , che ciò che inſegna Ippocrate ſi poreifc dal
medico ſicuramente legui re, qual pro per Dio a’milerellilanguéti mai ne
avverrebbe, ſe di neceſſità le più nobili, e utili foſtāze del corpo s'avreb
bono ad un'ora a vuotare? e quì ci accade d'avviſar la ſcioc ca pecoraggine
d'alcuni medicāti de'noſtri tempi, i quali no avendo ardimento d'imnitar
Ippocrate , e Galieno nel ſe gnare fino allo sfinimento , l'imitano poi
nell'uſare violen tillime, e nocevoliſſimepurgagioni: follemente immagi nando
,nel far grandemente vuotare , tutto il ſapere, e'l va lore del medico , e
l'eccellenza dellamedicina confiftere ; e RI pure 306 Ragionamento Quarto -
pure il medeſimo lormaeſtro Ippocrate apertamente avvi ſa,che non miga per la
quantità s'abbiano a ſtimare le pur gagioni , ma per la qualità degli umori,che
ſi vuotano.Ma trapaſſando al ſeguente Aforiſmo:ciò che ſi dice in quello ,
giàvenne detto in prima nell'Aforiſmo ventidueſimo; per chè chiaramente ſi vede
, che Ippocrate follemente riſpar miando le parole nel biſogno maggiore , le
conſuma poi , ove non fa meſtieri ; ma non una , o due fiate egli in ciò ſi
vede fallare ; e ſimigliantemente ciò , che ſi dice nell'ulti mo aforiſmo, fù
detto già nel ſecondo ;perchè egli vien giu dicato ragionevolmente vano , e
ſoverchio da Galieno ,che che fi dicano in contrario gli altri chioſacori :onde
non è da farne più motto . Egli era sì agevole impreſa ad Ippocrate il dettar
aforif mi , che lo immagino , che egli dormendo ancora ne com poneſle; imperocchè
non ſolamente in queſta , ma in cuce ' altre ſue opere gliva egli ſeminando; e
quelche più dej recar maraviglia ſiè , che ne reca alcuniegli ſovente , che
colla materia , la qual ſi tratta non han punto che fare; ma quando di ciò lo
vado ricercando la cagione, ritrovo da al tro una sì fatta agevolezza non
procedere, ſe non fe dal ſuo poco intendimento , e dal non diſaminar lui bene
le coſe ; perchè fi verifica in Ippocrate quel faggio avviſo d'Ariſto tele ,
che coloro, che a poche coſe riguardano agevolmea te diterminano ; e quindi
avviene , ch'egli tratto tratto diſguiſato , econfuſo non ſerba ordine, o
maniera alcuna , a guiſa de’noſtri Romanzatori , i quali di palo in fraſca ſem
pre faltando, quando men s'aſpetra, rompendo il fil del ra gionamento ci laſciano
, e d'alcro imprendono a ragionare. Malafciam Bradamante , e non v'increfca V
dir , che così reſti in quell'incanto, Che quandoſarà il tempo , ch'ella n'eſca
La farò ufcire, c Ruggier' altrettanto, Come raccende il guſto il mutare efca ,
Così mipar , che la mia iſtoria quanto Or quà ; or là più variata ſia , Mero a
chi l'udirà nojoſafia. Così Del Sig.Lionardo di Capoa 307 2 L Così il noſtro
Ippocrate ora laſciando di favellar delle purgagioni,nelſecodo libro a far
parole del ſonno trapaſſa, dieědo : il ſonno ove in alcuna malattia fia
tormentoſo ne addita quella eſſer mortifera ; ma ſe ſarà egli giovevole,ne fa
avviſati non eſſer mortale . Egli l'ha indovinato certamente alla prima ; e non
veg giam noi tutto di trap.affar molti, emolti, che tempo del male piacevol
ſonno agiatamente ſopiva : e allo incontro rimaner in vita altri , che nelle
loro malattie da funcſtif limiſogni,o da altro aſpramente fur dormendo
travagliatis Or non avvien quaſi ſempre nell'avanzamento dell’avute malattie ,
che gli infermi più moleſtia in ſonno , ch'in veg . ghiando patiſcono ? e
purnondimeno eſli per la più parte riſanano ; oltr’a ciò le terzane , e
tutt'altre febbri intermit centi fogliono il più delle volte con faſtidioſi
ſonni gli am , malati sformatamente annojare : e pur le sì fatte,ſecondol'
avviſo del medeſimo Ippocrate,non fon di riſchio veruno; e quantunque ,per
parere diGalieno, Ippocrate non intenda , di favellar de fonnida tali febbri
avvegnenti, pur nondi meno era il diritto ch'egli l'aveffe apertamente ſpiegato,
ne miga alla diſcrezion de'chioſatori , o de' lettori laſciato. Nel ſecondo
Aforiſmo afferma Ippocrate , che ſe'l ſon no la farnetichezza raccheta , vada
ben la biſogna . Ma che è ciò per Dio , ch'egli dice ; Io vo conceder , che
talor vaglia , ne vi ha chi il nieghi , ch'un placido, e ſoave ſonno valevole
ſia una ſinaniante farnetichezza ad attutare : eche aver fano l'intelletto ſia
coſa non che buona, maottima ; ma ſe un sì fatto giovamento s'aveſſe altronde,
che dal sô no , domine ſe ſarebbe male ? e ſe ſarebbe ancor bene,ab biſognava
certamente Ippocrate dir nell' Aforiſmo : buona coſa è , che i farnetici dal
lor farneticare riſanino ; e five drebbe ſenza fallo regiſtrata una dottrina
nel divino volu medegli Aforiſmi da fare ſcorno alla concluſione di quel
ſovrano collegio de’medicanti, la ove tutti conchiuſcro, che Mecenase non aveva
ſonno , E queſt'era cagion,che non dormiva ”. Ma quanto meglio avrebbe fatto
Ippocrate , e quanto Q92 con 308 Ragionamento Quarto 2 $ con avanzaméto della
medicina ſpeto avrebbe egli il tem po, ſe in vece delle sì fatte novelluzze
aveſſe impreſo a rac corre , e a dimoſtrarne di quanto riſtoramento ne fia il
ſon none come allettar fi poffa a recarne quelle tante utilità ,on de
ragionevolmente ilParacelſo ebbe a gridare : fomnus Jant um arcanum eft in
medicina ut libenter ab aliquo fcire velim , abfit difto error , an , & qua
medicina fit, quæ in omnibus morbis, tampræfens, & repentinumfit auxilium ,
adeoque corpori , acfanitati condueat æquè ac fomnus. Co sì col grave fafcio di
penſieri ſogliono i malati laſciar an che i più oſtinati dolori della perſona,
allorche luſingando loro le pupille il ſonno dolcemente gli abbandona in fule
piume; laonde non ſenza qualche ragione l'autore dell'in no ad Orfeo
attribuito,chiama il ſonno Re degli huomini, c degli dei Somnequies rerum
,placidifſime fomne Deorum , Paxanimi , quem cura fugit,tu pectora duris, Feſa
minifteriis mulces , reparaſque labori . Canta Ovidio ; e Seneca Tuque à
domitor Somne malorum , requiesanimi, Pars humanamelior vitae E'I Caſa O ſonno,
o dela queta umida ombrofa Noite placido figlio , o de’mortali Egri conforto,
oblio dolce de'mali Si gravi , ond'è la vita aſpra , e nojosa E'lTallo Padre
Orche m'arde l'a febbre gorche'l vigore Vital m'invola il duolo acerbo , e rio
, Col ramo: molle dell'onde d'obblio Torrai laluce agli occhi, ame l'ardore ;
ne altro rimedio ritrovò Erminia ( appo il maggiore deno Itri Poeti ) .a? ſuoi
dolori,che'l ſonno Cibo non prendegià , che de'ſuoi mali Solo fi paſce, e för
di pianto ha fete ; Ma'l funno, che de'miſeri mortali E' coiſko dolce obblio
poſa, e quiet thing Son . DelSig. Lionardodi Capoa 309 Sopš coʻfenfi i
ſuoidolori , e l'ali Diffefe fuura lerplacide , e chete . Ma comechè ciò fia
vero , pocomontava a noi certame te il faperlo , fe non fappiamo inſieme chenti
, e quali ſiano irimedj daciò operare;perchèdovea certamente Ippocra te
diviſare inſieme degli argomenti , onde a’malati ſi può chiamare il ſonno ; e
comechèoſtinato ingannarlo : e non folamente dire cheil ſonno approdi a corali
infermi. Ma forſe lo vado errato ; perciocchè non fo com'egli il pur rivelò af
fuo Signor de la Sciambre , e fe , che colui n'in fegnaffe i ſentimenti di lui,
o per fua dappocaggine, o per la ſua natural mutolezza in prima naſcoſi :
conciofoffe co fa , che chioſandocolui queſto ſecondolibro, ſcritto aveffe: nel
titolo : nova ratioexplanandi aphoriſmos Hippocratis , per quam
uſusaphoriſmorum ab Hippocrate intenti, nec ta. mea conſcriptireperiuntur .
Econ queſte magnifiche pro. meſſe venendo egli poi al poſtro Aforiſmo , dice
per fenté za d'Ippocrate : ad praxim revocabitur hæc prognofis, ſiis ejufmodi
effe&tibus appoſitis remediis fomnus concilietur . Ma prima,chc a lui ne
diè la curaIppocrate alParacelſo d'avvi ſarlo , il quale nelle chioſe del derro
Aforiſmo diſſe : Som nifera quomodocunqueea vocentur àquolibetmedico fummo perè
conſideranda Junt ; fomnusenim medicina ef ſuperans omnia arcana gemmarum ', cu
lapillorum pretioforum . Qui Natura Arcantfomniferumexconvenienti effentia
desīte ptum ,rectè applicare novit,is magni apud ægrotosfaciendus eff . Non
igitur folum defomnisnaturalibusHippocrates bic loquitur ,fed oportet ut
euminrelligatis , fcut medicum ex pertum , qui ex fpiritu medicina locutus eft
, non ut Humori Ba, qui ignorat quid fit fomniferum ,fed ut artifex . Mache
mivo Io più nel farnerico degli Aforiſmi d'Ippocrate lun gamente avvolgendo , i
quali di sì picciola levatura ſono , quára per noifin'ora s'è accénata. Vegga
pur chiunquecó animo tranquillo , e ripofato , e veramente da filoſofo daw niuna
paſſione imbardaro , e'sì gli giudichi cutti , e ſottil mente gliſtacci,
cheſenza troppa fatica logorarviagevol mente ritroverà eſſer i rimanenti tutti
della medeſima va glia 310 Ragionamento Quarto 1 9 1 glia diquelli, che fin quì
diviſati abbiamo :eche malamē: te allogata abbian l'opera in affibbiarvi tante
chioſe , eco mentiſopra,i noſtri medici, mallimamente il narrato Signor della
Sciambre , il quale lo non sò con qual arte s’indovis ni , e a noivoglia
comunicar corteſemente ciò che Ippo crate avea intenzione di dire , e'l racque
ſolamente per ri ſerbare al ſuo valoroſo ſegretario la gloria d'una sì magui.
fica impreſa . Ma ſe bene Ippocrate detto veramente aveſ ſe ciò che il Signor
della Sciábre diviſa , e pretende aver il maeſtro a bello ſtudio tacciuto ,
gran coſa pur cgli non fa rebbe , come ſi può ſcorgere nelle ſue chiole . Ma
incom portabile certamente, e' mi pareil Signor de la Sciambre, Aon ſolamente,
perchè in ogniaforíſino coſtantemente egli afferma queſto , o quell'altro aver
Ippocrate avuto in men te di dire,ma eziandio, perchè talora in materie
chiariffime ci vuol'egli far vedere per roſſo il giallo , ficome quando p
ſoftenerche'l , ſuo modo di medicare non travii dagl'inſe gnamenti d'Ippocrate
, vuol farne a credere colui aver avu to in animo , che ancora fuori del
gonfiamento le crude materie vuotar fi debbano ; error,che in verità non mai
gli porè cadere a niun modo in penſiero . Or ſe la potente faſcinazione
dellepaſſioni non aveſſe magagnate le menti de'chiofatori , eglino ſiſarebbono
, fe lo diritto eſtimo, da per ſe del poco , 0 niun valore del volume degli
Aforiſmi agevolmente avveduti, almen per quelli che perentro ma nifeſtamente
falfi vi s'avviſano ; intanto , che ne meno il tanto parzial d'Ippocrate
Galieno , e altri ſeguaci di quel lo gli han voluti torre a difendere . Ma
comechè cotanto imbardato fi moftri Galieno delle dottrine d'Ippoctate pur egli
falſo a cento , c mille pruove confeſſa apertamente ayer lui ritrovato
quell’Aforiſmo, il qual dice , che ſe mai la rete efca del ventre fuori, abbia
di neceſſità a infracidire. Machi falſo parimente non ravviſa quell'altro , ove
inten de Ippocrate didarne certi ſegnali da conoſcer le donne in cinte ,
dicendo ; ſe conoſcer tu vorrai quando la femmina gravida ſia , innanzich'ella vada
a coricarſi, dalle bere la mulla, e s'ella ſarà moleftata da’dolori del ventre,
di certo, che DelSig.Lionardo di Capoa 311 che ſarà gravida: ſe nulla ſentirà
ella nonaverà concetto.E fe l'aforiſmo è falſo , abbiſogna anche dir , che in
vano ſi becchiil cervello Galieno per recare la cagione, perchè abbia a farſi
dopo il definare cotal operazione ; è falſo diſ fe Avicenna,chedell'error
dell’Aforiſmo in parte s'avvide , che tal fatto avvenga a quelle donne, che non
hanno in co ftumetal beveraggio ; imperocchè a quelle donne, le qua li per
addietro non mai l'aſſaggiarono , o gravide , o non , gravide , che ſiano
elleno , foglia talora la mulla dolori di ventre cagionare : il che avviene
ancora dalla mulla com, poſta coll'acqua piovana , della quale alcuni immaginano
aver Ippocrate favellato. Falſo pariméte ſcorgeſi l’Aforiſ mo , che mortale ſia
a donna gravida ogni acuta malattia . L'Aforiſmo , di cui meritevolmente dice
il Santoro : ne , mofana mentis defenderet hunc aphoriſmum : cioè, che co loro
, de'quali l'orina è fabbionoſa abbian la pietra nella veſcica, che che a
difeſa d'Ippocrate il Zecchi ſi dica , egli è così apertamente falfo , che
Ippocrate medeſimo altrove lo rifiuta , e ripiglia fortemente alcuni antichi
medici , che ciò dicevano · Galieno ancora avvifa la ſua falſità , e dice eſſer
errore d'Ippocrate , o dc'copiſti, e che l'Aforiſmo do vea dire , o nella
veſcica , o nelle reni ; ma con cutta que fta aggiunta di Galieno , falſo
altresì tutto di egli ſi ſperi menta.e Girolamo Cardano nelle chiofe,dice lui
ſteſſo per lo ſpazio di trenta anni aver avuto l'orina ſabbionoſa , ſen za aver
avuta mai menoma pietra , o nelle reni , o nella ve fcica . Soggiugne oltre a
ciò , che di dieci perſone appena che una additar ſe ne poſſa , che non abbia
l'orine ſabbjo noſe : e pure rari fon coloro , che han pietre nelle reni , e
radiſſimi coloro, che l'han nella veſcica . E oltre a ciò egli racconta , che
gli Spagnuoli poco men che tutti fan l'orina ſabbionofa , e nondimeno
pochiſſimi vi ſono infra loro, che patifcano il mal della pietra . Ma non
menofalſo è quello altro aforiſmo ,che'n bocca de’medici tutto di eſſer veggia
mo,cioè,che que'febbricofi,i quali fan corbida l'orina , qua le è quella de
giumenti, o hanno attualmente , o auranno di preſente dolor nel capo . E
quell'altro , che a coloro , a ’ qua 312 RagionamentoQuarto quali nelle febbri
ogoigiorno viene il rigore , ogni giorno le febbri ſi tolgano. E quell'altro ,
di cui Giulio Ceſare della Scala , così a Girolamo Cardano ragiona : nequemés
ægrotat , ut falfo voluit Hippocrates , cum dolorem , quo cru ciamur non
ſentimus: comechè non vera ſi trovi la ragione , checolui poi ne recà
ſoggiugnendo :fed quoniam dolentem ad locum fubfidii ergo diſtracti ſpiritus
non repreſentantur, imaginationi. E quegl’aicri, ch' alle femmine, alle quali
corrono imeſtrui,e agli Eunuchi,non mai vegna loro la po dagra . Maquale
ſciocca femminella nõ riderà ſtrabocche volmcntc in udendo quell'aforiſmo , che
i malchi per lo più s'ingenerino nella parte deſtra della donna , e le fem mine
nella ſiniſtra ? E di quell'altro , che ſe la donna aura conceputo maſchio , ſi
vedrà ben colorita in volto ; mares avrà conceputa femmina , farà pallida ; e
di quell'altro : ſe una donna non ſarà gravida, e vuoi ſapere ſe concepirà ,co
prila bene con panni, e di ſotto adopera ſuffumigji e feľo dore per entro il
corpo vedrai, che vada alla bocca , e alle nari , ſappi, che per ſe ella non è
ſterile . Taccio altri , altri aforiſini intorno alla medicinal materia, che
fan vede re , che Ippocrate poco avea che fare certamente quando fcriveva un
tal libro , ſe vi pone sì fatte fraſche , che ſe ben vere elle foſſero, non
però di meno non ſono tali, che debu ban regiſtrarſi in un'opera nella quale
intende Ippocrate inſegnare le più ſegrete coſe dell'arte. Ma ad altro facendo
paſſaggio: già noi veduto abbiamo quanto poco Ippocrate intelo foffe della
natura delle co fe pertinenti alla medicina ; ma ſpezialmente anche ſi pa che
niente fi fu egli certamente ſcorto della ſto ria delle parti del corpo umano ,
e degli ufici di quel lc , e del modo , col quale adoperano , come ogn'un può
ſcorgere in tutti i ſuoi libri , che non fa meſtieri, ch’lo ne faccia parola .
Solamente narrerò, come per ſaggio dell' altre coſe , ſicome intorno a ciò
filoſofi egli una fiata , di cendo , che quelle parti , che ſono ampie nel
ventre, e ftret te nella bocca , com'è la veſcica , il capo , e lå matrice, ſon
fatte per attrarre, eche apcrtamente queſte sformatamen re , 1 1 1 . te tras 1
i DelSig.Lionardo di Capoa. 31 ; te traggono , e ſon pieni degli attratti umori
; ene reca per ragione il vederſische colla bocca aperta nulla ſi trae , e che
fporgendoſi in fuori poi, e ſtrignendoſi le labbra , e adata tandovi una
fiſtola ,ſi trae agevolmente ciò che ſi vuole , e che le ventoſe , le quali ſogliono
appiccarſi per attrar re dalla carne , ſiano ampie nel ventre, e ſtrette verſo
la bocca; ccco le fue parole : Το μειο ελκύσει εφ' εαυτό, και έπεσα σας υγρότη
εκ τέ άλε σώματG- , πότερον τα κοίλα π , και εκπτ . παμύα, ή του στρεά της και
τρο/γύλα, και του κοίλα τε, και ές στνον εξ ευρές . συνη μία , δύναιτ' αν
μάλιστα , οίμαι μύτσι τα τοιαύτα εις ενόςσυγγ μένα εκ κοίλε ε , και ευρίG-' καζ
μανθάνειν δε δεί αυτα έξωθεν εκ τω. φανερών • τέτο με γαρ,τησόματι κεχίωώς ,
υγρόν δεν αναστάσεις προσμελήναςδε , και συσείλας και πιέσεις τε τα χίλεα · έτι
τε αύλον ποθέ. μυς , ρηιδίως αναστάσεις αν ό , τι θέλας • τούτο δε, αί στκύαι
ποζαλό μίμαι εξ ευρές ως πνώτερον ενενωμέναι πες τούτη τεχνέαται , προς το
έλκαν από της σαρκος , και επιστά αλλά και πολ α τοιούτοςοπα · των δ ' έσω του
ανθρώπς φύσης, χήμα τοιούτον• κυρίς τε , και κεφαλή , και υπέ es γυναιξί - και
φανερώς αύτο μάλιαάλκει και πλήρεςέπν επαρκτα υγρό Tuloi aici . Non occorre ,
che Io mi dia briga in diſaminar si fatte fanfáluche , potendo ogn'ın per ſe medeſimo
ravvi fare, ſolamente in udirle ſoluna fiata, che contengono più errori , che
parole . Egli vuole , che la veſcica tragga l’o . rina ; il che tanto è ,
quanto s’un diceffe,che'l letto del ma re tragga l'acqua da'fiumi;e'l medeſimo
dir ſi puote del ca po , e della matrice . Ben ſi pare poi , ch'egli
ignorimolte di quelle ſtrade, per le quali le diſcorrentiſoſtanze ſi por tano
in diverſe parti del corpo. Ma egli è diſadatto l'eséplo della bocca, e delle
ventoſe, comechè egli pur ſi cõcedeſſe , ch’elleno adoperaffero per traimento ,
ficome fin ' a' dìno ſtri han follemente creduto , e inſegnato le ſcuole ; ma
qual maraviglia , che ciò Ippocrate aveſſe affermato , s'cgli ſcriſ ſe ancora
nel libro della natura del fanciullo, che lo ſpirito caldo tragga a ſe lo
ſpirito freddo , e ſe ne nutrichi : Távce δε , σκόσα θερμαίνεταικαι πνεύμαέχει
το δε πνεύμα ρήγνυσι , ποιέει οι οδον αυτ έωυτώ , και χωρέσα έξω · αυτό δε το
θερμαινόμενον έλκα ες έωυτο αύθις έτερον πνεύμα,ψυχρόν δια της βαγής , αφ' και
τρέφεται. Νce vero cioche diccAndrea diLorézc, cheIppocrate ſapeſſe títo
dinotomia Rr quan Ι 314 Ragionamento Quarto 1 quanto gli faceva luogo per la
medicina; concioſliecolache dubitar non ſi poſſa ,che molte, e molte coſe di
notomia , che neceſſarie séza fallo ſono alla medicina razionale ,igno te
affatto gli foſſero ; imperocchè, per tacer d'altro,cgli è certamente
neceſſario a quella il conofeer chenti, e quali fieno i movimenti dell'arterie
, le itrade del chilo, l'aggira mento del ſangue , la fabbrica , e gli ufici delle
giandole, e altre , e altre molte coſe , delle qnaliniuna conrezza ebbe egli
giammai ; nondimeno avvegnachè queſte, e altre co Scaffai, pertinenti alla
medicina ignoraffe Ippocrate , non ſi può negare , cheegli molto nous'avanzaffe
ſopra tutti gli altri medici de'ſuoitempi, per quel , che noi fappiamo , il che
da altro certamente non nacque , che dal talento natu Tale , che egli ebbe
adatto aſſai al ineſtier della medicina, il quale ajutò egli , e accrebbe
ſommamente in coltivan do oltremodo quella parte alla medicina , molto neceſ
faria , qual è ſenza fallo l'offervazione ; e nel vero Ippocra te fu un curioſo
oſſervatore ; perchè ebbe a dire di lui Ga lieno , ch'egli affai più coſe colla
ſperienza , che colla ra gione conoſceſſe; e il meglio certamére avrebbe fatto
egli, le trafandate tutte altre biſogne, a queſta ſola inteſo ſem pre aveſſe ;
e ſenza ad altro inframmetterſi aveſſe folamen te narrata la nuda, e femplice
ſtoria intorno agl'infermi da lui medicati ; ma nondimeno non ſi ſcorge aver
egli tanti felicità nell’ofſervazioni Ippocrate , che, o per poca dili genza ,
o per alcro , che ſi fia egli ſovente non inciampizma quel , ch'è peggio, anche
talora in coſe agevoli molto ad offervare e fallare ſcioccamente ſi vedese ciò
ch ' e'nenar ra , ne men per avventura il direbbe un rozzo, ed ineſperto huomo
dicontado . Ma in quella parte poi della medicina , ch'alla dieta ap partiene
egli li portò nel vero così bene Ippocrate, che niu na cofa par che glimanchi;
e di certo e' ne meriterebbe una grandiſſima loda , ſe queſto medeſimo non
faceſſe aperta mente conoſcere , ch'egli ſtato foſſe molto manchevole , e
difettoſo in quel, che più propio , e neceſario egli è in me dicina, e in cui
conſiſte , ed è riporta l'eccellenza, anzi l'cf fere Del Sig.Lionardo di Capoa.
315 1 ſere tutto del medico ; cioè nella concezza de'inedicamen ti :
maſſimamente di quelli , che tali veramente ſono , e che da’moderni , ſpecifici
chiamanſi ; i quali ſenza cagionar ne vacuazione , ne movimento altro niuno han
virtù d'eſtin guere il male , e riſtorar l'infermo ; ina comechè in ciò affai
mancaffe Ippocrate, purebbe egli tanto intendimento,che ne'mali acuti della
ſola dieta per lo più ſi valſe , rade volte adoperando i vuotamenti, come
colui, che ben conoſceva, ch'eziandio con yuotare gran quantità d'umori , le
malat tie per lo più ſi mantengano nel loro vigore. Ma che poco foſte inteſo de
medicamentiſpecifici Ippocrate, ſipareaper, tamente da chiunque ſi da cura di
legger i libri degli Epi demj , ne'quali ſi veggon le malattie ne'terminiloro
fatali , o in bene,o in male eſſere oftinatamente terminate; c alcu . na fin’al
centeſimo giorno eſſer durata . Si ſcorge ancora ciò nelle medicine , le quali
egli adopera , come quelle che pericoloſe ſono , e poco efficaci, come ſono
infra l'altre ch' Io taccio , comea tutti conoſciute, le cantarelle , di cui
egli ſi vale temerariamente in verità nell'Idropiſia ,e in altri ma li dando
cinque di effe , e togliendone ſcioccamente il ca po , i piedi, e l'ali, che
potrebbono in parte rintuzzare il lor veleno ; e racconta Galicno, ch’un medico
per ciò aver yo luto fare aveffe ucciſo miſerevolmente un'infermo; ma tã. to e'
ſi compiacque di sì beſtial medicamento Ippocrate , che con peffimo conſiglio
e' vuol , che le cantarelle ſi met tano entro la matrice per vuotarla
de’malvagi umori ; ove pone egli in opera ancora l'Aglio, il Pepe, e la
Sandaraca, la quale,comemoſtra il Mattioli , è una ſpezie d'orpimen to velenoſo
corroſivo , cd altre, ed altre cauterizzāti medi cine ; il che volendo
ſcioccamente un medico de’noſtri tem pi parzial molto d'Ippocrate una fiata
iinitare , riduſſea , pèſſimo ſtato una povera inferma.Neper altro,che p máca
méto ď' efficaci medicine nell'interne infiamagioni ſegnar ſuole Ippocrate fin
allo sfinimento ; c quel che ſi è il peg gio , e Galieno malagevolmente il
comporta contro le ſue medeſime regole,nella pleureſi,ſe nelle parti interiori
ſi ſtea da il dolore , ſolve egli il ventre coll’elleboro, e col peplio, Rr 2
Ma و 310 Ragionamento Onarto Ma chi voleſſe annoverar le mal preparate ,
violcntise veler noſe oltremodo , c ſtrabbocchevoli medicinc,che ſuol por re in
opera Ippocrate , elle ſon tali, chei medeſimi ſuoi fee guaci meritevolmente
l'han poſte in miſuſo . Ne per al tro parimente egliconfiglia, che la febbre
non s’abbia a mi tigare nella punta, per fette giorni, e ſi debba dar largamé,
te bere,o aceto co mniele , o aceto con acqua: Ineueſten we xex άσθαι ή πυρετόν
μη παύεινέστα ημερέων ποτέ δε χρήσθω,ή οξυμε aixpýtw ,vi šče xzi üfatı:oltre a
ciò ſoggiugne egli poco ap preſſo,che nel quinto , e nel ſettimo giorno ſi
debbano por re in opera gagliardiflimemedicine da ſpurgare ben bene il petto
,acciocchèil ſettimo giorno menmoleſto all'infermo poi fi faccia fentire : και
έτι τή αίματη , και την έκτη ισχυροτύτοιστ χρέεσθαι τσιστν επαναχρεμπτηeίοισι
φαρμάκοισι , ως την εβδόμην δια jnásoe spegno dydyn . Ma da queſto ,e dal non
eſſer ben lui ſcor to dell'altre coſe della medicina naſce il peſſimo conſiglio
, ch'egli da al medico :che non avédo egli contezza del male adoperar debbamedicine,manon
molto gagliarde ; e ſe co un tal argométo ſcemerà il male,gli addicerà,che
curar e'l debba coll'aſciugare ; ma ſe'l male non ne ſcemerà , e ne di verri
piti graveil citrario fardovrafi: Τών νουσημάτων ,ών μη επί 5ηταί τις ,
φάρμακον είσαι μη ισχυρό ,. ήν δε ράων γένηται , δίδεικται «δος , εύπεπιέον
έσιν ισχνάναντα • ήν δε μη ραων ή , άλλα χαλεπώτερον Xu tavavila . Dalle quali
parole, e da quel che indi appreſſo edice apertamente ſi ravviſa aver Ippocrate
voluto in tendere , che il medico ,non ſappiendo qual male l'infermo paciſca,fi
vaglia delle purgative medicine ; e che altro per Dio avrebbe mai potuto
Maeſtro Simone nello ſtudio di -Bologna a'ſuoi ſcolari infegnare Magli ſcherzi
laſciádo , intorno a ciò certaměte parmi più faggio aſſai il coſiglio d '
Avicenna, il quale vuole,che il medico no conoſcêdo ilma Ic , altro farnon
debba , ſalvo che preſcrivere all'infermo una rigoroſa dieta , e intáto ſtar
cauto , cariguardo per po, ter quello per qualche ſegnal fotcilmente avviſare .
Ma della fuadebolezza ben avvedutofi Ippocrate , per guadagnarſi il buon nome,
ſeguendo egli il coſtume degli alori medici, cheabbiamonarraci , coll'arti, e
colle giun, 1 terie Del Sig.Lionardodi Capoa. 317 terie ricoprir cercolla ,
perchè diede opera grande agli arr tivedimenti , e ne ſcriſſe molti libri; ne
per altro cgli com pole ancora illibro degli inſogni; opera ridevole allai nel
vero, la qual ſembraverainente fatta per huon , che lo gnando færnetichi ;
perchè mi maraviglio forte della follia di Giulio Ceſare della Scala , che ſi
diè briga d ' appiccar gli sù un comento . Divulgò altresì Ippocrate per la me
deſima cagione quel celebre ſuo ridevole giuramento , in cui no lo lo fe più
ammirar ſi debba la ſua ſciépiezza , o law fua malizia . Quelle cofe , ch'e'
giura Io non le reco ; ma ben può ſcorger ciaſcuno ,che elle vi ſono poſte
tutte per farlo credere huomopio , e divoro , non altrimenti , che Ser
Ciappelletto per la ſua falſa confeſſione. Ma nientedi meno non furono
baſtevolitanti se sivarj artificj , ch'egli non cadeſſe dalſuo buon nome , e
che , come egli mede fimo confefſiz , più biaſimo affai,che gloria dal mcdicare
e ’ no riportaſſe;ilche non ſolamente gli avvenne,permio av viſo , dal non aver
lui avuto niuna contezza di nobili , e va loroſe medicine, per le quali egli in
pregio montaffe,e l'ac quiſtata gloria e' non perdeffe , qualora in qualche
finiſtro accidéte in medicãdo incorreſſe; ma ancora dal coprendere aſſai bene
Ippocratc , ammacſtrato dalle ſue continue of ſervazioni , i viluppi , e
l'incertezze della ſua arte , e qua to poco ſia il frutto , o'l giovamento ,
che poſſa da'ſuoi ar gomenti huom ritrarre ; perchè egli ſcarſo anzi che no mai
ſempre fu d'imporre ne'mali acuti que'rimedi chegrā di chiamanſi da'Greci;
temendo oltremodo di ciò, che age volmente ſeguirne poteſſe ; ne coſtumava egli
, come ab biam veduto , trar ſangue nelle febbri, ſe non fe quando ſcorgevale
da grandi, e interne infiammagioni accompa gnate : ne purgar coſtumava, ſe non
ſe molto di rado, e nel cominciamento ſolo de'mali acuti; perchè n'era talora
ol tremodo biaſimato dalle genti minute , le quali giudica vano , comechè grave
foffe , e di riſchio il male , eſſerne nondimeno piggiorato l'infermo ,
ſolamente per la tra . ſcuraggine, e manchevolezza del medico che non ci avel
ſe al tempo con valevoli purgagioni, e con replicati falafi fat 318
Ragionamento Quarto 2 fatto riparo ; ſıcome la ſciocca rubaldaglia deʼmedici
allor forſe avea per coſtume; i quali in ſomiglianti malattie mol ti , e varj
medicamenti ,ficome egli narra , adoperavano , non altrimenti, ch'or ſi
facciano poco men , che tutti i Ga lieniſtide’noftritempi. Cosìnella paſſata
ctà videroi no. ftriantichi con biaſimi di traſcuragginc indegnamente ol
traggiato , o proverbiato maiſempre Proſpero Marziano, e prima di lui anche
GirolamoCardano;i quali ſaggi,e avve duriſſimieſsédo in gir dietro ad Ippocrate
le medeſinc tac cc del lor maeſtro agevolmére ſi guadagnarono.E a' tempi noftri
abbiamo pure uditi i brôtolaméti, erimproccjcutto di ſcagliati a Paulo Emilio
Ferrillo , per eſſer lui nelle febbri dal preſcrivere le purgagioni ritroſo ; e
indi a poco acerba mente cffer proverbiato Diego Raguſi , perciocchè nel
ſegnare, e nell'uſare le purgative medicine fedelisſimo ſe guace d'Ippocrate, e
del Marziano ſi dimoſtrava , ne mo riva giammai infermo, chenon ne veniffe loro
rimprove rata la dappocaggine , e traſcuratezza d'aver colui ſenza gli acconcj
medicamenti miſeramente laſciato morire. Com tanto il non operare ſecondo la
folle opinione del cieco vulgo , grave crrore , e biaſımevole ſempremai fi
giudi ca e; maggiormente allor, che no li ficgue ciò, che comu mente dalla
traccia de' menovili maeſtri coſtumar ſi ſuole , 1 1 RA 319 1 1 RAGIONAMENTO
QVINTO, des S É ſtanco, c anſante pellegrino , cui lunga, e faticoſa ſtrada
ancor rimane, acciocchè pofla gli ſmarriti ſpiriti rivocando, al fine
diterminato agiatamente pervenire,or in ombroſa felva al canto di piacevole uſi
gnuolo s’arreſta ,or indilettevol poggiore fpirãdo fi ſiede,or lūgo la riva
d'un qualche fuggére, e chia risſimo fiumicello ſi slaccia or in un pratello di
freſchiſ fima, e minatiffimaerba ripieno , e di vaghi fiori,dolceme te ripoſa;
e ſe Natura rizzare, e ſparger volles come huom crede, in mezzo agli fpaziofi
campidel inare tante , e tante Iſole , acciocchè quando a'Soli più tiepidi
s'accolgono ,ri trovaſſero agios e poſa ne'loro lunghiſſimi voli le varies
tormedegli uccelli; ragionevolmente dobbiam noi, o Sig. poichè sì dura, e
malagevole imprefa di dover ragionādo traſcorrere le ſcuole de più famoſi
medici abbia già comin ciata ragionevolméte dico dobbiam noi talora interrāpédo
i noſtri lúghi ragionaméti préder nuova lena; e táto più , che vie più ſghembo
, e inviluppato ſentiero di quello, chedie tro n'abbiam laſciato , orci ſi fa
innanzi ; imperocchè ab } bia 320 Ragionamento Quinto biano , ficome avere
potutofin'ora comprendere, piena mentediinoſtro ,ſe'l mio avviſo non m'inganna
, a quanto mal riuſciſſe a coranti valene'huomini il volere alcun fifte ma di
razional medicina ſtabilire; e fornigliante di molt’al. tri appreſſo andrein
diviſando ;avvegnachèa trattar dico ſtoro aſſai più grandemalagevolezza
s'incontri ; imperoc chè di loro opere nulla a' noſtri tempi non ſe ne ſerba ,
e quelle poche, e intralciate memorie , che di eſſe abbia mo, maffimamente appo
Galieno, o poco, o nulla n’appro dado a farne diviſar di loro dottrine ;
imperciocchè quel buon huomo , tra perchè non l'intendeva , e anche , perchè
vezzatamente ſtudiavali d'oſcurare , e porre a fondo ogni lor fama, e gride ,
cosìſconce,o travolte le ci narra talora, che a gran pena illor intendimento ſe
ne può ritrarre , Ma comunque ſia la biſogna, Iomiargomenterò ſecondo mia poffa
d'illuſtrar quanto poſſibil fia i loro ſentimenti e la lor dottrina ſtacciando
, ſeguitar la coſtuma del noſtro im preſo diviſamento . E tralaſciando quì in
primadi far parole d'Apollonio ,di Diſippo , e d'alcun' altri ſcolari
d'Ippocrate:i quali per va rj , e diverſi ſentieri avviandoſi , a varie, e
diverſe altre ſet te di medicina dicder principio: come di quelli,de qualial
tro non ho che dire , ſe non che alcuni di loro vennero ini vituperevolguiſa
crattatida Eraſiſtrato : darem comincia mento dal famoſo Diocle . Dico adunque
, ch'e' fi puòbé ammirare , e commendare la ſua grandiflima corteſia , o
umanità veramente ſingulare, colla quale , come teſtimo nia Galieno,uſar ſolea
con gl'infermi ; ma tion già la ſua dottrina , eſſendo molto rare quelle
notizie , che a noiper venute ne ſono ; ſi legge nientedimeno ancor oggi una
ſua cpiftola del inodo del conſervar la ſanità , dove permio av viſo non ha
coſa per cui meriti egli quelle ſomme lodiche dagli ſcrittori, e
particolarmente da Galicno sfoggiataméte inveſtire gli vengono; nesébra punto
chesì fatta piſtola Gia degna di quel ſapientiffimo Principe , al quale ella è
fcrit ta ; vi ſi ſcorge tuttavia , che Diocleera aſſai vago dell'A ſtronomia ,
e che ben poco egli gradiva le compoſte medi cine Del Sig. Lionardo di Capoa
321 را cine , e che non moito gli erano a cuore le purgagioni. Per quel poi,
che di lui vada dicendo Galieno , egli ha Dio cle per fondamenta del ſuo
ſiſtema il caldo , e'l freddo , e'l fecco , e l'umido ; de'quali i due
primi,agenti, e gli altri pa zienti e' vuol , che fieno . Dottrine , che quanto
dal vero modo di filufofare vadan lontane, altra fiata avendone lo fatto ſermone
, non fa lungo, ch'al prefente più il dimoſtri; ma comechè Diocle d'altiſimo
intendimento , e ben acco cio al filoſofare ſi foſſe , non però di meno , o per
manca mento di maeſtro , o di guida , ch'al diritto fentiero l'avel fe fcorto ,
o per altro , che ciò operato aveſfe ;ſconciamente laſciandoſi trarre
a’hiſicofi impigli della dialettica , sì , e tal mente bambo , e ſcempiato ne
divenne , ch'oltre a' già detti crrori, impreſe a foftenere , non eſſer
altrimenti il ſu dore, vuotamento naturale;e quantunque a Galieno ſem braſſer
molto probabili fue ragioni , nondimeno da colui, come troppo durauna
talopinione, e come ripugnante , e contraria all'evidenza de'ſenſi vien forte
bialimata , e rifill tata . Ma quanto molto poco in filoſofando in medicina egli
s'avanzaffe Diocle , chiaramente il ci da egli medefi mo a conoſcere, quando
favella della malattia ipocondria ca , di cui un libro ben'intero e compofe ,
il quale ſcëpia to , emancheyolc ftimnafi per Galieno ; ma che che nedica colui
, degno certamenteini pare di grandiflima foda quel libro ; imperocchè ci fa
vedere il fuo componitore eſſerfi molto ben avveduto della incertezza della
medicina , da che tutto ſoſpettofos e rentonc e' ſempre ſe'n va in con
ghietturando le cagioni delle maraviglioſe , e ſtrane appa senze di quel male.
Dice infra l'altre coſe in quel ſuo libro Diocle,doverſi fo ſpettare in coloro,
che ſon travagliati da’mali ipocondria ci , non quelle venc , che ricevono
l'alimento dal ventrico lo , abbian aſſai più calore del convenevole , e'l ſangue
in effo loro ſia più groſſo aſſai divenuto ; concioliecoſachè cerca coſa ſia le
menzionate vene eſſere in quelli oppilate i edice ciò argomentarſi
dall'alimento , ch'al corpo accon ciamente non ſi diſtribuiſce , e nel
ventricolo, indigeſto ri Sf inane ; 322 RagionamentoQuinto mane ; quando
davanti per li meati ſi ricevea ,e per la mag gior parte con agevolezza
s'avvallava al ventre , come dal vomito poi manifeſtamente s'avviſa , quandoil
giorno ap preſſo così guaſto ſi rece , per non eſſerſi diſtribuito al cor po il
cibo ; mache'l calore in sì fatti infermi fiz più del na turale ſoverchievole ,
agevolmente fi ravviſi , così dall'in focamento , che a loro avviene , come da
quelle coſe ,che anche lor li danno ; imperocchè giovevoli eglino ſperimé tano
i cibi freddi, i quali ſogliono certamente rintuzzare , e fpegner in parte il
calore: τες δε φυσώδεις καλεμόες , υπολαμ . βάνειν δεί πλέον έχειν το θερμόν
του ποσήκοντG- εν ταις Φλεψί Gίς εκ της γασρος την κοφίω δεχομλύαις · και το
αίμα πεπαχιώθαι τούτων δηλοί γαρ ότι μου έσι έμφeαξις περί ανώς τις φλέβες τω
μηκαταδέ χεθα το σώμα την τοπίω · αλ' εν τη γασρί διαμένειν ακατέργασον» πρό
τερον των πόρων τοίχων αναλαμβανόντων , τα δε πελα αποκρινάντων ας τω κάτω
κοιλίαν και το τη δευτεραία εμών αυτες έχ υπαγόνων ας το σώ. μα των στίων · ότι
δε το θερμόν πλέον εα του καιτου φύσιν» μόλις αν της κατανοήσσεν, έκ τε των
καυμάτων των γινομένων αυτούς , και της ποσ φοράς • φαίνονlαι γαρ υπό των
ψυχρών όφελούμενοι σιτίων•ταδε πιανα το θερμόν καταψύχων , και μαραίνουν σωθεν
. Soggiugnc indi appreſſo Diocle , che affermino al cuni eſfer infiammata in sì
fatto male la bocca dello ſto . maco , la qual s'uniſce con gl'inteſtini, e per
la infiamma gione quella parimente oppilarſi, e vietar , che i cibi non calino
giù agl’inteſtininel tempo opportuno , e ſtabilito ; perchè dimorando i cibi
poi,oltre alconvenevole nello ſto maco,cagionino igonfiamenti, e'l calore, e
l'altre coſe tur te , che menzionate per lui in prismafi fono : Λέγεσι δε πνες
επι των τοιούλων παθών ή σόμα της γασρος το συνεχές των εντέρω φλεγμαί ΥΑν ,
δια δε την φλεγμονίω έμπε πξάχθαι , και κωλύειν καταβαίνουν τα σιτία ας το
έντερον τοϊς τεταγμένοι χρόνοις· τούτα δε γιγνομένα , πλείονα χρόνο του δέον-
έντή γατε μένονά , τους πάγκες παρασκευάζει,και τα καύμαζ, και τ' άλατα
πποειρημένα , Egli vien Diocle ripigliato da Galieno , perchè infra le tante
coſe , ch'egli in mezzo produce , del timore , c della triſtezza , che propie
ſono delmale ipocondriico , e'punto non favelli , ma Galien medeſimo diciò poi
lo ſcuſa , fog giugnendo dallo ſteſso nome del male farli ciò manifeſto , imper
DelSig.Lionardodi Capok 323 impertanto Diocle non averne fatto menzione; ma
nondi meno a Galieno non diſpiace la maniera del filoſofa te di Diocle intorno
a ciò ;maſolamente forte fi maravi glia , dicendo eſſer una quiſtione degna da
fare , perchè non abbia Diocle recata la cagione, per la quale in sì fat to
male venga la mente offeſa:masì fatta quiſtione, s'egli vi aveſſe poſto bé
méte, nó gli era molto agevole a folvere; imperocchè ragionevolmente nel vero
non volle darſi bri ga niuna Diocle di produrre in mezzo coſa ,qualegli non
avea avuta fortuna d'inveſtigare: nel che avrebbe certame, te il meglio fatto
ad imitarlo Galieno , il quale così ſcon ciaméte ebbediciò a filoſofare, che
meritòd'efferne acerba mére proverbiato,e deriſo da’luoi medeſimi parziali. Ma
noi laſciādo da parte ſtare Galieno,diciamono molto bene nel vero aver
de'maliipocondriaci filoſofato Diocle; cõciof ficcofachè in priina , per tacer
d'altro ,non continuo ſi avviſi ſmoderato calore nello ſtomaco , o nelle parti
vicine , ma talora fredde ſenſibilmente ſi ſcorgano in coloro , che pa ciſcono
sì fatto male ; perchè convicn certamente giudica re , che'l calore quandunquc
in lor ſi trovijalcro non ſia, ſal vo che un effetto del male medeſimo; la qual
certezza fal fa apertamente ne fa conoſcere l'opinion teſtè rapportatas da
Diocle, di coloro iquali ſtimavano cóſiſter sì fatto ma le in una
infiammagione, o altro ſimile della bocca del Pi loro . Gli argomenti poi , che
reca Diocle per far pruova della ſua opinione quanto deboli fieno , e fallaci,
non fa meſtieri, ch'lo dica ; concioltecofachè ogn’un per ſe ſteſ ſoconoſcerpuò
, che da cibi, chefreddi egli appella ,ſovés te ſaccrefca oltremodo ilmale,
comechè talora ſembrich ' cglino lo mitighino in qualche parte, col rintuzzar
la mor dacità de'ſughi secol reprimere la ſtrabocchevol lor fora mentazione .
Chi poi ben riguarda alla fabbrica, call'ufi cio delle vene , le quali picciole
nelle loro boccucce ſi van tratto tratto allargando , perchè acconce, e
valevoli firé dono a ricevere più agevolmenteil ſangue , s'avvede inco tanente
quanto dal ver ſi diparta la ſentenza di Diocle,co tanto cómendara , e tenuta
in pregio dal vulgo de medici , SI 2 che 324 Ragionamento Quinto le che le vene
meſeraiche ſi poſſano oppilare . Ma fievolej molto certamente ſi pare
l'argomento, onde provar imma gina Diocle eſſer negli ipocondriaci le vene
meſeraiches: oppilate , perchè l'alimento al corpo in lor non fi diſtribui ſca:
imperocchè dovea Diocle conſiderare , che non diſtria buendofi l'alimento al
corpo dell'animale,non guari dité. po egli in vita durar potrebbe , e
chemolti,e molti ipocó driaci, anche forti talora, e vigoroſi fin’all'ultima
vecchiz ja veggionſi tutto dì pervenire ; falſo adunque ſi è ciò chè di loro va
filoſofando Diocle ; ſenzachè ben chiaro ognun vede la parte più ſottile
dell'alimento,qual è quella la qua. P le vene meſeraiche,com'egli ſtima al
corpo li diſtribui fce, continuo trapelare, e diſcorrere agl'inteſtini, avvegna
chè la parte di luipiù groſſa nello ſtomaco rimanga . Mavi dovea altresì por
mente , e inveſtigar Diocle , onde avve gna , che'l cibo nello ſtomaco degli
ipocondriaci,indigeſto rimanendo ,non n’eſca fuori nel tempo uſato ; ma certamé
te s'egli innoltrato ſi foſſe nella ſpeculazione delle coſe 112 turali,ne
avrebbe di leggieri ritrovata per avventura la ca gione ; e tanto più , che pur
egli avviſa nello ſtomaco degli ipocondriaci la pontica , e ſtitica acetoſità ,
la quale non permettendo , che'l cibo ben ſi digeſtilca,increſpa ,e ſtrigne la
bocca del Piloro, per inodo, che dallo ſtomaco non pof ſano nel tempodovuto
calari cibi agl'intcftini . Ma laſcia do di ciò più favellare : non ineno e' ſi
ſcorge il modo del filoſofare in conghietturando di Diocle, da ciò,ch'egli dice
: appo Plutarca: επι δε τοϊς φαινομένοις δοαται ο πυρετόςεπιγενόμG"
nečuvala , noi Prey Movad,sy 6x6õves , cioè : le cose , le quali a noi
manifeſtamēte fi fă vedere,additano le nafcofe : poichè ſi vede la
febbre,colleferite,colle infiammagioni, e cõ i gavoccioli ac compagnarſi ; dal
che certamente egli vuol cavare Diocle , che in quelle febbri, nelle quali
nulla appare di fuori del le menzionate coſe , ficno entro al corpo elleno, o
altro fimile , che colla febbre parimente s'accompagni. E rav viſaſi eziandio
la maniera del filoſofare di Diocle allor che appo il medeſimo Plutarco va
inveſtigando le cagioni, per le quali i maſchij ſtendi ſono.4.0
disocyóvoustousaideges ,na es' Del Sig.Lionardo diCapoa. 325 Θα το μήθ' όλως
εύνες σπέρμα πιοΐεσθαι,ή παeg το έλαήoν του δέοντG . και παρά το άγονον είναι
το σπέρμα , ή καλα παράλυσιν των μορίον , κατα λοξότη του καυλού μη δυναμένε
τον γόνον ευθυβολεϊν,ή περί το ασύμ Mergov tæv porów.alo's Tajvané saory oñs
peýrsas. Ma oltraciò ſappia di Diocle aver lui, contro quel , che avca
inſegnato Ippo crate negli aforiſmi avviſato, l'itterizia , d'ognitempo,ch'
ella ſopravegna alla febbre eſſer giovcvole ; al che cgli poi aggiugner volle,
che ſopravegnendo all'itterizia la febbre, mortifera coſa quella ſia: arquatum
morbum , ſono parole di Celſo , Hippocrates ait, fi poft feptimum diem
febricitante agrofupervenit, tutum effe, mollibus tantummodoprecordiis
fübftantibus ; Diocles ex toto , fi poft febrem oritur,etiam pro defe , fi
pofthanc febris, occidere. Ma non meno dell'afo riſmo d'Ippocrate la ſentenza
di Diocle falſa cutto di fi ſperimenta . Coltivò egli poigrandemente la notomia
, ma come qucl rozzo ſuo ſecolo comportava , poco felicemente nel vero ; non
però di meno cgli in ciò è da commendare ;m2 séza fallo poi a ſommo onore
attribuir gli ſi dee, l'eſſer lui ſtato il primo, ch'aveſſe ofrto pubblicar con
un libro partia colare al mondo le coſe , ch'egli avviſate avea nel far no
tomia degli animali. Ma procedendo più oltre ci ſi fa davanti l'altro famoſo
Principe deʼRazionali inedici Pralfagora, cotanto celebras to , c in pregio
tenuto da Galieno , il quale diſſe eller lui ſtato in tutte le parti della
medicina eccellentiſſimo , e in tendentiſfimo di tutte le più ſottili
(peculazioni delle coſe naturali . Ma di queſt'huomo non è per mio avviſo da
far giudicio diverſo da quel , che di Diocle noi teltè fas ; cemmo ; poichè
iinitando in ciò Diocle, portò Praffagora, altresì opinione dalle quattro
primieramente comuni qui lità appellate dirivar tutte l'operazioni della natura
; e con queſta credenza camminando avanti , di neceilità dovette , da uno in
altro crror tratto inceſpicare. Oltra ciò viens forte Praſlagora biaſimato da
Galieno, perchè egli ſcrivel fe con tanta oſcuritàche ſembrano fc fue ſentenze
enigmi da tener mai ſempre in biltento il lettore . Ma con pace. pur ! 326
Ragionamento Quinto pur di Galieno,Io non giudico queſt'errore cotanto propio
di Praſſagora, che non ne ſia ſopratutto da cacciar lamedia cina medeſima , per
la grandifinna incertezza di quel la ; onde imaeſtri più accorti , e malizioſi
, per non farſi torre in fallo foglion sì facramente ſcrivere chenon ſi pof fa
per niuno ne’lor veri ſentimenti penetrare. Ma impertáto fallò grádeméte
Praſſagora,e lervi di pel fimo eſemplo agli altri Razionali medici , che dopo
lui furono , e particolarmente a Galieno, in voler con ſue ciar le farne
calandrini, ecercare di render poſſibile l'impoſſi bile , cioè certa ,
l'incertezza della razional medicina . Vien biaſimato anche Prafſagora da
Galieno , ch'aven do egli in prima detto , che gli umori non ſi contengano al
trimenti dentro l'arterie , cerchi nondimeno egli poi d'in ſegnare , e
minutamente additando vada , come per opera del toccamento avviſar, eglinon ſi
poſſa quali umori fia-. no quelli , che nell' arterie ſi naſcondono ; ma lo
immi gino, che in ciò non ſi contraddiceſſe altrimenti Pralſago 11 , come dice
Galieno , ma ch'aveſse egliportato opinio che allor , che l'huomo è rano non
abbia alcro nell'ar terie , che ſangue, ma che infermando egli poi altri umari
ancor vi diſcorrano ; ne potea egli in verità altrimenti di rc , s'egli pur non
era affatto di ſenno fuori . Che ſia vero quanto lo dico ,apertamente ſi ſcorge
in ciò , che il mede fimo Galieno di lui riferiſce , cioè ch'egli ne men nelle
ve ne credea che vi ſieno gli umori. Ma errò certamente , e in iſconcia guiſa
Praſsagora , in portando opinione l'arterie cambiarli finalmente in nervi ;
avvegnadiochè difender s'ingegnino giuſta ogni lor pof ſa si ſtrana, e dal vero
apertamente lontana opinioncscome favorevole al lor Ariſtotele , il Cefalpino ,
il Reuſnero , e'l Marziano ; ma di non poco biaſimo degno ſi rende appo molti
antichi ſcrittori Praſsagora per lo ſtrano , e crudel modo, col quale egli
intende, che s'abbia a medicar l’lleo, volendo egli infra gli altri rimcdi,che
all'infermo fi faccia vomitare , e dopo il vomito gli li tragga il ſangue ,
emol to forte gli ſi premano collc mani , il ventre , e gliinteſtini, cal nes
Del Sig. Lionardo di Capoa 327 e alla per fine poi col ferro ſi taglino ;
ond'ebbe a dire ra gionevolmente Celio Aureliano : quo probatur magnificam
mortem Praxagoram magis quam curationem voluife fcri bere; ſenzachè vié egli
tacciato dal medeſimo Celio, ch'e'li yaleſse anche nel curarlo degli ſconcj
rimedi d'Ippocrate : Aliquos etiã poft vomitum phlebotomat,&vento
perpodicem replet , ut Hippocrates . Item libris de caufis , atquepaſſio nibus
,& curationibus vinum dulce dari jubet , d rurſum Hippocratis ordinem
ſequitur congerens omnia peccata . Macon qual eccellenza di dottrina , e con
qual artificio pervenir aveffe potuto al principato della razional medici na il
celebratiſſimo diſcepolo di Praſſagora, Pliſtonico , chi farà mai che poſſa
ſpiegarlo fra le sì ſcarſe memo rie , che di lui ne ſon rimaſe ? Io
permeſolamente, e ap pena ne lo quanto per Galicno all'avviluppata, eſcarfamé
te ſe ne racconta: e gli ſi afcrive ciò a ſomma losa,cioè che raffermaſſe egli
quanto in prima diviſato avea Ippocrate de’quattro umori; la qual coſa ſe tale
è veramente, qual ſi jarra egli , ne fa apertamente vedere , quíto troppo grofa
ſolanaméte foffe căminato Pliſtonico in filoſofando; ina no dimeno pur ſembra ,
che qualche ſcintilluzza di lume in quelle folte tenebre, e oſcure
egliſcorgeſſe allor , chej porta opinione , che le digeriſca il cibo nello
ſtomaco putrefacendoſi ; il che nel vero fu aſſai ad inveſtigar ma lagevole a
lui , che non avea contezza niuna di Chi mica, e veramente il cibo nello
ſtomaco non maiſi ſcioglie, e muta natura , fe non vi concorre l'opera d'una
pronta , c velociffima filoſofica putrefazione. Scriffe Pliftonico della
materia de'medicamenti , macom'egliin ciò li portafle al cri.per meve'ldica .
Ma trapaſſando ad altri, Io non potrei dire,ne'l mio det to ritroverebbe
agevolmente crcdéza, in qual pregio ſovra tutt'altri Principi della Razional
medicina il grand'Erofilo s'avázaſſe.E certamente degli ſtudi della notomia
egli mol to ſi conobbe , e gli poſſon ceder ſenza contraſto la maggio ranza non
pur Galicno, ficome giudica dirittamente il Vera ma quant'altri notomiſti
prima, e dopo lui nella Grc 1 fatio , cii 328 Ragionamento Quinto cia tutta
fiorirono . E quanto alla dialettica, egli cotanto lungamente divifonnes e
tanto minutamente , che il vulgo ſciocco dalle tante fraſche delle quiſtioni ,
delle diftinzio ni ,e diffinizioni, e argomentioffuſcato,comeſe da ſovrano nume
ftate fofſer dettate, le dottrine di lui celebraya oltre modo , e riveriya . Ma
il tanto ſtudio della dialettica do vert'eſſere alla ſetta d'Erofilo dinon
picciol damnaggio ; e quinci forſe avvenne , che molti , o sfidando d'intender
pienamente le tante ſottigliezze di lui, e altri a niun pre gio , comevani, e
inutili arzigogoli avendole , ad altre ſcuole ſi rivolgeſſero. Ma impertanto la
ſua dottrina ritro vò inolti , e gravi ſeguaci , e fù aflai commendara ; anzi
narra Strabone,che infin nella Frigia v'era a'ſuoi tempi una famola ſcuola
della dottrina d'Erofilo . Or Io, quantunque a voler dire il vero eſtimi, che
gran pro alla notomia abbia apportato Erofilo , nondimeno fembramifarfallon da
Ro . manzo quel del Falloppio : Contradicere Herophilo in Ana tomicis,eſt
contradicere Evangelio .Ma ebbe Erofilo per co ſtume di paleſar séza riguardo
niuno ciò che a fui veraméte parea delle coſese cotraddiſſe quando egli
ſtimava, che ine ſtier ve ne foffe , a tutti gli antichi , non la perdonando ne
meno al ſuo divin Maeſtro Praſagora . Fuegli molto prati co nella materia
demedicamenti,e fcrille parecchi volumi del modo , come ſe nc debbano imedici
valere ; il che fu gli agevole affai, avendo egli logorato tutti i giorni della
ſua vita in far prove, e fperienze;per le quali non ſi può ne gare , ch'e'non
merti grandiſſima loda; comechè non cſen do a noi pervenute , niuna utilità del
mondo abbian potu to recarci . Ebbe vétura Erofilo d'abbatterſi nelle vene
fartee ;ma egli traſcurato , sì bella opportunità laſciofſi uſcir delle mani,
non dandoſi cura d'ilveſtigarne il lor proceſſo , e l'uſo ; ma di cotal
negligenza è fomigliantemente da accagionar Ga lieno , e tutti quegli altri
notomiſti , chedopolui anche ſe ne rimarono . Non molto diffimile dal fallo
d'Erofilo fi fu quello del noſtro Bartolomeo di Euſtachio, il quale avendo
sitrovato il canal pettorale , non ſi diè briga d'altro, e la 1 fcion Del Sig.
Lionardo di Capoa. +329 fcionne il penſiero al Pecchetti, a cui meritevolmente
la gloria tutta di così gran fatto ſi dee. Ma ritornando ad Erofilo: non fu
egli nel vero molto fe lice in ritrovar coſe grandi , e maraviglioſe, o molto
com mendevoli in ſagaceNotomilta ; avvegnachè tutto dì ta gliar ſoleſſe non
ſolamente i cadaveri, ma eziandio vivi gli huomini. Scelleratezza tanto
crudele, tanto infame, e vi tuperevole, e degna d'eterno biaſimo,che val ſolo
ad oſcu rar ogni ſuo pregio , e a far conoſcere al niondo ad un'ora, quanto la
fierezza de'medici, il diritto delle naturali, del le divine , e delle umane
leggitraſandando , oltre palli law crudeltà d'ogni più fiero tiranno ; perchè a
gran ragione certamente ebbe a gridare il gran Padre Tertulliano : He rophilus
ille medicus , aut lanius , quifeptingentos exſecuit , ut naturam ſcrutaretur ,
qui homines odit , ut noſlet. Man prima di lui Cornelio Cello, dopo aver detto
,ch'Erofilo, ed Eraſiſtrato aveano alle lor notomie vivi gli huominide ſtinati,
cosi ách'egli un cosìabbominevol misfatto deteſta: crudele vivorum hominum
alvum , atque præcordia incidi , & falutishumanæ præfidem artem ,
nonfolumpeftem alicui , fed hanc etiam atrociffimam inferre . Sopra tutto
s'affaticò Erofilo nella materia de polſi, la quale,valendoſi egli della
muſica, cercò d'illuſtrare, e di ti durre a perfezione, per modo, che nulla vi
ſi aveſſe di vātag gio a diſiderare ; ma tanto , e tanto egli vi ebbe a
ſofiſtica re , che meritevolmente forſe perGalieno ,e per altri ne venne più
d'una volta ripreſo , e proverbiato ;mad'altra parte per altriſommamente
commendato , come ſi può ve. dere in Plinio . Arteriarü pulfus in cacumine
maxime merebro rū evidens in modulos certos,legeſq; metricas, per atates , fta
bilis , aut citatus , aut tardus defcriptus ab Herophilo medici na vate miranda
arte . E queſto accrebbe in modo la ſua fama , e buon nome , che nulla più ;
promettendoſi cgli , e dando altrui ad intendere, che col mezo de'polli , com'
ab biamo con Galieno accennato , poſſanſi avviſare ancor les coſc impoſſibili a
conoſcere; come ne’barbari ſecoli comu liemere li vider poſcia farei medici
coll'orinc , colle quali fa Tt cean 330 Ragionamento Quinto 1 cean veduta
diconoscere pienamente lo ſtato de'malati , e de’lani; di che ancor qualche
veſtigio tuttavia nella noſtra Italia , e altrove ne rimane . Mache / a'tempi
noſtri in va rie .guiſe noipur veggiamo da qualche medico ſcaltrito porre in
uſo si fatte frodi, e riportarne ſempremai premj, e laudi non ordinarie. Ne è
da maravigliare ; perciocchè il mondo gode in tal guila d'effer ſemprcmai
uccellato ; il che apertamente ſi fa vedere dalla grande ſtima , chevien fatta
della Srologia , e della Gabbala , e d'altre arti vane , e ſu perſtizioſe ; e
tanto prevalſe, e montò in pregio con fomi glianti artificila gloria d'Erofilo
, che di baſſo, e rintuzza to intendimento' , e come della ſua dottrina
incapaci venis van giudicati coloro , che ſi dipartivano dalla ſua ſcuola ;
perchè diſſe Plinio di lui favellando : nimiam propter ſubti bitatem defertus:
e della ſua ſetta facendo parole : deſerta hac Secta eft , quoniam neceffe erat
in ea literas ſcire. S'af faticò parimente Erofilo , come Galien riferiſce, in
inve itigar la natura dell'erbe ; e dir ſolea , non haver così gra ve, e
pericoloſa malattia ,che non ſi poteſſe coll’erbe curare ; ma non però di meno
il valor di molte di quellenou effer conoſciuto , e alcune di loro gran virtù
avere ' , le qua li tutto dìda noi fi calpeſtano : inde plerofque, fono parole.
di Plinio, ita video exiſtimare , nihil non herbarum vi effici poffe , fed
plurimarum vires effeincognitas , quorum innume 70 fuitHerophilus claras
medicina , à quoferunt dictü quaf dam fortaſſis,etiam calcatas prodeffe. Solea
far altresi grá diffima ſtima Erofilo dell'Elleboro ; il quale, come altrove
vien ſcritto dal medeſimo Plinio, veniva pareggiato da lui ad un fortiſſimo
Capitano ; perchèturbate egli avendo en tro il corpo tutte le coſe ,foffe poi
il primoa uſcirne: elleború fortiſſimi Ducis fimilitudini aquabat ; concitatis
enim intus omnibus,ipfum in primis exire.Mada ciò apertamente ſcor geſi, che
poca , o niuna contezza aveſſe Erofilo di quelle nobiliſſime medicine , le
quali ſenza recar moleftia , e dan no niuno ſon valevoli a domar le più gravoſe
, e feroci ma lattie: e ch'egli altresì ignoraſſe ilmodo , per lo quale la
fciandogli intera la parte giovevolemedicinale,ſi toglie all '. Elle Del
Sig.Lionardo diCapoa. 331 Elleboro la velenofa ; ſenzachè non è miga vero ciò
ch'e . gli trancaméteafferma , che l'Elleboro fia il primo ad uſci re ;
imperocchè talora non li diparte dallo ſtomaco , e dall altre viſcere allo
ſtomaco proſſimane,ſe nõfe ha fatto vuo far egli all'infermo in prima quanto di
cattivo , e di buono nel ſuo corpo ſi ritrovava. Non è ſtato adűque in medicina
il valor d'Erofilo così grande , quale il ci narra millantan do la fama , Ma
doveva Io certamente aſſai prima far parole di Me necrate da Siracuſa; il quale
col fuo ſtrano modo di filoſo fare, e di medicare rinnovar volle l'antico uſo
di Apollo, e d'Eſculapio , facendoſi venerar come un Dio. Ma a bello ſtudio
venne da me tralaſciato , per non haver Io potuto p quanto lo mi vi fia
affaticato , niuna contezza aver mai dėl ſuo liſtema; ritrovo ſolamente di lui
, ch'egli ſcriſſe , per quel,che ne narri Galieno , un libro de'medicamenti ,
de quali egli molti da ſe ſteſſo trovò , Fu egli Meneçrate così ſuperbo ,
ambizioſo , e vano, che non volle egli giammai denajo , o altro premio
dagſinfer mi di mal caduco , che guarivano per le ſue mani ; folo ri. chicdea ,
che eglino ſuoi ſervi fi doveſſero confeſſare, e che col nome di Giove
l'aveſſero a chiamare , e come Gio ve il doveſſero onorarc.Solea egli ſpeſſo in
mezzo a coloro , traveſtiti, chi da Ercole , chi da Apollo , chi da Eſcula pio
, chi da altro Dio minore , a guiſa di Giove con coro na d'oro in teſta , colla
veſte di porpora , e collo ſcettro in mano farſi in pubblico vedere , 1.a qual
si ſciocca traco tanza imitar volle Ottaviano Ceſare , quando, come rac conra
Suetonio , con gli abiti d'Apollo fra huomini, e fra donne rappreſentanti Dij ,
e Dec, e'feder yolle in un ſono tuofo convito ; Cum primum iftorum conduxit menfa
choragum , $exque Deus vidit Mallia , exque deas; Impia dum Phabi Cafar
mendacialudit, Dum nova divorum cænat adultera : Omnia fe à terris, tunc Numina
declinarunt, Fugit auratos luppiter ipfe thronos , Tt 2 1 Ma 332 Ragionamento
Quinto . ! Mapiacevole egli è a udire ciò che avvennea Menecran te con Filippo
Rè diMacedonia , comechè Plutarco dicas con Ageſilao Rè di Sparta; ſcriſſe a
Filippo egli in sì fatta guifa Φιλίπσω Μενεκράτης ο Ζεύς εν πτά θαν: maFilippo
trattado lo da pazzo, qual egli veraméte era, così gli riſpoſe : dínia πος
Μενεκμάτα υγιαίνειν συμβελεύω σοι ποσάγαν σεαυτόν επί τοϊςκα στο Ανήκυραν
τόποις · ηνίδετο δε άeg δια τούτωνόππαραφρονώο ανήρ . Vna volta anche il
medeſimoRè invitò Menecrate a deſinar ſeco,egli fe porre un deſco da parte, facédoglidar
cótinua méte incenſo, in tépo,che gli altri convitati in altra tavolas
allegramente ciurmavanſi , e facevan gozzoviglia. Mene crate nel principio
fommamente godeva dell'onore fattogli dal Rè , come å un Dio; ma poichè gli
ſopravenne la fame, e gli fè vedere , ch'egli era huono, comegli altri , fi
parcì dolendofi , e lagnandofi fortemente della beffa fattagli dal Rè . Mi ſi
fan davanti ora Neſiteo, Filotimo, Eudemo, e M2 rino , i quali comechè
ſommamente cominendati, e in pre gio avuti foſſero da Galieno , è da dir
nondimeno , che no troppo bene filoſofaſſero cglino in medicina , c che molto
poco altresì valeſſero in notomia ; ficome da qualche lor ſentimento rapportato
dalmedeſimo Galicno, apertamen tc per ognun ravviſar ſi puotc . Maintra le ſette
più chiare , e più famoſe , che nell'air tiche ſcuole già s'inſegnavano della
razional medicina ( ſe cgli s'ha riguardo alcorſo non mai interrotto Per volger
d'anni , oper girar di luftri) che nelle Città , e nelle Provincie più nobili s
ove la greca fapienza era in pregio , glorioſamente fiorirono : o le pur fi
mira all'onore , alla fama, e al numero ragguardevole de lor maeſtri, niuna
certamente , s'Io pur non vado errato egliſembra , che agguagliar fi poffa ,
non che antiporre a quella , che da Crilippo in prima ritrovata , indi per
opera di Medio, e d'Ariſtogene celebri tra' ſuoi ſcolari,maſopra tutto per
Eraſiſtrato ſommamente accreſciuta ne vennc , e ftabilit2. Quinci ſi può
agevolmente conghietturare ché te , e quale egli ſtato ſi foſſe il fapcre, l'avvedimento,
law fpe . d 0 0 1 1 1 DelSig. Lionardo di Capoa. 333 i 1 ſperienza , e
l'induſtria d'Erafiltrato , che di Criſippo,d'A riſtogene, e di Medio nulla
v’abbiam che dire ; ma ciò più aſſai in verità argomentarlece da quelle
pochiſſiine coſes comechè tronche , e ſmozzicate, Che fan col duro tempo afpro
conflitto, che di lui nell'altrui opere , e più che in altre , in quelle de
ſuoi einuli tuttavia ſi leggono ; nelle quali pariinente egli moſtrò quanto , e
quanto oltre condotto fi foffe per le più dure , c ſpinoſe malagevolezze
dell'arte ; intanto che ad acquiſtar meritamente e' ne venne la Signoria curta
della medicina ; e non ſenza ragione certamente venncgià da al cuni
valent'huominicreduto , ch'egli laſciato di gran lun ga s'aveſse addietro nonch’altri,
Apollo, Eſculapio ,e Peo ne medeſimo. Così egli da Appiano Aleſsandrino ,venne
appellato meetóvuje @u ,c Galieno parimé : e con orreuoli, e riverēti maniere
trattandolo, 11011 iſdegnò di ragguagliarlo ad Ippocrate ; chiamando egli l'uno
, e l'altro : iv dožoTátis iørção. E avvegnadiochè pure alcuna fiara moſſo , o
dal zelo della verità , o dall'invidia , o dall'emulazione, o daw troppo
altieris e ſuperbi portamenti de'parreggiatiei ſegua ci di lui, ſconciamenre
egli lo biaſimise prendaa gabbole ſue opinioni ; nientedimeno in tanto pregio ,
e in sì gran , yenerazione ebbe Galieno la dottrina d'Eraliftraro , ches
prender volle fatica di commentarmolte delle ſue opere : e di lui favella più
d'una fiara con molto riguardo, e onor di parole ; e mi ricorda , ch'una volta
infra l'altre togliendo egli ad impugnar una ſua opinione, ſcuſando quali il
ſuo troppo ardimento con eſo luicosì ne favella : Si compiac cia di grazia
Eraſiſtrato , che in quella guiſa appunto,e col la medeſimalibertà lo tratri
lui , e le ſue quam le egli trattar mai ſempre ebbe in coſtume Ippocrate , ela
doctrina di quello . Ne fi dee anche aſcrivere a poca lodo d'Eraſiſtraco ,
ch'egli, comenarra Galieno , ſi foſſe ſtato il primo autore , e introduttore
della vera arte ginnaſtica , e che per opera del ſuo ſenno, e della ſuamano in
piede ſi ri metteſſe ; anzi ſi ritornaſſe in vita la notomia, la quale per
infingardia degli antichi medici già affacco caduta, e ſpen ta fe ne giacea .
Ma 1 opere , colla ! 334 Ragionamento Quarto < + 1 Ma qual maniera egli
tenelle Eraliitrato nell'inveſtigare le cagioni in ſeno della natura
appiattate, e naſcoſe , e quai foſſero i ſuoi ſentimentiintorno a ' principi
delle coſe ſenfi bili , malagevole molto egli è ad avviſare ; impertanto ſi
ſcorge apertiſſimamente , ch’Eraſiſtraço era affai libero nel filoſofare , e
oltremodo ſchiyo , anzi nimico di far pompa appo il vulgo di mentito , e
apparente ſapere ; onde mai non ſi vide ricovrar egli alla franchigia tanto
da’ſofiſti uſi ta , e praticata , delle facoltà , e d'altre fimili vanillime
novelle , e ciance , le quali non altro in verità , che Nomije fenza ſoggetto
Įdolifono, nelle malagevoli , e inviluppate tenzoni della filoſofia , e della
medicina ; nella qualcoſa ,comechè ne doveſſe Era fiftrato con ogni ragione ,
s'Io pur diritto eſtimo , ſomma lode ritrarre , malignamente troppo in verità ,
e a gran for to funne ripreſo , e vituperato da Galieno ; il quale oltre a ciò
ardiſce anchetemerariamente a vituperarlo , e a biafi marlo, perchè ſempremai
moſtrato ſi foſſe ſul filoſofeggia re , duro, e implacabile avverſario
dell'opinioni d'Ariſtote le , nulla curando , che ſuo avolo ſtato e' fi foſse ;
col qua le , e coʻPeripatetici in una ſola coſa convenne, ciò fu nell' affermar
coſtantemente, che per la natura niéte a caſo mai vegna fatto , e poſto in
opera.. Ma non rammentò Galieno , che Ariſtotele , ed Erafi Atrato convengono
bene inſieme anche nel dire , che le re ni, e la milza non fervano a coſa niuna
; ma della milza . prima di tutti ſcriſſe colui ad Ippocrațe, parlando della na
tura dell'huomo, παλίων απέναντι £'δα , πάγμα μηδέν αιτίμο». Furicevuta una tal
opinione da Rufo da Efeſo , il quale dif ſe,che la milza foſse anánt , ni
avevéeyn ,mano già da’ſco Jari d'Eraſiſtrato , come que’ , che diſsero , che la
milza preparaſse al fegato il ſugo da generare buon ſangue , tör το σπλάγχνον
περπαρασκευάζειν το ήπατπ τ έκ ή σιτίων χυμόν ής α' Mateu xensă girsar , Ma
benchè Erafiltrato sì grande , e sì valent'huomo ſi foſſe , e che tanto dalla
natura foſſe favo. reggiato , e di rari doni , ç maraviglioſi arricchito, c per
ső mo sforzo di ſtudio molto avanti fontille nelle coſe dellam! natu 1
DelSig.Lionardo di Capoa 335 matura , e che colla altezza del fuo anino
ſtudiato fi folle di aggiugnere anche talora fin la dove forſe non potè per
addietro pervenire altro intendimento mortale : e coll'e ftremo diſua poſſa di
formareſi foſſe argomentato il fiſte ma della ſua razional medicina ſommamente
perfecto , e compiuto ; nientedimeno più d'una fiata dal diritto ſentier della
verità inolto , e molto lungi ſi trova; e ſi leggon di lui alcune ſtrane, e
ſconce opinioni, comeche in alcune a cor to accagionato talora e' ne vegna da
Galieno' , e in alcun con aſſai fievoli , evane ragioni riprovato ; il che
ravviſa no talvolta , e ſono coſtretti a confeſſare i medeſimiGalie niſti
ancora Ma nientedimeno a grandiſſima ragion certamente vien da Galieno
aſpramente ripigliato Erafiftrato per aver dct to egli, che nell'arcerie nello
ſtato naturale dell'huomo no v'abbia ſangue , ma ſolo ſpirito vitale, ſecondo
lui :e fpiri to' animale ſecondo Criſippo ſuo maeſtro ; coſa', della qua le ,
così evidentemente ne appare il contrario , che forte mimaraviglio ,
comeGalieno quantunque abbondevole d'ozio , e di ciance aveſse potuto darſi
briga di compilare un libro intero per impugnarlo . Ma, o Quanto è'l poter
d'una preſcritta ufaniza ! equanto dileggieri un’huompaſſionato in gravi falli
quaſi inavveduramente traſcorre . I ſeguaci d'Eraſiſtrato per niu na ragionedel
mondo , neper evidenza de'ſenſi , che loro apertamente additaffe il contrario,
abbandonar mainon vollero i ſentimenti del lormaeſtro"; il quale non
altrime ti , che ſe Dio ſtato foſse', ſe preſtar lece in ciò fede a Ga lieno
ſolevan eglino ammirare', e venerare ; avendo per vero , e ſaldo, e indubitato
ogni ſuo qualunque detto. Ma ritornando a noſtra materia ; egli è da creder ,
che dall'o pinion , che reſtè abbiā noi rapportata , prendeſse cagione
d'inſegnar poi Eraſiſtrato , altro non eſser la febbre , che un movimento
inuſitato del ſangue , che dalle vene, dove naturalmente riſiede , all'arterie
tragittiſi: e cheſicome al lor , che non ſoffiano i venti , pofa abbonacciato ,
E nelſuo letto il marfenz'onda giace ; ma 330 Ragionamento Quinto ma ſoffiando
poi fortemente Oſtro o, Aquilone enfia , ed eſce fuori impetuoſo , e rapido
dall'uſate ſue ſpon de, e inonda , ed allaga le piagge tuttc , c le campagne
vici ne ; così anche , fe non v'ha coſa , che l'agiti, o'lcommuo va, dimori
placido il ſangue nelle vene:maſe per ſoverchia abbondanza gonfio , o per altra
cagione ſoſpinto , e agita to mai venga , sboccando ſubito dalle vene , ratto
all'arte rie diſcorra, e ſe quindi dallo ſpirito , che in eſso dimora ſia
altrove riſpinto , vada a fermarſi , e ſtagni in quelle cic che ſtrade , dove
terminano l'arterie ; e quivi riſtrignen doſi, crappigliandoſi, formerà
l'infiainmagione; e la feb . bre ; ecco le ſue parole rapportate da
Plutarco:Nuperds isi zí. νημα αίματG- παρεπιπλωκός ας του τα πνεύματG- αγγείο
απιοαιρέτως γινόμενον • καθάπερ γαρ επί της θαλάττης , αν μηδέν αυτήν κινη ήρες
μί , ανέμε δε έμπνέοντG- βιαία παρά φύσιν , τότε εξ όλης κυκλεται. ούτω και εν
τω σώματι , όταν κινηθήτο αίμα και τότε εμπίπτει μες στο αγγα των πνευμάτων ,
πυρέμενον δε θερμαίνει το όλον σώμα . Αrtifciofotis trovato nel vero , ma che
appoggiato in aſsai poco falde fó damenta non può far , cheda ſe ſteſso non
crolli, e rovini. Manon laſcerò già lo quì di narrare ciò che immagina . alcuno
, ch'altri ſi foſsero intorno a ciò iyeri ſentimenti d ' Eraſiſtrato , e
chemal'inteſi , e peggio ſpiegati a noiſien pervenuti; e tanto più , che come
Galienoavviſa,Eraſiſtra to a ſtudio oſcuro alle volte Con giri diparole
obblique incerte recar ſuole le ſue opinioni ; e che perlo ſpirito egli abbia ?
intender voluto un ſangue ſottiliſſiino ,e di quelle particel le , onde ſi
forman l'etere , e l'aere per la più parte ripicno. Macheche ſia di queſto ,
certamente ſi deecgli credere, ch ? a niuna guiſa mai avrebbe Erafiltrato dato
fuori così inve riſimili, e vane fanfaluche, ſea lui foſse pervenuta qualche
menoma contezza del vero movimento del ſangue; e pure egli vi fu molto da
preſso : imperocchè ravviso , e conob be , che dalle vene all'arterie, comechè
vi lien le ſtrade, na turalmente non ſi tragitti il ſangue ; il che diede
poſcia ca gione a Galieno d'affermare, che l'arterie traggano il ſan gue dalle
vene . Qui riſtette, ne paſsò più avanti Eraſiſtra to, con Del Sig. Lionardo di
Capod. 337 -- to ; comechè la ſua gran virtù molto bene il valeſſe , merce che
non già alla Grecia , ina alla noſtra Italia era la glo ria riſerbata dello
ſcoprire l'aggiramento del ſangue . Oltre a ciò ſi pare ,che ſommaméte lodar ſi
debba Eraliftra 10 , perchè al ſuo grande avvedimento , e induſtria aſcon der
no li potè il ſugo nutritivo ma: pur fallò egli in immagi nando , che quel
ſolamente ſerviſſe a nutricare i nervi , ſe è vero ciò che ne narra Galieno .
Conobbe ancora Erafiftrato le vene lattee; niétedimeno rinvenir non ne ſeppe
l'uſo ; s'accorſe egli anche , ed è egli non picciolo ſuo vanto , che'l
reſpirare non diedes già a noi natura , comeimmaginò con Ippocrate , Diocle, e
Ariſtotele , Perchè'l caldo delcor temprato fia . Ma non potè penetrar egli
nientedimenoil vero ,'e propio uſo della reſpirazione: e perchè alcuni animali
fieno ſtati formati sì , che debbano reſpirare ; imperocchè contendes
Erafiltraco , che la reſpirazione ad altro non vaglia , fe non fe a poterempier
d'aere Parterie ; coſa, che da per fe appar dal vero così apertamente lontana
,cheimutilmente colle fue ciance Galieno impréde a dimoſtrarla alțresì tale.Mafe
Eraſiſtrato aveſſe avviſato, che il sague,tutto che no appaja di coſe
diffimiglievoli eſſer cópofto, pur contenga molte , e molte parti dinatura
diverſisſime avrebbe potuto agevol mente ſpiegare, qual ſia la neceſſità
dell'aere , e della refpi razione neglianimali; imperocchè avviene , che nel
ſepa rarli dalſangue la parte più ſottile , e per così dire , ſpirito ſa , ſi
faccia anche neceſſariamente ſeparazione di varie al tre parti groſſe ;come
nella formentazione del moſto , e d'al tre liquide foſtanze chiaranxente
ravviſaſi ; queſte groffe porzioni, forza è , che s'abbattano, ſeparate
cheelleno ſo no , o nell'acre , o in altro corpo ſimile , il quale contenga
pori acconci a riceverle , e che ricevutele , ſia valevole a tragittarle fuori
de'vafi:a quella guiſa appunto , che al ráno s'appaltano le lordure, le quali
imbrattano il panno, e che col ráno ſe ne van via; e ſe perdiſgrazia
dell'animale qual che tratto di tempo , quancunque aſſai menomo , non fao V u
cel 338 Ragionamento Quinto ceſſe nel ſangue una cal purificazione, intoppando
agevol mente negli anguſti vaſi dieſſo colle craffe porzioni ſepa rate i
ſottiliſſimi formentāti corpicciuoli,ſarebbono queſti incontanente coſtretti ad
abbandonare il movimento loro dılacante; e ſeoltre a'formentanti corpicciuoli
aurà nel são gue abbondanza di ſoſtanze d'altro genere, ma altresì vo lanti ,
tra le quali viliano in copia grande i ſemi del fuoco, così queſti , come
quelle non incontreranno molta diffi coltà a liberarſi da' ritegni ; e ſe vi ſi
aggiugnerà qualche altra circonſtanza , onde , e l'uno , e l'altro movimento ,
e di formentazione, e dicalore rieſca grande , e notabilmée te impetuoſo ,
allora cgli grande oltremodo converrà ch ' avvegna la ſeparazione : per lo che
non baſtando . dilatare , il ſangue dalle groſſe, c importune porzioni
quell'aere,che inceſſantemente negli animali per li pori trapela , abbiſo gna ,
che altra aria mediante la reſpirazione fi beva ; e di quì ravviſato ſenza
fallo avrebbe Eraſiſtrato , che parecchi animali no poſſano vivere colla ſola
traſpirazione, maloro faccia huopo pariméte della reſpirazione; e ſe'l moviméto
formentante non ſarà molto grande , ne verrà da notabile, calore accompagnato ,
allor l'animale avrà di pochiſſimo aere biſogno , e baſteragliquello , che, o
colla ſola traſpi sazione , o con qualche forte ancora di imperfetta reſpira
zione ſuccerà ;e p cal cagione poſſono détro alle acque vie vere i peſci;
imperocchè nell'acque, benchè aere non vi ſia almeno che ſenſibile appaja , vi
ſono impertanto parecchi, e parecchj aliti , i quali cosìdalla terra , come
altronde gli vengono ad ogn'ora ſomminiſtrati; e trapelando queſtinel corpo
de'peſci, adempiono il medeſimo uficio dell'aere col riportarvi quelle
ſoſtanze, che , o nel fangue, o ne'liquori al ſangue equivalenti impedir
potrebbono la formentazio ne, col mettergli giù nell'acqua , acciocchè l'acqua
ſe n’ abbia a ſcaricare, comunicandola all'aere più vicino; il che ſe mai lor
viene impedito , rimangono i peſci poco ftanto privi di vita . Nell'uovo poi ,
e nell'utero eſſendo i mo vimenti dell'animale non molto grandi , e
maſſimamente fra queſti il formentante, ed eſſendo anche oltremodo mol lise
DelSig. Lionardo di Capoa 339 li ; e pieghevoli , e poroſi i ſuoi vali , può
baſtar ſolamente quell'aere,che per li pori vi trapela; e ſe mai dal freddo , o
da altra cagione vegan chiuſi i pori,nõ entrādovi più l'aria, ceſſa nell'uovo ,
e nell'utero la formentazione del ſangue, e ſe ne muore l'animale ; ſenzachè
non è di picciolo mo mento a mantener il debile moto formentativo nell'anima le
racchiuſonell’vuovo ,ilpicciolo ,e rimeſso eſteriore caldo, che o dalla
chioccia,o dalla fornace , o dal fime gli vié comum nicato ; e come tutto dì
veggiamo,nc'vaſi ermeticaméte fi gillati, il calore del bagno,o del fime è
valevole a far sì, che non ſi attuti , anzi duri , e fi accreſca nc'liquori la
formen tazione . Aggiugneſi , che mal ſi può render volante quel la nobiliſſima
ſoſtanza , la quale continuamente a vivificar le parti dell'animale dal ſangue
lor ſi communica,ſenza l'ac re, in cui mai ſempre troyanſi quc'volanti
corpicciuoli, che ajutano la formentazione . Ma laſciando queſto ſtare al
preſente , forſe noi cammi namo dietro la guida d'un cieco ; e altra
peravventura ſa rà la vera opinione d'Eraſiſtrato , la quale a dir il vero vien
portata in sì fatta maniera da Galieno , che ſembra ch'egli, o non l'aveſſe
inteſa , o non l'aveſſe voluta intendere, come fa anch'egli nel rapportare
quellaltre opinioni d'Eraſiſtra to intorno alla cagione ,per la quale ſe ne
muojan gli ani mali nelle mofete . Vuole Eraſiſtrato , per quel che ne nar ri
Galieno , che ſe ne muojan gli animali nelle mofete , e nelle ſtanze chiuſe ,
einfette o dagli alitidella calce, o dal fummo de carboni , per ritrovarli in
sì fatti luoghi l'aere ad un tal grado ſommo di tenuità ridotto , chene fi
riceva dall'arterie , ne ricevuto per eſſe ſi poſſa ritenere; ma con
grandiflima facilità fe n'eſca fuori; laonde per mancamen to di ſpirito egli ſe
ne muoja neceſſariamente l'animales . Prende a gabbo una tal ſentenza Galieno ,
e dice , che do vea dire più toſto Eraſiſtrato ,che ficome nel pane , ne’logu
mi , e in altre ſomiglianti vivande fi ritrova una qualità as noi contraria ,
così ancora una sì fatta diſpoſizione d'ae re ſia bcnigna , e amica agli
ſpiriti , e un'altra maligna , es nimica . Vu 2 M2 340 RagionamentoQuinto 1 ! .
Ma nondimeno conobbe chiaramente Galieno la vani rà del ſuo ragionamento ; onde
vien coſtretto a confeſſare d'eſſergli di ciò naſcoſa la vera cagione; come ſi
può vedere nel libro dell'utilità della reſpirazione ; ma che che ſia di
Galieno , lo ammiro grandemente l'acutezza dell'ingegno d'Eraſiſtrato , e'l ſuo
modo non guari lontano dal vero filo fofare intorno a tal faccenda;e forſe la
fua opinione ſe ſi va fottilmente vagliando non ſi ritroverà tale , quale la
s'im magina, o la fi dipigne Galieno ; il quale a dir il vero ſem brami troppo
groſſo in ciòse materiale,anzi che no , facen dofi egliacredere, che
Eraſiſtrato da lui medeſimo in sigra pregio avuto aveſſe ſognar mai potuto che
Paer pregno del fummo de carbonizfia del puro aere piu tenue, e più ſottile. Ma
lo per me porto fermiſlina opinione ,chc Eraſiſtrato aveſſe fatto differéza tra
fúmo e acre, come da ognun falfi fra l'aere, e l'acqua;e che non altro per
tenue aveſſe egliin tendervoluto , che picciolo , o poco : imperocchè la p.2
rola asfilos, della quale e' li valſe , ſecondochè dice Galie no ſteſſo , non
ſolamente ſuol eſfer preſa da'Greci antichi a fignificare quel che noi Italiani
diciamo foteile , e che da' Jatini ſi dice tenuis ;ma ancora per dinotare,come
ſi può ve derein Ariſtotele , e in qualch'altro autore di que' tempi , quel,
che i latini chiamano , cxiguus , e noi picciolo , o po co diciamo . Or
chidomine non fa , che la dove è aſſai de ſo il fummosivi ſi ritrovi in meno
quãtità l'aere? Conferma fi ciò che lo dico dalle ſteſſe ragioni d'Eraliſtratos
per Ga lieno recate; imperocchè ſe l'aere delle mofetc, e di sì fat si luoghi
egli foffe tal veramente , qual Galien dice ch’af fermiErafiltrato , ch'egli
ſia , cioè troppo ſottile :con gran di ſlīmaagevolezza ſenza fallo penetrar
egli potrebbe alles art erie ; concioſliecoſachè le ſoltanze diſcorrenti tutte
, qu anto più ſottili ſono , tanto più convenga , che compo he , e formate
licno di minutiffime penetrevoli particelle ; lao nde ſcimunito affatto ſarebbe
Eraſiſtrato in dicédo,che per eſſer l'aere delle mofete troppo ſottile,
tragittar egli no lip offa volentieri alle arterie ; ma entrarvi poi allo incon
tro . DelSig. Lionardo di Capoa 341 tro malagevolmente vi potrà l'aere qualora
eſſendo egli pochiſfimo venga con copia grande di denfe , e groſſe fo ſtanze
accompagnato . Ma non ſi ſarebbe vanamente nel vero aggirato infra tante
ciuffole , e anfanie Erafiltrato , ro con diligenza degna d'un sì grande
filoſofante aveſſe poſta ben mente alla natura delle mofete ; perchè
agevolmente aurebbe per avventura rinvenuta la vera cagione , per liza quale in
quellamuojono glianimalisin iſcorgédo la mofe ta eſſer una diſcorréte ſoftāza
più groſſa, e grieve affai dell? aria; e comechè nõ umida, in altro poi non
guari dall'acqux disſomigliāte;e gli aliti della mofeta unirſi nella guiſa me
deſima appunto ,che veggiam infieme unirki i zampillidel le acque, e mátenerf
nelle cocavità nõ meno ſtrettamente uniti infieme , e congiunti , che que'
dell'acqua nelle fon tane fi facciano ; e non altrimenti che l'acqua
incontrando declivo il terreno, correr alla in giù la mofeta . Errò pari mente
Eraſı trato la dove c'credette eller la carne non al. tro, ch'un accozzaméto di
ſangue rappigliatose raſſodato , da che la carne è veramente un compoſto di
picciole, c mi nute fibre ; e di fibre parimenté vengon formate le piccio
liffime glandolette , che ſparſe perentro , e ſeminate vifo no ; c quantunque
la carne del fegato , e della milza paja , nella prima viſta una mafſa di
ſangue , pur nondimeno tal non ritroveralla chiunque mettédola in acqua a
macerare, faccia , che ſe ne ſepari quel ſangue , che vi ftà meſcolato ; che
allora manifeſtamente delle già dettc fibre tutta appa rirà ella refuta. Ma
paſſando ad altro , che in Erafiſtrato lo ho ritro vato ; egli mi ſembra , che
ſi foſſe in qualche ſembian za di verità incontrato in diviſando delle febbri ,
in quella guiſa , che s'è da noiaccennata ; non conſiſtendo verame te in altro
la natura della febbre , ſe non ſe in un tal certo movimento non ordinario , e
non naturale del ſangue ; ma non prende egli a ſpiegar mai poſcia , anzine men
cura, per quelche fappiamo per bocca di Galieno, d'andar inveſti gando , come a
razionalmedico fa meſtieri, le cagioni,on de ciò poſſa avvenire ; il che
avrebbe potuto fareegli age vol 342 Ragionamento Quinta 1 volmenteper
avventura,ſe li foſſe innoltrato maggiormen te nella filoſofia ; ne gli mancò ,
al mio credere , ingegno , ne animo ad una tanc'impreſa acconcio ; ma gli
vennero meno gli ſtrumenti, i quali la ſola Chimica da lui nonco noſciuta
ſomminiſtrar gli potea Ma che cheſia di questo , non potè celarſi all'acutezza
del ſuo intendimento, che la digeſtion del cibo non ſi fà al trimenti dal
calore ; ma inveſtigar nondimeno , e rinvenis non ſeppe egli mai que'
ſottiliſſimi vapori nel ſangue, onde il cibo ſidivide , e li rompe in
minutiſſime parti nello ſto maco ; e comeche conoſceſſe ben egli ancora il
ſangue non eſſer da ſecaldo , non potè egli nondimeno però penetrar mai, onde ,
e come il ſangue caldo diveniffe , e fi conſer vaſſe negli animali . Maper far
qualche parola dietro all' eſercizio del ſuo meſtiere : egli maneggiò l'arte
Eraſiſtrato così magnificamente , che niun'altro tanto mai più ,ne pri ma , ne
poi, per quello , che noi ſappiamo sì ragguardevol mente la ritenne. Ma egli
non ha però dubbio niuno,che col profondo ſapere , colla gran fua diligenza , e
induſtria gli s'accompagnaſſe proſperevole anche la fortuna: la qua le al
maggior huopo nonmancò di favoreggiarlo , avendo egli dalla vicina morte
ſottratto , e penetratane la cagione a tutti naſcoſa della graviſſima malatcia
del regal giovanet to Antioco figliuolodi Seleuco,il quale in ſua lode così fa
, vella appo il noſtro loyrano lirico E ſe non foſe la diſcreta aita Del fiſico
gentil , che ben s'accorſe, L'età fua ſul fiorire era finita, Or chi è per Dio
, che apertamente non conoſca aver avu to in ciò grandiſſima parte la fortuna .
E non potea egli agevolmente ingannarviſi Eraſiſtrato , e in vece dell'oro,
delle dignità ſupreme, degli onori, e della gloria immor tale ,
ch'e'guadagnonne , obbrobrio , e vituperio eterno riportarne ? Ma in ciò imitar
lo volle anzi emularlo Galie no, le pur è vero il ſuo magnifico racconto
allorche e' ſco verſe quella Romana femmina eſſer preſa forte dell'amor di
Pilade ballerino ; c comechè egli vanti aver in ciò ſupe lato Del
Sig.Lionardodi Capoa. 343 . rato il medeſimo Erafiftrato , ſe pur tale appunto
andò law biſogna , qual egli la narra, non però di meno per eſſere fata colei
viliſſimadonnicciuola , non ne riportò Galieno , ſe non quella gloria, ch'egli
a ſe medeſimo attribuiſce , in iſcrivendo a Poſtumo talconvenente . Ma per
toccar qualche coſa intorno alla maniera del medicare tenuta da Erafiltrato,fi
pare ,ch'egli nonmolto ſi Je i Salopsi ſoddisfece , ne troppo ſi valſe delle
purgagioni : delle quali affatto ſi tenne egli nelle febbri ; e dar ſolamente
le ſolea in altre malattie , che'lrichiedeario ; ſi portava egli sì fattamente
con gli infermi,che ſenza lor molta moleſtia, e riſchio alcuno recare , e ſenza
porgerne loro cagione , fol con iſtrettamente cibargli , felicemente conſeguire
ſperava ciò che altri dalle purgagioni, e da’ ſalaſli attendeano. Ma nonmeno
Eraſiſtrato, di quel che Criſippo ſuo maes ftro s'aveſſe già adoperato ,
ftudioſſi egli ancora di ridurre alla ſua antica ſemplicità innocentee, inerme
la greca me dicina ; vietando ſeveramente i ſalafi, i quali s'erano a po co a
poco in tutte le ſette della medicina introdotti ; per chè ſi vede chente , e
quale e' fi foſſe il valore , e quanto grande l'animo di Criſippo , e
d'Eraliſtrato , i quali ebbero ardimento primieramente di far fronte
all'oſtinata bruzza glia del vulgo, e rincuzzare una già quaſi preſcritta
uſanza nella medicina . Ma le ragioni delle quali eglino fi valſe ro a ciò perſuadere,vengon
deliderate da Galieno; ne accé na egli una ſola d'Eraſiſtrato : la quale ſiè ,
che nel ribut tamento del ſangue non ſi dee ſegnare, acciocchè per lo
mancamento di eſſo non vegna poi coſtretto il medico a cibare fuor di tempo
l'infermo ; e in ciò loda grandemente egli Criſippo ſuo maeſtro , il qual dice
, che in ciò ebbe ri guardo,non ſolo alpreſente , ma all'imminente male anco ra
; concioſſiecoſachè al ributcamento del ſangue agevol mente ſeguir ne ſoglia
l'infiammagione, in cuiilcibare ric fce ſenza fallo molto, e molto pericoloſo
a' poveri infermi; ed egli è forteda temere, che chiunque dopo l'etſer legna zo
dee portar la famc gran tempo , non vegna a mancare; indi poſcia ſoggiugne ,
che per sì fatta maniera adoperan doni 344 · Ragionamento Quarto doſi nel
medicare Crilippo , n'acquiitaſſe lode , e gloria immortale . Mas'altra ragione
di ciò ne recalle Erafiſtrato , Io no'l ſaprei diterminare ; non potendoſi
preſtar fede in si fatta materia a Galieno ; cercando egli , come avviſa
eziandio alcun de'ſuoi più parziali ſeguaci , a diritto , e a roveſcio il
meglio ch'e'potea d’avvallar la gloria , e la famad'Erafi ſtrato ; c anche
talora tentando a forza di ſofiſmi, e dica lunnia (trappargli di mano la
ſignoria della medicina. Recar ſi veggiono in mezzo da Galieno alcune frivolei
ragioni de'parteggianti d'Eraſiftrato ; ma da Galieno me. delino per avventura
fognate . Maegli ſi dee fermamen te credere , che non poteano mai, ne Criſippo
, ne Erafi . ſtrato , ne Medio , ne Ariftogene bandire , introdurre , mantenere
in piede poi una maniera sì da quella diverſa ch'era comunemente in uſo , ſenza
farne ben prima pruos va con qualcheprobabili ragioni, colle quali moſtraffera
eſſere ſtati a ciò fare tratti di peceſſità , e non da vaghezza alcuna ; ne poteano
altrimenti facendo difenderſi ne'lini ftri avvenimenti delle malattie ; e forſe
Criſippo , o pure Erafiltrato qualche libro particolare ne compofe non per
venuto alle mani di Galieno; il quale dice chiaramente una volta , che l'opere
di Criſippo crano molto vicine a ſmar richi , e ad eſſer ſommerſe in
perpetuadimenticanza . Ma quando primieramente cominciato foſle nella Gre cia
un sì crudel coſtume d'aprir col ferro , o col morſo di velenoſi vermini le
vene , e colla luſinghevole ſperanza di fottrarla a' preſenti, o
a'ſopravegnenti mali,impoverir dell? unico ſuo ſoſtentamento la vita , egli è
coſa malagevolen aſſai nel certo ,anzi per avventura impoſſibile a diſtinguere;
folamente,che non ſi poſſa porre in dubbio e' mi pare ,che'l crar
ſaugue,nemolto nepoco , ne'primni antichillimi tempi della medicina appoi Greci
in uſo niuno noirera ; ne Ome ro , il qual non iſdegna con abbaſſarſi alle più
menome par ticolarità delle coſe porre in non cale la dignità, e la gran dezza
, e magnificenza convenevole all'eroico poeta , livi de giammai far mézione
alcuna del ſegnare nella cura del le fe . DelSig. Lionardodi Capoa 345 : le
ferite di Marte , diMenelao , d'Euripilo , e di Macaone; perchè , per tacer
d'Achille , e di Patroclo , ne Podalirio ne Macaone, eſſendo favoloſo ciò che
di lai narrali intorno a tal convenente per Celio Rodigino , ne Chironę lor
maeſtro , ne Eſculapio lor padre , ne Apollo lor avolo , ne Peone medico di
Giove conobbero , e.miſero mai in uſo i ſalafli, e ne meno fi fa fe'l
fegnare,da loro mcdelimi i Gre ci trovaſſero , o pur da altri popoli
l'apprendeſſero;macer tamente ciò non poterono iGrecidagli Egizaj antichi ap
parare , i quali per teſtimonianza di Socrate ,da noi altro ve apportata,non ſi
valfero mai di rimedi pericoloſi; ne ore no da’moderni: imperciocchè coſtoro ,
come avviſa Dio doro , altra ſorte dirinedj non ebber mai in uſo , fuoriſo
Jamente , che criſtei , digiuni, purgative medicinc,e vomi tive . E ſi pare ,
che dagli Egizzj nell'altenerſi oglino mai ſempre da’lalaſli veniſſero imitati
i fapiéciflimi popoli Chi neli, nel cui paeſe, che poco cede in grandezza
all'Europa, ma l'avanza di gran lunga nel numero degli abitatori,non di vide
mai , comedicemmonoi già , trar ſangue in infer mità vcruna; il cui eſemplo han
ſeguito quei della Coccin cina, del Giappone,e tutti quegli altri popoli porti
in quell' eſtremo tratto della terra , che bagnata viene dall'Oceano orientale
; e in modo tale abborriſcono i Cineſi medici i falali , che ne i Saraceni ,
allora quando i Tartari occupa rono quell' imperio , neinoſtrive l'han mai
potuti intro durre . ? Ma che che ſia di queſto , chi poſe in uſo primiero il
trar ſangue , Io immagino , che fi movcffe , e ſpinto vi . foffe , non già come
immaginò Plinio ( ſeguito in ciò fol lemente dalMontano, e dal Vonio)
dall'eſemplo del caval lo del fiume ; non eſſendo miga vero ciò , che ſe
neraccon ta, come. Avempalace Arabomedico avvisò; ma dallo ſcor gere forſe ,
che dopo qualche ſpontaneo uſcimento di fan gue,o dalle narici , o da altra
parte ſi vedea cedere in qual che parte il malc e sì crebbe l'uſo del ſegnare
nella Grc cia , checonvenne , che Ippocrate, c.prima gli altri più ani tichi
landaſſero a poco a poco riſtrignendo , sfidando per It' ! 346
RagionamentoQuinto d ſe per avventura di torlo via affatto Ma non ſarà forſe
fuor del noſtro propofito a rap portare ora alcuna delle tante ragioni , colle
quali po trebbeſijs’Io pur non vado errato , sì fatta opinione difen dere . La
vita degli animali ( dico ora vita , largamente parlando x quello , ſenza cui
al corpo, comechè compiuto, e ſufficientemente organizzato; non può l'anima
accoppiar ſi , o ſtar tantoquantoin lui ) egli ſembra , che in altro ve ramente
non confifta , che nel ſangue, o in qualche altro- li quore alſangue
equivalente , che in alcuni animali in vece di quello (i mira . Coſa , la quale
non può punto dottarſi da chiunque avviſa, che collo ſcemo del ſangue fcemaſi
agli aniinali anche manifeſtamente la vita ; perchè ſe non per forte diſtretta
, e neceſſità quello non li convience vuotar negli animali . Ma delle due
maniere , colle quali il ſangue menomac puoſli , ciòſono , ocom trarlo fuora a
viva forza da'vafi , che'l contengono , o con dar ſtrettamé te', e a riguardo
il cibo ; il trarlo certamente è quello , il qual reca nocimento , e danno maggiore
, e più gli animam li affraliſce ; concioſliecoſachèfgorgando il ſangue , con
quello inſiemene ſvaporano quelleſottiliſſime volanti ſo ſtanze: per le quali ,
e del chilo s'ingenera il ſangue, cin , priina de'cibi s'ingenera il chilo ; ne
può il ſangue mantc werſi nel ſuo ſtato, nevivificare le parci dell'animale,
ſenza loro ; il che apertamente da chiunque mente vi ponga; po tendoſi di
leggieri avvilare, non fa luogo, ch'Io ne faccia parole . Quinci chiaramente ſi
vede, c'l confeffa il medeſimo Ga lieno , che potendofi, qualor ne faccia
meſtieri, acconcia mente coldigiuno menomare il ſangue , non fia ciò da fare in
modo alcuno coltrarlo fuor delie vene,maſſimaméteove ègrade malattia
;imperocchè quelle nobiliflime foſtāze ,che detro abbiamo effer nelſangue ,
ajutano oltreinodo gl’in fermia ſtar vigoroſi della perſona ſenza eſſere
diſvenuti, affranti dal male, e giovano affai al mantenimento di quel li ,
cafar laro ricoverar la ſalute ; perchè quanto più gra voſe , e di riſchio ſono
le malattie, più nocevole certamen te è Del Sig.Lionardo di Capoa. 347 O te è
il erar fangue, e men fi eonviene . Malaſciandoda parte ſtare ciò che
berlingando diceſi Galieno intorno al dovere fcemareil fangue , onde preſeg
cagione i ſuoi ſeguaci di continuo aggirarli infra vane , e inutili contefe :
certa coſa è, che'l ſangue può eſſer nocevo le agli animali , o per ſoverchio
di rigoglio , e d'abbondan za, per cui o di preſente cagionar puofli in
quelligrave ma latcia , o perchè egli è sì , e talmente piggiorato in tutto, in
parte , che traligni dalla ſua natura, e non ſi conformica quella
dell'animale:0 pure perchèegli inſieme e malvagio , e ſoprabbondevole s'avviſa.
Ora in tutti , etre queſti caſi certiſſima coſa è , che'l ſegnare è fommamente
nocevole E per cominciar dal ſoverchio del sāgue, chi negherà quel lo non eller
mica vizio nella perſona: ficome anche vizio egli non è nella vita civile
l'effer riccamöte fornito a denari, o d'altro,che meſtier faccia ad huomo per
bene, e agiatame te vivere . E apertamente avviſafi, che coloro , che fom
mamente in ſangue abbondano , ſon più d'aleri forci , e be atanti della
perſona. Ma ficome la copia delle ricchezze , comechè buona coſa quanto a ſe ,
pure ad uſo cattivo da gli huomini adoperandori, ſuol di gravidanni talora
eſſer cagione: così anche l'abbondanza del ſangue , avvegna chè buona , e
laudevole fia ,può talora nuocere , ſeconda mente che per noi ſopra il fecondo
aforiſmo del primo li bro d'Ippocrate già fu accennató . Orrel foverchio del
ſangue può táto nella perſona adou perare , che ragionevolmente ne debba temere
il medico , poco ſenno ſenza fallo farà di lui a volervi riparar col fa Jaffo :
potendo ben eglicon imporre ſtretto digiuno ciò ac conciamente fornire . E ſe'l
male è già fufficientemente appiccato , ne di quello il ſangue punto più
s'inframerre ; che monterà egli attutar la canapa , acciocchè la girandola già
preſa di foco non ſi conſumi? o pur che monterà egli ſpuntar la ſpada , perchè
la ferita fattane fi ſaldi? E ſe pur dura oſtinato il ſangue a tener mano al
male , oglirecas qualche impedimento alla cura di quello , può bene il me dico
avveduto ſenza ricorrere al pericoloſo partito della X X 2 1 : { so 348
Ragionamento Quinto laſſo , con imporre all'infermo , che più o meno fi riman
ga da' cibi : o più , o'meno , ſicomcli conviene , menomar lo . Nein ciò è da
riguardare a ciò che in contrario ſi dice Galieno , cioè , ch'alcuni corpi
v’abbia , i quali non così agevolmente potľano il digiuno comportare, per eſſer
egli no caldi, e ſecchi in compleſſione,e come e' dice, collerici ; '.
concioſliecofachè, per tacere, che ritrovar non ſi poſſa mai ficcità ove ſia
gran ſangue, maſſimamente laudevole,e buo no , qual G ſuppone : e che la
collcra non s'inframetta pun . to nelle vene , nelle quali, come altrove
diviſato abbiamo, ne meno in que'mali, che ſecondo effo Galieno dalla col lera
avvengono , nelle vene ſi trova : e che in sì fatti corpi non poſſa eſſer
troppo abbondevole il ſangue per lo ſmalti mento , che continuo di quello falli
: può bene il medico co medicine , che attutino la collera , e con beveraggi ,
che non facciano ſe non ſe pochiſſimo ſangue, acconciamente a ciò dar riparo ;
ſenzachè in cotali corpi, i quali oltremo do abbondan di collera ,ſicome
faggiamente avviſano Ip pocrate , e Avicenna ,ſon pericoloſi iſalasſi ; e ſe
ciò fonte, c'huom collera aveſse nelle vene , impoſibil certamente egli ſarebbe
, che non n'aveſſe ancor nello ſtomaco : nel qual caſo ne men Galieno medeſimo
ardirebbe a trar ſan . guc agli infermi , per qualunque gran male cglino aver
ſero , Ma ſe'lſangue è malvagio , o cgli è per ſe ſteſſo tale , o pur altronde
la reezza gli vien comunicata. Se altronde gli vien comunicata , non che giovi
mai il falaſſo , anzi egli è ſommamente nocevole ; imperciocchè , non che per
lo trar del ſangue ſi ſcemi mai il mále,anzi ne monterà egli maggiormente , c
più fiero , e rigoglioſo diverranne , ufcé do inſieme col ſangue quelle
nobilisſime ſoſtanze , che di cemmo : le quali poſſono , e nel ſangue , e in
quella parte, ond’al ſangue diſcorre il male, rintuzzarne l'impero :e ſcio
gliendo , e aminendandocacciar via dal corpo per cieche , o per ſenſibili
ſtrade quel caccivo ſugo, onde cotanto attri ſtivali il ſangue . Echi voleſse
ammendare il ſangue coil cavarne dalle vene , farebbe come colui che con trarre
ac, qua * DelSig.Lionardo di Capoa. 349 qua da un lago , in cuicontinuo acqua
ſalmaſtra, o dall'int. teriora della terra ,o altronde trapeli, voleſſe quelle
addol cire . Ma ſe'l ſangue per ſe ſteſſo è cattivo , con trarne parte , non mé
cal rimane, qualſe vin ravvolto, o aguzzo emend.:re ſperaſſe mai ſcimunito
contadino, con trarne dalla botte al quáti maſtelli ; ſenzachè l'infermo ,
perdendo anchequel le menzionate fpiritualı ſoſtanze , le quali ſole poſſono i
difetti del ſangue ainmcndare , il nuovo ſangue , cheper quelle s'ingenera ,
e'l chilo diverranno mai ſempre pig giori . E quinci apertamente avviſar
puofli, che ne merz faccia luogo il ſegnare , quando il ſangue nella perſona ab
bondevole inſieme , e viziofo ritrovali . Ma per farci più addentro nella preſente
quiſtione : l'al terazione , o'l cambiamento del ſangue , o egli è in tut to
effo , o pure in qualche una , o più delle ſue parti, ość. fibili , o
inſenſibili ch'elle ſiano ſi trova ; oveche ſi covi il difetto ,certaméte
inutile affatto, e dáncvole ſarebbe il crar lo ; concioffiecoſachè il l'angue
in guiſa meſcolato per lo continuo movimento della tormentazione , e confuſo ne
vali ſi ritrova , , che non men della parte vizioſa di quello, la buona ancora
col ſalaſſo fuori ne ſcorga; perchè queſta, debile , e infiebolita rimaſa ,
meno certamente potrà rin tuzzare , e ammendare l'avanzo della cattiva . Ma
potrebbe per avventura alcun dire , incontrar tal volta ne'malati, che il
ſangue loro ſia tutto buono: ma che ſol qualche ſoſtanza di qualità cattiva , o
dentro a’ vaſi in generata, o altronde in quelli venuta,come vermini, e altre
fomiglianti ſtrane coſe, chenel ſangue talora anche d'huo mini ſani ſi ſcorgono
, renda quello vizioſo; e allora col fa laſlo ſi poſſon molto bene quelle
vuotare ; ne per altra ra gione alcune malattie ſcemanſi talora , o affatto li
ſpegno no per uſcimento di ſangue dalle nari, o da altra parte del la perſona .
Io certamente , ſe ciò foſſe vero , a sì fatto argomento non ſaprei lo che
riſpondermi : e non che a ſegnare diſtor nerei i noſtri medici , anzi a ciò
ſommamente confortar gli deurei 350 Ragionamento Quinto devrei ; ma in verità
altrimenti va la biſogna; perciocchè, o che nel ságue la vizioſa foſtáza
s'ingeneri , o che altróde a quello avvegna,no guaridopo il ſuomagagnaméto tra
plo moviméto in giro del ſangue ,e per quel della formentazio ne , convien ,
che quella sì, eralmente ſi meſcoli, e li ri volga inſieme con quello , che è
buono , che ſe di tutti , e due non ſi ſgoccino interamente i vaſi , certamente
non ſe ne potrà egli giammai tutto il malvagio ſpiccare. Anzico me in
tutt'altri vuotamenti avviene , anche in quelli, chej per più larga bocca ſi
fanno , certana coſa è , che allora il fangue piùpuro, e più ſottile più
agevolmente ne ſpiccia fuora, rimanendo ſempre quaſi inorchia in fondo ilmalv.2
gio ; ſenzachè può talvolta ne pori de'vaſi sì facramente fare inframeſfa la
cattiva ſoſtanza , che per trarne tutto il ſangue ne mencertamente quindi
ſpiccar ſi potrebbe . Ma ſerbiſi pure ella ſolamente nel ſangue , e per lo cotinuo
ri volgimento di quello ella ancora ſimuova : certamente il caſo ſolo operar
potrebbe, che in paſſando per lo ſpiraglio della vena , trattadalla foga del
ſangue ancor ella per la medeſima ſtrada fuora ne ſgorgaſſe . Ma certamente il
co trario tutto di avvenir veggiamo , maſſimamente nel velen della vipera: il
qual penetrato una volta entro il ſangue,no ſi può quindi per ſalaſſi ritrarre
giammai , ſe non ſe quando di preſente ſi taglia l'offeſa parte ; perciocchè
allora non penetrato ancor molto addentro il veleno , inſieme col fan gue fe
n'elce fuora . Ne dee ſempre il medico avveduto prender guardia d' imitar co'
ſuoi argomenti in ogni coſa la natura ; concioſ fiecorachè non può egli ſapere
comc , quando , e perchè quella opcri. Avvien talora , che s’alleggj, o affatto
ſpe gnaſi qualche malattia dopo uſcimento di ſangue;percioc chè nel tempo
medeſimo incontra per avventura, che la ca gion vera del male, la qual nó avea
coſa che fare col sāgue, come altrove è detto , ſi è tolta via . Talora la
cagion del malce nel ſangue : ma dalle partiſalde nel tépo medefimo
dell'ufciméto , o poco avanti, e prima,che mclcolată fi fof ſe con tutto il
ſangue, a quello mandata ; e talora, perchè nel 4 1 1 3 1 DelSig.Lionardo di
Capou. 351 Ael medeſimo tempo ella del ſangue ſi è partita : e giunta... alle
boccucce de'vali colla ſua mordacità le ſtimola,leapre , e inſieme col fangue
n'eſce fuora . Or fe poteſſe il medico mai per ſenno avviſar sì fatte coſe;
forfe ſarebbegli permel ſo talvolta il ſegnare; ma perciocchè egli èmalagevole
al fai, anzi impoßībile a comprenderle , impoſſibile altresì ſi rendea lui la
pericoloſa impreſa di poter col ſalaſſo vin cer le malattie . Perchè quando
egli follemente s'arriſchia ad adoperarlo , ſi pone inmano della fortuna:e'l
nocimen to , e'l danno è ſicuro , e'l giovamento molto incerto , che ne poffa
all'infermo ſeguire ; e maggiormente che rariſſi me fiate ciò che lo hodetto
incontrar fi vede.Perchè ſcioc chi ſon da ripurar ſenza fallo coloro, che da
quelle pochiſ. fiine volte , che felicemente per opera della natura ciò av.
vcnire ſcorgono gvoglion , che parimente dall'arte ſempre mai ſeguir debbawo
Mafe nel fangue farà per avventura in parte ſcema to il movimento in giro , o
quel della formentazione , allora ccrcamente, non che rieſca giovevole , ma
dannoſo olcremodo ſi ſperimenta il Talaſſo ; imperciocchè per quello fcemandoli
quelle parti, onde al ſangue cagionanſi eſimo vimenti , diverranno eglino ſenza
fallo minori;ma le i movimenti faran creſciuti , comechè fembri , che per ſegnare
debban ceflare , fcemandoſiquelle ſoſtanze nel la perſona , onde effi'
movimenti procedono : non però di meno rimanendo in piede la cagione non
naturale , per cui il' moviméto in giro, e quel della formentazione nelſangue
accreſciuto ſi era , nonſolamentevano ſarà il falaſſo , ma altresì ſommamente
nocevole; perciocchè con quello fi vé gono a tor via dal fangue le ſoſtanze
ſpirituali , le quali ſo le poſlon vincere, e ſgombrare la cagione non
naturale,per cui que’movimenti oltre al dovere , sformatamente accre fciuti ſi
erano ; ſenzachè in que'movimenti sì factamente avanzati , ſi fà grandiſſima
perdita di Sangue : e poco , o nulla fi dee cibar l'infermo; perchèfe vorreio a
quello col ſalaſſo ancora torre il ſangue, egli correrà certamente grá diſſimo
pericolo della vita. Ma 352 Ragionamento Quinto Ma ſe'l ſangue li ferma in
qualche parte falda del corpo, come veggiamonelle infiammagioni avvenire ,
allora non è da ſcemare il ſangue co'ſalaſli : ma sì ſi dee prender guar dia ,
che ſi toglian via le cagioni, onde quello a fermarſi quivi fu coſtretto se ciò
non ſolamente , perchè il ſangue allor dalla febbre , che s'accompagna
coll'infiammagione, grandemente ſcemaſi , e perchè poco, o nulla ſidee l'infer
mo cibare : ma ancora , perchè quantunque ſe ne traggu daʼvafi,quel,che
rimane,ſi fermerà pure Oſtinato quivi,e tā to più ,quáto ſarà facto men
vigoroſo il ſangue a più oltre pasſare;come veggiamo ne'mali della gola , e
della pleureli avvenire ; ę fcorto manifeſtamente ſi è allor che ſpina , o al
tra fomigliante coſa ſi ficca nella carne , che con quantun que ſangue trarre ,
non ſi può far sì, che non vi accorra in fiammagione : evi ſi ripara ſolamente
con trarne la ſpinews ſenzachè col ſalaſſo dipartédoſi dal corpo ciò che
ſcioglier puote il ſangue rattenuto nella parte offefa , ne viene av
montaremaggiormente il male . Neha luogo niuno certa mente quì , o la
derivazione , o la rivulſione , che chia mano i medici , percui eglino tutto dì
ſono a zuffc , eacă teſe in volendo riconciliare alcuni luoghi d'Ippocrate , e
di Galieno : i quali variamente ne favellano; imperciocchè movendo di continuo
il ſangue in giro, da qualunque par te egli ſi tragga , ſempre ne liegue il
medeſiino : c niente ri lieva quantunque l'arterie ſi ſegnaſſero; imperciocchè
vuo. tandoſi l'una parte del ſangue da'vaſi colla lanciuola, inco tanente nuovo
ſangue dall'altra vi diſcorre : ficome in fiue micello avviene, le cuiacque per
varj ravvolgimenti ricor rando a guiſa diconfuſo labirinto s'incontrano : E
mentr’ei vien ,se , che ritorna , affronta , E comechè i moderni per no li
dipartire in medicando da gli uſi comuni, ſi ſtudjno, e s'affarichino dicoglier
pruove ; no però di meno apertaméte ſi vede cheindarno li beccano i geti; per
maniera,che un di loro ebbe manifeftaméte a co feffare, che in ciò deſli ſtare
alla ſola ſperienza; comcchè al cuni più ſaggi,e avveduti affermino le ſperiēze
tutte recate dagli Del Sig. LionardodiCapoa 353 dagli antichi a queſto
propofito eſſer fallaci, e vane.Perchè ragionevolmére temevano i più famoſi
Galienifti, che fiori vano a que'tempi che da prima ſparſeſi la circolazion del
ſangue ,no ſe n'aveſse a travolger tutto, e andar a foqqua dro l'uſo del
medicare comunemente ricevuto ; e queſta fi fu una delle cagioni, perchè un sì
lodevol ritrovato tanto lor rincreſceſse .; el principal.degli argomenti, che
contro a ciò giammai fi ftudiaffero di fare il Riolano , il Primero fio , il
Pariſano ,e altri ſi fu, che come narra l'Arveo: ftão se circuitu phlebotomia
nonrevelli; quit ſanguisnibilominus parti affetteimpellatur . Ma comechènó
ſapeſſe l'avvedu tisſimoGio:Battiſta Elmonte dell'aggirainento del ſangue, pure
ebbe egli tanto d'intendimento ,chegiunſea conoſcer ja vanità della revulſionc
,, .e della dirivizionc ,allor che iit facendo paroic della punta c'diſle: Quam
circumfpečte ſunt Scholæ in fermocinalibus , &artificialibus : que in
natura nil nifi ludicra ſunt! Quoniam etiamfi vena cubiti ufque in cavam totum
depleat cruorem : do hecconſequutive èvena azygos cruorem extrahat ; fcire
tamen deberent ſcholæftatim poft, totumiterum cruorem æqualiter in venas
reftitui : adeò licet.vena cubiti tatapoffetevacuari ( quodnunquam ) tamé mox
iterum totus cruor equareturper totum venarum cótex tum . Vnde manifeſtum fit
vanas efle revulfionis , deri vationis nanias : quippe quibus conceſſis adhuc
non nifi pro paucula mora inſervirent intenţiopi , Perchè ad alcuna delle dette
ragioni, per tacer della ſperienza , riguardando per avventura quegli
antichiſſimi medici della Grecia , i quali prima d'Ippocrate fiorirono , ma in
quel tempo , che'l ſegnare era già nella Grecia in trodotto , furono così
ritroſi , e guardinghi in crar ſangue: ne mai oſarono ſegnar nelle febbri,
anche ardentiflime.Ne Ippocrate medeſimo, come ſi vede nc’libride'luoghi dell'
huomo , e in altre ſue opere , fegnò giammai nelle febbri , ſe non folamente in
quelle , che da grande infiammagione dentro cagionanſi; e in alcuni mali vuole
egli di ſtrettamen te , che da ſegnar ſia con tal convegna , che non vi ſia feb
bre ; e avviſa egli oltre a ciò una fiata , che dopo lungo uſci Y y nicht 354
Ragionamento Quinto 1 1 1 1 1 mento di ſangue dalla matrice d'una donna , le
ſopraven ne la febbre : coſa ,la qual veggiamoanchenoi più d'una volta avvenire
. Ne è punto vero ciò che dice Galicno , che Ippocrate porti opinione , che in
tutte acute , egrandi malattie ſia datrar ſangue;concioſliece ſachè in quel
luogo per noigià recato , in cui ſi conrende da Galieno', che ciò egli affermi
, egli nel vero non di tutti mali acuti vuol che s'intenda , ma di
que'ſolamente , de'quali egli quivi ragio na , sì veramente , che ſien grandi;
e imperò vípoſe la par ticella deg che i Latini dicono fed , o pure verùm , e
noi diciamo ma: della qual particella Galieno in ſu quel luogo non fa menzione
alcuna , e artaramente la tace per poter quello recare a ſuo concio ; perchè i
ſeguaci d'Ippocrate forte ne'l tacciano, dicendo , ch'egli falſato aveſſe il
teſto d'Ippocrate . Ne è da tacere quanto Galien ſi maravigli , perchè una cal
ſentenza non ſia ſtata poſta da Ippocrate negli aforiſmi; e perchè egli altresì
non abbia detto , che ne'mali grandi anche non acutiſi debba trar fangue. Ma ne
men da’Galieniſti medeſimi viene ricevuto e ap provato il lor macſtro Galieno
in quel ſuo famoſo decco : che in tutte febbri ottima coſa ſia a trar ſangue ,
non fola mente in quelle , ch'egli chiama finoche , ma in quelle an. cora,che
da putrefcenza d'umori fon cagionate . E nel ve o eglino in ciò gran ſenno
fanno a laſciar da parte la reve renda autorità del lor maeſtro , e ſtar
guardinghi , e ritroſi di cavar ſangue in tutte ſorte di febbri; anzi licome
eglino nella quartana , e nella terzana ſemplice di ſegnar ſi guar dano ,così
nelle altre ancora ſe sbandeggiaſſero affatto i ſa laſli , o quanto
miglioriſarebbon da eſler giudicati, e più aſſennati aſſai del lor medeſimo
maeſtro ; concioliecolachè nelle febbri maſſimamente acute , e più in quelle ,
che ſino che chiama Galieno, per la ſtrabocchevole formentazione, e per lo
troppo riſcaldamento del langue, cotato egli liſce ma, e s'affraliſce , e
s'infieboliſce la perſona, che pericolo ſo alfai, e nocevole riuſcirebbegli
ilfalaſſo ;ſenzachè dal la ſcarſezza del cibo ancora , e per lo poco
ſmaltimento di quello s’aſſottigliano sì fattitebbricoli, e quali a buccia
eſtreina dimagrano. Ma . Del Sig.Lionardo di Capoa. 355 Ma avvegnapure , che
con ſegnare rinfreſcaſſeli veram mente il fangue, ilche in cotalifebbri non ſi
ſcorge, ſe non fe di rado , eperpochiſſimo ſpazio di tempo avvenire, ri
furgendo teſteſo vie più che mai impetuoſo, e fervente il calore ; non
però,dimeno aſſai ſciocchezza certamente fa rebbe a volerper poco
rinfreſcamento pericolar graveme te la perſona , e manifeſtamente porla a
riſchio dimorte ; perciocchèſovepti volteincontra , che dopo il falaſſo vol
gendofi a maligna la febbre., più coſto n'uccida. E fe pur vogliam rinfreſcare
il ſoverchio calor ne'malati: che non cercar di ſcemarlo con argomenci acconcj,
ſenza metterci al pericoloſo partico de ſalaſſis che non cercar rimedj da to
glier la cagione ,onde nel ſangue colla formentazione il ca lore ſtrabocchevolmente
ècreſciuto , laſciando in lui quel la vital ſoſtanza, che ſola puòl'infermo ne'
ſuoi mali aju tare ? Ma ſopratutto certamente vorrei Io domādare ad Ippo. crate
, e Galieno , perchè eglino diſideravan , che ſi traef fe ſangue fin’allo
sfinimento dello infermo nelle febbri ca gionate da grandi infiammagioni
dentro, maſſimamente.ne' mali della gola , e della punta? perciocchè in quelli
, fico me il inedeſimo Galieno inſegna , ogni ſperanza di riſto ramento
nelvigor.dello infermo allagaſi; ilqual ceſſando molti ſe ne veggion
miſeramente morire , eziandio nel di .chino del male , non avendo in lor virtù,
perla fiebolezza , da poter il puzzo già cotto , e digeſtito ſpurgare. Ma ſe
Galieno non vuole,che ſi tragga ſangue a'fanciul li prima del quatroidecimo anno
per qualunque graviſſimo male elli abbiano , non per altro certamente , ſe non
ſe per la grandiſſima inſenſibil vacuazione , che continuo coloro fanno :
perchè farà eglida trar ſangue nelle febbri , malli anamente sipoche, e in
quelle dell'interne infiamagioni,per cui l'inſenſibil vacuazione , che fasſi
negli infermi è ſenzaw paragone affai maggior di quella de'fanciulli ? Ma per
avventura egli non fu Galieno così amico di ſe gnare., comeſi fanno a credere i
ſuoi Galieriſti ; e forſe più per oggia , e diſpecto , ch'egli aveva nella
nimica ſerta di Y y a d'Era 356 RagionamentoQuinto 1 Eraliftrato , cotanto egli
commendò i ſalali, che per ra . gion , che veramente ve'l traeſſe ; perchè con
tante leggi, ' e convegne , e riguardi egli ne riſtrigne l'uſo , che certa
mente delle diecivolte , che i noſtri Galieniſti ſegnano , ſe bé li mir231on ne
ſaran due per avventura ſecondo il vero ſentimento del lor maeſtro Galieno
adoperate ; e rariſſiine volte certamente quelle ſarebbono , che ſegnar ſi
dovreb be ſecondo il lor Galicno ; ma eglino credendo d'adoperar bene nelle
malattie , con porre ayanti un sì gran rincdio,e sì giovevole, qual e' dicono;
non curano di trarre a' mini feltisſimo riſchio i malati, ordinando largamente
i falasſi in ogni malattia ſenza riſpetco alcuno, anche contro i divi lamenti
del lor medeſimo maeſtro . E comechè Galieno , come teſtè diciavano , n'aveſſe
una volta inſegnato , che ottimo ſia a ſegnare in tutte ſorte di febbri,pur
quando poi più minutamente nevuol divifare raccontando ad una ad una al ſuo
Glaucone le maniere di toglier via le febbri , quaſi dimentico del falaſſo no
nefà motto niuno nella cu ra della ſemplice terzana la qual ſecondo lui muove
dapll treſcenza d'umori ; e nella cura della terzana baltarda egli dubitoſo, e
in nube ne favella , tempellando nel ſuo ani mo tra'l ſoſpetto , e la paura di
non offender con sì fatto medicamento gl'infermi. Perchè ragionevolmente il Ro
rario di ciò avveduto, forte proverbiandolo diinunifeſta contraddizione nc'ſuoi
ſentimenti l'accagiona: quum aliud videatur proponere in univerſali methodo ,
ficome e' dicu , quàmin particulari exequatur . Ma non che Galieno die
fcendendo al particolare, a ciò che prima accennato ave va in univerſale,
minutamente fi conformi; anzi cotanto fciocco , ebalordo egli è nelle ſue
regole , come già diviſa to abbiamo , che in preſcrivendole in univerfale ,
fache ſo vente l'una all'altra contraſti, e vicendevolmente fi com battano .
Così nel libro del modo di medicar per via di fa lasſi,contro il rapportato duo
diviſamento dice : lo dimos ftrerò in queſto libro , che non che a ciaſcuno
convenevol fia il falaſſo , anziche ne men coloro , ch'abbondan oltre fiodo ia
langue , fian da ſegnare , ſe prima manifeſtamente non DelSig. Lionardo di
Capoa 357 fa non ſappiafi. di qual natura fia l'abbondanza del lor fan gue : e
quale lo ſtato dello infermo, e gli anni, e'l luogo , e la ſtagione , e la
complesſion dell'aria ſia : e chenti, e quali fegniabbia egli patito' o patiſca
nelcorſo della fua ma lattia; per ciaſcuna delle quali convenienze dice egli di
do verne inaniteſtamente dimoſtrare , che molti ſenza graviſ fimo for dáno
ſegnar non ſi poffano . Ecco le ſue parole : Εγω επιδείξω κατατον εξής λόγον ,
και μόνον άπαντας και δεομένες φλεβοτομίας , αλ' εδέ τες πληθωρικές αυτούς , εαν
μη πεότερον αυτό το πλή θG- , οποίον πτην φύσιν εα διορίστι μετα τούτα την έξιν
του κάμνονlG Xoxíarte , xai megy, noi xwegen wij , satíscos , @osc te thonyera
, sche όσα περεστ τω κάμνονασυμπώμας καθ' έκασον γαρ τούτωνεπιδείξω πολ . λους
μη φέρον ως αβλαβώς την φλεβοτομίαν . Ωltre acio avendo Galieno nel libro cótro
di Eraſiftrato , e altrove inſegnato , che del ſoverchio ſangue trar G debba
copioſamente infino allo sfinimento ; nel quarto libro poi del inetodo eglicer
tamcnre in miglior ſenno rinvenuto affermanon cffer il ſo verchio ſangue
indizio del ſalaffo ; perciocchè ſe huom ſa no sformatamente in ſangue abbonda
, non è egli si toſto da ſegrare : ma sì fi dee con purgagioni, e con
menomargli il cibo , c con iftropicciamenti e, altri rimedj ajirtare. Co sì
anche egli inſegna nell'undecimo del ſuo metodo , che nella febbre ſinoca no
debba il medico troppa copia di sã gre allo infermo trarre : acciocchè il
debito alimento alles parti rimanga , ne fia ſtretto l'infermo per ricoverar le
ſinarrite forze a doverſi troppo ghiottamente nutricare ; non però di meno egli
medeſimo altrove dice ſe aver nella febbre finoca fino allo sfinimento ſegnato
. Ma più che in ogn'altronel nono libro del metodo moſtra affai ma nifeftaméte
Galieno quáto egli ondeggiáre, e dubbioſo in torno al ſegnar fia ;
conciosſiecofachè egli quivi dica do verſi trar ſangue di preſente a'malati di
febbre finoca ſenza punto por cura che fia ilfeſto , o'l decimo giorno , o
altro giorno critico : e ciò diſtrettamente egli comanda ſenza ri fpecto alcuno
. Matoſto poi rivolgendoſi,indi a poco ſog. giugne , che ſe peravventura da
altri medici , o dagli asli ſtenti , o dal malato medeſimo ti verrà ciò vietato
, allor tu : debbi - 358 Ragionamento Quinta debbj imporgli beveraggi
d'acquafredda ,e agghiacciata potendoli ciò ſicuramente adempiere ſenza
nocimento al. cuno dello infermo; e ſe ciò pure ſicuramente adoperarnon ſi
puote , allor comanda,che il medico ſi debba ad altri ri. medj rivolgere forſe
più accoci di queſti. Dal quale diviſa méto manifeftaméte s'avviſa quáto poco
fperava Galieno nel falaſſo a dover guarir la febbre ſinocajāzi qnāto egli no
men del ſalaſſo temeva anche dell'acqua fredda: la qual ſe .condo lui ſmaga la
perſona , affieboliſce le membra, e ren de crudi gli umori, e ſveglia tremori ,
e dibattimenti nel corpo , e cagiona nonpocamalagevolezza nel reſpirare . E ſe
con molta ragione egli ebbe nel libro primo del metodo a coinmendare oltremodo
gli antichi medici ; i qualicosì ritroſi, e guardinghi erano in permettere agli
in . fermi vino,o acqua, o altro rinfreſcamento della loro ſete ; che non
altrimenti, che i rigorofi Capitani a’ſoldati comā dino , o i Principia i lor
popoli, cosi eglino in ciò ſtretta mente ubbidir ſi facevano da' loro infermi:
certamente Galieno , ſc avelle creduto eſſer neceſario il falaſſo a cota li
febbri, avrebbe egli il ſuo medico conligliato ,che ripu gnando altri medici, o
gli aſſiſtenti, o l'infermo medeſimo, di quello ſi rimaneſſe ; maſe più a
capital ſenza fallo auuto l'aveſſe, egli ſaldo, e oſtinato nelſuo proponimento
avrebe be pur confortato ilſuo medico a doverlo metter avanti, o pure
d’abbádonardi preſente la cura dello infermo; ficome altrove in ciò che conoſce
neceſſario al ſalvamento de'ma lati, più volte il ſuo medico diſtrettamente
egli ammo niſce Mache direm noi quanto egli generalmente poca ftima faccia de
Calaſſic poco in lor lifidi? maſſimamétein quelli bro , quando contro ad
Eraſiſtrato maggiormente aiz zato , e riſcaldato vuol provar quanto ſia
convenevole , neceſſario a'malari il ſegnare ;allora nel maggior caldo del la
pugna , quali ſchivando la propoſta , che cotanto in pri ma avea preſa per la
punta , li rivolge contro coloro ,i qua li giovani, e mal pratici in medicare,
temerariamente ove non ſi conviene adoperano il Calaſſo ; e sì cutta la colpa
ri yerla 1 Del Sig .Lionardo di Capoa. 359 1 verſa ſopra coloro, i quali
quantunque nel cominciamento del male traggan ſangue', dice nondimeno,cheper
lor dap pocaggine ſpeſſo gravemente pericolano gl'infermi; per chè conchiude
egli diſiderar più toſto , che cotali nuovi uc celloni non s'infrámettano
dibiſogna così pericoloſa ,e più toſto per ſalvamento demalatiſe ne rimangano .
Mamol to aftuto , e malizioſo ch'egli è , ſe per prender riparo di cotanti mal
capitati infermi per lo ſalaito , n'accagiona la tracotanza , e la befraggine
de'giovani e mal praticime dici : come ciò colpa foſſe dell'età di coforo , e
non più to fto del medeſimo medicamento ; perciocchè egli dice' , e
manifeſtamente confeffa, maggiore aſſai eſſere il numero di que’malati, che per
malamence ſegnarſi ſi morirono , che , di coloro , a'quali tratta non fu mai
goccia di ſangue. Eal la per fine egli conchiude, che gran danno , e nocimento
agl'infermi apportano que'medici, che giudicano nel co minciamento di tutte
tebbri doverſi crar ſangue. Ma che che ſia dell'opinione diGalieno,la continua
ſpe rienza di ciò baſtantemente ammaeſtrar ne puote : e ſe li beri d'ogni neo
di paſſione negli uſcimenti delle malattie riguardiamo, ben coinprender
pofliamo quelle per ſalaſli non eſſer mai ſcemare, le per avventura giunte non
ſienoa' termini loro facali se da ſe ſono ſenza argomento alcunori ſtate ; ma
non così negli altri rimedi, i qualivantar poſſo no di riparar veramente alle
malattie , e cacciarle fuora dalla perſona per lor virtù , e giovamento ;
ficome nelle terzana , e nella quartana avviſar puoſli: le quali non cede do
a’ſalalli ; o alle purgagioni, pur dalla ſcorza del Perù só vinte , e
fignoreggiate ; perciocchè quella ſolamente è ri medio acconcio loro ,e non già
il falaſſo, o la purgagione,le quali coſe più coſto offédono ,che giovano in
corali malat tie.Nein ciò voglio lo diftédermi al preſente,co farne lun ghe
pruove: ſolamente rapporterò l'avvenimento del Sere niſlimo Cardinal Infante;al
quale comechè per li tanti ſa laffi non foſſe rimaſta gocciola difangue nella
perſona,pur. dura , e oſtinata la ſua febbre non ceſsò mai , ne rifinò, fin chè
cacciollo diqueſta mortal vita . Anno 1641 Noven bris 300 Ragionamento Quinto
bris diſſectum fuit curpus Principis FerdinandiHiſpaniarum Regis fratrisCard .
Toletani, qui 89.diebus tertiana febri agitatus obiit ætatis 32.annorum .
Etenim fublatis cordes bepate, cu pulmone , adeoque difettis venis ,arteriis,
vix cochlear cruoris in cavuum thoracis confiuxit ; planè nimiru hepar oftendit
exangue: cor verò inſtar crumena flaccidum : biduo enim ante mortem plus
ediffet ,fi ipfi conceffum fuiffet , Fuit enim per venæ feitiones ,
purgationes, hirudineſque ità exhauftus , ut dixi; non definebat tamen tertiana
fuum sypă Servare. Ne muove punto ciò , che ſi porta per Galieno , ſe pur cgliè
vero , di quelmalato difebbre ſinoca, che ſegnato da lui fino allo sfinimento
ſi guarì ; concioffiecoſachè veg. giam noi molti, e molti guarir turto dì da și
facte febbri ſenza verſargoccia di ſangue ; ed'altra parte infiniti anche ſono
coloro ,come teſtimonia il medeſimo Galieno , i qua li fino allo sfinimento
ſegnati G morirono; e coloro ancora, i quali a peſſimo ſtato della lor ſalute
ne giunſero : e coloro , i quali anche per teſtimonianza del medeſimo Galieno
,co loro grandiſſimo riſchio ,dopo ſegnati fino allo sfinimento , affieboliti ,
e raffreddati di tutta lor perſona n'ebbero ſudo ri grandiffimi, e ſoccorrenze,
comechè poi loro ne folie ccffata la febbre. Ne di ciò è punto da maravigliare;
con cioſliceofachè tra per lo perdimento del ſangue,e degli ſpi riti s'agitino
, e ſi perturbino sì fattamente le parti (alde, e diſcorrenti della perſona ,
che per lo ftrabocchevol rime ſcolamento ſe ne viene a fommuovere,e disſipare
la cagione della lor malattia : e sì rimangono liberi , e lani di preſente co
non poca maraviglia de’inedeſimi medicanti. Così veg giamo per ira , o per
timore, o per altra grave , e ſubitana paffione le gotte , e le quartane , e
altre dure , e pertinaci malattie eſſer di preſente riſtate. Quinci manifeſtamente
ſi comprende , ſciocchi oltremo do , e ſcimuniti eſſer coloro , i quali per
picciol ſalaffo per fuadonſi aggiugnere a ciò , chè Galieno con largamen te
trar ſangue fino allo sfinimento aggiugner fi crede va ; perciocchè coſtoro per
non porſi a riſchio d'ammaz zare Del Sig.Lionardodi Capoa : 361 1 zare i malati
nonolano loro con iftrabocchevolmente rea gnargli torre affatto le forze,e sì
porli in bilico della lor vie ta ; ma si mezzanamente ſegnandogli certamente
non po tranno mai muover a rimeſcolamento le parti falde', e di fcorrenti del
corpo , onde taloramaraviglioſamente,come chê con non poco riſchio della
perſona , ſi riftanno le ma. lartie ; perchè da’loro falaffi altro certamente
ſperar non ſi può , che certisſimo danno, e nocimento ſenza ſperanza di
riſtoramento alcuno ne'malati . E fenza fallo gran ſenno fanno coloro , che ne
più , ne meno ſegnano , pereſſer i ſa lasfi ne'malati, o gravemente dannofi , e
di riſchio , o affat to inutili . E a ciò riguardando i più pratici , e vecchi
nel meſtier deilamedicina,ritrofi oltremodo , e guardinghi ſo 110 nel fegnare :
ficome Raſi, e altri valeuti medici nell'ulti- , ma lor vecchiaja dalle
continue pruove addottrinati, nois mai ; ſe non molto di rado , e con
grandisſimo riguardo ſi videro adoperare i ſalasſi. Mainoitri medici , comechè
di ciò pure fien ſufficientemente ſgannati , e ricreduti , pure per non metter
affatto in miſaſo l'antichisſima coſtuma de ſalasſi , e si laſciare anche in
ciò la medicina del lor mac. ſtro Galicno , così ſcarſamente, e a biſtento
ſegnano , ch'o ve gli antichi medici largaméte traevano il fangue a libbre ,
coſtoro ſolamente il traggono a pochisſime once; ritenen do così ſolamente in
nome , e per veduta l'eſler Galieniſti in trar ſangue , quando in verità non
ſono. Ma per ritornare allamedicina d' Eraſiſtrato , egli fem bra, per quel che
nemoftriGalieno , che della materia de medicamenti egli ſi foſse allai ben
conoſciuto ; e viencegli oltrcmodo da Galien celebrato : perciocchè
pellegrinando egli, e non avendo una fiata in acconcio una ſua medicina per lo
ſtomaco , ponetie ſaggiamente in opera alcuni ſughi d'erbe,le quali quivi
abbondanteméte erano;eGalien pari mente di luiracconta , che trovandoſi cgli
medeſimo un giorno infermo in contado, e abbiſognandogli al ſuoma lc il
paſtello d'Androne, ne potendolo quivi avere, in luq go di quello aſſai
felicemente adoperò il ſugo del Rovo ; c ſoggiugne Galieno , chee'non venne
Eraliſirato a ciò fa Z Z 1 1010 362 Ragionamento Quinto re ſoſpinto altrimenti,
o perſuaſo', come millantavano Sea rapione , e Menodoto, dal paſſaggio, o
argomento dal fi mile al fimile , non avendolomiglianza niuna tra'l paſtello
d'Androne, e'l ſugo del Rovo,madalla general contezza , la qual egli avea della
facoltà de'ſemplici ; per la cui' mea deſima ſcorta,ad emulazioned'Eraſiſtrato
ritrovò poiGa lieno parimente quel medicamento , che'l fa tanto ſtraboce
chevolmére pavoneggiare,cioè il ſugo delle noci.Or penſa te voi che ſchiamazzio
avrebbe farto egli, e qual loda avrebbea ſe ', e ad Erafiltrato attribuita
Galieno , ſe qual che menoma delle chimiche medicine aveſſer potuto mai eglino
rinvenire . Ma ne Eraſiſtrato , ne Galieno ſeppero mai' , che nel ſugo del Rovo
, e delle noci viabbia un ſale adatto a ſciogliere molte, e molte di quelle
materie , onde ingenerar fi loglion le poſteme; e che non ſolo i fughi già
detti ſono riſtrignitivi,mavalevoli anche a fare cambiar na tura a quelle
acetoſe ſoſtanze', oude s'ingenerano l'infiam magioni . E quinci ſi ſcorge
apertamente , chevada errata in ciò la medicina razionale antica , la qual ſi
crede , uſana do medicamenti sì fatti nel primo cominciamento dell'in
fiammagioni, porre in opera coſe , che di ripercuotere, o di riſtrignere
ſolamente abbian valore. Maritornando a noſtro propoſito : bé potea anche effer
agevolmente vero ciò che diceano que’gran lumi dell'em pirica medicina ,
Serapione , e Menodoto , che da qualche ſomiglianza no penetrata da Galieno
tra'l Rovo,c'l paſtel lo d'Androne indotto ſtato foſſe Erafiſtrato a ciò fare ;
e in verità tra'l Rovo , e la Galla ,per tacer del vitriolo , onde vien formato
il paſtello d'Androne, potea non che Eraſi ſtrato , ma huom di mezzano
intendimento di leggieri av viſare eſſer non poca lomniglianza . Maquanto sì
fatta ſo miglianza poſſa ingannare , non ſi richiede gran forza di loica a
farlo vedere ; e ſe , come pare a Galicno , Eraſiſtra to avea una general
contezza de’medicamenti per quella acquiſtata , certamente egli l'avea per
iſperienza , o da fe , o da altri fatra , la quale agevolmente può eſſer
fallace : 0 pure per via di ragioni non meno della ſperienza ſoſpettes d'er 1 1
1 Del Sig.Lionardo diCapoa . 363 d'errori, e d'inganno.; perchè in un punto
cosi principale manchevole , difettoſo , e incerto il fiftemadella razional
medicina d'Eraſſtratoanche ritro.yafi. Ma trapaſſando ad altri : Io non ſaprei
dire s'empirico e ſi foſſe , opur razionale quel famoſo medicante Petronas, il
quale dopo Ippocrate , maprima d'Erafiftrato ebbe ad introdurre un iſtrano , e
non più veduto , o intero modo di medicar le febbri . Solea coprir egli i
febbricoſi di tanti pannilani,che loro ſi yeniffe a creſcere olcremodo il
caldo, e la ſece; matantoſto, che incominciava il febbril caldo as ſcemare, ei
facea loro pienetazze trangugiare di freſc'.ac qua , il ſudore aſpettandone; il
quale ſe non compariva, di nuovo tacealorbere nuovaacqua, e proccurava
ch'eglino vomitaſſero ; riſtata poi la febbre , gli cibava di carne di porco
arroſta , econcedea loro liberamente il vino ; maſe la febbre non ſi partiva ,
facea bere agli ammalati acquad calda, e fale per render lubrico il corpo; e in
queſto tutti igrantrovati della ſua medicina eran ripoſti. Mamipare da non
dover logorare indarno il temponella cenſura d'un sì fatto modo di medicare ; e
comechè in alcune fortidi febbri , e in qualche huomo gagliardo , e ben atante
della perſona non foſſe per avventura fuor di ragione il farlo tuttavia in
tutte ſorti di febbri, in tutte perſone, egli fem bra certamére una ſciocchezza
non punto diverſa da quel la d'alcuni medici de'noftri tempi: i quali non con
altro che .colle purgagioni , e co'ſalali immaginano ciaſcuna gene razion
dimalattic rilanare . E più ragionevole certamente egli ſembra la manicra del
medicare alcune febbri, dagli Albaneſi uſara ; i quali nel cominciamento di
quelle foglion dare all'infermo vin generoſomeſcolato.con iſpezierie, fimile al
vino ippocra tico , e al vin brugiato degli Inghileſi. Ma quino ſi può
certaméte lodare il cófiglio diCornelio Celſo, che nelle febbri lente tratto
tratto fidebbail corpo imbagnar con acqua fredda meſcolata con olio ; che in
tal guiſa egli credette , che ſi verrebbe a riſvegliar il riprezzo, e
conſeguentemente anche il calore, ondeagevolmente ne Z 2 2 po 364 Ragionamento
Quinto potrebbel'ammalato guarire : fæpe igitur, egli ſcrive , et aquafrigida ,
cui oleam foc adječium, corpus ejus pertractan-, dumeft ; quoniam interdum fic
evenit , ut horror oriatur, ds . fiat initium quoddam novi motus , exque eo ,
quum magis corpus incaluit ,fequatur etiam remiffio. Ma quantunque alcuna fiata
a ciſo poſſa il fatto nella guiſa da lui deſcritta accadere , ed agli ammalati
alcun pro avvenire ; pur non dimeno ſenza manifeſto riſchio non va la biſogna ;
impe rocchè ſe altrimenti riuſcirà , n'andrà ſenza fallo da male in peggio
l'infermo. E quinci fi ſcorge con quanta ragio ne abbian laſciato i Galieniſti
il pericoloſo modo, col qual guarito aver fi gloriava la febbre finoca Galieno
, confar uſcire il ſangue dalle vene per via del falaſſo , fino allo sfi
nimento dello infermo ; da chefacendoſi gran movimento nel corpo fogliono i ſudori
copioſiſſimi,e l'uſcite del corpo , e'l vomito anche talora , come avviſa il
medeſimo Galicno, avvenire ; per li quali , e per le quali o ſperano , che
debba mancare affatto ,oin parte la febbre . Ma in vano certa mente eglino poi
attendono tal opera da’lor piccioli ſalallı; al che non dovette aver riguardo
Avicenna,la ove diſſe el fer meglio affai accreſcere il numero, che la quantità
de’la laffi ; cioè più cofto in più volte il ſangue , che tutto inſie metrarlo
fuori , Ma per più d'una pruova avviſando il grand'Atenco , fra quante traverſe
, fra quanti viluppi , fra quante incertezze vacillanti s'andaſſer ad ogn'ora
aggirando le varie , e tra effo loro diſcordanti dottrine, che per le fcuole
più cele bri della razional medicina nellaGrecia s'inſegnavano,im preſe
anch'egli una fabbrica di novello fiſtema di medici na ; perchè tutte le forze
del fuo acutiffimo intendimento egli vi poſe in opera ; c tanto in ciò fare
ebbe ſeconda las fortuna, che da molti valent’huomini vennero a gara le ſue
opinioni ricevute , e approvate ; e per tutto quel tempo , che le lettere
fiorirono nella Grecia , e nel Romano impe. rio , celebre fi manterne la ſua
Setta , e in buon nome, las qua le ſpirituale venne chiamata ; imperocchè una
fortiliſ ſin a fpiritual ſoſtanza clla immaginava ; la qual per tutti i 1 corpi
Del Sig.Lionardo di Capoa 365 corpidell'Vniverſo diſcorrendo mai ſempre, e
penetrando, non meno il grande , che'l picciol mondo regger doveſſe ; é dove
ella non foſſe primjeramente offeſa ,non poteaſi, fe condo il ſuo ſentimento ,
male alcuno ingenerarſi; il qual diviſaméto ſi parve egli, che’n parte adombrar
voleße Vir gilio in prima dicendo . Principio cælum , duterram ,campofque
liquentes, Lucentemque globum Luna, Titaniaque aſtra Spiritus intusalit
:totamque infufa per artus Mens agitat molem , & magno fecorpore mifcet. E
poi Torquato Taſſo Ele menzogue antiche Di chifiloſofando , e menie , e Spirto
Dieda queſta mondana , ed ampia mole ? Il qualper entr'a lei trapaſa, e ſpira ;
Com'a lor parve , e'l Cielo , e l'ima terra , E laſpera delſollucente, e vaga ,
E’l globo de la Luna , e l'auree ſtelle , E de l'aria , e del mare i larghi
campi Nutre , e miſto al gran corpo in varj modi, Move agitando le
diverſemembra ? Ebbe la ſetta fpirituale oltre ad Ateneo, e a Criſippo fuoi
principi , e alMagno , ad Agatino, ad Erodoto , altri , e al tri valentiffimi
huomini, che colle loro opere univerſalmé te avute a grado ,ſommamente la
nobilitarono , e l'illuſtra rono ; e fra gli altri Archigene:il quale , tra per
lo medica che felicemente mai ſempre fece , e per li tanti doctiſ ſimilibri ,
ch'e' diede fuora, ne'quali non laſciò cofa , ne grande , ne piccola, che
trattata diligentemente per luino foſſe nella medicina , non ha che cedere a
niuno , ch'abbia o prima , o dopo lui ſcritto , e medicato infra'Greci ; im
pertanto per la ſoverchia applicazione alla loica , onde a gran ragione talora
vien Archigene accagionato da Galie no : e per valerſieglino della filoſofia
degli ſtoici, i manca mentidella quale altrove da Noi fien conti , difettoſo ,
e fallace moltoegli riuſcì il loro fiſtema di medicina razio nale . Oltre re ,
366 Ragionamento Quinto Oltre a queſto e'miſembra , che riprovino eglino me
deſimi il loro ſiſtema ; imperocchè in medicando le malat tie , poco ,
anzinulla a sì fatto Spirito badar fogliono ; con che danno a divedere non
altro eſſer queſto loro ſpirito , ſalvo che un gentil trovato per fare parer
maraviglioſa al vulgo la lor medicina. Doveano adunque eglino provar in prima
con ſaldiđimi argométi eſſervi un cotale ſpirito; indi diligentemente
inveſtigare , chente ,equal li fia la ſua nas tura , cioè qual figura qual ,
grandezza, equal movimento abbiano le particelle , che'l compongono, e come
egli fac cia le ſue operazioni nelcorpo umano , e come nell'inge nerarſi le malattie
egli offeſo vegna ; e in qual guiſa dar li pofla a'ſuoi diſordinamenti compenſo
.. Poco men che crucciato ſi maraviglia Plinio , in pone do egli mente alle
ſtravaganti pur troppo, e maraviglioſes felicità nelvero d'Aſclepiade ;huomo
com'e'dice , quan to al naſcimento , di condizionemolto vile , e di maſtro di
ritorica ch'egli era in prima , perciocchè aſſai poco gli fruttava , in un
tratto medico divenuto . E sì , e tanto egli adoperò , che nuova ſembianza in
breviſſimo tempo ve ſtir facendo alla medicina , a rimaner ne veonero l'antiche
regnanti ſette ſconvolte tutte , e poco men, che affatto op preſe, e abbattute
; ed egli folo vincitore,e trionfante de gli altri medici , a guiſa di perpetuo
dittatore nella Città donna,e capo del mondo , ne ordinò a ſuo talento , e ne
diſpoſe le leggi: ſupremo, e aſſoluto arbitro , della vi ta , e della morte
diquelpopolo , nelle cui mani ſtava la morte , cla vita d'ogn’uno ripoſta . Ma
fermamente egli fi dee credere , che a tanta grandezza perveniſſe Aſclepia de ,
non tanto com’alcuno immagina, ch'egli ottimo e pro to parlatore ſi foſſe ,
quanto che colſenno, e col valor no punto ordinario viſi portaffe , comechè la
fortuna anch'el la vi concorreſſe con qualche gran fatto ; quale appunto di fu
quello , che vien narrato dallo ſteſſo Plinio ; ch'eſſendo ſi un giorno egli a
caſo incontrato in un miſerello , che per morto era portato alla ſepoltura ,
facendolo egli a caſa rie tornare , con valevoli argomenti in perfetta ſanità
il rimiſe . Eben 1 DelSig.Lionardo di Capoa. 367 . túrós , E ben palesò egli al
mondo la grandezza del ſuo animo' , e la ſingolar fua prudenza: allor , che
prevedendo la fa tal rovina del gran Re di Ponco Mitridate , generoſamente
diſprezzando la gran ſomma dell'oro da colui per amba fciadori offertagli,
ricusò d'andare alla ſua corte . Malale tezza del ſuo acutifſimo intendimento
appieno benmoſtra no quelle, che delle tante , e tante ſue opereſcarſiſſimes
particelle a noi ſono rimaſe ; nelle quali ſi vede apertainéa te , che non
iſchivando egli mafagevolezza niuna, ne ſi fermardo nella prima buccia delle
coſe , s'ingegnava ſeco do ogni ſua poſſa d'internarſi nc più ripoſti ſecreti
della na Primieramente vuol egli Aſclepiade , che non già per caſo, ma di
neceſſità , e per l'indirizzamento della natura ognicoſa avvegna nell'Vniverſo
: e che fa natura altro ve ramente non ſia , che'l corpo medeſino , o'l ſuo
moto : per la cui perpetua, e iron mai ſtanca opera i corpicciuoli, i qua li
cosìpiccinli ſono, ch'alla menteſola permeſſo viene co prendergli , veloci , e
ratti , e con volante foga fra' effo lo ro incontrandoſi , e con vicendevoli
percoffe , l'un coll'al tro cozzando , e forte battendoſi , fi vengano a
ſminuzza rc , e a dividere in minutilíme, e innumerabili ſchegge ; le quali con
diverſi movimenti andando l'una verſo l'altra , e inſiemeaccoppiandoſi, e
congiugnendoſi , prive d'ogni qualità , col moro , col numero , colla grandezza
, collow figura , e coll'ordine le coſe , e l'apparenze tutte ſenſibili
producano;ne eſſere fuor di ragione,egli poiſoggiugne ,che ſien privi diqualità
i corpicciuoli ; concioſliecoſachè altro dal tutto , altro dalle parti ne
ſegua; l'argento è bianco, ma nera è la ſua radicura ; il corno ènegro , mala
ſua polvere è bianca ; ma dovetre dir egli ancora , che le qualità altro non
fieno , o per me'dire altro non le faccia apparire , che'l concorrimento , la
figura , e’l fito , e la grandezza , e l'or dine , e'l moto di que'corpicelli;
perchè allor che concor rono inſieme piccioliſſimi corpicelli , o ſperali, o
piramida li , e con dilatante moto velociſſimamente ver noi fi lancia no , a
formar ne vengono quel ſentimento , che dicalore ſi chiaina. Di 368
Ragionamento Quinto Dice oltre a ciò Aſclepiade,chenell'accozzarſi inſieme,
appigliandoſi le particelle , o ſchegge ſuddette nel formar le membra degli
animali , vi laſciano molti , e molti ſpazj vuoti, per opera delſolo
intendimento compreſi , varj di grandezza , e di figura ; i qualiſe aperti fi
mantengono al tragitto de ſughi, ſi mantiene l'animale ſano , callo incon tro ,
ſe impediti fono per la dimora de'corpicelli ,a far li vê gono ſecondo la
varietà delle parti , e degli ſpazj, varie, e diverſe le malattie ; ma non però
già tutte malattie, ſecon do Aſclepiade , avvengono per la dimora
de'corpicciuoli, fe non ſe alquante ſolamente , come la freneſia , il lecargo ,
le puinte , e lefebbri grandi ; ma altre poi avvengono per ſoverchio aprimento
: e s'ingenerano per la curbazione de ſughi , e degli ſpiriti, per la quale
ſtrabocchevolmente s’al. largano gliſpazj, come nella fame canina , e nella
fover , chia magrezza ſi vede : 0 nuovi ſpazj a viva forza in non , convenevoli
luoghi ſi aprono , come nell'Idropiſia acca de , Vuole oltre a ciò Aſclepiade,
che non iftiano le cagioni operatrici de’mali ne'liquidi corpi ripofte ; ma nel
vero al tro quelle non eſſerç , ſe non ſe le cagioni antecedenti . Si ride egli
di quel grande ſchiamazzio , che fanno i medici in. torno a'giorni critici ;
portando opinione , che d'ogni tem po , com'egli avea avviſato , poſſano
creſcere , e ſcemare, o ſpegnerſi affatto le malattie . Ma per accénar qualche
coſa intorno all'altre parti del la medicina d'Aſclepiade: egliamo di condurre
iſuoi infer mial deſiderato fine della ſalute, con moleſtargli il men ,
ch'c'potea; avendo ſempre in bocca quelle celebri ſue pa role , che vengon per
Cornelio Cello rapportate: tutè,citò, jucundè ;perchè cra egli nimiciſſimo di
que'medicamenti, che così ſovente , e per lo più fuor di teinpo venivan da al
tri medici adoperaticon incerțillima ſperanza d'avere a re , care qualche giovamento
agl'infermi ; e allo incontro con ſeguirne loro licuriſſimo , e pronto il danno
, ela nojx;per chè chiamar egli folea la medicina degli antichi , medita zion
della morte; e molto ben’ayyisādo l'accortiſſimo huo . 110 , e DelSig.Lionardo
di Capoa. 309 mo , e di sì fatte coſe aſſai intendente , quanto poco atten der
fi poteſſe dal'incertezza della medicina , e dalla fiebo lezza de'ſemplici , o
compoſti medicamenti, che in que' tempi erano in uſo , nel ſapere ben regolar
la vita col ci bo , coll'eſercitar le mébra,e altresì fatte piacevoli cole ,
poco men che tutto il sómo del ben medicar ripofc. E nel vero ciò non fe già
egli , come huom crede , da neceſſità alcuno ſtretto ,per no aver contezza, ne
men mezzanamite de’rimedj; anzi egli ſi fu della materia de’medicamenti co sì
ſemplici, come compoſti sì ben conoſciuto , che ſicoine Galien dice ,
egregiamente cgli ne ſcriſſe : e molti, e molti medicamenti di ſuo ingegno egli
ritrovò , e poſe primiera mente in uſo , e ne compoſe un particolarlibro; i
qualime dicamenti, non che da altri foffer mai tacciati , anzida’ine deſimi
ſuoi emuli , e avverſarj commendatioltremodo , e fovente adoperatifurono ;
infra’quali ſi ammira per Galic no quel celebre impiaſtro per le piaghe, che
non ſi dee ri muovere, ſe non ſe dopo tre giornizonde fi pare,che Aſcle piade
apriſſe la ſtrada alnuovo modo in queſto ſecolo in trodotto di medicar le
ferite . Oltre a ciò abborrì egli ſoprammodo le purgagioni; ma fivalſe de
criſtei . Danrò ancora, come racconta Plutarco, ivomiti, che troppo
frequentemente allora erano in ufo, e che a' tempi noſtri ancora fi uſano da
alcuni i quali per dir la colle parole di Cornelio Celſo : quotidiè ejiciendo,
vo randi facultatem moliuntur: ma non già egli il tolſe affatto dalla
medicina,anzivuol'egli, che nelle terzane ſi proccu ri il vomito ; del quale ,
com'c'medeſimo narrazli ſervìnel curar quella nobile femmina di Samotracia . Ne
ſi dee qui tacere , che ſi pare,ch'Aſclepiade vicino ftato foſſe ad aver
contezza dell'elatere dell'aria , come ravviſar ſi puote dal le ſeguenti parole
di Plutarco , avvegnachè coſtuimoſtrino aver ogni particolarità compreſa de
ſentimétid'Aſclepiade: υπομιμνήσκα δε αυπ επι της κλεψύδρας Ασκληπιάδης και τον
με πνεύμα να χώνης δίκην συνίσησεν , αιτίαν δε της αναπνοής την εν τω θώρακι
λεία μέρειαν υπο τίθεται • πεος ήν τον έξωθεν αερα ράν , τε και φέρεσθαι παχυμε
. ρη άνε πάλιν δε αποθεϊσθαι ,μηκέπτε θώρακG- οί'ε πόντος μήτ' έπεισ A23 370
Ragionamento Quinto 1 re δέχεσθαι , μήθ' υπρεϊν • υπολειπομένα δέ τιν G- εν τω
θώρακι λελομερές dei begyiQ ( šgaię o nav ixreiveron ) neos Tšto nánar có trw
umojéves βαρύτης του εκτός αντεπεισφέρεται αυτοι δε ταϊς σκύις ασικάζα: την δε
και προαίρεσιν αναπνοήν γίνεσθαί φησι συναγομένων των εν τω πνεύ μονι λελοτάτων
πόρων,και των βρογχίων πνεμένων » τη γας ημετέρα G. &υπακούει πιοαιρέσει .
· Machi potrebbe mainarrar tutt'altri diviſamenti, e opi nioni, le quali fallo
Iddio , come riferite vengono ; e per la più parte da chi punto non l'intendea
; e talor anche da al cuni per vggia , e mal talento a ſtudio guaſte , e
travolte . Il che oltremodo malagevole rende la cenſura del ſiſtema della ſua
medicina ; pur lo brievemente ne dirò in qualche coſa il mio ſentimento . E
primjeramente parmi, ch'aveſſe errato aſſai ſconcia mente Aſclepiade nella
notomia; portando egli opinione con Ariſtotele , ed Eraſiſtrato , che le reni
non abbiano al cuna operazione: echeciò , che ſi bee , ſciolto in vapori ſe'n
vada nella veſcica,dove poſcia li ftipi in orina ; delche meritevolmente vien
egli ripigliato da Galieno ; comechè a gran torto dal medeſimo venga poi
biaſimato , perchè c' non fi vaglia della facoltà ſeparatrice, che vuol dire in
buo ſenſo , perchè egli non ſi metta a filoſofare con ciance, e anfanie . Ma
fuor d'ogni ragione,e a corto non meno sfac ciatamente fi accagiona per Galieno
Aſclepiade , dicendo, che contro l'evidenza de'ſenſi egli aveſſe negato, che
quel le coſe ,le qualiognun vede , che vanno verſo quelle,dalle quali ſi crcde
eſſer elleno tratte ,veramente vi vadano;che certamente non potea egli sì milenſo
, e ſciocco eſſere un tanto huomo , Negò ben'egli la facoltà attrattiva , e
co'buoni filoſofan ti ſtimò eſſere per lo lume della ragione manifeftiffimo,che
ne ſomiglianza mai , ne facoltà , ne altra coſa del mondo potrebbe far sì, che
un corpo moveſſe altro corpo ſenza toccarlo , o per ſe ſteſſo , o per altro
corpo da ſe parimente tocco , e moſſo ; poichè a trarre a ſe un corpo lontano
fa certamente meſtiere uncino , o fune , o altro ſomigliante appiccatojo, che'l
prenda. Ma * I 1 DelSig.Lionardo di Capoa. 371 Ma non poſſo lo laſciar di forte
non ridire , quantunque volte rammento quella ragione , colla quale Galieno con
tro Aſclepiade ,ed Eraſiſtrato , e altri buoni filoſofantiſen za vederne altro
,fermanente credette , ſe averela virtù at trattiva già faldamente provata ;
dic'egli,che per induſtria d'alcuniladroncelli, i quali poneano vaſi di creta
pieni d' acqua nelle carrette del grano, quello ne creſceva manife ftaméte
dipeſo ;coſa la quale avvenir nó potea,fecondochè cgli ſtima , ſe'l grano non
aveſſe la virtù attrattiva; concio foſſecoſa che eſſendo egli diſcorſo per
tutte fette di medi cina rinvenir non aveſſe mai potuto ragione alcuna , che in
ciò punto l'appagaſſe . Quinci ſi pare ,che meritevolinen te il Veſſalio avendo
anch'egli avvifata un'altra cotal ra gione a queſta poco, o nulla diſſimile ,
prorompeſſe in sì fatte parole motteggiã do i libri della dimoſtrazione di Ga
licno :profeito ſiGaleni libri de demöftratione , cjufmodi crebris Scatent
demonſtrationibus,que ipfi & fimodo aufim proloqui) non infrequens , ac
poriſfimum in quamplurimumGalenusex celluit anatome ſunt , non eſt ut eos
libros tantopere expecte mus . Ma laſciando ad altri più di noi ozioſi ſopra
ciò fa vellare, certamente venner conoſciute molte , e molte coſe di notomia
per Aſclepiade , che avrebbono fenza fallo po tuto render chiaro , e
ragguardevole oltremodo il ſuo ſite ma : comechè paruto fo fe , ch'egli aveſſe
portata opinio ne , che'l nutrimento alle parti non diſcorreſſe per quel cá
mino , che co'nunemente per ciaſcun ſi credea ; impertanto immaginò egli , di
ſottiliſſimo vapore in guiſa portarſi per tutte parti dei corpo il cibo crudo ;
ma non diſse perchè, e comeſi ſmaltiſca nello ſtomaco per renderſi valevole a
pe netrare in quegli anguſtiſſimi ſpazj da lui immaginati. Ad imitazione
poid'Aſclepiadevolle l'Ofmanno, che in forma di vapore il chilo dalle vene , e
dalle arterie miſeraiche tratto veniſse . Ma prima d’Aſclepiade pare che
Eraclito , Ariſtotele, ed Eralitrato aveſser detto , che in guiſa della
ruggiada il chilo , e l'alimento per lo corpo ſi ſpargeſse. Ma laſciando di
favcllar di queſte coſe , nelle quali, non ſolo Aſclepiade, ma tutt'altri Greci
andarono errati; egli Aaa 2 è ben 372 Ragionamento Quinto èben 1 cerco , che
dovea minutamente Aſclepiade per dar l'ultimo compimento alla ſua dotcrina più
avanti diſami nando riconoſcere , chenti , equali, e dove veramente fof ſero
nelle membradeglianimali gli ſpazi, e la grandezza, e la figurą , e'l fito , e
l'ordine , e'lmovimento di quei cor picelli, i quali o affatto , o in parte
turandogli , o più del convenevole dilatandogli , o altri nuovi ſpazj formando
ſien poi cagione, ſecondochè egli vuole d'ingenerare i mali negli huomini ;
perchè fa meſtieri aver piena contezza di tutti corpicelli, onde le parti
diſcorrenti, e falde vengan compoſte ; e ciò non ſappiendoſi,malagevolmente
potralli, come a razional medico fi convienc , alcun ſicuro , e certo rimedio
per ragion ritrovare . Dove poicgli dice farſi la freneſia , il letargo , la
punta, ele febbri da'corpicelli , chenegli ſpazj inframelli dimora no , perchè
egli non ſoggiugne ( o forſe no'l ſappiam noi s'egli il Gfacefle ) quale quegli
abbian grandezza, e figu ra e, come ſeano compoſti, e accozzati infra loro
que'pic cioli buchi ? e avvegna pure ,ch'egli accennalle avvenir la contina dal
rattenimento de corpicelligrandi, la terzanz de'piccioli , e la quartana
de’menomi: non è però queſto ſuo parere ſaldamente raſſodato dalle ragioni,
ch'egli rap porta ; anzi pajon'elle molto leggieri : e ſono queſte , che i
corpicelli grādi più agevolmére gli ſpazj riemoiano ; e più agevolméte gli
ſgõbrino ,e i piccioli meno;ma ſe la biſogna pur così andaſſe.com'e'diviſando
ne ragiona,queſta contez za fola al medico razionale non baſterebbe al ſuo
intendi. mento fornire ; ma di ſaper anche il movimento , la figura, el ſito di
quelli farebbe a lui meſtieri , ficome poco 'addie tro noi dicevamo ; e ſe
impoſſibile per avventura una sì fąt ta impreſa pare che ſia da poterſi per
intelletto umano co durre a capo , yana ſenza dubbio ricſce ogni induſtria,
ogni argomento d'Aſclepiade, o di qualunque altro ingegno , che di ſtabilir
ſetta veruna di razional medicina preſuma ), E avvegnachè Aſclepiade , come
detto abbiamo aſſai ben inteſo fi foſſe della materia de'medicamenti, a modo
che , comeperGalieno ſi narra , egli ſolo , e Dioſcoride d'ogni ſorta 1 DelSig.
Lionardodi Capor 373 Torta dimedicamenti,cosìdell'erbe,come degli arbori,deld
le frutta ,de' ſughi , de' liquori , e d'altre , e altre coſc fof ſero
pienamente informati : nientedimeno , ſe le pruover che intorno alla loro
natura , e al loro operare egli nellas ſua opera recò , ancora di leggeſſero ,
ſi troverebbono, per quel che ſi è accennato , ſolamente probabili, o forſe po
co falde ragioni ;e meſtier certamente farebbe ad Aſcle piade , alla fola
ſperienza , non men che altro più vile Em. pirico ricorrere . Ma ben ciò
conobbe egli , ne'l diffimulò punto , e confeſsò apertamente , altro la
medicina non ef fere , ch'una cotal ſemplice conghiettura ; onde ebbe a dire
Plinio , ch'egli : medicinam ad caufas reuocando conjectur.i fecit : o come
legge Giacopo Dalecampj : conjecturalem fecit. Nel curar le febbri terzane,e
quartane egli ſembra ,che non molco bene ( comechè'l contrario dica Cornelio
Cel ſo)faceſſe in laſciando la coſtuma di Cleofanto antichillimo medico ,
ilquale alquanto ſpazio avanti al cominciar della febbre uſava dare aglinfermi
il vino , e bagnar loro con acqua calda la teſta ; ove in inolte altre coſe i
coſtui avviſi era uſo di ſeguitare . Vuolanche Aſclepiade, chenon ſi tragga mai
ſangue , fuor ſolamente ne'dolori ; e ciò perchè facendof queſti da’ grandi
corpicelli nelle parti ſalde fermati, c rattenuti , ſe condo il ſuo ſentimento,
gli pare , che ſi poſſan trar fuora dagli ſpazj per opera del ſalaiſo. Maegli
ſenz'altro fallò; sì perchè i piccioliflimi, e velo ciſſimicorpicelli ,che
formano il fuoco , cagionar ſoglio no il dolore : come anche perchè converrebbe
per la me deſima ſua ragione trar ſangue nella contina ; il che da lui
inceſſantemente ſi nicga;ſenzachè,ſe com'egli immagina , i corpicelli fermati
negli ſpazj ſono cagione de'mali,e queſti tutti nelle parti ſalde conſiſtono :
e le liquide , benchè fuor di modo abbondino ne'vaſi , non ne ſono cagioni vere
, e preſenti , ma ſolo antecedenti: che monterà egli il trar fuo ra mai le
parti liquide de’vaſi per la cura de dolori Mache che ſia di ciò , egli non mi
par, che ſi poſſa punto dubitare, chc 374 RagionamentoQuinto 1 } che
profondiffimi fi foſſero i ſentimenti d'Aſclepiade,e che cgli, il quale
tra'greci medicimaggiore, e più alta contez za ebbe delle cole della natura e
ſolo ardì a ſpiar tutto , e a ſcriver tutto , ciaſcun maeſtro più valoroſo
", e più rino mato in medicina a molto ſpazio dietro ſi laſcj; perchè fai
meſtieri dire , che grandiflimo danno per la perdita dello ſue opere fia alla
medicina, calla filoſofia ſeguito , Quinci ſi vede , che ſcarſemolto, per non
dir altro, ſem bran le lodi ,colle quali Plinio volle onorare Aſclepiadeo
Afclepiadi Prufienfi, condita nova feéta ,fpretis legatis, doo
pollicitationibus Mithridatis Regis reperta ratione,qua vinü agris
medetur,relato è funere homine , ofervato ,ſed ma xime/ponfione falta cum
fortuna , ne medicus crederetur fi unquam invalidus ullo modofuiſſet ipfe ,
& victor fuprema in ſenecta lapſu ſcalară exanimatus eſ. Ma laſciando
Aſclepiade,che pur troppo n’abbiam dete to , e trapaſſando ad altri
ſetteggianti medici; qual e ſi foſſe veramente il ſiſtema della medicina del
famofiffimo Antonio Muſa, lo non poſſo ne meno immaginare, non che diviſare; e
fe'l favore , e l'autorità d'Ottavio Ceſare potè farlo prevalere a tutt'alori
di que'tempi: non per tanto fù cgli da tátoge baſtevole a mantenerne vive le
memorie ap po i pofteri. Potrebbe di leggieri eſſere , ch'egli per mag
giormentepareggiar Temiſone ſuo maeſtro , fifoffe fatto di qualche nuova forte
di metodica medicina inventore . Veggiam di lui ſolamente alcune forme , o
ricette di co pofizion di medicamenti aſſai volgari , e di molta poca co
ſiderazione , dalle quali nulla comprender puoſſi dalla maniera per lui tenuta nel
medicare Ottavio ,tutta travolta da quella di Cimolio ; perciocchè Ottavio ,
licome narra Suetonio, quia calida curari non poterat, frigidis curari coa
&tus authore Antonio Muſa. Perchè potrebbe ragionevol mente dubitare
alcuno, non egli empirico foſſe ſtato di ſet ta ; ma per avventura a ciò fare
da qualche apparente ra gione egli fu moſſo . Neciò è nuovo, che i razionali
ſiva gliano di tal regola ; poichè il fece Ippocrate ancora ; co mechè egli poi
moſtri , ch'aveſſe altro in animo, con inſe gna 3 Del Sig.Lionardo di Capoa.
375 gnare una fiata il contrario, la ove diſſe,che chiunque ope ra con ragione
, avvegnachè ſenza profitto , e infelicemen te fi faccia , dee coſtantemente
camminare per la ſteſſa ſtra da : návraisatakóyov meséori ,xai pen'govojévwv *
xara'dégor ,designer swßaives , i inapoy, pérovt QuTð dóžavo iš devās, il che
da cao gione a molti medici di pericolar ſovente i loro infermi; i quali
veggendoapertamente , che a mal fine rieſcon pure le lor cure, non per tanto ſe
ne riniangono, o ad altro divi ſo volgono i loro intendimenti , con graviffimo
dan no de' cattivelli . E mi ricorda in acconcio di ciò aver letto in un coral
autore ', che avendogli ſcritto un ſuo ſcolare , che avea egli per più d'una
pruova cono ſciuto , che'l ſegnare in alcune febbri ', che allora la Città di
Vinegia fieramente malmenavano , conduceva a ficura morte gl'infermi :
impertanto ſe n'era egli rimaſo cô nolto giovamento di quelli : egli replicogli
una gran vit lania , chiainandolo ſciocco empirico, biaſimando il ſuo fa
lutevol diviſo , non altrimenti , che ſe colui aveſſe una gra ve ſcelleratezza
comeſſo; e diſſegli ſpacciatamente, che tor naſſe al falaſſo di prima , nulla
curando, che gl'intermi per ciò fare certamente fe ne moriſfero ; e in ciò
rammentogli la teftè apportata dottrina d'Ippocrate; non avviſando ,che comechè
verilimo ſia il detto d'Ippocrate , nientedimeno è ragionevolmente da
ſoſpettare non ſia manchevole, e fal lace la ragione , allor che non le
riſponde l'uſcimento . E chi ſa poi tra le tante incertezze dell'arte , qual
ſia la vera, e legittima ragione ? ma come ſaggiamente avviſa Galie no,non è
peſo da tutte braccia , ne opera d'huom di poca dottrina il ciò poter ben
avviſare . Egli li fu Antonio Muſa , per quel che s'argomenti dal ſoprannome
impoſtogli, d'ingegno aſſai nobile, ed elegá te ; ne per altro Euripide nel
Palamede chiamò colui col medeſimo ſoprannome: εκτάνετ' εκτάνετε ταν πάνσοφον ,
μεν ουδέν αλγύνεσαν αηδόνα μούσαν . M2 376 Ragionamento Quinto Maqual fi foſſe
veramente l'eleganzadell'ingegno d'An conio Muſa, manifeſtamente ſcorger ſi può
da quelvaghiſ, fimoEpigrammadi Virgilio . Cuivenus ante alios Divi,
Divumqueforores Cuneta ,nequeindigno Mufa dedere bona . Caneta quibus
gaudetPhabus ,chorus ipſeq; Phabi Doctior o quiste Mufa fuiſse poteſt? O quis
se in terrisloquitur jucundior uno , Clejo nam certè candida non loquitur .
Sivalſe Antonio Muſadella carne delle vipere, enedam va mangiare con non poco
giovamento a coloro che da in fanabili piaghe languivano: i quali
maraviglioſamente con incredibil velocità , ſe'l ver dice Plinio , ne
guariyano. Io yo meco diviſando ,che'lMuſa aveſſe ciò appreſo dal vale tiſſimo
tra'greci mediciCratero, cotāto daCicerone in iſcri védo ad Attico ,celebrato
;dicui narra Porfirio che riſanato aveſſe un miſerello ſchiavo , cui in iſtrana
guiſa dall of Ia la pelle ſpiccavaſı , fol coldargli mangiar vipere prepa rate
a guifa di pefci: Kegπρούτου ικττού οικέτης ξένων περιπεσών νο τήματα , των
σαρκών απόφασιν λαβεσών εκ των οδών, τοίς μου ωφέλι ούδέν , ιχθύω- δε κόπο ίχα
εκευασθένη , και βρωθένπδιεσώθη της σαρκός συγ 2014 nbbons . Ma ſopra ogn'altro
medicainento ſi ſervì Anto nio Muſa de bagnidell'acqua fredda ; e egli, e'l ſuo
fratel do Euforbo medico di Giuba RediMauritania ne introdur fc primiero
l'uſosappo il quale in sì grande ſtima Euforbo crâ, che zvédo egli ritrovata
un'erbamedicinale,volle,che colnome d'Euforbo foſſe chiamata . Mail Muſa folea
ba gnare i ſuoi inferini prima nell'acque calde,voladosper mio avviſo , aprir
loro in prima bene i pori, acciocchè le fredde poimegliovi poteſſero penetrare;
quindi entroall' acque fredde gli laſciava agghiacciare.Del qual modo di medica
se così narra Orazio nelle ſue piſtole,dimádádo Numonio Valla , ſe in Salerno ,
e in Velia foſſe così fredda l'aria ,che dimorandovi egli poteſſegli giovare
a'ſuoi mali; percioc. chè il ſuo medico Antonio muſa , freddiſſima gliele
richies deva per dover prendervi i bagni freddi . Aua DelSig. LionardodiCapoa
377. ? Quæ fit hyems Velie ,quodCalum Vala Salerni, Quorum hominum regio ,
&qualis via.( nam mihiBajas Mufa fupervacuasAntonius, &tamen illis
Mefacit inviſum : gelida cumperluur unda Per medium frigus; ſanè myrteia
relinqui, Dictaque ceſsantem nervis elidere morbum Sulfura contemni , vicus
gemit , invidus ægris : Quicaput, & ftomachum fupponerefontibusaudent
Clufinis, Gabiosquepetunt, & frigida rura. Ma certamente ebbegran ventura
il Muſa , che dopo l'el ferſi bagnato in sì fatta guiſa Ottavio , guariſi d'una
gra villima inalattia ; comechè dica Plinio , che ciò foſſe avve nuto per opera
delle lattughe,delle quali egli cibavalo co tro il parere di Cimolio ; perchè
fu queſti della caſa di Ot tavio ſcacciato fuora ; indi cominciarono i Romani
ad uſar ſovente nelle lor menſe le lattughe , che per averle anche fuor di
teinpo , riſerbavanle nell'oſſimele. Per la qual cura Antonio Muſa in sì
rilevato ſtato montonne , e in cotanto credito , cheoltre alle ricchezze , agli
onori, e a'privilegi, che per ſe non ſolo , ma per tutti altresì i medici
ottenne, l'adulatore Senato rizzogli una ſtatua di bronzo nel ſegno d'Eſculapio
, come ne da teſtimonianza Suèronio : Medico Antonio Mufa , cujus opera ex
ancipiti morbo convaluerunt , ſtatuam , çre collaro juxta fignum Eſculapii
ftatuerunt . E fe'l mio avviſo non m'inganna , d'oro gliele avrebbe certa mente
rizzata , ſe più coſto Ottavio morto ne foſſe;percioc chè non bene allora
ſtabilita ancora la tirannide , n'avreb be per avventura la libertà egli
ricupcrata ; e veramente ſe la fortuna fecondato aveſſe il diſiderio de'Romani,
non ſa . rebbe riſtato per lui di far co'ſuoi bagni ciò che Bruto , ne Caffio ,
ne Seſto Pompeo , ne Marc'Antonio con tanta oſte per mare , e per terra non
avean potuto adoperare . E bé ſi vide quanto nocevole e' foſſe il modo del
medicare del Muſa , quando da lui in sì fatta guiſa trattato, come narra Dion
Callio , ſe ne morì Marcello ; perchè di preſente e'per denne !, gloria , che
guadagnata s’avea ; non ſi dee imper 1.2 . P ; CXLV2Livi , come o telo 378
Ragionamento Quinto poteva nel Dione dicc, che allora buccinayaſî,che eglicon que'
ſconci rimedj lo faceſſe a bello ſtudio morire ; anzi morilli Mar. cello in
Baja , come teſtimonia Properzio , il quale viſse a que'tempi His preſſus
Stygiasvultum demiſit in undas Errat, in veftro fpiritusille lacu .
Neſembramiveriſimile ciò , che ne va conghietturando quel ſottiliſſimo
inveſtigatore, e d'ogni rara dottrina ſovra no maeſtro Giuſeppe della Scala ,
facendoſi egli a credere, che Properzio cosìvezzatamente la biſogna rivolgeſſe
per ‘iſcagionar Livia , e fargliene ſervigio ; 'perciocchè allor ſu ſpicavaſi,
che in ciò ella certamente aveſſe tenuto mano;vo luit , ſono ſue parole ,
gratificari ei , que de ejus morte ſu Specta fuitLivi& Aguftę. Ein vero non
ha dubbio alcuno, che per machinazione di Livia no meno morir le acque di Baja
Marcello ,che in quelle di Stabia , la dove alriferir di Servio egli moriſli; e
ficome immagina il mede Simo Giuſeppe,la ſua morte avvenne nell'acque acetoſe
di quella fonte , che a tempo di Plinio chiamavali di Medio. Io porto
opinione,che'lMufa bagnaffe più d'una fiata Mar cello nell'acque calde di Baja,
e poi,com'e’avea per coſtu me, nelle fredde il poneſſe , e che alla fine
nell'acquecalde colui abbandonaffe la vita ; ne dal narrainento di Properzio
argomentar fi puote : Marcellum in aquis Bajanis fulz merſum interije : coine
va interpetrando lo Scaligero;im perocchè altro nő,è il ſentiméto di Properzio,
fe no ſe Mar cello effer morto per quell’acque,colle quali,eſsédo egli si
tiſicuzzo , e triſtanzuolo, e col Toverchio lor calore, o rõpe dogli qualche
interno tumore , il ſoffogallero : o di ſover chio creſcendo il moviméto del
ſangue li diffipaſſero le ſot tiliffime particelle, dalle quali depéde.la vita
negli animali, onde repétemente egli mādafle fuori l'anima;coli, la quale
eziādio ad altri è avvenuta; ne veraméte fi puote sõmerge re niuno in
que’bagni, ſe a viva forza altri non ve l’affoghi; onde maggiormente avrebbe
dato cagione alle genti diſu ſpectare non ciò foſſe per opera di Livia avvenuto
; e ca to balti del Muſa aver fin'ora accennato . Ma paſſiam oltre a dir
DelSig.Lionardo di Capoa. 379 a dir di Clinia da Marſiglia . Fu la guiſa del
coſtui medica. re nel vero ſtranamolco ,e ſuperſtizioſa : imperocchè infi
gnevaſi egli di non darmaia malato niuno ,o cibo , o medi cina , fuor ſolamente
, che in certi puntiaſtrologici di fito , o dicongiunzioni della luna , o
d'altri corpi celefti : e bert gli approdarono sì fatte malizie ; poichè montò
in sì buon nome, e fama appo i Romani,che oltremodoricco in brie, ve tempo ne
divenne ;delle quali ricchezze, parte cgli co funionne largamente per cinger di
novelle mura la propia patria , e parte alla medeſima ne fe dono ,
acciocchèpoter Le riſtorar quelle , quando huopo ciò lor foſſe . Ma lo non
prenderò a dar giudicio dietro il fiſterna del la ſua medicina , non avendene
niuna certa , e ſicura con tezza; ma mi darò briga di far paleſe la ſciocchezza
di lui, conoſcendoſi molto bene da chiunque abbià fior d'inten dimento non
eſſer altro la ſtrologia da lui in medicãdo ado perata , ch'un ſottile , e
malizioſo ritrovamento per paſcer divanc ciance , e promeſſe le troppo credule
perſone . Ma forſe , come i Romani ſi ſervirono degliauguri ſecondochè la
neceſſità il richiedea : ne folean giámai darcominciamé to all'impreſe , ne
trar fuora gli cſerciti , ne far giornate , nc alcuna coſa di confiderazione ,
o civile , o militare ado perare , ne mai ſarebbon andati a gucreggiare , ſe
prima non perſuadevano a l'ofte , che gli augurj avean promeſſo loro la
vittoria , affinchè i Coldati maggiormente incorag . giati prédeſſero ſperanza
divincere : dalla quale ſperanza ſpeſſo certamente naſce la vittoria : così
Clinia valevali della ſtrologia, acciocchè gl'infermi deſſero piena fede alle
medicine loro preſcritte ; e forſe ſe ne valſe altresì egli per iſchivare,
quádo più in cõcio gli era di preſcrivere qualche medicina , la quale da lui
non convenevole al male foſſe ftata ſtimata ;ma dalla minuta gente giovevole ,
e neceſſaria giudicata ; valevaſi dico della ſtrologia appunto a quella guiſa,
che coll' artificio degli Auguri i Capitani Romani fi rimanevano dal
coinbattere,quando giudicavano non do ver la battaglia a lieto fine dover per
loro riuſcire. Il ſiſtemadimedicina di Carmide conyenne ſenza fallo , Bbb 2 che
380 Ragionamento Quinto cono . 1 che foſſe non meno fciocco ,che ſtrano, come quello,
che poſti in non cale , e dannati, e vituperati, i diviſamenti di tutti gli
altri medicijalle più rigide ſtagionidell'anno glin fermi, avvegnachè vecchi
nell'acque gelide fommergeva; iinpertanto ritrovò gran ricevitori,come Plinio
ed altri di Ma per venire allamedicina di Galieno , vana per avvé tura ,
eſoverchia giudicherà alcuno la mia fatica in abbu rattarla ; imperciocchè
chiunque avvedutamente v'affiſe rà lo ſguardo , ben toſto ſcorgerà i mancamenti
, e i difetti di quella : i quali non tanto dalla natura medeſima della
medicina , quanto dal ſiniſtro modo del filoſofar di Galie no naſcer fiveggono
;. il quale avvedutiſſimo in fuggire il ranno caldo di ſpiegar diſtintamente le
particolarità della medicina , ch'e'medefimoconfeſſa , e proteſta eſſer tanto a
' medici neceffarie : a bello ſtudio par , che riltando in s l'ali , o dando
lunghe , e inutili aggiratc , a quelle ſpiegar ne giammai ſcender non voglia.
Perchè luo mal grado gli è pur di meſtiere d'abbatterſi,e d'impaſtojarſi
ne'mede fimigruppi, e nodi, ove parimente i Metodici, e gli Empi rici tutti
s'impigliano . Così con le medeſime ſue pruove, con che egli lorcerca
d'abbattere, gli ſi ſcagliano pur con tra i ſuoi nimici;e dicendo , ch'egli
inneſta in ſu'lſecco , or dinando falſamente il ſuo liſtema, e ponendo a ſuo
talento i fondamentialla medicina , niegano conſtantemente gli eleincnti', e
gli minori , e l'altre coſe cutre '; ove egli coil poco ſode , ed
efficacipruove la gran machina della ſua medicina pianta, ed appoggia. Ma lo
ciò al preſente trala fciando , renderommi lecito di brevemente accennare, che
di Galieno la medicina non ifpieghi punto il vero , e fiſio comodo come naſcano
, o naſcer poſſano le quattro fue prime qualità ,ma ſolamente le ponga già nate
; ne men , quella tanto quanto ne diviſa,in qualcoſa il lor eſser conſi ita ;
perchè poi valeyol non è a manifeſtar la maniera del loro operare , ne
quant’oltre la lor forza fi ſtenda , ne pur gli effetti che per lc , o per
accidente da lor fortiſcono . Ma come egli maile natura delle qualità ſpiegar
potea, ſe la > natu Del Sig . Lionardodi Capoa 381 natura della materia ,
dalla quale quelle dirivano ed in cui, coine e' medeſimo dice, e naſcono, e
muojono, giámai inve Aigar egli non cura; il che quanto monti , agevolmente da
ciò potrà comprenderli , che traſandato il conoſcimento delle qualità
l'economia degli animali , ne la natura delle malattie , ne le cagioni diquelle
, ne i medicamenti mede fimi non ſi potranno in modo veruno comprendere . Per
chè non ſarà medico, che abbattendoſi in qualità di ſover chio rigoglioſe , o
manchevoli di ciò cheal corpo richieg gafi, poſsa mai,la ragione adoperando
alla debita propor zione ad agguaglianza ammendandole riporle ; e ne men per la
medeſima cagione provar egli mai non ſi potrà , in che conſiſta la árminatío ,
o nimiſti , che tra loro eſser fi dice ; perchè anche ne fiegue , che non ſi
ſappiano , ne convenevolméte ſi poſſano perGalicno ľaltre qualità ſpie gare ,
che ſeconde chiamanli ,e che egli pocoriguardando a ciò che gli antichi nel lib.della
vecchia medicina ne nar rano , giudica , che cheno non pofsan cola alcuna
opcrare; € pure avviſar egli poteva, che l'acetofo, per eſemplo,avve gnachè
freddo , o caldo , o temperato, pur nelle ferite meſ lo , dolore , e
infiammagione apporti ;e che non altrimenti , che dal caldo , dallacetoſo anche
l'acetoſo s'ingeneri ; e ſe Pamaro fembra a lui effetto del caldo, il caldo
eziandio na fca dall' amaro Macertamente ſe Galieno aveſſe bene avviſata la
natura delle prime qualità, iion avrebbe giamai fopra quelle il fiſtema della
medicinapiantato ; concioſſie coſachè ben egli compreſo avrebbe non eſser
quelle baſtá ti a ſpiegar tutto ciò , che nella naturä vedeſi . Perchèi più
ſcorti tra ſeguaci di ſua ſchiera, ove s’abbattono a diviſar delle coſe della
natura , fono ftretti ricorrere alla propria foſtanza , o pur alla forina
eſsenziale , all'amiſtà , o alla ni miſtàgalla fimigliáza, o diſimiglianza tra
le coſc , e alle qua lità naſcoſe; che è tanto quanto a dire a cagioni, delle
qua li nulla non ſi ſa, ne ſaper fi puote . Quindi: per racer del Fernelio, e
del Severino: il ſottilif fimo Andrea Libavio amico per altro di Galieno, colſe
ca gione di dire: in magneticis, quum omnia elementa excufse runt, 1 382
Ragionamento Quinto . ränt, elementarii medici nibil inveniunt,nec de proprio
ſubje cto virtutis , nec de caufa prima. Mala vero funt princi. pia artis ea ,
qua inexplicatam tādem relinquüt quæſtionem . Talia verofuntelementa
Galenicorum : ex quibus non potes demonſtrare rationem facti offis , carnis ,
fuccini,magnetis , & cetera ſecundum formam eſsentialem . E Daniel Senner
ti, pertacer d'altri aſsai, cosi diſse:ubicumque pluribus eçdē affectiones ,
& qualitates infunt , per commune quoddams principum infint neceſse eſt
;ſicut omnia ſunt gravia pro pier terram , calida propter ignem . At
colores,odores , Sapores efse progosov , fimilia alia , mineralibus, metallis ,
gema mis , lapidibus ,plantis , animalibus infunt . Ergo per com mune aliquod
principium , & ſubjectum infunt. At tale prin cipium non funt elementa :
nullam enim hatent ad tales qua litates producendas potentiam . Ergo alia
principia unde fluant inquirenda funt. Ed una tal neceſſità molto bene
avviſando molti degli antichi, e poco men , che tutti imo derni Galieniſti, ſe
maicoſa alcuna malagevole , ed oſcura intorno all'economia degli animali a
ſpiegare imprendono, o ſcorger intendono la natura ,e la cagione di qualche
ſtra na , c non conoſciuta malattia , allora abbandonato affac to il lor
maeſtro Galjeno , e poſta in non cale ogni ſua dot trina , ed ogni diviſamento
della ſua razionale , e vana mie dicina , a’nuovi ſiſtemi de'Chimici
filoſofanti toſto s’appi gliano , E ben di ciò avvideſi anch'egli Galieno ; e
rimirando alla manchevolezza,e dappocaggine delle ſue fondamen ta, dopo aver
più , e più fiate diſegnato , le facoltà non có fiftere in altro , che nel
temperamento, o meſchianza delle quattro primnequalità , avviſando alla perfine
mal poterli con quello l'opere della facultà baſtantemente ſpiegare , così
ſcagionandoſi apertamente confeſsa, che eſso per non ſaper la natura della
cagion factrice , la chiama facoltà , o potenza; c però dice eſser nelle vene
una certa potenza da ingenerare il ſangue, e nello ſtomaco un vigor di
cuocere', e nel cuor di palpitare ; e in tutt'altre parti del corpo eſser anche
una tal potenza d'adoperar quelle coſe , chcin eſse ſi fan . 1 1 4
DelSig.Lionardo di Capoa. 383 fi fanno . Con cheGalicno apertamente confeſſa
cgli me defimo, le facoltà , che coſa mai elle ſi ſiano, affatto non ſa pere ;
e ſolamente così per via di ragionamento chiamarle. Ma non fi potrebbono con
parole ſpiegare, tante elleno, e tante ſono , quelle fiate , che per Galien ſi
ricorre ad una cagione , la qual eglimedeſimo , non ardiſce, o corporca, o
incorporea determinare ; e che egli ignorando , che coſa ſia veramente ,
inſieme col vulgo coſtumacol nome di Na tur'a appellarla . E ridevole veramente
ſi è la maniera,col la quale egli una fiata imprende a ſpiegar ,come le partide
gli animalifacciano le loro operazioni;dice egli , che ſico me al comandamento
di Vulcano , ſecondo finge Omern, i mantici da ſe ſteſſi mandavan fuori, o'più
, o neno il fiato ; e le dózelle d'oro da ſe ſi muoveano ; cosinel corpo degli
animali niuna coſa eſſer immobile , ed ozioſa ; imperocchè dal ſupremo facitore
alcune divine virtù ſono ſtate impreſ fe alle parti di quelli , sì che le vene
non ſolo il nutrimento dello ſtomaco deducono : ma l'attraggono , e lo
preparano al fegato ; ilquale così preparato da' ſuoi ſervi ricevendo lo , gli
da l'ultima perfezione di ſangue : müstepOuengo εποίησεν αυτοκίνητα τουτου
Ηφαίςκαι δημιουργήμα , και τας μια φύσας ευθύς άμα τα κελεύσαι τον δεσπότην,
παντοίων, εύκρηκτον αύτμηνεξανι είσας : τοις δε θεραπείνας εκάνας τας χρυσας
ομοίως αυτά τώ δημιουργώ κινουμένας εξ αυτών ούτω μοι και συνοεί κατά το του
ζώου σώμα μηδέν αρ . γον μήτ' ακίνητον, άλα πάντα μεία της πεσούσης καζασκευής
βίας τινας αυτοϊς δυνάμεις τουδημιουργού χαρισαμύου,κοή, τας μέν φλέβας, ου πα
eaγούσας μόνον την τξοφήν εκ της γασφος , ' έλκούσας άμα και πιο
παρασκευαζούσας το ήπατι τον ομοιόταν εκείνων τόπον , ως αν και eαπλησίας αυτώ
φύσεωςυπαρχού σας , και την πξώην βλάσησεν, εξεκεί YOU MEWCimpéva . Ed è anche
manchevole la medicina di Ga lieno, per non faperſi in quella il meſtiere, e
l'uficio di mol e molte parti del corpo ; perchè malamente l'economia degli
animali , ed ondenaſcan le malattie , ei luoghi , e le cagioni, e gli effetti
di quelli vi ſi potrà convenevolmente ſpiare. Concioffiecofachè Galieno
medeſimo principe, e titrovator di quella , non ebbe ne men ventura di ravviſar
baſtan te , j 384 ' Ragionamento Quinto baſtantemente la coſtruttura , e gli
ufici delle parti dalı conoſciute;non che d'abbatterſi mainel: canale del Ver
ſungio, o nelle vereacquoſe , o nelle vene lattee , o in alą tre , cd altre
infinite coie da’moderni deſcritte . Ne ſeppe cgli ne men per ombra il vero
movimento del cuore , e dei fingue : ritrovato , del quale ſecondo l'avviſo
dell'inge. gnoſilliino Renato, nullum majus, & utilius in medicina eft. Ne
del vero cammin del chilo ſeppe boccata; le quali due coſe ſole di tanto pregio
, e di tanta conſiderazione parve l'o al nobiliſſimo filoſofante Pietro
Gaſſendo , che meritc volméte egli chiamarle ſoleai due poli della medicina; e
de queſti due trovati, che l'un l'altro conferma maggiormen te , craſſoda, egli
ſommo contento prender ſoleva , quindi fperando, che'la medicina , quando che
fosſe, aveſſe avuto a ritrovar qualche coſa diſaldo a pro degli huomini; malli.
mamente in quella parte , in cui dall'economia degli ani maliella s’argomenta
di riſtorar la perduta ſanità ; almen finattanto, che novello lume lo
dimoſtraffe l’orſa;imperoc chè della volgar medicina, che tutta ſi briga in
diſaminar le qualità , ed in aggiugner ciance a ciance, eglicēto niun non facea
: Ma perciocchè queſta ſarebbe opera da trattar con maggior agio , e tempo in
un'intero volume , laſcerolla al preſente, riſtrignendomi ſolamente in un capo,
ch'a dover lo quì brievemente accennar mi tira . · La maggiore, c principal
parte , e pił d'altra alcuna nel meltier della medicina neceffaria,ſenza alcun
dubbio quel la fiè , che alla materia de'cibi, e de'medicamenti s'appar: tiene
; or queſta nella medicina di Galieno è certamente tutta
impirica;conſeguentemente a tutte quelle jacertezze, e a tutti quegli errori ,
e falli ſottopoſta , che Galicno me deſimo, ei ſuoi ſeguaci tanto , e sì
factamente negli Impiri ci dannano , erimordono . Ed è ciò dicanta conſiderazio
ne , e rilievo , che in utili a baſtanza , c infruttuofe, e vane le contezze
cutte della medicina , ſe mai clla in altre parti alcuna n’aveſc, render puote
: le qualitutte ad altro non fono indirizzate , che a diviſare , & proporre
agli ammalati i cibi, siinçlicamen :1 , 3 ? fu conced.fipreselierelli 13,45's
DelSig.Lionardo di Capoa. 385 ra , medicina di Galieno s'abbia certa, e ſicura
contezza dell'ea conomia delcorpo umano , della cagione , e della natura
de’mali, e d'altre ſomiglianti coſe molte a ciò pertinenti, ed acconce:qual pro
giammai peropera di tali notizie dal la razional medicinapotrà ritrarſi ?
certamente per quel che Io micreda , niuno , ſe non ſi prenda inſieme a diviſar
con efficaci , e ben certe ragioni, come,e qual ſorte di me dicamenti , e
dicibida dar ſiano agli ammalati. E ciò cos me mai vorráno i Galieniſti
convenevolmére porre in ope, ſenza in prima pieno , e faggio conoſcimento
dellana, tura , e della propietà di quelli avere ? Ma queſto per lor non
avendofi, avvegnachè d'eſfer razionali millantino,cm pirica certamente , e
incerta farà da dire la lor medicina ; per tal modo , che non ne potrà ſe
non-ſelargamente il no. bile , e laudeyol titolo dell'Arte meritare . Ed
interviene nella medicina ciò che ſi vede anche nella Loica avvenire; che per
una menoma particella , che nella definizione , o nel partimento , o nel
fillogiſmo dubbiofa fia , ed incerta, toſto dubbioſo , e incerto il tutto anche
diviene ; e per una pic cioliſſima taccherella ſi sfregia . Senzachè la
medicina in tanto è arte , e conſeguenteinente certa , in quanto ella ha
ficuri, e certimezzi, quali ſono ſenza fallo i inedicamenti, ei cibi, per ritrarre
il ſuo bramato, ed aſpettato fine della ſalute degli huomini . Adunque non
eſſendo queſti certi , ç ſicuri, conſeguentemente non ſarà da dir veramente
arte la lor medicina . Perchè poi veggiamo iGalieniſti medici, quanto più
avveduti , e più dorti eglino ſono , tanto più dubbiofi, e tertennanti
ſempremai medicare ; ne dalla lor doctrina , e diligenza mai nulla di certo
promettere. Nequáto in fin quì ho detto ha biſogno alcuno di pruo va ;
imperocchè manifeftiffima coſa è , che Galieno mede ſimo, non che altri , con
iſchiettezza veramenteda filoſo fo , e degna di lui , molte , e molte fiate
apertamente il co felli ; ed una infra l'altre mordendo , e biaſimando alcuni
medici de'ſuoi tempi , che troppo arditamente ſtudiavanſi di inveſtigare per
via di ragione da’ſoli effetti la natura, e la proprictà de’medicamenti;
dicendo : non laſciaremoin Сcc . tanto, 380 Ragionamento Quinto tanto, paffar
ſenza gaſtigo la ſoverchia tracotáza di coloro, i quali dalla coſtruttura, e
dal colore , e dall'odore, e dal fa pore , e dalpeſo , e dalla leggerezza di
ciaſcuna coſa del modo,la di lei propria virtù diſpiar s'argométano . Quindi
appreſſo ſoggiugne , che tutta la ragione d'eſaminare , e giudicar bene la
biſogna nella ſperienza ſopra tutto confi iter debbia , avvegnachè v'abbia
aſſai de’medici, chequel la traſandata, ſolamente in avviſar ſe vermiglia, o di
buono odor la roſa ſia vanamente s'indugj . Ed a ciò anche riguar dando di
Galieno il fedeliſſimo interpetre, Vallelio, così al la fine prorompe .
Modoillud unum ftatuimus nullum effe certum argumenti locum ad inveniendum ,
rei cujuſpiam temperamentum ex ſecundis qualitatibus ; fed ex modo , quo nos
afficiunt ſolum ; ita ut in hac doctrina nullum locum ra tio kabeat , fed tota
fit empirica . Con la qual ſentenzas certamente egli abbatte infin da'
fondamenti, cmanda au terra la medicina tutta del ſuo maeſtro , e ſpezialmente
ciò che egli medeſimo nelle ſue côtroverſie avea in prima infra l'altre
sbracciate arditamete millantato : Poj]Galenum non amplius interpollis ars fuit
,fed perpetuo eadem veris de monftrationibus confirmata . Ma certamente s'egli
riſuſci taffe a' tempi noſtri il Valleſio, rimarrebbeſi per innanzidi gracchiar
più del ſuo divino Galieno; e ricreduto a’moder ni ritrovati, non più di colui
vanterebbe : nihil ti ejus in ventis adhuc eſse additum : quoniam hic author
nihil , quod ad artis attinet conſtitutionem non reliquit inventum , quod
pofteriſuperadderent. E tanto più, che il Valleſio fu ſempre amiciſſiino della
verità : poichè , per tacer d'altro , non ſi ritien per quella di rimproverare
a Ippocrate medeſimo.co. tanto da lui ſtimato , il non ſaper punto di Loica; e
più ma nifeſto ſi vede nel fin delle ſue fatiche intorno alla ſacra fi loſofia
, ove infra l'altre coſe accreſcendo il numero degli elementi dice , che quelli
non ſiano ſtati mai , ne fuora del corpo miſto eſſer poffano: i quali ( ſon ſue
parole ) actu qui. dem nullibi, potentia vero in omnibus miſtis eſse dicimus. E
ben’egli avvedutoſi de’vaneggiamenti, e degli errori di Ariſtotele , ſpezialmente
intorno alla materia prima , dice . mani Del Sig.Lionardo di Capoa. 387
manifeſtamente , e confeſſa , che quella Aggira, ed avviluppa il capo agli
huomini. Ma laſciando queſto ſtare al preſente , dirò coſa non da trapaſſar
forſe ſenza qualche ammirazione ; anche il mede fimo Galieno, nonche altri
s'avvide eller tutta la ſua razio nal dottriaa non altro, che vaneggiamenti ,
cd inutili ciar le ; poichè avendo egli ſognato , che ſarebbon guariti due
infermi , ſe lor tratto fi foſſe dall'arterie della inan deſtra copioſo il
ſangue , ei prontamente gliele craſſe , e tutt'altri ſuoi ſtudj,ſpeculazioni, e
fatiche in non cale ponendo , fe guì l'indirizzamento d'un vanillimo ſogno ;e
certamente un tal fatto appo me non ritroverebbe niuna fede , ſe Galieno medeſimono’l
confeſſaſſe ; ed Io il ridirovvi colle parole di lui ; πξοτζαπείς υπό τήνων
όνειρά τον δυοϊν εναργώς μοι γενομένον , ήκον επι την εν τω μείζξυ λιχανού τε
και μεγάλου δακτύλου της δεξιάς χει ρος αρτηρίαν, επέτρεψα ερείν , άχρις αν
αυτομάτως παύσηται το αίμα , κελεύσαντG- ούτω τε ονείρατG- ερρύη μεν εν εδ' όλη
λίτζα • παραχρή μα δεσπεύσατο χρόνιον άλγημα κατ' εκείνο μάλισα το μέρG-
ερείδον ένθα συμβάλα τα διαφράγματι το ή παρ' εμοί μεν ουν τούτο συνέβη νέω την
• ηλικίαν όντι • θεραπευτής δε του θεού εν περγαμω χρονίου πλευράς αλ γήματG-
απηλλάγη δι ’ αρτηριοτομίας,εν άκρα και τη χaei γενομένης και εξ ονείρα G- επι
τούτο ελθών και αυτος. Ho lo tralaſciato a bello ſtudio di riferir poi ad uno
ad uno , come fanno il Veſſalio ,ed altri,ed altri notomiſti,tan ti , e tanti
errori , che nel deſcriver le parti del corpo uma no preſi furono per Galicno :
per non recarvi consì lungo racconto più di noja , che per avventura non ſi
conviene . Ne menomiho preſo briga d'avviſarciò ,che a ciaſcuno è manifeſto ,
che l'opere di Galieno ſenza alcun paragone ſian più di vane ciance , che di
coſe ripiene ; sì che quantū Andrea Lacuna l'accorciaffe , a più picciol volume
po tca ſenza fallo riſtrignerle . Ne meno ho curato accennar come coſa a tutti
nota , chc la dottrina inſegnata da Ga lieno , per la più parte ſia colta di
pelo ad altri ſcrittori; e tal volta male da lui inteſa , c peggio ſpiegata .
Ho trala ſciato altresì per la medeſima ragione , di narrar come Ga lien poco
intendente fi paja delic ſentenze di Democrito, Ссс 2 di que 1 388 Ragionamento
Quinto di Placone , e d'Ariſtotele , e come al roveſcio anch'egli ſovente
ſpiegar fi vegga i ſentimenti d'Epicuro;comechè da un particolar maeſtro
n'aveſſe egli la filoſofia epicurea ap parata ; il che ſovente anche egli fa dell'opinioni
d'Eralia Itrato , d’Aſclepiade , e d'altri Setteggianti; avvegnachè eº
millanti, che di tutte ſette e' ſtato foſſe nella ſua giovanez za da più
celebri maeſtri di quelle addoctrinato . Ho tra laſciato anche di far parola
dello ſconcio modo del filofo fare , che mai fempreGalieno adopera , non
iſccndendo mai alle particolarità delle coſe ; e ſe talor e'fi pare , che
viſcenda , il fà per modotale,che'l traſcurarlo ſenza fallo farebbe menmale . E
nelvero chi è , che non conoſca,co me per lui ſcioccamente ſi filoſofi dietro
agli clementi , a' temperamenti, agli ſpiriti', al caldo innato agliumori; la
natura delle quali coſe non mai filoſoficamente egli ſpiega; ne mai pruova , ſe
non ſe con ſole parole la lor eliſtenza ? Chi non fa poi, come egli ſcorriamente
favelli dell'inge ncrazione, del naſcimento, del creſcimento dell'huomo, e come
follemente e' ragioni dell'ingenerazionedelchilo , e del ſangue , della natura
, e degli uficj , delle parti, e di tut te altre coſe all’huomo appartenenti ?
Chi è per Dio , che non iſcorga , com'egli facendofimenare per la barba dagli
ſtrolaghi, vanamente favolegojde giorni critici , e com'e . gli oltremodo
vancggj in facendo parole della materia del la natura , delle cagioni , e
deglicfetti delle febbri , e d'al tri mali, e particolarmente dell’Apopleſſia
,e dell'Epilcilia . dicendo egli , amendue queſti mali avvenire per l'oppila
zione de’ventricoli del cervello fatta da freddo , groſo , e tenace umore ;
recandone per ragione , che di preſenta faccianſi, e di preſente finiſcano ; o
eſſendogli caduto dal la memoria, o ponendo in non cale d'aver lui altra fiata
,più al vero conformandofi, argomentato il palpitar del cuore di botto
ingenerandoſi, e di botto riſtando ; di neceſſità ca gionarſi da ſoſtanza aerea
, e ſottile ; ſenzachè ſe ver folle , com’ei dice, dall'intera oppilazion
de’ventricoli del cervel lo l'Apoplefia , e dalla non intera l’Epileſia
ingenerarſi , converrebbe chemai ſempre dall’Epileſſia cominciaſſe l'A popiel
DelSig. Lionardo di Capoa 389 ra , poplellia : e che queſta in quella mai
ſempre terminalſe ; il che non ſi avviſa , ſe non ſe di rado ; ma ciò fa vedere
le gran traſcuraggine di Galieno nelle coſe della medicina , che non curoffi
mai di aprir cadaveri ; perciocchè aurebbe rinvenuto in alcuno oppilati i
ventricoli del cervello , il quale no foſſe morto d'apoplesſia,o d'epileſſia;ed
altri eſſer morto di sì fatti mali , ſenza tenere ne' ventricoli del cer vello
umore niuno. Laonde potrebbe a Galieno addattarſi molto bene quelcelebre detto
d'Ariſtotele :87 @ gu dangrasa γα, αλα μαντεύεται το συμβησόμενον εκ τείκότων ,
και προλαμβάνει και ως ουτως έχον και πειν γινόμενον ούτως . Or non fi coglie
da ciò che è detto , che Galieno della coſtruttura delle parti del cervello , e
del loro uficio non ſapeffe boccata? il che da egli anche chiaramenre ad inten
dere , allor , ch'ci fa parole degli altri mali della teſta ; ed ora mi
ſovviene ,come follemente ei filoſofi dietro alla pau ed alla triſtizia
de'malinconici , in così dicendo : ficome le tenebre eſteriori apportano
ſpavento a quegli huomini , cheaudaci , o fapienti non ſono , così la
malinconia col fuo colore offuſcando , ed ottenebrando la ſedia dell'anima , le
reca timore ; ne' qualiderti è certamente da ammirare , che ſié più errori che
parole; e moſtrafi chiaraméte per eſli, che Galieno niéte foſſe della natura
dell'anima, edi quella delle qualità intcſo :eche nó ſapeſſe, che coſa foſſe la
luce , che coſa foſſe il colore , ne come le ſenſibilità, e l'immagi nazionc ,
o'l diſcorſo in noi fi facciano ; perchè ragione volmente nel vero , comechè
non a baſtanza ne vien egli per Averroe proverbiato , e deriſo . Or come per
Dio huom , che ſuperficialmente filoſofu della natura , e delle cagioni delle
malattie , mai può in medicando della ragione valerſi ? .e certamente , per ta
cer d'altro , a Galicno ne meno una terzana ſemplice gli verrà mai fatto poter
con ragione operando ſecondo i ſuoi diviſamenti medicare ;
imperocchèquantunquegli ſi con ceda eſſer vero ciò ch'e' finge della terzana ,
cioè , che ſi cagioni la terzana dalla collera , la quale fuor delle vene
s'imputridiſca:e s'abbia p cofa provata,e vera la ſua rego la, che 390
Ragionamento Quinto la , che curar ſi debba per li contrarj ; le Galien non fa
la natura della collera , come potrà ſaper mai come s’impu tridiſca , e che
imputridir la faccia,e come per la putreſce za vi s'accenda , e ſi comunichi al
corpo il calore: e d'onde egli potrà coglier gli argomenti ad inveſtigare ciò
che all' altro ſia contrario ? lo ſo ben, ch'e' dice la collera eller un umor
caldo , e ſecco,corriſpondente all'elemento del fuo co ; ma s'ei non fa qual
ſia la natura del calore , e della ſic cità , e del fuoco ,certamente nulla ei
non ſaprà della colle ra , ne comprender mai potrà , come ella , e per chi s'im
putridiſca , e come ella cagioni la febbre , e comea ciò ſi poffa dar compenſo
. Certamente meglio partito egli avrebbe preſo , ſe della ſola impirica valuto
li foſſe ;la qua le , ſecondo quel , ch'eglimedeſimoafferma, è aſſai mens
fallace della falfa razionale , Ne meno lo dirò , ch'ebbeGalíeno avvegnachè
compi laſſe tutto Dioſcoride,diſagio di buoni , ed efficaci medica menti : c
che egli la più gran parte delle compoſte medici nedegli altri inedicimeſcolò
nelle ſue opere: e che adope raffe ogni maggior diligenza, per apparar rimedj ,
ricercă dogli eziandio infra altri ſetteggianti , e cra’volgari impiri ci ;
perchè diſperato egli anco di ciò , fu coſtretto ne'falar fi, nelle purgative
medicine , e nella dieta , e ne'giornicri sici tutte ſue ſperanze riporre. Or
ſe a queſte,e ad altre cole, che ſe Io voleli ad una ad una narrare per ora non
ne verrei a capo , aveſſe avuto Gi rolamo Cardano riguardo , certamente e non
avrebbe fra quei ſuoi dodici più ſottili ingegni del modo meſſo Galie no in
iſchiera , nc mai ſi ſarebbe laſciato traſcorrer dalla penna ultimus
fubtilitate ſed clariſimus arte Galenus metho dis , pulſibus, atque
diſsectionibus. Ma quanto a queſt'ul tima parte,ben qual ſi foſſe Galieno , il
riconobbe , e l'ad ditò il Veffalio , che più del Cardano ne fudi gran lungu
informato . De' poiſi poi,che coſa potea indovinarne mai colui , che per
iſpiegarne la cagione , alla facoltà ricorſe , ne punto ſeppe de’movimenti del
ſangue ? Ma nella loica , quanto egli poco valce , il dica Aver roc, i 1
DelSig. Lionardo di Capoa 391 tropo ſtudio . roc , il dican aldri, che tanti
errori gli ſcoprirono in doſſo . Ma queſto è il veleno di tutte ſue opere , il
della loica : e fe Galien conobbeſi bene della loica, ficome pare al Cardino,
che monta ciò , s'egli non ſapea ,ne pro to avea fra le mani ciò ch'avea
eglicolla loica a diviſare ? e tanto baſti avere al preſente della medicina di
Galien fiz vellato ; e dicoloro , che dopo lui vennero , paſſeremo omai a far
brievemente parole, comechè novelliſiſtemino ritrovaſſer eglino di medicina .
Furono di così poco taléto que' che dopo Galieno ſcriſ ſero in medicina, che
non ſoppero altro , che le coſe mede fime dagli antichi già dette , malamente
per lor compreſe , e peggio rapportate , compilare ; anzi in ciò pur cotanto
bambi, e goccioloni diinoſtrarõſi,che tralaſciando perdap pocaggine le migliori
, ſolaméte alla ſchiuma inteſero; per chè Giuliano Cefare avendo commeſſo ad
Oribaſio , che di tutti antichi libri di medicina il più bel fiore coglieſe ',
mal puotè vedere il ſuo deſiderio a nobil fine códotto; per ciocchè colui non
altro che di fraſche, e di novelle,e di va niſſiine anfanie ſolamente fe faſcio
. Ma dovea purGiulia no , ſe filoſofante era , qual ſi ſtudiava di far vedere
ad al trui , avviſar ben cgli eſſer queſta d'altri omeri loma , che dello
ſciocco berlingatore d'Oribafio ; ne alcuna coſa di pregio certamente atrendere
da quegli infeliciſſimi tempi potcaſi, ove i medici anche eglino nelle loro
dottrine reſi ſervi,parean ſol nati a ſeguir prontamente i fallimenti, e gli
errori de'ſecoli traſandati , edi queimaeſtri, i quali ſicome da ciò che
addietro da noi è detto ſi può agevolmente ri trarre , anzi alle ciance , e
alle lunghe dicerie , che alle fal de operazioni avean l'animotutto , e'l
penſiero rivolto . E sì , e tanto queſta ſconcia , e biaſimevol coſtuma crebbe,
e diſcorſeper tutto a que' tempi, che i medeſimi impirici , ancora,laſciando da
parte le loro pruove , e le ſperienze , tutti nelle ciuffole , e ne'ben
compoſti cicalamenti ancor ella s'impigliarono; perchè meritevolmére Galieno
una fiata fi biaſimava di quel valentiffimo medico di tal ſetta , ch'avef fe
voluto logorar la ſua induſtria , e'l tempo in contraſtare ! ic 392
Ragionamento Quinto le ſette razionali ; perchè in iſperimentare , e in
medicare folamente adoperandoſi maggior frutto certamente confe guito n'avrebbe
. E fe gran ſenno quell'altro dottiſſimo impirico , ch'or mi ricorda eſſere
dalmedeſimo Galieno co loda mézionato : il quale a un inferino, che avea dato
orecs chic ad una lunghiſſima diceria tenuta dietro alle cagioni , alla natura
, a’ſegni , e a’rimedj della ſua malattia per un ciarlatore razionale , così
diſſe; Io per me non ſaprei io, ond'è , che tu più coſto debbi attenerti alle
vane ciance di coſtui , che alle tante , e tante pruove fatte permefin'ora ;
dal che moſſo lo infermo , diede di botto comıniato al van ſofiſta , e nelle
mani dello ſperimentato impirico rimiſeſi . Ma certamente cotanto ciarlare , e
anfaneggiare appararo no gli antichi incdicanti greci dal ſoverchio ſtudio
della loica ;avvegnachè per quella intorno alrimanéte,anzigua fti che
addottrinati ftati foſſero in avviſar le cagioni, e vere ragioni delle coſe:
cotanto ſconcia, e travolta l'adoperava no . E forſe in ciò potrebbon ritrovar
pietà , non che per dono , ſe già l'oſtinazione, e la fracotanza d'alquanti di
lo ro non foſſe giunta a tale , che per fermo eglino ebbero , e per coſtante ,
così veramente andar le biſogne della natų. ra, come eglino le îi davano ad
intendere , Ritroſi ancora ſi parvero , e negligenti affai i Greci mę, dici
nell'inveſtigar le parti così diſcorrenti , come faldede gli animali ; e poco o
nulla s’affaticarono per iſpiarne l'e , conomnia , e l'ingenerazioni , e
gliavanzamenti delle ma lattie ; ma ſour'ogn'altra coſa ſi vider traſcurati in
raccon tar la ſtoria de'medicamenti , la quale così dubbia , incer ta , e
favoloſa eſſer s'avviſa, come ſe a ſtudio di tal formar la ſtato foſſe il lor
principale intendimento; tante, e sì ſpeſ ſe fraſche , e novelle ſi troyano
colla verità in quella me ſcolare , e confuſe , E ben ſi ſcorge ciò dalla
raccolta, che ne fe il noſtro Plinio; ina foyra tutto dal volume di Diofco ride
, il qual da varjantichi autoriritraendo le virtù de'mc dicamenti ſenz'avviſar
ſe vere , o falſe elle fi foſſero , di tut te pienamente fece faſtello ; e tali
vengono poi per Galic no, per Oribalio , per Paplo , per Aczio , per Simon Seti
trat DelSig.Lionardo di Capoa 393 tiatto tratto deſcritte, quali
appunto.le.laſciò Dioſcoride regiſtrate; ſe non ſe ſcioccamente (forſe per far
ſembiante, che da coloro erano ſtate le coſe affai minuramente difa minare ) in
qual grado il ſemplice, o caldo o freddo ,o.umis do , oſecco egli.fi foffe
v'aggiunſero .. Ma ſe talora in qualche menomiſlima parte vien per lo ro mai
Dioſcoride ripigliato , certamente il fanno dove e * no'l merita ; ficoinc
allo.incontro il commendano , dove no'l vale . Ne lo ciò dico per diftorre
imedici dalla lettu ra di Dioſcoride , ch'egliè anzi permio avviſo il volume di
lui la miglior' opera di quante della medicina de' Greci alle noſtre mani ne
lian pervenute : ma perchè eglino vi ſia cauri , guardinghi, e ſenza rigoroia
efaininazione alle cofe per lui riferite alla rinfuſa non dian intera credenza
. E quinciancor manifeftamente s'avviſa , che non che nulle giovaffe.a'Greci la
Razional traccia a difcernere le facoltà de'medicamenti, anziella di vantaggio
loro oltremodo nocque ; perciocchè più veritieri aflai trovanfi i rapporti
delle virtù de’ſemplici appo i barbareſchi popoli, privi, digiuni di lettere,
che nelle limite , e ben culte ſtorie loro . Io tralaſcio di far parole
de’medicamenti compoſti de’Gre ci, che afai chiaro fi pare , quantodalla
fortuna, dal caſo, anzi che daila ben regolata loro ragione ne vengano di
viſati; mal porendofi dirittamente accozzare , e comporre infieme imedicamenti
femplicida colui , che di quellinon fia pienamente informato . E ben s'avvidero
i Greci ine dicanti più ſagaci ,.e più ſtimari della . poco lieta uſcita de'
loro medicamenti; perchè andando per innanzi maggior mente a riguardo:
folamente nel preſcrivere fobrio , e ben regolato vivere , l'arte tutra,e'l
ſommodel medicare ripo fero ; e sì , e tanto-in.ciò furono ritenuti , e
rigorofi, ch'a molti infermi più giorni ogni cibo vierano , cad altri la fo la
mulla permettevano. Poco accorti in mole'altre coſe li videro i Greci medici ;
perciocchè per iſpiarequanto lor foſſe ſtato poſſibile deca gioni delle
malattie di tanti infermimorti nelle lor mani no fi diedero maicuca d'aprire
icadaveri; avvegnachè una tal Did dili . 394 Ragionamento Quinto diligézainutile
altrui poſſa sebrare,eflendo malagevol mol to lo inveſtigare ſe ciò che guaſto
nelle interiora ſi ritrova , più toſto ſia effetto ,che cagion delmale ; pur
nondimeno alcuna fiata potrebbeperavventura a qualcheutilità riuſci re . Ma
quelche più rilieva, ne meno fcriſſero i Grecile ſtorie de'mali , ſe però non
le ci ha tolte la lunghezza del tempo ; e quelle poche, chenoi ne abbiam focco
nome da Ippocrate , elleno ſon cosi rozze, ed imperfette , che r.2- '
gionevolmente huom favoloſe le crede . Perchè non è po co da lodare il diviſo
di que'moderni , che ſi ſono attentati di ſcriverle , comeche Pabbian poſcia
meſſo infelicemente in opera , o perchè lor venne in talento di raccontar le ma
raviglie , ſicome fece Amato nelle ſue ſtorie :0 pure, perchè dalla faſcinazione
delle ſette adombrati', vider le coſe al trimenti diquel ch'elle erano ; ſe pur
non ſon elli imalizio fi , che le coſe ſempre aroveſcio , e travolte ne
vogliono da re a divedere ; ſicome alcuni di loro cento, e mille fperien ze,
matutte falſe , per difender le loro opinioni tutto di van recando . Egli furon
poi i Greci cosi per vaghezza brigāti, eriot tofi che , tal ſovente videli ,
nonche ad altri ,ma a ſe me d'elimi far contraſto ; ſe bene in ciò non tanto
eglino ſono da accagionare, quanto i viluppi , e le malagevolezze di quell'arte
, che eglino cotanto con biftentis e vigilie , e fudori ſtudiaronſi
d'illuſtrare , emaggiormente offuſcaro no ; perchè non ſenza rifa da huom di
ſano intendimento leggerafſí la millanteria di Pelope Maeſtro di Galieno , il
qual vantava di ciaſcuna coſa di medicina ſaper la vera ; incontraſtabil
cagione . E già parmi leggiermente avet cocca, e traſcorſa tutta la medicina
de'Greci;e quantunque non abbia lo fatra ſpezial menzione d’Areteo , il cuili
bro per avventura ſembra ſcritto con diligenza maggior di quanti ne fon rimaſi
interi della medicina deGreci,e con filoſofica libertà; pur non è da
maravigliarvene, perciocchè egli contien le dottrine medeſime da noi più fiate
diſami nate , e riprovate . Finalmente ſi conoſce , che non hanno gran coſa i
Greci in medicina adoperato ; imperocchè les aveffer 1 1 Del Sig.Lionardodi
Capoa . 395 aveſfer qualche coſa di pro eglino mai rinvenuto , certame te
qualche veſtigio appo gli autori , chealle noſtre mani so pervenuti,ne apparirebbe.
Ma chedovrem noi dire della Arabeſca medicina ella fu tanto nel paſſato ſecolo
abburattata , e premuta,che par che d'altra eſaminazione non le faccia più
meſtiere . E ciò maggiormente , che dagli Arabi fu maiſempre il filoſofar in
inedicina di Galieno ſuperſtizioſamente ſeguito; del cui mancamento molte coſe
abbiam noiragionato . Ma egli è in iſtato più miſerevole la loro ſcuola , che
dove alcunas volta Ippocrate , e Galieno non dipartendoſi dalla ragio ne il ver
dicono , ella ſconciamente gli abbandona . Nel rimanente poi, e ſpezialmente
nella materia de ſemplici: di leggieri immaginar nonpuoſli, quanto ſciocchi ſi
ſiano i diviſamenti degli Arabi;imperocchèbaſtava lor ſolamente aver letto , o
pur udito, che per Galicno una coſa ſi affer maſſe, che immantinente per vera
la credevano.Perchè poi gli Arabi ignorarono la greca favella , l'un ſemplice ,
e l'un malore per l'altro ſpeſſe fiate colfero in iſcambio; e de’libri della
natomia de'greci molte coſe , emolte non inteſero ; ma gran male queſto non
ſarebbe ſtato per avventura , fe di vantaggio qualche lor ſogno non ci aveſſer
frāmeſſo . Ed anvegnachè fra’medicamenti dagli Arabi ritrovati ve ne abbia
forſe saluno , che a que' de Greci prevaglia . , niente dimeno nulla ,.o poco
ciò monta riſpetto al grave, e incom parabil danno , ch'apportarono gli Arabial
mondo colla ver introdotto l'uſo del zucchero , per cui ſi fono sbandeg giate
perpetuamente le Sape , le Mulſe, gli Offimeli ſem plici, e compoíti, e in
tante guiſe formati; e ſono a lor ſuc ceduti con graviſſiino danno
degl'infermi,i ſciroppi ; con cioliecoſachè ſotto il doice del zucchero ,un
enordaciſſimo, e pungentiffimo fale ſi naſconda, valevole colla ſua morda cità
a ingenerarferventiſſimo caldo ; ed egli oltre a ciò ab bonda il zucchero d'una
cotal tenacità oppilante , e perciò alle viſcere nocevole oltremodo , e nimici;
della quale il miele è affatto privo , mercè , che le apiil rendon volatile ,
Ddd 2 e fot 1 390 RagionamentoQuinto é fottile , e penetrante e, quaſi ad una
celeſtial quinteffens za il riducono ; perchè facendo nelle viſcere il miele
poca dimora, poca, o niuna offeſa può certamenteil ſuo fale re carne , che men
acuto anche , e mordace del ſale del zuc chero ſi ſperimenta . Maſenza più
diftendermi in queſto , ayendovifaſtiditi pur troppo , lo fo quì fine al mio
ragio mare . RA : 397 RAGIONAMENTO SE S TO, vele Icome al partir della fredda
ſtagione, dal grave peſo delle neviſgombra la terra , tutta lieta: , e
feſteggiante ringiovaniſce , e allo ſpirar de'tiepidi zeffiretti laſciando
ležiarſe, e ſquallide ſpoglie; di vaghi fio ri, e di fronzute piante fi riveſte
; e fiabe belliſce : cosìparimente;o Signori ,le ſcienze , e le più no bili
artiscellati ifuriofi diſcorrimenti de'barbari, che mala mentemalmenare
l'aveano , cominciarono aʼnoſtri più yi cini tempiper l'Italica induſtria
tratto tratto a farſi vedere, a poco a poco riacquiſtando l'antico', e forſe
altro più rag guardevole ſplendore.Già la Greca, e la Latina favella ,d'o, gni
ſcienza antichemadri , riſurte fiorivano ; già la Poeſia ', egli ſtudjtutti del
ben parlare erano in ſu'l far frutto ; ne l'Archițettura più , 12.Muſica ,o la
Pittura , o ciaſcuna altra arte abbattutalanguiva ; ma pur la medicina ſola;e
la Filoſofia nel comun ſollevamento , in vil ſervaggio vivens do ſe ne giacevano
oppreffe , efgombinate dal barbareſco giogo d'Ariſtotele, e di Galieno; quando
piacque finalme. te a colui, che impoſe a tutte umane coſe aver fine, che fi
levala 299 Ragionamento Sesto 3 1 Ievaffer fuſo alquantianimigrandi , e
generoli, quali NOR G fperavano, e non poteano per huom mai immaginarſi, ch ,
avallar doveſſerola ſignoria di coloro , e la medicina , e la filoſofia alla
primieralibertà, e al perduto pregio riporres O ſpiriti veramente generoſi, e
da elſer commendati per quantoil mondo durerà ; i quali ardirono prima di far
ri paro all'impetuoſo torrente dell'abuſo comune ; e ad op porſi sforzatamente
all'univerſalconſentimento delle gen ti . Maggior gloria certamente fu di
coſtoro , i quali furo no i primi a rompere il guado a sì ardua impreſa , e
arice ver a battaglia affrontata i pertinaci ſeguitatori di Galieno: che di
coloro , i quali in prima ſetteggiando a lor talento , nel confuſo
rimeſcolamento della medicina s'argomenta rono di trarla moltitudine ancor
libera a’lor ſentimenti; c . s'eglino , i quali riduſſero la medicina a qualche
più toſto apparente,ch'eſiſtente ſtato di perfezione , ed i primi ri trovatori
di quella in cima d'altiſſima gloria aſcefero,e for montarono : che farà da dir
di coſtoro , i quali, non che ab battuti e'fi foſſero in terren ſoluto ,e
d'ogni erbaccia purga to : anzi cotanto duro , e mafagevole , e ſpiuoſo il
ritrova rono , che ben convenne loro in prima durar lunga fatiga a liberarlo
da’bronchi, e da'pruni, c da’ravvolti ſterpi,che l'ingrombavano,anziche vi
poteſſero granello riporre. Ne ſembra certamente cotanto malagevolel'introdurre
da pri ma alcuna coſtuma infra le rozze genti : quanto egli è du To , e quaſi
impoſſibile , allor che quelle già auſare viſono, e tutto che indurate ,a far
loro cambiar uſanza , ericre derle , e ſgannarle de loro errori; perchè è da
dire , ches molto maggior vanto foſſe deʼriſtoratori della guaſta, e mal menata
medicina a rimetter fe medeſimi in prima, e poi gli altri al diritto ſentiero :
che non fu di coloro , i quali non incontrarono malagevolezza niuna
d'invecchiata , cpre ſcritta uſanza da ſuperare . Ma ciò al preſente laſciando
, trapaſſeremo a narrar de'noſtrivaloroſi moderni, ſecondo il noſtro
diviſamento ; e diremo chente , e quali ſiano le loro opinioni intorno alle
coſe più ragguardevoli della me dicina . 1 + 1 Egli Del Sig.LionardodiCapoa.
399 Egli fembracertamente , che prima diciaſcun'altro l'al cilimo Chimico , e
filoſofante Bafilio Valentino , monaco diS.Benedetto: fatto capo a' ſuoi tempi
nella Lamagna co tro la ſignoreggiante medicina di Galieno, e quella degli
Arabi, perpiù d'una prưova conobbe a deboliſme fonda menta quelle attenerſi , e
in ſü’l ſecco ſenza fallo effer in peſtate;concioffiecoſachèprive di ragioni,e
manchevoliol tremodo d'efficaci medicamenti végano alla per fine ſtret re a
riporre tutta loro ſperanza di vincer le pertinaci,e gra vi malattie nella ſola
natura : comcchè co ' falalli ,e colle purgagioni , e con altriſconcj, e
violenti rimedi render la ſogliono ſovente ſpoſfata, e poco acconciza fofferir
la vio lenza del male . Perchè argomentoſſi dicomporrenuove forti di
medicamenti profittevoli a malati ſenza riſchio di piggiorar loro con quelli di
nulla la conpleſſione. E con ciofoſſecofa,che eglivalentiſſimo Chimico foſſe ,
e molto in folver icorpi maſſimamente minerali affaticafléfi , diede egli
cominciamento a quel ſuo famoſiſſimo ſiſtema di medicina , chepoicompiuto,e
perfezionato venne da Teo fraſto Paracelſo . Ma comechè ponga egli per fondamen
to della fua medicina que’tre principi , de'quali anche ſer veli il Paracelſo :
çiò ſono zolfo , ſale , e mercurio ; non però di meno diſcorda egli non poco
dal Paracelſo in ciò , che egli giudica corali principj ingenerarſi dagli
elementi . Nel qualſuo ſentimento certamente egli non poco falla , laſciandoli
ſcioccamente menare alla piena del folle vulgo in ſupporregli elementi ;
perciocchè ben doveva egli avvi ſare , quelli ſolamente eſſer nel cervello
d'Ariſtotele , e di Galieno : e che tutti loro argomenti, malimamente quel lo ,
che ſembra aver qualche ſembianza di vero , cioè , che icorpi tutti in
iſciogliendoſi , a quelli come aloro primi componenti ritornino , ſiano yani, e
fallaci; alla qualcoſa fare bédovevalo ajutare lanotomia vitale;mal'aver lui
uſa . to qualche tempo nelle ſcuole in ciò pur dovette abbaci narlo . Adunque
egli giudica , che tutte coſe abbian lor materia , e lor forma, onde poi prenda
dirivo ciaſcuna lo ro operazione : e che queſta dalle ſtelle venga ingenerata,e
dagli 400 Ragionamento Seſto 1 1 dagli elementi formata , e da’tre principj ſolfo
, fale , e mer curio prodotta , e perfezionata ; ma pur.dice egli una fiaca
l'acqua eſſer la primamateria ditutte le coſe ; que, ſon fue parole ,
exficcatione ignis , & aëris in terram formata eft . Oltre a ciò egli
afferma, in ciaſcuna coſa dimorar cotali fpi riti vivificanti operativi , i
quali G nutrichino, e fi foftenti no de'corpi, ne'quali albergano: che in
queſti ſpiritila vir tù , e la forza d'effi corpi ſpezialmente conſiſta ; ma
come chè queſte, e altre fraſche aſſaiintorno alla natura di sì fat ti ſpiriti
egli vada ſcrivendo , pur ſi potrebbono le ſue parole intendere allegoricamente
, e con ſentimento forſe da non diſpregiarſi: ſe non ſe moſtra manifeſtamente
così in: ciò , comein altri ſuoi divifamenti eſſere ſtato lui molto [um
perſtizioſo , e vano nel ſuo filoſofare . Perchè o colpa foſſe de'tempi , o
altro, che il ſi faceſſe, comechè egli intenden tiffimo foſſe ſtato della vital
notomia , e che con quella ma raviglioſe coſe aſſaioperate aveſſe , avviſando
ſottilmente i più naſcoſi ſegreti della natura ; non però di meno non ſe ne
ſeppeegli sì ben ſervire , che penetrare aveſſe potutoi veri principj,onde le
operazioni, e gliefferci de vegetabi li , degli animali , e de'minerali
procedono . Mapure egli , come non poco arricchita aveſſe de' ſuoi comiendevoli
ritrovati , e di ſottiliffimi divifamenti la me dicina , e che ſaggiamente
giudichi infra l'altre coſe , che dal lavorio delle chiniche preparazioni de'
corpi naturali ne lieguano,naſcere il certo conoſcimento di cotal arte;im
pertāto.egli manifeftamête avviſando l'incertezza di qucl la , ne conſiglia ,
econforta a riguardar ſempre all'uſcimen to de’rimedj; perciocchè dal nocimento
, e dall'utile , che quelli recano a'malati, può il medico avveduto prender có
figlio , ſe debba più per innanzi adoperargli. o nulla , quanto al fatto del
medicare, il Va lentino delle chimiche operazioni fi valſe; imperocchè qua
tunque belli , e grandi, e copiofi medicamenti gli venine ro , mercè la chimica
conoſciuti ; la cui vircù egii profone damente ſpiò: e più avanti facendoſi
giugneſſea penetrar la propietà de' tre principi nondimeno non tols'egli a {pie
1 Ma poco , gi!re Del Sig. Lionardo di Capoa 401 gare, come da quelli
s'ingenerino , el guariſcano i mali. La quale imprela certamente fu dopo luidal
Paracelſo , ſe non compiutamente fornita , a grande ſtato condotta ; av
vegnachè il Valentino non tralaſciaſſe affatto di metternes fuora da quando in
quando qualche profittevole ammae ſtramento ; ſicomeè quello chea’mali
ch’abbian fatto cal lo , e di ſoverchio ſi fian radicati in corpo , ſolo le
fifle me dicine approdar poſſano , ficome quelle , che fin dalle ra dici gli
sbarbano; le non fiſſe ſaggiamente a quell'acques piovane aſſomigliando , le
quali toſto diſcorrendo per le Atrade , non penetrano per fonghe, o per foſſati
fin nelles viſcere della terra . Siinigliante è quell'altro ſuo avviſo , che
Come d'affe ftraechiodo con chiodo, così l'un ſimile vaglia l'altro a curare ;
allegandonc l'eſem plo del veleno , il quale non altrimenti che la calamita ſi
faccia il ferro , tragge , ed aſſorbiſce l'altro veleno ; ed in veggendo egli ,
che l'acqua arzente guariſce la Riſipola , immaginò, che il caldo di quella
l'interior calore di queſta attraeſe . Ma da queſto diviſamento può ciaſcuno
far con , ghiettura , ch'egli entrato ne’valti regni della natura , qui vi poi
li ſmarriſfe , ne fructo, e pro che dovea ne riportaſ ſe ; imperocchè s'egli ſi
foſſe dirittamente appoſto , avreb be detto , che ingenerandoſi la Riſipola
dall'acetoſità , gli Alcali volanti dello ſpirito del vino ciò adoperino ; il
che ben ebbe inteſo il Paracelſo, onde potè cotant'erbe di ſimi li alcali
volanti ripiene,valevoli a far contraſto all'acetoſità delle ferute agevolmente
rinvenire , e compornc tanti be veraggi , che vulnerarj ſon detri. Maciò , ch'è
di maggior conſiderazione , cgli non curò mai il Valentino d'inveſtigare ( il
che forſe a lui non guari malagevole ſtato ſarebbe) la figura , e tutt'altre
proprietà di quelle particelle , onde i tre principj ſono formati , eco me , ed
onde le loro operazioni avvengano; in tal guiſa avrebbe egli potuto
felicementenella filoſofia innolcrādoſi ſcorgere , come il ſuo Vulcano fia
conoſcitore , egiudica tore ditutte le coſe ne’ere principj ſolvendole , ficome
e'di Eec CC CON 402 Ragionamento Sefto 1 ce con quelle parole , che dal tedeſco
idiomanel latino così furono dalChercringio portate; Quum Chalybs durif
fimusfilice duro ſolidoque percutirur , ignis ignem excitat , commotione
vehementi , & - accenſione eliciente occultum ful phur, fiveignis occultus
manifeftatur.commotione ifta vehe menti , eper aërem accenditur , ita ut verè ,
& efficaciter ardeat ; fali maner: in cinere , &mercurius inde fe
proripit una cum ſulphure ardente . Ma ſe mai avutoegli aveſſe pie na
contezzadella naturadel fuoco ,di cuipoteva informar ſi dalle continue
operazioni, che gli ſe ne parávano innanzi agli occhj;séza fallo ,egli in
sifatramaniera none avreb be ragionato .. E ſe in cocal guiſa foſſe andato
confidcrara mente negli alti miſterj della natura innoltrandoſi , NTOI farebbe ſtato
da cotanta maraviglia ſoprapreſo per lo con tinuo ſcambiamento delvino in aceto
. Ne ſarebbe egli ſta to nelle ſue opinioni cotanto bergolo , e poco ſtabile
;:fe forſe ciò non avvenne in lui dall'accorgimento , ch'eglieb be del noſtro
corto intendimento , e dalle malagcvofezze in cuici avvegniamnoi fovente in
filoſofando . Il perchè preſe ad eſclamare una fiata . Bone Deus !'natura à
nobis bominibus quodammodo indignatur tota: pervideri ! cum vi tri noftratempus
conftitueris adeobreve , & cu verus omnia judex multa refervaveris tibi in
creaturis; que non ſcientiæ , fed admirationi noftræ reliquiſti. Ma tempo è
omai di venire a Teofraſto Paracelſo ; ne già m'invicrò lo per la ſtrada
dall'Eraſto , dal Cortino , dal Riolano padre , e da altri famoſi Galieniſti
calcata ; i quali a biaſimar in lui ciò,che eglino medeſimi non comprende vano
fi miſero , porgendo giufta cagione ał gran Ticone di dire: Paracelſus pluribus
oppugnatus quam intellectus ; e lor fatica impiegando intorno a materie
bazzeſche,e gher minelle s'ardirono a rimbcccar quelle ragioni , che già più
fortunatamente avea il Paracelſo contro illoro Ariſtotele , e'llor Galicno
adoperate : intorno a' quali ſoleva il Para celſo dire , che con una ſola
ſperienza arebbe cento ſuppo fte dimoſtrazioni d'Ariſtotele abbattute, e
mandate a ter ra ; ma rimarrò ſolamente pago di toccar pochiſſime coſe 1 di mio
Del Sig.LionardodiCapoa. 403 di mio talento , e ſpezialmente quelle , ſopra le
quali il di ftema tutto di lui vien piantato .. Lamedicina del Paracelſo , quantunqueragionevolme
te a chi può dar di queſte coſe perfettogiudicio molto più veriſimile
dell'altre razionali fi paja , e che tanto ne' pro fondi miſteri della natura
innoltrata , e profondata lilia , cheminutamente ragguardar poſſa a quelle
minuzie , per le quali ſolamente l'arti alla debita perfezione montarpor fano :
ediſceſa ſi veggia più di tutt'altre medicine, ad ogni menomillunaparticella
diſtintamente Itacciare : coſa , la quale già tanto da Galieno fu nella
medicina fofpirata ; e quantunque nel diviſarle cagioni ,e la natura delle
målar tie , e diciù , ch'a quelle , ed all'economia degli animali s'appartenga
, valentiſſimo egli fia : edil ſuo autore abbia trovati , e poſtiglorioſamente
in uforimedj valevoli, ed ac concj a riſanare ancheque’mali giudicati per
addiecro infia nabili dagli antichi ; e quantınque alcuno dir giuſtamen te
vaglia , aver lui aſſai più di lume , e di vantaggio , e d'ui tile recato al
mondo co'foli ſuoi libri del Tartaro , che co® loro infiniti , e voluminoſi
libri di medicina tutt'altri fcric tori , così Greci , come Latini inſieme
s'ayefſer mai fac to ; non però di meno chiunque con occhio filoſofico , e
fpaffionato ben ſotcilmente vi badalſe,agevolmente ravvi far potrebbe la
dottrina per lei inſegnata eſſer alquanto manchevole , ed intralciata , e le
ſue saccherelle, comechè minori forſe dell'altre, avere anch'ella . E tutto ciò
certamente avviene tra per la natura della medicina, impoſſibile a comprendere
ad intendiméto uma no , come di ſopra baſtantemente è detto ; ed ancora per chè
il Paracelſo a tante , e sì diverſe , e ſtranemaraviglie da lui nuovamente
nella natura offervate, a guiſa d'occhio da troppa luce abbagliato , Che dal
troppo veder men'alto intende, tutto vinto , e tremolante più oltre non osò
guatare : ſule prime ſoglie della natura riſterteſi, ove maggiormente a fpiarla
per tutto inuoltrar fi dovea ; così Nun altrimenti ſtupido fiturba Ece 2 Il 1
404 Ragionamento Seſto 1 1 Il montanaro , e rimirando ammuta, Quando rozzo , e
ſalvatico s'inurba. Perchènon men , cheGalieno già de'ſuoi principj s’aveffe
fatto: grazioſamente immaginandoſi la natura della corpo rea ſoſtanza , e delle
quattro primjere da lui dette Relol lacee qualità : ene men inveſtigando onde
avvenir poſfa , ch'elleno sì poco valevoli ſiano nel corpo umano ad opera re ,
e cheniuna parte abbiano nelle gravi inalattie ; e per altre,ed altre
ragioni,nelle medeſime tacce delle quali ac cagionali Galieno poco meno
incorrer fi vede. Così il Pate racelſo intorno a'ſuoi principj non miga già,
ſicomea buo.si filoſofíte covenivaſi,riguardò alla natura , o alla proprietà ,
o a’modi del loro operare;ſenza le quali contezze non può certamente , ſe non
murarſi a ſecco, e poco durevol ſiſtema di razional medicina in piè rizzarſi .
Ma acciocchè quanto Io dico più apertamente ſcorger ſi poſſa , convien la coſaw
più minutamente diſaminare . Queſta grandiſſimamaſſa dellVniverſo e' fi pare ,
che da Teofraſto Paracelſo venga in due globi partita: uno al to , che due
elementiin ſe contiene , ciò ſono il fuoco , Paria : e un'altro più baſſo, che
ſomigliante due altrine ha, e ſono l'acqua , e la terra . I quali quattro
Elementi chia manfi ancora da lui vacuitadi;perciocchè vuoti d'ogni cor po
eglino ſono:altrimenti no potrebbono da' corpi agevol mente efſer ingombri.
Sono adunque gli elementi incorpo rei,cioè a dire privi d'ognicorporea
diméfone. Ma in que Ha vacuità dice egli , chela luce , e le ſeminali ragioni
di tutte cole dal loprano Facitore meſſe furono , allorches quello, di nulla
criò da prima l'Univerſo; quindi v'aggiun ſe le ſembianze , e le coperte propie
de corpi, le qualiallor che quelli veſtono , varie , e diverſe coſe ci
producono. Per quel, che ſi poſſadall'opere del Paracelſo argomentare : i
principi primi delle coſe fon di due inaniere; perciocchè, o ſono principj
propiamente tali , o alcuni di que', ch'elemé ti comunemente diconſi . Gli
elementi ſono due , uno è fecco , il qual terra dannata , e cenere , carena
anche tal volta chiamaſi: l'altro è umido , il qual flemmafi dice . La Del
Sig.Lionardo di Capoa 405 La terra dannata non ha virtù alcuna , ſalvo che
d'aſſor bere, e impiaſtrica,come dicono ; e la flemma parimente al tro non
adopera , che ammollare , e inumidire ; perchè ſon dette principi paſſivi . Ma
non ſolamente la ficcità , e l'umidore, giudica il Pa racelſo , che in nulla
s'adoperino in queſta maſſa mondiale; ma quell'altre dire qualità ancora ,che
dalle ſcuole agli ele menti s'attribuifcono , dice egli ad altro non ſervire ,
fuor folamente, che a riſcaldare,o a raffreddare; perchè da lui , tutte , e
quattro chiamanſi Relollacee, cioè a dire ſeioperd te , e ozioſe ; perciocchè
non hanno elleno virtù alcuna ſe minale . Nelche ſi pare, che il Paracelſo
imitare abbia vo Juto Ariftotele, ilquale vuol , che i ſemi tucti ſian d’unco
tal calore forniti, propiamente celeſte, e diverſo affatto dal calore
elementare. Perchè è da dire , che fecondamente chè giudica il Paracelſo , le
quattro volgari qualità altro non adoperino , che cccitare, e riſvegliare le
féminali virtù nc'corpi,ove clle ſono. Ma i principj propiamente tali , che
attivi egli chiama ; ſono anchetre , fecondo lui ; ciò ſono il Sale , il Solfo
, e'l Mercurio . Egli è il ſale una ſoſtanza ſalda , ſavorofa , la , qual
disfaſli , e ſolveſi volentieriper acqua,e per caldo derato fi ſecca , e li raſſoda
: e per ſoverchio fuoco ſi fonde. Il ſolfo è un corpo liquido, untuoſo ,
agevole ad accender fi . E dalſale vengon tutti ſapori alle coſe : e per lo
ſolfo gli odori in quelle fpirano . Ma il Mercurio è un coralli quore
fottiliſſimo , echiariſſimo , il quale per la ſua ſottie gliezza in tutto
penetrando , agevolmente ſi diſperde , ei fvaniſce. Or sì fatti principi giuſta
i ſentimenti del Paracelſo abbi fognan tutti neceſſariamente a comporre ,
egenerare cia fcuna coſa del mondo; perciocchè il ſale è il fondamento di tutta
la faldezza de'corpi ; e non potendoſi il fale meſcola re , s'egli in primanon
li ſolve in minutiſſime particelle , fa meſtieri della fleminaa ciò adoperare .
Ma la flemma non può meſcolarli col fale per cóporre i corpi,ſenza l'ajuto del
ſolfo ; il qual parimente per la ſua untuoſità non potendo mo : ſi age 406
Ragionamento Sefto fi agevolmente partire, ficomefi conviene, abbiſogna dell'
acqua; la qualcompreſa, e impregnata del ſale ſciolto , fonde il ſolfo , e
maggiormente disfallo , acciocchè poſla diſcorrere , e meſcolarſi acconciamente
a formarle coſe del mondo . Vien poiil mercurio , il quale a guiſa d'anima nel
corpo , per cutto penetra , e diſcorre ; ma in niunama niera potrà certamente
ingenerarſi fermo, e ben faldo cor po , ſe per la terra dannata in prima non ſi
ſuccia , es’at trae la ſoverchia acqua , chesformatamentel'ammolla: per la qual
terra finalmente alla debita perfezione, e all'ultimo for compimentole maſſe
tutte de corpidivengono . Per le quali coſe dimoſtrandone il Paracelſo, che
diſtruggendofi qualunque corpo , in queſte cinque ſoſtanze folamente fi lolva :
e contendendo, che cotaliſoſtanze non poſſano cer tamente per cola del mondo in
altro giammai cambiarli , o folverſi : egli inſiemeraffermail ſuo diviſamento ,
e abbat te ſenza fallol'opinione d'Ariſtotele , e di Galicno intorno a’loro
priini quattro elementi. E sì avendo ben tutto ciò che fa meſtieri alla natura
de’principi, queſte ſole ſue ſoftá ze , e non altre dice il Paracelſo eſſeri
veri principi delle core . Ma Io per manifeſtare il mio parere intorno a cotal
di viſo del Paracelſo , non vo'ora opporgli , che y’abbia alcu ni corpi , i
quali , come affermal'Elmonte , e altri valoroſi maeſtri in Chimica , non ſi
poſſano maidisfare , o fciorre nelle loktanze da lui avviſate ; ficome
certamente è l'oro , e'l mercurio volgare;perciocchèegli agevolmente riſponder
potrebbe, ſe aver bene cotali corpi ſoluti ; comcchè ciò 2 coloro malagevol
fia, ſenza il vero artificio adoperare. Ne meno dirò , che cotali ſoſtanze
s’ingenerino di nuovo allor che disfannoſi i corpi : e che prima in quelli in
niun modo alliguavano ; perciocchè potrebbe egli ancor dire, che'lle gno per
qualche ſpazio di tempo macerato nell'acqua , le poi ſi brucia, non dimoſtra
nulla di ſale: ſegno manifeſtif fimo, che'l ſale allor, che in bruciandofi il
legno nonmace rato ſi pare , era in priina nellegno : e che dal legno l'ac qua
n’avea tratto colſuo maccramento il ſale ; anzi dirà il Para . Del Sig.
Lionardodi Capoa. 407 Paracelſo eſſer alcuni corpi, ne'quali ſenza artificio
alcuno , e ſenza ſolverſi v'appajano manifeſtamente cotali principi, ſicome
nelle ſugne , e in altri corpi grafli', e uotuolije nelle ulive anche non
ſolute il ſolfo-apertamente li ſcorge ; per ciocchè in quello ſommamente
abbondano ; ne a trar da quelli il ſolfo fa luogo lungo ftudio di chimica , o
ben fati colo favorio di diligentemaeſtro ; che poſfiamo dire eſſer il ſolfo
quivi tratto per l'artificio del fuoco, e in canta abbon danzaefferſi di
preſente ingenerato . Nepuò il fuoco , per direvole , e gagliardo , ch'egli
fiaſi ciò adoperare; percioc chè dalla terra dannata', o dalla flemma, ove
fólfo ,ne mer . curio, ne fale non alligna , non ſi potrà per opera difuo co ,
orlalaro chimico ſtrumento trarne goccia giammai. Tralaſcerò pure di dire
collElmonte , che dall'arena; dalla ſelce , non maiſolfo , o mercurio ſi può
trarre ; per ciocchè riſpõderebbe il Paracelſo in cotalicorpieſſer quel le
ſoſtanze cotanto ſcarſe , e poche , che nel volerle diſa minare ſi difperdono .
Ne recherò , che per far pruova diciò l'Elmonte con ſuo ſottiliffimo artificio
ſciolle in un purisſimo ſale l'arene , e le pietre : le quali s'avvisò egli no
aver perciò perduto nulla del loro primjero peſo ; percioc chè fa
pochiilimaquantità delſolfo , edelmercurio ſvapo raci,quello cotanto poco fa
menomare,che malagevolmen te fi pud per huomo avviſare ; ſenzachè ben può
penetrar qualche coſa in eſſi corpi, quando ſolvonfi,la quale riſtorar poſla il
perdimento delle ſoſtanze , che ne ſvaporano . Ne dirò pur coll'Elmonte , ſcambiarſi
infra loid vicen devolmente corali principj; conciofoſſecofa , che egli con
maraviglioſo artificio ſcambiato aveſſe il ſale in olio , e l'o lio poi
tramutato in acqua ; perciocchè non così agevol mente il Paracelſo avrebbegli
in ciò preſtato tede , fe pri ma con gli occhj propj non l'aveſſe veduto . E
medeſima menteciò riſponderebbe il Paracelſo a quell'altra novella dell'Elmonte
, ove egli vantaſi da ſedici once di gromma di vino aver tratto per
diſtilazione un'oncia d'acqua , due once , e mezza di ſale , e dodici d'olio ,
perchè egli n’argo menta poi contro al Paracelſo , che l'olio ſi ſia nuovamente
dal 408 Ragionamento Sefto , dal Cale acetoſo della gromma ingenerato;
conciofoſſecofa , che ſe tanta quantità d'olio ſtata in prima vi foſſe ,ſarebbe
& a più d'un ſegno certamente manifeſtaţa. Ė alla per fine laſceròmolti, e
molti altriargomenti da rintuzzare il ſiſtema del Paracelſo , e i ſuoi principj
: ficome quelli , a' quali cgli agevolmente riparar potrebbe . Sola mente dirò
, che quantunque lo ſcioglimento ottimo mnez zo fia da dovereavviſarei principi
delle coſe ; non però di meno tra per la ſcarſezza degli ſtruinenti, e di tutto
ciò ,ch ' a perfettamente fornirlo ſi conviene, e ancora per lamala gevolezza
dellavorio , ſi rende quaſi egli impoſſibile ; ſen zachè nello ſcioglimento
delle coſe,moltec molte lor por zioni delle più ſottili, e però forſe più
operative fa mestier, che ſvaporino , e ſi diſperdano prima di potereſſer
avviſa te ; c altre comechè pur virimangano , nondimeno per la loro picciolczza
non si poſſan comprendere , non che per altra notomia più ſottile diſaminare.
Ma ſopra qualunque altro argomento , che ſoſpetti rens de i principi
delParacelſo quello ſiè,che colle ſuddette ſue cinque ſoſtanze egli non
iſpiega, ne ſpiegar certamente po tea , come da loro le ſenſibili qualità ad
ognun conoſciu te , e quelle , ch'egli chiama Cherionie s’ingenerino ,eco me
operino , ſe pure il fanno ; ne è maraviglia , che'l Para celſo ciò non abbia
adempier potuto : da che egli non ſa qual ſia la lor natura ; ne certamente
ſaperla , anzine meno inveſtigarla egli giammai poteva , non ſappiendo la
natura della ſoſtanza ,onde quelle produconſi. Perchè egli fa meſtier
confeſſare , che la medicina del Paracelſo manche vole nella ſua maggior parte
ſi ſia. E ſe egli cotanto valoroſo ſi foſſe ſtato in iſcienza , qual veramente
giudicavaſi , dovea ben'egli in avviſando , che co'ſuoi principj non ſi potea
render ragione dell'apparenze delle coſe , prender quinci cagione di
ſoſpettarenon certa mente altri foffero i veri principj di quellc , e quindi
forte ſtudiarſi d'inveſtigargli ; perciocchè ſe a ciò aveſſe porav ventura egli
indugiato ; ſenza fallo avviſato avrebbe, le varie , e diverſe figure delle
menomiſſime particelle eſſer de'ſuoi DelSig.Lionardo di Capoa 409 de' ſuoi
principj cagione ; perchè agevolmenteargomentar n'avrebbepotuto come, e perchè
quelli operaffero : eche non eglino , ma il corpo medeſimo in varie , e diverſe
brice fgrecolatose partito, forſe delle coſe del mondo il vero prin cipio, onde
poi ciaſcuna operazione di quelle prendeſſera dice , e cominciamento . Ma
intorno alla maniera dei medicare del Paracelſo , ſe credenza preſtar ſi deve a
que’libri , che ſotto ſuo nome vanno , èda dire , chemolto vaga , e in coſtante
ella ſi foſ fe , e di pochiſſima fermezza . Il che altronde certamente non
nacque , ſe non fe dall'avvederſi , ch'egli fe in medicão do , dell'incertezza
grande dell'arte ; non però di meno egli pur convien confeffare , niuno ,per
quel che ſi ſappia , aver avuto corante , e cotanto efficaci, evalevoli
medicine a fgombrar le più pertinaci, e diſperate malattie , quanto il
Paracelſo ; e sì ſaggiamente ſeppele egli a tempo adope rare , che non fu
certamente infra gli antichi medico co tanto valoroſo , e avveduto , ch'a molto
ſpazio , così nell' uno , come nell'altro non gliandaſic dietro . Perchè in tā
to pregio , e rinomèa montonne egli preſſo le genti, che non huomo mortale
tanto , o quanto della medicina cono ſciuto ,ma non altrimenti che dal Cielo
per ſalvamento del genere umanomandato comunemente giudicavanlo . Ne v'increſca
al preſente aſcoltarne anche da altri le lo di , ancorachè alcuni di loro per
uggia , e mal talento con biechi occhj il guardaſſero . Ecco il doctiſſimo
Spondano, il qual ſovente lumc, e occhio della Germania folea chia marlo , così
di luifcrive : creditur habuiſse præftantiffimum illud vellus aureum , quod
Iafon apud Colchos conquifivit : ( Intelligunt me qui Suidam legerunt) quo
defperatos mor bos fanavit ; ande magietiam opinionem apud quofdam cele bres viros
, quod magis miror , eft confequutus . E prima dello Spondano , Corrado
Geſneri, comeche parzial di Galieno , e di lui per invidia inimico , pur dalla
verità ſtret to ebbe a dire : audio multos paffim ab eo in morbis deſpera tis
curatos : & ulcera maligna ab eo feliciter ſanata . E al trove egli n'avea
detto : Paracelſus noftra memoria mugus Fff FJOR 410 RagionamentoSefto (
nondubito.quin hoc nomen magis fanèintelligas', ut apud Perfas ufurpatum fuit)
admirabilis homo, notusamicis qui. bufdam meis; à vicinis noftris Helvetiis
oriundus , perva. gatus magnam Orbispartem : chimica arte y qaamipfe puto
ſpagiricamvocat, excellentisfimus omnium , ita utper eam metalla immutaret .
E'l dottisſimo Geometra, e filoſofo Pietro Ramo di lui parlando fcrive:in
intima natura viſce ra ficpenitus introivit , metallorum , ſtirpiumque vires,
facultates tàmincredibili ingenii acumine exploravit,acper vidit , ad morbos
defperatosi, & hominum opinione infana biles, percurandum,ut cum Teofraſto
nataprimum medicina, perfett'aque. videatur . Madel ſuo incóparabilvalore; e
delle maraviglie adope. xate da lui in medicina;piena teſtimoniāza ne rende la
Città tutta , e la dottiſſima Accademia di Balilea, e'l Comun di Norimberga,
ove egli per tante maravigliole ſue pruove ragguardevol molto , e famoſo
divenne: intanto che ragio nevolmente ftipiditone il Zemeo avvedueisfiino
ſcrittor de'ſuoi tempi,cosìdi lui dice : Apud Germanos: nunc Thea phraſtus
quidam vir adolefcens'exiſtit, cui parem Orbis.non fert :doctioremme
legiſememor non ſum .. E Melchiorre, Adamo dilui pur raccontando dice: eum
ingenio acutisfimo, acferè divino fuiſſepreditum : din univerſa philofophia tàm
ardur , tum arcana', abdita eruiſse mortalium nemi nem : lepra , podagra,
hydrope,aliiſqueinfanabilibus malis, defperatis mulios liberaſse: "idie
per duas horas Ba flee tum aétiuamtumcontemplativam philofophiam fumma
diligentia , magnoque auditorum fructu eſseinterpretatum doctrină ,quam non ex
Hippocrate , fed experientia aſsegur sus erat. E'l Barthio pur di lui dice: Ego
de Theopbralo pre clarèfentio : admiranda praffitit; ſed qui cum perfectè intel
ligat , & quæ ipfe fecit faciat, nondum audivi. Ę France fco Oporino fuo
famigliare, per veduta anche di lui racco ta : pari induſtria novi ipſum
leprofos , bydropicos , e pilepti cos , podagricos , morbo venereo infectos ,
aliofque innume ros infirmos gratis fanare . Id quod Galenici Doctores non fine
notabili dedecore non potuerunt imitari ; unde in ma gnum DelSig.Lionardodi
Capoa. 411 gnum apud quoslibèt.contemptum inciderunt. E'l me delimo Oporino in
quella lettera appunto , ove fraſtorna to dagli emuli dilui , e
fommoſſoanch'egli in truppa , a rabbioſa monte mälmenarlo , infra le tante , e
tantc menzogne , e cacce , che per isfregiarlo farnesicando ſi fogna ( del che
gravemente poi pencilſı , ſicomene narra Michel Toſite ) pur non potè tanto
diffimulare , che apertamente talvolta non confeffaſſe eſſere il Paracelſo
valentiffiino medico , aver prontamentetra le mani mirabilem faciendi medicinä
in omni morborum genere promptitudinem , felicitatem , Quindi di luinarrando
foggiugne , che in curandis vulne ribus, etiam deploratiffimis miracula edidit
, nulla victus præfcripta , aut obſervata ratione . E de'ſuoi mirabili , e
valevoli argomenti maravigliato: laudano fuo , dice , ita gloriabatur , ut non
dubitarit affirmare ejus folius ufu ses mortuis vivas reddere pole; idque
aliquoties , dum apud ipfum fui, ipfe declaravir. Macelebre ſopra tutte fiè la
teſtiinonianza , che fe del le maraviglioſe cure del Paracelſo il
SereniſſimoArciveſco vo di Salburgo, il quale dopo averlo altamente anorato in
vita , e faccigli in morte famofiflimi eſcqui : volle , che nel Ja lapida del
fuo ſepolcro fi leggerle queſto orrevole ſopra ſcritto ; Conditur hic Philippus
Teophraſtusinfignis medicine doctor, quidira illa vulnera Lepram ,podagram
,Hydropem , aliaque infanabilia corporis.contagia, mirifica arte fubftulis , ac
bona fua in pauperesdiftribuenda , callosandaque curavit. Ma:2pertamente tutto
dì ſi ſperimenta il valor di qual che medicina del Paracelſo , comeche delle
men nobiliel la li fia , alla contezza noſtra pervenuta ; perchè tutto dà i più
valenti Chimici ſtudianti per rinvenirne alere nelle ſue opere . Ma delle
medicinedelParacelſo aſſai bene ſcorro Giovan Battiſta Elmonte, tuttochè ſuo
emulo , ebbe a dio re eller quelle così rare , e prezioſe , che meritevolmente
il gloriofo ſoprannome di Monarca degli arcani ne avelle egli riportato .
Maavvegna pure, checotanto valorolo foſſe ſtato il P.2 racclſo in medicina ,
qual noiraccontato abbiamo; non per Fff 2 rò di 412 Ragionamento Seſto rò di
meno non ſempre ſi veggono i rimedi di lui a liero ffa ne riuſcire : e ciò
maggiormente teſtimonia la non macura morte,che fopravennegli a mezzo il corſo
della fua vita , cioè a dire nell'anno quaranſetteſimo; dalla quale nó li po tè
egli per argomento niuno fchermire : comechè cotanti diſperati infermi
dall'orlo della ſepoltura ſottratti aveſſe, e quaſi di mano a morte
sforzaraméte ritolti; e pur egliavea detto in prima: nullus morbus fuo
medicamine defituitur . Che ſe'l maggior medicante del mondo non potè ceſsar la
violenza del ſuo fato , e adoperarsì co'ſuoi valevoli , co prezioſi
medicamenti,che la ſua vita a'più vecchi anni ſi ri ſerbaſſe , che dovrem noi
ſperar mai di certo dalla medici na , attenendoci a rimedjdeboli , eſpoſſati ,
per falvainen to delle noſtre vite ? Ma egli ſcagionando in ciò l'incertez za
grandiſſima dell'arte , che pur troppo avveduto ſe n'eray e roveſciandone
follemente la cagione a'forcunoſi fati, dice che in baha di quelli ſia l'uſcimento
de’rimedj interamente ripoſto ; perciocchè da quellola vita , e la morte noſtra
de pende ; quod autem , dice egli , parlando dell'incertezza de' medicamenti,
ium medicine , tum his atentes perfæpè à fa talibusgravius vexentur ,
&cuentum conditioni medicina AC curſuinatura adverfum omnino
experiantur;ideo nobis fa Gere debet , ut inde diſcamus nimis obftixatam de hac
fragili vita fiduciam ,ac fpem deponere . Etfi enim nocentia fimul omnia ,
&medicinarum fimulomnium virtutes , morbo rum genuinascaufas ; ac bis
oppofit& remedia debita plenè teneamus: nibilominus tamen hancconfidentiam
incumbes fan tum infringit facilè , ftatum formum omnem deftruit ; cui nos non
modo non obluétari quicquam poſsumus , ſed fatali bus caufs nofmet nudos totos
potiøs objicimus, utpote que nos in folidum mortalesfaciani , noftraque
molimina infrin , gant, & providentiam noftram , ac confilia univerſa ever
Ma de'medicamenti di lui cotanto poco approfittar ne poſſiamo , che comechè
egli valentiſſimo medico , e filorow fante ftato foſſe , pur le ſue opere in
gran parte inutili, infruttuoſe ne rieſcono ; cotanto piatto , e imbacuccato
tant . egli 1 Del Sig.Lionardodi Capoa. 413 egli ſi fu ne'ſuoi ſentimenti ,ch'a
ben rugumargli malage voliſſimamente ſe ne può cavar nulla di buono . Eoche
foſſe ſtata invidia aʼmedeſimi ſuoi ſeguaci , o altro ch'a ciò far lo ſpigneſſe
,dique'ſuoi maraviglioſi medicamenti, on de cotanta fama egli accattofſi ,
pochi egli ne volle inſe gnare :. e que'pochi cotanto monchi, e oſcuri ne
fcriffe , che ben ne laſciò nel farnetico di doyerne inveftigar con lunga
fatica la traccia ; de'quali egli medeſimo favellanda , dice : in quibus
afsequendis paucisfimi fcopum contingent . , Perchè alcuni inviluppativiſi
ſconciamente vi favellarono , togliendo in cambiouna coſa per altra , e sì con
quelli pig giorando gl'infermi delle loro malattie , e ſovente anche
uccidendogli . Vuole egli, che ciaſcuna malattia , toltenc quelle , che
richiedono la mano del medico per dover curarſi, e quelle ancora , che dalle
ſole qualità relolacce avvengono , le quali ſenza argomento alcuno d'arte ſi
guariſcono , dalle impurità ſemplici del ſale , o del mercurio , o del ſolfo ,
o da tutte queſte foſtanze so da parte di eſſe s'ingeneri no . Ma comechèegli
cotanto danno ne dica da quelle av venirne: ſe noi non ſappiamo , ne egli punto
ne ſpiega qual ſia veramente la natura loro , ne anche certainente avviſar
poſſiamodi che forte d'impurità quelle loro fiano, accioc chè acconciamente
alle malattie da quello inoſſe riparar posſiamo . Le medicine , dice il
Paracelſo, effer debbono ſomigliá ti al inale , ch'è da curare ; perciocchè
quantunque ognun fappia , che le malattie fian contrarie alla ſanità delle gen
ti , e che perciò vincer ſi debbano con argomenti contrar alla lor natura ; non
però di meno le medicine , le quali G convengono alle malattie eſſer debbono
pure della mede fima lor generazione ; perciocchè altrimenti mala pruovan vi
farebbono a raccattar la ſanità . Quinci ſi è, che'l Para celſo dopo aver
avviſato tre eſſer i generi delle malattie , così dica : caveat itaque medicus
ne arbores duas in unams curam inferat :fed teneat regulas,morbis mercurialibus
dan dum ejſe mercurium : morbis falinis,falem :morbisfulphureis, ful 414
Ragionamento Sesto ſulphur ; unicuilibet nimirum morbo fuum appropriatum ficut
convenit . Ma in buona fe , che ha egli che fare la ſomiglianza con la cura
delle malattie? Perchè ebbe egli la ragione l'Elmo te di forte biaſimarnelo :
igroravit bonus ille vir , quod ifta non fintagentia fufficienter ad fanationem
requifita . Ne ciò è ſempre vero , che le coſe più agevolmente poſſano alle
ſomiglianti penetrare , cmeſcolarſi inſieme; ecome il me deſimo Paracelſo
diffe:quodlibet fuumfimile comprebendere. fuum fimile,non diverſum ; perciocchè
avviſiamo noi tutto giorno in molte , e molte coſe il contrario avvenire . Ele
pur talvolta incontra , che s'accozzino , certamente per al tracagione egli
s'adoperajāzicotáto ciò è falſo ,che per co trario alcuno dir potrebbe più p
diverſità, che p ſomiglia za inſieme le coſe accozzarſi: ficome i corpiconcavi
ſono , i quali ſtrettiſſimaméte a’ritõdi s’uniſcono ;nei corpi ſpea rali , o
ritondi , comechè fomigliantiſſimi infra lorofiano, poffono in alcun modo
convenirſi : avvegnachè pur ſi con vegnanoi quadrati. Perchè dica pure a ſuo seno
il Paracel fo :Scorpio ſcorpionem curat , realgar ſuŭ realgar, mercurius
fuummercurium , meliſir fuam melilă; che ditanta mara viglia non ſarà
certamente cagione la ſomigliáza;anzitute' altro di quello , che egli va
diviſando ; perciocchè, per ta cer dell'altre coſe , nello ſcorpione i pori
auſati per lungo tempo a ritenere in ſe quel ſuo veleno , e acconcj anche a
riceverlo , più agevolmente il ricevono dalla ferita , ch'egli fa nella carne
d'alcuno , che non poſſon riceverlo l'altre parti ſane vicine diquella ; perchè
movendo per la forme tazione le particelle delveleno nella fcrita ,
volentiericol loro diſcorrimento nello ſcorpione paffano, e a riccrti me
deſimi, onde uſcirono, fi ritornano . E queſte ſono le con tezze ,che deve
avere il medico avveduto per doverpren . der argomento da porre avantile fue
medicine, e non già le ſomiglianze , o altre fraſche , le quali agevolmente poſ
fono ingannarlo , e mettere per la mala via iwiſeri infermi. Che ſe noiveggiamo
alla giornata a' mali del ſale aceroſo porfi conſiglio collaflomma , e colla
terra dannata, e altri, Catri Del Sig. Lionardodi Capoa. 415 $ 1 e altri mali
guarirli con diſſomiglianti rimedi, perchè do vrem noidire,che la ſomiglianza
fola poffá diſmalare i cat tivelli infermi, e nello ſtato ſalutevole del
primiero vigore riporgli ? Maſu riccvaſi pure',comevera,la regola del Pa .
racelſo intorno a'generi de'medicamenti, e ſia pur la fomi glianza da ſeguire
in medicando ; come potrà mai il media co avveduto avviſare qual forte di ſale,
o di mercurio , o di folfo daelegger ſia per riſtorar de’ſuoi mali l'infermo ,
feu prima egli pienamente no coprenda la gencrazion di quel ſi , ch'a ciò il
conduffero . Conviene adunque al medico fa pere quali ſien quelle particelle ,
che forman l'apparenza dell'aceroſità nel fal dell'aceto's quali l'amaritudine
nel ſal della coloquintida , ſc ragionevolmente egli proceder vuo Ic nel ſuo
meſtiere. · Ma fe'l Paracelſo ebbe la medicina univerſale , come è coſtante
famaaverla lui apparata nel fuo lungo pellegri naggio , non facea meſtieri
ſapere; o'avvifar niuna disì fata re coſe , ne'curar di vene łatice , o di
acquoſe, ne della doc cia del Virfungo , o della circulazion del ſangueso dal
tri , e d'altrimoderniritrovati : comeche ſembri aldortifia mo Vitiſchio aver
parte luidi queſte coſe felicemente avvi fate . E cócioſliecofachè l'univerfal
medicina ſenza riguar dare a età o oa compleſſione , o ad altra coſa del mondo
, igualméte torte malattie vanti di guarire;Io non ſo lorper chè il Paracelfo a
si fåtte fraſche foſſelli: attenuto , ſe egli diquella erisì ben fornito ;
perciocchè quella diceni eller ſomigliante albalſamo naturale, e perciò
valevole a invi gorirlo , e ajutario sì fattamente , ch'egline ſolva , vinci, e
diſtrugga le cinture ſeminali di qualunque ſorte zonda l'e malattie curte
prendon dirivo . Diceſi balſamo naturale dal Paracelfo' una coral ſpiriz tuale
ſoſtanza di principi puriſſimi compoſta , e participan te della natura
celeſtiale : onde ella è quafi incorporea ye incorruttibile ; adunque corale
eller conviene l'univerſal medicina, e che ſia partecipe di tuttiprincipj ,
acciocchè in ciaſcuna malattia approdar poffa . Ma certamente non che il
Paracelſo cotal medicina avuta aveſſe giammai , anzie egli 416 Ragionamento
Seſto egli fola il creder , che quella ci ſia , o pofla mai eſſere :av : vegna
pure , chealquanti medicamenti di lui fieno ſtati va levoli a ſgomberar molte ,
e diverſe generazioni di graviſ fime malattie . Ma egli tante,e tante ſortidi
medicine ado però nelle ſue cure , e argomentoffi dicomporre , e lavora te con
ſuo gran biſtento , e noja degl'infermi, che certa mente a cið recar non
s'avrebbe dovuto , ſe quella ſua uni verſal medicina conoſciuta aveſſe;
ſenzachèegli , ſe non voleva pur logorarla nelle cure baſſe , e menovili,
ſarebbe fene almen ſervito perſe medeſimo, allorche da graviſſi ma malattia
ſorpreſo anzi tempo morilli , e prima d'aggiu gnere all'anno cinquanteſimo
della ſua vita. Ma ſe eglifof fefi pur nella filoſofia tanto, o quanto
innoltrato , no avreb be sì fatte millanterie ſcagliate del ſuo valore , e
della vir tù della ſua univerſal medicina . Ne meno egli certamente detto
avrebbe , che l'huomo per la ſola immaginazione va levol ſia anche fuora del
corpo a far le maraviglie , cche i caratteri , e le immagini ſcolpite nelle
piaſtre , e porta te adoſſo poteſſero ſchermir le genti dalle inalattie, e libe
rarle da quelle ; ne farebbeli follemente ſognato , che'l ſole fo ne'corpi
degli animaliſidiſtilli , ſi fublimi, ſi riverberi, fi calcini , e ſi fonda :
onde poi mettan fuora varie, e diver fe forte di malattie : e che'l ſale , e'l
mercurio in noi ſimi gliante ſi diſtillino , fi ſublimino , e ficalcinino
cagionando le malattie : è che'l mercurio aſſottigliato oltremodo per la
ſoverchia circulazione ſia cagione delle ſubitane morti , e repentine:e che noi
puntalmente n'aſſomigliamo all'univer fo , e neſiamo vere imınagini in ciaſcuna
noſtra parte : e che i tre principj in noi cotante generazioni di malattie
prodı cano , quante ci ha coſe create : e tante , e tant'altre ciuffo le , e
aggiramenti , che ſe tutti fil filo gli vorrei narrare,non così agevolmente ne
verrei a capo . E tutto ciò a lui avvē ne per diſagio di profonda filoſofia. Ma
per avventura egli non fu cotanto ſciocco , qualnoi giudichiamo dalle man
chezze dell'opere fue; perciocchè quelle da' ſuoi malevoli per uggia , c per
diſpetto cosìdiſguiſate , e travolte furo no con torne alcune ſentenze per
entro , e altrs, o ſciocche, o fans 1 1 Del Sig. Lionardo di Capos 417 o
fanciulleſche, o empie vezzataméte frapporrvi,che omai tralignano dallo
ſplendor d’un tant'huomo, enon ſembran più ſue. E alcune ancora affatto non ſon
fue , licome il medeſimo Oporino , che così fellonoſamente rubbellogli ſi ,
manifeſtamente rafferma; perchè non dovrebbeſi certa mente coglier cagione per
quelle d'accoccaglierla , c dir glicne male ; ſenzachè manifeſta coſa è , che
quelle , che ragionevolmente ſon da credere opere ſue , vennero perla più parte
ſolamente dalai diſegnate , ne più poi per innan zi rivedute ; perciocchè egli
dal ſuo focoſo , e diſcorrevo {e ingegno traportato inteſe ſolamente in prima a
ritrovar le coſe , e quali dal profondo della natura cavarle , con in
tendimento poi di più minutamente a ſuo bell'agio quelle ſtacciare ,.e
diſaminare, per poter metter avanti con eterna fama del fuo valore
quelſuolodevoliſſimo ſiſtema, che im preſe a diſegnare; e per avventura
ſarebbegli venuto fatto , s'a ciò tempo aveſſe avuto ; ma la morte,
ch'improvviſo gli fopravvenne, fe riuſcire a vuoto i ſuoi diſegnamenti, e non
laſciogli agio di fornirgli ; perchè rotto a mezzo della fa rica ilſuo
lavorìo,cosìmonco , e diviſato rimaſe , qualnoi veggiamo. Ed è anche opinione
d'alcuni , che le menzio oate ſue opere foſfono componimenti de'ſuoi ſcolari ;
per ciocchè egli uſava folamente a boce inſegnar loro i ſuoi ſentimenti,
ſecondo la coſtuma di quc'rempi ; e quelli poi gli cópilavano in iſcrittura,
molte coſe giugnendovi dellor capriccio ,e molte non ben copreſe travolgendo a
lor talen to in tutt'altro , cheegli li voleva dire . E ciò tanto più ne ſi fa
manifeſto , quanto in eſli ſuoi libri più fiate le medeſi me ſue coſe ſon
ripetite , ſecondochè da diverli ſuoi ſcolari furono accolte ; anzi dal loro
natio tedeſco linguaggio nel Jatino idioina ſcioccamente traportate da perſone
diciò poco , o nulla intendenti , così confuſe , c inviluppate di vennero , che
malagevolmente ne vien fatto ad avviſarne , iveri ſentiméti dell'Autore; col
qualdifetto aggiūta anche l'ofcurezza , ch'egli a bello ſtudio argomentolli
frapporvi, certamente oſcuriſſimi , e malagevoli oltremodo quelli ne, rieſcono
; conciofoſſecoſa,cheartatamente il Paracelſo co Ggg sì piat 418 Ragionamento
Seſto sì piatto , e imbaccuccato ne' ſuoi ſentimenti con nubi di riboboli, e
d'enimmi i ſacroſanti miſterj:della natura avef ſe coperti,per far quelli
ſolamente , e con lunga fatica agli huomini dotti , e di maggiore intendimento
comprendere, enaſcondergli alla minuta: bcuzzaglia:delle genti, o comes diſſe
il Berni Alle brigate goffe, agli animali; Che con la viſta non pafsan gli
occhiali. Ilche ſenza fallo infra gli altri fu dalBorricchio avviſaperchè egli
dice : ne Eleufina ſacra.profanè Viiverſi pro fituerent: gnarus , id factiraſse
Egyptias, & Pythago ne affeclas ſacheche la di ciò, non ſono impertanto da
ſpregiare i ſuoi diviſamenti intorno alle coſe della medicina; percioc chè per
tacer de’ſuoi medicamenti, de' quali ſe vier mai quella priva, poco men , che
come corpo morto ſenza vita rimane : non può certamente eſſere ne filoſofo ,
nemedico valoroſo colui che non ſappia appieno ciò ,che dellecoſe della natura:glorioſamente.Paracelſo
n’abbia diviſato .. Fra Tomaſſo Campanella , comechè d'acutiffiino inten
dimento, e libero filoſofante e' ſi foſſe , pur sì fattamente tratto tratto
favella delle cofe naturali , cheben ne da.aw divedere quanto più agevole impreſa
ſia lo ſchivar quegli errori', ove gli altri incorli ſono , che il ritrovar la
verità . Nocquegli più che altro ſommaméte in ben filoſofare nel
lamedicina,l'averlui-troppa credenza. voluto preſtare alle opinionidel Teleſio
ſuo maeſtro , per tacer della ſtrologia, e d'altre vane ciurmerie
,c.indovinelli, ove egli fanciulle ſcamente dilettavaſi ; e l'averfi dato
follemente a credere, che cotali.coſe, o enti favoloſi da lui ſolamente immagi
nati abbian parte nelle cofe della natura ; perchè non è da maravigliare ſe'l
ſiſtema della medicina , dalui fabbri cato , manchevole oltremodo , e
difettuoſo riuſciffe . Al la qual coſa fu egli anche cagione il non aver lui
eſercitato gianmai cotal meſtiere: ficome anche nocque a Cornelio Celſo ;
perciocchè aflai per avventura ſarebbonfi vantag. giati, ſe per pruova
ſperimentato aveſſero i lor diviſamenti. Ma Del Sig. Lionardodi Capoa 419 Ma
ſopra tuttonocqueal Campanella il no eſſerfi eglipũ to conoſciuto di nocomia ;
perchè egli poi traſcorfe in co tanti errori, e aggiramenti , dicendo il fegato
efferfonte , c origine del ſangue e la milza del fiele : e che tutto dal
cervello provenga: Organum fpiritus, dice egli , cor Jan guinis jecur ,fplen
fellis , & alia aliorum ; omnia autemiſta cerebrocauſsam habent ;arteria vocalis
manifeftè ex.com pite oritur , ubi et ftipitem amplisfimum haber:igitur&
alia; Junt enim ejufdem fubftantia , d originis . Etanti, e tantal. tri falli
egli preſe nella notomia anche in coſe manifeſtiffi me, e a
ciaſcunconoſciute,che ragionevolmente di lui cb be a dire ilLindeno : Quid
horum eft , quod fenfus teftis omni exceptione major manifefta fallitatis etiam
Anatomi corumpueris damnate.convincit? Ma non però di meno fep pebenegliil
Campanella da quel gran Padre di Chicas Santa,GiovanniCrifoftomo appararc ,
che'l nutrimento p una cotal cortiliffima foftanza ; la quale ſpirito appella
Cri foſtomo, dal cervello infieme colfenfo , e col movimento all'altre membra
degli animali fi difpenfi;comechèpai egli di ciò dimenticato,altramente
favelli.. : Ma che direm nai del fiſtema di lui , della nuova arte di
medicare,ch'egli ne compone ? Vuole eglicol Telefio il caldo ſolamente,
e'/freddo effer primi principj di tutte co fe , i quali egli chiamaagenti: e
l'umidità , e la ſiccità ef fer ſolamente diſpoſizioni della materia , ceffetti
di quelli; intanto che la materia delcaldo aflottigliata divenga umi da : e ſi
rondafecca , ingroffata dal freddo . Ne l'umido có altro può accompagnarfi,
fuor folamente che col caldo : nè'l ſecco con altro , che col freddo; perciocchè
ſel'umido s'accompagnerebbe col freddo : 04 fecco col caldo , dice eghi, che
ſarebbon da quelli toſto diſtrutti . Anzi dice egli, che'l caldo fia cagione
dell'umido.: e'l freddo del ſecco ; perciocchè il caldo ſolve le coſe , e le
allarga , e l'aſſorti glia : e'l freddo per contrario le indura , le ſtrigne ,
e le co ftipa. E queſti due principj dice egli effer foſtanze , o for me
eſſenziali , de quali accozzate alle lor materie formino il Cielo , c la Terra;
perchè anche due, e non quattro vuo Ggg 2 le cgli, 420 Ragionamento Seſto fe
egli, che ſian da dire gli elementi. E le forme dice efier nuovamente
introdotte nelle coſe dalla potenza della na tura agente , non già dal feo
della materia cavate. Maquel,che più è ridevole in lui ſi è ,chc dice egli
eſſer : altri principj incorporei, che régan parte nel componiméto delle colc ;
daʼqualivuol egli , che prenda dirivo ciaſcunas operazione la
qualda'volgarifiloſofanti alle qualità occul te delle coſe s'attribuiſce . E
queſti principj incorporei , o primalità , ch'egli chiama, vuol egli , cheſiano
lapotenza, la ſapienza , e l'amore ; onde ciaſcuna coſa voglia , poffaw , e
conoſca:onde anche quella prenda naturalmente ſenſo della propia conſervazione
. Ma quanto poco vero fia sì fatto diviſamento de’princi pj della natura ,non
fa meſtier , ch'lo ſpieghi; potendo cia fcuno per fe agevolmente avviſare, non
ſolamente il caldo, e'l freddo effer nella natura , ma altre , e altre coſe
diver filime da quelle ; ſenzachè non ifpiegando il Campanella la natura del
caldo , e del freddo in che veramente conſiſtay mal può inveſtigar poi , non
che dichiarare , fe quelli vera mente operino , e come; imperciocchè ſovente
egliſoftá ze chiamandole,par che ne voglia certamente uccclare ; poichè egli
medeſimo dice, la materia ſola eſſer propiamé te ſoſtanza, e non altro ; perchè
manifeſtamente s'avviſa , che il Campanella nel primo ſuo filoſofare, e in ſu
la ſoglia appunto di quello ſconciamente fdrucciolando cadele : e grandiſſimo
tratto dalla vera ſtrada della filoſofia forvia to erraſſe ; perchè
poicertierrori, e aggiramenti gliene ſeguirono, che nulla più ; prendendo egli
in cambio della mido il diſcorrente , che è ſuo genere, e non iſpiegando la
natura di quello , ne del ſecco , o del dolce ,, o dell'amaro , o di tuce'altre
ſenſibili qualitadi . Negran fatto v’abbiſo gna a dimentirlo delle operazioni
de'ſuoi principj;percioc chè per ciaſcun , che riguardiall'acqua , che per lo
freddo congelata fi rarifica , agevolmente ſi può avviſare , che non feiapre il
freddo condenſi le coſe . Mache è ciò ch'egli di ce , che le coſe inanimate
abbian ſenſo certamente a ciò cre 1 . 1 DelSig.Lionardo di Capoa. 421 1
credere, per tutti gli argomenti del mondo, ne egli,ne il Tea lefio , ne
l'Elmente ,che in ciò volle ſeguirgli, m’indurreb bono . Ma ſpiegar poi non può
egli in modo quelle ſue prima lità , c'huom finte da lui non le creda , e aver
la loro eſiſté za tutta nel cervello ſolo dell'autore; perchè non sà cgli dir
neanchecome vengan quelle a incorporarſi nelle coſe ſen fibili dell'univerſo
,eda far tutte quelle maraviglioſe ope razioni , che da lor procedere tutto
dinoi veggiamo . Ma per darci ad intendere , che le coſe tutte abbian ſenſo ,
do vea certainente egli prima farci vedere in quelle gli orga ni , i quali
render le poſſano del ſenſo capaci. Vuole il Campanella ,che l'huomo ſi
componga del fal do , dell'umido , dello ſpirito , e dell'anima ; e che la ſal
dezza dalla denſità naſca , e queſta dallo ſpeſſo , e fulto ac eozzamento delle
parti ſi componga ; perchè dice egli, che le coſe condenſe , e falde , sì
attamente, che di vantaggio più riſtrigner non fi poſſono reſiſtano al
toccamento,e fem brin dure.E d'altra parte dice naſcer l'umidezza per diſa gio
di parti;e per alkargamento diquelle che ſon diradate,e folute , dice eglieffer
la ſpiritualità : la qual non che reſiſta al toccamento , anziella dileguiſ
immantinente ,e fugge da ognjintoppo . Ma purdice egli alcune volte gli ſpiriti
operar faldamé te per l'unione non già corporale , ma ſicomeeglichiama,
affettiva :dalla quale invigoriti incontro la forza, che lor fatta viene ,
riſcuotonſi quelli , e combattendo diſcacciano ciò , cheloro è d'impedimento .
Soggiugne il Campanella , ch’alle parti ſaldefaccia me ftier dell'umide per
dover nutricarſi delle parti di quelles più groſſe , e per non dover ſeccarſi,
erõperſi :e per cõrra rio l'umide delle falde abbiſognare, come divafo , o di
ri cetto , che loro dia luogo ,e le ſoſtenga . Ma agli ſpiriti,di ec egli , far
luogo le parti umide ,acciocchè dalla lotti gliezza diquelleſi nutrichino : e
le falde ancora, acciocchè appiccati quivi dimorino , e non ſi portin via ; e
per con trario l'umore abbiſognare dello ſpirito , acciocchè quello pre 422
Ragionamento Sefto premendo il cibo , e traendone il fucco , il formi: e ſomi
gliante , acciocchè per quello ſi riſcaldi , e diſcorra ; e al ſaldo ancora
convenirli loſpirito , acciocchè per quello ſo ſtener fi poffa, e muoverſiovein
concio gli venga. E alla perfine dice egli che l'anima abbia ancor ella
biſognodello ſpirito , acciocchè per opera di quello itu dioſamente muova il
corpo , e la ſcienza delle coſe natu rali apprenda ; perciocchè l'anima
da'corporei oggettief ſer non può mofla,ſe nonſe permezzo dello Ipirito : dalle
cui paflioni ella vien rattenuta , o reſa prontaalle ſue ope fazioni. Ma lo
ſpirito allo incontro haegli ancor biſogno dell'anima in quanto egli è umano: e
acciocchè maggior. mente egli perfecco ſi renda nelle ſue primalità, e più valo
roſo nelle ſue operazioni, e più ragionevole nel reggimen to delcorpo . Main
quanto eglièanimale,1100 chemeſtier gli faccia l'anima, anzi egli fortemente
contro quella com batte , maggior capital facendo degli agj propj di ſe , e del
fuo corpo,che de celeſtialidell'anima. Adunque dice egli, effer corali vicende
fommamente neceſſarie a ben viverle genti ; che le alcuna per mala ventura in
quelle traſandaffe, toſto le malattie mettan fuora : le quali ſciogliendo l'uma
na compoſizione, ne diſpongono alla morte. Ma quali ragioni adopererò lo per
mádare a terra si fat to fiftema , e rintuzzare il diviſamento del Campanella ?
Egli non ha dubbio veruno , che nella maggior parte di quello cotanto egli
dalla natura s'allontani , e trafandi,che ſenza ch'Io l'accenni agevolmente
ciaſcuno per ſe medefi mo il può avviſare. Ma s'egli pure fondar voleva ſiſtema
di razional medicina , conveniva in prima molto bene la natura del corpo
inveſtigare , e di ciò che a quello avvenir poffa : ficome fecero quegli
antichi greci filoſofanti, i quali egli follemente in quella piſtola ,ch'egli
ſcrive al Gaffendi forte biaſima, e riprende. La qual coſa egli certamente
nonfacendo, comechè egli col ſuo acuto intendiméto mol ti , emolci errori di
Galieno , e de ſeguacidi lui ſcoperti aveffe : pure per manchezza non poco
danno gliene ſeguì ; perciocchè egli così poco acconciamente della natura del
le m2 Del Sig . Lionardodi Capoa. 427 fc malattie , e delle cagioni,e de'ſegni
e delle cure di quel le imprende a ragionare , che ineritevolmente ne fu ſghi»
gnato , e carminato da tuttimedicide'ſuoi tempi;non pe rò dimeno fra cotante
fue ſconcezze famoſa: ſenza fallo fi è quella ſentenza, ch'cgli reca intorno
alla natura dellow febbre : ne ſaper puoffi, ſe egli dáll'Elmonte, o pur l'El ,
monte da lui tolia l'aveſſe ; imperocchè ſcriſſero coſtoro nelmedeſimo tempo ;
ma ad amcnduc n'avez dato forfe cagione disì. Fattamente filoſofar della febbre
Roderigo Veig... Io la rapporteròcolle proprie parole del Cápanel la : Febris ,
dice egli , eft fpontanea .extraordinaria fpiritas agitatio , inflammatioque ad
pugnam contra irritantem mora bificam cauſam : quam fic.calefacit, agitar,
digerisque, red ditque expulfioniapsan , vel extinétioni', velmeliorationi .
Macomechè la febbre tutto ciò faceffe , nonperò di meno offendendo ella
ſoprammodo le operazioni, è ella cert2 ; mente da dir malattia ; ſenzachè Io
non ſolo , come lo ſpi rito poſſa aver ſentimenti : e non altrimenti, che
s'egli ani mal foſſe , quando gli metra bene , riſcuotaſi, e s'apparec chj di
combattere contro ciò che'l molefta , e gli reca in toppoalle ſue operazioni .
Cofia , la quale delcervellodel Campanella fofamëte,e:dell'Elmonte immaginar ſi
poteva: Ma intorno a medicamenti, eglivuole ,che la cura quan to a ſeda far ſia
perli contrari: ma per accidente talora dal le cofe comigliantiancor ſi elegga
; e alcuna fiata gli uni ,ė gli altri meſcolando compor fi convenga , acciocchè
il foa migliante appiccandoſi alfomiglianteaſe l'attragga;quin . di il
contrario combatrendolo il difçacci . Orcome egli fti ma le genti disi groffa
paſta , che ne vuol far Calandrinis dandone a divedere sì fatre favole x Reca
égli in pruova il fapone : fiquidem, dice , Sapone ex oleo , cinere , da calces
confefto maculas olei ex panno extrabimus: oleo invitantej oleum , &
alliciente : cinere , calce fimul expellentibus, Quare , ſoggiugne poi ,
maculas vini ex calce , di vino fa . pone confecto educes; fihanc nofti magiam
. Ma doveva av viſar pure il Campanella , non già per la fomiglianza , che
pulla opera , l'olio con l'olio fi meſcola , el vino col vino ; i mil 424
Ragionamento Sesto 1 1 ma per la figura , e per la diſpoſizione delle loro
particel le ; e doveva egli pure inveftigar la cagione , per la quale la cenere
, ela calcina radendo l'olio della veſte,allettaco . come egli dice ,
dall´altro olio , quello ne portin via ; per-. ciocchè ſe a ciò egli badato
avrebbe , ben ſarebbeſi accor. to coral purgamento altronde non naſcere, che
dalla figu ra delle particelle de'ſali di quelli , i qualiſe mai loro ven gono
colti , la calcina , ne la cenere , ne anche il ſapone , che di lor fi lavora ,
non ſaranno d'efficacia alcuna ; ſenza . chè fe per fomiglianza è , che l'olio
del ſapone attragga l'olio dalle veſti , e con la ſua amicizia ne lo ſpegoli ,
e dia vella:qual ſomiglianza giammai ritroverà il ſapone in curtº altre macchie
de' panni lini , che così gli imbianca so puc Laſciando il ſapone, qual
ſomiglianza avrà egli il bucato con quelle : 0'1 fummo del ſolfo colle macchie
de'veli? cer tamente non altra , che quella ,che ha la granata colla ſpaz
zatura della caſa , o l'erpice , elamarra colle zolle. Soggiugneil Campanella,
che quando ſi vuol preſcrive re purgativa medicina , ineſcolar ſi debbano
talora i ſimili co’contrarj , appunto come il ſapone da lui diviſato;accioca
chè i ſimili ateraggano'a ſe gli umori, ei contrari poi ſcac ciandogli fuora
gli purghino . E quinci , dice egli, nella compoſizion dell'utriaca ſi meſcola
la carne della vipera, acciocchè dal veleno di quella il veleno s'attragga , e
dagli aromati poi ſi diſcaccj. Ma alla Croce di Dio , chi non ſa, o chinon ha
per pruova avviſato ,che la carne della vipera non ſia veleno ? Perchè falſo ,
e vano eſſendo affatto il ſuo diviſamento intorno alle compoſizioni
de’medicamenti: come , e quando de ſomiglianti ,ede'contrarj, o ſemplici, o
meſcolatinelle cure delle malattie ſervir nc convengu : a'conſigli di lui
certamente in niun modo attener nedob biamo , fe a liero fine delideriamo i
noſtri medicamentido ver riuſcire . Fu egli ancora cotanto poco fcorto della
natura de' me dicamenti , che per tacer d'altri falli in ciò da lui preſi ,dif
ſe egli , che le coſe fredde non ſi convengano puntoal le cargo: perciocchè
eſtinguino gli ſpiriti ; e pure il caltoreo, il 90 : Del Sig.Lionardo diCapoa.
425 il quale è argomento acconcio aſſai ad affrenar la violenza di quel folto ,
che cagiona il letargo , avvalora gli fpiriti. Dice egli ancora , che
l'antimonio crudo gagliardiffimaw medicina ſia . Mapiù ſconciamente egli
trafanda in pre ſtando fede alle fraſche del Maeſtro Agoſtino del Roſli in
quella ricetta , in cui colui dice , che ſi tragga il mercurio dell'argento , e
che quello ſi meſcoli, e s'uniſca con l'arien to vivo volgare per dover
lavorarne il precipitato da cura re il mal franceſe. Ma ridevole ſopra tutto ſi
è quel ſuo di viſo di dover colle ventoſe d'oro trarre il inercurio dall'of ſa
degl'infermi:fi Hydrargyrus,dice egli, offa penetrarit,nec expellipoffit ,
cucurbitulisex auro confectis facilè educitur, tractione vacui; Sympathia
fimulnaturarum . Ma comechè in molte , e molte coſe , ficome accennato abbiamo
falli il ſiſtema del Campanella , e ſia ſopra de boliſſime fondamenta murato ;
impertanto non è affatto da ſpregiare quel ſuo libro della medicina ;
perciocchè può egli a chi ſaggiamente l'adoperi non poco giovamento recare ;
eſſendo nel vero egli ſtato un de' maggiori inge gni e più valoroſi , che la
noſtra Italia, e'l noſtro ſecolo ab . bia alleyati. Ma Roderigo Caſtello
anch'egli della debolezza della medicina di Gilicno reſo avveduto,imprende
forte a com batterla , e mandarla al ſuolo ; e proteſtando di dovere gli
inſegnamenti del ſuo Ippocrate ſeguitare, ſi biaſima oltre modo delle dottrine
d'Ariſtotele , e di Galieno , e diſtinta mente egli i loro falli ſcoprendo va
dagli antichi Greci filo fofanti ad accattar contezze di buona medicina ; ma
non gli venne cotanto fatto , chenon deſſe anch'egli in iſconcj, e biaſimevoli errori
, giudicando follemente in prima eſle re gli atomi delle prime qualità forniti
; quindi in tanti , e sì grandi vaneggiamentie' traſcorre,che lungo ſarebbe quì
ad uno ad unoannoverargli. Ma ſopra tutto fi ftudia egli di darne a divedere
ciò che il Paracelſo prima di lui inſegna to n’aves : cioè a dire , che il
mondo picciolo ritenga in fer tutte le parti , e tutte l'apparenze , che nel
mondo grande ſi veggono. E mentre egli da ciaſcuno qualche ſentiinento Hhh imbo
1 426 Ragionamento Sefto 1 1 imbolando s'argomenta da cotanti meſcolamenti
ſconcj, e mal conformi far forgere un nuovo ſiſtema di medicina propio di ſe ,
filoſofandoora col Paracelſo , e ora con Ga lieno , avviluppa il tutto , e
comediſſe colui, Confunde le dueleggi a ſe mal note. Ma egli convien ora far
parole dell'ingegnoſiſſimo ſiſte ma di medicina diGiovan Battiſta Elmonte ; il
quale,a vo lerne liberamente dir ciò che me ne paja, aſſai più felice lun go
tratto fu in abbattere, e ſpiantare gli altrui edifici,che in fondare , e in
iftabilir fermamente i ſuoi, comechèdimol ti, e molti nobili, e utiliſſimi
ritrovati venifle fatto alla ſua induſtria d'arricchir la medicina . Il
materiale principio di tutte le coſe ſenſibili dell'univerſo , appo l'Elmonte,è
l'ac qua , non intervenendo nella compoſizione de'corpi miſti altramente l'aria
, ne il fuoco , come quello , che non è ſo ftanża , ne accidente , ma morte
delle coſe; argomen taſi provar una cotal fua opinione , con dire , che
ciaſcuno corpo del mondo poſſa ſempre che ſi voglia in ſale căbiar fi ; e'l
ſale poi per opera del circolato del Paracelſo, in ac qua d'altrettanto peſo
ridurſi . Oltre a queſto dice l'Elmo te l'acqua eſſer ſempliciſſima, e benchè
contenga ella in qualche modo il ſale, il mercurio , e'l ſolfo,i quali da quel
la per natura' , e per arte ſeparare giammai non ſi ponno;ne ſono veramente
ſale , folfo , e mercurio , come tali da eſſo appellati, per eſſer a quelli
ſimili, e per non ſapergli altri menti ſpiegare; no vuolc egli però, che
l'acqua di ſolfo , di fale , e di mercurio coinpoſta venga . Ma che che ſia
dicið egli ſcorgeſi apertamente , che l'Elmonte non manifeftis pūto , come far
ſenza falloe'douea, che coſa l'acqua vera mente fiafi ; ne fpiega di qual
natura fornita l'aveſle L'alta cagion , che da principio diede A le coſe create
ordine, eftato; anzi egli manifeſtamente confeſſando di non ſaperne boc cata,
conforta , e rimuove chiunque d'imprender la natura dell'acqua s’affatica: così
di quella dicendo , Quis unquam mortalium novit quid fit aqua ? qua tamen
creatorum eft maximè obvia , aperta ,viſibilis,atranslucida ? tantum enim deea
Del Sig.LionardodiCapoa. 427 de ea fcit rufticus, vel idiota quantum
philofophus:něpè æquam liter illam concipiunt per obſervationem fenfuum : quod
fit .corpusgrave , liquidum , humidum ,digitocedens , fluidum , amotoque digito
ſerecludéns, calorisſuſceptivum ,attenuabia le in vaporem :nemo tamē novit
internam aquaquidditatem , vel quare liquida fit,anhumida. Ma in vero egli ha
il corto l’Elmonte a ragionar sì fatra mente dell'acqua ; imperocchè s'egli
così ſolamente di.com loroſchiamazzatoaveſſei quali a coſto dicicalecci apprefa
fo il volgo,il nobile , e laudevol titolo di filoſofanti compe rar ſi
vogliono,vero per avventura egli detto avrebbe ; im perciocchè affermado eglino
l'acqua eſſer un tal corpo dal la natura compoſto ,e meſcolato d'atto , e di
potenza , ei freddo, e umido , ne ſpiegundo poi qual ſia l'atto , per lo quale
l'acqua a partir ſi viene da cuce'altre coſe , che acqua non ſono, e in che
conſiſta la potenza , e come ſi maturi nell'atto , e venga a perfezione , sì
che acqua , se non altra coſa più coſto quella divenga : ne diviſando , che
coſa las freddezza fia , ed onde avvegna il diſcorrimento , ne per qualcagione
alcuni de'corpi liquidi , e corſoj, umoroſi an. cor ſiano , ed altri no:nulla
certamente vengono ad inſe ghare intorno all'acqua , ne più di ciò che'l
popolazzo mi nuto ſenza il lor diviſamento ne ſappia . Ma fe l’Elmonte aveſſe
mai ben fiſamente riguardato 2 * dialogi di Platone, e a que'pochi
mnaraviglioſi avanzi del le divine opere , ch'ancor fi riſerbano di Democrito ,
o al diviſar degli altribuoni filoſofanti : o pur s'egli, ficome conveniva ,
dagli effetti rapportati, di penetrar poipiù ad dentro nelle cagioni di quelle
ſottilmente ſtudiato ſifoffe : o alla natura de' corpi diſcorrenti aveſſe poſto
mente : Io ſon ben certo , che in cotal guila dell'acqua egli ragiona. to non
avrebbe: e altro certamente egli principio di tutte coſe naturali, che quella
,la cui natura di non ſaper libe raméte cõfeffa,determinato avrebbe;perciocchèconvenen
do tuor d'ogni dubbio all'acqua il diſcorrimento , a queſta guiſa poteva ben
egli riuſcir nella più ſicura ſtrada da avvi. far la natura di quella . E
certamente in ciò , che ſi apro Hhh 2 no, e 42.8 Ragionamento Sefto ño , e ſi
fendono agevolmente i corpi diſcorrenti, e da cida ſcuna parte
anchemenomiſſima, in ogni tempo ſon pene trabili : e dallo ſpargerſi di quelli,
e diſcorrer liberamente per tutto : e dal riempiere gli ſpazj , e adattarſi
agevolme te alla figura del vuoro, che ingombrano, intanto che al tra forma non
hanno fuor ſolamente quella , che loro da vali, che gli contengono, e
chediſcorrer non gli lafciano , vien preſcritta : e dall'avviſare , che ogni
particella loro participando delle medeſime propietà di eſli, diſcorrentes
anch'ella fia : ottimamente raccoglier egli poteva dovere eſſer icorpi
diſcorrenti compoſti di menome particelle, i1f ſenſibili , e tra eſſo loro in
atto partite , e fpiccate per un.. cotal movimento continuo , che non mai le
laſcia appicca re , e congiugnerſi inſieme. La qualcoſa egli avviſando
agevolmente fatto gli veniva di poter la natura dell'acqua apparare , e si
riparare all'ignoranza , ch'egli di se medeſi mo ne confeffa ;
concioffiecoſachè eſſendo l'acqua oltre modo diſcorrente , egli è da dir che
ſia un'accoglimento di menome , e inſenſibili particelle , le quali sì
fattamente fixo no accozzate ,eammaſſate inſieme, che ſembrino a'noſtri
ſentimenti una ſola coſa : avvegnachè in atto elle ſiano fe parate, e partite
,intanto che inſieme non maiforte fi ſtrin gano , ne meno per alcuno de’loro
lati : e ſeguentemente continuo ſi muovano . E ſcorto egli avrebbe altresì noi
avvenir loro sì fatto movimento dal caldo ; concioffiecofa chè l'acque ,
comechè fredde elle fiano, e poco mé che ag ghiacciate: non però di meno non
ſono elle meno diſcor rentije-ſdrucciolevoli delle calde,ſe non già ſiano in
ghiac. cioammaſſate;perchè avrebbe eglicertamente detto che'l movimento ,
checosì l'acqua ſciolta ritiene , abbia le par cicelle ſue , o da ſe medeſimo,
o altronde che dal caldo a : quelle comunicate ;: perciocchè l'acqua , almeno
perquel che noi avviſiamo , cede cheta al toccamento , e da luo go a ’ ſaldi
corpi ſenza vederſi. ella punto muovere : e di lataſi a'raggi della luce : e
riceve entro di ſe particelle di ſale marino, e d'altri corpi cheper la
ſomiglianza , che hā no con quello, parimente eſſi vengono ſali appellati :
avve gna 1 3 DelSig.Lionardo di Capoa 429 1 gnachè muovēdo in noi molre,e
diverſe varietà di ſentime ti nell'organo del guſto , convengano eſſer
diverſamente foggiati ; i quali corpi penetrando per mezzo effe particel le ,
ingombrano gli ſpazj piccioliſſimi tramezzati: o pure ingombrano gli angolije i
cătoncelli che quelle colle for fi gure formano, intanto che vi ſi poſſano
acconciamente le diverfe figure delle particelle faline allogare . E moltise
molti d'effi tramezzamentiper tal maniera compoſti , e or dinari ſono , che
agevolmente per entro , e ſenza niun rite gno diſcorrer vi poſfä fa luce. E
oltre a ciò riguardando l'Elmõte all'operazioni dell'acqua, avviſato ben'egli
avreb be eſſer quella un di que' corpi diſcorrenti , ch'agevolme te
a'ſaldicorpi s'appiccano , i quali tanto , o quanto fier poroſi: e che fi
fpargano ſopra tutti quelli, e penetrino lo ro dentro , c talotta anche in parte
, o in tutto gli ſolvano ; perchè comunemente diceſi l'acqua eſſer umida. E
come chè egli nc ſembrieſſer l'acqua tenera oltremodo , e molo le; non però di
meno egli alquanto d'aſprezza avviſato an che v'avrebbe, avvegnachè dipoco
momento elia fia :non iſpiccadofi l'acqua agevolméte da'corpi ſaldi sì, e
talmen te,che quelliaffatto sgocciolati nerimągano; e quincianch ' egli
comprender avrebbe potutonó effer le particelle dellº acquada tutte parti
cotanto terſe; e liſciatesquali per av vécura iminagina ilDeſcartes.Alle quali
coſe tutte ſe l’El mõte ben fiſamente riguardato aveſſe, certamente egli ar
gomentata n'aurebbe la figura d'effe particelle , ficome ferono già ne’primi
tempi Pittagora, Timco , Platone , altri, i quali la immaginarono icafoedrica:
0 pure ſicome de’giorni noftri l'accennato Deſcartes, il quale giudicata l'ha
cilindrica , e pieghevole, e guizzante a guifr d'anguil le : 0 ficome
l'incomparabil filoſofante Gio : Alfonſo Bor relli , il qual.cosi'ne favella:
lanugo quedam tenuis , &de bilis inveſtiens.quodlibet aqua minimum ,
ſcilicet concipide bet interna , & individua qualibet aquæparticula ,
ſolidad's &dura : cujus figura octaedra . E avvifato ancora l'Elmon te
avrebbe eſſer le particelle dell'acqua d'una medeſimas foggia infra loro , o
almeno poco diſſomiglianci ; la qual for 1 1 430 Ragionamento Sefto forma loro
, o affatto non ſi può in altra cambiarc, o egli è cotanto malagevole , che
grandillima fatica meſtier vi fa rebbe a ciò operare ; ne fino a'tempi noſtri
ciò ad alcuno è venuto fatto , ne mai, per quanto Io poſſa comprendere ,
certamente verrà per innanzi:acciocchèin altra figura l'ac qua ſi tramuti . E
ciò egli anche avviſa l’Elmonte, e vera mente per ognun yedeſi, che non riceva
l'acqua fcambia mento alcuno ſenſibile:avvegnadio che a qualunque ingiu ria
ella ſi eſponga ., o di caldo , o di freddo,o di altra imma ginabile qualità ;
ſe non ſe riſerbandone ſolamente quella , che ella in agghiacciando riceve , o
riducendoſi in vapore; per le qualiè coſa manifeſta , e all'Elmonte ben conoſciu
che non già la figura delle particelle dell'acqua , ma il ſito ſolamente , e'l
movimento di quelle ficam bia.Maſenza far tante parole , l'acqua racchiuſa
entro una guaſtadetta ermeticamente , come ſi dice , ſuggellata das Criſtofano
Clavio , la quale dopo cotant'anni nel Collegio Romano della Compagnia di Giesù
dimoſtraſi: ella s'avvi ſa non punto dall'eſſer ſuo naturale mutata ; e altre
acque ancora per più ,e più ſecoli intere,elane pariméte li fon mā tenute séza
ricevere oltraggio veruno dal tépo ; perchè ſen za fallo è da dire eſſer quelle
di tempera dura , emalage vole aſſai a ſolverſi, dall'onnipotente facitore da
prima fabbricate : Adunqueragionevolmente può dirſi dell’El. monte , che
de'principi delle coſe naturali Nonpinſe l'occhio infino alla prima onda. E per
avventura dobbiam noi confeffare , il medeſimo all’Elinonte eſſergià
intervenuto, che in prima di lui al Pa racelſo fortito era : che ove
maggiormente egli ſciarpillar figli occhi perpiù veder conveniva,quivi
tralandındo,più , ch'altrove ſerrati gli aveſſe ; ed avvegnachè di ſottiliſimo
intendimento , emaraviglioſo foſſeſi l'Elmonte,pure abba gliato al troppo luine
della natura per troppo veder rintuz zato ſi fofle și come ilſol, cheſi cela
egli ſteſſo Per troppa luce , quando il caldo ha roſe Le temperanze de'vapori
Speli: c firta Del Sig.Lionardodi Capoa. 431 1 e fatto groſſo
dall'abbondantiſſimapiena de curioſi:fegreti di quella Quaſi torrente ,ch'alta
vena preme foverchiando il letto , ed allagando le prode;pertroppo ri goglio
diſperſo ſi foſſe . E quinci certamente viene , che nello ſpiegar l'economia
degli animali, qualche fiata ricorre ancoregli alle facoltà, nonmeno
,cheGalieno fi aveſſe fatto ; ne di ciò pago pro duce egli in mezzo alcuni
ſtrani arzigogoli, e nuovighiri bizzi del ſuo cervello :altri ne toglic in
preſto dal Paracel fo , come gli Archei, i Blas' , i Magnali;e quelFormento ,
il quale per dirlo colle ſue ſteſſe parole , eft ens creatum form male, quod
neque fubftantia , neque accidensfed , neutrum » per motum lucis ignis
magnalisformarum conditumàmundi principio in locis fue monarchia , ut femina
preparet;exiſtat , a precedat; con che' , e con altre molte fue fantaſie, le
qua li lo per non rediarvinon ridico , da apertamente a divedere l'Elmonte,
ch'egli non già nel mondo noftro , di cui tutto di nuove, c nuove maraviglie
egli ſcopriva ,main un mon do da lui immaginato filoſofava. Tanto , e tanto poi
egli involto fi fu nella notomia vita le , ch'egli traſcurò la morta , ne di
queſta ſeppe altro di quel, che n'era ſtato già ſcritto ; perchè alcuniaffatto
non ſeppe', ed altri, poco curioſo non curò de’modernitrovati; i qualimolto
approdato avrebbono; rendendo ad un'ora più credibili , e manifeſte alcunedelle
ſue opinioni; perchè sé bra ' , che forſe non abbia tutto il torto a morderlo,
e biaſſa marlo il Gliſſonio , quando così di lui diſſe ; hic auctor , utu
eunque acerrimi ingenii ,in eo fuitminus felix , quod .veteri placitis
rariffime aſsétitur,& vix,nifi in iis rebus,in quibus il li ex certisſimis,
demonftratis neotericorum obſervationibus manifeſte coarguuntur Ma ſe dalla
maniera del medicare argomentar lece il va lor de’ſiſtemi della medicina,
certamente in ciò quello dell' Elmonte tutt'altria molto ſpazio ſilaſcia
addietro . Per ciocchè oltre alla contezza delle buone , e valevoli medi cine ,
, ch'egli ebbe pronte così ſempre fra le mani, cotan to egli 432 Ragionamento
Seſto . co egli vanraggioſli negli ſtudi del ſuo meſtiere, e di si acum to
intendimento fu , ch'avviſando i graviflimi danni , che per li ſalaſſi , e per.le
purgagionipoſſono intervenire : e'l veleno , che per entro quelle ſi naſconde:
così nimico ne fu , e così ritroſo d'adoperarle, che come confeſſa Andrea Cel
lario , comechè Galieniſta ', baud paucis medicam artem profitentibus oculos
aperuit . Ne laſcioſſi in ciò menare alla piena del ſecolo ,oalla famoſiſſima
rinomea del Paracel lo , che non aveffe egli ſolamente intefo quelle medicine ,
operare, le quali ſenza recar moleftia , o noja alcuna allo in. fermo , fan
vuotare ſolamente ciò che cagiona il male.Per chè egliin cotanto pregio,e onor
crebbeneadoperando ciò anche nelle più gravi , e pericoloſe malattie , che
daGalie niſti medeſiıni, non che da altri, ne venne ſommamente commendato , e
quaſia miracolo tenuto . Così infra gli altri Andrea Cellario in facendo parole
di lui , e del Paracelſo nel terzo tomo dei fuo Atlante celeſte , Chymicarum
,dice ,operationum adjumento admiranda hatte nus præftiterunt , ac talia
medicamenta produxerunt quæin morbis illis natura humana penetrantibus arêtius
, altius fe infinuantibus , & remediis à natura productis cedere ne Sciis ,
primas terent, &vulgaria medicamina longe ſuperăta E per tacer di Daniello
Orftio , Nicolò Franchimorc famo fillimo maeſtro infra'Galieniſti
nell'Accademia di Praga, in una piſtola mandata all'Arciveſcovo di
Colonia,dilui di ce: Helmont pater tanti fiebat Bruxellis , ut non niſi
deſperati ad illum quafi ad ſacram anchoram confugerent: quorum non exiguum
numerum ab orcifaucibus eripiebat; enon ceſſaro no i rabbioſinimici
d'orrevolmente commendarnelo , ſtret ti a ciò dalle maraviglioſe cure di
lui,per tacer de’liberi mc dicáti Frāceſco Glišonio, cd Olao Borrichio , che nó
ſi veg gion mai ſtanchi di ſommamentelodarlo . Ma cotantielo gj pur nulla fono
in riſpetto di ciò, ch’in ſua loda vantano i più nobili filoſofanti del noſtro
ſecolo , ciò ſono il Gallen do , elBoile , ed altrimolci di non poco pregio .
Ma doler ne dobbiamo eternaméte dell'Elinõte,come di quello , che niuna delle
ſue nobili, e prezioſe incdicinema 1 wife DelSig. Lionardo diCapod 433 wifeſtar
ci abbia voluto , e quancunque ilParacelfo nie al tri valenci Chimicigliene
aveſſero dato eſemplo ; non do vea pure egli , che sì corteſe , umano , e
compallionevole dell'altrui miſerie unquemai moſtroflisin ciòimitargli. Ne da
coſa , che di tanto pro era al mondo rutro ,dovea diftos lui , lamalignità
d'alcunimedicanti, i qualificome uſura parono ingiuſtamente gran parte de'
ſuoitrovati ſenza fag di lui menzione, così parimente avrebbon fatto delle ſues
medicine . Ma ſe egli più lungamente l'Elmonte viſſuto foſſe , con dar
compimento alla ſua maggior opera, che la cera , ed imperfetra in man del ſuo
figlio rimafe , avrebbes forſe di sì fátti medicamenti alquanto più apertamente
fas vellato , Ma affai più tardi certamente di quel, che fi richiedev. per
avventura miſeſi in alletto Pier Giovan Fabbri a dar cominciamento all'opera
del ſuo novello ſiſtema della ra zional medicinazimperocchè egli da prima
dietro la vanità dell'Alchimia per convertire in oroi più vili metalli conſu .
mò lungo tempo , ed appreſſo trapaſsò ben ſei luftti medi. cando altrui, ſicome
egli ſteſſo confcſſa , ſenza alcun fruta to mai ritrarne ; ne maigli venne
fatto di ritrovare in tutto quanto quel tempo medicina , chevalevole a
domarfolie le malattie ; e quantunque egli dì , e norte ſtudiato avelle
attentamente ne’libri d'Ippocrate,e di Galieno, e molti cu daveri aperti
d'huomini , e di bruti, per inveſtigar l'efficie ti , e le materiali cagioni
dc’mali: non mai potè giugnere a ravviſare i luoghi de' putridi umori, ne in
parte veruna di ſano , o d'inferm'huomo, o la collera, o la flemma, o la
malinconia putrefacte ſcorger giammai. Il perchè pres'e gli per partito , di
voler,laſciando le altrui autorità a nons calere,per ſe medeſimo metterſi
ne'più cupi pelaghi della filoſofia navigando ; e poi i ſuoitrovati al giudicio
de'fa vj , e diſcreti eſtimatori delle coſe rimettere, così dicen do : Si
rationes mea , cu experientia non optimę videan tur , trutinentur ,
&ponderentur diſquiſitione naturali, ut Aquid falſi continere videanturrejiciantur
omnino , Celia minentur prorſus à fcholis : quod fi vero probe experiantur lii
quid 1 1 434 * Ragionamento Sefto 1 quid ni. amplexabuntur ,tutabuntur .
Primieramente avviſa il Fabbrila materia , onde fon le Senſibilicoſeformate
efferpalpabile , viſibile , e falda na giddiſtinguerſi dalla forma, la quale
fecodo luisaltro no es cheuna propriedeionatæ , virtùnella materia,laquale
poits chè è ufcica fuori sidiſtingueda lei ,come dalla ſua cagio nel'effetto .
Ondeagevolmente può ſcorgerſi,che ſefalſe andato il Fabbriin si fatca guiſa
piùavantifiloſofando, faa rebbe egli per avventura a qualche buon
terminepervenu po : ma egli appenamefſoli in camino , ſmarrì il diritto fen :
tiero .. Immaginò il Fabbri la prina materia non eſſer.al extocheil fale dell’Vniverſo
nelquale il folfo ilmercurio, ed'un'altro ſale ſi contêga : e credette ', che
queſto medeſir no áveffe voluto dire Ariſtotele, la dove della priina mate ria
cosiofcuramente favella . Vuoldivantaggio egli, chę tutte le coſe ,
omallimamente l'huomo abbiano dentro di ſe un tale fpirito volanto oleremodo ,
e diſcorrente , di cui tutteleſueparticompoſtebeno, ed'onde tutte l'operazioni
della vita , e tutte quelle coſe avvengano , che ſi oſſervano nellemalattie .
Queſto ſpirito , dic' egli , che nel fegato e alquantogre /fo : ma più ſottile
nel cuore e ſottiliffimondi seżvello ; naſcere:ad un parto colfeme, e
nel'naſcere venir dalle ftelle arricchito della luce , la quale ſecondo lui
èlau farma eſſenzialc , non ſolo dello ſpirito , ma di tutt'altres coſe del mondo
... Stimapariméte il Fabbri:altro veraméte non effer. Ja na tura,
falvochelaluce' , e che dallaluce ilmovimento, e la quiete a'corpitutti
dell'univerſo dirivi, e ſecondo più , o meno , che lo spirito participidella
luce , tanto più , o me, noegli nelle ſue operazionivigoroſo, e potente divenga
, Immaginaancora ilFabbricheentrije penetri l'anima dell? huomo allo ſpirito ,
e che lo ſpirito poia tutte le parti del ſuo corpo l'anima uniſcaaMa:Io pur
troppo lūgone diver , reiſe volcliquitute'altri ſtrani ſuoi diviſaméti
narrarvijne midarò impaccio di contraſtarglije gittarglia terra aduna ad uro ',
facendomia credere , che ciaſcun da per ſe in ſen dendogliraccontare,o.in
legendogli ſia per accorgerſi coſto del 1 $ . DelSie. Lionardodi Capod della
lorvanica . E cerramenteſe alcuna coſav'hadibuone no nel Fabbri yella è colta
di peſo.al Paracelſo, all’Elmon të, e ad altri valorofi Chimici: marelle
eſſendo poi da lui có altre volgariopinioniaccozzato vengono a perder tāto del
lor valore , che ſembrano prezioſegemme dal vil fangoia cretate . Or quantoal
fatto del medicare e'non ha dubbio, ch'al ſai dappoco ſi dimoſtraſſe il Fabbris
imperocchè tralaſcian , doda parte tutt'altre mal fatte fue cure: nella
peripneu . monia vuolegli, ch'abbondantemente abbia da principio a trarſi
ſangueallo infermo , c poi collc viole ; e collo fpiri to del vitriolos o con
altri simili argomenti abbia z rinfre fčatli quel caldo , che collo ſpirito
della vita di foverchio nc'polmoni ribolla : ed il feguente giorno
coll'antimonio ábbia aprocacciarfegli il vomito , acciocchè con tal move mento
venga ad aprirli alcunapoftema , ove vi ſia . Ein tãto fi cibi l'infermo
d'orzate colſal della prunella, e collo { pirito del vitriolo.Orchi mai divifar
potrebbe più folli di vifaméti di queſti e ben per'talie'medeſimo gli conobbes
poichè altrove confeſſa , che le più valevoli medicine alla peripneumoniafianla
verga del Toro ,e'lſangue dell'Irco . E certamente dagli acetoſi medicamenti ,
che altro maiſe non ſe grave danno avvenirpotrebbe a coloro , che di pe
ripneumonia patiſcono; la qualgiuſta i fencimenti del Fab bri,dall'acetolità
s'ingenera ; e oltre aciòcol purgare l'in fermo con sìpotente vomitivo,
poich'egli è divenuto fpof fáto , e fievole per l'antecedente falaſſo , qualpro
ſe nepos trebbe per lui fperare? mafopra tutto dal trar fangue, qual buono
avvenimento ne potremo giammai attendere ? Ed o quanto fe più ſenno il Fabbri ,
allorche dall'Elmonte ay viſato ,de'ſalaffi altrove in altra guiſa favellando,
ne diffes : MirorParifienfium medicorumpertinacitatem , curationem febrium ,
& ferèmorborum omnium in fanguinismisſione lar . ga , ocopiofa collocantium
: cum fepe fæpius caulja moru. borum , & potisfimumfebrium tam continuarum
, intermite sentium non refedeat in fanguine , imovirtus s proprietas: lii
curana Ragionamento Seffo . curandi morborum omniü in fanguine collocetur ,cum
arcbeūs visalis fanitatis economus , & morborum amniumcuratorin fanguine
refideat: ea fublata ,dlarga manu effufo effundan, tur etiam unacumſanguine
vitalisſpiritus, undevires tola luntur , di diffunduntur, &perinde tota
rotius corporis nad Cura debilis admodum fit, do curatio etiam morborum omniū ,
que ab ipſa naturadependetevaneſcit;ita ut loco illius fubfc quaturmors ; aut
incurabilismorbus, E quinciſcorger li puote altresìchiaramente,quáro bere gol
fi foſſe ,e incoſtante ne'ſuoipareri il Fabbri , e quanto malagevole ; c dura
impreſa lia lo ſcaricarſi delle falle opi nioni fin dalla prima giovanezza
concette , e per vere al. cun tempoi fermamente credute ; il che nella ſtoria
della cure da luifatte più chiaramente ſi ſcorge ;nella quale fto ria , e nel
divilainento altresì delle chimiche medicine po trebbe da luiper
avventuralealcămaggiore, epiù ſincerità d'animo ricercarfi ; maciò traſändando,
quanto al ſuo liſte maſo replicherò , licome poco addietro accennava , che
troppo vacillante, e caduco e'fia ,eche il Fabbri poco , o niente non badando
ad inveltigar la natura de'ſuoi primi principj,forz'è,ch'egli abbia a
rimanerſene fenza poter mai de’loro effetti aſſegnar la vera cagione . - Ma la
SignoraD. Oliva Sambuco, della quale lodovea molto addietro , l'ordine de'tempi
( erbando , far parolesar vegnachè ſtudiata ſi foſſe continuo di ſvilupparli
dagli er: rori de’mueſtri , e delle dottrine già da loro imbevute : pur tanto
non potè ella dimenticarle', che non vi frameſchiaffe qualche ſentimento di
quelli talvolta entro al ſuo ſiſtema Svétura nella quale i più famoſi
filoſofanti veggőfiancora incorrere ; perchè la ſua medicina non altrimenti,
che quel le deglialtri razionali, è manchevole , e difertuofa ; edan co tale
ventura certamente le avvenne , per non aver ellow avuta cortezza della chimica
.Ma nocquenon poco a'ſuoi divifamenti l'aver ella più di quel , che fi
dovea,preſtata ... credenza alle parole di Platone ; et non eſſerfi a que’rem
pi aperca ancor la {trada della vera filofofia . Im. Del Sig . LionardodiCapod.
737 Immagina la Signora D.Oliva effer l'huomo ana travol ta pianta , le cui
radici fian nel cervello , onde un bianco fugo dipartendoſi ſe'n vada il tronco
, i rami, è tutto il ri manence a mutrire , tal ſugo bianco vuol che ſia freddo
, umido ; mache nel fegato facendoſi roſſo : caldo, e umido altresìdivenga; e
che nel cuor finalmente ſcambiato in să gue , in caldo , e fecco fi muri . Il
calor del cuore crede ela la , che ſerva all'huomo , come it caldo del ſole
alle pian te ; e che'l bianco fugo faccia l'uficio de quattro elementis
fcorrere dal cerebro cotal ſugo per la pelle, per li nervize per le dilicate
pellicelle , o membrane, che vogliam dire, delle vene :mapoiin roſſo , e
ſanguigno umor convertitos per altre vie , cioè per le vene, e per le arterie
ritornare . Or queſto fugo ove ſia malignato ,fuor delle proprie vie sboce
cando per tutt'altre parti del corpo ſconvenevolmente an dar penetrando ,
contro il provveduto ordinamento della natura . Tutto adunque il Florido ,e
vigoroſo ſtato di queſtº arbore , vuolella , chedalle radici , cioè a dire dal
cerebro avvenga : la dove fc quella , che pia madre fi appella , la dura madre
toccando, ftiano ambedue ſollevate, e diſteſes e quali alcranio appiccare,
allorvederſiverdeggiante , e fiorita tutta la pianta : ma ſe mai divengan vizze
, o alqua to s'abbaffino , fanguire parimenre lei; e quando finalmen te la pia
madre ſia dalla dura totalmente ſtaccata allor non poter avere a niun modo più
vita . Con queſto trovato , o purcon queſta ſomiglianza dell'arbore , vaella
tutti i con . venenti della vita , e della morte , e della generazione , u
della corruttura dell'huomo , e de rimedi, e delle malatı tie acconciamente
fpiegando. Tali ſono i divilamenti dietro alla medicina della Signo ra D. Oliva
; i quali comeche pajanoin gran parte dal vc to lontani, purealcuni di loro ſon
tali , che non poffeno . fenza lunghi encomj, enon ordinaria maraviglia guardar
fi; edIomifarò lecito d'arrogare a sì valoroſa donnaquel che già della poereſſa
Sulpizix diſfè Giulio Ceſare della Scala :ut tamlaudabilis heroina ratio
habeatur non anime objicere ei iudicii ſeveritatem : Ma 738 Ragionamento Sesto
Ma crapaſsado al ſiſtemadella medicina di Tomaſo Vil lifio ; egli ſipare, ch'in
fula foglia appunto diquello con ciamente fdrucciolandovaneggj.
Imperocchèavendoegli Popinion d'Ariſtotele rifiutata intorno a' principj delle
cos fe , ficome troppo groſſa , e ſciocca : e quella di Democri to , e d'Epicuro
, ficomefoverchiamente ſottile , e da’ſenli lontana : alla perfinc egli alnuovo
diviſainenco de'Chimi ci tutto s'appoggia , e vuolche ciaſcunacoſa di ſpirito
(co sì chiama egli ilmercurio ) .di ſale , di ſolfo , d'acqua , e di terra
formata ſia ; perciocchè in quelli ciaſcun corpo ſenga bilmente ſi riſolva . E
con quelto cinque ſoſtanze , in ciò , che elleno ne'corpi compoſtihanmovimento
e proporziou ne , ſi ſtudiacgli , e s'affatica di dar ragione dell'apparen ze
cutre della natura , e ſpezialmente diquelle,ch'alla mc dicina s'appartengono.
E comechè egli apertamente con felli cotali ſoſtanze non eſſer ſemplici , ma
comporte, e me ſcolate ; pur tutto il ſuo diviſamento quì egli fermando,no fi
prendepiù avanti briga di ſpiar di cheforte priacipj fora fono quelli, onde le
ſue prime cinque ſoſtanze ſon compo fte ; anzi egli dice , che non
avendoviragionc , o ſtrada al cuna da potergli avviſare , ſciocchezza ſia
l'entrar nel fara netico didoverciò fornire:e qualunque coſa ſe ne dica eller
più coſto un grazioſo diviſamento , e voler giudicarc allas ventura , ea
riſchio delle.cofe del mondo , che conſaldez za di buona filoſofia ragionarne.
Ma quantochè egli con ciò di ſcagionar la ſua dappocaggine s'argomenti, imper:
tanto maggiormente in altri, e altri ſuoi divifamenci egli s'accagiona;
perciocchèa chiben vi ponga menre, tuttoil fuo filoſofare , avvegnachè egli
contro i buoni filoſofi fa vellando , dica procudere,autfomniare philofophiam
me nola le, lubens profiteor; altro nel vero egli non è , ch'un andare alla cieca,
e taftonc,ſenza certezza alcuna . Ma ciò laſcia do ſtare , o non s'avvede egli
, o s'infigne di non accorgerſi in dicendo chelo ſpirito una coral ſoſtanza
fortidiguna, ë voláte Gia; che spiegar uc doveva come cotal ſostanza s'av valli
, e fi deprima, c come poi ſi cſalti , e come con gli al tri principj ſi
meſcoli : c comc ammendi, e affreni i ftraboc chero 1 9 Del Sig.Lionardodi
Capon . 439 chevoli diſordinamentidel ſolfo', e del ſale : é comequela to tante
, e tant'altre operazioni faccia , le quali egligliat tribuiſce . Certamente
non mai egli ſaper potrà diche. for te particelle quelle: fiano , ondela
ſottigliezza dello ſpirito diriva ; e colcoccare , che colmuovere ora in uno ,
oras ialtro modofogliono negli altri corpioperare . Eben'e gli dovera ( ficomca
buon filoſofante ſi conviene, ilqual fondar voglia ſiſtema di cazionalmedicina)
dalle appareze degli effetti la natura delle loro cagioniinveſtigare : cav
vifare , chenon puòlo ſpirito effer diſcorrevole , ſe di pre fente nonceda
atutti corpi ſaldi , che perentrovi paſlino je perchèeglièda dire',
cheloſpirito ſia in molte , e moltes particelle diviſo : le quali continuo
movendo infra loro sé.. pre ſeparate ftiano ;ne lo ſpirito,foctile,c volante
efferpuðn e per cutto perretrare , ſe le ſue particelle picciolitime non fono ,
esì fåttamente foggiate , che molti gomiti 20 angoli, non abbiano . Neper
darragione dell'opere del ſolfo giova ſapere eſ fer quello , licomc egli dice ,
di coſtruttura alquauto più groffa', emaggioredi quella dello ſpirito ; e che
da quello nafca il calore , cla varietà de'cofori , e degli odori alle co fe ,
e l'a lor bruttezza , e bellezza : c per la più parte la di verſità de' ſapori
; perciocchè quantımqne tutto ciò vero fi foffe ,cheegli ſenza niuna pruova
farne grazioſamente , afferma, ben potevaeglidall'apparenze,che dal fólfo vega
giamo , argomentar, che le particelle diquello comeche, in continuo movimento
anch'elle fteano;ficome quelle dela 16 fpirito e fiano peròmeno pulite , e
ſdrucciolantii, calia quanto' famoſc . E què è danocare , come il Villiſio vada
divifando dellacomplellion del fuoco ; egli dopoaver ava vifato effer quello
ſomigliantiſſimo alla materia prima de Peripatetici , in ciò che in tutto
partire in niuna dice quel, lb allignare, così poi faggiamente ſi ſpiega:Ignis
exfuina tura nullibi exiſtentiam , ac certum durationis modum obtin net .
Quindifoggiugne : formaignir omninòdepēdet à para siculisfulphureis infubjecto
quopiam agglomeratis.y - cona fërrimerumpentibus a quodque ignis nihil fit
aliud , quam ejuſmo 440 Ragionamento Sefa 1 1 . 1 + ejufmodiparticularum
impetuofius concitarum motus , deras ptio.Ma s'egliaveſſe mai poſtomente alle
particelledel fol fo, le qualieſſendo di neceſlità ramoſe, per la loro figuras
non così acconce ſono a muover velocemento, e a penetrar ne'corpi più duri , e
fpeffi , ficome far veggiamo al fuoco : il qual perciò dice Democrico aver gli
atomi ſuoi ritondi : non avrebbe certamente eglicosì di quello filoſofato . Ma
Signori ancor Io immaginava una volta cosi andac la biſogna del fuoco, qualla
giudica il Villiſio: e acciocchè ceſſar poteſli le malagevolezze propoſte ,
mecomedeſimo penſava doverſi i ramidel ſolfo piegare in ingenerando il fuoco ,
e in ſe medeſimi ravvolti formar cotante ſperette , acciocchè agevolmente
muovere , e penetrar poteſſero; ma meglio poi il mio divilamento vagliando ,
ricreduto , igannato inutaiparere . Convien dunque dire , chele pare ticelle
componenti il folto diduefogge ſiano, una ramoſa, e un'altra ritonda. E
cosìſomigliante doveva egli delle particelle de'fali filoſofare , e ſpiar le
vere cagioni dell'o perazioni di quelli,e di que’loro ftati, ch'egli chiamafram
fionis, volatizationis,& fluoris:quali egli ſpiega co ſole pa role ſenza
recarne giovamēto alcuno. E certaméte non per altro ciò egli adopera, cheper
non curar d'inveſtigare la na túra , e la propietà de'componenti di quelli . E
doveva bé egli quanto più ciò era malagevole a fornire , cotanto mag giormente
argomentarſi perogni ſtrada diaggiugnere infin dove colla mano, ecol ſenno
arrivarpoteffe: e cið mallima mente egli col conſiglio dell'incomparabile Boile
, edal. tri valorofiffimi filoſofanci fornirpoteva ; ma egli per cele far
farica non volle di cotante biſogne imbrigarſi: perchè poi diſguiſata , e
ſconcia la ſua filoſofia ne divenne . Eles non da altro , almeno dagli effetti
de'ſali,ch'e' continuo da vanti agli occhi avevasben egli in ciò , che quelli
folvonli nell'acqua, e a temperato fuoco ſeccanfi , ca gagliardo fi fondono
avviſar poteva la natura delle loro particelle, e di quelle di tutt'altre
generazioni de' ſali: e ancora in ciò che quelli,davolanti divengono fiſſi , e
da fiffi di nuovo volar ti . E Gimigliante da ciò ben'egli inveſtigar poteva in
che con ! 1 1 1 + 0 Del Sig.Lionardodi Capoa. 441 1 convengano le
particelleinfra loro , le qualicotante gener razionidifali compongono ; e in
ciò ancora , che i volanti ſali agevolmente le loro propierà lafciano ,
divenendo da aſpri, e amari , e acetofi: dolci , e foavis e per contrario da
dolci,e ſoavi:acetofi,e aſpri, e amari; e alla per fine inciò , che i ſali di
qualúque ſorte ſiano, ftranaméte cambiadoli, e laſciádo illoro natie ſapore, e
ditutt'altre propietadiſpo gliádoſisin ſalfezza ſolamēte ſi rivolgano
;perciocchè da ciò tutco ben'egli argométar poteva eſſer i ſali compoſti dipar ticelle
acconce a cambiar figura : 0 pure non eſſer quelle in loro d'una medeſima
forma, madivarie , e diverſe figuu te foggiate. Quindi oltre paſſando avviſare'
poteya' , iſali acetofi, in ciò che recano acerbiflimi dolori, eſfer d'acutif
fimc particelle compoſti : e l'altre generazioni de' fali cſfer più , o meno di
quelleforniti , ſecondainenteche più o me no il palato nepungono. E così anche
dell'acqua, e della terra dannata certame te a lui faceva meſtierdi filoſofare
, ſe aggiugner voleva al ragguardevol nome di buon filoſofante . E comechè
negat non fi poffa che per la maggior parte riuſcir ſogliano gli ar gomenti
tanto , o quanto probabili folamente , e ragione. voli ſenza ſaldezza
alcunadicerta verità ; non però dime. no egli è il migliore affai, ſtudiarſi, e
affaticarſi per via di conghietture ,ed'argomenti d'aggiugnere a ciò , cheper
noi non ſappiamo: checosì ſenza nulla imbrigarfi d'inve ftigarne , laſciarlo
vergognoſamente in non calere pernou Ara dappocaggine: Ne lo al preſente midarò
briga d'eſaminare il poco lo devolfiloſofare del Villiſio intorno alla
formentazione, al ſangue , alle orine ,alle febbri, e ad altre malattie;
percioc chè ognuno agevolmente veder può , che non è altrimenti ſaldo
filoſofare il ſuo , ma ſolamente ragionarea riſchio, e a voto ſenza fondamento
alcuno ; e ben potrebbe per buo monegarſi poco men ch'ogni coſa , ch'egli
afferma , ſenza timore d'eſſer dalle ſue anfanie, e da'ſuoi aggiramenti rim
beccato . Ma non però di meno montò egli in qualche buo nome dei ſuo meſtiere, per
eſſere Atato egli molto avventu Kkk raro 442 Ragionamento Seſto 1 rato ne’luoi
emoli; perciocchè de’ſuoi tempi abbatteſt in tal , che nulla ſappiédo delle
coſe della natura, volle ſcioc camente e con fanciulleſchi argomenti carminarlo
; per chè non durò molta fatica il dottiſiino Lovero ſuo ſegua ce' , non tanto
d'inframmetterſi della difeſa di lui , quanto per ricredere , e rintuzzare la
tracotata beffaggine dello ſciocco Galieniſta ; e nel vero ſe filoſofo ſtato
foſſe il Mea La, avrebbe egli minutamente ciò che lo ho accennato del la
medicina delVilliſio in prima detto . Ma nella notomia il Villifio fu molto
ſcorto, e avveduto, intanto che non v'ha notomiſta alcuno, che meglio di lui, e
più ſottilmente le parti del cervello ſpiare aveſſe;ma da cià altro certamente
noi raccoglier non poſſiamo , che la pro poſta da noi cotante fiate dimoſtrata
,ora maggiorméteper fuadere : cioè a dire che vano , e inutil ſia il diviſar di
me. dicina razionale : ne medico poter giainmai in quella tane to , o quanto
vantaggiarſiz.conciolliccoſachè dalla lunghif fima , e inolto ſcorta
diſaminazione , ch'egli fa dell'uficio delle parti del cervello , non altro
certamente ora ne ſap piamo,chequello , che in prima fapevamo :: cioè a dire
nulla di certo . Quanto alla maniera del medicare fu egli ſenza fallo ſciocco
,, e infelice aſſai ; perciocchè dopo aver appreſa , ed eſercitata la medicina
a quella guiſa , che in Inghilterra comunemente coſtumavali :volendo egli
filoſofare ſopra quella , ſi perſuaſe , che le continue ſperienze , così.dover
fi medicare additato aveſſero ; perchè non guari egli lontan
facendofia'comunali rimedi, nel ſuo ſiſtema,ſtudiof ſi di darne a credere eller
quellii veri argomenti da raccato tarne la ſanità , ricoprendo con sì
fattoavviſola ſua beſſage gine, c non rinvenendo nulla per giovamento
de'cattivelli, inferini'. Anzi vi fu di peggio nella ſua medicina , che non che
valevole argomento egli mai ritrovato aveſſe : anzi in qualche biſognatalvolta
, ove i volgarimedici bene ado peravano , egli diverſamente ſentendo
dipartiſlene. Ma prima difar parola della maniera del ſuo medicare , egli
conviene avviſare, cſſer poco ragionevole ciò che 1 1 d egli Del Sig.Lionardo
diCapoa. 443 egli giudica, cioè, che la febbre finoca puerida,ficome egli dice
, per eſſenza ſempremaiſia : e che la pleureſi , la peri pneumonia ,
l'infiammagion della gola , e altri fomiglianti mali ſiano effetti, e non
cagioni della febbre ; conciollie cofachè ciò manifeftamenteripugnar ſi vegga
all'evidenza: avviſandoſi fempremai tratto tratto avanzarſi , e ſcemarla febbre
, ſicome Icema , o creſce l'enfiagione ; anzi talora prima d'apparir la febbre:
il dolore , c l'enfiagione appa fiſcono : e cominciandoſi poi la ſoſtanza ivi
cntro racchiu fa'a formentare , e a comunicarſi al ſangue , e far ſaccajan
comincia altresì la febbre . Ma più manifeſto ciò s'avviſa nelle ferite , e
allor che qualche ſcheggia , o ſpina, o altrás ſomigliante coſa nella-carne ſi
ficca ;perciocchè ivi a poco accendefi la febbre nella piaga ſolaméte, enelle
parti prof ſimane , e talor anche pertutto il corpoſi fpande ; e leav vien ,
che le fibre alcuna fiata enfino , ciò nulla rilievaan dover far pruova del ſuo
diviſamento ; perciocchè quella medeſima cnfiagioneſarà anch'ella cagion della
febbre, no già effetto , ſicome immagina il Villilio ; concioſliecoſachè
manifeſtamente s'avviſi in sì fatte eiffiagioni rattenerſi il ſangue , e dal
ſuo uficio rifturfi; perchè poi naíce la febbre; ne ciò potrebbe in piun côto
negare il Villifio, confeſsado egli medeſimo quefta verità : Ab ejuſmodi
tumore,dice egli dellenfiamento delle fibre, calor, e dolor in parte intendű .
tur : fanguis in motu ſuo magis perturbatur : adeoque febris accenfa plus
aggravatur. Ma non men vano , e falſo è ciò ch'egli giudica
dell'ingencrazionedelle febbri, che chir mano intermittenti; la quaic opinione
potrei lo agevolme te rifiutare :ma perciocchè egli è manifeſta aſſai la ſua
fal lanza , e per non dilungarmitroppo me ne rimango.Sola mente dico ciò lui
fare perpoternella cura delle febbrila biaſimevol coftuma de ſalafi ritenere ;
nella qual certame te cotanto egli è più de'Galieniſti medeſimi tracotato , che
ovei più avvedutifra loro nella terzana intermittétenõ ar diſcono a trar sāgue,
egli pur vuol, che trar fi debba, accioce chè col ſuo mcnomamēto il sāgue fi
rinfranchi, e ſi rinfre ſchi , e mcnos'accenda , e più liberamente ſenza
riſchio ď K k k incen 1 2 1 444 Ragionamento Seſto incendimento diſcorrer poſſa
, e riandar perla perſona .Ma ſe aveffe avviſato il Villiſio le terzane
intermittenti divenir talora per li falalli contine , certamente cgli non
avrebbe così follcmente ragionato. M2 apertamente ſi vede, ch'egli dictro alla
bruzzagliai de’volgari medicanti , più negli effetti de’mali , che nelles
cagioni di quelli s'indugia . E per favellar con lui, ſecon do iſuoi medeſimi
ſentimenti , ſe la terzana s'ingenera, per ciocchè il facgue ſtrabocchevolmente
mordace , e punge te,non intride, e matura toſto il ſucco nutritivo : mala
maggior parte di quello in una cotal materia nitro - ſulfurca corrompendo muta
: come potrafli ella maiper lalafo am mendare, ſe il ſangue , che riman nella
perſona , anch ' egli mordace , e pungente vi rimane ? certainente egli ancora
, ſe non ſi addolcia , farà valevole a corromperc, e guaſtare il ſucco
nutritivo , e ingenerar la febbre ; anzi tanto mag giormente , quanto per lo
ſuo fcemo, più debole , e fpoſfato diviene a rintuzzar quella mordacità, che'l
corrompe,me nomandoſi in lui quella nobiliſſima ſoſtanza ,che ſolamente poteva
nel ſuo intero affinamento ritornarlo ; perchè poi il ſangue, che di nuovo
s’ingenera , diverrà ſenza fallo pig. giore : e non ben digeftédoſi il cibo, il
ſucco nutritivo yer rà anche a ingenerarſi cattivo : e manterrannc quel calo re
, checol ſalaſſo iinmagina di ſcemare il Villiſio;ſenzachè è egli inolto di
riſchio il ſegnar nella terzana ; perciocchè tra per lo cibo , che dentro dallo
ſtomaco de’inalaci ſi cor rompe,e per lo sfoggiato calore,ch'allottigliando, e
diradi. la collcra nel ſuovalo avvić,chequella nello ſtomaco ſi tra sfonda , e
cotanto mal cagioni : ſicome a quel giovinetto nobile intervenne , di cui narra
il medeſimo Villiſio ,che no oſtante la cardialgia avendolo cgli fitco ſegnare,
piggioró ne sì fatcamente , chequali ne fu per debolezzamorto , gliene
ſeguirono fieriſſimivomiti ,e ſpalime , c rivolgime ci d'inceſtini : ne
alleggioll in lui il dolore, ſe non ſe nel de clinamento del male . Vuole
ancora il Villiſio , che trarſi debba fangue nello febbri, ch'egli chiama
efiimcre, e nella finoca putrida , ac cioc Del Sig. Lionardodi Capoa 445 ciocchè
perlo falaſſo diradandoſi il ſangue fia ventato : e le particelle calde di
quello per affoltata non ſi accendano; ſi . coinc adoperar veggiamo a
contadini, i quali rivolgendo, e ſcioperando il fieno difoverchio riſcaldato,
fannogli pré dere rinfreſcamento . Ma egli è certamente ſogno del Vil lilio ,
che liquorsche continuo muova , e diſcorra , ficome il ſangue , abbia quelle
particelle , ch'egliſcioccamente chiama calde , le quali poſſano ſtare
ammonzicchiate,e af faſtcllate , ficome ficno in palco , maſſimainente , che
pic cioliflime , e ritonde quelle fono , e ſi muovon rapidiſſim.2 mente allor
che fanno il calore ; perchè malagevolmente ſtar poſſono inſieme, ſe da qualche
materia viſcoſa, e tenz ce non ſianoben prima appiccate. Perchè è da dire , che
fconcio , e ridevole oltrcmodo ſia il paragon del fieno dal Villiſio apportato
,in cui lo ſtrignimento premendone il fucco cagiona la formentazione , e'l
riſcaldamento . Maw oquanto meglio egli avrebbe adoperato , ſe non già con
falalli , ma con rimcdj acconcja ciò fare , ſicomealtrove per noi è detto , ſi
foſſe argomentato di ſventolare il ſangue , edirinfreſcarlo . Ma egli più oltre
traſandando vuol che da ſegnar fiano anche i fanciulli : quandoil medeſimo Ga
lieno , che de ſalaſli fu cotanto amico, e altri antichi medi cistutti ad una
giudicano efſer quelli ſommamente a' fan ciulli dannevoli , e da fuggire . E
avvegnadiochè egli molce novelle ne racconti d'alcuni febbricoli da lui felice
mente col fataſſo guariti ; non però di meno , ficome egli medeſimo teftimonia,
non pochi ancora ne poſe per la ma la via ; ne è da credere , che coloro che ne
camparono ,fof fcro da falaſiajutati : anzi per qualche altro argomento, o
cagion da’lui non conoſciuta celsò loro la febbre : e fuma raviglia , che
infermo, chenon potè reſiſtere alla febbre ', aveſſe poi la febbre inſieme, e'l
mal del falaſſo contraftato. Che ſe veggiuno noi alcuni avvelenati ſenza
cóſiglio niu no campare, e altri cadere ftraboccati da alto ſenzafiaccar fi il
collo : ele ſcoppiate delle bombarde alcuna volta non colpire , perchè dobbiam
noi dire i ſalali ſolamente, per chè talvolta non ammazzino , non effer mali ?
Ma ben disi tra 440 Ragionamento Sefto 8 1 Travolto diviſamento portonne egli
la pena il Villiſio ; per ciocchè co'ſuoicari ſalasſi-egli-medeſimo s'ucciſe .
Ma gľ Inghilefi , huominicotanto pertraffichi , e per uſanze co noſciuti di
tutte coftume della maggior parte del mondo , Io non sò lo come ſi laſcino
ciecaméte portare alle beſlag gini de’loro medici , e non più toſto rimirino
alle varie , ¿ diverſe nazioni, colle quali eglino uſano , che ſenza laper mai
di lanciuole , o dimignatte , e ſenza 'logorar goccia di ſangue ſtan bene delle
perſone: e ſe pure infermano , altri argomenti coſtumano a raccattar la ſanità
, che i nocevoli ſalaffi. E per non andar ricercando detl’Indie , e d'altres a
noi rinnotiſfime partijagevolméte ciò potrebbono avviſa re da’Mori: i quali,
ſicome teſtimonia quel gran Maeſtro in divinità Tomaſſo Campanella, le malattie
tutte col ſolo di giuno , e colle unzioni, e co ' tropicciamenti curama. Ma non
meno ſciocco, e poco avveduto nelie purgagio niegli ſi fu il Vihiſio ;
concioffiecofachè egli talora ſenza riguardare al tempo delmale toſto le
purgative medicine,e le vomitative impor foglia, con graviffimo danno degli in
ferini; e ciò egli vuole anche dove la febbreſia grande , d'accendimento dentro
agevolmente temer fi poſſa. Ma quanto poco fermo e' ſi foſſe nelle ſue regole
il Vil lifio , manifeſtamente egli medeſimo il ci da a divedere, al for che
dopo averdiviſato ſecondo fua poſſa a che debba il medico riguardare per dovere
acconciamente i ſalaſſi , e le purganti medicine adoperare , maſſimamente nelle
feb bri peſtilenzioſe , e maligne : alla per fine avviſando egli la vanità
de'ſuoi diviſaınenti, e dimentito della certezza della medicina razionale , non
altrimenti , che ſe volgare impi rico e' fi foffe , conſiglia imedicifuoi
ſeguaci, che ſi laſci. no ſolamente in ciò alla ſperienza guidare . In his
cafibus , ſon fue parole, prater medicicujuſque privatum judiciums; experientia
potiffimam mededi rationem fuppeditat ; cã enim hæ febres primo
graffantur,finguli ferèfingula tētăt remedia : diex eorum fuccesſibus una
collatis facilè edifcitur , qua li demum methodo innitendum erit , donec ultimo
crebro ten tamine , feu tranſeuntiuin veftigiis via quafi regia , « Lata Del
Sig .Lionardo di Capoa 447 ád bujuſmodi affectuum rationem texitur, variiſque
obſerva tionibus , monitiſquemunita , Or quinci manifeſtainente comprēder
puoſli quanto po co egli affidato nel fuo fiſtema di medicina, il tutto nel
ſens; no , e nell'intendimento de'mediciavveduti roveſciaſſe, giu dicando non
eſſer rimedio cotanto certo , di cui noi poffil mo vivere a ſicuranza. Ma non
ſi dec egli nondimeno privar della meritata lo de il Villiſio , per eſſes e'
ſtato certamente il primiero tra' Chimicimedicanti,ch'abbia avuto ardimento ,
rendendo giuſta ogniſua poſſa cagioni veriſimili di tutte le coſe , di
fabbricar un ordinato ſiſtema di medicina razionale, e ſopra tutto per quelbel
libro , ch'ei compoſe della Farmaceutica razionale ; ove egli s'ingegna di dar
ragione dell'operazio ni tutte , che ſi fanno ne'corpi umani dalle medicine. Ma
non già egli però, come par,chemillanti con queſte paroleg. Spartam hanc
fcilicet operationis pharmaceutice Ætiologiam , prius fere intactam , fi nunc
temere agreflus, non dignefatis abfoluero , veniam utcunque merebor , quia
terram non modo: incognitam ,fed , GvaldeSalebrofam ,&quafi labyrintheam
peragrare. incumbebat , fù’l priino aqueſta opera ; poichè il Paracelſo , e
l'Elmonte , ſopra i diviſamenti de'quali áp-, poggia tutta la ſua machina il
Villiſio , ne trattarono , tut tochè non ordinatamente aſſai n'aveffero eglino
favellato Ma ne a queſti , nc al Villiſio , per non aver eglino conſide rata
innanzi tratto , e riandata con diligenza la natura del la coſa , cioè
que’principi primi , ondederivano immedia tamente le operazioni de'medicamenti,
riuſcì il-finir una sì commendevoleimpreſa , con quellafelicità , che le avca
no eglino dato principio. Malaſciando dipiù ragionar del Villiſio, e del ſuo
liſte ma, a quel di Franceſco delle Boe Silvio trapaſſeremo;egli fin da primi
anni il Silvio , licome di lui narra Luca: Schache negli ſtudi d'Ariſtotele , e
di Galieno involto, do po lungo tempo a ciò logorato, veggendo alla fine , la
Chi mica di que' tempi a grandiſſima altezza ſormontata per le maraviglioſe
cure dell'incomparabile Giovan Batrifta El mon 448 Ragionamento Sefto monte ,
di cui ſopra è detto , a quella apparare con tutto il ſuo intendimento , e con
non ordinaria fatica ſi rivolſe; e conoſciuti i grandillimi errori, e ſconcezze
delle volgári dottrine , per non dovervender la ſua ſcienza a minuto, ne? più
ſaldi ſtudi delle buone arti sì , e tanto innoltroffi , cher grandiſſimo, e
famoſo ne divenne: e di molte , e laudcvoli conoſcenze arricchito miſeſi a
diſcorrere pergli ſtrabocche voli campi della medicina. Ma ſicome ardito ,e
poco cſper co Nocchiere , avvegnachè di ſarte , di - gomene , di ve le , di
boffolo , e di tutto ciò , ch'a ben corredata nave fac cia meſtiere , ſufficientemente
ſia fornito : impertanto per nuovi , e nonconoſciuti mari navigando, no
ſappiendo egli poi ben quelli adoperare , miſerevolmente inghiottito vi muore ;
così il Silvio , comechè dibuona filoſofia,per quel ch'e' medeſimo dice : e di
non ordinaria medicina fornito , non però dimeno non ſappiendo egli quelle
adoperare,ſcó- - ciamente fallovvi , e quaſi nocchier mal pratico negli alti
maroſi del ſuo meſtiere appena ſciogliendo, fortunolamen te annego . Ma
potrebbe alcun recare in dubbio , ſe ſcor ro in filoſofia si bene il Silvio si
foffe veramente itato , co me eglinevuoi dare a divedere ; e nelvero per quel
che comprender poſſiamo dalle fue opere , egli ſembra, che no molto addentro e'
la ſpiaſſe , comechè una fiata dalla ra dezza , che adopera il fuoco
ne'corpi,cgli argomēri le parci celle di quello effer piramidali; non però di
meno egli po co conoſcendoſi eſſer profittato nella buona filoſofia , co mechè
,i per quel, ch'e'nedica , trentatrè anni continuo in appararla e' ci aveſſe
logorati , proteſtando le ſue dappocaggini , manifeſtamente dice : optabile
foret naturalium rerum principia vera , eorundemque numerum certum , qualitates
legitimas via,methodoq ; mathematicis demõltrari. Ma nella medicina razionale
più alquanto egli ardimé toſo , volle il ſuo ſiſtema diviſarne , dicendo tre
umori prin cipali eſſer ne'corpi degli animali: cioè il ſucco pancreatico, la
collera , e la flemma; i quali nel ſottile inteſtino adunā. doli inſieme, e
meſcolandoli, quell'umor poicompongano, che da lui è detto triumvirale ; che il
ſucco pancreatico di 1 1 1 2 0 1.111 DelSigLionardo diCapoa. 449 ſangue , edi
ſpiriti animali dentro al pancrea s'ingenere quindi agli inteſtini per la
celebre 'doccia del Virfungio diſcorra ; chela collera ſi formi di ſangue
dentro alla ve ſcica del fiele ; e che ſia ella abbondevole aſſai diſale ama ro
, e volante , e comee'dice, liffiviale , da poča acqua foo Luto : in cui
alquanto d'olio, e di volante ſpirito anche s'av viſi; che la flemma ſi crii
della ſaliva , la qualdegli ſpiriti animali , e della più ſalda , e tenace
parte del ſangue com pofta , dalle glandole delle maſcelle per le docce , che
falia vali diconft, alla bocca trapeli , e continuo tranghiorten doſi dentro
allo ſtomaco diſcenda : e quivi le ſue tuniches ainmorbidando digeſtiſca i
cibi; quindiallinteſtino fottilc pianamente trapelando ivi s'accolga,c per la
più gran par te dimori . Venir la flemma di molta acqua, e di poco fpi rito
aceroſo , e volante se dipochiſſimo olio, e ſale lillavia le compoſta ;
perchèin quella una gran virtù formentantea ritrovarſi; il ſucco pancreatico
ingenerarſi degli ſpiriti ani mali, e del ſanguenel pancrea: e che fia
eglialquanto ace toſo : ne dalla flemmadiffomigliante , ſe non ſe più alqua to
ſottile ; che ſi tragittiegli perlo canal del Virſungio al fotcile inteſtino ,
la dovenel meſcolarſi ch'egli fa colla collera , perla contraria diſpoſizione
dell'amaro di quella , edell'acetofodi eſſo,a riſvegliàr fi venga un cotal
bollimé to , per lo quale la parte più groſſa , e limacciola ſi ſeparije queſta
giù per gl'inteſtini s'avvalli : e quella per le venes lattce diſcorrendo al
cuore aggiugna ; e la flemma anco ra nel fuo ribolliméto fi ſolva: e che la
parte ſua più diſcor rente , e ſottile inſieme colla maggior parte della
collora, e del fucco pancreatico traſcorrano parimente al cuore : ove la
fermezza, e’lcompimento deano al ſangue; e'l lor rima nente diſcendendo giù per
gl’inteſtini groili , e alle fecces! meſcolandoſi , quelle maggiormente
colorate , e tenaci ré. dere , Cosìavendo formato con queſti tre ſoli umori il
fi ftema tutto della ſua medicina il Silvio , dal guaſtamento, e perturbazione
di effi vuol , che tutte le febbri dirivino ; concioſliecoſachè ritrovandoſi
talvolta per qualche cagio ne il pancrea oppilaco , quivi il pancreatico fucco
oltre all' LII uſa : 450 RagionamentoSefto ùfaço dimorando , maggiormente
acetoſo divenga , e mor: dace ; perchè egli poi faccia negl'inteſtini un
bollimento grande, c ſtrabocchevole aſſai più dell'uſato : e naſcerne la febbre
, qualdicono intermittente . E ſe quella parte della collora , della flemma , c
del ſucco pancreatico , la quale al cuor ſi tragetta , non ſia ben
condizionata, ella nel deltro ventricolo di quello un'altro diverſo ribolliméto
riſ veglj , e le contine febbri cagioni . Ma troppo lungo fa rebbe il voler qui
raccontare comedal rimeſcolamento di tutti , e tre queſtiumori vuole il Silvio
, che ciafcuna maa , lattia ne*corpi umani s'ingeneri. Io non ſaprei lo di
leggier narrare quante miſchie, quan te conteſe , eriotte abbia riſvegliate
infra' medici un cosi ftrano ſiſtema , così vivendo il Silvio , come anche dopo
ſua morte ; ma lo diciò non curando al preſente , folamente per quanto a mio
propoſito s'appartiene , dico eſſer vera mente ingegnoſo , claudevoleil
diviſamento del Silvio , e quale appunto a un cotanto valent'huomo conveniya ;
ma perciocchè egli tutto grazioſamente afferma ſenza nium pruova fare delle ſue
ſtranezze farà quello da dircertamēte una ben compoſta novella per tener a bada
con ſue ciarle l'ignoranza del vulgo, e preffo quello accattar titolo di va
lorofo filoſofante ;machi ſpia più addentro , non veggen do comepoffano effer
tali quei tre umori, quali e' glide fcrive , ecome poffano aver poſlanza di
cagionare i bolli menti , e le febbri, e tutt'altre malattie, che egli
racconti, poco certamente a capitale il ciene . Anzi radillime volte nella
flemma, e nel ſucco pancreatico l'acetofità egli avvi far ſi puore; ſenzachè
nel pancrea non ſi è giammai per al cuno acetofità , ne poca , nemolta
avvifara: e pure dovreb be ad ognora quella trovarviſi, le nel Pancrea
s’ingeneraf fe , e s'accoglieffe veramenteil fucco acetofo ; perchè ra de volte
ancora quel bollimento , ch'egli immagina ,negli inteſtini da quelli riſvegliar
puoſli ; anzi è egli imposſibi le , che per l'acetoſità il bollimento avvegna :
ficome per pruova veggiamo , che il liquor del fiele collo ſpirito del
vitriolo, o delſale , o con altro acetoſo umore meſcolato ri bolla: DelSig.
Lionardodi Capoa 451 bolla : che che in contrario fi dica Olaaldo Crollio , da
cui peravventura ciò apparò il Silvio : il qual contendendo co tro la manifeſta
ſperienza , ne vuol dare adivedere , chelo ſpirito del vitriolo a ſtomaco ,
cheabboudi in collera ,bol Jimento cagioni. Maſenza fallo egli di gran lunga
s'aggi , 1.3 il Silvio a dir , che gli ſpiriti animali ſiano aceroſi ; per
ciocchè, fe ciò foffe , inervicontinudrattratti , e in malei Itato ne ſarebbono
: ſappicndo ben ciaſcuno , che l'acctori tà , ſicomc (triguente , e lazza, e
pugnereccia , a’nerviol tremodo contraria , e nimica fia . Ma chela ſaliva allo
ſmaltimento de'cibinelnostro ſton macobaltevol fia , comechè ella pur gli ſia
diqualche gio vamento , chiunque al maraviglioſo artificio del digeſtimé. to
non abbia poſtomente, potrà folamente crederlo . E ſopra tutto è da maravigliare
di ciò ch'e dice delle febbri intermittenti ; perciocchè ſe quelle
dall'acetofità fi cagionalſero, ſenza dubbiogl'Ipocondriaciad ognorafi vch
drebbono , e terzane , e quartane patire; poichè in loro fo pra tutti il ſucco
delPancrea , ficome anche il medeſimo Silvio confefla , oltremodo acetoſo
s'avviſa . Ma riſerbando a più agiato tempo sifatte conſiderazio ni : ciò che
toglie maggiormente l'eſſere razionalmedico al Silvio , e'l fiſtemadilui manda
a terra , fiè , che egli trasa dando le fondamenta , a niuna cura prende
l'inveſtigar la natura di quelle prime ſoſtanze de Chimici, ſule quali egli
fonda la fua medicina. Mache che Gadella ſua filoſofia , il modo certamente del
ſuo medicare , comechèpovero , e manchevole degli arcani dell'Elmonte , e del Paracelſo
, non poco dee effer commendato ; perciocchè egli usò le volgarichimicheme.
dicine , e masſimamente l'alloppiate connon ordinaria fe licità ,, e pregiodel
ſuo nome ; fe non ſe quanto egli preſtò alle purgagioni troppa credenza : ele
pole talora in opera , ove in tutto , e pertutto diſconvenivano : avvegnachè
pur guardingo, e ritrofo alquantoegli ſtato ne foſſe . E come chè cgli dicoloro
, che così volonteroſi ſono a ſegnare, só mamente ſi biaſimaffe, non però di
meno per non dipartir LIT 2 ſi dall' 452 3. Ragionamento Sesto folo può
contrariare almale . Oltre a queſto la formentl fidall'uſo comune , andò a
bello ſtudio accattando cagioni di ſegnare ancornelle febbriintermittenti: ove
egli affer ma non aver luogo niuno il fataſlo.Immagina poi egli , che faccia
luogo il ſegnare nelle febbri finoche,acciocchèilsā gue ſtrabocchevolmente
radificato non rompa i vaſi ,o fac cia qualche altro gran male ; non avviſando
, che con altri ficuriargomenti , quandociòpur s'aveſſea temere , dar vi fi può
compenſo , ſenza tor via , col trar ſangue, ciò che zione,tutto che grande, nel
fangue,non li dee con -iſpogliar lo della ſua vital ſoſtanza impedire, poichè
per quella ſteſ ſa formentazione, grande eccitandoſi , o fenfibile , o inſen
fibile vacủazione , fi difcaccian fuori del corpo le cagioni delle malattie ,
il che s'impediſce certamente col ſegnare. Dopo il Silvio ,mi ſi fa davanti
Lazaro Meffonieri, il qua le troppo libero , coltre alconvenevole ardito ,
imprende a determinar delle più ardue', epiù ripoſte quiſtioni, di cui
piatiſfer mai con lungo ſtudio ifilolofanti . Primieramente egli ſtabiliſce
effer principidelle coſe il mercurio , il fales , e'l folfo , e dice quefti ,
licome in cotante arche , o matrici contenerſi negli elementi ; i quali ſecondo
l'avviſo di lui, fon quattro :cioè il fuoco, efficiente cagion di tutte altre
coſe , in cui niun principio egli v'alloga ; l'aere , in cui ri fiede il
mercurio ;l'acqua , ove ſtanzia il fale ; e la terra in cui dimora il ſolfo .
Il fuoco ond'ogni altro elemental mo to deriva , vien dal folto ajutato , ed
eccitato dal mercu rio ; e ſue proprietà ſono il dar movimento al mercurio , il
riſplendere , il riſcaldare , l'attrarre a fc le cofe oleaginoſe, e Peſſere
attutato dall'acqua ; l'aria colfuo mercurio fa fare a ſegno il fuoco ; il
mercurio è un certo ſpirito aeree , il qual coagula l'acqua , e'l fal volante
rappiglia , e che afo fai bene col fuo ſal fiſſo s’uniſce ,ed al ſolfo cótraſta
.Dimo ra ilmercurio ne'luoghi piùdalle vie del ſole rimoti, fico me ſono
amendue i poli;l'acqua tiene una ftrettiſſima ami, ſtà col ſale , e nimiſtà
grande allo incontro poi colſolfo . La terra opprimeilfuoco, e quanto ella è
del ſolfo amica, altrettanto ſi moſtra nimica del fale . Indi Del Sig.Lionardo
di Capod . 453 , 0 Indideltemperamento il Meſonieri vegnendo a favel lare ,
così ne divifa : il temperamento è un'armonia delles quattro prime qualità,
avvegnente dalmeſcolamento de gli clementi, e de’naturali principj:( Delle
qualità , che gli elementi compongono , due ne ſono attive , e due paſſive:
attive ſono il calore , e la freddezza , paflive l'umidità , e la ſiccità . Tre
coſe vihan nell'univerſo manifeſtamente calde , il ſole nelmondo celeſte , il
fuoco nel mondo ele, mentale , e lo ſpirito vitale nelmondo animale , e tre
allo incontro manifeſtamente fredde , la Luna , il mercurio , lo ſpirito
animale . Alcune ſtelle divantaggio vi han nelmo do celeſte ,dilornatura calde
, e altre freddo , ma occulta mente ; e altresì nel mondo elementale altre coſe
calde fredde , macelatamente , o accidentalmente ſi trovano : umidifſime
ſoſtanze fon da per ſe l'acqua, e l'olio ; ſecchiſ fime la terra , e'l fale .
Maicorpimiſti divengono umidi,o ſecchi , allor che conalcuna delle già dette
coſe 's accop piano . Le ſeconde qualità daglielementi, e da principi naturali
variamente fra eſfo loro meſcolati dirivano . I 12 pori ditutte coſe naſcon dal
ſale, gli odori dal folfo , lam durezza dalla terra , e dal fale : la mollezza
, e tenerezza , dall'acqua. Ed ecco in brevei lunghi diviſamenti del Mel fonieri
ridotti:ne'quali egli nel vero indarno tenta diridur re in un corpo folo ,
membra cotanto fra effo lor diſcorda ti, che non poffono a niuna guiſa
acconciarfi. E quinci ſcorger puoli, che quantunque egli molto ſtelle in fu
l'av vifo pernon laſciarſi trarre, e cader col yulgo de filoſofan ti in errore;
pur nondimeno non potè affatto obliar le ſcon ce , e falſe opinioni , che
cotanto tempo han tenuto maga gnate le ſcuole; le quali ' , come faggiamente,il
Verulamio avviſa : Elementorum commentum , quod avide à medicis acceptum ,
quatuor complexionum , quatuor humorum, qua juor primarum qualitatum
conjugationes poft fe traxit , tan quam malignum aliquod , infauftum fidus
infinitam , & medicine ,nec non compluribus mechanicis rebusfterilitatem
attuliſje, Maciò che egli poivi aggiugne del ſuo il Meſfonieri, in tut 454
Ragionamento Sefto curto ,e pertutto inverigmile fembri ; ficomcè il dir; che
il mercurio freddiffima, emobiliffimafortazaſi ſia ;e che ſte colà ne paeſi al
polo vicinijed alorcedaltre sì fatte fanfalu che', che lo non mi do briga
diriferire , per non logorare fuor di propoſito il tempo . Mada tanti , e sì
varj,e sìftra ni ſuoi arzigogoli, nonmai vien fatto alMeſfooieri di co glier
coſa che vaglia a dar ragione di quelle apparenze,ché tutto dì nel grande, e
nel picciolo li fan vedere.i ': Vuole oltre a queſto il Meffonieri, che di
tutte l'azioni del noſtro corpo ſien cagione gli ſpiriti animali, e vitali; lo
fpirito animale, dic'egli,è della natura del mercurio , aereos freddiffimo , e
dalcervello perlinervi, e perle membrane penetra, e fa il ſentimento , ed
ogn'altra azione animales; fi nutriſce della ſalſa , e acquola parte del ſangue
; lo ſpiri to vitale è della natura del fuoco, ed egli è il primo a muo vere ,
e a far impeto nel corpo, e a ſuegliar lo ſpirito anima lé , il quale da per
ſeimmobile,e privo di ſentimento farebo be ; tragittaſi dal cuore perle vene ,
e per le arterie infieme col ſangue, e forma i dibattimenti de'polli.
Nell'uniones d'amendue queſti ſpiriti conſiſte la vita dell'huomo, e nella
ſeparazione, perlo coptrário ,la morte . Maconcedaſi, che dal ver lontano non
ſia ciò, che divi ſa il Meffonieri,vorrei fapere, onde argomenti egli eſſere lo
ſpirito animale freddiffimo, ed immobile, e participar del la natura di quel
mercurio aereo da lui ſognato , e paſcerfin. enudricarſi del fale foluto
dall'acquoſa parte del ſangue ; e come parimenté egli provar poſſa aver lo
ſpirito vitale na tura di fuoco , e dar lui il moto , e'l vigore allo ſpirito
ani male . Ma formentandoſi continuo il ſangue nel corpo dell'huomo , e
comunicando egli ſempremai più , ome no calore a cucce le parti delcorpo , come
, e dove por trà mai l'animale ípirito olcremodo freddo , e inmo bile
ingenerarſi ? Coavien parimcnte poi , che'l Mcf ſonieri ci additi il modo , col
quale s’uniſcano fralo ro , el diſuniſcano si farciſpiriti ; e altresì , che
ſaper egli cifaccia , onde avvenga ,che'l caldo eſtremo dello ſpirito yitale
non difrugga, e diſlipi lo ſpirito animale ; ccoine al lo in DelSig. Lionardo
di Capoa. 455 lo incontro l'ecceſſivo freddo dello ſpirito animale non am morzi
, ed eſtingua lo ſpirito vitale . Laſcio di narrare,quanto il Meffonieri
nell'aſſegnare gli uficj alle parti del corpo umano , vada ſovente errato ; e
quanto egli poco felicemente lt vaglia (non riconoſcendo Je tali ) d'alcune
falſe opinioni di Galieno ; ma accennerò fol tanto ciò che follemente va
diviſando dietro allo in generarſi delle malattie: dicendo , che qualor
l'azione dell' animale , o del vitale ſpirito ſia impedita , gli huominiven
gano damaloritravagliati ; sì che le malattie propriamen te favellando fien
tutte negli ſpiriti, e meno propriamente poi negli humori, e nelle altre parti
delcorpo ; e la cura delle malattie tutte in altro non conſiſtere , ſalvo che
in tor via quelle cofe , che impediſcono l'azioni degli ſpiriti je conchiuder ,
che tutto ciò con cinque generazioni ſole di medicamenti fare agevolmente ſi
poſſa. Ma a queſti , cad altri diviſamenti, ch'egli poſcia produ ce in mezzo in
facendo parole delle particolari malattie,no fa certamente luogo d'argomenti
per moſtrargli fall . Fi, nalmente la maniera delmedicare del Meſfonieriaſſai
roz za nel vero , e materiale effer ſi vede . Ma poichè da uno in un altro
ſiſtema paſſando fin quì lią giunti lo non voglio trafandar tacitaméte Franceſco
Mea. ra celebre medicante nell'Ibernia . Fu coſtui della ſchiera deGalieniſtiin
prima : ma avviſando egli poi quanto all'o pera del medicinare mal veniffero ad
huopo le vane ciance di Galieno , impreſe a metter fuori un'altro ſiſtema di ra
zional medicina ; nel quale egli fu tutto inteſo ad accozza. re inſieme le
dottrine di Galieno con quelle di Paracelſo, in quella ftrana guiſa appunto ,
che pittor farebbe, ſe mai te Ita umana fopra un collo di cavallo tutto coperto
di penne di varj, augelli e dipigner voleſſe . Forte egli rimproccia tutti
coloro che ichimici principj ofano dinegare: cô que fte parole . Et miror
profecto qua fronte quiſquam experien tia Scientia omnis , & cognitionis
inventrici) repugnare prefumat , nifi pro ratione fufficiat , multos pudere ,
cos pige me quiequam denovo admittere , quod confirmat& eorum upi niuni 456
Ragionamento Sefto nioni adverfetur , à quo ne látum quidem unguem recedere
Suftinent , ne prius non recte fapuille videantur: multos taria ta cum
fatuitate , ne dicam Idololatria, Hippocratem , Ari ftotelem ; aGalenum
venerari videas ,utquicquid ab illis non dictum , non dicendum , quicquid
abillis incognitum , no cognofcendum putent; e molto appreffo fi briga in
moſtrar , che in natura v'abbiano sì fatti principj; sì veramente però, che non
debba a crederſi , che ſian primi ; imperocchèegli vuole , che della materia
,della forma, e della privazione i quattro elementiſi formino , c'di queſti
facciali il ſale , il ſolfo , e'l mercurio , che ſon terzi principi; i quali finalmél
te col vario accozzamento loro , quanto v'hanell'univerſo coinpongano , Ed ecco
, ſecondo lui , onde formanſi le parti ſalde, e di. ſcorrenti del corpo umano:
e particolarmēte i quattro umo ri di Galieno ; ne’quali , allor , che il ſale ,
il ſolfo, e'l mer curio ſtan così bene adattati , che non vengano fra ello lo
ro a tetizone , n'avviene la ſanità , e per contrario lemalat tie . Diviſa egli
, ſecondo l'avviſo dechimici, lungamente de'ſali ; dicendo , che altri ſe ne
ravviſano nella flenna ſas lata , come è il fal comune , e'l ſalgemma; altri
nella flem ma acetofa , e in cerca fpecie di malinconia parimente acç. tofa ,
come è il ſale armoniaco ; e così ancora diſcorre ra gionando degli altri ſali
, che ſono negli altri umori . Vna sì fatta dottrina fu introdotta
primieramente nelle fcuole per alcuni ſeguaci del Paracelſo;immaginado eglino
con ciòfare ,che celtaſſero le perſecuzioni chelor faceano i Galieniſtis ma lor
non venne fatto il diſegno ; anzi , come in tute gare civili avvenir ſuole, cui
non voglia ad alcuna delle fazioni attenerſi, eglino divennero d'ambedue le par
ti nimici ; e come alga , o ondamarina , che da'contrarjvé . ti ſia , or quinci
, orquindi agitati, così l'opinioni di coſto ro furono da'Paraceláſti, e
daGalieniſticótraſtate . Il per chè anche noi ſenza quì intertenerci
immaginamo, che da quel , che di Galieno , e di Paracelſo addietro abbiam di:
viſato , rimanga ilſiſtema del Meara baſtantemente impu gnato ; imperocchè, ſe
ne con gli elementi , ne co’principi chi Del Sig.Lionardo di Capoa 457 1 1
chimici poſſono i varj avvenimenti del corpo umano fpię garfi : di ſeguente è
da dir , che ove ancor vero foſſe (il che non potrebbe a niun modo
concederſi)che i princpj chimi ci daglielementi ſi formino, ne men coſa , che
monti una frullo Gi farebbe mai a pro della medicina ſcoperta. Quanto nocimto
recar poſſa a ben filoſofare il non eſser l'huomo'da prima indirizzato per
diritta via , il ci fa mani feftaméte vedere Frāceſco Gliſſonio ;il quale
comechè d'ala tiffimo intendimento fornito , e nella notomia , e in alte cofe
alla medicina appartenenti oltremodo avanzato fi foſ: fe ; impertanto non ſeppe
egli sì , e tanco ſchivare le ſcom ee opinioni nella gioventù appreſe , che
intriſo alquanto, e guaſto non ne rimaneſle. E ben ne diè egli manifcfti ſegni
nel ſuo ſiſtema di razional medicina , allor che veriſſimo giudicando il
diviſamétode'Chimici dictro a’principj del le coſe naturali ,vuol , che il
mercurio , o ſia lo ſpirito , e l'olio , c'l ſale , ela flemma , e'l capo morto
, o terra dan nata fian l’ultime particelle, nelle quali le coſe o per ingen
gno , o per induſtria umana folver li poſſano. Ma dicia avendo lo altrovci miei
ſentimenti paleſati, qon fa luogo al preſente , che lo di vantaggio ncragioni.
Credeegli accordar queſte cinque ſoltanze con gli ele menti d'Ariftotele,
dicendo l'elemento del fuoco allo ſpiri to riſpondere , e quello dell'aria
all'olio , e quel dell'acquz alla flemma , a quel della terra alla terra
dannata, e allale. Ma in buona fe ,Signori ,chi non avviſa , che'l fuoco non
abbia punto che fare col mercurio il quale comechè foco siliflimo ſia , e che
le particelle , che'l compongono lian , piccioliffime', nonſono però elle tali,
che tutte quelle ope razioni, chedalfuoco naſcer veggiamo, adoperar poſla ao .
E ne men certamente l'olio potrà mai quella attegné. za coll'aria avere , la
qual peravventura immagina il Glif fonio ; perciocchè l'aria , comechè
diſcorrevole , c vagas oltremodo ſia , non è perciò umida, ne ad accenderſi,o
bru , ciare acconcia , Ma avvegnachè l'acqua alla flemma ſia pure in qualche
parte conforme: che compenſo prenderà egli il Gliſſonio a voler duc
diverſillims cofs , quali ſono il Mmm file, 1 4384 Ragionamento Seſto . slaai
Cáte jela terra dannata , porre d'accorto , e far ch'una coſt fola , e un ſolo
elemento elle fiano E fe pur v'ha infra loro qualche attegnenza , nondimeno
fallò egli no poco Ari ſtotele a porre quattro , e non più toſto cinque
elementi, e principj delle coſe ; perchè ſcompigliata', e ſconvolta ner diviene
oltremodo la filoſofia d'Ariftotcle : la qual folle mente il Gliſſonio con
quella del Paracelſo ſi ſtudia di ri conciare . Ma ſufficienti non parendo si
fatti principj al Gliſſonio a falvar l'apparenze della natura, egli in luogo di
ſpiar ſottile mente,ſicome far doveva,i vcri principj onde fiicópongono quelli
, al Paracello , e all'Elmonte per dappocaggine ſi ri fugge, e togliendo da
foro ciò , cheeſli degli Archei mil lantando dicono : e giugnédovi di vantaggio
molte altres fraſche del ſuo , ſcioccamente con si fatti ripari di riſtorar la
ſua cadente Gloſofia s'argomenta : dandone apertamente a divedere con quanto
poco ſenno imbolato egli aveſſe il piggior di que’libri di que'valent
huomini','tralandando d ? altra parte coranti buoni , e pregiatiſſimi
diviſamemi , chę coloro in altre coſe,e fpezialmente intorno alla via da do ver
curar gl'infermi han laſciati Almondo , che giacea pien d'alto errore.".
Dice adunque il Gliffonio eſſer l'Archeo un cotale ſpi rito reggicore , il qual
negli ſpiriti di qualunque coſa,il.ca lor vitale , e attuale riſvegli: e muova,
e rilievi tutte le cor loro facoltà natūrali : e altri ſoſtegna : e ciaſcuna
natural parte dal corrompimento difenda : tenendola buona fperā. zagli fpiriti
, iquali egli in feſta , e lietamente fa vivere . Quindi il Gliffonio le varie
generazioni degli Archei di ftintamente va rapportando , ein prima quella
dell'Archeo dell'uovo»; il qual primieramente eglidice , che habbia lo fpirito
ſuo innato, il quale a tutt'altri elementi dell'uovo fi gnoreggi ; e oltre a
ciò contenga ancora , ma ſol virtualmé te l'infiuffo vitale , e animale , e che
fia ancora delle tre prime facoltà naturali fornito, le quali egli
percipientes, appetente, e movente chiama , da una ſpezial diſpoſizione
circonſcricte , c terminate . La facoltà percipiente , dicu , egli, DelSig
:Lionardo diCapoa. 459 egli , che l'Idea dell'uovo , e quella ancor
dell'animale dam ingenerarhi, o della pianta in ſe comprenda; imperciocchè
l'Archeodi quelli , non ſolamente ſemedeſimo,e gli effer, ti , i quali egli può
produrre , conoſce; ma l'idea ancora dell'animale, o della pianta ravviſa ;
ſappiendo oltre a ciò il modo' ancora , e l'ordineditutta ſua formazione, e
qual fa tempo acconcio a mandır avanti le ſue operazioni. La diſpoſizione della
facoltà appetente compréde in ſe l'amor della natura rappreſentata per l'idea
,e una cotal brama di quella limitata , sìche ſoſpeſa reſti laſua potenza
infino al sempo opportuno . E ultimamente, la diſpoſizione della faç coltà
movēte porta con ſçco la ſua virtù formatrice, euna tanta operazione valevole ,
e acconcia , maches'indugi all'opportunità dell'attualeformentazione. Oltre a
ciò vuole egli , che l'Archeo nell'uovo anche dopo l'eſſer fuoriquello uſcito
dall'ovaja,ligato alquáto ję pigro nerimanga ; perciocchè le ſenza il conſiglio
della chioccią , o d'altro ſomigliante ajuto la formentazion dello animale
rentaſſc , ad infelice fine ogniſuo ſtudio riuſcireb be . Quindi egli alquante
propoſizioni pertinenti alla na. tura di quello va ſpiegando, facendoſi a
credere ſe averba ftantemente ogni ſuo diviſamento ſpiegato per gli avvifi
dell'ingegnoſo Malpighinell'uovo. L'Archeo, dice egli,di tutto il corpo già
formato è di tre maniere: naturale , vita le , e animale ; il primo in due ſole
coſe è differente da quel ch'egli è già ſtato nell'uovo : l'una fiè , che egli
in quello avca già ſolamente la forza d'operare: e poi nel corpo for mato, in
atto già opera ; e l'altra ſi è, che al preſente egli in un caſamento già
fabbricato abita , e dimora : al quale in , acto egli fignoreggia . Ha cgli due
miniſtri generaliſciò for no l'Archeo vitale, e l'Archeo animale ; e oltre a
coſtoro di diverfi altri particolari miniſtri egli è fornito , quali ſono ſenza
dubbio gli Archei del fegato , de’polmoni, del ven tricolo , della matrice , e
d'altre parti del corpo a qualche uficio dalla natura dell'animal ſorteggiate .
L'Archeo vi tale , licoine il ſole è di tutto ciò, che la terra produce prin
çipal cagione , così eglią tutte parti del corpo l'effetto iq Mmm 2 flui 460
Ragionamento Sejto fluiſce , comechè da le ſolo niuna coſa egli ſpecificar
polfa. L'Archeo animale agli ſpiriti animali tutti è ſopraftante , i quali nel
ſucco nutritivo abitano , e dimorano. E dalla perturbazione , e rimeſcolamento
di coteſti Archei vuole egli , chele malattie tutte ne avvengano . Ma egli
ſarebbe un logorar vanamente le parole , ſe fil filo annoverarc Io vorrei i
diviſamenti tutti del Gliffonio intorno agli Archei . Dirò ſolamente apparer
manifeſto , ch'egli in luogo di ſpiegar , ſicome egli intende, la natura degli
Archei, il che traſandato a ſtudio venne dall’Elmon te , vie più oſcura , e
inviluppata la rende . E doveva pure cgli avviſare , che di quelle cofe , che
nonci ſono , ne eſſer poſſono , quantomaggiormente ſe ne favella , tanto men ſe
i nedice ;ne ſi può ſenza maraviglia conſiderare, come uns sì ſottile, e
avveduto notomiſta, qualſenza fallo ſi è il Glif ſonio , eſſendoſi ſottilmente
argomentato d'inveſtigar con fua fatica anche le più merome bazzecole da altri
poco curate , foffe poi sì vocolo , e traſcurato in ciò , che folle mente
ammannare aveſſe potuto cotante ciuffole,e giunte rie , non meno a' ſentimenti,
che alla ragion lontane. Ma non tanto del Gliffonio , quanto di tutti quali i
va Ient huominiun tal fallo ſi è ſtato ; i qualiper aver più mi nutamente le
maraviglioſe operazioni della naturaavviſa tc , diffidando per for manchezza
d'inveſtirne le cagioni corporali, e far che da quelle tutte dipender poteffero
,fi rifuggirono a sì fatte fraîche , e ne compoſero cagioni fia tc , e
favoloſe, onde natura . Diſdegnofa fen 'duole, e fene'ricbiama. Maſopra tutti
in ciò è certamente da biaſimare il fallo del Gliffonio ; il qual
manifeſtamente affermando , fe cfſer pago , e contento a ' principj chimici , e
a que primicorpi , che coloro chiamano componenti , avvegnachè egli con felli
poterſi più olere coll'intendimento procedere traſcor : se egli poi
ſconciamente a favolar degli Archei , e sicon fondere , e invituppar la fua
filoſofia con arzigogoli, non men vani , e ridevoli di quelli de'folleggianti
peripatetici Ma DelSig.Lionardo di Capoa 401 Ma che è ciò , ch'egli dice
de’pori di noitra buccia,negan do affatto quegli eſſerci mai ? c pur dice egli,
che perquel la ſottiliſſimeloftanze fuor del noſtro corpo continuo tra pelino .
La qual coſa nel vero cotanto ridevole fiè, quan to le pruove ancora ridevoli
ſi ſono , leqnali egli ſciocca mente a ciò raffermar va cogliendo . Ma chi non
iſmaſcel berebbe delle riſa in avviſare i forciliſfimi argomenti , co' quali ſi
ſtudia , e s’affatica il Voffio giovane di fare in ciò le fue parti ? Tralaſcio
a bello ſtudio , comeche aſſai vi ſarebbe da di re , ciò che egliintorno alle
maniere di ſeparar le parti de corpimiſti ragiona · Solamente accennerò quanto
egli di que’ſcioglimenti diviſa , i quali , ficome egli dice, avvengo no per
congregationem , vel attractionem magneticam , fi ve fimilarem . E in prima va
egli rapportando quelcomun proverbio: che'l ſomigliáte del ſuo fomigliante
goduzquint di egli loggiugne , che ſicome gli animali dilettanli oltre modo di
quelli della tor generazionc, così anche eſſer ra gionevole ad argomentardelle
coſe, che nonabbiano ani ma; imperciocchè ciafcuna coſa del mondo per narurat
tz Jento la confervazion di se difidera,la quale da’ſomiglianti avviene : e
fugge il ſuo diſtruggimento', il quale per li ſuoi contrarj le incontra .
Finalmente cglicoichiude: ex dictis conftat , quod per attractionem fimilarem ,
five magneticam intelligam.nempe alle &tationem , five incitamentum , quo
cora pus naturale ad aliud fui fimile fertur. Ma qual coſa in buona fe più
ſciocca, e ridevole può per travolto , e ſcempiatocervello immaginarfi
giammaisquí to queſta del Gliffonio , il quale a cutte inſenſate foſtanze il
conofcimento , e'l poterf a fua balìa muovere actribui ſce ? certamente fe di
baona ragione voleva egli filoſofare, dovea pure avvifare ,che le cofe , che
ſtanchete , e fenzów movimento , ſe già non fono animate, tali ſempre fe ne
ſtao no , infin che per urto da altricorpi tocche, e fofpinte di fuo luogo non
partano .Eſe non piace pure al Gliſſonio ciò , che naturalmente filoſofando
ragionan que' valent' huomini , de qualiegli l'opinion rapporsa incorno all'an
dar 402 Ragionamento Sefto 1 ! 1 1 i 1 dar del ferro alla calamita , doyea ben
egli alcra più ragio nevol inaniera inveſtigare , onde ciò ayviene . Ma direbbő
per avventura coloro iquali follemente avviſa il Gliſſonio aver con ſue ragioni
abbattuti, infra l'altre coſe eller nella calamita una tale ordinanza di pori
dirittamente dall'aſſe , il qual dicon magnetico , del quale eſcan continuo
fuora particelle ſottiliſſime , e ſpiritali aſſai: e che ſian nel ferro i pori
pieni di particellemagnetiche travoltę infra loro , inviluppate per maniera,
che entrandovi le ſottiligime para ticelle fpiritali , che efcon fuora della
calamita , faccian , l'uficio della formentazione riſvegliando in quelle il
movi mento ; le quali poi movendo verſo il polo magnetico, dis rizzino , ci
fianchidel ferro forte percuotano : e sì quello co’loro colpi innanzi {pingano
; ma nella calamita -ancora farſi un cotal rimeſcolamento di particelle ſpiritali
, le qua. li urtano in eſſa , e ancor la ſpingono intanto , chevicende volmente
incontro moyendo dagl' innumerabili corpice ciuoli d'entro ſoſpinti, corrano a
cozzarſi. Ne ciò deves punto recár maraviglia , che la calamita ancorada ſua
parte fi muoya , comeche più tarda, e lenta i perciocchè ſe nel acqua il ferro
, e la calamita ſi pongano,da qualche legno o altrá ſomigliante leggiera
ſoſtanza ſoſtenuti , intanto che ſopránocanti poſſano andarea gall.2 , ſcorgefi
toſto il ferro notar verſo la calamita , e la calamita d'altra parte verſo il
ferro . E ſe ciò pure non ſoddisfaceſſe al Gliſſonio a voler cotanta maraviglia
ſpiegare , dovrebbeegli in alera, e altra maniera-la cagione di quella
inveſtigare. Maad altro fac cendo paſſaggio, èegli ſommamente damaravigliar
della troppo ſcimunita ſchiettezza del Gliſſonio ; perciocchè có tro i
propjſentimenti talvolta alle comuni opinioni del vul. go laiciali ſcioccamente
traportare : ficome,per tacer d'al tro, manifeſto avviſaſi in ciò che egli
de'quattro volgari umori va ragionando; cioè;che con util grande della media
cina un tal diviſamento rinvenuto foſſe : e che ragionevol mente damedici
feguir debbafi , ficome loro molto pro fittevole , e acconcio a dover porre in
opera le purgagioni, e altre ſorte di votamenti ; eche Galien d'altri
diviſamengi degli DelSig. Lionardodi Capoa 403 1 degli umori infrămetterſi non
volle , ficome poco utili alla medicina. Madi ciò egli toſto pētuto dice
eſſervi un quin to umore, cioè a dire il ſucco nutricāte , il qual giudica egli
effer soinmamente a ſaperſi neceſſario ,no che utile a chibe neje lodevolmente
apparar voglia la medicina; e pure il fuo Galien di quello nulla ragiona, ne
moftra certamente pun to ſaperſene. Ne è vero ciò, che egli millanta di
Galieno, eſſer quello non poco commendevole per avere cotal divi ſamento da
primaritrovato ; concioſliecoſachè poſto che loda pur nedoveſſe all'inventor
ſeguire , certiſſima cofa . ſia , che la dottrina de’quattro umori molte
centinaja d'an ni, anzi che Galien naſceſſe divulgata già foſſe nelle ſcuo le
della medicina . Ma ſe il Gliſſonio intéder vuole di que. gli uinori, che in
varie , e varie parti del corpo fan dimora, non mica già quattro , ne cinque,
ma molti, e molti egli no ſono, de' quali alcuno non ſi è forſe ancora ſcoverto
. Nelle vene, e nelle arterie poi non trovarſi queſti quattro umori, ſi è
moſtro già ; ed i più ſcorti,e celebri fra'Galienia ftimedeſimil'han conoſciuto
. Vn divifamento poi quaľ è quel di Galieno dietro agli umori, che non ſi da
niuna cu . ra d'inveſtigar la natura delle coſe , non ſolamente utile niuno ,
ma danno graviſſimo alla medicina ha recato Maquanto al medicare , comechè
ſcorto molto , eave veduto egli ſi moſtri il Gliffonio in conſiderando una
fiata , che'l trar fangue nella Rachitide niun giovaméto rechi allo
infermo;nonperò di meno non ardiſce eglia riprovare una sì biaſimcvolcoſtuma
dagl'Impirici in Inghilterra , ficome cgli afferma , introdotta . Non propone
egli medicamen to , che volgar non ſia; ne contento d'un ſol medicamento ,
molti e molti inutilmente nemeſcola inſieme non men che gli altri medicanti ſi
facciano ;e in ciò ,per cacer d'altro, da egli manifeſtamente a divedere quanto
mal fornito'lia d'efficaci, e valevoli medicine . E ciò baſti avere al preſen
té del ſiſtema del Gliffonio accennato ; il qual per altro è certamente non
poco da commendare ; maſſimamente per la ſomma, e maraviglioſa diligenza , e
ſollecitudine da lui pſara nelle coſe dellanoromine Ma 464 Ragionamento Sefto
Ma di troppo lungo tempo abbilognerei , fe lo voleli eſaminare i fiſtemi cutti
dellamedicina dell'Ogelande, del Regio, del Moebbio , del Carlettone,
delBartoli , e d'altri ſcrittori . A baſtanza potrà ciaſcuno in leggêdo le loro
ope re da ſe fteſſo accorgerſi, che il più di loro poveri d'intendi mento , e
ſcarſi di partito per quanto facica vi duraſſero ,ra de fiate han potuto dar
paſſo ſenza la ſcorta d'altri ſetteg gianti,l'opinioni de'quali tutto cheda
loroſtravolte,abbia mo noi a ſufficienza conſiderate ,e riandate ; e altri di
loro , fra'quali il Tacchenio ,il Travagino,il Sualve,ilFlúdize'l Fo lio fon
così groſſi , e materiali ne'loro diviſamenti, che non fa huopo ,che ſe ne
abbia a far menzione alcuna particola re : Adunque chiaramente conoſccſi, che
da que primi tempi, che ebbecominciamento la razional medicina lino a giorni
noſtri,per quanta induſtria, e diligenza , che da'fi lolofanti antichi ,
emoderni vi ſi fia adoperata , e per qua te coſe per la morta , e per la vital
notomia liaoſi nelle ani. mali , nelle minerali, e nelle vegetali ſoſtanze
novellamen te ſcoverte , e per quantepruove , e ſperienze da'ſaggi, u avveduti
medicanti in sì lungo proceſſo dicempo nelle cus te delle malattic fieno
adoperace , non ſe n'è potuto giam mai rierar nulla di ſaldo a ſtabilir per
cercano conoſcimer to, e per vera ragione dottrina niuna . Ma non dee ciò re
car maraviglia a cui tanto , o quanto alle ragioni pongas mente ; per le quali
, s’Io pur non vado errato,apercamen-, te conoſceſi quanto ad huom’malagevole ,
anzi impoffibile affatto riefca lo ftabilir luftema alcuno di razionalmedicin
na; e ſe pure dalle preterite.coſe giudicar delli di quelle , che debbono
avvenire, per tanti,e canti, che infelicemente, vi ſon naufragaci non mai ſi
vedrà capitarne a ſalvamento ſeggettante alcuno; e ficome... Chi folca il lido
perde l'opra , e'l tempo, così avverrà certamente a ciaſcun' altro , che
tenterà una ſimile impreſa 3 ne potrafli così nel filolofare in medicina ,
comenell'adoperarla prometter ficuramente d'aggiugnere a ſaper la natura
de'mali,e come, e perchè ne noftri corpi s'ingenerino, e come riparar vi ſi
polia . Anzi, o infeliciflia condizione di noi mortali ! nel continuo ſu
buglio, DelSig.Lionardo di Capoa. 405 buglio , e rimeſcolamento
dellamedicinaper fatica , e di ligenza , che adoperata viſia , chi mai fin'ora
avviſare ha potuto , che coſa ſia un piccioliſſimo catarro , che ne mo- .
leſti? e . venne queſta veritàmolti, e molti ſecoli avanti co noſciuta per
tacerdi Pitagora)da Empedocle ,da Acrone,da altri antichi filoſofáci:e da
Platone, il quale della incertezza della medicina favellado ebbe a dire ήν δε
καλούσε μενΙατζικής βοήθεια δε πε και αύτη χεδόν όσον ώρεψύχα καύμαπ ακαϊρα ,
και πάση τοίς τοιούτοις ληίζονταιτην των ζώον φύσιν , ευδοκιμον δε ουδέν τούτων
είς αφίαντην αληθειάτην άμεσα γαρδόξοις φφάται τοπιζόμα. Venne
altresìconoſciutaqueſta verità, oltre a Seſto Empirico , da Cornelio Celſo
:allorche diſſe della medicina favellando : eft enim bęc ars conjecturalis ,neq
;ei refpondent,non folum có . jecture ſed nec etiã experientię per ; nulla
diredel Cardi- : nal Cuſano, e d'aleri moderni. E a ciò ſenza fallo riguar dádo
i più ſaggi, e ſcienziati popoli della Grecia, quali ve ramente fur gli
Acenieſi: allor che maggiormente in Aten ne fioriva la filoſofia , e le buone
letterc , traſcurarono la medicina , no facendone niun capitale , come ſi può
vede re nel Pluto d'Ariſtofane Ούκούν ιατρον εισαγωγών έχρήν τινο Tis dñi
iarsós ész vũv šv tñ wóriet ; .. Ούπ γας ο μιθος ουδέν έσ' , ούθ ' η τέχνη . .
E dietro agli Atenieſi anche iRomani; i quali avveduti, c ſagaci in yotar dalla
Grecia il copioſo teſoro di tutte le buone arti , e ſcienze, la medicina
ſolamente d'imprender non curarono ; anzi dice Plinio : Populus Romanus neque
46- ; cipiendis artibus lentus : medicinæ etiam amicus: donec ex pertam
damnavit ; e dagli Eccleſiaſtici ſcrittori vien anco l'uſo di sì fatto meſtiere
ſommamente abborrito , e danna to; infra'quali il Balſamone Patriarca
d'Antiochia così dela; le manchevolezze di quello avveduto, ne manifeſta:
avve-, gnachè la medicina pur quella veramente fia, che produces © riſerba la
ſalute ſecondo lo intendimento de laggi: non dimeno non può ella al ſuo fine
aggiugnere; ed Arnobio;, Medici curătanimal humi natū , ut confisú fcientia
veritate; fed in arte ſuſpicabilipofitum , conjecturarum eſtimationi bus nutans
; e'l medelimo ne ſcrive llidoro Pcluſiost : clo Nnn niin 1 406 Ragionamento
Sesto migliantemente con molra vaghezza Stefano Veſcovo di Tornaja :
Hippocratisin ebo Galeni diſcipulos , ut mihi confu lant conſulo : incerta
famper ab iis oracula deportans, qui in vafevitreo coloris, & fubftantiæ
peccata diſcernunt . Perchè 9. Chieſa , come l'apportaro Patriarca Balfamone ne
nar ra,Puro, e'l meſtiet del medicare a fuoi Cherici interdiſſe : adunque ,
egli dice , non è certamente ragionevole , che il Sacerdote , oʻI Diacono , o
altro qualunque Cherico tra fcurando un minifterio irrepréfibile, che già
impreſe y oraw s'impieghi ad er meſtice mutevole, edubbioſo , e alfai fo vente
fallace . E S. Bernardo volle, chei fuoi MonacidiS. Naftagia nelle loro
malattie non fi ſerviſler: punto de' me dici ; al che riguardando per avventura
Franceſco Petrarca huom di ſaldo, e intero giudicio,ſcrivédo a un ſuo amicogli
diede queſto ſalutevol conſiglio : Nulla eft rectior ad falute via ,quă medico
caruifje . E certamente, molto ben per mio avviſo venne conoſciuto al Petrarca
,quel che dopo lui avvi sò l'avvedutiſſimo Franceſco Berni , 2.4 . La medicina
como fue erbe , e coſe diri Che fa ? caccia carote a tutti mali ..'.... Infin
che l'huom perſempre fa ripoſe. Queſtofece ella al figlio d'un gran Rede noftri
tempi ; il qualeavvedutofi de vaneggiamentidella medicina , alla fine fece boto
scomedarra Giorgio Orni : Si Deus aliam prolem largiatur , nullo se
ampliusmedico ufurum . E per ciò oltremodo fu ſaggio l'avvifo diquel profodo cd
ampio pelago d'ogni più rara , ed antica doctrina Giuſeppe della Scála, il
quale ricusò ,come narra Daniele Einlio ,ognicoſi glio de'medicāti nell'ultima
fua inferinità ; ptaceredi quel gran filoſofante Franceſe; il qualecoll'altezza
del ſuo inté. dimentoporè montar ſu la vetta del più belſapere; Io di co Michel
diMontagna , che nelle ſue infermità rifiutò sê premai l'operade’medicanti :
defichepoſcia valevoliflime's ragioni e' ci reca ne'ſuoibelliſſimi volumi.
Neparmi qui da dovere trapaſſar lottó filenzio quel convenente di Do menico
Sala , celebre lector di medicina nella famofiffima ſcuola di Padová ; il quale
canto non potè tenerli, che alla fine , un giorno non apriffe a' fuoi fcolári
quel che e' del la Del Sig.LionardadiCapoa. 467 la medicina ſentiva , inqueſta
difinizione: Medicina ef ars * illudendimundum , &à qua totus mundusdelufus
eft. La qual definizione porſe cagione a Rafael Carrara di chiarir, ſi affatto
della vanità d'effa , di tralaſciarne l'eſercizio , e di cantare in quel ſuo
giocoſo ſonetto Ben diſe quel grand'huom lettor primero Nela Città d'Antenore
fondata , La medicina deve eſſer chiamaja Arte da mincbionar il mondo intero.
Ma chealtrondegir richiedendoteſtimonianze di colo ro , che a faccia ſcoverta
abbia la medicina guarata . Non folea Mario Zuccaro (a ciaſcun di noi ben
conoſciuto ) no ſolea , dico , ſovente dire a' ſuoi ſcolari : miferi , ed infer
lici noi , félmondo arrivale a faper maile,debolezze nofire , che ne meno ne
poffiam promettere colla noſtra médicina d'a yere a guarir un picciolo
carbõcello,certamēte chene cõverreh be apparar altro meſtiere ? E quinciè
avvenuto poi,c'huomi ni d'acuto intédiméto , e di ſano giudicio, e di profondo
fą. pere , e di nobil'animo forniti ,pulla abbian curato d’eſer citarla; infra
i quali per tacer.canţi antichi diligenti inve ſtigatoridelle coſe , ſavj
interpetri della natura , ed altri huomini inſigni dc'tempi noftri , lol faro
menzione del no ſtro Col’Antonio Stigliola , riſtoratore della Pitagorica
filoſofia : e di Gio; Alfonſo Borrelli chiaro , ed eccellente in ogni ſcienza .
Anzi quinciè egli avvenuto , che i medeſimi razionali medici,i quali moſtrano
che più diciaſcun'altro tengono a gran capitale la mcdicina , l'abbjan , nel
maggior hyopo mcNain son çalere . Intorno allaqual coſa miricorda d'un medico
infra’più venerandi di queſta noftra Città,ch'eſſen do non ha guari dell'ultimo
ſuo male infermato, e vani veg gédo riųſcire,e ſenza pro gli argométituttidella
ſua medi cina , diſperato alla fine miſeſi in mano d'un famoſo fpe -ziale ; ed
eſſendoſicolui una volta rimaſodi viſitarlo, egli impaziente entro una carrozza
fattoſi, un picciolo in atc raſſo allogare , comepotè il , inen male ; alla
bottega delo ſpeziale andollene a richiamarſi agram ente della graſcura tezza
dilui; cd avendogli par iſcurarſi colui detto : A voi Nnni 2 1012 468
Ragionamento Sefto 4 non fa meſtieri la mia opera , imperocchè quando vi foffe
in grado porreſte avereil Sig. tale ( così un principaliffimo medico
nominandogli, e di'lui amiciſimo) allora tutto crucciato l'infermo ripigliollo
dicendo, io vo'da voi ſola mente effer medicato; e ſareiben folle , ſe volelli
mettere in balia delle ciarle di lui la cura di mia ſalute . E dalla medelima
incertezza della medicina avvien,che P lo più i medici, ſe'l vero
avviſanomolti,e graviſſimi autori Sien così ingorda , e sì crudelcanaglia ;
poichè non potêdo mercè della lor opera promettere alcu na coſa dicerto ,
abbiſogna loro , che alle giunterie , e alle frodi abbian ricorſo peraccattar
lode,ed eſtimazione. Ne fon elleno mica nuove le loro aſtuzie : ma fino a'tempi
di Galieno , per tacer de’più antichi , eran ſommamente in vi gore.E cui non è
noto quel celebre diviſamento di Galicno, tolto per la più parte da Ippocrate,
ov'egli mette nella via chi che ſi voglia , acciocchè buon medico divenga: in
que. fta guiſa ? In primad'ogni altra cofa è da diviſar delle viſi tazioni de'
medici ; perciocchè alcuniinfermi rade , e altri ſpeſſe volte deſiderano eſſer
viſitati.Non dec egli il medico ove il malato riposādo dimora étrar facédo
romore co'pie di , ſicome fanno alcuni; o alzando di ſoverchio la voce :
acciocchè ſvegliato colui non abbia a lagnarli , che gli ſia rotto in teſta il
ſonno . Ma i ragionamenti de'medici in al cuni ſono ſciocchi , e ſenza ſenno ,
ſicome per rapporto di Bacchio, d'un cotal Callinatte racconta Zeuſi: il quale
ef fendo da un infermo domandato ,' ſe di ſua malattia morir doveffe , rifpofe
con quelle parole , ει μή σε λητωκαλλίταις γά yato , e ad un altro infermo
ſomigliantemente riſpoſe: Κατθανε και ΠάτροκλG- όπερ στο πολών αμάνων. Morio
Patroclo ancor di tepiù degno. Oltre a queſto dee effer il medico affettatuzzo
della per ſona , e grazioſo in entrando , e in ſedendoſi , acciocchè nó gli
ſiano fatte le ſcherne ; ma non cotanto tronfio , e traco tato , ina mezzanamente
grave , ſe non ſe per avventura amaffe meglio l'infermo vederlo alquanto
modeſto , e umi le , o di ſoverchio altazzoſo . E ſomigliante dobbiam noi dire
de’veſtimenti del medico , i quali ancoramezzanamé te deb 7 Del Sig.Lionardodi
Capaa: 469 te debbono eſſer foggiati, ne cotanto ricchi, e nobili, che troppo
tracorato il dimoftrino : ne cotanto ofcuri , eruſti cani, che il facciano poco
a capital tenere dove egli ufaw ; ſe non ſe ancora agli infermi, otroppo ornati
otroppo vie li piaceffero . Così anchela tonditura de'capelli eſfer dee a grado
degliinferini, i quali egli medica ; perciocchè ins corte d'Antonino padredi
Commodo,ciaſcun famiglio per imitar la coſtuma dello Imperadore , fino alla
cuticagnato , devafi ; perchè Lucio chiamavagli tutti Mimi; e per con trario i
famigli di Lucio lūghe,e belle chiome nudrivano. I medici ancora aver debbono
l'unghie nette , e ben forbice; e fe per avventura putiffe loro il fiato , o le
dicella , o tutta la perſona,a modo di becco , fpiacevole odore gittaſſe , fi
debbon eglino d'odoriferi unguenti , od’acque nanfe for nire , prima che ad
altri medicar fi preparino . Ma purvoleſſe Iddio , che queſti, e non altri
foſſero i lo ro artificj; eglino di vantaggio ricorrono alle frodi, alle in
vidie , alle maladizionije ed altre illecite ſtrade, acciocchè fopra gli altri
avanzarfi poffano , e maggiormentein pre gio , e ſtima ſorinontare . Così
vedeli , che un medicobia fima ; e danna i medicamenti dell'altro ; tutto che
que'me deſimi ſiano , ch'egli appunto diviſati n'avrebbe , s’a lui foffe
toccata in prima la volta. Al quale , ed anche pega gior misfatto non
vergognoſli Aſclepiade di confortare i fuoi ſcolari , fe vogliam dar fede a
Celio Aureliano che'l rapportascosìdilui dicendo . Primo etenim invidiosè jubet
fi qua ante ipſum medicus adhibuit , repudianda . At fi non adbibuerit
,tuncprobanda , tanquamlegitimaputans ut hæc aliis adhibentibus noceant,
ipfomedeantur . Earrab, biato ſeguace & Afclepiade moſtrolli il famoſo
Gabriel Zerbi , allor , cheſcriffe : Medicus aliorum remedia ne lave det
,utſupra vulgaresfapere videatur ; e l'aſtioſo Teſſalo fpinſe l'Imperador
Nerone a diſpregiar tutt'altri : rabies quadă ,comenarra Plinio, in omnisævi
medicos perorans . E d'un tal medico ne narra il giuriſconſulto Alfeno :
medicus libertus , quod pataret , fi libertiſui medicinam nonfacerevt, multo
plures imperansesſibi habiturum , poftulabat , ut feques rentur 470.
Ragionamento Sefto rentur fet ; netie opus facereni , Ed'un altro medico narra
Calliodoro , che delbarbaro Tiranno Teodorico un sì fat, to privilegio
iinpetraffe : inter faburis magiftros folusbabea, ris eximius : &
omnesjudicio quo cedant , qui fe ambitiones maruzcontentionis.excruciant; eſto
arbiterartis egregie ,e04 rumquediſtingue confli& us , quos judicare
folusfolebat affe Etus. Or li potea penſarmai ſcimunitaggine maggiore di queſto
maeſtro Scimmione? Egli aveva a ſedere a ſcrannaa giudicar le più intratriate
quiftionidella natura, come ſe la medicina forſe arte da mattonar le ſtrade, a
da far bambuc cj ; o comeſemonna Natura ſtata foſſe una maſſaja fante, ſcá,
preſta a ſeguire icomandamenti del Sere . Ne è da die favolofa affatto la
novella di que’medici , che per uggia ze mal talento guaſtarono , e atterrarono
diſpetroſamente ; bagni di Pozzuoli ; e di que'ribaldi ancora , che il mede
fimo ferono alle pregiatiſime acque medicinali della valle d'Anfánto , di cui
ancor vive la famaappreſo que delpae ſe Irpino . Perchè ragionevolmente forte
l'avvedutiſfuno Pietro d'Aponamorde, e sfregia il medico , chiamandolo talora :
Invidie pelagus, derrationis organum , ambitionis perforatam clepſydram ;aliena
veritatis contradictorem gar . rulum , propriæ ignorantia conftantiffimum
defenforem , & inexcufabilem ægrorü neglecturē:c ancor faggiamente avvila
il Magati colà ove fi lagna, che'l ſuo govello modo dime dicare non avrebbe
trovato gran fatto ricevitori: da che no- sébrava di molto pro.aʼmedici,i
qualimzi ſempre fono alla propia utilicà,e al vil guadagno
intefi;foggiugnédocgli: denociniis, atque affentationibus , ut potentium gratia
uti ad queftum poffint, facram medicinam fædare,c libiitfis æter nas infamiæ
notasinurere nihili faciunt . E Giulio Celules della Scala nella fua poetica ,
de’medici parlando : turban, dice, videmus à primis literarü rudimentis
continuo ſe ipſam eo fenomine venditantem , invidam , maledicam ; cbtrecta
tricem ; novam ſpeciem cynicorum yavaram , temulentamus Supinam , ignavam
fimul,asq ; ignaram . E GirolamoCar dano di finiſſimo giudicio ; e più che
altri del meſtier della "incdicina intcndcnte , vuol ; che da eſa
neceflarianente 5 avve Del Sig. Lionardo di Capoa 471 avvegna ,che
taliticnoquei, chefeſercitaiio : medicina ! facit , ſono le ſue parole
,nonreruin memoris , fed verborü :1 callidos y verſatiles ingenio ;inuidos
avaros ; idolofos , las boriofos , non ingeniofos , de minime graves s opus
enim coni rúm , d exercitatio minusquam liberalis eft : e altrove pa rimente de
medici avea detto: funt autem improbi fermèi omnes noftra ætate , adeò ut nihil
pejus excogitari poffit . Perchè gli ftrolaghiallogando la medicina
conſervatrices ſotto labalia del Toro , e di Venere , onde huom fi consi dace,
per quel che eſſi dicono,ad ogni force d'impudicizitz e di diſonore : c la
medicina curativa ſotto quella diMarte, edello Scorpione, fer gran fenno a
dovere sì fatti fregj in veſtire, come ne diviſa il mentóvato Conciliatore ; il
qua-> le ſoggiúgne , chedalle ſtelle medefime , onde venir ſuole
l'eccellenza de’medici nel for meſtiere, vēga anche loro la malvagità
de'coſtumi; perchè finalmente ei conchiude,um", eccellente , e perfetto
médico nonpoter eſfere ſe non fer fcellerato huomo , e malvagio ; ed avvegáachè
vani, efol li fien ſempremai da giudicare i cicaleccj.delfa ftrologia : è
nondimenodacredere , chegl’intendenti dell'arte,ciò cut to a bella poſta
fingeffero per adattár le coſtellazioni a quelle coſe , chetuttogiorno nel
meſtier della medicina', e ne’profeſſori diquella s'offervano's Má chi mai
ilmaltalento , e l'uggia demedicinarrar ba ftantemente potrebbe, e come
ſtizzoſamente l'un l'altro tutt'ora ſi carminano , efimalmenano . Egli è coſa
pur manifeſti a ciaſcuno l'avere gli aſtioſi medicidi Danimarca tracollato
dalla grazia del loro Rè it benigniffimo ,e inge gnofifſimo Ticone della
perduta ftronomia famoſiſſimo ri. ſtoratore , intanto , chegliene fư tolta l'Iſola
, e la Rocca d'Vraniburgo , di cui egli era Signore : e sité tanto mara
vigliofe operazioni', é ordignidella ſtronómia , ele nobi lißime chimiche
fucine rovinarono , che appená oggi,non ſenza lagrime, fe neriſerba la memoria
: E l'ombra foldi si gran corpo appare. Ma ſcelleraggine così grande di tradir
nemichevolmente la patria , ſpogliandola di quello fplendentiffimo lume , non
pur 1 472 Ragionamento Seſto $ . pur delSettentrione,madel mondo tutto , onde
foſſe sõi moſſa a commetterla la cagneſcatabbia di que'ribaldi me dici, da
cheIo non potrei ſenza lagrime narrarlo , dicalo in mia vece Pier Gaſſendi :
Erant in his medici quidam , qui videntes non modo exDania , fed ex regionibus
etiam cete ris maximam egrorum turbam ad Tychonem confugere, cu Spagyrica illiusremedia
, quę quibuslibet gratis largiebatur expertifeliciter , ac morborumetiam valgo
habitorum infa nabilium levamen fentire , livore inſigni cxardefcebant, cu
quapotenant apud quoslibet,procereſquepotisſimum , quibus preftabant operam
,ipfius nomen traducebant, E o quanti ale tri eſempli della coſtoro invidia
rapportar potrei, ſe non che troppo ne ſarei per andare alla lunga. Apollo
crudca liſſimamente ucciſe il celebre medicante , e , pocta Lino , la qui
inorte pianſero eziandio le genti barbare ; per lo che gli Egizi una flebile
canzone ſopra tal convenente com poſero , appellato in lor lingua Emaneco , ci
Greci Lino, la chiamarono . Ippocrate , comeſcrive Andrea antichiſe funo medico
, inſidioſamente brụciò la nobile, e ricchiffima Libreria diGnido ; e quindi
egli poi per tcina fuggiſli . A Quinto , medico famofiffimo , dice Galicno , fu
meſtieri gombcrar Roma di prelente, per ceſſarele ribalderic d'al tri medici .
E in Roina pure attoſſicato da’rivali luentura.. tamente moriffi un grandisſimo
medico , come narra Gin lieno , ilquale anco di ſe narra , che egli fieramente
perſe guitato yenne da parteggiantimedici di quel tempo. E per nulla dir quì
delle occulte inſidie , c machinazioni, e delle trappole , e frodi ordinate
dagli Arabi medicanti inverſo Avicenna , Avanzavarre , e Raſi : quai vili
trattamenti nó fi ferono poi a Raimodo Lullio, ad Arnoldo da Villanova , a Pier
d'Abbano , c ad altri molti letterati di vaglia, perli maligni medici di que'
tempi? il dicano pure le fughe, gli elilj, le prigionie ; per tacer delle
ſatire, dell'invettive del le falſità , delle tradigioni, onde que’valent
huomini có punti oltremodo , e travagliati ne vennero; imperocchè di sì fatto
memorie per la tralcutaggine degli ſcrittori di que tempi De Del Sig
.Lionardodi Capod. 473 1 Debil aura di fama appena giugne. E laſciando da parte
ftare, come coſa dinon tanto rilie ? vo , quanto i limiti dell'oneſtade oltre
paſſafle in favellan do, é in iſcrivendo Maeſtro Gio : della Penna , ( chea 'di
ſuoi con aura di grido popolare in queſta noſtra Città eſer citar fi vide la
medicina , contro Maeſtro Frāceſco Zannel li; egli è ben certo , che più d'un
buonno ſcienziato , e il. luſtre trafſe già a fondo l'ardente , e peftifera
invidia di Maeſtro Dino dal Garbo medico Fiorentino . Ma quandº altri , e
quanti nobili e illuſtri medici, oltre al Veſalio a mal partito menòla
velenoſarabbia, e le cupide ambizioſe voglie di meſſer Giacomo Silvio !
collacui eſtrema aya rizia ſcherzando quelgran Poeta Scozzeſe finſe , che ſcola
piti foſſero nella lapida della ſua ſepoltura i ſeguenti verke Sylvius bic
fitus eft , gratis,qui nil dedis unquam , Mortuus , & gratis quod legis
ifta,doles. Ma quali onteper Dio, o quali ingiurienon ſoftenner que!
virtuoſi,che con eſfolui cócorrevano alla cura degl'infermi, dallamaladizione ,
e dall'altezzola , e sfrenata tracotanza delGalieniſta ineffer Frăceſco
Rabalefio così reoze malva gio huomo,che d'accordo col Marotto motteggevol
Poeta egliosò di gittar le prime födaméta dell'ercſia nella Frácia ? e da
Michel Servetto , la cuiempietà era inteſa a rinovellar gli errori di Paolo da
Samoſata , e di Marcello Ancirano : e dall'empia , e ſopraſtante arroganza di
Giorgio Biandra ti , e di Franceſco Stancato pur esli Galieniſti;per opera di
cui ribellando ſi fottraffe alla cattolica fede il giovanetto Principe Giovanni
Sepuſio , e quindi ſen ? vennead infeſtar dell'Arianeſimo colla più parte
dell'Ongaria la nobilisſima Proviácia tutta della Tranſilvania . E che non fe
contro i poverimediciſuoi emoli la barbara fierezza di Giacomo da Carpi; il
quale rinovando la lagrimevol carnificina d'E raſiſtrato , e d'Erofilo ,osò ,
come narra Paolo Giovio, far notomia , non già d'un reo alla morte condennato ,
come i già detti due Greci facevano , ma vie più ſpietatamente d'un innocente
infermo alla ſua cura commeſſo . E per far omai paſſaggio a coſe più note , e
men forſe moleſte : che Ooo non + 474 Ragionamento Sejto non oſarono , che non
imprefero , che non machinarono a danni del Paracelſo i Galieniſti medici della
Germania ? Necertamente è da credere il Paracelſo averſi lui ſteſſo tal briga
adoſſo recata perricredere , e rintuzzare il lor rives ritisſimo Ser Galieno :
conciosficcoſächè così fieramentes ancora eglino perſeguitarono , e malmenarono
Lionardo Fuſio , Giovan Cratone , e Andrea Mattioli ; il quale con meche
Italiano , e di patria. Sanefe, con eſfo foro dimora. va; e altri' , e
altrimedici,purGalieniftige della formede , fima banda parzionali; e fomigliáte
ferono i Galieniſti me dici Italiani a Gio: Battiſta Montano, a Girolamo
Fracaſto . ro , ea Matteo Curzio , comechè queſti tutti afpada tratta la
dottrina di Galieno difendeffero : e nel medeſimotempo eglino unitamente contro
Giovanni Argenterio diGalien nimicocongiurarono . Nedi coralrabbia innocenti ſi
ſer barono quegli altri pur Italianimedici ,che ſtizzoſamente &
'avventarono contro il dottiſſimo Girolamo Cardano. Ne dágli Italiani altresì,
c daʼFranceſimedici tralaſcioffi quá lunque ſtrada d'oſcurarc , e deſtinguere
quel chiariffimo lume dell'eloquenza e d'ognidottrina incendétifſimo Gilt , lio
Ceſare della Scala ;'eche non tentarono imaeſtridella famoſt ſcuola diMöpelieri
per abbattere il celebraciſſimo Rondelezj, e'l Giuberti, la cuiimpareggiabile ,
e non or dinaria dottrina ſopra tutt'altre ſcuole d'Europa di gran lunga
poggiar gli facea?Ne tono nuove le rabbioſe invidie, el'affrontarebattaglie
d'e’medici di Parigi controil Quer eetano ', il Torqueto , il Baucineto ,
l'Arveto , il Libaviowe tiaſcun'altro Chimico di que'tempi, da noi in
parteancor più addietro accennate . È chinon falacruccioſa invetti va compoſta
in Parigi da Germano Cortin contro i Para eelliſti fornita dicalunnie'ye di
fofiſmi tutti fanciulleſchi , fenza fermezza:niuna didimoſtramento ? Matroppo
lungo ne verreišs’Io diſtintamente narrar vo leffi le travaglie ; e le noje;che
nella Lamagna ,nella Dania , nella Franciada’rabbioſi rivali fofferirono Pier
Severino , Michel Tofſite , Bernardo Perotti , Girardo Dornei,Mar tino
Rolando,, Oſualdo Crollio , ealtri infinitimedici doro tillin Del
Sig.Lionardodi Capod 475 1 tiffimi, e avveduti affai ; i quali ſempre , o nella
fama, a nell'avere, o nella perſonalungamente fur'oltraggiati. E fenza andar
mendicando eſempli di fuora , laſciando das parte ftare le non meritare
perſecuzioni del noſtro Antonio Altomari,abbiam purnoi con gli occhi, o congli
orecchi baſtantemente per addietro compreſo la rabbia de'medici nella noſtra
Città contro il Ferrillo , e lo Schipani, e'l For tunato , e'l Ricci, per tacer
d'altri, e malmenato da rabbio . filime trafitture d'invidia il Macaone delle
noſtre contrade Marc Aurelio Severini ( le cui doctiflime opere in molte ,
varie lingue traportate non mai per tempo diincaricate la ranno) così
egliperaccuſad'invidiofi rivali,ſenza riguardo alcuno averli a'meritidella fua
perſona, fu prima incarcerz to , e poſcia toltoglilo ſpedale ove eglia
cocantiſpacciati infermi già la ſalute maraviglioſamente avea riportata , alla
fine de' ſuoi beni ſpogliato , Ma delle malvagità de'. medici, quali coſe
tralaſcerò lo , o quali ne ridiro ? E pero chè non fo lo côte ad una ad una le
ingiufte uccifioni , che medici innocentiffimi há per altio d'altri medici
miſcrevol mente patito : fra le quali mi rammenta prima di tutt'altre quella
ſpietatiſlimaal celebre Virsūgio data da quell'infa me medico Scozzeſe,nó peraltra
cagione, come ſcrive Giz no Leoniceno , ſe non ſe, per dirlo colle parole di
lui: ob con munem in praxi novatam operam , &à Virſungio non teme re
traduct am tăta in virum honeſtisſimum flagravitinvidia . Ma in paragone di
tutte queſte, lagrimevole oltremodo è la narrazione del gloriogfimo martire,
che ora beato gode nella preſenza di Dio,Pantaleonc : a cui tanto , e si fatta
-mente porè l'invidia de’mcdici , che accuſacolo all' Impe cradore di Roma
Maffimiano , non mai fi: rimaſero , finchè " non videro per man del
manigoldo dal buſto l'onorata te Ita ſpiccarſi. Mache dalla medicina medelma
avvenga, che i medici fian così ,comeabbiam diviſato malvagi,polliam farne più
chiaro argométo ,perciocchè eglino no pur nelle noſtre par ti , dove
parch'abbiſogni più d'un artificio ne'medici: ma anche la dove gli huomini ſon
grosſige materiali, anzi che Ooo 110 , 1 2 477 Ragionamento Sefto no , ufano
altresìi medici malizie; ed inganni per accie ditarſi nelfor meſtiere. E per
tacer d'altre parti: nell'Ia die Orientali , come riferiſce Francefco Silvio ,
Solent muka ti medici ad febrium variarum curationem acus aureas lone gas , ac
tenuisſimas in varias corporis partesintrudere, atq ; ita putant febres
miraculofe curare; e nel Tapui danno a di vedere a' cattivelli infermi, che la
cagion di lor malattie fian certe pietre , o animali , o ſterpi, o coſe fimili
, le qua li e'dicon , che gliele traggon dicorpo a forza di medicine, e
vomitivi ; e in tal guifa fi fanno a credere per grandiflimi bacalari ; e in
tanta reputazione ne montano, che anche i Re loro invidiandofa , voglion effer
diloro ſchiera . Nel ta muova Francia poi , ficome teſtimonia il Padre Brel
fani, i medici danno ad intendere a que’popoli, che tutti i medicamenti
infallibilmente le infermità guariſcano : ed ove no’l facciano dicon'eſfer il
mal ſovranaturale , a cui ſovranatural rimediofaccia meſtiere; e tali
aggiungono ef fere per la più parte le vomitive medicine, e só quei volpo . ni
sì deſtri , checol vomito vi meſcolan di botto , ſenza che altri lor tolga in
fallo , o ciocchetta di capelli, o pietra, o legno, o altro ſimile; il qual
ſenza durar molta fatica per fuadono altrui eſler la malefica fættura , la
quale anche ta tor fan veduta di cavarlz fuori colla pūca d'un coltello , che
tengono infra le dita , o altrove naſcofo ; e ſe poiavviens, che
piggioril'infermo, cglino ſoggiugnendo , che il mal d' un altro Demonio
fifaccia, il rimedio replicano ; e quando finalmente lo infermo fe ne muoja ,
ſi fan loro ſcuſe , con dir , ch'il Demonio ,che l'uccide, è del lor più
potente ; c in cal guiſa quei ghiottoncelli queſte, e millalcre novelluzze da
ridere a quegli imboccano . Or ſe la medicina è tales, che da per fe delle
frodi , e degli ingamni abbiſogna , deb bonſi ſtimare certamente oltremodo
felici que'popoli, che cosi zorîchi, c barbarida noi vengon detti ; .poichè a
loro è conceduto privilegio sì grande di non avere a provar l'o pera dicoſtoro
. Felicisſimi furono adunque i terreni del · la Libia y dell'Arcadia , e
d'altre fimili Regioni , in cui si dannofa gente allignar per alcun tempo non
ſi vide : fe. 1 1 ! + licil Del Sig.LionardodiCapoa 477 licisſimo per fei
ſecoli il Popolo Romano , il cui fenno che pote da debolisſimi iniz; ſollevare
alla ſignoria del mondo la fua Repubblica,faggiaméteper lo detto ſpazio di
tempo vietò affatto l'uſo de'medici. Felicisſima in ciò la gente del contado ,
che il lor conſiglio non curando,della vita allus ga il dubbio corſo ; onde
dieron cagione ad Ercole Bentis voglio di cantare in loro loda Però
ſaggioilvillan , chiam'io ,che quando Égli ba la febbre,che più arde se bolle
Non va cura di medico cercando; Ma nelgran parafiſmo il fiaſco tolle De
l'acqua,.e tanto bee chepoi diviens Diſalubre ſudor fovente molle : Overa
l'ombra de la viti amene Il Settembre o l'Agofto a luva mezzo A fare il corpo
lubrico fen ' viene; E la manna , el Riobarbarodiſprezza, La piumangbiunti , il
ſervizial , la curi , Che tolgon l'appetito , e la fortezza, DifeLafcia
diſporre a la natura : Che ſe dato è diſopra,chetu mora , Non ti guarrà dieta
,o lunga cura. E più avanti E narraci un villan nofiro canutog Ch'altro
nonmangia , cheformaggio,mentre Ha febbre ; emai non hamedico-auuto. E
nonvoglio ( foggiunse egbi) che m'entre Nojofo, e diſpiacevoleGriflero, Neamara
medicina in queſto ventre, Ede la febbre nel'ardor più foera Votai fovente in
vece di ſillopa Di moſto un capacisſimo bicchiero. E forſe ,che farà queſto
qualchenovellar dipocca , o da orator menſonieros Michel diMontagna filoſofante
,un de più grandi', che peravventura abbia avuto la Francia , o fommamente
veridico ,non cinarr'egli, che in un villaggio , ove inai non vi bazzicavaalcun
medico ,conmiglior ſanità, chial 778 Ragionamento Sejko 1 ch'altrove vivevafi?
Maſenza entrare in alcie provincicis ciò non veggiamoa pruova rutto dìnell'Italia
echiepper Dio di noiche , non ſappia ciò , che molt'anni avveniffe in quella
terra , chenon avendo mai per addietro ravviſata faccia dimedicoil Signor di
effa immaginandofarle ungrá pro un ve n'introduſe, ilquale
co'falaslijpurgagioni, cve Icicanti, e altri rimedj, ivi non primanominati ,
non che praticati, ſeppe sì ben pelarla , ch'eravicino ad eſſer vo ta
d'abitatori: ed avvedutiſene i vafſalli ,a guiſa di cani mordenti ſi ferono a
doffo al padrone, e lo sforzarono ad mandarne via il medico . Manon ſo come
caduto dalla . memoria mi'era ciò che al noſtro propofita avviſano il fan
moſisſimo Adriano Turnebo, huomio di fingolar giudicio , e di chiara fede:
Animadversi , ſctive , in dyfenteriæ popu • larimorbo , in vicis de pagis , qui
medicina non utuntur , mortuos , aut nullos ,aut paucos : in quibufdamurbibus
plu . rimos elatus à medicis maximofumptu :e Pier Gaffendi huo mo
inſignede'tempi noftri : ex iis ; qui medicas adhibent, aliquiſanantur, aliqui
moriuntur ;pari modo aliqui Sanar jur, aliqui moriunturex iis qui non adhiberi:
avvegnachè eglipoinell'ultimaſua infermità per non diſpiacere aʼme dicanti ſuoi
amici ciò traſandandoſi facefle da loro con re plicati ſalasſi uccidere ; e
quel celebre medicante Lazaro Meſfonieri ache dice: multi fineullis auxiliis fpontè
fanátur. in agris, & pauperes medicis deftituti . Malaſciando que ſto ſtare
al preſente, tra per la dubbiezza dell'arte , tra per la varietà delle
opinionidelle ſette; e per la nequizia ; e malvagità degli artefici fu egli
ſempreragion di ſaggio , e avveduto governo il non darloro orecchja determinar
fol lemente coſa alcuna in medicina ; e infra tanti ſubugli di ſchiere , e
fazioni non ſi yide mai faggio Principe , o ben , ordinato reggimento vietar a
mediconiuno, che con paro le , e con fattinon paleſaſſe iſuoi liberi
ſentimenti. Così con loro ragioni non poteronmai o Erafiftrato ſommamé te caro
al Re Antioco , o Aſclepiade amato aſſai, e tenuto in pregio dal gran Pompeo ,
o Antonio Mofaonorato , e careggiato da Ottaviano Ceſare , o Vezio valente adul
tero DelSig.Lionardo diCapoa. 479. 1 tero dell'Imperadrice Meſſalinamoglie di
Claudio , o l'am, inicislimo dell'Imperador Nerone , Teffalo , far sì, che a
medici di contrarie fette gi per comandamento de loro Principi foſſe il medicar
vietato e in lor diſpetto liberer fempremai fr tennero le fchierenemiche . Cosi
fempremai in Romàse in tutt'altre parti delmondo , nomeno i Razio nali, che i
Metodici, e gl'Impirici liberaméte il lormeſtie re eſercitavano , ciaſcun di
loro ugualmente il privilegio della cittadinanza di Romagodendo . E dopo le
rovines dell'Impero Romano noir ſi videinfragli Arabimedico vā caggiato ſopra
altri : ne a'feguaci d'Avicennafu maiper opera de ſeguaci diRaſi', o d
Avenzoárre il medicarvieta4 to. Ne infra''noftri ancora, comeche cotanto
l'Arabeſche dottrineper tutto ſormontalfero , comeaddietro è narrato , non però
di menonon poterono far sì , che affatto abbats tutane foſſe la ſchiera
de’lornimicisſimi Galieniſti ;ned'al tra parte poreron mai coſtoro dallor
buornome pūto far gli cadere; e avvegnache con ſátire , einvettive lungamen te
piatifféro ; nondiineno di nulla mai', o reggimento , o maeſtrato , o Signoria
vi s'inframmiſe, ne Principe', che faggio, oavveduto foffe's colle maia
parteggiarncalcunod Ein vero , non Sommo Pontefice , o Re delle Spagne, o
Imperadore;o Re della Francia, o dell'Inghilterra; o della Suezia ,o della
Dania; o altro Principe;oRepubblica mai; ch ," Io ſappia, ſi legge nelle
ſtorie, che voluto aveſſe prēder bri gadellegare; o dellediffenzionide’medici.
Ne il Re della Francia soi.parlamenti diquella ',e ſpezialmente queldi Parigi,
città in cui fivide lapiù lunga', e la piùfieracon tefa infra i medici Chimici'
, e Galieniſti; avvegnachèmols to ſtimolato ne foſſedalla ſcuola di Parigi ,
volle mai inan dare avanti i decreti diquella , nulla curandole ciarle di
PierGregorio da Tolofa ( il qual ſe tanto nella filoſofia ,e negli altri buoni
ſtudi del Lullio foſſefi innoltrato ,quan to nella Loica di lui s'avantaggiò ,
certamentenon aureb be egliuna sivergognoſa briga impreſa ) diedeagio a ' Pas
racelfifti di liberamente ſempremedicare ;e ad ontapure del Galieniſta
Riolanoilvecchio, edi cute'altri nimici , tư di 480 Ragionamento Seſto di quel
gran Principe ſempre in grazia il dottiffimo Giu ſeppe Quercetano medico , e conſiglier
dilui: e come egli certamente il valeva , ne fu da lui ſommamente onorato ; e
quantunque perquella ſcuola infra l'altre chimiche medi cine foffe affatto
vietato il dover dare l'antimonio per en tro : pure non che tal divieto aveſſe
avuto effetto alcuno, a i Miniftri del Parlaméto Paveſſer mai co' loro arrefti
raffer maco , anzi l'ancimonio per ciaſcun medico liberamente adoperavaſi
,comechè nelle cure delle medeſime perſones reali. Ei Miniftri, e ireggimenti
tutti de’noftri Invitriffa mi Redelle Spagne , così ne'paeſi balli , come in
tuce'altres Provincie della loro Monarchia ſempre hapermeſſo ,le tur tavia
permettono l'uſo libero del medicare a' ſeguaci del Paracelfo, e dell'Elmonte ,
e del Silvione del Villifio , fen-) za ritegno alcuno ; ſpregiando ſempremai, e
rifiutando de maladizioni, ei rapporti de Galieniſti . Che ſe mai Prins cipe ,
o Maestrato inframmetter tałora s'ha voluto , e por mano in affare pertinente
alla medicina,e alcuna ſua cola , comechè menoma a certa , e determinata legge
ligare , bea fiè veduto perpruova , che ogni loro ſtatuto , a ſconcio , e non
laudevolefine ſempremai è riuſcito ; come ſi vide av venire , oltre a quel, che
è detto , allor , che perconſiglio de Napoletanimedici venne perla Prammatica
del 15620 Puſo della manna sforzata , qual dicono , come velenoſo vietato ; la
quale fa meſtiere rivocarla nel 1573. con per metterſi çſprettamente l'uſo
della manna dell’Orno , e del Fraſſino , che poco prima era ſtata ſeveramente
proibita . E no poffo no arroſsare in leggere que'rimproveri fatti dal Clufio ,
e dalMattioli , il quale in cotalguiſa favella : Er . rano non poco i medici
Napoletani co’loro Protomedici; i qua li fanno proibire ſotto graviſſime pene ,
che non ſi debba ven . der la manna, che riſuda dalla ſcorza del frasſino , e
dell'ora 10 , la qual chiamanomanna sforzata, immaginandofis cle nonſia buona
acofaveruna , imperocchè queſta, oltre che pur ga ſenzamoleftia alcuna , e
daffi ficuramente alle donne gra videin ogni tempo della gravidezza , è
fantiffima , ed eccel, Lentisfima medicina nelle petecchie , e febbri maligné,
e pelli, lenzia DeSig. Lionardo di Capod 487 : Jenziali,eſſendo che il fraſſino
ha manifeſta virtù controtua ti velewi ; però laſcimo omai iProtomedici
Napoletani di peria reguitar coloro, che cavano lamanna dalfrasſino , e non
pris vino gli huomini dicosì prezioſo medicamento non conoſciuto da loro ,
febene viforopiù propinqui di Noi. E ben ſi vede altresì in quanti errori ſieno
ircorſi alcuni Giudici in laſciandola guidare a' ſentimenti d'alcuni medi ci:
che ben lungo catalogo recar ne potrei. Macontente rommi al preſente di
mentovarne ſolamente un'eſemplo di non poca conſiderazione , che facendoſi
troppo ſemplice mente alcuni Dottori di legge a credere, i bambini nati di otto
meſi non potere naturalmente vivere, come avviſavali Ippocrate , del quale il
loro Bartolo portando opinione i diviſamenti della natura cſfer non guari
diffimili alle leggi umane , dice : ftandum eft libris Hippocratis tanquam ad
théticis : giudicarono quelle eſſere vere ſconciature, e das dover eſſere
d'ogni eredità incapaci ; nel quale errore laſciaronſi traportare l'Alciato ,
e'l Cujacio , e altri au tori di lieva in legge . Perchè il noſtro Matteo degli
Af flicti ne rapporta una deciſione ; ove in modo giudicoſlinel noſtro tribunale
per haver data intera credenza a' medici , che dal Caranza dottor di legge
ſpagnuolo ne fu ripigliato con queſte parole : venit improbandum judicium
Protomedi ci Ferdinandi Regis primi Neapolis , & aliorum quos Affli Etus
decif. 236. num.4, valentisfimos Philofophos appellat : eorumque ductu Sacrum
Confilium Neapolitanum octavo mē fenatum materna fucceffionis incapacem
declaraffe afferit; ut meritò decifionem iftam , d predictorum judicium impugna
verit Boërius dec. 220.in fine,neque enim ita magnifacien dum eft judicium
illud Confiliis philofophorum , medicorü relatorum ab Afflicto fup.ut ab eo
quiſquam non malit diſce dere , quam à veritate . Maciò ſopra tutto ſi ſcorge
da quel,che narra quell'av veduto ,e giudicioſo ragguardator delle coſc Giacomo
Tua no; dice egli, che d'ordine d'Errigo Quarto Re di Frácia, il gran
Lemoſiniere , e altri ſuoi famigliari, che co'i may giori valent’hu onini di
ciaſcun meſtiere tenner conſiglio ppp i dair 482 Ragionamento Sesto 1 3 di dar
compenſo agli abuli della famoſa accademia di Pa . rigi , e che infra l'altre
leggi , e ſtatuti diviſarono delle bi. fogne della medicina : ordinando, che i
medici di quella ſcuola doveſſero legger l'opere d'Ippocrate , e ogni ſua
opinione puntualmente ſeguire :medicos ſono , parole del, to ſtatuto,
rapportate dal Tuano, ut leges fibi prafcriptas tee neant , divinum Hippocratem
diligenter legant, præcepta ejus religiosèfervent . Empiricam caveant , neque
ea ullo modo utantur . Ma cotale ſtatuto non potè giamınai eſſer poſto in opera
; e in vero , ſeque’valent’huomini aveſſero innan zi tratto conſiderata , e
riandata cotal biſogna, e riguarda to alla varietà delle ſette , e delle
opinioni , e all'incertez za di tal profeſſione, non avrebbono così ſciocco
divieto mandaco fuora . E tanto più , che que' inedici , che con figliarono una
cal legge , ne prima , ne poi i diviſamen ti d'Ippocrate oſſervarono ; e in
iſpezialità nel purgare , e nel ſegnare ,come nel ſecondo ragionamento avviſam
mo ; ſenzachè il non valerſi dell'empirica medicina è contro l'ammaeſtramento
del medeſimo Ippocrate ; e an zi tutti medici vengono di neceſſità aſtretti a
yalerſi delle impirica, come da quel ch'è detto agevolmente coglier fi puore ;
perchè gli ſteſſi riformatori convenne certamen te , che alcuna fiato, per non
dir altro, veniſſero con em piriche medicine curati , ſpezialmente ſe furono
morſi da can rabbioſo , o daſcorpioni, o da altri velenoſi animali . E già
parmi o Signori, ſe'l mio avviſo non m'ingannnas che per quel che da noifin qui
ragionato foſſe de tantidi vieri della medicina , che ſaldinon nai ſono fungo
tempo durati : delle diverle , e ſoventi fiate contrarie guiſe di me dicare , e
dalle si varic , e tante opinioni, che fra i medici di tempo intépo ſono venute
inſư, impoſſibili a porſi mai im alcun patto d'accordo: dalla lunga incertezza
disì dubbio fo , ed inviluppato meſtiere , il quale non ha in ſe dottrina , o
principj , ſui quali huomo unquemai poſta porre alcun menomo fondamento : e dal
maltalento demediciinvidio fise maligni, affai manifefte fi pajano le grandi
malagevo lezze , acui s'avvengono tutti coloro ,che d'ordinar lebis fogne 1
DelSig.Lionardo di Capoa. 483 + ſogne della medicinafi danno alcuna cura . E
perciò lag . gio ſembrami lavviſo di quella Città , o di que'Regni , ch' avendo
forſe a pruova legià dette verità conoſciute , non vogliono in alcun modo
prenderfene briga , ſeguendo in queſta guiſa la coſtuma dell'accorto poeta , il
quale , coine Orazio faggiamente avviſa , que Deſperat tractata nitefcere
poffe, relinquit . Talfu il fano conſiglio del Signor Duca diMedinaceliVi cerè
nella Cicilia ; il qual non che andar voleſſe a ſeconda di coſtoro , anzi
prendendole a gabbo , ſcheroù le ambizio ſe,e avare bramedi Filippo Ingraſſia
Protomedico di quell' Iſola ; il quale a diritto , ed a roveſcio volcva i
maliſcalche ſoggetti alla ſua giuriſdizion ridurre; perchè pubblicò unu libro,
ove ingegnofli di far chiaro (ne v'ebbe per avventura a durare la maggior
fatica del modo) che la medicina degli huomini,edelle beſtie in nulla foffero
fra ello lor differéti, * e che fra medico , e maliſcalco altro di divario non
v'abbia, che ſolamente nel pome . Ma lo finalmente non lo fe altri poſla più a
propoſito metterci innnanzi agli occhj l’infelice fine, a cui pervengono tutte
le ordinazioni in affári di mc dicina ; e ſpezialmente quelle che fatte ſono a
richieſta , o a conſiglio de'inedici , quanto Trajano Boccalini : allor che
narra , aver Apollo per ſecondar le perſuaſioni d'Ippocrate tenuto a conſiglio
alquantimedici ,a cagion di voler ripa rare ad alcuni diſordini ch'avvenivano
nel medicare : ma per l'ordinazioni di tali riformatori, non pure no iſcemaro
no in alcun patto , ma vie più moltiplicarono le malattie ; e le morti giunſero
a tale , ch'egli rimaſe forte maravigliato: ( ſon parole del Boccalini) ch'una
diliberazione fatta con ze lo di tăta carità aveſſe potuto fortire il fine
infelice d'una tan to calamitofa confuſione; onde bruttamente da Ippocrate chia
mandoſi offeſo , eſchernito , che ſotto zelo d'apparente carità verſo il
benpubblico , con quel pernizioſoricordo aveſſe volu to aprirſiſtrada
all'eſercizio della ſua ambizione: inpubblica udienza , con indignazionegrande
disfece il collegio, con ani Ppp 2 mo dia 484 Ragionamento Sefta mo
diliberatififimo di far contro Ippocrate qualche notabile rifentimento".
Orecco le riufcite di que'riſolvimenti, ches goglion prenderſi d'un arte
cosìfallace, e manchevole, Eche ix ſuobaso mai por ha certezzha 1 RAS 485 .
RAGIONAMENTO SET TIM Or 220 Bbiam finora fufficientemente diviſato , o Signori;
delle dubbietà ,.e incortezze del la medicina ,malagevoliaffaiperhuomo, anzi
impoſſibili a ſuperare :'infra le quali ondeggiandociaſcuno continuo s'aggirai;
non altrimenti , che picciola , e malforni ta barca irr tempeſtoſo pelago
dimare da'fortunoſi ventije dalflottar dell'onde dibattuta', e
percoffa'traballa ; o mal pratico viandante il qualecoleo da oſcura'norte,in
folta , non conoſciuta ſelva ;per travolti-bronchi , e fterpi andan do, quafiin
cófuſo-laberinto s'aggiri, séza potermai riuſci re a dritto ſentiero, ch'a
falvamento il conduca'. Perchè non potendoſi in così intralciato meftiere via ,
o modo al cunoavviſare , convienr'certamente , che'l tutto a poſta, e ad
abitrio didifcreto , e'ayveduto medico fi rimetta. Aduna que avendo
ilmedicoperle maniun sì grave affare, chento ſenzafallo è dagiudicar la vita ,
e la ſanitàdi ciaſcuno ,dse egliconogni ſollecitudine,e con ogniarte ingegnarſi
di far: giovamentoagl'infermi commeſt alla cura dilui , al mio gliormodo cheſi
poſſa ; çfecondochè la condizione d'un sal 486 Ragionamento Settimo tal
meſtiere comporta . E (come a coloro, cherompon per tempeſta in mare , i
qualiad ogni picciol cravicello , o pan chettirgi appigliano,così parimente dee
il medico negl'ince : uob; maroſi della ſua profeſſione valerſi di que’tutti i
Jabuli argomenti , che gli li fanno avanti; an corchè non ben ſicuro egli ſia
,che con quelli sì degna im preſa poſſa ridurre a quel fine, al quale l'avrà
indirizzita . E quinci ſi è, che quantunque poco ,o niuna certanza recar
poſlano al ſuo meſtiere le corezze,che per le cofe,o vedute, olette, o perlo
imperfetto, emāchevole umano modo dific loſofare s'acqui &ano;
egliimpertanto deein tutte quante Je coſe alla medicina perrigenti eſerbene
ſcorto , e cono ſciuto , chiunque voglia con qualche profitto , e laudevol
mente cſercitarla ; perchè fa meſtiere , che lo attenendo le promeſſe già fatte
in ſu’l principio di queſti ragionamenti, vegga minutamente chente , e quali
coſe a fare un buon medico , e perfetto,in quanto ſi poſſa umanamente, c quan
to la condizione d'una tal biſogna comporti, ſi riclrieggia no e per tutti
diviſatamente diſcorra. Egli ſembra certamente che non vada err ato Ippocra te
, o chiunqueegli (i foſſe l'autor del libro dell'arte, quan do dice , ch'a
coloro , che vogliono all'altezza della medi cina mόrare faccia meftieri
φύσεG-, διδασκαλίας, τόσο ευφυές , tendopatíns,Qinomovins,xpóvx,cioènatura
acconciaze nobilize vira tuoficoſtumi , e luogo allo ſtudiarconvenevole , e
buon alleva mentoinfin da fanciullezza , einduſtria, e tempo. Richiedeſi in
prima natural genio , ſecondo lui; conciolo fiecofachè mancando talvolta, vano
affatto , e inutile ogni ftudio , e ogni diligenza riuſcirebbe. Ne è vera
l'opinione del vulgo, cheſolo alla poeſia vuolch’abbiſogni quella na , turale
inclinazione , dache alla medicina apparare , e tute? altre ſcienze ancora
convien favorevole averla ; vero fem premai ciò che dice il noſtro Dante
ſperimentandoſi: Sempre natura,ſefortuna trova Diſcorde aſe , cum'ogn'altra
ſemente Fuor di ſua region fa mala prova ; Eſe'l mondo la giù ponce mente Al
fondamento ,che Natura pone, Seguen . Del Sig .Lionardodi Capoa . 487 Seguendo
lui auria buona la gente. Ma voi torcete a la religione Tal chefu natoa
cignerſi la ſpada, E fare Re ditalcb'è dafermone Onde la traccia voſtra è fuor
di ſtrada. Ma più ch'a tutt'altri meſtieri, alla medicina natural ta lento
richiederſi, egli ſi porrà chiaro a chiunque badar vo glia,ch’afmedico talora
improvviſo , ſenza aver potuto in prima dello infermo , o della natura di lui
molto diſtinta contezza , o eſperimento , convenga diviſar me dicamentijanzi
che dal malore iľvigore almalato ſia colto, o le forze ; eďove ancor queſte
ſiano all'ultimo ſcemo per venute,no perciò sbigottire allora, ma prendendo
cuore, e ardire a novelle cure lollevare lo intendimento . Alla qual coſa fare
, chi non avviſa , che fano giudicio , e ſpedito in gegno, e natural ſagacità
v’abbiſogni, c tale appunto qual fa meſtiere per avventura a'gra Capitani, e
a'comandatori diguerra . E mi ricorda a tal propoſito , che il Signor di Molluch
chiariſſimo capitano dir Tolea , ch ' ove il general della battaglia , iit
veggendo rotte le ſue ſquadre', e ſcon fitto l'eſercito ,egli , o da vergognago
da timore oppreſſo , il ſenno , e l'ardir non perdeſſe ad'un ora , ſempremai
buo na ſperanza gli rimarrebbe da poter raccozzare i ſparpa gliati, e
fuggitiviſoldati , e incoraggiargli di bel nuovo a fronteggiar l'ofte
vittorioſa . Ma potrebbealcun dire,che natura perapparar medicina punto non
abbia luogo; o che fe per appararla vi pur biſogni, certamente cotale inchina.
zione, eabilità ciaſcun di noi egualmente l'abbia ; impc rocchè, direbb’cgli ,
quantunque lo ſappia molti, e molti eſſer coloro , che per naturaľripugnanza di
genio , o d'ate titudine in altre arti , appena aſſaggiatele , dalla impreſa fi
fian riſtati: pur d'uno normi ricorda', ch'avendo l'a nimo alla medicina
rivolto , non ne fia medico poſciano e'n buono ſtato divenuto . Eforſe ciò
avviene , perchè eſ fendo la medicina al mondo rominamente neceſſaria per
riparare a cotante malattie' , il ſommoProvveditores n'ab bïaciaſcun
baſtevolmente d'attitudine fornito per apparar lized eſſerne da tanto ; ma a
ciò ſi riſponde i ſovrani conli gli 488 RagionamentoSettimo 1 . 6 gli
dell'eterno facitore dell'univerſo non eſſer dato di po tere ſpiare al corto
intender noftro , come temerariamente altri pur s'attenta di fare : ma ſe a
qualche conghiettura ne fi daiſe mai luogo, lo direi che anziperchèdi ſommo
pro, c di gran pregio èla medicina, perciò non eſſer peſo di tut tebraccia, ma
di pochisfime; ſicome avvien delle coſe più perfette, le quali ſono altresì più
rare . Maintorno abuonicoſtumi,che fiorir debbo in colui che d'eſſer medico
intéda, fu egli queſto sétiméto del méziona to autore,ſeguito comuneméteda
tutti;anziGalieno mede fimo in un luogo dice ,cbe colui, ch'èxibaldo, e di mala
co ſciéza no puòmainegli Studi d'un tal meſtiere vataggiarſi . Ne lo
ſtenderommi al preſente in ragionar del.conoſci. mento delle lingue; imperocchè
della Greca, della Latina, e forfe acor dell'Arabeſca ,e dcHa Tedeſca egli è
allai chia ro ,che p iſtudiar ne’libri in quelle cópoſti,bone,e interame te
delle medeſimedobbiamo eſſere inteſe: anzi il dottiffimo Samuel Bocciardi porta
opinione chesõmaméteal medico ſia neceffaria la lingua Ebraica. Eforſe anche
con qualche ſoverchio di diligenza per lo riſchio , chedal non pienamen té
intenderle ne può ſeguire ; il che avviſando l'avvedutiſ fimo Arnaldo da
Villanova ſtrettamente ne l'accomandò; cne lo diè per regola nell'apparar
medicina, con queſte parole : Notitia nominum prodeft ad doctrinam . Et nulla
profeéto ars , curiofius , cautius vigilantius homini diſcenda , traétanda,
meditanda eft , quammedicina , qua nulla eft pe riculofior: quippe quum in ea
verſetur falushominum , vi ta ; per tacer della Loica, che richiede Galieno nel
medico; il troppo ſtudio della quale nuoce , non ch'altro , a chiun que
veramente approfittar ſi voglia nella filoſofia , eſpe zialmente nella
medicina,poichè eſſendo l'intelletto avvez zo a quelle coſe finte , non fa
poſcia dipartirſene allor, che delle vere , e ſenſibili ſoſtanze imprendea
filoſofare ; onde faggiamente quella grand’alına del ſaggio Galileo folea
paragonare i Loici agli artefici degli ſtrumenti muſia cali , i quali tutto
dimaneggiandogli, non ſanno poi quan doloro biſogna, ſe non ſe rozzamente
valerience Ma ş DelSig.Lionardo di Capoa. 489 1 Ma la norma ſicura de'perferri,
e dimoſtrativi fillogiſmi ſolamente dalla Geometria ci ſi porge : e malamente
al ſi curo fornito loico , e conſeguentemente buon medico ſarà colui, a cui per
le mani gcoinetriche dimoſtrazioni tutt'orx non ſono . E certamente avea la
ragione , l'autor della pi ftola a Teſſalo di tanto iſtantemente quello
confortare , e fpignere allo ſtudio della Geometria , e dell'Arilmetica :
poichè la notizia di cotali ſcienze, oltre agli altri concj,che arrecar ſuole ,
dice egli: tlu fug'us o &uréple FE xxA THA Qvyesépleas a & ti tò év
inagixí óvño Jou răvő mi yeusercioè ,apporta chiarezza, e fortigliezza
nell'intendimento , acciocchè poffa ben rintraca: ciar tutte quelle coſe, che
all'uſo della medicina abbiſognano. E diſtintamente poi va dimoſtrando di
quanco pro fia ad un medico faper Geometria , affermando ancora lommamen te
giovevole , e neceſſaria eſſere a ben comprendere le deslogate offa , e l'altre
biſogno nella medicina . Mamol to avanti avrebbe egli certaméte della Geometria
detto : ſe oltre a ciò ſaputo aveſſe,che séza quella, poco, o nulla inté der ſi
può delmovimento de'muſcoli, e de’mali della viſta, e d'altre belliſſime
dottrine molto alla notizia dell'ordina mento del corpo umano utili , e
neceſſarie . Ma fe ( come più avanti dimoſtreremo) giammai non può eſſer medico
, chifiloſofo in priina non fia : c per apparar filoſofia , la Geo metria è
ſommamente di meſtiere;egli è pur manifeſto ,che il medico debba efter Geometra
. Ne può punto dubitara ſi il convenir cotanto a ' filoſofila Geometria;
concioſſicco ſachè abbiamo nelle ſtorie , che gli antichi filoſofanti , tan to
biſognevole ſtimaſſero la Geometria nelle loro ſcuole , che no volcan ,cheniuno
in quelle entraſſe ,ſe prima inGeo metria ſtudiato pienamente non aveſſe . E'l
gran Galileo de’ Galilei , grandiſſimo maeſtro di coloro , ch’alla vera , e
dalda filoſofix attendono , diſſe ; In un vaſto volume farfe ne'lafiloſofia
tutta deſcritta : e quello eſserne ſempreinnanzi agli occhi aperto , cioè a dir
l'univerfo ; ma non mai poterviſe leggere , fc in prima la lingua , e i
caratteri , co' quali egliè Scritto, perfetiamente non s'apparino. Egli è
ſcritto , dics in lingua matematica , e i caratteri ſono triangoli , cerchi , -
Q29 altre 490 Ragionamento Settimo 1 > altrefiguregeometriche,sēza i
qualimezziè impoffibile adin të der umanamenteparola : ſenza queſti, è
un'aggirarſi vana . měte per un'ofcuro laberinto. Comendaſi adunque oltremo do
il ſaggio conſiglio dell'avvedutiſſimo Cardano , il qual mi ricorda ,
ch'avrebbe voluto , che niuno in medicina non ſi foſſe mai convertato , il
quale , mathematicas perfecte no calleret, per dirlo colle ſue parole ; del che
recandone la ragione, ſoggiugne : Nam his folum , nec fallere , nec falli
contingit; unde qui in illis peritusfuerit ,non eſt veriſimile in propria arte
velle ſuperioribus , &fuis, ac fibi ipſi impo were . Ma oltre alla Loica, e
Geometria, la Stronomia , la Mu fica , e altri nobili, e liberali ſtudj in un
perfetto medico Galieno richiede ; e della Muſica favellando Tomaſſo Cá panella
dice :medicusnon ignoret , qui foni, quos motus in ( piritu ,adquas bonas
operationes excitět,ut medicinales fint;i quali ſtudj,ſecodo lo ſteſſo Galieno,
il primo luogo appreſſo Mercurio ingombrano ; e con molte , e ben compoſte pa
role l'utilità , che da quelli ſi trae , va egli ne'ſuoi ſcrit ti diviſando , e
quanto egli avanzato ſe ne foſſe ; ſenzachè, dic'egli , ſe il medico , non è di
ſtronomia intendente , gran tratto ei ſi dilungherà da’ſentimenti d'Ippocrate ,
il qual non pur conforta i medici tutti ad appararla, ma molte co ſe ha egli
ne'ſuoi libri ſcritte , le quali ſenza ſaper di ſtro nomia , impoflibil
certamente fie , che per huomo s'inten dano. Ma nel vero lo non ſaprei mai
comprendere , come ben ſi poſſa medicare , ſenza ſapere, il naſcimento , e loco
caſo delle ſtelle, e la varietà de climi,e altre ſomiglianti co le , neceſſarie
al meſtier della medicina , le quali tutte la ftronomia ne inſegna .
Eragionevolmente tutti coloro ch ' un tale ſtudio , come vano , e inutile
a'medici biaſimano , punge , e proverbia il buon Franceſco Vallefio , dicen do
, che la ſtronomia vien da alcuni giudicata coſa alla medicina affatto inutile
, non per altra cagione, ſe non per chè poſſano in cotal guiſa ſchifare lo
ſvergognamento, che dal non ſaperla gliene naſcerebbe . Perchè il non mai aba
Aan 1 1 Del Sig.Lionardo di Capoa 497 1 1 ſtanza lodato Ipparco aſſomigliava
ilmedico ignorante di ſtronomia ad occhio privo della viſiva potenza; e'l famo
fiſſimo infra gli ArabiAlbumazar,dice chela ſcienza delle ſtelle a quella della
medicina , principio , eguida ſia. Ma fe la Stronomia richiedefi a'medici, non
men di quella certamente fa loro meſtieri il ſaper le ſtorie delle coſe, che
avvengono al mondo; concioffiecofachè oltre al ſaper di quelle , i principi,
egli avanzamenti delle piſto lenze , e d'altre aſſai malattie , manifeftamente
talvolta an che comprendonſi le cagioni de’malije i rimedj , ch'a quel li
talvolta hanno approdato , e ciò, che per pruova ha noc .ciuto , e giovato agli
huomini : e aſſai pienamente ſi com prende quanto dalla lezion di Tucidide
aveſſe Galieno tratto di profitto , e altri aſſai medici di gran lieva, e malli
manente da quello artificioſo narramento di lui della fie ra , e lunga peſtilenza
del Peloponneſo , traportato poi co tanta eleganza, e così ben da Lucrezio nel
luo natio idio mi . Ma ſopra tutto ſenza dubbio la natural filoſofia al medico
ſi richiede ; imperciocchè , fe perfettamente egli ſaper dee la natura , è
l'economia tutta del corpo uma no , le cagioni, così d'entro , come di fuora
delle malat tie , le qualità , e le coinpleſſioni dell'aria , delle acque,de'
vegetali, degli animali ,e de’minerali turti: conſeguente méte egli ďee
ſtudiare in filoſofia,nó come dicono, di primº occhio , e diſcorrendo : ma in
quella con ogni intendimen to , e ſtudio involgerſi , e riconcentrarſi, e in
apprenderla , pienamente con ogni sforzo , e con ogni opera affaticarſi .
Perchè il Paracello chiamar folea la filoſofia madre, e fon damento della
medicina ; e Ariſtotele n'impone , che il me dico cominciar debba , ove il
filoſofo finiſca; che altro non vuol dir, per mio avviſo, che il medico dal
filoſofo non dif feriſca , ſalvo che nell'operare : e che la medicina altro no
fia , ch'una operatrice filoſofia . Folle adunque , e danne vole oltremodo è da
giudicar certamente il conſiglio d'A vicenna : che il medico ſenza più avanti
ricercare , appa gar ſi debba a' detti de filoſofiintorno alle coſe naturali;
Raq 2 ne lo 492 Ragionamento Strimo ne logorar punto di tépo in abburattargli,e
far pruova del la verità ; concioffiecoſachè il medico in eſaminandogli no che
dall'arte ſua fi diparta giammai , come ſcioccamente s'avviſa Avicenna , anzi
allor maggiormente vi s'interna , e profonda , e più maturamente l'apprende. E
bene imma gino lo , che a ciò riguardando eſfo Avicenna , avviſaffe pienamente
il biaſimo grande , che di tal conſiglio guada gnare egli medeſimo ſi poteva i
perchè altro non te in tue to il corſo della ſua vita ',' che attentamente ſpeculare
, e contemplar le coſe della natura . Miglior ſenza fallo fu l'avviſo di
Galieno , il qual ſopra ciò ben’un libro inte . ro compoſe con queſto titolo
densos iarbós, og QorbootG.per * chè e' medeſimo dille altrove , il medicare
una piaga non, effer impreſa da tutte braccia , ma di color ſolamente che le
coſe tutte della natura hanno davanti agli occhi . Ma dove lo traſandava il
buono Ippocrate : il qual giudicò fi loſofia , e medicina eſſer compagne
ſtrette , e ſorelle ,giua te , ed avviticchiate ; e ſimigliantemente Cornelio
Celſo afferma , amendue coſtoro d'un medeſimo parto eſſer nate, così ſcrivendo
: Primomedendifcientia pars fapientia habe batur ; ut &morborum curatio ,
dow rerum nature contempla tio fub iiſdem auctoribus nata fit ;c di ciò ne apporta
ragio ne: fcilicet his hanc maximè requirentibus, qui corporum fuo rum robora
inquieta cogitatione , nocturnaque vigilia mi nuerant . Ideoque multos ex
Sapientia profeſsoribus peritos ejus fuiffe accepimus. E egli è pur troppo
manifeſto ,quan to Pittagora , Empedocle , e Democrito , e Platonc , e altri
grandiſſimi filoſofi più di qualunque altro Greco nel le ſecrete coſe della
natura innoltrati, più di tutt'altri me dici della Grecia ancor s'avanzaſſero ;
ſenzachè i fonda tori , e i Principi di ciaſcuna ſcuola di medicina , eziandio
della Metodica, e della Impirica , eilor più rinomati ſe guaci , tutti
concordementenegliſtudi della natural filoſo fia s'eſercitarono . Perchè il
fimile certamente ciaſcun al tro mcdico de’tempi noſtri dovrà fare; e di lor direbbeſi
po ſcia con quelle voci d'Ippocrate innsós gap Quómo , iostec , cioè a dire :
il medico filoſofo è ſomigliante a un Dio . E 1 1 quan 1 1 ! DelSig.Lionardo di
Capoa. 493 > quantunque ,come ſopra abbiamodimoſtro , aſſai poco al baſſo ,
e loſco intender noſtro nelle coſe naturali di ſaper ſia conceduto ; nondimeno
queſto ſteſſo ci da a divedere effer neceſſario al medico lo ſtudio della
filoſofia, acciò egli pof fa agevolmente accorgerſi , non aver la medicina
certezza alcuna ; e a queſto avendo certamente riguardo , diceva Cornelio Celfo
: natura rerum contemplativ , quamvis non faciat medicum aptiorem , tamen
medicine reddit perfectum . Oltre alla naturalfiloſofia, la morale ancora
a'medici ſi conviene ; concioſGecofaché , ſe come di ſopra è detto per
ſentimento d'Ippocrate , di buoni , e laudevoli coſtumief ſer dee fregiato il
medico, Io non ſaprei già , come a tal pre gio mai aggiugner poteſſe colui ,
che coile natural filoſofia la moraleancora non accoppj; ſenzachè la moral
filoſofia è quella , cha per oggetto Panino dell'huomo , e in quello ſuol
riconoſcere i malori,e lecagioni,e gli effetti di quelli,e darvi baſtante
compenſo , ed efficace ajuto . Orcome po trà il medico adoperando il ſuo
meſtiere, con valevoli me dicamenti fanar gli ammalati del corpo , ſe in prima
le ma lattie dell'animo loro non toglie ? cioè a dire , ſe non fa di filoſofia
morale a Imperciocchè i mali tutti del corpo , come da prima, e
principalcagione , da alcuna paſſion dell'ani mo ſovente naſcer ſogliono , la
qual certamente ne cono fcerc , ne rimuover potrà il medico giãmai , fe dalla
moral filoſofia no ſia fcorto. Tanta enim ,dice Sinforiano Cãpegio , per tacer
altri , eſt animi , &corporis neceffitudo , ut ſua om nia bona, ac mala ,
velint nolint, invicem communicent. Per chè della nostra anima facendo parole
cantò il Guarino . Qwell’immortal, che null'ha di terreno A terrenidifetti
ancor foggiace. E Platone nel Carmide lungaméte ciò va diviſando; la qual coſa
ancora , ficome teltimonia Ippocrate avea in coſtu me di fare Eſculapio s il
quale appreſa certamente l'a vea da Chirone ſuo maeſtro : e ſe pure dopo ſi è
co minciato a feparare l’un meſtier dall'altro , non èmara viglia , dice Malfmo
Tirio : perciocchè la medeſima artu di curare il corpo , così in fc ftella
diviſa , e lacera ſi vede, : chic 494 Ragionamento Settimo che altri ha cura
dimedicar ſolamente gli occhi , altri law veſcica , e altri altra parte del
corpo . Ma con quanto di fcadimento , c danno dell'arte , e de’maeſtri di
quella , per nulla dir de’poveri infermi, ciò avveniffe ,che partite , e
ſceverate queſte due profeſſioni abbiano i medici, ſolamen te inteſi a curare
il corpo , ſenza badar punto alle malattie dentro , lo dicano tante , c tante
malvagità , e ribalderie operate daʼmedici , come di ſopra dicemmo ;
concieſlico fachè non ſon per altra cagione i biaſimi tutti a' medici, e alla
medicina medeſima proceduti,che dall'aver clli traſcua rata l'arte dirender ſe
medeſimi in prima, e poi gli alţri tute si della verità , della giuſtizia , e
dell'oneſtà lodeyoli ama, tori . Ne per altro chiama Ippocrate, per mio avviſo
, il medico filoſofo ſomigliante a un Dio , fe non perchè dal medico filoſofo
non ſia da ſcompagnar cotal parte cotan 10 eziandio giovevole , e neceſſaria
alla medicina . Per chè guardando a tutto ciò Galieno , cercò di riparar ſe
condo ſua poſla a tanto diſordinamento , e di riunir di nuovo , e rannodar la
medicina colla morale filoſofia: onde compoſe quel libro , ove e' moſtra,
comes’abbiano a cono ſcere,per doverſi guarire,i difetti dell'animo; e
quell'altro, del ravviſare , e del medicare dell'anime le malattie . Ebé
chiaramente ſi vede quanto in ciò, che inſegna altrui e' me defimo profittaſle
; concioſſiccoſachè, come di ſe medeſimo egli narra , era egli avvezzo a
ſoffrire , e a portarein pace i caſi.umani, e d'animo grande , e immobile , ne
ſi crolla va punto agli urti di rea fortuna: ne perdita di beni , o altra
maggiore ſventura era per farlo ſmagare:ne movealo onor di gloria , o burbanza
divana ambizione , o qualunqne altra coſa maggiormente al mondo ſi pregia ..
Mail medico avendo a guwar le malattie de' corpi uma ni, ea provvedere a
quelle, che ſono a venire,non ha dub bio alcuno , che ſopra tutto egli della
natura del corpo umano aſſai pienamente dee eſſere doctrinato , e di quelle coſeancora
, che riſtorare il poſſano dalle cagioni, ovale. volmente ceſfarle . Or
chiunque voglia,per quanto glifia dalla debolezza dell'umano intendimento
conceduto , per veni. DelSig. Lionardo di Capon 495 venire a qualcheconoſciméto
della natura del corpo uma no , gli conviene in prima il ſito , la figura,
l'ordinamento, e la grandezza ,e l'uficio delic parti di quello diligétemente
inveſtigare : alla qual coſa manifeſto è , che ſenza l'ajuto della notomia egli
aggiugner non poffa : perchè della me dicina folea dir faggiamente Cello :
incidere mortuorum corpora difcentibus neceffarium . La qual neceſſità inolto
bé gli antichi medici conſiderando , come pienamente nete ſtimonia Galieno , a
ufare i noromici ſegamenti fin da fan ciullezza diligentemente s'avezzano . E
oltre a ciò egli dee bene inveſtigare , e con ogni ſtudio maggiore andar
rintracciando la propietà, o la natura dell'Erera ,dell'aria , dell'acqua,
della terra , della Luna , del Sole , e di tutt'al tri Pianeti del Cielo ;
da'quali corpi tutti continuo fotti liffime , e non vedute ſoſtanze ſgorgano,
quali a pro , e qua li a dannodell'umane vite . Quindi s'andrà egli pian piano
innoltrando a ricercar le naſcoſe virtù de'minerali , de've gerali, e degli
animali tutti , oide il cibo , e imedicamenti per gli huoinini ſi coinpongono .
Cola,la quale cotanto al medico è neceſſaria , che d'effa ſola ſi vanta Apollo
preſſo l'ingegnoſo Poeta latino Inventum medicina meum eſt : opifexque per
orbem Dicor : &herbarum fubješta potentia nobis . E'I Mantovano Omeroper
unico fregio del ſuo lodato Medico riconoſce Scire poteftates herbarum, ufumque
medendi. E l'altiſſimo Toſcano Poeta E già l'antico Erotimo , chenacque In riva
al Pò , s'adopra in ſuaſalute : Il qual de l'erbe , e de le nobil'acque Ben
conoſceva ogniuſo , ogni virtute . Intorno alla qual coſa folea ben dir
Oribaſio , che fenza un tal conoſcimento non fi poſſa dirittamente mádare ava
ti la medicina έχ οίόν τε είναι χωρίς ταύτης ιατρεύαν όρθώς. Ε gia molto prima
di lui la notizia de'ſemplici in più luoghi de' ſuoi libri affai avea
accomādara Galieno, i quali paſſo pal ſo potrannoſi da’curiofi ſcolari vedere :
e ame baſterà al preſen 490 Ragionamento Settimo 1 1 preſente per raccorciar la
lunghezza in così chiara materia d'apportare un ſolo , over'dice : chiunque nel
medicare vorrà da tutte parti eſſer ajutato,egli coviene in prima eſser molto
bene ſcorto , e auſato nelle piante, e negli aniinalise ne'metallize in
ciaſcun'altra cofa terreſtra, delle quali ſervir noi ci ſogliamo ad uſo di
medicamenti, e infra quelle , le più eſquiſite ſceglier ſappia ;
concioffiecoſachè non eſſen do egli in sì fatte coſe dottrinato , ſe mai oferà
un talme Aiere imprendere , ſappiendo , ſolamente in ciarle la nor na del
medicare,non mai ſaprà adoperar coſa degna di me dico , Quinci ſi pare quanto
errino i medici , comequelli, che pongono queſta parte , cotanto alla medicina
necella ria ,in mano degli ſpeziali; concioſſiccoſachè, come avvi fa il
doctiſſimo Fabio Colonna : in quo ille medebitur medi. cusiſilocis contingat
pharmacopolis carentibus, artem exerce re ? an ne verbis ? c più avanti
trapaſſa l'avvedutiſlimo Pier Caſtelli a minacciarne i mali , che di cotal
traſcuraggine agevoliſſimamente ne poſſono ſeguire: medicus , dice egli ,
neſcit quod agro præfcribit: Pharmacopæus ignorat preſcri ptum medicementum :
Rufficus herbarius , qui fæpèlegere ne fcit , &à nemine doceripoteft , cafu
colligit fimplicia: &hoc modopreparatamedicine rarò fanitatem ,
fepiffimemortem afferunt , ignorantiæ finem ; e quàforſe egli li parrà ad alcu
chc per troppo afpri, e faticoſi ſentieri avendo il me dico condotto, omai
delle tante , e tante malagevolezzo , che noi diviſate gli abbiamo , ſenza
altra fatica durare ſia per venire a capo . Ma egli va alcrimenti la biſogna,
rima nendo ancora dopo tanti viaggi nuovi altri pachi lontani troppo , e non
conoſciutia piè volgare : oye fra bålzi, e di rupi, per iſcoſceſi , e
avviluppati ſenticri con gran ſudore , e biftento giugner ſi dee . Egli è il
vero , che giunto poi quivi , trova ben cento , e mille vaghezze allettaprici ,
luſinghiere . Già parę di udirvi dire concordemente , che lo voglia favellar
della Chimica , nella qual ſi comprende tutto il bello , tutto il vago , tutto
il maravi glioſo , che può mai operar la natura,o l'ingegno umano. Ne 10 , zia
2 Del Sig.Lionardo di Capoa. 497, Ne Io fe cento bocche ,, e lingue cento
Avesſi, e ferrea lena , e ferrea voce , alcuna menoma parte de' pregj di sì
iluſtre , e glorioſo me ftiere potrei narrare.Ditelo intáto voi in mia vece, o
arti il luftrio, rare fcienze, o nobilisſimi ſtudi di quella figliuoli'; voi
dilettoſe , giovevoli , e neceſſarie al gencre umano arti dell'agricoltura ,
del fabbricare , del navigare, della mili della ſcultura , della pittura ,
della filoſofia, della me dicina : voi facendo teſtimonianza della grandezza ,
e dellº eccellenza della Chimica ,narrate pure, come da effa -i vo ftri natali
, il voſtro accreſcimento , ilvoſtro ſplendor trac fte : dite come a'voſtri
intendimentiporſe la materia , age volò l'opera : Netacete pure , o ultime pruove'
dell'uma na induſtria , gloriofiffime memorie dell'antichità d'Egittor prezioſo
nepente commendato dalla ſonora troba de gra deOmero , che co’ſentimenti
inſieme i dolori , e gli affan ni de’greci Campioni potcſti aſſonnare;
ricchiſſime coppes allanſonti; e voi cento ,e cento altre Egizie maraviglie ,
che tolte a noi dal teinpo , appena chi vi preſti fede ritro vare interamente
potere. Voi ſuperbe piramidi di Mem fi , voi effigiati obeliſchi di Tebe ,che
all'eternità confc crati Roder non può del tempo invidalima, fare pur chiara
l'eccellenza della Chimica ; e ne'metalli, e nelle gemme , cnegli artificioſi
ordigni da quella portivi raccotate i ſuoi pregj,e le fue glorie eternaméte
innalzate . Ne mé taccia il tépo quanto a capital tenuta foſſe la chini ca dagli
antichi,chegiudicando Diocleziano baftar quella ſola agli Eğizj per
frõteggiare, e mandar giù le glorietutte del Romano Imperio, comenarra colui
appo Suida,diedes alle fiame tutti i volumi di sì nobil meſtiere, va reixnucios
χρυσού , και αργύρε τους παλαιούς γεγραμμένα βιβλια διερευνησαμG έκαυσε και
προς το μηκέτι πλούτον Αίγυπλίοις, έκ τ τοιαύτης προσγίνεσθαι τέχνης , μηδέ
χρημάτων αυτουςβαρβούν ας πρεσία του λοιπού Ρωμαί oss auliceiv . Ma quanto la
Chimica faccia meſtieri alla medicina, da ciò pienamente ſi può ravviſare , che
ſenza quella non può Rrr vale. 498 Ragionamento Settima valevolinente operare ,
ne è da dir arte ſicuramente la mes dicina ; perciocchè , fe come abbiamo di
ſopra lunga mentedivifaro , in cicchi , e confufilimi laberinti: invi luppata
la medicina , nulla mai dicerto fermamenteriſer ba, non v'ha più valevol
lucerna , o più ſicura guida da poter giugnere a qualche veriſimil conoſcenza
delle coſe , che la vera , echimicąſperienza . Enel vero , che giove rebbe mai
al medico il ſapere ad una ad'una le partitutte annoverare , e ſcernere del
corpo umano , ſe.poi della nas tura , e del miniſtero diquelle digiuno. ſi
foffe..? certo , che nulla ; licome nulla ancor monterebbe , che notii fiini
glifoſſero i ſemplici tutti , eivegetali , e gli aniinali, ei minerali , ſenza
ſapere lui la propietà', e l'efficacia di quelli . Perchè a inveſtigar la
propietà, e Puficio delle par ti del corpo umano lungamente affaticandoſi gli
antichi fi loſofanti , fenza la traccia della chimica a poco felice fine le
loro opere riuſcir fi videro : e ciò , tra perchè iſegui ,į le conghietture ,
onde di prenderle immaginarono , poco men che ſempre fallaci , evane fi erano :
e ancora perchè parecchj di coloro , il tutto a quelle ,, che chiaman prime
qualità diridurre s'ingegnarono, dovēdoſi per loro più to fto altre , edaltre
qualità ſpiarc ,dalle quali molto più,che dalle prime , le operazionidelcorpo
umano, come è detto , dipendono. Matroppo malagevoli alcune di quelle fono , e
ad intendimento umano moltonaſcoſe ; così ayviluppatou fono , e infra lor
intralciate le particelle cutte , onde s'in generano :: 0 per la troppa
debilezza de'lor movimenti , o per la picciolezza;,.e cenuità di quelle , o per
altre fomi gliati cagioniagli organi de’noftri ſentiméti celandoſi,non ne
laſciano alla verità pienamente penetrare; Namneque pulueris interdum
ſentimusadhæfum Corpore , nec membris incuffam fidere cretam , Nec nebulam
noctu , neque araneitenuiafila Obvia fentimusquandoobretimur euntes . Così
ancor vanamente ſtudiandoſi gli antichi filoſofanti di comprender la natura , e
la propietà dell'aere , dell'ac que , della terra , delle piante , degli
animali, e de' mine rali, DelSig. Lionardo di Capoa 497 rali , in non pochi
errori inavvedutamente incorſero:; maw pur della loro dappocaggine ricreduti
Ippocrate , Teofra 1to ,, Diofcoride, e altri famoſi antichi filoſofanti ,
sfidan doſi di poter quella con piena, e perfetta ragionegiam mai ſcoprire ,
ſenza più addentro vanamente innoltrarſi in fu la lola corteccia ſi riſtarono
., quel ſolamente ſcrivendo ne , che per lungapruova già ſperimentato
:n'avevano . H che diè cagiondi iclamare a quel gran lume della filoſofia ,
edell'eloquenza Romana : mirari licet, quæ fint animad venfa à medicis herbarum
genera , qua radicum ad morſus beſtiarum , ad oculorum morbus , ad vulnera ;
quorun uim , aique naturam ratio nuſquam explicavit : utilitate, con ars eft,
&inuentor probatues, &indi a poco ſoggiugne:quod ſcămone & radix ad
purgandum ,quod ariſtolochia ad morfus ferpentum poffit , videmus, quod fatis
eft; cur posſit,nefcimus. E comeche altri filoſofanti , emedicidi grido,
dallapore , dall'odore , e daaltre ſimiglianti qualità d'inveſtigar ſi ſtu
diaſſero , come, o caldi , o freddi, o ſecchiidetti ſemplici foſſero , onde
poila virtù di radificare , o di ſtrignere , o di riſtorare , o d'altro
argomentar poteſſero : inutilenondime no,e vano ſempre da'brioni filofotanti il
loro ſtudio fu giu dicato ; e'l medeſimo Galicno , non che altri dice, queſta
eſſere una ſtrada , oltre ad ogni creder dubbievole., c falla ce; ſenzachè ben
rade voltc dal caldo , dal freddo , dall'u ! mido , o dal ſecco -naíce: ma
vifan la più parte l'amaro , e l'acetofo , ed altre fomiglianti qualità , che
ſeconde chia mano . Oltre a ciò , v'ha parecchi de'ſemplici,chène odo re alcuno
, ne ſaporc, ne altra manifeſta qualità avendo, só poi di grandiſfime virtù ,
eziandio belzoardiche , e veleno ſe dotati. E chi mai colla ſola guida de'
ſenti potrebbe av viſar , che l'acqua ftigia , che in niuna ſenſibil qualità
dall acqua comunale differente fi ſcorge , cosi peſtilenzioſa, en mortal poi
ſia ? Solola Chimica con ſue pruove faccendio manifeſti i naſcoſi veleni di
quella potrebbe avátiagli occhi di ciaſcuno quegli acutiſſimi ſali porre,che
già valevoli furo nel fior degli ani, e'nel caldo delle vittorie a roder
crudelmé te al grande Aleſſandro le viſcere ed ogni altra coſa conſu R.15 2
mano , 500 Ragionamento Settima mano , fuor ſolamente l'unghie degli aſimi,
come dice Plu tarco : e.de'cavalli avea detto Pauſania ,, Trogo , e Curzio; ed
Eliano delle Corna degli aſini della Scitia ; e di quelle delle muledice
Plinio:ungulas tătùmmularum repertas, ne que aliam materiā, quæ non proderetur
à venena ſtygis agudo E Vitruvio : conſervare antë eam , &continere nihil
aliud po teſt nifi mulina ungula . Machi potrebbe mai credere , cheſotto la
dolcezza del miele , e dei zucchero cotanto piacevoli alguſto,e ſoavi, a covino
poi alcuni ſpiriti pungenti, e roditori non molto dall'acqua forte, e
dall'acqua.regia diſſomiglianei ? delle quali gli acutiſſimi ſpiriti net
vitriolo , nel nitro , nell' allu me , e nel ſal comune s'appiattano ; e che
nel ſolfo diqua , lunque ſapore ignudo , c digiuno dimori un ſale oltremo do
acecolo , c roditore ; e che nell'olio delle ulive due fali fi ragunino , uno
acutiſſimo , c aſſai valovole a rodere , e l'altro ſoprammodo piacevole , e
ſoave ; e che l'acqua pu ra , e ſchietta , che continuo ſi beve , e ſembra al
guſto co tanto inſipida , ritengi un fale sì fattamenteacuto , e pene trevole ,
che ben balta egliſolo in minutiſſime particelle a fminuzzare , e ſtricolare
quel duriſſimo metallo , ch'alle fiąmme, ed a'fuochi punto non cede ; echenelle
viole, nel ke lattughe , nelle roſe , ne'papaveri ,, e in altre ſimiglianti
ierbe , e fiori, giudicati anzi freddi che no dagli erranti medici, un cotalc
ſpirito-affocato , ed ardente mícoſo li ftia , dallo ſpirito del vino non punto
diſſomigliante . Vanillimi adunque, e fallaci i ſentieri ſono , ch’a ravviſar
le qualità de'ſemplici gli antichimedici s'impreſero : e per giugnere alyero
conoſcimento delle coſe, cgliè di meſtiere,che pré- . diamo ad avviarci Per
ſentier nuovi a nullo anco dimoſtri: cioè (viſcerando , e minutamente partendo
ciaſcun corpo per opera della vitaf notomia , la quale Sempre a vincer ſe beffa
oprando intefa noi veggiamo oggidi a sì bello ſtato eſſer condotta . E quanto
sì nobilc,e glorioſo meſtiere per aggiugnere a'no Itri intcadimenti aveſſe
luogo , ben conobbelo il curiofiſla mo Ga . Del Sig.Lionardo di Capoa. for mo
Galieno , allor che con ogni sforzo la natura dell'accto ftudiandoſi
d'inveſtigare, lungamente indarno diſiderando fi , così ebbe a dire : In queſta
coſa Io non ſon per tentar tutte le ſtrade , e tenterò di far ogni pruova ,
acciocchè poftafi qualchearte , oqualche ingegnoritrovare , col qua le ſeparar
ſi poſſano le parti contrarie nell'aceto , ſicomeſuol farſi nel latte .
Macertomala pruova vi fe egli Galieno,na giugnendo a ciò, che per ogni menomo
ſcolaretto dell'ar te agevolisſimamente s'adopera . Or quat maraviglia fa rebbe
all'orgogliofoGalieno ,c quáto da inenoora li ftime rebbe', fe nel meſtier
della medicina dopo tantiſtudj,e tan ti fudori daun giovane Chimico frvedeſſe a
lungo ſpazio avanzare? nonpur ſappiendo coſtoro in due diverſe ſoltan zel'aceto
partire, il che grandisſimo vantaggio reputave Galieno , main altre , ed altre
molte quello agevolmente freverare: le quali ſottopoſte poi al ſottile,e
profondo eſa minamento de filaſofi , con dar probabile,e verifimile con tezza
delle lor varie ; e diverſe propietà , le tante , e tanto maraviglioſe
operazionidell'aceto ne vengono a manife ftare . Oltre a ciò lo immagino
altresì , che s'egli aveſſes mai il curioſisſimo Galieno qualchemenomacontezza
del la Chimica , comeche rozza; e imperfetta aver potut ? , 11011 đì -ſarebbe
certainéte maieglimaravigliato , come ſotto una sì grande virtù di riſtrignere
, quanta è nel vitriolostanto, tanto calorc covar fr poteffc .- Imperocchè egli
con far di quello notomia agevolmente ,el’una, e l'altra ſoſtanza ri. trovata
v'avrebbe, onde poi d'amendue gli effetcidi riſcal dare inſieme , e di
riſtrignere pienamente n’avrebbe la ca gion compreſa . Efeaveſſemaidiviſar
voluto come il me deſimo ſpirito del vitriolo dueeffetti in - fra le
contrariope rar mai poteſſe , ſciogliendo aleuni corpi caldiſſimi, e rap
prendendo d'altra parte alcuni liquidi , e fortili, e.volanti troppo , ch'a
qualunque oſtinato ghiaccio ligar non lila fciano: 0 como manchevole , e
imperfetto il ſuo filoſofar. .conoſciuto avrebbe . Or di queſta nobilisſima
arte non meno per avventura, che già ſi ſtimaſſe anticamente il pe netrar la,
dove F101 902 RagionamentoSettimo Fuor d'incognito fonte il nila muove , tra
per le tenebre folte disì antica età , e maggiormente per la non poca cura ,
che ebbero ſempre i ſuoi maeſtri di ferbarla a bello ſtudio naſcoſa a' più
altiingegni;o punto no iſcrivendone, o ſcrivendone purcon ritegno , e riguardo
, accennandola con ignoti geroglifici,c.con intralciati eniin . mi , e con
oſcure allegorie , e favoloſi racconti inviluppan dola :malagevolemolto,e
confuſo per certo , e poco mē,che impoſſibile rendeſi a volerne il ſuo primo
incominciamento rapportare; cofa,la quale in tutt'altre biſogne di conſidera
zione avvenir fimigliāteméte ſi vede. Ma che che di ciò Gia, .che di sì nobil
ritrovato deali la gloria all'antica Paleſtina , o pure alla Fenicia ,o
all'Egitto , o alla China , o a qualū quealtra parce forſe più ragionevolmente
la contraſta: egli è coſa ben certa,e ben da ſe medeſima appare eller la Chi
mica antichiſſima, e da’più rimoti tempi eller ritrovata nel mondo , avvegnachè
alcuni non affatto il concedano; e Sao muelBocciardi dica : novum effe inventum
della Chimica favellando , nec illius quenquam meminiffe ante Iulium Firs micum
; il che pienamente teſtimoniano Euſebio ,e Zoſimo; e Suida , c ſpezialmente il
Firmico , il quale tutto che fio tilſe a'répi di Coſtantino , pure traſſe le
ſueſcritture , come ei medelimo ne narra, dall'opere antichiſſime de'Caldei, es
degli Egizj; onde dice il teſtè menzionato Euſebio , che aveffe la Chimica
apparata Democrito:Aquóxer Qu Abdueírris φύσικο- φιλόσοφG- ήκμασεν εν Αιγύπου
μυηθας υπο Οσάνς του Μήδε σαν λέντG- έν Αίγυπω πα αξε τών τηνικαύζ Βαπλίων
Περσών άρχων 7 εν Αι. γύπω ιερών εν τω ιερώτΜέμφεως συν άλοις ιερεύσι και
φιλοσόφους , εν οίς ήν και Μαρία της εβραία σοφή. Και Παμμένης συνέγραψε περί
χρυσού , αργύρα , και λίθων , και περφύρgς λοξώς' . ομοίως δε και Μαρία εσ
ηγέθε σαν παρ' ο'τανε , ως πολσίς και σοφούς αινίγμασι κρύψαντες την τέχνην .
Μa che Democrito ſapeſſe la chimica , ſi può apertamente ve dere in quel che
dice di luiSencca in una ſua piſtola : exce dit porro vobiseundem Democritum
invenifle, quemadmodūs decoétus calculus in fmaragdum converteretur, qua
hodieque coétura inventi lapides coctiles colorantur ; le quali parole di
Seneca fan.conoſccre quanto vada.crrato Giuſeppe della Sca DelSig. Lionardo di
Capox For conto Scala ; in facendoſi a credere non avere ſcritto altrimenti
Euſebio , che Democrito nell'Egitto foſſe ſtato in Chimie ca addourinato ,ma
aveſſe ne'libri d'Euſebio un tal racco to, aggiunto , untal Pandoro monaco; e
comcchè ſi conce deſſe a Samuel Bocciardi, Oſtane non eſſere ſtato giammai in
Egitto , e ch'eglimorto {ifoffe gran pezza innanzi, che colà andaſſe Democrito
; impertanto qualch' altro di cotal nomepotrebbe effere ch’aveſſe qualche
operazione chimi ca a Democrito inſegnata. Ma ſe pure Euſebio errato aver ſenel
nome , da ciò non puòargomentarſi eflerturto il rac Ma ben l'antichità della
chimica affai: appieno dimoArano le fabbriche degli iſtrumenti dell'agricoltura
, las qual ſenza dubbio, niuno colmondo medeſimo nacque adi un'ora :: e'l modo
di coporre il pane, o dipremerdåll'uva, od'altre frutte il vino , e l'artificio
veramente maraviglioſo di fabbricare i vetri , e diformar le gemme, e'l meſtier
del la milizia , e d'altre antichisfimearti giovevoli non poco , e neceſſarie
al genere umano ; le quali ſenza la Chimica non fi poteron mai certamente
ritrovare.. Edella ſua antichif lima lega collamedicinaben ſi può ravviſar
qualche veſti gio appreſſo Teofraſto , ed altri antichi ſcrittori: e da qualche
medicamento ancora delle volgari botteghe ſi può co prendere non eſſer sì nuova
cotal arte , e da’moderni inge gni ritrovata . Mache che ſia di ciò: egliè
certamente l'uo. ficio , o'l meftier dell'arte chimica di ſciorre i corpi
unici, e di congiugnere inſieme i diviſi .. E quantunque ella ſia uns fpezial
arte , che da ſe medeſima reggafi, ne le faccia ne ftieri, o la medicina, o
alcra arte , di cui dipender debba; non però di meno per li molti , é diverſi
fini , in cui gli ar tefici le loro chimiche operazioni talora indirizzar
ſoglio . no , ella infra varie altre arti ſovente s'acconta ;, ma in tre ſpezie
principalınente è partita . La primaſiè, che ſolve, ed uniſce tutti metalli
imperfetti p condurgli a quellaper fezione ( come coloro s'avviſano j che l'oro
in ſe contiene:e queſta vien chiamata da’Greci aepurunanida , La ſeconda ſi è
la filoſofia ,per la quale sì fatte operazioni s'indiţizzano a fin 1 dico 04
Ragionamento Serrimo di conoſcere , e ravviſare la natura , e la propietà delle
co fe a' ſenſi ſottopoſte . La terza- ſi è la medica , che il mede
fimoſimigliantemente adopera per iſpiare; e conoſcerpie namente la patura de
corpiumani, e- giudicar delle ſanità, e delle malattie , e dell'arie , e
dell'acque, e demedicamć ti , e di tutt'altre coſe schad huomo faccian
meſtieri: e an cora acciocchè i medicamenti per quella ſoavi, e grazioſi fi
rendano , e di maggior efficacia ,e ſicurtà per noi ſi ſpe rimentino : e ſi
poſſa ad un'ora più felicemente il veroje conyenevole loro uſo inſegnare.
Comunque però ſi dica no , o ſi faccian gli artefici, egli è ben chiaro -effer
la Chimi ca una cotal arte da per ſe fola; colla quale tanto ha che far la
medicina, quanto delle matematiche , o d'altri ſtudij e virtù certamente
s’inframinette ; ſe non ſe per avventura dobbiam dire ,che maggiore , e più
manifeſta utilità recau alla medicinata Chimica , che tull'altri ſtudi di ſopra
ac cennati unitiinſieme, e rannodati ſi facciano . Perchè come medico Chimico
-ſuolchiamarſi dal volgo colui , che del la Chinica tanto quanto per lamedicina
ſi ſerve , così ſo migliantemente o ſtronomico , o geometra , o muſioo chia mar
colui-fi vorrebbe, che per maggior profitto inmedici na trarre , di sì fatti
ſtudi picnamente fi conoſce . Ma noi nondimeno del comuni favellare l'ulo
ſeguendo, chimnico medico , o chimico filoſofante-colui chiameremo , che del la
chinica arte , o per medicare , o per filoſofare quando meſtier gli faccia
ſervir Si fuole . Madall'uficio , edal fin della Chimica chiaro'fimiglia
temente ſi comprende quanto quclla ne vaglia, e n'ajusi,a1 ži ſicuramente détro
alle ſecrete coſe della natura metter ne poſſa . E ſe veriſſimo cgli mai
ſeinpre ſi crede , ch'allej naſcoſe coſe Non trova ingegno-umano aperto il
varco : chi può mai porre in dubbio , che lo ſcioglimento de'corpi naturali -
il più ſcuro, e'l più agevol modofia da pervenirea qualche conoſcimento
dique’principj, onde compoſti, e formati i naturali corpi ſono : come appunto
dallo ſciogli incnto dc'corpi artificioſi, comed'orioli; o d'altri ſimiglia .
ti in Del Sig .Lionardo di Capoa SOS و ti ingegni fi vengon toſto a ravviſar le
parti, che quei comº ponevano; il che ben conoſcédo i primi padri,e maeſtri del
la natural filoſofia , Pittagora , Parmenide , Anaſimandro , Democrito , e
altri ſaggj filoſofanti dalle continue conſide razioni , che attentamente
ſempre facevano nello ſciogli mento delle coſe , che daʼnoſtri ſentimentiſi
comprendo no le quali noi diciam corpi naturali,di quelle iprimi prin cipj
inveſtigar mai ſempre ſi ſtudiarono . Ne d'altro argo méto fervifli Ippocrate a
forınar l'opinione de'quattro pri mielementi , ſe non ſe di quello della
reſoluziou del corpo umano ; nella qual coſa egli fu poi da Ariſtotele ſeguito
: dicendo , nella carne ,nel legno, ed in altri ſimiglianti cor pi contenerſi
virtualmente il fuoco ,e la terra , poichè aper tamente ſe ne ſeparano; ma nel
fuoco poi noneſſervi altri menti legno , ne carne , ne in atto , ne in potenza
; imper ciocchè le vi foffero , certamente ſe ne ſeparerebbono . E tal
ſentimento dalla torma tutta de’lor feguaci vić abbracó ciato ; a'quali ſeinbra
aver aſſai bene ſtabiliti i quattro pri mi clementi , con dire , in bruciandoſi
una pianta aver vi, oltre al fuoco la cenere , che è terra , e'l fumino, che è
aria : e la groinma , la qual riſudando n’addita non mancar vi anche dell'acqua
. Ma quanto ſpoſata , e fievole una sì fatta pruova fia ,ben pienaméte il
coprede ogni meromo ſcolaretto in chimnica , cui troppo ben ſi manifeſta il
macaméto , e i difetti di cota le ſcioglimento ; concioſliecofachè in ardendoſi
sì fatti corpi,molte , e varic favoleſche, oltre a quelle , che per la
picciolezza in conto verun çavviſar non ſi poſſono , aperta mente per l'aria
ſparpagliar-ne veggiamo : ne è da dire la cenere , il fummo, la fiamma, e
l'umidore eller corpi ſem plici , e non compoſti, che queſti ancora ove più
minu tainente fi folvano , e inſino a primi ſenſibili componenti fi partano ,
ravviſanfi compoſti di particelle di natura , en d'operazione diverſi, come
quelle , che contengono un'ac qua ſemplice , ed infipida , ſenza altra virtù ,
falvo che d'u mettare: e un'olio puro, ed acceſibile,e uno ſpirito ſottile, e
penetrante, e un ſal volante, che ha in ſe, non micno il ſapo Sss re, che 1 506
Ragionamento Settimo le che la virtù tutta del legno : le ceneri altresì fon com
poſte di ſoſtanze diſſimili, ciò ſono un ſale fiffo acconcio a fonderſi nel
fuoco , ed a ſcioglierſi nell'umido , ed una ter ra priva di ſapore , e di
efficacia. E corale ſcioglimento no come il volgare degli antichi in pochi
corpi ſi può dimo ſtrare , ma col conſiglio della chimica , poco men , che in
tutti corpinaturali adattar puoſli ; oltre a ciò poi più addé troil chimico
facendoſi argomentar potrà i ſapori di tutte coſe dal ſal venire in quelle
contenuto , egli odori dal ſol, fo , e dal mercurio la penetrazione ; e per
tacer d'altro,più oltre ancora procedendo ritroverà , che i ſemi del liquido ,
e ſottiliſſimo fuoco nel ſolfo alberghino ; o che ſian quellia guiſa
d'acutiſſime piramidette , o dipiccioliſfimi globi : e che il ſolfo ſia
d'uncinute particelle , e aggavignate com poſto . E così pian piano ricercando
la figura delle parti celle del fale , è degli altri chimici principj
trapaſſerà a {piegare con probabili conghietture tutte le operazioni di quelli.
Così pariinéte dalle chimiche oſſervazioni avviſato , po trà chiche ſia
inveſtigare ,come far ſi poſſano le piovese i grā . dini : come s'ingenerinoi
tuoni,i lápise le ſaette :come dalla forza delle folgori fi dileguise fi föda
il ferro della ſpada,rie manédo illeſa la guaina : come piovano foventi fiate
pietre, ſangue , elatte , e come alla fine ſi formino le ſtelle caden o; le
cagionidelle qualicole , e altre molte , potemo ogo gi col giovamento della
chimica , non ſolo aſſai veriſimile mente conghietturare , ma coll'opere, e
coll'eſercizio prat tico imitare ; imperocchè fifaccia dell'oro una polvere nel
la fornace chimica ; che dagli effetti oro fulminante appel laſi , la quale
acceſa , fa non folo lo ſtrepito , e lo ſtroſcia del tuono , ma anche ilcolpo ,
e la violenza della faeţea ; il che fa altresì quella polvere da ' chimici
parimente ri trovata , la qual tonante chiamano . Così parimente raccoglieſi
dall'evaporazioni dell'acque piovane eſtives , un ſale , chemeſcolato con egaal
porzione di ſalnitro ,e có una particella di ſolfo fa an coral meſcolamento ,
che ac celo li fonde in pietra . Ma di troppo più tempo avrei bi fogno Del
Sig.Lionardo di Capoa. 807 fogno ſe voleffi Io far parole ditutte altre
maraviglie dela le quali le cagioni naſcoſe per addietro , e inviluppare agli
intendimenti de’noftrimaggiori ora per argomenro delle chimiche ſperienze ne fi
rendono in qualche maniera pia ne , e manifeſte . Perchè non è forſe dadubitare
, che ſe l'arte Chimica pervenuta foſſe a notizia degli antichi greci
filoſofanti, non avrebber certaméte coloro nelle loro ſcuo le huom ricevuto ,
che prima in quella non foſſe alcun té po uſato , e ben lungo vantaggio tratto
n’aveſſe ; e per mio avviſo con maggior ragionedi quella , onde Platone, e se
nocrate volean , che nel filoſofare non foffero ammelli com loro , che della
Geometria digiuni foffero , come teſtimo : niano Laerzio , Suida , ed altri;
perchè nella fronte dell'an drone dell'Accademia quelle famoſeparole ſcolpite
legge váli oudéis ayemjétentos sioitw . Concioffiecofachè la chimica fola il
più certo , e ſicuro fenticro lia,da condurre alla na tural filoſofia ; edella
ſola porger ne fappia le chiavi, con cui quelle ſalde ,e diamantine porte
differrar in qualche modo ſi poffano , ove i più cari, e ricchi tefori deita
natu ra fon riſerbati : perchè a ciò riguardando non ebbe il cor to certamente
il famoſiſſimo Meſue di chiamare per van. taggio , e per eccellenza floſofi, e
ſapienti coloro , che del la Chimicaconvenevolmente s'intendono. Ma per
diſcendere al più particolar giovamento , che della Chimica raccor fucle la
medicina : Io dico primiera mente, ch'a bene ſpiarla natura de’viventi, e
ſpezialmente delcorpo umano, e la ſua ben regolata economia ,la chimi ca
lommamente abbia luogo , e la ſua vital notomia ; im perciocchè ſiafi pure
coll’opere della morta notomia a mol te, emolte coſe aggiunto , le quali gli
antichi ſapicaci ravviſar non poterono ; e lungo tratto vi crrarono : e ſap
piaſi pure per quella il vero movimento del cuore , e del ſangue : e che il
ſangue non s'ingeneri nel fegato , o nelle vene , fecondochè con molti altri ,
così antichi , comemo derni porta opinion Galieno : ne men nel cuore,ſicome im
» magina Aristotele : c ſappiaſi anche , che il chilo tragittiſi non per le
vene miſeraiche , ficome vollono gli antichi me Sss dici ; 508 RagionamentoStrimo
dici; maper le vene lattee al ſacco latteo; onde poi meſco laro col ſangue
trapaſſa al cuore : e ſappiaſi eziandio , che vi ha le vene acquofe: c come, e
per quali ſtrade l'orina per le reni trapelando alla veſcica s'ayvalli : ecento
, e mille altri moderni trovati degli ingegnofi notomiſti de’noftri tempi , de
qualierano affatto digiune Legentiantiche ne l'antico errore; anzi concedaſi
altresì volentieri ( il che non mai sì di leg gieri conceder dovremmo ) che la
notomia già all'ultima mano ſia giunta ; e che de'tempi noſtri ſe ne ſappia
quanto mai per tutti i ſecoli ſe ne potrà per innanzi ſcoprire , o fa pere :non
per tanto non potrà di tutto concio ſervire al me. dico per farlo a quella
perfezion ſormontare, che al ſuo meſtier.Sirichiede ; anzidopo tante , e tante
fatiche ſaprà cgli ſolamente una vaga, c dilettevole ſtoria delle parti del
corpo umano : utiliſſima certamente , anzi neceſſaria a do ver ſapere ; ma non
baſtevole già, ne meno a poter in par te fondare , e mandare avanti una verifimile
razionalme dicina : per la quale fa meſtieri ſaper le cagioni dentro , ele
probabili ragioni delle coſe , non già la ſola ſtoria, e'l ſem plice racconto
di quelle . Ne da dir egli è ſaper pienamen te l'economia del corpo umano quel
medico , il quale non potrà render ragione della natura della generazione , del
movimento delcuore, del ſangue, del chilo , degli umori acquoſi, e d'altre
parti così correnti, come ſaldodelcorpo umano , c della propietà ,e operazione
di ciaſcuna di quel le ; le quali coſe inveſtigare impoffibile certamente è
ſenza dovere a chimici ſcioglimenti ricorrere ; per virtù de'quali Avicenna
d'inveſtigare ſtudiosſi l'umidore dell'oſſa , e de' peli : ed affermò,cheavendo
egli ſtillato nella boccia parti eguali d'offa , e di peli , uſcì dell'offa
maggiore abbon danza d'acqua, e d'olio, e minor di feccia: perchè dic'egli, che
l'oſſa più umide , c più ſuccoſe fieno. Ma no pure a ben filoſofare i Chiinici
dello ſcioglimēto de corpiſervir fi debbono,ma co argométo ácora ditutt'al tre
operazioni dell'arte,bé poſſono veriſimilmente ſpiegare, come tanta varieti di
cibi nella ſoſtanza, e nel colore dilli mili DelSig.Lionardodi Capoa. 509 mili
ſi traſmuti ſoventi fiate in un bianchillimo , & unifor me licore , che
chilo appellaſı ; come poſcia il candore del chilo in ſanguinoſa roffezza ſi
trasformi; e donde il cuore abbia il ſuo movimento , e'l ſuo calore , cioè
aſſomigliana do la concozion de'cibial diſcioglimento , over disfacimé to
decorpiſolidi , in virtù di convenienti liquori ; la gene razione della
bianchezza nel chilo , e del roſſore nel fan gue , alla trasformazionedel
colore nel latte vergine , e nell'eſſenza del fatirione , e altre ſimili coſe ;
la continua produzione del calore nel cuore , e nel ſangue : al fervore , che
per la formētazione s'ingenera ne’liquori de' corpi ve . getabili . E cotanto
montano per mio avviſo sì fatticono ſcimenti, che ſenza quelli nonſi può coſa
del mondo intor , no alle malattie , a’lor effetti, e cagionigiammai diviſare;
ne in altre faccendo delcorpo umano , coſa alcuna di con ſiderazione potrà per
huom maidirſi , fe minutamente les dette coſe , e molte , e molt'altre per
virtù della Chimica in prima diligentemente non s'inveftighino , le quali tutte
lungo ſarebbe al preſente volerle quìfil filo narrare . Ma non men utile , non
men giovevole, e neceſſaria cgli è certamente ancora al medico l'arte de
Chimici,colla qua le egliponendo ad una rigoroſa , e ſottile eſaminazione
l'aria , le terre , l'acqua , le piante , e gli animali , eimine rali corpi ,
attentamente poine ſpia , e ne conghiettura la natura di ciaſcuna coſa ; e di
qualunque lor menoma parti cella le propietà , elevirtù , ele maniere tutte
dell'adope rare con probabili, e ſimili conghietture ravviſa . E nel vc ro
queſto , che ciaſcun di noi , e tutt'altri corpi di quà giù ſempremai circonda
, penctra , avviva, emantiene, valtiſ fimo, e diſcorrente , e lieve , e ſereno
, e ſottiliſſimo cor po dell' aria : la quale l'acutiſfimno infra gli antichi
Ita liani noſtri Timeo di ſgretolate , e minucillime particel le di ben venti
facce compone, non è egligià miga ſem , plice corpo , come il volgo follemente
s'avviſa ;ma di varie, e diverſe ſoſtanze compoſto inſieme , emeſcolato . Sorgo
no queſte dalla baſſa terra talora , edall'acque , che quella , irrigano, e forſe
anche dalla luna, dal ſole, c da altri corpi fupe. l 5102 Ragionamento Settima
faperiori vi piovono ; per li qualil'aria, o più , o menoalla reſpirazione, e
agli altri biſogni degli animali acconcia fi rende, poichè nelle cimedegli
altiſimi monti , ove non giungono l'eſalazioni dell'acqua , e della terra , gli
animali fi foffogano ; perchè poi in coloro in varie guiſe le malattie naſcer
veggiamo; perchè canrò Virgilio ſubito cùm tabida membris Corrupto cæli tractu
, miſerandaque venit Arboribufque ,fatiſque lues,lethiferannus. Ma tali
particelle meſcolate inſieme , e nell'aria coufuſe aſſai malagevolmente per
certo , aozi in niun modo ravvi-, far ſi poſſono , ſe non ſi partan prima',
ſolvendoſi ciaſcu na di loro ne' ſuoi primi componenti . Il che con ma raviglioſo
artificio da alcun de'più eſercitati, e più intens denti Chimici felicemente
operar ſi ſuole: e ben ſi ſcorges omai a tal ſegno la coſtoro induſtria
avanzata, che per ope: ra del famoſo Drebellj,parche vi ſi fia già ritrovato
perre ftituirlo all'aere, qualora ne veniſſe egli privo ,quelnobilif ſimo
eliſlire, che giuſta i ſentimenti di Paracello vita infó de a quanto Qui nel
mondotra noiſimuove , & fpira ; che perciò egli vitale l'appellasper cui
l'aere non ſolamente agli animali ,maalle piante cziandio oltremodo neceffaria
eller li conoſce ; e ben di eſſo felicemente avvaler ſi vide to ſteſſo
Drebelli, allorche egliquella maraviglioſa bar chetta da lui fatta a richicſta
del Re Giacomo della Gran Brettagna con iftupor di tutti ſotto acquanel Tamigi
fena vigare ; coméchè il detto eliſfire altro ancor faccia , cioè folvå , e
precipiti giù quelle ſoſtanze nell'aere , che'l ren dono mai atco alla
relpirazione . Ma l'acqua, la quale per bevanda, e per altri infiniti ug è
cotanto biſognevole, quantunque chiariſſima, e traſpa rente , c pura a tutta
poffa fi ſcelga , eli proccuri ; e che al fapore , all'odore , e alla
leggerezza, ea tutt'altri ſesnali ſempliciſſimo corpo in prima neſembri; pur
riandata poi, oltre a diverſe foſtanze, che meſcolare vi ſi trovano , ſe ne
cava ancora un tal ſaie sì fattamente acuto , e pugnereccio , che DelSig .
Lionardo di Capoa JEI che di nulla ha che cedere in forza aque'ſali ,onde per
l'ac qúa regia quel duriſſimo metallo fi ſcioglie , comediſopra accennammo, che
a qualunque violenza di fuoco, ſaldo , e oftinatiſſimo mai ſempre contraſta ;
perchè è dacredere nó bene operar coloro , che il diſtillar acqua per limbicchi
di metallo , e maffimamente di piomboagli ſpeziali permet tono ;
conciosſiecofachè roſicchiato alquanto dallamorda cità di quel fale il piombo,
e trameſtandoſi l'uno all'altro , vengonoinſieme a corrompere,e meſcolare; e
guaſtar ma lamente la ſoſtanza diquell'acqua , che ftillaſi:e allora veg giamo
coforarſi a poco a pocol'acqua , e a guiſa di latte biancheggiare , quando
diſtillata a campana di piombo có altra femplice , e non diſtillara acqua
ſimefcola ; ilche fag giamente avvifarono già i dottiſſimi Accademici del Cinně
80. Ma che che fia di ciò , oltre al ſale , il ſolfo altresì , e'l mercurio , e
la flemma, ela terra dannata ritrovò nell'ace qua il dottismo medico , e
chimico filoſofante Borricchio . E che diremonoi de ſemidi tantis e tanti
vegetali semine rali, e animali, cheper la glorioſisſima induſtria d'alcunº
altro Chimico nell'acqua ancor ſi avviſano : il che diede per avventura cagione
agli Egizzjdi giudicarla primera , e univerfal materia ditutte coſecreate ,
da'quali tolſe Ome ro a dire : Ωκεανόν πθεών γίνεσαν και η μητέρα τηθε ePautore
di que' verſi attribuici ad Orfeo Ωκεανόόσπερ γένεσις παντεσσι τέτυκάι .
Ωκεανών πεώτG» , καλιρρόσυ ήρξαι γάμοια oʻpos saoryvártee góptopýtoege
TyIwTHEY, E’I noſtro poeta , per tacer Virgilio , Catullo , ed altri, ſe .
condo il medeſimo ſentimento avendo egli al fuo Filagli teo fatto ragionare in
prima della terra, Pur non è ella il gran principio immenſo,
Ilgranprincipiodele coſeeterno, Benchèmadre fichiami, e velta : & vanti La
reggia , ei figli ſuoidivize giganti, fa poi, che coluiſoggiunga: Mafo degna di
fede ,èfama antica L'O ! ST2 RagionamentoSettimo . L'Ocean de le coſe.è vecchio
padre. Il qual ſentimento fu anche di Talerc Mileſio , il qual ncl. la ſcuola
de ſapienticosì preſſo Auſonio va dicendo Milefius Thales , aquam qui principem
Rebus creandis dixi. E ciò dal vedere egli , come fasſi a credere Ariftotele ,
effer umido , così il ſeme , onde s'ingenera l'animale, come il cibo del qual
ſi nutrica : e dal credere, come riferiſce Plutarco , il ſole , e le ſtelle
da'vaporidell'acqua nutrirſi, o dall'avviſare ch'ogni qualunque coſa dall'acqua
nafca , ed in ella diffolvafi, comc racconta Euſebio . Malo immagi. no , che
Talete non già principio delle coſe abbia voluto eſſer l'acqua , ma giudicato
aveſſe aver d'acqua in primas avuta ſembianza e, forma quella materia , onde
poiſecon do il ſuo avviſo i corpi tutti ſenſibili del mondo si formaro no; ciò
parimente ravviſar ſi puote dallo ſcoliaſte d'Efiodo , allor che dice , il caos
d'Eliodo , altro non eſſere, che l'ac qua . Ma non men dell'acqua , e dell'aria
ſi dee ancora prender cura delle terre , c con attentisſima eſaminazione
conſide rarle , ove certamente infra tante , e tant'altre ſoſtanze,che
Vallignano foglion diverſe , e varie ſorti di minerali' ritro varſidagli ;
aliti de'quali reſa talora peftilenzioſa, e corrot ta l'aria , o l'acqua , o le
piante, o le frutca , nuove , edi verfe guiſe di malattie ſovente cagionano: ne
altronde, per quel che già Io ini creda , quelle gravisſime febbricomor tal
riſchio degli ammalati in cotali ſtagioni dell'anno accé der fi fogliono, che
per cambiamento d'aria avvenir comu nemente fi giudicano , ſe non ſe da sì
fatti aliti, e ſuapora menti de'minerali, che pervenendo al noſtro corpo , e
dall' aria , ed all'acqua , e da' cibi quivi racchiuſi , e ingozzati, ſcoppiano
poi per la loro abbondanza, e ſoverchio vigore in ardentisſime malattie ;
imperoccliè in quelle ſtagioni il fervor del fole facendo venir ſu gli alitį
arſenicali, vitrio lati. , nitrofi , e ſulfurei dalle occulte miniere della
terra , rende l'aria dannoſa, e nociva alla unana ſalute ; concioſ fiecolachè
in ponçido noi mente alle chimiche operazioni e 1 o ray 1 Del Sig. Lionardo di
Capoa 513 2 ravvifarido , come alcuneſoſtanze , le quali comechè ſc parate ſi
prendano ſenza alcun nocumento per la bocca, im pertanto confuſe formano un
mortifero veleno , come nel ſolimato ſi vede , del quale ogni qualunque menoma
parti cella mortalmente offende, potrasſi agevolmente conoſce re, come
reſpirādofi ne'viaggi ora aliti mercuriali, o a'mer curiali equivalenti, ed ora
ſalini , pofſa produrſi nel cor. po noſtro una ſoſtanza non guari disſimile al
ſolimato ed indi poi quelle mortali infermità di cambiamento da ria appellate
agevolmente s'ingenerino . E ciò vien conferinato dalla ſperienza, come quella
, che ci dimoſtra, ivi avvenir le malattie di cambiamenti d'aria , ove ravviſa
fi maggior varietà diminerali , ed ove il calor del ſole per cuota maggiormente
; ne da altro , che da aliti velenoli, e nocevoli de'minerali da crederè, che
s'accendano ancora quell'altre febbri non men malvagc, e non men peſtilenzio ſe
delle prime, che avventandoſi tratto tratto con lor vio lenza alle Città, e a'
contadi , e a’villaggi tutti, fogliono così infra breve ſpazio di tempo
impoverir d'abitatori le contrade . Ed abbiam noi pure con gli occhi proprivedu
to quanti , e quanti da sì fatte cagioni nella noſtra Città miſerabilmente
morti ſiano, e ſpezialmente ne'meſi addie tro, quando crudelmente diſcorrendo
in alcuni luoghi la peſtilenzial febbre, laſciò vuoto , e diſpopolato il Borgo
Sant'Antonio , ed altre terre ,non ſolo della Campagna Fe lice , ma d'altre Provincie
ancora del Regno noſtro . Ed è egli neceſſaria ancora ſoprammodo a'mcdici la
chi mica acciocchè eglino con l'ajutodi quella valevoli a ſpiar la natura , e
la propietà de'cibi, e de'ſemplici medicamen ti render ſi poſſano ;
conciosſiecofachè quantunquc vero egli foſſe ciò che Galieno medeſimo
coſtantemente niega's c rifiuta ;che i ſapori , e gli odori, ed altre
ſoiniglianti qua lità, certi , e ſicuri ſegnali della natura de'cibije
deʼmedica menti ſiano, pure perciocchè gli organi de’noſtri ſentimen ti di sì
ſottiltempera, c di sì acuto intendimento non ſono , che poſlan ſempremzi ben
comprendergli , egli ne fw certamente meſtieri per iſcorta de'ſenſi
rintuzzatil'Ermeti Ttt C2010 5.14 Ragionamento Settimo ca notomia , la quale
partendo i corpi , ed eſaltandone le qualità ( per ſervirmi d'una voce
dell'arte ) quelle poi ma nifeſte a'curioſi, e ſenſibili maggiormente offerir
poffa . E quale avviſo potrebbe mai per huom' prenderfi dal ſolo fpiamento de
ſenſi intorno a que'cibi,e a que'medicaméti : che pur ven'hà molti : edanche
intorno a que'veleni, che privi affatto ,e ignudi d'odore ,e di ſapore,e
d'altre ſimigliá ți qualità , di tanto vigore , e di sì inaraviglioſa efficacia
ſi conoſcon poiper pruova , qualia danno , c quali a prode gli huomini , chc nulla
più ? E quale argomento prenderem noi dal ſapor di quelle coſe, che di ſoave
dolcezza maſche. rate in prima , come già altra volta abbiam detto, ne lufin
gano il palato , e la lingua , e poi tranguggiate , nello lo maco
formentandoſi, le viſcere, cgl'inteſtini crudelmeute , n'offendono ? Coſa ,la
quale nel zucchero, e nel mele , e in ciaſcun'altra ſimigliante coſa
manifeſtamente fi ſperiméra, Che dolce al guſto , a la ſaluteè rea ; perchè
facendo le beffe a' volgari medici il motteggevol Berni, così proverbioſamente
ne favella: Il melperchèmangiato altrui diſtempre, E’n collera ſi volti ; a cui
l'amaro Danno coſtor , che fan tutte le tempre: Queſto ſecreto così degno , e
raro Maſtro Simon ftudiandoil Porcografo Scoperſe a Brun , che gli fu già si
caro. Or fa tu l'argomento o Babualo , Edì , fe'l mele in cullera ſi volta ,
Segno è , che d'amarezza non è caſo. Ma comechè così alla ſcoperta n'ingannino
i ſentimenti ilmele , e'lzucchero con far veduta d'eſſer cotanto dolci, foavi ;
pure de’lor falli agguati ne fan pienamente avveduti le chimiche machinazioni,
con darnemanifeſtamentea di vedere, nel zucchero, e nel mele un ſale acutiffimo
naſcon derſi, nonmolto a quel dell'acqua forte , e dello ſpirito del nitro
dicimile : Quis mellis dulcedinem nefcit? dice Pier Severino : nibilominusin
tanta dulcedine latent Spiritus illi acutisfimi , qui ubi exaltantur , & ad
extremitatem ducun :: tur, Del Sig.Lionardodi Capoa. 515 tur,venenatā perniciē
represētāt.Eprima dilui Baſilio Vale. tini già detto aveva:jā vero ex illo
fuavisfimiq ;faporismeile Corroſivă peffimü, atq ; præfens venenum
præpararipoteft. Or va medico ingannato , e ſciocco , e giudica pur dalle qua
lità , ch'a prima faccia viſcorgi,le cofe della natura ; con danna la rigidezza
nel ſal comune per la rabbiofa ſete , ch ' accenderſi da quello sformatamente
rimiri: ch'ad ontz pur della tua mellonaggine han ſaputo i Chimici un fales
aceroſo rinvenirvi ad attitare anche agl'Idropici più ane lanti la fete . E che
direm poi del pepe , che così mordace; e pungente , puré un dolciſimo, e
ſoaviffimo fale in ſe na fconde ? E che d'altre , e d'altre pruove infinite ,
che per interamente fpiegarle vi vorrebbono lunghi volumi , non che piccoli
diſcorſi di ragionamenti ? Sarà dunque da con. chiudere , che noi per quanto con
tutta noftra poffa a ſpia: rei ſegreti delle coſe del mondo ci adoperiamo , pur
nonui ne poſſiamo fe nonſolamentele priincbucce comprendere; perchè ſe chimica
mano non le parge , c riſolve , e diſtinta mente elaminandone le parti , le
naſcoſe interiora di qucl le non ci addita , e le operazioni, e'l convenevol
modo di farlo , certamente chiunque ciò follemente intende Ne l'onde folca , é
ne l'arene femina. Eben di ciò fe manifeſta pruova il Cardano ,che col lim.
bicco , e colla Chimica giunſe a ciò che comprender mai non poterono , o
Ariſtotele , o Galieno ; e ciò fu , che nó fappiendo coſtoro la cagione ,
perchè cotanto noccia il vi no ,maſſimamente generoſo , e pretto a colui, che
paciſca di mal caduco,egli ſolamente colla ſcorta della Chimica potè a fuo credere
affai veriſimile ritrovarla:hoc verò dico ( sõ ſue parole) nõ cõvelli puerosà
vini potu ob caliditatem ;quum neq; pipere,neq;aliis aromatibus id eveniat: neq
;quod fithumidū; nă vel noeft, vel lac longè humidius, à quo tamen non convel
tuntur . Caufsa ergo eft aqua ardens , quæ in illo continetur : que quum
latuerit Ariftotelem ; & Galenum, meritò in Aris fotele admirationis
cauffam præbuit , in Galeno multa perpe tam commentandi; eftautem abundantior ,
quo vinum craf Ttt . 2 pius eft. . 116 Ragionamento Settimo 1 : 1 2 fius eſt .
Ma ſe'l Cardano ſtato e’li foffe meglio inteſo nelle faccende della chimica ,
aurebbe certamente una aſſai più veriſimile cagione di ciò nel vino ſcorta , e
avviſata : im perocchè oltre allo ſpirito ardente , che giova anzi che no al
mal caduco , evvi un ſal fiffo acetoſo nemiciſſimo delle parti tutte nervoſe ,
del qual aſſai più , che dello ſpirito ardente egli è il vino groſſo
abbondevole , e copioſo . Ma intorno alle fattezze , così dentro , come fuori
delle coſe, giovevoli oltremodo a raffigurarne anche le vir tù dc'ſemplici ,
non comporta al preſente la ſtrettezza del tempo , ch’lo tanto quanto ne
ragioni;le quali per non dir d'altri vedeſi aver tolte dal Paracelſo , e da
altrichimici au tori, comechè di lor non faccia punto mézione,e averle de
ſcritte nella ſua Pitognomica il noſtro curiofiffino , emol to de’ſegreti della
natura intédente Gio : Battiſta dalla por, ta . Maniuno certamente ha , che con
maggior diligenzas per quel che me ne paja , e più felicemente ne tratti (per
ta cer del Crollio, e del Quercetano) quáto Federigo Elvezio , E coinechè noi
fin qui de'ſemplici medicaméti detto ab kiamo , non però di meno è da credere
la Chimica a'com poſti, clavoratimaggiormente abbiſognare . Furon que fi
ingegnoſi trovati del mondo già adulto ; imperciocchè negliannidell'oro , e
nella felice etade , quando i pomi , e le ghiande Eran del corpo
umanlodevolpaſto : nelle ſemplici piante la germogliante medicina ſolamentes
confifteva ; e allora non men che le ſchiette vivande , i me dicamenti ancora
Vſar le fortunate antichegenti; ma creſciuta poi oltremodo col tempo , e
comprenden doſi dagli huomini eſſer nclle piante qualche parte inutile per
avventura, c qualch'altra forſe nocevole, eglino di par tir l'une dall'altre
per lor biſogne avvedutamente propoſe ro ; quindi tra perchè non ſi fapeva , o
non ſi potea purlaw parte nociva , è inutile dalla buona ſeparare , e anche per
chè così diviſe, debile molto , e sforzata la parte medicinal He rimaneva,
qualch'altra pianta forſe ſaggiamente v’ag 1 4 giun Del Sig .Lionardodi Capoa .
517 1 giunſero valevole ariſtorare i mancamenti, e i difetti del la prima , é a
far sì, che quella nulla , o poco nocer potef fe ; anzi ſe pur Pabbiſognaſſe ,
quindi la ſua virtù notabile mente avanzar nedovefle . Così tratto tratto
cominciaro no nel mondo a comporſiinſieme , e meſcolarſi i medica menti ; e
ſarebbe pure aſſai bene potuta riſtare in tale fta to la biſogna , ſe già tanti
, e tanti indiſcreti , e ſmo dati medicinon aveſſer quindi preſo agio di ſtrabocchevol
mente ſcompigliare, e confonder la medicina tota , con ac cozzare inſieme ; e
meſcolar cotanti medicamenti per ren der la medicina , o più malagevole , o di
maggiorpregio al mondo ; e componendo inſieme una lunga ſchiera di cento
ſemplici medicamcnti, ne formarono talora uirconfuſo , e inviluppatiſſimo
guazzabuglio . Cofa , la quale ſommoſſe i più faggi, e avveduti medici, ed
inveſtigatori della natu ra a lūghisſime quercle,come d'Erafiftrato narra
Plutarco con quette parole: Ερgσίστρατοδιέλεγχε την ατοπίαν, και περιεργίας με
μεζλικα , και βοτανικα , και θηeμακα, και τα από γής , και θαλάθης εις Te
Quroovyzeegwúras oxandryce Citocécouvlas iv mitocrívy , og díxua , και εν
ύδρελαίω τηνιατζικην απολιπε . ΜαEragrafo biamo ol tremodo l'indiſcrezione , e
la curiofità di coloro , che i minera Li infieme , e le piante , e gli animali,
e ciò che mena laterra , o naſce in marein unomeſcolarono; che più fennd af'ai
avreb ber fatto , fe daparte laſciate cotantecoje folamente co’farri , colle
zucche , e coll'Idreleo aveſſer l'arte della medicina ter minaia. E
l'avvedutiffimo, e bé parlante Plinio.fraudes ho minum ,&ingeniorum capture
officinas invenere ifas , in quibus ſua' cuique homini venalis promittitur vita
. E chi non maraviglierebbeſi di tante , e tante coſe , ch'a com por la Triaca
, o'l Mitridate, concorrer debbono , dan ftancare i ſpeziali ,non che a
raccorle,maſolamente in leg . gendone le ricette/ Theriace, diſſe altrove il
medeſimo Pli nio , vocatur excogitara compofitio luxuriæ ; fit ex rebus ex ternis
, quum tot remedia dederit natura , quę fingula ſuffi, cerent. Mithridaticum
antidotum ex rebus quinquaginta quatuor componitur , interin nullo pondere
equali , & qua . rundam rerum fexagefima denarii unjus imperata . Que Deo
518 Ragionamento Settimo Deorumperfidiam iftammonftrante ? hominum enim
fubtilin tas tanta effe non potuit . E avvegnachè cotali medicamen ti fiao poi
nell'opera buoni, ed efficaci riuſciti, non ne ſom però mai da troppo
commendare i primilor ritrovatorizim perciocchè nel comporgli da prima , e nel
lavorargli non con avveduto , e ſano giudicio certamente adoperarono , ma a
riſchio , e a caſo alcune di quelle coſe togliendo ( che pure alcune vi ſon
ſoverchie ſenza pro niuno, c viſi potreb . bono anche dell'altre , e forſe con
maggior ſenno , più ef ficaci aggiugnere)il tutto e nella ſceltage nel povero
,e nels la quantità di ciaſcuna ciecamente alla ventura riniſero , non
guardando minutamente comeſi richiedeva , al valor di quelle , ne punto
efaminandole . Impreſa per molti ca pi malagevol troppo , e quaſi ad huom
diſperata; ſenzachè nel meſcolarſi ,nel diſporſi, e nel formentarſi inſieme i
sé plici,varj , ediverſi mutamenti ſovence avvenir ne foglio 110 ;
iqualicertamente non è da dire , ch'aveſſer mai que primi ritrovatori di quelli
pienamente avviſar potuto. Per chè comenell'incendio di Corinto quel ricco
metallo co tanto dalle ſtorie celebrato nella fortunofa meſcolanza di altri
metalli alla vçntura formofli , così nõ meno il caſo an cora ha parimente
portato , ch'il Mitridate , la Triaca, o s'altra v'ha fomigliante compoſizione
, giovevoli, ed effica ci rimedi per molte , e graviſſime malattie
fortunoſamente fian divenuti. Ma che che di ciò ſia , manifeſta coſa è poterſi
molto be De l'antico ufo rinovando , colle ſole piante medicare ; la qual forte
di medicina, dirò con Adriano Turnebo ,huom di varia , ed eſquiſita letteratura
: fortaffe ad morborum fani taiem efficacioreft ,quam illa confuforum
miſcellanea compo fitis ; magno mortalium , & difpendio , &
damnointroducta. £ noi per tacer de' bruti animali , che felicemente ad ogn ora
l'adoperano il veggiamo pur fare alla giornata a parec chj de'noſtri contadini,
ne ha guari,cheil Caritrero, famo filimo medico Tedeſco , con ufar medicando le
ſemplici piante , non ordinaria lodå guadagnoſli ; e i popoli inge gnofillimi
del Braſile ,iſicome riferilce Guglielmo Pifone , medi DelSig.Lionardo diCapoa.
$19 medicamentis fimplicibus utuntur, noftraque derident , quia compofira ; e
degli abitacori del Mellico , Fra Martino Igna zio ne' ſuoi viaggj , così dice
: los Indios fon grandesberbo-, larios , ycuran fempre con ellas , demanera ,
che cafi non hay enfermedad para la qual no ſepan remedio , y le den :ya
eſtacaufa viven muyfanos , y cafi per maravillamueron, que noſea quando el
humido radical ſe conſuma : ed in quel va ito , e quaſi immenſo tratto dipaefe
della China , comete ſtimonia il Padre Matteo Riccio , fi è medicato permolti,
e molti ſecoli , e ſi medica tuttavia , ed aſſai felicemente coll uſo delle
folc erbe . E certamente come la natura delle ſchiette, e non meſcolate
vivandeoltreinodo ſi dilecta , Nam varieres Vt noceant homini credas , memor
illius eſcę , Que fimplex vlim tibi federit ; at fimulaffis Miſcueris elixa ,
fimulconchylia turdis ; Dulciafe in bilem vertent ,ftomacboque tumultum Lenta
feret pituita : vides ut pallidus omni Cæna deſurgat dubia ? quin corpus
onuftum Heſternis vitiis animum quoque pregravatuna Atque affigit humo
divineparticulam aura. Così anche ſchietti , e non compoſti medicamenti per
riſtorarſi richiede ; perchè Plinio : non fecit , diffe , ceraia , malagmata,
emplaftra , collyria , antidotaparens illa , ac di vina rerum artifex :
officinarum hæc , imo veriusavaritia commenta funt. Pure , poichè la coſtuma
de’meſcolati, co me de'ſemplici medicamenti, è tanto oggidà nel modo avā zata ,
che per legge è quafi da ciaſcun ricevuta, e ſi veggo. no sì fatti rimedinelle
botteghedegli ſpezialicötinuamen te a calca difpenfare : convenevol cofa egli
certamente , anzi neceffaria mi pare , dovere il medico degli unis e degli
altri piena , e ficura contezza avere ; e oltre a ciò nelle ma niere del
lavorare i compoſti medicamenti eſſer ottiinamé te ammaeſtrato . E certamente ,
o quanto farebbe egliil migliore , ſe il medico medeſimo i rimedj, che diviſa ,
po • neſſe in opera , e non ci foſſero ſpeziali, i quali tri per l'in gordigia
del danajo , e per la loro ignoranza il tutto traſcu rata : 520 Ragionamento
Settimo 1 1 ratamente abborracciaffero ; o almeno lavoraffcro imedici qualche
medicamento dimaggior conſiderazione , laſcian-, do ſolamente in man degli
ſpeziali i più volgari , e meno vili: come già coſtumavano (ſecondo il narrar
di Galieno ) Archigene, Andromaco , Apollonio , Critone, Pacchio ,e altri
famoſiffimi medici antichi; i quali non iſdegnarono ď. ufar ſovente un così
giovevole , e aobil meſtiere ; an , zi lo ſteſſo Galieno vantaſi oltremodo
d'aver lui mede fimoa ſue mani la triaca lavorata; avyegnachè di que’tein pi ,
come e'medeſimo ne fa teſtimonianza , e molto addie- : tro ancora , il meſtier
delmedico da quello dello ſpeziale diviſo anche trovaffefi,come avvifa infra
gli altri Plinioidid cEdo, che alcunimedici de'ſuoi tépi no li davan cura niuna
dicoporre imedicaméti,gefepropriú,ſono ſue parole ,medie cine ſolebat:ene'répia
noi più vicini ebberoi medici ancora le lorbotteghe;avvegnachè conventati, e
onorati molto ſi foffero , e in quelle alcuni medicamenti ad uſo di vende re
riſerbaroro : come dal Decameron delBoccaccio nel la novella del Maeſtro Simone
agevolmente ſi può cópren dere ; a cui Bruno dicea : e ſappiate , che quelle
camere ſono nonmenoodorifere che fienoi boffoli delleſpeziedella bottega voftra
, quando voi fate peftare il comino. El Fernelio, ed altri famofiffimi
medicihan coſtumato pure di comporno alcuno s perchè l'avvedutiſlimo Orazio
Eugenj loda foin mamente coloro , che imedicamenti pe’loro ammalatian ſue mani
lavorano . Ne dovrebbe ilmedico certamente vergognarſi a pur farlo 3
perciocchè,comedice Primeroſio , remedia abfque medico curant,non autem medicus
abſque re mediis ; præftantior igitur medico erit remediorum natura : quare ea
præparare , &componere medicum non dedecet, qui naturæ tantum miniſter eft.
E nel vero egli è queſo un meſtier sì nobile , e lodevole , che non che i
filoſofi di mag gior lieva , e ſpezialmente Ariſtotele l'abborriſſero , e l'a
veſſero in diſpregio , anzi i Principi d'alto affarc ſovente l'adoperarono, e'l
tennero a conto. Or ſe il medico medeſimo a pro de'ſuoi infermi lavorar dee
DelSig. Lionardo di Capoa ser deeimedicamenti ,e ſconvenevol coſa non è a
ſalvamento degli huomini l'adoperarviſi ; come potrà giammai , quan tunque
faggio , e avveduto egli ſia ', porre in opera, e com porre i più malagevoli
rimcdj, ſenza avere in prima bene , uſate, e ſperimentate lungo tempo le
maniere , e gli artifi cj , co’quali ſi compongono ? iinperciocchè l'efficacia
, e'l valor di quelli dal niodo dell'apparecchiargliin gran parte depende. O
come potrà mai pienamente diviſar de'ſempli ci , de'inodi , co'quali tra loro
quelli accozzar ſi debbono, e tramcſtare ? perchè Giacomo Silvio intendentisſimo
di cotali affari vuol, che chiunque a bene imprender l'arte della medicina
indirizzar ſi voglia,debba alinen per lo ſpa zio di quattro anni avercontinuo
in prima uſato , ebazzi cato con gli ſpeziali nelle botteghe loro ; &
quidem exifti mo , dice anche Pier Caſtelli , oprimum medicum hujus fu cultatis
debere effe expertiſſimum : alioquin fore , utfere fem . per in præfcribendis
medicamentis compofitis erret. Mari tornando , onde partiti eravamo: ch’al
inedico faccia biſo gnola Chimica , quanto al fatto delle compoſte medicine,
egli non è da porre in forſe ; poichè ſi ſcorge omai di per; tutto eſſer in uſo
le chimichemedicine; perchè ſe'l medico non aurà piena corezza delle faccéde
pertinenti a coral ar re , come potrà inai quando meſtier glie ne ficcia , o
colle fue propic manicomporle , o adoperarle, o conoſcere al meno , c riparare
aldanno , che quelle aveſſero per avven tura cagionato ; o ſe forſe da altri
medici diviſati foffero , raffermare i loro sériinéti, o rintuzzargli,ſecodo
egligiudi chcrà , che ſi convegna per lo miglior dell'ammalato. E nel vero come
potrà mai adoperar medicinenti un medico , ſe non ſe intendentistimo della
natura , e delle propietà delle parti, chic’lcompongono , e degli effetti
ancora , e del mo do del loro operare ? E come potrà mai egli ſaggiamente
ordinargli ad argomento d'una , o d'altra malattia ; e divi . farle ſtagioni, e
itempi , in che fan da dire , c alle conj: pleſſionidegl'infermi, e all'età
ragionevolmente adattaro gli ? o comcpotrà mai loro ordinare il inodo di
prenderglis e diviſarne la quantità : 0 temendo di qualche riſchio rin Vuu tuiz
522 Ragionamento Settimo tuzzarne, e attutarne la troppa violenza , o contro
quella agli ammalati di qualche yalevole ajuto di preſente ſoccor rere ; o
toglier lenoje, ei fastidi , che ſovente ingenerar ſo gliono ? Non è certamente
cosìagevole , ſecondo i ſenti menti del medeſimo Galieno, il poter medicamenti
adope rare a colui , cui conoſciuta in priina , e manifeſta molto bé non ſia la
virtù di quelli, e la forza per la quale gli effetti n ' avvengono . Or che di
grazia avrebbe detto Galieno , re : qualche contezza pur delle chimiche
medicine , comechè leggeriffima, gli foſſe all'orecchio pervenuta ? Certamente
conſiderando egli le ſtrane maniere , e malagevoli del loro operare, ayrebbe
ne' medici ricercato ſtudio , cavvedia mento maggiore ; e non che piane ,e
facili , e ſenza trop po riguardo giudicate l'avrebbe , ma pericoloſiſſime a
ſpe rimentare , e da troppo più, ch'a popolar medico non lico viene. Or vadano
pure coteſti medici di cromba marina, e colla ſola doctrina del lor macſtro
Galieno a far pruova de'chimici medicamenti a coſto della vita dc'inileri amma
lati ſcioccaméte s'attentino,che vedran pure a funeſto, e la grimeyol fine le
loro mal ardite follie sépremai riuſcire;im , perciocchè ne dalle ſcritture di
Galieno, o d'Ippocrateme defimo, ne da altri lor ſeguaci , che della chimica
medici na nulla certamente s'inteſero , comprender mai potranno coſa alcuna
intorno a'chimici medicamenti ; ne dalle rego le , che già coloro ne laſciarono
fi può trarre argomento 2 comporne alcuno; ſo per quelle le propietà
de'inedicamé timedefimi della lor comunal medicina, nc anche avviſar fi
poſſono: perciocchè , ficome è detto , in quelli ancora il chiariſſimo lume
della Chimica ne fa meſtieri .Ne quelno biliſſimo pronipote del gran Re di
Damaſco , Giovanni fi gliuol di Melue nella chimica medicina, e in quella di Ga
lieno , maſſimamente intorno alle purgagioni eſercitato , n' avrebbe mai
conſigliato , cſfer ſempre da leggere , e ſtudiar ne’libri de'fapienti (
cosìchiama egli per eccellenza i chi mici) s'aveſſe giudicato averfi ciò potuto
baſtevolmente in que' diGalieno, c dc ſuoi ſeguaci apparare :netanti , etā ti
valentillimi Galicniſti avrebber poi il conſiglio di Meſue qual DelSig.Lionardo
di Capoa. 523 qual legge ſeguito c, con molta fatica ne'volumi, e nelles fucinc
de'Chimici lungamente ſudatinon ſarebbono . E licomc ad huom poco giova
l'eſſere nell'antico meſtier dell'armi baſtevolmére eſercitato , ſe poi ad
abbatter Roc che, e Caſtella ,e ſorprender Città:dimine, d'archibugj , di bombe
, d'artiglierie , e d'altri nuovi , emoderni ſtru menti , ed ordigrida guerra
dalui per addietro nô mai più veduti, o ſperimentati, ſervir ſi vuole; ma
conviene in pri mache da nuovo maeſtro , e intendentiſiino di quelli pic
namente apprefi gli abbia,e come,e quando , o per offefa, periſcherno da
adoperar ſiano : così nulla ancora a'medici approda il ſaper coloro
compiutamente quanto mnai nell’ : antica , e volgare fcuola diGalieno apparar ſi
poſſa, ſe mai chimici medicamenti uſar ſaggiamente intendono ; ma egli fa di
meſtieri, che ben anche in prima da Chimico macſtro apprcli gli abbia, e la
maniera d'adoperargli, e l'arte di bé comporgli pienamente abbia apparata;
imperciocchè fe così sfornito dell'arte , e ſconſigliato ſi vorrà ad impreſa
çotanto matta , e malagevole arriſchiare, certo mala pruo va vi farà il ſuo
orgoglio ; e rimettendo il medicamento al Izventura , e alla cieca andando , a
manifeſto , e certiſlimo pericolo la ſua fama iuliemc, e'l falvamento
dell'anmala to alla fuacura commeſſo porrà . Così quella famoſa ſci mitarra
diquell'invittillimo Eroe Georgio Caſtriota , la cúi memoria ancor teme, e
trema l'infedel popolo ſaracino, diceſi , che in man di Macometto Re de’Turchi
le ſue glo rioliflime pruove laſciate aveſſe : ita plerique medicine, dice a
noltro concio Teodoro Chercringio , chymice præſertim , aut mortue ,aut (quod
deplorandum magis) mortisfæpè cauf ſefunt, quando non animantur periti
Doétorismanu, qui no verit eas tempore, &loco adminiſtrare . Così anche
dopo l'infelici pruove per lui fatte nella gioſtra, Colui ch'indoffo il non fuo
cuojo haveva, Come l'afino già queldel leone, il viliſfimo Martano , lo
dico,ritornato in Damaſco fu qui vilungamente ſcherno delle femmine , e
de'fanciulli. Ma tanto più da piangercè , comechèdirifi ancor degna ia ,la Vull
liioc 524 -Ragionamento Settimo ſciòcca tracotanza dicoſtoro ', quanto in
malamente uſan do le chimiche medicine , quantunquc ſicure , e piacevoli quelle
ſieno , pur n’ammazzano crudelmente gli ammalati. Così il dotto Galieniſta per
altro , e avveduto molto To waffo Eraſto collo ſpirito del vitriolo un
cattivello infer mo empiamente a morte conduſſe per no aver lui nel fuo maeſtro
Galieno la natura , e l'uſo di cotal medicamento apparato ; che ſe egli dal
Severino , dal Penoto , dal Dor neo, o da altro profeffor della Chimica
medicina;da lui cos tanto biaſimatas appreſo aveſſe , e pienamente conoſciuto
come , o quando lo ſpirito del vitriolo da dar ſia , certame tc eglicotanto
misfatto comıneſſo non avrebbe. 's E forſe , che nel medeſimo fallo appunto
dell'Eraſto no ſi è quì bruttamente cader veduto non ha guari un credu to , e
molto ſtimato Galienifta , il qual collo ſpirito fimi gliantemente del vitriolo
un miſerabile infermo, cui, per troppo ghiottamente eſſerſi riempiuto di
freddi, e aceto ſi liquori , fi era riſerrato il perto , infelicemente ſtrago
Jandolo licciſe ? E piaceſſe pure al Cielo , che per l'abuſo di sì fatto mc
dicamento non fi vedeſſero tutto giorno miſerabilmente molte , e molte perſone
morire . Egli è coſa troppo mani fefta , ſe pur merita fede la ſtoria
rapportata dal Checher manni, di quell'Elettor Paladino, cui per l'uſo dello
ſpirito del vitriolo l'interiora tutto guaſtc , e roſe ritrovaronfi. Ne giova punto
a cellare il pericolo de'ſuoi peftilenzioſi effet zi l'adoperarlo con ritegno ,
e riguardo, e ſcarſamente uſar lo , teinperandolo anche talvolta con acqua , o
altriſomi glianti liquori; concioſiecoſachè dato più , e più volte co
minciapianamente ad operare , ea poco a poco rodendo , infin le tuniche del
ventricolo , ſpietatamente alla per fine conſuma, c divora . Così talvolta al
continuo ftillar d'ofti nata goccia mancano finalmente i duri macigni. Et
leviter quamvis quod crebro tunditur ietu , Vincitur in longo ſpacio tandem ,
atque labafcit. E pur lo ſpirico del vitriolo per altro cosìbenigno,e pia
cevole ſi ſperimenta , che ben felicemente a'fanciulli anco :. ra da Del Sig
.LionardodiCapoa 525 1 ra dacolui , che cautamente ſervir ſe ne ſappia fuol darli
. ? E ſe'l vitriolo baltevole a guarir la quarta parte de'rnali da quel
grand'huomo in medicina Teofraſto Paracelſo vienu giudicato ,ben da colui
ancora il ſuo ſpirito vien fomma mente lodato con chiamarlo
quartampharmacopolii partēs & lapidem angularem in officinis
pharmacopoeorum ; avve gnachè cotefto ſpirito , che comunalmente nelle botteghe
degli ſpeziali per ciaſcun fi diſpenſa , non fia veramente quellofpiritodi
vitriolo cotanto da Chimici commêdato na altro più groffo , e di minor virtù ,
e giovamento di fuello . : ! is Ma per ritornare a' grofliffimi errori ,
ne'qualiper nons aper di Chimica fogliono i medici, comechè faggj , e av
veduti, talvolta ſmucciare , egliè pur manifeſto a ciaſcun quanto fcioccamente
, e fanciulleſcamente dell'antimonio il dottiſſimo infra’ſeguaci di Galieno ,
Mercuriale favelli. E chi non iſcoppierebbe delle rifa in conſiderando la mel
ionaggine di quel famoſiſſimo Gåſieniſta , e cotanto nella lottrina del fuo
maeſtro eſercitato , Aleſſandro Maffaria ? vvegnachè più toſto da pianger fiat
, che da ridere la com fioro ignoranza per li ſconcj avvenimenti , e funeſti,
che ne fuguono . Egliadunque intorno al medeſimo antimonio dopo averne
cosìinfelicemente favellato , venendone all' lifo del darlo , e diviſando in
che quantità da dar fia ,in und fua cotal ſciocca ricetta ,cosi ragiona: Recipe
antimonii pre parati 8.3. Orchi Domine giammai il fentimento compré der ne
potrebbe ſenza andar dalle gabbolc a ricercar ſe de fiori , o del gruogo , o
del vetro , o d'altre, e d'altre molte medicine , che foglion farſi
dell'antiinonio , abbia intender voluto ? Ecco appreſſo il nottro Antonio
Santorelli nella volgar dottrina de Greci, e degli Arabi maeſtri famoſifli
moſcrittore, diviſar dell'acqua arzente in una delle fue opere così ſcioccamente,
che nulla più . Ecco il dottiſſimo Galieniſta Giovanni Eurnio così traſcurato
in favellar del fale del vitriolo vomitivo , cheda piacevoliſſimo chequel, loè
, facendolo fomigliante nella violenza all'ariento vivo precipitato , ed al
vetro dell'antimonio , lo riftrigne , eris fpar ' 526 Ragionamento Settimo .
ſparmia a nôn darlo all’ammalatosſe non nella quantità ſo la di due minutiſſime
granella digrano . Ecco d'altra parte il più illuſtre , e famoſo medico de'ſuoi
tempi Guglielmo Rondelezji doftar forte , e temere , non la raſchiatura del
dente del Cignale rattenga talvolta nelmal della punta lo fputo;nel qualviluppo
certamente egli involto non fareb be , ſe nella maniera del filoſofar de
chimici in medicina baftevolmente avanzato fi foffe ; concioffiecoſachè cota li
rimedi per lo loro Alcali volante mai ſempre operiuo ; il qualpenetrando , e
trameſtandoſi colfale aceroſo, che nel le vene , e nella punta s'accoglie ,
eſciogliendo le dutez ze dell'apoſtema, agevolmëte quindi per ogni via così
aper ta , come occulta ,non che per quella ſola dello ſputo,ne fa ſpiccar fuora
la inateria tutta inſaccata . E ſe cotal via di filoſofare quell'altro
famoſiſſimo Medico Prevozio te nutå aveſſe ,certamente, che ne anche eglicosì
ſcioccamé te temuito ayrebbe di dar nelle febbri maligne agli ainma
latiil.corno del cervio . Ma come , o in qual guiſa a sì no bilmente
filoſofar'nelle maraviglioſe operazioni della chi mica potrebbon mai
indirizzarſi i tondi , c goccioloniGa lieniſti, ſe nelle coſe più piane , e più
manifeſte di quellow , anche v'ha infra loro chi Come notturno augel nemico
alſole cieco affatto ', e rintuzzato d’intendimento vive ? Egli non può
narrarſi certamente ſenza ſmaſcellar delle riſa la peco raggive di quel famoſo
conventato Galieniſta nell’Acade mia diGroninga, il qual troppo
fanciulleſcamente giudica va lo ſcoppio , c'l tuono dell'oro fulminante per
opera de ' Diavoli avvenire : e ciò turto pauroſo attendeva, non altri menti ,
che il Macſtro Simon fi faceſſe , quando ſu la beſtia imperverſata, e nabiffante
inyer la Conteſſa di Civillari ini corſo andava . Nuper aurum fulminansracconta
il Chippe ro , cujus fi granum unum , aut duo carbone defuper lentè ac cendas ,
bombardam minorem fonitu aquat,ſi non antecellit; ut meritoridenda fie
Freitagii focordia ;&contradicendi ftu dium ; dum tale quid fieripofle
naturaliter denegat , ctſi oma ninò effectus evidentia cuvincatur, ad Dæmones
hujus cauſ; fam Del Sig.Lionardo di Capoa. 527 fam refert : dignum certè hac
patella operculum , & hoc philos fopho hæcphilofophia. , Egli è dunque da
conchiudere eſſer la chimica ſomma mente neceſſaria alla medicina tra per li
medeſimi volgari medicamenti de'Galienifti, e più aſſai per quelli, che di el
fa Chimica ſon propi , e che per opera diquella , e de' ſuoi ftrumenti ſolamente
ſi compongono ; e maggiormente in quelli l'arte ſottiliſſima della Chimica fi
conviene; che co me è già detto , così pericoloſi ſono ,e da temere inmaneg
giarſiper le ſtrane, e non ordinarie maniere del loro opera re . E
concioſliecoſachè v'abbia cotali rimedj non iſcorti alla lingua, e alle nare ,
e d'ogni ſenſibile qualità affatto ignudi , che per regole d'ordinaria medicina
non può la lor natura agevolmente comprenderſi: egli è di ineſtieri certa mente
per non fallar nell'avviſargli, alla chinica notomia ſopratutto
ricorrere;ſenzachè havvi alcuni particolari me dicamenti , detti ſpecifici , i
quali convien fenza fallo , ch'a chiuſi occhi , e ſcioccamente lavori , e
maneggi chiunque del meſtiere , c del modo del filoſofar de Chimici non è bé
dottrinato , e intendente affui ; perciocchè sì fatte ricettev: nella pratica
della medicina , così brevis ce ſecche , ecalor confule , e incerte ne'buoni
ſcrittori ſi trovano , che per im broccarnela quantità , o'l tempo , o la
maniera d'uſarle , o le malattie , nelle quali da adoperar ſono, malagevole cer
tanente ſarà ad intendimento umano; ed è ſolo de' Chi miciragionevolmente , e
ſenza fofpetro alcuno l'adoperar lc , e ſervirſenic calora , dove lor faccia
meſtieri, con effer in prima fotcilmente filoſofando nella lor natura ben
penetra ti ; e per quel che permeſſo ad huom ſia , con aver le loro qualità
baſtevolmente compreſc . Cofa , la quale quanto monti a dover ceſare i riſchjge
i danni, cheda sì fatti me dicamenti naſcer poſſono , pur troppo è a ciaſcun manife
fta . Ne è già punto maraviglia , ſe gli arditi , e poco avve duti Galieniſti
ſcioccamente inframmertédoviſi,la lor par te ancor vifanno : ſe come è detto ,
anche nell'adoperare i . Jor medeſimi medicamenci van carponi, e brancolando
per l'incertezza,quaſi ciechi al bujo ; e in quelli maſſimamente , a’qua 528
Ragionamento Settimo < aquali dan nomedi virtù occulta , cioè a dire di
ragion no conoſciuta , e non punto da lor compreſa , credendo così la lor
groffezza , e laloro ſciocca pecoraggine coprire. Ma d'altra parte i chimici
medici filoſofanti innoltrandoſi quá to per huon ſi puote nella contezza
demedicamenti,eco noſcendo aſſai veriſimilmére la natura dc'mali, e le cagioni,
onde avvengono , ſicome con avveduto , e probabile divi famento fortilmente ragionar
ne ſanno , così con loro no bili , ed efficaci argomenti digran vantaggio
riparando ſo-, vente al genere uinano , degni d'immortal gloria , ed'eter na
fama ſirendono ..., mily Magià baſtevolmente dimoſtrato quáto a color, che me.
dicare intendono faccia meſtier: la Chimica : a divilar de' chimici medicamenti
, e quanto ſovente ne lian neceſſari. trapaſſeremo. Ma comechè lo di ciò
fivellar per comuns giovamento m'ingegnj, e ne renda maggiormente avvedu-. ti
gli huomini delmondo , pur dubito , non alcuni dannā- ) do ,ebiaſimando sì
fatti rimedj inalgrado per avventura me ne fappiano . Dunque dirà taluno,
queſt' altra nuova ſorte dipeſtilenza all'uman genere mancava ? e non baſta va
forſe a impoverir di gente le provincie, e i Regni, il vuo tar di quel prezioſo
liquore,a cui s'attiene la noſtra vita, per , ogni menomacagion le vene ; e
co'duri cauterj, e con crui deli veſcicanti , e altriricroyati di barbare , e
ſtrane nazioni martoriar miſerabilmente le genti:e a toglier alle parti più
ſodedel corpo umano il debito nutrimento , e la virtù di ravvivarlo , e di
riſtorarlo alle liquide : uſar le ſcamonces , gli elaterj , le colloquintide ,
ilatirj , i pepli, gli Elleborin , iTurbitti , iMezerj, le ſquame del raine, le
pietre lazule , e tante , e tant'altre forţi di nocevolislimi veleoi più ches ,
di riſtorativi argomenti dell'antica volgar medicina , ſe non vi congiuravano
ancora a noſtro comun danno i potentiffi mi precipitati , i mercurj divita , 0
Alcarotti , come altri gli chiama, i verri , i fiori, e altri cento
violentiffimi vomi tivi tratti dell'antimonio ,del vitriolo , del mercurio , o
d'al tro qualunque più peſtilenzioſo minerale ? Deh piaceſſo pure al grande
Iddio , che, o non mai uel mondo foſſeliin he trodora ( DelSig.Lionardo di
Capoa. 529 trodotta la medicina; o almen , che non inai ella ſtata ſi for ſe
colla ſpagirica arte accoppiata , e delle nuove , e ſtrane
fortide'medicamentidiquella dannevolmente accreſciuta : che mé malcerto ne
farebbe dalle malattie medeſime inter venuto di quel, che tutto dì oggi per mā
de’medici miſera bilmente proviamo. Or s'accreſcano pure a ſtruggimento, e
ſterminio delle noſtre vite nuovi, e muovi ſtrumenti di mora te ; e
gl'ingegniumani s'aſſottiglino,e s'affannino , e ſudina a gara per imprédere
un'eſercizio così in fauſtojcosì crudele, che nemeno a'ſuoimedeſimi artefici
ſuol perdonare, che im appreſsãdoſi ſolamëte a'fornelli no debban ſovente
correr manifeſto pericolo delle perſone. Così morifli ancor gio vane il Tedeſco
Teofraſto , non già da’maligni Galieniſtip invidia atroflicato ,
ficomecomunemente per tutto allor buccinavaſi,ma al parer dell'Elmonte ,buo
giudice in sì fata te coſe ,da’medeſimi minerali ; che continuamente e' manego
giava ; dal cui nocevole , e peſtilezioſo fummo l'Elmon te medeſimo confeſla ſe
eſſere ſtato più fiate in grandiſſimi riſchj della vita condotto . Così anche a
' tempi noftrive duto abbiamo quel cattivello nella ſtrada delle Campane dagli
ſpiriti del nitro , e del vitriolo , e da altri minerali do po continuo tremore
, ch'e' n'apprefe , e dopo lunghe , e gravi malattie miſerabilmente alla fine
morirſi . Orqual danno dovrà egli intervenirne a colui , che quaſi cibi inno
centivolentier gliſi tracanna , fe cotanto nocevole , e dan noſo è l'avergli
ſolamente davanti Ripone tra' ſuoi egregi vanti la Chimica di ſapere oltremodo
i medicamenti delle parti inutili , e nocevoli ſpogliare , e di rendergli
benigni aſſai, ed efficaci ; ma per tacere , che alcuni di quelli ( e'l
confeflano comechè mal volétieri i loro artefici medeſimi) deboli , e ſpotſati,
e di niun momento dal ſuo maneggiar diventano , parecchi , e parecchj ( coſa la
quale certamé te è peggio aſſai , e dura oltremodo a ſofferire ) di mezza
Haméte nocevoli, che in prima erano , o pur tali ſi dimoſtra vano , rendegli la
chimica col preparargli non altrimenti , che imedeſimipiù fieri toſſichi,
crudeliffimi, e micidiali . Dica pur queſta nobiliflima Città : quanti, e
quanti nel 1 Xxx ten 530 Ragionamento Settimo tempo della paſſata peſtilenza
con dolori acerbiffimi di vi. ſcere n'aveſſe fatti morire quel velenofiffimo
ariento vivo precipitato , ch'angelica polvere allora chiamavano , pro poſto
allordal Protomedico di que'tépi a comun ſalvamé. to degli ammalati,e co
pubblico editto diyolgato colle ſtá pe. E ragionevolmente per avventura dubitonne
alcuno , ſe più huomini allora per la potentisſima violenza di quet medicamento
, o per la medeſima peſtilenza mancaliero . Edo quanti, e quanti alla giornata
veggonfi privi di vi ta , o cagionevoli reſi della perſona per opera di chimici
ri medj, de’quali la maggior parte conſiſte in lavorare i mine sali;i quali
dalla noſtra natura affatto rimosſi ,altro mai, che dolori, noje , malattie , e
morti recarnon poſſono . Odafi per Dio ciò , che di coteſti Chimici , e della
loro ſcuola di dica ildoctisſimo Erafto , l'eloquentisſimo Cortino , il ſot
tilisſimo Riolano il padre , e la ſcuola famoſisſima tutta di Parigi. Odaſi
come con ſaldisſimeragioni nuovamente gli rintuzzi , e mandi giù l'acutisſimo
peripatetico filoſofo, e Galieniſta Ermanno Corringio ; e ſopratutto ſi
riguardi a ciò , che dalle genti pe’mal capitati infermicontro a'chi ci
medicamenti tutt'or querelando ſi dica , e le beſtemmie atroci, che per tutto
contro lor ſi ſcagliano . Deh sbandi ſcafi per Dio da queſta Città, sì nocevole
, c dannoſo me ftiere , e con rigoroſisſimi divieti ſi mandin fuora delle bota
teghe degli ſpeziali, e da tutt'altri luoghi le chimiche me dicine. Ne già mé
ſaggj nel vero , e avveduti eſfer dobbiam noi de'medici Melaneli, che il
dannevole uſo dell'Alcarot to vietarono ; e ſe ſono , e con ogniragione , da'
noſtri fta tuti proibiti gli uſi degli archibugetti e degli ſtili , e d'altre
ſomiglianti arme,come nocevoli algenere umano , quan. tunque tal volta a
ſchermo dell'onore , e della perſona pur buone fiano ; perchè non ſaran da
yietar poi medicine sì fie re , emaligne,che ſe mai pure di recar qualche
giovamento fan ſembiante , allor più crudelmente inſidiar la vita fi fpe
rimentano . Sono o Signori, sì fatte querele , e rimproccj in grā par te per
opera dc'malvagj Galieniſti contro la Chimica, ei ſuoi DelSig.Lionardo di
Capoa. 530 ſuoi medicamenti fovente adoperari ; i quali gittando la polvere
innanzi agli occhi della balſa,minuta,e troppo cre dula gēte , fan loro a
vedere che ichimici medicamenti più ch’altri ammazzar fogliano , e che tutto il
malc, che nel cu rare altrui intervenir ſuole , da color ſolamente avvegnavi
perchè la ſciocca torma del popolo da for moſſa lamente volmente gli biaſima ;
e con torti , evani giudizj ſovra i chimici, i misfatti de'Galieniſti medeſimi,
o le violenze del male empiamente riverla; E parla più di quel , che meno
intende. Ed è egli certamente cotal diſavventura a tutt'altri me. dici ancor
comune d'eſſer sépremai accagionati della mor te degl'infermi : non moritur
æger fine infamia medici: diſse Plinio e pural tépo dilui, o no v'era , o no
avea púto che fır nelle noſtre contrade, o in quelle de Greci,colla medicina la
Chimica . Così non giugnendo i medicamenti a rintúż zar la violenza del inale ,
ed eſſendone diterminata alla per fine la meta della noſtra vita', è certamente
da dire có quel valent'huomo, che nella medicina tutt'altro avvenir ſoglia, che
in ciaſcun'altro meſtier ſi coſtumi; perocchè dove i mã. camenti degli Artefici
a'difetti dell'arte comunalméte s'im putano , ſolamente in medicina il
mancamento dell'arte aʼmedici cattivelli ſovente fi riverſa ; e fon talvolta
inde gnamente accagionatidi ciò , che per argomento umano imposſibile ad
operare . Perchè certamente intorno a ' misfatti de’medici da prudente huomo ,
e aſſennato non è da preſtare agevolmente fede a’rapportati masſimamente da
altri medici per malavoglienza , o per nimiſtà , ficome di ſopra baſtantemente
diviſato abbiamo con l'eſemplo d ' Aſclepiade; eſſendo pur troppo vero quel
detto di Curzio: iai diverſis rebus id folet fieri ,ut alius in alium culpam
refe rat . Ne già è mio intendimento , che di cocal quereia al cun de'noltri
medici al preſente fi punga , come a ſe pro piamente inveſtita ; perciocchè lo
quì in general ragionare intendo del cattivo coſtume d'alcuni medici ; cben ſo
, che così quì, comealtrove v'ha de'medici dabbene , c onorati affai, e di
qualunque gran loda dignisſimi : avregnachè Xxx 02 532 Ragionamento Settimo 1 1
1 1 1 talvolta pur alcun di loro daʼfalſi rapporti ingannato, NÓIL . già per altio
, e permalayoglienza, maper troppa ſua dab benaggine vi falli . Pur male a
noſtr’huopo comincia tal volta leggeriſſimavoce , non ſo donde , o falſa , o
vera, ch' ella fiali , che roſto per tutto ſi buccina, c s'accreſce:intan to,
che agevoliſſimamente dalla bafla plebe , e dalle troppo credulaperſone vi ſi
preſta fede; i quali non che vogliano ſottilmente caminar comela biſogna
paſſata ſia , anzi tal volta ſenza ſaper come , o quando, c da chi cominciata
ſia , volentier la s'inghiottono : & fepè etiam quod falſo creditu eft ,
veri vicem obtinuit . Perchè poiveggiamo della mor te di taluno accagionarſene
medico , che non che viſitato giammai l'aveſſe ; anzi ne men chi colui foffe, o
dove ſi foſſe dimorato per avventura fapeva; pure comechè a sì fatta diſavvetura
ciaſcunmedico ſoggiaccia,nó però di meno ſo pra tutt'altripar
ch'a’miſerichimici maggiorméteella con traſti, quantunque certamente maggiori,
e più gravi dan ni da'volgari medicamenti alla giornata avvenir veggiamo, che
da’Chimici ; e pure quelli ſovente alla gravezza incon traftabile del male, non
alla dappocaggine del medico ac tribuir ſi fogliono: dove di queſtinel
contrario, laſciata dw parte qualunque altra cagione , folamente i chimici medi
camenti s'infamano ; maſtimamente per coloro , i quali nul la fappiendone ,
come di nuove , e non conoſciute coſe ſo ſpettando, ſempre ne temono ;
follemento mai ſempre,e in tutte le faccéde vera ſtimado quella séréza di
Cornelio Ta cito :fuper omnibus negotiis melius,atq ;rectius olim provisü :et
quæ cuvertuntur in deterius mutari. Ed è pur da aggiugnere a ciò quell'altra
cagione che per opera de’malvagi, e invi dioſi Galieniſti s'accrefcon mai
ſempre i timori della ſcioc ca plebe , intanto che ne men poſſono ficuramente i
chimi ci medicide' più volgari, e comunali medicamenti talor fer virſi ; che
pur diquelli il vulgo ignorante teme ; dove d'al tra parte fe dalla greggia de
creduti Galieniſtichimiche medicine , comechè violenti, e pericoloſe loro fien
porte ' , tantoſto alla cieca , e ſenza tema alcuna le fi tracannano , volendo
pertinacemente anzi che a'chimici,ne'loromedeſig 1 mi me DelSig. Lionardo di
Capoa 533 mi medicaméti, ſtarſene agli ſtrani, e talora ſciocchi Galie niſti,
cui ne men per nomequelli conoſciutiſono : non che ne ſapeſſer mai le qualità ,
e glieffetti , che ne'corpi umani quelli adoperar ſogliono . Non niego però ,
che tal malavventura ne' Chimici di non eſſer agevolmente creduti , eglino
medeſimi talvolta la ſi procaccino , quando o per ſoverchio dicompasſione , che
han de’miſeri ammalati, o per vaghezza di dover gưa rire gli abbandonati
da'Galieniſti , ambizioſi s'inframmer tono di medicare i diſperati, e voglion
quaſi dall'orlo del feretro trarre i morci.È la ſciocca géte n’aſpetta pur le
ſtra vaganze, quaſi foſſe propio de Chimicil'adoperare i mira coli; quando
forfe i Galieniſti non han faputo per poco co figlio la creſcente malattia
attutare , con dar loro al tempo iconvenevoli medicamenti; perciocchè
Principiisobſta : ferò medicina paratur, Quum malaper longas invaluere moras.
Anzi con avere i Galieniſti medicati talvolta a roveſcio , e alla cieca gli
ammalati , malignamente poi, ea gran tor to ne vien ripreſo,e cacciato il
Chimico ,e i fuoi rimedi bia fimati . E a tal fegno pure giugner veggiamo la
iniquitoſa malizia d'alcun medico , che di quel medeſimo infermo, cl egli
ſpacciato in prima , e già laſciato aveva , attribuiſce poi difpertoſamente
altruila morte, e i chimici medicamé te di colui empiamente n'accagiona. Così
non vergognof fi il Foreſto a ſcriver purc , che colgruogo di Marte un co
tal’Empirico ammazzato aveſſe un'ammalato tutto mar cio , e corrorto , e
com'egli medefimo narra , già moribon do , e fpirante. E piaceſſe pure a Iddio
,che non foſſe giūrå a tāto l'affocata malavogliéza di sì fatti ſquafimodei ,
che già reputādofia vergogna il falvaméto ,che allo infermo da loro ſpacciato
avvenir puore per cófiglio de'chimici, e già temédone gli avāzi,nó prédeſſero
alcuna briga di far pruo va delle loro bugie, con dar qualche ftorpio
a’riſtoramenti dello infermoze ſe pure in lor diſpetto neguariſce l'āmala to,nó
folaméte delmedico, che'l fanò, madi lui medeſimo capitali nimici rimangono;
ficome di quel Cote diffe quel motteggevol Satirico Italiano : Ha 534
Ragionamento Settimo Ha buon ز occhio , buon vifo ; buon parlare , Bella lingua
, buon / puto , e buon toffire ; Queſti fon ſegni , che non vuol morire;
Maimedici lo voglion 'ammazzare: Perchè non ci ſarebbe il loro onore , S'egli
ufciffe lor vivodalle mani , Avendo detto , egli è Spacciato , e more. Ma come
teftè ragionavamo con la lor ſoverchia pictà in voler curare infermidiniuna
ſperanza , danno agio i Chi mici a i ſoffiamenti degli invidiofi Galieniſti, e
cadono tal volta dal buo nomedivaléti medici. Ne certaméte p altro Ippocrate
vieta aʼmedicanti il dover por mano agli infermi difperati; e quell'altro
famoſo ſcrittore Arabo ne conſiglia a non doverci arriſchiare a prender cura di
malagevoli , sfidate malattie , ſe non vogliamo pure guadagnar titolo di
cattivi medici ; e anche avviſa Cello , prudentis hominis eft, eum , qui fervari
nonpoteſt , non attingere : nec fubire.fufpia cionem ejus, ut occifi, quem
forsipfius peremit . E a ciò an che riguardado Galieno parimente ne conſiglia a
dover la fciare alſolo predicimento cotali infermi, ſenza dar loro niuna ſorte
dimedicaméto , per no logorare indarno.i rime. dj,e fargli infam uea torto
preſſo il vulgo, õde poi ſi laſcian via, quando forſe ad altri ammalati di
minor riſchio giove voli ſono . E nella medeſiına guiſa Aleſſandro de Benedet
ti : prudentis medici, dice, ef ,inſanabiles, &defperatos mor bos nun
curare ;ne hominem occidiſſe , quifua forte interitu rus erat , exiſtimetur . E
che direm noi di que'chimici medicamenti , che talor de perſone ſi lavorano, e
ſi diſpenſano, che dichimica , ne dimedicina ne ſan boccata? Enel vero eglitāto
omai è cre ſciuto l'abuſo delfabbricare malamente , anzi abborrare i
rimedjchimici , cheda'Ciurmadori , e da Cerretani , edas viliflime femminelle
uſar pubblicamente ſi veggono , e ven dong a macco in ſu le panche, e per le
fiere abbondanteme te li ſpacciano , e ben ſovente fi comprano anche dagli ſpe
ziali , e da’medici per diſpenſargli poi a 'loro ammalati;šć zachè da
Galieniſti medeſimi calor s'imprendono , e teme ruri . 1 . DelSig. Lionardo di
Capoa. 535 rariaméte dagli ſciocchiffimi uccelloni yeggőli ordinare , e
lavorare alla cieca . Navem agere ignarusnavis timer: abrotanum ager Non
audet,nifi quididicit dare.Quodmedicorum eft Promittuntmedici;tractant fabrilia
fabri. E s'attendono purecoteſti medici di tromba marina de' noſtri tempi a
maneggiar biſogne di cotanta conſiderazio ne , e di cotanto riſchio :
certamente ſe ad infelice fine poi rieſcono , e veggonfiatcriſtar le caſe , e
le famiglie , non gli innocenti rimedi biaſimar ſe ne vogliono , ma color ſola
doperano ; non altrimenti , che ſe ſpada , o archibuſo daw furioſa mano moſſo
fia , non n'è lo ſtrumento da accagionas. re , ma la follia ſolamente dello
ſcherano . Ne ſan coſtoro quanto ſenno abbiſogni in medicare , e ſpezialmente
con argomenti chimici, a cuicertamente di maggiore avvedi mento e di più ſaldo
giudicio fa luogo; che le malamente s'adoperano , maſſimamente le purganti
medicine, ove il medico non abbia in dandole riguardo al tempo , lità del male
, all'età dello infermo, o alla natura di lui, o alla ſtagione dell'anno,
certamente colui mal ne capiterà : Temporibus medicina valet: data tempore
profunt, Et data non apto tempore vina nocent ; Quin etiam accendas vitia ,
irriseſque vetando, Temporibusfinon aggrediareſuis . E o quanti per Dio ſe
neſon veduti e fe ne veggono tut tavia correr pericolo, e morirne talvolta
anche col medica mento in corpo per traſeutaggine , e colpa de’ſoli medici
ignorāti,e ſciocchi? Quante volte per beſſaggine degli ſcé pj Galieniſti ſono
ſtate biaſimate le manne , le roſe , le caſ. fie , e anche l'aloé , di cui non
ſi trova al comun parere mę. dicamento più innocente , e benigno ? E ſe alcun
prende rebbe cura di guarire ammalato, ſe egli nel cominciar d'in terna
infiammagione, o nell'acerefciinento , e nel vigor di quella deſſegli
ſcioccamente a tracanar chimica purgagio ne , qual colpa poi ſarebbe egli
dell'arte , ſe coluimalamé te adoperandola l'ammalato n'uccideffc ? Certamente
niu . najper . alla qua : 536 Ragionamento Settimo 1 na ;perciocchè come
Ippocrate medeſimo , e Galieno di viſano, anche le lor purgative medicine
allora ſon peſtilen zioſe , e da non uſarſi ; perchè a' mali precipitoſi,e
ftraboc chevolmente imperverſiti non ha certamente la medicina più ſicuro
conſiglio, che il guadagnar tempo con iſchermi readagio , e tenere a bada la
foga del male , ſenza voler glili alla rincontra oſtinatamente opporre có
purgative me dicine, masſimamente gagliarde ; che alla zuffa,che in un medeſimo
tempo due si oſtinati,esì poffenti nimici dentro dall'ammalato farebbono,
certamente egli n'andrebbe cof peggio :neq ;ulla alia fpes,diffe
avveducillimaméte Cello , ir malis magnis eft ,quã utimpetum morbi trahendo
aliquis effum giat , porrigaturque in id tempus, quod curationi locum pre Stet
:così parlavano que'buoniantichi, che ne'ſalafli, e nel le purgative medicineſolaméte
credeano eſſer ripoſte le cu re de'più gravi malori; ma i moderni da'chimici
addottri nati bé fanno co'rimedj valevoli, e generoſi,ına che non of fendono
punto lo infermo, eche in ogni tempo ſicuriffima mente ſi poſſono adoperare
darvi compenſo , ſenza ſtarſe neſcioperati, e neghittofi ad afpettare il
ſoccorſo , che non è dalla natura forſe per venir giammai . Ma ciò da parte
laſciando noi pur troppo veduto abbiamo nelle febbriche delpaſſato anno han
malmenato , e quaſi abbattuto il Bor go Sant'Antonio ,e altri luoghi vicini,
effer così malaméte riuſcite le purgagioni, e altri ſomigliāti rimedi;perchè a
grā ventura recaronſi poique' poveri infermi , che non ebber agio di comperarſi
la morte a contanti ne'medicamenti,che uſavanſi; e ſtando alla bada ſolamente
della natura,così sé. za rimedj la lor vita ſerbaronſi . E per cacer d'altri,
il me deſimo anche eſſeravvenuto novellamente in Francia, rac conta l'Autor
della giunta all'oſſervazioni di Lazaro Ri yerj. - Éfe egli è dannevole
oltremodo , e di riſchio lo - Atuzzi cargli umori crudi , e non debitamente
maturati, certamé te il medico ne farebbe da biaſimare , non l'arte, ſe contro
i giuftiffimi divieti d'Ippocrate , e di Galieno s'inframmet . teſſe di purgare
ammalato , in cui fian crudi gli umori ſex 2 :2 en Del Sig.Lionardo di Capoa .
537 za enfiamento alcuno : in morbis quoquenihil eft magis peri culofum , quam
immatura medicina,comechè non medican-. te , avviso Seneca ; perchè ſeguendo i
ſentimenti de' ſuoi maeſtri avvedutiſſimaméte in queſto capo Aleſſandro Maf
ſaria, danna, e sbandiſcenelle febbril'uſo dell'Antimonio, come nocevole
oltremodo agli ammalati: e allora, egli di ce maggiormente farſi a conoſcere il
danno , che dalle purgagioni, oltre al convencvol tempodate ne fiegue,qua do
più gravoſo , e di maggior riſchio fiè il male ; concior fiecofachè nelle lievi
malattie , che molto non piggiorano dal ſuo naturale ſtato l'inferino , poco
nocimento ricever, certo egli ne foglia ; perciocchè o ſe n'allunga il
male,ficc me Ippocrate,e Galieno diviſano, o pursì poco cagionevol della
perſona coluinerimane , che nulla il medico quan tunque accorto , ed eſercitato
Gali , comprender mai ne puote . A torto anche vien biaſimata la Chimica
d'adoperar fo laniente i minerali; e ben detto è a baſtanza contro la ſci
munitaggine di alcuni,quanto ricca, e abbondevole di ine dicamenti ella ſia; c
nel vero, ne l’Ericina ebbe mai,o l'Ar denna , o s'altra al mondo è più vaſta ,
e più folta ſelva,tã ti alberi , tante belve , quanto ricca, e abbondante è la
chi. mica di cofe a’luoi medicaméti accóce;e prédöli a loro uſo, non ſolamente
i minerali dalla terra ,madagli animali anco ra , e dalle piante
abbondantemente i rimedi ſi formano ; perchè troppo ſcarſa , e mendica pur
ſarebbe da dire la rapportata ſomiglianza ; perciocchè quanto cuopre il Cies :
lo , abbraccia l'aerc , nutrica la terra , e'lmarchiude, tutto alla Chimica
giuridizion ſoggiace : e'l meno di che ella s'inframmette ſono i minerali;
concioſliecofachè non abbia ſolamente in fua balia i falnitriji ſalicomunisi
vitrioli, i fer ri , i rami, e gli argenti , c gli ori , e le gemme, comcchè di
queſt'ultime coſe ſolamente i perfettiſſini Chimici, o icat tivi , non già i
inczzani ſervir li fogliano;ma e radici anco ra , c tronchi, e frondi , e ſughi
di cento , e mille infra lo ro diverſiffime piante , e anche tutte parti ſalde
, e diſcor renti di tanti , e sì varj animali,di cui la Chimica i ſuoi me Yyy
dica 538 RagionamentoSettimo dicamenti in sìvarie , e tante guife ordina , e
lavora. : Ne perchè la chimica medicina ne' minerali talora s'a doperi ,e
s'affarichi, è per huom da tacciarne : anzi fom mamente da efferne commendata
lo la giudico; concioffie coſachè non ſono i minerali altrimenti , comealcun di
loro follemente ſognoſli , veleni, e toſſichi:anzi non poco in vero molti e
molti diesſi all'umangenere giovano,e approdano; e ciò a tutti buoni ſcrittori
aſſai manifeſto egli fi è , anche antichi , che liberamente , e fenza niun
ſoſpettomettevan gli in opera , e così fchietti , comecon altre coſe meſcolati
l'uſavano ; il che ſenza troppa fatica durare agevolmente moſtrar potrei :
maſſimamente, cheper tutti manifeftamé te ſi ſa quanto Ippocrate della ſquama
del rame fovente fi ſerviſle ; e Dioſcoride no conſiglia , e conforta a dar per
bocca liberamente il vitriolo: e ne'tempi antichi anche s'a doperava il
mercurio : e ancora a' dì noftri nella colica , e ne'vermi , e in altri
ſimiglianti mali ordinaſi da tutti medi ci, anche a'fanciulli del lactime,
ſenza ſofpetto dinocimé to alcuno ;e ſe fra’minerali v'han di que' , che
velenofi fo no , ve n'haparimente di queſti, ed in maggior copia fra'
vegetabili . Maſe egli avvien mai pure , che alquanti deʼnedicame ei
de'Chimici,compoſti divengano fpoffati, e debili , egli ciò non dee a colpa
della chimica aſcriverſi:ma de’poco av veduti artefici , e de’medici, i quali
intendenti non ſono delle chimiche preparazioni, e ravviſar non ſanno quai mea
dicamenti ſenza alcun preparamento fiano da porre in ope ra , e quali gli
richicggano . E ſe divantaggio i Chimici da'vclenofi, emicidiali ſemplici
ſoglion trarre ſalucevoliſ fimi antidoti , ciò loro a fomma gloria dee
riputarſi, che ciaſcun di loro fuor d'ogn’uſo Pieghi natura ad opre altere , e
frane. E ſe'l precipitato , e'l ſolimato , che potentiſſimi veleni ſono ,
cavanfi dalmercurio , e da altri minerali, non ne ſon però quelli da biaſimare
, ne i chimici medeſimi , che gli compongono ; concioffiecofachè anche l'oppio
, e altres molte comunali medicine , avvegnachè rieſcan poi vele nofc Del
Sig.Lionardo di Capoa 539 noſeall'opera, pur da ſemplici non mica velenoſi
compon ganſi, ne perciò tanto quanto ilor fabbricatori ſe n'acca gionino : e ne
balti ſolo al preſente fapere , che ciò non , lia ſpezial biaſimo della Chimica
; e ſe da quella i pre cipitati, ci ſolimati fabbricaronſi al mondo , no fu già
,per chè s'aveſſer quelli ad operar mai ad uſo alcuno dimedici na , ma per
altre, e altre biſogne; ne perſona ſe non priva affatto d'intendimento per
dover medicar giammai gli la vorò ;perchè ſe quel temerario Bacalare aveſſe
púto in chi mica ſtudiato, non avrebbe egli giammai ardito ad impor re agli
infermi per coſa delmondo il precipitato , il qual da tucci buoni ſcrittori
vien daʼmedicaméti sbadito, come ma nifeftiſfimo veleno;e ſpezialmére dal
Quercctauo,có queſte parole:precipitatú in aqua furti à nobis omninò
improbatar: 0 có quell'altre,ch'e' ſoggiugne:hæc, & fimilia effe
Empiricorii fecreta , quæbuccinatorum inftar pro maximismyfteriis pro mulgant.
Ne perchè i minerali lian da noſtra natura citra : nci , e rimoſi, dovrà ciò
darne punto di briga; e ſe pur co tal ragione aveſſe luogo , dovrebbervi eſſer
a parte anche i Galiçniſti in rintuzzarla, i quali non men deChimicime defimila
pietra lazula ,e l'oro , el’ematite , ci giacimi , e'l bolarmcnico, e le pietre
giudaichc, c altre, e altre ſomiglia. ti medicine lovente adoperano . Ma lo per
non darmene troppa briga ſervisõini al preſente di quelle parole del Tā .chio
là dove d'un cotal balordo , che con ſimiglianti fanfa luche ftuzzicavalo così
cgli al ſuo Oiſtio ſcrive : oppugnant, dice egli,medicamenta ex metallis parata
, ideo quia non iis alamurfed ; nec cornu cervi nos alit,neque uniones, aliaque
pleraque . Quænos alunt impura ſuntimnia , do quefacilē mutationem ſuſcipiunt
,fed quotidie agunt in balſamum na turæ , cum corrumpendo in fenium ;
labefactatis viribus noftri corporis facile illareficiuntur vegetabilibus ; fed
fixio illa in fixa; mineralia figuntſpiritus , purificant , & exaltant. E
prima di lui Avdrea de'Mattioli , così del biſogno de’mi nerali ne ſcriſſe :
ibi tum alibi , tã in chronicis morbis eſt ani: madvertendum , ubi tota
malafanguinea in univerſo vena rum ambitu corrupta eft , & referta multorum
morborum fe Yуу 2 mina 540 Ragionamento Settimo minariis , tunc ii inquam morbi
citra metallica devinci vix pollunt; avvegnachè egli poi faggiamente ne
configli a non dovere i Chimici medicamenti adoperare colui che di chi mica
pienamente non ſi conoſca ; il che noi baſtantemente altrove dicemmo . At qui,
dice egli , ejufmodi morbos ci tra ſcientiam res metallicas tractandi aggrediuntur
, ii ple rumque re infecta cummagno dedecore , & fui, &artis me dicine
defiftunt. Ma ſopratutto baſti recar qui le parole di GiacomoPrimeroſio
Galieniſta di primo grido: Cauffa eft, egli dice,cur plurimi Chymica hec
reformidēt;quia creduntur ſcilicet sti metallicis . Et fanè certum eft plurimos
Nebulones, qui hoc pallio technas ſuastegunt , metallicis fæpè , &malè
præparatis , & malèadhibitis uti ; verum ut jamfupra dixi mus , eadem eft
materia , & fubjeétum uperationis Pharma copæi utriuſque tàm Chimici , quàm
vulgaris ; neque minus vegetabilibus utitur Chymicus, quàm qui dicitur
Galenicusze non guari appreffo foggiugne . Nonne maximè probanda eft ars illa ,
qua fi quandoiis utitur, variè, &eleganter pre parata ,non integra exhibet
? Ne meno è da dire, che perchè i foro fummi ſian peſtile zioſi, e nocevoli
liano anch'eglino tali i minerali; percioc chè apertiffimamente veggiamo ſenza
punto di danno il falnitro, e'l vitriolo , elfal comune alla giornata ufarli ,
e'l fal comune maſſimamente in tutte vivande da ciaſcun porſi; i cui fumıni
certamente , come que d'altri,e d'altri minerali, nocevolilfinni fono . Pure
non è coſa cotanto utile , e gio vevole al genere umano , che nonnepoiſa
talvolta anches nuoceren Nilprodeft, quod non læderepoffit idem . Igne quid
utilius ? fi quis tamen urere tecta Cæperit , audaces inftruit igne manus.
Eripit interdum , modo dat medicina falutem . Le ragioni poi, e le
teſtimonianze dell'Eraſto , del Riola no, e d'altri sì fatti Galieniſti han
canto dello ſceno ,che da lor medeſime a baſtanza ſi rifiutano ; e comechè per
mani feſta, coftinata malavoglienza fianfi queſti ftudiati dimor der la Chimica
, e ſozzainente lacerarla , e quaſi metterla 1 in fon Del Sig .Lionardodi Capoa
541 1 in fondo ; pure non han potuto far sì , che ſtretti talvolta dalla propia
coſciēza, o dalle nimiche ragioni abbattutis no l'abbianomanifeſtamente
approvata. Così l’Eraſto medelia mo, che moſtroffi più ch'altro Galieniſta
acerbo, e fiero ni mico della chimica, purnel proemio di quell'operc,ch'eico tro
il Paracelſo fcriffe,nó potè no commendarla ;e la ſcuola tutta di Parigi pur la
permette,e l'adopera,ficome raccota il Riolano; il qual comechè nimico a ſpada
tratta le fi dimo ſtraſſe, pur delle chimiche medicine,comeãcorfece l'Eraſto ,
ſerviſſzavvegnachè talora p loro ſcimunitaggine ad infeli cc fine gli uſciſſero
. Ma côtro a’piacitori, e a'maladicéti Ga lieniſti adoperarono gloriofaméte le
péne a ſchermo della chimica nelle loro dottisſime Apologie il regio Protomedi
co Torqueto , e l'Arueto , e'l Baucinero celebri e famoſiſſimi maeſtri in
medicina: e oltre ad infiniti altri il famoſo , e ben parlante Libavio nella
ſua Alchiinia trionfante ,di cuicon ) aringa di lode diſſe il Caſtelli:
Alchimie dignitatem adeo re Kituit Libavius contra fcholă Parifiensë ,ut nihil
amplius addi polje videatur ; ma ſopra tutti imalzi, e difende la chimica il
ſottiliſſimo Borricchio , non men celebre , che dotto let tor di quella , nella
famoſa reale Accademia d’Afnia; il qual sì fattamente rimbeccale ciance del
Corringio , che nulla più . Ma quanto poco ſenno aveſſer facto i medici
meſaneſi in proibendo l'uſo dell'Alcarotto, apertamente ſi vede dalla poca
ſtima in cui vennetenuto il loro divieto ; poichè non men ,che prima in Melano,
e altrove le genti tutte l'adope rarono ; e oltre alla gloria molte ricchezze
guadagnoſſi Vittorio Algoreto per sì fatto medicamento, il quale altro * non è
, che il mercurio di vita;comechè p naſcõder sì caro fegreto il nieghino gli
eredi del medeſimo Algoreti; e forte mi maraviglio , che alQuercetano , sì bene
ſcorto nelle chimiche operazioni, e che tutto dì l'avea fra le mani, non
veniſſe fatto ciò ravviſare . Ed è egli pregiato l’Alca . rotto , eziandio
daʼmedici volgari , e Galieniſti, e per buo na , e giovevol medicina per tutto
ſtimato ; ma pur ſi vuos le 112 342 Ragionamento Settimo le in ufarlo aver
riguardo a' tempi,alla quantità,e agli ama · malati ; ne fi dee prendere ſenza
conſiglio di medici faggi in chimica , e conoſciuti affai; perciocchè ſe da
perſone dappocomallavorato folle , o foſſe pur ſenza riguardo at cuno preſo ,
certamente nuocer potrebbe , e a riſchio della perſona talvolta ancorcondurre;
ſicome non ha guari, ava venne a un Barone d'alto affare , il qual per
conſiglio d'un corale ſciocco,e temerario Galienifta avendone trangugis to
ſoverchiamente , con acerbiffimi dolori, feno'l receva di preſente , certamente
nemoriva . Ma di ciò ſenza dubbio , non n'è dabiaſimare il medicamento, ma la
follia più coſto del medico , cheoltre al dover l'iinpone; e più quella dell'
ammalato, che alla cieca , e ſenza riguardo alcuno ſe'l tra caima . E ben
ſarebbe il migliore, ſe laſciando da parte i volgariGalicniſti sì fatti
medicamenti,non s'inframmettel ſero púto di ciò, che non ſanno ; e come cantò
colui Velperfectèartem diſcant , vel non medeantur; Namfialiæ peccant artes
,tolerabile ceriè eft: Hæc vero nifi fit perfecta , eft plenapericli , Et
fævit,tanquam occulta , aique domeſtica peſtis. Ma noi luiluppati dasì fatte
conteſe, trapaſſereino intanto a far qualche parola dell'antimonio, come di
quello , ch'al noftro parlamento diede in prima cagione, L'ancimonio , che da
alcunicertamente non fuor d'ogni ragione chiamato viene colonna, e baſe della
medicina,egli sébra nel vero una corale ſtrana ; e nuova ſorte di minerale di
variege fra loro diverſe parti copoſta, e si lazza,e acerba , che
ragionevolmére alle poma anzi che mature fiano è raf ſomigliata;imperciocchè
tra per la troppo meſcolanza , che in ſe ritiene, e per l'inegual proporzione
delle parti,che'l co pongono , non eſſendo potuto alla debita maturità , e per
fezion di inccallo pervenire , così trameltato, e inal com poſto ſe ne giace .
La ſua ſtrana natura ', c le ſuc maravi gliole qualità malagevolmenteravviſar
ſi poſſono, non che per huom narrare; concioliecofachè quaſi Proteo de'minc
rali in facendoſi dilui notomia , in tante , e sì fatte guiſc fi ſcambi, e
traſmutische inviluppativi i più famoſi maeſtri della 1 Del Sig.Lionardodi
Capos. 543, ikclla chimica, dopo molci, e diverfi argomenti , e ſperien ze ,
ſtupidi alla per fine, e d'ogni loro avviſo ricreduti ſi ri mangono . Ma
perquanto col noſtro intendimento com prender ne poſſiano , due forri di zolfo
par che abbia nellº Antimonio : l’una fiffa , e pura oltremodo, in cui le
ţinture tutte,e i ſemi de'metalli e ſpezialmente dell'oro ſi rinvégo ao: pchè
daalcuni degli ſpagirici filaſofati,matrice de'me talli vié chiamato
l'Antimonio; l'altra fiè di zolfo dalla sé biáza del comun zolfo poco o nulla
diverſa ; perciocchè no filla , mainquieta y e volante, e oltremodo vaga ella
è;per chè potentiſſimage:ſoperchievole nelleſue operazioni viene da ciaſcun
giudicara. Havvioltre a ciò un cal mercurio me, tallico indigcfto , il qual
corto più , che ſe mercurio vivo non foſſe , della natura del piombo alquanto
ritiene ;e as queſta parte , che certamente è la maggiore nell'ancimonio ,
alori la violenza attribuiſcono , e'l poter , ch'egli ha nell'o perare ; anche
havvi alcune parti arſenicali, in cui ſecondo. chè altri ne dicano, il ſuo
veleno veramente ſi ſerba; c per fine havvi nell'Antimonio una cotal ſoſtanza
groffase terre ftra , la qual della ſua matrice ſommamente participando , con
quella inſieme,e con ſue particelle congiugoc,emelco la le parti arſenicali, e
quelle del primo zolfo, c delmercu rio indigeſto, e del ſale ancora di natura vitriolato
, che pur ven’ha : a cuila malvagità tutta , e'l veleno altri aſſegnò , che
tanto all'uſo , e all'operazione ſconcio lo rende. Ma l'Antimonio crudo non
inuove punto vomito , ne tanco , o quanto a colui , che'l prenda offender ſuole
; perchè ne Galieno medeſimo , ne Dioſcoride , ne altri buoni Autori de'ſecoli
addietro l'allogară mai infra’veleni, o nel catalogo delle vomitive medicine
l'ānoverarono anzi Diofcoride medeſimo ne conſiglia , e conforta a toglier via
la poſſanza vomitiva dell'Elacerio , con meſcolarvi deutro dell’Antimonio ,e
così temperandolo ammendarlo; percioc chè ſenza dubbio ha l'Elarerio più del
veleno , che del me dicamento , ſe violento , e rigoglioſo il ſenciamo , che se
vorrai purgare , ſono le parole di Dioſcoride, ove egli nar ra dell'Elaterio ,
meſcolavi altrettanto di ſale ed'Antimonio, 444 - 544 Ragionamento Settimo 1
quanto farà meſtieri ,laſciandoall'altrui diſcrezione il divri Jarne la doſe :
seisn &è mois diam vooõoty aj di autoữ xabagors . ei pea ούν θέλεις κα το
κοιλίαν καθαίρειν , διπλάσιον αλών, μίξας , και είμ plaws over gewoon e Il che
eglicertamentefatto non avrebbe, s'aveſſe mai , comechè leggiermente ,
ſoſpettato, non forte velenoſo , enocevole l'antimonio . Nicolò Mirelio poi ,
it qual con accuratezza non ordinaria accolſe inſieme le ri cette più nobili
de’medicamenti, ch'adoperaſſer mai ne’té pi antichi ipiù famoſi medici Greci,
annovera l'antimonio infra iſemplici dell’Antidoto ,ch'egli del Gengiovo
chiana. E Baſilio Valentini narra , ch'a' ſuoi tempi dell’antimonio
ingraſſavanſi i porci : e nell’Efemeridi, o giornalieri dell'In ghilterra
abbiamo , che tutto dì oggi i porci, le vacche, ci cavalli ſe n'ingraſſano,al
peſo d'unadráma,e anche di mez za oncia per volta prendendone ; e in molte
contrade del noſtro Regno coſtumaſ a prender l’Antimonio dalle donne gravide in
quantità d'unanocciuola , ſenza danno, o noci mento niuno , e'l chiamano
volgarmente allegra cuo ré ; e nella inedeſima noſtra Città in molte malattie
uſali a ber l'acqua dell'antimonio con grandiſſimno gio vamento degli ammalati;
e nella Francia , e anche altrove, l'Antimonio crudo , ſicome per M. de la
Febure di ciò pie namente inteſo ſi racconta , fe donne tout les jours tout
crud par la bouche fansaucun accident , emeſmes aux enfans à la mammelle: e que
de plus on le met boüillir juſques au poids d'une demie livre dans les
decoctions contre la verolle , &qu'on le met de meſmes en infufion à froid
dans de l'eau pour ouvrir le ventre gepour ofter les obſtructions des viſce 1 5
Ma ſciolte da quegli intoppi , c da'legami , chea freno, e a bada la lor
violenza tenevano le nocevoli particelle dell'antimonio , o ſaligne , o
ſulfuree, o mercuriali, o arſe nicali , ch'elle ſieno (perciocchè grandisſime
quiſtioni , ei contefe intorno a ciò infra'Chimici filoſofanti tutt'or vifo no
) non ſi può di leggier credere quantenoje , e ſconcisſi mi danni quelle recar
ſogliano ,con fondere, e diſtruggere, e liquefar non ſolamente le parti umide,
ma le falde anco ra del DelSig.Lionardo di Capoa. 545 ra del corpo umano';
riſvegliando anche vomitiimpetuofif fimi, e purgando per baffo ,finattanto ,che
colvigor talvol ta lo ſpirito , e la vita miſeramente ne manchi. Ma tacer non
fi dee, che ritrovali talora in qualche miniera , Anti monio , cheſenza niuna
preparazione voiniti, e fluffi ſoglia cagionare ; ſenzáchè'talora nello ſtomaco
di colui , che'l prende , può eſſer coſa , che ſciolga da’legami lalparte ve
Jenofa, perchè l'antimonio d'ogni miniera , parimente può ciò fare ; e quel'è
la cagione , che ſpinge alcuni autori a fa vellar così variamente della facoltà
dell'antimonio crudo : Ma che che ſia di ciò , ſe per opera , e argomento
d'avve dutiffimo maeſtro reprimuto alquanto, e rintuzzato il loc nocevoliſſimo
veleno neſia , certamente allora valevole e Pantimonio a vincere, e ſgomberare
ogni peſtilenzioſo ma lore , ove a tempo , e acconciamente , e con riguardo per
huom ſi dea ; concioffiecofachè non ſolamente egli ne pur ghi , cvuoti dentro ,
ma ſovente ancora diſſolva , e miglio ri , e ſgomberi ciò che nel corpo di maligno
, e cattivo così nelle falde , come nelle diſcorrenti parti peravventura
ritrova; il che certamente a niuna altra forte di medicamé to , o purganre , o
vomitivo , ch'egli fia agevolmente ſi co cede. Nec conftat , dice il Zuelfero,
ex vegetabilibus unicũ emeticum , grad nainore cum periculoexhiberi pifit ,
quàm aniimonium dextere , ac debitè præparatum ; nunquam enim tormina ventris ,
convulhones , hypercatharſin , fluxumque nimium colliquativumcauffabit , etiam
fi frigida ſuperbiba tur . E egli però quelta malagevoliſſima impreſa ,e
difficil molto , p mio avviſo , anzi impoſſibile affatto ad artificio umano ;
perciocchè la parte velenoſa nell’Antimonio ſi è quella , che muovelo ſtomaco a
recere, e ſcioglie il ventre: la qual certamente quantunque volte vi rimane,
non ſi può in modo alcuno accutare , che a qualche perſona alla fine,o in
qualche tempo non abbia gravemente a nuocere . Nej per altroʻi Chimici autori
ora in biaſimo, or in lode de'varj apparecchiamenti dell'antimonio purgante , o
vomitivo fa vellar ſempre ſogliono, ſe non fe per lo grare , e ftraboc chevol
riſchio, che agevolmente vi ſi corre . E quel ſapie Z zz tilfimo 544
Ragionamento Settimo tiſſimo nuomo nella Chimicafiloſofia, e nella medicina pas
rimente ſublime, e ſingolare Giovan Battiſta Elinonte ſolea dire: Antimonium
,quandiu vomitum , aut fedes movet , mercurius revivificaripoteft , venena
funt: non boni virirea media . Soglioſi dell'antimonio ſublimare i fiori;e ſi
fôde egli an che in vetro , e in regolo ; e'l mercurio di vita , e'l gruogo
ancor ſe ne forma : purganti inſieme , e vomitive me dicine . E per cominciar
dal vetro , il qual comechè in viſta di nulla ſi paja dall'ordinario vetro
differente ; pure comunicar ſuole minutiſſime , e però inſenſibili , e cieche
particelle velenoſe al vino, o ad altro ſomigliante liquore , in cui per
qualche ſpazio di tempo ſia dimorato . Egli è il vetro dell'Antimonio
commendato aſſai da quel nobiliffi mo Vicerè dell'Olſazia Enrico Ranzovio ,
Strolago infie me , e medico famofiflimo, e Guerriero, e Poeta ; e dalGeri neri
ſomigliantemente , e dall'Andernachi, e dal Langio , e dal Mattioli è
ſommamente lodato . Ma Pietro Severini d'altra parte grandiſſimo maeſtro in
Chimica , e in medici na , forte il biaſima , e danna ; dicendo , che
avvegnachè in quello cotanto fuoco trapaſfato ſia , non ſe n'è però il buon
giamai dalcattivo potuto ſeparare.E de'ſuoi ſentimenti an cora ſi fan feguaci
altri , ed altri famoſi medici , e chimici con apportarne molti eſempli
d'infelicisſimi avvenimenti . Vitrum antimonii , dice Giuſeppe Quercetani , quo
bodie multi imperiti maximo cum damuo utuntur , perniciofum eft medicamentum ;
quod ſwoarſenicali fpiritu facultatem irri tandoexpultricem , perſuperiora ,
einferiora magna cum perturbatione ducat , evacuetque; quod ego probare nullo
mom do poffum . Dal che moſſo Duncano Borrero anch'egli ri fiutandolo , affatto
dalla medicina il bandiſce , dicendo : Vitrum hic antimonii fciens omitto ,
tanquam pernicioſum medicamentum ; e'l dortisſimo medico , e Chimico Teodo ro
Cherchringio parimente del vetro dell'antimonio dice , che comechè alcun
guarito pur ne ſia , non eft tanti ifta for . tuita quorundam fanitas, ut
propterea , vel unius hominis vita exponendafit periculo . Vidienim quum ager
tantùm femiun . DelSig.Lionardo diCapoa. $47 Jemiunciam fumpfiſjes infafionis ,
eum poft ingenies vomitus, & fupercatharticasvacuationes ,fubito efflare
animă. Ata binc ille lachryma , hinc clamoresifti contra Chymicos inſur gunt ;
tanquamfiarti imputanda effet aliquorum Pſeudochya micorum impia temeritas,
quorum nihil refert quotfuneribus impleant domos ; modo unus; alterve
fanatuseorum ebuccines fama, &illi audiant magni Doctorės , emungantque
rufticis pecuniam . Ma avvegnachè egli medeſimo una cotaltem pera , ecorrezione
del vetro dell'antimonio rapporti, la qualdice egliefſer ſicurisſima, e séza
riſchio alcuno in ado perarlı ; purecomeegli biaſima ſommamente', e riprova
quella ; che dal Ranzovio , e dal Mattioli , e da altri uſa vali, così verrà un
tempo chi da qualche finiftro avve nimento moffo , dannerà , e riproverà anche
la ſua . Mi Ιο quanto a me intorno a' vetri dell'antimonio non fa prei
certamente che dirmene ; non avédo mai fatta pruo. va di quell'avvertimento del
Rolfincio , ove c'dice : quane do coctio inſtituitur , favellando del vetro
dell'antimonio col vino bollico , fupernatan'scuticula arſenicalis aufertur
;" E foglion certamente sì fatti veli naſcer da'ſali, comenel bollir del
ranno manifeftainente oiſervali; perchè ſomiglia temente potrebbe dall’Alcali
ingenerarſi il velo nel vetro dell'antimonio , e non dall'arſenico , ficome il
Rolfincios avviſa . Ma che che di ciò ſia , in biſogna dicotanta confi
derazione , lo conſiglierei i lavoranti ad eſſer anzi ſover chianente
ſcrupololi, che no , e a ſeguire il conſiglio del Rolfincio , e a dubitare non
forſe così foſſe , come cgli dices - Defiori dell'antimonio dal Zappata , e da
altri cotanto commendati ,così il teſtèmentovato Quercetano favella : Antimonii
vitrum idem ferociterpræfat ,quod ejus flos;idq; obe Spiritum quendam album ,
& arſenicalem ipfi infitum quě nec à floribusego exulare exiſtimem ; quippe
quos adeo afro citer corpus concutere , ac devexare foleant tìm vomitu, tùm
dejectionibus , ut res non caréat periculo. E con lui anche ac cordãdofi
Baſilio Valentini,dice pariinente i fiori dell'anti monio effer nacevolisſimi,
e velenoſi . Z z z M2 Ragionamento Settimo Mai Regolo anche dagli antichimedici
imperocchè coa hoſciuto, ne fáno ſpezialmézione Dioſcoride,e Plinio (av ,
vegnachè vi fallaſſero no poco in giudicar, che quello altro non foſſe, che
Antimonio in piombo cambiato ) è da’buoni Chimici avviſato per medicaméto
violentisſimo ancora,ed oltremodo di riſchio . E ciò anche a' Galieniſti
medeſimi fu purtroppo conoſciuto ; infra’quali il Priineroſio ,così dan nandolo
nefavella ; omnem retinet antimonii malignitatem , qua antea fub terreo
excremento sopita latebat : edindi ap preſſo : fed quum omnes pravas, e
horrendas antimonii vi res adhuc posfideat , poculum indè confeftum
perniciofiffi mum effe neceffe eft ; ideo puriores Chymici hoc ab ufæ me dico
amninò ablegarunt. Ed un della ſcuola di Lazaro Ri verj parlando del Regolo ,
così per ſentiméto del fuo mae ftro ne ragiona : Calix chymicus toties in
obſervationibus no Bris nominatus , communiterque adeo omnibus confectus non eft
, ut nonnulli arbitrabantur, & arbitrantur ex regulo An timonii vulgaris .
Exregulo quidem eft :fed tertii gradus , qui longè differt àvulgari ; quamvis
etiam multi boc utan zur non finepericulo bibentium . Ma il gruogo de metalli,
col cui uſo cotanto avantaggiar fi potèl'imperial medico Martin Rollando, e in
tanto ono re , e ricchezze formontare, è così chiamato dal Querceta no , perchè
ſecondochè egli ne dica , dell'antimonio tutti metalli s'ingenerano , e
fpezialmente l'oro , l'argento , e'l piombo: egli è comunalmente da’buoni
ſcrittori il mens violento , e men pericoloſo infra le vomitive medicine an
rimoniali giudicato.Ma perocchè l'Alcali del nitro nőben ? anche tutta la parte
velenofa dell'antimonio ha tolta e pur gata, o p me dirc legata :la qual
certaméteè quella cheare . cer muove , ben li può di eſſo dire , che comechè
per ope ra d'eccellente , e ſperimentata mano nel meſtier della chi mica
temperato fi foffe , pure pofftan dire che L'ira s'intiepidi , ma non s'eftinfo
perchè ſoſpettar fempre dee l'accorto , e prudentemedia co , non ne
ll'adoperarfi ,alcun ſiniſtro avvenimento ne ſe gua ; perci occhè pure ,
comechè di rado fortir ne fogliono , Ed 1 Del Sig.Lionardo di Capoa 649 Ed
havvi un'altra malagevolezza nel gruogo , imposſibil quafi a ſuperare ;
perocchè quantunque con la medeſimas proporzione del nitro , e dell'antiinonio
diſpoſto fia , c quá ¢unque con tutte le medeſime circonſtanze lavorato į pure,
talvolta più ;o men vigoroſo ſortir ſuole , e sì da ſe mede fimo differente ,
che in dubbio ſempre, e in timore delle ſue ſtrane qualità ne tiene, ne per
accorto , e ſperimentato che l'Artefice fia , potrà maicome , o perchè ciò
avvegna baſtantemente comprendere; ſenzachè cotalimedicamen ti recar fogliono
talora uſcite copioſisſimedi ſangue, o la egli , perchè fi rompa qualche
apoſtema dentro dall'huo mo,e con quello alcun vaſo grande ancora’del corpo : o
che tra per la violenza del vomito , e quella del medicamento alcun altro ſe
n'apra , e ſi roinpano, e ſquarcino l'interiora: oche partendofi dalle viſcere
, e dibucciandofi la mucilag gine , la quale infra gli altri ſuoi ufi, a guiſa
di veſte copré dole , difenderale dagli oltraggj de’ſali acuti , e pugnerec cj,
o d'altre ſoſtanze, quelle ignude,e ſcoperte rimanendo, dal medicamento
s'offendano : e rodanſi anche dalla me deſima violenza del medicaméto gli orli
de’vaſi delſangue; i quali aperti, eſquarciati, comechè picciolisſimi , pure
così numeroſi quivi ſono che ſgorgar oc può in ranta copia il fangue, quanto
n'uſcirebbe per avventura dal rompime to di qualche vaſo ben grande . E comechè
di ciò n'abbia parecchi eſempli; masſimamente nella noſtra Città ; purs
baſterammi al presēte rapportarquì una ofſervazione dell' avvedutis ſimno
Vartone recata dal Gliffonio con queſte pa role : Huc referamus hiſtoriam ,
quam mihi communicavit clarisfimus V varton, mulieris cujuſdam , quæ à fumptu
pharm macoafperiore in enormem fanguinis vomitum inciderat,cui, que ventriculum
poft obitum vocatusaperuerat . Nulla com paruit vena , fivèrupta , five exefa;
cæterùm in cavitate ventriculi adhuc nonnihil fanguinis reftitit ; fiquidem
multò maximam ejus partem ante obitum rejecerat. Fortè dum mi ratur unde ea
fanguinis copia promanaret , dorfo .cultri inte riorem tunicam , ut
penitiusreminfpiceret deterfit : boc facto innumera fanguinis pūčtula in
ſuperficie deterfafenfimcomo pare Ragionamento Settimo parebant ; ipfa quoque
funica quaficutis derafa: cuticules 1 . E che diremo noi de'copiofiffimi
ſudorifreddi , e viſcoſi, ch'uſcir fogliono dagli ammalati per opera dell'antimonio
sì fattamente lavorato i Certamente cotali ſudori,che chia man
diaforeticizangofce,e noje , e ſvenimentirecar foglio no , e talora anche con
toglier agl'infermi miſerabilmente la vita ; avvegnachè cotali effetti non
dall' antimonio fo . lamente , madalle manne ancora , e dalle roſe avvenir fo
gliano , ed eziandio da altremedicine , che per comun conſentimento più ſicure
, e piacevoli, e innocenti tenu te fono : memini non defuiffe, dice il Libavio
, qui Caffia fumpta omnia pateretur , que illi ,qui venenum hauferuns. Nedi ciò
è daprender maraviglia; perciocchèil medeſimo veleno , che è nell'antimonio , è
anche nella Callia , non che nella manna , e nelle roſe , e in altre
ſomiglianti media cine ; perchèſoverchiamente preſe, o fuor del convenevol temporecar
ſogliono talora gli effetti medeſimi dell' anti monio . Neq ;enim ,dice il
medeſimoLibavio ,in favellando pur della Caſſià ,parum acrem inde elicimus
liquorem : tur batorem nimirumillum alui . E finalmente il mercurio di vita è
egli vero, e legitimo parto dell'Antimonio , non men di quel, cheſiali il
gruogo; comechè il Billicchio vanamente li perſuada eſſer quello operadel
mercurio , non dell'antimonio . Ma egli è ſenza dubbio men temperato , emen
gaſtigato del gruogo ; e fe guentemente maggiorinoje , e moleſtie recar
ſuolea'corpi umani per la parte maligna , e velenofa, che in eſſo preva le ;
perchè men certamente agli ammalatidar ſe ne vuole ; che non ſi dà del gruogo.
Ecomechè be fi poſſa in eſſo co tal vizio perarte.correggere , e ammendare , e
più forfes chc da'volgari maettri non ſi coſtuma; tuttavia per quanto
diligentemente per huomo lavorato ſia , temer fempre , e fofpettarne dobbiamo ;
ſenzachè il mercurio divita, come Cutt'altre medicine d'antimonio vomitive,
ſovente imediči da' loro avvifi ingannar ſuole , o nulla, o ſoverchiamente
operando. M.2 Del Sig .Lionardo di Capoa 151 Ma non perchè dannoſi talora , e
pericoloſi ad uſare co tali medicamenti ſiano , ſi vuol perciò dalla medicina
l'uſo dell'antimonio affatto sbandire ; conciofliecoſachè ben an che fabbricar
ſe ne potranno nobilisfini rimedj dadover darſi ſenza tema di nocimento niuno
anche a’vecehj e a'bā. bini , e alle donne groſſe , ficome agevolmente compren
der ſi può dall'opere del Valentini , delParacelfo, e dell? Elinonte . E comechè
non ſia impreſa da tutti il compor cotali poderoſi medicamenti , ma innocenti
però , e piace. voli e di qualunque veleno difarmaci;non però di meno sér za
troppafatica durarc potrannoſi agevolmentelavorarda chiunque mezzanamente uſato
ſia nella Chimica , que'po chi inedicamenti , che vanno attorno ; come il
belzoardico minerale , l'antimonio diaforetico , e altre ſomigliantime dicine ,
nelle quali comechè attutato affatto ,e ſpento il ves Jen ſia , pur
sifattamente ligato ſe ne giace, Ch'a guiſa di leon quando fopofa : non
ſogliono , anzi non poffono perpoter ch'elle abbiano, colle lor pungentiffime
particelle offender giammai , ne ad huomonocimento alcuno apportare ; non
altrimenti, che innocenti anche in alcuni legni , e nellolio , e nella pietra
focaja que piccioliſſimicorpicciuoli ſi giacciano ,de'quali il concorſo , il
movimento , la figura, l'ordine, e'l ſito formano il fuoco . Eben diſs’Io non
effer anche nell'antimonio dia foretico eſtinta , e fmorzata affatto la
ferocia; concioffieco ſachè fondédoſi quello inkegolo,cagagliardiffima forza di
fuoco ſtaccadoſi allora gli alcali,o pur cábiádo sebianza , i quali il vigor
del veleno affrenavano,e'ltenevano a badari ſvegliaſi di nuovo, e riforge la
fua primiera,e natia fierezza . Quinci ſi vede,quanto dal ver fi diparta il
Villiſio , il qual vuole , che l'antimonio diaforetico , altro non ſia , ch'unw
ſemplice terra dannata, e che come tale ad altro e' non và glia, ch'ad
aſforbire, ea dar luogo nelle ſue vacuità a que' fali acuti,chefogliono
travagliar le viſcere: e che egli non abbia niuna facoltà diaforetica; ma ſe al
Villifio foſſe ved nuto fatto d'avviſare i maraviglioſi effetti dell'antimonio
diaforetico , certamente in altra maniera n'aurebbe favel la +
RagionamentoSettima Lato,comeche Pantimonio diaforetico ſi ſia veduto nellofte
: maco d'alcuno non men ,che la polvere di Sicilia , detta del Chiaramonte , e
altre terre ſimiglianti,per la gran forza de faliivi dimorāti talora
impietrarſi ; il che però da béiſcor to chimico ſcanfare aſſai bene ſi puote.
Maciò laſciando di parte ſtare : e'manifeſtamente fi comprende eſſer nell'anti
monio la parte velenola fiſſa ; e forſe arſenicale,e non come altri vanamenté
s'avviſa , volante, e vaga . Ma ſe ciò è ve ro , potrebbono per avventura
ritrovarſi nelle viſcere delle ammalato ſughi così potenti , che colla loro
efficacia vale . voli foſſero ad operar quivi tutto ciò, che far ſuole violen
tiſfimo fuoco ne'fornelli, ſciogliendo nell'antimonio diafo retico gli alcali ,
e riſvegliando la parte arſenicale ad ope rar dentro le viſcere la ſua uſata
peſtilenza : e allora chin? aflicurerà dell’acerbiffime noje, e dolori , e
ſtracciamenti di viſcere , che recar ſuol l’antimonio , non altrimenti che ad
uſo de'fiori, o di vetro lavorato ſia . Così ſperimentiamo talora,che lo
ſchietto , ed innoccnte mercurio , meſcolato dentro dall'huomo ,coll'acetoſo
ſale , che vi ritrova , gua ftali agevolmente , es’aguzza, a guiſa di
violentisſimo pre cipitato; intanto chei medeſimi effetti di quello crudelmé te
adopera ; e ciò manifeſtamente ſi può comprendere dal le pillole del Barbaroſſa
,e da’fumi, e dalle unzioni , e da al tre ſoinigliantimedicine . Ma poſto che
lavorato per ogni verſo l'antimonio sépre nocevole , e velepoſo all'uman genere
rieſca , non ſono però da biaſimare cento ,e mille altri medicamenti chimici
giovevoli affai, e falutevoli ſommamente ſperimentati.Ma qualunque pur fieno i
violenti rimedi della Chimica medi cina , maggiori nondimeno , e più
peſtilenzioſi aſſai ne ha ſempre la volgar de Galieniſti , ſecondo il ſentimento
cos mune di loro medeſimi: Magis igitur familiare eſe medicis (dice il
Primeroſio ) qui Galenici dicuntur, ideft qui veterē Sequunturdiſciplinam
,validisfimis. uti medicamentis, quæ Chymici,aut raròin ufum adhibent ,
autſaltem melius pre parata . Nec verum eft à Chymicis omnia valentisfimo ignis
calore præparari ; fapillimè mitiffimus calor adhibetur . Sed pre 4 Del
Sig.Lionardodi Capoa . 553 : præterea ipſe Galenus docet igne valido pharmaca
plurimai acrimoniam , mordacitatem omnem deponere . Etcertum eft , egli poi
ſopraggiugnc,arte hac fpagirica ditta , & fero ciſſima medicamenta edomari,
& plurima alias venenata ademptis deleteriis partibus evadere cardiaca .
Perchè an che ſecondo i ſentimenţi d'un sì nobile , e valoroſo Galie niſta , e
d'altri affai,ch'Io non rapporto pernon tediarvi, gli ellebori, le
colloquintide, gli elaterj , le ſcamionee , e al tri non pochi violentiſſimi
medicamêti diſegnatine dall'an tica gróffal medicina , i quali già ella più
forſe ad offende reinteſa , che a riparare all'umana ſalute,fin da barbaré có
trade a carisſimo prezzocomprando recati avea, ora incr cè ſolaméte della
Chimica raddolcito il natio amarore , e pofta giù l’nfata fierezza, Ambrofios
præbent fuccosoblita nocendi. Aft ego, dice quel fedeliſſimo ſegretario della
natura cotan te volte da noi , coniechè non mai a baſtanza commendato Gio:
Battiſta Elmonte : aft ego volens paterno animo corri gere furiofam medicaminum
vim , intelligo rerum vires pri ftinas manere debere , infui radicem introverti
, vel fub ſui fimplicitate transformari in dotes illas ibidem latitantes
clanculum fub cuftode veneno : vel de novo partas ratione additaperfectionis.
Quopacto colocynthislaxativam ,atque deletericam qualitatem introvertit ;
emergitque ex imo vis. reſolutiva , morborů chronicorum curatrix egregia . Id
enim Paracelſus in tintura Lilii antimonii cum laude attentavit ; filuit tamen,
vel neſcivit fieri idimin omnibus prorſus anima tium , &vegetabilium
venenis per falem ſuum circulatums: Siquidem omne venenum ipforum perit,fi in
entia prima re dierint. E queſto è appunto quel veramente maraviglioſo
artificio , di cui favellando Giovan da Bagnolo una volta diſſe : Generata
naturalia inferiora loco durioris compaginis conflata , & alta
magnifactione , propter duritiem nequeant abhominum mentibus diruiabſque
magnorum philofophorum artificio . Perchè ritornando al propoſto di prima, è da
co chiudere , utilisſime molto , e neceſſaric al genere umano Аааа effor
Ragionamento Settimo 1 eller lechimiche medicine. E nel vero có quali valevoliar
gometi poreron mai cotanti miracoli operare, eguarir ma li giudicati per
addietro indomabili, e sfidanzati, l'Elmon , te , e'l Paracelſo , ſe non fe per
opera delle chimiche loro medicine ? Eglino certamente con queſto meſtier
poteronſi guadagnare il glorioſo titolo de'inaggiori medici del mon do : e per
queſto ſentiero in tanta altezza di pregia monto il Paracelſo, che
ragionevolmente meritonne il famoſo no medimonarca della medicina . Ma oltre a
ciò ſono i Chimici intendentiſlimi de'ſempli, ci, e della lor natura : e ben
ſanno ſciogliergli a tempo cô trarne la parte inutile, e nocevole , e ſerbar
folamente pus ra , e intera la medicinale: ne loro punto naſcoſi ſono i gra. di
, e le qualità del fuoco , e gli ſtrumenti tutti , egli ordi gni acconci a lavorare
, e'l tempo , e l'altre circonſtanze a ciò confacenti oſſervano . Quindi dal
loro faggio , e avve durisſimo operare forgon poi tantiprezioſisſimi medicamé,
ti : e fanno dal vino , e di altri vegetabili , e viventi, e miş nerali
corpicavar ricchisſimielisliri, e olj,e tiņture , e fali, ed eſſenze , e
ſpiriti ſottilisſiini oltremodo , e ſommamente penetranti, e valevoli a
riſtorare , eadar dipreſente ripa ro alla mancante vita ; e a richianare
addietro i ſpirie ei vaghi, e fuggitivi negli sfinimenti , e nelle ſincopi, e
ne più gravi, e mortali malori ; in cui convien di preſente con prelto , c
valevole argomento ſoccorrere . Nea ciò fare al tro che la Chimica
efficacisſimamedicina è valevole , cbi ftāte; perciocchè a’ınali gravoli, e non
agevoli ad effer vinci fembran certamente bazzicature i volgari, e comunali rią
medj; ne a tuto ſenzadubbio le più ſquiſite ricette di Ga, lieno poſlono
aggiugnere. Inde illa , gridaforte ſtupidito il principe degli
ſpagnuoliGalienilti LodovicoMercati,pro dierant miracula in diuturnis
malis,quaprofunda ele ſolens, diſtillatorum aque ardentis, quinie eflentia,
auripotabi. lis , fi ſcuſi nel Mercati , ignorante dell'arte , la follia del
preſtar credenza all'oro potabile: e la manchevole ragione, ch'egli reca
de’mąraviglioſi effetti delle chimiche medici, ne , così ſoggiugnendo , Chymica
enim arte fumma compan ratur Del Sig. Lionardodi Capoa. 555 : ratur miſtis
tenuitas , quæ duplieiter malis peritioribus profi cit , quia cedit ad imum ,
radiceſque mali penitus evellit, do quia cum toto affecto luco
penitusconverfatur, &mifcetur; ità ut facilealteret , &devincat. E
quindi ancor moſſo quel gran inaeſtro in divinità , e in ragion civile Martin
del Rio, comechè egli per altro non ſappiendo bé la coſa , creda col Mercati ,
econ altri mal pratici del meſtiere ; che ſia vera mente oro potabile quel
liquore che alcuni chimici ſoglio no chiamartale : ſommamentela Chimica loda ,
e innalza, ei ſuoi valevoli medicamenti commenda. Quam ego arré, dice egli
della Chimica , qua medicine adminiculatur janë laudo, &venerur , ut
phyſiologie fatum præftantifimum , in ventricem auri porabilis ,
reinonminusutilis adſanandum , quàm ad alendum , ac quoad fieripoteſvitam
prorogardam . Ma che cerco lo co raccor tutti quegli autori,chelodanole chimiche
medicinezánoverar col poetasqual degl'alti boſelti a terra caggia Numero delle
ſparſe aride frodi? trapaſſero dunque a diviſardell'altro capo propoſto, cioè a
dire a clti lavorare , e compor le chimiche medicine fi convenga. - E in prima
dico , che chiunquc lavorar chimici medica menti intenda , e meſtier di tuo
riſchio , è di tanta confi derazione imprender voglia , egli della chimica
filofofia , è della medicina ancora intendentisſiino eller debbà, eco noſcer
appieno , e comprender lanatura , e gli effetti di ciò che s'abbia a comporre;
concioſliecoſachè quantunque di tutto il chimico filoſofo aver piena contezza
poſa', e cia ſcun medicamento ottimamente comprendere, pure ſenza lungo , e
avvedutiflimo guatamento delle coſe,e ſenza ofat la medicina , mal fenza dubbio
i ſuoi medicamenti faprà fabbricare . E ciò bene avviſando il Valentini , e’l
Para celſo , e l'Elmõtese'l Quercetano , e'l Dornei, e'l Penoto; e'l Severini ,
e'l Crollio, etutt'altri famoſimedici Chimici, no ofarono mai confidare, fe non
ſe allemedeſimelor manile compoſizione delle lor medicine ; anzi que' due gran
lumi della Chimica medicina , il Paracelſo , e l'Elmonce foven te d'alcuni lor
famigliariforte fi biaſimano ', ch’ardiſſerò a comporre' , e difpenfarc i
Chimici inedicamenticon gravey Аааа 2 dan 55.6 Ragionamento Settimo danno , e
riſchio deglinfermi, e con non poca taccia della Chimica . Ne per altro in vero
in tanta infainia ,e ſcherno cadde cotal meſtiere , e tuttavia ſi biafima, e fi
vitupera dalle genti , quanto , che i ſuoi graviſſimimedicamentiin man tutt'ora
di ſciocchiſſime, e temerarie perſone ſon mal menari. Perchè meritainente
idetti valent'huomini, e altri Chimici aſſainon laſcian maidi continuo
conſigliare ,econ fortare i medici a non commetter traſcuratamête all'altrui cura
, e talento i ragguardevoli lor medicamenti ; dicendo alcuni di eſſo loro ,
coluiſolamente effer vero medico , che a ſue propie mani le ſue medicine ſi
lavori. Quo circa illum demum cum Crollio , dice Criſtoforo Glucradt , verè
genui num elle medicum cenfemus , qui medicamenta debitè cogni ta , non ratione
, ut rationalesmedicifaciunt, fed propriaſua manupreparare , & à veneno,
& feculentiis ſuis feparares repurgare, &ad puram fimplicitatem
reducere didicit; eaque imperito non committere coguo ; e prima di lui n'avea
recata la cagione il Penoto , facilius eſt , R. fcribere, do ad im peritum
coquumablegare agrotum, quàm in ipſa naturę pe netralia carbonibus ,
cineribuſque ſordidum ingredi,& pro mereindè magno fudore, quod ipſe egro
exhibeat. E ſe'l lavo rio de' grandi antidoti licome , avviſa Galieno, propiamé
tc al medico s'appartiene : perchè narrali, ch’i Romani Im peradori nel
comporla triaca il ſervigio de’baſſi ſpeziali ri fiutando, a valorofi medici
ſolamente il commetteſſero :Io non lo comead altrui , chc a medico il lavorar
le Chiniche medicine impor ſi debba ; perciocchè molte , e molte di quelle di
maggior vigore , ed efficacia fornite ſono ; perchè certamente maggiore
avvedutezza , e intendiméto richieg gono , che la triaca medeſima,o qualunquealtro
più famo jo antidoto , che gliantichi medici componeffer inai; eres la lor
compoſizione malne ſortiſce , aſſai più certamente ne può di danno , e di
nocimento avvenire ; imperciocchè molti, e molti de chimicimedicamenti ſon così
dilicati , e pericoloſi in lavorarſi , cheper ogni menomo fallo , o tra
ſcutaggine , che vi ſi commetta , graviſſima certamente , e mortal rovina ne
può ſeguire . Perchè l'incomparabile Res nato Del.Sig. Lionardo di Capoa 557 :
nato delle Carte così alla Principeffa Palatina ſua diſcepola ſcrivendo ragiona
: Caurè etiam fecit celfitudo ſua , quod non luerit Chymicis remediis uti ; nàm
quantumvis longa expe rientia illorum vires comprobatę fuerint , tamen , vel
minima in eorum preparatione , etiam quum optimè fieri creduntur , variatio,
poteft illorum qualitates ità immutare, ut non re media fint , fed venena;
ſenzachè, ſe'l medico non vorrà pu re apparare a fabbricare,e comporre le
chimiche medicine, come egli potrà mai i diverſize iſtrani mutamenti avviſare ,
che alcune di quelle , eziandio ottimamente compofte , e apparecchiate far
fogliono ? come afficurarſi mai delle pe ricoloſe qualità dell'antimonio
diaforetico ? il qual ſecondo gli avviſi dell'avvedutiſſimo Zuelfero ,
quocunque modo fe và cum folo nitro , aut addito etiam tartaro præparatum fit ,
traétu temporis aëri expoſirum pravam , da quaſ maligram induit naturam ,
fumptumqueintrà corpus , cordis anguſtias, lipothymias , vomitufque , &
fimilia prava ſymptomata pro creat . Come potrà egli mai d'altri medicamenti
comedel gruogo del metallo , comprenderla vera , e giuſta quanti tà , ch’ad
ammalato ſia da dare ? la qual certamente non da altro li miſura , e conoſce,
ſe non ſe dal ſaper l'operazione dell'Alcali, che in ſu le parti arſenicali
dell'Antimonio più, o meno è fatta : e quella ſenza dubbio comprender non fi
può , fuor ſolamente per iſperienza , e per pruova, con far ne ſaggio in darlo
ſcarſamente agli ammalati , e con rite gno in prim ? : quindi a poco a poco
andarlo accreſcendo finattanto ch’alla ſua convenevol quantità giuſtamente ſi
pervéga : oltre a queſto havviancora alcune virtù di medi camenti , che come di
ſopradetto è, avvegnachè nella me deſimacompoſizione , e qualità de'ſemplici,
cnelmedeſi mo tempo,e gradidi fuoco lavorate ſiano , pur diverſame te o più , o
men vigoroſe , e valevoli ſortir ſogliono ; in torno alla qual coſa non è tempo
ora acconcio a filoſo fare,comechè molto da dir vi ſarebbe ; ma pur come potrà
egli tante, e sì fatte ſorti di lavorj comprendere,ſenza aver le in prima
ne'fornelli, e con fottiliſſimoocchio ſpiate ? co me poi diviſarne agli
ammalati i medicamenti, lenza pun to conoſcergli ? Ma 558 Ragionamento Settimo
Maperciocchè infinitirimcdj a'medici pur s'apparten gono , iquali eglino
nonpotrebbono certamente tutti fora nire feinza tralaſciar le viſite più
neceſſarie degli ammalati; o altre lor bifogne : dico , chenon haluogo al
medico cur ti rimedj a ſue man lavorare , ma que' ſolamente , che di maggior
conſiderazione , e di maggior riſchio agl'infermi fono ; commettendo
ſolainencei medicamcnti piùmenovi li, e più ſicuria ' pubblici, e
fedeliſpeziali, da lui per pruo va già in primaconoſciuti dattanco ; eſſendovi
anche egli talvolta in fu'llavorio per maggior ſicurezza , quando la biſogna
peravventura il richiedeſſe . Ma convienmiritor : nar addietro ; imperocchè
caduto dalla mente miera di ri ferire a fuo luogo, quanto la
Chimicas'appartenga fapere, a coloro , che ben intender vogliano gli ſcritti
demedici; certamente non che altri, ma i libri medefimi de' Galieniſti la
richieggono.E nel vero chi mai potrebbe séza riſchio di groſiſſimi
falli,malfornito a tal meſtiere,pormano a'volu: mi d'Arnaldo, o d'altri
antichi, e moderni Galieniſti ? E ' no è peravvétura purtroppo manifeſto,quáti
falli preli abbia no i troppo séplici , e feiocchiGalieniſti in iſpor l’opere
di qualche autore per non eſſerſi da loro laputo diChimica perchè
ragionevolmente Giovani da Bagnuolo, Galieniſta medico , e chimico
eccellentisſimo, cosi querelandofi ſcla ma: Hoc voluit Ioannes Damafcenus in
herbarum decoctio nibus ; diſtillationibus , quamvis corruptê, di impiè intel
bigatur abignorantibus diftillaturiam artem ,nefciétibus evela bereelementa à
fimplicibus , tantum affumuns aquam endi: viæ primam ,oprojiciunt aërem , ignem
; non fpretos à doctis medicis benèintelligentibus naturæ principia , &
fecres ta : à doctisſimo viro Ioannéa Rupe feiffa : hoc voluit in selligere Ben
Cene in tertio lib.fen. 20. cap. 18. de fingular. med . ad augendum coitum ,
ubi toquitur de commiſtione falis Strucorum cum vitellis ovorum , &patentiffimum
eft falem no poffe confici , nifi perdiſtillationem ; ducum prima aqua dif
folvere cinerem , abluere primam aquam , terram albifi cando , ut docent
fapientes . Ma prima di lui ciò ravviſato avea Antonio de Ferrariſuo maeſtro ,
c compatriota'nelle fue 1 Del Sig.LianardodiCapoa. 159 fue chiofe ſopra la
cantica d'Avicenna. Vadiinoſtrando egli poi quanto lia meſtier la Chimica a
'medici per ben in tender gli Autori , con produrre in mezzo molti , emol ci
altriluoghid'Avicenna male iſpoſtiso mal preſi daʼmedi ci , per non conoſcerli
di chimica ; e centoaltri ne potreme míonoi quì ſomigliantemente annoverare ,
ſe dal tempo ne foſſe permeſſo . Maperchè ho laſciato lo anche di rammo tare la
Chimica efferoltremodo neceſſaria aʼmediciper po ter ben conoſcere , e
ravviſare tante , e sì fatte guiſe dime dicamenti , che fabbricar tutto giorno,
edifpenſar da mol ti, e molti artefici fi fogliono / intorno aquali i ſemplici
Galieniſti in nulla fappiendoſi delle lor vircùconoſcere , ſom vente a'
rapporti de’medeſimi componitori diaeceſſità les ne ſtanno digiuni affatto , e
privi ritrovandoſi di qualunque contezza dichimica; ſenza la quale comporcocali
medica, menti , ne in quali forti di malattie , in qual' età, in quales
ftagione convenevolmente da uſar fieno, appieno compré der potráno
:cõciofſiccofachè cotali ricette fovéte appreſſo i buoni autori s'incontrino ,
i quali appena ſi pare,che l'ab . biano ne'lor volumi groſſamente accennate ,
non che par . titamente ſpiegate , e deſcritte , coprendo a bello ſtudio , e inviluppando
imiſterjpiù pregiati, e più profondi dellar te , per non logorargli yanamente
infra le genti volgari ,cu dibaſſo intendimento . E quinci poi ingannati
da’loro fal fi avviſi impongono vapamente agli ammalati alcunisime dj , che
chiaman prezioſi; facendoſi a crederc , che fien tali, quando veramente fon
viliffime bazzicature , e fanfaluche di niun pregio; fe non vezzatamentele
impongono per aver parte poiall'ingordiffime baratterie degli ſpeziali. Ma
coſtuma fu mai ſempre de' medici il dar a divedereu effer di pregio grande i
loro medicamenti; ficomc per ta cer di Pallada, teſtimonia Sereno Samonico :
Multos pratereamedici componere fuccos Afuerunt ; preciofa tamen quum veneris
emptum . Falleris,fruftraque immenſa numifmatafundeso E per non dir nulla del
file dell'oro , che cotanto alcuni ſopranmodo millantano : come potrà egli un
buon medico diſpor 560 Ragionamento Settimo diſporſi mai ad ordinare al ſuo
ámalato beveraggio di quel che chiamāſale d'argēto,ſenza pūto le qualità
diquello fa pere ? Oh ſep chimica conoſceſſero i Galieniſti giámai,che cofa ſia
quel malvagio medicamento , certamente non ne ſarebbono cotanto a'ſuoi
infermiliberali , perciocchè non è egli , ne eſſer può giammai ſal d'argento ;
ma sbriciolati, e ſottiliſſimi ſcamuzzoli del medefimo metallo uniti inſie me ,
e rappreſi dalle particelle di quegli eſaltati fali acuti, e peſtilenzioſi ,
onde già roſi , e ſgretolati furono; perchè cer tamente la medeſima qualità
riſerbar debbono di que' fali, e'l'medeſimo effetto peravventura adopererebbono,
che dal vitriol del rame far fi ſuole ; perchè Giuſeppe Don zelli nell'arte
della Chimica conoſciuto aſſai , così ne dice: Quanto al mioſentimentoſtimo
vanità le virtù , cheſipredia canodel ſald'argento ; e credo, che abbia
indebolite più bor fe, che corroborati cervelli . Anzi tanto più velenoſo,e mal
vagio cotal ſale fi è , quanto più del vitriolo del rame, o ď altro
peſtilenzioſo veleno rode,e morde le viſcere, e ſpie tatamente ſtracciandole
ſtrabocchevolmente ne muove a recere gli inteſtini, e l'anima; perchè con
dolori acerbillimi correr ne potremmo anche mortal pericolo, ſe non che co
tanto poco dar ſe ne ſuole, che agevolmente , o la natura medeſima , o altri
medicamentiviriparano. E’lmedeſimoancora da dir ſarebbe dell'olio dell'oro , e
dell'oro , che chiaman potabile , del qual certamente niun mai ſervir
dovrebbeſi , ſe non aveſſe egli in prima per più d'una pruova baſtantemente
compreſo non poterli quello in niun modo ne'primicri ſembianti ritornare , e
prender di nuovo forma di metallo ,laſciato avēdo affatto d'eſſer tale . La
qual coſa da quel grā maeſtro dell'arte Elmõte ben con . ſigliata ne fu allor ,
che diſſe : ne metallicum ullum arcanu intra corpus accipiatis , nifi prius
redditum fit volatile , din nullum metallum reduci poffit. Eche direm noidelle
tinture de coralli , delle perle,del le quint'effenze, che millantar
fogliono,degli ſmeraldi,de zaffiri, e de’rubini , cd'altre ſomiglianti gemme,
le quali veramente,ne filoſofiche tinture, nc eſſenze non ſono con cior Del
Sig.Lionardo di Capoa sor ciosfecofachè a farle tali , egli convenga in prima
ſcioglier filoſoficamente que'corpine'primicris loro principj collo pera , e
col conſiglio degli Alchaeft, e d'altri ſomiglianti li quori: le qualicoſe
altro veramente non ſono , ſecondo il ſentimento d'alcuni valent' huomini, che
Sogni d'infermi, e fole di Romanzi; e nõ men vane, e bugiarde, che l'eroiche
sbracciate del Rc Artù , e lemillanterie di Lancillotto , di Triſtano ,
ed'altri crranti Cavalieri,che dimenzogneempion carte . E ſepur vere coſe , e
non vanisſime dicerie elle fono , ficome al quanti guari autori han voluto pur
credere , cgli però ſo 110 sì inviluppate ; e cieche , e rimoſſe dal noſtro
intendi mento , chemalagevoliſſimamente per huom ſe ne potreb beorma rinvenire;
così, ſe pur lealmente ne diviſano i mae Itri, e Senatori della Chimica
Repubblica, come il Valen tini, il Paracelſo , l’Elmonte , e altri, l'han
ſapute co' loro riboboli , ed cninmisì bene avvolgere , e intralciare , che
impoſſibile omai ne ſembra l'impreſa. Perchè lo ſciogli incnto , che
comunemente far pe veggiamo , altro certa mente non è , ch'un minuto
ſtrirolamento , o ſceveraniento delle parti , fatto , come è detto
,da’ſaliacuti elaltati ,e per ciò ſoinmamente velenoſi , i quali meſcolativi
per entro , e forte appiccativi non ſe ne potrebbono per tutte le bucate del
mondo toglier giammai; ſenzachè i bricioli dell'oro , o delle gemme,o d'altra
ſomigliante coía dura, ſcioltije ſgre tolati, e a que’ſali appiccati , ceſano ,
e fraſtornano l'ope razioni degli Alcali ; intanto che non potendogli quelli da
tutre parti inſiemeunire, no rieſcono valevoli ad iſpogliar glidella lor natia
acrimonia,con rendergli ottuſi affatto , e rintuzzati delle lor ſottiliſſime
punte ; ficoinenel tartaro vitriolato far ſogliono, ove sì fatto intertenimento
non hí 110. E ſe i fali pur non vi rimancſſcro , ma per opera d'ec cellente , e
ſaggio maeſtro già tutti interamente ne goin beraſſero , certamente iminuzzoli
dc'corpicciuoli ſciolti, c sbriciolati non reggerebber pure a galla nuorando in
ſu i pori delle umide ſoſtanze , ma tantoſto in fondo al valo sõ.
mergerebbonſi; ne meno ſcioglicrebbonſipunto per gli Bbbb wwin 502 Ragionamento
Settimo umidi aliti nel deliquio ; come gli intendenti del meſtier fa vellano .
E di ciò ben fi può far manifeſta pruova,conme ſcolarvi dentro l'Alcali del
tartaro ; concioffiecofachè bcn allor di preſente fi vegga l'argento , e l'oro,
e le gem me calar giù , e far toſtofondaccio : comechè alcuni cotali paltonieri
, e giuntatori de’noftriſecoli pur ſi ſtudjno di di moftrarne il contrario :
circumfuranei fallaces ,come dice il grand'Elmonte ,qui aurum , & argentum
furripientes aliud in borum locum fuppofuere ; incontro a’quali giuntatori al
trove riſerberommia ragionare . Ma de' lavoratori di sì fatti medicaméti,così
dice lo ſteſ fo Elmonte , huomo per univerſal conſentimento di tutti letterati
intendentiffimo di ciò giudicato . Pudendam pa riter deploro fimplicitatem
illorum , qui foliatum aurum , gē maſquecontufas
hominibusmagnaſpepropinant,magno ven dentesfuam ignorantiamfinondolum ; quafi
ftomachusinde, welminimum expectetfubfidium . Subtilior , ideoque magis
condolendus efterror eorum , quiaurum , argentum ,coralia , perlas, atque
fimilia per liquores acidos corrodunt, atque dif folvere videntur;putantque hoc
pacto intra venas admiffum iri , verè ſuasproprietates nobiſcum communicatura
.Nefciät enim , ah neſciunt acidum venis hoſtile ; ideoque peregrina
diſſolventiúfuperata , & tranſmutata aciditate,ejufmodi me talla ,&
lapides pulveré effesatante; qui utcunquein tenuiffi mum pollinemfit
redaétus,nihil tamen à ſtomacho conficitur, aut nobisfuas vires partitur. Ed
Angelo Sala nel meſtier della Chimica ofercitato affai , e ferino , e veritiero
ſcritto Te : omnes illi , ſclama , qui talibus portentofis promifis, quo rum ne
minimum re ipfa præftare pofunt, multum gloriantur, Banquam.agyrta ,
&impoftores babendi funt; licet ab aliqui bus , intendendo egli di coloro
appunto , de' quali noi ra gionato abbiamo : ſciocchi,e ignoranti della
Chimica, qui facilè vanis perſuafionibus ducuntur , tanquam profundi ar.
canorum naturæ fcrutatores fufcipiantur,magniquefiant, da contra ab iiſdem
ingenuisfine oſtentatione quantum in artis poteſtate eft exhibentes
negligantur. E prima di ciò avea egli detto : meritò fufpeéti habentur , qui
primam dari materia philo Del Sig. Lionardodi Capoa 563 philofophorum tùm ad
quorumcunque morborum curationem , tùmadmetallorum tranfmutationem , multis ,
jiſque ad oſtë tationem , & fraudem comparanis rationibus probare conan tur
. Qui ex auro , quod necfummaignis violentia , autul lo corroſivo cogi poteft ,
ut vim fuam metallicam exuat , se liquorempotabilemverum fine peregrina miſtura
conficere poffe jactitant . Qui non folùm colorem , innatam tin &tu ram ex
omnibus metallis , lapidibus presiofos , fed etiam fpi ritus , olea , &
ſales non minus , ac exvegetabilibus fe fepa rare poffe profitentur: Qui
ex.talco , corpore illu metallico , & incombuſtibili , balſamicum ,
&temperatumliquorem ad per petuam faciei venuftatem promittunt. Qui veram
tincturam coraliurum ejufdem cumipfis coraliis coloris , faporis, &tem
peramenti , majoris tamen virtutis ad Epilepſie, & Melan cholie curationem
vendunt; du ex ipfis margaritis talē quin tamellentiam ,quæ humidum radicale
confumptum meliusquá ullumaliud fimplex ,aut compofitumreftituat. E quancunque
gli acuti lali ſoglian talor raddolcirli al quanto, o per me'dir mitigarhi
accozzádoſi in modo co'mi nuzzoli demetalliſciolti, che le lor
fottiliffimepunteaca biar fito ne vengano, come nel vitriolodel ferro agevolmé
te fi può vedere; non,però di meno il più delle volte il con trario n'avviene;
perciocchè le punte delle particelle, che compongono i fali, accozzandoſi
talvolta con gli sbricio latiminuzzi de’metalli , vengon si fartamente a
ſchierarſi , e comporſi, ch’a guiſa di pungentiſſime ricciaje , od’aſpri riccj
fieramente aguzzandoſi, ed arruffandoſinefquarcia no le viſcere ', e con
mortali punzecchiamenti talor n’ucci dono ; ficomealla giornata nel ſoliinato ,
e nel precipitato , e achenell'oro ſciolto p l'acqua regia avvenir veggiamo.
Perchè l'avvedutiflimo Chimico Ofualdo Crollio , dicoral oro favellando,
dannandone ſommamente l'uſo,non datur, dice , illo nocentius toxicum . Ed io
porto pur ferma opi nione, che da sì fatti medicamenti , ſe non ſi deſſero
tanto miſuratamente , e a ſpiluzzico , non nien gravi , e manifeſti danni
ſeguirebbono , che dal ſolimato , e dal precipitato avvenir ſogliono ; perchè
non ardirebbono imedici ſcioc Bbbb 2 chi, c 564 RagionamentoSettimo chi , e
ignoranti , ſe nella chimica eſercitati foffero , cotali medicamenti ,
anzinocevoliſſimiveleni , a'loro ammalati per cagion veruna imporre ; e
comprenderebbon pure che corali, che chiaman riſtorativi, in luogo di dovere
agli in fermi sfidati lc ſmarrite forze ravvivare , inaggiormente gliele abbattono
. E ſappiano pure , che ſecondochè nes dicano i più veritieri Chimici, più
agevole aſſai è a fabbri car di nuovo l'oro , che'l già fatto diſtruggere. Ne è
dacredere , che quell'olio d'oro tanto celebre , e famoſo in Portogallo , curi,
e ſaldi le ferite con altro , ches co'ſali roditori , ed acuti dell'acqua regia
, che if diffolve ; perciocchè corrugando quelli, e riſtrignendo i vaſi acquo
fi del noſtro corpo, nó fanno alla ferita umore alcuno trape lare ; perchè gli
ſpiriti de ſali frizzanti, e lazzi la virtù dell' olio dell'oro , o ſia egli
oro potabile, è certamente da attri buire ; che per altro, ficome diceva colui,
l'oro sì fattamé. te ſciolto troppo ſpoſfato , e di niun momento ſenza il fal
roditore egli riuſcirebbe: ma affai a ingordo pregio paghe rebbeſi quel poco
d'utile , che rade volte ricever fe ne ſuo le , ſe paragonafial riſchio , in
cui la vita del malato mani feftamente incorre . Ne altrimenti è da credere
degli ap parecchiamentidelle perle , de’coralli , e dellc gemme ; perocchè ,
come di ſopra detto è , sì fattamente nel loro Atritolamento gli acuti fali vi
s’appiccano , che per quindi torgli vano affatto , e inutile ogniſtudio
riuſcirebbc .' Emi ricorda pure eſſer capitato una volta alle mani del Donzel
li un talmagiſtero di ſmeraldi, che manifeſtamente di que' ſali , onde compoſto
era , putiva; e quelvalent'huomoall ? aperto riſchio della perfona colui
ſottraffe , che di preſente predere il doveva. Perchè i buoniChimicisépre dal
far co tali apparecchiamenti ſono ſtati oltremodo guardinghi ; e'l Gluctradio
medeſimo ne'cométi, ch'ei fe in fu'l libro delſuo Beguino , forte gli biaſima,
e danna . Anzi quantunque il Cratone nel meſtier di cotali medicine
ragionevolméte da ſeguitar non fia ; non però di meno in ciò , chcnarra delle
perle , egli ſenza dubbio ſembra dir vero . Acetum radi catum , ſon ſue
parolefua , acrimonia , & vi corroſiva, atq; caufti. DelSig. Lionardo di
Capoa. 585 cauſtica non modo margaritas , verum alia etiam diſolvere ; &in
cinerem quafi redigere , atque quemadmodum Chymiſte loquuntur, calcinare polje
nemini dubium eft . Huc autem no eft fpiritum margaritarum elicere, fed totam
earumfubftan . tiam corrumpere. D.Vaoylelius ſenior mihi narravit Epiſco pumn
Vratislavienſem Gaſparem Logum , magiſterium hocper larumperſuaſum à
fratrefepèporrectum à Paracelfifta quo dam ebibife, atque eo demortuo tunicas
ventriculi nigras, egy corruptas apparuiſe. Eodem eventu ufam effe Marchionis
Iohannis conjugem , in qua ventriculi tunicæ planè fuerunt erofa . E ciò
certamente avvenir debbe dal non aver ſapu to il componitore di quellavorjo
qual cofa apprèffo'l Para cello ſia veramente l'aceto radicato, e dall'averſi
egli ſervi to in luogo di quello d'un cotal liquore minerale oltre modo acuto ,
e roditore . E quantunque diciò per avven tura non ſi poſſa ne'magiſterj delle
perle , e decorallifac ti per opera d'alcuni piacevoli fali, o liquori
vegetabili dottare,tuttavia comechè ſi cõfacciaio a qualche āmalato , pure in
molte,e molte malattie comuneméte ſi dánano ;per chè in luogo d'abbeverarſi di
quel ſale acetoſo , che nelle noſtre viſcere calor ritrovano, accreſcendolo
maggiormen te , le cagionidelle inalattie ne multiplicano. Ma chi baſtevole
ſarebbe giammai a raccontar le frodi, c le baratteric , che in sì fatte materie
tutto giorno com metter fi fogliono ? Ed è egli recente ancor la memoria in
queſtaCittà di quel Polacco, chevedeva a carisſimo prez zo lo ſpirito del nitro
per l'Alcacſt; e di quel gran Barbar ſoro Ciciliano , ilquale con ſue ciarle ,
e giunterie molti, e molti ne preſe faccendo Calandrini gli huomini, e dando a
diveder loro l'elitropia fu per lo mugnone , vendendo, e di fpenſando la
tintura del verderame per quella degli ſme raldi , c'l biſmuto calcinato con
acqua forte , e ſciolto , co me dicono , per deliquio , in luogo di veraciſſimo
latte di perle; e f quel che minor male certamente era ) Peliſſire di propierà
per balſamo di Criſto , e la cintura del Chermes per quella de'coralli. Così bé
ſapea falſeggiar sì fatte ma raviglie, come colui, cui fa dire il noſtro Dante
la giu nella : deci 566 Ragionamento Settimo --- . decima bolgia dello Inferno
: Sì vedrai ch'Io fon l'ombra di Capocchio , Che falfaili metalli con Alchimia
: E ten deiricordar ſeben , t'adocchio, Com'Iofui dinatura buona foimia . E non
ha guari di tempo ; cheda qualche malvagio fpe? ziale comunemente vendevali (
edimedici pur l'imponeva no a'loro infermi ſotto nome d’eſtratto di caffia ) la
caffia medeſima, ineſcolatovi dentro gutgummi: e queſto mede fimo pure meſcolar
ſoleva nell'eſtratto del Rabarbaro per renderlo maggiormente efficace , e
vigoroſo , con quel dá no, e nocimento de’miſeri ammalati,che immaginar poſfia
mo ; e gli ſcimuniti, e balordi medici ignoranti affatto dela la Chimica,
ingaonacine reſtavano,giudicando ſcioccamé te maggiorſempre , e più vigoroſa
negli eſtratti l'efficacia dellemedicine dover riuſcire . E ſomigliantemente
dall'ignoranza della chimica anco ra avviene , che i baccelloni , e ſemplici
medici credendo di foverchio agli Artefici, veggonfi tutto dì mandar fuora
varie , e diverſe moſtruoſe, e ridevoliricette di medicines, le quali o non
inai fi videro al mondo , o folamente ne’libri di poco pregio , o dalle bocche
, o dalle penne di chi trop po lor crede furono appreſe; ma quanti danni ne
fian ſegui ti a’poveri infermi , chi potràmairaccontare :Dirò lo fola mente ,
ch'un celebre Galieniſta de'noftri tempi per aver lerro forle egli il Tirocinio
delBeguino , o altro ſomiglia te libro di Chimica , ftimandofi egli già gran
maeſtro in quella , preſe ardire d'ordinare a una cattivellainferma lo fpirito
del nitro volgare fchietto ; e comechè lo ſpeziale tá to quanto intendente
della biſogna a tutta ſua poſſa il con traſtafle , pur colei preſolo , dopo
acerbilliini dolori nabif fando , e rabbiando fe ne morì. Ma di sì ſciocche , e
irra gionevoli ricette ben ne potrei Io un lungo catalogo qui diviſare , ſe non
che per troppa modeſtia me ne taccio ; temendo non diciò ſe n'adiraſſe alcuno ,
come di fallo per avventura da ſe maffimamente commeflo ; ſenzachè v'ha
perſona, ch’avendonc finora un lunghisſimo ordine intel R 1 iuto , Del
Sig.Lionardodi Capoa. 507 ne , futo, infra non lungo tempo forſe divolgandolo,
farà intors, no aciò la vaghezza de'curioſi interamente paga . E dall'ignoranza
della Chimica medefinamente avvic che tutto di daʼmedici il ſale del vitriolo
ordinar ſi co ftumi ; il che certamente non avverrebbe , fe ſapeſſefi qua to
eglioltremodo malagevol fia il comporlo ; e che gli ſpe ziali in vece del ſale
del vitriolo , dar fogliano il vitriolo medeſimo bianco , o pure il vitriolo
riprodotto dal capo : morto , ſicome dicono ; il quale talvolta aſſai più del
vetro medeſiino , e de'fiori dell'Antimonio violento ſuol riuſcire; cagionando
acerbillimi dolori nelle viſcere , e talora anche manifeftamcnte uccidendo .
Così non ha guari di tempo per pochi granelli di cſſo moriſli in Caſtel
nuovomiſerabil mente rabbiando Gio :Battiſtade'Benedetti ftrolago di gra grido
. Ma i noſtri ſciocchi, e baccelloni medici immagi nando di porre in opera un
benigniſſimo, e piacevol medi camento, in luogo di quello un crudelifimo, c
micidial ve leno ne vengono talvolta ad ordinare . E ſon' anchei medicinegli
ſpiriti de'corpi vegetabili da? mueftridiſtillatori, ſommamente beffati ;
perciocchè colo ro cavar gli ſogliono per limbicchi di rame con gravilli mo
danno di colui , che prender gli dec ; conciolliecoſa chè la flemma di que'
corpi formentati, gravida di quel ſale acetoſo , che non mai partir ſe ne può ,
trae ſoven te qualche nocevol particella della campana , e con la ſua mordacità
tanto quanto la rode , e la ſminuzza. Quinci poi a poco a poco, ne l’huom ſe nc
può in prima avvedere,[con volge , e morde le viſcere , e diſtempera il corpo,
cagione vole oltremodo , e difettoſa l'economia di quello renden do . Ma veggo
Signori che s’lo diſtintaméte narrar vi volei gli errori tutti ne' quali
incorrono i medici p nó ſaper pūto di chimica troppo lūgo, e ſtucchevole ne
diverrebbe il mio ragionaméto; perchè ritornando di nuovo ad avvercirglin
confortargli, e ſcongiurarglia non inframmetterſi d'impre ſa di tanto riſchio ,
fe pienamente non ne fan riuſcire, dico di nuovo , che laſcjno da parte ſtare
le pericoloſisſime me dici. 5:08 RagionamentoSettimo : dicine della Chimica , e
ſolo alle lor menovili, ccomunali attendano : Ludere qui neſcit campeftribus
abftinet armis; Indoctuſque pila , diſcive , trochive quieſcit , Ne ſpiſſa
riſum tollant impunècorona. E perchè dirò lo non reſterà anche un medico della
Chi mica ignorante d'ordinarchimichemedicine?masſimamé re , che non ne fieguono
le ſcherne di lui , ma la morte de gli infermi; perchè a ragion lagnavaſi il
Sennerti d'alcuni maeſtriScimmionide'ſuoi tempi , i quali, com'egli dice , quum
rerum Chymicarum planè ignari fint ,ne tamen Chymi cis aliqua ex parte
inferiores videantur, chymica medicame ta , quorum vires , & præparationis
modum ignorant , fatis periculosè ufurpant . Or che direbbe egli , s'ancor
vivendo vedeſſe la tracotanza del noſtro ſecolo , e ſcorgeſſe pures in queſta
noftra Città , in queſto Regno non eſſere ſpeziale anzi no eller barbiere , non
eſſer cerrerano,non doniccico : 1a , che non componga Chimicimedicamenti:non
effermc dico , che non gli ordini , appena che ne ſappia il noine, o bene , o
malc , in tutte ſortidimalattie ? Anzi , che direb be egli pure , ſe vedeſſe
cotali Squaſimodei de'noftri tempi andar tronfj, e pettoruti biaſimando la
Chimica in cotali, che forſe ſaggiamente , e con prudenza l'adoperano, quan do
eglino ignoranti , e non punto intendenti di quella più ch' alcun' altro poi
follemente delle chimiche medicinc fi ſervono ? E comechècotalimaeſtri zucche
al vento diſa per tutto miliantino ; pur nulla conoſcendoſidella vecchia, e
della nuova medicina, abborrano, e meſcolano alla groſ ſa il tutto , con danno
, e rovina di chilor crede. Ma per favellare appunto de'tempi noſtri, dice
l'avve. dutisſimo, eingegnoſisſimo Roberto Boile,Obfervo noviſ fimis annis
Chymiam ceptam efe (uti meretur) à viris doctis, quiprius eamfpreverant ,
excoli ; ejuſquefcientiam à pluri bus , qui ipfam nunquam coluerunt,
arrogari,ne eam ignora. re exiſtimentur . Vndè faftum quodplures Chymicorum de
rebus philofophicis notiones fumptæ fint pro conceſis , atque in uſum verſa ;
& fic ab eximiis admodum ſcriptoribus,tiim phyſi Del Sig.Lionardodi Capoa:
150g phyſicis , tùm medicis adopsate . E finalmente anche ſe alla medicina non foſſe
meſtier la chimica , a che ragunarſi a giornate tāti parlamenti, e tante ſcuole
di Chiinica nella Germania, nellaFrácia, nell'Inghil terra , e in altri molti
famoſisſimiluoghi d'Europa ? A che tanti valentisſimi medici ( de'quali
alquanti più famoſi Ga dieniſti per brevità ſolamente rapporterò ) avrebber
durate tante fatiche, ſparſi tanti ſudori, vegghiate tante notti per
imprenderla , per appararla ? E per racer d'Avicenna , di Rali, di Meſue,
d'Abulcafi , e d'altri famoſi medici Arabi, e ſomigliantemente di Ramondo Lulli
, d’Arnaldo da Vil lanova , e d'altri di que'barbari, e infelici tempi: quanto
ſudor vi ſparſero Giovanni da Bagnuolo,Gio :Battiſta Món tano : Giacomo Silvio
grandiffimo parteggiano diGalieno , Giovan Fernelio , Corrado Geſneri, Teodoro
Zuingero , Andrea de'Mattioli,Gio : Giacomo Veccheri , Gabriel Fal loppio ,
Felice de' Platteri , Martin Rollando , Anſelmo Boezio , Girolamo Cardano ,
Giulio Cefare della Scala , Gregorio, e Daniello Orftio , Pietro Caſtelli,
Marco Aure lio Severini , Daniel Sennerti , Girolamo de'Roſli, Andrea
Cefalpini, e Giovanni Eurnio, e Giovan Cratonc ? il qual, come alcun'altro
deʼmentovati, comeche con ogni sforzo in prima ſtudiato li foſſe di contraſtare
, e abbatter la Chi mica , pure alla per fine tratto dalla verità volle
appararla , e ſeguirla ; e introduſſe in Vienna , com ' egli narra , nel la
Corte Imperiale molti ſalutevoli , e nobili medicamē. ti ; perchè poi ne fu da
altri medici fieramente perſeguita to , e biaſimato . Ed egli ſembra certamente
ſventura ſin golar della Chimica , fe pur egli non è anche di tutt' altre cofe
grandi , e magnifiche : poichè non s'arri fchia alcun giammai a tacciar coſa ,
di che pienamente non ſappia , e non ne ſia in prima a baſtanza informato :ma
folo la Chimica fi biaſima , e s'accagiona da chi men n'in-. tende; e giugne a
tanto l'invidia,e la malavoglienza de'bef fardi, che con arrabbiati morſi fan
lacerare empiamente un meſtier ,dicui appena fanno il nome . : Machi baſterebbe
giammai ad annoverar tutti coloro , Сccc chc 570 Ragionamento Settimo che le
chimiche medicine adoperano ? certamente non è medico a'tempi noſtri , ch'abbia
fior di ſenno , che per be ne ciò fare , con ogni ſtudio diligenteméte nó
appari la chi mica ; e ſi è ciò ſolaméte vantaggio della noſtra ctà , o della
noftra fioritiffima Italia nella quale anche a'tempiaddietro la Chimica da
tutte genti,che tanto quáto n’ebber contez za avidiſſimamente fu ricevuta . E
Pier Caſtelli ad un co tal meſtolone, che inutile, e ſoverchia a'medici
giudicava fa , fciat,diſſe , in Germaniamedicină exercere Chymiæ igna rum non
poffe , &vixin Gallia , & in Italia ; e'l teſtè men tovato Daniello
Orſtio : encomia Chymie non opus eft , ut hic recenfeam : quia verum eft, quod
habet alicubi Heur nius : ceſpitat, jam profecto fine hacarte medicina . E
prima dicoſtoro avea già detto il Mattioli : medicum abſolutum effe non poſſe ;
immo nec mediocrem quidem , qui in Chymica non fit exercitatus: nella qual
ſentenza fu dopo ancora Da niel Sennerti , e in varj altri luoghi l'accennato Caſtelli
, tant'altri valenti ſcrittori, Ch'a nominar perduta opra ſarebbe. Ho
traſandato a bello ſtudio di avviſare quanto l'uſo della Chimica ſi diſtenda
nella maggior parte dell'arti più curio fe, e più utili al genere umano :
imperocchè l'acqueodori fere, gli olj , tanta varietà di liſcj, che lavoranſi
per orname to delle donne, le gioje artificiali, che dalla Chimica, qua fi
emula della natura produconſi , la varietà de'colori , che formanſi per uſo
della pittura , le paſte da indorare , e lac que da partire i metalli , che
continuamente adoperanſi dagli Orafi , tutti ſono effetti, coperazionidella
Chimica; delle quali la ſola operazione della menzionata acqua da partire i
metalli, diè cagione di tanta maraviglia a quel grā lume delle buone lettere
Budeo , che nel terzo libro de Af se , ebbe a dire : hujus eft id artificium ,
ut vi aqua medicata , quam Chryſulcam appellant,quantulamcunqueauri partem
argento , aut cuivis metallo illitam , aut confufam ,nullo di Spendio abſtrabat
, ita ut inauraturis nibil jam depereat mă do , niſi quod ufu interteritur .
Res omnino fupenda auri ar gentiquequotamcunque portionem ex ære eximere ,
etiã, quod magis Del Sig. Lionardo di Capoa 571 magis mireris manente vafculi
forma quaſa interdum , a inani , veluti quadam idea à materia abſtracta . E
l’Alciato ammirò pariinente la medeſima acqua in chiolando il teſto della legge
Idem Pomponius , S. fed fi D. de rei vind . nella quale ſi dice , che'l rame
miſchiato con argento non può ſepararſi,e però nõ vi può aver luogo la vindicazione,
qual dicono: onde e' ſcriſſe potuit hæc sētētia Vlpiani têpore obſer vari ,
hodie forte aliud erit, etenim inventa eſt ars,qua Chry ſulcæ aqua viaurum à
quocunque alio metallo fepararipoteft, cujus rei quamvis pauci ſintartifices ,
vixque finguli in ma gnis Civitatibus, cum tamen ſeparatio fieri poffit,
apparèt non effe fuprafcripta rationi hodie locum . Ma cotali brighe a'cervelli
più ozioſi de' noſtri laſciana do :poichè la chimica eſſer così giovevole, e
oltremodo ne cellaria alla medicina baltevolmente è detto, trapaſſeremo ora a
diviſare delle ſtrade , perle quali aggiugner ſi poſſa alla contezza di sì
nobil meſtiere . Primieramente colui che nel faticoſo meſtier della Chimica
eſercitar ſi voglia , conviene, che non ſolo , comc Teobaldo avviſa, ſia nel
latino idioma ben addottrinato : ma d'altri, e d'altri ancora egli abbia
conoſcimento :concioffiecoſachè in molte lingue del la Chimica i volumi ſiano
ſcritti , e con tanti eniminio eri boboli inviluppati, come altrovc dicemmo,che
ben richie dono ſottiliſſimi, c.alti cervelli per iſpiegargli : Ea fuit om nium
hactenus invidia , dice di lor querelandoli Geremia Bartio , idque præpofterum
occultandi ftudium , ac labor , ut non tantum à fe inventa artificia ſpagyrica
, tanquam eleuf , na facra celarint: ſed veterum etiam arcana , fimpliciori ,
apertiorique orationis genere propalata, impofioria perplexi tate, do notarum
hieroglyphicarum obſcuritate , in tenebras ipfis Cimmeriis , & Ægyptiis
denfiores conjecerint . E oltre a queſto deeil Chimicoper lo ſciogliméto e per
l'inneſtamé. to de’naturali corpi aver diligentemente ſtudiato in fiſica , e
conſeguentemente in Geometria , e in tutte altre ſcienze ad imprender filica
ſommamente neceſſarie ; ſenza le qua li mal certamente può egli il ſuo
intendimento fornire,quáa tuinqueavveduto fit , e valoroſo aſſai: così quel
famolin C cc c 2 mo me . 572 Ragionamento Settimo mo medico ; e chimico Arnaldo
da Villanova: quicunque ad hancfcientiam vultpervenire , &non eſs
philofophus, fa tuus eft ; per tacere il Morieno , e altri . Maconviene oltrº a
ciò ,che per internarſi nelle cupe , e profonde ſpecula zioni della natura ,
ne' tre vaftiffimi reami di quella con ra pidiffimo ingegno traſcorra , e molto
in eſli ſpii, molto co prenda , e avviſi tutte quelle coſe, ch'e' continuo aver
dee tra le mani, e vada pure per inveſtigare nuove coſe ; cer cando per lande ,
e per valli, e per colli , e per fiumi, e per nuovi mari Fior varj, e varie
piante , erbe diverſe, c oltr'a ciò augelli , e peſci, e altri infiniti
animali, e minic re , e gemme , e altre , e altre fatiche a sì lungo meſtiere
appartenenti volentieri imprenda , come già fecero que chiarisſimi lumi
dell'arteRamondo Lullio, e Teofraſto Pa racelſo . Oltr’a ciò egli è di meſtieri
al chimico eſſer otti mamente avviſato della natura , e delle qualità di tutti
gli ordigni , e ſtrumenti del meſtiere , e ſopratutto del fuoco ; € fottilmente
anche comprendere checo’ſemi di quello sé premai ſi vengono ad
accoppiarealquãte particelle, o fali gne , o d'altre ſorte di quelle coſe , che
ſi lavorano ; perchè poi vengono oltremodo a variarſene gli effetti, e l'opera
zioni delle chimiche medicine. Macertamente Nõ è pareggio da picciola barca , e
troppo fuor dimiſura n’allungherei il ragionamento ,fee tutto ciò,ch'ad un
perfetto Chimico abbiſogna recar quà partitamente lo vi volesſi; ſolamente non
laſcerò di nuovo d'avviſar coſa importantisſima a mio credere a cal meſtie re :
ed è, che il voler da’ſoli libridegli autorila chimica ap parare , è impreſa
oltremodo malagevole,e dura affai,mal ſimamente a colui,cheper la filoſofia , e
per la medicina ſervir ſe ne yuole . La qualcoſa, ſicome dicemmo,ſopra tutto
naſce dall'aver quella gli avveduti ſcrittori a bello Audio con enimmi,e
viluppi intralciata ; e ciò fanno per . non manifeſtare a tutta gente i ſegreti
più profondi dell'ar te ; nella qual cofa adoperano certamente gran ſenno , ſe
guitando i conſigli degli antichisſimi padri dell'arte gli Ege. Del
Sig.Lionardodi Capoa. 573 Egéziaci ſapientiperciocchè ; , come cancò quel
giocondo ſatirico Fiorentino nel ſuo Orlando rifatto, Le cofe belle prezioſe ,
e care , Saporite , foavi, e delicate Scoverie in man non fi debbon portare ,
Perchè da'porci non ſiano imbrattate. Perchè poi molti , e molti , che ſi ſono
affaticati, e s'af fatican tuttavia di ſpiegare gli aſcoſi ſentimenti de’Chimi
ci maeſtri , ne rimangono certamente di gran lunga ingan nati , e ſovente
ancora ne' loro errori traggonnon volendo coloro , che creduli troppo preſtan
lor fede; masſimamen te nelle bifogne di maggior conſiderazione della medicina,
come fon quelle intorno alle qualiora noi ragioniamo. E quel , che maggiorméte
accreſce la malagevolezza fiè,che fpesſiſlime fiate , quandofan ſembianza di
parlar manife ſtamente , e alla ſcoperta ſenza aggiramenti di parole , al lor
maggiormente n’inviluppano . Omnium rerum , avvi fa il gran Claudio Salmaſio ,
quæ ad hanc fcientiam perti nent vocabula , ab ufu , & confuetudine
communifubmoveritt auctores fui, &peculiarem fibi dialectum vindicarunt ,
fa lis myſtis tanti arcani intelle &tam . Fornaculam fortem , ve caminum ,
in quo argentum ,& aurum fundebatur,quod ore hiāti, &patulo effet.E fu
ancora conoſciuto dal ſapiêtisſimo Boile,dicédo egli quelle parole.Hæcpropterea
adjicio , quod qui vel ullatenus in rebus Chymicis eft verfatus, non poteft no
ex obſcuro corum ambiguo , & ferè ænigmatico tradendi, que docere præſe
ferunt ,modo percipere ; ipfis. confilium non effe , st intelligantur ,nifi à
filiis artis (utvocant , nec vel ab iis quidemfine difficultate, & incerti
ſucceffusexperimentis;adeo ut eorum nonnulli vix unquam tàm candide loquantur,
quă guando trita inter ipforum fententia utuntnr : ubi palàm la quuti fumus,
ibi nihil diximus . E’l dottiſſimo Samuel Boc ciardi in favellado della
chimica, ars enim ipſa tam eft abdi ta , ut in ejus cognitione adipiſcenda
oleum , & operam miſe rè perdant pleriquemortalium . Et qui adeptos ſe
putāt quaſ cæteris hanc gloriã inviderët,tot verborü involucris,atq; am bagibus
artis arcana obtegunt;ut videant , ideo folü fcripfiffe 574 Ragionamento Settimo
ut nõ intelligerent ? E peraddurre di ciò un ſolo efemplo , chi non crederebbe
interamente al Beguino , ea tant'altri moderni autori eſſere lo ſpirito del
nitro diſtillato coi bo lo , quelmedeſimoappunto , che gli antichi Chimiciin ,
molte malattie di darper bocca uſavano ? Epur la biſogna non va così;
perciocchè quel degli antichi d'altra ,e più sé plice maniera componevali; e lo
ſpirito rapportato dal Be guino , non ſolamentenon giova , anzi n'offende
notabil mente le viſcere ; perchè molti della lor perſona mal capi tati ne ſono
, per avere i medici ſoverchiamente al Beguino preſtato credenza ; come dicemmo
teſtè di quella cattivel. la inferma : ecento , e mille altri eſempli addur ſe
ne po trebbono . E quinci avvien poi , che non ſi veggono a’dì noſtri quelle
maraviglioſe cure , che ſi leggono già per iná degli antichi Chimici eſſer
fatte;avvegna pure,che que'me deſimi lor medicamenti ne’loro ſcritti ſi
ritrovino, ma sì in viluppati , e alla groſſa diſegnati , che inal certamente
per huom ſi poſſono adoperare . E a ciò ben dovea riguarda re Pier Caſtelli,
che troppo mal conſigliato , il libro de mendaciis Chymicorum , con ſua poca
loda compoſe . Or veggali di grazia chente , e quali fian le malage volezze ;
le quali intorno a un sì faticoſo meſtier s'in contrano , e come ſe ne poffa in
ſoli due meſi huom mai ſuis luppare , ficome non meno ſciocco , che malizioſo
fi ſtudia di darnea divedere, il Billicchio ; quando egli ſotto gli ann
maeſtramenti di Angelo Sala per imprender quel poco, ch' ei ne feppe , tanto
tempo infelicemente logorovvi. E concioſliecoſachè cotalarte più operativa ,
che ſpecu lativa fia : egli è di meſtieri all'avveduto Chimico ,anzi coll' uſo
, e colla ſperienza , che col rivolger de’libri appararla ; perchè poco
ragionevolmente colui i ſuoi ſcolari confor taya , dicendo Vos exemplaria Gebri
Nocturna verſate manu , verfate diurna ; perciocchè quantunque in ſui libri
diGebro , e d'altri fa. moſi Chimici molto li poffa apparare, non però di meno
ſe non ſi pruova col fuoco : econ altri chimici ſtrumenti ,ciò, che Del Sig.
Lionardo di Capoa che ne'libri ' de’valét'huomini ſi legge indarno di pienamen
te ſaperlo vantar huom puore; perchè il Chimico prudéte, e avveduto è da dir ,
che più co'carboni , e co'fornelli che coʻlibri uſar debbia ; ne per altro
certamente detto viene il chimico, filoſofo pe'l fuocò . E comechè dura oltremo
, do , e malagevole talcoſaneſembri, pure chiunque d'in tendere a sì glorioſo
ſtudio preſume, ſappia innanzi tratto , ché Της δ' αρετής ιδρώG θεοί
πτοπίροιθεν έθηκαν Α'θάνατοι, μακρος δε και όρθιG- ομG-επ' αυτίω , Και τζηχυς
το πρώτον:επήν δ' εις άκρονίκητα , Ρηϊδίη δ'ήπατοι πέλα χαλεπήπτε εούσα .
Innanzi a la virtù poſto i ſudori Hannoglieterni , & immortali Dü : Aleiper
lungo, ed erto calle vaſſi , Che duro inprima appar , ma quando alfommo Si
giugne , agevol èquel , ch'aſpro apparve; ma per paſſar ad altro non fa
certamente meſtiere , ch'Io avvili, potendofi agevolmente da quel ch'è detto
cogliere, che dee colui , che pretende avanzarſi in medicina ſtudiar in tutte le
ſette di quella ; ne in meſtier di tanta conſide. razione , quant'è la ſalute ,
e la vita degli huomini haw egli a riſparmiar fatica in rivoltar qualunque
libro , ne ar roffarfi di ſpiarne da qualunque perſona, per appararne co ſa di
comun giovamento, e di qualche pro-alla inedicina ; perciocchè ſicome avviſa
l'intendentiſſimo Plinio : nullus adeò malus liber eft , ex quo non quidpiam
utilitatis erui pof fit . E Giuſeppe della Scala : ego ſum is, qui ab omnibus
di Scere volo,neque tam malum librumeffeputo , ex quo non alia quem fruitum
colligere poffim . Ne è perſona cotanto ſcioca ca , e balorda , da cui talvolta
non poſſaſi apparare qualche coſa , eſſendo vero il detto d'Eſchilo πελάκι του
και μωρος ανήρ κα @ καίρον είπε , che per tacere altri , il Padre della giocoſa
poeſia toſcana nell'Orlando rifatto , così gentilmente cantando ſpiegò
Haqualche volta un Ortolanparlato, Cofe molto a propoſito a la gente. Ma 1970
Ragionamento Settimo Maparticolarmente de’medici favellando ſcriſſe a tal pro ,
poſito Conſalvodi Toledo famoſo medico de'ſuoi tempi, e Arciveſcovo di Lione :
prudens le&tor , vel auditor , omnes libenter audit , omnia legit : non
fcripturam , non perfonam , non doctrinam Spernit :ab omnibus indifferenter ,
quod fibi deeffe videtur querit , non quantum fciat,fed quantum igno ret ,
confiderat . E'l Quercetano anch'egli dice, ch'un co tale ſconoſciuto contadino
tolſe d'addoſſo d'un gran per ſonaggio la ſeccaggine d'un moleftiffimo
capogirlo , cui no aveapotuto porre alcun compenſo , e vani erano riuſcitii
molti , e varj conſigli de' valentiſſimimedici . E fenza dia partirſi da queſta
noſtra Città, egli è gran tempo , ch'ado perar folevanſi dalla gente volgare
efficaciffimi rimedi per li bozzoli della gola , e perle ſcrofole ; e al mal
della pun ta guarire alcuniuſavanocon feliciſſime riuſcite ,aftenendo ſi da’
falafli , l'olio del lino , l'olio dell'olive , il ſangue del becco , il
ſalnitro , l'incenſo, la pece, la raſchiatura delde te del Cinghiale , i fiori
del papavere roſli , la calce, il gen giovo , e'l zafferano ; nella colica la
cenere d'alcuni legni, nella riſipola il ſangue della lepre , il ranno , e
l'acqua del vitriolo , e della calce, e altrimolti medicamenti , che non fa
meſtieri, ch'lo quì rapporti;il perchè ſembra degno, an zi di commendazione,
che no l'avviſo del Paracelſo , il qua le vuole, che'l medico non ſempre debba
uſare co'letterati, e bazzicar nelle ſcuole , come ſe da lor ſolamente, e non
altronde ancora s'apparaſſe tutto ciò , ch’alla medicina ri chiedefi ; ma gli
convenga anche girne dalle vecchiarelle , dalle zingane ,da'ciurmadori, e
da’vecchj , e ſperimentati contadini; dalle cui ſcuole talvolta apprenderanne
aſſai più , ch’altrove per avventura non farebbe ; e quinci fi coglie , the'l
medico , non menche del chimico è detto , debba an dar ſe poſſibil fia ,per
dirla co'verſi del poeta Peregrinando da'piùfreddi cerchi Del noſtro mondo a
gli Etiopi acceſi. E queſto ancora , acciocchè egli avviſar poſſa la varietà, o
la natura delle terre , delle minicre,dell’acque , degliani mali , dell'aria ,
delle ſtagioni , de'coſtumi , de'cibi, delle bcyan DelSig. Lionardo di Capoa.
577 bevande , delle medicine , delle malattie , e delle maniere di ciaſchedun
paeſe . Ma con tutto , che tanto, e tanto af faticato egli s'abbia il medico
per apprender le contezze già dette,no dee ftimar già ſe eſſere al fommo grado
della medicina pervenuto : concioffiecofachè ne men vero ſia ciò che l'Elmonte
dice , che in tutta l'Europa appena un ſolo medico ſi trovi :imperocchè queſto
ſteſſo ne'maggiori bi ſogni troveraſſi dal ſuo ſaper ingannato; come ſi vide ,
per tacer del Paracelſo , nell'Elmonte medeſimo , che forſe quell'uno ſi era,
il quale non potè ſe medeſimo del mal del la punta guarire;e pure di queſto
male,e de'ſuoirimedj egli più d'ogn'altro medico ragionevolmente filoſofaro
avea . Ma laſciando ciò daparte ſtare , mi par tempo omai , che veggiamo ,
quali efſer debbano i maeſtri, i quali introdur poſlano lo ſcolare al
conoſcimento di táte ſcienze, quali ab biamo avviſato ellerneceſſarie alla
medicina . E conciofi ſiecoſachè di ſopra ſia per noi detto , infra l'altre
coſe al medico la notizia dell'erbc ſommamente abbiſognare ; conveniente coſa
mi parrebbe , acciocchè gli ſcolari in ciò avanzar ſi poteſſero , d'un compiuto
, eperfetto giardin de femplici lenoſtre ſcuole ornare, e quivi un'eſpertiſimo
er bolajo ritenere , il quale gliele doveſſe ad una ad una ad ditare , con
iſpiegar loro la natura , i nomi, e gli effetti di quelle ; acciocchè
avveduramente poi ciaſcuno uſar le do velle . E ciò tanto monta al comun deila
medicina , che ragionevolmére il Caſtellicosì ne ſcriſſe : ficutmedicus fim
plicium ignarus non eft bonus medicus, ita Academia , quæ horto fimplicium
publico caret , non eft perfecta Academiae. E poco addietro egli medeſimo avea
molti , e molti danni annoverati , che per non eſſer nelle ſcuole della
medicina il giardino de'ſemplici, avvenirnefogliono . E certamente niun
maiſaprebbe , comechè ſagace , cavveduto molto ſi foffe , giugner al vero
conoſcimento de ſemplici alla me dicina appartenenti , ſenza aver huom , che
d'efli affai pie namente informato innanzi tratto diligentemente gliele
inſegnale. La qual coſa fu da Galieno avviſata , allorche dilic , parlando
de'ſemplici : Convien certamente , che non Dddd nina , 578 Ragionamento Settimo
una , o due , o tre volte,ma tratto tratto gli vada minutame te offervando con
qualche'maeſtro , il qualgliele additi ,come bocca gliele inſegni. E altrove :
Quinci immagino i giovani valorofi eller non pocoſpronatia comprender la
materia de medicamenti ; eglino medeſimi non una , o due , e tre fiates ma
ſoventi volte ravviſandola ; concioficofachè la vera co tezza delle coſe
apparenti coldiligente gratamento de ſenfi ap prender fi foglia . Ed altrove
ancora biaſimando coloro, i quali di ſapere per veduta le coſe lordiſegnate non
curano : diſſe :Sonocoſtoro fomigliantiffimi a Banditori, i qualii ſe gnali
tutti , e i marchi d'unoſchiavofuggitivo , comeche mai non l'abbian veduto , a
ſuon di tromba vanpubblicando; im perciocchè apparando ciò eglino daaltrui , comecanzone
il vă per tutto poirecitando ; che ſe per avventura intervenije , cbe il
pubblicato a bando loro dinanzi capitale, eglino certa menteper tutto ciò
no'lravviſerebbono . E ciò tanto mag giormente avviene , quanto ,che da’libri
ſolamente degli Icrittori non ſi poſſono agevofmente apprendere, tra perlaz
traſcuraggine di coloro nel dipignergli, e diſegnargli,e per le contele ,
ch'intorno a quelli ſovente infra ſe hanno go anche pe’molti, e moltinomi, che
i ſemplici hanno , chia mandoſi diverſamente da ciafcuno . Coſa , la qual
cotanto fe ſudare , e affaticare il doctiſſimo Ruellj; perciocchè , co mc egli
dice : in berbulæ cujufdam facie repreſentanda , no tas tam variè delineant,
utquidvisaliud potius, quam ſtir pemipfam demonftrare videantur : aut cerie
eandem multi plici prorſus effigie : quæ antalis ufquam effe poffit pleriqaw
omnes dubitant. Quare me tantorum impulit virorumdift fidium , per vaftas ire
regionum multarum ſolitudines , invia montium juga peragrare, lacus inacceffos
Inftrare , abditas terra fibras fcrutari, hiantes vallium ſequi ſpecus, vel cum
corpufculi bajus periculo præcipitia nonnunquam tentare , ut inſpectu eriam ,
ne dum cognitione res ipfas comprehenderem . E ciò certamente fu non poca
fatica d'un tanto valenthuo mo, e convenevole a ciaſcuno , ch'a sì fatro
meſtiere in tender preſuma .Se non ſe noi in ciò riſparmiar ne potrem ino , con
apparar quì in un ben fornito giardino tutte l'era be da ! DelSig. Lionardo di
Capoa. 579 . be da confarſi ad ulo di medicina, ſenza andarle raccoglie do con
tanto ſconcio , e riſchio delle noſtre perſone. Ag. giungafi a ciò , ch'abbiamo
detto che l'orto de'ſemplici tão to più nelle noſtre ſcuole , ed entro queſta
medeſima noſtra Città biſognevoi ne fia , quanto che, come ben Dioſcorido
avviſa ad acquiſtar pienamente cotali conoſcenze ne con vegna , e nel tempo
,che germogliano , e nel tempo , che creſcono , e nel tempo , che languiſcono
le piante diligen temente confiderare : τον δε βελόμενον εν τούτοις εμπειρίαν
έχεις deti na to ye try agtsQuñ Erasnov ix tūs gãsexuá(over, aig ade
Ogexedeafso παρτυγχάνειν • ούτεγαν ότι βλάση εν πτυχηχώς μόνον δύναται το ακ
μαζον γνωρίσει ούτε έωes κως το ακμάζονα και το αρτοφυές επιγνώναι .. Perchè a
ciò riguardādo ilComū di Piſa,di Perugia, di Bo. logna , di Mompelicri, di
Parigi, e d'altre molte Città d'Eu ropa,hánocógrádiſſima loda nelle loro ſcuole
i séplicitut tiin ragguardevoli giardini piātati.Maſopra tutti in ciò s'a váza
il famoſiflimo , e comendevole Orto di Padova find a ducento anni addietro di
tutti i più ſtrani, e ſconoſciuti sé plici, ch'a medicina ficcian meſtieri
compiutamente forni to ; del qual mai ſempre han tenuto cura huomini in tal
meſtiere , e in tutt'altre parti di medicina intendentiflimi : ficome
certamente fu Luigi Mondelli , Luigi dell' Anguil Jara , Melchior Guilandini ,
Giacomo Antonio Cortufio , Proſpero Alpino , Giovan Prevozi, il Cavalier
Veslinci Giovanni Rodio , ed altri molti per le lor famoſe opere in iſtampa
pubblicate almondo chiariſſimi. Ne certamente con táto ſtudio ciò fatto avrebbono
que fapientiflimi huomini, cotanta ſpeſa , e tempo logorandovi, fe a più d'una
pruova il grá biſogno di sì fatto giardino pie namente avviſato non aveſſero ;
il qual ſenzadubbio più, ch'altrove , in queſta noſtra Città , in queſte noſtre
ſcuole apertamente ſi ſcorge, non avendovi ne pur uno mezzana mente inteſo
de’ſemplici, a cui per una, comechè non mol to ſtrana , e ſconoſciuta pianta
ricorrer ſi poſſa ; da poi che la paffata piſtolenza tutti gliene tolſe .
Intanto , che l'av vedutiſlimo Giuſeppe Donzelli , che in ciò pochi ebbe a ſc
pari , infra i ſemplici, de'quali in una cotal bottegaalai fi Dddd 2 1110 580
Ragionamento Settimo -mofaa compor s’avea la Triaca , fei, o ſette adulterini
un giorno riconobbene . Or che della noſtra Città, e delle no ftre ſcuole quel
famofo ſcrittor direbbe, che sì ebbe a ſcla mare ? Conveniens in omnibus V
niverſitatibushurtus fimpli ciumpublicus non folum ad warięweden perfectionem
Academia, &ut diſeantjuniores medici , atque Pharmacopei,feu ad ur bis
ornamentum , decus , fed quod maximum , quod optă dum , ad civium ſalutem
neceſſarius omninò eft. Quot nãq; quafo errata à pharmacopæis in fimplicium
delectu committi tur ? quot agri indè necantur ? E cócioſliecoſachè ſia
dimoſtro ſopra più ,e più altre con tezze a un medico abbiſognare; e
ſpezialméte lo ſtudio del le lingue , farebbe meſtiere introdurre ne'noſtri
ftudj, mae Ari di lingua greca; perciocchè séza quella malagevolmére potrà
ne’libri degli antichi huom vātaggiarſi;eſlendo quel li in greca favella
compoſti; e comechè nel latino traporta ti già tutti or ne ſiano ; non però di
meno molte fiate i vol garizzatori non a baſtanza eſſendo , o della materia, o
del la lingua intendenti , in non pochi errori ſono incorſi; e per tacer
d'altri , o quante , e quante fiatc vien ripigliato da' Galieniſti, e tolto in
fallo ſconciamente Avicenna peraver Jui troppo di leggieri preftato fede a
coloro , che nell'ara beſco idioma avevano i greci autori traslatati.E certamen
te qual inai Xi!rem noi per ficuro, e fedel traslatatore,ſe an che Plinio ,
anzi il inedefino Cicerone,che così pratico fu della greca favella , pur
malamente alcune delle greche pa role nel latino trafportando,da molti
avvedutiſſimi ſcritto ri ne vien forte accagionato ? Ma meſtier anche farebbe
ri ſtorar la vuota ſcuola della filoſofia , ein man de'medici ri porla , come
già prima coſtumavaſi. Ma della notomia lo non ſo che dir mi debba ; certiſtima
coſa eſſendo , che do po Marco Aurelio Severini le noſtre ſcuole mai non abbia
no Notomiſta avuto ; ſenzachè il medeſimo Marc Aurelio , o perchè di fcco cotal
biſogna le riſpondeffe ,o che gli fta tuti, no’l richiedefſono, pochiſſima cura
ei ſe ne dava. Egli, silo non vado errato , una faccenda di tanta conſiderazio
ne , e di tanta lieva si dovrebbe eſſer ordinata , che un di ligen Del Sig.
Lionardo di Capoa 181 ligéte notomiſta alle ſcuole s'introducefle , e facédofi
ada giare di tutto ciò che biſogno a lui fia,un giorno alınen pec ogni
ſettimana la notomia diqualche particolar membro d'animal faceffe ; perciocchè
in sì fatta guiſa non ha dub bio , che a'giovani, perchè perfetti notomiſti
diveniſſero , agevole ſtrada fi ſcoprirebbe. Non fo poi lo fe ben fitro vino
inſieme unite le due cattedre della notomia , e della cirugia, e come di due
peſi cotanto gravi un medeſimo let tore acconciamente ſcaricar fi poſſa; perchè
loderei , che queſte due ſcuole amendue di ſomma conſiderazione, e d' igual
fatica ſi partiſsero , e dibuona ragione da due valen ti maeſtri ſi reggeffero.
E fomigliantemete anche direi del. le matematiche, le quali cotanto biſognevoli
fono al co mune , che non ſolamente per la medicina, e per la filoſofia fan
meſtieri , ma per l'arti della guerra ancora , c per la na vigazione , e per le
mercatanzic , e per tutto il civil con mercio . Ma oltre a tutte queſte ſcuole,
che noi abbiamo dovrebbeſila ſcuola della Chiinica imporre ; la quale per
quel,chie già ne fia baſtantemente per noidetto , così gio vevole , e
neceffaria è al genere umano, ne da'folilibriſen za la guida d'un buono , &
cccellente maeſtro apparar mai baſtantemente ſi puote ; e non ha il torto
l'avvedutisſimo , ed aſſai ben conoſciuto di sì fatte coſe Monſignor Giovan ni
Cianpoli, a vituperare , e biaſimare la dappocaggine delle ſcuole p no avervi
la chimica introdotta; ma ſpezial méte al noſtro ſtudio la ſcuola della chimica
fa meſtiere : avédoſi a far notomia dell'acquc minerali di Pozzuoli, e d '
Iſchia , alle quali i noſtri medici ſenza eſſer della lor natura conoſciuti grå
novero d'ammalati poco faggiamente códá nano; quátúque talvolta non pocx
ſciagura necoglieſſe ad alcuno; alcheanche por mére dovea il noſtro Capaccio ,
quãdo diſſe : Medici hoc têpore ( Sed quis medicus? quiGaleni tantum methodum
legerit?qui impunè homines occidit ? ) cum mihil reliqui habeant medendis
corporibus , vel cum re ipfa . ignorent , quo morbigenere ægri fins affecti, ad
aquas Baja. nas eos rejiciunt , quas nemini unquam prodeffe cognovi. No. vi
tamen ftolidos noftræ ætatis homines , quificaci eò profici Scan ' 582
RagionamentoSettimo fcantur , jam ſe videre , caciores indè reverſicontendunt .
E certamente una cotal biſogna a comun giovamento fornir fi dovrebbe ;
perciocchè non abbiam noi fin'ora ſcrittor di lieva avuto, ilqualdiſtintamente
eſaminate l'abbia , come chè il Iaſolino ſcriva eſſerſi valuto dell'opera d'un certo
Chimico per eſaminare i bagni d'Iſchia ; dal quale ingan nato, follemente
credette eſſer non ſo quali miniere di fo le , e diluna in quelle acque. Ma per
accennar qualche coſa dell'altre parti della mea dicina : Io richiederei , che
i Lettori di ella , oltre alle yolgari opinioni d'Ippocrate , e diGalieno
ſpiegar dover fero tutt'altre ſentenze degli antichi , e moderni autori,ac
ciocchè gli ſcolari, ſicomeGalieno , c altri famoſi valend huominigià ferono ,
di tutto ciò chenella medicina ſi trat: ta,appieno inforınar ſi poſſano ; e ſe
bene sì fatte contezze di poco, o niun momento fieno alla medicina, avendo noi
a fufficienza dimoſtrato eſſer quella per ſe ſteſſa incerta, e fallace , e che
niuna ſetta di quella abbia in ſe dottrina , che vi ſi poſſa per huom alcuno
ſtabile fondamento porre , ne coſa di certo mai determinare ; impertanto
potranno agevolmente ayviſare i giovani in ponendo mente alla va rietà delle
ſecte , e dell'opinioni , e alle varie , e ſoventi fia te contrarie maniere di
medicare , che fra i medici ditem ро in tempo ſono venyte in ſu , qual via nel
meſtier del me 'dicare debban genere , Ne in queſta guiſa alcun contraſto allo
ſtatuto del noſtro Regno mai fi farebbe , ficome alcuni daquelle parole : li
bros authenticos tam Hippocratis, quamGaleni in fcholis da Geant : vorrebbono
argomentare, c ftabilire; e che altro, che la dottrina d'Ippocrate,e di Galieno
nons’avelſe a inſegna: re ; cócioſliecofachè col dipartirli talvolta da Galicno
,i sé timenti di Galieno medeſimomaggiormente fifoguano; ne potrà a buona
ragionechiamarli ſeguace di Galieno colui, il quale non faccia , come Galieno
adoperò , ſcegliendo datutti libri il migliore , ſicome a ciò fare egli i ſuoi
ſcola . w inſtantemente conforta . Solo - nó laſcerò d'avvertire ſo pra l'accennato
ſtatuto , ſecondo le fpoſizioni d'alcuni, che 11012 DelSig. Lionardo diCapoa
583 sion vietò la legge per quelle parole,il ſeguire , einſegnare ; ancoraaltri
nonininori autori; coſtumando le leggi, qua do vogliono riſerbare , e vietar
tutt'altre coſe, diſegnarle con quelle particelle duntaxat, tantummodo , folum
, che i Dottori chiamano taſſative ; ſenzachè, ſe colla mente del Legislatore
vogliam noi ſporre la legge, come ragio , nevolmente è da fare , certamente non
che lo ſpiegare an , che altri nomen famoſi autori vietato ne fia , anzi egli
n'è apertamente conceſſo , o per medire impoſto ; conciollie cofachè
l'intendimento del legislatore in ordinando una si fatta legge ,, altro
certainente ſtato non ſia , ſecondo che da quella ſi puòcomprendere, ſe non ſe
di formare un , perfetto ge valentemedico ; il quale, conte già abbiam di
moſtrato ,cal divenir non potrebbe , s'egli di tutto ciò che fin'ora in
medicina è ſcritto piena contezza non abbia . E. certamente ſe l'Imperador
Federicoamici!limo , e bene in formato delle buone lettere' , che fe lo ſtatuto
, e Pier delle Vigne,per quanto cõportaffer que'barbari tempi, ſciéziato huomo
, che ſcriſfelo , econrpilollo , aveſſer mai potuto di tantie sinobili
ritrovati, e dottrine de" novelli medici , e filoſofanti alcuna concezza
avere , eglino ſenza dubbio non pure permeſſo ,ma commendato anche avrebbono
,che nelle ſcuole a pro del Comune ſpoſti, einſegnati ſi foffero. E tanto più
del noſtro avviſo ora noici rendiam ſicuri, qua to che riguardando alla volgar
coſtuma di quel barbaro , e rozzo ſecolo, veggiamo apertamente, che corale
ſtatuto, o no mandolfi mai di que’tempiad effetto ;o pur ſe andò avā ti , fu
preſo ſempre in quelmedeſimo ſentimento, nel quale ora noi lo ſpiegamo;
inperciocchè in Padova , e altrove la dottrina degli Arabiallor pubblicamente
ſi ſponeva; e ab biamo, chepiù che d'Ippocrate ,e di Galieno,i medicaméti di
Ralis,d'Avicena ,c di Meſueallor ſi coſtumavano ; anzi in queſte noſtre ſcuole
medeſime,laſciati da parce i Greci maeſtri , con comandamento đe’noftri
maeſtrati il trattato delle febbri d'Avicenna allor leggevaſi,per racer del
nono di Rafi: cum publico bujus almeCivitatis juſu ordinariams Avicennale
&turam de febribushoc anno interpretarer, fcrifle già 584 Ragionamento
Settimo 1 gia Paolo Tucca , famoſo maeſtro in medicina di queſta noſtra Città .
Ne altre doitrine in vero , o diviſamenti,ſe nó que'degliArabi,quà sépre ſono
ſtati ſeguitati in medicá do , licome già baſtantemente per noi ſi diffe; e
tuttaviade' noftri cempi ancor ſeglionfi ; ſegnal certiſſimo , che i me deſimi
ancora ne ſiano ſtati ſempre nelle ſcuole de maeſtri inſegnati. Ne Giovanni
degli Argentieri, oftinatiſlimo nimico di Galicno , e de'Galieniſti
tucci,havrebbe quì midi potuto liberamente mandar giù le loro doterine , aper
tamente cozzandovi , ſe per legge ne foſſe ſtato impo ſto a dover āzi
Ippocrate, c Galieno,che la verità medeli ma , e la ſperienza ſeguire . E che
direm noi di cotanti al tri autori, che da ſentimenti di Galieno traſandando ,
ove la verità il richiedeva apertamente il contraſtarono ? certa mére male a
lor huopo táta tracotáza impreſſa avrebbono , ſe contro i divieti imperiali
altronde , che da Ippocrate , e da Galieno raccolta l'arte faticoſisſima della
medicina nel - le ſcuole inſegnata aveſſero.E lo mi fo a credere,che tāto ito
doposì fatto ſtatuto ,comeche foſſer preſi a leggerfi i di ſegnati autori, pur
tutt'altro chequelli ſpiegar dovevanſi;ne in modo alcuno da’ſentiméti di coloro
la medicina tutta di pēder poteva: poichè allora pochisſime opere d'Ippocratese
di Galieno dall'arabeſco nel latin linguaggio ſconce,e gua íte , e tutte piene
di barbarie erano traportate: e l'opere d'Ippocrate poco certamente a capital
tenute furono dagli Arabi ; de'quali la doctrina allora per tutto trionfando
fio riva ; intanto , che Avicenna per comun yoce era principe della medicina
chiamaco . E tanto parmial preſente della traccia , che tener debbano
nell'inſegnare i pubblici mae ſtri della medicina aver baſtantemente accennato
. Ma lo ben m'accorgo, che alpreſente ne verrebbe a huopo, chu attenédo le
promeſſe già fatte, diviſar de’mnaeſtri della filo Cofia ,
comeanch'esſidebbiano eſſer liberi, e non appiccar- , fi all'altrui autorità
nell'inſegnare ; ma di ciò nel ſeguente ragionamento farem parole , 1 RA 585
VAN RAGIONAMENTO O T TA V O E VLT I M O. Rai più illuftri, è più glorioſi
pregidi que ſta oltre ad ogn'altra d'Italia,belliſſima,e amena Città,è da
giudicare : p mio avviſo laver ella ſempremai, o prodotti, o al tronde a lei
venuti corteſeinente accolti , % 9 e albergati pellegrini ingegni, e ſaggi ,
ſcorti, e liberi nello inveſtigare i ripoſti, e profondimiſte rj della natura .
E nel vero per non far parole de' più anti chi tempi , chi è di voi , che non
ſappia, che quìBernardi no Teleſio, cui diede ilcuore innanzi ad ogn'altro di
fron teggiare i maggiori tiranni della filoſofia, che quella avea no a vile , e
duriſſimo fervaggio miſeramente condotta, co poſe, e diè fuora que
ſuoipregiatiſſimilibri della natura delle coſe ? Chi è di voi che non ſappia,
che quì pariméte poi Sertorio Quattrománi, Aſcanio Perfio, L.atino Tácredi,
Tomaſo Cápanella,Vincézo,c Giovan Battiſta della Por ta, Col’Antonio
Stigliola,Frāceſco Muti,e altri, e altri egre gj filoſofanti ſcosſero
virilmente il giogo impoſto alle ſcuo. le dell'autorità degli antichi mnaeſtri
, della quale dubitar Еесс PU 380 Ragionamento Ottavo punto non che farle
alcuncontraſto avrebbe il coinune cõ lentimento delle genti a ſomma ſcempiezza
recato ? Vlti mamente , chi è divoi , che non ſappia , e che non abbia co’propi
occhjveduto, che quì cbbe cominciamentoquel la nonmai baftevolmente commendata
accademia, che de. gl'inveſtiganti appellofli , ſol perchè era intendiméto di
lei, poftergata ogni qualunque autorità d'huomo mortale , alla ſcorta della
ſperienza ſolamente , e del ragionevol diſcorſo andar dictro per iſpiar le
cagioni de'naturali avvenimentia Echi giammai potrebbe colle dovute lodi tutti
i nobili fpi riti , che in tal famoſa aſſemblea felicemente filoſofar fi vi
dero rammentare? Ella ricoveroſſi , come voi ben ſapete , ſotto la protezion di
D. Andrea Concubletti già Marche fe d'Arena, ch'ebbe l'animo intefo a vincer la
virtù de’luoi maggiori, i quali fur ſempremai larghiſſimi favoreggiato ri delle
lettere più eſquiſite; e annoverò ella fra'ſuoipiù ca si un Monfignor Caramuele
, un Daniello Spinola,un Frá ceſco , e Gennaro d’Andrea, un Gio: Battiſta
Capucci , un Luc' Antonio Porzio , un D.Michele Gentile , un To maffo Cornelio
, e altri , e altri curiofi , e ſagaci interpreti della natura , che collor
fenno, e ftadio ,e gloriofe fatiche generoſamente s'oppofero all'impetuofo
torrente delPabu fo , chegià ſtabilito , e accreſciuto diforze dal conſentimen
to deglihuomini,e dallautorità che gli avea data il tempo , alvero, e alla
ragione ſovraftar avviſavanſi ; huomini vera mente d’immortal gloria degni, e
certamente da commen dare, e da avere in pregio vie più di que' primi, che alla
fi Jofofia diedero operá, ecominciamento ; conciofficcoíachè; fe eglino
difcorrendo regolatamente, e oſſervando con dili genza saperfono la ftrada alla
contezza delle coſe naturali, altro veramente noh fecero , ſaluo chc fecondare
quef rego lamento, per lo quale caminar fogliono l'arti, e le fcienze , e
l'altre coſe tutte di quaggiù, le quali cominciando da roz zi, e baffi
principi, dal cattivo, e men buono, al buono, indi al migliore e alla fine a
qualche ſtato di perfezione aggiuo gono; ne a queſta opera fare altra
malagevolezza s’incontra di quella dell'applicazione,e della fatica,ſenza le
quali non è da Del Sig.Lionardodi Capoa : 587 è dato agli huomini acquiſtare
utile, o onore veruno. Ma ove p rammendare ciò che p fatal legge delle coſe
umane, o per altro accidente fia venuto una fiata in dichinamento , e
corruttura, primieramente hanſi a ſuperare i gravi impedi menti del mal abito già
fatto per lo conſentimento della moltitudine, e per la lunghezza del tempo
fortemente ra : dicato negli animi; e dopoauer ciò operato durar fi debbom no
parimente le medeſime fatiche , ſe non maggiori, che durarono que'primi autori
, e padri della filoſofia; perchè non è lingua,non è penna,che gli poſſa a
baſtanzacommen dare. Maio perchè tante volte pazientemente avete degna to
d'aſcoltarmi,o Signori,in queſto ultimo mio ragionamen to, che dovrò fare , ſe
non ſe incoraggiarviad una sì bella impreſa di liberamente filoſofare, e
diviſarvi altresì quanto di liberi filoſofanti, e maeſtri le noſtre ſcuole
abbiſognino ; ne a ciò fare veruna induſtria , veruno ſtudio , veruna fati ca
reputerò vana , e inutile : imperocchè ove ſia ſeguito il mio avviſo., ſpero , che
a voi ſomma gloria alcomun ſom mo pro , camefelice termine di queſte poche
fatiche , che per altrui utilità ho durate, ſia per ſeguirnezeper dare omai
comincianento ,dico , ch'egli ſembrerebbe ad alcuni ben fatto aſſai , che
s'aveſſe a rinovellare l'antico , e ormai per lungo ſpazio in tralaſciato uſo
di ſporre a parola p parola il teſto d'Ariſtotele. E quancunque il miglior
partito ſareb be,intorno a ciò imitando le più famoſe ſcuole d'Europa ,ri
pigliare l'antichiſfima traccia già tenuta da’ Greci nello in ſegnare , Oye poi
queſta non li voleſſe ſeguire , certamente giudicherei il men male , che ſi
faceſſer le chioſe in ſu'l già detto teſto d'Ariſtotele; imperocchè in sì fatta
maniera grande ſcemo ne verrebbe il numero innumerabile di quel le quiſtioni ,
in cui, e'l tempo,e'l cervello, non men de’mac ſtri,vilogorano tutto di
milerevolmente gli ſcolari; sì ve ramente , che poi i maeſtri a quella guila ,
e con quella li bertà l'opere d’Ariſtotele aveſſero a trattare, colla quales
cgli quelle di Platone, e d'altri antichi trattar ſolea . E co me a ſuo eſemplo
fecero poi delle ſue mcdefime Tcofraſto, Ermia , Filopono , caltri , e altri
ſuoi più nobili ſeguacije Ессе 2 clio 588 Ragionamento Ottavô chioſatori , cioè
a dir, ch'egli s'aveſſe minutamente a cri vellare ogni fuo detto , diſaininar a
fpiluzzico ogni ſua ra gione , econ nuovi,ė nuovi ſaggi provare, e riprovare
ogni fperienza, ch'egli aver fatto teſtimonia nelle coſe della na tura ; e
ficomene'miſterjdalla Divina eterna fapienza , che ne ingannar ſi plote, ne
ingannare altrui a noi già rivelati, nő dobbiamo più oltre inveſtigare ; così
nelle dottrine in. fegnatene da’šiloſofi,e particolarmente dallo Stagirita,egli
fi dee ſempreinai ſtare in ſu l'avviſo,ed aprir , come fuol dir fi , mille
occhi , e mille , per veder ſe ciò ,che egli nel ſuo indice ne ſcriſſe
ficonformi coll'ampio , e immenſo volun medell'Vniverfo . Ma perchè chiaro
appaja , e ſi poſſa quaſi diſli toccar cô mani quáto mal ſicurain quallivoglia
materia ſia la dottri na d'Ariſtotele ,ne daremo ora , comechè breve , qualche
faggio ; e primieramente in que ſentimenti , che da criſtia no orecchio
fenz'orrore no potrebbongiammai udirſizcioè, che l'eterno Dio non ſia il gran
fattore dell'Vniverſo, e de gli huomini : ne di noi punto fi brighi , ne con
noi voglia , o poſſa uſare in alcunaguiſa , ne in ſonno , ne in vegghia: e
ch'egli non ſia colui , ond'ogni bene avvenga. Che la per fertabeatitudine fol
nella preſente vita neli conceda , ſen za alcun godimento nellaltra poterfi
ſperare . Che la det ta beatitudine nella fola virtù non confifta : ma le fac
cia meſtiere de'beni della fortuna : dipartendoſi dal parcr del ſuo Macſtro
Platone ( cotanto commendato dal gran Padre Agoſtino ) colà ove diſſe , cſſere
la perfetta beatitu dine non altrocheil godimento di Dio. Che buona ſia l'é pia
legge di Minoffe ,il quale volca, chelecito foffe il pec car cótra a natura ,
acciocchè nó creſceffe oltre al cõvene vole il numero de'cittadini. Che gli
huomini abbian la vera fapienza : burlandoſi di Simonide, che detto avea effer
Dio folamente il ſapiente ; e ftizzandoſi contro Platone , ches ſcriſſe eſſere
l'umana ſapienza vile , e bazzeſca . Che igio , vani debbano fraftornarhi ,
comcincapaci, dalle morali dio fcipline . Che la modeſtia non fia virtù : nc
virtù di fortez za ſia il ſofferir pazientemente le ingiuric , la povertà , gli
1 efilj, DelSig.Lionarda di Capoa. 189 efilj , la morte , o altri infortunj :
le quali coſe , come em pie la medefima gentilità condannerebbe, che fortiſſimi
sé, za contraſto ſtimò Meltiade nel ſoſtener la prigionia,Temi ftocle l'eſilio
, Socrate la morte . Ma che direm poi di quel ſuo ſentimento dietro all'eters
nità del mondo,tante , e tante volte da lui ridetto , e pro varo, facendo
contro il vero arme i ſofiſmi?Che dell'empie fuc beſtemmie intorno alla natura
del grande Iddio , il qua le ſcioccamente egli chiama (wor , cioè a dire
animale . E a lui di vantaggio egli l'onnipotenza , ela providenza , elas
libertà dell'operare empiamente toglie ; oltre a ciò non potendo talor la
fuafolle , e pertinace miſcredenza celare , apertamente dice eſſere la
religione un politico ritrovato da tener a freno le genti , e che la dignità
del Sacerdozio debba compartirli a' ſoldati veterani. E che diremo intor no
alle pene, e premj , che dila ſi danno ſecondo l'operes che di quà per noi
fatte fono : E che direm’anche dello in ferno , il qual egli dice effer
certamente novella da vegliar de ; morendocon noi l'anime ancora , ne altra
coſa di noi reſtando dopo morte , fe non ſe il freddo cadavero , ſenza , fentimento
niuno ? e tali alla per finc Ariſtotele ne trattadig come Se fate foſſim’anime
di ferpi . Ma non verrei mai a fine , ſe tutte quì diſtintamente re car lo
voleſſi le fue empie , e peſtilenzioſe doctrine , dalle quali contaminato il
miſcredente Arabo chioſacore in's prima ; e poi altristolſero l'occaſione di
comporre , e di co pilare quell'infame libro,de'tre ſeduttori del mondo. Quin
ci apertamente fi pare con qualita ragione detto aveſſe già Lattanzio Firmiano
: Deum non colit, nec curat omninò Ari Hoteles : e prima di lui il grande
Origene nel libro , cli’ei ſcriſſe cótro Celſo Epicureo,avea già detto eſſere
Ariſtote le piggiore aſſai d'Epicuro ; e dipiù biaſima Origene mole? altre
malvagità,e ſcelleratezze inAriſtotele,e la peripateti ci ſcuola tutta ne
taccia ; e'l beato Serafino da Fermo , e S. Vincenzo Ferreri abboininando , e
maladicendo la dottri na d'Ariſtotele, e quella d'Averroe ſuo ſeguace
ſoleva.gri dare i4 590 Ragionamento Ottaud dareeffer quellephialas ire Dei
projectas fuper aquasfapië tiæ chriſtiane , unde facte furtamare, ficut
abfynthium ; per chè anche la venerabile ſua ordine avca ſeveramente proi. bito
a’ſuoi frati il leggere l'opere d'Ariſtotele . E ben ſi paa re ,
cometeſtimoniano Laerzio Diogene , Ammonio , Cle mente d’Aleſſandria , e altri
, ch'Ariſtotele rivolto fi foſſes agli ſtudidella filoſofia per ordinazione di
quel Diavolo , che ſotto il mérito nome d'Apolline già dar ſoleya le riſpo Ite
in Delfo ;ne altra cagione ritrova San Girolamo alla Arriana ereſia , che
dottrine d'Ariſtotele : Arriana berefis argumentationum rivos , de Ariſtotelæo
forte mutuatur : fic enim Arrianos inperfidiam iviſse cognovimus,dum Chri Si
generationem putant ufufaculialligandam , relinquunt Apoftolum , fequuntur
Ariſtotelem , E S. Baſilio il magno ſchermendo , e vituperando oltremodo
l'Ereſiarca Euno mio dice , che coll'armi d'Ariſtarele tentava egli d'abbat
tere , e diſtruggere Criſto ; e ſpezialmente in un luogo, ov? egli dice : deh
laſcia forſennato il malvagio , e danneyole gærrir d'Ariſcotele: laſcia io
c'avverto quel velenoſo, e pe ſtilenzial ſuo favellare intorno alla natura
dell'anima : è in tutto caccia via da te quelle ſue mondane ſentenze, copi
nioni . Or ſe nelle coſe , che abbiam noi di certo , come loni quelle della
noſtra ſanta Fede , così manifeſtamente Ari ſtotele graſandò ; certamente
dovremmo noi anche nell'al tre tenerlo ſoſpetto , e dubitarne continuo degli
uſati ſuoi crrorijanzi dovremmo pure giudicar falſo apertamente tut te quelle
ſue premeſſe , dalle quali egli pervia di neceffarie cõſeguéze ſuol cavare gli
ſciocchiſſimi ſuoi falli intorno alla noftra sáta Fede.E veraméte il ſiſtema in
ſu'l quale egli ap. poggia , o tutta , o la maggior parte della ſua vana filoſo
fia,egliè l'eternità della materia, del movimento, del mon do , delle
intelligenze : la neceſſità di Dio nell'operarc,e la virtù finita di lui : e
altri , e altri ſentimenti a queſti fomi glianti. Ma che dire noi di quelle
coſe d’Ariſtotele,le quali quã tunque per la noſtra S. Fede non fi
determinino,pur la Ipe 1 ricn DelSig . Lionardo di Capoa اور rienza così
manifeftamente ora a noile dimoſtra , che nulla più èda dubitarne ? O forſe
negando noi fede agli occhi noſtri medeſimi, e dimentendone i ſentimenti , e le
dimo ſtranze , crederem noi oſtinatamente ad Ariſtotele , e non ne prenderem
pure faggio da altri più avveduti, e men cre. duli ſcrittori i quali in buona
verità affermino ſe avere fpe rimentato tutt'altro di ciò , cheAriſtotele
nefcrive : Adun que perchè credere noi,che l'arco celeſte nó poffa maggior d'un
mezzo cerchio apparere , quando contro l'avviſo d'A : riftotele, Franceſco Pico
della Mirandola , il Campanella , il Gaſſendi , il Blancani , ed altri molti
maggiore affai l'of ſervarono ? Anzi Io l'ho purriguardato , che non ſol mag
giore, del mezzo cerchio apparir foglia , ma talvolta anco ra in un cerchio
compiuto , e intero , dove il Sol fia alto , e l'huom da qualche monte aſſai
rilevato ilriguardi. E dell' arco celeſte lunare,perchè'giudicherem noi eſſer
quello co tanto malagevole aformarſi, che ne' plenilunj ſolamente apparer
radiſfime volte ne foglia : anzi le egh è pur vero (perciocchè vien comunemente
giudicato, maffimamente da Alberto Magno per una delle più favolofe novelle d'A
riſtotele ) cgli dovrebbe pur più ſovente apparere , che non Polervòcolui in
due fole volte per lo lunghiffimo ſpazio di cinquant'anni ; quafi egli in
ciaſcuna notte dicotanto tem po ſenza prender mai ſonno foſſe ſtato ſempre a
bada al ſe reno per riguardarlo ; non altrimenti che Fra Puccio ftayaſi digiuno
orádo alle ſtelle , mentre la fua donna rinchiuſa có colui troppo alla
ſcapeſtrata ruzz.ava . Ma degli errori d'A riſtorelein si fatte materie ne
diſcorrono appieno il Tele fio , il Campanella , ed altri eccellenti autori. Ma
che direm noi della proporzione, e convenenza,che infra fe hanno nel mondo
peripatetico quaſi in ben librata bilancia in andar ſu le coſe leggiere , e giù
le gravi? E la fciando per ora ad Ariſtotcle il creder, ch'ei fa fuor d'ogni
ragione effere la leggerezza non men che la gravezza me delima , qualità delle
coſe : e come poi per ſua dappocag gine lafciando di ſpiegare d'amédue la
natura ad altro tra paſli: dirò ſolamente della ſua fciocchilimatracotanza il
non 592 Ragionamento Ottavi -- -- non volere far pruova di ciò , che ſogna ,
che una pietra di mille libre fcenda mille volte più preſto , ch'un altra d'una
libra ; potendo con durar poca fatica ,ravviſare , che que due mobili , tutto
che tanto diſuguali di peſo , diſcendano però eguali in velocità . E chedirem
noi intorno aciò , che Ariſtotele vaneggia do ne vuol dare a divedere delle
coſe , che poſte in acqua , o ſcendano giù , o galleggino ? e come egli tratto
dalla ſuaſciocca maniera del filoſofare , vuol,che peropera della larghezza, o
ſtrettezza della figura, o fendan l'acqua,o nuo tino a galla coſe più gravi
aſſai dell'acqua medeſima , non riguardando egli punto alle vere cagioni, che
in ciò con venir poſſano . Intorno alla qualcoſa così ſmentito , eri creduto ne
fu egli dal noſtro ſottiliſſimo Galilei , che nutta più ne ſarebbe il
favellarne. Ma che direm noi dell'acque del mare? onde egli appre . ſe il
noſtro Ariſtotele eſſer quelle più dolci aſſai, e men fan late nel fondo ,che
di ſopra li ſieno ? Ahi quanto cauti gli huomini efer denno Preſso a color ,che
non veggon pur l'opra; Ma per entro i penfier miran col fenno. Così traſcurati
, e bambi ſi ſon laſciati trarre a ' ſuoi ſco cj , e difettoſi fillogiſmi i
poco avveduti ,e troppo creduli ſuoi ſeguaci, che nulla curandodi vederlo per
pruova,giu rano , ch'egli ſia infallibile verità : quum hoc , dice Giulio
Ceſare dalla Scala , pro comperto ,veroque habeatur, in fun do maris aquas
dulces effe. Ma Franceſco Patrizio huomo di maraviglioſo ſapere , e di non
ordinario avvedimento così operando pur con tutte diligêze diviſarene dallo Sca
ligero , ritrovando alla per fine il contrario , ne ſcrive: quñi mare
ftaretplacidiffimum , nec itineris tantillum navis confi ceret , nullo Spirante
vento experiri libuit , vafe cattitering ejufmodi, quale ipſe deſcribit , funi
longiffimo alligato , quem nautæ fcandalium vocant , & altero leviore
funiculo operculo accommodato , ita ut attractus illud aperire poſſet . Itaques
manibus propriis utrumquefunem in mare demifimus : vas cafu plumbo pilotico
fenfim ad fundumpervenit altiffimum , ſcili DelSig. Lionardodi Capoa 593 fcilicet
CXLVII.: quum fenfiterramtenere , minorem funem traxi , operculum referavi.
Extraximus opertum mari ple. num , falfo , amaroque , baud majorefalfedine ,
vel minore quàmquod in ſuperficie pofitum vafe alio guftabamuscompa rando . Ma
finalmēte intorno a ciò n'ha rimoſſa ogni dub biezza il chiariſſimo Boile , il
qual dice , che non ſolo i tuf fatori moderni inghileſi han fempremai
aſſaggiata l'ac qua nel fondo del mare ſalſa, non men, che quella diſopra ;
anzi dipiù in cerci luoghi della zona corrida ritrovato no una fiata nel fondo
del mare pezzolinidiſale , e ſe ne ſervirono a lor agio per condir le vivande i
peſcatori. Nó diffimile altresì da queſto dell'acqua ſalſa è quel, che Ari
{totele apporta ne’libri delle ſue metcore, intorno al vino ; affermando con
franchezza grande, che i vapori del vino ſi vengano a cambiare in acqua toſto
che ſi riſtringano . Ne men groffa di queſta è quell'altra ridevol balordag
gine del noſtro natural filoſofante,intorno al rame ; la qual parimente nelle
ſue meteore volle, che ſi leggeſſe;cioè, che'l ramenon ſi poſſa per coſa del
inondo įn altro color tignere. E quinci veggafi pure quanto male a lor huopo i
filoſofi nan turali non ſappian di Chimica. E che direm noi intorno a’mari , i
quali dice Ariſtotele eſſer molti , e molti , che non ſi congiungano inſieme,
trat tone ſolamente il mar roſſo; il qualſecondo il ſuo avviſe , p
piccioliſſime focinell'Oceano Atlático entrar ſi vede Nar ra ancora egli , e
follemente giudica i Beti, e la Dannoja naſcer da’monti Pirenei ; e nel Parapamiffo
l.2 lor prima fő te avere il Battro , el Coaſpe , e l'Indo , e l’Araſle , cche
da queſto poi li venga eglia diramareil Tapai. Coſe tutte manifeſtamente falle
, e impoſſibili;concioſliecoſachè fap pia ben ciaſcuno tanto quãto di ciò
intendente , che'l Coal pe per la Perſia diſcorra , e di la dalla Perſia il
Battro allin Battriana Provincia dea nome , e l'Indo naſca nell'Indiwi perchè
non è da credere , che fiumi diſcorrenti in Provin cie cotanto infra fé lontane
, e rimoſſe , in un modelimo luogo tutti , e da una medeſiına fonte ſorgano ;
c'l Tanai ſa ben ciaſcuno , che naſca ne'inonti Rifci. Ma di più dice Ffff Ari
594 Ragionamento Ottavo 1 Ariſtotele , che nella Liguria un fiume grandiflimo ;
e non minor del Po s'inghiotta tutto , e fi divori dalla terra , e quindi
dinuovo poi rinaſcendo diſcorra altrove . Ma in corno al primo naſcimento
de'fiumitutti ,egli molto ſcioc camente parlando dice , che ciaſcun fi formi,
es’ingeneri negli altiſſimi monti dal vaporoſo aere per virtù del freddo a viva
forza riſtretto , e condenſo , e diſtillante continuo in acqua nelle naſcoſe
caverne , e nelle picciole buche della terra ; e quindi poi fa che prendano
perpetuo movimento con una cotal gravezza , la quale perrocce, e per burrati ,
eper lande, e pervalli faccendo l'acqua diſcorrere , eca dere La fa inquieta ,
inftabile, e vagante . Nel qual modo follemente filoſofando fa egli nafcer non
folamente piccioli fiumicelli , e fonti, e poveri rivi , ma no ne ferba anche i
più ſuperbi, e vaſti fiumi del mondo. La qual coſa quanto ſia ſciocca , e da
ridere , ben può comprenderlo chiunque ha favilfuzza d'intendiinento, fen za
ch’lo più ne dica . Eche direm noi di quella così ſmiſu . sata , e incredibile
altezza del monte Caucaſos Baja , ch'avanza inver quante novelle , Quante mai
differ favole , ecarote Stando alfuoco a filar le vecchiarelle. Eglimillantando
delle cime di quello dice , che fino alla terza parte della notte ſian dalfole
illuminate ; che fatta ne la ragione ſecondochène ſcrive il ſottiliſſimo
Peripate tico filofofante Giacomo Mazzoni , farebbe il monte dal tezza almen di
ſettant'otto miglia noſtre Italiane per linea perpendicolare ; c quì non può
non gridar eoli : papa in quos aculeos imprudens me conjeci! rident enim hoc
Ariſtotelis dictum Mathematici; putant enim eum pueriliter lapfum efle. Cæterum
ego dico eum ſequutum effe famam . La quale ſču fa del Mazzoni Io non lo ſe
maggiormente debba fcagio nare , o tacciare il noſtro veritiero , e
accortiſſimo Filoſofo. Ma d'altra parte Giuſeppe Blancani famoſifſimo Matema
tico , cercando a biftento di menomar cotanta altezza del Mazzoni, la riſtrigne
ſolamente a miglia cinquantadue ; qua DelSig.Lionardo di Capoa. 509 quia tamen
, ſoggiugne poi, adhuo omnem veritatem nimium exfuperat ; e biaſimandoſi forte
della ſcuſa del Mazzonifa piertiores judicent , dice , num recte philofophus,
cujus eſiree condita , &abditadocere, excufetur ,fedicatur eum popula . rem
famamfequutum effe. Ma fe falla così ſconciamente Ariſtotele in narrando con ſe
falſe per vere , non meno errar ſuole egli talora in rifiu . tar come mentite ,
e falſe quelle, che manifeftamente ſon vere . Così egli nega efſer il vero ciò
che cutto dà ſperimé €2 avvenire nelle contrade della Paleſtina, e propriamente
in quel miſerabil luogo , in cui già cadde Fiamma dal Cielo in dilatate faldea
E di natura vendicò t'offeſe Sovra le genti, in maloprar sì falde. Fu già terra
feconda,almopaeſe; Hor acque for bituminofe , e calde, E fteril lago, e quanto
ei volge, e gira, Compreſs'èl'aria , egrave il lezzo fpira. Di quel
fetidohumorgiammainon beve L'affaticato peregrina, e laſo, Non greggia, non
armento:e cofa greve , (Benchefia gravepur, qual ferro;of affo ,) Sornuota
quaſi abete,od orno leve: L'huom non s'attuffa mai, ne giugneal baſſo.
Cosìagevole egli è Ariſtotele a negare , e ad affermare a fuo talento tutto ciò
, ch'e' vuole , fenza aver riguardo niuno alla verità . E volle Ariſtotele
anche oſtinaramente contendere , e negare contro l'avviſo di molti valent'huo
mini, fotto la torrida Zona la terra eſſer abitabile. Ma che direm Noi della
Galaſſia , o vogliam dire cerchio di lat te , il quale fecondo Ariſtotele è un
incendio perpetuo bruciate nella region dell'aria per l'eſalazioni, che dal le
baſſe valli , e dagli alci monti vi manda continuo la cerra ; errore così grande
, che anche i più cari ſeguaci di lui ſe n'avvidero , e apertamente ne'l
ripigliarono ; in torno alla qual coſa , ſon veramente degne da notar quel le
parole d'Olimpiodoro avvedutiſſimo ſuo interpetre, colle Ffff 2 quali 1 596
Ragionamento Ottava quali egli comincia a chioſar quel luogo : il Reo ( dic'
egli, fervendoſi del volgar detto ) è di miglior condizione dell attore ;
concioffiecoſachè allegando tutti gli antichi filoſo fanti nel ciel la Galaffia
, ſolamente Ariſtotele portando falſa opinione, nell'aria ła pone ; perchè il
Campanella eb be a dire:hancfententiam nemo fequacum ſectatur , nifi ftul si
quidam :fra' quali non vergognoſli di porre il ſuo nome
CeſareCremonini:mathematica ,et rationis expertes;e Aver roe , il quale così a
capital tiene la reverenda autorità del ſuo caro Ariſtotele , che tranguggiar
volentieri fi fuole tutte ſuc bagatelle, e ſue bugie, quantunque groſſe,e fmi
ſurate elle fieno, pur ciò non potè a niun inodo inghiottire . Ma che direbbono
a’giorni noſtri il Cremonini , e gli altri oſtinati fuoi ſeguaci , fe mercè del
Teleſcopio guataſfero quelle tanto picciole ſtellucce , ch’ammucchiare inſieme
, e riſtrette laſsù formano la Galaſſia , edi quà ne fembrano per la lor
picciolezza una confufa liſta appena di mal di ſtinto ſplendore; il chefenza
conſiglio del Teleſcopio be conobbe il fottiliſſimo Democrito , allor che ,
come Plu tarco , e Macrobio teſtimoniano ,difſe eſfer la faſcia del latte non
altro,che moltitudine di ſtelle fiffe in quella parte tan to picciole,e non
vedute diſtintamente a noi per la lor pic ciolezza , non già perchè allumate
non fian dal ſole per lo tramezzamento della terra , come falſamyente ne vuol
dar a diveder Ariſtotele ch'abbia detto Democrito , per avval lare il buon nome
di quello, con accagionarlo d'un mani feftisſimo errore . Ma chi non fa quanto
egli fiafi apertaméte aggirato Aristotele intorno al luogo, e alla generazion
delle stelle comete , e quanto fanciulleſcamente e'ne diviſi ; e già n'è prie
troppo a ciaſcun manifefta la verità , avendone sì ben fa vellato il noſtro
Ipparco ( che tal meritamente dal Gaſſer di vien chiamato Ticone ) e
l'ingegnofisſimo Chepleri, e cotant'altri moderni Aſtronomi, e filoſofanti, i
quali n’hā così dimentito , e ricreduto Ariſtotele, chenulla più. E che direm
noi intorno all'incorruttibiltà,come dicono del Cie lo , intorno alla natura
del ſole , e dell'altre ſtelle ? E che direm Del Sig.Lionardo di Capaa 597
direm noi della favoloſa novella della sfera del fuoco? Ne. mi farò ora a voler
dir della Terra, la qual ne’libri del Cie lo avendo Ariſtotele poſta ritonda ,
pure ſpagato , dice ne’ libri delle meteore,ch'ella inverſo Settentrione ,
alquanto più rilevata , e alta filia . Nedi ciò anche contento , ne’li bri
medeſimi delle meteore , come ſe caduto gli foffe della memoria , ciò, che non
guari addietro n'avea ſcritto, portas opinione eſſer la terra , non già ritonda
,ma da due lati pia na a guiſa ditamburo ,o di cilindro , o dirottame di colom
na : ftando ella , ſon ſue parole , non altrimenti,che tamburo ; perciocchètale
è lafigura della terra : equantunque ſi paja ch'eifavelli della terra abitabile
, di queſta anche aveans favellato gli antichi filoſofi , i quali egli biaſima
travolgen do i lor ſentiméti;mache che ſia di ciò, falfo pariméte ſi è , la
terra abitabile efſer a guiſa di tamburo; ondeebbe a di re il Tallo , comechè
peripatetico e' fi foffe : Tal che nonſembra l'habitata terra Timpano più ,come
affermando inſegna Il gran Maeſtro di color ,chefanno. Ma delle contradizioni,
e mutamenti d'Ariſtotele ,i que. li quafi in ogni carta delle ſue opere
s’incontrano , lun gofarebbe ora a dire ; le quali così manifeſte , e così ſpeſ
fe ne'ſuoi libri ſono , chei inedeſimiſuoi parziali non oſan negarle . E
conciosſiecofachè molti famoſi ſcrittori s'ab biano preſo briga di
fcoprirgliele , tralaſcerò lo al preſen te di più divifarne . Solamente non vo
lafciar di trarne a noſtro concio , cheAriſtotele avvegnachè tutt'altro
inoſtrar volefle,filoſofar folea non meno incerto e dubbioſo , che il luo
maeſtro Platone , e Socrate ſi aveſſer già fatto ; e feco dochè più in concio
gli rendevali ſerviva delle opinioni al trui ; e quelle , e queſte , or
abbracciando , or rifiutan do a ſuo talento , non altrimenti che noi nelle
varie ſta gioni dell'anno de' noſtri veſtimenti facciamo . E certa mente lo
direi co'l dottisſimo Ramo,la filoſofia d'Ariſtotele da quelle vane ciance in
fuora , che dir ſi poſſono propia mente ſue , eſfer una confufa meſcolanza de
ſentimene ti degli antichi ſoventemente da lui non troppo bene capi 598
Ragionamento Ottavo 1 2 4 . 4 capiti , e malamente ſpiegati; ficome in più
luoghi delle ſue opere manifeſtamente fi fcorge. Collecta femel iftafunt, dite
l'accennato Ramo, de multis , magnis infinitorum authorum ; & operum
vigiliis ; recognita nufquam funt . E piaceſſe pureal Cielo , ch’a’tempi
noftridurati pur foſſero imalandati libri di quegli antichivalent'huomini,che
più agevolmente ſenza fallo ne ſarebbe creduta cotanta verità, E quinciſi pare
, con quanta ragione detto aveſſe l'iſtorico Timeo appo Suida , eſſer Ariſtotele
ditardo , ed ottuſo in tendimero: Tίμαι φησιν κατ ' Αριστοτέλες ,είναι
αυτονευσχερή,θρα συν , πιοπιτή,αλ' ου σοφισών,όψιμαθή.μισον υπάρχοντας το
πολυήμητου ιαπιείον αποκεκλεικόG , και στις πασαν αυλήν , και σκηνήν
έμπισηδηκόα . Timeo diſse contr’Ariftotele , efser lui impronto , orgoglioſo ,
rintuzzato d'intendimēto,eda ciaſcuno odiato: il qual con ſue maladizionifi fe
ftrada in tutte le corti , e per ogni ſcena pro verbiava ; che che ſi dica il
Cauſabono: il qualpoco, o nul la inteſo di sì fatte faccende dice , in
favellando di Timeo , falfifima enim omniaquæcunq; dedivino viro epitimæus ifte
nugatuseft. E le inai ſidee dar alcun luogo alle conghiet ture , più balordo ,
e ſciocco eſſer veramente ſtaro di quel, chc Timco , ed Eliano ancora ne raccontano
e ſembra cer tamente Ariſtotele ;perciocchèegli ben vent'anni conſumo nella
feuola di Platone,e periſtudio,e ſudor , ch'e'vi logo raffe ,nó potè mai
avāzarne più che forſe ſi ſarebbe approfit tato il più minutoícolaretto. E ciò
maggiormente ſilaſcia credere dall'aver lui molto ſcioccaméte apprefe alcune sé
téze del ſuo maeſtro, e molto ſtorpiatele , e malmenatelei. Ma di ciò forte
altrove più agiatamente diremo . E ritor: nando ora a ciò , che propoſto
avevamo, cioè a rapportar come ſconciamente Ariſtotele cerca talora di
contraſtare , ed abbattere gli altrui veri ſentimenti: maraviglioſo certa mente
, e degno aſſai da notarſi e' miſembra qucl, che egli dice del ragnolo : ed
è,che avendo già detto in prima De mocrito , che le ſottiliſſime fila , onde ilragnatelo
con arti icioſo lavorio teſſer ſuole maraviglioſamente le fuc tele , egli
dentro le ſue viſcere le ingenerise per lo fondo le trag ga per quella parte
ch'è bello il tacere ;levofli incótanente fuſo 3 4 DelSig.Lionardo di Capoa.
199 ر fuſo Ariſtotele , e opponendoli orgogliolamente a un tan to huomo, diſſe
, che Democrito in ciò manifeftamente fal lava , e che le fila forminſi dal
ragnatelo per tutte parti del ſuo corpo , a guiſa di corteccia , o di lanugine,
chetut ta gli vadano coprendo la buccia ; o non altrimenti che s? avventino le
penne dell'Itrice : ου διμύανται δ ' αφιέναι οι αράχναι το αράχνιον , ευθύς
γεννώμενον , ουδ' έσωθεν , ως αν περιθωμα , καθάπερ φησί ΔημόκριτGάλ ’ από του
σώματG- οίον φλοιόν, ή του βάλον τοίς Dertiv,oi'or ai uspiges : cioè i
ragnateli nati appena mādan fuq ri le fila ,non già dalleparti dentro aguiſa di
fecce d'anima li, come falfamente immagina Democrito , madalleparti di fuori,
aguiſa d'una ſcorza, opur di quegli animali , che ſono gliano, Jaettano i peli,
come è l'Iſtrice, Ma quì non ſi può ſenza maraviglia coſiderare la traſcu
raggine ,e lentezza de’poco curioſi peripateticisi quali se zabadar puntoalla
verità del fatto ,confarne pruova han cosìvergognoſamente ſeguito il parere
d’Ariſtotele, laſcia do daparte quello di Democrico ;ilquale tutto il corſo del
la ſua vita , che fu affai ben lungo, in far eſperienze avea logorato ; e tanto
più degni di biafimo ſi rendono , quanto che l'impreſa non richiedeva cotanto
fenno , e avvedimen to , o fatica per venirne a capo : che ben ancora le
feminel le delcontado, e imuratori, e gli ſpazzacamini avveder ſe ne poſſuno ,
allor, che ne’lor piccioli abituri veggono fa re il tombo agl'induſtriofi
ragnuoli, per inteſſer le ragne alle moſche. Ma fu egli certaméte cagioned'un
sì folle errore l' aver eſli dato intera credenza ad Ariſtotele.E nel vero ,
chi mai ſoſpettar avrebbe potuto , eſſere ſtato Ariſtotele così fciocco , e
ardimentoſo nel ſuo lcrivere , che manifeſtame te aveffe voluto contraddire al
divino Democrito ſenza aver lui in prima ſottilmente conſiderata la biſogna, e
ſpe rimentata per più d'una pruova co’propi occhj . la ſua ragio ne ;
maſſimamente,che a doverne far ſaggio non gli era me ftieri inviar mefli ad
Aleſsandro, e farli venir dalla Media, o dall'Ircania, c dalle più rimoſſe
contrade dell'Indie nuo ve, e non più conoſciute belve ; che ben poteva egli
nella camminata della ſua caſa propia veder ne*cáconi i ragnuoli filare; Coo
Ragionamento Ottaud ; filare;pchèvalſe tátol'autorità d'Ariſtotele,che in coſa
co tāto manifeſta ſe ne ſarebbe per avvétura ancoroggi ſepol tala verità, avédo
ad Ariſtotelecreduto l'Aldovrádi,e cota. ti altri famoſi ſcrittori,ſe la
ſperienza nõ aveſſe nõ ha guari moſtro pienamente aver Democrito la ragione,
peropera del curiofiflimo Giuſeppe Blancani in prima, e poi di Tom maſo Moufeto
: acceptomanu bacillo Araneum quendam :dia ce il Blancani : ex iis ,
quicirculares telas , quas nonnulli , & quidem aptè labyrinthos appellant,
ingenio utique mathe matico contexunt ,fic adii , ut Araneuspro arbitrio ſuper
bar cillum liberè inambularet ; dum ipſe interim curiofius illums obfervarem
quanam videlicet ex parte filum foras ederet : cum ecce tibiaraneus experienti
mibi ultro favensfefe exba culo demiſit, ita tamen ut ex filo fuoin aëre
fufpenfus rema neret : cum primum obferuo ipſum inverſum , hoc eſt capice
deorſum , ventre ſurſum pendere ; ut autem acutius cerne rem eum opacecuidam
rei oppofui , ne pre nimia luce tenuiffi mum aranei filum aciem oculorum
effugeret ; quo facto cla riſfimè videbam filum ſeceſſu Aranei prodire .
Mamolti ſe coli prima del Blancani avea ciò parimente ravviſato il ſa gaciſſimo
Plinio ; mane a Plinio , ne al Blancani volle pre ítar credenza il Vosſio padre
: così poco acconcio egli eb be l'intendimento a diviſar delle cole della
natura . Ma poichè deʼragnateli facciam parole,non tralaſcerò di conſi derare
quanto dietro al partorire di quegli il noſtro Ariſto tele vanamente anco
s'aggiri , dicendo partorire i ragnoli cotali vermicelli vivi , e non già le
uova , come alcuni im maginano ; ma quanto ciò ſia dalvero lontano , dicalo in
miz vece il diligentisſimo Redi; il quale narra, che per tut te diligenze,
ch'egli ulate v’aveſſe , non avea mai veder po tuto ne’ragnateli ſe non
l'ovare, e dalle lor uova poi nalce . re i piccioli ragnolini ; Ma non meno è
da notare ilgravif fimo fallo d'Ariſtotele intorno al Canclo in dicendo efferli
ingannati coloro , tra'quali fu Erodoto , che diceano il Ca melo aver più di
quattro ginocchjie pur chiaramente ſcor geli, il Camelo, comc Erodoto dicea,aver
ſei ginocchji e le cotāto intorno a coinunali e ben conoſciuti aniinali ſcioc
chinen DelSig.Lionardo di Capca. 661 ) و : camente Ariftotele travede che
dovrem noi credere di que's più rimoſſi alle noſtre contrade , e meno uſati,de
quali egli nátrâ cotante ſtrane , e incredibili novelle , e più affai , che me
diceffe mai fra Cipolla a que’ſemplicicontadini da Cero taldo ? Narra egli del
Lione Ariſtotele, che non abbia mi dolle alcune nell'offa maggiori del ſuo
corpo; ma che ſola mente in alcune delle picciole, cioè delle gambe ne abbia,
avvegnachè sì ſottili , e poche quelle ſiano , che par,che af fatto eglinon ne
aveſſe ; onde egli avviſa poi naſcere l'in vincibil fortezza del Lione. Ma
quanto ciò falfo fia , non pure per Ateneo , che forte ne ’ ripiglia , ne ſi fa
chiaro ;ma dopo lui ancora più apertamente fu dimoſtrato dal chiarif fimo
Borricchio ; il quale aperti due gran lioni in Afnias , reggia di Danimarca
,vide egli avere in molte delle loroof ſa copia grandiſſima di midollc; e prima
del Borricchio fu ravviſato in queſta noftra patria in un Lione del Signor
D.Tiberio Carrafa , Principe di Biſignano: il quale fu tro vato parimente pieno
di midolle ; e quinci apertamente fcorgeſi, quanto a torto ſiano accagionati, e
biaſimati da’ critici ſeguaci d'Ariſtotele il noſtro dotiſfimo Stazio ,paver
lui poſto in bocca ad Achillo que'verli nec ullis Vberius fatiaffe famem ,
sedſpiſſa Leonum Viſcera ſemianimefque libens traxiffe medullas: et gran
Lodovico Arioſto , quando fa egli, che la maga Melilla affacciandoti nella
forma d'Atlante , all'effeminato Ruggicri così dica : Dimidolle già d'Orſi , e
di Lioni Ti porſi.io dunque li primi aiimenti; perciocchè dicono non aver
midolle i Lioni ; il che an che credendo ad Ariſtotele il Mazzoni , ricorre per
difen der l'Arioſto , giuſta il ſuo coſtumein quella ſua infelice di feſa di
Dante, a ſottigliezze così vane , e puerili , ch' egli ſteſſo vien aſtretto a
chiamarle altrove ſofiſtiche , e cavillo fe : Ma non meno ſciocco è quell'altro
crror d'Ariſtotele , diccndo egli aver i Lioni così dure , e falde l'offa , che
fre gandoſi inſieme, agevolmente ſe ne tragga il fuoco ; non altri oli 12 ull
Do le Gggg 602 Ragionamento Ottavo altrimenti , che avvenir loglia nella pictra
focaja . Ma ciò manifeſtamente fperimentoſli falſo in que' menzionatiLio ni
d'Afnia , i quali comechè fortis e gagliarde l'offa avelle ro , non però di
meno per diligenza , chevi fi adoperaffe , non ſe ne potè trar mai
picciolisluna ſcintilla di fuoco ;, fen zachèſe ciò pur foſſe vero ,non ne
dovea però cavare Aria ftotele per via d'argomento l'invincibil durezza di
cotali offa ; concioſliecofachè anco in fregandoſi due tron molto dure , e
pieghevoli canne d'India , o due molliflimc ferole , o altri simili
legniaccender ſi foglia il fuoco anzicorpi, che fian talmente duri,che in
fregandoſi no li roinpano in qual che parte, non poſſono accender in niuna
maniera il fuoco . Dice oltre a ciò Ariſtotele, eſfer l'olla del collo del
Lione, comeanche quelle del Lupo non rotte , e partite , ficome tutt'altri animali
le hanno , e poi per opera de’nodi con giunte ; ma tutte intere , e diſtefe in
ſu lo ſchenale sì fat taméte , che in niun modo ſi poffan piegare; ma in ciò,
oltre a Giulio Ceſare dellaScala ritrovollo in fallo ed apertame . te lo
convinſe di bugiardo , il Borricchio ; dicendo, per ve duta fermamente di
que’Lioni,quorum colla vertebris ſuis, & articulis pulcherrimè diſtincta
erant . Finalmente afferma Ariſtotele eller l'orina del Lione di ſconcio , e
ſpiacevolisſimo'odore; ondeavvien poi , dice egli, che i cani fiutar fogliono
gli alberi, perciocchè il Lio AC, come il cane appoggia una delle coſce al
pedal dell'al bero , quando e' vuole ſtallare ; c più appreffo ſoggiugne: e
lafcia il Lionegrave , e iníopportabil puzzo negli avan zi de cibi , ch'egli
divorar ſuole ; e ciò avvenir Ariſtore Je ſoggiugne dal peſſimofiato , che il
Lione fpira; percioc che , come e narra , le interiora oltremodo putono al Lio
ne . Coſa , la quale manifeſtamente da a divedere nõ aver mai Ariſtotele alcũ
Lione aperto , o teſtè occiſo ,veduto.Ma troppo lúgo ne diverrei, fe tutt'altre
novelle d'Ariſtotele in torno alLionerecarlo què voleſli; pchè tacerò acheciò,
che: Ariſtotele fognò del Camclo ; immaginado egli ſu'l dolfo di quello ungrá
gobbo ;non avvisādo, il Camelo no averlo maggiore deporci,e de'canize che
quella eminéza,la quale nel DelSig.Lionardo di Capoa. 603 nel Camelo ſi ſcorge
fia formata da'peli ; c ciò , che e' fogaz del Camaleõte,dicédo no averil
Camaleõte ſangue , ſe no ſe vicino al cuore; ed eſſerdi carne prive le ſuemaſcello;
e'l principio della coda. Ne addurrò per la medeſima ra gione i ſuoi
ragionamenti dietro al Coccodrillo alle Aqui le , e ad altri molti animali, che
manifeftamente per prud va ora falſiffimi eſſere fi ſcorgono ;e tuttavia
da'famoſi ſcrit tori de’tempi noftri ne fon notati; me ſolamente è qucftas
ventura del noſtro ſecolo ; imperocchè nc'traſandati tempi ancora v’hebbe degli
affennati, e diligenti ſcrittori , i quali de'ſuoi groſi, e infiniti falli
intorno alla ſtoria degli animali manifeſtamente Ariſtotele dimentirono ; ed
Afinio Pollione, quel famofiffimo, e ſaggio oratore rivale di Mar co Tullio
Cicerone , incontro a’lunghi volumi d'Ariſtotele ben diece libri compoſe della
natura degli animali ; il qual fe pur egli affatto non era ſenza giudicio, e
ſcimunito , ben è da credere , che con chiare, ſalde, e ragionevoli fpcricn že
n’aveſſe fgannati, e ricreduti de' grandisſimi crrori prefi in quc'libri per
Ariſtotcle : c più veritieramente narrata la natura, o le factezze di corali
animalida lui ben conoſciu ti ; ma la rubberia del tempo netolle cotali
fatiche. Ebé s'avvide ancheAteneo dell'infinite bugie narrate da Ari ftotele;
ond’ebbe a dire ; con qual cura , ö diligenza , potè mai egligiugnere a fapere
, che coſa fi facciano i peſci nel ma re , come dormano , e qual ſia il lor
vitto ,o qual Proteo , o qual Nereo uſcito fuori del pelago alla riva andò
araggua . gliargliene . Come gli porè effer noto lo spazio della vitae dell'
Api, e delle Moſche ; ove mai potè vedere un' edere nata da corni d'un cervio ;
e dopo aver narrato queſte , e cent'altre novelluzze da ridere , e da tenere a
bada la bruz zaglia deʼlettori , dette da Ariſtorele in fu la ſtoria degli
animali , riſtucco alla per fine di più annoverarne , trala fcio 1o, dic'egli ,
di narrar molte coſe,e multe,nelle quali ma nifeftamente lo fpeziale , cioè
Ariftotele fi vede avere ſconcia mente delirato . Ma quanto al fatto della
ſtoria degli ani mali , Io porto fermislima opinione, non effer vero ciò che
narran dilui alcuni , e che buccinavaſigià ( ficome riferiſce Gggg 2 Arc 604
Ragionamento Ottavo . Atenco) nella ſua patria Stagira; cioè , ch'egli avuto
aveſſe Ariſtotele dalla liberalità del Magno Aleſſandro , per po refla più
acconciamente fornire ottocento talenti , che ſo condo la ragion del dottisſimo
Budeo giungono alla ſom ma di quattrocento ottantamila ſcudi de’noftri tempi: e
che per una sì glorioſa , e mirabil opera gli foſſer deſtinati , co me narra
Plinio :aliquot millia hominum in totius Afic,Gree ciæque tractu parere
juffa,omnium ,quos venatus,piſcatuſque slebant ,quibufque vivaria , armenta ,
piſcine , aviaria in cura erant , ne quid ufquam gentium ignoraretur ab ea
quospercontando quinquaginta fermèvolumina de animali bus condidit. E’n queſto
parer ini conferma in prima la va rietà degli ſcrittori in narrar queſto fatto
; imperocchè Elia no ſagaciffimo ſcrittore, e raro nell'inveſtigar le greche an
tichità , dice , che la ſomma de’danari, non già da Alellar dro , ma da Filippo
ad Ariſtotele foſſe ſtata donata . Co fazla quale affatto inverifimil ſi pare ;
conciosliecoſachè a Filippo tra per le continue guerre , ch'e' fece in Grecia ,
e perle grandi impreſe , ch'e' diſegnava contro la poderoſif kima Monarchia
Perſiana , gli faceva meſtiere, anzi d'accu mudar danari, che di ſpendergli,e ſcialacquargli
in peſchie rejo vivaj , in uccellami , in cacciagioni , o ſomiglianci co fe.
Aleſſandro poi ,priina d'incominciar la guerra contro Dario , ad altro
certamente dovette badar , ch'a ſomigliã ti ſcacciapenſieri ; fcozachè non avea
sì gran dominio daw poter ſeguire ciò,chc Plinio millanta ; manel tempo della
guerra, oltrechè la cura dell'armi era valevole a fraſtornar gli ogn'altra
impreſa egli di più era allor divenuto si nimi co d'Ariftotele , che per fargli
onta, e diſpetto ,mnādò Am baſciadori , e doni a Senocrate ſucceſſor di Platone
, e fie ro emulo d'Ariftotele . E dirò ancora , che ſe mai Ariſto tele ebbe
parte ne’teſorid Aleffudro , in tutto altro certa mente l'aveffe inveſtico ,
che in acquiſtar notizia , e contez za delle coſe della natura . Neglimancò
agio da farlozim perocchè egli era , come ne da teſtimonianza Tineo :760578
γαςείμαργον, έψαρτυτήν , επ σάμα φερόμενον εν πάσιν: cioè gram paraſito , e
divorator delle più ghiotte vivande , ne fi ritene va di DelSig. Lionardo di
Capoa gos va difvögliarſi di qualunque cibo. E in oltre non gli mann cò quel
pizzicore , per cuii giovani male il loro avere ſpé, dendo , le più fiate
miſeramente ne capitano ; e tinto s'in veſchiò nella pania , che per amor venne
in furore, e matto ; e come narra Laerzio ,sì fortemente innamoroſli della con
cubina d'Ermia , che a leicosì immolò , come a Cerere Eleuſina folean già fare
gli Atenieſi ; e per tali cagionia tal ſegno di miſeria pervenne, che alla fine
riduſſeli vergo , gnoſamente a tradir la patria a’Macedoni : poi tolſe a fare
il foldato ,ove ne meno eſſendoviſi niente avantaggiato, vode le far borrega di
ſpeziale; e anche per civanzarſi nonver gognavafi di vender quell'olio, ove in
prima bagnandoſi avea depoſto le ſozzure tutte del corpo ; e con fimili ſtiti.
chezze s’avvisò di dar compenfo per avventura agli ſcia facquamenti di quella
prodigalità , con cui difperfe,e con fumò tutto il paterno retaggio . Io
adunque mi fo a cres dere , ch'egli non nai vedefle notomie di morti , non ches
di vivi animali ; e che folamente ne ſcriveſſe per udito yes per ciò , che
ne’libri degli antichi fconciaméte forſe appre lo n'aveva , o immaginato .
Perchèpoi così alla rimpazza ta confonde , é meſcola il tutto , ragionando de'
nervi , es delle vene , cheben'a lui fi potrebbe adattare quel verſo di Orazio
Delphinum ſylvis appingit,fluctibus apram . Così cgli follemente immagina
naſcer i nervi ,e le venej tutte dalcuore ; il qual dice ſolamente eſſer quello
, onde il ſenſo , ei movimenti negli animali fi facciano ; ne ad al tro fervire
il cervello , fuor folamente , che ad alleggiare, e temperare l'abbondevol
caldo del cuore . E ſomiglianti altre balordaggini , e fcipitezze narra : anzi
maggiori affaiz in ſomma intorno alla fabbrica , diſpoſizione , ed ufici del le
parti del corpo umano tanti,e tanti falli commiſe ,che ben potè dir Ateneo :
coſe tali ſcriffe Ariftotele , parlando della ſtoria degli animali , 'che come
dice il Comico , daglá ufcempiati ,e pecoroni quaſi a fravaganza ,quaſi a
miracoloſ gredoro. E ben fi parc , che Galicno medeſimo foffeſi con lui portato
modeftamente , anzi che no, allor che diſſe po + 1 CO Aria 806 Ragionamento
Ottavo 1 1 4 co Ariſtotele conotcerti di notomia . E ben’a noftr'huopo di que'
ſettanta libri, i quali, ſecondochè Antigono ne ſcriva, Ariſtotele intorno agli
animali compoſe , ſolamen te que’pochi ſe ne leggono , che il tempone laſciò ;
per ciocchè maggiori cagioni di fallare i ſuoi favorevoli avrebbono; fi enim
,dice ſaggiamente il Borrichio,compen dii peccata numerari vix poffunt, illa operis
totius modo ex tarent , effent fortaſſis innumerabilia . E queſte adunque só ic
gran pruove dell'ingegno maraviglioſo del divino Ari ftotcle queſte le riuſcite
delle tante ſpeſe , del tanto aju to,ch'egli ebbedalla liberalità del
grand'Aleſſandro? que Ite le ripoſte notizie, ch'egli acquiſtò dalle tante
fatiches da lui durare ? Ma ſenza venir tinto buccinato , fenza tan ti
ſoccorſi, e ajuti, o quant'oltre, non dirò Democrito, no dirò Eraſiſtrato ,non
dirò Erofilo ,non dirò altri antichi, ma un folo Arveo ne'confini d'un Iſola
riſtrerto, o quant'oltre avanzoſli , sì chemeritevolmente , e ne ſtupiſce
l'aman ſa pere , e l'amira il preſente ſecolo , el celebrerà il futuro , Ma che
direi noi intorno all'altre coſe della natura , cu gencralınére in tutta la filoſofia
naturale ? Eglicosì ſciocco , e gocciolonc fu Ariſtotele , che diffidandoſi di
parteggiar lo in ogni ſuo fallo,iſuoi medefimi ſeguaci,talor vergogno ſamente
l'abbandonarono . E per nulla dir de' Greci ; o d' Avicenna , d’Algazele , e
d'altri Arabi filoſofanti,qualno ftro buon peripatetico per Dio fu così teſo, e
oſtinato ,che talor da lui apertamente non fi partiſſe ? cper tacer d'altri,
ilBeato Alberto , lume della Criſtiana ſapienza , e della venerabile Ordine
de'Domenicani , avendo l'opere d'Ari ftotele ſpiegate , niuna delle ſueopinioni
approvar volle; anzi così proteftando i ſuoi ſentimenti alla per fin conchiu
de: in his nihil dixi ſecundum opinionem meam propriam , fed juxta pofitiones
peripateticorum ; & ideo illos laudet , velre prehendat, non me.E quel gran
maeſtro in divinità e in peri patetica filoſofia Benedetto Pereira della
Compagnia di Giesù , il quale in quel ſuo libro de rerum naturaliums,
principiis , dopoaver largamente conſiderati i poco fermi argomenti, c
fillogiſmi , con cui le coſe dubbic , e incertes . fievo Del Sig.Lionarda
diCapaa. 607 fievolinente egli tratta, cosi:della ſua natural filoſofia dice:
doctrinam rerum naturalium , quam nobis fcriptam reliquit Ariſtoteles , fi quis
velitbeneſentire , propriè loqui, nous poteft dici abfolutè ,din totum ſcientia
; perciocchè riguar dando alle fondamenta di quella, e ravviſandole ,che falſe,
e che dubbie, e malamente con falde, c naturali ragioni raf fermate, ficome il
medeſimo Ariſtotele teſtimonia, dicendo eſſer quelle ſolamente dialettiche :
ragionevolmente poi e': ne tragge, e conchiude alla fine: quum igitur phyſica
Arifto telis fit falfa pars , pars autem topica tantum probabilia .. contineat,
non poteft dici abfolutè, & in totum fcientia . Ma acciocchè perciaſcuno
ſcorger (ipoffa , quanto inu tile , quanto vana, quáto priva d'ogni falda
dottrina egli ſi fia la filofofia d'Ariſtotele , conviene innanzi tratto da più
alto principio imprender la cola . Dico adunque , che per due ſtrade ayviar fi
foleano coloro, che agognavano alla ſublime altezza della natural filoſofia
pervenire ; una , ches quantunque falli , è nondimeno agevole , e piana, echiun
que per quella prende il camino , non fida cura veruna di cſaminare, e riandare
minutamente le coſe naturali, ma sē . preinai fe ne ſta fu l'univerſalità
de'termini , e de' vocaboli, quali a ragionar di tutte apparenze della natura
ſenza du rar molta fatica adattar ſi poſſono ; e comechèſembri, che tutto
dicano , che tutto ſpianino :impertanto , altro non ſo no veramente
eglino,ſalvo che vanillime ciance,fra le qua li non altrimenti che ſi faceffero
un tempo , ſe'l ver dice l' Arioſto , que’franceſchi, e faraceni cavalieri nel
palagio in cantato d'Atlute aggirar tutto dì veggiamo confuſi gl'in cauti, e
poco avveduti, fenza mai venir a capo d'alcuna ve rità ; ma l'altra ſtrada,
quanto più erta,ſtraripevole,e ardua, altrettanto nel vero è più nobile , e più
gloriofa . Queſtas calcar generofamente li videro i diligenti inveſtigatori del
le coſc , ei ſavj interpetridella natura ; i quali diſcorrendo regolatamente ,
ed offervando con diligenza , guatavano quaſi a ſpiluzzico le coſe naturali.
Dopo queſti incomin ciarono a poco a poco ne'tempi ſeguenti gli altri a traviac
da queſto diritto ſenticro , ed a tenere la falfa ſtrada ;o che ſe'l 608 Ragionamento
Ottavo fe'l faceſſero perdebolezza d'ingegno, o per non durar fiatica,o p vana
ambizione di farſi capi più tolto in quel cores rotto modo, che eſſer ſeguaci
degli altri nella vera, c legit tima maniera di filoſofare . E fu tanta
certamente loro ſchiera , e sì copioſa, che ben pochi ne rimaſero nell' arin go
del buono filoſofare ; di cui potrebbe ben dirdi Pochi fon , perchè rara è vera
gloria : i quali per quelche già da quelle ſcarle memorie , che noi rabbiamo
comprender fi poffa, furono Anafſagora,Empe docle , Leucippo , cd altri pochi,
Che colle dita annoverar fi ponno; perchè ragionevolmente ebbe a dire quel
ſatirico : Rari philofophi: numerus vix efttotidem ,quod Thebarum porta , vel
divitis oftia Nili. Ma ſopra tutti l'incomparabile Democrito adeguando il tutto
col ſuo vaftiliſimo ingegno (ini giova dirlo colle pa role di Petronio Arbitro
) etatem inter experimenta con fumpfit ; e con principj veramente naturali,
cioè a dir ſenli bili ,così maraviglioſamente ragionò di ciaſcuna coświ ch’alla
natura appartener fi poffe , che a gran ragione nel vero Seneca dopo averlo
detto antiquorum omnium fubtilif fimum ,antiſtitem literarum.ſapientiæ caput: a
chiamar l'ebbe lingua della natura ; perchè non guari dopo venendo Pla tone, e
diffidandoſi di poterlo col ſuo ingegno ragguaglia re, per uggia , e per
invidia volle rabbioſamente dareallo fiamme tutte le divine opere di lui ; poſe
in non calere co tal vero , e lodevol modo diſpecular diritcamente le coſe
della natura, e con univerſali , c apparenti ragioni avvilup pò il cutto . La
qual maniera difiloſofare, concioffiecofa chè agevol foffe , fu poi ſeguita,e
abbracciata da ciaſcuno, rimanendo quaſi morta,e ſpenta la natural filoſofia ;
ſe non ſe dopo la morte d'Ariſtotele levoſſi ſuſo il ſaggio Epi curo, ecol ſuo
avvedutiſſimo ingegno ripreſe, e riſtorò la morta filoſofia , e la fece di
nuovo fiorir ne' ſuoi doctiſſimi orti , ove rinaſcendo viffe , e morio . Perchè
non ebbe il torto per avventura Dionigi d'Alicarnaſſo in chiamando il
filoſofofar di quei tempi un vano berlingare , e cinguettar dives Del
Sig.Lionardodi Capoa. 609 di vegliardi ozioſi , e ſcioperati , a ' giovani
ignoranți. E Cleante ancora faggiamente ebbe a dire , che gli antichi aveſſero
nelle coſe filoſofato ,ei moderni ſolamente in pa role . Qualdunquefia
maraviglia , ſe così mal concia , malmenata la filoſofia , non potea
vantaggiarli nella Grecia . Perchè ragionevolmente diſſe quell'Egeziaco San
cerdote nel Timeo, chei Greci eran ſempre giovaniſlimi,e fanciulli: emlwes del
muides is ' , gépur di enlew oux iso , certè ha bent, dice Franceſco Baccone ,
id quod puerorum eft , ut ad garriendum prompti fint; generare autem
nonpoffint. Così perduta , e ſpenta la buona filoſofia , poco a capi tal
tenendoſi i libri diquella , nc punto per huom riſerban doſi , o
traſcrivendoſi, avvennc, che infra breve ſpazio di tempo con comune ſcoſcio
delle buone lettere, affatto fi perderono ; rimanendo ſolamente que’libri de'
yani çiarla tori, che al guaſto , e corrotto ſecolo erano in pregio ; ne? quali
poteſe ben paſcerfi ,e nutricar l'ambizioſa vanità de Greci. Ea tanta caduta
della buona filoſofia s'aggiunſes poi l'allagamento de'Barbari nell' Imperio
Romano, nel quale andandone a ruba ogni coſa, que'pochi libri , che pur v'erano
rimaſi, fi perderonſi,; e come dice il teſtè rap porcaco Bacconc , doctrina
humana velut naufragium per . pefa eft; & philofophia Ariftotelis , o
Platonis tanquam , tabula ex materia leviori , minus ſolida per fluctus tem
porum fervatæ ſunt. I qualilibri dapoi imbolati, lo non ſo come , dagli Arabi
ſi tramandarono inſiemecolla ſerya, e apparente filoſofia, come altra volta fu
detto alle noſtre contrade ; e queſta è quella filoſofia ,che infino a' dì
noftri con tanta loda è ſtata ſempremai ſeguita , e tuttavia nelle Icuole
comunemente s'inſegna : e a cui dicevam , che già poneſſe le prime fondamenta
Platone; il quale avvegna chè ravviſaſle il yero , e diritto modo difiloſofare:
percioc chè difficil molto , e malagevole gli ſembrava a ſeguirlo , lalciofſi
talora anch'egli portare alla corrente de' ſofiſmi Ma non però di meno non
laſciò talvolta il vero modo di filoſofare ; comeagevolmente egli ravviſar fi
puote ne'ſuoi Dialoghi , e malimamente in quello , ch'egli intitola il Ti Hhhh
. . meo, 610 Ragionamento Ottavo meo , o della natura . Perchè ben ſi pare ,
ch'egli ſaggia mente foſſeli attentato di gir anche per quel medeſimo sé tiero
, per cui già Democrito , e gli altri primipadri, e ve rije ſovrani maeſtri
della filoſofia avviatiſi erano ;ma come sébra ad Ariſtotele, no ſegui egli
troppo felicemente l'im preſo aringo, e di gran lunga a Democrito addietro
reſtoffi. Πλάτων μεν , fono parole d'Ariftotele, περί γενέσεως έσκέψατο,28
φθοράς όπως υπάρχει τοϊς πάγμαστεκαι σερί γενέσεως ού πάσης , αλλα της ή
στοιχείων πώςδε σάρκες, ή όσα και η άλων και των τοιούτων , ουδεν·έτι , ουδε .
περι αλοιώσεως, ουδε περί αυξήσεως, ένα τρόπον υπάρχει τους πράγμα στν · όλο-
δε παρα τα έπιπολής περί ουδενός ουδείς επίσησεν , έξω Δημα reíte ;cioè Platone
cöfiderò la fula generazione e'l corrõpimēta delle coſe;ne già di tutte,ma
degli elemêtifolamēte; trabaſcia doariguardare , come formifla carne , el'offa,
e gli altrifo miglianti corpi; ne demutamenti , o come s'accreſcano,o pig
giorino cotai corpi feceparola alcuna. Finalmëte nonfu niuno , fe non ſe alla
rimpazzata ,e lentaměte, che ragionaſſe mai de' mutamēti delle coſe,da
Democrito in fuora .Ecomechè que Ito riprédiméto fatto da Ariſtotele al ſuo
maeſtro egli sébrë all'intendentiſſimo Patrizio un manifeſto , e falfſſimo appo
ſtamento , e maladizione dell'invidia dilui; pur non ha tut to il corto
Ariſtotele in così fattamente ragionare ; imper ciocchè quantūque Platone in
molti luoghi delle ſue ope re baſtantemento favellato aveſſe della generazion
delle pictre , de'venti, delle gragnuole , de’nuvoli,del criſtallo , della neve
, della rugiada ,delvino, dell'olio , e d'altri fi ghi: e ſomigliantemente
filoſofato de ſapori, degli odoris e de'colori delle coſe , e detto altresì
de’mutamenti e degli accreſcimenti di quelle ; e quantunque anche ſpezial mé.
zione aveſſe fatta della carne , e dell’oſsa , ecome quelles s'ingenerino; pur
no così addētro innoltroſi ne'ſuoi ragio namenti,che toccato aveſse
diſtintamente, come con que? ſuoi quattro corpi fi doveſſono mai formar cotante
coſe ; perchèparve,ch'egliaveſse cominciato a filoſofar colmo do vero , che ſi
conveniva ; ma poifmagato a mezzo corſo foſſe ricoverato all'apparente . E
queſto è quel , che vuole dir di lui Ariſtotele, biafimatone a torto dal
Patrizio nella dife . DASig. Lionardo di Capoa OIT difeſa del ſuo Platone . Ma
fu egli anche Platone traſcu rato a ſpiegar comeſi doveſſero partire, o
accozzar que fuoi primi corpi , pereffer valevoli a produrre negli organi de'
noftriſentimenti gli odori , e i ſapori, e i colori delle coſe ; perchè
ragionevolmente ſoggiugne Ariſtotele , niun maeſtro in filoſofia , fuor
ſolamente Democrito , aver ad dentro ſpiato fino agli ultimi fondi i principj
delle coſe . E ciò agevolmente fi può comprendere dallemedeſime paro le di
Platone; il qual così nel ſuo Timeo dice: To dº osoīvowle φησιν ώδε γίώ
διατρήσας καθαρgν , και λείαν ανεφύρgσε, και έδευσε μυε λώ , και μετα τούτη άς
πύρ αυτο εν τίθησι μετ' εκείνο δε εις ύδωρ βάλει και πα Αιν δε εις σύρ,αύθις τι
εις ύδωρ"μεταφέρον δ ' ούτως πολάκις εις εκάτερονυπ ' se je Dowăsnutev
dzepyáo mo. L'offo vēne formato in queſta guiſa; minuzzădo in prima la terra
pura , é netta,meſcolalla , e inu midilla colle midolla ;quindila poſe nel
fuoco;quindiattuffolla nell'acqua;quindidinuovo la poſe nel fuoco;e
cosìriponendola molte frate or nel fuoco , or nell'acqua , sì, e tanto fece ,
che dell'acqua, e del fuocoquello alla per fin venne a ingene. rarfi . Or chi
domine , non direbbe con Ariſtotele , eſſer que. Ito filoſofare alla groſſa
colle fole parole , ſenza veder più in là , che la ſola buccia delle coſe
perciocchè ſe la terra , come vuol Platone , era pura , e ſchietta , non era ,
meſtier certamente di sbriciarla ; che ſe i cubi, de' quali, ſecondo lui, ella
è formata , così ammaſſati, e riſtretti ſta vano , che ſegnale alcun di
partiinento non avevano , già quelli veritieramente non eran mica da dir cubi ;
e ſeguen temcntc non era dadir terra quella , ma una cotal maſſa , che tritata
, e minuzzata così ſe ne poteva formar terra , come acqua, comeanche qualunque
altra coſa del mondo, ſecondo le particelle ,in cui partir ſi poteva . Perchè
me ftier certamente non era d'accattare altronde fuoco , o ac qua per lavorar
quaſi in fucina , temperando l'oſſo,ſe tutto abbondevolmente in ſe aveva . E ſe
i cubi eran partiti , e affacciati nella lor debita figura , che coſa mai potea
cosi divili, e sbriciolati tenergli non il vuoto,che perlui coſta - tcinente ſi
niega ; non altra diſcorrente ſoſtanza , e irrego Hhla h 2 lar un 0121
Ragionamento Ottavo Jarmente figurata ; imperocchè ne diquattro foli corpiscos
meegli vuole verrebbono a comporſi le coſe cutte del mo . do ; ne la terra pura
farebbe, e da niun'altra coſa non tra meſtata . O forſe i già detti cubi poteva
il ſolo moto tener diviſi ? nia dovendo ciaſcun di loromuoverſi,ed eſſer d'ogni
banda ſceverato oltre molte altre inconvenienze , n'occor re queſta, che non
già un corpo ſaldo , ficomeè la terra : main diſcorrente verrebbero a comporre.
E lomigliāte anchea queſta maniera di filoſofare fu quel diviſamento del
medeſimo Placone intorno alla generazion . della carne , e de' nervi;ch'egli
narra nel medeſimo Dialo go del Timeo ; il qualccrtamente non è altro , che una
va ga , e ben compoſta diceria ; che con vane parole allettan do i ſemplici , e
poco intendenti delle coſe naturali , fa, ch egli faccia ritratto di gran
filoſofante Al vulgo ignaro, & a l'inferme menti. Perchè non haegli il
torto Ariftotele in dir ,che il ſuo mae ftro non trapalli più , che la prima
buccia delle coſe in filo fofando , e nons'immerga troppo ne'naſcondigli più
ſco noſciuti della natura . Di più , dice Ariftotele , e libera mente confeffa
, che ſciogliere i corpi fino alla lor ſuperfi cie , come fa Placone , ſia coſa
affatto ſconvenevole ; per ciocchè dalle ſuperficie non ſi poffono generar
qualità , altra cofa , ſe non folamente corpi faldi ; il chepuò ben far
Democrito co’fuoi acomi. E non molto dopo ſoggiugne : Democrito fembra aver
certamente ſpecolata con propia, e convenevol ragione la natura delle coſe . E
comechè in parte ingannaſſefi Ariſtotele in ciò dicendo ; perciocchè bé fi ſpiega
nelTimeo , come talora il caldo s'ingeneri ſenza ricorrere alla ſuperficie :
non però di meno ha egli per al tro non poca ragione in biaſimarne il ſuo
maeſtro, ſembraa do a ciaſcun ' ch’abbia ſenno , ſoverchio alfai , e ſconvene
vole quello ſcioglimento de corpiinfino alla ſuperficie . E noi , le il tempo
ce'l concedeffe, ne ragioneremmo per av, ventura più alfai , e forſe altrove ne
diremo ; ma non è al preſente da traſandar , che ſei quattro corpi di Platone
poſſono più ſottilmente ſtricolarli , e minuzzarſi in altre fi gure 1 1 Del
Sig. LionardodiCapoa 013 1 ' 2 gure', come ſi pare,ch'egli in qualche fuogo
de'ſuoi ſcritti accennar voglia ; vano certamente , e foverchio è a dire , che
que'cotali corpicciuoli colle lor figure , e facce dean cominciamento alle coſe
tutte del mondo ; e non più tolto un ſolo corpo , il qual poi in molti
corpicciuoli di moka te , e varie figure partito foſſe . Ma fe pur vogliams
contendere , che ne ftritolar , ne partire in modo niu no que' corpi li poſſano
, lo .non fo come quattro cor pi ſolamente a formar tante , e tante diverſe
coſe , che noi ci veggiamo , baſtanti pur ſiano . Ne meno fo lo certa mente
comprendere , come poffan que'quattro corpi cial cun luogo affatto ingombrare.
Il che anche avvisò Ariſto tele; comechè egli troppo fanciullefcamente in ciò
fallaffe, portando opinione , che le piramidi foffer valevoli a riem piere
ciaſcuno ſpazio ; nel qual manifefto errore ſmuccian do poi incorfero dietro a
luituttiſuoi interpetri, e feguaci; e ne fur forte biaſimati dal P. Giuſeppe
Blancani , e prima di lui da Gio: Battiſta de' Benedetti e dall'impareggiabil
Geometra Franceſco Maurolico. Ma in cotanti fdruccioli, e malagevolezze
abbattendo fi l'avvedutisſimo Platone , riſtando in fu le primeormes del ſuo
ſpeculare,non ebbe ardimento d'innoltrarſi d'avā . taggio ne'maraviglioſi
ſegreti della natura;e quaſi nocchier rotto per tempeſta in mare, che
lentamente vada ridendo i più ſicuri lidi , non s'arriſchio
d'ingaggiarſimaggiormen te nell'aſprezze del filoſofare , e folo andò pian
piano, e có ritegno palpando le prime facce delle coſe . Ne ciò ba Stando a
renderlo ſicuro da' pericoli , non volendo ne ans che affermare alcuna ,
comechè leggeriffima cofa , feces quaſi in iſcena comparir perſonaggi a
favellar diverfaméter ciaſcú ſecodo il ſuo ſentiméto , delle coſe del mondo,e
for mò Dialoghi,e ragionamenti in nome altrui per ceſſare i m ordimenti delle
varie ſcuole della filoſofia . Ma lo ſcal trito , e fagace Ariſtotele all'
apparence filoſofia con ogni sforzo , e con tutto lo ſtudio del ſuo ingegno
riyol gendoſi , cercò artificioſamente la coſa naſcondere : e tanto operò , che
venne in grado di primo filoſofante del mon 614 Ragionamento Ottauo mondo
appreſſo il vulgo;ma qualeſi foffe il ſuoartificio lo brevemente vi dimoſtrerò
. Compofe egli quel libro cotão to pregiato da' ſuoiparziali, nel quale delle
ſole cores aſtratte impreſe a favellare : e ad eſemplo degli antichi, or di
Teologia, or di ſapienza , or diprima filoſofia altiera mente chiamollo ; i
quali titoli fur tutti poi da' ſuoi inter petri nel ſolo titolo della
Metafiſica cambiati . Intorno al qual libro ſarebbe molto da dire ;ma chi pur
n'è vago di qualche contezza , vegga Franceſco Patrizio, e MarioNi zolio , e
Pietro Ramo ilquale con l'uſata ſua libertà ,e di ligenza eſaminandolo ,
trovollo alla fine non eſſer altro , che la medeſima loica d'Ariſtotele , con
diverſe parole , e nuovo ordine travolta : e una ſconcia , emalcompoſta me
ſcolanza , e guazzabuglio di ſoli vocaboli; perchè manifc ftamente avvedutofene
Nicolò da Damaſco , il cui faggio intendimento iguale a quel di Teofraſto , o
d'Ariſtotele medeſimo fureputato , comechèegli de'parteggianti d'A riſtotele ,
c Peripatetico ſi foffe: pur giudicollo inucile af fatto alconoſcimento delle
coſe ; e de'medeſimi ſenti menti fu anche Plutarco . Ma che che di ciò ſia ,
immagi nò Ariſtotele aver baſtantemente con cotal libro dato a divedere ,
ch'egli aveſſe diſtintainente diviſato delle coſe univerſali, e ſtratte , per
non doverle poi meſcolar colle fi fiche , come avean fatto gli antichi,i quali
perciò ne furda lui gravemente biaſimati,e ripreſi: comechè a torto, fico mei
medeſimi ſuoi peripatetici confeſſano . Ma poco cer tamente in ciò approdogli
la ſua ſcalterita avvedutezza ; perciocchè non è huomo tanto quanto intendente
delle coſe del mondo,ch'abbattendoſi ne' libri della ſua natural filoſofia non
s'avviſi tantoſto a’primi foglieffer quella tutta apparente , e ideale , ne
ſerbare in fe coſa alcuna di ſaldo. Pur piacque oltremodo a no pochi sì fatto
modo di ſchera zar filoſofando, parendo egli vago aſsai , e ingegnoſoallas
ſembraglia de'giovani ; i quali s'avviſavano concotali va ni , e folli
diviſamenti, e millanterie già pienamente ſaper tutto , quando per avventura
non ſapevan nulla.E la ſcioc ca torma del popolo vi pur correva , maravigliando
ſom mamen Del Sig.LionardodiCapoa. 818 mamente di cotanti termini ſtratti , e
fantaſtichi, comes nuovi , e non ancor comprehi dagli ſcolari di baſſo inten
dimento , e da dover richieder più profonda , e ſottil dot trina , checoloro
non aveano ; Semper enimſtolidi magis admirantur, amantq ; Inverfis qua fub
verbis latitantia cernunt. E per maggiormente farci veder la luna, come ſuoldir
fi, nel pozzo, cominciò eglimalizioſamente a voler ragio nare di coſe naturali;
e in ogni ſuo capo imprende a dir có qualche menoma faldezza di vera filoſofia;
ma toſto ricor re agli uſati fofifmi,non iſpiegando mai nulla di vero ,ne
manifeſtando qual foffe la natura delle coſe, di cui egli fa vella ; ne come di
nuovo naſcano , o yengan meno , ne co me patiſcano, o operino nel mondo . Al
che riguardando infra gli altri Plutarco, comechè egli non fofse cotanto ſao
gace, pur delle vane ciace di lui avveduto; l'allogò di gran lunga dietro al
divino Democritose co-maggior ragione in vero di quella pla qualeAriſtotele al
fuo maeſtro Platone medeſimaméte Democrito átepofto avea. Ne in ciò cota to
teneri , .e parzionali d'Ariſtotele i moderni filoſofanti fono , che reſi
talvolta avveduri de'ſuoi trafandamentisan che i pià cari ſeguaci di lui, forte
non l'accagionino: e infra gli altri quell'avvedutisſimo fuo Chioſatore , il
Padre Ni colò Cabbei; il quale,comechè peripatetico di gran rino meanpur volle
apertamétemanifeſtarlo in chiosådo le me teore del ſuomaeſtro.Quia iſte
Philofophus ( dice ) maximè pollebat ingenio metaphyfico , edapprimè ei
arridebatphilofo pbariper metapbyficasabſtractiones : ubi adres phyſicas de
venitur , quia ad hos ingenio fuo nonferebatur, ingenii vires nonacuit ; ed in
un altro luogo : Ariſtoteles magismetaphy ficis obſervationibus affuetus , quam
phyficis obfervatur. E finalmente egli conchiude : fed fenties in rebusphyſicis
Ari Stotelem non potuiſje metamſapientiæ attingere. Enelvero chi ſarà maicolui
, che riſtucco forte , e faſtie dito delle ſue vane dicerie no'l biaſimi , e
rimproveri, rin venendo in lui più , e maggiori tacce affai', che non vi rava
viſa il Cabbei? Egli primieramente togliendo ad imitazio ne d'O 616
Ragionamento Ottavo ned'Ocello Lucano(ſe pur egli è l'autore di quel libro ,che
gli viene attribuito ) e diPlatone, oſia di Timeo, a fabbri. car la grandiſſima
maſſa dell’Vniverſo tutta fantaſtica, tut ta metafiſica , e apparente , prele
per principi delle coſe sé. fibili , e vere , terminitutticonfuli, e generali ,
e da' noftri sétiméti affatto rimoſſi;del che forteegli è da accagionare ;
mallimamente , ch'egli medeſimo avvisò pur una fiata , do ver delle coſe
ſenſibili effer ſenſibili parimente i principj ; e ciò cotanto egli giudicò
vero , che preſene ſconciamente a carminare gli antichifiloſofapti. Egli ſono i
principi , onde Ariſtocele vuole , che forma te le coſe tutte ſenſibili ſi
foſſero , così larghi, e lontani, che ben yi ſi poſſono agevolmente ricoverare
curci que'fiſici principi , che varic, e diverſe ſchiere de'filoſofanti,così an
tiche, comemoderne alle coſe naturali impongono . E ciò ben ne diedea conoſcere
il famoſo ChenelmoDigbinobi lillimo filoſofante del noſtro ſecolo , allor che
con lodevo le artificio volendo prender gli oſtinati ; e provani peripa terici,
fece ſembiante d'effer anch'cgli cocale . Il qual arti ficio dopo il Digbi ,
molci valenc'huomini d'uſare anche ſi Audiarono . Ma laſciando ciò al preſente
ſtare , non iſpie gando mai Ariſtotele ciò , che in fiſica ſia quello , a cuive
ramente poſſa adattarſi quella generale , e confuſa ſua difi zione della
materia , e della forma:nulla certamente ad in ſegnare e' viene . E nel vero ,
chemonta per Dio a ſapere, che ciò che di nuovo in queſto vaſto teatro del
mondo ap pariſce , e s'ingenera, e li forma, non era in prima tale, po tendo
eſservi ? ed ecco la gran maraviglia , naſcoſa in prima a tutt'altri antichi
filoſofanti, che egli con tante bel faggini millantando innalza , chiamandola
privazione; più ragionevolinente forſe da Platone detta occaſione, e non
principio delle coſe . Ma che direm noi degli altri due non men ridevoli
principi delle coſe , cioè a dir materia , e forma , ſopra le quali fondamenta
egli la generazion tutta dell'univerſo va fabbricando ? Poveri filoſofanti
antichi; voi per iftudio , e ſudori non ſapeſte trovar diviſamenti sì bclli ; Ariſtotele
ſolo ſeppela nateria delle coſe cſser po 1 tel tenza , overo in potenza a divenir tali coſe ,
e la forma alla per fineeſſer un cotal-atto , che dandoalla materia perfe zione
, la mandi avanti , e la faccia eſfer propiamente tale . E queſto è quel, che
con tanti riboboli , e aggiramenti , e lunghe dicerie eglide’principj delle
coſe ragiona . Ma per Dio , ſe non fi fa in che conſiſta la fiſica natura della
mate ria , cioè a dire iti cui cada cal potenza a divenir quefta , o
quell'altra coſa ., come potrà mai ſaperſi poi la fiſica natura della forma , e
ciò che abbia afarſi , acciocchè la materia imprender poffa o queſta , o
quell'altra diterminata coro per informarſi ? e ſe queſte pur non ſi fanno ,
comepotrā . mai ſaperſi le qualità , l'opere , e le paſſioni delle coſe., come,
e che, c perchè l'operazioni ſortiſcano ? Se a giovane , il quale apparar
voleſſe a fabbricar glio riuoli ,dopo molte , e molte vaneciance e' diceffe per
fine il maeſtro : attendi figlio , e nota ben tutte mie parole , ch' Jo
brievemente ora intendo di manifeftarti il maraviglioſo modo da compor gli
oriuoli : egli primieramente convienu ſapere., che l'oriuolo fabbricaſ d'una
cotal coſa , che non è mica già oriuolo ; perchè ſe oriuolo ella già foſse ,
non potrebbe divenir oriuolo ;ma agevolmente ella può venir oriuolo per.coſa
acconcia a farla co effetto coral divenire: certamente ,che udédo cotali
novelle lo ſcolare, e avveden doſi d'eſler uccellato , Goaffe direbbe, maeſtro
voi dite bene; ina quel che lo volea ſapere Io ,era qual coſa è quel 12 cotal
materia , che voi dite non eſser mica oriuolo, ina agevole a venir tale ; e
quali ſono quelle coſe , per le qua lidivien tale ; ma non ritraendone alla fin
riſpoſta , fe pri mieramente di faſso, o di legno ,o di ferro,od'altro l'oriuol
fi debba comporre ; e poi con quai mezzi , e lavorj ſi fac ciz, ſchernito , ed
ingannato il ' laſcerebbe colla ſua mala ventura . Or così appunto ſcherniſce ,
e beffil Ariſtotcle . i luoi peripatetici. Ma Eudemo un de’più cari, e più
famoſi ſcolari d'Aristotele , ponendo in non cale l'autorità del maeſtro , çome
in altre coſe già fatto aveva , diſse la materia delle natura li coſe eſser
vero , c propiamente corpo ; la qual ſentenzas fu poifermamenteabbracciata da
quel famoſo , e ſortii pe Iiii 018 Ragionamento Ottavo 1 ripatetico noſtro
ItalianoAndrea Ceſalpini.Ma comechè il Cefalpini in ciò moltoſi ſtudiaſſe , pur
non ritrovandolive Itigio alcuno dell'opere d'Eudemo, ove appiccar fi potef fe
, reſtò di farſi più avanti , e l'impreſa in ſu'l buono abbadono . Nemenopotè
ſeguirſi il diviſo d'Averroe intorno a cotal biſogna ; il qual diſſe doverſi
aſſegnare alla materia , comeaccidentile dimenſioniincerte, e indeterminate;
per chè non potendoſi a niun partito ſcufare ciò , che dice Ariſtotele intorno
alla materia ', ne men riparando in par te gli errori di lui , con iſtorcere ,
e piegar le fue parole in altri , e diverſi ſentimenti, ragionevolmente il
bialima , e'l proverbia il dottiſſimo greco Padre S. Baſilio Magno,dice do : ſe
la materia d'Ariſtotele eſsendo incorporea non è , ne: che, ne qualc , ne
quanto, ſarà certamente ella , come S .. Giuſtino parimente conchiudc,
unacoſa.finta : cioè a dire: una fantaſima, una chimera. Ma avviſando pure
Ariſtotele , che in sì fatta maniera fia. fofofandode primiprincipjdelle coſe;
perdeva affatto il no me di natural filoſofante, ricorre finalmente', ma troppo
tardi a coſe ſenſibili ; e pone egli i quattro volgari elemen ti , come ſecondi
principj decorpidiquaggiù; ma non ave do ſpiegata la fiſica natura della materia,
e della forma,on de fecondo lui compoſtivengono gli elementi, no può ſpie gare
( come avea fatto in prima Empedoclc , Tinco;e Plizo tone, componendogli
dipicciolillimi corpicciuoli) natu ralmente procedendo , la vera eſſenza
diquelli ; perchè gli va diſegnando', e deſcrivendo colle lor qualità ; maegli
poi , come a natural filoſofo conveniva fare , le nature del le qualità non
infegna; anzinepure dar briga ſi vuole d'in veſtigarle ; ed appenadeſcrive ,
rozzamente narrando al cunipochi loro effetti aperti , e manifeſtiad ognuno ;
ed'in quegli anche talora sì ſconciamente e'fallar ſuole', che nul fa più ;
ficomeallor , che francamente egli afferma, che'l freddo uniſca tutte le coſe
diqualunque genere elle ſi lie no ; e pur dovea egli avviſare , che'l freddo ralora
coniſce. mare il movimento all' acqua , chenon le facea calare a fondo , ſepara
quelle coſe , che non convengono nella gra. vità, Del Sig.Lionardo.di Capoa :
619 vità , e.che di diverſo genere ſono . Così parimente erra Ariſtotele allor
chedice , il caldo fceverar le coſe , che di diverſo genere ſono,, da quelle ,
che convengono inſieme nel genere medeſiino ; imperocchè uficio del fuoco ſia
col fuo rapidiſſimomovimento di ſceverar l'unedall'altre, cut te le coſe ,, che
ſiano di qualunque genere , comechè talo ra ( il che ingannòAriſtotele
)ritrovandoſi rimoſſo il cal do , non vieri, che le coſe più gravi calando più
giù ſi ſepa rino dalle men gravi . Manon meno fallar {i vede Ariſto tele allor
che egli imprendendo a narrar la natura dell'us mido , definiſce contro
a'ſuoimedeſiınidiviſamenti la ſpe zie colla definizione del genere; dicendo :
ma l'umido è quello , che dileggieri ricevendol'altrui termini, non può in ſe
ſteſso.contenerſi: uygóv dè , tè dóessevoixdin õp.com evőeisov or. E no ha
dubbio , che una coral definizione non avvegua al di fcorrente , di cuiegli è
ſpezie l'umido.; poichè il diſcorren te altro non ſignifica , ſe non ſe
quel.corpo, il quale diſcor re , s'inſinua , e penetra agevolmente , compreſo
cede's e non fa reſiſtenza ; perchè non eſſendo da ſe terminato prende
dileggieril'altrui termine . Ma l'umido , oltre a queſto s'avviticchia in sì
fatta guiſa a ' corpi ſaldi,che:ſi ré de ſenſibile ; laonde altro.nonè , ſe non
che una ſpecie di diſcorrente . E fe l'umido pure è tale , quale il ci.deſcrive
Ariſtotele, certamente egli non dovrebbeſi poſcia dirſi fec , .co.il fuoco.con
Ariſtotele , maumido; anzi umidiflimo con Bernardino Teleſio , ed Antonio
Perſio converrebbe chia marſi . Ne vale a pro d'Ariſtotele ciò che dice Giacomo
Zabarella , l'umido convenire in qualche guiſa al fuoco , no già per ſe ,
eſſendo il fuoco ſecco per fe, ma per accidente : cioè ricevere agevolméte il
fuoco il termine altrui,non già per la ſiccità : non convenendo il ciò fare a
tutti i corpi fece chi : ma per la tenuità delle parti di quello ; anzi contra
ſtando la ficcità del fuoco a quel corpo, che terminar lo yo leſſe , avvien ,
ch'egli non riceva così agevolmente, come i corpi umidi far fogliono , il
termine altrui . Ma ſc noi il contrario ſperimentiamo di ciò , che dice il
Zabarella , adattandoſi aſſai più dell'acqua , cdell'aere il Iiii fuo ز 2 620)
Ragionamento Ottavo fuoco a quel termine , che da altri corpi preſcritto'gli
vie ne : oltre ad ogn'altro elemento umido dovrà dirſi il fuoco; che non per
altro nel vero Ariſtotele, e i ſuoi ſeguaci affer inano cfler aſſai più
dell'acqua , e fominaméte umida l'aria , perchè ſe la ſomma umidità conviene al
fuoco , egli non aurà certamente parte niuna in quello la ſiccità ; laonde ne
anche per accidente il fuoco potrà ſecco mai dirſi. Enel vero la narrazione del
fecco da Ariſtotele rapportata,in cui egli in vece del ſecco par che deſcriva
il corpo ſaldo, in di cendo , il ſecco eſſer quello , che ſi contiene
agevolmente da ſe ſteffo , c malagevolmente prende l'altrui termine : Engordà ,
no evóerson pèr cireiw opw , duodessor dè , egli non può con venire in modo
veruno al fuoco . Or come adunque il Za barella oſa affermare , che'l fuoco fia
per ſe ſecco ? Oltre a ciò,ſe'l fuoco è per ſe tenue , ſarà anche per fe umido
i e ſe il tenue, per quel, che ne dica Ariſtotele ,è ſpecie dell'u mido , e’l
fuoco non ſolamente da per ſe è tenue , ma nella tenuità l'aria , non che gli
altri elementi,vince d'aſſai; con verrà ſenza fallo confeſſare giuſta la
dottrina d'Ariſtotele , per fe ,e vie più d'ogn'altro elemento eſſer umido il
fuoco . Ma vorrei faper quì da Giacomo Zabarella , e da Ar cangeloMercenario ,
che volle darſi ſpezialmente una si fatta briga: onde , e come potraſli
giugnere mai a ſaperes che'l fuoco fia ſecco forſe daglieffetti ? ma ond'è, che
il folc , per tacer d'altri, giuſta il ſentimento d'Ariſtotele non è altrimenti
caldo , comechè produca calore ? ſenzachè il fuoco, come afferma Ariſtotele
medeſimo,ſovente ingenc rar ſuole l'umidità ; come nel ghiaccio , ne'metalli , einu
altre coſe molte ſcorger e' li puote; e ſe ogni qualunque corpo , o pure i più
di eſſi ,fi poſſono fondere in vetro , chi ardirà di dire , che'l fuoco non ſia
valevole a inge nerar l'umidità > E fe mai tutte le coſe , o la maggior
parte di eſſe in vetro per ſua opera fi cambiaffcro , non di rebbe ciaſcheduno
, che'l fuoco le rendeſſe umide primadi fermarle in vetro ? oltre a ciò allora
quando l'acqua, ſecon, do Ariſtotele immagina , vien dal fuoco cambiata in
aria, certamente quella maggior umidi à , per cui aria l'acqua divie Del
Sig.Lionardo di Capoa. 621 diviene, in lei s'ingenera dal fuoco . Ma forſe ſarà
ſecco il fuoco , perchè, come fcioccamente ſi da egli ad intendere un barbaro
autore, ſi ſente da noi ſecco ? Ma dal noſtro sé. ſo apertamente ſi ſcorge, che
il fuoco ha tutte le propietà agli umidicorpi da Ariſtotele attribuito. Ma
forſe per fi nirla argomentar fi potrà la ſiccità del fuoco dal ſuo calo re ;
ma eſſendo propio del calore , comc Ariſtotele dice , il rarificare ,
certamente da ciò umido più coſto , che fecco dovrebbe il fuoco argomentarfi.
Dice altri , Ariſtotele non l'umido , ma il diſcorrente aver definito ; e che
fi legge umido nelle fue opere , per colpa di coloro che dallaGreca nella
Latina favella trasla tarono i ſuoi libri ; poichè eſſendoſi valuto e’della
parola sygov nella menzionata definizione , che appo iGreci ora ſignificar
vuole qualſifia corpo difcorrére, or fi riſtrigne ad aſprinier ſolo quel , che
tra corpi diſcorrenti tien vigore do umidire, e chehumidum , vien detto da’latini
. Eglino non bene intendendo i ſentimenti d'Ariſtotele , immaginaro no aver fui
l'umido definito ;perchè foggiūgono poi: a torto anche vien accagionato
Ariftorele d'incoſtanza , e di co traddizione ; perchè d' talora dica ,Pacqua
eſfer più umida dell'aere, e talora affermi (il che una fiata ſembrò pazzia a
Galieno ) l'aria eſſer più umida dell'acqua. Ma quanto poco , anzi nulla
rilievi a pro d'Ariſtotete ciò , che fingono coſtoro , chiarainente ſi conofce
; imperocchè Ariſtotele in coſa appartenente a' fondamenti della ſua filoſofia
non dovea ſervirfi di vocaboli ambigui, e dubbiofi; e ſe non v'erano i propj
nella fua lingua , il che appena mi ſi laſcia credere , che aveſſe potuto
avvenire , eſſendo ella così ric ca , e copiofa divoci , non gli avrebbon
mancati modi , e vie di chiaramente fpiegare ciò che cgli dovea dire. Ne li può
Ariftotele ſcufaredelle contraddizioni;impe rocchè , per tacer d'altro , dice
egli una volta , che la tera ra ſi trovi in tutti i miſti , perchè i
corpimiſti, fpezialmen te i più grandiper lo più nel luogo propio della terra
ſi tro vano; ma Pacqua, perchè fa ellameſticre a terminare i cor pi compofti,
effere lei ſola di que’ſemplici corpi , che ter mina 622 RagionamentoOttavo
minare dileggieri dale poſſonoyn rifugão ivendéggumasaza έκαςον είναι
μάλιστακαι και πλείστον έντων οικείων τόπω·ύδωρ δε δια το δείν μεν δελζεται το
σύνθε % και μόνον δε είναι των απλών ευόμισαν το ύδως. Dal le quali parole
chiaramente fi coglie., che o abbia Ariſtote . le definir voluto l'umido , o pure
il diſcorrente ; attribuen-. do egli all'acqua, come propia dote , e non
comunea verun altro elemento il potere agevolmēte da ſe terminare; il che
certaméte contro quel,ch'altre volte detto egli avea , viene a determinare
l'acqua ſola, eſcludendone l'aria , eller o umida , o diſcorrente , M ,a nella
ragione , che Ariftotele di ciò indi a poco rapporta , ſi vale ſenzafallo della
parola vypov a denotar l'umido ; e dice eſſer quello , il quale ha , forza
dicontenere , riſtrignere , e coaglutinare la terra ,la quale ſenza l'acqua
verrebbe a diſſiparl .; perchè eſſer :cgli .conchiude , l'acqua parimente
neceſſaria alla compoſizio. ne de'miſti , con queſte parole: én dè ry Tosningav
ávev Tš vggs μη δύναθα συμμένειν . άλα τούτ' είναι τοσυνέχον ή γαρ εξαιρεθείη -
λέως εξ αυτής το υγρόν διαπίστοι αν• Ovc fcοrgerfi puote, che alla terra ancora
convenga la definizione dell'umido data per Ariſtotele; nell'opinione del quale
ſi pare , che a niuno degli elementi convenga la definizione,ch'egli del ſecco
rapporta ; ma di ciò ad altri laſciando il diviſare , es Jaſciando ad altri
eziádio la briga di moſtrare, ch'Ariſtore le dagli effetti ſtelli,comechè pochi
ch'egli rapporta nelles incnzionate definizioni,potca agevolmente cogliere la
na tura di ciò ch'egli dice freddo , e umido : caldo , e ſecco : e così poi far
anco di que' , che chiama lor differenze; accen però ſolamente ch’Ariſtotele
alior che fa parole del tenue , in dicendo , che il tenue compoſto fia di
picciolo parti,per che ricampie το δε λεπον αναπληρικόν(λεπτομερές γαρ και το
μικρομε. pès avænangıxóv.)noſtra ſeguir l'opinione di Democrito e che nella
guiſa , che detto abbiamo,filoſofare, comechè rozza mente e ſi vede del tenue ;
il che dovea certamente c'fare, anche dell'altre qualità . Ma vediamo ora come
Ariſtotcle a ſpiegar infelicemen te imprenda la natura del movimento , in cui
non ha dub bio , che conllte cutta la nzural filoſofia . Primieramente cyli
cgligiúdica eſfer ilmovimento un cotal genere ,il qualej comprenda
l'alterazione, l'accreſcimento, la diminuzione, la generazione , e’Imovimento ,
che chiaman locale . In di diſegna, e definiſce ilmovimento nel primo, e nel
ſeco do capitolo della fiſica , in cotal guila : rov Suv áués.Övr. ÉVTE .
dexaci , ģTovorov , cioè endelechia di quella coſa , la quale è inpotenza , in
quanto ella è tale ; ed altrove : aivos, évtené.. geta toī XIVSTOU , xuvytor,
cioè , il movimento egli ſi è endelechia della coſa , la quale tien potenza a
muoverſi, in quanto ella tien la detta potenza . Orchi domine non comprende ſe
eſ ſer beffato , e uccellato da: Ariſtotele ?maſſimamente , che: egli medeſimo
inſegna dover eſſerela definizione più mani feſta , e più conoſciuta affiidella
coſa, che ſi definiſce;per chè diceGiovanniMagiro , famoſo peripatetico ,
eſſere cotal definizione biafimevole', e vizioſa : atque ob eam.cau-. fäm in
nonnullorum reprehenfiones incurrit . Ma. Simplicio nondimeno dice', effer
quella ſommamente artificioſa , e quaſi divina ; ſpiegandoli , emanifeſtandoſi
con eſlå in una certa maniera maravigliofamente la natura del movimen to .
MaCicerone , e Porfirio affermano ', effer quella voce ŁYTENÉXAtjun vago , e
artificioſo ritrovato d'Ariſforele , per uccellar le genti ; e nel vero di
cotal voce ſoven ti fiate ſervisſi Ariſtotele , non ſolamente per ifpiegare il
moviinento , ma l'anima ancora , e quella ſua nuova mtura: anzi ilmedeſimoIddio
( coſe ſenza fillo fra eſfo lo ro aſſai diverfe ) con talnomee' ſcioccamente
chiama. Per chè ben diffe l'avvedutisſimo Ramo : Entelechiæ fue Ariſtoteles
nimium conceſſit nimium indulſit. Ma ſu conceda fiad Ariſtotele così bel
diviſo, ne s'atté ti aſcun di privarlo della ſua endelechia ; e reſti a quellas
comedice motteggevolmente il medeſimo autore , inveſti to in dore il rcametutto
della filoſofia; e che più ? 'perdonili anche a lui ' , che contro le regole
della dialettica con voci equivocoſe , e oſcure le definizioni formar fi
poſſano :'ela vocc iv terémax",prendaſi pure nella definizion del moto
,non già per perfezione acquiſtata , e compita , mache tuttavia fi vadi
acquiſtando , comepar che e' voglia : o per me”di re, per 1 624 Ragionamento
Ottavo 1 re,per la ſtrada p la quale la perfezione s'acquiſti; la qua le ſtrada
certamente anch'ella in qualche modo è perfezio ne ; perchè meritevolmente è da
chiamar con nome di at to della coſa , comechè imperfetto ; la qual li è in
poten za a mandarſi all'atto perfetto , cioè a dir alla forma , in quanto alla
materia la coſa è in potenza,cioè a dire in qua to può ella effettualmente
imprenderla . Or dove eglino ſono , dove conſiſtono quelle tante , e sì ſtrane
maraviglie, millantate da Simplicio? Quid dignum tanto feretbic promiffor hiatu
? Parturient montes , naſcetur ridiculus mus . Apporta Ariſtotele per ifpiegar
maggiormente la coſa , l'eſemplo dei rame, il quale comechè poffa divenire ſtatua
, nondiincno quel movimento , col quale egli poi vienead acquiſtar la
perfezione , e la forma di {tatua, non appartic ne punto al rame , in quanto ,
ch'egli è rame , ina folame te in quanto egli può divenire , o eflere ftatua
xaaxos, dice egli,κίνησίς έσιν ου γαρ το αυτό το χαλκώείναι, και διωάμει τινί
κινητώ, έπει & αυτον ω απλώς , και κατα τον λόγον , ω αν και του χαλκού ,
και ganzes , ÉV TERÉNHO , xívyos, Mache montano alla filoſofia si fatri
ravvolgimentidiyaneparole , echiè per Dio , cheno ravviſi,e non ſappia,
appartener propriamente al muro, che può eſſer bianco , la ſtrada,o'l mezzo di
dover eſſer tale, in quanto cgli eſſer vi poſſa > Chi ciò mai ardà a negare
? Ma dell'atto , e della potenza , non ſolamente ſervir ſi voller Ariſtotele
per iſporre, e ſpiegare la nariua del movimento ; anzi in molte, emolte altre
opportunità egli sì fattamente gli ripete,che ragionevolmente infaſtidito
Bernardino Te. lelio ebbe a dire : Magnos mehercule Ariſtoteles, ut ingenuè
fatetur ipſe , actus potentiave diſtinctioni gratias debet ;cu jus nimirum upe
ex anguftiis quibuſvis evadere nibildefpe rat ; il che parimente venne avviſato
da Antonio Perfio . E nel vero Ariſtotele ſpelle volte ſi ſerve dell'atto , e
della potenza per rattoppare , e rabberciar le ſue Idruſcite does trine; e
certamente quelle duc voci il traggono da’più ma lagevoli ,e intralciati
laberinti della națural filoſofia. Ma ſe finalmente definir mai voleſs
Ariſtotele quel mo vimen DelSig. Lionardo di Capoa. 625 vimento , che chiaman
locale , certamente egli converreba be ricorrere alla general definizione del
moviméto, có giu gnervi d'avantaggio qualche diviſamēto proprio del moto locale
. La qual coſa : ſecondo lui,non ſarebbe molto ma lagevole a fornire ; comeeper
raffermar la ſua ingegnoſif lima definizione del movimento ne fa pruova
nell'altera zione , così definendola : l'alterazione , è atto di quella coſa ,
la quale ſi può alterare , in quanto ch'ella alterar fi puote : αλλοίωσης μεν
γαρ , και του αυλοιωτού ή αλοιωτών , εντελέχω . Adunque così ancora andrebbe,
ſecondo Ariſtotele,nelmo vimento del luogo la definizione : egli è il movimento
del luogo, endelechia , cioè atto della coſa , che ſi può lotal méte muovere,
in quáto ella ſi può localmente muovere; la qual definizione,ſe accóciaméte
ſpiegherebbe la natura del movimento locale , dicalo in mia vece il medeſimo
Ariſto tele , che in trattando del moto locale , a valer non ſe n'ebe be .
Matacer non fi dee certamente quì , che Pier Ramo avviſando non dovere effer il
genere d'una coſa , genere anche delle ſpecie di quella , perciocchè troppo
rimoſſo, e lontano le ſarebbe: preſe agio di gravemente punger Ari ftotele
collarori di lui medeſimo, così dicendo: Hic ende lechia rurſusnon imperfecta
,fed abfoluta exprimitur; &ta mrenfo genus effet motus, non
poſsetefseproximum genus cui libet motusfpeciei. Ma chi poi voleſſe eſaminare,
e riandare le altre definizioni d'Ariſtotele , rinverrebbe veriſſimo sé. za
fallo l'avviſo di Lodovico Vives ; il quale, comechè non fi vegga mai pago di
lodarlo , impertanto ebbe a dire: Ari Stoteles eſt in definiendo vafer ,
occultus adeo, ut pleraquefine idcircò in ejus philofophia incerta , da
perplexa , parum etiam vera ; dum magis curat quem in modum reprehenfionem ex
cludat , quàm ut afserat verum . E perciò funneanche da Attico , eda Temiſtio
alla ſeppia aſſomigliato . Ma tanto e tanto Ariſtotele dell'oſcurezzaſi
compiacque , e così ſo vente in iſcrivendo uſolla , ch’ebbe a dir di lui
ragionevol mente nel vero il P. Elizzaldi : Summa laus Ariſtotelis ob fcuritas
fuit . E quantunque Ammonio s'attenti di ſcuſa re Ariſtotele , dicendo
Ariſtotele eſsere ſtato oſcuro a bel Kkkk lo ſtu 626 Ragionamento Ottavo rezza
, lo ſtudio , non per altro , ſe non ſe per iſpaventar coll'oſcu ed eſcludere
dagliſtudi della filoſofia , e dalla lezio de'ſuoi libri gli huomini d'ottuſo ,
e baſſo intendimento ; il che ſi pare , che'l medeſimo Ariſtotele dir voleſle
in quel la lettera , fe pur fu ſua , e non da' ſuoi ſeguaci finta , ch'e gli
ſcritta l'aveſſe ad Aleſſandro , che da Aulo Gellio venne nella latina lingua
traslatata s'ngoja nixovs libros , quos edi tos quereris , non perinde, ut
arcana abfcondiros,neque editos ſcito effe , neque non editos ; quoniam iis
ſolis , qui nos au diunt , cognobiles erunt ; impertanto sì malamente venne
fatto ad Ariſtotele d'aſcădere la vera cagione del ſuo ſcri yere così
oſcuramente , che fu ravviſata da ognuno in gui ſa , che non poſſon far dimeno
i medeſimi peripatetici ta Jora di non confeſſarla apertamente; e per tacer di
Simplią cio , diTemiſtio , e d'altri molti: l'autor della cenſura de'libri
d'Ariſtotele dopo averlo ſtrabocchevolmente commenda to , alla fine purdice in
facendo parole delle ſue oſcurez ze : Accedebatad hæc ingenium viri te&tum
, & callidums, &metuens reprehenfionis , quod inhibebat eum ne
proferret interdum aperte , quæ fentiret ; inde tam multa per ejus ope ra
obſcura , & ambigua . Ma laſciando ciò ſtare alpreſente, nomeno che nella
definitione,egliſi ſcorge eſſer Ariſtotele infelice nella diviſione del
moto.Vuolegli,comeè detto ,ſei eſſere le ſpezie del moto : cioè generazione,
corruttura,al terazione,accreſcimento ,diminuimiento , e moto locale; ma a
chiunque bene , e ſottilmente la coſa ragguarda , niuna altra forte di
movimento ſi fu avanti nella natura , ſe non ſe locale ; e nel vero tutte le
ſpecie addotteperperAriſtotele, altro non ſono ,ſalvo che movimenti locali ; e
ſi pare ,che'l medeſimo Ariſtotele ciò anche confelli ; concioſliecoſachè dica
egli una volta , che'l moto locale ſia il primo de’moti, eche niuna delle p lui
mézionate ſpezie del moto ſi poſſa no ritrovar " inquemai diſcopagnate
dalmoto locale; ed uną altra fiata apertamente affermi, che il ſolo moto locale
ſia quello , che dir ſidebba propriamente moto . Divide Ari ſtotele
primieramente ilmoto locale in ſemplice, e miſto; ſemplice chiama egli quel
movimento , il quale è ſempre mai Del Sig .Lionardodi Capoa. 027 mai uniforme,e
fimile a ſe medeſimo. Il moto semplice è di due maniere, retto ,e circolare
;cöcioffiecoſache di due mas niere ſiano le grádezze séplicirerte pariméte,e
circolari; la qual ragione ,quáto frivola,quanro yana fazlaſciù a voi a
conſiderare , Il moto çircolare , il quale ſolamentegiuſta il ſuo avvilo, è
perfetto , e regolare ; vuole Ariſtotele eller quello , che fi få intorno
almezzo; ma il retto allo incon tro eſſer quello , che faffi in ſuſo , ed alla
in giù , Mataçé do , che avviſar dovea Ariſtotele que’movimenti , ch'egli
immagina farſi intorno al çētro della terra, non eſſer altra mente circolari '
, ma ellittici , follemente nel yero egli fi da ad intendere avermoto ſemplice
nell'univerſo , che retto non ſia; imperocchè qualunque corpo , cheſi muove
convien certamente , che ſe'n vada ad occupare il luogo a ſe più vicino ;
perchè ſarà mai ſempre ogni ſuo moto ret to , e formerà mai ſempre col muoverſi
linee rette ; laonde i moti obbliqui tutti,cácora que’che circolari ſi
chiamano, altro non ſono, che moltiſſimi, e poço men chę infinitimo vimenti
retri; i quali ad ogn' ora facendo angoli, a formar vengono moltiſlime, e poco
men , che infinite linee rette ; laonde niun moto del mondo farà circolare ;
imperciocchè niun moto, che in giro fi faccia mantener il corpo maiſemi pre
potrà dal centro ugualmente lontano ; il che richiede Ariſtotels nel inoto
circolare . E quinci ſcorgeragevolme. te li puorc , quanto dal ver ſi diparta
ciò che appreſo Ari ftorelc diviſa, poço faggiamente, confondendo i membri
della diviſione , dicendoil moto ſemplice eller di tre ma niere : l'una di
quello , che ſi fa intorno al mezzo , o lia centro : l'altra diquello , che ſi
fa dal mezzo ; e l'altra di quel, che ſi fa almezzo ; ma degna ſenza fallo è
d'aſcol tarſi con grandiſſime riſa la cagion ,che di sì fatta diviſio ne cgli
reca,françamëte affermando tre eſſer i ſemplici mos vimenti ; concioſliecofachè
abbiano i corpi tre dimenſioni, Quinci li coglie eller falſa , e vana del pari
la menzionata diviſione del moto d'Ariſtotele ; enon aver moto veruno
nell'univerſo , che compoſto eſſendo del retto , e del circo Jare, miſto con
Ariſtotele dir veramente ſi poſſa. K k k k Ma a è 2 028 Ragionamenta Ottavo Ma
trapaſſando a quella diviſione del moto , così cele bre ne’libri d'Ariſtotele ,
in naturale , e violento :veramen te in iſpiegare i membri di quella oltremodo
vario , ed in conſtante e ' li moſtra ; perciocchè una fiara dice , il moto
violento eſſer quello ch'altrõde vien comunicato ; il che ſe vero fofſe , vana
ſarebbe la fua diviſione; imperocchè ogni moto , giuſta Ariſtotele , altronde
procede; e un'altra vole ta poi, no badado a ciò che prima avea detto,egli
afferming comechè da altri cagionato effer poffa , trondimeno alcun movimento
eſſer naturale . Vltimamente Ariſtotele vuole , che quel moto djr ſi debba
violento , il quale venga cagio nato da eſterna cagione in un corpo , che il
ripugni; maſe il moto altro veramente egli non è , fe non cambiamento di luogo
, e al corpo non meno è natural queſto , che quell altro luogo : certamente al
corpo niun moto ſarà mai vio lento ; e ogni qualunquemoto , che nell'univerſo
ſi faccia , dovrà dirfi naturale . Ne la terra , o altro corpo dique'che
chiamanli gravi da ſe , comeinſieme col vulgo immagina Ariſtotele gripugna il
ſalir in alto , quantunque ſi paja a noi, che non veggiamo que' corpi , che la
ſpingono giù , e fan ch'ella ripugni il ſalire . Non ſembra finalmente conforme
a quel ſuo famofo detto , ch'ogni coſa , che ſi muove , per alrri ſi muova , la
diviſione,ch’Ariſtotele reca del movime to , in quel , che vien fatto da fe, e
propio chiamato , e in quel, che da altri faſli , e per accidenteè detto . Ma
una cotal diviſione mi fa ſovvenir , come ſconciamente fallò Ariſtotele nel
dire , che'l generante muova ancor quando è lontano ; anzi ancor quando più non
è ; e che le ſue intel ligenze muovano moralmente ; il che ancora di colui
che'l tutto muove empiaméte oſa egli affermare; che tanto egli è nel vero ,
quanto dire, che le intelligenze muovano non movendo le ſpere celeſti dalui
ſognate . Ma dovea Ariſto tele avviſare, chela maniera dell'operare del Sovrano
Mo narca dell’Vniverſo è molto lontana , e differéte da quella, che'l più acuto
umano intendimento poſſa vnquemai im-, maginare ;e comeegli già traſſe dal
nulla le corporee ſoftá ze colla fola volőtà , colla quale potè dar loro il
moro anzi gliele . DelSig. Lionardo diCapoa 629 gliele diede ſenza fargli
puntomeſtier di toccamento veru no ; e che Iddio ancora fa , che gli Angioli
parimentes. comeche inviſibili fpiriti,pofanomuovere, avvegnachè nă tocchino le
corporee ſoftanze ; e laſciando di riferire , che dican di ciò Guglielmo da
Parigi, l’Aureolo , e altrimae Ari in divinità , iquali non fi prendon briga
più che tanto di venir a' particolari : Io vado conghietturando, che: dar
poſſano il moviméto gli Angioli a ' corpi,in quella gui ſa per avventura ,
colla quale fuole l'anima ragionevolea allor che muove il ſuo corpo ; la quale
certamente altro nā fa allorche muove qualche membro , ſalvo che dar altra
determinazione per opera della volontà a que' rapidiffimi movimenti di
que’minutiſſimicorpicciuoli , che continuo dal fangue vengon per l'arterie
a'nervi compartiti. Argo mentali eſser vero ciò dall'oſservare , che ficome
ſcema , o creſce in cotalicorpicciuoli il movimento , così più o me no
all'anima di muovere le mébra del noſtro corpo vié per meſso ; non altriméti
forſe l'Angelo, comechè non ſia lor forma , come è l'anima del corpo , muoveicorpi
determi nando altrimentii moti de'piccioliſſimi corpicciuoli,ch'en tro lor fono
, o pure que' dell'aria , o dell'etere , che gli penetra ,e gli circonda; e'n
quella guiſa , che'l vento soľ acqua muover logliono le piume, e le frondi,
faccian ancor cglino cambiar luogo a queſto , e a quel corpo ; ed eſsen do il
moto delle particelle , che l'etere compongono , rapi diſſimo:può l’Angela
determinandolo condurre in brevif fimo tempo da un luogo a un'altro ,comechè
lontaniffimos icorpi . Ma laſciando queſta curioſa digreſſione a ' facri
Teologi, e al noſtro Ariſtotele ritornando , lo dico ,che no men , che s'aveſse
fatto del moto , ſcioccamente falla in di viſando del luogo : imperocchè egli
dice eſsere il luogo quella immaginata ſuperficie delcorpo , ove la coſa allo
gata ſia ; la quale opinione , comechè egli la toglieſse di peſo comealcun
giudica daPlatone, o da Archita,dal quale tolſe anche quella fconcia diviſione
dell'ente cotanto da Lorenzo della Valle , e da altri deriſa , pure egli sì
disfor mata la ci reca , che nel vero ſembra , che più toſto egli ab . + bia
630 Ragionamento Ottavo bia ſecondarvoluto l'opinionedelvulgo , il quale non fa
diſtinguere il vaſo dal luogo: che adombrar i ſentimenti di que'valent'huomini;
e sì ſciocca , c irragionevole parves una sì fatta opinione a Filopono, per
tacer d'altri Peripa tetici, che acerbamente ne ripigliò il maeſtro ; e nel
yero ſe'l luogo , comeragion perſuade , e Ariſtotele medelimo inſegna ,
appartiene a qualſifia minima particella del corpo locato , dovrà ſenza fallo
il luogo aver parimente riſpetto a qualunquc minima particella del corpo
locato,e farli da quella ingombrare dimaniera ; che a tutto il corpo locato
corriſponda tutto il luogo , ea qualunque minima particel la del corpo
corriſponda ugual minimaparticella di luogó. Conie potrà mai dunque conſiſtere
la natura delluogo nels la ſuperficie più vicina del corpo contiguo , la quale
a cir condare , e ad abbracciar viene il corpo locato , ed è affat to fuora di
tutte le particelle di eſſo corpo; perchène ſegui rebbe , chemoyendoſi un
corpo, non ſi moverebbono tut te le parti di eſſo , per tacer d'altre ; e
d'altre ſconvenevo lezze a'peripatetici medefimimolto ben conoſciute . Ma per
nulla dir di ciò , che dice Ariſtotele del tempo , il qual ſe la mente noftra
non ſi deſfe brigadi partire, e di numerar il movimento ; in niun modo ſecondo
lui ci ſarebbe : chen ti,per Dio ſono i diviſamenci d'Ariſtotele, dietro allana
tura , e alla propietà del corpo? E laſciando ciò ad altri cô ſiderare ,
accennerò ſolo quanto egli vanamente s'aggiri in yolendo filoſofar , oltre alle
qualità menzionate , della ra rità , e della denfità prime, comedicç'una volta
ditutte ale tre qualità del corpo,Si fa egli follemente a credere , mora ſo da
leggeriſſime ragioni , poter un corpo rarificandoſi in grandire , e ſenza
giunta d'altro corpo ingombrare mag gior luogo , di quel che prima egli
ingombrava, e maggior di fe divenire;e allo incontro poi ſenza eſſer in nulla
ſcema 10 , e ſenza entrar l'une delle ſue particelle entro l'altre,po
tercondéſandoſiingombrar il corpo minore ſpazio di quel, che prima egli
ingombrava, e divenir minore di quel ches prima egliera , Machi potrà mai
ridire, come ſconciamē. te egli poi favelli della luce , come de' colori, come
de? ( 1 pori, DelSig. Lionardo di Capoa 631 pori , come degli odori,
comedell'altre ſenſibili qualità. : Ma non è mio intendimento di volervi quì ad
uno ad uno tutti i fallimenti d'Ariſtotele narrare; che ſe un tal filo pré
delli di ragionare , certamente non ne verrei mai a capo; c nel vero ov'egli
follemente non aggiroffi in filoſofando di que'corpi,ch'egli
chiamaſemplicide’miſti, edelle lor qua lità? E quanto ſpiacevoli in verità ad
udire ſon que’lunghi, e fuor di propoſito diviſamenti, ch'egli fa del Cielo ,
dell'a . nima , e delle ſue operazioni , dell' aere , de' venti , delle piove ,
de'fulmini , dellaneve, del tremuoto , dell'altera zione, dell'accreſcimento,
della diminuzione delmeſcola mento , della generazione, della corruttura, c
d'altre coſe naturali non iſpiegate certamente da lui naturalmente , fi come
facea meſtieri : chenti , ſono le diviſioni , chenti, gli argomenti, in che fu
egli sì infelice , che ne meno eb be ventura di poter le più vere propoſizioni
provare. Ma ſopratutto in Ariſtotele mi par da notare , ch'egli in tutte le ſue
opere ſi ſtudia colla ſua loica d'avviluppar mai ſem pre la verità , e di
crollare , e mandar a terra i buoni, e veri ſentimenti de' più
celebrifiloſofanti; perchè da Santo Am brogio venn'egli chiamato :ftudiofus
impugnāde veritatis ;ç molto avātidi lui per le medeſime ragioni
l'antichiſſimoPa dre Tertulliano avea detto la dialettica d'Ariſtotele:artificē
Aruendi , &deftruendi verfipellem in fcientiis coactam in co jecturis duram
, in argumentis operatoriam contentionum ', moleftam etiam fibi ipfiomnia
tractantem , ne quid omnino tractaverit . Ma non ſo come fuggito mi era dalla
memoria ciò che Io avea determinato di dirvi del bel diviſamento , ch ' Ari
ſtocele fa delmondo . Afferma egli il mondo di neceſſità eſſer perfetto ,
avendo egli larghezza , lunghezza, eſpel ſezza ;dalle quali dimenſioni in fuora
, altra grandezzaw , non v'abbia , dache queſte tre ſole ſon tutte le coſe; e
ove fiano due , allora non diciamo tutti,ma ambodue,& aggiu gnendo a tre ,
allora in prima diciam tutti ; il che effer di sì fatta maniera , la natura il
ci inſegni, ece l'additi: c.chę per tal cagione,ci ſoggiugne cotal numero
uſavali ne'ſacri ficj; nel che Ariſtotele fra tantiaggiramenti avviluppofli ,
non per altro , ſalvo che per iſpiegar alcuni ſencimenti de Pittagorici, da lui
malamente inteſi. Quindi apertamé te appare, quantograndefata ſi dia la
cracotanza di quel miſcredente Arabo Vano immaginator d'ombre, e di fole :
d'Averroe in dico , il quale privo affatto d'intendimento ärdì a dire eſſer
Ariſtotele la norma, el'idea a noi prepoſta dalla naturaper maraviglia di tutti
iſecoli , e per addicar ne l'ultimo sforzo , e l'intero compimento d'ogni
umanaj perfezione: e che egli venne a noi conceduto dall'eterna providenza per
noſtro ajuto ; nelle cuiopere non s'è potu to per lo travalicamento di quindici
ſecoli error alcuno ri trovare ; e in fine ch'a miracolo Natura il fece , e poi
ruppe la ſtampa ; anzi tanto s'avanzò oltre la follia d'Averroe, che diffe , fe
ad Ariftotele folo voler dare intera credenza infra tutti gli altri huomini del
mondo; e ne meno eccettuonne il fantili. mo Profeta Moisè , qualor difle aver
Moisè dette molte coſe , ma niuna provata; al che aggiugner volle, per tacer
d'altro , quell'altra beſtemmia ; che coloro , i quali affer mano Iddio ritrovarſi
per tutto , ſian fanciulli, e che di ſtruggano , e mandino a terra l'ordine
tntto delle cagioni naturali. MacomechèAverroe foſſe di sì ottuſo , e ballo
intendimento : impertanto valſe tanto la ſua autorità appo gli Arabi, che
vennero a gara da tutti abbracciare, e come verità infallibili credute furono
le dottrine d'Ariſtotele ; laõde cõvēnè aʼnoſtri Teologi, p.poter cõvincere i
ſeguaci di Macometto ,quella dottrina,che appo loro era in pregio, ed iſtima
apparare ; e introdurre nelle ſcuole la filoſofia di Ariſtotele , o pure quella
, che ſi contiene ne' libri , che ſi leggon ſotto il ſuo nome; căcioffiecoſachè
dietro a tal con venente gran piari fieno infra gli ſcrittori . E veramente
alcune di quelle non pajono d'Ariſtotele , come p teſtimo niāze di Tullio ,di
Laerzio, di Suida, e d'altri antichi ſcrit tori,e di Mario Nizolio , e di
Frāceſco Patrizi, e d'altri mo derni autori fi può affermare ; nondimeno però
nei , co une que me que', cheveggiamo concordevolmente in tutte quell opere ,
che portano in fronte il nome d'Ariſtotele, da libri neobanuárwv in fuori ,
l'iſteſſo modo di filoſofare : portiai moopinionceſfer tutte d'Ariſtotele, o
pure da qualche ſuo ſcolare ſcritte ſecondo i diviſamenti del maeſtro : Mala
ſciando ciò ſtare al preſente , chiaro da quel che ſi è fin'o ra detto fivede ,
non eſſere conſentimento comune degli huomini in eleggere Ariftotele per
primicro filoſofante ; perciocchè nel lungo travalicamento di cotanti anni,
dopo le prime voci del ſuo nome, forte vanamente infra gli Araa bi per
dappocagine, e ſciempiezza del loro intendimento , gli altri tutti corſero lor
dietro Qualcapra all'altra perſentiero alpeftro : non con fermo , e ragionevole
avviſo, perchè non eſſendo vi elezione d'animo faggio , e avveduto , è da dir
con Bac cone , coitio , non confenfus; e come dice il Ciampoli , copia comune ,
non già opinione comune. E nel vero ponendo in no cale l'originale, ad altro
non badarono le ſcuole, ſe non ſe a far copie continue di quelle ſconce ; e mat
fatte copie del lor primiero maeſtro Ariſtotele : cd a ciò anche fare i
ſemplici,e rozzi ſcolari coſtrignendo ;perchè non ſenza ca gione fu detto dc'
peripatetici da Lorenzo della Valle , il quale veramente fu ilprimo , che
liberò la filoſofia da quel cieco ,e miſero fervaggio,in cui miſerevolmére
giaceva fot topoſta :Pudet referre apud quofdam elle morem initiandi di
fcipulos, &jurejurando adigendi , nunquam ſe Ariſtoteli re pugnaturos :
genus hominum fuperftitiofum , atque vecors , defe ipfo malè meritum ; cum ſe
facultate fraudent indagă då veritatis ; quos fi reprehendere jure optimo
poſſumus, quod hanc ſibi legem impofuerunt , qua tandem infectatione caſti.
gare debemus, fi hanc legem in alios transferunt; ſenzachèno dee giudicarſi
opinion comune in filoſofia quella, che nella fchiera de volgari filoſofi ſoli
, avvegnachè innumerabi le, alligna; ma più dalla qualità degli avveduti
ragguarda tori delle coſe , che dalla copioſa ſembraglia del popolo è da
ſtimare ; perciocchè , come teſtimonia il Romino Ora tore , la filoſofia ,
dipochigiudicatori s'appaga , cabello L111 ftudio ſchifa la moltitudine a lei
ſoſpetta, e odioſa: eft phia lofophia paucis contenta judicibus ,
multitudinemque conful ty fugiens, eique ipfi , & fufpe ta , & invifa ;
eragionevol mente in verità ; imperocchè, come ſaggiamente avviſa il Baccone :
nihil multis placet , nifi imaginationem feriat, auf intelleétum vulgarium
rationum nodis adftringat;perchè dir ſoleva Ariſtotele folamente in favellando
la parte maggio re , ma nel giudicar poi la minor parte doverfimai ſempre {eguire
. Ma ciò , che de' Peripatetici abbiam noi ſin ora diviſato , deſli ſenza fallo
anche dire degli altri parteggian çi; de'quali tutti ebbe a dire quel
valent'huomo , noneſſer credenza infra’filoſofi così ſtrana, e rimoſſa dalla
ragione , che non abbia ritrovati i ſuoi difenſori. E sì abbondevole fu nel
vero la greca filoſofia di sì fatte ſconce , e inveriſi mili opinioni , che non
ſenza cagione fu detto da Varrone nemo ægrotus quicquamfomniat Tam infandum ,
quod nonaliquis dicat philofophus. ma prima potrei col Poetacotar nella diſerta
piaggia l'are nege nel mar turbato l'onde,che gire ad uno ad uno anno verando
degli antichi filoſofi i fallimenti; de quali più forſe ne ſarebbon conoſciuti
, ſe a noi foſſero pervenute tutt'altre opere di coloro , dicui Già lunga notte
involve i nomi, e l'opre. Maavendovi, come di ſopra avviſammo , infra' greci
me. dici alcunivalentiſſimi maeſtri, i quali ſi valſero dell'opi nioni di
Zenone , e d'Epicuro in filoſofando delle coſedel la medicina , nõ farà per
avventura fuor del noſtro propo fito il brievemente accennare i miei ſentimenti
intorno al la ſtoica, ed epicurea filoſofia . E per cominciar dalla ſtoi ca :
grande certamente ſi fu la follia di Zenonedella ſetta ſtoica primo maeſtro , e
fondatore , il quale avendo ben potuto fcorgere quanto ſi foffe oltre avanzato
ſopra tutti i greci filoſofantiDemocrito nella vera ſtrada del filoſofa re ,
volle nondimeno più coſto gir dietro alla traccia di co loro , che apertamente
avean da quella traviato ; e Com ? mechè men vaneggiante affai d'Ariſtotele
Zenon fi mo Atri in iſpiegar le coſe della natura , non però di meno egli Del
Sig.Lionardo di Capoa. 838 egli ancora nelle maggiori ſtrette fuolentrar nel
pecoreci cio , ſenza divifar nulla di ſaldo. Così in ragionando delo la mareria
la delcrive largaméte con termini (tratti e genes rali,come appūto diviſato in
prima n'avea Pittagora, e Pla . tone,e Ariſtotele; della qual coſa
ragionevolmēte ne fu egli force biaſimato da Seſto Empirico;
eavvegnapure,ch'egli cófesſaſſe eſſer vero corpo la materia, e chiamaſſe la
forma nõ cagione , ma parte delle coſe:nondimeno non iſpiegando appreſſo , che
coſa veramente la formalia , e in che conſi ſta la natura del corpo , e come
formar variamente fi poffa, e ne meno ſcendendo poialparticolar delle qualità,
mani feſtando , e dichiarando chente fia la lor natura , ecomes ingenerino : è
da dir, che neile medeſime ſconvenevolezze egli ancorcada, nelle quali già in
prima detto abbiamo eſ. ſer Platone , e Ariſtotele vergognoſamente caduci . Ma
non ſembra vero ciò che Cicerone , e altri fcrittori riferiſcono di Zenone ,
che egli aveſſe per efficiente cagio . ne conoſciuto il ſolo fuoco; imperocchè
egli coinpone le coſe de’quattro volgari elementi; e alle loro qualità attri
buiſce, o tutte , olamaggior parte dell'operazioni natura. li , comech'egli in
ciò poco felicemente s'adoperi, per nốt aver inveſtigato in prima , come
certamente conveniva, la propietà diquelli; e quinci avvien poi;che Zenone di
quel le , che ſeconde qualità chiamanſi, così confuſamente an che favelli,
comeſipuò vedere allor ch'egli dice , eſſer i colori le primediſpoſizioni della
materia . Dice ben egli Zenone , che ſon due i primi principi delle coſe : paſ
ſivo l'uno , cioè la materia , ſoſtanza ſecondo lui priva di qualità : Paltro attivo
, quale ingenera ogni coſa, e vienda lui col nome d'Iddio, e di natura
chiamato; e queſto vuol Zenone , ch'altro non fia , ſe nõ ſe un ſottiliffimo
fuoco do. tato di ragione , e di ſapienza , il quale per tutto diſcorra , il
tutto abbraccj,il tutto penetri ; e che dalle varie , c varie materie in cui
egli ſi trovi,varj,e varj nomi poſcia egli rice va.Ma quanto ciò ſia lõtano
dalla ragione, nofa certamen. te meſtieri, ch' lo duri fatica per darlovi a
divedere . E Lill 2 nel 636 Ragionamento Ottavo nel vero ſe mai Zenone
argomentato ſi foffe d'inveſtigar , comeché rozzamente la natura del fuoco ,non
avrebbe po tutomai concepirnella ſua mente così folle , e pazza opi nione ;
anzi ne men avrebbe egli detto eſſer l'anime noſtre, caldi, e ſottiliſſimi
fpiriti, tratti, come rapporta Seneca : ex illisfempiternis ignibus ,quæſidera
, acflellas vocamus, , veluti ſcintillas quafdam afrorum interris defiliiffe ,
atque alieno loco exiife . Concioffiecofachè il fuoco, il quale al cro non è ſe
non fe un'adunamento di piccioliffimi corpic ciuoli , o sferici, o
piramidali,non pofſa ne ſentire , ne in tendere, ne far niun'altra operazione ,
che l'anima far ſuo. le ; perchè non avrebbe poi anco detto Zenone l'anime ef
fer mortali, e quelle dappoco , e baffe , qualieſſere giudica l'animne degli
ſciocchi , e ignoranti Cbe viſſer fenza fama, e ſenza lodo col corpo infieme
attutarſi , emorire ; e quelle de’dotti fo lamente che , fon più vigoroſe,
dover durare ciaſcuna ſe condo il fuo potere , come fiaccole acceſe in
tenacemate ria fino all'ultimo ſcoſcio del mondo : fi ut fapientibus pla cet ,
dicea Tacito di Zenone , e degli ſtoici , non cam corpo re extinguuntur magnæ
animæ ; il qual luogo chioſando il dottiſſimo Lipfio : nota, dice, magnas
arimas;minutæ igitur, & fatuæ pereunt ,aut non diu manent . La quale
opinione motteggiando l'eloquentiſfimo Romano: Stoici, dice, uſu ram nobis
largiuntar tanquam cornicibus : dia manſuros ajūt animos , ſemper negant. E
quinci follemente temevano gli Stoici ilmorir ſommerfi neĪPacque ; imperocchè
ſtimava no , che l'aniine , come quelle , ch'eran di fuoco,veniſſero cſtinte
dall'acque . Ma cotal crcdenza ella mi ſembra , che molto più antica di Zenone
ſtata fi foſſe ; imperocchè non per altro certamente quel grand'Eroe , d'Aſia
ter rore , e'l fagace Vliſe , e'l fortiffimo Duca Trojano moſtra no aver
cotanto in orrore il morir affogati nell'acque : ingemit Æneas , dice Servio ,
non propter mortem , fed pro ptermortisgenus; grave eft enim fecundum Homerum
perire naufragio , quia anima eft ignea &, extingui videtur in ma ri
contrario elemento.Ma piacevole è nel vero a udire il di via DelSig. Lionardodi
Capoa 037 viſamento's ch'eglifa Zenone , intorno alla generazion del mondo ;
dice egli, che Iddio ſtava primieramente in ſe ſtel ſo raccolto , il che non ſo
lo, come poſſa dirſi mai del fuo € 0 ; e che indi poi la materia tutta in aria
prima, e l'aria ape preffo in acqua cambiafle ; e che ficomenel ventre della
femmina fi contiene il ſeme, così ſteſſe parimente nell'ae : qua una materia
abile a ingenerar tutte le coſe ; e che pri mieramente ingeneraſſe Iddio
diquella materia i quattro elementi , cioè il fuoco , l'acqua, l'aria, e la
terra ; e poidi queſti,tuttii corpi miſti formati veniffero . Il fuoco ſecon do
Zenone è caldo , e l'acqua è liquida, l'aria è fredda, e la terra è arida ; ma
l'ordine col quale , c lic ſtelle , e gli altri ragguardevolicorpi
dell'univerſo s’ingeneraſſero; vie ne ſpiegato da Zenone in sì fatta guiſa .
Afferma egli, che nel ſupremo luogo foſſe collocato quelfuoco , il quale per la
gran fua: ſottigliezza vien detto ctere ; e che in lui pri micramente
naſceſfero le ſtelle fiſſe ; indi appreſſo l'ervanti, indi appreſſo l'aria.,
indi appreffo l'acqua ; e ultimamente la terra , la quale ſta in mezzo
collocata; mafolte ben fa rei Io a logorar il tempo nel racconto di queſte , e
altre sì fatte empiezze , che ci vuol dare ad intendere Zenone . Ma non meno
ſtoltamente erra Zenolie in ſecondando i fentimenti d'Omero', togliendo non
ſolo la libertà dell’o perare agli huomini; ına ſottoponendo alla violenza
delFa to il: mcdeſimo Iddio ; perchè cantò Lucano, per tacer Se neca ,
Fileinone , e Manilio : Sive parensrerum , quum primum informia regna ,
Materiamq; rudem flamma cedente recepit Tinxit in æternum caufsas, quæcunéta
coërcent; Se quoque Lege tenens , & fecula jufa ferentem Fatorum immoto
divifit limite mundum . E prima di Lucano , quel greco poeta, così traslatato
da Cicerone : Quod fore paratum eft ,id fummum exfuperat lovem ; perchè dicono
non poter nulla Iddio contro la violenza del Fato ; ne lui medeſimo poter
iftorcere; o piegar l'opere de gli eterni provvedimenti; laonde ſccodo i
ſentimenti di Ze none 638 Ragionamento Ottavo 1 nonediſse Seneca,o qualūquefi
ful'autor di quella tragedia Non illa Deovertiſe, licet Que nexa ſuis currunt cauſſis
. E a ciò ponendo mente Luciano , piacevolmente deriden do,come è fua usāza,
gli Stoici, fa ,che l'orgoglioſo Ciniſco ſeguace di Zenone,tratto da cotali
ſentiměti, temerariamć. te diſpregjGiove , e gli Dii tutti , non temendo punto
del le ſue folgori, ſe dal fato non gli erano deſtinate ; poichè gli Diitutti,
e Giovemedeſimo erano al fato ſoggetti; u che così gli Dii come gli huomini
erano ſervi delleParche; ne potere far coſa del mondogli Dii, per menoma
,ch'ella ſi foſſe , che dalle Parche non foſſe in prima ordinata , e lun
gamente compoſta . Perchè altro gli Dii non effer, che mi niſtri , e
ſergentidelle Parche , o per mc' dire ſtrumenti di quelle , come la ſcure , e'l
trivello . E con queſte ſtoiche beſtemmie fa ch'egli ſi rida di Giove ; il quale
oleremodo fi vanta di quella famoſa catena delle coſe del modo appreſ ſo Omero
. Il medeſimo Stoico poi giudica appo lo fteſſo Luciano eſſer anzile
Parchemedeſime, che Giove da pre gare , ſe lc Parche per prieghi pur ſi
moveſſero ; poichè al le Parche , e non a Giove l'imperio tutto del mondo , c'1
primo reggimento de' fatiè da attribuire . Mano è da in tralaſciar,ch'avviſando
anche l'aſtutiſlimo Macometto ,per nulla dir di Lutero , e di Calvino , eſſer
corale opinione molto in concio a'ſuoi fatti , preſela , ed inſegnolla nel ſuo
Alcorano , acciocchè preſti maiſempre, e arditi i ſuoi po. poli , ponendo giù
ogni timor della morte, a magnanime,e pericoloſe impreſe prontamente
s’eſponeſſero; perchè a co tal credenza riguardando il Taffo , pole in bocca al
valo roſo Rede'Turchi , Solimano , Giriſ pur Fortuna O buona , orea , com'è
laſsù preſcritto. Ma non meno ſciocca èquell'altra credenza di Zenone intorno a
' peccati, ch'egli follemente vuole, che tutti ſiano uguali, e che ne più , ne
meno falli colui , che ſpogli cru delmente della vita il ſuo propio padre , di
colui , che allor , che ciò far non convenga ammazzi un bruto anima le . E .
DeSig . Lionardo di Capoa 639 te : Equell'altra intorùo al ſuo ſapiente;il
qual'eglivuole , chenon altrimenti, che ſe la filoſofia l'aveſſe dell'umana
natura poſto in bando ,no’l muova amore ,non ira,non odio, non timore , ne
qualúque altra più violéta paſſione . Senti menti in verità , per dirla
coll'Arioſto, Convenientia un huomfatto diſtucco ; ed Io per me non ſo come s'aveſſe
giammai potuto fognar - Zenone una sì fatta novella , ch'un huomopoffa viver
nel mondo libero , e Sciolto da tutte qualitati umane . Manon queſti ſolamente
ſono ,ma altri, e altri i falli che Zenone , e iſuoi Stoici prendono , alla
noſtra fede , ed alla natura ſteſſa ripugnanti; perchè non pocomimaraviglio ,
come cotato preſſo alcuno ſiano commendate , e in pregio tenute quelle
memorie,chedi loro rimágono ; e ſpezialmé te l'opere di Seneca ; imperciocchè
non è punto , com 'egli follemente s'avviſano le genti , quell’ aſtuto Stoico ,
re ligioſo , e dabbene ; concioffiecoſâche , ſe ben fifamente vi fibadi , in
altro non s'argomentiSeneca ne'ſuoi libri, ch'a toglier dal mondo ogni coſtuma
dipietà , e direligione ; comechè faccia ſembiante nelle ſue dottrine,
di'rigorofilli mo Anacoreta , e poco men , che di perfettiſſimo Criſtia no ; e
a prima faccia appaja , qual farſi vedervolle anche il fuo maeſtro Zenone ,
Virtutis verd cuſtos , rigidus que ſatelles. Ma ritornando a Zenone , egliſi
parve, che talora Ze. none fi foſſe avvicinato al ſegno in filofofando delle
coſe naturali ; come quando egli per iſpiegar la maniera , nella quale faſli la
viſta , diſſe l'occhio valerſi della aria teſa , co med'un baſtoneper conoſcer
le coſe viſibili; del quale esé. plo fi valſe poi così a propofito Renato delle
Carte . Com nobbe ancora Zenone , comeche a durar non viaveffe mols ta fatica
,, effer il ſole più grande della terra. Argomentò al. tresì egli da' ſuoi
effetti non eſser altro il ſole , ſe non le fuoco ; ma da quelli certamente
avviſar non ſi puote , come egli immagina' , eſser quel fuoco , ond' è forma to
il ſole ,ſincero , e puriſſimo. Ma non ha dubbio ,che Zeno 640 Ragionamento
Ottavo . Zenone s'ingannò grandemente , immaginando participar la luna aſsai
più dell'altre erranti ſtelle , della natura della terra : per eſserella più di
eſso loro alla terra vicina ; im perciocchè non ha che far con ciò punto la
vicinanza, e nó v'ha ragion alcuna , la quale perſuader ci poſsa , che la lu na
differiſca púto dagli altri pianeti; e oltre a ciò mal inten dendo Zenone la
ſentenza degli antichi filoſofi , i quali di cevano comunicarfra di eſso loro
inſieme p via di piccio liſſimi corpicciuoli dall'une all'altre continuo
mandati , le ſtelle erranti , e fiſse , e la terra : afferma , che le ftelle ,
co me quelle , ch'animaliſono , dal mondodi quaggiù riceva no il loro alimento
; e venir il ſole nutricato dal mare , la luña dall'acque dolci , e l'altre
Atelle dalla terra ; m2 perta cer d'altri difetti della filoſofia di Zenone, in
ciò ſopra tut to fu egli oltremodo manchevole , checoltivò molto più di quel ,
che certamente a natural filofofo fi conveniva , gli ftudi della Loica , onde
conveme, che i ſeguacidilui , for ſe aſsai più di que'priini peripatetici,nelle
inutili fortigliez ze dialettiche intrigati , vennero ragionevolmente da Ga
lieno contenzioſi chiamati; e quinciavvenne, ch'eglino no poterono gran fatto
vantaggiarſi nello ſpecular le coſe della natura ; onde ebbe a dire il medeſimo
Galieno , che gli Stoici nelle inutili coſe erano alsai eſercitati , ma rozzi
poi allo incontro in quelle di momento,e poco eſperti ſi dimo Atravano .
Malaſciando Zenone , trapaſseremo a ragionar d'Epicuro .. Primieramente per mio
avviſo mai fi par certaméte, che convengano ad Epicuro quelle ſtrabocchevoli
lodi , che , da pallionati luoi ſeguaci , c ſpezialmente da Lucrezio gli
vengono attribuite icon dire jufra l'altre millanterie , ch' Epicuro non huom
mortale , ma Iddio ſi foſse;e ch'egli pri ma di tutt'altri rinveniſse la vera
ſapienza ; e chc Epicuro anche fi foſse Quel , che i termini tolfe al vaſto
mondo, Le fiammeggiantimura a terraſparſe, E'l vano immenfo col penſier
traſcorſe. Imperocchè , per tralaſciar ch’Epicuro altro in verità nõ facer 1
Del Sig. Lionardodi Capoa. 041 faceffe , che traſcrivere le ſentenze di
Democrito : i falli menti del quale non maiegli diſcoverſe, non che rammen
daſſe : anzi ſe mai egli da’ſentiméti di Democrito ſi diparti , incorſe in
graviſfimi falli . E gliporrò opinione Epicuro , che da una infinita , ed
immenſa corporea ſoſtanza , qual ſecondo lui altro non è , ſe non ſe un
radunamento d'infiniti corpicciuoli di varie , ¢ varie grandezze , e figure , e
da uno ſpazio parimente im menfo, qual'egli vuoro d'ogni corpo eſſer crede ,fia
copoſte l'univerfose che fenza regolaméto d'intelligenza veruna, a caſo , ed a
ventura , dalmoto, dall'accozzaméto,e dall'or dinamento , ſolo di
que'corpicciuoline fian nati ,non ſola mente queſto , in cuinoiabitiamo , ma
più , e più mondi , Aggiunſe egli al diritto movimento de corpicciuoli ( che
apparò da Democrito) di ſuo altresi quell'altro moto pie gato,ed obbliquo,
acciocchè dalle varie maniere di quello poteſſero cotante coſe ingenerarſene :
e cocal movimento torto , eglidiffe naſcer dalla chinacura de' corpicciuoli ,
quali movendo per diritto , ed in altri corpiceiuoli incop pando ,
neceflariamente doveſſero in iftrigando piegarlize non men dell'altre coſe del
mondo empiamente eſtimò Epicuro eſſer compoſte le noſtre anime , come dice Lu
crezio Corporibus parvis, do levibus,atq; ratundis . Ma fe noi riguardiamo ,
non ſolaméte alla diverſità del le coſe del mondo , ma anche alla lor
vaghezzase perfezio ne, e come nulla non vi ſtia a bada , ma all'acconcio fine
venga mai ſempre convenevolmente dirizzata : non può in niun modo da ciaſcun
comprenderli , come a riſchio , per caſo , ſenza ſottiliffima macaria di gran
maeſtro debba effer formata ; e per non trarre argomenti dalle ſtelle , dad
ſole, dall'huomo e da altre ,e altre opere maggiori d'Iddio , mi contenterò
ſolo di far parole di alcuni piccioli animales ti , come ſono le moíche , le
zanzare , le formiche , l'Api, gli Acari , c altei afſai cotanto menomi, e
ſottili, ch’appe col microſcopio , tanto quanto , cavviſar li poſſono ; e pu re
fono in loro da ammirar, ſomipamente quelle picciolilli M in m in me par 642
Ragionamento Ottavo 1 me particelle , così ben compoſto , e formate , come
nella notomia degli huomini medeſimi, e d'altri animali più grā di fi veggono .
Sono que'corpicciuoli anch'eglino forniti de’lor membri; ne mancan lornella
teſta i piccioliſſimi oc chiolini, e negli occhi le palpebre, e le tuniche, e
tutto ciò, ch’ad occhio ben compoſto per rimirar fi conviene ; e nel capo è
anche loro il cervello , le glandole , le membrane ', ei ſottiliſſiminerbolini
; da' quali il poco ſugo nutritivo al rimanente del corpicciuolo ti dirama, e
comparte . E che dirò lo dello ſtomaco , delcuore , e d'altri fomiglianti me
bricelli ? che dell'offa , e delle vene , e dell'arterie , e del facco latteo ,
e de'vaſi acquoſi, e di cotante altre menomif fime particelle , chente , e
quali a ben fornito corpo ſi ri chieggiono ? e che delle loro piccioliſſime
anime, le quali anch'elle nel reggimento tutto del corpo dimorano , e ri
fvegliano i ſentimenti, e fá chc muovano i membriceili alle fue opazioni:e
céto, emillaltri maraviglioſi effetti in quel lo adoperano ?Ma ſopra tutto è da
por menteal loro indu ftrioro ingegno ; e per non dire al preſente dell'api, è
da maravigliar ſommamente dell'induſtre , e faticoſa formica, Che'l vitto onde
fi pafca alfreddo verno Ripon la ſtate , ebenchè lunge ancora Sian difagion
moleſta i giorni algenti, Neghittofa non ceffa ,e non s'allenta La negra turba
,, anzi ſe freſsa avvezza Ne le fatiche , e per gli adufti campi Fervel'opra
nonmen , che l'ore,e'lgiorno , Fin ch’abbia ne fuoi ſpecchiil gran ripoſto . E
avendo forſe quella per pruova appreſo effer la ſementa , onde poſcia
germoglian le piáte, no altro, che le piáteme de lime dentro della buccia
raccolte , e riſtrette , per ceſſar l'aſprezza del verno : come apertamente col
microſcopio noiveggiamo : avvedutamente per non farle ſorgere a più piacevol
ftagione Ela con l'unghie propie , incide, eſega I carifratti, e inumiditi al
ſole Gli aſciuga, e ſecca , el bel tempo fereno Spias DelSig.Lionardo di Capoa.
643 Spiando già prevede i lieti giorni. Talche quand'ella i grani a'raggi
eſpone Pioggia nonſtilla da lofcure nubi, Ediſerenità l'indicio è certo .
Quinci ripor ne le ſuecelle anguſte L'aſciutta meffe , e poi la ſerba , e parte
Cuſtode , e diſpenziera. E’ntenta a l'opre E nonfol mentre ilſoleaccende
icampi, Ma le fatiche ſuenotturne ancora Dal Ciel rimira la rotonda luna: E
quelle più ſerene , e calde nutti Tolte al dolce ripoſo , al queto ſonno
Aggiugneal travagliar continuo, e lungo . Ne è da traſandare ciò che delle
formiche oervò Clea te . Vide egli un giorno alquáte formichetrar dal lor for
micajo il cadavero d'una formica , e portarlo a un'altro vi cin formicajo ; e
quivi giunte uſcirne;come chiamate,alerc formiche , e andar loro incontro , e
accontarſi quaſi ragio nando di lor bifogne ; e indi a poco ritornarſene quelle
ch? erano uſcite nella lor buca, e di nuovo quindiriuſcire ,e ri trovar le
foreſtiere ,come rientrate foffero nella buca a re car l'imbaſciata di quelle
alle lor compagne ; è conſiglia teſi del cadavere della lor compagna foſfer poi
ritornate a patteggiarne la riſcoſſa : e ciò due , o tre fiate facendo , alla
fine dopo cotante aggirare , quaſi eſſendo di convegna de loro piaci,
andaronoalla buca , e fi recarono loro un verme per taglia della morta fórmica,
il qual prendendoli quelle di fuora , e laſciando il patteggiato cadavere ,
n'andar via ; ed elle raddoſsãdoſi il cadavere ritornarono nella lor tana,
quaſi per dover quello ſotterrare . Néminormaraviglia è ciò che Io un giorno
fattomi per diporto ad una fineſtra di mia cafi oſſervai. Era in quella una
formica , la qual ripoſtali in guato , non altrimenti , chei'ragnuoli ſi faccia
no , preſe per lo piede unamoſca , la qual forte dibatten dofi , e ſcooendoſi,
indarno di fuggir slargomentava ; ma pur la piccioliſſima formica non potendo
portarſela, o uc ciderlai, ſtrettamente fiffa la riteneva, fiache giuntavi a ca
Mmmm 2 ſo un ' 644 Ragionamento Ottavo :: ſo un'altra formica partiffi.di
preſente , e ricornò con alire formiche a condurli a forza la prcda dentro dal
lor formi cajo . Ma perchène G faccia maggiorméte manifeſto ,qua to ſtolta fia
', cd'irragionevole la menzionata opinione d'E picuro ,e quanto fia grave
l'ingiuria , che per quella vien fatta all'autore dellanatura, egli ne
fameâiere,che alqua to più di ciò, che per avventura abbiſognerebbe in diſami
narla c'intertegniamo. Dico adunque , che una ſoſtanza fia quella , onde
cotanti aſpetti , e sì diverſe ſembianze di coſe n'appajono in queſto gran
Teatro dell'univerſo , eſle re egli ſtato parere , in cui non pur Democrico ed
Epicu ro:mailmedeſimo Ariſtotele ( il qual più ,.chalari fa ve duta diportarne
contrariaopinione,dicomun conſentimé to convengono . E tanto par che coſtui
voleſse dire colà : nell'ottavo libro della metafiſica : ove feriſse eſsere una
, medefima coſa l'ultima materia , e laforma; e fimilmente non eſser differenci
nelfubbietto la materiais e la privazio . ne( del chc.a torto altrove
egliavevaripigliato Platone ) e che ſolo l'incelletto fra:cſso lor le
diſtinguaje nel ſecondo della fiſica ; ſcrivendo , che la forma non maipoſsa
dalla , materia fceverarfi , ſe non ſe in mente noftra ,ficome a niū modo può
fepararſi la ſchiacciatura dal naſo ;:e nel ſecon do dell'anima: ove avvifa
vano eſsere l'inveſtigar, ſe l'ani ma ſia altra cofa dakcorpo diverſa ;ſicome
non è da elami. nare , fe la figura , che imprende la cera, fia da quella di
itinaa . E finalıncnte il medeſimo par che confermis quan do ſpeſso ſpeſso va
affermando , la forma eſser quiddità della coſa; che a ſua favella vuol dire la
formaeſser perfe zione dellamateria,la qualiove capace diperfezione,mām. deria
s'appella :ovegià perfetta conſideriſi,forma:fi-dice. Ne altriméti in verità
creder poteva: chiin Dio, nelibertà, ne cnnipotenza riconoſceva;ondepotuto
aveſse dal niente criando le forme ( le quali ſe-veramente altro foſser , che
ka materia , folla creationepotrebbe dar loro Peſsere, che che in contrario
nedicano i peripatetici ) e afuo talento la materia informarne. -Mache queſta
ſoſtanza , di cui ragioniamo,altro,non ſia che : Del Sig.Liarcardo do Capoa 45
che corpo inminutisme particelle di grandezza , difigura; di fito , di moto , e
d'ordine diverſe ,sbriciolaco', e diviſo, fuinſegnamêto che da Fenicjappreſero
i primi Greci filor fofanti scomechè Democrico , più ch'altri, in primachia
ramente diviſato l'aveſse . Maqueſta ſentenza medefima ne fa vedere eſserci ne
ceſsario un'infinita onnipotenza , e ſapienza valevole a dir ſporre , e
ordinare in tante guiſe , e comunicare ivarſ mo vimenti alla già dettämateria .
E ciò ben conobbe da pri ma , per quel ch’lo ſappia , il fapientiflimo Greco
Filolo . fante Talete Milefio ; e confeſsollo manifeftamente , di cendo
appreſso Cicerone: Aquam efse initium rerum :Derim autem eam mentem , quæ ex
aqua cuneta fingerei . E da lui l'appreſero poi Ippone, e Ippia ,.e
cotant'altri antichi filo fofi , i quali tutti concordevolmente giudicarono
eſserci unamentc,o una fapienza infinitajlaqualpartédo ,e fceve rando queſta
maſsa comune , e ordinandola, c movendola, doveſse cambiarla in cotante guiſe ,
quali noiveggiamo.E cotalmente vollè anche il grande Anafsagora , che dalla
materia lua ſimilare , comedicono g.componcise ciaſcunai coſa del mondo :
comcchè a torto poinefoſse egliprover biato , e biaſimato oltremodo da
Ariſtotele , cola ove diſ ſe , ch’Anaſsagora d'un sè fatto ritrovato ſi foſse
voluto: ſcioccamente ſervire , per dar ragione dell'apparenze nas turali : non
altrimenti , che ſervir fi fogliono i tragici Poc tidelle loro machine
piſciorre i nodi più inviluppati del le favole ; edelimedeſimo ſentimento di
Talete furonoan che Platone , o Timeo'; ed è da credere pure , che dal fon
datore dell'Italiana filoſofia, Pittagora , e damolt’altri fa * mofi , .e ſaggj
filoſofanti ſtata foſse in prima inſegnata . Ma però tutti i sì fatti filoſofanti
ad un tratto ſtrabocchevol mente fallarono in negando oftinatamente eſser cotal
fox ftanza uſcita dalle mani onnipotenti dell'Eterno Fattore, dicendo eſser
quella ſempremaiſtata ererna . E forſe non guari illoro errore fu avāzato da
quel d'Epicuro ,o di De mocrito ;i quali ciò checoloro alla mente operatrice
afcrifo ſero , attribuirono al caſo ; imperocchè la divina , ed eter 1 li e ne
be 12 2 na on 646 Ragionamento Ottavo 1 na onnipotenza eltimarono deboliífimo
artefice cheſol yao leſſe della già eliftéte materia varie machinazioni formar
ne ; e così attribuendole il poco : ilmolto , anzi il tutto negaronle , com'è
il poter criare dal niente ; perchè dicono follemente, che'l ſovrano Facitore
in fabbricando il mon do , tutta la materia nell'opera conſumaſſe ; e quinci
avve niſſe poi , che un ſolo e'ne formafle . Ma ritornando ad Epicuro : non ci
dee rucar maraviglia, s'egli sì ſconciarné te dell'onnipotenzadel grande Iddio
favellaffe ; imperoc chè egli nonmeno ſciocco , che empio , immagino Iddio
eſſer un'animale di ſembiante umano , come quello , ch'è più bello di
tutt'altri;ma nondimeno ſtimò noneſſer Iddio corpo altrimenti , ina quafi corpo
: ne aver Iddio ſangue , maquaſiſangue : Dice Epicuro ,oltre a ciò , che gli
Dii ſian vaghi , adorni, e riſplendenti, e che le membra fieno umane; ma chenon
abbian però uficio niuno ; e che l'al bergo degli Diilia in quello ſpazio , che
vuoto rimane in fra que’tanti , e tantimondi per luifognati. Toglie affat to
Epicuro empiainente poi la giuſtizia ,e la provedenza di vina; e afferma, che
Iddio non cura punto di Noi, Nec bene pro meritis capitur,nec tangitur.ira; i !
e riinettendo Epicuro il tutto nelle mani della volubile , ei cieca fortuna
,con iſcioccaggine , e ſcempiezza eſtrema le attribuiſce De la terra , e del Ciel
lo ſcettro,e'l regno. Ma'laſciando di più diviſar di queſte , e d'altre fimili
em piczze d'Epicuro , ad ogn’un conoſciute : Io non ſo per me. come difender
mai fi poſſa di’kuoi ſeguaci ciò che Epicuro dice de'ſuoi atoini, chenon poffin
dividerſi'; imperocchè , quantunqué menomiſfimi; oltre adogni umana credenzali
concepiſcano , ben potranno dividerſi da uno , o da più ato mi, ch'a guiſa di
piramide acuti, meno di loro piccioli fia no ; ne fa punto luogo il dire , che
non avendo nell'atomo vuoto alcuno , 110'l poſſan penetrare altri atomi, ne
fender lo , ne dividerlo in parti;concioſliecofachè:ben potrà quell atomo,
chefendere , e partire ilvoglia , con replicati colpi a poco a poco penetrarlo
, e dividerlo , ma ſi può creder 1 1 1 1 imper DelSig.Lionardo di Capoa . 647
inipertanto , che ſia queſta una quiſtione vana , e che o no mai ; o rariſſime
fiate avvenir poffa , che un'atomo per al tro ſi fenda , e ſi divida ;
concioſſiecoſachè quantunque li tenti di fare la diviſione di qualche atomo,
che in corpo faldo ſi trovi, non potendo'effer maiqueiľatomoaffatto có gli
altri atomi avviticchiato , e congiunto , ſicome a chiun quedirittamente
ragguarda la cofa , egli è manifeſto : gli riuſcirà aſſai più agevole in
ricevendo i colpi cedere , e diſ giugnerſi dagli altri atomi compagni , a fe
vicini, che'l romperhi .S'argomenta eſſer vero ciò che lo immagino ,dal vedere
, che alcuni corpi faldiſfimi ſi ritrovano , i quali per qualunque forza , che
l'arte , o la natura viadoperi, non ſi pofſon giammai in altri cambiare; il che
altronde certamé te naſcer eglinon puote, fe no ſe dall'eſſer que’corpicciuo li
tutti, che gli compongono nella figura , e'nella grandez Za non guari diſſimili
infra effo loro , e dal non venir que gli mai rotti , e in particelle diviſi .
Ma non mi par , che lo clebba logorar il tempo in rifiutar l'opinione del
Vacuod Epicuro, apertamente perognuno ifcorgendofi falfa ; co mechè
valentiſſimi filoſofi cerchino pure farla apparer vera ; poichè per tacer altri
imbratti, concedendoſi ilva. cuo,converrebbe , cheli toccaſſero , e non fi
toccaſſero l'u nos e Paltro di que'corpi,infra’quali fi fingeffe inframmeſ fo
il vuoto . Oltre a queſto , fe infiniti gli atomiſono , ſe condo Epicuro :
faran ſenza fallo ripieni di corpi tutti gli fpazj ;ne vi avrà ſpazio vuoto
alcuno nell'univerſo ; in cui, comechè iinmenfo egli il faccia : Io non veggio
lo , come infiniti corpi , e ſpazio vuoto infinito immaginar mai poteſ fe
Epicuro . Ma non in ciò ſolamente fallar ſi vede Epicuro : maal tri , e altri
errori ancor egli commettc;infra i quali mi par certamente degno oltremodo da
ridere quel, ch'egli,non già per aver troppo creduto a’ſeñfi , come Cartefio
crede , maperfuafo da troppo fievoli argomenti, afferma,poter ef ſere il ſole o
tanto , o poco più , o poco meno grande di quel , ch'a noi ſi faccia vedere; ne
men certamente rideyo le ſi è ciò , che Epicuro immagina della figura della
terra , del -0 vo 1 i 648 Ragionamento Ottavo - del naſcimento , e aell'occaſo
dellole , della luna, e dell'al tre erranti , e fiſſe ſtelle:: degli Idoli, o
ſian ſimulacri, che ci s'appreſentan, ſecondo egli penſa , allorche noi veggia
mo , e immaginiamo, le coſe ;matroppo.tedioſo diverrei, s'ogni fallimento
d'Epicuro voleffi lo quì riferire : maſſi mamentequei , ne qualierrò egli
inſiemecon gli altri filo fofanti della Grecia; perchè ragionevolmente forſe
dir di tutti fi potrebbe ciò che d’Ariftotele , e di Platone dicea S. Giuſtino,
con quelle parole : ſe l'invenzione della veri sà , come d'accordo ciaſcua
vuole , è ilfine della filoſofia , Io non lo come coſtoro , i quali nonebber
niuna-contezza della verità, fi debban veramente chiamarfiloſofi.E ragio
nevolmente ancora S. Clemente d'Aleſſandria afferma che la greca filoſofia , a
riſchio , e per ventura , come alcuni vogliono , ſuole rinvenir la verità; e ſe
pur talvolta la ritro va:allora pur la prende lievemente , e alla sfuggita
,ſenza troppo minutamenteconſiderarla ; e come altri poicredo no , crae ella
ſua origine dal Diavolo ; edopo altri biafimi, conchiude egli alla fine , efſer
tutti rubaidi,e huomini ſcel leratiſſimi coloro , i quali appo i Grecicol nome
di filoſo fanti ſi chiamavano . Ma certamente troppo a lungo , e più diquel
,che al fi 1o del noſtro ragionamento forſe conveniva ſon traſcorſo a favellar
dell'antiche filoſofie ;ma non ſi dee impertanto pe rò inutile , e ſoverchio
ciò reputare; poichè un de' più ma lagevoli,e de'meno forſe conoſciuti
impedimenti,ch’abbia arreſtato il corſo della filoſofia , Ga ſtato quello
dell'averſe fatto a credere gli huomini, chei greci filoſofiaveſſero fco perto
, e compreſo tutto ciò , chenel vaſtiſlimo reame del la natura ſcoprire,
ecomprender li yola per intendimento umano ; ne per aloro certa.nente , che per
una tal folle cre denza egli è avvenuto,che quel tempo,checertaméte ſpé
dercucco di dovea in inveſtigar con eſperienze, e con ragio ni le coſe naturali
, fi fia vanamente ſpeſoin andar cercan do quali ſiano ſtati iveri ſentimenci,
o di queſto ,o di quel to zuore ; perchè dicea il Signor di Montagna: car les
opin mions des bommes font , recevesà la fuitte des creances an cien Del Sig.
Lionardo di Capoa 649 outil ciennes , par authoritè , &à credit, commeſi
c'eſtoit religion Lloy.On reçoit comme unjargon ce qui eneſtcommunement tenu
:on reçoit cette veritè , avec tout for baſtiment , de ato telage d'arguments,
odepreuves , comme un corps ferme ; ſolide , qu'on n'esbranle plus , qu'on ne
juge plus . Au contraire, chacun à qui mieuxmieux , va plaſtrani , &con
fortant cette creance receuë , de tout ce que peut fa raiſon in qui eft un
útilſoupple, contournable, & accommodableà tous te figure. Ainf je remplit
le monde , feconfit enfadeze ; den menfogne . Ce qui faict qu'on ne doubte de
guere des choſes, c'eſt que les comunes impreſſions onne les efl ayeja mais, on
n ' en fondepoint lepied , où gitlafaute, älafois bleſſe : on ne debat, que ſur
les branches : onne demande pas fi cela eſt vray , mais s'il a eſte cinſin ou
ainfin entendu E quinci derivar anche ſuole quella gran malagevolez za avviſata
da Galieno , la quale ſi ſperimenta da chiun que vuoi ritrarre i ciechi
parteggianti dal torto loro , e fal hace camino; e nel vero cotanto danno
apportar fogliono le falſe apprefe opinioni, che eziandio a coloro, che mene
daci han ſcoverti , e ravviſati gli autori di quelle,non per mettontalora , che
fiyantaggin nella buona filoſofia s co me apertamente ſcorger ſi puote in Pier
Ramo , ed in al tri molti si quali, quantunque aveſsero ben conoſciute le
ſconvenevolezze della filoſofia d'Ariſtotele , non poterono alla buona ſtrada
giammai pervenire : ne in cotonjuno for trarſi dalla maniera del filoſofare
d'Ariſtotele;ę ciò perche, çome avviſa Renato: opinionibus ejus jam imbuti
fuerant in juventute, quia ea fola infcholis docentur; adeoq; illis præoc
cupatusfuit ipforum animus , ut ad verorum principiorumid Hotitiam pervenire
non potuerint . Anzi Ariſtotele medeſimo , leggendo i volumidegli an tichi
filoſofi , concepctie alcuno di que'ſentimenti onde , inavvedutamente poi
traſcorſe in cotanti crrori. Così logo gendo egli in Ocello Lucano il melc
cffer dolcc ,perché ca gioni in noi ſentimenti di dolcezza , tratto anch'egli
dall' altrui errore , !! c a ciò punto badando, non dubitò di fer mamcareil
medelino narrare , giudicando la dolcezza,co Nnnn me rute 1 650 Ragionamento
Ottavo me tutt'altre qualità veramente nelle coſe , e non ne’ſenti menti
confiftere . Che fe egliaveffe: avvilato , il medeſimo cibo ſenza punto
dimutamento ad un palato, dolce ,e foa ve : a un'altro poi amaro , e
diſpiacevole parere , come la colloquintida amariſſima a noi,dolce oltremodo
a’topi, e ſoave li fa ſentire : certamente egli non così improvviſo avrebbe
raffermata cofa non vera; e avrebbepur dubitato, non forſe ne' cibi foſſer
corali particelle , dital forma , e così ordinate , e moſſe ,, che in diverſi
palati, or di dol cezza , or d'amarezza faceſſer ſeinbiante . Enella medeli, ma
maniera cento, e mille altre ſciocchiſſime opinionid'A. riſtotele potrei lo quì
rapportare , le quali appreſe egli da. gli antichi filoſofanti . Ne ciò è
maraviglia ; perciocchè p iſtudio , e fatica , che vi ſi logori' , non ſi
poſſono così affac to sbarbicare dalla mentei già allignati ſentimenti,e ban
deggiargli affatto che non ritornino talvolta, quando men ſi temano . Cosi
avvien appunto ad una botte , o altro va ſo guaſto putente di vin ravvolto', o
-inagrito , la quale av vegnachè forte fi’rada , eſilavi: non però dimeno non
ſi puòella cotanto per diligenza purgare', che non ne prenda anche il nuovo
vin',che vi ſi pone, e dibreve anch'egli non dia la volta , concioſliecoſachè
quantunque bennetto , e forbito fipaja ilvalo', pur ne'ſuoi pori minutiſſime
particel te ancora ſi naſcondono , le quali ſpiccatene da quelle del nuovo vino
, o altro ſomigliante liquore , che vi ſi pone , trameſtandofi loro ,
agevolmente vi nuotano per entro , per opera della fermentazione poi
creſcono",intanto , che infra brieve ſpazio di tempo tutto il corrompono .
Così avvenir ſuole nell'anima,la quale priva , e ſpogliata affat to delle
antiche notizic,da ſe medeliina in filoſofído nuo ve notizie proccuri in luogo
dell'antiche introdurre ; eri porre ; poichè le nuove ſpezialmente , ſea ciò
ſpinte ſono da quelmovimento , chenello ſpeculare neceſſariamente ſi fa ,
eccitano , per qualche ſomiglianza , che è tra loro , alcuna dell'antiche, che
a caſo rimaſta , ma celata viftia; dalla quale poi sēzamolta malagevolezza
infecte elle ne riman gono . Eco Del Sig.Lionardodi Capoa : 651 E comechè ciò
baſtantemente , per quel ch'Io micredaj a ciaſcun lia manifeſto , pur
d'avantaggio ne può eſſer chiar ro per ciò , che nella memoria artificiale fortir
ne ſuole Sogliono coloro , che all'arte ,veramente maraviglioſa del ricordarſi
ſtudioſamente intédono,d'alcuniſpeziali luoghi valerſi quali ſiá loro sépre
ſenza fatica niuna nella memo ria, come uſati, e domeſticiaffai , e oltre a ciò
ſiano in qualche guiſa ſomiglianti, o uguali alle coſe che ſi voglio no
ricordare ; acciocchè quando poi fia meſtieri, nel fuo proprio luogociaſcuna
coſa appiccata, dipreſente rinven gano ; e le coſe già alla memoria
preſenti,loro facciano ve nire avanti le lontane. Delche certamente ne fa
manifeſta pruovà ciò che ſovente noi ſperimentiamo; che in ragio nando d'arca ,
o di forziere , che in noſtra caſa ſia , ne fov viene tolto di libro, o di
veſtimento ,o d'altra coſa ripoſtavi; eda divifamenti de palagj,o delle terre ,
ſubito ne ſi rap preſentan coloro, ch’ividimorano, o che da prima gli fab
bricarono , o che un tempo ancor vi ſono dimorati: Cosi anche un'amico né fa
rimcmbrar d'altro amico: e anche de nimici di ciaſcuno , io nominandolo ne
ſovviene . Perchè al noſtro amorofo M.Franceſco Petrarca , il ſolomovimé. to
dell'aura , dolcemente faceva venire avanti madonna Laura , eltempo ch'e' da
primamirandola ſe n'innamoro: L'aura ferens , che fra verdi fronde Mormorando a
ferir nel volto viemme Fammiriſouvenirquard'amor diemme Le prime piaghe sì
dolci je profonde; E'l bel viſo veder , ch'altri m'aſconde, Che ſdeguo, o
geloſia celato temme. Ma veggio , e per avventura con qualchevoftra noja eſ .
fermi troppo dilungato in ragionando, e affai più certamë te di quel, cheaveva
lo già propoſto di fare; non per tan to prima d'imporre a’miei ragionamenti
fine , mi convienu tirar la coſa un poco più avanti. Dico adunque , che non
giová punto ,cheſieno ben inteſi gli fcolariin filoſofia » in chimica , in
medicina , e in tutte altre coſe, che diſopra diviſammo al medico far meltieri,
ſe finiti i loro ſtudi egli Nnnn : 2 no per 052 Ragionamento Ottavo ao per
convenevole ſpazio di tempo non ufino qualche ſpedale, con por mente ivi alle
malattie , e alle maniere , che vengon tenute nel medicarle; e qual pro ,e qual
danno ricevan daʼmedicamentiglinfermi; ed egli è coſa nel vero queſta così
rilevante , che non ſi dovrebbe certamente co ventar mai fcolare , il quale con
fedi autentiche , e con te ſtimonj non provaſſe aver lui in ciò fare tutta la
ſua indu ftria, e diligenza adoperata. Sidovrebbe oltre a ciò prima di
conventarlo ftrettaméte eſaminar lo ſcolare per limae ftri delle ſcuole , a ciò
deſtinati, in tutte le coſe all'arte ap partenenti, e ſpezialmente nella
chimica ; la qual cotanto dicemmo effer a' medici neceſſaria , e di tanto
riſchio a co loro , chepienamente non la poſſeggono; e a ciò certamen te con
ogni rigore , ligati con facramenti , econ pene do vrebbono intendere
imaeſtri,oltrea queſto de coſtumian cora dello fcolare converrebbe , che
minutamente fi ricer caſſe , acciò per ogni capo s'eleggeſſero medici, quali
gli abbiam noi giuſta ogninoſtra pofſa al prefente diviſati; e sì forfe per
innanzi cefferebbono, quanto l'incertezza di co tal meſtiere comporta , i
fallimenti de'medici: e'l co mune in qualche parte ſe ne riſtorerebbe ; ne da
altro cer tamente naſce , ſe non fe dal non uſarhi queſte diligenze
nell'accademie, allor che vi ficonventáno gli ſcolari , che così fortemente
vengano elleno talora biaſimate :approba jiones,dice il Primeroſio , fapienterà
majoribus inftitutæ,ele gantes ſunt quidem , & neceffaria , fed deberent
diligentius obſervari . At jam omnia negliguntur , nam quibuslibet guantumvis
ſeiolis gradus exbibetur doctoratus unde ft, utex quibuſdam Academiisredeant
ductores parum da fti , nihil minus , quam apti ad medicinam , aut docendam ,
aut faciendam . Ne perciò giudico lo convenevole , come alcuni vogliono , che i
medici giovani, ſpezialmente que', che in Salerno furono conventati , fian di
nuovo daeſami nare ; imperciocchè baſtar dee quell'eſaminazione , allas quale
eſli foggiacquero prima d'eſser conventati , accioc chè fenz'altra pruova tare
del lor ſapere poſsano per innan zi liberamente medicare . Nealoriinenti volle
il Re Rug gieci Normanno , ove per legge comandò non poterſi il peri Del Sig.
Lionardo di Capoa 653 pericoloſo meſtier della medicina uſare ſenza ſpezial
lice za de' regjminiſtri a ciò deſtinati ; e l'Imperador Federi go pur
v'aggiunfo , chei medici del ragguirdevol Colle gio diSalerno doveſſero effer
teſtiinong, che colui , che aw medicare inprenda, da tanto ſia ; perciocchè
parlando de gli Impirici , folamente i conventati manifeſtamente ne ri
ferbarono ; ne vollono eſſere da eſaminar coloro , a’quali la cura d'efaninare
altrui era per lor commeſſa. Così An drea d'Iſernia ſpiegando que’capitoli dice
delle bollettes delle licenze : Doctor medicinæ practicabitfine literis , quia
fuitexaminatus , quando fuit doctoratus , &approbatus; for cut ibi diximus
de Advocatis.. E Matteo degli Afflitti. pa. rimente dice efferſi ciò mai fempre
oſſervato , che iconvé tati di Napoli, o di Salerno fenz'altra bolletta , per
tutto il noſtro Regno , poſlan liberamente andarmedicando :ne altrimenti effer
mai avvenuto : eft fciendum ,dice l’Afflitti, quod à tanto tempore , in cujus
contrarium memoria hominio non-exiſtit,nunquam fuit fervatum , quod magiftri
medicine approbati in Collegio medicorum Salerni, vel Neapolis ha beat quarere
literas Officialium Regis, vellicentiam à Rege , vel vicerege medieandi in
Regno. Perchè ſarebbe molto ſco cio il mādarſi ciò avanti ; e larebbe
certamente un togliere l'autorità a'noftri Collegj di più conventar perſona in
me dicina ; cioè a dire , di dar licenza di liberamente me dicare ; ſenzachè
non ſapreiIo certamente , quali medici farebbon da eſaminare ; perciocchè
egualmente i giovani , ei vecchi, anzi maggiormente nel vero i vecchj ne han
data cagione di farne richiedere a parlamento . Ma come potrebbon le ſecrete
eſaminazioni a buó fine giammai riu . fcire , fe per averle conoſciute ſcempie
', e manchevoli , i Principi, e le Comunità ne’loro reggimenti han,, per mio
avviſo le pubbliche eſaminazioniinſtituite . Sogliono re carſi per eſemplo
coloro , che queſta novella eſaminazione de’mediciintrodur vogliono , i legiſti
; i quali da non mol to tempo in qua ſogliono eſſer eſaminati, quantunque co
ventati :maben dovrebbono avvertire , che gli Avvocati non mai vollono
ſoggiacere atale eſaminamento : eleggen ; do an 654 Ragionamento Ottavo doanzi
d'abbadonare il meſtiere, quátūquel'eſaminazione aveſse a farſi da'ſupremi
miniſtri, e in alfai orrevol maniera; e fol rimaſe,che coloro ragionevolméte
nel vero vi foggia ceffero , a'quali , o alcun governo , o altro onore s’aggiu
gneſſc. Ne mégiudico Io ragionevole quel diviſo di dover eſa minarſi almeno i
noſtri medici in Chiinica ; da che la Chi mica cotanto neceſſaria alla medicina
eſfer narramıno;per ciocchè da cotali eſaminazioni grandi ſconcj certamen te al
noſtro comun ne feguirebbono , per molte , e mol te cagioni , le quali lo
taccio al preſente per eſſer ciò ba ftantemente, a ciaſcun manifeſto ; ſenzachè
i vecchj anco ra , anzi con maggior ragione , che i giovani , farebbon da
eſaminare ; richiedendoſi.comunemente a ciaſcun medico la chimica , ed eſsendo
aſſai meglio i giovani , che i vecchi medici inteſi di quella. Ma de’volgari
impirici farebbe da prendere, ſe pur si potesse, strettiſſima cura, acciocchè
per lordappocaggine al cun nocimento al noſtro comune non ſiegua ; e comechè
intorno a coſtoro baſtantemente di ſopra la detto , pure fi dee por mente a ciò
ch'avviſa Galieno , allor ch'eglidice, che il curar qualunque, avvegnachè
leggeriſſimomale, d' altri non ſia , ſe non ſe ſolamente di coloro, i quali di
tutta la medicina pienamente fian inteſi; concioſliecorachè uns male foglia
ſovente con altro male eſſer congiunto ; e ſo glian talora , o per.cagion delle
medicine, o peraltro sì fat to accidente ſopragiugnere : cheda colui , ch'un
ſol medi camento ſappia , non ſi poſſa dar compenſo. Oltre a que fto , nel
conoſcerſi delle malattie , aſai ſovente glimpirici s'ingannano: togliendo in
cambio ſcioccamente una per al tra , e contrarj rimed, talora imponiendo ;
nella qual mala ventura , comedicemmo, cadono talora , anche i più ſcie ziati
medici per la dubbiezzade'ſegnali. Perchè ſarebbe certamente il migliore victar
a coteſti volgari Empirici il medicare;e miglior séza fallo ſarebbe ſtato il
provvedime to del Senato di Parigi, fe del tutto aveſſe agli Empirici il
medicar proibito , e non permeſſo loro il farlo lol coll'ap prova Del
Sig.Lionardo di Capoa 051 poter mc provagione,e licenza de’dotti medici;ed ebbe
il torto di la gnarſi di loro Anneo Roberto dicendo , che all’onta di tut te le
proibizioni eglino il capo alzaſſero ; imperciocchè no mai aſſolutaméte allo
incotro furon: proibiti,ſë ſotto condi. zion ſi permiſero,perchè
daʼmedicijnõoſtante il gran male , ch'ei fanno di leggieri ottengono la licenza
del dicarc. Ma tacer non fi dec ciò, che degl'impirici racconta Giacomo Silvio :
in montepeſſulano's clarifima, & antia quiſſima medicinæ academia , fi quis
borum nebulonum feme: dicummentiatur , mox raptus in afinumftrigofum , fiin
venitur fcabidum , ſublimistollitur , averfus, urbe tota cir.
cumducitur,Scommatisundique incefitur , conſpuitur,pulfa; tur, laceratur, fordibusomnis
generis conſpurcatur; ceu olim Sacra illa mafilienfium vittima :poftremo
expiata urbe ejici tur , illuc nunquam rediturus, niſi malo ſuomaximo. Magià baſtantemente
ſecondo noſtra possa avendo de medici ragionato, trapaſſeremo a diviſare al
preſente de gli Speziali ,i quali debbon lavorare i medicamenti; maffia mamente
chimici ; il quale fu il ſecondo capo , onde mofle il noſtro ragionamento.
Veggiam dunque brevemente , quali coſe, e quante abbiſognino a colui che voglia
van taggiarſi in sìnobilmeſtiere . Immagina il volgo, che age volitima faccenda
fia a ſaper fabbricare imedicaméti; per chè in man di perſone di poco ſapere ,
edipoca licva ado perar ſi rimira . Mio quanto di lungo certamente coſtoro
ingannati ci vivono! imperciocchè atal meſtier richiedonſi poco men , che tutte
altre códizioni,ch'a coloro ſon d'huo po ) che il rimanente tutto della
medicina apparar bene, e lodevolmente intendono; e ciò ſenza , che lo troppa
fati ca vi duri, agevolmente ſi può comprendere per coloro che alle biſogne
tutte d'una cotalarte fiſamente riguardano. Ma concioſliecolachè i guaſti, e
biaſimevoli coſtumi del ſe colo ciò non comportino ' , dovrebbe almen chi
deſidera una tanta impreſa leguire,oltre alla ſua natura, e a'genero fi, c
lodevolicoſtumi,eſſer mezzanamente, per tacer dell' Araba , almeno della latina
, c della greca lingua inteſo , per dover poi intendere i varj, e diverſi
ſcrittori, che nell' una, e nell'altra lingua materie a ciò appartenenti deſcri
vono. Appresso egliè dimeſtieri aver continuo tra le ma ni pronta , e
apparecchiata la conoſcenza , non folamente di que’vegetabili,o minerali, o
animali, che maneggiar fo vente coſtuma , ma di quelli ancora , che nelle
ſtrane, enon ordinarie compoſizioni de’medicamenti gli poteſſero tale ra dal
medico venirimpofte . Dovrebbe oltre a ciò eſler pienamente informato degli
ſtrumenti tutti, e ordigni dell' arte, e delle convenenze, e proporzioni ancora
, che alcu ni di quelli han co’ſemplici , de' quali egli nel ſuo lavorio ſervir
li dee . Ma ſopra tutto convien , che la propietà , e la natura del fuoco egli
perfettamente ſappia ; acciocchè poi comprender appieno ,e ravviſar poſſa
quelle alterazio ni , che indi le medicinali compoſizioni ricever fogliano ;
alla qual coſa certamente aggiugner non potrà colui, che non prenderà per guida,
e per iſcorta la Chimica ; ſenza la quale Io non veggio , come bene , e
lodevolmente per huố li poſſa un sì malagevole meſticre adoperare ; ſenzachè
migliore aſſai, e di maggior giovamento all'uman genere farebbe , ficome
altrove abbiam detro, ſe da ſoli medici i medicamenti li lavoraffero ;
perciocchè, quanto a me , lo non ſo a niyn modo comprendere , comemai
perfettamen te fabbricargli colui poſsa , il qual non abbia in prima le manicre
tutte del loro operare con gli occhj propi piena mente conoſciure. Perchè
dovrebbono finalmente gli ſpe ziali , oltre alle ſopradetre coſe , avere in
prima tanto qua to ſtudiato in medicina , ed in qualche ſpedale co ' pro pj
occhj all' operazioni de’medicamenti riguardato . E ſcorgendofi omai in tutte
botteghe di ſpeziali aver non poca quantità di chimici medicamenti, non ſi
dovrà più avanti dubitare, convenir lo ſpeziale almen per queſto ca po eſser
della Chimiea baftevolmente inteſo , e ſperto , In quanto alle Chimiche
medicine poi, comcchè per noi fia ſtato di ſopra baſtantemente raffermato , che
il fabbri. carle propiamente appartenga a medici; non però di meno da
cheimedici, o non vogliono per lor tracoranza , o non fanno , o non poſsono
invilupparvili,lo aſsai ben giudiche ici , Del Sig. Lionardodi Capoa. 057 rei ,
ch' a' ſoli speziali, e a tali , quali noi diviſamino ſe ne commetteſse
ſtrettamente la cura ; ne altra privata perſoni s'inframmetteſse di lavorarne
alcuna ; male compoſizioni de'più pericoloſi, e rilevanti medicamenti, o da
medici lo li, come dicemmo lavorar ſi dovrebbero , o almen dagli ſpeziali in
preſenza de'medici . Ne è da dir con alcuni, po terſi alle ſconvenevolezze
tutte ripararare colla ſola eſa minazione, che delle medicine chimiche fi'
faceſse allor che ſiviſitano , come dir ſi ſuole , le ſpezierie ; concioffie
coſachè vana ſenza dubbio , e inutile cotal eſaminazione riuſcircbhe: per non
poterſi mai , per ſogno niuno, lorvir tù , e lor forza baſtantemente avviſare .
Echi mai ne' bof foli delle botteghe , la bontà, e finezza del mercurio di vi
ta, dell'antimonio diaforetico, delbelzoardico minerale , e d'altri , e d'altri
sì fatti medicamenti d'odore , e di ſapore affatto privi,per pruova
de’ſentimenti avviſar mai ſapreb be , e l'eccellenza , e la perfezione ridirne,
ſenza eſsey irl prima cgli ſtato preſente al lor lavorio E tanto queſta ma
iagevolezza dell'indovinare i chimici medicamenti anche per li macſtri di
quelli è grande , che cziandio de'più me nomi,e comunalinon ſi può nulla di
certo fovétemente di viſare; ſicome que'ſali, che fiffi diconſi ci danno
apertamen te a divedere ; imperocchè i fali fiſi , per nulla dire del fa pore ,
che in tutti il medeſinio appare ,ne alle varie manie re , chcin
criſtallizandofi, per valermi d'una parola dell' arte , ſoglion figurarſi: ne
a' varj colori ,de'quali veſtono il precipitato colcotare , ne ad altro ſegnale
può niuno macſtro , comęchè ſperto , e ſaggio in chimica, certamente ravviſare,
e ſicuramente de terminare di qual pianta , di qual animale ſieno ;
conciofficcofachè parecchj ſali di diverliſt me piante fra eſſo loro ,prender
ſogliano in criſtallizandoſi la medeſima figura , e del color medeſimo veſtir
anche ſo gliano il colcotare ; ma onde ciò avvegna , non fa iuogo ora , che lo
imprenda ad inveſtigare , eſſendo oltre traſcor ſo tanto co’miei ragionamenti,
che mi convien riſerbare , più d'una coſa al nostro proposito appartenente, ad
altra, Oooo più agiata opportunità ; la quale ſe miverrà mai, come pero,
diviferonne forſe pienamente, e di vantaggio in uno ſpezial libro , il quale lo
ora ſto intero a comporre. Alcesto Cilleneo (arcade).
Lionardo di Capoa. Leonardo di Capua. Keywords: filosofia romana, Aristotele,
filosofia, ragione debole, La Crusca, comunicazione, platone. Incertezza,
investigare, gl’investigante, vestigia lustrat. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Capua” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691229541/in/photolist-2mTdSm7-2mSEtHs-2mRb398-2mPwGPf-2mPtnaL-2mNzeEc-2mMYDGZ-2mMZQZW-2mLLZRD-2mLLwjC-2mKQ5j7-2mKM4Dx-2mKGd6B-2mKPDck-2mPpskp-2mKbkhx-2mJq2uE-C5ierD-BxCpRq-BxCnkJ-ACvZaD-nTocck-o7QZ82-mujisr
Grice e Carabellese – la sabbia e la
roccia – il segno – filosofia italiana – Luigi Speranza l(Molfetta).
Filosofo. Grice: “I love Carabellese; his masterpiece is ‘the rock and the
sand,’ which reminds me of Tuke’s Cornwall! – Tuke captured some dialectic on
the sand and rocks, which I’m sure were common in Ostia, too, back in the day!
Carabellese speaks of a ‘semiotic scandal’ so it all connects with my
pragmatics of dialectics or conversation.” Studia a Napoli e Roma. Insegna a
Palermo e a Roma.A partire da una critica ferrata alla dottrina cartesiana (Le
obbiezioni al cartesianesimo; il metodo, l’idea, la dualita; Il circolo vizioso
in Cartesio) porta a compimento studi critici su diversi autori, tra i quali
spiccano Kant e Rosmini. Elabora la
dottrina dell'ontologismo critico, in cui l'essere non è mero oggetto della
coscienza ma è a essa intrinseco come fondamento irriducibile, cioè
essere-di-coscienza, che in ultima istanza altri non è che Dio (che, come già
asseriva Vico, "è" e non "esiste"). Difese l'oggettività essenziale dell'essere e
la filosofia, non come sapere specialistico trincerato, ma come operatrice per
l'umanità tutta così che la coscienza filosofica esplica quella teoria che nel
diversificarsi concreto della spiritualità risulta necessariamente implicita. E
allora lo sforzo della filosofia non potrà mai, quindi, essere compiuto atto
seppure la teoria si attui sempre in una pratica, che è l'altro termine del
concreto. Insomma Carabellese difese la filosofia come ascesa
teoretico-razionale a realtà teologiche, o come sentiero che volge al fondamento
comune della vita politica e che alla politica rimane irriducibile. Altre
opere: Critica del concreto; Il problema della filosofia da Kant a Fichte; Il
problema teologico come filosofia; L'idealismo italiano; L'idea politica
d'Italia; Da Cartesio a Rosmini. Fondazione storica dell'ontologismo critico.
L'essere e la manifestazione. L'essere e la manifestazione: Dialettica della Forme.
L'essere. Filosofo della coscienza concreta, Ravenna, Edizioni del Girasole. La
sabbia e la roccia: l'ontologia critica di Pantaleo Carabellese. Il problema
dell'io in Carabellese. Metafisica in Pantaleo Carabellese. Kant e Carabellese.
Dizionario Biografico degli Italiani. Autolimitazione
della metafisica critica? Momenti della recezione italiana di Fichte con
particolare riferimento all'ontologismo critico di Carabellese. E anche per lui lo gnoseologismo era il fraintendimento
della vera scoperta di Kant , ed era all ' origine della moderna ... intesa
come « scoperta » deriva quell ' approfondimento dei concetti tradizionali che
il Semerari chiama « lo scandalo ...seDalla filosofia intesa come « scoperta »
deriva quell ' approfondimento dei concetti tradizionali che il Semerari chiama
“lo scandalo linguistico,” cioè la terminologia dell ' Ontocoscienzialismo , a
prima vista sconcertante. See also the important chapter " Lo scandalo
linguistico , " in G. Semerari , La sabbia e la roccia. Merleau - Ponty ,
Sens et non - sens , Paris , Nagel , 1948 ; It . trans . by P. Caruso , Senso e
non senso , Milan , Il Saggiatore. La
ontologia di Carabellese, così, si prospetta come una ontologia della coscienza
assiologica e semantica, ossia come una critica antinaturalistica e
antipsiscologistica dei valori e dei significati dell’essere»42. L’importanza
del lavoro filosofico carabellesiano, secondo Semerari, consiste nell’esigenza
radicale di lavorare alle radici del linguaggio filosofico, di andare al di là
della storia già fatta, come scrive Semerari citando Carabellese43, scendendo
sino ai suoi presupposti: ciò significa portandosi al grado zero della parola
per reinventare il linguaggio filosofico e le connessioni che in esso si sono
stabilite lungo la sua storia, a partire dalla cosa stessa, ossia dall’essere
in cui la coscienza è già implicata. Scrive Semerari: «Sotto questo riguardo
non si può trascurare la convergenza con la ontologia critica di quella parte
della filosofia linguistica contemporanea per la quale, al limite tra
fenomenologia, esistenzialismo e analitica, porre la questione del linguaggio è
portarsi al grado zero della parola, al silenzio come radice di ogni
possibilità linguistica, fare giudice della critica del linguaggio, com’è stato
suggestivamente detto, la ‘coscienza silenziosa’. singolari di Coscienza si
costituiscono come soggetti pensanti in comunicazione tra loro. L’alterità
dell’altro io presuppone l’identità dell’io che lo esperisce come altro.
Reciprocamente la coscienza della propria identità egologica richiede il
rapporto di alterità come intrinseco all’essere stesso dell’io. L’alterità
sempre afferma chi dice io, il quale ciò dicendo, anche trascendentalmente si
distingue, senza per questo separarsi assolutamente, da un chi che riconosce di
fronte a sé [...]. Con questo chi egli afferma una relazione reciproca con la
quale attua l’egoità. Soggettività ed egoità pura sono sempre pura alterità»19.
L’alterità di ciascun io è, come scrive Carabellese, «l’insondabile residuo di
meità intraducibile in esperienza dell’altro. Ma questa intraducibilità, che è
il limite che la meità ha nell’esperienza, non prova che l’alterità sia
soltanto di esperienza e non pura, ma prova, precisamente, il contrario, e cioè
che, a fondamento dell’alterità empirica, c’è l’alterità pura come schietta
egoità»42. Alterità e non assolutezza dell’io L’Essere di coscienza richiede la
compattezza non la relazione fra Oggetto universale, Dio, e soggettività
molteplice. La relazione è fra i soggetti: infatti, l’io come uno esistente,
implica necessariamente l’altro, che è sempre un altro io, sottolinea il Carabellese.
Diversamente l’io assoluto fichtiano, dilaga nella coscienza, identificandosi
con essa, riducendo l’oggettività a negazione; ma resta così l’io nella sua
solitudine e, senza l’altro, cade nel nulla del non pensare. L’io fichtiano,
nell’interpretazione del Carabellese, elimina gli altri io dalla coscienza,
assolutizzandosi, ma in tal modo perde la meità, approdando all’Unico, che egli
vede come una nuova forma di eleatismo8. Il Carabellese sottolinea che se non è
da percorrere l’identificazione dell’io con la coscienza, tuttavia questo non
conduce alla cancellazione della meità; invece, pensare l’immediata
appartenenza del me all’essere di coscienza, non assolutizzando il me, apre ad
intendere gli altri. Non l’annullamento del me costituisce la base per la
relazione responsabile in sede etica (Lévinas), ma proprio partendo dal me, per
il Carabellese si giunge agli altri come altri “di” me, esistenti nella loro
singolarità, non si giunge agli altri “da” me. Il me esistente nella purezza
dell’Essere di coscienza apriori di cui parla il Carabellese, in primo luogo
non si identifica con il corpo, in quanto quest’ultimo trova il suo limite
nell’altro corpo e, più in generale nell’altra cosa: «Io, come innegabile
esigenza di coscienza non sono, o se volete, non sono affatto corpo. pur mio.
Ora la differenza fra me, che pur sono uno esistente, e il mio corpo, che
anch’esso è uno, sta proprio (non se ne può trovar altra) nel limite, che il
mio corpo trova negli altri corpi, e che io non trovo, se non voglio cadere nell’assurdo
di ritenere me il mio corpo» Carabellese rifiuta l’ipotesi materialistica,
perché se l’io si identificasse con il corpo non potrebbe affermare nemmeno la
propria corporeità, ossia che il corpo è suo. Nella concezione materialistica
l’io si identifica con il corpo che diventa la radice dell’opposizione con gli
altri. Se si realizzasse questa identificazione in realtà si avrebbe la
soppressione dell’io come uno di coscienza, e anche gli altri non sarebbero più
altri uno di coscienza. Il nulla del non pensare si porrebbe
contraddittoriamente come l’essere. Anche la concezione spiritualistica che
intende l’io come spirito finito, ha come esito la riduzione dell’io a corpo,
perché sostenere la limitatezza dello spirito implica sottoporlo al limite, come
il corpo, eliminando così il me. Anche se Fichte ha evitato la riduzione
dell’io al corpo, non ha tuttavia salvato la meità identificando l’io con la
coscienza. Infatti nell’io empirico il me è sostanzialmente ridotto a corpo, a
non-io. Solo l’Io, unico, assoluto pone se stesso. In Hegel, poi, ogni residuo
di meità è tolta nel Soggetto assoluto. L’io perciò è spirito infinito, ma da
questo non deriva per il Carabellese che venga eliminata la distinzione dell’io
dal tu nella coscienza, ossia che vengano tolti gli altri, con il rischio di
tornare a Fichte. Per il filosofo italiano «togliere il limite è affermare gli
altri», non annullarli; infatti, per giungere alla negazione dell’altro, o
degli altri, «bisogna prima ammettere – osserva il Carabellese – che gli altri,
in quanto tali, escludano l’uno di tale essere, e che l’uno esclude gli altri;
bisogna cioè cominciare proprio con l’opporre ad uno gli altri dall’uno,
ritenendoli diversi ed opposti a questo e cioè col presupporre che uno (io) sia
la coscienza, e gli altri no, e perciò siano non io, non coscienza. Cioè
bisogna cominciare col presupporre la empirica limitazione dei corpi, la quale
appunto, nella identificazione di me col corpo mio, fa ritenere me, col mio
corpo, coscienza e gli altri, che col loro corpo limitano il corpo mio, non
coscienza»11. Già ne Il problema teologico come filosofia il Carabellese
afferma, polemizzando con Fichte, che la molteplicità soggettiva non è
semplicemente empirica, ma pura, condizione trascendentale della “concretezza”;
la singolarità non è solitudine, ma relazione reciproca nel pensare, sentire,
agire l’Universale/Dio. L’io esistente, singolare, è uno, e come tale è
ciascuno, essenzialmente altro. «Il singolare è quell’uno, di cui si sa
l’alterità, ed è perciò ogni uno, ciascuno, unusquisque. Uno che non sia
ciascuno, non è uno. E, ancora più incisivamente: «Io sono altro: solo così
“sum qui sum”» L’altro, spirito infinito come l’io, per il Carabellese non è
esteriore, né eterogeneo rispetto al me, non si risolve in una identificazione
con l’oggetto realisticamente inteso. Nell’ultimo sistema il Carabellese
sostiene l’“identità” dei soggetti pensanti, portando alle estreme conseguenze
la determinazione dell’omogeneità, senza però indicare come possano
differenziarsi i soggetti l’uno dall’altro. Il rischio dell’annullamento
dell’alterità, pur se non voluto, è evidente; infatti per spiegare il darsi
della molteplicità soggettiva egli parla di alterazione, come moltiplicazione
infinita riferendola però non all’uno, al soggetto, ma all’Unico, ossia
all’essenza divina, al che. Tuttavia, se la moltiplicazionealterazione è
riferita dal Carabellese all’Unico, non all’uno: allora l’altro, è un altro
uno, ossia un altro soggetto, oppure un impossibile altro Unico? Ed essendo l’Unico
non soggettivo, come possono derivarne i soggetti? In realtà possiamo muovere
anche al Carabellese l’osservazione di involgersi in una sorta di circolo fra
Dio e io, in quanto se da un lato Dio è la qualità infinita di cui l’io è
terminazione, moltiplicazione/alterazione, nello stesso tempo a Dio, in quanto
non soggettivo, sono necessari i soggetti pensanti. L’uno di cui parla il
Carabellese è l’io che immediatamente si intuisce singolare, e che altrettanto
immediatamente avverte l’alterità: «Uno che non sia ciascuno, non è uno»,
afferma eloquentemente. Egli sente il pericolo di ricondurre e ridurre la meità
ad una ciascunità di identici, perdendo l’originalità e l’inconfondibilità di
ciascuno nei confronti degli altri. Tuttavia per il Carabellese invece proprio
il recupero dell’altro consente la realizzazione di sé. Ma, se si andasse più
profondo in questo amor di me spirituale, che è, o dovrebbe essere, l’amor
proprio, se si sviluppasse ciò a cui esso mi costringe, si vedrebbe, che, se io
veramente voglio dare una positività a questa negazione del “non tu”, se non
voglio divenire un puro e semplice “non” devo considerare me come uno tale che
possa e debba riversare l’amor di me uno in altro uno, che è uno come me, cioè
devo riconoscere l’unità, che sono io, nell’alterità. L’amor mio proprio, che
non voglia essere soltanto amor del mio corpo, è proprio amor dell’altro.
L’amor proprio spirituale non mi costringe alla assolutezza (unicità e
incondizionatezza) della mia unità, ma proprio alla sua alterità: l’amore è
sempre amore di altro: è la grande scoperta di Cristo»15. La struttura
dell’essere di coscienza apriori richiede l’alterità e Dio o, in altri. termini,
l’uno molteplice e l’Unico: in tal modo è la stessa struttura coscienziale a
dare fondamento alla carità. L’amor proprio e l’originalità di ciascuno si
afferma e realizza nella relazione e nel riconoscimento degli altri: «Io
facendo dagli altri riconoscere me tra essi, e riconoscendo me come altro, non
tolgo ma affermo la mia originalità»16. Per il Carabellese l’amor di sé ha
insita l’esigenza della relazione con l’altro; solamente chi concepisce l’io
come l’Unico chiuso in se stesso, privo di meità e di relazione, il solo, parla
di offesa dell’amor proprio, ma in realtà non si avvede che quell’Unico non è
più nemmeno soggetto. Tuttavia i problemi restano: la relazione con l’altro
identico rischia di essere più un narcisistico rispecchiamento, che una vera
relazione, più una sorta di moltiplicazione dell’Unico, un suo reiterarsi che
il faticoso cammino del riconoscersi. Fra i soggetti nella loro purezza, per
cui sono infinitamente penetrativi e interi nella loro relazione, l’identità è
già data immediatamente: ma allora non si comprendono gli erramenti, le lotte e
gli scontri a livello empirico. L’altro per il Carabellese è un altro me, non
la negazione del me. Ineludibile il riferimento al Parmenide platonico e
all’opposizione che Platone pone tra uno e altri. Per il Carabellese, sulla
base dell’essere di coscienza, tale opposizione non si dà; alla domanda del
Socrate platonico su quel che siano gli altri, quando io sia, si può
rispondere, che essi, non sono altri dall’uno ma altri uno, sono perciò altri
“me”. Il Carabellese individua la causa della “cacciata” degli altri dalla
coscienza nella erronea identificazione della coscienza concreta con l’io: per
tale scambio l’io annulla la “qualità” di cui insieme agli altri è
individuazione senza esaurirla. Nello stesso tempo si annulla la “quantità”
pura, restando il solo, che cade nell’assurdo di non essere né soggetto, né
oggetto. L’io infinitamente aperto, illimitato, identico, intero pur se
nell’essenziale relazione, di cui parla il Carabellese è apriori, non si
identifica con il singolo uomo vivente, limitato nello spazio e nel tempo:
essere condizionato e limitata persona dell’esperienza, presuppone essere
soggetto incondizionato e illimitato nell’essere di coscienza puro. Sembra
presentarsi una scissione fra il soggetto in quanto pensante e l’uomo vivente
spazio-temporalmente, fra “miglior coscienza” e “coscienza empirica”, per
utilizzare in chiave euristica espressioni del giovane Schopenhauer, che
riflette sulla duplicità della coscienza, non facendo ancora riferimento alla
volontà come principio metafisico. Però proprio il pensare, da lui inteso in
senso ampio come intendere, sentire e volere che si esplicano nell’attività
spirituale umana, esige il livello della purezza coscienziale. Come abbiamo visto
in precedenza, per il Carabellese l’assolutizzazione della. Cfr. A.
Schopenhauer, La dottrina dell’idea, antologia a cura di E. Mirri, Armando,
Roma. dimensione spazio-temporale, ossia del limite, condurrebbe
all’annullamento dell’attività spirituale umana. Il Carabellese non intende
semplicemente opporre la propria concezione a quella fichtiana, ma intende
condurne all’estremo le conseguenze, ipotizzando una sorta di esperimento
mentale. Infatti, se l’Io si ritenesse assoluto e si arrogasse il diritto di
sopprimere il tu, riducendolo soltanto a sua esperienza, allora «rimarrebbe sì,
solo Io, ma solo in quanto avrebbe soppresso il tu e quindi anche l’esperienza,
che egli ne ha: non ci sarebbero più i tu, che egli dovrebbe dimostrare essere
soltanto io empirici: gli altri non sarebbero empirici, non ci sarebbero. Or
senza i tu (altri) ci sarei ancora io (uno)?»18. In realtà, per il Carabellese
c’è un'unica soluzione, che esclude la fine tragica della disputa: «Non c’è
dunque altra via d’uscita da esso, se non quella che io non mi contenti di
ricambiare la tuità, ma gli ricambi proprio la meità, riconosca in lui non un
tu posto da me (Fichte) ma un altro io, e perciò mentre gli riconosco la meità,
che egli non mi riconosce, gli contesto il diritto di trasformarsi in Io
assoluto, mostrandogli che così egli sopprime se stesso come io, e nega
l’assoluto facendolo, lui, sapere e parlare come Io»19. Dio, ossia l’Unico, non
è soggetto, ma come qualità infinita, costituisce l’essenza di cui i molti
soggetti sono individuazione o moltiplicazione, con tutti i problemi che ne
conseguono20, compreso il possibile l’esito fichtiano. Secondo il Carabellese
si può dire che «sono l’identico io proprio perché siamo due»: se fosse
eliminato il tu come altro me, riducendolo ad esperienza, sarebbe eliminato
anche quel consentire in cui consiste la stessa esperienza. Non solo
l’esperienza richiede la dimensione comunitaria, ma in generale il pensare, che
è essenzialmente un convenire, un cum-sapere21 l’Universale, Dio. Quel cum non
è un'aggiunta irrilevante, in quanto la dimensione intersoggettiva,
comunitaria, è essenziale a tutte le forma dell’attività spirituale umana. «Ci
sarà – afferma il Carabellese –, anzi c’è senza dubbio, quella empirica
alterità, nella quale ciascuno di noi presenta all’altro un insondabile residuo
di meità intraducibile in esperienza dell’altro, ma questa intraducibilità, che
è il limite che la meità ha nella esperienza, non prova che l’alterità sia
soltanto di esperienza e non pura, ma prova precisamente, il contrario, e cioè
che, a fondamento dell’alterità empirica, c’è l’alterità pura come schietta
egoità, prova che il limite empirico, che separa me da te, persone viventi, non
è la stessa alterazione pura di noi altri due, ciascuno singolare; io, alterazione
pura, per la quale ciascuno, con la propria unità è immesso nell’altro uno, Cfr.
F. Valori, Il problema dell’io in Pantaleo Carabellese. Cfr. in proposito P.
Carabellese, La coscienza. immissione, senza della quale è assurdo non solo
l’innegabile consentimento ma anche la divergenza di noi nell’alterità nostra;
consentimento, e divergenza, per i quali noi, ciascuno come altro, siamo tanti
soggetti dell’Unico, che è immanente a noi molti»22. La differenza fra le
egoità si dà solo a livello empirico, a livello trascendentale e metafisico i
soggetti sono identici, interi23 e, nello stesso tempo infinitamente
penetrativi24. Pantaleo Carbellese. Keywords: la sabbia e la roccia
– il segno, lo scandalo del significato, io/tu, Husserl, intersoggetivita,
razionalita strategica, razionalita comunicativa, complessita intensionale, il
significato, i significati, l’insieme, la comunita, il noi. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Carabellese” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51777371015/in/dateposted-public/
Grice e Caracciolo – il colloquio –
filosofia italiana – Luigi Speranza (San Pietro di Morubio). Filosofo. Grice:
“I like Caracciolo – at Harvard, I joked on Schlipp, and stated that Heidegger
was then the greatest (grossest, in German) living philosopher – as he then
was, living --. Caracciolo has dedicated his life to translate Heidegger’s
‘Dutch’ mannerism into the ‘volgare’: and now I have concluded that Heidegger
is perhaps the grossest dead philosopher – “in cammino verso il linguaggio: il
dire originario” –“. Grice: “Note that
Caracciolo’s ‘cammino’ translates Heidegger’s ‘weg’ – my ‘way’ of words – but for
Heidegger is ‘way to’ (weg zur) – as it should!” cf. Speranza, “in cammino
verso la conversazione” – versus “il cammino della convresazione’ –“ Grice:
“Note that in Italian, unlike German, you drop the otiose ‘the’ of ‘way – “Nel
cammino” is o-kay, but “in cammino” is the choice by Caracciolo!” – cf.
Aligheri, ‘nel cammino’ OF his life, towards heaven, or paradise, that is.” Studia
a Verona e Pavia. Fa la conoscenza di Olivelli, con il quale collaborò alla
stesura dei Quaderni del ribelle. Olivelli divenne uno dei più noti martiri
della Resistenza e a lui Caracciolo dedica un saggio, “Teresio Olivelli:
biografia di un martire” (Brescia). Insegna a Pavia, Lodi, Brescia, e Genova. La
sua filosofia si sviluppa inizialmente all'interno della tradizione crociana,
ma poi acquisisce tratti più originali a contatto con Jaspers, Löwith e
Heidegger. In cammino verso il Linguaggio. Di particolare interesse e
importanza sono i suoi studi sul nichilismo a partire da Leopardi e sulla
dimensione religiosa dell'esistenza. Nella sua riflessione egli ha pure
mostrato una forte attenzione per il rapporto tra pensiero e poesia, tra
pensiero e musica. Altre opere: “L'estetica di Benedetto Croce nel suo
svolgimento e nei suoi limiti (Torino); L'estetica e la religione di Croce
(Arona); Estetica (Brescia); Etica e trascendenza, Brescia); Arte e pensiero
nelle loro istanze metafisiche. I problemi della "Critica del giudizio",
Milano); Studi kantiani, Napoli); La persona e il tempo, Arona; Saggi
filosofici, Genova); Studi jaspersiani, Milano); La religione come struttura e
come modo autonomo della coscienza, Milano); Arte e linguaggio, Milano); Religione
ed eticità, Napoli); Löwith, Napoli); Nichilismo, Napoli); Nichilismo ed etica,
Genova); Studi heideggeriani, Genova); Nulla religioso e imperativo
dell'eterno, Genova); Politica e autobiografia, Brescia); Leopardi e il
nichilismo, Milano); La virtù e il corso del mondo (Alessandria); L'assolutezza
del Cristianesimo e la storia delle religioni, Napoli); Filosofia della
religione; In cammino verso il Linguaggio; Theophania. Lo spirito della religione
antica. Filosofia umana. Esistenza e Trascendenza. Lo spazio della
trascendenza. La prospettiva estetica ed etico-religiosa. Caracciolo. Sentieri
del suo filosofare. Unterwegs zur Sprache. In cammino
verso il linguaggio. F.-W. von Herrmann, Die Sprache. Il Linguaggio. Die
Sprache im Gedicht. Il linguaggio nella poesia. Eine Erörterung von Georg
Trakls Gedicht. Aus einem Gespräch von der Sprache. Zwischen einem Japaner und
einem Fragenden. Das Wesen der Sprache. L’essenza del linguaggio. Das Wort. La
parola. Il verbo. Der Weg zur Sprache. In cammino verso il linguaggio. Essere e
tempo. La riflessione esplicita sul linguaggio. ζῷον λόγον ἔχον. Ermeneutica e
metodo storico-ermeneutico. Il ‘non’ come fondamento. Più in alto della realtà
sta la possibilità. La Kehre. L’essere: un problema che rimane problema.
Poesia. L'arte come messa in opera della verità. Hӧlderlin. Il tempo della
povertà. Il pensiero come Kehre. In cammino verso il silenzio. La differenza e
il fondamento. In cammino verso il linguaggio: il dire originario. In cammino
verso il linguaggio: il suono del silenzio. “Heidegger is the greatest
living philosopher”. Martin Heidegger In
cammino verso il linguaggio Curatore: A. Caracciolo Mursia Editore 2014 Pagine:
222 13 maggio 2015 Nel 1959 Heidegger scrisse In cammino verso il linguaggio.
Ci sono alcune cose interessanti e volevo proporvele questa sera. Innanzi tutto
l’esordio in cui è molto chiaro e molto deciso dice: L’uomo parla, noi parliamo
nella veglia e nel sonno, parliamo sempre anche quando non proferiamo parola ma
ascoltiamo o leggiamo soltanto perfino quando neppure ascoltiamo o leggiamo ma
ci dedichiamo a un lavoro o ci perdiamo nell’ozio, in un modo o nell’altro
parliamo ininterrottamente, parliamo perché il parlare ci è connaturato. Il
parlare non nasce da un particolare atto di volontà, si dice che l’uomo è per
natura parlante, e vale per acquisito, che l’uomo a differenza della pianta e
dell’animale è l’essere vivente capace di parola, dicendo questo non si intende
affermare soltanto che l’uomo possiede accanto ad altre capacità anche quella
del parlare, si intende dire che proprio il linguaggio fa dell’uomo
quell’essere vivente che egli è in quanto uomo. L’uomo è uomo in quanto parla,
è la lezione di Wilhelm Von Humboldt, resta però da riflettere che cosa
significhi “l’Uomo”. Ora considera una poesia di Carl Kraus: Quando la neve
cade alla finestra a lungo risuona la campana della sera, per molti la tavola è
pronta, la casa è tutta in ordine. Alcuni nel loro errare giungono alla porta
per oscuri sentieri, aureo fiorisce l’albero delle grazie, la fresca linfa
della terra, silenzioso entra il viandante, il dolore ha pietrificato la
soglia, là risplende in pura luce, sopra la tavola, pane e vino. La sua ferita
piena di grazie lenisce la dolce forza dell’amore “o nuda sofferenza dell’uomo”
colui che muto ha lottato con gli angeli. Ve l’ho letta visto che ne parla, che
cosa “chiama” la prima strofa? Perché lui dice che il linguaggio è qualcosa che
“chiama” le cose letteralmente dice “il linguaggio parla” ma come parla? Dove
ci è dato cogliere questo suo parlare? questo già è interessante perché non è
l’uomo, ma è il linguaggio che parla, dice: innanzi tutto in una parola già
detta, in questa infatti il parlare si è già realizzato, il parlare non finisce
in ciò che è stato detto. Qui sentirete a breve echeggiare anche molte cose di
Lacan e di altri. In ciò che è stato detto il parlare resta custodito, in ciò
che è stato detto il parlare riunisce il modo del suo perdurare, è ciò che
grazie ad esso perdura, il suo perdurare, la sua essenza, ma per lo più, e
troppo spesso, ciò che è stato detto noi lo incontriamo soltanto come il
passato del parlare. // Lui considera la prima strofa e dice: che cosa “chiama”
la prima strofa? Chiama cose, dice loro di venire, dove? Non certo qui, nel
senso di farsi presenti fra ciò che è presente, sicché per esempio la tavola di
cui parla Kraus venga a collocarsi fra le file di poltrone da loro occupate, il
luogo 2 dell’arrivo che è con-chiamato nella chiamata, è una presenza
serbata intatta nella sua natura di assenza, è questo il luogo in cui quel
nominante chiamare dice alle cose di venire, in una assenza, poi preciserà fra
breve il chiamare è un invitare tenete conto che sta dicendo della parola è
l’invito alle cose ad essere veramente tali per gli uomini, la “caduta della
neve” (qui cita un’altra strofa di Kraus) porta gli uomini sotto il cielo che
si oscura inoltrandosi nella notte, il suonare della “campana della sera” li
porta come mortali di fronte al divino, “casa” e “tavola” vincolano i mortali
alla terra, le cose che la poesia nomina in tal modo “chiamate”, adunano presso
di sé cielo e terra, i mortali e i divini, i quattro “cielo, terra, i mortali e
i divini” costituiscono nel loro relazionarsi una unità originaria, le cose
trattengono presso di sé il quadrato dei “quattro”, in questo adunare e
trattenere consiste l’esser cosa delle cose, l’unitario quadrato di cielo e
terra, mortali e divini, immanente all’essenza delle cose in quanto cose, noi
lo chiamiamo “il mondo”. La poesia nominando le cose le chiama in tale loro
essenza, queste nel loro essere e operare come cose dispiegano il mondo, nel
mondo esse stanno e in questo loro stare nel mondo è la realtà e la loro
durata, le cose in quanto sono e operano come tali portano a compimento il
mondo. Nel tedesco antico “portare a compimento” si dice “bern, bären” donde i
termini “gebären” “generare” e “Gebärde” “gesto”, quanto mettono in atto la
loro essenza le cose sono cose, in quanto mettono in atto la loro essenza esse
generano il mondo. La prima strofa chiama le cose al loro esser tali, dice loro
di venire, tal dire chiamando le cose le chiama presso, le invita, al tempo
stesso sospinge verso le cose, affida queste al mondo da cui si manifestano,
per questo la prima strofa nomina non soltanto cose ma insieme il mondo, chiama
i molti che come mortali fanno parte del quadrato del mondo, le cose
condizionano i mortali ciò a questo punto significa: le cose visitano di volta
in volta i mortali sempre e solo insieme col mondo. La prima strofa parla
nell’atto che dice alle cose di venire, la seconda strofa parla in modo diverso
dalla prima eccetera … qual è la questione qui? Importante perché ci sta
dicendo che c’è il mondo che è fatto di che cosa? “dei, mortali, cielo, terra”,
il mondo è ciò per cui le cose sono quelle che sono, adesso ve la dico in modo
molto più semplice e capirete subito: “le cose” sono gli enti, il “mondo” è
l’Essere. In questa posizione sta dicendo che senza il mondo cioè senza
l’“Essere”, che poi questo mondo, lui è preciso qui quando dice “la caduta
della neve” per esempio nel verso “porta gli uomini sotto il cielo che si
oscura inoltrandosi nella notte e il suonare della campana della sera li porta
come mortali di fronte al divino” cioè queste parole costruiscono la scena
entro la quale la “cosa” può apparire, come se fosse, adesso preciseremo
meglio, come se la “cosa” fosse una sorta di significante, adesso sto un po’
stravolgendo ma per farvi capire, il “mondo” il significato, senza significante
non c’è significato e viceversa, il significato cioè ciò che questa “cosa”,
questa parola produce, se lui nomina il “suonare della campana” è chiaro che
questo suonare della campana evoca qualcosa, evoca il divino, evoca la
religione, evoca tantissime cose, adesso lui ne cita solo una, ma potrebbero
essere sterminate ed è all’interno di questo che l’ente compare, Intervento:
come se le cose potessero apparire solo in questa scena che è il “mondo”…
Esattamente, però senza gli enti il mondo non c’è … Intervento: il mondo è la
totalità degli enti? Sì, esattamente, poi: Come il chiamare che nomina la cose
chiama presso e rimanda lontano, così il dire che nomina il “mondo” è invito a
questo a farsi vicino e al tempo stesso lontano. Cosa vuole dire che “chiama
presso e rimanda lontano” questo “chiamare”? le chiama le cose parlando, io
chiamo le cose quindi è come se me le avvicinassi ma mentre avvicino queste
cose, queste cose si allontanano anche, si allontanano perché di cosa sono
fatte? Intervento: c’è sempre quell’assenza di prima … Sì, queste parole sono
assenti, nel senso che non sono lì in quanto tali, sono lì sempre in quanto
riferite al mondo ecco: esso, il chiamare, affida il mondo alle cose e insieme
accoglie e custodisce le cose nello splendore del mondo, il mondo concede alle
cose la loro essenza. Quindi è questo mondo, questa scena, io adesso uso dei
termini che lui non usa ma solo per rendere le cose più semplici, è questo
“mondo” che dà alle cose la loro essenza, qui sembra essere ancora platonico,
questo mondo 3 potrebbe essere pensato come il mondo delle idee ed è
questo mondo delle idee che da alle cose, agli aggeggi la loro essenza. Le cose
d’altra parte fanno essere il mondo, il mondo consente le cose. Il parlare
delle prime due strofe parla nell’atto che sollecita le cose a venire verso il
mondo e il mondo verso le cose- tenete sempre conto che sta descrivendo cosa fa
il linguaggio: neppure però costituiscono soltanto una coppia, mondo e cose non
sono infatti realtà che stiano l’una accanto all’altra, esse si compenetrano
vicendevolmente, compenetrandosi i due passano attraverso una linea mediana, in
questo si costituisce la loro unità, per tale unità sono intimi linea mediana e
l’intimità, per indicare tale linea la lingua tedesca usa il termine “das …” il
“fra” “fra mezzo” la lingua latina dice “inter”, all’“inter” latino corrisponde
il tedesco “unter”. Intimità di mondo e cosa non è fusione - ora cominciate a
pensare a queste due cose “mondo e cosa” come significato e significante e
adesso vi dirò perché non è una fusione fra le due cose, pensate a De Saussure,
L’intimità di mondo e cosa regna soltanto dove mondo e cosa nettamente si
distinguono e restano distinti, nella linea che è a mezzo tra i due, nel fra
mezzo di mondo e cosa, nel loro “inter”, questo “unter, domina lo stacco. ora
adesso non so se è già il caso di dire qua, ecco qui comincia con la questione
della “differenza”: L’intimità di mondo e cosa è nello stacco, “Schied” “del
frammezzo” e nella “dif-ferenza” “Unter Schied”, il termine “differenza” è qui
sottratto all’uso corrente e consueto non indica un concetto generico nella cui
area rientrino molteplici specie di differenza, la “dif-ferenza” di cui qui si
parla esiste solo come quest’una e unica, la dif-ferenza regge, non però con
essa identificandosi, quella linea mediana nel modo e nella relazione alla
quale, e grazie alla quale, mondo e cose trovano la loro unità, l’intimità
della dif-ferenza è l’elemento unificante della diafora, di ciò che
differenziando porta e compone, la dif-ferenza porta il mondo al suo esser
mondo, porta le cose al suo esser cose, portandoli a compimento li porta l’un verso
l’altro. Il termine “dif-ferenza” non indica per ciò più una distinzione posta
tra oggetti del pensiero presentativo – Oggetti del pensiero presentativo sono
quelli che il pensiero mostra, presenta – né la differenza è solo una relazione
oggettivamente esistente tra mondo e cosa, che il pensiero presentativo
venendovisi a imbattere possa constatare, né la differenza è comunque relazione
tra mondo e cosa destinata ad essere in un ulteriore momento negata e trascesa
– cioè non può togliersi – la differenza di mondo e cosa fa che le cose
emergano come quelle che generano il mondo, fa che il mondo emerga come quello
che consente le cose. La dif-ferenza è la dimensione in quanto misura nella sua
interezza facendo essere nella sua propria essenza lo spazio di mondo e cosa,
la differenza come linea mediana di mondo e cose rappresenta generandola la
misura in cui mondo e cosa realizzano la loro essenza, nel nominare che chiama
“cosa” e “mondo” quel che è propriamente nominato è la dif-ferenza. – A questo
punto è ovvio che ciascuno di voi ha pensato necessariamente a Derrida, il
quale Derrida ha preso a man bassa da Heidegger ma tra breve sarà ancora più
evidente, lui, Derrida ha preso Heidegger e lo ha riletto con De Saussure dice:
“Questo chiamare” ricordate prima ha detto del chiamare: Questo chiamare è
l’essenza del parlare, la dif-ferenza è la chiamata dalla quale soltanto ogni
“chiamare” è esso stesso chiamato, alla quale pertanto ogni possibile
“chiamare” appartiene. // Il linguaggio parla in quanto suono nella “quiete”
(adesso dirà che cosa intende) la quiete acquieta, (ovviamente) portando mondo
e cose alla loro essenza, il fondare e comporre mondo e cose nel modo
dell’acquietamento è l’evento della dif-ferenza, il linguaggio, il suono della
quiete è in quanto “la dif-ferenza”, è come farsi evento, l’essere del
linguaggio è l’evenire della dif-ferenza. Il suono della quiete non è nulla di
umano, certo l’uomo è nella sua essenza parlante, il termine “parlante”
significa qui che emerge ed è fatto se stesso dal parlare del linguaggio. (lui
è preciso su questo cioè non è l’uomo che parla, è il linguaggio che parla, e
il linguaggio non è un ente, non è un oggetto al pari degli altri, infatti
quando la logica parla di “linguaggio oggetto” compie un abominio per Heidegger,
perché il linguaggio non è un oggetto, mai può essere oggetto dunque: In forza
di tale evenire l’uomo nell’atto che è dalla lingua portato a se stesso, alla
sua propria essenza continua ad appartenere all’essenza del linguaggio, al
suono della quiete (cioè è l’uomo che appartiene all’essenza del linguaggio non
viceversa) tale evento (il suono della quiete) si realizza in quanto l’essenza
del linguaggio (il suono della quiete) si avvale del parlare dei mortali per
essere dai mortali percepita come appunto “suono della quiete”, solo in
quanto 4 gli uomini rientrano nel dominio del suono della quiete, i
mortali sono a loro modo capaci di un parlare attuantesi in suoni. Il parlare
dei mortali è un “nominante chiamare”, (questo è fondamentale in Heidegger lo
ripeto “il parlare è un nominante chiamare”) è invito alle cose e al mondo
farsi presso muovendo dalla semplicità della differenza. La pura del parlare
mortale è la parola della poesia, l’autentica poesia non è mai un modo più
elevato della lingua quotidiana vero è piuttosto il contrario, che cioè il
parlare quotidiano è una poesia dimenticata come logorata nella quale a stento
è dato ancora percepire il suono di un autentico chiamare. Ecco la questione
che sta ponendo è esattamente quella che pone Derrida, questo suono, questo
suono silenzioso che non si sente ma che tuttavia è ciò che costituisce la
condizione della parola che chiama, beh è ciò che Derrida ha elaborato come
“differance”, lui usa per indicare questo suono che non c’è, usa questo esempio,
lui scrive in francese “difference” in francese si scrive così, però a
“difference” sostituisce alla e una a, scrivendo quindi “differance” che in
francese è scorretto perché si scrive “difference”, però dice anche cambiando
la e con la a, il suono della parola in francese “differance” non cambia, è
esattamente lo stesso cioè questa e non si sente, che metta la e o metta la a,
è uguale, non si sente, cioè quella cosa che lui chiama la “differance” è
esattamente questo suono muto, che tuttavia è quella cosa che consente alla
parola di essere tale e cioè di, mettiamola così, lui, forse dovrei aggiungere
qualcosa, lui, Derrida muove a queste considerazioni partendo da De Saussure,
dal segno di De Saussure “significante/significato” e quindi ciò che dice è che
questa barra è quella che divide il significante dal significato ma è quella
che compone il segno, senza questa barra che distingue il significante dal
significato il segno non c’è, però questa barra si scrive, si mette il
trattino, come faceva De Saussure, ma non c’è, non suona né nel significante né
nel significato ecco questa barra è la “dif-ferance”, è quella cosa che non
compare, che non ha suono però è la condizione perché il segno sia segno, cioè
perché la parola sia la parola è indeterminabile cioè questo suono di cui parla
qui Heidegger il “suono della quiete” è questo suono, senza questo “cosa e
mondo”, adesso la dico in modo molto rozzo ma si sovrapporrebbero l’uno altro,
l’ente, cesserebbe di essere tale perché l’ente è tale perché inserito all’interno
del mondo, e il mondo è tale perché esiste un ente che lo pone in essere,
esattamente come il significante e il significato. Heidegger non parla né di
significante né di significato, non gliene importa assolutamente nulla, per lui
il mondo è l’essere, è l’esserci “Dasein”. Ciò che a noi interessa invece è
intendere come anche in Heidegger si siano poste delle questioni molto precise
intorno al linguaggio, soprattutto rispetto al fatto che il linguaggio non è un
oggetto, non è una proprietà dell’uomo, non è una sua facoltà tra altre, ma è
il linguaggio che parla, ricordate la famosa asserzione di Lacan quando dice
“ça parle” cioè qualcosa parla, viene da qui ovviamente, è stato Heidegger a
porre la questione in termini precisi, tali per cui ha preso atto del fatto che
il linguaggio non è una proprietà, è questo che dice, non è una proprietà, non
è un ente, non è qualcosa di cui gli umani dispongano ma è il linguaggio che
parla. Che significa questo per quanto ci riguarda? Significa una cosa
importante: è il linguaggio a parlare e a costruire l’uomo, e anche le cose,
perché Heidegger dice che le chiama, le chiama alla presenza, però di fatto il
linguaggio è quella struttura, come andiamo dicendo da tempo, senza la quale
non sarebbe possibile per gli umani il dirsi tali, non sarebbe possibile
costruire nessun pensiero, nulla. Quindi lui dice che il linguaggio “chiama le
cose”, sì, le chiama nel senso che le crea, le produce letteralmente, e in
effetti non lo dice, forse lo usa da qualche parte, non usa la parola
“costruire” ma in ogni caso ciò che sta dicendo è che il linguaggio è quella
cosa che in un certo senso, adesso permettetemi di dire questa cosa che ad
Heidegger non piacerebbe, ma “preesiste” l’uomo in un certo senso, “preesiste”
tra virgolette, perché è come se il linguaggio fosse da sempre lì, è questo
mondo all’interno del quale qualche cosa può apparire. Ed è una posizione molto
interessante che per altro moltissimi hanno ripreso, tutti coloro che si sono
minimamente interrogati intorno al linguaggio in qualche modo hanno tenuto
conto di queste asserzioni di Heidegger, questo testo è celeberrimo “In cammino
verso il linguaggio” 5 Intervento: scusi, dicendo appunto dell’uomo e del
linguaggio, non dice che il linguaggio “costruisce” o “inventa” l’uomo, ma dice
che il linguaggio fa qualsiasi cosa, però non è giunto a dire che l’uomo non
esisterebbe in quanto uomo, se non ci fosse il linguaggio? Nel senso che
mantiene l’uomo un’entità che parla, che dice delle cose, o no? Dice in modo
molto chiaro: Il linguaggio fa dell’uomo quell’essere vivente che egli è in
quanto uomo, Dice ancora: La parola è cenno e non segno, nel senso di semplice
denotazione la logica ma anche la linguistica ha sempre considerato la parola
come un segno denotante qualche cosa, un segno linguistico che denota un
aggeggio qualunque, lui dice che la parola è cenno, accennare a qualche cosa,
alludere a qualche cosa, riferirsi indirettamente a qualche cosa, come dire
lasciare che questa cosa appaia senza una determinazione precisa, cioè senza
una denotazione, la denotazione appunto “de nota”, la denotazione dice qual è
il significato di una cosa, ricordate la differenza fra denotazione e
connotazione? Dicendo che la parola è cenno, qua nella parte in cui fa questo
dialogo ipotetico con un giapponese, è come dire che la parola indica qualche
cosa ma che è al di là della parola, la parola è un cenno in quanto indica il
mondo all’interno del quale questa parola è inserita, ma lo accenna, non lo
determina, non lo può determinare … Intervento: lo potrebbe determinare
l’esserci, “Dasein”? è l’“esserci” nel mondo che determina la cosa, ovviamente
di volta in volta … Sì, Heidegger oscilla però in genere tende a considerare
che l’essere non può stare senza l’ente, altre volte invece sembra dire che,
così notava Severino, che l’Essere possa darsi senza l’ente, cosa abbastanza
improbabile, è come dire “un significante senza un significato” che cos’è? È
niente. Intervento: non ho capito: che l’ente possa esserci senza l’essere,
significante senza significato? Heidegger dice che l’ente e l’essere non
possono darsi l’uno senza l’altro, così come, stavo dicendo, allo stesso modo
come il significante e il significato non possono darsi l’uno senza l’altro. In
questo senso dicevo, allora qui si riferisce a “Sein und Zeit”: Si trattava e
si tratta, era ed è, di evidenziare l’essere dell’essente, certamente non più
alla maniera della metafisica ma in modo che l’essere stesso si manifesti,
l’essere stesso, ciò significa la presenza di ciò che può farsi presente, (la
“presenza di ciò che può farsi presente”) vale a dire la differenza dei due
momenti sulla base dell’unità, è questa differenza che esige l’uomo per la sua
propria essenza … che è come dire cioè l’essere stesso, a questo punto se lui
lo pone come la differenza dei due momenti “cosa/mondo” sulla base dell’unità,
sulla base del fatto che sono inscindibili, dice che allora: è questa
differenza che esige l’uomo per la sua propria essenza cioè questa differenza
tra il fatto che mondo e cosa pur essendo assolutamente inscindibili sono
tuttavia separati, è da lì che l’uomo trae la sua essenza, dal fatto che il
significante e il significato cioè ogni parola che dice mostra si presentifica
qualche cosa, nel senso che chiama qualche cosa ma mentre chiama la cosa,
chiama anche il mondo all’interno del quale questa cosa è inserita e senza il
quale mondo non esisterebbe neppure … Intervento: è molto vicino alla
semiotica, in fondo parla di connessioni … Tutti coloro che si sono addentrati
in queste questioni, e questa è un’altra cosa che forse compare in ciò che vado
dicendo ultimamente, si sono trovati a interrogare questioni molto simili,
perché quando si incomincia a riflettere sul modo in cui funziona il linguaggio
è inevitabile accorgersi che la parola è all’interno di qualche cosa, per
Heidegger è il mondo, per Greimas non è più il mondo ma un contesto di segni
all’interno del quale il nucleo segnico acquista un significato, per la
psicanalisi è la parola che non si può intendere se a questa parola non vengono
associati tramite associazioni libere le connessioni alle quali è agganciata.
Modi di interrogare una questione che sono sì differenti però incontrano molto
spesso quasi una stessa direzione da seguire, quasi gli stessi elementi
Intervento: però l’uomo incontrando il mondo lo simbolizza nella parola? Può
accadere certo, siamo però già verso Lacan (lo evoca) sì evocandolo può anche
simbolizzarlo, se vuole, non è proibito. Ecco qui parla del “non pensato”
sempre riferendosi indirettamente alla differenza perché è l’impensato, non si
può pensare la differenza in quanto tale, così come non può 6 neanche
dirsi perché non c’è ma pur non essendoci in quanto ente costituisce, come dice
Heidegger quel suono muto che tuttavia è ciò che consente a questi due elementi
la cosa e il mondo di stare distinti ma al tempo stesso uniti. Intervento: …
non avevo conosciuto Heidegger su questo aspetto. All’Università … Su alcune
cosa ha riflettuto attentamente, soprattutto intorno al linguaggio qui
incomincia a parlarne in modo abbastanza esplicito già nel suo primo scritto
“Essere e tempo” poi mano a mano riflettendo intorno all’Essere si accorge che
una riflessione intorno all’Essere comporta una riflessione intorno al
linguaggio necessariamente (…) Il parlare inteso nella sua pienezza
significante trascende sempre la dimensione puramente fisico sensibile del
suono ovviamente il parlare non è soltanto il suono ma il linguaggio come
significato fattosi suono o segno scritto è qualcosa di essenzialmente
soprasensibile, qualcosa che perennemente oltrepassa il puramente sensibile, il
linguaggio così inteso è per sua costitutiva natura metafisico.) È la
metafisica che rappresenta, badate bene: si parla, si rappresenta, se si
rappresenta si compie un’operazione metafisica. Poi sul volere sapere: Il voler
sapere e l’avida richiesta di spiegazioni non portano mai a un interrogare
pensante, nel volere sapere si cela già sempre la presunzione di un auto
coscienza che si appella a una ragione auto fondata e alla sua razionalità, il
volere sapere non vuole che si stia in ascolto di fronte a ciò che è degno di
essere pensato … Intervento: è una forma di controllo Esattamente, e poi c’è la
seconda parte di cui ci occuperemo nel prosieguo perché ciò che stiamo facendo
è straordinariamente vicino a ciò che qui Heidegger ci sta dicendo, lui non ha
dubbi sul fatto che l’uomo è quello che è, perché c’è il linguaggio, non ha
nessun dubbio lo pone proprio nelle prime pagine il che comporta ovviamente
delle implicazioni, perché se l’uomo non è se non nel linguaggio allora, dice
lui giustamente, occorre porsi in ascolto del linguaggio, che non significa
ascoltare quello che qualcuno dice, ma porsi in ascolto del linguaggio e porsi
in ascolto della domanda che c’è nel linguaggio, nella chiamata che il linguaggio
è, il linguaggio è un chiamare le cose e fra le cose, chiama anche l’uomo
nonostante che sia l’uomo la condizione perché ci sia questa chiamata. Questa è
una questione sempre presente in Heidegger, infatti è stato accusato di
“umanismo”, “accusato” tra virgolette, mentre lui si è sempre difeso da questo,
la sua non è una posizione esistenzialista, ha dovuto attraversare
l’esistenzialismo perché l’unico esistente è l’uomo, questo accendisigari per
Heidegger non esiste, c’è, ma non esiste, solo gli umani esistono cioè soltanto
coloro che sono in condizioni di porre la domanda, questo aggeggio, questo
accendino non fa nessuna domanda. Per Heidegger l’uomo è il portatore in un
certo senso del linguaggio, forse non necessariamente l’unico, però a quanto ci
consta per il momento si, e questo, sempre per Heidegger, è fondamentale perché
l’uomo può trarre la verità, cioè la verità sull’essere e quindi il fatto che
l’essere non sia nient’altro che l’esserci dell’uomo in quanto progetto
ciascuna volta, solamente nel dialogo. Nel dialogo tra umani ovviamente, ma un
dialogo dove le cose si interrogano, dove si mantiene aperta la domanda non la
chicchera, il parlare per il sentito dire, il sentito dire vuole dire anche
averlo letto da qualche parte, ma non averlo interrogato in modo autentico.
Interrogare in modo autentico e lasciarsi interrogare dalla cosa: una qualunque
cosa pone delle questioni, per esempio “che cos’è?” o quando mi trovo
all’interno di un progetto su come posso utilizzare quella certa cosa, pone comunque
sempre delle domande, l’uomo è sempre all’interno di questo domandare,
continuamente. Questo è il domandare autentico, quello che si lascia
interrogare da ciò che sta dicendo, da ciò che sta facendo, le cose che sta
incontrando, non da colui che invece si precipita a dare la risposta o come
dicevo prima ha la fretta di sapere tutto dimenticandosi della domanda. Nella
parte successiva ci saranno delle cose molto interessanti da dire. per esempio
sulla poesia che per lui è importante perché la poesia accenna, e in questo
accennare lascia che la parola chiami le cose, senza fermarle, senza bloccarle,
senza mortificarle ma le lascia essere, lasciar essere questo è sempre stato
fondamentale per Heidegger. 7 20 maggio 2015 Heidegger prosegue: La ricerca
scientifica e filosofica mira da qualche tempo (siamo nel ‘59) in modo sempre
più deciso a costruire ciò che viene chiamato “metalinguaggio” (qui ce l’ha con
i filosofi analitici) giustamente pertanto la filosofia scientifica che si
prefigge di costruire tale super linguaggio, intende se stessa come
metalinguistica. Metalinguistica suona come metafisica, non soltanto suona
“come” ma è, la metalinguistica è infatti la metafisica della totale
trasformazione tecnica di ogni lingua in semplice strumento interplanetario di
informazione, metalinguaggio e sputnik, metalinguistica e tecnica missilistica
sono la stessa cosa. // (Poi cita una poesia, una poesia di Stefan George, il
titolo è Das Wort (la parola). Meraviglia di lontano o sogno io portai al lembo
estremo della mia terra e attesi fino a che la grigia Norna (Norna è la dea del
fato, del destino) il nome trovò nella sua fonte, meraviglia o sogno potei
allora afferrare consistente e forte ed ora fiorisce e splende per tutta la
marca. (la marca è un territorio di confine) Un giorno giunsi colà dopo un
viaggio felice con un gioiello ricco e fine, ella cercò a lungo e al fine mi
annunciò “qui nulla di eguale dorme sul fondo”, al che esso sfuggì alla mia
mano e mai più la mia terra ebbe il tesoro, così io appresi triste la rinuncia:
“nessuna cosa è dove la parola manca”. Un numero infinito di persone considera
non di meno anche questa cosa dello sputnik un prodigio, questa “cosa” che gira
vertiginosamente in uno spazio del mondo ove non è mondo, e per molti essa era ed
è tutt’ora un sogno, prodigio e sogno della tecnica moderna, la quale dovrebbe
essere la meno disposta a riconoscere valido il pensiero che sia la parola a
procurare alle cose la loro esistenza, non le parole ma le azioni contano nei
calcoli dell’ossessivo calcolare planetario, lasciamo la fretta del pensare,
non è proprio anche questa “cosa” quel che essa è, e così come essa è, in nome
del suo nome? Certamente. /…/ Se l’affrettare nel senso del massimo
potenziamento tecnico della velocità, di quella velocità nel cui spazio
temporale soltanto le macchine e i congegni moderni possono essere quello che
sono, (questi marchingegni sono quelli che sono perché esiste la velocità cioè
esiste il concetto di velocità) se l’affrettare dunque, non avesse parlato all’uomo
e non l’avesse posto sotto il suo comando, (sta parlando della tecnica
ovviamente) questo comando non avesse spinto e disposto l’uomo alla fretta, se
la parola di un tale disporre non avesse parlato non ci sarebbe nessuno
sputnik, nessuna cosa è là dove la parola manca. La parola del linguaggio e il
suo rapporto con la cosa, con qualunque cosa che è sotto il riguardo
dell’essere e il modo di essere della cosa stessa resta un enigma. (l’enigma
sarebbe il rapporto fra la parola e la cosa, ecco già questo dice delle cose
perché nessuna cosa è dove la parola manca, beh la dice già lunga sul fatto che
se non c’è la parola, se manca la parola non c’è nessuna cosa, non c’è nulla.
Questo Heidegger l’aveva inteso molto bene ovviamente, non è un caso che
riprenda questa poesia di Stefan George) Dice poi: l’ultimo verso infatti
appunto “nessuna cosa è dove la parola manca” in tedesco “Kein ding ist wo das
Wort gebricht” l’ultimo verso potrebbe allora avere anche un significato
diverso da quello di un asserzione e costatazione volta nella forma del
discorso indiretto che dice “nessuna cosa è dove la parola manca”, quel che
segue i due punti, dopo la parola “rinuncia” (perché ci sono due punti dopo
“così io presi triste la rinuncia: nessuna cosa è dove la parola manca”) non
indica ciò cui si rinuncia, ma indica l’ambito entro cui la rinuncia deve
immettersi, indica il comando a consentire e accordarsi al rapporto fra parola
e cosa ora esperito, (“ora” esperito nel momento in cui si dice allora si
esperisce la cosa, allora c’è la cosa, e la cosa è quello che è) ciò di cui il
poeta ha preso la rinuncia è la sua precedente opinione nei riguardi del
rapporto fra cosa e parola, rinuncia concerne il rapporto poetico con la parola
a lui fino a quel momento consueto, la rinuncia è la disposizione a un rapporto
diverso, nel verso “Kein ding sei wo das Wort gebricht” “sai” non sarebbe
allora sul piano grammaticale un congiuntivo (“sai” vuol dire “sia”,
l’indicativo è “ist”) al posto dell’indicativo “ist” bensì una forma dell’imperativo,
un ordine cui il poeta obbedisce per rispettarlo anche in futuro, nel verso
“nessuna cosa “sia” laddove la parola manca”, il “sia” significherebbe allora
“non considerare d’ora in poi una cosa come esistente dove la parola manca” (è
un imperativo categorico” e non so per quale via mi ha evocato le parole di
Parmenide “sulla via del non essere non ti ci incamminerai, ma seguirai la via
dell’Essere.” Con quel “sia” inteso come 8 comando, il poeta si dispone
ad accettare quella rinuncia per cui egli abbandona la convinzione che qualcosa
esista, già esista, anche quando la parola manca. (Non c’è già la cosa) Che
significa rinuncia? La parola “Verzicht” Rientra nell’aria del verbo
“verzeihen”; una locuzione antica dice “Sich eines Dinges verzeihen”, e significa
“abbandonare qualcosa” “rinunciarvi”. Zeihen corrisponde al latino dicere,
all’antico alto tedesco “sagan” (il sagen del tedesco moderno), da cui “saga”.
La rinuncia è un Entsagen, letteralmente un “disdire”. Nella sua rinuncia il
poeta dice “no” al suo precedente rapporto con la parola, questo soltanto? No.
Nell’atto in cui rifiuta qualcosa, già gli è stato destinata una chiamata alla
quale egli non si sottrae più. (nella sua rinuncia, dice, rinuncia soltanto
all’idea che qualcosa ci sia anche senza la parola? già questa è una bella
rinuncia. Rinuncia di fronte a ciò che incontro, a pensare che questa cosa che
incontro sia già lì prima che io la dica, prima della parola, non che io la
dica propriamente, però aggiunge no, non è proprio così, ciò a cui non si
sottrae è ciò che gli è stato destinato “una chiamata alla quale egli non si
sottrae più”. Chi lo chiama a quella maniera, se non la parola?) In termini più
chiari il poeta ha capito che solo la parola fa sì che la parola appaia e sia
pertanto presente come quella cosa che è, la rinuncia che il poeta apprende è
della natura di quella compiuta rinuncia alla quale soltanto è dato attingere
ciò che da lungo nascosto è propriamente già destinato. Il poeta esperisce la
sua vocazione di poeta come una chiamata alla parola, ma cosa raggiunge il
poeta? Non una semplice nozione, seguendo questa chiamata, egli giunge nel
rapporto della parola con la cosa, questo rapporto non è però una relazione fra
la cosa da una parte e la parola dall’altra (qui c’è la parola e lì c’è l’ente
e la relazione è in mezzo) la parola stessa è il rapporto che via via incorpora
e trattiene in sé la cosa, in modo che essa è una cosa. Sulle prime e per lungo
tratto pare che alla fonte del linguaggio (poi dirà che è la parola la fonte dell’Essere)
il poeta abbia bisogno di portare soltanto le meraviglie che lo incantano (qui
sta sempre commentando la poesia di George) e i sogni che lo estasiano, pare
che le parole che a quella fonte egli va, con non incrinata fiducia, a cercare
siano solo quelle che convengono a quanto di meraviglia e sogno ha preso corpo
nella sua fantasia, prima di allora il poeta, confermato in questo dalla felice
riuscita delle sue precedenti composizioni poetiche, era dell’opinione (qui sta
parlando di George) dell’opinione che le cose poetiche meraviglia e sogni
avessero già, da e per sé, garanzia di esistenza (come ciascuno pensa) e che
tutto consistesse poi nel saper trovare per esse anche la parola atta ad
esprimerle e rappresentarle. (non è questo il pensiero comune?) Sulle prime e a
lungo è parso che le parole fossero come pigli che afferrano ciò che già
esiste, ed è per sé esistente considerato, e ad esso danno consistenza ed
espressione portandolo così a bellezza. (qui ripete ancora una parte della
poesia): Qui meraviglia e sogni, là nomi che afferrano gli uni e gli altri fusi
in uno e la poesia era nata, tutto fuso insieme, bastava essa a quello che è il
compito del poeta dar vita a ciò che permane, perché duri e sia? Ad un certo
punto giunge però Stefan, per Stefan George il momento nel quale il poetare che
fino allora gli era stato consueto, quel poetare sicuro di sé viene bruscamente
meno riportandogli alla mente la parola di Hölderlin, ma ciò che permane
fondano i poeti, infatti un giorno il poeta arriva il viaggio per di più è
stato buono e anche per questo egli è pieno di speranza, dalla dea del destino
carica d’anni e chiede il nome per il gioiello ricco e fine che porta sulla
mano (questo gioiello ricco e fine è la parola) solo che lei chiede il nome della
parola (e questo crea qualche problema) questo non è meraviglia di lontano e
neppure sogno, la dea cerca a lungo ma invano, alla fine gli annuncia “nulla
d’eguale dorme qui sul fondo” (non c’è la parola per dire la parola, “nulla
d’eguale” cioè nulla che sia come il gioiello ricco e fine che gli sta sulla
mano) la parola capace di far essere quel gioiello che sta semplicemente lì
sulla mano quello che esso è, una tale parola dovrebbe scaturire da quella
sicura custodia che riposa nella quiete di un sonno profondo, soltanto una
parola veniente di lì potrebbe portare e fermare il gioiello nella ricchezza e
gentilezza del suo semplice essere. (Ripete le parole del poeta) “Nulla di
eguale dorme qui sul fondo” a tal dire esso sfuggì alla mia mano (questo gioiello)
e mai più la mia terra ebbe il tesoro. Il fine ricco gioiello che era lì sulla
mano non giunge all’essere di una cosa, non diventa tesoro cioè ricchezza
custodita nella poesia di quella terra, il poeta non precisa la natura del
gioiello che non poté divenire tesoro della sua terra ma che gli donò tuttavia
l’esperienza del 9 linguaggio, l’occasione di apprendere quella rinuncia
nella quale l’abdicazione corrisponde, da parte del rapporto fra parola e cosa,
l’assenso a un disvelamento, l’oggetto ricco e fine è cosa diversa dalla
meraviglia di lontano oppure sogno, se poi la parola canta il cammino poetico
proposto proprio di Stefan George è lecito pensare che nel gioiello sia
adombrata la delicata ricchezza della semplicità che nell’ultimo periodo della sua
attività si presenta al poeta come ciò che deve essere detto “la parola della
parola”. Qui Heidegger affronta una questione, poi diremo mano a mano, e se la
porta appresso perché ovviamente non ha soluzione cioè quella parola che è
all’origine della parola, e la Norna, la dea del destino, del fato glielo dice
qui “sul fondo non giace nulla di simile”, non c’è, non c’è il fine, il limite
del linguaggio, il punto da cui comincia. Certo che non c’è, Heidegger poi lo
allude, lo allude nel dire autentico del poeta e il dire autentico del poeta è
quello che ovviamente nel pensiero di Heidegger è quello che lascia dire
l’Essere, lo lascia apparire, lo disvela, l’ἀλήθεια. Però ciò che qui il poeta
cerca di fatto è la parola della parola, cioè l’essenza propriamente della
parola, ma qui si scontra contro un qualche cosa che non c’è perché è la parola
che dà l’essenza alle cose, dà l’Essere alle cose, e quindi ci vorrebbe un
altro Essere che dia Essere all’Essere della parola, la cosa non avrebbe più
senso. Heidegger lo pone come una sorta di enigma, però di fatto non possiamo
parlare di enigma quanto piuttosto del tentativo di dare anche alla parola o
meglio di trasformare la parola in ente, lui dirà tra un po’ che la parola non
è un ente al pari di qualunque altro, è un'altra cosa, è ciò che da l’accesso
all’ente, infatti lo dice utilizzando la poesia “nulla è là dove la parola
manca”, se nulla è là dove la parola manca è ovvio che anche la parola potrebbe
essere intesa come ente, ma a questo punto la cosa non funziona più. L’apparire
di qualche cosa che è il λόγος, lo vedremo più avanti, λόγος non inteso come il
discorso, il racconto, la ragione, nulla di tutto ciò, il λόγος è una delle
forme dell’Essere per Heidegger, è questo logos che consente l’apertura cioè il
linguaggio consente l’aprirsi della parola che nomina qualche cosa, nel momento
in cui nomina qualche cosa questa cosa è. C’è. Intervento: la parola è ciò che
differenzia l’istinto dalla pulsione … Intervento: l’uomo, diciamo, arrivando a
possedere la parola nominando gli oggetti, qualificandosi come possessore della
parola, identificandosi come ciò che padroneggia la realtà, come il bambino che
si distacca dall’uniforme primordiale sia come essere sociale, essere sociale
organizza la società che si differenzia dal gruppo indistinto dall’orda
primitiva, o comunque dai gruppi degli animali … Intervento: dal branco degli
animali, esattamente grazie, ecco possedendo la parola ecco io la intenderei
così … Heidegger ha un’opinione differente, perché dice: “quando poniamo una
domanda al linguaggio, una domanda sulla sua essenza, già del linguaggio deve
esserci stato fatto dono, non possiamo chiederci qualcosa sul linguaggio se già
non possediamo il linguaggio, se vogliamo porre una domanda sull’essenza,
sull’essenza cioè del linguaggio allora anche del significato di “essenza” ci
deve essere già stato fatto dono, domanda “a” e domanda “su” presuppongono qui,
come sempre, che ciò cui e su cui va la domanda abbia già fatto giungere la
parola sollecitatrice, ogni posizione di domanda è possibile solo in quanto ciò
che si fa problema ha già iniziato a parlare e a dire di se stesso. // (cita
ancora la frase: nessuna cosa è dove la parola manca) Accenna al rapporto tra
parola e cosa prospettando il modo che la parola stessa risulti il rapporto, in
quanto essa trae all’essere (la parola) e mantiene nell’essere ogni cosa
(qualunque essa sia), senza la parola che si identifica con la forza del
rapporto, il complesso delle cose, il mondo, sprofonda nel buio insieme all’io
che porta all’estremo lembo della propria terra, alla fonte dei nomi ciò che ha
incontrato di meraviglia e di sogno. Perché quel che ci interessa è
un’esperienza, un essere in cammino, noi oggi in questa lezione che segna il
passaggio tra la prima e la terza conferenza (in genere la seconda fa questo,
il passaggio fra la prima e la terza) rifletteremo sul cammino, è necessaria al
riguardo un’osservazione preliminare dato che la maggior parte di loro si
occupa in prevalenza di ricerca scientifica, (il pubblico che aveva)nelle
scienze la via al sapere va sotto il nome di metodo, “metodo” “μετα ὁδός”
“attraverso il cammino” “lungo il cammino”, il metodo non è specie nella
scienza moderna un puro strumento al servizio della scienza 10 anzi al
contrario è il metodo che ha assunto a proprio servizio la scienza. Questo
fatto è stato visto in tutta la sua portata per la prima volta da Nietzsche,
che così ne parla nelle annotazioni che seguono, queste fanno parte del corpus
degli inediti pubblicato postumo dal titolo “Der Wille zur Macht” “La volontà
di potenza”. La prima dice “ciò che caratterizza il nostro XIX secolo non è la
vittoria della scienza ma la vittoria del metodo scientifico sulla scienza”.
L’altra notazione incomincia con la proposizione “Le idee più importanti furono
trovate per ultime, ma le idee più importanti sono i metodi” in realtà anche
Nietzsche è giunto assai tardi a scoprire questo rapporto tra metodo e scienza
e precisamente l’ultimo anno della sua lucidità mentale nel 1888 a Torino.
Nelle scienze non solo il tema viene posto dal metodo ma viene immesso nel
metodo e vi resta sottoposto, la corsa folle, che oggi trascina le scienze
verso mete che esse stesse ignorano, ha la sua forza propulsiva nel
potenziamento e nel progressivo assoggettamento alla tecnica del metodo e delle
possibilità a questo intrinseche, nel metodo è tutta la potenza del sapere, il
tema rientra nel metodo. Bene vi lascio riflettere su queste questioni,
mercoledì prossimo riprendiamo questo testo. 27 maggio 2015 Vi rileggo la poesia
di Stefan George perché la riprende si chiama “La parola”, Das Wort: Meraviglia
di lontano o sogno io portai al lembo estremo della mia terra e attesi fino a
che la grigia Norna il nome trovò nella sua fonte, meraviglia o sogno potei
allora afferrare consistente e forte ed ora fiorisce e splende per tutta la
marca. Un giorno giunsi colà dopo viaggio felice con un gioiello ricco e fine,
ella cercò a lungo e alfine mi annunciò “qui nulla d’eguale dorme sul fondo”.
Al che esso sfuggì alla mia mano e mai più la mia terra ebbe il tesoro, così io
appresi triste la rinuncia “nessuna cosa è dove la parola manca”. C’è da dire
qui che la questione che sta ponendo questa poesia è interessante perché di
fatto sta chiedendo alla Norna di fornirgli, dicevamo l’altra volta, la parola
della parola, e cioè un qualche cosa che è fuori della parola e che dovrebbe
garantire l’essere della parola. Ovviamente cercare la parola fuori dalla
parola è un problema, tant’è che la Norna, saggia, dice “qui nulla d’eguale
dorme sul fondo” e allora lui ha appreso la rinuncia: non troverà mai qualche
cosa che da fuori della parola possa garantire la parola… Intervento: sarebbe
il significato del significato? Non esattamente, perché il significato del
significato è ancora un altro significato, quindi un altro termine, un altro
elemento linguistico, qui cerca invece proprio la garanzia, cioè il qualche
cosa che è fuori dal linguaggio e che dia alla parola la sua consistenza.
“Nessuna cosa è dove la parola manca” accenna al rapporto tra parola e cosa,
prospettandolo in modo che la parola stessa risulti il rapporto, in quanto essa
trae all’essere e mantiene nell’essere ogni cosa, qualunque essa sia. //
Infatti fra le primissime cose cui diede voce il pensiero occidentale rientra
il rapporto tra cosa e parola e precisamente nella figura del rapporto tra
essere e dire, questo rapporto sorprende il pensiero in modo così subitaneo e
sconvolgente da dirsi in una sola parola, esso suona “λόγος”, ma ancora più
sconcertante è per noi il fatto che in tutto questo non si fa un’esperienza
pensante del linguaggio, nel senso cioè che il linguaggio stesso in base a quel
rapporto giunga propriamente a dirsi. Cioè sta dicendo che il linguaggio non
“si dice” nel senso che non c’è modo di aggirare il linguaggio, di uscire dal
linguaggio e poi di lì parlare del linguaggio sapendo di che cosa si sta
parlando, non c’è uscita dal linguaggio Se sempre il linguaggio ricusa, in
questo senso, la sua essenza (cioè non dice mai che cosa realmente è, perché
appunto dovrebbe uscire fuori dalla parola) allora questo rifiuto fa parte
dell’essenza del linguaggio (il rifiuto della Norna). Il linguaggio non solo si
trattiene così in se stesso nel nostro corrente parlarlo, ma trattenendosi esso
in sé, con la sua origine nega la sua essenza a quel pensiero presentativo nel
quale comunemente ci muoviamo, per questo non possiamo nemmeno più dire che
l’essenza del linguaggio sia il linguaggio dell’essenza (come diceva prima) a
meno che la parola “linguaggio” non indichi nel secondo caso qualcosa d’altro
che cioè quel rifiuto dell’essenza del linguaggio a dirsi, proprio esso, parla.
(In altri termini sta dicendo che il linguaggio non dice se 11 stesso, si
trattiene dal dire di se stesso nell’accezione che indicavo prima, e cioè come
se volesse parlare da fuori il linguaggio per dire che cos’è esattamente il
linguaggio, si trattiene dal fare questo. Heidegger dice che non possiamo
nemmeno più dire che l’“essenza del linguaggio sia il linguaggio dell’essenza”
come diceva prima e cioè che l’essenza del linguaggio, ciò che è più proprio al
linguaggio è il linguaggio dell’essenza, il linguaggio dell’essenza è quel
linguaggio che parla di ciò che è proprio, a meno che, dice, questo linguaggio
non lo si intenda nelle due cose in modo differente e cioè nel secondo caso
intendendo che è proprio lui che parla e cioè il linguaggio dell’essenza è ciò
che parla continuamente, il linguaggio dell’essenza vale a dire sarebbe, per
dirla con Heidegger, il “dire originario”, quel dire cioè che muove nel momento
in cui è qualcosa, qualcosa appare e questo dire lascia che ciò che appare
interroghi, ciò che si dice, a questo punto, il “λόγος” ciò che fa esistere le
cose, a questo punto è lui, è soltanto lui che parla. Qui c’è adesso forse
qualcosa che è ancora più chiaro, dice:) “Nessuna cosa è (sia) dove la parola
manca”. Così suona la rinuncia del poeta e noi abbiamo aggiunto che qui viene
in evidenza il rapporto fra cosa e parola. (Il rapporto tra cosa e parola è
importante perché è ciò che la metafisica ha sempre cercato di stabilire con
certezza, lì c’è la parola e lì c’è la cosa, però è un problema come dicevamo
la volta scorsa, è la questione tipica della metafisica e cioè il problema del
“terzo uomo” come diceva già Aristotele, cioè c’è un terzo elemento che deve
fare da tramite tra i due, il problema è che questo terzo elemento che deve
consentire il bloccarsi di questa relazione tra cosa e parola, anziché compiere
questo rinvia la cosa all’infinito, perché poi dopo il “terzo uomo” c’è il
quarto, c’è il quinto c’è il sesto e così via all’infinito e quindi non
raggiungerà mai la cosa): Abbiamo anche detto che “cosa” (lui lo mette tra
virgolette) indica qui ogni possibile essente quale ne sia il modo d’essere.
(cioè qualunque cosa) Abbiamo detto ancora riguardo alla parola, che questa non
solo sta in rapporto con la cosa ma porta la cosa che di volta in volta nomina,
la cosa in quanto essente che è e tale, “è”(tra virgolette) in questo
reggendola, trattenendola, dandole per così dire il sostentamento a essere cosa,
questo sarebbe il parlare autentico (la parola che fa essere ciò che dice, nel
momento in cui dice le cose è in quel momento che esistono, che sono quello che
sono. È questo che sta dicendo. Conseguentemente abbiamo detto che la parola
non si limita ad essere in rapporto con la cosa ma che la parola stessa è ciò
che porta e serba la cosa come cosa. (che è ancora di più che “la parola stessa
è la cosa”, perché la parola è ciò che porta e “mantiene” e fa perdurare la
cosa in quanto cosa, dice che la “parola in quanto ciò che porta e serba è il
rapporto stesso”. Qui badate bene che dice “è il rapporto stesso” anzi l’ha già
detto varie volte, come dire che questo rapporto tra parola e cosa è la parola
stessa, quindi non c’è più la parola e la cosa ma c’è una relazione tra parola
e cosa, nel senso che la parola rende la cosa quella che è, e solo la parola
può farlo, cioè il λόγος, e questo è la parola. Qui si potrebbe anche fare un
accenno alla questione della metafisica, così come trascorre da Platone fino a
Heidegger, non è altro che lo spostare una cosa presente a una cosa che
presente non è, e che deve dare il senso, il significato a ciò che è presente,
da qui tutte le distinzioni dalle più antiche alle più recenti: “sensibile –
ultrasensibile”, “immanente – trascendente”, “significante – significato”,
“enunciazione – enunciato”, l’ultimo in ordine di tempo: “conscio – inconscio”.
Per questo dico che tutta questa struttura è metafisica, è metafisica sempre in
questa accezione ovviamente, cioè ciò che questo significato di “metafisica”
che, come dicevo, trascorre da Platone fino ad Heidegger, indica che ciascuna
volta in cui qualche cosa deve la sua esistenza, la sua essenza, il suo
significato, a qualche cos’altro, questa è una struttura metafisica. Che ha degli
effetti ovviamente, perché comporta la supposizione che una certa cosa sia
quello che è in base a quell’altra, quindi quell’altra dà alla prima il suo
significato, lo ferma, lo blocca e che quindi questo secondo elemento
costituisca l’essenza, potremmo quasi dire, del primo, bloccandolo nel
significato, ciò che potrebbe, dico “potrebbe”, consentire un passo fuori,
ammesso che sia possibile, dalla metafisica. È da considerare che invece ciò
che dà il significato al primo elemento costituisca anche questo un elemento
che trae il proprio significato da altro, poi da altro, poi da altro ancora e
così via all’infinito, a questo punto non c’è la possibilità di bloccare un
significato 12 ovviamente, ma questo significato, come ci dice la
semiotica, non è altro che un rinvio continuo, infatti, a quella serie di
contrapposizioni potremmo anche aggiungere quella di Greimas, cioè i sememi
danno un senso ai semi nucleari ché da solo, di per sé, il sema nucleare non
significa niente. Ora è chiaro che è il linguaggio che è strutturato così, per
questo da tempo sto dicendo che la metafisica illustra il modo in cui il
linguaggio funziona, né più né meno, per cui non hanno neanche tutti i torti i
metafisici a dire che non c’è uscita dalla metafisica. Posta in questi termini in
effetti non c’è uscita dalla metafisica, e neanche attraverso la via immaginata
da Heidegger ovviamente): La “parola per la parola” non è dato trovarla là dove
il destino dona il linguaggio (cioè se c’è il linguaggio allora la parola per
la parola non c’è, una parola che dica la parola in modo definitivo, l’ultima
parola sulla parola, non c’è, non si trova perché c’è il linguaggio, il
linguaggio che nomina e fa essere, quindi non c’è), linguaggio che nomina e fa
essere per l’essente, non c’è la parola che dica l’essenza del linguaggio,
perché questa sia e come essente splenda e fiorisca la parola per la parola un
tesoro certamente ma un tesoro non conquistabile per la terra del poeta, e per
il pensiero? Può il pensiero? Quando il pensiero cerca di meditare la parola
poetica (cioè la parola autentica per Heidegger) questo si rivela: la parola,
il dire non ha essere. Il nostro modo corrente di concepire si ribella quando
gli si propone un pensiero così audace. Scritte o parlate ognuno pur vede e
sente delle parole, esse sono. Possono essere come cose, realtà afferrabili dai
nostri sensi, basta solo per far l’esempio più banale aprire un dizionario è
pieno di “cose” stampate, certamente puri vocaboli, non una sola parola, poiché
la parola grazie alla quale i vocaboli si fanno parola, un dizionario non è in
grado né di captarla né di custodirla, dove dobbiamo andare a cercare la
parola? dove il dire? Dall’esperienza poetica della parola ci viene un cenno
che può essere di grande aiuto: la parola non è cosa, nulla di essente, invece
noi abbiamo cognizione delle cose quando per esse c’è a disposizione la parola
allora la cosa è. Ma qual è la natura di questo “è”, “la cosa è” ? e questo “è”
è anch’esso una cosa sovrapposta a un’altra, messale su come un cappuccio, noi
non troviamo mai questo “è” come cosa sopra altra cosa, per questo “è” la
situazione è la stessa che per la parola, questo “è” non fa parte delle cose
che sono più di quanto non lo faccia la parola. (sta dicendo che la parola non
è, nel senso dell’Essere, cioè come lo intende la filosofia comunemente, e cioè
come ente, qui allude al fatto che la parola non sia determinabile, così come
lo è per esempio un vocabolo, un lessema, quindi intende con parola ovviamente
un’altra cosa.) Improvvisamente ci risvegliamo dalla sonnolenza di un pensare
frettoloso, e scorgiamo qualcosa di diverso in ciò che l’esperienza del
linguaggio dice, riguardo alla parola gioca il rapporto fra questo “è” che per
sé non è, e la parola che si trova nella stessa situazione che cioè non è nulla
che sia, (qui sta cercando di complicare le cose, adesso vediamo se) né l’“è”
nella parola hanno l’essenza della cosa, (l’abbiamo detto prima: non sono enti)
l’Essere né ha il rapporto con l’“è” la parola al quale è affidato il compito
di concedere via, via un “è”, (sta dicendo che né questo è, quando diciamo che
“la parola è qualcosa”, questo “è” per lui costituisce un problema, diciamo “la
parola è”, “è” cosa? infatti né l’“è” né la parola in questa frase hanno
l’essenza della cosa, cioè non hanno l’Essere) né ha (soggetto l’Essere) il
rapporto fra l’“è” e la parola, ciò non di meno, né l’“è”, né la parola e il
dire di questa, possono venire cacciati nel vuoto del niente (non sono niente,
qualcosa pur sono) Che indica l’esperienza poetica della parola quando il
pensiero riflette su di essa? Essa rimanda a quel degno d’essere pensato,
pensare il quale si pone al pensiero fino dai tempi più antichi e anche se in
modo velato come suo proprio compito, esso rimanda a quello di cui in tedesco
può dirsi “es gibt senza che possa dirsi “ist” cioè è, “gibt” “esso dà” “si
offre”, di ciò di cui può dirsi “est gibt” fa parte anche la parola (adesso
incomincia a intravedersi che cosa intende con quello che sta dicendo “la
parola non è, propriamente, ma è ciò che si dà, ciò che si offre”.)forse non
solo anche, ma prima di ogni altra cosa, in modo tale che nella parola e nella
sua essenza si cela quello che “gibt” appunto “dà”, nella parola si cela quello
che essa stessa da. Della parola pensando con rigore non dovremmo mai dire “es
ist” cioè “essa è” ma “es gibt”, ciò non nel senso di quando si dice “es gibt
Worte” “qualcosa dà la parola” ma nel senso che la parola stessa dà, non è
qualcosa che dà la parola ma è la parola che dà, la parola: la datrice. Ma che
dà la parola? 13 secondo l’esperienza poetica e la tradizione più antica
del pensiero la parola dà: l’Essere (ecco perché prima diceva che la parola non
è l’Essere, la parola dà l’Essere) Ma se così stanno le cose allora in quel
“es, das gibt” “esso, il dare” noi dovremmo pensando cercare la parola come ciò
stesso che dà e mai è dato. La parola “es gibt” si trova in tedesco usata in
molteplici modi, si dice per esempio “es gibt an der sonningen Halde Erdbeeren”
“ci sono fragole sul pendio soleggiato”, “là ci sono le fragole”, nella nostra
riflessione “es gibt” è usato diversamente non “des gibt …” “si dà la parola”
ma “es das Word gibt…” cioè “essa la parola dà”. Quando Freud dice “Wo es war,
soll Ich werden” questo “es” può essere inteso benissimo come “qualcosa” “là
dove qualcosa era occorre che io avvenga” è una delle traduzioni che sono state
fatte di questa frase. Così dilegua completamente lo spettro dell’“es” davanti
al quale molti e a ragione trovano sconcerto, ma ciò che è degno di essere
pensato resta, si fa anzi evidente, questa realtà semplice e inafferrabile che
noi indichiamo con l’espressione “es, das word, gibt” si rivela come ciò che
propriamente è degno di essere pensato e cioè che “essa” la parola da, per la
determinazione di questo mancano ancora da per tutto i termini di misura forse
il poeta li conosce ma il suo poetare ha appreso la rinuncia e tuttavia con la
rinuncia nulla ha perduto (la rinuncia era quella del poeta di avere quella
parola che dice la parola stessa, a questo rinuncia perché la Norna dice che
non ce l’ha) il gioiello però gli sfugge certamente ma sfugge nella forma
comportata dall’esser per esso negata la parola (questo gioiello sfugge, ma
sfugge in che senso? Sfugge perché gli sfugge la parola per dirlo) Negare è
trattenere ma qui appunto si rivela l’aspetto sorprendente del potere proprio
della parola, il gioiello (che è la parola) non si dissolve affatto nell’inerte
insignificanza del niente, (qui si riferisce a quando prima diceva, che la
parola non è Essere, non ha l’Essere) la parola non sprofonda nella banale
incapacità di dire (non è che la parola non può dirsi perché non siamo capaci a
dirla, dice:) no, il poeta non abdica alla parola tuttavia il gioiello si
sottrae nel mistero che riempie di stupore … per questo il poeta come dicono i
versi introduttivi al canto medita anche più di prima, compone ancora, compone
cioè un dire e in forma anche diversa da quella di prima. (ecco qui dicendo che
non è la parola che si dà, ma è la parola che dà, ovviamente pone la parola come
già aveva fatto in precedenza come λόγος in quanto Essere, nell’accezione che
indica Heidegger ovviamente, cioè di “Dasein” “esserci”) Se però l’affinità tra
poetare e pensare è quella del dire, allora siamo portati a supporre che
l’evento domini come quel dire originario con il quale il linguaggio ci dice
della sua essenza, il suo dire non si perde nel vuoto esso ha già sempre
raggiunto il segno, che altro è questo segno se non l’uomo? Che l’uomo è uomo
solo se ha risposto affermativamente alla parola del linguaggio, se è assunto
nel linguaggio perché lo parli (ovviamente, questo dicevo è importante perché
la presenza dell’uomo è ciò che fa, per Heidegger, la possibilità stessa
dell’esserci, “esserci” riguarda l’esistente, l’esistente è l’uomo. Per questo
si trova a dire molto spesso che l’Essere è il dialogo da uomo a uomo, perché
la parola abita l’uomo. Anche le nuove teorie cioè i metodi della misurazione
dello spazio e del tempo, la teoria della relatività e dei quanti e la fisica
nucleare, non hanno cambiato in nulla il carattere parametrico di spazio e
tempo (in tutte queste discipline i concetti di spazio e tempo sono sempre
esattamente gli stessi, quelli per esempio di Anassagora) e nemmeno sono in
grado di produrre un simile cambiamento, se ne fossero capaci ne verrebbe a
crollare l’intero apparato della moderna scienza tecnica della natura. (perché
non avrebbe più questi parametri sui quali è stata costruita ogni cosa) Tutto
parla contro, in primo luogo la caccia alla formula fisica capace di interpretare
il cosmo in termini matematici, la famosa teoria del “Tutto”, sennonché ciò che
spinge al perseguimento affannoso di tale formula non è primariamente la
passione personale dei ricercatori, ché questi si trovano ad essere quel che
sono in forza di un esigenza prepotente che coinvolge e domina il pensiero
moderno nella sua globalità, fisica e responsabilità, “bello!” e nella
difficile situazione di oggi importante, ma resta una partita doppia dietro la
quale si cela un passivo che non può essere sanato né da parte della scienza,
né da parte della morale, sempre poi che sanabile sia. (Naturalmente poi qual è
questo passivo che rimane? La dico così brutalmente “è il non sapere ciò che
stanno facendo”, con tutto ciò che questo comporta ovviamente, poi ecco
l’ultimo capitoletto si chiama “la parola”. Qui fa delle domande, tre domande)
: (Ripete di nuovo il verso 14 finale “Nessuna cosa è (sia) dove la
parola manca) Si è tentati di trasformare il verso finale in un’asserzione
“Nessuna cosa è dove la parola manca” dove qualcosa “es gebrit” “manca” cioè
c’è una frattura, un danno, “recar danno a una cosa” vuol dire sottrarle
qualcosa, farle mancare qualcosa, non c’è cosa dove la parola manca, solo
quando c’è la parola per dirla la cosa è, (allora ecco le tre domande): 1) Che
è la parola per avere tale potere? 2) Che è la cosa per avere bisogno della
parola per essere? 3) Che significa qui “essere”, dal momento che appare come
un dono conferito alla cosa dalla parola? (qui riassume in una parola tutto ciò
che ha detto nel libro praticamente. Cioè l’Essere stesso appare come “un dono
conferito alla cosa dalla parola”, qui è chiarissimo … Intervento: risponde
alle domande poi, perché qui è un po’ antropocentrico? Si può dire anche di
Heidegger che sia antropocentrico, anche se a lui non sarebbe piaciuto, infatti
per lui l’uomo è oggetto di interesse, cioè l’esistenzialismo, solo perché si
accorge che l’esistenza dell’uomo è la condizione per potere fare un discorso
sull’Essere, cioè dice che non c’è l’Essere senza l’uomo, cioè senza colui che
parla, senza colui che fa essere le cose.) Il primo verso della poesia dà la
risposta “meraviglia di lontano o sogno” “nomi” per quello di cui al poeta
giunge notizia di lontano come di cosa meravigliosa o per quello che lo visita
nel sogno, l’uno e l’altro sono considerati dal poeta senza ombra di dubbio
come realtà reali, come qualcosa che è, realtà che egli tuttavia non vuole
tenere per sé ma vuole rappresentare, per questo occorrono i nomi. Tali nomi
sono parole per mezzo delle quali ciò che già è e per tale è tenuto, assume
così consistente concretezza che da quel momento splende e fiorisce e così
facendo esercita tutta la regione e il dominio che è proprio della bellezza … i
“nomi” sono le parole che rappresentano (Qui si può intendere in due modi,
perché “i nomi sono le parole che rappresentano” può intendersi sia in questo
modo e cioè che i nomi sono parole che rappresentano qualche cos’altro, ma
anche che “i nomi rappresentano altre parole”. I nomi sono le parole che rappresentano
parole rappresentanti altre cose, oppure i nomi sono le parole che
rappresentano, sono le parole stesse che rappresentano i nomi,) Essi (i nomi)
propongono all’immaginazione ciò che già è, grazie alla loro virtù
rappresentativa i nomi testimoniano il loro decisivo dominio sulle cose, è
l’esigenza stessa dei nomi che porta il poeta a poetare, per raggiungerli egli
deve prima giungere con i viaggi là dove … Sono due casi, nel primo caso
potremmo dire che “nomina sunt consequentia rerum” nel secondo “nomina non sunt
consequentia rerum” “i nomi sono la conseguenza delle cose” nel secondo “i nomi
non sono la conseguenza delle cose”. I nomi che la fonte custodisce (qui si
riferisce sempre alla poesia di Stefan George) sono come qualcosa che dorme,
che ha bisogno solo di essere destato per servire come rappresentazione delle
cose, nomi e parole sono come un solido patrimonio finalizzato alle cose, che
poi viene utilizzato per rappresentarle, sennonché la fonte, alla quale fino a
quel momento il dire poetico ha attinto le parole cioè i nomi che rappresentano
la realtà, non dona più nulla. Quale esperienza fa qui il poeta? Soltanto
quella che quando si tratta del gioiello portato sulla mano il nome non si
trova? (il gioiello è sempre la parola) soltanto quella che ora il gioiello
deve sì restare senza nome, ma può tuttavia restare sulla mano del poeta? No,
altro accade e ha dello sconcertante, ma sconcertante non è né il fatto che
manca il nome, né il fatto che il gioiello scompare con il mancare della parola,
è quindi la parola che trattiene il gioiello nel suo essere presente: (cioè la
parola trattiene se stessa) la parola, nient’altro che la parola lo prende e lo
porta a tale esser presente e in questo lo serba, la parola presenta
improvvisamente un altro più alto potere, non è più solo la presa sulla realtà,
come presenza già colta dall’immaginazione, quella presa che consiste nel dare
un nome, non è soltanto mezzo per rappresentare ciò che sta dinnanzi, al
contrario (qui veniamo alla questione) è la parola che conferisce la presenza
cioè l’Essere, nel quale qualcosa si manifesta come essente, quest’altro potere
della parola trae su di sé l’attenzione del poeta in modo brusco e improvviso,
al tempo stesso però la parola che ha quel potere manca, perciò il gioiello
dilegua, non per questo si dissolve nel nulla, resta un tesoro che poi il poeta
non potrà mai custodire nella sua terra, (che cosa si dilegua, che cosa manca?
Qui non siamo nella questione della “mancanza a essere”, siamo al fatto che ciò
che manca è quella parola che da fuori del linguaggio finalmente dica che cos’è
veramente la parola. Il nome che si dà alla parola è un’altra parola, non è
qualcosa che da fuori 15 dovrebbe garantire che sia esattamente quella
cosa. E qui insiste sul fatto che la parola fa sì che la cosa sia, cosa
tutt’altro che irrilevante) Il tesoro e la terra del poeta mai giunge a
possedere, è la parola per l’essenza del linguaggio, la potenza e la vita della
parola scorta d’improvviso (qual è la potenza della parola? il fatto di fare
essere le cose) il suo essere e operare vorrebbe pervenire alla parola, alla
sua propria parola ma la parola, per l’essenza della parola, non viene
concessa. La parola che dica che cosa veramente è, è questo che non viene
concesso, è questo che manca, in questo senso diceva. L’ultimo capitoletto “In
cammino verso il linguaggio” che poi dà il nome al testo. Ecco qui parla
dell’¡λήθεια: il testo di Aristotele evidenzia con un dire chiaro e sobrio
quella classica struttura in cui si cela l’essenza del linguaggio inteso come
parlare, le lettere indicano i suoni, i suoni indicano le affezioni dell’anima,
le affezioni indicano le cose che colpiscono l’anima, il “mostrare” “das
Zeigen” è quello che costituisce e regge l’intera impalcatura, in modo vario,
velando e disvelando, esso il mostrare, porta qualcosa ad apparire, fa che ciò
che appare sia avvertito e ciò che viene avvertito sia considerato (cioè
esista) quando riflettiamo sul linguaggio in quanto linguaggio già abbiamo
abbandonato il modo di procedere rimasto finora consueto nella riflessione sul
linguaggio. Non possiamo più andare alla ricerca di concetti generali come
“energia” “attività” “lavoro” “forza spirituale” “visione del mondo”,
espressione sotto i quali condurre il linguaggio come un caso particolare di
tale generalità. Anziché spiegare il linguaggio come questa o quest’altra cosa
fuggendone in tal modo lontano, il cammino verso il linguaggio vorrebbe fare
esperire il linguaggio come linguaggio, nell’essenza del linguaggio, il
linguaggio è sì compreso, ma afferrato per mezzo di altro da esso è il famoso
metalinguaggio (di cui diceva prima il metalinguaggio come metafisica) se
volgiamo invece l’attenzione unicamente al linguaggio come linguaggio, questo
pretende allora da noi che mettiamo finalmente in evidenza tutto quello che fa
parte del linguaggio in quanto linguaggio (è quello che ho cercato di fare in
questi anni intendendo che cosa fa funzionare il linguaggio) Nel parlare
rientrano i parlanti, ma il rapporto tra parlanti e parlare non è riducibile a
quello tra causa ed effetto (se no sarebbe come dire che qualcosa dà la parola,
mentre lui è stato preciso, “è la parola che dà”, ma cosa dà? Le cose,
l’Essere.) I parlanti trovano piuttosto nel parlare il loro essere presenti,
presenti a che? A ciò con cui parlano, presso cui dimorano in quanto realtà che
sempre già li riguarda, è quanto dire “gli altri, le cose, tutto ciò che fa che
queste siano cose, queste precise cose e quelli gli altri quei concreti altri”
(questo fa la parola, fa esistere tutte queste cose qui) A tutto questo ora in
un modo, ora in un altro già sempre è andato l’appello del parlare. // Ma come
sono pensati il parlare e il “parlato”, nel breve racconto che si è
precedentemente fatto del linguaggio? Essi si rivelano già come ciò per cui e
in cui qualcosa si fa parola, giunge a farsi evidente in quanto qualcosa è
detto. Dire e parlare non sono la stessa cosa, uno può parlare, parla senza
fine, e tutto quel parlare non dice nulla, un altro invece tace, non parla e
può col suo non parlare dire molto, ma che significa dire, “sagen” in tedesco?
Per esperire questo è necessario attenersi a ciò che la lingua tedesca già
costringe a pensare con la parola “sagen”. “Sagan” significa “mostrare” “far
che qualcosa appaia” “si veda” “si senta” // Ciò che fa essere il linguaggio
come linguaggio è il dire originario “die saghe” in quanto “mostrare” “die
Zeige”, il mostrare proprio di questo non si basa su un qualche segno ma tutti
i segni traggono origine da un mostrare nel cui ambito e per i cui fini
soltanto acquistano la possibilità di essere segni. (Ma non sta proprio in
questo mostrare, nel fatto che tutti i segni traggono origine da un mostrare
che si impianta la metafisica stessa, la sua stessa possibilità? Ma ne
riparleremo perché è una questione tutt’altro che semplice) // (siamo alla fine
volevo riprendere le tre domande che faceva prima, adesso possiamo rispondere a
ciò che si è domandato): Il dire originario è mostrare, in tutto ciò
(ricordate: il dire originario è mostrare. Questo è il dire originario per
Heidegger) in tutto ciò che ci volge la parola, che ci tocca come oggetto di
parola o parola, che ci si partecipa, che in quanto non detto è in attesa di
noi, non solo ma in quello stesso parlare, che noi veniamo mettendo in atto, che
è operante il mostrare sempre e comunque, in virtù di questo che ciò che è
presente appare, ciò che è assente dispare. Questo (è sempre il dire originario
il soggetto) dischiude ciò che è presente nel suo esser presente (che sembra
una ripetizione inutile “dischiude il suo essere presente nel suo essere
16 presente” ma il fatto che qualcosa sia presente per Heidegger non è così
automatico, occorre qualcosa che dischiuda, apra l’orizzonte entro il quale
qualche cosa può essere presente, non basta che sia presente perché che sia
presente da sé non significa niente se non c’è il linguaggio che fa essere
presente.) il dire originario domina compone in unità la libera distesa di
quella radura … da dove viene il mostrare? La domanda vuol sapere troppo e
troppo in fretta (non è che possiamo sapere tutto subito) gioverà accontentarsi
di osservare la natura e l’origine del moto presente nel mostrare, non è
necessaria qui una lunga ricerca è sufficiente l’intuizione repentina, non
obliabile e perciò sempre nuova, di ciò che, sì, è a noi familiare, ma che noi
tuttavia lungi dal riconoscere nel modo che ci conviene neppure cerchiamo di
conoscere, questa realtà sconosciuta e non di meno familiare da cui ogni
mostrare del dire originario trae il proprio moto, è per ogni essere presente
ed essere assente l’alba di quel mattino nel quale soltanto può trovare inizio
la vicenda del giorno e della notte. Alba che insieme l’ora prima e l’ora più
remota tale realtà appena ci è dato nominarla, essa è l’“ort” che non tollera
“Er-örterung”. Il tempo che non concede di essere raggiunto perché è luogo di
tutti i luoghi e di tutti gli spazi del gioco del tempo, noi la chiameremo con
una parola antica e diremo: ciò che muove nel mostrare del dire originario è lo
“Eignen”. Lo Eignen adduce ciò che è presente e assente in quello che gli è
proprio, cosicché emergendone la cosa presente e assente, si rivela nella sua
vera identità e resta se stessa. // Il linguaggio non si irrigidisce in se
stesso nel senso di un narcisismo di tutto dimentico tranne che di sé, come
sarebbe potuto apparire, (eventualmente) come dire originario il linguaggio è
il mostrare appropriante, che appunto prescinde da sé per dischiudere così per
mostrare la possibilità di rilevarsi nella figura che gli è propria, (cioè il
linguaggio consente alla cosa di mostrarsi e permette anche alla cosa di
mostrarsi per quello che è. Il linguaggio è questa possibilità delle cose di
essere quelle che sono. Ma non toglie alle cose il fatto che sono quelle che
sono.) Il linguaggio che parla dicendosi cura che il nostro parlare, ascoltare
il dire che non ha suono, corrisponda a quel che esso (linguaggio) viene
dicendo, in tal modo anche il silenzio che non di rado si pone a fondamento del
linguaggio, come sua scaturigine, è già un corrispondere (corrispondere alla
chiamata del dire, ovviamente, cioè del λόγος. La conclusione sarà a questo
punto la risposta a quelle tre domande.) Poiché noi uomini, per essere quelli
che siamo, restiamo immessi nel linguaggio, né mai possiamo uscirne e posarci a
un punto da cui ci sia dato circoscriverlo con lo sguardo, noi vediamo il
linguaggio sempre solo in quanto il linguaggio stesso già si è affissato su di
noi (appoggiato su di noi, fissato su di noi) ci ha appropriato a sé, il fatto
che del linguaggio ci è precluso il sapere, (perché per sapere sul linguaggio
bisognerebbe uscire dal linguaggio e tutte queste storie) il sapere inteso
secondo la concezione tradizionale fondata sull’idea che conoscere sia
rappresentare, non è certamente un difetto bensì il privilegio grazie al quale
siamo eletti e attratti in una sfera superiore, in quella in cui noi assunti a
portare a parole il linguaggio dimoriamo come immortali insomma siamo fortunati
ad essere parlanti. Allora le tre domande alle quali potete, a questo punto,
rispondere voi stessi: Che è la parola per avere tanto potere? È l’Essere è il
logos. Perché la parola ha tanto potere? Perché è ciò che in quanto Essere è
ciò che consente alle cose di apparire, ma che è la cosa per avere bisogno
della parola per essere? La parola ha bisogno della parola per essere la cosa,
e quindi è quella cosa che diventa cosa soltanto se la parola la fa essere
cosa. Terza domanda: che significa qui Essere dal momento che appare come un
dono conferito alla cosa dalla parola? che significa qui Essere? Λόγος,
nient’altro che λόγος e bell’è fatto. Ecco, io vi ho fatto considerare queste
cose perché non è tanto il fatto del contenuto delle affermazioni di Heidegger
quanto il modo in cui approccia la questione del linguaggio, in un modo che lui
direbbe “non presentativo” cioè non mostra, non dice che cos’è il linguaggio
come fa la linguistica, come fa la filosofia del linguaggio, come fa la
filosofia in generale approcciando il linguaggio come ente, perché sta qui la
differenza ontologica: ente/Essere. Il linguaggio è Essere non è ente. Sono
considerazioni interessanti che possono portare ad altre considerazioni,
possono aprire altre vie, per questo motivo vi ho letto alcune cose di questo
testo di Martin Heidegger. Alberto Caracciolo. Keywords: il
colloquio, in cammino verso il linguaggio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Caracciolo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51629253328/in/photolist-2mSEtHs-2mS81kq-2mS22wB-2mRjtgo-2mRfi2Y-2mPTwCM-2mPC6Zb-2mNzeEc-2mMQbzj-2mKF4aM-2mKGd6B-2mKCdPg-2mEiqh9-2dxgYk4
Grice e Caramella – gl’eroi di Vico –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo. Grice:”I like
Caramella – like me, he is into the metaphysics of conversation! And he reminds
me that I should re-read Vico!” -- Grice:
“I like Caramella; he prefaced Fichte’s influential tract on ‘la filosofia
della massoneria’ – but also wrote on more orthodox subjects like Kant,
Cartesio, Bergson, and most of them!” – Grice: “Like me, he thought truth is
found in conversation!” Ancora al liceo, comincia a collaborare con Gobetti, il
quale gli affida la trattazione della filosofia su “Energie Nove”. Dopo un primo contatto con PGobetti e La
Rivoluzione liberale, su segnalazione di questi, entra in collaborazione con Radice,
da cui apprese le dottrine del neo-idealismo di Croce e Gentile. Dopo la
laurea, insegna a Genova. Per le sue idee antifasciste fu arrestato e rinchiuso
prima nelle carceri di Marassi a Genova, e poi fu trasferito a San Vittore a
Milano; fu scarcerato, ma venne sospeso dall'insegnamento e dalla libera
docenza. Ottenne, per intercessione di Croce, l'incarico di filosofia a
Messina. Vinse la cattedra a Catania. Prese parte ai convegni organizzati dalla
Scuola di mistica fascista Insegna a Palermo,
ereditando la cattedra che era stata di Gentile. Il suo allievo principale, che
ne cura il lascito, è Armetta, docente alla Pontifica Facoltà Teologica di
Sicilia. La sua vasta cultura, gli
permise di vedere la continuità della filosofia antica romana classica e e, nell'ambito
della filosofia italiana, l'unità delle opposte dialettiche nella legge vivente
dello spirito e nel dinamismo della natura e della storia. Apprezzato storico
della filosofia. La sua filosofia si può definire un neo-idealismo crociano e
gentiliano, ma reinterpretatto alla luce dello spiritualismo. La sua filosofia
supera lo storicismo e la dottrina crociana degli opposti e dei distinti, e si
esprime nell'interpretazione della pratica come eticità storica.. La religione
e la teosofia rappresentano la possibilità dello spirito attento da un lato
alla concretezza dell'uomo e dall'altro all'ineffabilità. Lo spirito, anziché
risolversi nella filosofia, colloca il proprio progresso in intima unità con il
progresso della filosofia stessa: da un lato è esclusa la riduzione dello
spirito ad atteggiamento pratico; dall'altro, le è conferito una distinta
funzione teoretica. Altre opere: “Problemi
e sistemi della filosofia, Messina); “Religione, teosofia e filosofia”; “Logica
e Fisica” (Roma); “La filosofia di Plotino e il neoplatonismo” Catania);
Ideologia”; “Metafisica, filosofia dell'esperienza”; “Metalogica, filosofia
dell'esperienza” (Catania); “Autocritica, in: Filosofi italiani contemporanei,
M.F. Sciacca, Milano); “L'Enciclopedia di Hegel, Padova); “La filosofia dello
Stato nel Risorgimento, Napoli); “Introduzione a Kant, Palermo); “Conoscenza e
metafisica, Palermo); “La mia prospettiva etica, Palermo); “Carteggio con Croce.
Carteggio. La dialettica del vero e del certo nella "metafisica
vichiana" di Caramella, in Miscellanea di scritti filosofici in memoria di
Caramella, Palermo. Ontologia storico-dialettica di Caramella.Lo spirito nella
filosofia di Caramella.Caramella. La verità in dialogo. Carteggio con Radice.Dizionario
biografico degli italiani. Il linguaggio come auto-analisi. 2 S. Caramella , La cultura ligure nell’alto Medioevo, in
II Comune di Genova, La recente V ita d i G io rd a n o Bruno, con
documenti e ined i t i 1, in cui Vincenzo Spampanato lia potuto finalmente
sintetizzare oltre vent’anni di ricerche bruniane, mi suggerisce l’opp o r tu n
ità di un breve eenno sul soggiorno del filosofo nella n o s tra regione, così
sulla base di quanto lo Spampanato ha messo novamente in luce come su quella
delle antiche notizie da lui rinfrescate. Cel resto l’unica seria esposizione
dei fatti che stiamo per narrare era, prima delle dotte pagine dello
Spampanato, nella biografia del Berti2: ma sommaria e imprecisa per molti
rispetti. Arrivò il Bruno in Genova poco prima della domenica delle Palme, nel
1576: anno in cui la festa cadeva il 15 aprile? Cont raria m en te al parere
del Berti, il quale sostiene non essere capace di prova che il filosofo sia
entrato nella nostra città, dobb iam o infatti tener presente una scena del
Candelaio dove tino dei protagonisti giura, entrando in scena, sulla «
benedetta coda dell’asino, che adorano i Genoesi’3 », e il passo correlativo
dello S p a c c io d e lla B e stia trio n fa n te , che dice proprio così : «
Ho visto io i religiosi di Castello in Genova mostrar per breve tempo e far
baciare la velata coda, dicendo: non toccate, baciate: questa è la santa
reliquia di quella benedetta asina che fu fatta degna di p o rt ar il nostro
Dio dal monte Oliveto a Jerosolina. Adoratela, baciatela, -porgete limosina:
Centum accipietis, et vita aeternam p o s s id e b itis 4 ». I « religiosi di
Castello» sono, è evidente, i Domenicani di Santa Maria di Castello, dove
uffiziavano fin dal secolo X V 5 : e la preziosa reliquia doveva certo esser
mostrata 1 Messina, Principato, 1921-22. Vedi, per l’argomento di questa com
unicazione, a pp. 269-273. 3 Torino, Paravia, 18691; 18892. 3 ed. Spampanato
(Bari, Laterza), pag. 29. 4 ed. Gentile (D ial. m orali di G. B., ivi, 1608),
pp. 185-186. Q u e t if e t E c h a r d , S c rip t. ord. praed., t. il, p. in.
Società Ligure di Storia Patria - biblioteca digitale - 2012 GIORDANO BRUNO A
GENOVA E IN LIGURIA 49 al p opolo nella precisa circostanza della c o m m e m o
r a z io n e del giorno in cui Gesù discese trionfante su ll’asina a G e r u s
a l e m m e 1. Il Bruno veniva da Roma, um ile fu ggiasco. A v ev a avu to
notizia che il processo istruttorio p endente presso l’ in q u isiz io n e, per
i sospetti di erodossia avanzati contro di lui, n o n a n n u n ziava buon
esito: e così, deposto l’ abito, si diresse verso la valle Padana. Più tardi
raccontò egli stesso, ai giu d ici di V enezia, di essere andato subito a N
oli. Ma è prob abile c h e la peste, da cui quella plaga fu proprio in quel
torno di rem po violentemente aiflitta, lo abbia genericam ente con sigliato a
v o lgersi verto la Liguria, contrada m eno infetta, o non ancora raggiunta dal
contagio, e a fermarsi alm eno qualche g io r n o a G e nova. Le sarcastiche
espressioni dello Spaccio ci fanno im m aginare agevolmente il Bruno là sulla
piazzetta della vetusta ch iesa romanica, pieno l’animo non già di ammirazione
estetica perla caratteristica facciata o per gli ornamenti molteplici dell’
interno, eh’ è tutto un m usaico di con q uiste orientali, - e tan to m e n o
di interesse psicologico e religioso per la folla affluente ed effluente dal
tempio, - ma di cruccio e di sd eg n o : lui da p o c o a ccostatosi alle nuove
idee dei riformatori oltremontani, lui per questo costretto a fuggire di patria
e dall’ am ato co n v e n to napoletano di San Domenico Maggiore, dove gli
allievi p endevano dalla sua parola, dottamente teologizzante. La peste arrivò
presto, anzi subito, anche a G e n o v a ; a Milano l’ ambasciatore veneto
Ottaviano di Mazi ne aveva già n o tizia tre giorni dapo il 15 aprile, il m
ercoled ì s a n t o 2. E allora il Bruno, com e ci attestano, questa volta, più
veracem ente, le sue note dichiarazioni ai giudici veneti, se ne a n d ò a N
oli. Forse il ricordo dantesco, che per lui u m anista p oteva con tar qualche
cosa, e la simiglianza del nom e con quello della sua Nola; forse la
persistente libertà della piccola repubblica, e anche, chissà, qualche lettera
di raccomandazione, qualche c o n siglio di amico lo spinsero in quel tranquillo
rifugio, l’ u n ic o veramente tranquillo per lui nella storia delie sue lunghe
peregrinazioni. « Andai a Noli, territorio g e n o e se , d ove m i intrattenni
quattro o cinque mesi a insegnar la gram m atica a’ putti ». « Io 1 P e r la s
t o r i a d ella re liq u ia v. Im b r ia n i, N a ta n a r II in P ropu
gnatore, Vili, 1 (1875), p. 190-91. 3 M u tin e lli, Storia arcana ed
aneddotica d’Italia, vol. 1, lib. li, pp. 306-307, Società Ligure di Storia
Patria - biblioteca digitale - 2012 50 stetti in Noli.... circa quattro o
cinque mesi, insegnando la grammatica a’ figliuoli e leggendo la Sfera o certi
gentiluomini...1 ». Lo Spam panato, per ragioni di coerenza con ulteriori dati
biografici, pensa che il soggiorno sia durato un po’ più di quattro mesi; e
cioè dalla fine d ’ aprile 1576 ai primi del 1577. C o m u n q u e, le
occupazioni del Nolano a Noli sono ben chiare: l’ esule cercava di trar qualche
mezzo di vita con lezioncine private. Ma anche « leggeva la Sfera a certi
gentiluomini »: la Sfera, cioè il famoso trattato di Giovanni da Sacroboseo,
professore alla Sorbona e monaco domenicano quasi contemporaneo di Dante: che
si soleva considerare come perfetta e sintetica esposizione di una teoria
fisico-geometrica fondamentale per l’astronomia tolemaica, (la teoria delle
sfere celesti), e che Γ insinuarsi dell’ ipotesi copernicana aveva, nella
seconda metà del Cinquecento, rimesso in gran voga2. Persino a Noli era d u n q
u e penetrato il novello interesse del secolo per i problemi astronomici ; perfino
a Noli alcuni giovani signori sentivano il b i s o g n o di stipendiare un
povero erudito piovuto di lontano perchè spiegasse loro il sistema del mondo. E
il Bruno cominciava di quia occuparsi direttamente di quelle indagini che fur o
n o oggetto delle polemiche da lui sostenute in Inghilterra e che formano
l’argomento della Cena delle Ceneri. Non possiamo n atu ralm e n te sapere (a
meno che venissero fuori i quaderni di q u e s t e sue legioni liguri) s’ egli
già a Noli professasse la dottrina copernicana, servendosi della Sfera per
criticare il sistema tolem aico: o invece, come il Galilei ne’ suoi corsi allo
Studio di Padova, si limitasse all’illustrazione del classico libretto. Un
sacerdote napoletano, anzi padre Iazzarista, Raffaele de Martinis, che p otè
consultare gli atti del Santo Uffizio, asserisce nella sua biografia del B ru
no3 che a questi fu intentato in Vercelli un processo (che sarebbe il quarto
dopo i primi due di Napoli 1 D occ. veneti, vili, c. 8 r-v. (SPAMPANATO, p.
6Ç8). 2 Vedi A. P e l l i z z a r i , Il quadrivio nel Rinascimento (Genova,
Perrella, 1924). 3 G . Bruno (Napoli, 1889), p. 12-13. Ma cfr. L. A mabile, in
A tti A cc. S cienze mor. e politiche di Napoli, vol. xxiv, pp. 468-469 n.; e s
p a m p a n a t o , op. cit.., p. 273 n. (e anche T occo in Arch. fiir Gesch. d
e r P h ilo s., IV, 1891, pp. 346-50; B onghi, ne La Cultura, Γ-15 ott. 1889,
pp. 585-86; G en til e , G. Bruno e il pensiero del Rinascimento, [Firenze,
Vallecchi 1920, pp. 63-64. Società Ligure di Storia Patria - biblioteca
digitale - 2012 GIORDANO BRUNO A GENOVA E IN LIGURIA 51 e il terzo di Roma) «
dalla Inquisizione dello Repubblica g e n o vese»: ma dell’asserzione
importantissima (secondo la quale si potrebbe proprio pensare aver il Bruno
palesato ancora una volta la sua eterodossia nell’insegnamento di Noli) il De
Martinis non dà, e confessa di non aver potuto trovare, le prove. E la notizia
non pare affatto fondata, posto che manca ogni riferimento a questo processo
genovese nei posteriori documenti processuali di Venezia, e di Roma dove pur
dovrebbe trovarsi, posto che a Vercelli non ci consta che il Bruno facesse
soggiorno (nè quindi l’inquisizione genovese avrebbe avuto ragione alcuna di
perseguirvelo), ma solo vi passò nel 1577. « Eppoi me partii de là [da Noli] ed
andai prima a Savona, dove stetti circa quindeci giorni; e da Savona a Turino,
dove non trovando trattenimento a mia satisfazione venni a Venezia per il P o 1
». Da Venezia, di lì a due mesi, a Padova; da Padova a Brescia, Bergamo,
Milano. Qui rivestì l’ abito, e poi per Buffalora, Novara, Vercelli, Chivasso,
Torino, Susa arrivò alla Novalesa, sotto il Cenisio. Un giorno ancora e fu in
Francia, oltre monti, lanciato per la gran carraia della Sua fortuna. T r o
verà onori, trionfi accademici, soddisfazioni di filosofo e di scrittore; ma la
queta pace di Noli, mai più. S antino C aramella 1 Docc. veti., c. 8La Logica
di Porto Reale. Con Prefazione del Prof. Santino ... Storia del pensiero e del
gusto letterario in Italia ad uso dei licei. La scuola di mistica
fascista e la discoperta del vero Vico L'azione combinata della storiografia al
bianchetto e della credulità strisciante fra le righe del conformismo
teologico, ha fatto sparire la notizia della sfida al neoidealismo, che fu lanciata
dalle avanguardie cattoliche inquadrate nella scuola milanese di mistica
fascista. In tal modo la memoria storica degli italiani è stata privata della
nozione necessaria a contrastare seriamente l'ideologia totalitaria e ad
avviare gli studi filosofici su un cammino di ricerca opposto a quello
tracciato dall'intossicante influsso del gramscismo. Un percorso, quella
anticipato dalla scuola di mistica fascista, che avrebbe messo capo ad
un'evoluzione del Novecento - un'autentica rivoluzione italiana - di segno
contrario al coatto e calamitoso trasferimento (narrato da Ruggero Zangrandi)
degli intellettuali fascisti nel partito di Palmiro Togliatti. L'accertata
esistenza di una forte opposizione cattolica alla filosofia di matrice
hegeliana, comunque, fa crollare i due pilastri della mistificazione comunista:
la leggenda della complicità cattolica con l'ideologia anticomunista prevalente
in Germania - leggenda sintetizzata dal calunnioso slogan «Pio XII papa di
Hitler» - e la rappresentazione degli intellettuali italiani nella figura di un
coacervo nazifascista, redento in extremis dalla longanimità del partito
staliniano. La vicenda degli oppositori italiani all'idealismo
rivela, invece, l'autonomia, la straordinaria vitalità e l'attitudine del pensiero
cattolico ad entusiasmare ed orientare i giovani studiosi, che avevano aderito
al fascismo senza separarsi dalla radice religiosa della patria italiana.
Curiosamente, l'autorità del pensiero cattolico si rafforzò nella prima fase
della II guerra mondiale, quando la Germania nazionalsocialista sembrava
avviata a vincere la guerra. Dopo che il governo italiano ebbe sottoscritto
l'alleanza con la Germania, il dubbio si era, infatti, diffuso fra i giovani,
causando la divisione dell'area fascista in due opposte scuole di pensiero: una
corrente maggioritaria, intesa a metter fine al dominio della cultura tedesca e
perciò risoluta a percorrere la via d'uscita indicata dalla tradizione
cattolica, e una corrente minoritaria, rimasta fedele ai princìpi
dell'idealismo e perciò decisa a seguire le avanguardie germaniche sulla via
del fanatismo e dell'estremismo anticristiano. Espressione del fermento in atto
durante quegli anni cruciali è un magnifico saggio di Nino Tripodi (1911 -
1988), giovane interprete delle novità introdotte nella scuola milanese di
mistica fascista dal cardinale Ildefonso Schuster e dal fondatore
dell'Università cattolica del Sacro Cuore, il francescano Agostino Gemelli
(confronta «Il pensiero politico di Vico e la dottrina del fascismo», Cedam, 1941).
Tripodi, grazie ad una profonda conoscenza della filosofia italiana tentò un
audace confronto tra lo storicismo cristiano di Giambattista Vico e la dottrina
politica di Benito Mussolini. L'affinità del fascismo e della
scienza nuova, nell'acuta analisi di Tripodi, non è causata dalle letture
(Mussolini, infatti, non cita mai Vico) ma dalla comune tendenza a riconoscere
che «maestra non è la mente di questo o quell'uomo che razionalmente pone un
principio, ma la storia delle attività di tutti gli uomini che si svolgono come
debbono svolgersi perché provvidenzialmente si compia la socialità che ad esse
è intrinseca». La scelta di Tripodi cade su Vico poiché «fu perenne nel suo
spirito la distinzione tra la sostanza divina e quella delle creature, tra l'essenza
o ragion di essere di Dio e quella delle cose create, come fu perenne ed
inequivocabile la inintelligibilità di Dio se ricercata nel mondo bruto della
natura anziché in quello della storia, nella quale la Provvidenza si manifesta,
chiamando gli uomini a collaboratori della divinità». Pubblicato nel 1941 e
presto rimosso dalla censura di sinistra e dall'indifferenza di destra, il
saggio di Tripodi raccoglie e approfondisce i risultati delle ricerche iniziate
da quegli studiosi cattolici (nel testo sono citati Emilio Chiocchetti, Giorgio
Del Vecchio, Francesco Amerio, Agostino Gemelli, Francesco Olgiati, Santino
Caramella, Francesco Orestano, Armando Carlini e Balbino Giuliano) che avevano
sostenuto l'irriducibilità della tradizione italiana alla filosofia tedesca,
confutando le tesi di Croce e di Gentile su Vico precursore dell'idealismo.
Tripodi afferma, ad esempio, che il pensiero fascista, per quanto concerne
l'ontologia, «ha sempre creduto nella finitezza dell'umano, riconoscendo che
esiste una parete invalicabile, sulla quale lo spirito umano non può scrivere
che una sola parola, Dio» mentre gli idealisti, convinti di sfondare quella
parete, «hanno spiegato la dottrina fascista attraverso il monismo
soggettivista o le dimostrazioni immanentistiche, falsando così gli
inequivocabili atteggiamenti dualistici di essa». Di qui il
ribaltamento della linea neoidealista e la scelta dello storicismo cristiano di
Vico quale orizzonte filosofico della tradizione vivente in Italia malgrado gli
apparenti successi della modernità: «La stessa barriera che Vico oppone, in
nome della genuinità del pensiero italiano al razionalismo, la oppone il
fascismo all'idealismo. Né Gentile, né Croce, anche se il primo ha la camicia
nera e cercò di darla al secondo pongono gli estremi della nostra dottrina».
Tripodi indica in Vico l'antagonista dell'irrealismo e del soggettivismo
dominanti nell'età moderna: «Vico non può essere idealista perché la sua
filosofia impugna Cartesio e fa impugnare in Kant gli iniziatori delle dottrine,
costruite unicamente su di una realtà interiore». La filosofia vichiana,
inoltre, è apprezzata perché rivendica la responsabilità dell'azione umana nei
fatti della storia «che altre indagini speculative avevano invece interpretato
o come involuti in una meccanica autonoma e materiale o come creazione ideale
definita dal pensiero che l'aveva posta. … La coscienza delle proprie virtù
creatrici della storia non deve però indurre l'uomo a dimenticare che la causa
prima di esse sta al di fuori della sua singolarità terrena. E non al di fuori
perché affidata al caso o al fato, ma perché contenuta nella volontà di Dio e
rappresentata nella linea tracciata dalla sua divina provvidenza».
L'invito a separare il destino dell'Italia fascista dalle chimere del razionalismo
e dalle suggestioni dell'attivismo prometeico e dell'amor fati, non poteva
essere formulato con maggiore chiarezza. Nelle penetranti tesi formulate da
Tripodi è in qualche modo anticipato lo schema della strategia culturale
elaborata, nel dopoguerra, dai pensatori dell'avanguardia cattolica (Giorgio
Del Vecchio, Nicola Petruzzellis, Michele Federico Sciacca, Augusto Del Noce,
Francisco Elias de Tejada, Rocco Montano, Francesco Grisi, Giovanni Torti) che
nella filosofia di Vico vedranno lo strumento adatto a contrastare e battere i
poteri dell'astrazione hegeliana trasferita, intanto, nella parodia inscenata
dal gramscismo. La posta in gioco era la corretta impostazione della dottrina
del diritto naturale, in ultima analisi la soluzione del problema riguardante
il rapporto tra la giustizia ideale e le cangianti leggi che i popoli producono
nel corso della loro storia. Dagli scritti giuridici di Vico, Tripodi trasse
una indicazione che gli permise di risolvere il problema senza nulla concedere
alle dottrine storicistiche contemplanti un pensiero dell'assoluto che evolve
nel tempo: «esiste non una separazione ma una diversa gradazione d'intensità
etica tra giustizia e diritto. La prima è un diritto naturale soprastorico, che
è patrimonio universale e depositario del sommo vero. Il secondo è dato
dall'insieme delle norme che il mondo delle nazioni partitamente elabora nel
suo progressivo avvicinamento alla giustizia». Di qui l'indicazione di due
altri motivi del consenso fascista alla scienza nuova: il fermo rifiuto delle
astrazioni suggerite dal contrattualismo e la confutazione delle teorie
utilitaristiche, che ritengono l'interesse materiale unica molla delle azioni
umane. Nella definizione del comune fondamento della teoria dello
Stato, Tripodi sostiene, pertanto, che nel pensiero di Vico come in quello di
Mussolini la Provvidenza fa prevalere la solidarietà sull'istinto egoistico:
«la provvidenza ha il suo più alto attributo nel senso della socialità che
perennemente richiama agli uomini, facendo loro vincere il senso egoistico per
cui vorrebbero tutto l'utile per se e niuna parte per lo compagno». Tripodi
conclude il suo ragionamento affermando che «l'unitario ordine di idee nel
quale relativamente alla concezione dello Stato si muovono la dottrina vichiana
e quella fascista» è dimostrato dalla condivisione del fine soprannaturale:
«l'uomo trova nello Stato l'organizzazione storica che gli consente di
realizzare quei principi morali conferitigli dalla divinità e con ciò di
assolvere alla sua stessa funzione trascendente di uomo». E' evidente che
l'identificazione della dottrina fascista con la filosofia vichiana era, per
Tripodi, un mezzo usato al fine rafforzare la convinzione sulla necessità,
imposta dai dubbi destati dall'alleanza con il nazionalsocialismo, di rompere
con la cultura prevalente in Germania e di condurre all'approdo cattolico le
vere ragioni dell'ideologia fascista. E' però incontestabile che
le tesi di Tripodi erano un ottimo strumento per estinguere l'ipoteca che la filosofia
tedesca aveva acceso sulla cultura italiana. Non a caso, nel dopoguerra,
Tripodi occupò un posto di prima fila nel gruppo degli intellettuali dell'INSPE
(Giorgio Del Vecchio, Carlo Costamagna, Carmelo Ottaviano, Ernesto De Marzio,
Vanni Teodorani, Giovanni Volpe, Gino Sottochiesa, Giuseppe Tricoli, Primo
Siena, Dino Grammatico, Gaetano Rasi) l'istituto che progettava la
trasformazione del MSI di Arturo Michelini in avanguardia di una moderna e
rigorosa destra cattolica. L'attenzione prestata da Pio XII all'evoluzione del
MSI in conformità alle tesi di Tripodi, aprivano le porte del futuro alla
destra. Il congresso del MSI, che doveva tenersi a Genova nel luglio del 1960,
doveva, infatti, approvare in via definitiva la lungimirante linea culturale e
politica di Tripodi, mandando a vuoto i progetti dell'oligarchia favorevole
all'apertura a sinistra. Purtroppo la tollerata (dai democristiani) violenza
della piazza comunista impedì lo svolgimento di quel congresso, respingendo il
MSI nel sottosuolo dionisiaco del pensiero moderno e nelle magiche grotte del
tradizionalismo spurio. La lunga immersione nell'area dell'indigenza filosofica
impoverì a tal punto la cultura di destra che, quando la discesa in campo di
Berlusconi offrì un'altra occasione all'inserimento nella politica di governo,
la classe dirigente del MSI, ottusa dalla retorica almirantiana ed espropriata
dal pensiero neodestro, non seppe produrre altro che le esangui e rachitiche
tesi di Fiuggi. Nato a Genova il 22 giugno 1902 da Eleucadio e da
Francesca Delfò, segui gli studi classici nella città natale. Ancora liceale,
nel maggio del 1919, cominciò a collaborare a Energie nuove di P. Gobetti, con
il quale aveva preso contatto epistolare fin dal 17 dic. 1918, dicendosi
lettore entusiasta del periodico e seguace della dottrina filosofica crociana.
Il Gobetti, ormai orientato verso interessi più specificamente politici, affidò
al giovane C. la trattazione sulla rivista dei temi filosofici. Dal luglio
1921, su segnalazione del Gobetti, Giuseppe Lombardo Radice cominciò ad
accogliere i suoi scritti su L'Educazione nazionale. In linea con
l'orientamento pedagogico idealistico del Lombardo Radice, fin dall'inizio
degli anni Venti il C. prese le distanze dal positivismo pedagogico con un
contributo (Studi sul positivismo pedagogico, Firenze 1921), nato proprio da un
suggerimento del pedagogista siciliano che nel dicembre 1919 glielo aveva
proposto come tema di studio. È qui osteggiato un pensiero ispirato agli
schemi dell'evoluzionismo deterministico e del positivismo scientifico; in
particolare e avversato il meccanicismo naturalistico biologicoevolutivo
(Spencer e Ardigò), cui viene opposta la concezione umanistica dell'educazione
di un Angiulli, di un Siciliani, di un Gabelli. Un'idea di fondo anima le
critiche del C.: è inutile ogni speculazione teoretica che non sappia apportare
nuove indicazioni pedagogiche per il miglioramento delle condizioni di vita
umana, sociale e pratica. Nello stesso orizzonte critico degli Studi si
muovono Le scuole di Lenin (Firenze 1921), La pedagogia di Vincenzo Gioberti
(ibid. 1922) e la Guida bibliografica della pedagogia, specialmente italiana e
recente (ibid. 1923), che faceva seguito alla Bibliografia ragionata della
pedagogia (Milano 1921) scritta in collaborazione con il Lombardo Radice.
Nutrito di idee democratiche, che gli facevano ritenere inadeguato per
l'obiettivo della costruzione di una "nuova Italia" il vecchio quadro
politico postunitario, il C. si impegnò politicamente partecipando alla
costituzione a Genova di un gruppo democratico di sinistra, che aveva tra i
leader Arturo Codignola. Dal 1920 collaborò sia all'Arduo, sia al quotidiano
socialriformista Il Lavoro. In particolare, tipico dei gruppo di
pedagogisti che, in certo qual modo, si ponevano nell'ambito del pensiero
gentiliano (verso cui anche il C. veniva avvicinandosi sulla scia del Lombardo
Radice, sia pure su posizioni autonome), è il tema dell'educazione come
strumento di realizzazione di una coscienza democratico-nazionale. Da qui,
anche per l'influsso delle idee gobettiane, l'attenta considerazione di quanto
veniva fatto in quel campo in Unione Sovietica, all'indomani della rivoluzione
bolscevica. In Le scuole di Lenin l'ammirazione con cui il C. guardava al piano
scolastico educativo diretto da Lunačarskij era determinata in concreto dalla
considerazione che si trattava di una rivoluzione culturale unica nella storia
dell'umanitàl tesa all'elevazione delle classi inferiori per farle partecipare
alla guida della società; la critica più forte, propria della formazione
laico-democratica del C., stava nella denuncia del carattere dogmatico delle
idee del Lunačarskij, quando questi sosteneva che la sua scuola del lavoro non
era disgiungibile dal sistema sociale comunista e dal controllo politico del
partito (pp. 106- 110). Conseguita la laurea in filosofia nel 1923, nel
1924 il C. ottenne presso l'università di Genova la libera docenza in storia
della filosofia e vinse il concorso per le grandi sedi per la cattedra di
filosofia, pedagogia ed economia negli istituti magistrali, ottenendo come sede
Genova. Frattanto la collaborazione con il Gobetti, che più che un sodalizio
intellettuale aveva costituito un formativo comune impegno politico-sociale
all'insegna del programma di democrazia liberale, lo portò in breve tempo allo
scontro con il fascismo ormai trionfante. Dell'ottobre 1925 è la diffida dei
prefetto di Torino contro la Rivoluzione liberale (alla quale il C. collaborava
dal febbraio 1922) e i suoi redattori. La conferma di questo impegno politico e
intellettuale, il C. la offrì ulteriormente curando la pubblicazione postuma di
Risorgimento senza eroi (Torino 1926) del Gobetti e continuando a far uscire
IlBaretti fino al 1928, pur orientando la rivista sempre più verso temi
letterari e filosofici onde evitare scontri ancora più aspri con il regime. Nel
1926, grazie al Croce, che ormai era divenuto per lui - come per tanti altri
antifascisti - "maestro di libertà", assunse la direzione della
collana "Scrittori d'Italia" edita da Laterza. Nel maggio di quell'anno
fu costretto a rinunciare alla collaborazione all'Enciclopedia Italiana, a cui
era stato invitato dal Gentile, per gli atttacchi mossigli dalla stampa di
regime. Il dissenso dalla politica del fascismo ne provoco l'arresto il
21 apr. 1928; rinchiuso prima nelle carceri. di Marassi a Genova e quindi
trasferito a S. Vittore a Milano, fu scarcerato il 6 luglio dello stesso anno.
Il 16 genn. 1929 venne sospeso dall'insegnamento e dalla libera docenza. Le
accuse - come si legge in una lettera al Croce del 5 febbr. 1929 (in Il
Dialogo, 1980) - erano tra l'altro di aver collaborato "al giornale
socialistoide-democratico Il Lavoro" di Genova e di aver avuto rapporti
con l'associazione antifascista Giovane Italia, insomma di essere "in una
condizione di incompatibilità con le direttive generali del governo".
Scagionato anche grazie all'intervento del Croce, il C. fu riammesso
all'insegnamento il 9 aprile e la libera docenza gli fu restituita con d. m.
del 21 giugno 1929. Venne però destinato all'istituto magistrale di Messina,
dove prese servizio dal 16 settembre. Dall'ottobre di quell'anno ottenne
l'incarico di filosofia e storia della filosofia e di pedagogia presso il
magistero dell'università di Messina. Mantenne questi incarichi finché, nel
1933, vincitore di più concorsi, fu chiamato a coprire la cattedra di pedagogia
nell'università di Catania. Nel 1935 passò alla cattedra di filosofia teoretica
(che terrà fino al 1950), conseguendo nel 1936 l'ordinariato. Furono
questi anni di studio intenso. Pur nel crocianesimo di base, si intravvede in
Religione, teosofia, filosofia (Messina 1931) e in Senso comune. Teoria e
pratica (Bari 1933) lo sforzo di plasmare un proprio e originale impianto
teoretico. In dialogo con i principali pensatori dell'idealismo tedesco e
italiano, il C. si misura particolarmente con la crociana logica dei distinti.
L'indagine si muove sul terreno dell'attività teoretico-pratica dello Spirito.
Particolarmente Religione, teosofia, filosofia rappresenta questo tentativo
compiuto dal C. per una revisione del sistema idealistico: vi è fatta emergere
l'esigenza di un pensiero spirituale più attento da una parte alla concretezza
dell'uomo e dall'altra alla ineffabilità di Dio. Perseguendo tale assunto,
nella ricerca di un ordine della verità oltre la logica e la nozione di storia
del Croce, il C. ripercorre in Senso comune le tappe storiche del pensiero
occidentale, ricostruendo la genesi della dualità dello Spirito nella filosofia
greca e poi seguendola nel suo sviluppo e nel suo problematicizzarsi nel
pensiero moderno. La concezione della filosofia come educazione e storia, la
stretta connessione tra la filosofia e la sua storia pongono il C. medianamente
tra il Croce e il Gentile, e tuttavia nel senso di una sicura indipendenza dal
loro pensiero. La sua posizione teoretica può essere così schematizzata: la
teoresi è fondamentalmente caratterizzata dalla dialettica dei distinti, mentre
la prassi genera lo scontro tra gli opposti; la sintesi dei distinti non è un
tertium quid da essi distinto, ma consiste nella loro stessa inscindibile
relazione. La loro circolarità consente, come riaffermerà in Ideologia (Catania
1942), di guardare alla pratica come alla realizzazione della teoria, così che
si può parlare e di un finalismo teoretico della pratica e di un finalismo
pratico della teoria. All'approfondimento critico dei neoidealismo
italiano, il C. affianca l'approfondimento del rapporto tra ricerca filosofica
e fede religiosa. Egli mantiene costante il dialogo tra filosofia, scienza e
fede nelle trattazioni della piena maturità: Ideologia (Catania 1942),
Metalogica: filosofia dell'esperienza (ibid. 1945), Metafisica vichiana
(Palermo 1961), in cui è auspicata la possibilità della sopravvivenza del
problema metafisico nell'orizzonte di una metafisica rinnovata, Conoscenza e
metafisica (ibid. 1966). In quest'ultima opera è affrontato il rapporto
verità-conoscere, con l'intento di delimitare i confini del sapere scientifico
e di affermare razionalmente la capacità di intelligere la realtà della rivelazione.
Qui la religione, anziché risolversi nella filosofia, colloca il proprio
progresso in intima unità con il progresso della filosofia stessa: da un lato è
esclusa la riduzione della religione ad atteggiamento pratico; dall'altro, le è
conferita una distinta funzione teoretica. La piena adesione del C. allo
spiritualismo cristiano, dunque, fa si che sia elusa la riduzione della
filosofia a metodologia, senza dover rinunciare alla fondamentale esigenza di
criticità, e che l'interesse si concentri su quelle istanze spiritualistiche,
invero in lui presenti dagli anni giovanili sia come atteggiamento di vita - lo
si evince dalle Lettere dal carcere del 1928 - sia come ricerca originale di
pensiero. In tal senso, l'adesione allo spiritualismo cristiano va dunque letta
più nella prospettiva della continuità, dinamica e perciò trasformantesi e
trasformante, che in quella della svolta. Durante la sua lunga e proficua
attività accademica, il C. ricoprì numerose cariche, tra cui quella di preside
della facoltà di lettere e filosofia dell'università di Catania (1943-45); fu
presidente di sezione del British Council di Catania (1944-50) e presidente di
sezione della Società filosofica italiana a Catania (1947-50) e a Palermo
(1951-72); fu anche presidente di sezione dell'Associazione pedagogica
italiana. A Palermo si era stabilito definitivamente allorché venne chiamato
prima alla cattedra di pedagogia (1950-52) e poi a quella di filosofia
teoretica (1952-72) presso la facoltà di lettere e filosofia. Il C. morì
a Palermo il 26 genn. 1972. Opere: Per un elenco completo si rinvia a
Bibliografia degli scritti di S. C., a cura di T. Caramella, in Miscellanea di
studi filosofici in memoria di S. C. (suppl. n. 7 degli Atti dell'Accad. di
scienze lettere e arti di Palermo), Palermo 1974, pp. 371-414. Oltre alle opere
citate ci limitiamo a ricordare qui: E. Bergson, Milano 1925; Antologia
vichiana, Messina 1930; Breve storia della pedagogia, ibid. 1932; La filosofia
di Plotino e il neoplatonismo, Catania 1940; Autocritica, in Filosofi italiani
contemporanei, a cura di M. F. Sciacca, Milano 1946, pp. 225-233;
L'Enciclopedia di Hegel, Padova 1947; La filosofia dello Stato nel
Risorgimento, Napoli 1947; Introduzione a Kant, Palermo 1956; La pedagogia
tedesca in Italia, Roma 1964; Pedagogia. Saggio di voci nuove, ibid.
1967. Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Casellario
politico centrale, b. 1061, fasc. 21865. Per l'epistolario del C. contributi
in: Lettere dal carcere di S. C., in Giornale di metafisica, XXX (1975), pp.
26-38; Carteggio con Croce e Gobetti, in Il Dialogo, XVI (1980), pp.63-I16;
Carteggio Lombardo Radice-S. C., a cura di T. Caramella, Genova 1983. Vedi
inoltre: M.F. Sciacca, Profilo di S. C., in Annali della facoltà di magistero
della università di Palermo, 1971-72, pp. 5-15; P. Di Vona, Religione e
filosofia nel pensiero giovanile di S. C., ibid., pp. 16-33; F. Conigliaro,
Verità e dialogo nel pensiero di S. C., in Il Dialogo, VIII (1972), pp. 56-65;
A. Guzzo, S. C., in Filosofia, XXIII (1972), pp. 165-167; M. F. Sciacca, Il
pensiero di S. C., in Atti dell'Accad. di scienze lettere e arti di Palermo,
XXXII (1971 -73), n. 2, pp. 11-24; A. Sofia, Il dialogo di S. C. con gli uomini
d'oggi, in Labor, XIV (1973), pp. 81-93; F. Cafaro, Commemoraz. di S. C., in
Nuova Riv. pedagogica, XXIII (1973), pp. 17-26; P. Piovani, La dialettica del
vero e del certo nella "metafisica vichiana" di S. C., in Miscellanea
di scritti filosofici in memoria di S. C., Palermo 1974, pp. 251 -262; M.
Ganci, S. C., ibid., pp. 361-366; M. A. Raschini, Commemoraz. del prof. S. C.,
in Giornale di metafisica, XXIX (1974), pp. 465-472; F. Brancato, S. C.: senso
fine e significato della storia, Trapani 1974; V. Mathieu, Filosofia
contemporanea, Firenze 1978, pp. 8-10; P. Prini, La ontologia
storico-dialettica di S. C., in Theorein, VIII (1979), pp. I-II; L. Pareyson,
Inizi e caratteri del pensiero di S. C., in Giornale di metafisica, n. s., I
(1979), pp. 305-330; M. Corselli, La vita dello spirito nella filosofia di S.
C., in Labor, XXI (1980), pp. 157163; M. A. Raschini, Storiografia e metafisica
nella interpretazione vichiana di S. C., in Filosofia oggi, V (1982), pp.
267-278; M. Corselli, La figura di S. C. nel periodo giovanile (1915-1921), in
Labor, XXV (1984), pp. 71-79; G. M. Sciacca, S. C. filosofo, pedagogista,
educatore, in Pegaso. Annali della facoltà di magistero della università di
Palermo. Santino Caramella. Keywords: gl’eroi di Vico, “la verita in
dialogo”, soggetto, intersoggetivita, lo spirito oggetivo, spiriti
intersoggetivi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Caramella” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51777096859/in/dateposted-public/
Grice e Caramello – interpretare –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Grice: “I love Caramello – he
exemplifies all that I say about latitudinal and longitudinal unities of
philosophy – Aquinas is a ‘great,’ and Caramello has dedicated his life to
him!” Studia al prestigioso liceo
classico Gioberti di Torino, entra in seminario e nel 1926 riceve l'ordinazione
presbiteriale con una speciale dispensa papale dovuta alla giovane età a cui aveva
completato gli studi. Si laurea a Torino. Insegna a Torino, e Chieri. Studia e
cura Aquino. Praemittit autem huic operi philosophus
prooemium, in quo sigillatim exponit ea, quae in hoc libro sunt tractanda. Et
quia omnis scientia praemittit ea, quae de principiis sunt; partes autem
compositorum sunt eorum principia; ideo oportet intendenti tractare de
enunciatione praemittere de partibus eius. Unde dicit: primum oportet
constituere, idest definire quid sit nomen et quid sit verbum. In Graeco
habetur, primum oportet poni et idem significat. Quia enim demonstrationes
definitiones praesupponunt, ex quibus concludunt, merito dicuntur positiones.
Et ideo praemittuntur hic solae definitiones eorum, de quibus agendum est: quia
ex definitionibus alia cognoscuntur. Si quis autem quaerat, cum in libro
praedicamentorum de simplicibus dictum sit, quae fuit necessitas ut hic rursum
de nomine et verbo determinaretur; ad hoc dicendum quod simplicium dictionum
triplex potest esse consideratio. Una quidem, secundum quod absolute
significant simplices intellectus, et sic earum consideratio pertinet ad librum
praedicamentorum. Alio modo, secundum rationem, prout sunt partes
enunciationis; et sic determinatur de eis in hoc libro; et ideo traduntur sub
ratione nominis et verbi: de quorum ratione est quod significent aliquid cum
tempore vel sine tempore, et alia huiusmodi, quae pertinent ad rationem
dictionum, secundum quod constituunt enunciationem. Tertio modo, considerantur
secundum quod ex eis constituitur ordo syllogisticus, et sic determinatur de
eis sub ratione terminorum in libro priorum. Potest iterum dubitari
quare, praetermissis aliis orationis partibus, de solo nomine et verbo
determinet. Ad quod dicendum est quod, quia de simplici enunciatione
determinare intendit, sufficit ut solas illas partes enunciationis pertractet,
ex quibus ex necessitate simplex oratio constat. Potest autem ex solo nomine et
verbo simplex enunciatio fieri, non autem ex aliis orationis partibus sine his;
et ideo sufficiens ei fuit de his duabus determinare. Vel potest dici quod sola
nomina et verba sunt principales orationis partes. Sub nominibus enim
comprehenduntur pronomina, quae, etsi non nominant naturam, personam tamen
determinant, et ideo loco nominum ponuntur: sub verbo vero participium, quod
consignificat tempus: quamvis et cum nomine convenientiam habeat. Alia vero
sunt magis colligationes partium orationis, significantes habitudinem unius ad
aliam, quam orationis partes; sicut clavi et alia huiusmodi non sunt partes
navis, sed partium navis coniunctiones. His igitur praemissis quasi
principiis, subiungit de his, quae pertinent ad principalem intentionem,
dicens: postea quid negatio et quid affirmatio, quae sunt enunciationis partes:
non quidem integrales, sicut nomen et verbum (alioquin oporteret omnem
enunciationem ex affirmatione et negatione compositam esse), sed partes
subiectivae, idest species. Quod quidem nunc supponatur, posterius autem
manifestabitur. Sed potest dubitari: cum enunciatio dividatur in
categoricam et hypotheticam, quare de his non facit mentionem, sicut de
affirmatione et negatione. Et potest dici quod hypothetica enunciatio ex
pluribus categoricis componitur. Unde non differunt nisi secundum differentiam
unius et multi. Vel potest dici, et melius, quod hypothetica enunciatio non
continet absolutam veritatem, cuius cognitio requiritur in demonstratione, ad
quam liber iste principaliter ordinatur; sed significat aliquid verum esse ex
suppositione: quod non sufficit in scientiis demonstrativis, nisi confirmetur
per absolutam veritatem simplicis enunciationis. Et ideo Aristoteles praetermisit
tractatum de hypotheticis enu nciationibus et syllogismis. Subdit autem, et
enunciatio, quae est genus negationis et affirmationis; et oratio, quae est
genus enunciationis. Si quis ulterius quaerat, quare non facit ulterius
mentionem de voce, dicendum est quod vox est quoddam naturale; unde pertinet ad
considerationem naturalis philosophiae, ut patet in secundo de anima, et in
ultimo de generatione animalium. Unde etiam non est proprie orationis genus,
sed assumitur ad constitutionem orationis, sicut res naturales ad
constitutionem artificialium. Videtur autem ordo enunciationis esse
praeposterus: nam affirmatio naturaliter est prior negatione, et iis prior est
enunciatio, sicut genus; et per consequens oratio enunciatione. Sed dicendum
quod, quia a partibus inceperat enumerare, procedit a partibus ad totum.
Negationem autem, quae divisionem continet, eadem ratione praeponit
affirmationi, quae consistit in compositione: quia divisio magis accedit ad
partes, compositio vero magis accedit ad totum. Vel potest dici, secundum
quosdam, quod praemittitur negatio, quia in iis quae possunt esse et non esse,
prius est non esse, quod significat negatio, quam esse, quod significat
affirmatio. Sed tamen, quia sunt species ex aequo dividentes genus, sunt simul
natura; unde non refert quod eorum praeponatur. Praemisso prooemio, philosophus
accedit ad propositum exequendum. Et quia ea, de quibus promiserat se dicturum,
sunt voces significativae complexae vel incomplexae, ideo praemittit tractatum
de significatione vocum: et deinde de vocibus significativis determinat de
quibus in prooemio se dicturum promiserat. Et hoc ibi: nomen ergo est vox
significativa et cetera. Circa primum duo facit: primo, determinat qualis sit
significatio vocum; secundo, ostendit differentiam significationum vocum
complexarum et incomplexarum; ibi: est autem quemadmodum et cetera. Circa
primum duo facit: primo quidem, praemittit ordinem significationis vocum;
secundo, ostendit qualis sit vocum significatio, utrum sit ex natura vel ex
impositione; ibi: et quemadmodum nec litterae et cetera. Est ergo
considerandum quod circa primum tria proponit, ex quorum uno intelligitur
quartum. Proponit enim Scripturam, voces et animae passiones, ex quibus
intelliguntur res. Nam passio est ex impressione alicuius agentis; et sic
passiones animae originem habent ab ipsis rebus. Et si quidem homo esset
naturaliter animal solitarium, sufficerent sibi animae passiones, quibus ipsis
rebus conformaretur, ut earum notitiam in se haberet; sed quia homo est animal
naturaliter politicum et sociale, necesse fuit quod conceptiones unius hominis
innotescerent aliis, quod fit per vocem; et ideo necesse fuit esse voces
significativas, ad hoc quod homines ad invicem conviverent. Unde illi, qui sunt
diversarum linguarum, non possunt bene convivere ad invicem. Rursum si homo
uteretur sola cognitione sensitiva, quae respicit solum ad hic et nunc,
sufficeret sibi ad convivendum aliis vox significativa, sicut et caeteris
animalibus, quae per quasdam voces, suas conceptiones invicem sibi manifestant:
sed quia homo utitur etiam intellectuali cognitione, quae abstrahit ab hic et
nunc; consequitur ipsum sollicitudo non solum de praesentibus secundum locum et
tempus, sed etiam de his quae distant loco et futura sunt tempore. Unde ut homo
conceptiones suas etiam his qui distant secundum locum et his qui venturi sunt
in futuro tempore manifestet, necessarius fuit usus Scripturae. Sed quia
logica ordinatur ad cognitionem de rebus sumendam, significatio vocum, quae est
immediata ipsis conceptionibus intellectus, pertinet ad principalem
considerationem ipsius; significatio autem litterarum, tanquam magis remota,
non pertinet ad eius considerationem, sed magis ad considerationem grammatici.
Et ideo exponens ordinem significationum non incipit a litteris, sed a vocibus:
quarum primo significationem exponens, dicit: sunt ergo ea, quae sunt in voce,
notae, idest, signa earum passionum quae sunt in anima. Dicit autem ergo, quasi
ex praemissis concludens: quia supra dixerat determinandum esse de nomine et
verbo et aliis praedictis; haec autem sunt voces significativae; ergo oportet
vocum significationem exponere. Utitur autem hoc modo loquendi, ut dicat,
ea quae sunt in voce, et non, voces, ut quasi continuatim loquatur cum
praedictis. Dixerat enim dicendum esse de nomine et verbo et aliis huiusmodi.
Haec autem tripliciter habent esse. Uno quidem modo, in conceptione
intellectus; alio modo, in prolatione vocis; tertio modo, in conscriptione
litterarum. Dicit ergo, ea quae sunt in voce etc.; ac si dicat, nomina et verba
et alia consequentia, quae tantum sunt in voce, sunt notae. Vel, quia non omnes
voces sunt significativae, et earum quaedam sunt significativae naturaliter,
quae longe sunt a ratione nominis et verbi et aliorum consequentium; ut
appropriet suum dictum ad ea de quibus intendit, ideo dicit, ea quae sunt in
voce, idest quae continentur sub voce, sicut partes sub toto. Vel, quia vox est
quoddam naturale, nomen autem et verbum significant ex institutione humana,
quae advenit rei naturali sicut materiae, ut forma lecti ligno; ideo ad
designandum nomina et verba et alia consequentia dicit, ea quae sunt in voce,
ac si de lecto diceretur, ea quae sunt in ligno. Circa id autem quod
dicit, earum quae sunt in anima passionum, considerandum est quod passiones
animae communiter dici solent appetitus sensibilis affectiones, sicut ira,
gaudium et alia huiusmodi, ut dicitur in II Ethicorum. Et verum est quod
huiusmodi passiones significant naturaliter quaedam voces hominum, ut gemitus
infirmorum, et aliorum animalium, ut dicitur in I politicae. Sed nunc sermo est
de vocibus significativis ex institutione humana; et ideo oportet passiones
animae hic intelligere intellectus conceptiones, quas nomina et verba et
orationes significant immediate, secundum sententiam Aristotelis. Non enim
potest esse quod significent immediate ipsas res, ut ex ipso modo significandi
apparet: significat enim hoc nomen homo naturam humanam in abstractione a
singularibus. Unde non potest esse quod significet immediate hominem singularem;
unde Platonici posuerunt quod significaret ipsam ideam hominis separatam. Sed
quia hoc secundum suam abstractionem non subsistit realiter secundum sententiam
Aristotelis, sed est in solo intellectu; ideo necesse fuit Aristoteli dicere
quod voces significant intellectus conceptiones immediate et eis mediantibus
res. Sed quia non est consuetum quod conceptiones intellectus Aristoteles
nominet passiones; ideo Andronicus posuit hunc librum non esse Aristotelis. Sed
manifeste invenitur in 1 de anima quod passiones animae vocat omnes animae
operationes. Unde et ipsa conceptio intellectus passio dici potest. Vel quia
intelligere nostrum non est sine phantasmate: quod non est sine corporali
passione; unde et imaginativam philosophus in III de anima vocat passivum intellectum.
Vel quia extenso nomine passionis ad omnem receptionem, etiam ipsum intelligere
intellectus possibilis quoddam pati est, ut dicitur in III de anima. Utitur
autem potius nomine passionum, quam intellectuum: tum quia ex aliqua animae
passione provenit, puta ex amore vel odio, ut homo interiorem conceptum per
vocem alteri significare velit: tum etiam quia significatio vocum refertur ad
conceptionem intellectus, secundum quod oritur a rebus per modum cuiusdam
impressionis vel passionis. Secundo, cum dicit: et ea quae scribuntur
etc., agit de significatione Scripturae: et secundum Alexandrum hoc inducit ad
manifestandum praecedentem sententiam per modum similitudinis, ut sit sensus:
ita ea quae sunt in voce sunt signa passionum animae, sicut et litterae sunt
signa vocum. Quod etiam manifestat per sequentia, cum dicit: et quemadmodum nec
litterae etc.; inducens hoc quasi signum praecedentis. Quod enim litterae
significent voces, significatur per hoc, quod, sicut sunt diversae voces apud
diversos, ita et diversae litterae. Et secundum hanc expositionem, ideo non
dixit, et litterae eorum quae sunt in voce, sed ea quae scribuntur: quia
dicuntur litterae etiam in prolatione et Scriptura, quamvis magis proprie,
secundum quod sunt in Scriptura, dicantur litterae; secundum autem quod sunt in
prolatione, dicantur elementa vocis. Sed quia Aristoteles non dicit, sicut et
ea quae scribuntur, sed continuam narrationem facit, melius est ut dicatur,
sicut Porphyrius exposuit, quod Aristoteles procedit ulterius ad complendum
ordinem significationis. Postquam enim dixerat quod nomina et verba, quae sunt
in voce, sunt signa eorum quae sunt in anima, continuatim subdit quod nomina et
verba quae scribuntur, signa sunt eorum nominum et verborum quae sunt in voce.
Deinde cum dicit: et quemadmodum nec litterae etc., ostendit differentiam
praemissorum significantium et significatorum, quantum ad hoc, quod est esse
secundum naturam, vel non esse. Et circa hoc tria facit. Primo enim, ponit
quoddam signum, quo manifestatur quod nec voces nec litterae naturaliter
significant. Ea enim, quae naturaliter significant sunt eadem apud omnes.
Significatio autem litterarum et vocum, de quibus nunc agimus, non est eadem
apud omnes. Sed hoc quidem apud nullos unquam dubitatum fuit quantum ad litteras:
quarum non solum ratio significandi est ex impositione, sed etiam ipsarum
formatio fit per artem. Voces autem naturaliter formantur; unde et apud quosdam
dubitatum fuit, utrum naturaliter significent. Sed Aristoteles hic determinat
ex similitudine litterarum, quae sicut non sunt eaedem apud omnes, ita nec
voces. Unde manifeste relinquitur quod sicut nec litterae, ita nec voces
naturaliter significant, sed ex institutione humana. Voces autem illae, quae
naturaliter significant, sicut gemitus infirmorum et alia huiusmodi, sunt eadem
apud omnes. Secundo, ibi: quorum autem etc., ostendit passiones animae
naturaliter esse, sicut et res, per hoc quod eaedem sunt apud omnes. Unde
dicit: quorum autem; idest sicut passiones animae sunt eaedem omnibus (quorum
primorum, idest quarum passionum primarum, hae, scilicet voces, sunt notae,
idest signa; comparantur enim passiones animae ad voces, sicut primum ad
secundum: voces enim non proferuntur, nisi ad exprimendum interiores animae
passiones), et res etiam eaedem, scilicet sunt apud omnes, quorum, idest quarum
rerum, hae, scilicet passiones animae sunt similitudines. Ubi attendendum est
quod litteras dixit esse notas, idest signa vocum, et voces passionum animae
similiter; passiones autem animae dicit esse similitudines rerum: et hoc ideo,
quia res non cognoscitur ab anima nisi per aliquam sui similitudinem existentem
vel in sensu vel in intellectu. Litterae autem ita sunt signa vocum, et voces
passionum, quod non attenditur ibi aliqua ratio similitudinis, sed sola ratio
institutionis, sicut et in multis aliis signis: ut tuba est signum belli. In
passionibus autem animae oportet attendi rationem similitudinis ad exprimendas
res, quia naturaliter eas designant, non ex institutione. Obiiciunt autem
quidam, ostendere volentes contra hoc quod dicit passiones animae, quas
significant voces, esse omnibus easdem. Primo quidem, quia diversi diversas
sententias habent de rebus, et ita non videntur esse eaedem apud omnes animae
passiones. Ad quod respondet Boethius quod Aristoteles hic nominat passiones
animae conceptiones intellectus, qui numquam decipitur; et ita oportet eius
conceptiones esse apud omnes easdem: quia, si quis a vero discordat, hic non
intelligit. Sed quia etiam in intellectu potest esse falsum, secundum quod
componit et dividit, non autem secundum quod cognoscit quod quid est, idest
essentiam rei, ut dicitur in III de anima; referendum est hoc ad simplices
intellectus conceptiones (quas significant voces incomplexae), quae sunt eaedem
apud omnes: quia, si quis vere intelligit quid est homo, quodcunque aliud
aliquid, quam hominem apprehendat, non intelligit hominem. Huiusmodi autem
simplices conceptiones intellectus sunt, quas primo voces significant. Unde
dicitur in IV metaphysicae quod ratio, quam significat nomen, est definitio. Et
ideo signanter dicit: quorum primorum hae notae sunt, ut scilicet referatur ad
primas conceptiones a vocibus primo significatas. Sed adhuc obiiciunt
aliqui de nominibus aequivocis, in quibus eiusdem vocis non est eadem passio, quae
significatur apud omnes. Et respondet ad hoc Porphyrius quod unus homo, qui
vocem profert, ad unam intellectus conceptionem significandam eam refert; et si
aliquis alius, cui loquitur, aliquid aliud intelligat, ille qui loquitur, se
exponendo, faciet quod referet intellectum ad idem. Sed melius dicendum est
quod intentio Aristotelis non est asserere identitatem conceptionis animae per
comparationem ad vocem, ut scilicet unius vocis una sit conceptio: quia voces
sunt diversae apud diversos; sed intendit asserere identitatem conceptionum
animae per comparationem ad res, quas similiter dicit esse easdem.
Tertio, ibi: de his itaque etc., excusat se a diligentiori harum
consideratione: quia quales sint animae passiones, et quomodo sint rerum
similitudines, dictum est in libro de anima. Non enim hoc pertinet ad logicum
negocium, sed ad naturale. Postquam philosophus tradidit ordinem
significationis vocum, hic agit de diversa vocum significatione: quarum quaedam
significant verum vel falsum, quaedam non. Et circa hoc duo facit: primo,
praemittit differentiam; secundo, manifestat eam; ibi: circa compositionem enim
et cetera. Quia vero conceptiones intellectus praeambulae sunt ordine naturae
vocibus, quae ad eas exprimendas proferuntur, ideo ex similitudine differentiae,
quae est circa intellectum, assignat differentiam, quae est circa
significationes vocum: ut scilicet haec manifestatio non solum sit ex simili,
sed etiam ex causa quam imitantur effectus. Est ergo considerandum quod,
sicut in principio dictum est, duplex est operatio intellectus, ut traditur in
III de anima; in quarum una non invenitur verum et falsum, in altera autem
invenitur. Et hoc est quod dicit quod in anima aliquoties est intellectus sine
vero et falso, aliquoties autem ex necessitate habet alterum horum. Et quia
voces significativae formantur ad exprimendas conceptiones intellectus, ideo ad
hoc quod signum conformetur signato, necesse est quod etiam vocum
significativarum similiter quaedam significent sine vero et falso, quaedam
autem cum vero et falso. Deinde cum dicit: circa compositionem etc.,
manifestat quod dixerat. Et primo, quantum ad id quod dixerat de intellectu;
secundo, quantum ad id quod dixerat de assimilatione vocum ad intellectum; ibi:
nomina igitur ipsa et verba et cetera. Ad ostendendum igitur quod intellectus
quandoque est sine vero et falso, quandoque autem cum altero horum, dicit primo
quod veritas et falsitas est circa compositionem et divisionem. Ubi oportet
intelligere quod una duarum operationum intellectus est indivisibilium
intelligentia: in quantum scilicet intellectus intelligit absolute cuiusque rei
quidditatem sive essentiam per seipsam, puta quid est homo vel quid album vel
quid aliud huiusmodi. Alia vero operatio intellectus est, secundum quod
huiusmodi simplicia concepta simul componit et dividit. Dicit ergo quod in hac
secunda operatione intellectus, idest componentis et dividentis, invenitur
veritas et falsitas: relinquens quod in prima operatione non invenitur, ut
etiam traditur in III de anima. Sed circa hoc primo videtur esse dubium:
quia cum divisio fiat per resolutionem ad indivisibilia sive simplicia, videtur
quod sicut in simplicibus non est veritas vel falsitas, ita nec in divisione.
Sed dicendum est quod cum conceptiones intellectus sint similitudines rerum, ea
quae circa intellectum sunt dupliciter considerari et nominari possunt. Uno
modo, secundum se: alio modo, secundum rationes rerum quarum sunt
similitudines. Sicut imago Herculis secundum se quidem dicitur et est cuprum;
in quantum autem est similitudo Herculis nominatur homo. Sic etiam, si
consideremus ea quae sunt circa intellectum secundum se, semper est compositio,
ubi est veritas et falsitas; quae nunquam invenitur in intellectu, nisi per hoc
quod intellectus comparat unum simplicem conceptum alteri. Sed si referatur ad
rem, quandoque dicitur compositio, quandoque dicitur divisio. Compositio
quidem, quando intellectus comparat unum conceptum alteri, quasi apprehendens
coniunctionem aut identitatem rerum, quarum sunt conceptiones; divisio autem,
quando sic comparat unum conceptum alteri, ut apprehendat res esse diversas. Et
per hunc etiam modum in vocibus affirmatio dicitur compositio, in quantum
coniunctionem ex parte rei significat; negatio vero dicitur divisio, in quantum
significat rerum separationem. Ulterius autem videtur quod non solum in
compositione et divisione veritas consistat. Primo quidem, quia etiam res
dicitur vera vel falsa, sicut dicitur aurum verum vel falsum. Dicitur etiam
quod ens et verum convertuntur. Unde videtur quod etiam simplex conceptio
intellectus, quae est similitudo rei, non careat veritate et falsitate.
Praeterea, philosophus dicit in Lib. de anima quod sensus propriorum
sensibilium semper est verus; sensus autem non componvel dividit; non ergo in
sola compositione vel divisione est veritas. Item, in intellectu divino nulla
est compositio, ut probatur in XII metaphysicae; et tamen ibi est prima et
summa veritas; non ergo veritas est solum circa compositionem et
divisionem. Ad huiusmodi igitur evidentiam considerandum est quod veritas
in aliquo invenitur dupliciter: uno modo, sicut in eo quod est verum: alio
modo, sicut in dicente vel cognoscente verum. Invenitur autem veritas sicut in
eo quod est verum tam in simplicibus, quam in compositis; sed sicut in dicente vel
cognoscente verum, non invenitur nisi secundum compositionem et divisionem.
Quod quidem sic patet. Verum enim, ut philosophus dicit in VI Ethicorum,
est bonum intellectus. Unde de quocumque dicatur verum, oportet quod hoc sit
per respectum ad intellectum. Comparantur autem ad intellectum voces quidem
sicut signa, res autem sicut ea quorum intellectus sunt similitudines.
Considerandum autem quod aliqua res comparatur ad intellectum dupliciter. Uno
quidem modo, sicut mensura ad mensuratum, et sic comparantur res naturales ad
intellectum speculativum humanum. Et ideo intellectus dicitur verus secundum
quod conformatur rei, falsus autem secundum quod discordat a re. Res autem
naturalis non dicitur esse vera per comparationem ad intellectum nostrum, sicut
posuerunt quidam antiqui naturales, existimantes rerum veritatem esse solum in
hoc, quod est videri: secundum hoc enim sequeretur quod contradictoria essent
simul vera, quia contradictoria cadunt sub diversorum opinionibus. Dicuntur
tamen res aliquae verae vel falsae per comparationem ad intellectum nostrum,
non essentialiter vel formaliter, sed effective, in quantum scilicet natae sunt
facere de se veram vel falsam existimationem; et secundum hoc dicitur aurum
verum vel falsum. Alio autem modo, res comparantur ad intellectum, sicut
mensuratum ad mensuram, ut patet in intellectu practico, qui est causa rerum.
Unde opus artificis dicitur esse verum, in quantum attingit ad rationem artis;
falsum vero, in quantum deficit a ratione artis. Et quia omnia etiam
naturalia comparantur ad intellectum divinum, sicut artificiata ad artem,
consequens est ut quaelibet res dicatur esse vera secundum quod habet propriam
formam, secundum quam imitatur artem divinam. Nam falsum aurum est verum
aurichalcum. Et hoc modo ens et verum convertuntur, quia quaelibet res
naturalis per suam formam arti divinae conformatur. Unde philosophus in I
physicae, formam nominat quoddam divinum. Et sicut res dicitur vera per
comparationem ad suam mensuram, ita etiam et sensus vel intellectus, cuius
mensura est res extra animam. Unde sensus dicitur verus, quando per formam suam
conformatur rei extra animam existenti. Et sic intelligitur quod sensus proprii
sensibilis sit verus. Et hoc etiam modo intellectus apprehendens quod quid est
absque compositione et divisione, semper est verus, ut dicitur in III de anima.
Est autem considerandum quod quamvis sensus proprii obiecti sit verus, non
tamen cognoscit hoc esse verum. Non enim potest cognoscere habitudinem
conformitatis suae ad rem, sed solam rem apprehendit; intellectus autem potest
huiusmodi habitudinem conformitatis cognoscere; et ideo solus intellectus
potest cognoscere veritatem. Unde et philosophus dicit in VI metaphysicae quod
veritas est solum in mente, sicut scilicet in cognoscente veritatem. Cognoscere
autem praedictam conformitatis habitudinem nihil est aliud quam iudicare ita
esse in re vel non esse: quod est componere et dividere; et ideo intellectus
non cognoscit veritatem, nisi componendo vel dividendo per suum iudicium. Quod
quidem iudicium, si consonet rebus, erit verum, puta cum intellectus iudicat
rem esse quod est, vel non esse quod non est. Falsum autem quando dissonat a
re, puta cum iudicat non esse quod est, vel esse quod non est. Unde patet quod
veritas et falsitas sicut in cognoscente et dicente non est nisi circa
compositionem et divisionem. Et hoc modo philosophus loquitur hic. Et quia
voces sunt signa intellectuum, erit vox vera quae significat verum intellectum,
falsa autem quae significat falsum intellectum: quamvis vox, in quantum est res
quaedam, dicatur vera sicut et aliae res. Unde haec vox, homo est asinus, est
vere vox et vere signum; sed quia est signum falsi, ideo dicitur falsa.
Sciendum est autem quod philosophus de veritate hic loquitur secundum quod
pertinet ad intellectum humanum, qui iudicat de conformitate rerum et
intellectus componendo et dividendo. Sed iudicium intellectus divini de hoc est
absque compositione et divisione: quia sicut etiam intellectus noster
intelligit materialia immaterialiter, ita etiam intellectus divinus cognoscit
compositionem et divisionem simpliciter. Deinde cum dicit: nomina igitur
ipsa et verba etc., manifestat quod dixerat de similitudine vocum ad
intellectum. Et primo, manifestat propositum; secundo, probat per signum; ibi:
huius autem signum et cetera. Concludit ergo ex praemissis quod, cum solum
circa compositionem et divisionem sit veritas et falsitas in intellectu,
consequens est quod ipsa nomina et verba, divisim accepta, assimilentur
intellectui qui est sine compositione et divisione; sicut cum homo vel album
dicitur, si nihil aliud addatur: non enim verum adhuc vel falsum est; sed
postea quando additur esse vel non esse, fit verum vel falsum. Nec est
instantia de eo, qui per unicum nomen veram responsionem dat ad interrogationem
factam; ut cum quaerenti: quid natat in mari? Aliquis respondet, piscis. Nam
intelligitur verbum quod fuit in interrogatione positum. Et sicut nomen per se
positum non significat verum vel falsum, ita nec verbum per se dictum. Nec est
instantia de verbo primae et secundae personae, et de verbo exceptae actionis:
quia in his intelligitur certus et determinatus nominativus. Unde est implicita
compositio, licet non explicita. Deinde cum dicit: signum autem etc.,
inducit signum ex nomine composito, scilicet Hircocervus, quod componitur ex
hirco et cervus et quod in Graeco dicitur Tragelaphos; nam tragos est hircus,
et elaphos cervus. Huiusmodi enim nomina significant aliquid, scilicet quosdam
conceptus simplices, licet rerum compositarum; et ideo non est verum vel
falsum, nisi quando additur esse vel non esse, per quae exprimitur iudicium
intellectus. Potest autem addi esse vel non esse, vel secundum praesens tempus,
quod est esse vel non esse in actu, et ideo hoc dicitur esse simpliciter; vel
secundum tempus praeteritum, aut futurum, quod non est esse simpliciter, sed
secundum quid; ut cum dicitur aliquid fuisse vel futurum esse. Signanter autem
utitur exemplo ex nomine significante quod non est in rerum natura, in quo
statim falsitas apparet, et quod sine compositione et divisione non possit
verum vel falsum esse. Postquam philosophus determinavit de ordine
significationis vocum, hic accedit ad determinandum de ipsis vocibus
significativis. Et quia principaliter intendit de enunciatione, quae est subiectum
huius libri; in qualibet autem scientia oportet praenoscere principia subiecti;
ideo primo, determinat de principiis enunciationis; secundo, de ipsa
enunciatione; ibi: enunciativa vero non omnis et cetera. Circa primum duo
facit: primo enim, determinat principia quasi materialia enunciationis,
scilicet partes integrales ipsius; secundo, determinat principium formale,
scilicet orationem, quae est enunciationis genus; ibi: oratio autem est vox
significativa et cetera. Circa primum duo facit: primo, determinat de nomine,
quod significat rei substantiam; secundo, determinat de verbo, quod significat
actionem vel passionem procedentem a re; ibi: verbum autem est quod
consignificat tempus et cetera. Circa primum tria facit: primo, definit nomen;
secundo, definitionem exponit; ibi: in nomine enim quod est equiferus etc.;
tertio, excludit quaedam, quae perfecte rationem nominis non habent, ibi: non
homo vero non est nomen. Circa primum considerandum est quod definitio
ideo dicitur terminus, quia includit totaliter rem; ita scilicet, quod nihil
rei est extra definitionem, cui scilicet definitio non conveniat; nec aliquid
aliud est infra definitionem, cui scilicet definitio conveniat. Et ideo
quinque ponit in definitione nominis. Primo, ponitur vox per modum generis, per
quod distinguitur nomen ab omnibus sonis, qui non sunt voces. Nam vox est sonus
ab ore animalis prolatus, cum imaginatione quadam, ut dicitur in II de anima.
Additur autem prima differentia, scilicet significativa, ad differentiam
quarumcumque vocum non significantium, sive sit vox litterata et articulata,
sicut biltris, sive non litterata et non articulata, sicut sibilus pro nihilo
factus. Et quia de significatione vocum in superioribus actum est, ideo ex
praemissis concludit quod nomen est vox significativa. Sed cum vox sit
quaedam res naturalis, nomen autem non est aliquid naturale sed ab hominibus
institutum, videtur quod non debuit genus nominis ponere vocem, quae est ex
natura, sed magis signum, quod est ex institutione; ut diceretur: nomen est signum
vocale; sicut etiam convenientius definiretur scutella, si quis diceret quod
est vas ligneum, quam si quis diceret quod est lignum formatum in vas.
Sed dicendum quod artificialia sunt quidem in genere substantiae ex parte
materiae, in genere autem accidentium ex parte formae: nam formae artificialium
accidentia sunt. Nomen ergo significat formam accidentalem ut concretam
subiecto. Cum autem in definitione omnium accidentium oporteat poni subiectum,
necesse est quod, si qua nomina accidens in abstracto significant quod in eorum
definitione ponatur accidens in recto, quasi genus, subiectum autem in obliquo,
quasi differentia; ut cum dicitur, simitas est curvitas nasi. Si qua vero
nomina accidens significant in concreto, in eorum definitione ponitur materia,
vel subiectum, quasi genus, et accidens, quasi differentia; ut cum dicitur,
simum est nasus curvus. Si igitur nomina rerum artificialium significant formas
accidentales, ut concretas subiectis naturalibus, convenientius est, ut in
eorum definitione ponatur res naturalis quasi genus, ut dicamus quod scutella
est lignum figuratum, et similiter quod nomen est vox significativa. Secus
autem esset, si nomina artificialium acciperentur, quasi significantia ipsas
formas artificiales in abstracto. Tertio, ponit secundam differentiam cum
dicit: secundum placitum, idest secundum institutionem humanam a beneplacito
hominis procedentem. Et per hoc differt nomen a vocibus significantibus
naturaliter, sicut sunt gemitus infirmorum et voces brutorum animalium. Quarto,
ponit tertiam differentiam, scilicet sine tempore, per quod differt nomen a
verbo. Sed videtur hoc esse falsum: quia hoc nomen dies vel annus significat
tempus. Sed dicendum quod circa tempus tria possunt considerari. Primo quidem,
ipsum tempus, secundum quod est res quaedam, et sic potest significari a
nomine, sicut quaelibet alia res. Alio modo, potest considerari id, quod
tempore mensuratur, in quantum huiusmodi: et quia id quod primo et
principaliter tempore mensuratur est motus, in quo consistit actio et passio,
ideo verbum quod significat actionem vel passionem, significat cum tempore.
Substantia autem secundum se considerata, prout significatur per nomen et
pronomen, non habet in quantum huiusmodi ut tempore mensuretur, sed solum
secundum quod subiicitur motui, prout per participium significatur. Et ideo
verbum et participium significant cum tempore, non autem nomen et pronomen.
Tertio modo, potest considerari ipsa habitudo temporis mensurantis; quod
significatur per adverbia temporis, ut cras, heri et huiusmodi. Quinto,
ponit quartam differentiam cum subdit: cuius nulla pars est significativa
separata, scilicet a toto nomine; comparatur tamen ad significationem nominis
secundum quod est in toto. Quod ideo est, quia significatio est quasi forma
nominis; nulla autem pars separata habet formam totius, sicut manus separata ab
homine non habet formam humanam. Et per hoc distinguitur nomen ab oratione,
cuius pars significat separata; ut cum dicitur, homo iustus. Deinde cum
dicit: in nomine enim quod est etc., manifestat praemissam definitionem. Et
primo, quantum ad ultimam particulam; secundo, quantum ad tertiam; ibi:
secundum vero placitum et cetera. Nam primae duae particulae manifestae sunt ex
praemissis; tertia autem particula, scilicet sine temporeit , manifestabitur
in sequentibus in tractatu de verbo. Circa primum duo facit: primo, manifestat
propositum per nomina composita; secundo, ostendit circa hoc differentiam inter
nomina simplicia et composita; ibi: at vero non quemadmodum et cetera. Manifestat
ergo primo quod pars nominis separata nihil significat, per nomina composita,
in quibus hoc magis videtur. In hoc enim nomine quod est equiferus, haec pars
ferus, per se nihil significat sicut significat in hac oratione, quae est equus
ferus. Cuius ratio est quod unum nomen imponitur ad significandum unum
simplicem intellectum; aliud autem est id a quo imponitur nomen ad
significandum, ab eo quod nomen significat; sicut hoc nomen lapis imponitur a
laesione pedis, quam non significat: quod tamen imponitur ad significandum
conceptum cuiusdam rei. Et inde est quod pars nominis compositi, quod imponitur
ad significandum conceptum simplicem, non significat partem conceptionis
compositae, a qua imponitur nomen ad significandum. Sed oratio significat ipsam
conceptionem compositam: unde pars orationis significat partem conceptionis
compositae. Deinde cum dicit: at vero non etc., ostendit quantum ad hoc
differentiam inter nomina simplicia et composita, et dicit quod non ita se
habet in nominibus simplicibus, sicut et in compositis: quia in simplicibus
pars nullo modo est significativa, neque secundum veritatem, neque secundum
apparentiam; sed in compositis vult quidem, idest apparentiam habet
significandi; nihil tamen pars eius significat, ut dictum est de nomine equiferus.
Haec autem ratio differentiae est, quia nomen simplex sicut imponitur ad
significandum conceptum simplicem, ita etiam imponitur ad significandum ab
aliquo simplici conceptu; nomen vero compositum imponitur a composita
conceptione, ex qua habet apparentiam quod pars eius significet. Deinde
cum dicit: secundum placitum etc., manifestat tertiam partem praedictae
definitionis; et dicit quod ideo dictum est quod nomen significat secundum
placitum, quia nullum nomen est naturaliter. Ex hoc enim est nomen, quod
significat: non autem significat naturaliter, sed ex institutione. Et hoc est
quod subdit: sed quando fit nota, idest quando imponitur ad significandum. Id
enim quod naturaliter significat non fit, sed naturaliter est signum. Et hoc
significat cum dicit: illitterati enim soni, ut ferarum, quia scilicet litteris
significari non possunt. Et dicit potius sonos quam voces, quia quaedam
animalia non habent vocem, eo quod carent pulmone, sed tantum quibusdam sonis
proprias passiones naturaliter significant: nihil autem horum sonorum est
nomen. Ex quo manifeste datur intelligi quod nomen non significat
naturaliter. Sciendum tamen est quod circa hoc fuit diversa quorumdam
opinio. Quidam enim dixerunt quod nomina nullo modo naturaliter significant:
nec differt quae res quo nomine significentur. Alii vero dixerunt quod nomina
omnino naturaliter significant, quasi nomina sint naturales similitudines
rerum. Quidam vero dixerunt quod nomina non naturaliter significant quantum ad
hoc, quod eorum significatio non est a natura, ut Aristoteles hic intendit;
quantum vero ad hoc naturaliter significant quod eorum significatio congruit
naturis rerum, ut Plato dixit. Nec obstat quod una res multis nominibus
significatur: quia unius rei possunt esse multae similitudines; et similiter ex
diversis proprietatibus possunt uni rei multa diversa nomina imponi. Non est
autem intelligendum quod dicit: quorum nihil est nomen, quasi soni animalium
non habeant nomina: nominantur enim quibusdam nominibus, sicut dicitur rugitus
leonis et mugitus bovis; sed quia nullus talis sonus est nomen, ut dictum
est. Deinde cum dicit: non homo vero etc., excludit quaedam a nominis
ratione. Et primo, nomen infinitum; secundo, casus nominum; ibi: Catonis autem
vel Catoni et cetera. Dicit ergo primo quod non homo non est nomen. Omne enim
nomen significat aliquam naturam determinatam, ut homo; aut personam
determinatam, ut pronomen; aut utrumque determinatum, ut Socrates. Sed hoc quod
dico non homo, neque determinatam naturam neque determinatam personam significat.
Imponitur enim a negatione hominis, quae aequaliter dicitur de ente, et non
ente. Unde non homo potest dici indifferenter, et de eo quod non est in rerum
natura; ut si dicamus, Chimaera est non homo, et de eo quod est in rerum
natura; sicut cum dicitur, equus est non homo. Si autem imponeretur a
privatione, requireret subiectum ad minus existens: sed quia imponitur a
negatione, potest dici de ente et de non ente, ut Boethius et Ammonius dicunt.
Quia tamen significat per modum nominis, quod potest subiici et praedicari,
requiritur ad minus suppositum in apprehensione. Non autem erat nomen positum
tempore Aristotelis sub quo huiusmodi dictiones concluderentur. Non enim est
oratio, quia pars eius non significat aliquid separata, sicut nec in nominibus
compositis; similiter autem non est negatio, id est oratio negativa, quia
huiusmodi oratio superaddit negationem affirmationi, quod non contingit hic. Et
ideo novum nomen imponit huiusmodi dictioni, vocans eam nomen infinitum propter
indeterminationem significationis, ut dictum est. Deinde cum dicit:
Catonis autem vel Catoni etc., excludit casus nominis; et dicit quod Catonis
vel Catoni et alia huiusmodi non sunt nomina, sed solus nominativus dicitur
principaliter nomen, per quem facta est impositio nominis ad aliquid
significandum. Huiusmodi autem obliqui vocantur casus nominis: quia quasi
cadunt per quamdam declinationis originem a nominativo, qui dicitur rectus eo
quod non cadit. Stoici autem dixerunt etiam nominativos dici casus: quos
grammatici sequuntur, eo quod cadunt, idest procedunt ab interiori conceptione
mentis. Et dicitur rectus, eo quod nihil prohibet aliquid cadens sic cadere, ut
rectum stet, sicut stilus qui cadens ligno infigitur. Deinde cum dicit:
ratio autem eius etc., ostendit consequenter quomodo se habeant obliqui casus
ad nomen; et dicit quod ratio, quam significat nomen, est eadem et in aliis,
scilicet casibus nominis; sed in hoc est differentia quod nomen adiunctum cum
hoc verbo est vel erit vel fuit semper significat verum vel falsum: quod non
contingit in obliquis. Signanter autem inducit exemplum de verbo substantivo:
quia sunt quaedam alia verba, scilicet impersonalia, quae cum obliquis
significant verum vel falsum; ut cum dicitur, poenitet Socratem, quia actus
verbi intelligitur ferri super obliquum; ac si diceretur, poenitentia habet
Socratem. Sed contra: si nomen infinitum et casus non sunt nomina,
inconvenienter data est praemissa nominis definitio, quae istis convenit. Sed
dicendum, secundum Ammonium, quod supra communius definit nomen, postmodum vero
significationem nominis arctat subtrahendo haec a nomine. Vel dicendum quod
praemissa definitio non simpliciter convenit his: nomen enim infinitum nihil
determinatum significat, neque casus nominis significat secundum primum placitum
instituentis, ut dictum est. Postquam philosophus determinavit de nomine: hic
determinat de verbo. Et circa hoc tria facit: primo, definit verbum; secundo,
excludit quaedam a ratione verbi; ibi: non currit autem, et non laborat etc.;
tertio, ostendit convenientiam verbi ad nomen; ibi: ipsa quidem secundum se
dicta verba, et cetera. Circa primum duo facit: primo, ponit definitionem
verbi; secundo exponit eam; ibi: dico autem quoniam consignificat et
cetera. Est autem considerandum quod Aristoteles, brevitati studens, non
ponit in definitione verbi ea quae sunt nomini et verbo communia, relinquens ea
intellectui legentis ex his quae dixerat in definitione nominis. Ponit autem
tres particulas in definitione verbi: quarum prima distinguit verbum a nomine,
in hoc scilicet quod dicit quod consignificat tempus. Dictum est enim in
definitione nominis quod nomen significat sine tempore. Secunda vero particula
est, per quam distinguitur verbum ab oratione, scilicet cum dicitur: cuius pars
nihil extra significat. Sed cum hoc etiam positum sit in definitione
nominis, videtur hoc debuisse praetermitti, sicut et quod dictum est, vox
significativa ad placitum. Ad quod respondet Ammonius quod in definitione
nominis hoc positum est, ut distinguatur nomen ab orationibus, quae componuntur
ex nominibus; ut cum dicitur, homo est animal. Quia vero sunt etiam quaedam
orationes quae componuntur ex verbis; ut cum dicitur, ambulare est moveri, ut
ab his distinguatur verbum, oportuit hoc etiam in definitione verbi iterari. Potest
etiam aliter dici quod quia verbum importat compositionem, in qua perficitur
oratio verum vel falsum significans, maiorem convenientiam videbatur verbum
habere cum oratione, quasi quaedam pars formalis ipsius, quam nomen, quod est
quaedam pars materialis et subiectiva orationis; et ideo oportuit
iterari. Tertia vero particula est, per quam distinguitur verbum non
solum a nomine, sed etiam a participio quod significat cum tempore; unde dicit:
et est semper eorum, quae de altero praedicantur nota, idest signum: quia
scilicet nomina et participia possunt poni ex parte subiecti et praedicati, sed
verbum semper est ex parte praedicati. Sed hoc videtur habere instantiam
in verbis infinitivi modi, quae interdum ponuntur ex parte subiecti; ut cum
dicitur, ambulare est moveri. Sed dicendum est quod verba infinitivi modi,
quando in subiecto ponuntur, habent vim nominis: unde et in Graeco et in
vulgari Latina locutione suscipiunt additionem articulorum sicut et nomina.
Cuius ratio est quia proprium nominis est, ut significet rem aliquam quasi per
se existentem; proprium autem verbi est, ut significet actionem vel passionem.
Potest autem actio significari tripliciter: uno modo, per se in abstracto,
velut quaedam res, et sic significatur per nomen; ut cum dicitur actio, passio,
ambulatio, cursus et similia; alio modo, per modum actionis, ut scilicet est
egrediens a substantia et inhaerens ei ut subiecto, et sic significatur per
verba aliorum modorum, quae attribuuntur praedicatis. Sed quia etiam ipse
processus vel inhaerentia actionis potest apprehendi ab intellectu et
significari ut res quaedam, inde est quod ipsa verba infinitivi modi, quae
significant ipsam inhaerentiam actionis ad subiectum, possunt accipi ut verba,
ratione concretionis, et ut nomina prout significant quasi res quasdam.
Potest etiam obiici de hoc quod etiam verba aliorum modorum videntur aliquando
in subiecto poni; ut cum dicitur, curro est verbum. Sed dicendum est quod in
tali locutione, hoc verbum curro, non sumitur formaliter, secundum quod eius significatio
refertur ad rem, sed secundum quod materialiter significat ipsam vocem, quae
accipitur ut res quaedam. Et ideo tam verba, quam omnes orationis partes,
quando ponuntur materialiter, sumuntur in vi nominum. Deinde cum dicit:
dico vero quoniam consignificat etc., exponit definitionem positam. Et primo,
quantum ad hoc quod dixerat quod consignificat tempus; secundo, quantum ad hoc
quod dixerat quod est nota eorum quae de altero praedicantur, cum dicit: et
semper est et cetera. Secundam autem particulam, scilicet: cuius nulla pars
extra significat, non exponit, quia supra exposita est in tractatu nominis.
Exponit ergo primum quod verbum consignificat tempus, per exemplum; quia
videlicet cursus, quia significat actionem non per modum actionis, sed per
modum rei per se existentis, non consignificat tempus, eo quod est nomen. Curro
vero cum sit verbum significans actionem, consignificat tempus, quia proprium
est motus tempore mensurari; actiones autem nobis notae sunt in tempore. Dictum
est autem supra quod consignificare tempus est significare aliquid in tempore
mensuratum. Unde aliud est significare tempus principaliter, ut rem quamdam,
quod potest nomini convenire, aliud autem est significare cum tempore, quod non
convenit nomini, sed verbo. Deinde cum dicit: et est semper etc., exponit
aliam particulam. Ubi notandum est quod quia subiectum enunciationis
significatur ut cui inhaeret aliquid, cum verbum significet actionem per modum
actionis, de cuius ratione est ut inhaereat, semper ponitur ex parte praedicati,
nunquam autem ex parte subiecti, nisi sumatur in vi nominis, ut dictum est.
Dicitur ergo verbum semper esse nota eorum quae dicuntur de altero: tum quia
verbum semper significat id, quod praedicatur; tum quia in omni praedicatione
oportet esse verbum, eo quod verbum importat compositionem, qua praedicatum
componitur subiecto. Sed dubium videtur quod subditur: ut eorum quae de
subiecto vel in subiecto sunt. Videtur enim aliquid dici ut de subiecto, quod
essentialiter praedicatur; ut, homo est animal; in subiecto autem, sicut
accidens de subiecto praedicatur; ut, homo est albus. Si ergo verba significant
actionem vel passionem, quae sunt accidentia, consequens est ut semper
significent ea, quae dicuntur ut in subiecto. Frustra igitur dicitur in subiecto
vel de subiecto. Et ad hoc dicit Boethius quod utrumque ad idem pertinet.
Accidens enim et de subiecto praedicatur, et in subiecto est. Sed quia
Aristoteles disiunctione utitur, videtur aliud per utrumque significare. Et
ideo potest dici quod cum Aristoteles dicit quod, verbum semper est nota eorum,
quae de altero praedicantur, non est sic intelligendum, quasi significata
verborum sint quae praedicantur, quia cum praedicatio videatur magis proprie ad
compositionem pertinere, ipsa verba sunt quae praedicantur, magis quam
significent praedicata. Est ergo intelligendum quod verbum semper est signum
quod aliqua praedicentur, quia omnis praedicatio fit per verbum ratione
compositionis importatae, sive praedicetur aliquid essentialiter sive
accidentaliter. Deinde cum dicit: non currit vero et non laborat etc.,
excludit quaedam a ratione verbi. Et primo, verbum infinitum; secundo, verba
praeteriti temporis vel futuri; ibi: similiter autem curret vel currebat. Dicit
ergo primo quod non currit, et non laborat, non proprie dicitur verbum. Est
enim proprium verbi significare aliquid per modum actionis vel passionis; quod
praedictae dictiones non faciunt: removent enim actionem vel passionem, potius
quam aliquam determinatam actionem vel passionem significent. Sed quamvis non
proprie possint dici verbum, tamen conveniunt sibi ea quae supra posita sunt in
definitione verbi. Quorum primum est quod significat tempus, quia significat
agere et pati, quae sicut sunt in tempore, ita privatio eorum; unde et quies
tempore mensuratur, ut habetur in VI physicorum. Secundum est quod semper
ponitur ex parte praedicati, sicut et verbum: ethoc ideo, quia negatio
reducitur ad genus affirmationis. Unde sicut verbum quod significat actionem
vel passionem, significat aliquid ut in altero existens, ita praedictae
dictiones significant remotionem actionis vel passionis. Si quis autem
obiiciat: si praedictis dictionibus convenit definitio verbi; ergo sunt verba;
dicendum est quod definitio verbi supra posita datur de verbo communiter sumpto.
Huiusmodi autem dictiones negantur esse verba, quia deficiunt a perfecta
ratione verbi. Nec ante Aristotelem erat nomen positum huic generi dictionum a
verbis differentium; sed quia huiusmodi dictiones in aliquo cum verbis
conveniunt, deficiunt tamen a determinata ratione verbi, ideo vocat ea verba
infinita. Et rationem nominis assignat, quia unumquodque eorum indifferenter
potest dici de eo quod est, vel de eo quod non est. Sumitur enim negatio
apposita non in vi privationis, sed in vi simplicis negationis. Privatio enim
supponit determinatum subiectum. Differunt tamen huiusmodi verba a verbis
negativis, quia verba infinita sumuntur in vi unius dictionis, verba vero
negativa in vi duarum dictionum. Deinde cum dicit: similiter autem curret
etc., excludit a verbo verba praeteriti et futuri temporis; et dicit quod sicut
verba infinita non sunt simpliciter verba, ita etiam curret, quod est futuri
temporis, vel currebat, quod est praeteriti temporis, non sunt verba, sed sunt
casus verbi. Et differunt in hoc a verbo, quia verbum consignificat praesens
tempus, illa vero significant tempus hinc et inde circumstans. Dicit autem
signanter praesens tempus, et non simpliciter praesens, ne intelligatur
praesens indivisibile, quod est instans: quia in instanti non est motus, nec
actio aut passio; sed oportet accipere praesens tempus quod mensurat actionem,
quae incepit, et nondum est determinata per actum. Recte autem ea quae
consignificant tempus praeteritum vel futurum, non sunt verba proprie dicta:
cum enim verbum proprie sit quod significat agere vel pati, hoc est proprie
verbum quod significat agere vel pati in actu, quod est agere vel pati
simpliciter: sed agere vel pati in praeterito vel futuro est secundum
quid. Dicuntur etiam verba praeteriti vel futuri temporis rationabiliter
casus verbi, quod consignificat praesens tempus; quia praeteritum vel futurum
dicitur per respectum ad praesens. Est enim praeteritum quod fuit praesens,
futurum autem quod erit praesens. Cum autem declinatio verbi varietur per
modos, tempora, numeros et personas, variatio quae fit per numerum et personam
non constituit casus verbi: quia talis variatio non est ex parte actionis, sed
ex parte subiecti; sed variatio quae est per modos et tempora respicit ipsam
actionem, et ideo utraque constituit casus verbi. Nam verba imperativi vel
optativi modi casus dicuntur, sicut et verba praeteriti vel futuri temporis.
Sed verba indicativi modi praesentis temporis non dicuntur casus, cuiuscumque
sint personae vel numeri. Deinde cum dicit: ipsa itaque etc., ostendit
convenientiam verborum ad nomina. Et circa hoc duo facit: primo, proponit quod
intendit; secundo, manifestat propositum; ibi: et significant aliquid et
cetera. Dicit ergo primo, quod ipsa verba secundum se dicta sunt nomina: quod a
quibusdam exponitur de verbis quae sumuntur in vi nominis, ut dictum est, sive
sint infinitivi modi; ut cum dico, currere est moveri, sive sint alterius modi;
ut cum dico, curro est verbum. Sed haec non videtur esse intentio Aristotelis,
quia ad hanc intentionem non respondent sequentia. Et ideo aliter dicendum est
quod nomen hic sumitur, prout communiter significat quamlibet dictionem
impositam ad significandum aliquam rem. Et quia etiam ipsum agere vel pati est
quaedam res, inde est quod et ipsa verba in quantum nominant, idest significant
agere vel pati, sub nominibus comprehenduntur communiter acceptis. Nomen autem,
prout a verbo distinguitur, significat rem sub determinato modo, prout scilicet
potest intelligi ut per se existens. Unde nomina possunt subiici et praedicari.
Deinde cum dicit: et significant aliquid etc., probat propositum. Et primo, per
hoc quod verba significant aliquid, sicut et nomina; secundo, per hoc quod non
significant verum vel falsum, sicut nec nomina; ibi: sed si est, aut non est et
cetera. Dicit ergo primo quod in tantum dictum est quod verba sunt nomina, in
quantum significant aliquid. Et hoc probat, quia supra dictum est quod voces
significativae significant intellectus. Unde proprium vocis significativae est
quod generet aliquem intellectum in animo audientis. Et ideo ad ostendendum
quod verbum sit vox significativa, assumit quod ille, qui dicit verbum,
constituit intellectum in animo audientis. Et ad hoc manifestandum inducit quod
ille, qui audit, quiescit. Sed hoc videtur esse falsum: quia sola oratio
perfecta facit quiescere intellectum, non autem nomen, neque verbum si per se
dicatur. Si enim dicam, homo, suspensus est animus audientis, quid de eo dicere
velim; si autem dico, currit, suspensus est eius animus de quo dicam. Sed dicendum
est quod cum duplex sit intellectus operatio, ut supra habitum est, ille qui
dicit nomen vel verbum secundum se, constituit intellectum quantum ad primam
operationem, quae est simplex conceptio alicuius, et secundum hoc, quiescit
audiens, qui in suspenso erat antequam nomen vel verbum proferretur et eius
prolatio terminaretur; non autem constituit intellectum quantum ad secundam
operationem, quae est intellectus componentis et dividentis, ipsum verbum vel
nomen per se dictum: nec quantum ad hoc facit quiescere audientem. Et
ideo statim subdit: sed si est, aut non est, nondum significat, idest nondum
significat aliquid per modum compositionis et divisionis, aut veri vel falsi.
Et hoc est secundum, quod probare intendit. Probat autem consequenter per illa
verba, quae maxime videntur significare veritatem vel falsitatem, scilicet
ipsum verbum quod est esse, et verbum infinitum quod est non esse; quorum
neutrum per se dictum est significativum veritatis vel falsitatis in re; unde
multo minus alia. Vel potest intelligi hoc generaliter dici de omnibus verbis.
Quia enim dixerat quod verbum non significat si est res vel non est, hoc
consequenter manifestat, quia nullum verbum est significativum esse rei vel non
esse, idest quod res sit vel non sit. Quamvis enim omne verbum finitum implicet
esse, quia currere est currentem esse, et omne verbum infinitum implicet non
esse, quia non currere est non currentem esse; tamen nullum verbum significat
hoc totum, scilicet rem esse vel non esse. Et hoc consequenter probat per
id, de quo magis videtur cum subdit: nec si hoc ipsum est purum dixeris, ipsum
quidem nihil est. Ubi notandum est quod in Graeco habetur: neque si ens ipsum
nudum dixeris, ipsum quidem nihil est. Ad probandum enim quod verba non
significant rem esse vel non esse, assumpsit id quod est fons et origo ipsius
esse, scilicet ipsum ens, de quo dicit quod nihil est (ut Alexander exponit),
quia ens aequivoce dicitur de decem praedicamentis; omne autem aequivocum per
se positum nihil significat, nisi aliquid addatur quod determinet eius
significationem; unde nec ipsum est per se dictum significat quod est vel non
est. Sed haec expositio non videtur conveniens, tum quia ens non dicitur
proprie aequivoce, sed secundum prius et posterius; unde simpliciter dictum intelligitur
de eo, quod per prius dicitur: tum etiam, quia dictio aequivoca non nihil
significat, sed multa significat; et quandoque hoc, quandoque illud per ipsam
accipitur: tum etiam, quia talis expositio non multum facit ad intentionem
praesentem. Unde Porphyrius aliter exposuit quod hoc ipsum ens non significat
naturam alicuius rei, sicut hoc nomen homo vel sapiens, sed solum designat
quamdam coniunctionem; unde subdit quod consignificat quamdam compositionem,
quam sine compositis non est intelligere. Sed neque hoc convenienter videtur
dici: quia si non significaret aliquam rem, sed solum coniunctionem, non esset
neque nomen, neque verbum, sicut nec praepositiones aut coniunctiones. Et ideo
aliter exponendum est, sicut Ammonius exponit, quod ipsum ens nihil est, idest
non significat verum vel falsum. Et rationem huius assignat, cum subdit:
consignificat autem quamdam compositionem. Nec accipitur hic, ut ipse dicit,
consignificat, sicut cum dicebatur quod verbum consignificat tempus, sed
consignificat, idest cum alio significat, scilicet alii adiunctum compositionem
significat, quae non potest intelligi sine extremis compositionis. Sed quia hoc
commune est omnibus nominibus et verbis, non videtur haec expositio esse
secundum intentionem Aristotelis, qui assumpsit ipsum ens quasi quoddam
speciale. Et ideo ut magis sequamur verba Aristotelis considerandum est quod
ipse dixerat quod verbum non significat rem esse vel non esse, sed nec ipsum
ens significat rem esse vel non esse. Et hoc est quod dicit, nihil est, idest
non significat aliquid esse. Etenim hoc maxime videbatur de hoc quod dico ens:
quia ens nihil est aliud quam quod est. Et sic videtur et rem significare, per
hoc quod dico quod et esse, per hoc quod dico est. Et si quidem haec dictio ens
significaret esse principaliter, sicut significat rem quae habet esse, procul
dubio significaret aliquid esse. Sed ipsam compositionem, quae importatur in
hoc quod dico est, non principaliter significat, sed consignificat eam in
quantum significat rem habentem esse. Unde talis consignificatio compositionis
non sufficit ad veritatem vel falsitatem: quia compositio, in qua consistit
veritas et falsitas, non potest intelligi, nisi secundum quod innectit extrema
compositionis. Si vero dicatur, nec ipsum esse, ut libri nostri habent,
planior est sensus. Quod enim nullum verbum significat rem esse vel non esse,
probat per hoc verbum est, quod secundum se dictum, non significat aliquid
esse, licet significet esse. Et quia hoc ipsum esse videtur compositio quaedam,
et ita hoc verbum est, quod significat esse, potest videri significare
compositionem, in qua sit verum vel falsum; ad hoc excludendum subdit quod illa
compositio, quam significat hoc verbum est, non potest intelligi sine
componentibus: quia dependet eius intellectus ab extremis, quae si non
apponantur, non est perfectus intellectus compositionis, ut possit in ea esse
verum, vel falsum. Ideo autem dicit quod hoc verbum est consignificat
compositionem, quia non eam principaliter significat, sed ex consequenti; significat
enim primo illud quod cadit in intellectu per modum actualitatis absolute: nam
est, simpliciter dictum, significat in actu esse; et ideo significat per modum
verbi. Quia vero actualitas, quam principaliter significat hoc verbum est, est
communiter actualitas omnis formae, vel actus substantialis vel accidentalis,
inde est quod cum volumus significare quamcumque formam vel actum actualiter
inesse alicui subiecto, significamus illud per hoc verbum est, vel simpliciter
vel secundum quid: simpliciter quidem secundum praesens tempus; secundum quid
autem secundum alia tempora. Et ideo ex consequenti hoc verbum est significat
compositionem. Postquam philosophus determinavit de nomine et de verbo, quae
sunt principia materialia enunciationis, utpote partes eius existentes; nunc
determinat de oratione, quae est principium formale enunciationis, utpote genus
eius existens. Et circa hoc tria facit: primo enim, proponit definitionem
orationis; secundo, exponit eam; ibi: dico autem ut homo etc.; tertio, excludit
errorem; ibi: est autem oratio omnis et cetera. Circa primum
considerandum est quod philosophus in definitione orationis primo ponit illud
in quo oratio convenit cum nomine et verbo, cum dicit: oratio est vox
significativa, quod etiam posuit in definitione nominis, et probavit de verbo
quod aliquid significet. Non autem posuit in eius definitione, quia supponebat
ex eo quod positum erat in definitione nominis, studens brevitati, ne idem
frequenter iteraret. Iterat tamen hoc in definitione orationis, quia significatio
orationis differt a significatione nominis et verbi, quia nomen vel verbum
significat simplicem intellectum, oratio vero significat intellectum
compositum. Secundo autem ponit id, in quo oratio differt a nomine et
verbo, cum dicit: cuius partium aliquid significativum est separatim. Supra
enim dictum est quod pars nominis non significat aliquid per se separatum, sed
solum quod est coniunctum ex duabus partibus. Signanter autem non dicit: cuius
pars est significativa aliquid separata, sed cuius aliquid partium est
significativum, propter negationes et alia syncategoremata, quae secundum se
non significant aliquid absolutum, sed solum habitudinem unius ad alterum. Sed
quia duplex est significatio vocis, una quae refertur ad intellectum
compositum, alia quae refertur ad intellectum simplicem; prima significatio
competit orationi, secunda non competit orationi, sed parti orationis. Unde
subdit: ut dictio, non ut affirmatio. Quasi dicat: pars orationis est
significativa, sicut dictio significat, puta ut nomen et verbum, non sicut
affirmatio, quae componitur ex nomine et verbo. Facit autem mentionem solum de
affirmatione et non de negatione, quia negatio secundum vocem superaddit
affirmationi; unde si pars orationis propter sui simplicitatem non significat
aliquid, ut affirmatio, multo minus ut negatio. Sed contra hanc
definitionem Aspasius obiicit quod videtur non omnibus partibus orationis
convenire. Sunt enim quaedam orationes, quarum partes significant aliquid ut
affirmatio; ut puta, si sol lucet super terram, dies est; et sic de multis. Et
ad hoc respondet Porphyrius quod in quocumque genere invenitur prius et
posterius, debet definiri id quod prius est. Sicut cum datur definitio alicuius
speciei, puta hominis, intelligitur definitio de eo quod est in actu, non de eo
quod est in potentia; et ideo quia in genere orationis prius est oratio
simplex, inde est quod Aristoteles prius definivit orationem simplicem. Vel
potest dici, secundum Alexandrum et Ammonium, quod hic definitur oratio in
communi. Unde debet poni in hac definitione id quod est commune orationi
simplici et compositae. Habere autem partes significantes aliquid ut
affirmatio, competit soli orationi, compositae; sed habere partes significantes
aliquid per modum dictionis, et non per modum affirmationis, est commune
orationi simplici et compositae. Et ideo hoc debuit poni in definitione
orationis. Et secundum hoc non debet intelligi esse de ratione orationis quod
pars eius non sit affirmatio: sed quia de ratione orationis est quod pars eius
sit aliquid quod significat per modum dictionis, et non per modum
affirmationis. Et in idem redit solutio Porphyrii quantum ad sensum, licet
quantum ad verba parumper differat. Quia enim Aristoteles frequenter ponit
dicere pro affirmare, ne dictio pro affirmatione sumatur, subdit quod pars
orationis significat ut dictio, et addit non ut affirmatio: quasi diceret,
secundum sensum Porphyrii, non accipiatur nunc dictio secundum quod idem est
quod affirmatio. Philosophus autem, qui dicitur Ioannes grammaticus, voluit quod
haec definitio orationis daretur solum de oratione perfecta, eo quod partes non
videntur esse nisi alicuius perfecti, sicut omnes partes domus referuntur ad
domum: et ideo secundum ipsum sola oratio perfecta habet partes significativas.
Sed tamen hic decipiebatur, quia quamvis omnes partes referantur principaliter
ad totum perfectum, quaedam tamen partes referuntur ad ipsum immediate, sicut
paries et tectum ad domum, et membra organica ad animal: quaedam vero
mediantibus partibus principalibus quarum sunt partes; sicut lapides referuntur
ad domum mediante pariete; nervi autem et ossa ad animal mediantibus membris
organicis, scilicet manu et pede et huiusmodi. Sic ergo omnes partes orationis
principaliter referuntur ad orationem perfectam, cuius pars est oratio
imperfecta, quae etiam ipsa habet partes significantes. Unde ista definitio
convenit tam orationi perfectae, quam imperfectae. Deinde cum dicit: dico
autem ut homo etc., exponit propositam definitionem. Et primo, manifestat verum
esse quod dicitur; secundo, excludit falsum intellectum; ibi: sed non una
hominis syllaba et cetera. Exponit ergo quod dixerat aliquid partium orationis
esse significativum, sicut hoc nomen homo, quod est pars orationis, significat
aliquid, sed non significat ut affirmatio aut negatio, quia non significat esse
vel non esse. Et hoc dico non in actu, sed solum in potentia. Potest enim
aliquid addi, per cuius additionem fit affirmatio vel negatio, scilicet si
addatur ei verbum. Deinde cum dicit: sed non una hominis etc., excludit
falsum intellectum. Et posset hoc referri ad immediate dictum, ut sit sensus
quod nomen erit affirmatio vel negatio, si quid ei addatur, sed non si addatur
ei una nominis syllaba. Sed quia huic sensui non conveniunt verba sequentia,
oportet quod referatur ad id, quod supra dictum est in definitione orationis,
scilicet quod aliquid partium eius sit significativum separatim. Sed quia pars
alicuius totius dicitur proprie illud, quod immediate venit ad constitutionem
totius, non autem pars partis; ideo hoc intelligendum est de partibus ex quibus
immediate constituitur oratio, scilicet de nomine et verbo, non autem de
partibus nominis vel verbi, quae sunt syllabae vel litterae. Et ideo dicitur
quod pars orationis est significativa separata, non tamen talis pars, quae est
una nominis syllaba. Et hoc manifestat in syllabis, quae quandoque possunt esse
dictiones per se significantes: sicut hoc quod dico rex, quandoque est una
dictio per se significans; in quantum vero accipitur ut una quaedam syllaba
huius nominis sorex, soricis, non significat aliquid per se, sed est vox sola.
Dictio enim quaedam est composita ex pluribus vocibus, tamen in significando
habet simplicitatem, in quantum scilicet significat simplicem intellectum. Et
ideo in quantum est vox composita, potest habere partem quae sit vox, inquantum
autem est simplex in significando, non potest habere partem significantem. Unde
syllabae quidem sunt voces, sed non sunt voces per se significantes. Sciendum
tamen quod in nominibus compositis, quae imponuntur ad significandum rem
simplicem ex aliquo intellectu composito, partes secundum apparentiam aliquid
significant, licet non secundum veritatem. Et ideo subdit quod in duplicibus,
idest in nominibus compositis, syllabae quae possunt esse dictiones, in
compositione nominis venientes, significant aliquid, scilicet in ipso composito
et secundum quod sunt dictiones; non autem significant aliquid secundum se,
prout sunt huiusmodi nominis partes, sed eo modo, sicut supra dictum est.
Deinde cum dicit: est autem oratio etc., excludit quemdam errorem. Fuerunt enim
aliqui dicentes quod oratio et eius partes significant naturaliter, non ad
placitum. Ad probandum autem hoc utebantur tali ratione. Virtutis naturalis
oportet esse naturalia instrumenta: quia natura non deficit in necessariis;
potentia autem interpretativa est naturalis homini; ergo instrumenta eius sunt
naturalia. Instrumentum autem eius est oratio, quia per orationem virtus
interpretativa interpretatur mentis conceptum: hoc enim dicimus instrumentum,
quo agens operatur. Ergo oratio est aliquid naturale, non ex institutione
humana significans, sed naturaliter. Huic autem rationi, quae dicitur
esse Platonis in Lib. qui intitulatur Cratylus, Aristoteles obviando dicit quod
omnis oratio est significativa, non sicut instrumentum virtutis, scilicet
naturalis: quia instrumenta naturalia virtutis interpretativae sunt guttur et
pulmo, quibus formatur vox, et lingua et dentes et labia, quibus litterati ac
articulati soni distinguuntur; oratio autem et partes eius sunt sicut effectus
virtutis interpretativae per instrumenta praedicta. Sicut enim virtus motiva
utitur naturalibus instrumentis, sicut brachiis et manibus ad faciendum opera
artificialia, ita virtus interpretativa utitur gutture et aliis instrumentis
naturalibus ad faciendum orationem. Unde oratio et partes eius non sunt res
naturales, sed quidam artificiales effectus. Et ideo subdit quod oratio
significat ad placitum, idest secundum institutionem humanae rationis et
voluntatis, ut supra dictum est, sicut et omnia artificialia causantur ex
humana voluntate et ratione. Sciendum tamen quod, si virtutem interpretativam
non attribuamus virtuti motivae, sed rationi; sic non est virtus naturalis, sed
supra omnem naturam corpoream: quia intellectus non est actus alicuius corporis,
sicut probatur in III de anima. Ipsa autem ratio est, quae movet virtutem
corporalem motivam ad opera artificialia, quibus etiam ut instrumentis utitur
ratio: non sunt autem instrumenta alicuius virtutis corporalis. Et hoc modo
ratio potest etiam uti oratione et eius partibus, quasi instrumentis: quamvis
non naturaliter significent. Postquam philosophus determinavit de principiis
enunciationis, hic incipit determinare de ipsa enunciatione. Et dividitur pars
haec in duas: in prima, determinat de enunciatione absolute; in secunda, de
diversitate enunciationum, quae provenit secundum ea quae simplici enunciationi
adduntur; et hoc in secundo libro; ibi: quoniam autem est de aliquo affirmatio
et cetera. Prima autem pars dividitur in partes tres. In prima, definit
enunciationem; in secunda, dividit eam; ibi: est autem una prima oratio etc.,
in tertia, agit de oppositione partium eius ad invicem; ibi: quoniam autem est
enunciare et cetera. Circa primum tria facit: primo, ponit definitionem
enunciationis; secundo, ostendit quod per hanc definitionem differt enunciatio
ab aliis speciebus orationis; ibi: non autem in omnibus etc.; tertio, ostendit
quod de sola enunciatione est tractandum, ibi: et caeterae quidem
relinquantur. Circa primum considerandum est quod oratio, quamvis non sit
instrumentum alicuius virtutis naturaliter operantis, est tamen instrumentum
rationis, ut supra dictum est. Omne autem instrumentum oportet definiri ex suo
fine, qui est usus instrumenti: usus autem orationis, sicut et omnis vocis
significativae est significare conceptionem intellectus, ut supra dictum est:
duae autem sunt operationes intellectus, in quarum una non invenitur veritas et
falsitas, in alia autem invenitur verum vel falsum. Et ideo orationem
enunciativam definit ex significatione veri et falsi, dicens quod non omnis
oratio est enunciativa, sed in qua verum vel falsum est. Ubi considerandum est
quod Aristoteles mirabili brevitate usus, et divisionem orationis innuit in hoc
quod dicit: non omnis oratio est enunciativa, et definitionem enunciationis in
hoc quod dicit: sed in qua verum vel falsum est: ut intelligatur quod haec sit
definitio enunciationis, enunciatio est oratio, in qua verum vel falsum
est. Dicitur autem in enunciatione esse verum vel falsum, sicut in signo
intellectus veri vel falsi: sed sicut in subiecto est verum vel falsum in
mente, ut dicitur in VI metaphysicae, in re autem sicut in causa: quia ut
dicitur in libro praedicamentorum, ab eo quod res est vel non est, oratio vera
vel falsa est. Deinde cum dicit: non autem in omnibus etc., ostendit quod
per hanc definitionem enunciatio differt ab aliis orationibus. Et quidem de
orationibus imperfectis manifestum est quod non significant verum vel falsum,
quia cum non faciant perfectum sensum in animo audientis, manifestum est quod
perfecte non exprimunt iudicium rationis, in quo consistit verum vel falsum.
His igitur praetermissis, sciendum est quod perfectae orationis, quae complet
sententiam, quinque sunt species, videlicet enunciativa, deprecativa, imperativa,
interrogativa et vocativa. (Non tamen intelligendum est quod solum nomen
vocativi casus sit vocativa oratio: quia oportet aliquid partium orationis
significare aliquid separatim, sicut supra dictum est; sed per vocativum
provocatur, sive excitatur animus audientis ad attendendum; non autem est
vocativa oratio nisi plura coniungantur; ut cum dico, o bone Petre). Harum
autem orationum sola enunciativa est, in qua invenitur verum vel falsum, quia
ipsa sola absolute significat conceptum intellectus, in quo est verum vel
falsum. Sed quia intellectus vel ratio, non solum concipit in seipso
veritatem rei tantum, sed etiam ad eius officium pertinet secundum suum
conceptum alia dirigere et ordinare; ideo necesse fuit quod sicut per
enunciativam orationem significatur ipse mentis conceptus, ita etiam essent
aliquae aliae orationes significantes ordinem rationis, secundum quam alia
diriguntur. Dirigitur autem ex ratione unius hominis alius homo ad tria: primo
quidem, ad attendendum mente; et ad hoc pertinet vocativa oratio: secundo, ad
respondendum voce; et ad hoc pertinet oratio interrogativa: tertio, ad
exequendum in opere; et ad hoc pertinet quantum ad inferiores oratio
imperativa; quantum autem ad superiores oratio deprecativa, ad quam reducitur
oratio optativa: quia respectu superioris, homo non habet vim motivam, nisi per
expressionem sui desiderii. Quia igitur istae quatuor orationis species non
significant ipsum conceptum intellectus, in quo est verum vel falsum, sed
quemdam ordinem ad hoc consequentem; inde est quod in nulla earum invenitur
verum vel falsum, sed solum in enunciativa, quae significat id quod mens de
rebus concipit. Et inde est quod omnes modi orationum, in quibus invenitur
verum vel falsum, sub enunciatione continentur: quam quidam dicunt indicativam
vel suppositivam. Dubitativa autem ad interrogativam reducitur, sicut et
optativa ad deprecativam. Deinde cum dicit: caeterae igitur relinquantur
etc., ostendit quod de sola enunciativa est agendum; et dicit quod aliae
quatuor orationis species sunt relinquendae, quantum pertinet ad praesentem
intentionem: quia earum consideratio convenientior est rhetoricae vel poeticae
scientiae. Sed enunciativa oratio praesentis considerationis est. Cuius ratio
est, quia consideratio huius libri directe ordinatur ad scientiam
demonstrativam, in qua animus hominis per rationem inducitur ad consentiendum
vero ex his quae sunt propria rei; et ideo demonstrator non utitur ad suum
finem nisi enunciativis orationibus, significantibus res secundum quod earum
veritas est in anima. Sed rhetor et poeta inducunt ad assentiendum ei quod
intendunt, non solum per ea quae sunt propria rei, sed etiam per dispositiones
audientis. Unde rhetores et poetae plerumque movere auditores nituntur
provocando eos ad aliquas passiones, ut philosophus dicit in sua rhetorica. Et
ideo consideratio dictarum specierum orationis, quae pertinet ad ordinationem
audientis in aliquid, cadit proprie sub consideratione rhetoricae vel poeticae,
ratione sui significati; ad considerationem autem grammatici, prout
consideratur in eis congrua vocum constructio. Postquam philosophus definivit
enunciationem, hic dividit eam. Et dividitur in duas partes: in prima, ponit
divisionem enunciationis; in secunda, manifestat eam; ibi: necesse est autem et
cetera. Circa primum considerandum est quod Aristoteles sub breviloquio
duas divisiones enunciationis ponit. Quarum una est quod enunciationum quaedam
est una simplex, quaedam est coniunctione una. Sicut etiam in rebus, quae sunt
extra animam, aliquid est unum simplex sicut indivisibile vel continuum,
aliquid est unum colligatione aut compositione aut ordine. Quia enim ens et
unum convertuntur, necesse est sicut omnem rem, ita et omnem enunciationem
aliqualiter esse unam. Alia vero subdivisio enunciationis est quod si enunciatio
sit una, aut est affirmativa aut negativa. Enunciatio autem affirmativa prior
est negativa, triplici ratione, secundum tria quae supra posita sunt: ubi
dictum est quod vox est signum intellectus, et intellectus est signum rei. Ex
parte igitur vocis, affirmativa enunciatio est prior negativa, quia est
simplicior: negativa enim enunciatio addit supra affirmativam particulam
negativam. Ex parte etiam intellectus affirmativa enunciatio, quae significat
compositionem intellectus, est prior negativa, quae significat divisionem
eiusdem: divisio enim naturaliter posterior est compositione, nam non est
divisio nisi compositorum, sicut non est corruptio nisi generatorum. Ex parte
etiam rei, affirmativa enunciatio, quae significat esse, prior est negativa, quae
significat non esse: sicut habitus naturaliter prior est privatione.
Dicit ergo quod oratio enunciativa una et prima est affirmatio, idest
affirmativa enunciatio. Et contra hoc quod dixerat prima, subdit: deinde
negatio, idest negativa oratio, quia est posterior affirmativa, ut dictum est.
Contra id autem quod dixerat una, scilicet simpliciter, subdit quod quaedam
aliae sunt unae, non simpliciter, sed coniunctione unae. Ex hoc autem
quod hic dicitur argumentatur Alexander quod divisio enunciationis in
affirmationem et negationem non est divisio generis in species, sed divisio
nominis multiplicis in sua significata. Genus enim univoce praedicatur de suis
speciebus, non secundum prius et posterius: unde Aristoteles noluit quod ens
esset genus commune omnium, quia per prius praedicatur de substantia, quam de
novem generibus accidentium. Sed dicendum quod unum dividentium aliquod
commune potest esse prius altero dupliciter: uno modo, secundum proprias
rationes, aut naturas dividentium; alio modo, secundum participationem rationis
illius communis quod in ea dividitur. Primum autem non tollit univocationem
generis, ut manifestum est in numeris, in quibus binarius secundum propriam
rationem naturaliter est prior ternario; sed tamen aequaliter participant rationem
generis sui, scilicet numeri: ita enim est ternarius multitudo mensurata per
unum, sicut et binarius. Sed secundum impedit univocationem generis. Et propter
hoc ens non potest esse genus substantiae et accidentis: quia in ipsa ratione
entis, substantia, quae est ens per se, prioritatem habet respectu accidentis,
quod est ens per aliud et in alio. Sic ergo affirmatio secundum propriam
rationem prior est negatione; tamen aequaliter participant rationem
enunciationis, quam supra posuit, videlicet quod enunciatio est oratio in qua
verum vel falsum est. Deinde cum dicit: necesse est autem etc.,
manifestat propositas divisiones. Et primo, manifestat primam, scilicet quod
enunciatio vel est una simpliciter vel coniunctione una; secundo, manifestat
secundam, scilicet quod enunciatio simpliciter una vel est affirmativa vel
negativa; ibi: est autem simplex enunciatio et cetera. Circa primum duo facit:
primo, praemittit quaedam, quae sunt necessaria ad propositum manifestandum;
secundo, manifestat propositum; ibi: est autem una oratio et cetera.
Circa primum duo facit: primo, dicit quod omnem orationem enunciativam oportet
constare ex verbo quod est praesentis temporis, vel ex casu verbi quod est
praeteriti vel futuri. Tacet autem de verbo infinito, quia eumdem usum habet in
enunciatione sicut et verbum negativum. Manifestat autem quod dixerat per hoc,
quod non solum nomen unum sine verbo non facit orationem perfectam
enunciativam, sed nec etiam oratio imperfecta. Definitio enim oratio quaedam
est, et tamen si ad rationem hominis, idest definitionem non addatur aut est,
quod est verbum, aut erat, aut fuit, quae sunt casus verbi, aut aliquid
huiusmodi, idest aliquod aliud verbum seu casus verbi, nondum est oratio
enunciativa. Potest autem esse dubitatio: cum enunciatio constet ex
nomine et verbo, quare non facit mentionem de nomine, sicut de verbo? Ad quod
tripliciter responderi potest. Primo quidem, quia nulla oratio enunciativa
invenitur sine verbo vel casu verbi; invenitur autem aliqua enunciatio sine
nomine, puta cum nos utimur infinitivis verborum loco nominum; ut cum dicitur,
currere est moveri. Secundo et melius, quia, sicut supra dictum est, verbum est
nota eorum quae de altero praedicantur. Praedicatum autem est principalior pars
enunciationis, eo quod est pars formalis et completiva ipsius. Unde vocatur
apud Graecos propositio categorica, idest praedicativa. Denominatio autem fit a
forma, quae dat speciem rei. Et ideo potius fecit mentionem de verbo tanquam de
parte principaliori et formaliori. Cuius signum est, quia enunciatio categorica
dicitur affirmativa vel negativa solum ratione verbi, quod affirmatur vel
negatur; sicut etiam conditionalis dicitur affirmativa vel negativa, eo quod
affirmatur vel negatur coniunctio a qua denominatur. Tertio, potest dici, et
adhuc melius, quod non erat intentio Aristotelis ostendere quod nomen vel
verbum non sufficiant ad enunciationem complendam: hoc enim supra manifestavit
tam de nomine quam de verbo. Sed quia dixerat quod quaedam enunciatio est una
simpliciter, quaedam autem coniunctione una; posset aliquis intelligere quod
illa quae est una simpliciter careret omni compositione: sed ipse hoc excludit
per hoc quod in omni enunciatione oportet esse verbum, quod importat
compositionem, quam non est intelligere sine compositis, sicut supra dictum
est. Nomen autem non importat compositionem, et ideo non exigit praesens
intentio ut de nomine faceret mentionem, sed solum de verbo. Secundo; ibi:
quare autem etc., ostendit aliud quod est necessarium ad manifestationem
propositi, scilicet quod hoc quod dico, animal gressibile bipes, quae est
definitio hominis, est unum et non multa. Et eadem ratio est de omnibus aliis
definitionibus. Sed huiusmodi rationem assignare dicit esse alterius negocii.
Pertinet enim ad metaphysicum; unde in VII et in VIII metaphysicae ratio huius
assignatur: quia scilicet differentia advenit generi non per accidens sed per
se, tanquam determinativa ipsius, per modum quo materia determinatur per
formam. Nam a materia sumitur genus, a forma autem differentia. Unde sicut ex
forma et materia fit vere unum et non multa, ita ex genere et differentia.
Excludit autem quamdam rationem huius unitatis, quam quis posset suspicari, ut
scilicet propter hoc definitio dicatur unum, quia partes eius sunt propinquae,
idest sine aliqua interpositione coniunctionis vel morae. Et quidem non
interruptio locutionis necessaria est ad unitatem definitionis, quia si
interponeretur coniunctio partibus definitionis, iam secunda non determinaret
primam, sed significarentur ut actu multae in locutione: et idem operatur
interpositio morae, qua utuntur rhetores loco coniunctionis. Unde ad unitatem
definitionis requiritur quod partes eius proferantur sine coniunctione et
interpolatione: quia etiam in re naturali, cuius est definitio, nihil cadit
medium inter materiam et formam: sed praedicta non interruptio non sufficit ad
unitatem definitionis, quia contingit etiam hanc continuitatem prolationis
servari in his, quae non sunt simpliciter unum, sed per accidens; ut si dicam,
homo albus musicus. Sic igitur Aristoteles valde subtiliter manifestavit quod
absoluta unitas enunciationis non impeditur, neque per compositionem quam
importat verbum, neque per multitudinem nominum ex quibus constat definitio. Et
est eadem ratio utrobique, nam praedicatum comparatur ad subiectum ut forma ad
materiam, et similiter differentia ad genus: ex forma autem et materia fit unum
simpliciter. Deinde cum dicit: est autem una oratio etc., accedit ad
manifestandam praedictam divisionem. Et primo, manifestat ipsum commune quod
dividitur, quod est enunciatio una; secundo, manifestat partes divisionis
secundum proprias rationes; ibi: harum autem haec simplex et cetera. Circa
primum duo facit: primo, manifestat ipsam divisionem; secundo, concludit quod
ab utroque membro divisionis nomen et verbum excluduntur; ibi: nomen ergo et
verbum et cetera. Opponitur autem unitati pluralitas; et ideo enunciationis
unitatem manifestat per modos pluralitatis. Dicit ergo primo quod
enunciatio dicitur vel una absolute, scilicet quae unum de uno significat, vel
una secundum quid, scilicet quae est coniunctione una. Per oppositum autem est
intelligendum quod enunciationes plures sunt, vel ex eo quod plura significant
et non unum: quod opponitur primo modo unitatis; vel ex eo quod absque coniunctione
proferuntur: et tales opponuntur secundo modo unitatis. Circa quod
considerandum est, secundum Boethium, quod unitas et pluralitas orationis
refertur ad significatum; simplex autem et compositum attenditur secundum ipsas
voces. Et ideo enunciatio quandoque est una et simplex puta cum solum ex nomine
et verbo componitur in unum significatum; ut cum dico, homo est albus. Est
etiam quandoque una oratio, sed composita, quae quidem unam rem significat, sed
tamen composita est vel ex pluribus terminis; sicut si dicam, animal rationale
mortale currit, vel ex pluribus enunciationibus, sicut in conditionalibus, quae
quidem unum significant et non multa. Similiter autem quandoque in enunciatione
est pluralitas cum simplicitate, puta cum in oratione ponitur aliquod nomen
multa significans; ut si dicam, canis latrat, haec oratio plures est, quia
plura significat, et tamen simplex est. Quandoque vero in enunciatione est
pluralitas et compositio, puta cum ponuntur plura in subiecto vel in
praedicato, ex quibus non fit unum, sive interveniat coniunctio sive non; puta
si dicam, homo albus musicus disputat: et similiter est si coniungantur plures
enunciationes, sive cum coniunctione sive sine coniunctione; ut si dicam,
Socrates currit, Plato disputat. Et secundum hoc sensus litterae est quod
enunciatio una est illa, quae unum de uno significat, non solum si sit simplex,
sed etiam si sit coniunctione una. Et similiter enunciationes plures dicuntur
quae plura et non unum significant: non solum quando interponitur aliqua coniunctio,
vel inter nomina vel verba, vel etiam inter ipsas enunciationes; sed etiam si
vel inconiunctione, idest absque aliqua interposita coniunctione plura
significat, vel quia est unum nomen aequivocum, multa significans, vel quia
ponuntur plura nomina absque coniunctione, ex quorum significatis non fit unum;
ut si dicam, homo albus grammaticus logicus currit. Sed haec expositio
non videtur esse secundum intentionem Aristotelis. Primo quidem, quia per
disiunctionem, quam interponit, videtur distinguere inter orationem unum
significantem, et orationem quae est coniunctione una. Secundo, quia supra
dixerat quod est unum quoddam et non multa, animal gressibile bipes. Quod autem
est coniunctione unum, non est unum et non multa, sed est unum ex multis. Et ideo
melius videtur dicendum quod Aristoteles, quia supra dixerat aliquam
enunciationem esse unam et aliquam coniunctione unam, vult hic manifestare quae
sit una. Et quia supra dixerat quod multa nomina simul coniuncta sunt unum,
sicut animal gressibile bipes, dicit consequenter quod enunciatio est iudicanda
una non ex unitate nominis, sed ex unitate significati, etiam si sint plura
nomina quae unum significent. Vel si sit aliqua enunciatio una quae multa
significet, non erit una simpliciter, sed coniunctione una. Et secundum hoc,
haec enunciatio, animal gressibile bipes est risibile, non est una quasi
coniunctione una, sicut in prima expositione dicebatur, sed quia unum
significat. Et quia oppositum per oppositum manifestatur, consequenter ostendit
quae sunt plures enunciationes, et ponit duos modos pluralitatis. Primus est,
quod plures dicuntur enunciationes quae plura significant. Contingit autem
aliqua plura significari in aliquo uno communi; sicut cum dico, animal est
sensibile, sub hoc uno communi, quod est animal, multa continentur, et tamen
haec enunciatio est una et non plures. Et ideo addit et non unum. Sed melius
est ut dicatur hoc esse additum propter definitionem, quae multa significat
quae sunt unum: et hic modus pluralitatis opponitur primo modo unitatis.
Secundus modus pluralitatis est, quando non solum enunciationes plura
significant, sed etiam illa plura nullatenus coniunguntur, et hic modus
pluralitatis opponitur secundo modo unitatis. Et secundum hoc patet quod
secundus modus unitatis non opponitur primo modo pluralitatis. Ea autem quae
non sunt opposita, possunt simul esse. Unde manifestum est, enunciationem quae
est una coniunctione, esse etiam plures: plures in quantum significat plura et
non unum. Secundum hoc ergo possumus accipere tres modos enunciationis. Nam
quaedam est simpliciter una, in quantum unum significat; quaedam est
simpliciter plures, in quantum plura significat, sed est una secundum quid, in
quantum est coniunctione una; quaedam sunt simpliciter plures, quae neque
significant unum, neque coniunctione aliqua uniuntur. Ideo autem Aristoteles
quatuor ponit et non solum tria, quia quandoque est enunciatio plures, quia
plura significat, non tamen est coniunctione una, puta si ponatur ibi nomen
multa significans. Deinde cum dicit: nomen ergo et verbum etc., excludit
ab unitate orationis nomen et verbum. Dixerat enim quod enunciatio una est,
quae unum significat: posset autem aliquis intelligere, quod sic unum
significaret sicut nomen et verbum unum significant. Et ideo ad hoc excludendum
subdit: nomen ergo, et verbum dictio sit sola, idest ita sit dictio, quod non
enunciatio. Et videtur, ex modo loquendi, quod ipse imposuerit hoc nomen ad
significandum partes enunciationis. Quod autem nomen et verbum dictio sit sola
manifestat per hoc, quod non potest dici quod ille enunciet, qui sic aliquid
significat voce, sicut nomen, vel verbum significat. Et ad hoc manifestandum
innuit duos modos utendi enunciatione. Quandoque enim utimur ipsa quasi ad
interrogata respondentes; puta si quaeratur, quis sit in scholis? Respondemus,
magister. Quandoque autem utimur ea propria sponte, nullo interrogante; sicut
cum dicimus, Petrus currit. Dicit ergo, quod ille qui significat aliquid unum
nomine vel verbo, non enunciat vel sicut ille qui respondet aliquo
interrogante, vel sicut ille qui profert enunciationem non aliquo interrogante,
sed ipso proferente sponte. Introduxit autem hoc, quia simplex nomen vel
verbum, quando respondetur ad interrogationem, videtur verum vel falsum
significare: quod est proprium enunciationis. Sed hoc non competit nomini vel
verbo, nisi secundum quod intelligitur coniunctum cum alia parte proposita in
interrogatione. Ut si quaerenti, quis legit in scholis? Respondeatur, magister,
subintelligitur, ibi legit. Si ergo ille qui enunciat aliquid nomine vel verbo
non enunciat, manifestum est quod enunciatio non sic unum significat, sicut
nomen vel verbum. Hoc autem inducit sicut conclusionem eius quod supra
praemisit: necesse est omnem orationem enunciativam ex verbo esse vel ex casu verbi.
Deinde cum dicit: harum autem haec simplex etc., manifestat praemissam
divisionem secundum rationes partium. Dixerat enim quod una enunciatio est quae
unum de uno significat, et alia est quae est coniunctione una. Ratio autem
huius divisionis est ex eo quod unum natum est dividi per simplex et
compositum. Et ideo dicit: harum autem, scilicet enunciationum, in quibus
dividitur unum, haec dicitur una, vel quia significat unum simpliciter, vel
quia una est coniunctione. Haec quidem simplex enunciatio est, quae scilicet
unum significat. Sed ne intelligatur quod sic significet unum, sicut nomen vel
verbum, ad excludendum hoc subdit: ut aliquid de aliquo, idest per modum
compositionis, vel aliquid ab aliquo, idest per modum divisionis. Haec autem ex
his coniuncta, quae scilicet dicitur coniunctione una, est velut oratio iam
composita: quasi dicat hoc modo, enunciationis unitas dividitur in duo
praemissa, sicut aliquod unum dividitur in simplex et compositum. Deinde
cum dicit: est autem simplex etc., manifestat secundam divisionem
enunciationis, secundum videlicet quod enunciatio dividitur in affirmationem et
negationem. Haec autem divisio primo quidem convenit enunciationi simplici; ex
consequenti autem convenit compositae enunciationi; et ideo ad insinuandum
rationem praedictae divisionis dicit quod simplex enunciatio est vox
significativa de eo quod est aliquid: quod pertinet ad affirmationem; vel non
est aliquid: quod pertinet ad negationem. Et ne hoc intelligatur solum secundum
praesens tempus, subdit: quemadmodum tempora sunt divisa, idest similiter hoc
habet locum in aliis temporibus sicut et in praesenti. Alexander autem
existimavit quod Aristoteles hic definiret enunciationem; et quia in
definitione enunciationis videtur ponere affirmationem et negationem, volebat
hic accipere quod enunciatio non esset genus affirmationis et negationis, quia
species nunquam ponitur in definitione generis. Id autem quod non univoce
praedicatur de multis (quia scilicet non significat aliquid unum, quod sit unum
commune multis), non potest notificari nisi per illa multa quae significantur.
Et inde est quod quia unum non dicitur aequivoce de simplici et composito, sed
per prius et posterius, Aristoteles in praecedentibus semper ad notificandum
unitatem enunciationis usus est utroque. Quia ergo videtur uti affirmatione et
negatione ad notificandum enunciationem, volebat Alexander accipere quod
enunciatio non dicitur de affirmatione et negatione univoce sicut genus de suis
speciebus. Sed contrarium apparet ex hoc, quod philosophus consequenter
utitur nomine enunciationis ut genere, cum in definitione affirmationis et
negationis subdit quod, affirmatio est enunciatio alicuius de aliquo, scilicet
per modum compositionis, negatio vero est enunciatio alicuius ab aliquo,
scilicet per modum divisionis. Nomine autem aequivoco non consuevimus uti ad
notificandum significata eius. Et ideo Boethius dicit quod Aristoteles suo modo
breviloquio utens, simul usus est et definitione et divisione eius: ita ut quod
dicit de eo quod est aliquid vel non est, non referatur ad definitionem
enunciationis, sed ad eius divisionem. Sed quia differentiae divisivae generis
non cadunt in eius definitione, nec hoc solum quod dicitur vox significativa,
sufficiens est definitio enunciationis; melius dici potest secundum Porphyrium,
quod hoc totum quod dicitur vox significativa de eo quod est, vel de eo quod
non est, est definitio enunciationis. Nec tamen ponitur affirmatio et negatio
in definitione enunciationis sed virtus affirmationis et negationis, scilicet significatum
eius, quod est esse vel non esse, quod est naturaliter prius enunciatione.
Affirmationem autem et negationem postea definivit per terminos utriusque cum
dixit: affirmationem esse enunciationem alicuius de aliquo, et negationem
enunciationem alicuius ab aliquo. Sed sicut in definitione generis non debent
poni species, ita nec ea quae sunt propria specierum. Cum igitur significare
esse sit proprium affirmationis, et significare non esse sit proprium
negationis, melius videtur dicendum, secundum Ammonium, quod hic non definitur
enunciatio, sed solum dividitur. Supra enim posita est definitio, cum dictum
est quod enunciatio est oratio in qua est verum vel falsum. In qua quidem
definitione nulla mentio facta est nec de affirmatione, nec de negatione. Est
autem considerandum quod artificiosissime procedit: dividit enim genus non in
species, sed in differentias specificas. Non enim dicit quod enunciatio est
affirmatio vel negatio, sed vox significativa de eo quod est, quae est
differentia specifica affirmationis, vel de eo quod non est, in quo tangitur
differentia specifica negationis. Et ideo ex differentiis adiunctis generi
constituit definitionem speciei, cum subdit: quod affirmatio est enunciatio
alicuius de aliquo, per quod significatur esse; et negatio est enunciatio
alicuius ab aliquo quod significat non esse. Posita divisione enunciationis,
hic agit de oppositione partium enunciationis, scilicet affirmationis et
negationis. Et quia enunciationem esse dixerat orationem, in qua est verum vel
falsum, primo, ostendit qualiter enunciationes ad invicem opponantur; secundo,
movet quamdam dubitationem circa praedeterminata et solvit; ibi: in his ergo
quae sunt et quae facta sunt et cetera. Circa primum duo facit: primo, ostendit
qualiter una enunciatio opponatur alteri; secundo, ostendit quod tantum una
opponitur uni; ibi: manifestum est et cetera. Prima autem pars dividitur in
duas partes: in prima, determinat de oppositione affirmationis et negationis
absolute; in secunda, ostendit quomodo huiusmodi oppositio diversificatur ex
parte subiecti; ibi: quoniam autem sunt et cetera. Circa primum duo facit:
primo, ostendit quod omni affirmationi est negatio opposita et e converso;
secundo, manifestat oppositionem affirmationis et negationis absolute; ibi: et
sit hoc contradictio et cetera. Circa primum considerandum est quod ad
ostendendum suum propositum philosophus assumit duplicem diversitatem
enunciationis: quarum prima est ex ipsa forma vel modo enunciandi, secundum
quod dictum est quod enunciatio vel est affirmativa, per quam scilicet
enunciatur aliquid esse, vel est negativa per quam significatur aliquid non
esse; secunda diversitas est per comparationem ad rem, ex qua dependet veritas
et falsitas intellectus et enunciationis. Cum enim enunciatur aliquid esse vel
non esse secundum congruentiam rei, est oratio vera; alioquin est oratio
falsa. Sic igitur quatuor modis potest variari enunciatio, secundum
permixtionem harum duarum divisionum. Uno modo, quia id quod est in re
enunciatur ita esse sicut in re est: quod pertinet ad affirmationem veram; puta
cum Socrates currit, dicimus Socratem currere. Alio modo, cum enunciatur
aliquid non esse quod in re non est: quod pertinet ad negationem veram; ut cum
dicitur, Aethiops albus non est. Tertio modo, cum enunciatur aliquid esse quod
in re non est: quod pertinet ad affirmationem falsam; ut cum dicitur, corvus
est albus. Quarto modo, cum enunciatur aliquid non esse quod in re est: quod
pertinet ad negationem falsam; ut cum dicitur, nix non est alba. Philosophus
autem, ut a minoribus ad potiora procedat, falsas veris praeponit: inter quas
negativam praemittit affirmativae, cum dicit quod contingit enunciare quod est,
scilicet in rerum natura, non esse. Secundo autem, ponit affirmativam falsam
cum dicit: et quod non est, scilicet in rerum natura, esse. Tertio autem, ponit
affirmativam veram, quae opponitur negativae falsae, quam primo posuit, cum
dicit: et quod est, scilicet in rerum natura, esse. Quarto autem, ponit
negativam veram, quae opponitur affirmationi falsae, cum dicit: et quod non
est, scilicet in rerum natura, non esse. Non est autem intelligendum quod hoc
quod dixit: quod est et quod non est, sit referendum ad solam existentiam vel
non existentiam subiecti, sed ad hoc quod res significata per praedicatum insit
vel non insit rei significatae per subiectum. Nam cum dicitur, corvus est
albus, significatur quod non est, esse, quamvis ipse corvus sit res existens.
Et sicut istae quatuor differentiae enunciationum inveniuntur in
propositionibus, in quibus ponitur verbum praesentis temporis, ita etiam
inveniuntur in enunciationibus in quibus ponuntur verba praeteriti vel futuri
temporis. Supra enim dixit quod necesse est enunciationem constare ex verbo vel
ex casu verbi. Et hoc est quod subdit: quod similiter contingit, scilicet
variari diversimode enunciationem circa ea, quae sunt extra praesens tempus,
idest circa praeterita vel futura, quae sunt quodammodo extrinseca respectu
praesentis, quia praesens est medium praeteriti et futuri. Et quia ita est,
contingit omne quod quis affirmaverit negare, et omne quod quis negaverit
affirmare: quod quidem manifestum est ex praemissis. Non enim potest affirmari
nisi vel quod est in rerum natura secundum aliquod trium temporum, vel quod non
est; et hoc totum contingit negare. Unde manifestum est quod omne quod
affirmatur potest negari, et e converso. Et quia affirmatio et negatio opposita
sunt secundum se, utpote ex opposito contradictoriae, consequens est quod
quaelibet affirmatio habeat negationem sibi oppositam et e converso. Cuius
contrarium illo solo modo posset contingere, si aliqua affirmatio affirmaret
aliquid, quod negatio negare non posset. Deinde cum dicit: et sit hoc
contradictio etc., manifestat quae sit absoluta oppositio affirmationis et
negationis. Et primo, manifestat eam per nomen; secundo, per definitionem; ibi:
dico autem et cetera. Dicit ergo primo quod cum cuilibet affirmationi opponatur
negatio, et e converso, oppositioni huiusmodi imponatur nomen hoc, quod dicatur
contradictio. Per hoc enim quod dicitur, et sit hoc contradictio, datur
intelligi quod ipsum nomen contradictionis ipse imposuerit oppositioni
affirmationis et negationis, ut Ammonius dicit. Deinde cum dicit: dico autem
opponi etc., definit contradictionem. Quia vero, ut dictum est, contradictio est
oppositio affirmationis et negationis, illa requiruntur ad contradictionem,
quae requiruntur ad oppositionem affirmationis et negationis. Oportet autem
opposita esse circa idem. Et quia enunciatio constituitur ex subiecto et
praedicato, requiritur ad contradictionem primo quidem quod affirmatio et
negatio sint eiusdem praedicati: si enim dicatur, Plato currit, Plato non
disputat, non est contradictio; secundo, requiritur quod sint de eodem
subiecto: si enim dicatur, Socrates currit, Plato non currit, non est
contradictio. Tertio, requiritur quod identitas subiecti et praedicati non
solum sit secundum nomen, sed sit simul secundum rem et nomen. Nam si non sit
idem nomen, manifestum est quod non sit una et eadem enunciatio. Similiter
autem ad hoc quod sit enunciatio una, requiritur identitas rei: dictum est enim
supra quod enunciatio una est, quae unum de uno significat; et ideo subdit: non
autem aequivoce, idest non sufficit identitas nominis cum diversitate rei, quae
facit aequivocationem. Sunt autem et quaedam alia in contradictione observanda
ad hoc quod tollatur omnis diversitas, praeter eam quae est affirmationis et
negationis: non enim esset oppositio si non omnino idem negaret negatio quod
affirmavit affirmatio. Haec autem diversitas potest secundum quatuor
considerari. Uno quidem modo, secundum diversas partes subiecti: non enim est
contradictio si dicatur, Aethiops est albus dente et non est albus pede.
Secundo, si sit diversus modus ex parte praedicati: non enim est contradictio
si dicatur, Socrates currit tarde et non movetur velociter; vel si dicatur,
ovum est animal in potentia et non est animal in actu. Tertio, si sit
diversitas ex parte mensurae, puta loci vel temporis; non enim est contradictio
si dicatur, pluit in Gallia et non pluit in Italia; aut, pluit heri, hodie non
pluit. Quarto, si sit diversitas ex habitudine ad aliquid extrinsecum; puta si
dicatur, decem homines esse plures quoad domum, non autem quoad forum. Et haec
omnia designat cum subdit: et quaecumque caetera talium determinavimus, idest
determinare consuevimus in disputationibus contra sophisticas importunitates,
idest contra importunas et litigiosas oppositiones sophistarum, de quibus
plenius facit mentionem in I elenchorum. Quia philosophus dixerat oppositionem
affirmationis et negationis esse contradictionem, quae est eiusdem de eodem,
consequenter intendit distinguere diversas oppositiones affirmationis et
negationis, ut cognoscatur quae sit vera contradictio. Et circa hoc duo facit:
primo, praemittit quamdam divisionem enunciationum necessariam ad praedictam
differentiam oppositionum assignandam; secundo, manifestat propositum; ibi: si
ergo universaliter et cetera. Praemittit autem divisionem enunciationum quae
sumitur secundum differentiam subiecti. Unde circa primum duo facit: primo,
dividit subiectum enunciationum; secundo, concludit divisionem enunciationum,
ibi: necesse est enunciare et cetera. Subiectum autem enunciationis est nomen
vel aliquid loco nominis sumptum. Nomen autem est vox significativa ad placitum
simplicis intellectus, quod est similitudo rei; et ideo subiectum enunciationis
distinguit per divisionem rerum, et dicit quod rerum quaedam sunt universalia,
quaedam sunt singularia. Manifestat autem membra divisionis dupliciter: primo
quidem per definitionem, quia universale est quod est aptum natum de pluribus
praedicari, singulare vero quod non est aptum natum praedicari de pluribus, sed
de uno solo; secundo, manifestat per exemplum cum subdit quod homo est
universale, Plato autem singulare. Accidit autem dubitatio circa hanc
divisionem, quia, sicut probat philosophus in VII metaphysicae, universale non
est aliquid extra res existens. Item, in praedicamentis dicitur quod secundae
substantiae non sunt nisi in primis, quae sunt singulares. Non ergo videtur
esse conveniens divisio rerum per universalia et singularia: quia nullae res
videntur esse universales, sed omnes sunt singulares. Dicendum est autem quod
hic dividuntur res secundum quod significantur per nomina, quae subiiciuntur in
enunciationibus: dictum est autem supra quod nomina non significant res nisi
mediante intellectu; et ideo oportet quod divisio ista rerum accipiatur
secundum quod res cadunt in intellectu. Ea vero quae sunt coniuncta in rebus
intellectus potest distinguere, quando unum eorum non cadit in ratione
alterius. In qualibet autem re singulari est considerare aliquid quod est
proprium illi rei, in quantum est haec res, sicut Socrati vel Platoni in
quantum est hic homo; et aliquid est considerare in ea, in quo convenit cum
aliis quibusdam rebus, sicut quod Socrates est animal, aut homo, aut
rationalis, aut risibilis, aut albus. Quando igitur res denominatur ab eo quod
convenit illi soli rei in quantum est haec res, huiusmodi nomen dicitur
significare aliquid singulare; quando autem denominatur res ab eo quod est
commune sibi et multis aliis, nomen huiusmodi dicitur significare universale,
quia scilicet nomen significat naturam sive dispositionem aliquam, quae est
communis multis. Quia igitur hanc divisionem dedit de rebus non absolute
secundum quod sunt extra animam, sed secundum quod referuntur ad intellectum,
non definivit universale et singulare secundum aliquid quod pertinet ad rem,
puta si diceret quod universale extra animam, quod pertinet ad opinionem
Platonis, sed per actum animae intellectivae, quod est praedicari de multis vel
de uno solo. Est autem considerandum quod intellectus apprehendit rem
intellectam secundum propriam essentiam, seu definitionem: unde et in III de
anima dicitur quod obiectum proprium intellectus est quod quid est. Contingit
autem quandoque quod propria ratio alicuius formae intellectae non repugnat ei
quod est esse in pluribus, sed hoc impeditur ab aliquo alio, sive sit aliquid
accidentaliter adveniens, puta si omnibus hominibus morientibus unus solus
remaneret, sive sit propter conditionem materiae, sicut est unus tantum sol,
non quod repugnet rationi solari esse in pluribus secundum conditionem formae
ipsius, sed quia non est alia materia susceptiva talis formae; et ideo non
dixit quod universale est quod praedicatur de pluribus, sed quod aptum natum
est praedicari de pluribus. Cum autem omnis forma, quae nata est recipi in
materia quantum est de se, communicabilis sit multis materiis; dupliciter
potest contingere quod id quod significatur per nomen, non sit aptum natum
praedicari de pluribus. Uno modo, quia nomen significat formam secundum quod
terminata est ad hanc materiam, sicut hoc nomen Socrates vel Plato, quod
significat naturam humanam prout est in hac materia. Alio modo, secundum quod
nomen significat formam, quae non est nata in materia recipi, unde oportet quod
per se remaneat una et singularis; sicut albedo, si esset forma non existens in
materia, esset una sola, unde esset singularis: et propter hoc philosophus
dicit in VII Metaphys. quod si essent species rerum separatae, sicut posuit
Plato, essent individua. Potest autem obiici quod hoc nomen Socrates vel Plato
est natum de pluribus praedicari, quia nihil prohibet multos esse, qui vocentur
hoc nomine. Sed ad hoc patet responsio, si attendantur verba Aristotelis. Ipse
enim non divisit nomina in universale et particulare, sed res. Et ideo
intelligendum est quod universale dicitur quando, non solum nomen potest de
pluribus praedicari, sed id, quod significatur per nomen, est natum in pluribus
inveniri; hoc autem non contingit in praedictis nominibus: nam hoc nomen
Socrates vel Plato significat naturam humanam secundum quod est in hac materia.
Si vero hoc nomen imponatur alteri homini significabit naturam humanam in alia
materia; et sic eius erit alia significatio; unde non erit universale, sed
aequivocum. Deinde cum dicit: necesse est autem enunciare etc., concludit
divisionem enunciationis. Quia enim semper enunciatur aliquid de aliqua re;
rerum autem quaedam sunt universalia, quaedam singularia; necesse est quod
quandoque enuncietur aliquid inesse vel non inesse alicui universalium,
quandoque vero alicui singularium. Et est suspensiva constructio usque huc, et
est sensus: quoniam autem sunt haec quidem rerum etc., necesse est enunciare et
cetera. Est autem considerandum quod de universali aliquid enunciatur quatuor
modis. Nam universale potest uno modo considerari quasi separatum a
singularibus, sive per se subsistens, ut Plato posuit, sive, secundum
sententiam Aristotelis, secundum esse quod habet in intellectu. Et sic potest
ei aliquid attribui dupliciter. Quandoque enim attribuitur ei sic considerato
aliquid, quod pertinet ad solam operationem intellectus, ut si dicatur quod
homo est praedicabile de multis, sive universale, sive species. Huiusmodi enim
intentiones format intellectus attribuens eas naturae intellectae, secundum
quod comparat ipsam ad res, quae sunt extra animam. Quandoque vero attribuitur
aliquid universali sic considerato, quod scilicet apprehenditur ab intellectu
ut unum, tamen id quod attribuitur ei non pertinet ad actum intellectus, sed ad
esse, quod habet natura apprehensa in rebus, quae sunt extra animam, puta si
dicatur quod homo est dignissima creaturarum. Hoc enim convenit naturae humanae
etiam secundum quod est in singularibus. Nam quilibet homo singularis dignior
est omnibus creaturis irrationalibus; sed tamen omnes homines singulares non
sunt unus homo extra animam, sed solum in acceptione intellectus; et per hunc
modum attribuitur ei praedicatum, scilicet ut uni rei. Alio autem modo attribuitur
universali, prout est in singularibus, et hoc dupliciter. Quandoque quidem
ratione ipsius naturae universalis, puta cum attribuitur ei aliquid quod ad
essentiam eius pertinet, vel quod consequitur principia essentialia; ut cum
dicitur, homo est animal, vel homo est risibilis. Quandoque autem attribuitur
ei aliquid ratione singularis in quo invenitur, puta cum attribuitur ei aliquid
quod pertinet ad actionem individui; ut cum dicitur, homo ambulat. Singulari
autem attribuitur aliquid tripliciter: uno modo, secundum quod cadit in
apprehensione; ut cum dicitur, Socrates est singulare, vel praedicabile de uno
solo. Quandoque autem, ratione naturae communis; ut cum dicitur, Socrates est
animal. Quandoque autem, ratione sui ipsius; ut cum dicitur, Socrates ambulat.
Et totidem etiam modis negationes variantur: quia omne quod contingit
affirmare, contingit negare, ut supra dictum est. Est autem haec tertia divisio
enunciationis quam ponit philosophus. Prima namque fuit quod enunciationum
quaedam est una simpliciter, quaedam vero coniunctione una. Quae quidem est
divisio analogi in ea de quibus praedicatur secundum prius et posterius: sic
enim unum dividitur secundum prius in simplex et per posterius in compositum.
Alia vero fuit divisio enunciationis in affirmationem et negationem. Quae
quidem est divisio generis in species, quia sumitur secundum differentiam
praedicati ad quod fertur negatio; praedicatum autem est pars formalis
enunciationis; et ideo huiusmodi divisio dicitur pertinere ad qualitatem
enunciationis, qualitatem, inquam, essentialem, secundum quod differentia
significat quale quid. Tertia autem est huiusmodi divisio, quae sumitur
secundum differentiam subiecti, quod praedicatur de pluribus vel de uno solo,
et ideo dicitur pertinere ad quantitatem enunciationis, nam et quantitas
consequitur materiam. Deinde cum dicit: si ergo universaliter etc.,
ostendit quomodo enunciationes diversimode opponantur secundum diversitatem
subiecti. Et circa hoc duo facit: primo, distinguit diversos modos oppositionum
in ipsis enunciationibus; secundo, ostendit quomodo diversae oppositiones
diversimode se habent ad verum et falsum; ibi: quocirca, has quidem impossibile
est et cetera. Circa primum considerandum est quod cum universale possit
considerari in abstractione a singularibus vel secundum quod est in ipsis
singularibus, secundum hoc diversimode aliquid ei attribuitur, ut supra dictum
est. Ad designandum autem diversos modos attributionis inventae sunt quaedam
dictiones, quae possunt dici determinationes vel signa, quibus designatur quod
aliquid de universali, hoc aut illo modo praedicetur. Sed quia non est ab
omnibus communiter apprehensum quod universalia extra singularia subsistant,
ideo communis usus loquendi non habet aliquam dictionem ad designandum illum modum
praedicandi, prout aliquid dicitur in abstractione a singularibus. Sed Plato,
qui posuit universalia extra singularia subsistere, adinvenit aliquas
determinationes, quibus designaretur quomodo aliquid attribuitur universali,
prout est extra singularia, et vocabat universale separatum subsistens extra
singularia quantum ad speciem hominis, per se hominem vel ipsum hominem et
similiter in aliis universalibus. Sed universale secundum quod est in
singularibus cadit in communi apprehensione hominum; et ideo adinventae sunt
quaedam dictiones ad significandum modum attribuendi aliquid universali sic
accepto. Sicut autem supra dictum est, quandoque aliquid attribuitur
universali ratione ipsius naturae universalis; et ideo hoc dicitur praedicari
de eo universaliter, quia scilicet ei convenit secundum totam multitudinem in
qua invenitur; et ad hoc designandum in affirmativis praedicationibus adinventa
est haec dictio, omnis, quae designat quod praedicatum attribuitur subiecto
universali quantum ad totum id quod sub subiecto continetur. In negativis autem
praedicationibus adinventa est haec dictio, nullus, per quam significatur quod
praedicatum removetur a subiecto universali secundum totum id quod continetur
sub eo. Unde nullus dicitur quasi non ullus, et in Graeco dicitur, udis quasi
nec unus, quia nec unum solum est accipere sub subiecto universali a quo
praedicatum non removeatur. Quandoque autem attribuitur universali aliquid vel
removetur ab eo ratione particularis; et ad hoc designandum, in affirmativis
quidem adinventa est haec dictio, aliquis vel quidam, per quam designatur quod
praedicatum attribuitur subiecto universali ratione ipsius particularis; sed
quia non determinate significat formam alicuius singularis, sub quadam
indeterminatione singulare designat; unde et dicitur individuum vagum. In
negativis autem non est aliqua dictio posita, sed possumus accipere, non omnis;
ut sicut, nullus, universaliter removet, eo quod significat quasi diceretur,
non ullus, idest, non aliquis, ita etiam, non omnis, particulariter removeat,
in quantum excludit universalem affirmationem. Sic igitur tria sunt
genera affirmationum in quibus aliquid de universali praedicatur. Una quidem
est, in qua de universali praedicatur aliquid universaliter; ut cum dicitur,
omnis homo est animal. Alia, in qua aliquid praedicatur de universali
particulariter; ut cum dicitur, quidam homo est albus. Tertia vero est, in qua
aliquid de universali praedicatur absque determinatione universalitatis vel
particularitatis; unde huiusmodi enunciatio solet vocari indefinita. Totidem
autem sunt negationes oppositae. De singulari autem quamvis aliquid
diversa ratione praedicetur, ut supra dictum est, tamen totum refertur ad
singularitatem ipsius, quia etiam natura universalis in ipso singulari individuatur;
et ideo nihil refert quantum ad naturam singularitatis, utrum aliquid
praedicetur de eo ratione universalis naturae; ut cum dicitur, Socrates est
homo, vel conveniat ei ratione singularitatis. Si igitur tribus
praedictis enunciationibus addatur singularis, erunt quatuor modi enunciationis
ad quantitatem ipsius pertinentes, scilicet universalis, singularis,
indefinitus et particularis. Sic igitur secundum has differentias
Aristoteles assignat diversas oppositiones enunciationum adinvicem. Et primo,
secundum differentiam universalium ad indefinitas; secundo, secundum
differentiam universalium ad particulares; ibi: opponi autem affirmationem et
cetera. Circa primum tria facit: primo, agit de oppositione propositionum
universalium adinvicem; secundo, de oppositione indefinitarum; ibi: quando
autem in universalibus etc.; tertio, excludit dubitationem; ibi: in eo vero
quod et cetera. Dicit ergo primo quod si aliquis enunciet de subiecto
universali universaliter, idest secundum continentiam suae universalitatis,
quoniam est, idest affirmative, aut non est, idest negative, erunt contrariae
enunciationes; ut si dicatur, omnis homo est albus, nullus homo est albus.
Huius autem ratio est, quia contraria dicuntur quae maxime a se distant: non
enim dicitur aliquid nigrum ex hoc solum quod non est album, sed super hoc quod
est non esse album, quod significat communiter remotionem albi, addit nigrum
extremam distantiam ab albo. Sic igitur id quod affirmatur per hanc
enunciationem, omnis homo est albus, removetur per hanc negationem, non omnis
homo est albus. Oportet ergo quod negatio removeat modum quo praedicatum
dicitur de subiecto, quem designat haec dictio, omnis. Sed super hanc
remotionem addit haec enunciatio, nullus homo est albus, totalem remotionem,
quae est extrema distantia a primo; quod pertinet ad rationem contrarietatis.
Et ideo convenienter hanc oppositionem dicit contrarietatem. Deinde cum
dicit: quando autem etc., ostendit qualis sit oppositio affirmationis et
negationis in indefinitis. Et primo, proponit quod intendit; secundo,
manifestat propositum per exempla; ibi: dico autem non universaliter etc.;
tertio, assignat rationem manifestationis; ibi: cum enim universale sit homo et
cetera. Dicit ergo primo quod quando de universalibus subiectis affirmatur aliquid
vel negatur non tamen universaliter, non sunt contrariae enunciationes, sed
illa quae significantur contingit esse contraria. Deinde cum dicit: dico autem
non universaliter etc., manifestat per exempla. Ubi considerandum est quod non
dixerat quando in universalibus particulariter, sed non universaliter. Non enim
intendit de particularibus enunciationibus, sed de solis indefinitis. Et hoc
manifestat per exempla quae ponit, dicens fieri in universalibus subiectis non
universalem enunciationem; cum dicitur, est albus homo, non est albus homo. Et
rationem huius expositionis ostendit, quia homo, qui subiicitur, est
universale, sed tamen praedicatum non universaliter de eo praedicatur, quia non
apponitur haec dictio, omnis: quae non significat ipsum universale, sed modum
universalitatis, prout scilicet praedicatum dicitur universaliter de subiecto;
et ideo addita subiecto universali, semper significat quod aliquid de eo
dicatur universaliter. Tota autem haec expositio refertur ad hoc quod dixerat:
quando in universalibus non universaliter enunciatur, non sunt
contrariae. Sed hoc quod additur: quae autem significantur contingit esse
contraria, non est expositum, quamvis obscuritatem contineat; et ideo a
diversis diversimode exponitur. Quidam enim hoc referre voluerunt ad
contrarietatem veritatis et falsitatis, quae competit huiusmodi
enunciationibus. Contingit enim quandoque has simul esse veras, homo est albus,
homo non est albus; et sic non sunt contrariae, quia contraria mutuo se
tollunt. Contingit tamen quandoque unam earum esse veram et alteram esse
falsam; ut cum dicitur, homo est animal, homo non est animal; et sic ratione
significati videntur habere quamdam contrarietatem. Sed hoc non videtur ad
propositum pertinere, tum quia philosophus nondum hic loquitur de veritate et
falsitate enunciationum; tum etiam quia hoc ipsum posset de particularibus
enunciationibus dici. Alii vero, sequentes Porphyrium, referunt hoc ad
contrarietatem praedicati. Contingit enim quandoque quod praedicatum negatur de
subiecto propter hoc quod inest ei contrarium; sicut si dicatur, homo non est
albus, quia est niger; et sic id quod significatur per hoc quod dicitur, non
est albus, potest esse contrarium. Non tamen semper: removetur enim aliquid a
subiecto, etiam si contrarium non insit, sed aliquid medium inter contraria; ut
cum dicitur, aliquis non est albus, quia est pallidus; vel quia inest ei
privatio actus vel habitus seu potentiae; ut cum dicitur, aliquis non est
videns, quia est carens potentia visiva, aut habet impedimentum ne videat, vel
etiam quia non est aptus natus videre; puta si dicatur, lapis non videt. Sic
igitur illa, quae significantur contingit esse contraria, sed ipsae
enunciationes non sunt contrariae, quia ut in fine huius libri dicetur, non
sunt contrariae opiniones quae sunt de contrariis, sicut opinio quod aliquid
sit bonum, et illa quae est, quod aliquid non est bonum. Sed nec hoc
videtur ad propositum Aristotelis pertinere, quia non agit hic de contrarietate
rerum vel opinionum, sed de contrarietate enunciationum: et ideo magis videtur
hic sequenda expositio Alexandri. Secundum quam dicendum est quod in
indefinitis enunciationibus non determinatur utrum praedicatum attribuatur
subiecto universaliter (quod faceret contrarietatem enunciationum), aut particulariter
(quod non faceret contrarietatem enunciationum); et ideo huiusmodi
enunciationes indefinitae non sunt contrariae secundum modum quo proferuntur.
Contingit tamen quandoque ratione significati eas habere contrarietatem, puta,
cum attribuitur aliquid universali ratione naturae universalis, quamvis non
apponatur signum universale; ut cum dicitur, homo est animal, homo non est
animal: quia hae enunciationes eamdem habent vim ratione significati; ac si
diceretur, omnis homo est animal, nullus homo est animal. Deinde cum
dicit: in eo vero quod etc., removet quoddam quod posset esse dubium. Quia enim
posuerat quamdam diversitatem in oppositione enunciationum ex hoc quod
universale sumitur a parte subiecti universaliter vel non universaliter, posset
aliquis credere quod similis diversitas nasceretur ex parte praedicati, ex hoc
scilicet quod universale praedicari posset et universaliter et non
universaliter; et ideo ad hoc excludendum dicit quod in eo quod praedicatur
aliquod universale, non est verum quod praedicetur universale universaliter.
Cuius quidem duplex esse potest ratio. Una quidem, quia talis modus praedicandi
videtur repugnare praedicato secundum propriam rationem quam habet in
enunciatione. Dictum est enim supra quod praedicatum est quasi pars formalis
enunciationis, subiectum autem est pars materialis ipsius: cum autem aliquod
universale profertur universaliter, ipsum universale sumitur secundum
habitudinem quam habet ad singularia, quae sub se continet; sicut et quando
universale profertur particulariter, sumitur secundum habitudinem quam habet ad
aliquod contentorum sub se; et sic utrumque pertinet ad materialem
determinationem universalis: et ideo neque signum universale neque particulare
convenienter additur praedicato, sed magis subiecto: convenientius enim
dicitur, nullus homo est asinus, quam, omnis homo est nullus asinus; et
similiter convenientius dicitur, aliquis homo est albus, quam, homo est aliquid
album. Invenitur autem quandoque a philosophis signum particulare appositum
praedicato, ad insinuandum quod praedicatum est in plus quam subiectum, et hoc
praecipue cum, habito genere, investigant differentias completivas speciei,
sicut in II de anima dicitur quod anima est actus quidam. Alia vero ratio
potest accipi ex parte veritatis enunciationis; et ista specialiter habet locum
in affirmationibus quae falsae essent si praedicatum universaliter
praedicaretur. Et ideo manifestans id quod posuerat, subiungit quod nulla
affirmatio est in qua, scilicet vere, de universali praedicato universaliter
praedicetur, idest in qua universali praedicato utitur ad universaliter
praedicandum; ut si diceretur, omnis homo est omne animal. Oportet enim,
secundum praedicta, quod hoc praedicatum animal, secundum singula quae sub ipso
continentur, praedicaretur de singulis quae continentur sub homine; et hoc non
potest esse verum, neque si praedicatum sit in plus quam subiectum, neque si
praedicatum sit convertibile cum eo. Oporteret enim quod quilibet unus homo
esset animalia omnia, aut omnia risibilia: quae repugnant rationi singularis,
quod accipitur sub universali. Nec est instantia si dicatur quod haec est
vera, omnis homo est omnis disciplinae susceptivus: disciplina enim non
praedicatur de homine, sed susceptivum disciplinae; repugnaret autem veritati
si diceretur, omnis homo est omne susceptivum disciplinae. Signum autem
universale negativum, vel particulare affirmativum, etsi convenientius ponantur
ex parte subiecti, non tamen repugnat veritati etiam si ponantur ex parte
praedicati. Contingit enim huiusmodi enunciationes in aliqua materia esse
veras: haec enim est vera, omnis homo nullus lapis est; et similiter haec est
vera, omnis homo aliquod animal est. Sed haec, omnis homo omne animal est, in
quacumque materia proferatur, falsa est. Sunt autem quaedam aliae tales
enunciationes semper falsae; sicut ista, aliquis homo omne animal est (quae
habet eamdem causam falsitatis cum hac, omnis homo omne animal est); et si quae
aliae similes, sunt semper falsae: in omnibus enim eadem ratio est. Et ideo per
hoc quod philosophus reprobavit istam, omnis homo omne animal est, dedit
intelligere omnes consimiles esse improbandas. Postquam philosophus
determinavit de oppositione enunciationum, comparando universales enunciationes
ad indefinitas, hic determinat de oppositione enunciationum comparando
universales ad particulares. Circa quod considerandum est quod potest duplex
oppositio in his notari: una quidem universalis ad particularem, et hanc primo
tangit; alia vero universalis ad universalem, et hanc tangit secundo; ibi:
contrariae vero et cetera. Particularis vero affirmativa et particularis
negativa, non habent proprie loquendo oppositionem, quia oppositio attenditur
circa idem subiectum; subiectum autem particularis enunciationis est universale
particulariter sumptum, non pro aliquo determinato singulari, sed indeterminate
pro quocumque; et ideo, cum de universali particulariter sumpto aliquid
affirmatur vel negatur, ipse modus enunciandi non habet quod affirmatio et
negatio sint de eodem: quod requiritur ad oppositionem affirmationis et
negationis, secundum praemissa. Dicit ergo primo quod enunciatio, quae
universale significat, scilicet universaliter, opponitur contradictorie ei,
quae non significat universaliter sed particulariter, si una earum sit affirmativa,
altera vero sit negativa (sive universalis sit affirmativa et particularis
negativa, sive e converso); ut cum dicitur, omnis homo est albus, non omnis
homo est albus: hoc enim quod dico, non omnis, ponitur loco signi particularis
negativi; unde aequipollet ei quae est, quidam homo non est albus; sicut et
nullus, quod idem significat ac si diceretur, non ullus vel non quidam, est
signum universale negativum. Unde hae duae, quidam homo est albus (quae est
particularis affirmativa), nullus homo est albus (quae est universalis
negativa), sunt contradictoriae. Cuius ratio est quia contradictio
consistit in sola remotione affirmationis per negationem; universalis autem
affirmativa removetur per solam negationem particularis, nec aliquid aliud ex
necessitate ad hoc exigitur; particularis autem affirmativa removeri non potest
nisi per universalem negativam, quia iam dictum est quod particularis
affirmativa non proprie opponitur particulari negativae. Unde relinquitur quod
universali affirmativae contradictorie opponitur particularis negativa, et
particulari affirmativae universalis negativa. Deinde cum dicit:
contrariae vero etc., tangit oppositionem universalium enunciationum; et dicit
quod universalis affirmativa et universalis negativa sunt contrariae; sicut,
omnis homo est iustus, nullus homo est iustus, quia scilicet universalis
negativa non solum removet universalem affirmativam, sed etiam designat
extremam distantiam, in quantum negat totum quod affirmatio ponit; et hoc
pertinet ad rationem contrarietatis; et ideo particularis affirmativa et
negativa se habent sicut medium inter contraria. Deinde cum dicit:
quocirca has quidem etc., ostendit quomodo se habeant affirmatio et negatio
oppositae ad verum et falsum. Et primo, quantum ad contrarias; secundo, quantum
ad contradictorias; ibi: quaecumque igitur contradictiones etc.; tertio,
quantum ad ea quae videntur contradictoria, et non sunt; ibi: quaecumque autem
in universalibus et cetera. Dicit ergo primo quod quia universalis affirmativa
et universalis negativa sunt contrariae, impossibile est quod sint simul verae.
Contraria enim mutuo se expellunt. Sed particulares, quae contradictorie
opponuntur universalibus contrariis, possunt simul verificari in eodem; sicut,
non omnis homo est albus, quae contradictorie opponitur huic, omnis homo est
albus, et, quidam homo est albus, quae contradictorie opponitur huic, nullus
homo est albus. Et huiusmodi etiam simile invenitur in contrarietate rerum: nam
album et nigrum numquam simul esse possunt in eodem, sed remotiones albi et
nigri simul possunt esse: potest enim aliquid esse neque album neque nigrum,
sicut patet in eo quod est pallidum. Et similiter contrariae enunciationes non
possunt simul esse verae, sed earum contradictoriae, a quibus removentur, simul
possunt esse verae. Deinde cum dicit: quaecumque igitur contradictiones etc.,
ostendit qualiter veritas et falsitas se habeant in contradictoriis. Circa quod
considerandum est quod, sicut dictum est supra, in contradictoriis negatio non
plus facit, nisi quod removet affirmationem. Quod contingit dupliciter. Uno
modo, quando est altera earum universalis, altera particularis, ut supra dictum
est. Alio modo, quando utraque est singularis: quia tunc negatio ex necessitate
refertur ad idem (quod non contingit in particularibus et indefinitis), nec
potest se in plus extendere nisi ut removeat affirmationem. Et ideo singularis
affirmativa semper contradicit singulari negativae, supposita identitate
praedicati et subiecti. Et ideo dicit quod, sive accipiamus contradictionem
universalium universaliter, scilicet quantum ad unam earum, sive singularium
enunciationum, semper necesse est quod una sit vera et altera falsa. Neque enim
contingit esse simul veras aut simul falsas, quia verum nihil aliud est, nisi
quando dicitur esse quod est, aut non esse quod non est; falsum autem, quando
dicitur esse quod non est, aut non esse quod est, ut patet ex IV
metaphysicorum. Deinde cum dicit: quaecumque autem universalium etc.,
ostendit qualiter se habeant veritas et falsitas in his, quae videntur esse
contradictoria, sed non sunt. Et circa hoc tria facit: primo proponit quod
intendit; secundo, probat propositum; ibi: si enim turpis non probus etc.;
tertio, excludit id quod facere posset dubitationem; ibi: videbitur autem
subito inconveniens et cetera. Circa primum considerandum est quod affirmatio
et negatio in indefinitis propositionibus videntur contradictorie opponi
propter hoc, quod est unum subiectum non determinatum per signum particulare,
et ideo videtur affirmatio et negatio esse de eodem. Sed ad hoc removendum
philosophus dicit quod quaecumque affirmative et negative dicuntur de
universalibus non universaliter sumptis, non semper oportet quod unum sit
verum, et aliud sit falsum, sed possunt simul esse vera. Simul enim est verum
dicere quod homo est albus, et, homo non est albus, et quod homo est probus,
et, homo non est probus. In quo quidem, ut Ammonius refert, aliqui
Aristoteli contradixerunt ponentes quod indefinita negativa semper sit
accipienda pro universali negativa. Et hoc astruebant primo quidem tali
ratione: quia indefinita, cum sit indeterminata, se habet in ratione materiae;
materia autem secundum se considerata, magis trahitur ad id quod indignius est;
dignior autem est universalis affirmativa, quam particularis affirmativa; et ideo
indefinitam affirmativam dicunt esse sumendam pro particulari affirmativa: sed
negativam universalem, quae totum destruit, dicunt esse indigniorem particulari
negativa, quae destruit partem, sicut universalis corruptio peior est quam
particularis; et ideo dicunt quod indefinita negativa sumenda est pro
universali negativa. Ad quod etiam inducunt quod philosophi, et etiam ipse
Aristoteles utitur indefinitis negativis pro universalibus; sicut dicitur in
libro Physic. quod non est motus praeter res; et in libro de anima, quod non
est sensus praeter quinque. Sed istae rationes non concludunt. Quod enim primo
dicitur quod materia secundum se sumpta sumitur pro peiori, verum est secundum
sententiam Platonis, qui non distinguebat privationem a materia, non autem est
verum secundum Aristotelem, qui dicit in Lib. I Physic. quod malum et turpe et
alia huiusmodi ad defectum pertinentia non dicuntur de materia nisi per
accidens. Et ideo non oportet quod indefinita semper stet pro peiori. Dato
etiam quod indefinita necesse sit sumi pro peiori, non oportet quod sumatur pro
universali negativa; quia sicut in genere affirmationis, universalis
affirmativa est potior particulari, utpote particularem affirmativam continens;
ita etiam in genere negationum universalis negativa potior est. Oportet autem
in unoquoque genere considerare id quod est potius in genere illo, non autem id
quod est potius simpliciter. Ulterius etiam, dato quod particularis negativa
esset potior omnibus modis, non tamen adhuc ratio sequeretur: non enim ideo
indefinita affirmativa sumitur pro particulari affirmativa, quia sit indignior,
sed quia de universali potest aliquid affirmari ratione suiipsius, vel ratione
partis contentae sub eo; unde sufficit ad veritatem eius quod praedicatum uni
parti conveniat (quod designatur per signum particulare); et ideo veritas
particularis affirmativae sufficit ad veritatem indefinitae affirmativae. Et
simili ratione veritas particularis negativae sufficit ad veritatem indefinitae
negativae, quia similiter potest aliquid negari de universali vel ratione
suiipsius, vel ratione suae partis. Utuntur autem quandoque philosophi
indefinitis negativis pro universalibus in his, quae per se removentur ab
universalibus; sicut et utuntur indefinitis affirmativis pro universalibus in
his, quae per se de universalibus praedicantur. Deinde cum dicit: si enim
turpis est etc., probat propositum per id, quod est ab omnibus concessum. Omnes
enim concedunt quod indefinita affirmativa verificatur, si particularis
affirmativa sit vera. Contingit autem accipi duas affirmativas indefinitas,
quarum una includit negationem alterius, puta cum sunt opposita praedicata:
quae quidem oppositio potest contingere dupliciter. Uno modo, secundum
perfectam contrarietatem, sicut turpis, idest inhonestus, opponitur probo,
idest honesto, et foedus, idest deformis secundum corpus, opponitur pulchro.
Sed per quam rationem ista affirmativa est vera, homo est probus, quodam homine
existente probo, per eamdem rationem ista est vera, homo est turpis, quodam
homine existente turpi. Sunt ergo istae duae verae simul, homo est probus, homo
est turpis; sed ad hanc, homo est turpis, sequitur ista, homo non est probus;
ergo istae duae sunt simul verae, homo est probus, homo non est probus: et
eadem ratione istae duae, homo est pulcher, homo non est pulcher. Alia autem
oppositio attenditur secundum perfectum et imperfectum, sicut moveri opponitur
ad motum esse, et fieri ad factum esse: unde ad fieri sequitur non esse eius
quod fit in permanentibus, quorum esse est perfectum; secus autem est in
successivis, quorum esse est imperfectum. Sic ergo haec est vera, homo est
albus, quodam homine existente albo; et pari ratione, quia quidam homo fit
albus, haec est vera, homo fit albus; ad quam sequitur, homo non est albus.
Ergo istae duae sunt simul verae, homo est albus, homo non est albus.
Deinde cum dicit: videbitur autem etc., excludit id quod faceret dubitationem
circa praedicta; et dicit quod subito, id est primo aspectu videtur hoc esse
inconveniens, quod dictum est; quia hoc quod dico, homo non est albus, videtur
idem significare cum hoc quod est, nullus homo est albus. Sed ipse hoc removet
dicens quod neque idem significant neque ex necessitate sunt simul vera, sicut
ex praedictis manifestum est. Postquam philosophus distinxit diversos modos
oppositionum in enunciationibus, nunc intendit ostendere quod uni affirmationi
una negatio opponitur, et circa hoc duo facit: primo, ostendit quod uni
affirmationi una negatio opponitur; secundo, ostendit quae sit una affirmatio
vel negatio, ibi: una autem affirmatio et cetera. Circa primum tria facit:
primo, proponit quod intendit; secundo, manifestat propositum; ibi: hoc enim
idem etc.; tertio, epilogat quae dicta sunt; ibi: manifestum est ergo et
cetera. Dicit ergo primo, manifestum esse quod unius affirmationis est
una negatio sola. Et hoc quidem fuit necessarium hic dicere: quia cum posuerit
plura oppositionum genera, videbatur quod uni affirmationi duae negationes
opponerentur; sicut huic affirmativae, omnis homo est albus, videtur, secundum
praedicta, haec negativa opponi, nullus homo est albus, et haec, quidam homo
non est albus. Sed si quis recte consideret huius affirmativae, omnis homo est
albus, negativa est sola ista, quidam homo non est albus, quae solummodo
removet ipsam, ut patet ex sua aequipollenti, quae est, non omnis homo est
albus. Universalis vero negativa includit quidem in suo intellectu negationem
universalis affirmativae, in quantum includit particularem negativam, sed supra
hoc aliquid addit, in quantum scilicet importat non solum remotionem
universalitatis, sed removet quamlibet partem eius. Et sic patet quod sola una
est negatio universalis affirmationis: et idem apparet in aliis. Deinde
cum dicit: hoc enim etc., manifestat propositum: et primo, per rationem; secundo,
per exempla; ibi: dico autem, ut est Socrates albus. Ratio autem sumitur ex
hoc, quod supra dictum est quod negatio opponitur affirmationi, quae est
eiusdem de eodem: ex quo hic accipitur quod oportet negationem negare illud
idem praedicatum, quod affirmatio affirmavit et de eodem subiecto, sive illud
subiectum sit aliquid singulare, sive aliquid universale, vel universaliter,
vel non universaliter sumptum; sed hoc non contingit fieri nisi uno modo, ita
scilicet ut negatio neget id quod affirmatio posuit, et nihil aliud; ergo uni
affirmationi opponitur una sola negatio. [80425] Expositio Peryermeneias,
lib. 1 l. 12 n. 4 Deinde cum dicit: dico autem, ut est etc., manifestat
propositum per exempla. Et primo, in singularibus: huic enim affirmationi,
Socrates est albus, haec sola opponitur, Socrates non est albus, tanquam eius
propria negatio. Si vero esset aliud praedicatum vel aliud subiectum, non esset
negatio opposita, sed omnino diversa; sicut ista, Socrates non est musicus, non
opponitur ei quae est, Socrates est albus; neque etiam illa quae est, Plato est
albus, huic quae est, Socrates non est albus. Secundo, manifestat idem quando
subiectum affirmationis est universale universaliter sumptum; sicut huic
affirmationi, omnis homo est albus, opponitur sicut propria eius negatio, non
omnis homo est albus, quae aequipollet particulari negativae. Tertio, ponit
exemplum quando affirmationis subiectum est universale particulariter sumptum:
et dicit quod huic affirmationi, aliquis homo est albus, opponitur tanquam eius
propria negatio, nullus homo est albus. Nam nullus dicitur, quasi non ullus,
idest, non aliquis. Quarto, ponit exemplum quando affirmationis subiectum est
universale indefinite sumptum et dicit quod isti affirmationi, homo est albus,
opponitur tanquam propria eius negatio illa quae est, non est homo albus.
[80426] Expositio Peryermeneias, lib. 1 l. 12 n. 5 Sed videtur hoc esse contra
id, quod supra dictum est quod negativa indefinita verificatur simul cum
indefinita affirmativa; negatio autem non potest verificari simul cum sua
opposita affirmatione, quia non contingit de eodem affirmare et negare. Sed ad
hoc dicendum quod oportet quod hic dicitur intelligi quando negatio ad idem
refertur quod affirmatio continebat; et hoc potest esse dupliciter: uno modo,
quando affirmatur aliquid inesse homini ratione sui ipsius (quod est per se de
eodem praedicari), et hoc ipsum negatio negat; alio modo, quando aliquid
affirmatur de universali ratione sui singularis, et pro eodem de eo negatur.
Deinde cum dicit: quod igitur una affirmatio etc., epilogat quae dicta sunt, et
concludit manifestum esse ex praedictis quod uni affirmationi opponitur una
negatio; et quod oppositarum affirmationum et negationum aliae sunt contrariae,
aliae contradictoriae; et dictum est quae sint utraeque. Tacet autem de
subcontrariis, quia non sunt recte oppositae, ut supra dictum est. Dictum est
etiam quod non omnis contradictio est vera vel falsa; et sumitur hic large
contradictio pro qualicumque oppositione affirmationis et negationis: nam in
his quae sunt vere contradictoriae semper una est vera, et altera falsa. Quare
autem in quibusdam oppositis hoc non verificetur, dictum est supra; quia
scilicet quaedam non sunt contradictoriae, sed contrariae, quae possunt simul
esse falsae. Contingit etiam affirmationem et negationem non proprie opponi; et
ideo contingit eas esse veras simul. Dictum est autem quando altera semper est
vera, altera autem falsa, quia scilicet in his quae vere sunt
contradictoria. Deinde cum dicit: una autem affirmatio etc., ostendit
quae sit affirmatio vel negatio una. Quod quidem iam supra dixerat, ubi habitum
est quod una est enunciatio, quae unum significat; sed quia enunciatio, in qua
aliquid praedicatur de aliquo universali universaliter vel non universaliter, multa
sub se continet, intendit ostendere quod per hoc non impeditur unitas
enunciationis. Et circa hoc duo facit: primo, ostendit quod unitas
enunciationis non impeditur per multitudinem, quae continetur sub universali,
cuius ratio una est; secundo, ostendit quod impeditur unitas enunciationis per
multitudinem, quae continetur sub sola nominis unitate; ibi: si vero duobus et
cetera. Dicit ergo primo quod una est affirmatio vel negatio cum unum
significatur de uno, sive illud unum quod subiicitur sit universale
universaliter sumptum sive non sit aliquid tale, sed sit universale
particulariter sumptum vel indefinite, aut etiam si subiectum sit singulare. Et
exemplificat de diversis sicut universalis ista affirmativa est una, omnis homo
est albus; et similiter particularis negativa quae est eius negatio, scilicet
non est omnis homo albus. Et subdit alia exempla, quae sunt manifesta. In fine
autem apponit quamdam conditionem, quae requiritur ad hoc quod quaelibet harum
sit una, si scilicet album, quod est praedicatum, significat unum: nam sola
multitudo praedicati impediret unitatem enunciationis. Ideo autem universalis
propositio una est, quamvis sub se multitudinem singularium comprehendat, quia
praedicatum non attribuitur multis singularibus, secundum quod sunt in se
divisa, sed secundum quod uniuntur in uno communi. Deinde cum dicit: si
vero duobus etc., ostendit quod sola unitas nominis non sufficit ad unitatem
enunciationis. Et circa hoc quatuor facit: primo, proponit quod intendit;
secundo, exemplificat; ibi: ut si quis ponat etc.; tertio, probat; ibi: nihil
enim differt etc.; quarto, infert corollarium ex dictis; ibi: quare nec in his
et cetera. Dicit ergo primo quod si unum nomen imponatur duabus rebus, ex
quibus non fit unum, non est affirmatio una. Quod autem dicit, ex quibus non
fit unum, potest intelligi dupliciter. Uno modo, ad excludendum hoc quod multa
continentur sub uno universali, sicut homo et equus sub animali: hoc enim nomen
animal significat utrumque, non secundum quod sunt multa et differentia ad
invicem, sed secundum quod uniuntur in natura generis. Alio modo, et melius, ad
excludendum hoc quod ex multis partibus fit unum, sive sint partes rationis,
sicut sunt genus et differentia, quae sunt partes definitionis: sive sint
partes integrales alicuius compositi, sicut ex lapidibus et lignis fit domus.
Si ergo sit tale praedicatum quod attribuatur rei, requiritur ad unitatem
enunciationis quod illa multa quae significantur, concurrant in unum secundum
aliquem dictorum modorum; unde non sufficeret sola unitas vocis. Si vero sit
tale praedicatum quod referatur ad vocem, sufficiet unitas vocis; ut si dicam,
canis est nomen. Deinde cum dicit: ut si quis etc., exemplificat quod
dictum est, ut si aliquis hoc nomen tunica imponat ad significandum hominem et
equum: et sic, si dicam, tunica est alba, non est affirmatio una, neque negatio
una. Deinde cum dicit: nihil enim differt etc., probat quod dixerat tali
ratione. Si tunica significat hominem et equum, nihil differt si dicatur,
tunica est alba, aut si dicatur, homo est albus, et, equus est albus; sed
istae, homo est albus, et equus est albus, significant multa et sunt plures
enunciationes; ergo etiam ista, tunica est alba, multa significat. Et hoc si
significet hominem et equum ut res diversas: si vero significet hominem et
equum ut componentia unam rem, nihil significat, quia non est aliqua res quae
componatur ex homine et equo. Quod autem dicit quod non differt dicere, tunica
est alba, et, homo est albus, et, equus est albus, non est intelligendum quantum
ad veritatem et falsitatem. Nam haec copulativa, homo est albus et equus est
albus, non potest esse vera nisi utraque pars sit vera: sed haec, tunica est
alba, praedicta positione facta, potest esse vera etiam altera existente falsa;
alioquin non oporteret distinguere multiplices propositiones ad solvendum
rationes sophisticas. Sed hoc est intelligendum quantum ad unitatem et
multiplicitatem. Nam sicut cum dicitur, homo est albus et equus est albus, non
invenitur aliqua una res cui attribuatur praedicatum; ita etiam nec cum
dicitur, tunica est alba. Deinde cum dicit: quare nec in his etc.,
concludit ex praemissis quod nec in his affirmationibus et negationibus, quae
utuntur subiecto aequivoco, semper oportet unam esse veram et aliam falsam,
quia scilicet negatio potest aliud negare quam affirmatio affirmet. Postquam
philosophus determinavit de oppositione enunciationum et ostendit quomodo
dividunt verum et falsum oppositae enunciationes; hic inquirit de quodam quod
poterat esse dubium, utrum scilicet id quod dictum es t similiter
inveniatur in omnibus enunciationibus vel non. Et circa hoc duo facit: primo,
proponit dissimilitudinem; secundo, probat eam; ibi: nam si omnis affirmatio et
cetera. Circa primum considerandum est quod philosophus in praemissis triplicem
divisionem enunciationum assignavit, quarum prima fuit secundum unitatem
enunciationis, prout scilicet enunciatio est una simpliciter vel coniunctione
una; secunda fuit secundum qualitatem, prout scilicet enunciatio est
affirmativa vel negativa; tertia fuit secundum quantitatem, utpote quod
enunciatio quaedam est universalis, quaedam particularis, quaedam indefinita et
quaedam singularis. Tangitur autem hic quarta divisio enunciationum secundum
tempus. Nam quaedam est de praesenti, quaedam de praeterito, quaedam de futuro;
et haec etiam divisio potest accipi ex his quae supra dicta sunt: dictum est
enim supra quod necesse est omnem enunciationem esse ex verbo vel ex casu
verbi; verbum autem est quod consignificat praesens tempus; casus autem verbi sunt,
qui consignificant tempus praeteritum vel futurum. Potest autem accipi quinta
divisio enunciationum secundum materiam, quae quidem divisio attenditur
secundum habitudinem praedicati ad subiectum: nam si praedicatum per se insit
subiecto, dicetur esse enunciatio in materia necessaria vel naturali; ut cum
dicitur, homo est animal, vel, homo est risibile. Si vero praedicatum per se
repugnet subiecto quasi excludens rationem ipsius, dicetur enunciatio esse in
materia impossibili sive remota; ut cum dicitur, homo est asinus. Si vero medio
modo se habeat praedicatum ad subiectum, ut scilicet nec per se repugnet
subiecto, nec per se insit, dicetur enunciatio esse in materia possibili sive
contingenti. His igitur enunciationum differentiis consideratis, non similiter
se habet iudicium de veritate et falsitate in omnibus. Unde philosophus dicit,
ex praemissis concludens, quod in his quae sunt, idest in propositionibus de
praesenti, et in his quae facta sunt, idest in enunciationibus de praeterito,
necesse est quod affirmatio vel negatio determinate sit vera vel falsa.
Diversificatur tamen hoc, secundum diversam quantitatem enunciationis; nam in
enunciationibus, in quibus de universalibus subiectis aliquid universaliter
praedicatur, necesse est quod semper una sit vera, scilicet affirmativa vel
negativa, et altera falsa, quae scilicet ei opponitur. Dictum est enim supra
quod negatio enunciationis universalis in qua aliquid universaliter
praedicatur, est negativa non universalis, sed particularis, et e converso universalis
negativa non est directe negatio universalis affirmativae, sed particularis; et
sic oportet, secundum praedicta, quod semper una earum sit vera et altera falsa
in quacumque materia. Et eadem ratio est in enunciationibus singularibus, quae
etiam contradictorie opponuntur, ut supra habitum est. Sed in enunciationibus,
in quibus aliquid praedicatur de universali non universaliter, non est necesse
quod semper una sit vera et altera sit falsa, qui possunt ambae esse simul
verae, ut supra ostensum est. Et hoc quidem ita se habet quantum ad
propositiones, quae sunt de praeterito vel de praesenti: sed si accipiamus
enunciationes, quae sunt de futuro, etiam similiter se habent quantum ad
oppositiones, quae sunt de universalibus vel universaliter vel non universaliter
sumptis. Nam in materia necessaria omnes affirmativae determinate sunt verae,
ita in futuris sicut in praeteritis et praesentibus; negativae vero falsae. In
materia autem impossibili, e contrario. In contingenti vero universales sunt
falsae et particulares sunt verae, ita in futuris sicut in praeteritis et
praesentibus. In indefinitis autem, utraque simul est vera in futuris sicut in
praesentibus vel praeteritis. Sed in singularibus et futuris est quaedam
dissimilitudo. Nam in praeteritis et praesentibus necesse est quod altera
oppositarum determinate sit vera et altera falsa in quacumque materia; sed in
singularibus quae sunt de futuro hoc non est necesse, quod una determinate sit
vera et altera falsa. Et hoc quidem dicitur quantum ad materiam contingentem:
nam quantum ad materiam necessariam et impossibilem similis ratio est in
futuris singularibus, sicut in praesentibus et praeteritis. Nec tamen
Aristoteles mentionem fecit de materia contingenti, quia illa proprie ad
singularia pertinent quae contingenter eveniunt, quae autem per se insunt vel
repugnant, attribuuntur singularibus secundum universalium rationes. Circa hoc
igitur versatur tota praesens intentio: utrum in enunciationibus singularibus
de futuro in materia contingenti necesse sit quod determinate una oppositarum
sit vera et altera falsa. Deinde cum dicit: nam si omnis affirmatio etc.,
probat praemissam differentiam. Et circa hoc duo facit: primo, probat
propositum ducendo ad inconveniens; secundo, ostendit illa esse impossibilia quae
sequuntur; ibi: quare ergo contingunt inconvenientia et cetera. Circa primum
duo facit: primo, ostendit quod in singularibus et futuris non semper potest
determinate attribui veritas alteri oppositorum; secundo, ostendit quod non
potest esse quod utraque veritate careat; ibi: at vero neque quoniam et cetera.
Circa primum ponit duas rationes, in quarum prima ponit quamdam consequentiam,
scilicet quod si omnis affirmatio vel negatio determinate est vera vel falsa
ita in singularibus et futuris sicut in aliis, consequens est quod omnia
necesse sit vel determinate esse vel non esse. Deinde cum dicit: quare si hic
quidem etc. vel, si itaque hic quidem, ut habetur in Graeco, probat
consequentiam praedictam. Ponamus enim quod sint duo homines, quorum unus dicat
aliquid esse futurum, puta quod Socrates curret, alius vero dicat hoc idem
ipsum non esse futurum; supposita praemissa positione, scilicet quod in
singularibus et futuris contingit alteram esse veram, scilicet vel affirmativam
vel negativam, sequetur quod necesse sit quod alter eorum verum dicat, non
autem uterque: quia non potest esse quod in singularibus propositionibus
futuris utraque sit simul vera, scilicet affirmativa et negativa: sed hoc habet
locum solum in indefinitis. Ex hoc autem quod necesse est alterum eorum verum
dicere, sequitur quod necesse sit determinate vel esse vel non esse. Et hoc
probat consequenter: quia ista duo se convertibiliter consequuntur, scilicet
quod verum sit id quod dicitur, et quod ita sit in re. Et hoc est quod
manifestat consequenter dicens quod si verum est dicere quod album sit, de
necessitate sequitur quod ita sit in re; et si verum est negare, ex necessitate
sequitur quod ita non sit. Et e converso: quia si ita est in re vel non est, ex
necessitate sequitur quod sit verum affirmare vel negare. Et eadem etiam
convertibilitas apparet in falso: quia, si aliquis mentitur falsum dicens, ex
necessitate sequitur quod non ita sit in re, sicut ipse affirmat vel negat; et
e converso, si non est ita in re sicut ipse affirmat vel negat, sequitur quod
affirmans vel negans mentiatur. Est ergo processus huius rationis talis.
Si necesse est quod omnis affirmatio vel negatio in singularibus et futuris sit
vera vel falsa, necesse est quod omnis affirmans vel negans determinate dicat
verum vel falsum. Ex hoc autem sequitur quod omne necesse sit esse vel non
esse. Ergo, si omnis affirmatio vel negatio determinate sit vera, necesse est
omnia determinate esse vel non esse. Ex hoc concludit ulterius quod omnia sint
ex necessitate. Per quod triplex genus contingentium excluditur. Quaedam
enim contingunt ut in paucioribus, quae accidunt a casu vel fortuna. Quaedam
vero se habent ad utrumlibet, quia scilicet non magis se habent ad unam partem,
quam ad aliam, et ista procedunt ex electione. Quaedam vero eveniunt ut in
pluribus; sicut hominem canescere in senectute, quod causatur ex natura. Si
autem omnia ex necessitate evenirent, nihil horum contingentium esset. Et ideo
dicit nihil est quantum ad ipsam permanentiam eorum quae permanent
contingenter; neque fit quantum ad productionem eorum quae contingenter
causantur; nec casu quantum ad ea quae sunt in minori parte, sive in
paucioribus; nec utrumlibet quantum ad ea quae se habent aequaliter ad
utrumque, scilicet esse vel non esse, et ad neutrum horum sunt determinata:
quod significat cum subdit, nec erit, nec non erit. De eo enim quod est magis
determinatum ad unam partem possumus determinate verum dicere quod hoc erit vel
non erit, sicut medicus de convalescente vere dicit, iste sanabitur, licet
forte ex aliquo accidente eius sanitas impediatur. Unde et philosophus dicit in
II de generatione quod futurus quis incedere, non incedet. De eo enim qui habet
propositum determinatum ad incedendum, vere potest dici quod ipse incedet,
licet per aliquod accidens impediatur eius incessus. Sed eius quod est ad
utrumlibet proprium est quod, quia non determinatur magis ad unum quam ad
alterum, non possit de eo determinate dici, neque quod erit, neque quod non
erit. Quomodo autem sequatur quod nihil sit ad utrumlibet ex praemissa
hypothesi, manifestat subdens quod, si omnis affirmatio vel negatio determinate
sit vera, oportet quod vel ille qui affirmat vel ille qui negat dicat verum; et
sic tollitur id quod est ad utrumlibet: quia, si esse aliquid ad utrumlibet,
similiter se haberet ad hoc quod fieret vel non fieret, et non magis ad unum
quam ad alterum. Est autem considerandum quod philosophus non excludit hic
expresse contingens quod est ut in pluribus, duplici ratione. Primo quidem,
quia tale contingens non excludit quin altera oppositarum enunciationum
determinate sit vera et altera falsa, ut dictum est. Secundo, quia remoto
contingenti quod est in paucioribus, quod a casu accidit, removetur per
consequens contingens quod est ut in pluribus: nihil enim differt id quod est
in pluribus ab eo quod est in paucioribus, nisi quod deficit in minori
parte. Deinde cum dicit: amplius si est album etc., ponit secundam
rationem ad ostendendum praedictam dissimilitudinem, ducendo ad impossibile. Si
enim similiter se habet veritas et falsitas in praesentibus et futuris,
sequitur ut quidquid verum est de praesenti, etiam fuerit verum de futuro, eo
modo quo est verum de praesenti. Sed determinate nunc est verum dicere de
aliquo singulari quod est album; ergo primo, idest antequam illud fieret album,
erat verum dicere quoniam hoc erit album. Sed eadem ratio videtur esse in
propinquo et in remoto; ergo si ante unum diem verum fuit dicere quod hoc erit
album, sequitur quod semper fuit verum dicere de quolibet eorum, quae facta
sunt, quod erit. Si autem semper est verum dicere de praesenti quoniam est, vel
de futuro quoniam erit, non potest hoc non esse vel non futurum esse. Cuius
consequentiae ratio patet, quia ista duo sunt incompossibilia, quod aliquid
vere dicatur esse, et quod non sit. Nam hoc includitur in significatione veri,
ut sit id quod dicitur. Si ergo ponitur verum esse id quod dicitur de praesenti
vel de futuro, non potest esse quin illud sit praesens vel futurum. Sed quod
non potest non fieri idem significat cum eo quod est impossibile non fieri. Et
quod impossibile est non fieri idem significat cum eo quod est necesse fieri,
ut in secundo plenius dicetur. Sequitur ergo ex praemissis quod omnia, quae
futura sunt, necesse est fieri. Ex quo sequitur ulterius, quod nihil sit neque
ad utrumlibet neque a casu, quia illud quod accidit a casu non est ex
necessitate, sed ut in paucioribus; hoc autem relinquit pro inconvenienti; ergo
et primum est falsum, scilicet quod omne quod est verum esse, verum fuerit
determinate dicere esse futurum. Ad cuius evidentiam considerandum est
quod cum verum hoc significet ut dicatur aliquid esse quod est, hoc modo est
aliquid verum, quo habet esse. Cum autem aliquid est in praesenti habet esse in
seipso, et ideo vere potest dici de eo quod est: sed quamdiu aliquid est
futurum, nondum est in seipso, est tamen aliqualiter in sua causa: quod quidem
contingit tripliciter. Uno modo, ut sic sit in sua causa ut ex necessitate ex
ea proveniat; et tunc determinate habet esse in sua causa; unde determinate
potest dici de eo quod erit. Alio modo, aliquid est in sua causa, ut quae habet
inclinationem ad suum effectum, quae tamen impediri potest; unde et hoc
determinatum est in sua causa, sed mutabiliter; et sic de hoc vere dici potest,
hoc erit, sed non per omnimodam certitudinem. Tertio, aliquid est in sua causa
pure in potentia, quae etiam non magis est determinata ad unum quam ad aliud;
unde relinquitur quod nullo modo potest de aliquo eorum determinate dici quod
sit futurum, sed quod sit vel non sit. Deinde cum dicit: at vero neque
quoniam etc., ostendit quod veritas non omnino deest in singularibus futuris
utrique oppositorum; et primo, proponit quod intendit dicens quod sicut non est
verum dicere quod in talibus alterum oppositorum sit verum determinate, sic non
est verum dicere quod non utrumque sit verum; ut si quod dicamus, neque erit,
neque non erit. Secundo, ibi: primum enim cum sit etc., probat propositum
duabus rationibus. Quarum prima talis est: affirmatio et negatio dividunt verum
et falsum, quod patet ex definitione veri et falsi: nam nihil aliud est verum
quam esse quod est, vel non esse quod non est; et nihil aliud est falsum quam
esse quod non est, vel non esse quod est; et sic oportet quod si affirmatio sit
falsa, quod negatio sit vera; et e converso. Sed secundum praedictam positionem
affirmatio est falsa, qua dicitur, hoc erit; nec tamen negatio est vera: et
similiter negatio erit falsa, affirmatione non existente vera; ergo praedicta
positio est impossibilis, scilicet quod veritas desit utrique oppositorum.
Secundam rationem ponit; ibi: ad haec si verum est et cetera. Quae talis est:
si verum est dicere aliquid, sequitur quod illud sit; puta si verum est dicere
quod aliquid sit magnum et album, sequitur utraque esse. Et ita de futuro sicut
de praesenti: sequitur enim esse cras, si verum est dicere quod erit cras. Si
ergo vera est praedicta positio dicens quod neque cras erit, neque non erit,
oportebit neque fieri, neque non fieri: quod est contra rationem eius quod est
ad utrumlibet, quia quod est ad utrumlibet se habet ad alterutrum; ut navale
bellum cras erit, vel non erit. Et ita ex hoc sequitur idem inconveniens quod
in praemissis. Ostenderat superius philosophus ducendo ad inconveniens quod non
est similiter verum vel falsum determinate in altero oppositorum in
singularibus et futuris, sicut supra de aliis enunciationibus dixerat; nunc
autem ostendit inconvenientia ad quae adduxerat esse impossibilia. Et circa hoc
duo facit: primo, ostendit impossibilia ea quae sequebantur; secundo, concludit
quomodo circa haec se veritas habeat; ibi: igitur esse quod est et
cetera. Circa primum tria facit: primo, ponit inconvenientia quae
sequuntur; secundo, ostendit haec inconvenientia ex praedicta positione sequi;
ibi: nihil enim prohibet etc.; tertio, ostendit esse impossibilia
inconvenientia memorata; ibi: quod si haec possibilia non sunt et cetera. Dicit
ergo primo, ex praedictis rationibus concludens, quod haec inconvenientia
sequuntur, si ponatur quod necesse sit oppositarum enunciationum alteram
determinate esse veram et alteram esse falsam similiter in singularibus sicut
in universalibus, quod scilicet nihil in his quae fiunt sit ad utrumlibet, sed
omnia sint et fiant ex necessitate. Et ex hoc ulterius inducit alia duo
inconvenientia. Quorum primum est quod non oportebit de aliquo consiliari:
probatum est enim in III Ethicorum quod consilium non est de his, quae sunt ex
necessitate, sed solum de contingentibus, quae possunt esse et non esse.
Secundum inconveniens est quod omnes actiones humanae, quae sunt propter
aliquem finem (puta negotiatio, quae est propter divitias acquirendas), erunt
superfluae: quia si omnia ex necessitate eveniunt, sive operemur sive non
operemur erit quod intendimus. Sed hoc est contra intentionem hominum, quia ea
intentione videntur consiliari et negotiari ut, si haec faciant, erit talis
finis, si autem faciunt aliquid aliud, erit alius finis. Deinde cum
dicit: nihil enim prohibet etc., probat quod dicta inconvenientia consequantur
ex dicta positione. Et circa hoc duo facit: primo, ostendit praedicta
inconvenientia sequi, quodam possibili posito; secundo, ostendit quod eadem
inconvenientia sequantur etiam si illud non ponatur; ibi: at nec hoc differt et
cetera. Dicit ergo primo, non esse impossibile quod ante mille annos, quando
nihil apud homines erat praecogitatum, vel praeordinatum de his quae nunc
aguntur, unus dixerit quod hoc erit, puta quod civitas talis subverteretur,
alius autem dixerit quod hoc non erit. Sed si omnis affirmatio vel negatio
determinate est vera, necesse est quod alter eorum determinate verum dixerit;
ergo necesse fuit alterum eorum ex necessitate evenire; et eadem ratio est in
omnibus aliis; ergo omnia ex necessitate eveniunt. Deinde cum dicit: at
vero neque hoc differt etc., ostendit quod idem sequitur si illud possibile non
ponatur. Nihil enim differt, quantum ad rerum existentiam vel eventum, si uno
affirmante hoc esse futurum, alius negaverit vel non negaverit; ita enim se
habebit res si hoc factum fuerit, sicut si hoc non factum fuerit. Non enim
propter nostrum affirmare vel negare mutatur cursus rerum, ut sit aliquid vel
non sit: quia veritas nostrae enunciationis non est causa existentiae rerum,
sed potius e converso. Similiter etiam non differt quantum ad eventum eius quod
nunc agitur, utrum fuerit affirmatum vel negatum ante millesimum annum vel ante
quodcumque tempus. Sic ergo, si in quocumque tempore praeterito, ita se habebat
veritas enunciationum, ut necesse esset quod alterum oppositorum vere
diceretur; et ad hoc quod necesse est aliquid vere dici sequitur quod necesse
sit illud esse vel fieri; consequens est quod unumquodque eorum quae fiunt, sic
se habeat ut ex necessitate fiat. Et huiusmodi consequentiae rationem assignat
per hoc, quod si ponatur aliquem vere dicere quod hoc erit, non potest non futurum
esse. Sicut supposito quod sit homo, non potest non esse animal rationale
mortale. Hoc enim significatur, cum dicitur aliquid vere dici, scilicet quod
ita sit ut dicitur. Eadem autem habitudo est eorum, quae nunc dicuntur, ad ea
quae futura sunt, quae erat eorum, quae prius dicebantur, ad ea quae sunt
praesentia vel praeterita; et ita omnia ex necessitate acciderunt, et accidunt,
et accident, quia quod nunc factum est, utpote in praesenti vel in praeterito
existens, semper verum erat dicere, quoniam erit futurum. Deinde cum
dicit: quod si haec possibilia non sunt etc., ostendit praedicta esse
impossibilia: et primo, per rationem; secundo, per exempla sensibilia; ibi: et
multa nobis manifesta et cetera. Circa primum duo facit: primo, ostendit propositum
in rebus humanis; secundo, etiam in aliis rebus; ibi: et quoniam est omnino et
cetera. Quantum autem ad res humanas ostendit esse impossibilia quae dicta
sunt, per hoc quod homo manifeste videtur esse principium eorum futurorum, quae
agit quasi dominus existens suorum actuum, et in sua potestate habens agere vel
non agere; quod quidem principium si removeatur, tollitur totus ordo
conversationis humanae, et omnia principia philosophiae moralis. Hoc enim
sublato non erit aliqua utilitas persuasionis, nec comminationis, nec
punitionis aut remunerationis, quibus homines alliciuntur ad bona et
retrahuntur a malis, et sic evacuatur tota civilis scientia. Hoc ergo
philosophus accipit pro principio manifesto quod homo sit principium futurorum;
non est autem futurorum principium nisi per hoc quod consiliatur et facit
aliquid: ea enim quae agunt absque consilio non habent dominium sui actus,
quasi libere iudicantes de his quae sunt agenda, sed quodam naturali instinctu
moventur ad agendum, ut patet in animalibus brutis. Unde impossibile est quod
supra conclusum est quod non oporteat nos negotiari vel consiliari. Et sic
etiam impossibile est illud ex quo sequebatur, scilicet quod omnia ex
necessitate eveniant. Deinde cum dicit: et quoniam est omnino etc., ostendit
idem etiam in aliis rebus. Manifestum est enim etiam in rebus naturalibus esse
quaedam, quae non semper actu sunt; ergo in eis contingit esse et non esse:
alioquin vel semper essent, vel semper non essent. Id autem quod non est,
incipit esse aliquid per hoc quod fit illud; sicut id quod non est album,
incipit esse album per hoc quod fit album. Si autem non fiat album permanet non
ens album. Ergo in quibus contingit esse et non esse, contingit etiam fieri et
non fieri. Non ergo talia ex necessitate sunt vel fiunt, sed est in eis natura
possibilitatis, per quam se habent ad fieri et non fieri, esse et non
esse. Deinde cum dicit: ac multa nobis manifesta etc., ostendit
propositum per sensibilia exempla. Sit enim, puta, vestis nova; manifestum est
quod eam possibile est incidi, quia nihil obviat incisioni, nec ex parte
agentis nec ex parte patientis. Probat autem quod simul cum hoc quod possibile
est eam incidi, possibile est etiam eam non incidi, eodem modo quo supra
probavit duas indefinitas oppositas esse simul veras, scilicet per assumptionem
contrarii. Sicut enim possibile est istam vestem incidi, ita possibile est eam
exteri, idest vetustate corrumpi; sed si exteritur non inciditur; ergo utrumque
possibile est, scilicet eam incidi et non incidi. Et ex hoc universaliter
concludit quod in aliis futuris, quae non sunt in actu semper, sed sunt in
potentia, hoc manifestum est quod non omnia ex necessitate sunt vel fiunt, sed
eorum quaedam sunt ad utrumlibet, quae non se habent magis ad affirmationem
quam ad negationem; alia vero sunt in quibus alterum eorum contingit ut in
pluribus, sed tamen contingit etiam ut in paucioribus quod altera pars sit
vera, et non alia, quae scilicet contingit ut in pluribus. Est autem
considerandum quod, sicut Boethius dicit hic in commento, circa possibile et
necessarium diversimode aliqui sunt opinati. Quidam enim distinxerunt ea
secundum eventum, sicut Diodorus, qui dixit illud esse impossibile quod nunquam
erit; necessarium vero quod semper erit; possibile vero quod quandoque erit, quandoque
non erit. Stoici vero distinxerunt haec secundum exteriora prohibentia.
Dixerunt enim necessarium esse illud quod non potest prohiberi quin sit verum;
impossibile vero quod semper prohibetur a veritate; possibile vero quod potest
prohiberi vel non prohiberi. Utraque autem distinctio videtur esse incompetens.
Nam prima distinctio est a posteriori: non enim ideo aliquid est necessarium,
quia semper erit; sed potius ideo semper erit, quia est necessarium: et idem
patet in aliis. Secunda autem assignatio est ab exteriori et quasi per
accidens: non enim ideo aliquid est necessarium, quia non habet impedimentum,
sed quia est necessarium, ideo impedimentum habere non potest. Et ideo alii
melius ista distinxerunt secundum naturam rerum, ut scilicet dicatur illud
necessarium, quod in sua natura determinatum est solum ad esse; impossibile
autem quod est determinatum solum ad non esse; possibile autem quod ad neutrum
est omnino determinatum, sive se habeat magis ad unum quam ad alterum, sive se
habeat aequaliter ad utrumque, quod dicitur contingens ad utrumlibet. Et hoc
est quod Boethius attribuit Philoni. Sed manifeste haec est sententia
Aristotelis in hoc loco. Assignat enim rationem possibilitatis et
contingentiae, in his quidem quae sunt a nobis ex eo quod sumus consiliativi,
in aliis autem ex eo quod materia est in potentia ad utrumque
oppositorum. Sed videtur haec ratio non esse sufficiens. Sicut enim in
corporibus corruptibilibus materia invenitur in potentia se habens ad esse et
non esse, ita etiam in corporibus caelestibus invenitur potentia ad diversa
ubi, et tamen nihil in eis evenit contingenter, sed solum ex necessitate. Unde
dicendum est quod possibilitas materiae ad utrumque, si communiter loquamur,
non est sufficiens ratio contingentiae, nisi etiam addatur ex parte potentiae
activae quod non sit omnino determinata ad unum; alioquin si ita sit
determinata ad unum quod impediri non potest, consequens est quod ex
necessitate reducat in actum potentiam passivam eodem modo. Hoc igitur
quidam attendentes posuerunt quod potentia, quae est in ipsis rebus
naturalibus, sortitur necessitatem ex aliqua causa determinata ad unum quam
dixerunt fatum. Quorum Stoici posuerunt fatum in quadam serie, seu connexione
causarum, supponentes quod omne quod in hoc mundo accidit habet causam; causa
autem posita, necesse est effectum poni. Et si una causa per se non sufficit,
multae causae ad hoc concurrentes accipiunt rationem unius causae sufficientis;
et ita concludebant quod omnia ex necessitate eveniunt. Sed hanc rationem
solvit Aristoteles in VI metaphysicae interimens utramque propositionum
assumptarum. Dicit enim quod non omne quod fit habet causam, sed solum illud
quod est per se. Sed illud quod est per accidens non habet causam; quia proprie
non est ens, sed magis ordinatur cum non ente, ut etiam Plato dixit. Unde esse
musicum habet causam, et similiter esse album; sed hoc quod est, album esse
musicum, non habet causam: et idem est in omnibus aliis huiusmodi. Similiter
etiam haec est falsa, quod posita causa etiam sufficienti, necesse est effectum
poni: non enim omnis causa est talis (etiamsi sufficiens sit) quod eius
effectus impediri non possit; sicut ignis est sufficiens causa combustionis
lignorum, sed tamen per effusionem aquae impeditur combustio. Si autem utraque
propositionum praedictarum esset vera, infallibiliter sequeretur omnia ex
necessitate contingere. Quia si quilibet effectus habet causam, esset effectum
(qui est futurus post quinque dies, aut post quantumcumque tempus) reducere in
aliquam causam priorem: et sic quousque esset devenire ad causam, quae nunc est
in praesenti, vel iam fuit in praeterito; si autem causa posita, necesse est
effectum poni, per ordinem causarum deveniret necessitas usque ad ultimum
effectum. Puta, si comedit salsa, sitiet: si sitiet, exibit domum ad bibendum:
si exibit domum, occidetur a latronibus. Quia ergo iam comedit salsa, necesse
est eum occidi. Et ideo Aristoteles ad hoc excludendum ostendit utramque
praedictarum propositionum esse falsam, ut dictum est. Obiiciunt autem
quidam contra hoc, dicentes quod omne per accidens reducitur ad aliquid per se,
et ita oportet effectum qui est per accidens reduci in causam per se. Sed non
attendunt quod id quod est per accidens reducitur ad per se, in quantum accidit
ei quod est per se, sicut musicum accidit Socrati, et omne accidens alicui
subiecto per se existenti. Et similiter omne quod in aliquo effectu est per
accidens consideratur circa aliquem effectum per se: qui quantum ad id quod per
se est habet causam per se, quantum autem ad id quod inest ei per accidens non
habet causam per se, sed causam per accidens. Oportet enim effectum
proportionaliter referre ad causam suam, ut in II physicorum et in V
methaphysicae dicitur. Quidam vero non attendentes differentiam effectuum
per accidens et per se, tentaverunt reducere omnes effectus hic inferius
provenientes in aliquam causam per se, quam ponebant esse virtutem caelestium
corporum in qua ponebant fatum, dicentes nihil aliud esse fatum quam vim
positionis syderum. Sed ex hac causa non potest provenire necessitas in omnibus
quae hic aguntur. Multa enim hic fiunt ex intellectu et voluntate, quae per se
et directe non subduntur virtuti caelestium corporum: cum enim intellectus sive
ratio et voluntas quae est in ratione, non sint actus organi corporalis, ut
probatur in libro de anima, impossibile est quod directe subdantur intellectus
seu ratio et voluntas virtuti caelestium corporum: nulla enim vis corporalis
potest agere per se, nisi in rem corpoream. Vires autem sensitivae in quantum sunt
actus organorum corporalium per accidens subduntur actioni caelestium corporum.
Unde philosophus in libro de anima opinionem ponentium voluntatem hominis
subiici motui caeli adscribit his, qui non ponebant intellectum differre a
sensu. Indirecte tamen vis caelestium corporum redundat ad intellectum et
voluntatem, in quantum scilicet intellectus et voluntas utuntur viribus
sensitivis. Manifestum autem est quod passiones virium sensitivarum non
inferunt necessitatem rationi et voluntati. Nam continens habet pravas
concupiscentias, sed non deducitur, ut patet per philosophum in VII Ethicorum.
Sic igitur ex virtute caelestium corporum non provenit necessitas in his quae
per rationem et voluntatem fiunt. Similiter nec in aliis corporalibus
effectibus rerum corruptibilium, in quibus multa per accidens eveniunt. Id
autem quod est per accidens non potest reduci ut in causam per se in aliquam
virtutem naturalem, quia virtus naturae se habet ad unum; quod autem est per
accidens non est unum; unde et supra dictum est quod haec enunciatio non est
una, Socrates est albus musicus, quia non significat unum. Et ideo philosophus
dicit in libro de somno et vigilia quod multa, quorum signa praeexistunt in
corporibus caelestibus, puta in imbribus et tempestatibus, non eveniunt, quia
scilicet impediuntur per accidens. Et quamvis illud etiam impedimentum secundum
se consideratum reducatur in aliquam causam caelestem; tamen concursus horum,
cum sit per accidens, non potest reduci in aliquam causam naturaliter
agentem. Sed considerandum est quod id quod est per accidens potest ab
intellectu accipi ut unum, sicut album esse musicum, quod quamvis secundum se
non sit unum, tamen intellectus ut unum accipit, in quantum scilicet componendo
format enunciationem unam. Et secundum hoc contingit id, quod secundum se per
accidens evenit et casualiter, reduci in aliquem intellectum praeordinantem;
sicut concursus duorum servorum ad certum locum est per accidens et casualis
quantum ad eos, cum unus eorum ignoret de alio; potest tamen esse per se
intentus a domino, qui utrumque mittit ad hoc quod in certo loco sibi
occurrant. Et secundum hoc aliqui posuerunt omnia quaecumque in hoc mundo
aguntur, etiam quae videntur fortuita vel casualia, reduci in ordinem
providentiae divinae, ex qua dicebant dependere fatum. Et hoc quidem aliqui
stulti negaverunt, iudicantes de intellectu divino ad modum intellectus nostri,
qui singularia non cognoscit. Hoc autem est falsum: nam intelligere divinum et
velle eius est ipsum esse ipsius. Unde sicut esse eius sua virtute comprehendit
omne illud quod quocumque modo est, in quantum scilicet est per participationem
ipsius; ita etiam suum intelligere et suum intelligibile comprehendit omnem
cognitionem et omne cognoscibile; et suum velle et suum volitum comprehendit omnem
appetitum et omne appetibile quod est bonum; ut, scilicet ex hoc ipso quod
aliquid est cognoscibile cadat sub eius cognitione, et ex hoc ipso quod est
bonum cadat sub eius voluntate: sicut ex hoc ipso quod est ens, aliquid cadit
sub eius virtute activa, quam ipse perfecte comprehendit, cum sit per
intellectum agens. Sed si providentia divina sit per se causa
omnium quae in hoc mundo accidunt, saltem bonorum, videtur quod omnia ex
necessitate accidant. Primo quidem ex parte scientiae eius: non enim potest
eius scientia falli; et ita ea quae ipse scit, videtur quod necesse sit
evenire. Secundo ex parte voluntatis: voluntas enim Dei inefficax esse non
potest; videtur ergo quod omnia quae vult, ex necessitate eveniant.
Procedunt autem hae obiectiones ex eo quod cognitio divini intellectus et
operatio divinae voluntatis pensantur ad modum eorum, quae in nobis sunt, cum
tamen multo dissimiliter se habeant. Nam primo quidem ex parte
cognitionis vel scientiae considerandum est quod ad cognoscendum ea quae secundum
ordinem temporis eveniunt, aliter se habet vis cognoscitiva, quae sub ordine
temporis aliqualiter continetur, aliter illa quae totaliter est extra ordinem
temporis. Cuius exemplum conveniens accipi potest ex ordine loci: nam secundum
philosophum in IV physicorum, secundum prius et posterius in magnitudine est
prius et posterius in motu et per consequens in tempore. Si ergo sint multi
homines per viam aliquam transeuntes, quilibet eorum qui sub ordine
transeuntium continetur habet cognitionem de praecedentibus et subsequentibus,
in quantum sunt praecedentes et subsequentes; quod pertinet ad ordinem loci. Et
ideo quilibet eorum videt eos, qui iuxta se sunt et aliquos eorum qui eos
praecedunt; eos autem qui post se sunt videre non potest. Si autem esset aliquis
extra totum ordinem transeuntium, utpote in aliqua excelsa turri constitutus,
unde posset totam viam videre, videret quidem simul omnes in via existentes,
non sub ratione praecedentis et subsequentis (in comparatione scilicet ad eius
intuitum), sed simul omnes videret, et quomodo unus eorum alium praecedit. Quia
igitur cognitio nostra cadit sub ordine temporis, vel per se vel per accidens
(unde et anima in componendo et dividendo necesse habet adiungere tempus, ut
dicitur in III de anima), consequens est quod sub eius cognitione cadant res
sub ratione praesentis, praeteriti et futuri. Et ideo praesentia cognoscit
tanquam actu existentia et sensu aliqualiter perceptibilia; praeterita autem
cognoscit ut memorata; futura autem non cognoscit in seipsis, quia nondum sunt,
sed cognoscere ea potest in causis suis: per certitudinem quidem, si totaliter
in causis suis sint determinata, ut ex quibus de necessitate evenient; per
coniecturam autem, si non sint sic determinata quin impediri possint, sicut
quae sunt ut in pluribus; nullo autem modo, si in suis causis sunt omnino in
potentia non magis determinata ad unum quam ad aliud, sicut quae sunt ad
utrumlibet. Non enim est aliquid cognoscibile secundum quod est in potentia,
sed solum secundum quod est in actu, ut patet per philosophum in IX
metaphysicae. Sed Deus est omnino extra ordinem temporis, quasi in arce
aeternitatis constitutus, quae est tota simul, cui subiacet totus temporis
decursus secundum unum et simplicem eius intuitum; et ideo uno intuitu videt omnia
quae aguntur secundum temporis decursum, et unumquodque secundum quod est in
seipso existens, non quasi sibi futurum quantum ad eius intuitum prout est in
solo ordine suarum causarum (quamvis et ipsum ordinem causarum videat), sed
omnino aeternaliter sic videt unumquodque eorum quae sunt in quocumque tempore,
sicut oculus humanus videt Socratem sedere in seipso, non in causa sua. Ex hoc
autem quod homo videt Socratem sedere, non tollitur eius contingentia quae
respicit ordinem causae ad effectum; tamen certissime et infallibiliter videt
oculus hominis Socratem sedere dum sedet, quia unumquodque prout est in seipso
iam determinatum est. Sic igitur relinquitur, quod Deus certissime et
infallibiliter cognoscat omnia quae fiunt in tempore; et tamen ea quae in
tempore eveniunt non sunt vel fiunt ex necessitate, sed contingenter.
Similiter ex parte voluntatis divinae differentia est attendenda. Nam voluntas
divina est intelligenda ut extra ordinem entium existens, velut causa quaedam
profundens totum ens et omnes eius differentias. Sunt autem differentiae entis
possibile et necessarium; et ideo ex ipsa voluntate divina originantur
necessitas et contingentia in rebus et distinctio utriusque secundum rationem
proximarum causarum: ad effectus enim, quos voluit necessarios esse, disposuit
causas necessarias; ad effectus autem, quos voluit esse contingentes, ordinavit
causas contingenter agentes, idest potentes deficere. Et secundum harum
conditionem causarum, effectus dicuntur vel necessarii vel contingentes, quamvis
omnes dependeant a voluntate divina, sicut a prima causa, quae transcendit
ordinem necessitatis et contingentiae. Hoc autem non potest dici de voluntate
humana, nec de aliqua alia causa: quia omnis alia causa cadit iam sub ordine
necessitatis vel contingentiae; et ideo oportet quod vel ipsa causa possit
deficere, vel effectus eius non sit contingens, sed necessarius. Voluntas autem
divina indeficiens est; tamen non omnes effectus eius sunt necessarii, sed
quidam contingentes. Similiter autem aliam radicem contingentiae, quam hic
philosophus ponit ex hoc quod sumus consiliativi, aliqui subvertere nituntur,
volentes ostendere quod voluntas in eligendo ex necessitate movetur ab
appetibili. Cum enim bonum sit obiectum voluntatis, non potest (ut videtur) ab
hoc divertere quin appetat illud quod sibi videtur bonum; sicut nec ratio ab
hoc potest divertere quin assentiat ei quod sibi videtur verum. Et ita videtur
quod electio consilium consequens semper ex necessitate proveniat; et sic
omnia, quorum nos principium sumus per consilium et electionem, ex necessitate
provenient. Sed dicendum est quod similis differentia attendenda est circa
bonum, sicut circa verum. Est autem quoddam verum, quod est per se notum, sicut
prima principia indemonstrabilia, quibus ex necessitate intellectus assentit;
sunt autem quaedam vera non per se nota, sed per alia. Horum autem duplex est
conditio: quaedam enim ex necessitate consequuntur ex principiis, ita scilicet
quod non possunt esse falsa, principiis existentibus veris, sicut sunt omnes
conclusiones demonstrationum. Et huiusmodi veris ex necessitate assentit
intellectus, postquam perceperit ordinem eorum ad principia, non autem prius.
Quaedam autem sunt, quae non ex necessitate consequuntur ex principiis, ita
scilicet quod possent esse falsa principiis existentibus veris; sicut sunt
opinabilia, quibus non ex necessitate assentit intellectus, quamvis ex aliquo
motivo magis inclinetur in unam partem quam in aliam. Ita etiam est quoddam
bonum quod est propter se appetibile, sicut felicitas, quae habet rationem
ultimi finis; et huiusmodi bono ex necessitate inhaeret voluntas: naturali enim
quadam necessitate omnes appetunt esse felices. Quaedam vero sunt bona, quae
sunt appetibilia propter finem, quae comparantur ad finem sicut conclusiones ad
principium, ut patet per philosophum in II physicorum. Si igitur essent aliqua
bona, quibus non existentibus, non posset aliquis esse felix, haec etiam essent
ex necessitate appetibilia et maxime apud eum, qui talem ordinem perciperet; et
forte talia sunt esse, vivere et intelligere et si qua alia sunt similia. Sed
particularia bona, in quibus humani actus consistunt, non sunt talia, nec sub
ea ratione apprehenduntur ut sine quibus felicitas esse non possit, puta,
comedere hunc cibum vel illum, aut abstinere ab eo: habent tamen in se unde
moveant appetitum, secundum aliquod bonum consideratum in eis. Et ideo voluntas
non ex necessitate inducitur ad haec eligenda. Et propter hoc philosophus
signanter radicem contingentiae in his quae fiunt a nobis assignavit ex parte
consilii, quod est eorum quae sunt ad finem et tamen non sunt determinata. In
his enim in quibus media sunt determinata, non est opus consilio, ut dicitur in
III Ethicorum. Et haec quidem dicta sunt ad salvandum radices contingentiae,
quas hic Aristoteles ponit, quamvis videantur logici negotii modum excedere.
Postquam philosophus ostendit esse impossibilia ea, quae ex praedictis
rationibus sequebantur; hic, remotis impossibilibus, concludit veritatem. Et
circa hoc duo facit: quia enim argumentando ad impossibile, processerat ab
enunciationibus ad res, et iam removerat inconvenientia quae circa res
sequebantur; nunc, ordine converso, primo ostendit qualiter se habeat veritas
circa res; secundo, qualiter se habeat veritas circa enunciationes; ibi: quare
quoniam orationes verae sunt et cetera. Circa primum duo facit: primo, ostendit
qualiter se habeant veritas et necessitas circa res absolute consideratas;
secundo, qualiter se habeant circa eas per comparationem ad sua opposita; ibi:
et in contradictione eadem ratio est et cetera. Dicit ergo primo, quasi
ex praemissis concludens, quod si praedicta sunt inconvenientia, ut scilicet
omnia ex necessitate eveniant, oportet dicere ita se habere circa res, scilicet
quod omne quod est necesse est esse quando est, et omne quod non est necesse
est non esse quando non est. Et haec necessitas fundatur super hoc principium:
impossibile est simul esse et non esse: si enim aliquid est, impossibile est
illud simul non esse; ergo necesse est tunc illud esse. Nam impossibile non
esse idem significat ei quod est necesse esse, ut in secundo dicetur. Et
similiter, si aliquid non est, impossibile est illud simul esse; ergo necesse
est non esse, quia etiam idem significant. Et ideo manifeste verum est quod
omne quod est necesse est esse quando est; et omne quod non est necesse est non
esse pro illo tempore quando non est: et haec est necessitas non absoluta, sed
ex suppositione. Unde non potest simpliciter et absolute dici quod omne quod
est, necesse est esse, et omne quod non est, necesse est non esse: quia non
idem significant quod omne ens, quando est, sit ex necessitate, et quod omne
ens simpliciter sit ex necessitate; nam primum significat necessitatem ex
suppositione, secundum autem necessitatem absolutam. Et quod dictum est de
esse, intelligendum est similiter de non esse; quia aliud est simpliciter ex
necessitate non esse et aliud est ex necessitate non esse quando non est. Et
per hoc videtur Aristoteles excludere id quod supra dictum est, quod si in his,
quae sunt, alterum determinate est verum, quod etiam antequam fieret alterum
determinate esset futurum. Deinde cum dicit: et in contradictione etc.,
ostendit quomodo se habeant veritas et necessitas circa res per comparationem
ad sua opposita: et dicit quod eadem ratio est in contradictione, quae est in
suppositione. Sicut enim illud quod non est absolute necessarium, fit
necessarium ex suppositione eiusdem, quia necesse est esse quando est; ita
etiam quod non est in se necessarium absolute fit necessarium per disiunctionem
oppositi, quia necesse est de unoquoque quod sit vel non sit, et quod futurum
sit aut non sit, et hoc sub disiunctione: et haec necessitas fundatur super hoc
principium quod, impossibile est contradictoria simul esse vera vel falsa. Unde
impossibile est neque esse neque non esse; ergo necesse est vel esse vel non
esse. Non tamen si divisim alterum accipiatur, necesse est illud esse absolute.
Et hoc manifestat per exemplum: quia necessarium est navale bellum esse futurum
cras vel non esse; sed non est necesse navale bellum futurum esse cras;
similiter etiam non est necessarium non esse futurum, quia hoc pertinet ad
necessitatem absolutam; sed necesse est quod vel sit futurum cras vel non sit
futurum: hoc enim pertinet ad necessitatem quae est sub disiunctione.
Deinde cum dicit: quare quoniam etc. ex eo quod se habet circa res, ostendit
qualiter se habeat circa orationes. Et primo, ostendit quomodo uniformiter se
habet in veritate orationum, sicut circa esse rerum et non esse; secundo,
finaliter concludit veritatem totius dubitationis; ibi: quare manifestum et
cetera. Dicit ergo primo quod, quia hoc modo se habent orationes enunciativae
ad veritatem sicut et res ad esse vel non esse (quia ex eo quod res est vel non
est, oratio est vera vel falsa), consequens est quod in omnibus rebus quae ita
se habent ut sint ad utrumlibet, et quaecumque ita se habent quod
contradictoria eorum qualitercumque contingere possunt, sive aequaliter sive
alterum ut in pluribus, ex necessitate sequitur quod etiam similiter se habeat
contradictio enunciationum. Et exponit consequenter quae sint illae res, quarum
contradictoria contingere queant; et dicit huiusmodi esse quae neque semper
sunt, sicut necessaria, neque semper non sunt, sicut impossibilia, sed
quandoque sunt et quandoque non sunt. Et ulterius manifestat quomodo similiter
se habeat in contradictoriis enunciationibus; et dicit quod harum
enunciationum, quae sunt de contingentibus, necesse est quod sub disiunctione
altera pars contradictionis sit vera vel falsa; non tamen haec vel illa
determinate, sed se habet ad utrumlibet. Et si contingat quod altera pars
contradictionis magis sit vera, sicut accidit in contingentibus quae sunt ut in
pluribus, non tamen ex hoc necesse est quod ex necessitate altera earum
determinate sit vera vel falsa. Deinde cum dicit: quare manifestum est
etc., concludit principale intentum et dicit manifestum esse ex praedictis quod
non est necesse in omni genere affirmationum et negationum oppositarum, alteram
determinate esse veram et alteram esse falsam: quia non eodem modo se habet
veritas et falsitas in his quae sunt iam de praesenti et in his quae non sunt,
sed possunt esse vel non esse. Sed hoc modo se habet in utriusque, sicut dictum
est, quia scilicet in his quae sunt necesse est determinate alterum esse verum
et alterum falsum: quod non contingit in futuris quae possunt esse et non esse.
Et sic terminatur primus liber. Postquam philosophus in primo libro
determinavit de enunciatione simpliciter considerata; hic determinat de
enunciatione, secundum quod diversificatur per aliquid sibi additum. Possunt
autem tria in enunciatione considerari: primo, ipsae dictiones, quae
praedicantur vel subiiciuntur in enunciatione, quas supra distinxit per nomina
et verba; secundo, ipsa compositio, secundum quam est verum vel falsum in
enunciatione affirmativa vel negativa; tertio, ipsa oppositio unius
enunciationis ad aliam. Dividitur ergo haec pars in tres partes: in prima,
ostendit quid accidat enunciationi ex hoc quod aliquid additur ad dictiones in
subiecto vel praedicato positas; secundo, quid accidat enunciationi ex hoc quod
aliquid additur ad determinandum veritatem vel falsitatem compositionis; ibi:
his vero determinatis etc.; tertio, solvit quamdam dubitationem circa
oppositiones enunciationum provenientem ex eo, quod additur aliquid simplici
enunciationi; ibi: utrum autem contraria est affirmatio et cetera. Est autem
considerandum quod additio facta ad praedicatum vel subiectum quandoque tollit
unitatem enunciationis, quandoque vero non tollit, sicut additio negationis
infinitantis dictionem. Circa primum ergo duo facit: primo, ostendit quid
accidat enunciationibus ex additione negationis infinitantis dictionem;
secundo, ostendit quid accidat circa enunciationem ex additione tollente
unitatem; ibi: at vero unum de pluribus et cetera. Circa primum duo facit:
primo, determinat de enunciationibus simplicissimis, in quibus nomen finitum
vel infinitum ponitur tantum ex parte subiecti; secundo, determinat de
enunciationibus, in quibus nomen finitum vel infinitum ponitur non solum ex
parte subiecti, sed etiam ex parte praedicati; ibi: quando autem est tertium
adiacens et cetera. Circa primum duo facit: primo, proponit rationes quasdam
distinguendi tales enunciationes; secundo, ponit earum distinctionem et ordinem;
ibi: quare prima est affirmatio et cetera. Circa primum duo facit: primo, ponit
rationes distinguendi enunciationes ex parte nominum; secundo, ostendit quod
non potest esse eadem ratio distinguendi ex parte verborum; ibi: praeter verbum
autem et cetera. Circa primum tria facit: primo, proponit rationes distinguendi
enunciationes; secundo, exponit quod dixerat; ibi: nomen autem dictum est etc.;
tertio, concludit intentum; ibi: erit omnis affirmatio et cetera. Resumit
ergo illud, quod supra dictum est de definitione affirmationis, quod scilicet
affirmatio est enunciatio significans aliquid de aliquo; et, quia verbum est
proprie nota eorum quae de altero praedicantur, consequens est ut illud, de quo
aliquid dicitur, pertineat ad nomen; nomen autem est vel finitum vel infinitum;
et ideo, quasi concludens subdit quod quia affirmatio significat aliquid de
aliquo, consequens est ut hoc, de quo significatur, scilicet subiectum
affirmationis, sit vel nomen, scilicet finitum (quod proprie dicitur nomen, ut
in primo dictum est), vel innominatum, idest infinitum nomen: quod dicitur
innominatum, quia ipsum non nominat aliquid cum aliqua forma determinata, sed
solum removet determinationem formae. Et ne aliquis diceret quod id quod in
affirmatione subiicitur est simul nomen et innominatum, ad hoc excludendum
subdit quod id quod est, scilicet praedicatum, in affirmatione, scilicet una,
de qua nunc loquimur, oportet esse unum et de uno subiecto; et sic oportet quod
subiectum talis affirmationis sit vel nomen, vel nomen infinitum. Deinde
cum dicit: nomen autem etc., exponit quod dixerat, et dicit quod supra dictum
est quid sit nomen, et quid sit innominatum, idest infinitum nomen: quia, non
homo, non est nomen, sed est infinitum nomen, sicut, non currit, non est verbum,
sed infinitum verbum. Interponit autem quoddam, quod valet ad dubitationis
remotionem, videlicet quod nomen infinitum quodam modo significat unum. Non
enim significat simpliciter unum, sicut nomen finitum, quod significat unam
formam generis vel speciei aut etiam individui, sed in quantum significat
negationem formae alicuius, in qua negatione multa conveniunt, sicut in quodam
uno secundum rationem. Unum enim eodem modo dicitur aliquid, sicut et ens; unde
sicut ipsum non ens dicitur ens, non quidem simpliciter, sed secundum quid,
idest secundum rationem, ut patet in IV metaphysicae, ita etiam negatio est
unum secundum quid, scilicet secundum rationem. Introducit autem hoc, ne
aliquis dicat quod affirmatio, in qua subiicitur nomen infinitum, non
significet unum de uno, quasi nomen infinitum non significet unum. Deinde
cum dicit: erit omnis affirmatio etc., concludit propositum scilicet quod
duplex est modus affirmationis. Quaedam enim est affirmatio, quae constat ex
nomine et verbo; quaedam autem est quae constat ex infinito nomine et verbo. Et
hoc sequitur ex hoc quod supra dictum est quod hoc, de quo affirmatio aliquid
significat, vel est nomen vel innominatum. Et eadem differentia potest accipi
ex parte negationis, quia de quocunque contingit affirmare, contingit et
negare, ut in primo habitum est. Deinde cum dicit: praeter verbum etc.,
ostendit quod differentia enunciationum non potest sumi ex parte verbi. Dictum
est enim supra quod, praeter verbum nulla est affirmatio vel negatio. Potest
enim praeter nomen esse aliqua affirmatio vel negatio, videlicet si ponatur
loco nominis infinitum nomen: loco autem verbi in enunciatione non potest poni
infinitum verbum, duplici ratione. Primo quidem, quia infinitum verbum
constituitur per additionem infinitae particulae, quae quidem addita verbo per
se dicto, idest extra enunciationem posito, removet ipsum absolute, sicut
addita nomini, removet formam nominis absolute: et ideo extra enunciationem
potest accipi verbum infinitum per modum unius dictionis, sicut et nomen infinitum.
Sed quando negatio additur verbo in enunciatione posito, negatio illa removet
verbum ab aliquo, et sic facit enunciationem negativam: quod non accidit ex
parte nominis. Non enim enunciatio efficitur negativa nisi per hoc quod negatur
compositio, quae importatur in verbo: et ideo verbum infinitum in enunciatione
positum fit verbum negativum. Secundo, quia in nullo variatur veritas
enunciationis, sive utamur negativa particula ut infinitante verbum vel ut
faciente negativam enunciationem; et ideo accipitur semper in simpliciori
intellectu, prout est magis in promptu. Et inde est quod non diversificavit
affirmationem per hoc, quod sit ex verbo vel infinito verbo, sicut
diversificavit per hoc, quod est ex nomine vel infinito nomine. Est autem
considerandum quod in nominibus et in verbis praeter differentiam finiti et
infiniti est differentia recti et obliqui. Casus enim nominum, etiam verbo
addito, non constituunt enunciationem significantem verum vel falsum, ut in
primo habitum est: quia in obliquo nomine non concluditur ipse rectus, sed in
casibus verbi includitur ipsum verbum praesentis temporis. Praeteritum enim et
futurum, quae significant casus verbi, dicuntur per respectum ad praesens. Unde
si dicatur, hoc erit, idem est ac si diceretur, hoc est futurum; hoc fuit, hoc
est praeteritum. Et propter hoc, ex casu verbi et nomine fit enunciatio. Et
ideo subiungit quod sive dicatur est, sive erit, sive fuit, vel quaecumque alia
huiusmodi verba, sunt de numero praedictorum verborum, sine quibus non potest fieri
enunciatio: quia omnia consignificant tempus, et alia tempora dicuntur per
respectum ad praesens. Deinde cum dicit: quare prima erit affirmatio
etc., concludit ex praemissis distinctionem enunciationum in quibus nomen
finitum vel infinitum ponitur solum ex parte subiecti, in quibus triplex
differentia intelligi potest: una quidem, secundum affirmationem et negationem;
alia, secundum subiectum finitum et infinitum; tertia, secundum subiectum
universaliter, vel non universaliter positum. Nomen autem finitum est ratione
prius infinito sicut affirmatio prior est negatione; unde primam affirmationem
ponit, homo est, et primam negationem, homo non est. Deinde ponit secundam
affirmationem, non homo est, secundam autem negationem, non homo non est.
Ulterius autem ponit illas enunciationes in quibus subiectum universaliter
ponitur, quae sunt quatuor, sicut et illae in quibus est subiectum non
universaliter positum. Praetermisit autem ponere exemplum de enunciationibus,
in quibus subiicitur singulare, ut, Socrates est, Socrates non est, quia
singularibus nominibus non additur aliquod signum. Unde in huiusmodi
enunciationibus non potest omnis differentia inveniri. Similiter etiam
praetermittit exemplificare de enunciationibus, quarum subiecta particulariter
ponuntur, quia tale subiectum quodammodo eamdem vim habet cum subiecto
universali, non universaliter sumpto. Non ponit autem aliquam differentiam ex
parte verbi, quae posset sumi secundum casus verbi, quia sicut ipse dicit, in
extrinsecis temporibus, idest in praeterito et in futuro, quae circumstant
praesens, est eadem ratio sicut et in praesenti, ut iam dictum est. Postquam
philosophus distinxit enunciationes, in quibus nomen finitum vel infinitum
ponitur solum ex parte subiecti, hic accedit ad distinguendum illas
enunciationes, in quibus nomen finitum vel infinitum ponitur ex parte subiecti
et ex parte praedicati. Et circa hoc duo facit; primo, distinguit huiusmodi
enunciationes; secundo, manifestat quaedam quae circa eas dubia esse possent;
ibi: quoniam vero contraria est et cetera. Circa primum duo facit: primo, agit
de enunciationibus in quibus nomen praedicatur cum hoc verbo, est; secundo de
enunciationibus in quibus alia verba ponuntur; ibi: in his vero in quibus et
cetera. Distinguit autem huiusmodi enunciationes sicut et primas, secundum
triplicem differentiam ex parte subiecti consideratam: primo namque, agit de
enunciationibus in quibus subiicitur nomen finitum non universaliter sumptum;
secundo de illis in quibus subiicitur nomen finitum universaliter sumptum; ibi:
similiter autem se habent etc.; tertio, de illis in quibus subiicitur nomen
infinitum; ibi: aliae autem habent ad id quod est non homo et cetera. Circa
primum tria facit: primo, proponit diversitatem oppositionis talium
enunciationum; secundo, concludit earum numerum et ponit earum habitudinem;
ibi: quare quatuor etc.; tertio, exemplificat; ibi: intelligimus vero et
cetera. Circa primum duo facit: primo, proponit quod intendit; secundo, exponit
quoddam quod dixerat; ibi: dico autem et cetera. Circa primum duo oportet
intelligere: primo quidem, quid est hoc quod dicit, est tertium adiacens
praedicatur. Ad cuius evidentiam considerandum est quod hoc verbum est
quandoque in enunciatione praedicatur secundum se; ut cum dicitur, Socrates
est: per quod nihil aliud intendimus significare, quam quod Socrates sit in
rerum natura. Quandoque vero non praedicatur per se, quasi principale
praedicatum, sed quasi coniunctum principali praedicato ad connectendum ipsum
subiecto; sicut cum dicitur, Socrates est albus, non est intentio loquentis ut
asserat Socratem esse in rerum natura, sed ut attribuat ei albedinem mediante
hoc verbo, est; et ideo in talibus, est, praedicatur ut adiacens principali
praedicato. Et dicitur esse tertium, non quia sit tertium praedicatum, sed quia
est tertia dictio posita in enunciatione, quae simul cum nomine praedicato
facit unum praedicatum, ut sic enunciatio dividatur in duas partes et non in
tres. Secundo, considerandum est quid est hoc, quod dicit quod quando
est, eo modo quo dictum est, tertium adiacens praedicatur, dupliciter dicuntur
oppositiones. Circa quod considerandum est quod in praemissis enunciationibus,
in quibus nomen ponebatur solum ex parte subiecti, secundum quodlibet subiectum
erat una oppositio; puta si subiectum erat nomen finitum non universaliter
sumptum, erat sola una oppositio, scilicet est homo, non est homo. Sed quando
est tertium adiacens praedicatur, oportet esse duas oppositiones eodem subiecto
existente secundum differentiam nominis praedicati, quod potest esse finitum
vel infinitum; sicut haec est una oppositio, homo est iustus, homo non est
iustus: alia vero oppositio est, homo est non iustus, homo non est non iustus.
Non enim negatio fit nisi per appositionem negativae particulae ad hoc verbum
est, quod est nota praedicationis. Deinde cum dicit: dico autem, ut est
iustus etc., exponit quod dixerat, est tertium adiacens, et dicit quod cum
dicitur, homo est iustus, hoc verbum est, adiacet, scilicet praedicato, tamquam
tertium nomen vel verbum in affirmatione. Potest enim ipsum est, dici nomen,
prout quaelibet dictio nomen dicitur, et sic est tertium nomen, idest tertia
dictio. Sed quia secundum communem usum loquendi, dictio significans tempus
magis dicitur verbum quam nomen, propter hoc addit, vel verbum, quasi dicat, ad
hoc quod sit tertium, non refert utrum dicatur nomen vel verbum. Deinde
cum dicit: quare quatuor erunt etc., concludit numerum enunciationum. Et primo,
ponit conclusionem numeri; secundo, ponit earum habitudinem; ibi: quarum duae quidem
etc.; tertio, rationem numeri explicat; ibi: dico autem quoniam est et cetera.
Dicit ergo primo quod quia duae sunt oppositiones, quando est tertium adiacens
praedicatur, cum omnis oppositio sit inter duas enunciationes, consequens est
quod sint quatuor enunciationes illae in quibus est, tertium adiacens,
praedicatur, subiecto finito non universaliter sumpto. Deinde cum dicit: quarum
duae quidem etc., ostendit habitudinem praedictarum enunciationum ad invicem;
et dicit quod duae dictarum enunciationum se habent ad affirmationem et
negationem secundum consequentiam, sive secundum correlationem, aut analogiam,
ut in Graeco habetur, sicut privationes; aliae vero duae minime. Quod quia
breviter et obscure dictum est, diversimode a diversis expositum est. Ad
cuius evidentiam considerandum est quod tripliciter nomen potest praedicari in
huiusmodi enunciationibus. Quandoque enim praedicatur nomen finitum, secundum
quod assumuntur duae enunciationes, una affirmativa et altera negativa,
scilicet homo est iustus, et homo non est iustus; quae dicuntur simplices.
Quandoque vero praedicatur nomen infinitum, secundum quod etiam assumuntur duae
aliae, scilicet homo est non iustus, homo non est non iustus; quae dicuntur
infinitae. Quandoque vero praedicatur nomen privativum, secundum quod etiam
sumuntur duae aliae, scilicet homo est iniustus, homo non est iniustus; quae
dicuntur privativae. Quidam ergo sic exposuerunt, quod duae enunciationes
earum, quas praemiserat scilicet illae, quae sunt de infinito praedicato, se
habent ad affirmationem et negationem, quae sunt de praedicato finito secundum
consequentiam vel analogiam, sicut privationes, idest sicut illae, quae sunt de
praedicato privativo. Illae enim duae, quae sunt de praedicato infinito, se
habent secundum consequentiam ad illas, quae sunt de finito praedicato secundum
transpositionem quandam, scilicet affirmatio ad negationem et negatio ad
affirmationem. Nam homo est non iustus, quae est affirmatio de infinito
praedicato, respondet secundum consequentiam negativae de praedicato finito,
huic scilicet homo non est iustus. Negativa vero de infinito praedicato,
scilicet homo non est non iustus, affirmativae de finito praedicato, huic
scilicet homo est iustus. Propter quod Theophrastus vocabat eas, quae sunt de
infinito praedicato, transpositas. Et similiter etiam affirmativa de privativo
praedicato respondet secundum consequentiam negativae de finito praedicato,
scilicet haec, homo est iniustus, ei quae est, homo non est iustus. Negativa
vero affirmativae, scilicet haec, homo non est iniustus, ei quae est, homo est
iustus. Disponatur ergo in figura. Et in prima quidem linea ponantur illae,
quae sunt de finito praedicato, scilicet homo est iustus, homo non est iustus.
In secunda autem linea, negativa de infinito praedicato sub affirmativa de
finito et affirmativa sub negativa. In tertia vero, negativa de privativo
praedicato similiter sub affirmativa de finito et affirmativa sub negativa: ut
patet in subscripta figura.Sic ergo duae, scilicet quae sunt de infinito
praedicato, se habent ad affirmationem et negationem de finito praedicato,
sicut privationes, idest sicut illae quae sunt de privativo praedicato. Sed
duae aliae quae sunt de infinito subiecto, scilicet non homo est iustus, non
homo non est iustus, manifestum est quod non habent similem consequentiam. Et
hoc modo exposuit herminus hoc quod dicitur, duae vero, minime, referens hoc ad
illas quae sunt de infinito subiecto. Sed hoc manifeste est contra litteram.
Nam cum praemisisset quatuor enunciationes, duas scilicet de finito praedicato
et duas de infinito, subiungit quasi illas subdividens, quarum duae quidem et
cetera. Duae vero, minime; ubi datur intelligi quod utraeque duae intelligantur
in praemissis. Illae autem quae sunt de infinito subiecto non includuntur in
praemissis, sed de his postea dicetur. Unde manifestum est quod de eis nunc non
loquitur. Et ideo, ut Ammonius dicit, alii aliter exposuerunt, dicentes
quod praedictarum quatuor propositionum duae, scilicet quae sunt de infinito
praedicato, sic se habent ad affirmationem et negationem, idest ad ipsam
speciem affirmationis et negationis, ut privationes, idest ut privativae
affirmationes seu negationes. Haec enim affirmatio, homo est non iustus, non
est simpliciter affirmatio, sed secundum quid, quasi secundum privationem
affirmatio; sicut homo mortuus non est homo simpliciter, sed secundum
privationem; et idem dicendum est de negativa, quae est de infinito praedicato.
Duae vero, quae sunt de finito praedicato, non se habent ad speciem
affirmationis et negationis secundum privationem, sed simpliciter. Haec enim,
homo est iustus, est simpliciter affirmativa, et haec, homo non est iustus, est
simpliciter negativa. Sed nec hic sensus convenit verbis Aristotelis. Dicit
enim infra: haec igitur quemadmodum in resolutoriis dictum est, sic sunt
disposita; ubi nihil invenitur ad hunc sensum pertinens. Et ideo Ammonius ex
his, quae in fine I priorum dicuntur de propositionibus, quae sunt de finito
vel infinito vel privativo praedicato, alium sensum accipit. [Ad cuius evidentiam
considerandum est quod, sicut ipse dicit, enunciatio aliqua virtute se habet ad
illud, de quo totum id quod in enunciatione significatur vere praedicari
potest: sicut haec enunciatio, homo est iustus, se habet ad omnia illa, de
quorum quolibet vere potest dici quod est homo iustus; et similiter haec
enunciatio, homo non est iustus, se habet ad omnia illa, de quorum quolibet
vere dici potest quod non est homo iustus. Secundum ergo hunc modum loquendi,
manifestum est quod simplex negativa in plus est quam affirmativa infinita,
quae ei correspondet. Nam, quod sit homo non iustus, vere potest dici de
quolibet homine, qui non habet habitum iustitiae; sed quod non sit homo iustus,
potest dici non solum de homine non habente habitum iustitiae, sed etiam de eo
qui penitus non est homo: haec enim est vera, lignum non est homo iustus; tamen
haec est falsa, lignum est homo non iustus. Et ita negativa simplex est in plus
quam affirmativa infinita; sicut etiam animal est in plus quam homo, quia de
pluribus verificatur. Simili etiam ratione, negativa simplex est in plus quam
affirmativa privativa: quia de eo quod non est homo non potest dici quod sit
homo iniustus. Sed affirmativa infinita est in plus quam affirmativa privativa:
potest enim dici de puero et de quocumque homine nondum habente habitum
virtutis aut vitii quod sit homo non iustus, non tamen de aliquo eorum vere
dici potest quod sit homo iniustus. Affirmativa vero simplex in minus est quam
negativa infinita: quia quod non sit homo non iustus potest dici non solum de
homine iusto, sed etiam de eo quod penitus non est homo. Similiter etiam
negativa privativa in plus est quam negativa infinita. Nam, quod non sit homo
iniustus, potest dici non solum de homine habente habitum iustitiae, sed de eo
quod penitus non est homo, de quorum quolibet potest dici quod non sit homo non
iustus: sed ulterius potest dici de omnibus hominibus, qui nec habent habitum
iustitiae neque habent habitum iniustitiae. His igitur visis, facile est
exponere praesentem litteram hoc modo. Quarum, scilicet quatuor enunciationum
praedictarum, duae quidem, scilicet infinitae, se habebunt ad affirmationem et
negationem, idest ad duas simplices, quarum una est affirmativa et altera
negativa, secundum consequentiam, idest in modo consequendi ad eas, ut
privationes, idest sicut duae privativae: quia scilicet, sicut ad simplicem
affirmativam sequitur negativa infinita, et non convertitur (eo quod negativa
infinita est in plus), ita etiam ad simplicem affirmativam sequitur negativa
privativa, quae est in plus, et non convertitur. Sed sicut simplex negativa
sequitur ad infinitam affirmativam; quae est in minus, et non convertitur; ita
etiam negativa simplex sequitur ad privativam affirmativam, quae est in minus,
et non convertitur. Ex quo patet quod eadem est habitudo in consequendo
infinitarum ad simplices quae est etiam privativarum. Sequitur, duae
autem, scilicet simplices, quae relinquuntur, remotis duabus, scilicet
infinitis, a quatuor praemissis, minime, idest non ita se habent ad infinitas in
consequendo, sicut privativae se habent ad eas; quia videlicet, ex una parte
simplex affirmativa est in minus quam negativa infinita, sed negativa privativa
est in plus quam negativa infinita: ex alia vero parte, negativa simplex est in
plus quam affirmativa infinita, sed affirmativa privativa est in minus quam
infinita affirmativa. Sic ergo patet quod simplices non ita se habent ad
infinitas in consequendo, sicut privativae se habent ad infinitas.
Quamvis autem secundum hoc littera philosophi subtiliter exponatur, tamen
videtur esse aliquantulum expositio extorta. Nam littera philosophi videtur
sonare diversas habitudines non esse attendendas respectu diversorum; sicut in
praedicta expositione primo accipitur similitudo habitudinis ad simplices, et
postea dissimilitudo habitudinis respectu infinitarum. Et ideo simplicior et
magis conveniens litterae Aristotelis est expositio Porphyrii quam Boethius
ponit; secundum quam expositionem attenditur similitudo et dissimilitudo
secundum consequentiam affirmativarum ad negativas. Unde dicit: quarum,
scilicet quatuor praemissarum, duae quidem, scilicet affirmativae, quarum una
est simplex et alia infinita, se habebunt secundum consequentiam ad
affirmationem et negationem; ut scilicet ad unam affirmativam sequatur alterius
negativa. Nam ad affirmativam simplicem sequitur negativa infinita; et ad
affirmativam infinitam sequitur negativa simplex. Duae vero, scilicet
negativae, minime, idest non ita se habent ad affirmativas, ut scilicet ex
negativis sequantur affirmativae, sicut ex affirmativis sequebantur negativae.
Et quantum ad utrumque similiter se habent privativae sicut infinitae.
Deinde cum dicit: dico autem quoniam etc., manifestat quoddam quod supra
dixerat, scilicet quod sint quatuor praedictae enunciationes: loquimur enim
nunc de enunciationibus, in quibus hoc verbum est solum praedicatur secundum
quod est adiacens alicui nomini finito vel infinito: puta secundum quod adiacet
iusto; ut cum dicitur, homo est iustus, vel secundum quod adiacet non iusto; ut
cum dicitur, homo est non iustus. Et quia in neutra harum negatio apponitur ad
verbum, consequens est quod utraque sit affirmativa. Omni autem affirmationi
opponitur negatio, ut supra in primo ostensum est. Relinquitur ergo quod
praedictis duabus enunciationibus affirmativis respondet duae aliae negativae.
Et sic consequens est quod sint quatuor simplices enunciationes. Deinde cum
dicit: intelligimus vero etc., manifestat quod supra dictum est per quandam
figuralem descriptionem. Dicit enim quod id, quod in supradictis dictum est,
intelligi potest ex sequenti subscriptione. Sit enim quaedam quadrata figura,
in cuius uno angulo describatur haec enunciatio, homo est iustus, et ex
opposito describatur eius negatio quae est, homo non est iustus; sub quibus
scribantur duae aliae infinitae, scilicet homo est non iustus, homo non est non
iustus. In qua descriptione apparet quod hoc verbum est, affirmativum vel
negativum, adiacet iusto et non iusto. Et secundum hoc diversificantur quatuor
enunciationes. Ultimo autem concludit quod praedictae enunciationes
disponuntur secundum ordinem consequentiae, prout dictum est in resolutoriis,
idest in I priorum. Alia littera habet: dico autem, quoniam est aut homini aut
non homini adiacebit, et in figura, est, hoc loco homini et non homini
adiacebit. Quod quidem non est intelligendum, ut homo, et non homo accipiatur
ex parte subiecti, non enim nunc agitur de enunciationibus quae sunt de
infinito subiecto. Unde oportet quod homo et non homo accipiantur ex parte
praedicati. Sed quia philosophus exemplificat de enunciationibus in quibus ex
parte praedicati ponitur iustum et non iustum, visum est Alexandro, quod
praedicta littera sit corrupta. Quibusdam aliis videtur quod possit sustineri
et quod signanter Aristoteles nomina in exemplis variaverit, ut ostenderet quod
non differt in quibuscunque nominibus ponantur exempla. Pietro
Caramello. Keywords: interpretare, peryermeneias Aquino. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Caramello” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51777304810/in/dateposted-public/
Grice e Carando – l’implicatura di Socrate
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Pettinengo).
Filosofo. Grice: “I like Carando; a typical Italian philosopher, got his
‘laurea,’ and attends literary salons! – There is a street named after him –
whereas at Oxford the most we have is a “Logic lane!” -- Ennio Carando (Pettinengo), filosofo. Studia
a Torino. Si avvicina all'anti-fascismo attraverso l'influenza di Juvalta (con
cui discusse la tesi di laurea) e di Martinetti. Collaborò alla Rivista di
filosofia di Martinetti, dove pubblicò un saggio su Spir. Insegna a Cuneo,
Modena, Savona, La Spezia. Sebbene fosse quasi completamente cieco dopo
l'armistizio si diede ad organizzare formazioni partigiane in Liguria e in
Piemonte (fu anche presidente del secondo CLN spezzino). Era ispettore del
Raggruppamento Divisioni Garibaldi nel Cuneese, quando fu catturato in seguito
ad una delazione. Sottoposto a torture
atroci, non tradì i compagni di lotta e fu trucidato con il fratello Ettore,
capitano di artiglieria a cavallo in servizio permanente effetivo e capo di
stato maggiore della I Divisione Garibaldi. Un filosofo socratico. La
metafisica civile di un filosofo socratico. Partigiano. Dopo l'armistizio Ennio Carando, che insegnava a La Spezia presso il
Liceo Classico Costa, entrò attivamente nella lotta di liberazione organizzando
formazioni partigiane in Liguria e in Piemonte. A chi gli chiedeva di non
avventurarsi in quella decisione così pericolosa rispondeva fermamente:
"Molti dei miei allievi sono caduti: un giorno i loro genitori potrebbero
rimproverarmi di non aver avuto il loro stesso coraggio". Ennio
Carando. Keywords: l’implicatura di Socrate, filosofo socratico, Socrate,
Alcibiade. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Carando” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51776655823/in/dateposted-public/
Grice e Carapelle – linguaggio e
metafilosofia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo.
Grice: “I like Carcano; I cannot say he is an ultra-original philosopher, but I
may – My favourite is actually a tract on him, on ‘meta-philosophy,’ or rather
‘language and metaphilosophy,’ which is what I’m all about! How philosophers
misuse ‘believe,’ say – but Carcano has also philosophised on issues that seem
very strange to Italians, like ‘logica e analisi,’ ‘semantica’ and ‘filosofia
del linguaggio’ – brilliantly!” Quarto Duca di Montaltino, Nobile dei Marchesi
di Carapelle. Noto per i suoi studi di fenomenologia, semantica, filosofia del
linguaggio e più in generale di filosofia analitica. Studia a Napoli, durante i
quali si formò alla scuola di Aliotta e si dedica allo studio delle scienze.
Studia a Napoli e Roma. Sulla scia teoretica del suo tutore volle approfondire
le problematiche poste dalla filosofia e riesaminare attentamente il linguaggio
in uso. La sua tesi centrale è che correnti come il pragmatismo, il
positivismo, la fenomenologia, l'esistenzialismo e la psicoanalisi, fossero il
portato dell'esigenza teoretica di una maggiore chiarezza – la chiarezza non e
sufficiente -- delle varie questioni che emergevano da una crisi culturale,
vitale ed esistenziale. Al centro di tale crisi giganteggia la polemica fra
senza senso metafisico e senso anti-metafisica, soprattutto a causa del vigore
critico del positivismo logico, contro il quale a sua volta lui -- che ritiene
necessaria una sostanziale alleanza o quantomeno un aperto dialogo fra la
metafisica e la scienza -- pone diversi rilievi critici, principale dei quali è
quello di minare alla base l'unità dell'esperienza, alla Oakeshott -- che senza
una cornice o una struttura metafisica in cui inserirsi rimarrebbe
indefinitamente frammentata in percezioni fra loro irrelate. A questo
inconveniente si può rimediare temperando il positivismo con lo
sperimentalismo, ovvero accompagnando alla piena accettazione del metodo una
piena apertura all’esperienza così come “esperienza” è stata intesa, ad
esempio, nella fenomenologia intenzionalista intersoggetiva di Husserl. In
questo senso si può procedere a mantenere una costante tensione sui problemi
posti dalla filosofia, in opposizione a ogni dogma di sistema, e al contempo
non cadere nell'angoscia a cui conduce lo scetticismo radicale che tutto
rifiuta, compresa l'esperienza. Non si tratterebbe dunque per la filosofia di
definire verità immutabili ma di sincronizzarsi col ritmo del metodo basato
sull’esperienza fenomenologico, sussumendo i risultati sperimentali e
integrandoli nel continuum di una struttura metafisica mediante il ponte
dell'esperienza. Altre opere: “Filosofia e civiltà” (Perrella, Roma); Filosofia
(Soc. Ed. del Foro Italiano, Roma); Il problema filosofico. Fratelli Bocca,
Roma); La semantica, Fratelli Bocca, Roma – cf. Grice, “Semantics and Metaphysics”)
Metodologia filosofica, una rivoluzione filosofica minore. Libreria scientifica
editrice, Napoli 1958. Esistenza ed alienazione” (CEDAM, Padova); Scienza
unificata, Unita della scienza (Sansoni, Firenze); Analisi e forma logica
(CEDAM, Padova); Il concetto di informativita, CEDAM, Padova); La filosofia
linguistica, Bulzoni Editore, Roma. Dizionario biografico degli italiani, Roma.
Ben altrimenti articolato e puntuale ci sembra
l'intervento operato sulla fenomenologia da Paolo Filiasi Carcano di Montaltino
de Carapelle, quarto duca di Montaltino, ed allievo di Aliotta a Napoli e pur
fedele estensore delle sue teorie, sulle quali, per questo mo tivo, ci siamo
nell'ultima parte dilungati sorvolando sullo scarso ruolo t-he gioca in esse
l'opera di Husserl. L'iter formativo di Filiasi Carcano (1911-1977) interseca
situazioni ed esperienze riscontrabili, come ve dremo, anche in altri giovani
filosofi della stessa generazione. Di più, nel .suo caso, c'è una singolare — e
probabilmente indotta — analogia con la vicenda teoretica del primo Husserl. In
realtà, — scrive l'autore in un brano autobiografico del 1956 — io non posso
dire di essere venuto alla filosofia in maniera diretta, per un'intima voca
zione alla speculazione o per un normale maturarsi dei miei studi e della mia
men talità giovanile, ma questa era soprattutto caratterizzata da un'intensa
passione pèrle scienze e da una viva disposizione per la matematica54. Questo
germinale orientamento, unito a una sensibilità religiosa che non tarderà a manifestarsi,
ebbe come primo e scontato effetto di allontanare Filiasi Garcano dall'area
neo-idealistica, il cui radicale immanentismo, la esclusione dei concetti di
peccato e di grazia e l'avversione per ogni for- 53 Ibidem, p. 7. 54 P. Filiasi
Carcano, 17 ruolo della metodologia nel rinnovamento della filo sofia
contemporanea, in AA.W., La filosofia contemporanea in Italia. Invito al
dialogo, Asti, Arethusa, 1958, p. 219. LA PRIMA ONDATA DI STUDI
HUSSERLIANI NEGLI ANNI TRENTA 59 ma di naturalismo, non potevano in alcun modo
essere accettati 55. Di qui un sentimento di estraneità e di insoddisfazione
subito denunciati fin dai primi scritti, l'intima perplessità e la difficoltà
di orientarsi in una temperie culturale già decisa e fissata nelle sue grandi linee
da altri. E, d'altro canto, un naturale rivolgersi al problema metodologico,
come pre liminare assunzione di consapevolezza circa i percorsi teoretici che
con veniva seguire per ottenere uno scopo valido, senza tuttavia ancora nul
la presumere circa la necessità di quei percorsi o la natura di questo sco po.
In tal senso, l'elaborazione di una qualsivoglia metodologia doveva prevedere
come esito programmatico, da un lato, una sorta di epochizza- zione delle
grandi tematiche metafisiche e della tradizionale formulazione dèi problemi,
dall'altro lato, un lungo e paziente lavoro di analisi, con fronto,
chiarificazióne e comprensione che consentisse di recuperare, di quelle
tematiche e di quei problemi, il contenuto più autentico. Ma più lo sguardo critico
del giovane filòsofo andrà maturando fino ad abbracciare nel suo complesso il
controverso panorama culturale del tempo, più quel programma iniziale perderà
la sua connotazione prope deutica per trasformarsi in compito destinale, in
una ' fighi for clarity* che assumeva i termini di un radicale esame di
coscienza nei confronti della filosofia. Scrive Filiasi Carcano: Confesserò che
varie volte ho avuto ed ho l'impressione di non aver abba stanza compreso, e
per questo alla mia spontanea insoddisfazione (al tempo stesso scientifica e
religiosa) si mescola un senso di incomprensione. Questo stato d'animo spiega
bene il mio atteggiamento che non è propriamente di critica (...), ma ha piut
tosto il carattere di un prescindere, di una sospensione del giudizio, di una
messa in parentesi, in attesa di una più matura riflessione 56. Al fondo dei
dualismi e delle vuote polemiche che, nella comunità filoso- fica italiana
degli anni Trenta, sembravano prevaricare sulle più urgenti esigenze
scientifiche e di sviluppo, Filiasi Carcano coglie i sintomi dì un conflitto
epocale, di una inquietudine psicologica e di un'incertezza morale che andranno
a comporsi in una vera e propria fenomenologia della crisi. ' Crisi della
civiltà ', anzitutto, come recita il titolo della sua opera prima 57, dove al
desiderio di fuggire l'alternativa del dogmatismo fa da 55 Per questi punti mi
sono riferito a M. L. Gavazzo, Paolo Filiasi Carcano,. «Filosofia oggi», X, 1,
1987, pp. 57-74. ; * P; Filiasi Carcano, // ruolo della metodologia, ;cit., p.
220. 57 Cfr. P. Filiasi Carcano, Crisi della civiltà e orientamenti della
filosofia 60 .CAPITOLO TERZO contraltare l'eterno dissidio tra
ragione e fede. Crisi esistenziale, di con seguenza, dovuta al prevalere delle
tendenze scettiche e antimetafisiche su quelle spirituali e religiose. Crisi
della filosofia, infine, fondata sulla raggiunta consapevolezza del suo
carattere problematico, sull'incapacità di realizzare interamente la pienezza
del suo concetto. Come moto di reazione immediata occorreva allora, oltreché
circoscrivere le proprie pre tese conoscitive ponendosi su un piano
risolutamente pragmatico, assur gere ad una più compiuta presa di coscienza
storica e conciliare la filoso fia con una mentalità scientificamente educata.
Solo, cioè, il confronto con una seria problematica scientifica (la quale
Filiasi Carcano vedeva realizzata nell'ottica positivista dello sperimentalismo
aliottiano) avreb be potuto segnare per la filosofia l'avvento di una più
matura riflessione intorno alle proprie dinamiche interne e ai propri genuini
compiti critici. E a questo scopo parve a Filiasi Carcano, fin dai suoi studi
d'esor dio, singolarmente soccorrevole proprio l'opera di Edmund Husserl. Scri
ve Angiolo Maros Dell'Oro: A un certo punto si intromise Husserl. Filiasi
Carcano pensò, o sperò, che là fenomenologia sarebbe stata la ' scienza delle
scienze', capace di indicargli la via zu den Sachen selbsf, per dirla con le
parole del suo fondatore. Da allora è stata invece per lui l'enzima patologico
di una problematica acuta 58. Sùbito rifiutata, in realtà, come idealismo
metafisico, quale eira frettolo samente spacciata in certe grossolane versioni
del tempo (non esclusa, lo ^bbiamo visto, .quella del suo, maestro), la
fenomenologia viene aggredita alla radice dal giovane studioso, con una cura e
un rigore filologico — i quali pure riscontreremo in altri suoi coetanei —
giustificabili solo con l'urgenza di una richiesta culturale cui l'ambiente
nostrano non poteva evidentemente soddisfare. Non è un caso che Filiasi Carcano
insista, fin dal suo primo articolo dedicato ad Husserl, sul valore della
fenomeno logia, ad un tempo, emblematico, nel quadro d'insieme della filosofia
contemporanea, e liberatorio rispetto al giogo dei tradizionali dogmi idealistici
che i giovani, soprattutto in Italia, si sentivano gravare sulle spalle ".
contemporanea, pref. di A. Aliotta, Roma, Libreria Editrice Francesco Perrella,
1939, pp. VIII-202. • s* Cff. Il pensiero scientifico ìtt Italia '(1930-1960),
Creiriòria, Màngiarotti Editore, 1963, p. 108. 39 Cfr. P. Filiasi Cartario/ Da
Carierò'ad H«w&f/, :« Ricerche filoSofìche », VI, 1; 1936; pp: 18*34.
LA PRIMA ONDATA DI STUDI HUSSERLIANI NEGLI ANNI TRENTA 61 In piena
coscienza, — scriverà l'autore nel 1939 — se abbiamo voluto scio gliere
l'esperienza da una necessaria interpretazione idealistica, non è stato per
forzarla nuovamente nei quadri di una metafisica esistenziale, ma per ridare ad
essa, secondo lo schietto spirito della fenomenologia, tutta la sua libertà 60.
Tale schiettezza, corroborata da un carattere decisamente antisistema tico e
dal recupero di una vitale esigenza descrittiva, avrebbe consentito lo
schiudersi di un nuovo, vastissimo territorio di indagine, sospeso tra
constatazione positivistica e determinazione metafisica, ma capace, al tem po
stesso, di metter capo ad un positivismo di grado superiore e ad un più
autentico pensare metafisico. Si trattava, in sostanza, non tanto di dedurre i
caratteri di una nuova positività oppure di rifondare una me- tafisica, quanto
piuttosto di guadagnare un più saldo punto d'osserva zione dal quale far
spaziare sul multiverso esperienziale il proprio sguar do fenomenologicamente
addestrato. È in questo punto che la fenome nologia, riabilitando l'intuizione
in quanto fonte originaria di autorità (Rechtsquelle), operando in base al
principio dell'assenza di presupposti e offrendo i quadri noetico-noematici per
la sistemazione effettiva del suo programma di ricerca, veniva ad innestarsi
sul tronco dello sperimenta lismo di stampo aliottiano, che Filiasi Carcano
aveva assimilato a Napoli negli anni del suo apprendistato filosofia). Il
ritorno ' alle cose stesse * predetto dalla fenomenologia non solo manteneva
intatta la coscienza cri tica rimanendo al di qua di ogni soglia metafisica,
ma anche e più che mai serviva a ribadire il carattere scientifico e
descrittivo della filosofia. In un passo del 1941 si possono scorrere, a modo
di riscontro, i punti di un vero e proprio manifesto sperimentalista:
Descrivere la nostra esperienza nel mondo con l'aiuto della critica più raffi
nata; cercare di raccordarne i vari aspetti in sintesi sempre più vaste e più
com prensive, esprimenti, per cosi dire, gradi diversi della nostra conoscenza
del mon do; non perdere mai il senso profondo della problematicità
continuamente svol- gentesi dal corso stesso della nostra riflessione; infine
stare in guardia contro tutte le astrazioni che rischiano di alterare e
disperdere il ritmo spontaneo della vita: sono questi i principali motivi dello
sperimentalismo e (...) al tempo stesso, i modi mediante i quali esso va
incontro alle più attuali esigenze logiche e metodologiche del pensiero
contemporaneo61. D'altro canto, si diceva, non è neppure precluso a questo
program- *° P. Filiasi Carcano, Crisi della civiltà, cit., p. 138. 61 P.
Filiasi Carcano, Antimetafisica e sperimentalismo, Roma, Perrella, 1941, p.
120. 62 ......... CAPITOLO TERZO ma un esito trascendente, e a
fenderlo possibile sarà ancora una volta, in virtù della sua cruciale natura teoretica,
proprio l'atteggiamento feno menologico. Scrive Filiasi Carcano: In realtà, il
dilemma tra una scienza che escluda l'intuizione e una intui zione che escluda
la scienza, non c'è che su di un piano realistico ma non su di un piano
fenomenologicamente ridotto: su questo piano scienza e intuizione tornano ad
accordarsi, accogliendo una pluralità di esperienze, tutte in un certo senso le
gittime e primitive, ma tutte viste in un particolare atteggiamento di spirito
che sospende ogni giudizio metafisico. È questo, com'io l'intendo, il modo
particola rissimo con cui la filosofia può tornare oggi ad occuparsi di
metafisica 62. Certo, nella prospettiva husserliana, il problema del
trascendens puro e semplice, che farà da sfondo a tutto il percorso speculativo
di Filiasi Carcano, sembrava rimanere ingiudicato o, almeno, intenzionalmente
rin viato in una sorta di ' al di là ' conoscitivo, Ma in ordine alla missione
spirituale che l'uomo deve poter esplicare nel mondo storico, il metodo
fenomenologico conserva tutta la sua efficacia. Esso —nota Filiasi Carcano
nelle ultime pagine del suo Antimetafisica e spe rimentalismo — certo
difficilmente può condurre a risultati, ma compie per lo meno analisi e
descrizioni interessanti, e tanto più notevoli in quanto tende a sollevare il
velo dell'abitudine per farci ritrovare le primitive intuizioni della vita
religiosa 63. Dato questo suo carattere peculiare e l'orizzonte significativo
nel quale viene assunta fin dal principio, la fenomenologia continuerà a va
lere per Filiasi Carcano come referente teoretico di prim'ordine, accom
pagnandolo, con la tensione e la profondità tipiche delle esperienze fon
damentali, in tutti i futuri sviluppi della sua speculazione. III.3. -
LASCUOLATORINESE. ANNIDALEPASTOREENORBERTOBOBBIO. La terza grande area di
interesse per il pensiero hussèrliano negli anni Trenta in Italia, fa capo
all'Università.di Torino e si costituisce prin cipalmente intorno all'attività
4i tre studiosi: il primo, già incontrato e che, in qualche modo, fa da ponte
fra questa e la neoscolastica mila nese è Carlo Mazzantini; il secondo è
Annibale Pastore —ne parleremo ora — che teneva nell'ateneo torinese la
cattedra di filosofia teoretica; 6- P, Filiasi Corcano,. Crisi .della civiltà,
.eit,,. p.., 184. ,: ; 63 P. Filiasi Carcano, Antimetafisica e sperimentalismo,
cit., p. 153. Paolo Filiasi Carcano di Montaltino di Carapelle. Paolo
Filiasi Carcano. Paolo Carcano. Montaltino. Keywords: linguaggio e
metafilosofia, semantica, quarto duca di montaltino, semantica ed esperienza,
semantica e fenomenologia, filiasi carcano, montaltino, carapelle. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Carapelle” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51777277620/in/dateposted-public/
Grice e Carbonara – l’esperienza e la
prassi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Potenza). Grice: “I
like Carbonara; my favourite of his tracts are one on ‘del bello,’ – another
one on ‘dissegno per una filosofia critica dell’esperienza pura: immediatezza e
reflessione’ – but mostly his ‘esperienza e prassi,’ which fits nicely with my
functionalist method in philosophical psychology: there is input (esperienza),
but there is ‘prassi,’ the behavioural output --; I would prefer this to the
tract on the ‘filossofia critica’ since I’m not sure we need ‘reflexion’ to
explain, say, communication – not at least in the way Carbonara does use ‘reflessione,’
alla Husserl. Conseguito il diploma
liceale, si trasferì a Napoli, frequentando la facoltà di filosofia. Ottenuta la
laurea sotto Aliotta, collabora per “Logos”. Insegna a Campobasso, Nocera
Inferiore, Cagliari, Catania, e Napoli.
Con “Disegno d'una filosofia critica dell'esperienza pura”, rifacendosi
alla filosofia kantiana e riprendendo il discorso idealistico ne mette in
rilievo il tentativo fallito di Gentile di dare concretezza all’astratto.
Nell'attualismo, il ritorno all’atto, al fatto, si risolve infatti nell'atto
sempre uguale e sempre diverso del pensare, unica realtà e verità del pensiero
e della storia: «vera storia non è quella che si dispiega nel tempo, ma quella
che si raccoglie nell'eterno atto del pensare».. Il problema secondo
Carbonara anda esaminato riportandolo alla sua origine, cioè al problema del rapporto
tra esperienza e concetto, tra realtà e concetto così come era stato affrontato
dalla filosofia kantiana e che Gentile crede di risolvere stabilendo un rapporto
dialettico tra il concetto e il suo negativo all'interno del concetto stesso.
La soluzione invece era in nuce secondo Carbonara nella sintesi a priori
kantiana dove convivono forma (segnante) e contenuto (segnato) per cui la
coscienza è per un verso forma, contenitore (segnante) di un contenuto (segnato)
storico e per un altro *coincide* col suo contenuto (segnato) in quanto il
contenuto (segnato) non avrebbe realtà al di fuori della forma della coscienza
segnante. La successiva questione si pone considerando oltre il rapporto
del pensiero – il segnante -- con la materia quella collegata all'origine del
pensiero stesso. Ancora una volta Kant intravede la soluzione nella teoria
dell' “io penso” che però va ora intesa non come la struttura logico-metafisica
della realtà storica, ma come la sua struttura psicologica ma *trascendentale*
o "esistenziale", secondo una concezione della "filosofia
dell'esperienza pura" nel senso che l'esperienza coincide col divenire
della vita dello spirito e deve restare indifferente al problema, ch'è
propriamente di natura ontologica, circa la sua dipendenza o indipendenza da
una realtà diversa dal mio spirito. Il rapporto tra pensiero e materia porta
Carbonara ad indagare quello tra filosofia e scienza con “Scienza e filosofia”
in Galilei, in cui sostiene che mentre da un punto di vista filosofico non si
può andare oltre l'ambito dell'autocoscienza (il mio spirito – Il “I am hearing
a noise” di Grice) del cogito cartesiano, al contrario la scienza si basa sulla
necessità di fondarsi sul mondo esterno (nel spirito dell’altro –
intersoggetivita). Forse la soluzione di questa antinomia, sostiene Carbonara,
va ricercata nell'insoddisfazione dello stesso idealismo verso se stesso non potendo rinunciare a se stesso ma neppure
al suo opposto -- nec tecum nec sine te -- solus ipse. Si interessa anche
della filosofia rinascimentale a Firenze. Nota come in quel periodo si fosse
realizzata una fusione tra il cristianesimo e il neo-platonismo così come ad
esempio in Ficino prete cattolico che visse la sua fede come teologia razionale
dando una base filosofica, trascurando la stessa rivelazione, alla sua
spiritualità religiosa: In Ficino, il platonismo si congiunge al
cristianesimo non soltanto sul fondamento di una religiosità profonda da cui il
primo appare permeato, ma anche per una tradizione storica ininterrotta, per
cui l'antichissima saggezza, ripensata da Platone e dai neoplatonici, si
ritrova trasfigurata ma tuttavia persistente nei Padri della Chiesa e nei
dottori della Scolastica. Come apprendiamo dall'Epistolario di Ficino, la
sapienza e intesa come un dono divino e come mezzo per cui l'uomo può elevarsi
fino a Dio. Tale principio fu poi appreso da Pitagora, Eraclito, Platone,
Aristotele, i neoplatonici. Riemerse nella speculazione filosofica ispirata
dalla Rivelazione cristiana e si ritrovò quindi in Agostino. Lo stesso Cicerone
figura nella catena dei platonici romani. Riallacciandosi a quella
tradizione e meditando sui testi platonici, Ficino concepí il disegno, portato
a termine di ricostruire su fondamento platonico la teologia il platonismo vi è
considerato come il nucleo essenziale di una teologia razionale i cui princípi
coincidono con quelli della rivelazione. Tale coincidenza è il principale
argomento con cui si riesce a dimostrare l'eccellenza del cristianesimo
rispetto alle altre religioni positive. Del resto Ficino è disposto ad
ammettere che qualsiasi culto, purché esercitato con animo puro, reca onore e
gradimento a Dio. Altre opere: “L'individuo, i dividui, e la storia; Scienza e
filosofia in Galilei; Esperienza; Umanesimo e Rinascimento (Catania) Del Bello;
Introduzione alla Filosofia (Napoli; Materialismo storico e idealismo critico; Sviluppo
e problemi dell'estetica crociana; I presocratici; Esperienza ed umanesimo
(Napoli) La filosofia di Plotino; “Persona e libertà”; Ricerche di un'estetica
del contenuto”; Esperienza e prassi; Discorso empirico delle arti, Il
platonismo nel Rinascimento. Cleto Carbonara. Keywords: l’esperienza e la
prattica, esperienza, dull title: “l’empirismo come filosofia dell’esperienza”!
– i periti conversazionale – esperienza dell’altro, persona e persone –
solipsism, anti-solipsismo – esperienza, sperimento, esperire, perito, perizia,
per, fare, fahren, --. altri, altro, l’altro, l’altri. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Carbonara” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51777011254/in/dateposted-public/
Grice e Carbone – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Mantova).
Grice: “I love Carbone; my favourite of his tracts are on the ‘unexpressible’ –
a contradictio in terminis – and on ‘the flesh and the voice’ – but the favourite-favourite are his tract on ‘il bello’ (‘eidos ed eidolon’)
and even more, his “La dialettica”. Si
laurea a Bologna con “Marxismo: i soggetti nella storia". Studia a Padova.
Insegna a Milano. Opere: Condannàti alla libertà, adattamento teatrale del
romanzo di Sartre L'età della ragione, che è stato messo in scena in quello stesso
anno. Fonda a Pisa con il sostegno del Leverhulme Trust un
Programma di ricerca sulla filosofia, concentrandolo
su alcune delle sue figure più importanti e sulle parole-chiave: l'essere, la
vita, il concetto». Dirige la collana f«L'occhio e lo spirito. Estetica,
fenomenologia, per Mimesis Edizioni. Si
concentra sulla fenomenologia di Merleau-Ponty, indagandone il duplice ma
unitario significato estetico di riflessione filosofica sull'esperienza
percettiva e sull'esperienza artistica attraverso l'esame del parallelo
interesse manifestato da Merleau-Ponty per Cézanne e Proust. Tale indirizzo di
studi si è allargato dapprima a una più vasta considerazione della
fenomenologia e poi a quella del pensiero post-strutturalistico sviluppatosi in
Francia, pur mantenendosi imperniato sul parallelo interesse per la riflessione
filosofica sulla pittura e sulla letteratura moderne. Questo ampliamento ha
inoltre condotto gli studi ad affrontare tematiche di carattere gnoseologico e
ontologico, spingendolo anche a problematizzare il tradizionale rapporto tra la
filosofia e la "non filosofia". Tli orientamenti hanno trovato sbocco
in una riflessione sul peculiare statuto delle immagini nella nostra epoca,
sulle possibili implicazioni etico-politiche del rapporto con esse e sulla
dimensione ontologica dell'"essere in comune" (morire insieme,
dividualita, dividuo). che in tali implicazioni troverebbe espressione. Cura Merleau-Ponty
(Il visibile e l'invisibile; Linguaggio Storia Natura, La Natura, È possibile
oggi la filosofia? Saggi eretici sulla filosofia della storia) e Cassirer -- Eidos
ed eidolon, il bello. Influenzato prevalentemente
da Merleau-Ponty, di cui ha sviluppato in maniera teoreticamente personale
alcune nozioni. Tra queste, spicca il concetto di "idea sensibile",
intesa quale essenza che s'inaugura nel nostro incontro col sensibile e da
questo rimane inseparabile, sedimentandosi in una temporalità retroflessa --"tempo
mitico". Alla prima di queste nozioni è dedicato il dittico “Ai confini
dell'esprimibile” e “Una deformazione senza precedente: la idea sensibile Porta
a sintesi le implicazioni filosofiche delle nozioni sopra citate nel concetto
di "de-formazione senza precedenti", con cui egli intende
caratterizzare il peculiare statuto che a suo avviso la de-formazione assume
nell'arte, al fine di staccarsi dal principio imitativo della rappresentazione
e dunque dalla concezione del modello inteso quale “forma” preliminarmente
data. Alle nozioni sopra menzionate si è andata successivamente collegando
quella di "precessione reciproca" tra l’immaginario e il reale che
Carbone ha proposto di dar conto del prodursi della peculiare temporalità
retroflessa detta "tempo mitico". Cerca di sviluppare le implicazioni
etico-politiche della concezione della memoria legata all'idea di
"deformazione senza precedenti" nella sua riflessione sue venti di
cui ha sottolineato l'irriducibile carattere visivo indagandolo pertanto
mediante un approccio anzitutto estetico. Cerca le radici ontologiche di tali
implicazioni etico-politiche della filosofia, proponendo le nozioni di
"a-individuale" e di "dividuo" per sottolineare
l'intrinseco carattere re-lazionale (e dunque il divenire e la divisibilità) di
ogni identità. Altre opere: “Ai confini
dell'esprimibile. Merleau-Ponty a partire da Cézanne e da Proust, Milano,
Guerini e Associati); Il sensibile e l'eccedente. Mondo estetico, arte,
pensiero, Milano, Guerini e Associati); Di alcuni motivi in Marcel Proust,
Milano, Libreria Cortina); La carne e la voce. In dialogo tra estetica ed
etica, Milano, Mimesis); Essere morti insieme (Torino, Bollati Boringhieri). Sullo
schermo dell'estetica. La pittura, il cinema e la filosofia da fare, Milano,
Mimesis). Una deformazione senza precedenti. la idea sensibile, Macerata,
Quodlibet). Mauro Carbone. Keywords: dialettica, “individuo e dividuo” eidos, il
bello, essere en comune, mit-sein, #DialetticaDegl’EntrambiDividui -- -- --. Merleau-Ponty
‘linguaggio’, individuus, dividuus, dividuo -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Carbone” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51774461752/in/dateposted-public/
Grice e Carboni – tratto dalla vita –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Livorno). Filosofo. Grice: “I love
Carboni – my favourite of his tracts is ‘between the image and the ‘parable’” –
a semiotics of communication with sections on ‘the tacit response,’ through the
looking-glass’, ‘towards the hypertext,’ and quoting extensively from some
‘conversational-implicature’ passages in Aristotle’s metaphysics, ‘To ask ‘why
is man man?’ is to ask nothing!” “For some expressions, analogy suffices!”
Insegna a Roma, Bari, Viterbo. Altre
opere: L’angelo del fare. Melotti e la ceramica (Skira) e Il colore nell’arte
(Jaca). Cura Dorfles, Brandi, Deleuze,
Guattari, Adorno. Tra le recensioni dei suoi saggi si segnalano: Giacomo
Marramao, Gianni Vattimo (“L’Espresso”), Gillo Dorfles (“Il Corriere della
Sera”), Victor Stoichita (“il manifesto”). Al Festival delle Letterature di
Mantova hanno presentato i suoi saggi Sini
e Didi-Huberman. Scrive su “Nòema” e “Images Re-vues” e sulla “Rivista di
Estetica”. “L’Impossibile Critico. Paradosso della
critica d’arte, Kappa); “Cesare Brandi. Teoria e esperienza dell’arte, Editori
Riuniti); “Il Sublime è Ora. Saggio sulle estetiche contemporanee, Castelvecchi);
“Non vedi niente lì? Sentieri tra arti e filosofie del Novecento,
Castelvecchi); “L’ornamentale. Tra arte e decorazione, Jaca); “L’occhio e la
pagina. Tra immagine e parola, Jaca); “Lo stato dell’arte. L’esperienza
estetica nell’era della tecnica, Laterza); “La mosca di Dreyer. L’opera della
contingenza nelle arti, Jaca); “Di più di tutto. Figure dell’eccesso,
Castelvecchi); “Analfabeatles. Filosofia di una passione elementare,
Castelvecchi); “Il genio è senza opera. Filosofie antiche e arti contemporanee”
Jaca); “Malevič. L'ultima icona. Arte, filosofia, teologia, Jaca). Drawing after the Antique at the British Museum,
1809–1817: “Free” Art Education and the Advent of the Liberal State, Martin
Myrone Drawing after the Antique at the British Museum, 1809–1817: “Free” Art
Education and the Advent of the Liberal State Martin Myrone Abstract From 1808
the British Museum in London began regularly to open its newly established
Townley Gallery so that art students could draw from the ancient sculptures
housed there. This article documents and comments on this development in art
education, based on an analysis of the 165 individuals recorded in the
surviving register of attendance at the Museum, covering the period 1809–17.
The register is presented as a photographic record, with a transcription and
biographical directory. The accompanying essay situates the opening of the
Museum’s sculpture rooms to students within a farreaching set of historical
shifts. It argues that this new museum access contributed to the early
nineteenth-century emergence of a liberal state. But if the rhetoric
surrounding this development emphasized freedom and general public benefit in
the spirit of liberalization, the evidence suggests that this new level of
access actually served to further entrench the “middleclassification” of art
education at this historical juncture. Authors Martin Myrone is an art
historian and curator based in London, and is currently convenor of the British
Art Network based at the Paul Mellon Centre for Studies in British Art.
Acknowledgements The register of students admitted to the Townley Gallery was
originally consulted during my term as Paul Mellon Mid-Career Fellow in
2014–15. Thank you to Mark Hallett and Sarah Victoria Turner of the Mellon
Centre for their continuing support and guidance, to Baillie Card and Rose Bell
for their careful editorial work, Tom Scutt for crafting the digital
presentation of my research, the two anonymous readers for their valuable
critical input, and to Antony Griffiths, formerly of the British Museum, and
Hugo Chapman, Angela Roche, and Sheila O’Connell of the British Museum, for
providing access to the register and for their advice. I am especially indebted
to Mark Pomeroy, archivist, and his colleagues at the Royal Academy of Arts for
the access provided to materials there and for advice and suggestions. I would
also like to thank Viccy Coltman, Brad Feltham, Martin Hopkinson, Sarah Monks,
Sarah Moulden, Michael Phillips, Jacob Simon, Greg Sullivan, and Alison Wright.
Cite as Martin Myrone, "Drawing after the Antique at the British Museum,
1809–1817: “Free” Art Education and the Advent of the Liberal State",
British Art Studies, Issue 5,
https://dx.doi.org/10.17658/issn.2058-5462/issue-05/mmyrone From the summer of
1808 the British Museum in London began regularly to open its newly established
galleries of Graeco-Roman sculpture for art students. The collection, made up
almost entirely of pieces previously owned by Charles Townley, had been
purchased for the nation in 1805 and installed in a new extension to the
Museum’s first home, Montagu House, which was built earlier in 1808. After some
protracted discussion with the Royal Academy, detailed below, the collection
was made available for its students in time for the royal opening of the
Townley Gallery on 3 June 1808. From January 1809, a written record was kept of
students admitted to draw from the antique. This volume survives in the library
of the Department of Prints and Drawings at the British Museum and identifies
one hundred and sixtyfive separate individuals admitted through to 1817. 1 The
register forms the focus of this essay and is presented here as a facsimile and
transcription, with an accompanying directory of student biographies (see
supplementary materials below). This may be taken as a straightforward
contribution to the literature on early nineteenth-century art education, and
the author hopes it may be useful as such. However, it also situates the
opening of the Museum’s sculpture rooms to students within a rather more
far-reaching set of historical shifts. Namely, it argues that this new form of
museum access was part of the early nineteenth-century emergence of a liberal
state that “actively governs through freedom (free ‘individuals’, markets,
societies, and so on, which are only ‘free’ because the state makes them so)”.
2 Access to the British Museum was “free” in that there were no charges or
fees. Meanwhile, the arrangement offered a degree of freedom to the students
themselves; they were expected to be largely self-selecting and
self-regulating. When the arrangement was exposed to public scrutiny, as a
result of questions asked in parliament in 1821, the freedom of access and the
service this did to the public good were emphasized. But, once closely
scrutinized, the evidence suggests that this manifestation of the freedoms
encouraged by the liberal state had a social disciplinary role (even if
disciplinary function can hardly be recognized as such), in serving to further
entrench the “middle-classification” of art at this historical juncture. 3 The
conjunction of art education and a grandiose notion such as the liberal state
may be unexpected, and rests on three key assertions. The first is that art
worlds are structured and in their structure have a homological relationship
with the larger social environment. 4 The initial part of this statement (that
art worlds are structured) may not be especially hard to swallow, given the
relatively formalized and hierarchical nature of the London art world during
the early nineteenth century, when cultural authority was vested in a small
number of institutions, and the practices associated with academic tradition in
principle still held sway. However, that the structure of the art world, in its
hierarchical dimension, may also be homologically related to the larger field
of power, so that social relationships are reproduced within this relatively
autonomous sphere, is more clearly contentious, and runs contrary to
commonplace beliefs and expectations about talent and luck in determining
personal fate in the modern age—artists’ fortunes most especially. In fact, in
the period under review here, the artist became an exemplary figure in the new
narratives of social mobility: the art world came to serve as a model of how
talent or sheer good fortune could override social origins and destinies. 5 The
second assertion is that the Royal Academy and British Museum were developing
new forms of state institution, underpinned by the conjoined principles of
freedom of access and public benefit. Such has been argued importantly by
Holger Hoock, and while I depart from his arguments in some key regards, his
insights into the status of these institutions and the role of forms of
public–private partnership in their formation are crucial. 6 The third
assertion (and this marks a departure from Hoock), is that the state is not a
stable, centralized entity, or site of power either “up above” or “below” historical
actors. Instead, it is taken to be the sum of actions and dispositions
ostensibly volunteered by these historical agents in all their multitude and
variety. The crucial point of reference here is the sustained body of work on
the liberal state by the historian Patrick Joyce, deploying the work of Bruno
Latour and Michel Foucault, among others, to yield a more materialistic and
decentralized understanding of the emergence and role of state bodies. 7 The
state, in this view, is composed of technologies, disciplinary structures,
habits of mind, and ways of doing things. The mechanics of art education,
insofar as this involves the movement through or exclusion of individuals from
identified places, the arrangement of their bodies in relation to one another
and to their model, the management of their behaviour within those places, the
very motion of their bodies, hands, and eyes under the surveillance of their
peers, teachers or other authorities, may be considered as a form of
biopolitics; the student who entered his or her name into the British Museum’s
register of admission was producing his or her governmentality. 8 The argument
here is emphatically historical and states that this arrangement, while it may
have precedents and may have been seminal, belongs to an historical moment—the
emergence of the liberal state. My case, which can be sketched out only in
outline in this context, is that the emergence of the familiar institutional
arrangements of the modern art world between the 1770s and the 1830s (in the
form of actual institutions and regulatory structures or permissions, including
annual exhibitions, centralized art schools supported by the state directly and
indirectly, emphasis on quantifiable measures of access and engagement as the
test of public value, and so forth) represents in an exemplary way the illusory
freedoms promoted by liberalism, and renewed by present-day “neo- liberalism”,
as addressed by commentators from the prophetic Karl Polanyi through to the
later work of Foucault and Bourdieu on the state, and Luc Boltanski and Eve
Chiapello, among others. 9 The early nineteenth-century art world can be
proposed as a privileged focus of attention because it was still of a scale
which can allow for the kinds of data-based analysis which must underpin any
sort of sociological exploration, and because its individual membership can be
documented in fine detail in a manner which is simply not possible at an
earlier historical date. Paradoxically, despite its announced commitment to
non-intervention and personal freedom, the emerging liberal state generated
huge amounts of documentation about society and its individual members—tax
records, parochial and civil records, the national census from 1801—which
digitilization has made more readily available than ever before, allowing this
generation of artists to be documented as never previously. 10 The production
of artistic identities through these records is not unrelated to changes in
artistic identity itself over the same timeframe. One way of realizing this
might be to consider the period outlined above—c. 1770–1830s—not as a period
from the foundation of the Royal Academy (1769) to its removal to Trafalgar
Square, or even as the era of Romanticism, as much literary and cultural
history-writing would dictate, but as the era from Adam Smith’s Wealth of
Nations (1776) to the Reform Act (1832) and the Speenhamland system, a last
experiment in patrician social care before the Poor Law Amendment Act (1834),
taking in Thomas Malthus and David Ricardo. The challenge is thinking of these
two frameworks not in sequential or spatially differentiated ways, but as
simultaneous and identical. Within this emerging liberal state the figure of
the artist is attributed with a special degree and form of freedom, what has conventionally
been alluded to, in generally sociologically imprecise ways, as a feature of
“Romanticism”, slumping into “bohemianism” and a generic idea of art student
lifestyle. If this was a moment of unprecedented state investment in the arts
(from the Royal Academy through to the Schools of Design) and government
scrutiny (notably with the Select Committees), it simultaneously saw the
emergence of artistic identities expressing the values of personal freedom,
freedom from regulation, and even active opposition to the state. I propose
that art education, as it took shape in the emerging liberal state, might be
explored as a “liberogenic” phenomenon: among those “devices intended to
produce freedom which potentially risk producing exactly the opposite.” 11 As
such, it may have renewed pertinence for our own time, although this does not
entail seeing a “causal” relationship between the past and present, or a linear
genetic relationship between then and now. In fact, the purpose of this
commentary, and the larger project it arises from, 12 is rather to trouble our
relationship with that past. The intention is not, however, to point
unequivocally to the era under consideration as here entailing “the making of a
modern art world”, with the rise of art education and museums access
representing a stage towards democratization, as illuminated in stellar fashion
by the great Romantic artists (J. M. W. Turner—famously the son of a lowly
London barber—pre-eminently). I would want instead to take seriously Jacques Rancière’s
call for “a past that puts a radical requirement at the centre of the present”,
eschewing causality and “nostalgia” in favour of “challenging the relationship
of the present to that past”. 13 If giving attention to the “freedom” of art
education at the advent of the liberal state provides any insight at all, it
should do so by troubling rather than affirming our narratives of the genesis
of a modern art world. Access to the Townley Gallery The arrival at the Museum
of the Townley marbles, together with the development of the prints and
drawings collection and its installation in new, secure rooms in the same wing,
fundamentally changed the character of the institution. As Neil Chambers has
noted, having been primarily a repository of (often celebrated) curiosities of
many different forms, quite suddenly “The Museum was now a centre for art and
the study of sculpture.” 14 The shift was acknowledged internally at the Museum
by the creation in 1807 of a distinct Department of Antiquities, which also had
responsibility for the collection of prints and drawings. But while the
significance of the opening of the Townley Gallery in the history of the
British Museum is clear, the opening of the collection to students has barely
been noticed in the art-historical literature. The register has been overlooked
almost entirely, and the relevance of this development in student access may
not even be immediately obvious. 15 Figure 1. William Chambers, The Sculpture
Collection of Charles Townley in the dining room of his house in Park Street,
Westminster, 1794, watercolour, 39 x 54 cm. Collection of the British Museum.
Digital image courtesy of Trustees of the British Museum Figure 2. Attributed
to Joseph Nollekens, The Discobolus, 1791–1805, drawing, 48 x 35 cm. Collection
of the British Museum. Digital image courtesy of Trustees of the British Museum
Townley’s collection had already famously been on display for many years at his
private house in Park Street, London. William Chambers’ (or Chalmers’) drawing
of the Park Street display from 1794 includes a well-dressed young woman
drawing under the supervision or advice of a man, promoting the idea that the
collection was available for sufficiently genteel students of the art more
generally (fig. 1). In his recollections of the London art world, J. T. Smith
described “those rooms of Mr Townley’s house, in which that gentleman’s
liberality employed me when a boy, with many other students in the Royal
Academy, to make drawings for his portfolios”. 16 Smith’s former employer, the
sculptor Joseph Nollekens, has been identified among the more established
artists who were also engaged by Townley to draw from marbles in the collection
(fig. 2). As Viccy Coltman has noted, “The townhouse at 7 Park Street,
Westminster became an unofficial counterpoint to the English arts establishment
that was the Royal Academy: as an academy of ancient sculpture, much as Sir
John Soane’s London housemuseum in Lincoln’s Inn Fields would become an academy
of architecture in the early 19th century.” 17 Evidently, a number of the
students and artists admitted to draw from the Townley marbles once they were
at the British Museum knew them formerly at first hand from visiting 7 Park
Street; for instance, William Skelton, admitted to draw at the Museum in 1809,
had apparently already studied and engraved three busts from the collection for
inclusion in the design of Townley’s visiting card (fig. 3). Townley had hoped
for a separate gallery to be erected to house the collection, but his
executors, his brother Edward Townley Standish and uncle John Townley were
unable to agree a plan. 18 The sale of the collection to the Museum was a
compromise. With the erection of a new gallery space for the collection
underway, the Museum considered how special access might be given to artists.
That the question was posed at all should be an indication of how far the realm
of cultural consumption and production was being folded in to the emerging
liberal state at this juncture. At a meeting of the Trustees on 28 February
1807, a committee was set up to consider how the prints and drawings
collections might be used by artists, and to draw up “Regulations . . . for the
Admission of Strangers to view the Gallery of Antiquities either separately
from, or together with the rest of the Museum: And also for the Admission of
Artists”. 19 Figure 3. William Skelton, Charles Townley's visiting card,
1778–1848, etching, 65 x 96 cm. Collection of the British Museum. Digital image
courtesy of Trustees of the British Museum With the Gallery still under
construction, the Sub-Committee was not obliged to move quickly, and it proved
to be a protracted and unexpectedly fractious affair. 20 It was not until the
Museum’s general meeting of 13 February 1808, that the principal librarian,
Joseph Planta, reported “his opinion of the best time & mode of admission
of Strangers as well as artists, to the Gallery of Antiquities”, with the
request that Benjamin West, President of the Royal Academy, be asked to attend
a further meeting. 21 After delays, he did so on 10 March, after which the
Council drew up a set of regulations. 22 These went back to the Academy with
additions and changes, which were accepted by the Council who wrote to the
British Museum on the 10 May to that effect, noting that a General Meeting of
the Academy was to take place, “to prepare the final arrangement for his
Majesty’s approbation”. 23 Accordingly, at the British Museum, the
Sub-Committee’s reports and proposals were approved by the Standing Committee,
with “Resolutions founded on the above mentioned Reports” read at the General
Meeting of 14 May. 24 The resolutions, numbered so as to be inserted in the
existing regulations regarding admissions, were confirmed in the meeting of 21
May, over three months after what should have been a straightforward matter was
raised (see Appendix, below). 25 Clause number eight, concerning the payment of
Academicians charged with the supervision of students, evidently caused some
consternation within the Academy, as recorded in the diary of Joseph Farington.
26 The relative authority of the Council and General Assembly had been a
contentious matter in previous years, and the lengthy dispute over arrangements
with the Museum reflected lingering tensions. On 12 July 1808 the proposals
were read, and “After a long conversation it was Resolved to adjourn.” 27 The
subject was taken up on re-convening on 21 July, but without resolution. 28 At
yet another meeting, on 26 July 1808, the point about the Academy’s provision
of superintendents to monitor the students while at the British Museum was
referred back to Council. 29 We have to turn to Farington’s diary for a fuller
account. He noted that the Academy’s General Assembly had met on 12 July “for
the purpose of receiving a Law made by the Council ‘That permission having been
granted by the Trustees of the British Museum for Students to study from the
Antiques &c at the Museum, certain days are fixed upon for that purpose,
& that an Academician shall attend each day at the Museum & to be paid
2 guineas for each day’s attendance’ . . . Much discussion took place.” 30 At a
further meeting: “The Correspondence of the Council with the Sub Committee of
the British Museum was read from the beginning” and “much discussion” was had
about the supervision of the students, Farington making the point that: as the
studies of the British Museum shd. be considered those of completion and not to
learn the Elements of art the Academy shd. not recommend any student whose
abilities & conduct wd. not warrant it, that it should be considered the
last stage of study, when those admitted wd. not require constant inspection;
therefore daily attendance of a Member of the Academy wd. not be necessary. 31
The point of contest may have concerned the right of the Council to organize
things independent of the General Assembly of the Academicians, and a more
general question about economy (“Northcote proposed that the Academician who in
rotation shall attend at the British Museum, shd. have 3 guineas a day. West
thought one guinea sufficient”). 32 But Farington’s point is more revealing in
indicating the expectation that the selected students of the Academy were to be
largely self-regulating, and self-disciplining; they were to be granted freedom
because they had already internalized the discipline required by these
institutions. Figure 4. Front cover, Register of Students Admitted to the
Gallery of Antiquities, 1809–17. Collection of the British Museum. Digital
image courtesy of Trustees of the British Museum The matter finally settled,
students were admitted to the Townley Gallery from at least the beginning of
1809: the first entries in the register book are dated 14 January 1809 (figs. 4
and 5 to 11). On that date four students were enrolled, although only one of
them was at the Royal Academy. That was Henry Monro, the son of Dr Thomas
Monro, Physician at Bedlam and an amateur and collector who ran the influential
“academy” at his home in Adelphi Terrace. The other students included two of
the daughters of Thomas Paytherus, a successful London apothecary, and a Ralph
Irvine of Great Howland Street, who seems quite certainly to have been Hugh
Irvine, the Scottish landscape painter and a member of the landowning Irvine
family of Drum, who gave that address in the exhibition catalogue of the
British Institution’s show in 1809. Another five students registered in
February and July. This included another recently registered Royal Academy
student, Henry Sass, whose name was entered into the Academy’s books in 1805,
recommended for study at the British Museum by the architect and RA John Soane,
and the artists William Skelton, Adam Buck, Samuel Drummond, and Maria
Singleton. The mix of amateur and professional artists, young and old, and
indeed the mix of male and female students (discussed below), continued
throughout the register. View this illustration online Figure 5. Page 1,
Register of Students Admitted to the Gallery of Antiques, 1809–17. Collection
of the British Museum. Digital image courtesy of British Museum View this
illustration online Figure 6. Page 2, Register of Students Admitted to the
Gallery of Antiquities, 1809–17. Collection of the British Museum. Digital
image courtesy of Trustees of the British Museum View this illustration online
Figure 7. Page 3, Register of Students Admitted to the Gallery of Antiquities,
1809–17. Collection of the British Museum. Digital image courtesy of Trustees
of the British Museum View this illustration online Figure 8. Page 4, Register
of Students Admitted to the Gallery of Antiquities, 1809–17. Collection of the
British Museum. Digital image courtesy of Trustees of the British Museum View
this illustration online Figure 9. Page 5, Register of Students Admitted to the
Gallery of Antiquities, 1809–17. Collection of the British Museum. Digital
image courtesy of Trustees of the British Museum View this illustration online
Figure 10. Page 6, Register of Students Admitted to the Gallery of Antiques,
1809–17. Collection of the British Museum. Digital image courtesy of Trustees
of the British Museum View this illustration online Figure 11. Page 7, Register
of Students Admitted to the Gallery of Antiques, 1809–17. Collection of the
British Museum. Digital image courtesy of Trustees of the British Museum Eight
of the twelve students registered on 11 November were current Academy students;
this proportion of Academy students to others continues throughout the record.
But on the same day Planta noted to the standing committee that the Royal
Academicians not having availed themselves of the Regulations in favour of
their Pupils, & many applications having been made to him for leave to draw
in the Gallery of Antiquities, he therefore submitted to the consideration of
the Trustees, whether persons duly recommended might not be admitted in the
same manner as in the Reading Room. 33 The matter was referred on to the
general meeting. 34 On 9 December 1809 the new regulations were confirmed:
Students who apply for Admission to the Gallery are to specify their
descriptions & places of abode; and every one who applies, if not known to
any Trustee or Officer, will produce a recommendation from some person of known
& approved Character, particularly, if possible, from one of the Professors
in the Royal Academy. 35 On 10 February 1810 it was instructed “That the
Regulation respecting the mode of Admission of Students to the Gallery of
Sculpture, as made at the last General Meeting be printed & hung up in the
Hall, & at the entrance into the Gallery”. 36 The students admitted through
1810 were predominantly students at the Royal Academy, but also included the
emigré natural history painter the Chevalier de Barde and Charles Muss, already
established as an enamel and glass painter. The same pattern was apparent in
subsequent years. Twenty-five students were registered in 1811 and again in
1812, before numbers dropped to twelve in 1813, eight in 1814, picking up with
nineteen in 1815, and dropping to nine in 1816. The Museum’s original
stipulation that no more than twenty Academy students be admitted each year did
not, it appears, create any undue constraints on the flow of admissions. Far
from having a monopoly over student admissions, as the Museum’s original
regulations had anticipated, the Royal Academy had apparently been distinctly
laissez-faire, doing little to try to push students forward to make up the
numbers. The galleries the students gained access to comprised a sequence of
rooms within the new wing added to accommodate the growing collection of
sculptural antiquities, notably the Egyptian material taken from the French at
Alexandria in 1801. The Egyptian antiquities dominated the galleries in terms
of sheer size, although the visual centrepiece, whether viewed from the
Egyptian hall or through the extended enfilade of rooms II–V where the Townley
marbles were displayed, was the Discobolus (fig. 12). 37 The intimate scale of
the galleries brought benefits, as German architect Karl Friedrich Schinkel
noted on his visit of 1826: “Gallery of antiquities in very small rooms, lit
from above, very restful and satisfying”. 38 But is also imposed a practical
limit on the numbers of students who could attend. This changed when, in 1817,
the Elgin marbles were put on display at Montagu House in spacious, if
warehouse-like, temporary rooms newly annexed to the Townley Gallery (fig. 13).
The spike of interest recorded in the register, with thirty-seven students
listed under the heading “1817”, must reflect this new opportunity. The
register terminates at this point, although the volume continued to be used to
record students and artists admitted to the prints and drawings room (upstairs
from the Townley Gallery) from 1815 through to the 1840s. 39 Figure 12.
Anonymous, View through the Egyptian Room, in the Townley Gallery at the
British Museum, 1820, watercolour, 36.1 x 44.3 cm. Collection of the British
Museum. Digital image courtesy of Trustees of the British Museum Figure 13.
William Henry Prior, View in the old Elgin room at the British Museum, 1817,
watercolour, 38.8 x 48.1 cm. Collection of the British Museum. Digital image
courtesy of Trustees of the British Museum Some form of register must have been
maintained, but appears not to have survived, and evidence of student
attendance after 1817 is largely a matter of anecdotal record. 40 These later
records also, incidentally, point to the variety of student practice in the
galleries. While the Museum’s original stipulations made the presumption that
admitted artists would be drawing (“each student shall provide himself with a
Portfolio in which his Name is written, and with Paper as well as Chalk”), students
evidently worked in different media as well. James Ward referred explicitly to
“modelling” in the Museum in his diary entries of 1817; and George Scharf’s
watercolour of the interior of the Townley Gallery from 1827 (fig. 14) shows a
student sitting on boxes at work at an easel, with what appears to be a
paintbrush in his right hand and a palette in his left. 41 Nonetheless, the
Townley marbles had lost much of their allure. Jack Tupper, a rather
unsuccessful artist associated with the Pre-Raphaelite Brotherhood, recalled
his growing disillusion when studying at the British Museum in the late 1830s:
“So the glory of the Townley Gallery faded: the grandeur of ‘Rome’ passed.” 42
Figure 14. George Scharf, View of the Townley Gallery, 1827, watercolour, 30.6
x 22 cm. Collection of the British Museum. Digital image courtesy of Trustees
of the British Museum The material record of student activity in the Townley
Gallery, in the form of images which seem definitely to derive from this
special access to the Museum, is extremely scarce. 43 Whatever was produced in
the Gallery was, after all, generally only for the purposes of study, and was
unlikely to be retained or valued after the artist’s death. John Wood, a
dedicated student at the Royal Academy from 1819, noted: “I am surprised at the
comparatively few drawings I made in the Antique School at the Royal Academy,
including my probationary one, not exceeding five, with an outline from the
group of the Laocoon.—In the British Museum I made a chalk drawing from the
statue of Libēra for Mr Sass”, that is, the Townley Venus, apparently drawn by
Wood as an exercise for the well-known drawing teacher Henry Sass. 44 Student
drawings after the antique must have been numerous, but that does not mean they
were preserved. J. M. W. Turner had apparently attended the Plaster Academy
over one hundred and thirty times up to the point he became an ARA, in 1799. 45
Yet even with a figure of his stature, whose studio contents were so completely
preserved, and whose dedication to academic study was so notable, we have only
a handful of drawings which appear certainly to derive from his time at the
schools. 46 There are, doubtless, traces of study in the Museum to be uncovered
in finished works of the period. Charles Lock Eastlake’s youthful figure of
Brutus in his ambitious early work is evidently a direct lift from the marble
of Actaeon attacked by his own hounds in the Townley collection; he had been
admitted to draw from the antique in 1810 (figs. 15 and 16). But given the dissemination
of classical prototypes (in graphic form as well as in plaster) it would be
hard to insist that it was only access to the British Museum’s antiquities
which made such allusion strictly possible. Figure 15. Charles Lock Eastlake,
Brutus Exhorting the Romans to Revenge the Death of Lucretia, 1814, oil on
canvas, 116.8 x 152.4 cm. Collection of the Wiliamson Art Gallery & Museum.
Digital image courtesy of Wiliamson Art Gallery & Museum Figure 16.
Anonymous, Marble figure of Actaeon attacked by his hounds, Roman 2nd Century,
marble, 0.99 metres high. Collection of the British Museum (1805,0703.3).
Digital image courtesy of Trustees of the British Museum The Register of
Students as Social Record Of arguably greater interest than the question of the
“influence” of access to the marbles on artistic practice is the evidence the
register provides about the social profile of the students. This takes us to
the heart of the question about the relationship between art education and the
state. This was, in fact, a question raised at the time. The British Museum was
in 1821 obliged to draw up a report on student and public attendance of the
Museum, prompted by Thomas Barrett Lennard MP, who had entered a motion in the
House of Commons seeking reassurance that this publicly funded institution was
not “merely an establishment for the gratification of private favour or
individual patronage”. 47 Lennard’s questions arose from a growing body of
criticism directed against the Museum, which turned on the question of whether,
as a publicly funded body, everyone could expect free access, or only a more
specialist minority. As one critic jibed in 1822, “If the British Museum is
open only to the friends of the librarians, & their friends’ friends, it
ceases to be a public institution.” 48 The report elicited by Lennard’s
question provided a detailed breakdown of admissions. With regard to providing
access to draw from the antique, the Museum indulged the impression that it not
only fulfilled but exceeded its commitment to admitting Royal Academy students:
providing the figures for the period 1809–17 (based, surely, on the register
under consideration here), the Museum’s report elaborated: The Statute for the
admission of Students in the Gallery of Sculptures being among those required
by the Order of the House of Commons, it may not be irrelevant to add, that the
number of students who were admitted to make drawings in the Townley Gallery,
from the year 1809 to the year 1817, amounted to an average of something more
than twenty. 49 Notably, this summary gives the clear impression that the
antiques were being opened to the students of the Royal Academy; such is, quite
reasonably, presumed by Derek Cash in his recent, careful commentary on
admission procedures at the Museum. 50 The report also pointed to recent
changes: In 1818, immediately subsequent to the opening of the Elgin Room, two
hundred and twenty-three students were admitted: in 1819, sixty-nine more were
admitted, and in 1820, sixty-three. It asserted that, now: Every student sent
by the keeper of the Royal Academy, upon the production of his academy ticket,
is admitted without further reference to make his drawings: and other persons
are occasionally admitted, on simply exhibiting the proofs of their
qualification. According to the present practice, each student has leave to
exhibit his finished drawing, from any article in the Gallery, for one week
after its completion. 51 Thus stated, the Museum appeared to be fulfilling its
public duty in providing free access to appropriately qualified students. The
bare figures might seem to indicate a steady rise in student interest, which
could be taken as a marker of quantitative success. In one of the earliest
historical accounts of the Museum, Edward Edwards implied that the statistical
record was evidence of how Planta had progressively extended access to the
Museum: “From the outset he administered the Reading Room itself with much
liberality . . . As respects the Department of Antiquities, the students
admitted to draw were in 1809 less than twenty; in 1818 two hundred and
twenty-three were admitted.” 52 At that level of abstraction the information
appears beyond dispute. What I test in the remainder of this essay is how these
statements stand up to the more individualized account of student activity
represented in the biographical record. That record does include the most
assiduous students of the Royal Academy of the time, who certainly did not need
the kind of “constant inspection” Farington worried about, the kind of student
anticipated by the Museum’s regulations. Among these we could count Henry
Monro, Samuel F. B. Morse and Charles Robert Leslie, William Brockedon, Henry
Perronet Briggs, William Etty and Henry Sass, the last two famously dedicated
as students of the Academy. 53 However, the full biographical survey of the
register points to a more complicated situation. Of the one hundred and
sixty-five individuals named in the register, it has proved possible to
establish biographical profiles for the majority: details are most lacking for
about twenty-four of the attending students, although in most of those cases we
can conjecture at least some biographical context. 54 Slightly less than half
the total number of individuals listed were recorded as students at the Academy
at a date which makes it reasonably likely that they were actively attending
the schools when they were admitted to the British Museum (eighty in all). 55
Around twenty more established male artists attended, and several of these were
formerly students at the Royal Academy, including John Samuel Agar, John
Flaxman, and James Ward. Whether they were pursuing their private studies or
undertaking more specific professional tasks is not always clear. There are,
certainly, a few cases where the latter appears to be the case. When William
Henry Hunt was admitted it was explicitly for the purpose of preparing drawings
for a publication; both William Skelton and John Samuel Agar were probably
admitted in connection with his ongoing work engraving from sculptures at the Museum.
It seems likely that the “Students to Mr Meyer”, that is, the engraver and
print publisher Henry Meyer, were engaged on professional business, as was
Thomas Welsh, recommended by the publisher Thomas Woodfall. More striking,
though, is the determined presence in the register of artists who did not
pursue the art professionally or full-time, including the relatively
well-documented Chevalier de Barde, Arthur Champernowne, John Disney, Hugh
Irvine (assuming he is the “Ralph Irvine” who appears in the register), Robert
Batty, Edward John Burrow, Edward Vernon Utterson, and a number of others
designated as “Esq”, so clearly from the polite classes, even if their exact
identities remain unclear. There are at least fifteen male individuals who
appear to come from backgrounds sufficiently socially elevated or affluent
enough to suggest they were taking an amateur interest rather than pursuing
serious studies. 56 Enough of these men are known to have practised art to make
it quite certain that they were not, at least generally, being admitted to
consult the collection without intending to draw, and John Disney was admitted
explicitly “to make a sketch of a Mausoleum”. Notable, in this regard, are the
large number of women admitted to study, most of whom are or appear to be from
polite backgrounds, including the Paytherus sisters, Elizabeth Appleton, Louisa
Champernowne, Miss Carmichael, Elizabeth Batty, Miss Home, Lucy Adams, Jane
Gurney, Maria Singleton, and Anne Seymour Damer. 57 Some were established artists,
or became so; others were pursuing art as a polite accomplishment, or at least
we can assume so given their family circumstances; in other cases the situation
is by no means clear-cut. All were admitted without special comment or notice
despite the issues of propriety around the drawing of even the sculptured nude
figure by female artists which crops up in contemporary commentaries. 58 This
may be all the more striking given the relative paucity of women admitted as
readers at the British Museum library over the same period: only three out of
the three hundred and thirty-three admitted between 1770 and 1810, as surveyed
by Derek Cash. 59 On this evidence, the field of artistic study was, in the
most literal terms, relatively female compared even to the study of literature
or history. This points to an under-explored context for the inculcation of the
students into life as an artist: the “feminine” sphere of the home, and of
siblings (whether brothers or sisters) alongside parents. We have, surely,
barely begun to consider the family as the context in which artists are made as
much as, if not more than, the studio and academy. Nor is it straightforward to
assume that those individuals who had enrolled as Academy students also had
expectations about the professional pursuit of the art. Among the Academy
students who attended, a large proportion, including a majority of the most
assiduous, were from polite social backgrounds, with fathers in the
professions, or who were office-holders or from the landowning classes,
including Henry Monro, John Penwarne, Richard Cook, William Drury Shaw, Charles
Lock Eastlake, Henry Perronet Briggs, Alexander Huey, Thomas Cooley, Samuel F.
B. Morse, Andrew Geddes, John Zephaniah Bell, Thomas Christmas, John Owen
Tudor, and Samuel Hancock. Others were the sons of elite tradesmen, highly
specialized craftsmen or merchants, including William Brockedon, Seymour
Kirkup, Charles Robert Leslie, Gideon Manton, and John Zephaniah Bell. These
were not, either, predestined to be artists, by simply following in their
father’s footsteps, but were opting in to an artistic career, having had,
usually, a decent education, and access to material and social support. In many
cases their brothers, who shared the same upbringing, became doctors or lawyers,
property-owners or merchants. A number of individual students gave up the
practice of the art—Thomas Christmas became a landowner in Willisden; Richard
Cook was able to retire, wealthy; Seymour Kirkup languished in Rome dabbling in
the arts; William Brockedon became more engaged as an inventor and traveller;
while others were never really obliged to draw an income from their practice
but pursued art as a pastime. It remains the case that there was a high level
of occupational inheritance; perhaps thirty-eight of the students (23 percent)
had fathers who were architects, engravers or artists in painting or sculpture.
Many were the sons of established artists (including Rossi, Bone, Stothard,
Ward, Dawe, Wyatt, Bonomi, and the brothers Stephanoff); a few were part of
“dynasties” encompassing generations engaged in the arts (Wyatt, Wyon,
Hakewill, Landseer). Even then, there is the case of John Morton (noted
confusingly as “John Martin” in the register, although the address given
provides for a firm identification), who, although the son of an artist and a
student at the Royal Academy, exhibited personally as an “Honorary”, suggesting
he was not professionally engaged. That his brother became quite prominent as a
physician suggests that this was a quite emphatically middle-class family
setting. There are several points to derive from this information, even as
lightly sketched as it necessarily is here. Firstly, it is noteworthy that
while female students were a minority they were a definite presence; in this regard,
the British Museum was like other spaces of artistic study, notably the
painting school at the British Institution. 60 The observation is upheld by the
contemporary records of student attendance at the British Institution or of
copyists at Dulwich Picture Gallery, and should serve as a reminder that the
Royal Academy was exceptional among the spaces of art education in being so
entirely male. 61 Secondly, it is striking how few came from humble backgrounds
unconnected with the art world; really, only a handful, which would include
John Tannock (son of a shoemaker in Scotland), William Etty (son of a baker in
York), John Jackson (son of a village tailor in Yorkshire), and William Henry
Hunt (whose father was a London tin-plate worker). The circumstances which led
to their gaining access to the London art world are, therefore, noteworthy, as
a third and most important point would be to emphasize how emphatically
metropolitan, polite, and middle-class was the British Museum as a site of
artistic education. The Townley Gallery on student days was a place where
working artists, students, amateurs, and patrons mingled. 62 While the Royal
Academy is conventionally seen as an engine of professionalization, it is
striking that the social affiliations of artists point to strong, arguably
increasingly strong, affiliations between amateurs and professionals—to the
extent that our terminology around this point needs to be reconsidered. Looking
over the biographical survey, the kind of social suffering or precariousness
typically associated with artists’ lives, perhaps especially during the era of
industrialization, is markedly absent. When it does appear—most strikingly with
the grim life-stories of the siblings Jabez and Sarah Newell—they are among the
minority of students from backgrounds neither closely connected with the art
world, nor comfortably middle-class or genteel. The examples of stellar social
ascent and achievement on the basis of talent alone are real; but they are the
exceptions rather than representative. The relative weight of personal and
Academic connection is exposed in the record of the provision of references for
students. Of the forty-three referees recorded between 1809 and 1816, less than
half (nineteen) were Academicians. One of those was Henry Fuseli, who as Keeper
of the Academy Schools through this period must have provided references as
part of his duties, and accordingly provided the second largest number of
recommendations (nineteen; all but one students at the RA). The lead in
providing references was taken by William Alexander, artist and keeper of
prints and drawings (twenty-two; mainly but not exclusively students). Overall,
officers and Trustees were most active in admitting students. Most only ever
provided a reference for one, or at most a handful, and the jibe about “friends
of the librarians, & their friends’ friends” contains some truth. But the
same point applies to the artists, most of whom only ever recommended one
student, often known personally to them already: David Wilkie recommended his
assistant, John Zephaniah Bell; George Dawe provided a reference for his own
son; Thomas Lawrence for his pupil William Etty; Thomas Phillips and John
Flaxman, the relatives of fellow Academicians; Thomas Stothard, the son of a
neighbour (Kempe). Geography, too, seems to have played a role, with referees
often coming from the same area as their favoured student: Francis Horner
recommended John Henning, whom he had known in their native Scotland; the
Scottish George Chalmers recommended James Tannock; Arthur Champernowne put
forward William Brockedon, his protégé, whom he had supported in moving from
Devon to the metropolis to pursue art; James Northcote recommended two fellow
West Countrymen; Benjamin West, notorious for giving special assistance to
visiting American students, two such (Leslie and Morse). If the admission
procedure could be interpreted as an opportunity for the Academy to assert a
corporate, professionalized identity, based purely on merit, we can nonetheless
detect underlying patterns of kinship, personal, social, and geographical
affiliation. Simply stated, even if study at the Museum was free and freely
available, any given student would still need to access a letter of reference
and the time to go to the Museum (as well as the material means to acquire the
portfolio, paper, and chalks anticipated by the Trustees). The opening hours
for students militated against anyone attending who had to use these daylight
hours for work, a point which was made quite often with reference to the
Reading Room through this period. 63 The most assiduous students needed the
time free to study at the British Museum, something that well-off students like
Eastlake, Brockedon, Briggs, and Monro had readily available to them. Their
peers at the Academy who were obliged to work during the day to make a living,
or who were serving apprenticeships, would simply not be able to make the hours
available at the Museum. 64 The ambitious painter Thomas Christmas was free to
attend the Museum, having dedicated himself to study after working as a clerk,
but his brother, Charles George Christmas, who held down a job in the Audit
Office, would have struggled; accounting for his studies at the Academy, he had
told Farington, “He shd. continue to do the business at the Auditors' Office,
Whitehall, which occupies Him from 10 oClock till 3 each day, as it will keep
His mind free from anxiety abt. His means of living and leave Him with a
feeling of independence.” 65 Given that the students were admitted to the
Townley Gallery from noon to 4 o’clock in the afternoon, and that the Trustees
continued to prohibit the use of artificial lights in the Museum, there was
scarcely any real possibility of Charles George Christmas attending, although
he also enjoyed the comforts of a middle-class home background (their father
was a Bank of England official). With the ascent of utilitarian criticism,
visitor levels were turned to anew as a measure of the institution’s fulfilment
or failure to fulfil its “national” purpose. On strictly statistical terms, the
Museum seemed to be successful at providing opportunities for art students.
Only under the closest scrutiny, with attention to the “micro-history” of
individual lives, does that illusion start to be tested. It is, though, at this
“micro” level that we can apprehend the characteristic paradox of an emerging
cultural modernity, one that is still with us. Yet the point, to follow
Rancière, is not to see the past ascent of a present situation, but to force
ourselves to feel uneasy with that sense of recognition and its tacit model of
history. The evidence is that free access to culture and the (circumscribed)
promotion of equality were combined with socially restrictive patterns of
preferment. 66 Study at the British Museum may have been free, and freely
available to properly qualified students of the Academy, but you needed to be
in the right place at the right time, to have the time available, and, indeed,
to know or at least be able to access the right people, to get in. This point
may seem unduly sociological or even tendentious, but overlooking it involves a
denial of the socially invested nature of time, specifically, of the scholastic
time (given over to study or contemplation or to creation) mythically removed
from the influence of social forces. 67 The acts of nomination which saw
certain men and women given special access to the Townley Gallery, acts so
seemingly trivial in themselves involving perhaps only an exchange of words and
a scribbled note, were microcosmic manifestations of social authority of the
most far-reaching kind. 68 When Robert Butt, the principal manager of the
bronze and porcelain department at Messrs Howell & James, Regent-street,
was examined by the Select Committee on Arts and Manufactures in 1835, he noted:
The process by which a knowledge of the arts of painting and sculpture is now
acquired is this: a young man receives tuition from a private master; he draws
from the antique at the British Museum for a certain time, and when he shows
that he has sufficient talent to qualify him for a student of the Royal Academy
he is admitted; but the expense of acquiring that preliminary knowledge is
considerable, and the young artist must also be maintained by his relatives
during the time that he is acquiring it. 69 The following year, in a further
parliamentary committee, this time dedicated to testing out the British
Museum’s claims to public status, James Crabb, “House Decorator” of Shoe Lane,
Fleet Street, was asked, “Did you ever obtain any assistance, by means of casts,
from the better specimens of sculpture in the Museum or elsewhere?”, to which
he replied, “I should derive assistance from them if I had the opportunity, but
I have not time.” 70 Considered sociologically, as the personal experience of
these men seems to have obliged them to do, time was certainly of the essence.
The prevalence of students with secure middle-class backgrounds at the British
Museum might, then, be taken as evidence of an early phase in the
“middle-classification” of art practice, the awkward but evocative phrase used
recently by Angela McRobbie in her eye-opening observations of careers in the
present-day creative industries. 71 Whatever emphasis may be put on equality of
access to educational opportunity, however rigorously fairminded and anonymized
the tests and measures involved in admission procedures, without forms of
positive support to counterbalance or actively adjust social inequalities,
those same inequalities will tend to be reproduced, homologically, in the
educational field. This is patently not a simple matter of social and material
advantage underpinning artistic enterprise in a wholly predictable way; such
would be a nonsense, in light of the many students who did not enjoy such
advantages. Instead, it is the very flexibility built into the exclusionary
processes of the emerging cultural field which is significant—the possibility
that talented students could get access, gain reputation, achieve success,
without being limited by their social origins. “Freeing” art education allowed
for the expression of personal preferences or dispositions at an individual
level, which at an aggregate level reproduced larger power relations. Exposing
that ultimately exclusionary process, which may be marked only in small
differences, in personal dispositions and behaviours, in the personal choices
and decisions which are neither truly personal nor really pure as choices, is
no small task. This essay, and the biographical survey accompanying it, with
its details of a multitude of student lives otherwise scarcely recorded or
recognized, is intended as a small contribution to that larger project, with
the excess of data presented here perhaps imposing, in itself, new requirements
on our understanding of the history of art education. Appendix Regulations for
the admission of students of the Royal Academy to the Townley Gallery at the
British Museum (May 1808): [7] That the students of the Royal Academy be
admitted into the Gallery of Antiquities upon every Friday in the months of
April, May, June, & July, & every day in the months of August and
September, from the hours of twelve to four, except on Wednesdays and Saturdays
the Students, not exceeding twenty at a time, to be admitted by a Ticket from
the President and Council of the Royal Academy, signed by their Secretary. [8]
The better to maintain decorum among the Students, a person properly qualified
shall be nominated by the Royal Academy from their own body, who shall attend
during the hours of study; the name of such person to be signified in writing,
from time to time, by the Secretary of the Royal Academy to the Principal
Librarian of the British Museum. [9] That the members of the Royal Academy have
access to the Gallery of Antiquities at all admissible times, upon application
to the Principal Librarian or the Senior under Librarian in Residence [10] That
on the Fridays in April, May June & July one of the officers of the
Department of Antiquities do attend in the Gallery of Antiquities according to
Rotation in discharge of his ordinary Duty. [11] That in the months of August
& September some one of the several Officers of the Museum, then in
Residence, do (according to a Rotation to be agreed upon by themselves &
confirmed by the Principal Librarian) attend on the Gallery upon the Days for
the admission of Students. [12] That the attendants in the Department of
Antiquities be always present in the Gallery during the times when the Students
are admitted. 72 Footnotes The original register is held in the Keeper’s
Office, Department of Prints and Drawings, British Museum. Patrick Joyce,
“Speaking up for the State” (2014),
https://www.opendemocracy.net/ourkingdom/patrick-joyce/ speaking-up-for-state.
These points are made in light of a larger research project, which has given
rise to the present study: a biographical survey of all the students of
paintings, sculpture, and engraving who were active at the Royal Academy
schools between its foundation in 1769 and 1830 together with a monograph,
provisionally titled The Talent of Success: The Royal Academy Schools in the
Age of Turner, Blake and Constable, c. 1770–1840 (forthcoming). This fuller
survey indicates several important shifts over these decades, including a
fundamantal shift in the proportion of students coming from family
backgrounds in the arts and design-oriented trades, in comparison with those
coming from professional and genteel backgrounds. It exposes, specifically, a
new group whose fathers were engaged as “officers”, in the civil service or
bureaucratic roles, who in turn had a disproportionate representation within
the developing art establishment (as Academicians, or as officials in other
cultural bodies). The term “art world”, as designating a space of
co-production, stems from Howard S. Becker, Art Worlds (1984), rev. edn
(Berkeley, CA: University of California Press, 2008). As deployed here, it is
closer in conception to the sociological “field” as detailed by Pierre Bourdieu
across a succession of influential works. Notable among these, for present
purposes because of its methodological statement about the homological analysis
of the world (field) of art in relation to the field of power, is The Rules of
Art, trans. Susan Emanuel (Cambridge: Polity Press, 1996), esp. 214–15. See,
notably, the chapter on “Workers in Art” in Samuel Smiles’s Self-Help, first
published 1859 with numerous further editions. On the self-motivated artist as
the model for all forms of work, see Angela McRobbie, Be Creative: Making a
Living in the New Culture Industries (Cambridge: Polity Press, 2016), esp. 70–76.
Holger Hoock, The King’s Artists: The Royal Academy of Arts and the Politics of
British Culture, 1760–1840 (Oxford: Oxford University Press, 2003) and Hoock,
“The British State and the Anglo-French Wars Over Antiquities, 1798–1858”,
Historical Journal 50, no. 1 (2007): 49–72. Patrick Joyce, The Rule of Freedom:
Liberalism and the Modern City (London: Verso, 2003) and Joyce, The State of
Freedom: A Social History of the British State Since 1800 (Cambridge: Cambridge
University Press, 2013); also his “What is the Social in Social History?”, Past
and Present 206, no. 1 (2010): 213–48. On this Foucauldian framing of art
education and creative production within liberalism, see McRobbie, Be Creative,
71–76 and passim. Karl Polanyi, The Great Transformation: The Political and
Economic Origins of Our Time (1944; Boston, MA: Beacon Press, 2002); Michel
Foucault, The Birth of Biopolitics: Lectures at the Collège de France,
1978–1979, ed. Michel Sennelert, trans. Graham Burchell (Basingstoke: Palgrave
Macmillan, 2008); Luc Boltanski and Eve Chiapello, The New Spirit of
Capitalism, trans. Gregory Elliott (London and New York: Verso, 2007); Pierre
Bourdieu, On the State: Lectures at the Collège de France, 1989–1992, ed.
Patrick Champagne and others, trans. David Fernbach (Cambridge: Polity Press,
2014). See Edward Higgs, Identifying the English: A History of Personal
Identification 1500 to the Present (London: Bloomsbury, 2011), 97–119. Higgs’s
account is, essentially, positive about the liberties and rights secured by this
rising documentation. The position taken here is more determinedly Foucauldian.
For the foundational role of statistics in “liberalisation”, and the hidden
affinities between the liberal and the totalitarian, see Michael Foucault,
“Society Must Be Defended”: Lectures at the Collège de France, 1975–76, ed.
Mauro Bertani and Alessandro Fontana, trans. David Macey (London: Penguin,
2004). Foucault, Birth of Biopolitics, 69. A biographical dictionary of Royal
Academy students from 1769–1830. See note 3, above. Jacques Rancière, The
Method of Equality: Interviews with Laurent Jeanpierre and Dork Zabunyan,
trans. Julie Rose (Cambridge: Polity Press, 2016), 108. Neil Chambers, Joseph
Banks and the British Museum: The World of Collecting, 1770–1830 (London: Routledge,
2007), 107. The register is mentioned in the notice of Seymour Kirkup in G. E.
Bentley, Blake Records, 2nd edn (New Haven, CT, and London: Yale University
Press, 2004), 289n. Kirkup was an unusually assiduous student at the Museum,
admitted in 1809 and renewing his ticket through to 1812. The reference in
Bentley appears to be the only published reference to the register. The
admission of the Paytherus sisters to draw at the Museum is noted by James
Hamilton in his London Lights: The Minds that Moved the City that Shook the
World, 1805–51 (London: John Murray, 2007), 72, although with reference to the
early Reading Room register (marked “1795”) in the British Museum Central
Archive, rather than the volume in Prints and Drawings. See J. T. Smith, Nollekens
and his Times, 2 vols., 2nd edn (London: Henry Colburn, 1829), 1: 242. Viccy
Coltman, Classical Sculpture and the Culture of Collecting in Britain since
1760 (Oxford: Oxford University Press, 2009), 242–44. See B. F. Cook, The
Townley Marbles (London: British Museum Press, 1985) and Ian Jenkins,
Archaeologists and Aesthetes in the Sculpture Galleries of the British Museum,
1800–1939 (London: British Museum Press, 1992). Chambers, Joseph Banks, 107. 1
2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 Derek Cash, “Access to Museum
Culture: The British Museum from 1753 to 1836”, British Museum Occasional
Papers 133 (2002), 68.
http://www.britishmuseum.org/research/publications/research_publications_series/2002/
access_to_museum_culture.aspx. The British Museum, Central Archive,
C/1/5/1029–30. Library of the Royal Academy of Arts, London, CM/4/50–52.
Library of the Royal Academy of Arts, London, CM/4/59. The British Museum,
Central Archive, C/1/5/1034. The British Museum, Central Archive,
C/1/5/1043–144. Cf. “Chapter III: Concerning the Admission into the British
Museum”, in Acts and Votes of Parliament, Statutes and Rules, and Synopsis of
the Contents of the British Museum (London, 1808), 15–16. Joseph Farington, The
Diary of Joseph Farington, ed. Kenneth Garlick, Angus Macintyre, and others, 17
vols. (New Haven, CT, and London: Yale University Press, 1978–98), 9: 3284.
Library of the Royal Academy of Arts, London, GM/2/366, 370. Library of the
Royal Academy of Arts, London, GM/2/371. Library of the Royal Academy of Arts,
London, GM/2/372–73. Diary of Joseph Farington, 9: 3313. Diary of Joseph
Farington, 9: 3317. Diary of Joseph Farington, 9: 3284. The British Museum,
Central Archive, C/3/9/2426. The British Museum, Central Archive, C/3/9/2428.
The British Museum, Central Archive, C/1/5/1069. The British Museum, Central
Archive, C/1/5/1070. The arrangement of the galleries was first detailed in a
written description provided by Westmacott for Prince Hoare’s Academic Annals
(London, 1809) and in Taylor Combe’s A Description of the Ancient Marbles in
the British Museum, 3 vols. (London, 1812–17). See Cook, Townley Marbles,
59–61. Karl Friedrich Schinkel, “The English Journey”: Journal of a Visit to
France and Britain in 1826, ed. David Bindman and Gottfried Riemann (New Haven,
CT, and London, 1993), 74. The record of admissions to view prints and drawings
must have arisen from the new regulations issued by the Trustees in November
1814; see, Antony Griffiths, “The Department of Prints and Drawings during the
First Century of the British Museum”, The Burlington Magazine 136, 1097 (1994):
536. In March 1817 the student artist William Bewick wrote to his brother: “I
last Monday set my name down as a student in the British Museum.” See Thomas
Landseer, ed., Life and Letters of William Bewick (Artist), 2 vols. (London:
Hurst and Blackett, 1871), 1: 37. Edward Nygren, “James Ward, RA (1769–1859):
Papers and Patrons”, Walpole Society 75 (2013): 16. Jack Tupper, “Extracts from
the Diary of an Artist. No.V”, The Crayon, 12 December 1855, 368. An album of
drawings of the Townley Marbles in the British Museum (2010,5006.1877.1–40)
appears to have been collected by Townley himself, so dates to before the
installation of the marbles at the Museum. The drawings serve as records of the
objects rather than student exercises. The drawings by John Samuel Agar in the
Getty Research Institute are evidently preparatory for the prints published in
Specimens of Antient Sculpture. BL Add MS 37,163 f.106. This and other figures
in the Townley collection could also be found as casts in the Royal Academy’s
plaster schools, so even if Wood’s drawing, for example, could be traced, it
could not definitively be said to be made in the Townley Gallery. See Ann
Chumbley and Ian Warrell, Turner and the Human Figure: Studies of Contemporary
Life, exh. cat. (London: Tate Gallery, 1989), 12–13. Eric Shanes, Young Mr
Turner: The First Forty Years, 1775–1815 (New Haven, CT, and London: Yale
University Press, 2016), 33–34. Hansard (House of Commons), 16 February 1821,
c.724 (online at http://hansard.millbanksystems.com/commons/
1821/feb/16/british-museum). See Cash, “Access to Museum Culture”, 197–225 for
a full account of public discussions around this date. Quoted in Cash, “Access
to Museum Culture”, 208. British Museum: Returns to two Orders of the
Honourable House of Commons, dated 16 th February 1821, House of Commons, 23
February 1821, 2. Cash “Access to Museum Culture”, 71. Quoted in The Literary
Chronicle, 17 March 1821, 168. Edward Edwards, Lives of the Founders of the
British Museum (London: Trübner and Co., 1870), 520. 20 21 22 23 24 25 26 27 28
29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52
Bibliography Acts and Votes of Parliament, Statutes and Rules, and Synopsis of
the Contents of the British Museum. London, 1808. Becker, Howard S. Art Worlds
(1984). Rev. edn. Berkeley, CA: University of California Press, 2008. Bentley,
G. E. Blake Records. 2nd edn. New Haven and London: Yale University Press,
2004. Boltanski, Luc, and Eve Chiapello. The New Spirit of Capitalism. Trans.
Gregory Elliott. London and New York: Verso, 2007. See Martin Myrone,
“Something too Academical: The Problem with Etty”, in William Etty: Art and
Controversy, ed. Sarah Burnage, Mark Hallett, and Laura Turner (London: Philip
Wilson, 2011), 47–59. The barest and most conjectural biographies include those
for William Carr of New Broad Street; W. W. Torrington; Edward Thomson; Richard
Moses; and Mr Lewer. Information is most notably lacking for the trio of Miss
Cowper, Miss Moula, and Mr Turner of Gower Street; William Hamilton of Stafford
Place; William Irving of Montague Street; Thomas Williams of Hatton Garden;
Daniel Jones; M. Hatley of Albermarle Street; Miss Edgar; Miss Carmichael of
Granville Street; Mr Atwood; Mr Higgins of Norfolk Street; George Pisey of
Castle Street; Charles White of George Street; Robert Walter Page of Wigmore
Street; Henry A. Matthew; Thomas Welsh; and John Hall. Students were entered as
“probationers” for a period of three months (which might be extended), and once
registered could attend the Schools for a period of ten years. Ralph Irvine;
Arthur Champernowne; the Chevalier de Barde; John Disney; John Campbell; Edward
Utterson; John Lambert; Robert Batty; Alexander Huey; Richard Thomson; Charles
Toplis; John Frederick Williams; Edward Burrows; William Carr; W. W.
Torrington. Jane Landseer; Janet Ross; Georgiana Ross; the two Misses
Paytherus; H. Edgar; Maria Singleton; Elizabeth Appleton; Louisa Champernowne;
Miss Carmichael; Elizabeth Batty; Frances Edwards; Eliza Kempe; Ann Damer; Miss
Cowper; Miss Moula; Miss Trotter; Miss Adams; Sarah Newell; Emma Kendrick; Jane
Gurney. Gentleman’s Magazine (1820) and A Trip to Paris in August and September
(1815), quoted by William T. Whitley in his Art in England, 1800–1820 (London:
Medici Society, 1928), 263, as evidence that “It was still thought improper for
women to study from such figures” as the Apollo Belvedere. Cash, “Access to
Museum Culture”, 113. As the American Samuel F. B. Morse (a student at the
Royal Academy and the British Museum) noted in 1811: “I was surprised on
entering the gallery of paintings at the British Institution, at seeing eight
or ten ladies as well as gentlemen, with their easels and palettes and oil
colours, employed in copying some of the pictures. You can see from this
circumstance in what estimation the art is held here, since ladies of
distinction, without hesitation or reserve, are willing to draw in public.” See
Edward Lind Morse, ed., Samuel F. B. Morse: His Letters and Journals, 2 vols.
(Boston, MA: Houghton Mifflin, 1914), 1: 45. Lists of students admitted to copy
at the British Institution appear in the Directors’ minutes, NAL RC V 12–14,
and in contemporary press reports. Individuals admitted to copy at Dulwich Picture
Gallery were routinely listed in the “Bourgeois Book of Regulations” from 1820;
photocopies and notes at Dulwich Picture Gallery, C1 and H3. This is expecially
clearly expressed in James Ward’s diary notes on his visits in 1817, meeting
there the artists William Skelton, Joseph Clover, Henry Fuseli, and William
Long, but also the gentlemen collectors and scholars William Lock, Edward
Utterson, and Francis Douce (Nygren, “James Ward”). See Cash, “Access to Museum
Culture”, 217 and passim. Although the timing of the Academy’s evening classes
might seem to be more accommodating, even this may have been challenging. The
master of Richard Westall, later a watercolour painter, “permitted him to draw
at the Royal Academy, in the evenings; but for that indulgence he worked a
corresponding number of hours in the morning”. Gentleman's Magazine, February
1837, 213. Diary of Joseph Farington, 4: 4783. On educational tests as linking
“macro” and “micro”, “both sectoral mechanisms or unique situations and
societal arrangements”, see Boltanski and Chiapello, New Spirit of Capitalism,
32. See Pierre Bourdieu, Pascalian Meditations, trans. Richard Nice (Stanford,
CA: Stanford University Press, 2000). “Acts of nomination, from the most
trivial acts of bureaucracy, like the issuing of an identity card, or a
sickness or disablement certification, to the most solemn, which consecrate
nobilities, lead, in a kind of infinite regress, to the realization of God on
earth, the State, which guarantees, in the last resort, the infinite series of
acts of authority certifying by delegation the validity of the certificates of
legitimate existence”, Bourdieu, Pascalian Meditations, 245. The potentially
trivial nature of the acts of nomination involved in gaining access to the
British Museum is highlighted in Joseph Planta’s own account of providing
recommendations (for the Reading Room) often only on the basis of casual
conversations. See Cash, “Access to Museum Culture”, 207. Report of the Select
Committee on Arts and Manufactures, House of Commons, 4 September 1835, 40.
Report of the Select Committee on the British Museum, quoted in Edward Edwards,
Remarks on the “Minutes of Evidence” Taken before the Select Committee on the
British Museum, 2nd edn (London [1839]), 14. McRobbie, Be Creative. The British
Museum, Central Archive, C/1/5/1043–144. 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65
66 67 68 69 70 71 72 Bourdieu, Pierre. On the State: Lectures at the Collège de
France, 1989–1992. Ed. Patrick Champagne and others. Trans. David Fernbach.
Cambridge: Polity Press, 2014. – – –. Pascalian Meditations. Trans. Richard
Nice. Stanford, CA: Stanford University Press, 2000. – – –. The Rules of Art.
Trans. Susan Emanuel. Cambridge: Polity Press, 1996. Cash, Derek. “Access to
Museum Culture: The British Museum from 1753 to 1836.” British Museum
Occasional Papers 133 (2002)
http://www.britishmuseum.org/research/publications/research_publications_series/2002/
access_to_museum_culture.aspx Chambers, Neil. Joseph Banks and the British
Museum: The World of Collecting, 1770–1830. London: Routledge, 2007. Chumbley,
Ann, and Ian Warrell. Turner and the Human Figure: Studies of Contemporary
Life. London: Tate Gallery, 1989. Coltman, Viccy. Classical Sculpture and the
Culture of Collecting in Britain since 1760. Oxford: Oxford University Press,
2009. Combe, Taylor. A Description of the Ancient Marbles in the British
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British Museum. London: Trübner and Co., 1870. – – –. Remarks on the “Minutes
of Evidence” Taken before the Select Committee on the British Museum. 2nd edn.
London [1839]. Farington, Joseph. The Diary of Joseph Farington. Ed. Kenneth
Garlick, Angus Macintyre and others. 17 vols. New Haven and London: Yale
University Press, 1978–98. Foucault, Michel. The Birth of Biopolitics: Lectures
at the Collège de France, 1978–1979. Ed. Michel Sennelert. Trans. Graham
Burchell. Basingstoke: Palgrave Macmillan, 2008. – – –. “Society Must Be
Defended”: Lectures at the Collège de France, 1975–76. Ed. Mauro Bertani and
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Illustrations of Character and Conduct. London: John Murray, 1859. Smith, J. T.
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Jack. “Extracts from the Diary of an Artist. No.V.” The Crayon, 12 December
1855. Whitley, William T. Art in England, 1800–1820. London: Medici Society,
1928. Massimo Carboni. Keywords: tratto dalla vita, estetica, arte,
icona, parola, immagine, filosofia antica, il concetto dell’antico, l’antico –
l’antico e il moderno – drawing from the antique – antico – filosofia antica,
arte antica, statuaria antica, the lure of the antique – il gusto e l’antico
--. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Carboni” – The Swimming-Pool Library.
levi:
filosofo italiano - Italian philosopher of Jewish descent. Author of “Storia
della filosofia romana.”
giornale
critico della filosofia italiana.
Giovanni
d. “Positivismo italiano.”
cassiodoro: noble
Italian philosopher. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Cassiodoro," per
Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia
casalegno,
paolo. Italian philosopher author of “H. P. Grice” in “Filosofia del
linguaggio.”
cattaneo:
essential Italian philosopher. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e
Cattaneo," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia.
Grice e Carchia – ars amandi – filosofia
romana – Luigi Speranza (Torino). Grice:”I once joked that if I’m introduce
dto Mr. Poodle as ‘our man in eighteenth century aesthetics, the implictum is
that he ain’t good at it! Not with Carchia: because (a) Carchia is a serious
philosopher (b) he conceives aesthetics alla Baumagarten, having to do with
communication (“nome e immagine”,
“interpretazione ed emancipazione”) and with not just the aesthetis qua sensus
– but its truth value (“immagine e verita,” “l’intelligible estetico”) – a
genius! On topc, my favourite piece of his philosophising is on the torso del
belvedere as representing the ‘rhetoric of the sublime’!” Si laurea a Torino
sotto Vattimo con la dissertazione “Il Linguaggio”. Insegna a Viterbo e Roma. Studioso
di filosofia antica, traduttore. Opere: Orfismo e tragedia; Estetica ed
erotica; Dall'apparenza al mistero; La legittimazione dell'arte; Arte e
bellezza; L'estetica antica, ecc. Si è
anche occupato, di arte e comunicazione dei popoli 'primitivi' e di artisti
contemporanei quali Savinio, Sbarluzzi e Lanzardo. La casa editrice Quodlibet
raccoglie le sue opere postume. Rusce ad immaginare la filosofla, a porla in
immagini -- nel solco della filosofia italiana dall'Umanesimo a Vico. Minima
immoralia. Aforismi tralasciati nell'edizione italiana (Einaudi, 1954), Milano:
L'erba voglio); Comunità e comunicazione (Torino: Rosemberg & Sellier); prefazione
e cura di Henry Corbin, L'imâm nascosto, Milano: Celuc, 1979; Milano: SE); Orfismo
e tragedia. Il mito trasfigurato, Milano: Celuc); Estetica e antropologia. Arte
e comunicazione dei primitivi, Torino : Rosemberg & Sellier); Erotica.
Saggio sull'immaginazione, Milano: Celuc) L'intelligibile (Napoli: Guida);
Dall'apparenza al mistero. La nascita del romanzo, Milano: Celuc); Il mito in
pittura. La tradizione come critica, Milano: Celuc); cura di Arnold Gehlen,
Quadri d'epoca. Sociologia e estetica della pittura moderna, Napoli: Guida) Retorica
del sublime, Roma-Bari: Laterza); Il bello (Bologna: Il Mulino); Interpretazione
ed emancipazione. Torino: Dipartimento di ermeneutica); introduzione a Karl
Löwith, Scritti sul Giappone, Soveria Mannelli: Rubbettino); “La favola
dell'essere. Commento al Sofista” (Macerata: Quodlibet); Estetica, Roma-Bari:
Laterza); L'estetica antica, Roma-Bari:
Laterza); L'amore del pensiero, Macerata: Quodlibet); Nome e immagine (Benjamin,
Roma: Bulzoni); Immagine e verità. Studi sulla tradizione classica, Monica
Ferrando, prefazione di Sergio Givone, Roma: Edizioni di storia e letteratura,
2003 88-8498-112-3 Kant e la verità
dell'apparenza, Gianluca Garelli, Torino: Ananke, 2006 88-7325-151-X introduzione a Walter Friedrich
Otto, Il poeta e gli antichi dèi, Rovereto: Zandonai. L’immaginazione
come orizzonte nomade della conoscenza. Produttività e trascendentalità
dell’immaginazione nella critica del giudizio. L’immaginazione senza immagini.
La notte delle immagini, il ricordo, la memoria. L’immaginazione come
autotrasparire dell’apparenza rappresentativa. Naturalismo simbolico e
simbolica naturale. Angelologia. Alighieri: spiritus phantasticus e alta
fantasia. Gemellarità dell’immaginazione gnostica. L’immaginazione speculativa.
Simbolismo e imagismo. Il fantastico come ideologia. Il romantico.
L’immaginazione come dimora del padre. Demone e allegoria. La forza del nome.
Icona e coscienza sofianica. Mistica. Mimesi e metessi. La nuova accademia:
l’estetico. Paradigma, schema, immagine. Gianni Carchia. Keywords: ars
amandi, erotica, il bello, la comunicazione dei primitivi. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Carchia” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51775426728/in/dateposted-public/
Grice e Cardano – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Pavia). Filosofo. Grice: “I’m sure Cardano does not mean chance
by aleae! It’s a Roman notion, not an Arabic one!” Grice: “Cardano is a
fascinating philosopher, but then so is I [sic]!” Grice: “My faavourite
philosophical topic by Cardano is what he calls, well, his Italian translators
call – recall that Italian philosophy is written in the ‘learned’! – ‘gioco
d’azzardo’, ludo alaea – which is what conversation is – what is conversation
is not a game of azzardo? But Cardano also refutes all that Malcolm says about
‘dreaming,’ never mind Freud – Italians are obsessed with a male sleeping:
Rinaldo, Tasso, Botticelli (“sleeping Mars”), not to mention the search for the
Etruscan equivalent to ‘oneiron,’ the god – one of my most precious souvenirs
is a little medal of Cardano: not so much for his very Roman nose (charming as
it is) but for the backside, which represents Oneiron, indeed, aong the
ladies!” Poliedrica figura del Rinascimento. Riconosciuto come il fondatore della
probabilità, coefficiente binomiale e teorema binomial. A lui si deve anche la
parziale invenzione dell’ implicatura e della serratura, della sospensione
cardanicache permette il moto libero, ad esempio, delle bussole nautiche ed è
alla base del funzionamento del giroscopioe della riscoperta del giunto
cardanico. Animos scio esse immortales, modum nescio. So che l'anima è
immortale, ma non ho capito come funzioni la cosa. Figlio del nobile Fazio, un
giurista esperto nella matematica tanto da essere consultato da da Vinci su
alcuni problemi di geometria. Fazio conobbe a Milano la vedova, madre di
tre figli, Chiara Micheri (o de Micheriis) di cui s'innamora iniziando con
questa, che vive con la famiglia del defunto marito, una relazione clandestina
che porta al concepimento di un quarto figlio. Per non essere coinvolto nello
scandalo prega un suo amico di Pavia, il patrizio Isidoro Resta, affinché
assumesse Chiara come governante nella sua casa. Prima che lei partorisse, i
suoi tre figli morirono quasi contemporaneamente di peste e lei tenta allora di
abortire, senza riuscirci, del nascituro che ebbe il nome di Gerolamo e che
lasciò scritto nella sua autobiografia. Dopo che mia madre tenta senza
risultato dei preparati per abortire, vengo alla luce a Pavia. Come morto,
infatti, sono nato, anzi sono stato strappato al suo grembo, con i capelli neri
e ricciuti. Il bambino contrasse la peste dalla sua balia, che ne morì, e fu
allevato da altre nutrici. E trasferito a Milano dal padre che anda ad abitare
con lui solo quando ha solo sette anni, età in cui prese ad accompagnare il
padre nei suoi viaggi d'affari. Essendo delicato di salute, si ammala gravemente.
Solo dopo una lunga convalescenza poté riprendere a viaggiare con il padre
dedicandosi nel frattempo agli studi di filosofia, nei quali ha modo di eccedere
per le sue doti quando puo iscriversi a Pavia e Mantova per studiare filosofia,
contrariamente ai desideri del padre che avrebbe preferito avviarlo agli studi giuridici.
Lasciata Milano in preda alla peste e sconvolta dalla guerra francese, si
trasfere a Padova e si laurea a Venezia. E oggetto dell'astio che molti tutori
hanno nei confronti di quello tutee geniale ma dal carattere scontroso e talora
offensive. Sono poco rispettoso e non ho peli sulla lingua, soprattutto mi
lascio trascinare dall'ira, al punto che poi mi dispiace e me ne vergogno. Riconosco
che tra i miei vizi ce n'è uno molto grande e tutto particolare: quello di non
riuscire a trattenermianzi ne gododal dire a chi mi ascolta ciò che gli risulta
sgradevole udire. Persevero in questo difetto coscientemente e volontariamente,
pur sapendo quanti nemici da solo mi abbia procurator. Nel frattempo a Milano e
morto il padre che ha regolarizzato la sua convivenza sposando la madre del
filosofo. Non potendo tornare a Milano per l'epidemia e la guerra, prese
dimora a Piove di Sacco. Esercita la sua professione a Gallarate. Ottenne
la cattedra per l'insegnamento della filosofia presso le scuole Piattine di
Milano, dove aveva insegnato anche il padre. La sua fama di esperto dottore si
accrebbe per aver risanato alcuni membri della famiglia Borromeo. Dovette
rifiutare alcuni incarichi di prestigio perché non retribuiti fino a quando e ammesso
nel Collegio dei medici di Milano. Accetta di ricoprire la cattedra di
filosofia a Pavia, rifiutando le offerte che gli venivano reiterate dal papa Paolo
III. Cura, con esiti positivi, l'arcivescovo di Edimburgo John Hamilton, malato
d'asma. Intuì probabilmente la natura allergica della malattia proibendo a
Hamilton di usare cuscini e materassi di piume. Per aumentare la sua fama volle
fare l'oroscopo all'arcivescovo e al re, e lesse nelle stelle un futuro radioso
per entrambi. Hamilton fu impiccato quasi subito dai riformatori. Il re muore
di tubercolosi. Rifiuta le prestigiose e ben retribuite offerte del re di
Francia e della regina di Scozia. Colpito da un doloroso avvenimento
riguardante il figlio Giovanni Battista, medico anche lui, che, nonostante gli
avvertimenti del padre, aveva voluto sposare una donna povera e di cattivi
costume. Per necessità economiche il figlio coabita dai parenti della moglie
avviando una convivenza caratterizzata dalla nascita successiva di tre figli e
da continui litigi dovuti anche alle infedeltà della moglie che egli decise di
uccidere, con la complicità di una serva, facendole mangiare una focaccia
avvelenata con l'arsenico. Arrestato subito per uxoricidio, il figlio confessa
il delitto e dopo un veloce processo, nonostante la difesa con tutti i mezzi
messa in atto dal padre, fu condannato alla decapitazione. Gerolamo, convinto
che la durezza della condanna fosse dovuta all'invidia dei suoi colleghi, per
sfuggire alle malevole voci che lo accusavano di intrattenere rapporti illeciti
con i suoi tutee, si trasfere a Bologna. Venne ulteriormente amareggiato dalla
condotta scapestrata del figlio Aldo che lo diffama per tutta la città e che
arriva a derubarlo così che il padre dovette denunciarlo alle autorità che
espulsero il figlio dal territorio bolognese. A questa disgrazia si aggiunse
inaspettata la notizia che si stava preparando contro di lui un'accusa di
eresia tanto che il cardinale Giovanni Morone gli consigliò di lasciare il
pubblico insegnamento della filosofia. Questa misura prudenziale non valse però
a salvare Gerolamo che fu arrestato per eresia assieme al suo tutee Rodolfo
Silvestri che non volle abbandonare il tutore. Non si conoscono le accuse
che gli erano rivolte dall'Inquisizione. Tuttavia si era distinto per una certa
imprudenza nei confronti della Chiesa, governata dal severo Papa Pio V, per
aver compilato un oroscopo di Gesù, la cui vita così sarebbe stata decisa dalle
stelle, scritto l'encomio di Nerone, persecutore dei cristiani, e soprattutto
per i suoi confidenziali rapporti con i circoli protestanti frequentati dal suo
tuteei, dal genero e dall'editore e tipografo dei suoi libri. Nonostante le
testimonianze a suo favore di quasi tutti i suoi tutee, Cardano fu messo in
carcere e poi agli arresti domiciliari sino a quando la Sacra Congregazione
tramite l'inquisitore di Bologna gli impose la professione dell'abiura prima in
forma grave (de vehementi) coram populo e successivamente in forma meno
infamante (coram congregationem). Si sottopose docilmente alla abiura
promettendo in una lettera a papa Pio V di non insegnare più pubblicamente
filosofia (la cattedra all'università gli era stata intanto tolta) e di non
pubblicare altre opere. Lasciata Bologna Cardano si trasfere, sotto la
diretta protezione di Pio V, a Roma dove fu ben accolto ma gli fu negata una
pensione che gli fu invece assegnata da Gregorio XIII che era stato suo tutee a
Bologna..E ammesso al Collegio romano. Si dedica alla composizione della sua
autobiografia De vita propria. Il punto focale della sua filosofia è il
concetto rinascimentale di “uomo universale" che dà alla sua ricerca della
verità un contenuto enciclopedico. Scrive più di duecento opere che solo in
parte furono pubblicate nel XVI secolo e che, altrettanto parzialmente, confluirono
nei dieci volumi della monumentale “Opera omnia” dove si trattano temi di
metafisica, omosessualita, mascolinita, il machio, il maschile, la medicina,
scienze naturali, matematica, astronomia, scienze occulte, tecnologia. Egli,
che si occupa anche della interpretazione dei sogni, della chiromanzia, della
numerologia, del paranormale rende difficile distinguere nella sua filosofia il
contenuti moderno del sapere dalle tradizioni metafisiche e magiche del
passato. Vuole arrivare a una sistemazione unitaria della molteplicità dei
saperi così che la nostra incerta conoscenza eviterebbe la confusione se
potesse discendere dall'uno ai molti. Ma questo obiettivo, di origine neo-platonica,
sfugge però all'uomo il quale allora è preferibile che occupi il suo intelletto
in quei campi dove riesce, quasi come un dio creatore o ‘genitore’ – o
ingegnero, a fare le cose. Questo avviene nell’aritmetica che si incarna
nell'esperienza in un rapporto astratto-concreto la cui definizione ancora non
è in grado di elaborare Dopo aver analizzato nel “De subtilitate” i
molteplici principi delle cose naturali e artificiali, si rivolge allo studio di
tutto l'universo e delle sue parti (De rerum varietate), che concepisce come
legate da sim-patia (attrazione) e anti-patia (repulsione) fra gli astri e
l'uomo) e connessioni che consentono al filosofo, che conosce il linguaggio
della natura e gli effetti degli influssi astrali sulla vita sessuale umana, di
compiere quei "miracoli naturali" che sono le magie, di elaborare
previsioni astrologiche e di stendere gli oroscopi delle religioni come quello
dedicato a Cristo. Il contributo in matematica Noto soprattutto per
i suoi contributi all'aritmetica, pubblica le soluzioni dell'equazione
cubica e dell'equazione quartica nella sua “Ars magna”. Parte della soluzione
dell'equazione cubica gli era stata comunicata da Tartaglia. Successivamente
questi sostenne che Cardano aveva giurato di non renderla pubblica e di rispettarla
come di sua origine. Si avvia così una disputa che dura un decennio. Cardano sostenne
di averne pubblicato il testo solo quando era venuto a sapere che il Tartaglia
avrebbe appreso la soluzione dalla voce dal bolognese Scipione del Ferro. La
soluzione di Tartaglia, pur essendo successiva a quella di Scipione Dal Ferro
(comunque mai pubblicata), risulta essere indipendente da questa. La soluzione della
equazione cubica è detta comunque di Cardano-Tartaglia. L'equazione quartica
venne invece risolta da Lodovico Ferrari, un tutee di Cardano. Nella prefazione
dell'“Ars Magna” vengono accreditati sia Tartaglia che Ferrari. Nei suoi sviluppi
delle soluzioni occasionalmente si serve del concetto di numero complesso, ma
senza riconoscerne l'importanza come invece saprà fare Bombelli. Nell'ambito
della scienza medica, l'esempio di Vesalio, che negli stessi anni aveva
contestato l'anatomia galenica, spinse Cardano a definire Galeno un cattivo
interprete di Ippocrate. Le sue critiche a Galeno erano comunque presentate
come parte integrante di un tentativo di recuperare una tradizione ancora più
antica e, si presumeva, più autentica. Fu il primo a descrivere la febbre
tifoide. Venne invitato in Scozia a curare l'Arcivescovo di Sant'Andrea che
soffe di asma probabilmente d'origine allergica. Seguendo i precetti di
Maimonide riusce a guarirlo utilizzando delle cure modernissime per l'epoca:
eliminare piume e polvere e mantenere una dieta controllata. Al ritorno dalla
Scozia si ferma a Londra, dove incontrò il re d'Inghilterra per il quale
redasse un oroscopo secondo il quale prospetta Edoardo VI una lunga vita
seppure turbata da alcune malattie. La sua fama di si diffuse in Inghilterra
tanto da interessare Shakespeare che nella "Tempesta" rappresenta un
personaggio molto simile a Cardano ed inoltre una prova della sua
perdurante popolarità può essere vista nel fatto che un’edizione del suo ‘De
Consolatione’ è proprio il libro che Amleto tiene in mano quando recita il suo
celeberrimo monologo ‘Essere o non essere’. De subtilitate e il libro che
Amleto tiene in mano all'inizio del secondo atto, quando Polonio gli domanda
cosa stia leggendo e lui risponde: "parole, parole, parole". Progetta
inoltre svariati meccanismi tra i quali: la serratura a combinazione; la
sospensione cardanica, consistente in tre anelli concentrici collegati da
snodi, in grado di ospitare una bussola o un giroscopio, garantendo la libertà
di movimento dello strumento; il giunto cardanico, dispositivo che consente di
trasmettere un moto rotatorio da un asse a un altro di diverso orientamento e
viene tuttora usato in milioni di veicoli. Ma pare fosse già conosciuto, anche
se porta il suo nome perché appare nella sua opera De Rerum Varietate in una illustrazione navale. L'invenzione di
questo tipo di giunto in realtà risale almeno al III secolo a.C., ad opera di
scienziati greci come Filone di Bisanzio, che nella sua opera Belopoiika lo
descrive chiaramente. Egli dette svariati contributi anche all'idrodinamica. Sostene
l'impossibilità del moto perpetuo, con l'eccezione dei corpi celesti. Pubblica
anche due opere enciclopediche di scienze naturali che contengono un'ampia
varietà di invenzioni, fatti ed enunciati afferenti all'occultismo e alla
superstizione: il De Subtilitate e successivamente il De Varietate. Introdusse
la griglia cardanica, un procedimento crittografico.A Cardano è attribuito
anche il gioco rompicapo descritto nel De subtilitate, ma probabilmente
risalente a un periodo più antico, chiamato Gli anelli di Cardano. Altre opere:
Della sua vita avventurosa e molto travagliata, rimane testimonianza nella sua
autobiografia. Ebbe spesso problemi di denaro e per cavarsela si dedicò ai giochi
d'azzardo per i quali ha una vera passione di cui si pente. Così ho dilapidato
contemporaneamente la mia reputazione, il mio tempo e il mio denaro. (zeugma –
segnato da ‘dilapidare’ – denaro, dilapidare il suo tempo, dilapidare la sua
reputazione. Pubblica un saggio sulle probabilità nel gioco, “De ludo aleae”
che contiene la prima trattazione sistematica della probabilità, insieme a una
sezione dedicata a metodi per barare efficacemente. Oltre alla produzione
dialettica, di carattere più strettamente filosofico sono invece il De
subtilitate e il De rerum varietate, ampie raccolte delle sue osservazioni
empiriche e delle sue speculazioni occultistiche. Della sua produzione
filosofica sterminata possono considerarsi come le opere più importanti:
De malo recentiorum medicorum usu libellus, Venezia, 1536 (medicina). Practica
arithmetice et mensurandi singularis, Milano. Artis magnae sive de regulis algebraicis
liber unus (conosciuta anche come Ars magna), Nuremberg. De immortalitate. Opus
novum de proportionibus. Contradicentium medicorum. De subtilitate rerum,
Norimberga, editore Johann Petreius (fenomeni naturali). De libris propriis, De
restitutione temporum et motuum coelestium; De duodecim geniturarum -- commento
astrologico a dodici nascite illustri. De rerum varietate, Basilea, editore
Heinrich Petri. Fenomeni naturali. De signo. De causis, signis, ac locis
Morborum. Bologna. Opus novum de proportionibus numerorum, motuum, ponderum,
sonorum, aliarumque rerum mensurandarum. Item de aliza regula, Basilea (matematica).
De vita propria. Proxeneta (politica). Metoscopia libris tredecim, et octingentis
faciei humanae eiconibus complexa, Liber de ludo aleae, postumo (probabilità).
Le sue opere vennero raccolte e pubblicate a Lione in 10 volumi. L’Encomio di Nerone. A lui
è dedicato il cratere lunare Cardano e un asteroide. È intitolato a lui
l'Istituto "G. Cardano" della
sua città natale, nel cui cortile interno è posta una scultura che rappresenta
il giunto cardanico, nonché infine l'omonimo collegio universitario
pavese. La blockchain "Cardano" (ADA) prende il suo nome, in
quanto basata su un approccio scientifico e matematico. Della mia vita. Somniorum
synesiorum omnis generis insomnia explicantes (Basilea). tti del Convegno, Castello
Visconti di San Vito, Somma Lombardo, Varese ed. Cardano); Università Bocconi.
Equazione di terzo grado" Il
Rinascimento. Omeopatia e allergie, Tecniche Nuove); Cardano, Edizioni Cardano,
Il Prospero della "Tempesta” somiglia tanto a Cardano in Corriere. La
tecnologia scientifica, in La rivoluzione dimenticata: il pensiero scientifico
greco e la scienza moderna, Feltrinelli Editore); Il libro della mia vita, Cerebro
editore); Della mia vita, Alfonso Ingegno, Serra e Riva editori, Milano). La
formula segreta. Il duello matematico che infiammò l'Italia del Rinascimento. ileae,
per Ludouicum Lucium); “De propria vita” (Milano, Sonzogno). Lugduni, sumptibus
Ioannis Antonii Huguetan & Marci Antonii Ravaud. Aforismi (Milano, Xenia).
Palingenesi. Dizionario biografico degli italiani. Il filosofo quantistico.
L’avventure di Cardano, filosofo e giocatore d'azzardo (Bollati Boringhieri, Torino
Edizione); “La mia vita” (Milano, Luni). Che sfortuna essere un genio. Indice
delle Opera omnia Volume 1 Frontespizio Lettera dedicatoria Praefatio Vita
Cardani per Gabrielem Naudaeum Testimonia Elenchus
generalis Index librorum tomi primi Previlege du roy 1.1De
vita propria Le redazioni del 1544, 1557 e 1562
(Archivio) 1.2De libris propriis (Archivio) 1.3De Socratis studio
(Archivio) 1.4Oratio ad I. Alciatum Cardinalem sive Tricipitis Geryonis aut
Cerberi canis (Archivio) 1.5Actio in Thessalicum medicum (Archivio)
1.6Neronis encomium (Archivio) 1.7Podagrae encomium (Archivio) 1.8Mnemosynon (Archivio)
1.9De orthographia (Archivio) 1.10De ludo aleae (Archivio) 1.11De
uno (Archivio) 1.12Hyperchen (Archivio) 1.13Dialectica (Archivio)
1.14Contradictiones logicae (Archivio) 1.15Norma vitae consarcinata, sacra
vocata (Archivio) 1.16Proxeneta (Archivio) 1.17De praeceptis ad
filios (Archivio) 1.18De optimo vitae genere (Archivio) 1.19De
sapientia (Archivio) 1.20De summo bono (Archivio) 1.21De
consolatione (Archivio) 1.22Dialogus Hieronymi Cardani et Facii Cardani
ipsius patris (Archivio) 1.23Dialogus Antigorgias seu de recta
vivendi ratione (Archivio) 1.24Dialogus Tetim seu de humanis consiliis
(Archivio) 1.25Dialogus Guglielmus seu de morte (Archivio) 1.26De minimis
et propinquis (Archivio) 1.27Hymnus seu canticum ad Deum (Archivio) Indice
rerum Volume 2 Frontespizio Index librorum tomi 2.1De
utilitate ex adversis capienda (Archivio) 2.2De natura (Archivio) 2.3Theonoston
seu de tranquilitate (Archivio) 2.4Theonoston seu de vita producenda (Archivio)
2.5Theonoston seu de animi immortalitate (Archivio) 2.6Theonoston seu de
contemplatione (Archivio) 2.7Theonoston seu hyperboraeorum historia (Archivio)
2.8De immortalitate animorum (Archivio) 2.9De secretis (Archivio)
2.10De gemmis et coloribus (Archivio) 2.11De aqua (Archivio) 2.12De
vitali aqua seu de aethere (Archivio) 2.13De aceti natura (Archivio)
2.14Problemata (Archivio) 2.15Se la qualità può trapassare di subbietto in
subbietto (Archivio) 2.16Discorso del vacuo (Archivio) De
fulgure liber unus Indice rerum Volume
3 Frontespizio Index librorum tomi 3.1De rerum
varietate (Archivio) 3.2De subtilitate (Archivio) 3.3In calumniatorem
librorum de subtilitate (Archivio) Indice rerum Volume
4 Frontespizio Index librorum tomi 4.1 De numerorum
proprietatibus (Archivio) 4.2Practica arithmeticae (Archivio)
4.3Libellus qui dicitur, Computus minor (Archivio) 4.4Ars
magna (Archivio) 4.5Ars magna arithmeticae (Archivio) 4.6De
aliza regula (Archivio) 4.7Sermo de plus et minus (Archivio)
4.8Geometriae encomium (Archivio) 4.9Exaereton
mathematicorum (Archivio) 4.10De proportionibus (Archivio)
4.11Operatione della linea (Archivio) 4.12Della natura de principii et
regole musicali (Archivio) Volume
5 Frontespizio Index librorum tomi 5.1De restitutione
temporum et motuum coelestium (Archivio) 5.2De providentia ex anni
constitutione (Archivio) 5.3Aphorismorum astronomicorum segmenta
septem (Archivio) 5.4In Cl. Ptolemaei de astrorum iudiciis (Archivio)
5.5De septem erraticarum stellarum qualitatibus atque viribus (Archivio)
5.6De iudiciis geniturarum (Archivio) 5.7De exemplis centum
geniturarum (Archivio) 5.8Geniturarum exempla (Archivio) 5. De
interrogationibus (Archivio) 5.10De revolutionibus (Archivio) 5.11De
supplemento almanach (Archivio) 5.12Somniorum synesiorum (Archivio)
5.13Astrologiae encomium (Archivio) Volume 6 Frontespizio Index
librorum tomi 6.1 Medicinae encomium (Archivio) 6.2De sanitate
tuenda (Archivio) 6.3Contradicentium medicorum (Archivio) Volume
7 Frontespizio Index librorum tomi 7.1De usu ciborum (Archivio)
7.2De causis, signis ac locis morborum (Archivio) 7.3De
urinis (Archivio) 7.4Ars curandi parva (Archivio) 7.5 De methodo
medendi (Archivio) 7.6De cina radice (Archivio) 7.7De sarza
parilia (Archivio) 7.8Disputationes per epistolas liber
unus (Archivio) 7.9De venenis (Archivio) 7.10In librum Hippocratis de
alimento commentaria (Archivio) Volume 8 Frontespizio Index
librorum tomi 8.1In librum Hippocratis de aere, aquis et locis
commentaria (Archivio) 8.2In septem aphorismorum Hippocratis commentaria (Archivio)
8.3In Hippocratis coi prognostica commentaria (Archivio) Volume
9 Frontespizio Index librorum tomi 9.1In librum
Hippocratis de septimestri partu commentaria (Archivio) 9.2Examen XXII.
aegrorum Hippocratis (Archivio) 9.3Consilia (Archivio) 9.4De
dentibus (Archivio) 9.5De rationali curandi ratione (Archivio) 9.6De
facultatibus medicamentorum (Archivio) 9.7De morbo regio (Archivio)
9.8De morbis articularibus (Archivio) 9.9Floridorum libri sive
commentarii in Principem Hasen (Avicenna) (Archivio) 9.10Vita
Ludovici Ferrarii (Archivio) 9.11Vita Andreae Alciati (Archivio)
Volume 10 Frontespizio Index librorum tomi 10.1De arcanis
aeternitatis (Archivio) 10.2Politices seu Moralium liber
unus (Archivio) 10.3Elementa Graeca (Archivio) 10.4De
inventione (Archivio) 10.5 De naturalibus viribus (Archivio) 10.6 De
musica (Archivio) 10.7Artis arithmeticae tractatus de
integris (Archivio) 10.8Expositio Anatomiae Mundini (Archivio) 10.9In
libros Hippocratis de victu in acutis commentaria (Archivio) 10.10In
libros epidemiorum Hippocratis commentaria (Archivio) 10.11De
epilepsia (Archivio) 10.12De apoplexia (Archivio) 10.13De
humanis civilibus successionibus (Paralipomena) (Archivio) 10.14De humana
perfectione (Paralipomena) (Archivio) 10.15Peri thaumason seu de
admirandis (Paralipomena) (Archivio) 10.16De dubiis naturalibus
(Paralipomena) (Archivio) 10.17De rebus factis raris et artificiis
(Paralipomena) (Archivio) 10.18De humana compositione naturalium
(Paralipomena) (Archivio) 10.19De mirabilibus morbis et symptomatibus
(Paralipomena) (Archivio) 10.20De astrorum et temporum ratione et
divisionibus (Paralipomena) (Archivio) 10.21De mathematicis quaesitis
(Paralipomena) (Archivio) 10.22Historiae lapidum, metallicorum et
metallorum (Paralipomena) (Archivio) 10.23Historiae animalium
(Paralipomena) (Archivio) 10.24Historiae plantarum
(Paralipomena) (Archivio) 10.25De anima (Paralipomena) (Archivio)
10.26De dubiis ex historiis (Paralipomena) (Archivio) 10.27De clarorum
virorum vita et libris (Paralipomena) (Archivio) 10.28De hominum
antiquorum illustrium iudicio (Paralipomena) (Archivio) 10.29De usu
hominum et dignotione eorum, tum cura et errore (Paralipomena) (Archivio)
10.30De sapiente (Paralipomena) (Archivio) Indice rerum. De
vita propria. De libris propriis. De Socratis studio. Oratio ad I. Alciatum
Cardinalem sive Tricipitis Geryonis aut Cerberi canis. Actio in Thessalicum
medicum. Neronis encomium. Podagrae encomium. Mnemosynon. De orthographia. De
ludo aleae. De uno. Hyperchen. Dialectica. Contradictiones logicae. Norma vitae
consarcinata, sacra vocata. Proxeneta. De praeceptis ad filios. De optimo vitae
genere. De sapientia. De summo bono. De consolatione. Dialogus Hieronymi
Cardani et Facii Cardani ipsius patris. Dialogus Antigorgias seu de recta
vivendi ratione. Dialogus Tetim seu de humanis consiliis. Dialogus Guglielmus
seu de morte. De minimis et propinquis. Hymnus seu canticum ad Deum. De
utilitate ex adversis capienda. De natura. Theonoston seu de tranquilitate.
Theonoston seu de vita producenda. Theonoston seu de animi immortalitate.
Theonoston seu de contemplatione. Theonoston seu hyperboraeorum historia. De
immortalitate animorum. De secretis. De gemmis et coloribus. De aqua. De vitali
aqua seu de aethere. De aceti natura. Problemata. Se la qualità può trapassare
di subbietto in subbietto. Del vacuo. De fulgure. De rerum varietate. De
subtilitate. In calumniatorem librorum de subtilitate. De numerorum
proprietatibus. Practica arithmeticae. Libellus qui dicitur, Computus minor.
Ars magna. Ars magna arithmeticae. De aliza regula. Sermo de plus et minus.
Geometriae encomium. Exaereton mathematicorum. De proportionibus. Operatione
della linea. Della natura de principii et regole musicali. De restitutione
temporum et motuum coelestium. De providentia ex anni constitutione.
Aphorismorum astronomicorum segmenta septem. In Cl. Ptolemaei de astrorum
iudiciis. De septem erraticarum stellarum qualitatibus atque viribus. De
iudiciis geniturarum. De exemplis centum geniturarum. Geniturarum exempla. De
interrogationibus. De revolutionibus. De supplemento almanach. Somniorum
synesiorum. Astrologiae encomium. Medicinae encomium. De sanitate tuenda.
Contradicentium medicorum. De usu ciborum. De causis, signis ac locis morborum.
De urinis. Ars curandi parva. De methodo medendi. De cina radice. De sarza
parilia. Disputationes per epistolas. De venenis. In librum Hippocratis de
alimento commentaria. In librum Hippocratis de aere, aquis et locis
commentaria. In septem aphorismorum Hippocratis commentaria. In Hippocratis coi
prognostica commentaria. In librum Hippocratis de septimestri partu
commentaria. Examen XXII. aegrorum Hippocratis. Consilia. De dentibus. De
rationali curandi ratione. De facultatibus medicamentorum. De morbo regio. De
morbis articularibus. Floridorum libri sive commentarii in Principem Hasen
(Avicenna). Vita Ludovici Ferrarii. Vita Andreae Alciati. De arcanis
aeternitatis. Politices seu Moralium. Elementa Graeca. De inventione. De
naturalibus viribus. De musica. Artis arithmeticae tractatus de integris.
Expositio Anatomiae Mundini. In libros Hippocratis de victu in acutis
commentaria. In libros epidemiorum Hippocratis commentaria. De epilepsia. De
apoplexia. Paralipomena. De humanis civilibus successionibus. De humana
perfectione. Peri thaumason seu de admirandis. De dubiis naturalibus. De rebus
factis raris et artificiis. De humana compositione naturalium. De mirabilibus
morbis et symptomatibus. De astrorum et temporum ratione et divisionibus. De
mathematicis quaesitis. Historiae lapidum, metallicorum et metallorum.
Historiae animalium. Historiae plantarum. De anima. De dubiis ex historiis. De
clarorum virorum vita et libris. De hominum antiquorum illustrium iudicio. De
usu hominum et dignotione eorum, tum cura et errore. De sapiente.Hieronymus
Cardanus. Hieronimo Cardano. Gerolamo Cardano. Keywords: masculinity, machio –
maschile, Prospero, De signo, De signis, de Casis, signis, ac locis Morborum,
ten volumes of “Opera omnia” analytic index – he wrote about almost everything
– including logic, dialettica, metafisica, psicologia, anima, fisionomia,
same-sex, he criticised Galenus for not realizing the distinction that at 14, a
puer becomes an adolescent – his oeuvre is being examined in masculinity
studies – masculinity Italian, Bolognese masculinity. He claimed that Bolognese
males were ‘tasteful’ and underrated compared to Milaenese or Florentine males
– he lived all over the place – he had many tutees, whose names survive – he
was possibly paranoid – Silvestri was his best known tutee –analytic index of
“Opera Omnia” -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Cardano” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690241000/in/photolist-2mQH692-2mNaHiH-2mNb16r-2mN597t-2mN2qNc-2mPxhsE-2mKFZMJ
Grice e Cardano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lumellogno). Filosofo. lombardia -- Grice: “If
William was called Ockham, I should be called Harborne, and Petrus Lombardia!”
-- Pietro Lombardo rappresentato in una
miniatura a decorazione di una littera notabilior di un manoscritto Pietro
Lombardo o Pier Lombardo (Lumellogno di Novara, 1100Parigi, 1160 circa) teologo
e vescovo italiano. Nacque a Novara o nei dintorni (a Lumellogno esiste
una lapide su di una casa che risorda il luogo della nascita) , all'inizio del
XII secolo. Ricevette la sua prima formazione teologica a Bologna, dove acquisì
una perfetta conoscenza del Decretum Gratiani. Dopo il 1136 si recò a Reims e
poi a Parigi, dove fino alla sua elevazione alla sede vescovile di questa città
(1159) insegnò teologia. Almeno una volta in questo periodo, tra il 1145 e il
1153, si recò alla corte pontificia, dove venne a conoscenza della traduzione
del De fide orthodoxa di Giovanni Damasceno, compiuta da Burgundio Pisano per
incarico di Eugenio III. Quasi certamente nel 1147 fu uno dei teologi che nel
sinodo parigino presero posizione contro Gilberto Porretano. Dopo un
breve episcopato (1159-1160) morì il 21 o 22 luglio del 1160 (non del 1164). Il
suo epitaffio si conservò nella chiesa di Saint Marcel fino alla Rivoluzione
francese. Dante lo nomina in Paradiso, X, 106-108. Oltre ai commenti
all'opera di Paolo di Tarso e ai Salmi, la sua opera maggiore rimane il Liber
Sententiarum (Libro delle Sentenze), scritta fra il 1150 ed il 1152 e per la
quale ottenne l'appellativo di Magister Sententiarum. Sebbene il testo rientri
in un genere letterario tipico della teologia medievale, ossia l'esposizione
delle sentenze delle autorità di fede (i padri della chiesa ed i riferimenti
biblici) l'opera del Lombardo, per l'ampiezza delle fonti e la sua originalità,
diverrà il testo di riferimento per la didattica nelle facoltà di teologia e
l'elaborazione letteraria nello stesso campo fino alla fine del XVI secolo.
Egli infatti attinge ad una vasta letteratura in merito, adottando anche testi
che normalmente non erano contemplati in queste composizioni, come Il De fide
ortodoxa di Giovanni Damasceno. Con la sua opera il Lombardo tenta di
sistematizzare e armonizzare la disparità e le divergenze che la pluralità
delle auctoritates aveva generato, dando luogo ad un certo scompiglio
ermeneutico e dottrinale. Riprendendo la classica distinzione agostiniana tra
signa e res, Lombardo afferma che il motivo delle divergenze non appartiene
alla natura delle cose trattate, bensì alla metodologia esegetica. Il
testo si divide in quattro parti: la prima tratta di Dio, della sua
natura e dei suoi attributi; la seconda delle creazione degli angeli, del mondo
e dell'uomo sino al peccato originale; la terza dell'incarnazione cristica e
della promessa della Grazia; la quarta dei sacramenti. Anche lo sviluppo del
testo mantiene la distinzione tra res (le prime tre parti) e signa (l'ultima)
Lo stile del Lombardo snoda l'esposizione delle sentenze coll'eleganza
dialettica di tipo anselmiano mantenendosi aderente al rispetto delle varie auctoritates
anche riguardo o stile letterario col quale egli opera una volontaria
mimesi. Il testo venne criticato sin dalla sua prima uscita per via del
cosiddetto nichilismo cristologico. Lombardo descrive infatti l'incarnazione
nei termini di assumptus homo, ossia la persona divina del Cristo avrebbe
assunto una natura umana (accessoriamente). Ciò contrastava con la
determinazione di origine boeziana per la quale la natura cristologica traeva
la sua forma da un sinolo unico di divino ed umano. Note Per approfondimenti vedere: Nicola Abbagnano,
Storia della filosofia, II, pag.30 e
seg. Novara, Istituto Geografico de Agostini, 2006 per Gruppo Editoriale
l'Espresso, Roma (I contenuti di questo volume sono tratti da: Nicola
Abbagnano, Storia della filosofia I, II,
III, quarta edizione, Torino, Utet, 1993 e Nicola Abbagnano, Dizionario di
Filosofia, terza edizione aggiornata ed ampliata da Giovanni Fornero, Torino,
Utet 1998) Nicola Abbagnano, Storia
della filosofia, II, pag. 37 e seg.
Novara, Istituto Geografico de Agostini, 2006 per Gruppo Editoriale l'Espresso,
Roma (I contenuti di questo volume sono tratti da: Nicola Abbagnano, Storia
della filosofia I, II, III, quarta
edizione, Torino, Utet, 1993 e Nicola Abbagnano, Dizionario di Filosofia, terza
edizione aggiornata ed ampliata da Giovanni Fornero, Torino, Utet 1998) Marcia L. Colish, Peter Lombard, Leiden,
Brill, 1994 (due volumi). Pietro Lombardo. Atti del XLIII Convegno storico
internazionale : Todi, 8-10 ottobre 2006, Spoleto, Fondazione Centro italiano
di studi sull'alto Medioevo, 2007.
Minuscule 714il manoscritto del Nuovo Testamento e di
"Sententiae". Libri Quattuor Sententiarum Scolastica (filosofia)
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Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Pietro Lombardo, su
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versione) / Pietro Lombardo (altra versione) / Pietro Lombardo (altra versione)
/ Pietro Lombardo (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere
di Pietro Lombardo, . su Pietro
Lombardo, su Les Archives de littérature du Moyen Âge. Pietro Lombardo, in
Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.
Sofia Vanni Rovighi, Pietro Lombardo, in Enciclopedia dantesca, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1970. Petrus Lombardus, Opera Omnia dal Migne
Patrologia Latina con indici analitici.Hugh Chisholm , Peter Lombard, in
Enciclopedia Britannica, XI, Cambridge University Press. Refs.: Luigi Speranza,
“Philosophical psychology in the commentaries of Pietro Lombardo and Grice,”
per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia. Lombardia Grice: “It is strange that he was called Piero da Lombardia;
it would be like ‘a lad from shropshire.’ ‘Lombardia,’ unlike Ockham, ain’t a
townbut a full regionIt’s different with ‘veneto,’ which is toponymic and
metonymic for Venice. But if Milano was the main ever settlement in Lombardia
this would be “Peter, the one from Milan.” Lombardo Pietro Lombardo Lumellogno
Cardano – Grice: “It’s only natural that he was Pietro Cardano – after the city
in Lombardy, Cardano – Plus, the implicature that he went by “Peter of
Lombardy” having been born in Piemonte, means that the locals never saw him as
one of their own!” -- Pietro Cardano –
la stirpe Cardano 1600 --. Familia patrizia di Novara. Pietro Cardano. Keywords: Cardano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cardano” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51775966110/in/dateposted-public/
Grice e
Cardia – il laico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo. Grice: “Cardia is what I would call the Italian Hart – with a tweak –
Italy and religion is Cardia’s forte – recall that the bishop of Rome has the
roots in the ‘pontifex’ of old Rome, so he knows what he’s talking about!” –
Grice: “Like me, Cardia has philosophised, as what the Italians call a
professore di filosofia del diritto, on the ethical versus legal implicatures
of the very idea of a ‘right’ (diritto). We don’t have that economy of
vocabulary in Engish – calling Hart the professor of right would be
unnacepptable at Oxford!”. Si laurea a Roma. Clifton has chapel services and a
focus on Christianity. This is the Chapel: here, my son, Your father thought
the thoughts of youth, And heard the words that one by one The touch of Life has
turn'd to truth. Here in a day that is not far, You too may speak with noble
ghosts Of manhood and the vows of war You made before the Lord of Hosts. The
magnificent Chapel sits at the heart of Clifton both spiritually and physically
and has played an important part of life. Topped by a striking copper-clad
lantern and built from soft red and honey-coloured stone, the Chapel provides
Christian calm, and forms a powerful link between past and present. It is a
place where the community come to mark milestones and celebrate successes, and
for quiet contemplation or spiritual guidance. Brass plates placed on the
back of the staff stalls mark the names of all those who have carved out a
reputation. High on the walls are memorials of pupils of another age who died
by accident or disease serving the Empire. One bears the moving epitaph ‘A good
life hath but few days but a good name endureth forever.’ The Chapel was built to a design by C. Hansom.
It is a narrow aisleless building. It is the gift of the widow of W. J. Guthrie.
Hansom is given permission to quarry sufficient stone from the grounds of
Clifton for the purposes of the Chapel building". The Chapel building is
licensed by the Bishop of Gloucester and Bristol. Stato,
Chiese e pluralismo confessionale Rivista telematica (www.statoechiese.it)
settembre 2007 ISSN 1971- 8543 Nicola Colaianni (ordinario di Diritto
ecclesiastico nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di
Bari) Quale laicità * Con questo libro Carlo Cardia si affaccia sul versante
polemistico della letteratura giuridica con la maestria affinata attraverso una
copiosa produzione saggistica e con la non comune versatilità che negli ultimi
anni lo ha portato ad occuparsi dei problemi di tutela non solo delle
confessioni religiose ma anche dei diritti umani. I bersagli della polemica
sono indicati nel sottotitolo: etica, multiculturalismo, islam, non in sé
naturalmente ma in quanto declinati in maniera rispettivamente relativistica,
separatistica, fondamentalistica. Capaci cioè di esaltare le identità oltre
ogni limite e di attentare, quindi, a quello “stato laico sociale” che, dopo
secoli di storia travagliata e i totalitarismi del secolo breve, a cavallo del
nuovo millennio ha trionfato un po’ dovunque in Europa e in tutto l’occidente.
Questo carattere ben si coglie secondo l’autore nella “rivincita dei
concordati”. Un fenomeno effettivamente impressionante, tanto più perché si
inserisce in un trend favorevole alle relazioni con le confessioni, da cui non
prendono le distanze neanche l’Unione europea, in base ad una dichiarazione
allegata al trattato di Amsterdam, e la Francia della Loi de séparation,
secondo le proposte della commissione governativa Machelon1 . Da esso Cardia
deduce che lo stato è ormai amico delle religioni, che contribuisce attivamente
a sottrarre all’irrilevanza degli affari privati e a reimmettere nel circuito
pubblico, relegando l’ostilità del laicismo ottocentesco nel museo della
memoria. * Recensione a C. CARDIA, Le sfide della laicità. Etica,
multiculturalismo, islam, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2007, pp. 202,
destinata alla pubblicazione sulla rivista “Laicità”, Torino, n. 3 del 2007.
1 Cfr. F. MARGIOTTA BROGLIO, su Reset, n. 102/2007. Stato, Chiese e
pluralismo confessionale Rivista telematica (www.statoechiese.it) settembre
2007 ISSN 1971- 8543 2 Dal quale non varranno a riesumarla le “guerricciole”,
rinfocolate dal “micro-massimalismo” di chi spera di “rivivere un po’
dell’epopea del passato” e non si accorge che ormai lo stato italiano gli accordi
li fa anche con confessioni non cattoliche e, peraltro, non è l’unico ad
integrare le scuole private e confessionali nel sistema scolastico, ad
assicurare l’insegnamento religioso confessionale nelle scuole pubbliche, a
finanziare lautamente la chiesa cattolica ma anche le altre confessioni.
L’agile sintesi storico-politica, condotta nella prima metà del libro, consente
a Cardia di avallare questa laicità realistica, che ad altri2 è sembrata più
propriamente “praticistica”. A quella stregua l’autore tratta con sufficienza i
rinnovati contrasti tra stato e chiesa (che pure sono al centro delle
preoccupazioni di altri libri coevi3 ) tanto quanto con drammaticità le sfide
suindicate. A cominciare dal multiculturalismo, che in effetti nella versione
spinta si presenta sotto la forma di un comunitarismo senza coesione. Il
“fascino discreto” che in molti differenzialisti suscitano gli statuti
personali, di medioevale o ottomana memoria, è giustamente visto come una
relativizzazione della laicità: a vantaggio, in particolare, dell’islam.
Ovviamente Cardia è severo con la “partita giocata su due tavoli”: non si può
invocare la laicità contro i “simboli e la memoria del cristianesimo” e a
favore di quelli dell’islam, per cui “verrebbero estromessi i crocifissi, ma
sarebbero ammessi il velo e la preghiera degli islamici”. Ma i termini del
paragone sono omogenei solo apparentemente: il crocifisso fa problema per la
laicità non se portato addosso al corpo, se fa parte del libero abbigliamento
dei cittadini (come il velo o altri segni religiosi), ma in quanto esposto
autoritativamente, cioè imposto, negli spazi pubblici, scolastici, giudiziari.
In effetti, è tutta la seconda parte del libro a risentire di questa
drammatizzazione impressa ai vari scenari. Islam versus cristianesimo. Di là un
sistema chiuso ad ogni interpretazione evolutiva, un’identità fissa e
immutabile, di qua una religione tollerante, aperta all’interpretazione
storico-critica dei testi sacri e alla laicità, la quale in essa sarebbe
addirittura “germinata”. La schematizzazione diventa 2 Per esempio
a P. BELLINI nel libro coevo Il diritto d’essere se stessi. Discorrendo
dell’idea di laicità. 3 Come quelli di G. ZAGREBELSKY, Lo stato e la
chiesa, o di E. BIANCHI, La differenza cristiana, o di G.E. RUSCONI, Non
abusare di Dio. Stato, Chiese e pluralismo confessionale Rivista
telematica (www.statoechiese.it) settembre 2007 ISSN 1971- 8543 3 inevitabile.
In realtà, l’involuzione della seconda metà del XX secolo, a parte i fanatismi
e i terrorismi, non è riuscita a spegnere le numerose voci laiche dell’islam
moderno4 né, a livello istituzionale, ad annullare, pur frenandola,
l’applicazione negli stati islamici di una legge non religiosa, il kanun, “nel
senso laico di ‘legge di stato’ (…) in contrapposizione alla sharī ‘a” 5 .
D’altro canto, bisogna riconoscere che abbiamo tutti sovracaricato il detto
evangelico “Quae sunt Caesaris Caesari, quae sunt Dei Deo” di un significato
improprio e anacronistico, in termini appunto di laicità, che nessun biblista ha
mai potuto avallare (vorrei ricordare qui almeno Giuseppe Barbaglio, che ci ha
lasciato pochi mesi fa: nel suo La laicità del credente non cita mai il
versetto di Matteo). Storicamente poi, anche a voler retrodatare – seguendo
Ernst-Wolfgang Böckenförde6 - alla lotta delle investiture l’inizio del
processo di secolarizzazione, non v’è dubbio che per secoli la chiesa ha
sostenuto la supremazia del potere spirituale ratione peccati o salutis anche
nella sfera mondana. E al giorno d’oggi la più netta distinzione degli ordini
formulata dal Concilio non sta impedendo il tentativo di informare la
legislazione italiana al magistero ecclesiastico: è la chiesa dei no alla
procreazione medica assistita (divieto dell’eterologa, della diagnosi
preimpianto dell’embrione), al testamento biologico, visto come anticamera di
pratiche eutanasiche, al riconoscimento pubblico di unioni civili in qualsiasi
forma (pacs, dico, cus, ecc.), emblematicamente (a luglio alla Camera) al
richiamo del principio di laicità come fondamento di una legge sulla libertà di
religione (che pur non tocca la chiesa cattolica). Neanche Cardia indulge su
questi punti. Il suo no è altrettanto netto. In nome della laicità e contro il
relativismo etico. Ma poiché su quei punti, con varie sfumature, il pensiero
laico (di non credenti e agnostici ma anche di credenti) è per il sì, è
evidente che ci si trova davanti ad una diversa concezione della laicità. Tanto
rispettabile nei suoi riferimenti eteronomi, divini o naturali e perciò antichi
o “ancestrali”, quanto incapace di far capire - per dirla con Jürgen
Habermas7 - “quale ruolo e significato i fondamenti giuridici
secolarizzati della costituzione possono avere per una società 4
Cfr. l’antologia di P. BRANCA e quelle più recenti di V. COLOMBO. 5 Così
ne Il linguaggio politico dell’Islam B. LEWIS, studioso fra i più citati nel
libro. 6 Cfr. E.-W. BÖCKENFÖRDE, Diritto e secolarizzazione. 7 Cfr.
J. HABERMAS, Il futuro della natura umana. Stato, Chiese e pluralismo
confessionale Rivista telematica (www.statoechiese.it) settembre 2007 ISSN
1971- 8543 4 postsecolare”, come la nostra. In una democrazia necessariamente
relativistica (se, al contrario, fosse assolutistica non sarebbe democrazia,
insegna Kelsen) la laicità alimenta norme non di supremazia ma di compatibilità,
espressive di una vocazione non paternalistica, ma responsabilizzante, nei
rapporti tra stato e cittadini: visti non come meri educandi, da guidare nelle
scelte etiche in base a valori esterni, ma come persone responsabili delle loro
scelte nella propria autonomia e capaci di mediarle alla ricerca di quella
“giusta”8 . Una laicità pluralistica e perciò non espressiva di una sola
cultura ma interculturale (come dovrebbe porsi ormai tutto il diritto secondo
Otfried Höffe9 ). Le cui sfide, e il libro di Cardia stimola ad intraprendere
questo percorso di riflessione, non vengono da una parte sola. 8 In
questo senso rilegge il da mi factum, dabo tibi ius S. RODOTÀ, La vita e le
regole. 9 Cfr. O. HÖFFE, Globalizzazione e diritto penale. LA LAICITA’
IN ITALIA (Carlo Cardia) (Convegno Giuristi cattolici, 9 dicembre 2006)
Sommario. Premessa. 1. La laicità in Italia tra conflitto e moderazione. 2.
Laicismo, intransigenza cattolica, isolamento culturale. 3. Dai Patti
Lateranensi al modello costituzionale di respiro europeo. 4. La crisi della
laicità. Laicità ed etica. 5. Cultura laica e questione islamica. 6. Laicità e
multiculturalismo. Ambiguità e prospettive. Premessa. E’ mia intenzione
soffermarmi sulle problematiche attuali della laicità in Italia, anche perché
sono diverse e complesse. Però, penso sia necessario dare spazio a qualche
riflessione storica che ci aiuti a comprendere meglio le questioni che abbiamo
di fronte nel tempo presente. Si tratta, più che di una analisi organica, di
spunti ricostruttivi utili a cogliere alcune costanti della nostra tradizione.
Ho avvertito questa esigenza perché l’esperienza italiana ha un tratto
caratteristico che non si rinviene altrove, avendo dato vita nello spazio di
poco più di un secolo a tre tipologie diverse di relazioni ecclesiastiche: una
laico-separatista, una di tipo concordatario neo-confessionista, e quella
costituzionale che poi si è evoluta nel quadro di una Europa che ha finito per
seguire il nostro modello. Infine, l’Italia sta vivendo una vera crisi della
laicità, in rapporto alla questione etica, e al multiculturalismo, ed è entrata
in quella globalizzazione dei rapporti tra religione e società che riguarda
l’Occidente nel suo complesso. Quindi, l’esperienza italiana non è
comprensibile all’interno di un solo orizzonte storico-culturale, mentre
l’analisi deve mantenere un respiro più ampio e saper individuare delle linee
trasversali di riflessione, dei fili conduttori che chiariscano il percorso
storico complessivo che si è compiuto. 1. La laicità in Italia tra conflitto e
moderazione Il primo filo conduttore che voglio privilegiare è il rapporto che
si è determinato tra conflitto e moderazione, tra correnti estreme del pensiero
laico, e di quello cattolico, e soluzioni storico- 2 normative che sono state
adottate. La storiografia più accreditata ci ha abituati a interpretare questo
rapporto a tutto favore della conflittualità e a discapito della moderazione.
Ancora oggi il conflitto tra Stato e Chiesa è considerato un tratto eminente
della storia italiana, il punto focale che illumina tutto il resto. Il processo
di unificazione nazionale viene letto alla luce del contrasto tra laici e
cattolici, della fine del potere temporale, della prevalenza della
modernizzazione sul conservatorismo cattolico. Anche l’epoca autoritaria che dà
vita ai Patti Lateranensi è vista in chiave di rivincita cattolica e di
sconfitta laica, come un rovesciamento di fronte rispetto all’epoca liberale.
Questa interpretazione resta valida perché permette di capire tante pagine
della nostra storia nazionale, ma può essere integrata con un’altra chiave di
lettura che aiuti a vedere anche i chiaro-scuri, i toni più morbidi, della
storia italiana. Questa chiave di lettura è quella della moderazione e
dell’equilibrio che, pur nelle vicende aspre che conosciamo, ha segnato la
storia italiana. L’Italia è stata moderata ed equilibrata nel separatismo, in
parte nel sistema concordatario del 1929, in modo speciale nella elaborazione
della Costituzione. Quando parlo di moderazione non intendo esaltare il
carattere per così dire compromissorio generalmente riconosciuto alla genti
italiche. Mi riferisco ad un dato realmente presente nelle nostre leggi, in
ampi settori della cultura laica e di quella cattolica, che ci aiuta a meglio
comprendere la storia e l’evoluzione della laicità in Italia. La moderazione
del periodo separatista si manifesta in tanti modi, ma nell’insieme consente
all’Italia di operare un sottile, solido compromesso con l’anima cattolica del
paese su punti essenziali, ed evita l’affermazione di tendenze francesizzanti
che pure esistono in esponenti della classe dirigente liberale. In Italia non
si afferma mai l’idea della reformatio ecclesiae come obiettivo proprio dello
Stato. L’aspirazione ad una evoluzione della Chiesa è parte integrante del
pensiero laico e dei riformatori cattolici dell’Ottocento, ma da noi non si
trovano tracce significative di quel disegno (tipicamente transalpino) che mira
alla costituzione civile del clero, a stravolgere le strutture ecclesiastiche,
a creare una chiesa nazionale quieta e obbediente al potere civile. La
struttura della Chiesa, gli enti ecclesiastici mantenuti, l’educazione e la
disciplina del clero, non subiscono ingerenze o stravolgimenti diretti a
modificarne la natura. Nel dibattito sulle Facoltà di teologia è il ministro
Correnti che respinge le tentazioni giurisdizionaliste e afferma che lo Stato
non ha “né interesse, né volontà, né facoltà di creare teologi”, che
l’evoluzione della religione è compito della Chiesa, e la “Chiesa troverà in sé
stessa, e solo in se stessa può trovare, la volontà e la forza di ravvicinarsi”
alla modernità. L’unico intervento chirurgico è quello che sopprime le
corporazioni e le congregazioni religiose. Ma anche in questo intervento, che
storicamente si giustifica con la necessità di ridistribuire la grande
proprietà ecclesiastica, non mancano i segni di moderazione, se vogliamo della
dissimulazione. Come quando le comunità religiose si ricostituiscono
progressivamente al riparo delle c.d. frodi pie, che consentono l’utilizzazioni
di proprietà immobiliari messe a disposizione da veri prestanome. Comunque, a
nessuno in Italia è mai venuto in mente di adottare leggi draconiane come
quelle transalpine del 1901 e 1902, la prima che vieta alle congregazioni religiose
non riconosciute l’insegnamento, la seconda che prevede multa e carcere per chi
apra una scuola nella quale insegni anche un solo religioso. Ho sfioato il
problema della scuola, perché su questo terreno si opera il più grande
compromesso italiano, sul quale storici e giuristi si soffermano poco. Alla
laicizzazione della scuola italiana, con la Legge Casati del 1859, non segue la
cancellazione della presenza cattolica nel corpo scolastico pubblico. Se
l’insegnamento religioso viene escluso nelle scuole superiori, rimane però in
quelle elementari. La Legge Coppino del 1877 non dice nulla al 3
riguardo, e questo silenzio, con l’aiuto del Consiglio di Stato, consente di
mantenere l’insegnamento religioso che, ci dice Francesco Scaduto, viene attivato
da quasi tutti i Consigli comunali e seguito dalla totalità delle famiglie
italiane. Neanche si può dire che la questione passi sotto silenzio, perché un
Regolamento del 1908 conferma l’insegnamento religioso, e la Camera respinge
nello stesso anno una mozione di Bissolati che chiede di vietare ogni presenza
religiosa nelle scuole. Molto chiaramente Minghetti compara gli inconvenienti
di una scuola che preveda l’insegnamento religioso a quelli di una scuola che
lo esclude, e afferma che “i primi saranno sempre minori di quelli di una
scuola che dovrebbe essere popolare, ma che senza Dio ripugna alla coscienza
popolare e addiviene atta a soddisfare soltanto una piccola minoranza”. Si può
dire che è poco, invece è moltissimo, perché la scuola elementare è l’unica
vera scuola di massa dell’epoca. Per questa ragione l’Italia separatista ha
operato le grandi riforme della modernità ma ha saputo mantenere un raccordo di
fondo tra il sentire comune della popolazione e una legislazione non aggressiva
e non punitiva. E’ l’Italia laica e separatista che affida ai maestri e alle
maestrine della letteratura dell’Ottocento l’onere di trasmettere elementari ma
importanti valori religiosi e morali nelle nuove generazioni. 2. Laicismo,
intransigenza cattolica, isolamento culturale L’elogio della moderazione non
deve fare aggio sull’altro fattore endemico dell’esperienza italiana, su quella
arretratezza che, in modo diverso, caratterizza alcuni settori della cultura
laica, e della cultura cattolica, e che provoca per lungo tempo un isolamento
rispetto ad altre più avanzate esperienze europee e alla cultura anglosassone,
cioè rispetto al resto del mondo. Mi riferisco alle correnti laiciste che
animano la cultura politica, danno vita al pensiero più autenticamente
anticlericale, rendono la laicità ostile alla religione. Ma anche
all’arroccarsi di quell’intransigenza che frena la capacità di iniziativa dei
cattolici, li estranea a lungo dalla vita politica del Paese. Nel conflitto, e
nel corto circuito, tra intransigenza cattolica e correnti laiciste sta la
radice di una chiusura provinciale che in Italia condiziona a lungo le
relazioni ecclesiastiche. Il radicarsi di queste tendenze immette nella cultura
italiana semi che tornano a fiorire di tanto in tanto. Il laicismo estremo produce
cultura, mentalità, costume, e fa sì che anche da noi come in Francia e in
Spagna, laicità voglia dire tante cose negative: estraniazione della religione
dalla società e dalla dimensione pubblica, ostilità alla scuola privata
nonostante il liberalismo sia altrove il difensore del pluralismo scolastico,
riduzione della Chiesa ad un ambito puramente cultuale. In Italia, come
oltr’Alpe, il termine laico è contrapposto a cattolico, e questa antitesi,
sconosciuta nei paesi anglosassoni, diviene da noi categoria del pensiero e del
linguaggio. Quando faccio riferimento alle tendenze laiciste mi riferisco sia
all’anticlericalismo di matrice ottocentesca che alle correnti culturali di
grande dignità che da Spaventa a Bissolati rivivono poi in Gaetano Salvemini e
in Ernesto Rossi, e che di più aspirano ad una Chiesa riformata, apparentemente
tutta spirituale ma muta sul piano civile e sociale. Queste correnti si
ravvivano quando l’accordo del 1929 tra Chiesa e fascismo di fatto umilia la
laicità, provocando una frattura seria tra la cultura laica ed un cattolicesimo
al quale viene restituito un ruolo di primo piano, ma con il sacrificio di
altre idealità e di altri ruoli. Anche 4 l’intransigenza cattolica
riaffiora più volte nella storia italiana, impedisce a tratti di cogliere le
trasformazioni della società, di discernere gli aspetti positivi dalle spinte
disgreganti, porta all’arroccamento su posizioni che potrebbero essere evitate.
La critica più autentica a questo corto circuito non è diretta alle singole
posizioni radicali che produce, quanto al fatto che da lì è derivato un certo
isolamento rispetto alla cultura anglosassone, rispetto ad altre esperienze
europee, come quelle dell’Olanda, del Belgio e della Germania, dove già
nell’Ottocento maturano equilibri più stabili tra religione e società. Una
conferma di questo provincialismo sta nell’incomunicabilità tra esperienza
italiana ed esperienza statunitense, alla quale pure molti laici si richiamano,
senza mai averla capita e forse conosciuta. Lo stesso Salvemini, che pure
conosceva la società americana, di quell’esperienza evoca sempre e soltanto la
parola separatismo, non i suoi contenuti, né la sua anima pregna di rispetto e
di amicizia verso la religione. Possiamo verificare questa lontananza della
cultura laica rispetto alle correnti del pensiero anglosassone su un
particolare problema, quello della scuola privata, nel quale il liberalismo
italiano si è discostato dai canoni del liberalismo classico per seguire un
indirizzo statalistico destinato a dominare a lungo. C’un dibattito di metà
Ottocento (oggi dimenticato ma molto importante all’epoca) nel quale Domenico
Berti critica quei liberali che per paura di monopolio combattono la libertà di
insegnamento, e afferma che questa trae il suo diritto dall’individuo medesimo,
dalla sua libertà, ed è da annoverarsi tra “gli altri diritti naturali”. E’
Bertando Spaventa che si oppone a Berti ed esplicita la vera ragione della
contrarietà alla scuola privata. La ragione sta nel fatto che “i paladini” del
libero insegnamento finiscono per portare acqua al mulino della “libertà del
papa”, perché in Italia dare via libera alle scuole private vuol dire favorire
la scuola cattolica. Quindi, con grande trasparenza si riconosce che il vero
liberalismo postula la libertà della scuola, ma in Italia questo liberalismo
non è praticabile perché se ne avvarrebbero i cattolici. Insomma, al
liberalismo si ricorre quando fa comodo, altrimenti lo si mette da parte. 3.
Dai Patti Lateranensi al modello costituzionale di respiro europeo In Italia,
però, si ritrova un altro elemento equilibratore che consente di attenuare le
asperità e finisce col favorire le soluzioni strategiche adottate in sede di
Costituente. Parlo di quella questione romana che nessun altro Paese conosce, e
che tocca all’Italia affrontare e risolvere in modo autonomo. Anche su questo
problema vorrei offrire uno spunto ricostruttivo diverso rispetto alla
storiografia prevalente. E’ vero che la questione romana ha costituito il punto
di maggiore attrito tra Stato e Chiesa, ed ha agito come coagulo
dell’intransigenza cattolica e come bersaglio dell’anticlericalismo. Tuttavia,
pur nei termini del conflitto che conosciamo, essa ha rappresentato anche un
elemento equilibratore nel periodo separatista, nel 1929 con la stipulazione
dei Patti Lateranensi, soprattutto all’atto della elaborazione della
Costituzione democratica. Quando parlo di elemento equilibratore intendo dire
che la presenza della Santa Sede ha fatto uscire il meglio di sé dalla classe
dirigente liberale nell’Ottocento, ha attenuato gli effetti che i Patti
Lateranensi hanno avuto sulla società italiana, ha favorito notevolmente il
lavoro che ha 5 portato alla formulazione del disegno costituzionale
complessivo dei rapporti tra Stato e Chiesa. Già nell’Ottocento, la classe
dirigente liberale conferma la propria lungimiranza con quella Legge delle
Guarentigie che, pur temporaneamente, risolve la più grande questione storica
europea, e, dovendo misurarsi con un evento che interessa i cattolici di tutto
il mondo, si rivela capace di ad attenuare, smussare, equilibrare le asperità
del separatismo. Anche nel 1929, quando il Concordato ferisce duramente la
laicità e la cultura laica italiana, la soluzione definitiva del questione
romana stempera il valore politico del patto con il fascismo. Non a caso il
giudizio delle forze politiche antifasciste sui Patti Lateranensi si presenta
come scisso in due: severo e aspro, anche da parte cattolica, nei confronti
dell’accordo politico tra Chiesa e fascismo e del Concordato, ma positivo e
accogliente nei confronti del Trattato del Laterano. Sin dall’inizio Benedetto
Croce approva la soluzione della questione romana, riservando le sue critiche
al Concordato. Ma anche Gaetano Salvemini, durissimo con il Concordato,
riconosce che la questione romana è ben risolta, anzi afferma che ciò che è
stato fatto nel 1929 avrebbero dovuto farlo i liberali nel 1871. Infine, i
programmi elaborati dai leader dell’antifascismo durante la guerra in vista
della ricostruzione del Paese, concordano nel non voler rimettere in
discussione i risultati del Trattato del Laterano. Credo si possa dire che,
senza una questione romana risolta in quel modo nel 1929, forse non avremmo
avuto quel tipo di rapporti con la Chiesa che l’Italia ha elaborato nel 1946-47
e che ha saputo anticipare un modello oggi utilizzato in un numero
considerevole di Paesi europei. Nell’incontro tra le correnti del cattolicesimo
democratico e la maggioranza della cultura laica, l’Italia trova il modo di
abbandonare un certo provincialismo e riesce a parlare un linguaggio europeo,
supera quel corto circuito che l’aveva appesantita a lungo. Le scelte del
costituente non sono riconducibili al solo articolo 7, quanto alla maturazione
di una laicità che è destinata a fare scuola, a prefigurare un modello di Stato
laico sociale che diverrà prevalente nell’Europa che si unisce e conosce la
fine dei totalitarismi. Si tratta di una laicità complessa dove converge il
meglio della tradizione separatista (in materia di libertà religiosa), e dove
il laicismo è superato dal riconoscimento pieno della presenza e del ruolo
sociale della religione. Si abbatte il muro della incomunicabilità tra
religione e società, si conferma e si estende il metodo della contrattazione e
dell’incontro, tra Stato e Chiese; si supera l’ultimo tabù dell’Ottocento, per
il quale nessun culto dovrebbe essere finanziato dallo Stato perché lo
impedirebbero le differenti opinioni religiose dei cittadini. Sul finire del
Novecento questo Stato laico sociale trionfa un po’ dovunque. Non si contano
più i concordati tra Santa Sede e Stati in Europa, che sono oltre 20, come non
si contano più intese, accordi, convenzioni tra Stato e confessioni religiose,
protestanti, ebraica, islamica, e altro ancora. Ma è nel merito delle relazioni
ecclesiastiche che il modello italiano fa scuola in Europa. Dall’Atlantico alla
Russia, ovunque troviamo una laicità fondata su principi comuni: libertà
religiosa, tutelata nel quadro dei diritti umani, riconoscimento delle Chiese
come entità impegnate in molteplici attività, sostegno pubblico alle
confessioni. Insomma, un mixer tra la tradizione nordamericana di amicizia
verso la religione, e la tradizione europea di contrattazione e reciproca
integrazione. Tanto solido è questo nuovo orizzonte di laicità sociale che
ormai in Europa si discute di riforma dei rapporti tra Stato e Chiesa soltanto
in Inghilterra e nei Paesi protestanti del nord, dove ancora esistono Chiese
ufficiali sottomesse e apparentate alle dinastie regnanti. 6 4. La crisi
della laicità. Laicità ed etica La laicità, invece, torna di attualità e vive
una crisi di cui non siamo ancora pienamente consapevoli, su terreni nuovi e in
editi, come quelli dell’etica e del multiculturalismo. Si tratta di fenomeni
molto diversi, perché nel primo caso siamo di fronte ad un uso indebito, quasi
una strumentalizzazione, del concetto di laicità, nel secondo assistiamo ad un
pericoloso arretramento dei valori più intimi dello Stato laico. Non entro nel
merito del rapporto tra etica e diritto. Non è oggetto della mia relazione, non
è possibile neanche sfiorarlo nella sua complessità. La mia attenzione è più
ristretta, riguarda il rapporto che esisterebbe tra laicità ed etica nel
momento in cui un ordinamento è chiamato a pronunciarsi su questioni decisive
per la collettività, come la famiglia, l’ingegneria genetica, l’eutanasia, e
via di seguito. Alcune elaborazione teoriche danno per scontato che il
pluralismo etico non è che un altro aspetto del pluralismo religioso, e “come
oggi ammettiamo e rispettiamo le varie confessioni religiose (…), così dobbiamo
riconoscere le varie moralità che affiancano o sostituiscono la fede
religiosa”. D’altra parte, si aggiunge, come nella religione non si dà verità
oggettiva, ma solo opinioni, così in campo etico lo Stato deve accettare tutte
le convinzioni e le scelte che si contendono il campo. Questa similitudine tra
religione ed etica è accattivante, ma nasconde un’insidia dialettica. In primo
luogo perché la neutralità dello Stato riguarda le convinzioni religiose, la
sfera più intima della spiritualità e della coscienza, non i comportamenti
delle persone, tanto meno quelli che coinvolgono gli altri. In questa materia
la legge non pretende mai di definire qual è la verità, ma sceglie sulla base
di valori che hanno una loro validità nel tempo, nella struttura sociale nella
quale si incarnano, e che possono dar vita a equilibri diversi tra etica e
diritto. In secondo luogo, si trascura il fatto che una neutralità dello Stato
estesa a tutte le scelte etiche porterebbe alla paralisi del legislatore e allo
svuotamento della funzione della legge. L’ordinamento non si interesserebbe più
della procreazione, dei doveri verso i figli, non potrebbe più disciplinare il
matrimonio, dovrebbe consentire tutto in materia di bioetica. Uno Stato eticamente
neutrale dovrebbe disporre il “rompete le righe” e preoccuparsi solo di
regolare il traffico delle attività sociali. C’è, poi, un corollario di questa
impostazione che viene utilizzato frequentemente. Si tratta di quel ritornello
che in Italia viene ripetuto spesso, secondo il quale in queste materie lo
Stato deve permettere, non proibire. Infatti, se permette non obbliga nessuno,
ma se proibisce impedisce a qualcuno di realizzarsi. Lo Stato che liberalizza
l’eutanasia non obbliga nessuno a praticarla, ma consente a chi vuole di
scegliere un’altra opzione. Se permette la fecondazione eterologa, non la
impone, ma se la nega erode spazi all’autonomia individuale. Io credo che ci
troviamo di fronte ad un uso improprio della laicità, e ad un vero sillogismo.
Se applicata coerentemente, questa logica porterebbe a risultati che ben pochi
si sentirebbero di sostenere. Si legittimerebbe la pratica della clonazione
umana, perché una legge che la liberalizzasse non costringerebbe nessuno a
clonare cellule e individui, mentre un divieto impedirebbe ad alcuni di seguire
i propri convincimenti. Dovrebbe essere permesso di intervenire sul genoma per
determinare alcune caratteristiche del nascituro, come il sesso, o il colore
della pelle o degli occhi, perché in ogni caso non si obbligherebbe nessuno a
queste operazioni, mentre vietandole si diminuirebbe l’autonomia individuale.
Questa impostazione dovrebbe indurre l’Authority inglese a rispondere
positivamente al recente quesito del Kings College, se sia lecito produrre
ibridi di umanità e animalità. Infatti, consentendo questa 7 pratica non
si impone a nessun ricercatore di creare la chimera, ma proibendola si
violerebbe la libertà di quanti non hanno remore nel procedere su questa
strada. Molti sostenitori del relativismo si dichiarano contrari alla
clonazione, alla chimera e ad altre scelte estreme, ma spesso non sanno dire il
perché. E non sanno dirlo perché dovrebbero riconoscere che clonazione e
chimera possono essere escluse soltanto se si fa leva su valori antropologici
primari, meritevoli di trovare spazio nel mondo del diritto. Si dovrebbe allora
riconoscere che la laicità dello Stato non c’entra nulla quando la discussione
riguarda questi valori. E che nel gioco democratico della discussione, del
convincimento, si determineranno gli equilibri essenziali, modificabili nel
tempo, sui confini del diritto, sul rapporto tra autonomia e solidarietà. In
questa discussione vi è spazio per tutti, per le convinzioni religiose e per
quelle filosofiche, per l’apporto delle scienze e la mediazione della politica.
Ma se il confronto viene by-passato ricorrendo alla laicità per sbarrare la
strada a determinate scelte, vuol dire allora che c’è insicurezza in alcune
posizioni relativistiche, le quali non riescono ad elaborare valori
convincenti, e utilizzano impropriamente la laicità per dare alle proprie tesi
una forza che probabilmente non hanno. 5. Cultura laica e questione islamica
L’analisi si fa più complessa se affrontiamo il tema del multiculturalismo,
perché questo fenomeno costituisce una grande opportunità ma anche un grande
rischio. Una opportunità per la laicità, che può far risaltare il suo volto
accogliente e il suo carattere universale di fronte al mischiarsi delle
popolazioni, delle pagine della storia, e della geografia. Ma anche un rischio
se con il multiculturalismo si vogliono reintrodurre nelle nostre società
antiche intolleranze, o costumi e tradizioni che evocano un lontano passato. Le
prime risposte a questo evento sono deludenti, alcune preoccupanti, ma tutte
riflettono un disorientamento generale. Vi sono a volte reazioni di tipo
islamofobico che fanno d’ogni erba un fascio, alimentano paure e diffidenze,
che vogliono negare all’islam ciò che la laicità deve garantire a tutti. Mi
sembra, però, che siano prevalenti le reazioni opposte, perché la cultura laica
sta rispondendo con uno spaesamento che tradisce incertezza e insicurezza. Il
multiculturalismo sta facendo emergere una insicurezza dei valori della
laicità, della loro validità e tendenziale universalità. Anche quell’orgoglio
che ha dato forza allo Stato laico, che ha prodotto diritto e storia, sembra
vacillare di fronte a chi appare più estraneo ai principi di libertà ed
eguaglianza. Potrei citare una pluralità di fatti, ed eventi, che sembrano slegati
tra di loro ma sono uniti da un robusto filo conduttore. Ne indico alcuni per
far riflettere sul loro significato complessivo. Pochi si accorgono che si sta
creando un divario crescente tra l’atteggiamento nei confronti delle Chiese
tradizionali e quello che si manifesta di fronte a clamorose lesioni della
laicità per motivi di multiculturalismo. Le prime riflettono un’antica
suscettibilità, quasi la memoria del conflitto, le altre sono fatte di stupore
e di silenzi. Se una Chiesa lucra ancora oggi qualche favore giuridico, si
reagisce con veemenza perché la laicità dello Stato sarebbe in pericolo. Ma se
vengono lanciate fatwe di morte contro letterati, giornalisti o registi, per
offese all’Islam, si tratta di episodi che non riguardano lo Stato laico, non
costituiscono istigazione all’omicidio. Se una fatwa viene eseguita, l’omicidio
è di competenza della cronaca nera. 8 Se in un paese europeo si discute
su temi etici, le prese di posizione delle Chiese cristiane sono viste come
espressioni di un nuovo temporalismo. Ma se, in Europa o ai suoi confini,
avvengono omicidi di donne che rifiutano regole tribali, di derivazione
islamica o meno, oppure se il diritto di cambiare religione conduce ancora alla
morte o all’emarginazione sociale, si considerano questi eventi come frutto di
arretratezza, anziché un salto indietro nella storia della laicità. Nessun
grido, nessun manifesto, nessun convegno è dedicato loro. Uno strabismo
particolare colpisce la cultura laica quando è in gioco la questione femminile.
Mentre gli ordinamenti europei adottano raffinati strumenti per rendere
effettiva la parità tra uomini e donne, normativa e pratiche aliene che
discriminano le donne, o le umiliano, non suscitano ribellione o ripulsa. Un
tempo la cultura laica reagiva con forza, definendole oscurantiste e censorie,
alle richieste di non eccedere nella liberalizzazione dei costumi, e di frenare
la licenziosità con cui veniva usata la figura femminile. Oggi tace, quasi si
nasconde, quando le donne vengono chiuse nel burqa, o si chiedono classi
separate nelle scuole, spiagge differenziate, reparti ospedalieri distinti, o
gli uomini rifiutano di essere subordinati sul lavoro a dirigenti donne, e via
di seguito. In diversi paesi occidentali, dall’Inghilterra al Canada, dalla
Germania al Belgio ai paesi del Nord Europa si moltiplicano le proposte di
introdurre la scharì’a, o suoi segmenti, senza che suscitino scandalo per la
ferita che porterebbero ai diritti umani fondamentali. Soltanto il 24 ottobre
corso, con grande ritardo, il Parlamento europeo, ha approvato una risoluzione
(peraltro molto positiva) sulla condizione delle donne, sulla illegalità della
poligamia, sulla lesione dei diritti fondamentali. Le reazioni islamiche al
discorso di Benedetto XVI a Ratisbona sono ormai note, e non mi ci devo
soffermare. Ma nessuno ha notato un fatto che, in tema di laicità, ha
sovrastato tutti gli altri. Il silenzio che i più rigorosi laicisti hanno
mantenuto nel difendere la libertà di parola e di espressione contro minacce,
violenze, ricatti. Eppure, per decenni questi gruppi hanno ripetuto sino alla
nausea il pensiero di Voltaire per il quale, anche se non si condividono le
idee di un altro, si è però pronti a spendere la propria vita perché l’altro
possa esprimere quelle idee. Ma dopo Ratisbona, non si è spesa neanche una
parola per difendere il diritto del Papa, come di chiunque altro, ad esprimere
le proprie valutazione sul rapporto tra fede e violenza. A questi silenzi si
aggiunge un fenomeno culturale meno appariscente e più sotterraneo. Il
cattolicesimo, e il cristianesimo, sono stati per due secoli letteralmente
vivisezionati per criticare e sradicare tutto ciò che sapesse di temporalismo,
di anti-modernità, per spezzare la loro alleanza con il potere politico.
Sull’intreccio tra altre religioni e sistemi politici dittatoriali, oggi
prevale l’afasia nella cultura liberale, in quella marxista o
anti-istituzionale. Sembra quasi che la critica illuministica e storicistica
che, pur con asprezze a faziosità, ha saputo fustigare, in certa misura ha
contribuito a rinnovare, le Chiese delle nostre società, scelga il silenzio di
fronte a ben più pesanti congiunzioni tra religione, violenza, dispotismi più o
meno teocratici. Tutto ciò apre degli interrogativi sul futuro della laicità in
Italia e in Europa; e li apre non su un punto o su un altro, ma sulla spinta
propulsiva che la laicità ha esercitato nel realizzare lo Stato moderno. Da
questi, e altri episodi, sta scaturendo una sorta di assuefazione rassegnata di
fronte alla mutazione genetica della laicità come la conosciamo in Occidente,
che può portare ad un esito paradossale: ad una laicità occhiuta e diffidente
verso le religioni tradizionali e ad un multiculturalismo disarmato e senza
valori verso altre religioni e tradizioni. Sarebbe la fine della neutralità
dello Stato. 9 6. Laicità e multiculturalismo in Italia. Ambiguità
e prospettive Per meglio capire i rischi di questa frattura tra laicità e
multiculturalismo torniamo per un attimo all’esperienza italiana. L’Italia,
ancora una volta, si è dimostrata più di altri Paesi equilibrata e accogliente,
non condizionata da pregiudizi etnici o religiosi. L’Italia non ha fatto la
guerra al velo, e a nessun simbolo religioso, forse perché di simboli
confessionali ne conosce tanti da tanto tempo, dalle cattedrali alle chiese,
dai conventi ai battisteri, alle fogge vestiarie di religiosi e religiose
d’ogni genere. Quindi non avvertiamo disagio per un modesto velo che peraltro
può appellarsi alla libertà di abbigliamento. L’Italia ha predisposto una vasta
rete di accoglienza e sostegno sociale per l’immigrazione; sta cercando in
tanti modi di soddisfare le esigenze di culto dei soggetti dell’immigrazione;
prevede nei contratti di lavoro spazi per pratiche religiose, diversità
alimentari, tradizioni come quello del ramadan. Ma questo che può essere
considerato legittimamente un nostro vanto, si sta trasformando lentamente in
qualcosa d’altro. Si sta trasformando nell’oscuramento di principi e valori
essenziali, e nella accettazione di una cultura della separatezza che può
colpire la laicità. Parlo della tendenza a rimuovere il crocifisso dalle aule
scolastiche, e più in genere, tutta una simbologia e una tradizione di memorie
del cristianesimo, riprendendo concezioni laiciste superate. E’ di questi
giorni la notizia che nelle scuole, negli alberghi, in luoghi pubblici e
privati diminuiscono i presepi e gli alberi di natale per non urtare
suscettibilità di persone aderenti ad altri culti. Si realizza così quella che
da tempo definisco una partita giocata su due tavoli: quello della laicità che
limita o cancella simboli e presenze cristiane, e quello del multiculturalismo
che legittima altri simboli o presenze religiose. Sempre in Italia si
manifestano i primi sintomi di un cedimento multiculturale che mette a rischio
i diritti fondamentali dei cittadini, in primo luogo delle donne. Si accetta
qua e là la presenza del burqa, aumentano le voci favorevoli alla poligamia, si
introducono in qualche parte forme separate di vita collettiva, nelle scuole,
nei luoghi pubblici, si consente l’apertura di scuole islamiche fuori dei
canoni previsti dalle nostre leggi. Si tratta di primi sintomi, ma sono
parecchi e di significato univoco, e ci dicono che neanche noi siamo immuni dal
rischio della perdita di senso della laicità e dei suoi valori. Altra cosa
sarebbe se della laicità si offrisse il volto più maturo e accogliente, quello
che sa distinguere tra quanto di autenticamente religioso emerge da una
tradizione, e quanto appartiene ad arretratezza storica e culturale. Che sa
rispettare e tutelare il patrimonio spirituale di ciascuna religione ed etnia,
ma sa criticare e respingere ciò che collide con il sistema universale dei
diritti umani, con la libertà religiosa, con l’eguaglianza tra uomo e donna.
Che sa, cioè, promuovere il meglio della nostra e delle altrui tradizioni, ma
si impegna a far arretrare il resto. Sarebbe un’altra cosa, un’altra storia, e
potremmo dedicarvi un altro convegno. Carlo Cardia. Keywords: il laico, filosofia
vs. teologia, italia anti-papista, il filosofo italiano deve essere neutro in
questione di religione. Verdi – il papa – stati papali – repubblica italiana –
liberta di culto – giurisprudenza – religione dell’antica roma – il pontifice
nella religione romana antica – credenza religiosa – credenza naturale –
credenza super-naturale – il sovra-naturale – il naturale – l’idea di religione
nella antica Roma – il mito romano – la mitologia romana antica – il sacro – il
pagano – la filosofia della roma antica pagana – la critica dei antichi romani
al cristianesimo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cardia” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51774096897/in/dateposted-public/
Grice e Cardone – Clark Kent; ovvero, sul sovrumano –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Palmi).
Filosofo. Grice: “Cardone plays with a coinage, sobraumnao, in Dionigio e
Luciano – it triggers implicata: what’s wrong with ‘human’? One is reminded of
Pico (‘dignita dell’uomo’) and D’Annunzio – it is a problem of linguistic
botanising for Italian phiosophers, ‘altreuomo’ being rendered as a translation
of Emersen’s ‘plus man’ – and cf. Carlyle – D’Annunzio, who should have known
better, prefers ‘suPer,’ when we know that in the ‘volgare,’ the ‘p’ becomes
‘v’, so Cardone has it just right!” Si laurea a Roma. Membro de Partito
Socialista Unitario. Fonda "Ebe" e la rivista "Rivista".
Fonda “Ricerche filosofiche”. Fonda la Società Filosofica Calabrese. Aattività
deontologica per la realizzazione di un'etica sociale della Cultura, in difesa
e promozione della civiltà, onde onorarlo per le sue incessanti iniziative
anche in favore della fratellanza umana. Altre opere: Saggi di storia,
filosofia e diritto; Il relativismo gnoseologico” (Palmi, A.Genovesi &
figli ed); Reazione collettiva (Torino, Paravia & C); I filosofi calabresi
nella storia della filosofia, con appendice sui sociologi e gli psicologi,
Palmi, A.Genovesi & Figli ed., “La filosofia dello Stato” (Città di Castello,
Casa Editrice Il Solco); Filosofia della vita, Città di Castello, Casa Editrice
Il Solco); Umanismo (Messina); Cristianesimo, liberalismo e comunismo, Palmi,
G. Palermo ed); Il Divenire e l'Uomo, Palmi, Ricerche filosofiche, “Civiltà,
Palmi, G. Palermo ed); Vita di Gesù secondo il Vangelo incompiuto, Modena-Roma,
Guanda Editore); La filosofia di Gesù, Milano, Bocca ed); L'uomo nel cosmo.
Storia e prospettive, Palmi, Ricerche filosofiche ed); Bio critica, a cura
della sezione bibliografica della Società Filosofica Calabrese, Bologna,
Mareggiani ed); Seguito alla Bio critica, a cura della sezione bibliografica
della Società Filosofica Calabrese, Cosenza, MIT); La vita come esperienza inutile,
Cosenza, Pellegrini); L'ozio la contemplazione il gioco la tecnica l'anarchismo,
Roma, Ricerche). Ricerche filosofiche, Torino, Edizioni di Filosofia). Il
Divenire” (Padova, Rebellato Editore). Si vis pacem para pacem, Montepulciano,
Editori Del Grifo, Ludi. Bologna, Soc.
Tip. Mareggiani ed); I confini dell'anima, Palmi, Ed. Del Fondaco di Cultura); La
banca della carità” (Milano, M. Gastaldi ed., 1962 Terapia del tramonto (Milano,
M. Gastaldi); Il figlio del dittatore” (Milano, M. Gastaldi); Canti del
Sant'Elia, Poggibonsi, Lalli); L'assenza e la mancanza: meditazioni quasi
poetiche, Cosenza, MIT). Dialogo sulla solitudine. divenir e vita. Filosofo-poeta.
Un inattuale nella sua attualita. Domenico Cardone. Domenico Antonio Cardone.
Keywords: Clark Kent; ovvero, sul sovrumano, “Ricerche filosofiche”; futilitarianism,
inutilitarianism, Grice, “The philosophy of life,” Grice, “Philosophy of life”,
essere e divenire – il sovraumano, Nietzsche, Bergson, D’Annunzio, sobra-uomo,
super-uomo. Jesus as a philosopher! -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cardone”
– The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51775137288/in/dateposted-public/
Grice e Carifi – ablativi relativi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pistoia). Filosofo. Grice: “I would call Carifi a poet rather than a philosopher! He did indeed philosophise ‘in difesa della filosofia,’ but that should read of ‘his’ ‘filosofia,’ which he sees as an elaboration on death! My favourite are his ‘lezioni’ di filosofia and his ‘ablativo assoluto,’ something English lacks, but ‘deo volente’ doesn’t!” -- Studia sotto Bigongiari, tra i maggiori esponenti dell'ermetismo fiorentino, profondamente influenzato dalle voci liriche di Rilke e Trakl, su cui si è esercitato anche come traduttore, oltre a essere poeta, svolge l'attività di critico letterario e filosofico. Autore de “Il segreto”. Al fianco degli studi filosofici, vi sono quelli di psicoanalisi a Milano. Mentre nelle liriche si risente la dizione rilkiana e emerge il debito verso Heidegger, nei componimenti successivi questi motivi vengono amalgamati a nuove istanze della sensibilità. In particolare dopo la dura prova della malattia, l'incidente, come lui chiama l'ictus da cui è stato colpito, i suoi versi abbracciano una nuova forma di rarefazione dissolvente in cui l'essere, attraversato dal dolore, cerca una via estrema di comunicazione per ricongiungersi al mondo. Luoghi e figure dell'anima. Due sono i temi che incardinano la sua poetica: la madre e il legame con la città natale, Pistoia, che di quel rapporto affettivo è l'emanazione, entrambi raccolti filosoficamente nel rimando all'infanzia, epoca originaria dei sensi, periodo d'elezione per l'anima ma anche ingrato, di cui si fatica a cogliere l'essenza se non a patto di una discesa spossante. Ora è l'attimo che attende, è l'istante che prepara i tempi a un altro istante dove si deve attendere l'infanzia, quella bastarda che era là, tragico volto dei bambini. La madre, dolorosa musa, abbandonata dal marito quando il bambino aveva appena tre anni, ha lungamente accompagnato e sorretto la voce del figlio. La sua scomparsa è una perdita incolmabile nella vita e nel suo immaginario. La città rappresenta un caldo grembo, dove tutto rimanda a quel legame dissolto ma anche alle tante amicizie e perfino a quegli spiriti gentili di artisti e letterati che continuano ad aggirarsi, figure di sogno, nelle strette strade del centro. Bigongiari era di Pistoia. Era figlio del capostazione e abitava in Via del Vento, accanto a Manzini. Nei miei viaggi onirici li vedo tutti e due, Bigongiari e Manzini, camminare tra Via del Vento e Via Verdi, in silenzio perché parlano una lingua muta, una lingua del deserto che solo i poeti e i mistici capiscono. Nei suoi versi rivive di continuo la devozione spirituale per il luogo, la cui essenza poetica sta nell'intreccio di memorie che lo abitano, un passato con cui si misura in uno stato di incerta beatitudine tra sogno e veglia. Nasco filosofo con una grande tensione verso la poesia. Una tensione, la mia, che si è poi sviluppata fino a rendermi filosofo, ma soprattutto poeta. La filosofia arriva fino ad un certo punto, da quel punto in poi c’è la poesia. La poesia parla del cielo, delle foreste degli uomini, fa un salto verso la verità. Abbandona il linguaggio su cui, bene o male, la filosofia regge e sceglie un linguaggio pre-sentativo'', il linguaggio della presenza. La sua ricerca è la risposta alle varie vicende dell’uomo. L’uomo colma e coglie sé stesso attraverso il percorso del lume, l’apertura alla conoscenza. L’uomo mite che miete la luce, capace di cuore della verità, che non rinuncia al pensiero della responsabilità e della parola, è l’uomo Carifi. Non bisogna accostarsi a lui con il timore di leggere un incomprensibile tomo di filosofia analitica alla teoria dell’implicatura di Grice, sia pur condividendo con lui che non esistono concetti semplici, né concetti già pronti, perché la filosofia analitica di Grice è, Grice morto, in divenire, è in movimento. Un sottile ma preciso filo conduttore che caratterizza la raccolta delle sue lunghe e silenziose riflessioni è la pratica dell’intensità, destini che si rivelano fino in fondo. Esercita il bello della profondità portandola, a tutti, sul piano conoscitivo della conversazione. Le sue opere sono cammini culturali e spirituali dove l’uomo ed il valore sono all’unisono un giro concentrico di piaceri. La conversazione è un abisso che, in un’intima solidarietà, unisce il moto interiore all’estetica dell’espressione, e la conversazione diviene il veicolo principale dove il silenzio meditativo e contemplativo si colora di una dimensione inter-oggettiva. La conoscenza dell'altro .L'uomo del pensiero: Roberto Edizione Polistampa, Firenze. Poesia e filosofia convivono e si alternano nella sua vasta produzione, tra i maggiori autori contemporanei. E conosciuto per i testi filosofici e per l’intensa attività poetica, influenzata, a partire dagli anni Ottanta, dall’amicizia con Bigongiari; ma anche per le traduzioni in italiano di Hesse, Rousseau, Racine, Bataille, Trakl e Weil. La poesia è una stretta di mano su «Naturart», rivista di cultura, Giorgio Tesi Editrice» Scopre il dolore con la perdita della madre che diventa la sua ossessione poetica, descritta come un pozzo in cui scendere. Le sue due antologie poetiche (Infanzia; Nel ferro dei balocchi), pur seguendo percorsi diversi, si ergono entrambe su due abissi: l'infanzia personale, ma al contempo quella di intere generazioni europee, segnate da un legame indissolubile. Archivio Festival Letteratura, Palazzo Ducale, Mantova. È una poesia in cui la forte componente autobiografica trasfigura il vissuto, in quanto ciò che si racconta assume valore paradigmatico: situazioni ed episodi emblematici in cui l’uomo incontra l’assoluto. Incontro su «VIinforma», rivista culturale della Banca di credito coooperativo di S. Pietro in Vincio» «La raccolta Madre, proprio perché torna su un tema già fortemente praticato, consente di guardare al complessivo percorso poetico di Carifi potendo distinguere in esso un momento di passaggio e di mutamento, determinato prima dall’avvicinamento al buddismo, poi dalla malattia. Giuseppe Grattacaso, Supplica alla madre su «Succedeoggi» Cultura nell’informazione quotidiana» Opere Raccolte poetiche Simulacri (Forum/Quinta Generazione, Forlì); Infanzia (Società di Poesia, Milano, rist. Raffaelli, Rimini ); L'obbedienza (Crocetti, Milano); Occidente (Crocetti, Milano); Amore e destino (Crocetti, Milano); Poesie (I Quaderni del Battello Ebbro, Porretta Terme); Casa nell'ombra (Almanacco Mondadori, Milano); Il Figlio (Jaca Book, Milano); Amore d'autunno (Guanda, Parma-Milano); Europa (Jaca Book, Milano); Il gelo e la luce (Le Lettere, Firenze); La pietà e la memoria (Edizioni ETS, Pisa); D'improvviso e altre poesie scelte (Via del Vento edizioni); Nel ferro dei balocchi (Crocetti, Milano 2008); Tibet (Le Lettere, Firenze ); Madre (Le Lettere, Firenze); Il Segreto (Le Lettere, Firenze ); Racconti Victor e la bestia (Via del Vento edizioni, Pistoia); Lettera sugli angeli e altri racconti (Via del Vento edizioni, Pistoia); Destini (Libreria dell'Orso editrice, Pistoia); Saggi Il gesto di Callicle (Società di Poesia, Milano); Il segreto e il dono (EGEA, Milano); Le parole del pensiero (Le Lettere, Firenze); Il male e la luce (I Quaderni del Battello Ebbro, Porretta Terme); L'essere e l'abbandono (Il Ramo d'Oro, Firenze); Nomi del Novecento (Le Lettere, Firenze); Nome di donna (Raffaelli, Rimini ). Note Rainer Maria Rilke, L'angelo e altre poesie, Via del Vento edizioni, 2008; Georg Trakl, La notte e altre poesie, traduzione di Massimo Baldi e Roberto Carifi, Postfazione di Roberto Carifi, Via del Vento edizioni. Tiene la rubrica mensile "Per competenza" sulla rivista «Poesia». Per ulteriori notizie si veda la sezione dedicata ai cenni biografici del poeta nel volume Roberto Carifi, D'improvviso e altre poesie scelte, Via del Vento edizioni, Da Roberto Carifi, Tibet, Le Lettere, . Da Pistoia in parole. Passeggiate con gli scrittori in città e dintorni, Alba Andreini, introduzione di Roberto Carifi, Edizioni ETS, . M. Baudino, Nel mitico mondo di Carifi, «Gazzetta del Popolo»; C. Viviani, Il mito e il nuovo inquilino, «Il Giorno», F. Ermini, Il mito per relazionarsi al reale, «Il quotidiano dei lavoratori», G. Giudici, Il gesto di Callicle, «L'Espresso»; A. Porta, Il gesto di Callicle, «Alfabeta», M. Spinella, La microfisica del significante poetico, «Rinascita», nQui sento odor di buoni versi, «Il Messaggero»; Infanzia, «Il piccolo Hans», Al fuoco di un altro amore, Jaca Book, L'anima e la forma nel verso. «Avvenire»; P.F.Iacuzzi, Il paradosso della poesia italiana. «Paradigma»; Utopisti e menestrelli, «L'indice», R. Nostalgia del tragico, «Corriere del Ticino»; I Quaderni del Battello Ebbro. Basso continuo del rumore bellico per litanie epiche sull'occidente, «Il Manifesto». Il filo del tramonto e del rimpianto, «Il Giornale», La poesia, il luogo del ritorno a casa, «La Nazione», La lingua continua a battere dove la carità duole, «Il Mattino», Il buio mondo che ci avvolge, «Il Sole 24 ore», Il lato oscuro delle cose, «La Repubblica»; Sul vuoto appesi alla parola, «La Nazione», Amore senza tempo, «Il Sole 24 ore», ; E per musa ispiratrice la nostalgia, «Avvenire», Classici pensosi versi, «Gazzetta di Parma», Amore per una donna e per il nulla, «Il Giorno», Gli amori di Carifi, «La Nazione»; B. Manetti, Carifi il poeta errante, «La Repubblica»; D. Attanasio, Amore e morte trascendenti segreti, «Il Manifesto», R. Copioli, Carifi: il desiderio è mitico, «Avvenire», 14 maggio 1994; E. Grasso, L'amore quando il lume si spegne, «L'Unità»; A. Donati, Intervista a Roberto Carifi, «Il Giorno», Doni al confine del tempo, «Il Sole 24 ore»; L'angelo poetico della solitudine, «Il Giorno», R. Figli innamorati del proprio destino, «Avvenire»; Il male come provocazione estetica – estetica del male -- Chiaroscuro con lampada e scialle, «Il Sole 24 ore»; Chi son? Sono un poeta, «Il Giornale»; Il dolore nelle sillabe, «La Gazzetta di Parma»; Un angelo in esilio, «Avvenimenti»; U. Piersanti, Il figlio, «Tutto Libri»; Bigongiari, Carifi: parole e voce di Figlio, «La Nazione»; Quel contratto da verificare, «Il Sole 24 ore», Angeli sospesi tra essere e abbandono, «Avvenire», Un neoromantico invoca il cuore, i sogni, l'addio, «Tutto Libri», Amore d'autunno, «L'Espresso», Morte di madre. Quando la poesia "riversa la vita", «Il Giornale», L’elegia di uno stile semplice, «Avvenire»; Quei legami vitali tra figlio e madre, «La Nazione»; Tra infelicità e silenzio, «Il Sole 24 ore»; Un dolcissimo amore d'autunno, «Il Giornale», L'estetica dell'amore, «Il Tirreno», Dalla parte del cuore, «Gazzetta di Parma»; E. Coco, Rivista de Literatura. Un dialogo a distanza sull'alterità del figlio, introduzione a R. Carifi e U. Buscioni, Figure dell'abbandono, maschiettoemusolino, Siena; Il pathos del sublime: la poesia di Carifi, «Atelier», D. Fiesoli, Europa, «Il Tirreno», B. Garavelli, Addio alla madre, «Avvenire», G. Colotti, Europa, «Il Manifesto»; La religiosa tragicità di Carifi, «Poesia»; F. A. Scorrano, La conoscenza dell'altro. L'uomo del pensiero. Edizione Polistampa, Firenze, S. Ramat, Roberto Carifi nel nome della madre, «Il Giornale», Per la sezione bibliografica questa voce trae informazioni dalla inglese. Piero Bigongiari Gianna Manzini Pistoia Via del Vento edizioni //poesia.blog.rainews//09/blog Poesia Rai News L'UOMO DEL PENSIERO. Saggio sulla poesia di Carifi Tre poesie su «Sagarana», su sagarana.net. Una recensione di Infanzia, su margininversi.blogspot. Roberto Carifi. Il sisma silenzioso del cuore articolo di Andrea Galgano su «Clandestino». Roberto Carifi. Keywords: ablativi relative, filosofia e poesia – l’implicatura del poeta – l’implicatura di Blake – l’implicatura di Guglielmo Blake – rhyme or reason – the invention of rhyme – l’invenzione della rima – empedocle: ragione senza rima -- Heidegger, conversation, language, silence, being, inter-subjectivity. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Carifi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51775516699/in/dateposted-public/
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